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PAVEL A. FLORENSKIJ – FILOSOFO


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“La vita vola via come un sogno e spesso non riesci a far nulla prima che ti sfugga l’istante
SALSA RUBRA della sua pienezza. Per questo è fondamentale l’arte del vivere, tra tutte la più ardua ed
essenziale: colmare ogni istante di contenuto sostanziale, nella consapevolezza che esso
SCIOCCHEZZAIO
non si ripeterà mai più come tale.”

( Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo la postfazione del libro “Vita e


GLI ULTIMI ARTICOLI

LA SITUAZIONE SIRIANA:
razionalità in Pavel A. Florenskij” di Vincenzo Rizzo)
INTERVISTA AL FILOSOFO
DIEGO FUSARO Pavel A. Florenskij – filosofo del Logos
Intervista a cura di Andrea Pollastri
Di Lubomir Zak
Gentile Diego Fusaro, per quanto
riguarda l’attuale situazione in Siria,
tu sei stato uno dei pochi che,
coraggiosamente, hai…

IL MEDICO DI BASE (DALLA


RUBRICA SCIOCCHEZZAIO)
di Andrea Giardina Racchiuso tra le
rassicuranti pareti di uno studio finto-
sobrio, il diploma di laurea e di
specializzazione in branchie
incongrue regolarmente esibiti,…
Pavel A. Florenskij è in Italia ormai di casa, nonostante, a differenza di molti intellettuali
russi del suo tempo, tra cui gli amici V.F. Ern e V.I. Ivanov, egli non abbia mai visitato il “bel

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SO GIA’ COSA SCRIVERAI. IL


paese”. Grazie all’appassionato e costante impegno di numerosi studiosi, sono state
GIORNALISMO IN ITALIA
Di Luigi Torriani “Il problema di molte tradotte e pubblicate in lingua italiana tutte le sue principali opere – con l’eccezione della
testate [giornalistiche italiane] è che
Filosofia del culto – insieme ai suoi ricordi Ai miei figli. Memorie di giorni passati (2003,
la risposta, generalmente, è nota già
prima di iniziare a leggere”. Questa 20092) e alla sua corrispondenza dalla prigione e dal gulag Non dimenticatemi. Le lettere
frase…
dal gulag, del grande matematico, filosofo e sacerdote russo (2000, 20062), testi la cui
capillare diffusione è promossa dalla casa editrice Mondandori. A ciò si aggiunge un’ampia
PAROLARIO 2013: INTERVENTO
DEL FILOSOFO
e positiva ricezione che Florenskij e la sua eredità di pensiero godono presso i numerosi
ALFREDO PATERNOSTER lettori italiani. La loro cerchia non si restringe agli specialisti in filosofia, teologia o scienze
SOGNARE LA REALTA: MATRIX E
LA FILOSOFIA di Andrea Pollastri
naturali, ma include anche coloro che, per un motivo o l’altro, si sono imbattuti, spesso
Quali spunti, un film come Matrix, può casualmente, nel genio russo e sono rimasti colpiti dalla sua straordinaria, quasi ‘magica’,
offrire ad un’accurata analisi
interpretativa? Matrix…
abilità di descrivere e di raccontare ciò che è ovvio, quotidiano, ciò che si dà per scontato
in quanto appartiene intrinsecamente all’esperienza della vita, e, allo stesso tempo, dalla
sua maestria nel saper introdurre in quei luoghi che custodiscono e manifestano la
misteriosa anima del reale e il senso più profondo di ogni esistenza. Proprio per tali abilità
e maestria, Florenskij è in Italia non solo sempre più letto e conosciuto come uno dei più
grandi pensatori del Novecento, ma è anche amato, stimato e seguito come testimone
credibile e convincente di uno sguardo mistico sul mondo, capace di infondere speranza
ed energie nuove. Non va dimenticato, poi, che negli ultimi due decenni sono state
pubblicate, in lingua italiana, alcune importanti monografie dedicate al suo pensiero. Sia
per il loro numero che per la loro qualità, gli studi italiani dedicati a Florenskij hanno ormai
raggiunto, se non in alcuni casi persino superato, le ricerche degli studiosi russi, tedeschi
e americani, rappresentando un contributo di alto livello scientifico alla conoscenza
dell’eredità intellettuale e spirituale del ‘Leonardo da Vinci russo’. Tanto che essi iniziano a
essere consultati come imprescindibili punti di riferimento da parte di coloro che oggi
stanno avviando la ricerca florenskijana nel contesto di altre aree linguistiche, tra la quale
va citata l’area di lingua spagnola.

