Seram 2016

Seram Barat Maluku Indonesia

Hanoea Underground River

Onderaardsche Loop Project

Acheloos Geo Exploring

Hanoea Underground River
Seram Expedition 2016

Spedizione speleologica italiana

sulle montagne di
Wele Telu Batai

Onderaardsche Loop Project

Step#2
Produced and edited by Andrea Benassi Ph.D
Compiled by Andrea Benassi Ph.D

© Andrea Benassi 2019

1st edition

Image credits

© Andrea Benassi
© Marc Faverjon
© Ivan Vicenzi

Front cover

Reference & Contacts

www.acheloos.it
www.casolaspeleo.blogspot.com
www.speleosacile.it

citation. A. Benassi, T. Pasquini, K. Zampatti, Seram 2016: Hanoea underground river, 2019

benassiandr@gmail.com
 Dedicato a Manusa, Lohie Sapalewa,
Riring, Buria, Taniwel, Latuhelo e a tutti
gli abitanti di Wele Telu Batai,

e alla loro Storia.

Ringraziamenti

Una ricerca o una esplorazione sono sempre Buria, Riring e Lohia Sapalewa; le nostre
un qualcosa di complesso e pieno di preziose guide Sonny e Khasi.
incognite. Qualcosa che nasce e cresce in un
luogo, attorno ad una idea e ad un gruppo di
persone, ma che progressivamente muta i suoi
contorni e coinvolge nella sua orbita altri
luoghi e altre persone. In questa prospettiva il
successo di ogni spedizione diviene cosi un
qualcosa frutto d

i infiniti fattori, incontri e relazioni. E’

obbligo quindi un caloroso ringraziamento a
tutti coloro che a vario titolo e misura hanno
condiviso con noi una parte di questa
avventura e hanno collaborato e fornito
aiuto perché tutto potesse svolgersi nel
migliore dei modi: Dr. Yunus Kusamahbrata,
del Ministero delle risorse energetiche e
minerarie della Repubblica di Indonesia; Andi
Mulatauwe, Gruppo Speleologico di
Makassar, Sulawesi; Ahmad Iyek e Akhmad
Zona, Acintyacunyata Speleological Club
(ASC) Yogjakata; Padre Teo e le bibliotecarie
della biblioteca Rumphius di Ambon; le
autorità e la polizia di Ambon, Piru e
Taniwell; gli abitanti di Latuhelo, Taniwell,
 Acheloos Geo Exploring
Gruppo
La spedizione Seram 2016 è stata organizzata sotto l’egida del gruppo Acheloos Geo Exploring con
l’appoggio ed il patrocinio del Gruppo Speleologico di Sacile e della Speleologica Scuderia
Saknuseem di Casola Valsenio.

Andrea Benassi (Italy) Anthropologist - University of Rome,

SimbDea, ISIAO; guide for Gypsum Park. 26 years of caving
activities; organization of more than 20 international expedition all
over the world (Laos, Vietnam, Cambodia, Honduras, Morocco,
Tunisia, Indonesia, Albania, Montenegro, Pakistan)

Marc Faverjon (France) Engineer, Topographer, photographer,

Member of italian rescue team, Former president of french federation
international commission, 30 years of caving all over the world (Laos,
Vietnam, China, Papouasia, Brasil, Iran, Turkey, Italy, France, Spain,
Greece)

Thomas Pasquini, (Italy) born in 1989; topographer, climber,

industrial rescuer; member of Italian Alpine Club's (C.A.I.) speleogical
association of Turin (G.S.P); regional instructor of Italian alpine and
caving rescue association (C.N.S.A.S.); 10 years of experience in
caving all over Italy and in Albania.

Paolo Turrini, (Italy) born in 1970; biologist, worker in height, tree

climber, caver; member of Italian Alpine Club's (C.A.I.) and caving
rescue association (C.N.S.A.S.); 26 years of experience in caving
from Italy and abroad (Montenegro, Mexico).

Ivan Vicenzi (Italy) Rescue operator (CNSAS). President of

Sacile’s Caver Group and vice chairman of the Acheloos group. 21
years of experience in caving in Italy and all over the world
(Indonesia, Morocco, Laos, Cambodia, Honduras).

Katia Zampatti, (Italy) born in 1980; canyoner, alpinist, industrial

rescuer; member of Italian Speleogical Society (S.S.I.) and of
Brescia's caving association (G.G.B.); 15 years of experience in
caving all over Italy and in Norway.
“Acheloos, figlio di Oceano e Teti, primo tra i
fiumi e padre dei fonti e delle sorgenti tutte.”

Gruppo Speleologico Sacile

Società Speleologica Saknussem Gruppo Grotte Brescia

Gruppo Speleologico Piemontese Associazione Ricerche Studi

Associazione Speleologica
CAI UGET Torino DemoEtnoAntropologici
Romana’86
 1

Indice Indice
Inquadramento generale Palau Seram 2
• Inquadramento generale Palau Seram 2

• Seram: Isola dei fiumi perduti 5

Seram: Isola dei fiumi perduti 5
• Sapalewa: madre dei fiumi 6

• Hanoea: figlia di Sapalewa 8

Sapalewa: madre dei fiumi 6
• Il Kawa e i suoi fratelli 24

H•anoea:
Goa Hatu figlia
Saka 25 di Sapalewa 8
• Grotte e miti a West Seram 36

Il Kawa eSpedizione
• Diario di i suoi fratelli
41 24
• Didascalie fotografie 53
G•oaCoordinate
Hatu eSaka
speleometrie 54 25
• English abstract 55
G•rotte e miti a West Seram
Annex: Hatu Saka technical draft 60
36
• Bibliografia 62
Diario di Spedizione 40

Didascalie fotografie 52

Coordinate e speleometrie 54

English abstract 55

Annex: Hatu Saka technical draft 602

Bibliografia 62
 2
Inquadramento generale
Dal punto di vista speleologico, l’Indonesia
vanta una lunga storia di spedizioni straniere,
ma esistono attualmente anche numerosi gruppi
speleologici locali, attivi soprattutto sull’isola di
Giava e Sulawesi. La vastità e le problematiche
del paese fanno sì che in Indonesia si trovino
ancora enormi aree carsiche praticamente
inesplorate. Per l’area delle Molucche
meridionali, nonostante il grande numero di
pubblicazioni a carattere geologico e la vasta
estensione di formazioni calcaree, descritte già
all’inizio del ‘900, sono documentate
pochissime spedizioni speleologiche. L’isola di
Seram (17100 km2), adagiata sull’Equatore, si
sviluppa lunga e stretta (340x60 km) lungo
l’asse est-ovest. Principalmente montuosa,
presenta un’imponente ossatura centrale,
risultato della collisione delle grandi placche
tettoniche, che l’attraversa da nord a sud. Questa
zona montuosa, denominata Manusela Range,
culmina nelle cime comprese nell’area del
monte Binaya, che con i suoi 3047 metri,
rappresenta una delle principali montagne
dell’arcipelago. A differenza di altre cime
nell’area, d’origine vulcanica, l’area del Binaya
è composta quasi esclusivamente di calcari,
frammenti della grande serie che compone
l’ossatura della Nuova Guinea. Nel resto
dell’isola, particolarmente nel versante
occidentale, si trovano diversi massicci di
minore altitudine (Cecilia Range, Towile Bou
Bou) che presentano tuttavia ampie zone
carsiche con morfologie a coni e torri. Lungo la
costa, specialmente nell’area occidentale, si
identificano ampie zone di calcari corallini,
ampiamente diffusi anche in altre isole vicine.
Le prime notizie scritte sulla presenza di grotte
sull’isola di Seram si devono all’opera del
colonnello Sachse (Sachse 1907; 1922). Qui
vengono descritte prima una serie di cavità e
quindi l’esistenza di una serie di grandi trafori.
Informazioni accurate e precise, che però per
molti anni andarono completamente perse e
dimenticate. Le prime spedizioni a carattere
speleologico non ne tennero infatti
minimamente conto, toccando solo
marginalmente queste grandi aree carsiche,
limitandosi alle zone di più facile accesso. La
prima, del 1996, fu organizzata dalla Sydney
University Speleological Society (SUSS) e dal
Wessex Caving Club (WCC). Dieci speleologi
furono attivi per un mese nell’area di
Sawai/Saleman nella costa centro settentrionale
di Seram, identificando ed esplorando
parzialmente 33 grotte. Il risultato più
importante della spedizione fu l’esplorazione di
Goa Hatu Saka, proseguita poi nel 1998 con la
‘Ekspedisi International Menjelajah Goa’, che
ha portato la profondità fino a -388 metri e ha
fatto di Hatu Saka la cavità più profonda
dell’intera Indonesia (Laumanns & Price 2010);
p41-101). Queste prime e promettenti
esplorazioni si sono dovute interrompere a
causa della guerra civile. Nell’estate del 2011 un
gruppo di speleologi, Acintyacunyata
Speleological Club di Yogyakarta, questa volta

Carta geologica dell'isola di Seram: già a prima vista si nota la complessità strutturale dell'isola, originatasi
dall'unione di diverse placche tettoniche, il cui scontro ha prodotto anche l'alta catena centrale del monte
Binaja. I diversi calcari sono evidenziati in toni di blu e azzurro (Manusela, Asinepe e koral limestone). Si
nota l'estrema frammentazione nella provincia occidentale. Totalmente sconosciute risultano ad oggi le
potenzialità della catena centrale, circondata a nord come a sud da grandi risorgenze. Lo stesso vale per la
remota provincia orientale. Piccole zone di calcari corallini non segnati, sono presenti anche lungo le fasce
costiere.
 3

Distribuzione delle principali zone carsiche nell’isola di Seram

da Giava, riprese le esplorazioni nella medesima
area localizzando 45 nuovi ingressi e
rilevandone 12 (Laporan Ekspedisi Seram
2011); venne inoltre tentata un’ulteriore discesa
della grotta Hatu Saka, ma le condizioni idriche
fecero fallire il tentativo. Altre grotte sono
documentate all’interno di ricerche
archeologiche nel settore sud occidentale
dell’isola di Seram e nelle vicine isole di
Ambon e Saparua (Spriggs 1990d; Kyle Latinis
2005). La scoperta di Hatu Saka nell’area
costiera del massiccio (q.1000 slm.) e
l’esistenza di diverse grandi sorgenti carsiche
praticamente sul livello del mare (Jackson
1997), unitamente alla presenza di ampie aree
carsiche in alta quota, fanno sperare
nell’esistenza di un importante potenziale
idrogeologico. Allo stesso tempo nel 2012, lo
studio di immagini satellitari e fonti storiche ci
ha portato a identificare importanti obiettivi nei
massicci minori presenti nell’area occidentale
dell’isola. Questa zona, completamente ignorata
dalle precedenti spedizioni, ha rivelato al suo
interno la presenza di un gran numero di
importanti trafori idrogeologici la cui
particolarità è rappresentata dalla grandezza dei

Carta delle nove aree carsiche investigate dalle spedizioni: (1) Gunung Rarola (2015); (2) Hanoea –
Towile (2015-2016); (3) Sapalewa–Toisiwa (2012-2015); (4) Kasieh – Hatu Patola (2012); (5) Sawai –
Saleman (2012); (6) Gunung Hatu Saka (2016); (7) Gunung Binaiya (2012); (8) Hatuhuran – Hatusua
(2015); (9) Saparua (2012)
 4
fiumi coinvolti. Con questi presupposti, si sono
svolte le spedizioni italiane del 20121, 20152 e
2016. Si segnalano infine tre spedizioni-survey
organizzate da gruppi speleologici indonesiani
sotto l’egida dalla ISS (Indonesian
Speleological Society) tra il 2015 ed il 2017 con
obiettivo tre aree molto promettenti comprese
nel Manusela Nationa Park. Una prima zona
lungo le basse pendici meridionali del monte
Binaja, vicino alla sorgente di Ninivala; una
seconda alle pendici settentrionali dell’Hatu
Kauala attorno alla grande sorgente di Way Toto
(30 cumecs!); la terza infine sull’altopiano di
L’incantevole costa settentrionale presso il
Hatu Saka. Le cavità esplorate, sebbene di
villaggio di Saleman. Sullo sfondo l’area carsica
modesto sviluppo, sono state oggetto di di Hatu Saka
dettagliata descrizione e osservazioni, in
particolare per quanto riguarda gli aspetti
biospeleologici. Tutte le grotte documentate,
oltre che oggetto di report, sono
progressivamente inserite nel catasto on-line
gestito dall’ISS3.
Elemento di estremo interesse, appare infine la
stretta correlazione che nell’isola di Seram
intercorre tra fenomeni carsici e corpus
mitologici e cosmogonici. Molte grotte si
pongono infatti, tanto nel passato quanto nel
presente, quali importanti punti di riferimento di
una complessa geografia mitologica e sacrale,
patrimonio dei differenti gruppi etnici e sociali
presenti. Questo aspetto, sebbene comune a
molte zone del mondo, riveste nell’isola
unaparticolare ricchezza e importanza. Un
patrimonio che invita ad arricchire e allargare
l’esperienza di ricerca e documentazione
speleologica ben oltre gli aspetti geologici. Allo
stesso tempo, l’importanza e la sacralità di molti
luoghi, obbliga ad una presenza discreta,
attentamente mediata con le comunità e in
alcuni casi anche alla rinuncia.