Il volume di Vincenzo Rizzo si inserisce in tale vasta cornice del crescente interesse per
l’opera di Florenskij, con l’intenzione di esplorarne in particolare il versante filosofico.
Certo, quest’ultimo è stato già analizzato, a più riprese, da non pochi studiosi. Tuttavia, la
sua ricca e complessa articolazione e le sue originali ispirazioni di fondo permettono, e
anzi richiedono, tentativi nuovi di una ricerca ancora più mirata, attenta alle intenzioni e
alle intuizioni originarie del filosofo russo; ed è appunto la consapevolezza di tali possibilità
e necessità a costituire la premessa da cui muove il presente volume. Una
consapevolezza accompagnata, inoltre, dal desiderio di prendere sul serio l’invito che
Giovanni Paolo II ha rivolto alla filosofia e alla teologia quando, nella Fides et ratio (n. 74)
riferendosi esplicitamente a Florenskij e ad altri pensatori ortodossi e cattolici, affermò:
«Una cosa è certa: l’attenzione all’itinerario spirituale di questi maestri non potrà che
giovare al progresso nella ricerca della verità e nell’utilizzo a servizio dell’uomo dei risultati
conseguiti. C’è da sperare che questa grande tradizione filosofico-teologica trovi oggi e nel
futuro i suoi continuatori e i suoi cultori per il bene della Chiesa e dell’umanità».

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Il presente volume non propone uno studio sistematico della filosofia florenskijana, se con
sistematico si intende il tentativo di fare una precisa ricognizione e una completa e
documentata descrizione dell’ontogenesi delle sue idee e dei suoi concetti. Non perché
uno sforzo del genere sarebbe inutile, superfluo, in quanto già compiuto in modo
soddisfacente da altri. Al contrario; la ricerca florenskijana entrerebbe certamente in una
nuova fase di sviluppo, se avessimo a disposizione studi del genere, elaborati con
attenzione alla specificità della forma mentis interdisciplinare di Florenskij e prendendo in
considerazione le principali coordinate contestuali che hanno influito sull’orientamento del
suo poliedrico pensiero. Il fatto è che per ora, malgrado l’esistenza di lavori di indubbio
valore scientifico, si è ancora distanti da un tale traguardo, dato che i loro autori si sono
impegnati nell’avvicinare il filosofo russo quasi esclusivamente da due punti di vista: da un
lato, consapevoli della scarsa dimestichezza del mondo occidentale con la sua
concettualità, essi si sono preoccupati di elaborare un approccio piuttosto introduttivo alla
filosofia florenskijana, cercando di renderla più avvicinabile tramite tentativi di individuare –
a volte in maniera piuttosto forzata e approssimativa – delle corrispondenze tra di essa e
le intuizioni di alcuni noti pensatori occidentali; oppure, dall’altro lato, consci della
straordinaria complessità del pensiero di Florenskij, certi studiosi si sono limitati a
esaminarne soltanto un singolo aspetto tematico connesso, nella maggior parte dei casi,
con gli interessi specialistici dell’estetica, della filosofia del linguaggio e della filosofia della
scienza.