1
Cfr. Baroncini Turricchia G.; Benassi, A.(2012) Cave and Karst
Prospecting within Seram Island (Maluku Province), Indonesia - 23
May-22 June 2012 (on line report)
2
Cfr. Benassi A. (2015), Seram 2015: Sapalewa underground river
Expedition Report, 106 p. (on line report)
https://it.scribd.com/doc/294386822/Seram-2015
3
http://peta.caves.or.id/
 5
L'isola dei fiumi perduti
"Una volta sull'isola di Seram esisteva una
grande montagna: l'intera isola era costituita
da un altopiano. Al centro di questo, più o meno
dove oggi si trovano le sorgenti dei fiumi
Makina e Sapalewa, viveva una coppia; marito
e moglie. Lì, a una certa distanza dal villaggio,
avevano costruito il loro Pondok, la loro
capanna. L'uomo si chiamava Makina e la
moglie Sapalewa."
Cosi inizia un mito raccolto negli anni '20 del
secolo scorso (De Vries 1927). Il mito racconta
l'origine dei fiumi dell'isola di Seram, nati da
Makina e Sapalewa: marito e moglie che
vivevano come uomini, prima di diventare gli
antenati di tutti i corsi d'acqua dell'isola:
“...dalla testa della donna all'improvviso
l'acqua usci spruzzando da tutte le parti. Gli
spruzzi si trasformarono in un flusso che
sgorgava dalla testa di Sapalewa, che trascino
l'uomo e trasportò entrambi lungo il corso dei
fiumi Sapalewa e Makina come attualmente
esistono. I primi fiumi che comparvero a Seram.
Makina percorse la sua strada verso est, mentre
Sapalewa si scavava la sua attraverso il
terreno. Spinsero e presero a calci tutto ciò che
incontrarono lungo la loro strada, scagliarono
via lontano enormi pezzi di roccia e terra che
ricaddero qua e la. Così nacque la montagna
selvaggia e feroce.”
La montagna selvaggia e feroce, fatta di enormi
pezzi di roccia, apparentemente scagliati da
forze non umane, ovvero la montagna cosparsa
di grandi pareti, coni carsici, valli, forre e
ovviamente grotte. Sull'onda di queste
suggestioni, nel mese di agosto del 2016 si è
svolta sotto il coordinamento del gruppo
Acheloos Geo Exploring la spedizione Seram
2016, con destinazione l'omonima isola
nell'arcipelago indonesiano delle Molucche. La
spedizione, la terza nell’isola, aveva due
obbiettivi differenti: la ricerca di prosecuzioni
nel grande pozzo della Goa Hatu Saka,
attualmente la grotta più profonda
dell'Indonesia, e l'esplorazione dei numerosi
trafori presenti nella provincia di West Seram.
Esplorazione già iniziata nella precedente
spedizione con la documentazione parziale del
solo Sapalewa Underground River. Allo stato
attuale sull'isola sono in parte documentate circa
110 cavità, risultato di due spedizioni
australiane (1997,1998) e di tre indonesiane
(2011,2013 e 2016). Di queste circa trenta, per
un totale di dieci chilometri di sviluppo, sono
quelle scoperte da noi nel corso di una survey
(2012) e due spedizioni (2015,2016). Vista
l'estrema frammentazione delle zone calcaree,
per cercare di inquadrare le potenzialità
dell'isola, nel corso dei tre anni, sono state
visitate otto diverse aree carsiche: tanto in alta
quota quanto lungo le numerose falesie a mare.
Con questa spedizione allo spettacolare sistema
carsico del fiume Sapalewa si aggiunge quello
altrettanto bello e importante del fiume Hanoea,
ma restano veramente tanti i grandi trafori
inesplorati che attendono tra le montagne di
west Seram. Ovviamente sull’isola sono molte
anche le zone carsiche totalmente inesplorate.
Tanto nel massiccio centrale compreso nel
grande Parco Nazionale di Manusela, luogo
realmente difficile e selvaggio anche per gli
standard indonesiani, quanto nelle piccole aree
calcaree che punteggiano frammentate sia la
provincia occidentale che quella orientale
(Benassi 2015). Luogo remoto e fino a pochi
anni fa quasi totalmente ignoto dal punto di
vista speleologico (Laumans 2016), Seram si
pone già oggi come area di primaria importanza
nel panorama del carsismo indonesiano, e
probabilmente ha ancora molti segreti da
svelare. A patto ovviamente di cercare una
speleologia di spedizione non semplice e mai
banale.
Carta geologica del settore occidentale di
Seram (Rutten 1919). Sulla carta sono segnati i
dodici trafori ancora in gran parte inesplorati.
 6
Sapalewa
madre dei fiumi
“Sapalewa andò a sbattere sul monte Hatoesori,
un gigantesco frammento di roccia, così grande
che non poteva più andare avanti. Arrabbiata
per questo ritardo, si gonfiò sempre di più,
finché il villaggio di Boeria, che era li vicino, fu
in grande pericolo, rischiando di essere
trascinato e inghiottito dall'infuriare delle
acque. Ogni volta che si sentiva un boato, si
potevano udire le parole di Sapalewa: "Hahate
sa mai! Hahatatata'', che nella sua lingua
significa: "Presto datemi!". Rimbombavano
come il suono di uno scalpello nella roccia. Gli
abitanti del villaggio non capivano cosa volesse
e gettarono tremanti di paura un cane nella
corrente infuriata, ma un attimo dopo l'animale
fu scagliato indietro da un vortice. Allora
provarono a offrire tutti i tipi di cibo salato, ma
anche questi ribollivano e venivano scagliati
indietro. Infine spinsero una vecchia giù
nell'acqua e questa tornò poco dopo con il
messaggio che Sapalewa voleva un parang, un
machete con cui potersi mangiare la sua strada
attraverso la roccia. Si precipitarono allora lì
per raccogliere e lanciare in acqua il parang e
non molto tempo dopo sentirono un rumore
tonante. Ecco che l'acqua, già ai loro piedi e
che aveva raggiunto i pavimenti delle case,
cominciò a scemare. Una volta scomparsa
sottoterra nella parete di pietra, Sapalewa
continuò il suo viaggio, ma qualche tempo dopo
si dovette fermare nuovamente per rompere un
percorso attraverso la roccia Batoe Tajane, la
'Roccia al Centro', e infine attraverso
Batoetausiwa, la 'Roccia dei Siwa'. Quando
tornò ad emergere in superficie, ruotò il parang
verso il Kampong e si precipitò a riva. Il terzo
giorno del suo viaggio si uni in mare con il
marito Loemakina.”
Cosi gli Alune, che abitano la provincia di West
Seram, raccontano l'origine del grande traforo
che il fiume Sapalewa ha scavato attraverso la
catena dell'Hatoesori. Il sistema carsico,
esplorato nella precedente spedizione, raggiunge
oggi i 4.5 km di sviluppo tra parte attiva e le
gallerie fossili che circondano il grande
Tiankeng interno, con un dislivello tra i diversi
ingressi di circa 210 metri (Benassi 2015, 2016).
Nonostante non sia stata oggetto di ulteriori
ricerche nel 2016, l'area carsica del Sapalewa
possiede ancora numerose possibilità
esplorative. In particolare, dall'osservazione
carsiche 1,2,3 e 4
Carta speleologica di parte della provincia di West Seram: aree
 7
delle ortofoto sono stati identificati almeno due
ingressi alti che potrebbero rappresentare
altrettanti rami fossili del sistema, mentre altri
sono stati raggiunti e non completamente
esplorati.
 8

Hanoea
figlia di Sapalewa
Secondo il mito, il fiume Hanoea sarebbe figlia
di Makina e Sapalewa, e non a caso come sua
madre decide a volte di scomparire sottoterra.
Lungo il suo corso il fiume incontra infatti
numerosi banchi isolati di calcari, nei quali ha
scavato una sequenza di trafori. Con un bacino
complessivo di circa 50 km², l'Hanoea nasce
dalle cime del Towile Boi Boi in una zona
pianeggiante poco conosciuta intorno ai 1200 m
di quota. Dopo un corso di circa 30 chilometri,
sfocia nel mare di Seram, presso il villaggio di
Latuhelo, con una portata media stimata in base
alle pluviometrie di circa 2 m³ al secondo. Stima
confermata anche dalle osservazioni sul campo.
La valle che ha creato, stretta e isolata è
totalmente disabitata, ma utilizzata dagli abitanti
come zona per coltivare piccole piantagioni e 1
orti nella foresta primaria. In particolare, a
(Rutten 1920), a loro volta frutto di una
monte del primo traforo, la zona - molto integra
minuziosa campagna sul terreno. A causa della
dal punto di vista naturalistico - è usata come
fitta copertura forestale, il confronto con le
terreno di caccia, soprattutto ai cervi. Dal punto
attuali foto aeree e satellitari ha infatti permesso
di vista geologico la situazione del suo bacino
di riconoscere con certezza solo il primo dei
appare complessa e diversificata. In parte si
quattro o forse cinque trafori esistenti nella
sviluppa su terreni impermeabili, e in parte su
vallata. Proprio l'uscita del primo traforo era
zone calcaree appartenenti a differenti facies.
stata raggiunta nel corso della precedente
L'identificazione dei trafori è avvenuta in fase di
spedizione (Benassi 2015b) confermando cosi
studio grazie alle fonti geologiche storiche
l'affidabilità delle informazioni storiche. Questo
primo traforo si sviluppa in un grosso cono
isolato con una distanza tra il punto di ingresso
e quello di uscita di circa 1,3 km su un dislivello
di circa 200 metri. La differenza di quota ha
caratterizzato il traforo, che presenta all'uscita
un ramo attivo sifonante, mentre l'ingresso
percorribile si trova circa 60 metri più in alto
sulla sommità di una forra laterale,
probabilmente in passato parte della grotta.
Questo ramo, di dimensioni imponenti, con un
altezza in alcuni punti di oltre 70 metri e abitato
da una enorme colonia di chirotteri, ed è
percorso dal fiume solo in condizioni di piena.
La galleria prosegue quindi semi-fossile con
laghi e marmitte per oltre metà del traforo,
risalendo ulteriore dislivello sempre su strutture
molto vadose. Oltre un passaggio quasi
sifonante la grotta cambia forma e nella grande
galleria che segue si incontra il corso attivo del

2
 9
fiume Hanoea. Verso valle questo scompare in compatto. Con ogni probabilità si tratta del
un ringiovanimento non percorribile che medesimo blocco in cui si sviluppa il vicino
probabilmente corre sotto la galleria, mentre sistema carsico del Sapalewa. Proprio
risalendolo con progressione molto acquatica si l'orientamento est-ovest che assume la vallata
riesce ad uscire nell'inghiottitoio di monte, posto del fiume, con l'alveo totalmente compreso nel
al termine di un tratto di forra. La grotta terreno carsico, fa sì che la struttura del secondo
presenta quindi uno sviluppo totale di circa 2.1 traforo appaia più complessa. La sua parziale
km su un dislivello idrologico di circa 190 metri esplorazione, ha evidenziato come non si tratti
tra il punto di cattura e quello di risorgenza, di semplici trafori, ma di una serie di valli
mentre il dislivello ipogeo percorribile risulta interne e polje in parte secchi che si sviluppano
essere di circa 160 metri. Dal punto di vista lungo la vallata. Quelli che dai rilevamenti
morfologico è significativa la presenza geologici erano definiti come secondo, terzo e
all'esterno, lungo l'alveo a monte quarto traforo, tra loro molto ravvicinati,
dell'inghiottitoio, di numerose catture del fiume potrebbero quindi essere parte di un unico
lungo parete. Segno che il banco calcareo è in sistema. Un sistema dove l'alveo principale si
parte presente sotto l'alveo. Una di queste attiva solo in caso di forti piene, mentre la
catture, forse la più importante, si ritrova in circolazione idrologica avviene nel tratto
grotta e da origine ad un ramo laterale la cui ipogeo. A questo riguardo, l'osservazione della
esplorazione è terminata proprio sotto una portata all'interno di Balubloi sembra
imponente cascata, proveniente da un foro nel confermare una maggiore complessità carsica
soffitto, con una portata di circa un metro cubo con molteplici arrivi e ramificazioni. La grotta
al secondo. Alcuni degli abitanti del villaggio di si sviluppa attualmente per circa 1 km, ma la
Latuhelo erano a conoscenza del percorso sua esplorazione si è dovuta interrompere per
sotterraneo del fiume, ma era noto solo mancanza di tempo. Tutta la parte a monte fino
l'ingresso sifonante, per cui la posizione incerta alla sommità del Towile resta totalmente
dell'inghiottitoio a monte ci ha spinti ad inesplorata e potrebbe costituire un importante
esplorare il traforo in risalita. Una volta futuro obbiettivo esplorativo.
identificata una via per raggiungere in esterno il
corso superiore dell'Hanoea, è stato quindi
raggiunto e in parte esplorato il secondo traforo,
conosciuto con il nome di Balubloi. Il tratto di
valle compreso tra due trafori, lungo circa 8
chilometri, appare svilupparsi su terreni
principalmente impermeabili, e il fiume in
condizioni di stagione secca riceve
relativamente pochi affluenti. Il banco calcareo
ricompare circa un chilometro prima
dell'ingresso, mentre il flusso presso il portale è
stato stimato attorno agli 1,5 m3 al secondo.
Questo secondo banco calcareo dall'analisi delle
carte geologiche appare molto più vasto del
precedente: sebbene l'ampiezza nord-sud sia
limitata ad un paio di chilometri, la sua
estensione est-ovest dovrebbe aggirarsi intorno
ai venti chilometri. Sembra infatti emergere
proprio dalla cima del Towile e svilupparsi
lungo buona parte del corso superiore
dell'Hanoea, per poi proseguire verso ovest
tagliando trasversalmente almeno altre due
vallate. L'osservazione diretta ha inoltre
evidenziato che si tratta di un calcare differente
rispetto al primo traforo, molto più duro e 3
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Non capita tutti i giorni di poter giocare