L’autore del presente volume non ha l’ambizione di capovolgere tale stato di cose.
Avvertendone però i limiti e in sintonia con gli sforzi di qualche altro studioso, vuole
preparare il terreno per un suo superamento. È auspicabile che il lettore ne sia
consapevole e che apprezzi tale intenzione, non lasciandosi confondere o distrarre
dall’impressione di una certa frammentarietà della riflessione di Rizzo sulla filosofia di
Florenskij. Colui che l’avvertisse, dovrebbe sapere che essa non è altro che una sorta di
illusione ottica causata da una precisa e certamente legittima scelta di metodo (con la
quale, tra l’altro, si è identificato lo stesso pensatore russo, quando definì il suo celebre
saggio La colonna e il fondamento della Verità un insieme di «abbozzi, scritti in tempi e
1
stati d’animo diversi» ); una scelta appartenente al genere di quelle opere che – come nel
caso di numerose creazioni filosofiche, letterarie o musicali, del passato e del presente –,
tentano di descrivere l’oggetto tematico chiave e di incarnare la loro idea ispiratrice con il
ritmo di una meditazione scandita in più tappe, componendo un mosaico formato da
numerosi tasselli di differente grandezza e coloritura.

Quali sono tali oggetto e idea nella composizione di Rizzo? La risposta la offre il titolo del
volume: Vita e razionalità in P.A. Florenskij. Esso intende indicare non solo due argomenti
filosofici considerati di estrema importanza da parte dello steso Florenskij, ma prima di
tutto quell’approccio alla sua filosofia che mette in luce ciò che in essa è, sia dal punto di

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vista tematico che epistemologico, assolutamente centrale e di evidente valore


prospettico. Un approccio che dà la possibilità di penetrare nel cuore delle più importanti e
ingegnose teorie del pensiero florenskijano e di cogliere la loro intrinseca
complementarietà, rimarcata dal filosofo in una delle ultime lettere dal gulag (21 febbraio
1937) con le parole: «Che cosa ho fatto per tutta la vita? Ho contemplato il mondo come
un insieme, come un quadro e una realtà unica, ma in ogni istante o, più precisamente, in
ogni fase della mia vita, da un determinato angolo di osservazione. Ho esaminato i rapporti
universali in un certo spaccato del mondo, seguendo una determinata direzione, in un
determinato piano, e ho cercato di comprendere la struttura del mondo a partire da quella
sua caratteristica, di cui mi occupavo in quella fase. I piani di questo spaccato mutano,
tuttavia un piano non annulla l’altro, ma lo arricchiva, cambiando: ossia con una continua
dialettica del pensiero (il cambio dei piani in esame, con la costante dell’orientamento
2
verso il mondo come un insieme)» .

A questo punto occorre, seppur brevemente, specificare in quale maniera le due parole del
titolo – vita e razionalità – esprimano il cuore di tutto il pensiero di Florenskij: il suo
orientamento di fondo e la sua impostazione epistemologica; per fare ciò dovrò,
ovviamente, chiarire quale è il contenuto semantico che il pensatore russo conferisce alle
due parole. Prima però, desidero fare una veloce puntualizzazione; se, da un lato, è vero
che le parole del titolo sono in grado di aiutarci a comprendere la specifica impostazione
della proposta filosofica di Florenskij e l’originalità dei suoi contenuti, dall’altro è altrettanto
vero che esse devono essere comprese alla luce di quella che è la caratteristica di
entrambe, ossia al fatto che i loro rispettivi significati richiedono di essere interpretati non
come due elementi a sé stanti, ma in reciproca connessione. Lo richiedono per un motivo
di natura strutturale, dato che le due parole, o più precisamente, i due termini, nella loro
diversità colgono ed esprimono la stessa e identica res, individuata sul piano ontologico
del reale. È in questa prospettiva che dev’essere compresa l’attenzione al nesso tra la vita
e la razionalità, che guida Florenskij nelle sue riflessioni filosofiche, teologiche e
scientifiche. E, allo stesso tempo, stanno qui, nel proporre e nell’adoperare tale via di
interpretazione del pensiero florenskijano, il merito e l’originalità del volume di Rizzo.

Cosa intende dunque Florenskij per vita e razionalità? E in che senso si può parlare di un
loro nesso?