in grotta con rapide e hydrospeed. La
temperatura dell’acqua e la portata
media nella stagione secca, mai
realmente pericolosa, rendono il corso
sotterraneo dell’Hanoea un posto
perfetto per una progressione tanto
inusuale quanto divertente.
 22

43

44

45
 23

46

47
 24

Il Kawa e i suoi
fratelli
Nonostante tre spedizioni, la maggior parte dei
trafori identificati negli anni '20 del secolo
scorso dal famoso geologo Luis Martin Robert
Rutten, restano ad oggi ancora inesplorati. Le
difficoltà di spostamento li rendono infatti
obbiettivi difficili, che necessitano ogni volta di
tempi lunghi per essere raggiunti. Difficili ma
sicuri: l'accuratezza dei rilevamenti geologici e
la conferma che abbiamo avuto anche
sull'Hanoea ci fanno pensare che tutti i
fenomeni identificati possano rivelarsi come
importanti sistemi carsici. In particolare il
traforo del fiume Kawa (Rutten 1920: Sachse
1922) ci è stato confermato dagli abitanti nel
corso della spedizione. Con una portata teorica
all'ingresso di oltre 2 m³ al secondo, il traforo
del Kawa, che inoltre si sviluppa sullo stesso
banco calcareo dell'alto Hanoea, appare
sicuramente un obbiettivo di estremo interesse.
Anche il traforo del fiume Mata, segnalato da 49
questi autori vicino alla costa, è confermato dal
ritrovamento di una vecchia foto degli anni '20
Ancora poco o nulla sappiamo invece circa la
che ritrae l'ingresso, è potrebbe anche rivestire
natura dei fenomeni presenti nella parte
importanza dal punto di vista storico-religioso.
orientale della provincia di West Seram, attorno
al massiccio chiamato Cecilia Range. Anche in
questa zona, le fonti storiche ci parlano di
almeno due fiumi che decidono di migrare nel
sottosuolo. La fitta copertura forestale maschera
purtroppo ogni ingresso, rendendo praticamente
inutile il confronto con le foto satellitari.
Nonostante questo, l'osservazione delle
morfologie fa pensare che il tratto sotterrano di
almeno uno di questi fiumi, il Way Menja o Jali,
possa avere un forte sviluppo verticale, in tutto
simile alla grotta di Hatu Saka. Tanto le carte
storiche che i DEM attuali evidenziano infatti
una grossa valle chiusa sospesa, con una quota
intorno ai 900 metri e una superficie di circa 6
km², al cui fondo Rutten e Sachse pongono il
punto di scomparsa del fiume. Al contrario, il
punto di uscita appare incerto, tanto nella
distanza quanto nella quota, trascinandoci verso
nuove fantasia esplorative4.

4
Cfr. Benassi(2015)

48
 25

Goa Hatu Saka

Goa Hatu Saka si presenta come un imponente
voragine a cielo aperto. Profonda 388 metri,
consiste in un inghiottitoio semiattivo di
morfologia prettamente vadosa, in cui si getta il
corso del fiume Sungai Niatolun. Sebbene il
corso d'acqua abbia un bacino limitato,
rappresentato da una valle sospesa di 4-5 km² di
estensione, il regime delle piogge ne garantisce
una portata media di quasi 200 l/s, che sale 51
rapidamente in caso di piogge intense. La grotta
è costituita da due verticali principali: il pozzo
d'ingresso, di 217 m, e il salone terminale (The
Ultimate Pitch), immensa campana di roccia
alta circa 180 m. Ci si può spostare dall'una
all'altra attraverso tre vie, due fossili e una semi-

52

attiva. Il fondo, ovvero la superficie basale

dell'Ultimate Pitch, non è altro che un vasto
riempimento detritico. Non ci è dato sapere cosa
di preciso occluda lo scorrimento della ciclopica
mole di fango ivi depositatasi, ma la
sorprendente planarità (dell'ordine di 2 m di
dislivello su 90 di lunghezza), l'assenza di
evidenti segni di piena sulle pareti (salvo nella
parte inferiore) e la presenza di una proliferante
fauna (per lo più anellidi e insetti loro
predatori), lasciano supporre che si tratti di un
passaggio sufficiente a drenare anche i flussi di
piena senza che l'ambiente ne venga sommerso,
tuttavia impenetrabile ad ogni ulteriore speranza
esplorativa. L'abisso, con le pareti ricoperte di
un verde brillante, è già impressionante a causa
della piccola nuvola che a certe ore ne inghiotte
la prospettiva stazionando a circa centro metri di
50
profondità, ma diventa realmente spaventoso
quando la luce solare riesce a illuminarne tutto
il primo pozzo. Conosciuto localmente da tempo
immemore, prende il nome dalla montagna su
cui sorge, Hatu Saka per l'appunto, oggi
all'interno del Manusela National Park, nella
regione centro-settentrionale dell'isola di Seram
a circa 910 m di quota. L'area fa parte del
territorio tradizionale degli abitanti del piccolo
 26
villaggio costiero di Saleman; per essi
costituisce ancora un luogo sacro, motivo per
cui le spedizioni succedutesi hanno finora
dovuto ingraziarsi il favore di divinità e antenati
attraverso cerimonie e offerte rituali gestite dal
re del villaggio. Il primo tentativo esplorativo
risale al 1970. L'anno precedente, tre abitanti di
Saleman assieme a due amici di Jakarta avevano
visitato il baratro e avevano dunque deciso di
calarvisi. I cinque, così muniti di scalette di
corda, riguadagnarono la lunga erta che separa
la grotta dal paese e si affacciarono nuovamente
sull'orlo di Goa Hatu Saka. Inorriditi alla vista,
mutarono però rapidamente idea, limitandosi a
una più sicura misurazione indiretta di
profondità. Con una certa arguzia, calarono un
sasso legandolo a segmenti di liane annodati tra
loro. I segmenti erano di pari lunghezza, per cui
poterono stimare una profondità di poco
superiore ai 220m, errore - visti gli strumenti -
tutto sommato minuscolo. La scoperta
occidentale della grotta avvenne durante la
spedizione SUSS (Sydney University
Speleological Society) - WCC (Wessex Caving
Club) nell'agosto del 1996. Accompagnati da
Thalip, figlio di uno degli ardimentosi di 26
anni prima, gli anglofoni raggiunsero l'ingresso
e ne scesero una manciata di metri a scopo
fotografico. Furono dunque gli stessi a
organizzare nell'aprile 1998 la 'Ekspedisi
International Menjelajah Goa', spedizione
internazionale di stampo anglosassone mirata
all'esplorazione di Goa Hatu Saka. In 13 giorni
di campo in foresta riuscirono nonostante
condizioni climatiche a dir poco avverse, a
esplorarla quasi del tutto, rendendola così - e lo
è tuttora - la maggiore profondità indonesiana
(Andrews 1999). Aprile non è infatti il periodo
di maggior secca, e tutta la discesa del primo
baratro venne accompagnata dal fiume che vi si
gettava dentro, creando una spaventosa cascata
di oltre 200 metri che danza all'interno del
 27
pozzo. Stimato in quell'occasione circa 0,5 m3/s,
il fiume occludeva completamente uno dei tre
possibili percorsi presentatisi in fronte agli
esploratori. Per questo motivo, e dato il notevole
potenziale (vi sono diverse plausibili risorgive
pressoché a livello del mare), l'esplorazione di
Hatu Saka non poté dirsi terminata. Passata la
lacerante guerra civile che sconvolse le
Molucche per circa dieci anni, una spedizione di
giavanesi si interessò nuovamente all'area e alla
grotta. Membri dell'Acintyacunyata
53
Speleological Club di Yogykarta tentarono nella
'Laporan Ekspedisi Seram 2011' di ripetere la
discesa, ma nonostante fosse estate vennero
sorpresi da una furibonda piena che li obbligò a
darsi alla fuga. Con la spedizione del 2016, di
cui scriviamo in questo report, si è molto
probabilmente conclusa l'esplorazione di Goa
Hatu Saka. Nonostante infatti le lucrative
benedizioni dei nobili di Saleman e le
beneaugurali bende rosse che cingevano i nostri
polsi, l'unica prosecuzione evidente - il ramo
semi attivo - si è ricongiunta alla grande sala
terminale. Non sono state rinvenute altre
possibilità esplorative. Il periodo favorevole
(primi di agosto) ha però permesso di trovare il
Sungai Niatolun in quello che è ipogea che produce la nuvola permanente.
presumibilmente il suo stato di massima secca.
La grotta era infatti asciutta, poiché la poca
54
acqua del ruscello si perdeva di colpo 400 m
prima del salto in Hatu Saka, ingurgitata da un
piccolo inghiottitoio assolutamente
impercorribile. Allo stato attuale è da
considerarsi questo il percorso attivo del Sungai
Niatolun, e non più il restante thalweg che
termina presso l'ingresso dell'abisso. Dall'analisi
della pianta, la direzione di drenaggio al fondo
dell'Ultimate Pitch sembra tornare sotto al corso
del thalweg, e quindi in direzione del punto di
assorbimento attivo, continuando a far sognare.
Lo sviluppo spaziale dopo le ultime esplorazioni
è di circa 1 km, mentre la profondità si è
confermata essere di 388 metri dal bordo più
basso della valle. Il pozzo presenta infatti un
circo di pareti che sale per altri 90 metri fino a
una zona di lapiez superiori. Una survey nella
parte alta della montagna, che sale verso nord
fino a una triplice cima a quota 1400, non ha
portato risultati esplorativi. L'area è di difficile
percorrenza e appare costituita da estesi campi
di lapiez e valli chiuse. In alcuni punti sono stati
inoltre individuate morfologie epicarsiche
estremamente significative: zone di lame alte e
affilate, in tutto simili agli aghi del monte
Kajende in Papua o a quelli presenti sul Gunung
Api presso Mulu. La grotta si presenta inoltre di
estremo interesse come habitat biologico. Ospita
infatti una grande colonia di chirotteri,
probabilmente Dobsonia Magna che
condividono l’enorme pozzo d’ingresso con
colonie di uccelli, mentre tutta la cavità
meriterebbe un approfondito studio della sua
abbondante fauna troblobia. Le stesse pareti
d’ingresso presentano grandi colate-candele di
roccia spugnosa, forse stromatoliti, da studiare
anche in relazione alla peculiare meteorologia
 28

56

59

57

55

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 29

3D representation of Goa Hatu Saka. The depth is considered from the lowest point of the valley before the fall in
the first pit. Below this point, on the other side of the pit, the limestone wall goes up for further 90 m. The final
chamber(indicated as “P180”) is also called “The Ultimate Pitch”.
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che si dividono parte della zona carsica in
Grotte e miti questione riconoscono in questa prospettiva
ancora oggi l’importanza del Sapalewa e la sua
carica sacrale. Tra gli autori storici, De Vries nel

a West Seram 1927, dedica una monografia proprio alle

comunità di questa zona, raccogliendo anche un
discreto corpus di miti tra cui diversi legati a
grotte e fenomeni carsici. Durante la spedizione
del 2012, navigando lungo la costa di Seram,
Nell'isola di Seram, fantasmi e spiriti popolano
approdammo nel villaggio di Kasieh, in vista di
montagne e foreste. Abitano tanto la notte
una zona di coni calcarea, chiamato sulle
quanto le grotte e amano mostrarsi sotto forma
antiche carte olandesi Il grande Dromedario.
di animali. Nelle foreste di Seram le forme sono
Vicino stava il piccolo pinnacolo dell'Hatoe
mutevoli e mai date una volta per tutte. Uomini,
Patola dove visitammo una manciata di piccole
animali, fiumi e grotte si scambiano sembianze
grotte portati da una banda di bambini urlanti,
e forme, mentre ricchezze e tesori nascosti
una manciata di piccole grotte ricolme che in
appaiono a chi percorre i giusti sentieri. Da
seguito scoprimmo essere sede di storie e miti
Martin, De Vries, Jensen, fino a Ellen, Valeri o
come già testimoniato dai testi raccolti proprio
Boulan Smit, sono molti i viaggiatori prima e gli
da De Vries quasi un secolo prima5.
etnografi poi che si sono imbattuti nel ricco
patrimonio mitologico di Seram. Un patrimonio
che assegna un posto di particolare riguardo ai
fenomeni carsici. In particolare nell’area di
West Seram, caratterizzata dal Sapalewa e dagli
altri grandi fiumi che migrano nel sottosuolo,
questi elementi del paesaggio diventano
riferimenti fondativi per definire territori,
appartenenze e origine dei differenti gruppi che
storicamente occupano l’area. Wemale e Alune