La parola ‘vita’ evoca ad un conoscitore del pensiero florenskijano immediatamente alcuni


passaggi delle opere La colonna e il fondamento della Verità e Ai miei figli. Memorie di
giorni passati, nelle quali il filosofo elogia la realtà del vivere come carica di mistero, mai
conoscibile fino in fondo e perciò impossibile da definire. Per lui la vita «è infinitamente più
ricca delle definizioni razionali e perciò nessuna formula può contenere tutta la pienezza

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della vita» . Va detto che un’idea del genere non ha niente a che vedere con un ‘vitalismo’
di ispirazione esoterico-spiritualista, né tanto meno con un ‘vitalismo’ di tipo naturalista. Il
suo contenuto è di natura metafisica. Dire ‘vita’ significa, infatti, indicare che qualcosa o
qualcuno è in essere, perché partecipa sostanzialmente a una realtà data – che è qui
indipendentemente dalle cose e dalle persone – la quale, nella sua necessaria
concretezza e fisicità, è portatrice e custode di una sorta di comune natura metafisica.
Una delle conseguenze di tale concetto di vita è la convinzione, presente in Florenskij,
dell’esistenza di una comune parentela cosmica: tra tutte le persone, tra le persone, la
natura e tutto l’universo. Essa nasce dal presupposto secondo cui la vita è un luogo
caratterizzato dall’appartenenza – di ognuno, di tutti e di tutto – ad una comune radice di
origine divina, ossia alla Luce senza tramonto, i cui infiniti raggi brillano realmente nelle
profondità delle cose e nell’interiorità delle persone, al punto che è possibile affermare:
«Tutto ciò che viene manifestato [ossia: messo in essere] è luce» (cfr. Ef 5,13), e perciò
4
«ogni essere è luce» . Parlando in questi termini, che evidenziano l’esistenza di un nesso
vitale e sempre attivo tra Dio Creatore e la Sua opera, Florenskij si presenta come
predicatore della bontà ontologica di tutto il reale – incluso il ‘mondo’ degli uomini –
collocata dal Creatore nelle misteriose profondità del cuore e coincidente con ciò che è
autenticamente oggettivo, universalmente valido, perché vero e bello in ogni momento e
situazione.

Non è certo questa la sede per spiegare in modo dettagliato che il filosofo russo non
intende mai identificare le cose e le persone con la Sorgente della luce e che queste
ultime sono, per lui, ‘solo’ luoghi concreti del manifestarsi della luce. Eppure si tratta di
una precisazione importante, visto che egli, poggiando la sua filosofia su una ‘metafisica
della luce’, arriva di conseguenza a parlare della presenza di un’oggettività veritativa nel
grembo stesso della vita: la presenza di una razionalità (logica) universalmente valida e
vera, scolpita nella pietra della struttura portante dell’essere delle cose e delle persone
umane. Infatti, se tutto ciò che esiste, per il fatto di essere in vita e di essere da essa
sostenuto, è la luce, allora è anche verità. Resta inteso che quest’affermazione può
essere compresa solamente nel senso appena spiegato sopra: vivendo, l’uomo partecipa
a una razionalità strutturale, custodita dal suo stesso essere, quale riflesso di una
‘razionalità originaria’, divina, di una logica in cui si manifesta il mistero dell’essere della
Sorgente di vita divina. È in questa prospettiva che va interpretata la concezione
florenskijana del termine ‘razionalità’.