5
I testi presentati sono la traduzione dall’olandese degli
originali pubblicato da De Vries nel 1927.
 37
Il tesoro dell'Hatoa Patole
Un tempo una giovane coppia di sposi viveva
in un villaggio, lungo la costa settentrionale
dell'isola di Seram. Un giorno di buon mattino
entrambe uscirono per raccogliere tuberi e
banane mature. Mentre percorrevano un sentiero
si divisero: il marito andò a controllare delle
trappole nella foresta, mentre la moglie continuò
raccogliere tuberi. Verso mezzogiorno
nonostante splendesse il sole, cominciò a
piovere; di li a breve il marito tornò e
disse: "Vieni, andiamo subito a casa perchè ho
paura che potrebbe piovere molto e questa
pioggia ci potrebbe portare sfortuna." L'uomo
sembrava strano, camminava rapidamente e a
tratti parlava da solo: "Qui ho camminato ieri
perchè si vedono ancora le tracce fresche e
dove ho spezzato alcuni rami..." La donna era
sorpresa perché l'uomo aveva preso uno strano
sentiero, e ora aveva notato con sorpresa che
erano finiti su una pista di cinghiali selvatici.
Sul terreno fangoso si vedevano molte impronte
ed i cespugli su entrambe i lati erano stati
strappati dalle zanne degli animali. Il suo cuore
comincio a battere più rapidamente, fu presa da
paura e comincio a pensare: "Questo non è mio
marito! Forse è un fantasma! Che devo fare,
cosa devo fare?" Un poco più avanti, passarono
accanto ad una pozza fangosa: "Qui è dove
faccio normalmente il bagno!" disse l'uomo.
Finalmente arrivarono davanti ad una grande
roccia, l'Hatoe Patola e l'uomo entro in una
grotta attraverso un foro nella roccia; anche lei
lo segui strisciando nella grotta. Allora si rese
conto che l'uomo non era veramente suo marito
ma un cinghiale selvatico che ne aveva preso le
sembianze. Cercando di frenare il suo pianto e
tremore lo prego di lasciarla andare, al che il
cinghiale rispose: "Non avere paura donna, io
non ti faro del male. Io sono già vecchio e sento
che la mia fine è vicina, voglio farti erede di
tutti i miei beni che nascondo in questa grotta.
Tutti questi piatti, tazze, ciotole, gong e gioielli
saranno tuoi. Ma prima tu dovrai restare con
me fino alla mia morte". La donna si rassegno
quindi al suo destino e pensando a tutta quella
ricchezza rimase due settimane con il cinghiale:
si prese cura del suo cibo e della sua tana. Ogni
volta che usciva lui le diceva: "Guarda bene il
sole attraverso questo buco, quando questo e
all'altezza di quel ramo d'albero laggiù, vuol
dire che presto sarò qui di nuovo. Se il sole è
basso e io non sono ancora a casa, allora
probabilmente io sarò morto. In questo caso
prendi tutti i miei beni e torna indietro su questa
strada fino alla tua casa." Un giorno il
cinghiale senti che le sue ultime ore erano
vicine. Mostrò allora alla donna ancora una
volta i suoi oggetti preziosi, le mostrò
esattamente come seguire la via del ritorno e si
allontanò. Non aveva lasciato la tana da molto
quando incontrò il vero marito della donna che
era nella foresta a caccia. Cerco di fuggire, ma
era vecchio e ben presto i cani lo accerchiarono
e lo misero in trappola, cosi che l'uomo riuscì a
colpirlo a morte con la sua lancia. Tuttavia
riuscì a trovare un luogo dove nascondersi
facendo perdere le sue tracce al cacciatore e li
aspettò la morte. La donna, che aspettava nella
grotta, si rese conto che il sole stava calando ed
il cinghiale non era ancora arrivato. Il sole scese
sotto i rami degli alberi e allora lei capì che il
cinghiale aveva trovato la morte. Allora riempì
un bamboo di piatti preziosi, si ornò con
numerosi gioielli di rame e argento e si avviò
lungo il sentiero. Prima di notte arrivò al suo
villaggio. Gli anelli tintinnavano alle caviglie ad
ogni suo passo. Il padre senti il rumore e disse
alla moglie: "Chi è che viene? Sembrano i passi
di nostra figlia, ma non è possibile perchè lei è
morta. Può essere uno spirito malvagio?"
Quando la donna raggiunse la porta della sua
casa, chiamò il padre per nome, ma questo
spaventato rispose con rabbia: "Chi è cosi
La grotta dell'Hatoe Patola vicino al villaggio di
Kasieh_Seram_Wele Telu Batai_Indonesia_1920
circa
 38
malvagio da imitare la voce di mia figlia
morta?" Poi chiamò la madre, questa non
poteva credere che fosse la voce di sua figlia e
anche lei ebbe paura che si trattasse di uno
spirito ed esclamò: "Perchè giocare con il
dolore di una madre e imitare la voce di mia
figlia morta?" Poi il marito disse: "La luce, in
fretta" grido "Devo vedere!" e quando vide che
si trattava della figlia scoppio a piangere e
ridere. Tutti si abbracciarono e gioirono. Grazie
a tutte le cose preziose, un tempo nuovo e senza
preoccupazioni era iniziato per tutti. Il giorno
dopo tornarono tutti alla grotta di Hatoe
Patola a raccogliere altri oggetti e porcellane
preziose che donarono a tutti i membri della
loro famiglia.
Come sono nati i fiumi
Sapalewa e Makina,
progenitori di tutti i fiumi di
Seram
Una volta sull'isola di Seram c'era una grande
montagna, l'intera isola era costituita da un
altopiano. Al centro di questo, in un posto più o
meno dove oggi si trovano le sorgenti del
Makina e del Sakalewa, viveva una coppia,
marito e moglie. Li ad una certa distanza dal
villaggio, avevano costruito il loro Pondok, la
loro capanna. L'uomo si chiamava Loemakina e
la moglie Sakalewa. Un giorno si misero a
catturare pidocchi nella loro capanna. Una volta
catturati li raccolsero su un pezzo di corteccia,
dove questi si trasformarono in grandi larve del
legno. Portarono queste larve al villaggio, dove
vennero da tutti mangiate con gusto. Gli abitanti
del villaggio avevano più volte chiesto ai due
come riuscissero a vivere. Non erano mai stati
visti portare frutti dai campi; la donna non era
mai stata vista battere il sagu e l'uomo non era