Come emerge molto bene dalle pagine del presente volume, se Florenskij critica alcuni
filosofi moderni (Kant in primo luogo), il motivo è la tendenza, che egli intravede in loro, di
considerare la ragione una sorta di luogo sorgivo della verità, con la presunzione di poter

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definire quest’ultima a partire dalla propria soggettività conoscitiva, arrivando a identificare


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la verità con la ‘conoscenza metodica’, «fatta di giudizi sintetici a priori» . Ciò non vuol dire
che egli voglia essere il propugnatore di un ‘pensiero debole’ o che la sua idea dell’uomo,
come soggetto conoscente, sia contaminata da un cupo pessimismo antropologico,
affezionato all’idea dell’uomo corrotto, imprigionato nelle reti del peccato di Adamo.
Florenskij, nel considerare la ragione e le potenzialità conoscitive di cui essa dispone, è
sostenitore di una via media, percorrendo la quale si trova in sintonia con molti intellettuali
cristiani, tra i quali Lutero, teologo che egli cita proprio in riferimento alla questione circa le
possibilità conoscitive della ragione. Mi riferisco a quelle parole del Riformatore che, da
una parte, sottolineano che la ragione «è la cosa per eccellenza, il capo di tutte le cose,
migliore di tutte le altre in questa vita, qualcosa di divino»; ma che, dall’altra, fanno capire
che essa «non sa di essere una simile maestà a priori, ma soltanto a posteriori», nel
senso che soltanto alla luce della Rivelazione di Dio la ragione riesce a capire che la vera
6
fonte, la causa efficiente, del tutto è il Dio creatore, la Sua intelligenza . Quindi, se la
ragione non viene illuminata dalla luce della Verità (dalla Rivelazione di Dio), essa, lasciata
sola a se stessa, «non può insegnare [quanto alla Verità e alla propria ‘salvezza’ come
ragione, consistente nel suo adeguarsi alla Verità – L.Z.] se non le tenebre della propria
7
cecità e ignoranza» .

Utilizzando accenti simili, Florenskij definisce la ragione, chiusa nella sua autonomia e
presuntuosamente soddisfatta delle sue potenzialità conoscitive (da lei considerate
normative per il discorso veritativo), un ubriaco che da solo non riesce a mantenere
l’equilibrio e che cade ora da una parte ora dall’altra. Tuttavia, appena denunciato il
soggettivismo razionalista, il filosofo russo individua nelle capacità logiche, razionali
dell’uomo alcune dinamiche strutturali che sono in piena corrispondenza con le dinamiche
di quella ‘logica/razionalità originaria’ di cui la vita è una silenziosa e sapiente portatrice e
testimone. Da questo punto di vista egli scorge nella ragione, illuminata dalla fede in Dio
creatore che sostiene l’opera delle Sue mani, uno strumento senza pari che rende
possibile all’uomo di vivere in modo consapevole la partecipazione al mistero della vita,
potendo sperimentare, in sé – proprio grazie alla sua razionalità – la manifestazione
concreta dei riflessi di una luce lontanissima e insieme molto vicina: la Luce della Verità.

Dunque, si capisce dove Florenskij intravede il nesso tra vita e razionalità e come
definisce il loro punto di intersezione. Egli lo intravede, infatti, sul piano dell’ontologia ed è
sempre nella prospettiva dell’ontologia che cerca di cogliere e di descrivere il fatto e il
significato del legame tra le due realtà, sottolineando che ognuna è sostanzialmente
legata all’altra e in essa si esprime. Si tratta di un legame sussistente su due livelli distinti
ma tra loro connessi: da un lato, esso caratterizza la ragione umana e la vita nelle
condizioni di contingenza; riconoscere la sua esistenza significa affermare – spiega
Florenskij – che «la ragione partecipa dell’essere e l’essere della razionalità», e quindi che
«l’atto del conoscere è non solo gnoseologico, ma anche ontologico, non solo ideale ma

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anche reale» . Dall’altro lato, il legame tra vita e razionalità caratterizza anche la ‘sfera’ del
transempirico: il mondo dell’Eternità, ‘sfera’ che fonda la possibilità ontologica del legame
tra le due realtà nelle condizioni di contingenza. Infatti, questo legame non ci potrebbe mai
essere, se non esistessero la Vita e la Ragione (il Logos) eterni e la loro sostanziale
unione. Non è affatto marginale aggiungere che Florenskij inserisce la riflessione su di
esse nel quadro di una sua originale metafisica trinitaria, esposta in La colonna e il
fondamento della Verità. Ciò che ora mi preme di ricordare è che, in alcune condizioni,
l’atto di conoscere, compiuto da parte della contingente ragione umana, può corrispondere
con l’entrare – che è comunque sempre un atto di grazia: il rapimento – nello spazio del
legame trinitario tra la Vita e la Ragione eterne, spazio della vera e immutabile oggettività.

Questo quadro di molteplici nessi esistenti tra le due sfere – contrassegnato dal misterioso
‘abitare’ della sfera transempirica, divina, in quella contingente (cfr. Ap 17,28) e, insieme,
dalla possibilità del suo avvicinamento da parte della ragione – si trova espresso in modo
sintetico nel concetto che Florenskij ha della verità. Non penso soltanto alla distinzione tra
la Verità assoluta (o «il Soggetto della Verità») e le molteplici verità contingenti (filosofiche,
scientifiche ecc.), da lui rigorosamente rimarcata nei suoi testi con l’uso del maiuscolo e
del minuscolo, ma prima di tutto all’idea di definire la Verità come Istina (e non
semplicemente Pravda), ossia come una realtà viva e appartenente alla vita, e in quanto
tale, come una condizione essenziale di esistenza. Per Florenskij ogni uomo, per il fatto
stesso di vivere, può entrare in comunicazione con la Verità, potendola avvicinare
nell’interiorità del proprio cuore, quali che siano la cultura e la religione cui appartiene.
Occorre ricordare che la concezione della Verità come realtà viva non è certo
un’invenzione del nostro filosofo, in quanto in Russia era stata proposta già dai padri dello
slavofilismo. Ciò che è caratteristico è invece la sua insistenza sulla necessità di
interpretare tale concezione in chiave rigorosamente ontologica. Egli, cioè, è fermamente
convinto che la Verità abita, ‘vivendo’, nel cuore (ossia, sul piano della struttura più
profonda) degli esseri creati, cosicché si può constatare che tutto ciò che esiste è
imparentato con essa, essendo in qualche modo misteriosamente partecipe alla Sua vita.
Anche in questo caso bisogna sottolineare che un simile concetto è concepibile solo
all’interno della metafisica trinitaria di Florenskij, una metafisica che tenta di sviluppare,
filosoficamente, la teologia del Logos/dei logoi, elaborata dai Padri greci, in particolare da
san Massimo il Confessore. Infatti, la convergenza tra la metafisica e l’ontologia del
Logos/dei logoi di san Massimo e le intuizioni filosofiche di Florenskij è un dato di fatto che
spicca a prima vista; tanto che alcuni capitoli di La colonna e il fondamento della Verità
sembrano essere un commento ai testi di questo Padre, come ad esempio l’Ambiguum n.
7 e n. 41. La penetrazione del filosofo russo nel tema della partecipazione strutturale del
cosmo, e in particolare dell’uomo, al mistero trinitario del Logos divino è tale, che san
Massimo non avrebbe certo esitato ad annoverare anche lui tra i «seguaci e servitori del
9
Logos», abili e santi maestri dell’iniziazione «nella gnosi della realtà» .

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La lettura del presente volume deve inserirsi in questa cornice ermeneutica, richiamata in
primo piano da ognuna delle sue tre parti. La prima parte è una documentata descrizione
del contesto storico-culturale in cui Florenskij sviluppa la propria filosofia, maturata attorno
all’intuizione di anteporre al razionalismo filosofico e al positivismo scientifico – da lui
accusati di avere una concezione riduttiva del reale – un ‘pensiero complesso’, fondato su
una percezione integrale, ossia empirico-metafisica del reale. Viene messo in luce che egli
non rinuncia mai a tale filosofia, nemmeno quando dopo la rivoluzione del 1917 inizia a
correre seri rischi a causa della sua impostazione dichiaratamente cristiana, e che il suo
tragico arresto e la sua condanna sono, in effetti, il pegno che egli ha dovuto pagare per
aver avuto il coraggio di introdurla persino nelle ricerche scientifiche, condotte su incarico
del governo sovietico.

La seconda parte del volume riflette sul rapporto di Florenskij con due filosofi, da lui sentiti
come particolarmente vicini: S.N. Trubeckoj, suo professore di filosofia antica all’Università
di Mosca, e V.F. Ern, amico e compagno di studi al liceo di Tbilisi. Nonostante ognuno dei
due abbia influito in modo differente allo sviluppo del pensiero di Florenskij, entrambi
hanno offerto un contributo indispensabile alla maturazione della sua vocazione quale
filosofo del Logos: Trubeckoj con le ricerche attorno al Logos nella filosofia antica,
pubblicate nel saggio La dottrina del Logos nel suo sviluppo storico (1900), Ern con il
‘logismo ontologico’ (l’ontologia del Logos), proposto come orientamento filosofico in La
lotta per il Logos (1911), un’opera che andrebbe esaminata a fondo da ogni studioso di
Florenskij. La successiva riflessione di questa seconda è strettamente connessa con
quanto detto su Trubeckoj ed Ern; essa, cioè, fa capire che l’ampia presenza della filosofia
antica nel pensiero di Florenskij – caratterizzata da un’interpretazione del tutto particolare
e non da tutti condivisa di Platone – è legata anch’essa all’idea del ‘pensiero complesso’,
da lui chiamato ‘idealismo concreto’ o, semplicemente, ‘platonismo’.

Nella terza parte del volume l’autore presenta alcune tematiche epistemologiche e
filosofiche centrali del pensiero florenskijano, includendo la trattazione su un tema che
mette a dura prova l’‘ottimismo ontologico’ del nostro filosofo: quello dell’esistenza del
male. Come, però, viene ben spiegato, Florenskij è riuscito a individuare una soluzione del
problema del male che, oltre ad essere pienamente coerente con l’intuizione di fondo e le
linee di sviluppo di tutto il suo pensiero, gli ha permesso di affrontare con coraggio i
momenti drammatici della sua vita; quando, da prigioniero del terrificante gulag delle isole
Solovki, costretto a vivere fuori degli ‘spazi sacri’ a lui connaturali (a vivere, cioè, senza la
possibilità di celebrare la divina liturgia e senza la presenza dell’amata famiglia), ha
continuato a leggere nel misterioso libro della Natura – natura umana inclusa – e a
intravedere e a venerare in esso le scintille del Logos eterno.

La coerenza tra il pensiero e la vita conferisce a Florenskij un fascino che


spontaneamente conquista la maggior parte di coloro che vengono a contatto con la sua

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opera. Sono persuaso che il bel volume di Vincenzo Rizzo contribuirà ad incrementare il
loro numero, ma anche che convincerà alcuni di loro ad intraprendere la via della ricerca,
in quanto lo studio della ricca eredità del pensiero florenskijano è un cantiere molto ampio
e dalle molteplici possibilità.
1 P.A. Florenskij, La colonna e il fondamento della Verità, Rusconi, Milano 19982, p. 35.

2 P.A. Florenskij, «Non dimenticatemi». Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo,
Oscar Mondadori, Milano 2006, pp. 379-380.

3 P.A. Florenskij, La colonna, cit., p. 194.

4 P.A. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 19903, p. 164ss.

5 P.A. Florenskij, ragione e dialettica, in N. Valentini, Pavel A. Florenskij, Morcelliana, Brescia 2004, p. 99.

6 Cfr. M. Lutero, Disertatio De nomine (1536), in WA 39, 1,175.

7 M. Lutero, Il servo arbitrio (1525), Claudiana, Torino 1993, p. 367.

8 P.A. Florenskij, La colonna, cit., p. 114.

9 Massimo il Confessore, Ambigua, Bompiani, Milano 2003, p. 454.


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ETICHETTE: GULAG, LOGOS, LUBOMIR ZAK, PAVEL A. FLORENSKIJ, VINCENZO RIZZO

BY EIDOTECA IN FILOSOFIA, RELIGIONI ON AGOSTO 14, 2013.

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