mai andato a caccia. Per questo motivo alcuni
uomini del villaggio decisero di spiare la
coppia. Un giorno Makina e Sapalewa erano
impegnati come al solito a raccogliere e nutrire
le larve nella corteccia. Queste erano cresciute
enormemente e Sakalewa suggerì al marito che
erano ormai abbastanza per la cena, quando
all'improvviso i due furono sorpresi dal
crepitare di un ramo e videro diversi uomini
scappare. Il loro segreto era stato scoperto; per
la vergogna la coppia non osava tornare al
villaggio e decise di fuggire: "Andiamocene
lontano" disse Loemakina. "Tu andrai verso
ovest e io verso est, ci ritroveremo sulla costa."
Detto questo l'uomo ruppe con una pietra il nido
dei pidocchi che era sulla testa della donna e
all'improvviso l'acqua usci spruzzando da tutte
le parti. Più passava il tempo e sempre più
acqua sgorgava dalla testa della donna. Gli
spruzzi si trasformarono in un flusso che
sgorgava dalla testa di Sakalewa, che trascino
l'uomo, e li trasportò entrambi lungo il corso dei
fiumi Sakalewa e Makina come attualmente
esistono. I primi fiumi che comparvero a Seram.
LoeMakina percorse la sua strada verso est,
mentre Sakalewa si scavava la sua attraverso il
 39
terreno. Spinsero e presero a calci tutto ciò che oggi ci sarà il Banjir! L'inondazione!" Ma il
incontrarono lungo la loro strada, scagliarono padre che non tollerava ritardi, rispose turbato:
via lontano enormi pezzi di roccia e terra che "Che, Banjir! L'acqua è grande come la pozza
ricaddero qua e la. Così nacque la montagna di un bambino piccolo, non ci sarà
selvaggia e feroce. Loemakina dopo un giorno inondazione!" Così l'uomo ha proceduto
era già sulla costa, ma dovette aspettare sua nell'acqua seguito dal figlio. Ma Loemakina
moglie per due giorni. Questa rimase infatti sentendo l'insulto che gli era stato fatto, si
all'inizio per due giorni in una fossa chiamata arrabbio cosi tanto da uscire dal suo corso,
Tikosoene Tiboe per le purificarsi e lavarsi. Poi sbattendo la testa contro una roccia, e
fuggì oltre, ma andò a sbattere sul monte trascinandoli entrambe in un vortice. Al giorno
Hatoesori, un gigantesco frammento di roccia, d'oggi quando si passa sul Sakalewa non si osa
così grande che non poteva più andare avanti. pronunciare il nome del Makina e viceversa.
Arrabbiata per questo ritardo, si gonfiò sempre Anche se tra le fonti di questi due fiumi esiste
di più, finchè il villaggio di Boeria, che era li un crinale, la maggior parte degli uomini di
vicino, fu in grande pericolo, rischiando di Ahiolo è dell'opinione che questi hanno una
essere trascinato e inghiottito dall'infuriare delle comune origine. La Makina e Sakalewa sono
acque. Ogni volta che si sentiva un boato, si cosi considerati come l'antenato e l'antenata
potevano udire le parole di Sakalewa: degli altri fiumi di Seram occidentale e in
"Hahate sa mai! Hahatatata'', che nella sua particolare, la Mala e il Tala sono i loro figli e
lingua significa: "Presto datemi!" Mentre le Hoewè è chiamato la loro figlia.
parole rimbombano come il suono di uno
scalpello nella roccia. Gli abitanti del villaggio
non capirono cosa volesse e gettarono tremanti
di paura un cane nella corrente infuriata, ma un
attimo dopo l'animale fu scagliato indietro da un
vortice. Allora provarono ad offrire tutti i tipi di
cibo salato, ma anche questi ribollivano e
venivano scagliati indietro. Infine spinsero una
vecchia giù nell'acqua e questa tornò poco dopo
con il messaggio che Sakalewa voleva un
parang, uno scalpello per potersi mangiare la
sua strada attraverso la roccia. Si precipitarono
allora lì per raccogliere e lanciare in acqua lo
scalpello e non molto tempo dopo sentirono un
rumore tonante. Ecco, che l'acqua che era già ai
loro piedi e aveva raggiunto i pavimenti delle
case, cominciò a scemare. Una volta scomparsa
sottoterra nella parete di pietra, Sakalewa
continuò il suo viaggio, ma qualche tempo dopo
si dovette fermare nuovamente per rompere un
percorso attraverso la roccia "Batoe tajane", la
roccia al centro, infine, attraverso Batoetausiwa
la roccia dei Siwa. Quando tornò ad emergere in
superficie, ruotò lo scalpello verso il Kampong
e si precipitò a riva. Il terzo giorno del suo
viaggio si uni in mare con il marito Loemakina.
Passarono la notte in un luogo oggi chiamato
Lewenoewela. Questo nome ha origine nel
modo seguente: In questo luogo in passato c'era
un padre e suo figlio, che tornavano a casa al
loro Dusun, il loro villaggio "Padre," disse il
figlio "Verrò domani su questa spiaggia perché
 40
DIARIO
Katia Zampatti
5 Agosto
Conosco finalmente Pacu, che ci raggiunge a
Botticino. L’atmosfera è frizzante nella frenesia
di levare altre cose inutili dagli zaini per
guadagnare peso, nonostante il nostro
abbigliamento sia già rosicato all’osso, il
dormiben tagliato a metà e l’attrezzatura
alleggerita il più possibile. Lanciati gli zainoni
in macchina, riusciamo ad arrivare puntuali. Son
molto rilassata: una parte sarà la presenza di
Thomas, e il resto la fortuna di essermi da
subito trovata con Andrea e Iacu (cioè Pacu, al
quale ho già cambiato nome). Se anche coi
prossimi due sarà così, mi conosco, questo
viaggio sarà una figata. L'imbarco bagagli è
laborioso: alcune batterie possono viaggiare in
stiva e altre no. Disfacciamo e ricomponiamo
zaini davanti ai banchi del check-in. Ok,
imbarcati pure io e Thomas; Andrea e Iacu sono
su un altro volo. Ma... azz!, le batterie del
trapano, quelle che non possono entrare in stiva,
furono caricate a mia insaputa nel mio zaino.
Ops... forse non verrà imbarcato. Scendiamo a
Doha, in Qatar. L'aria è rovente e il colore della
sabbia prevarica ogni cosa. L’aeroporto è
modernissimo, al suo interno aria condizionata
gelida. La maggior parte delle donne portano il
burka accompagnate da uomini all’apparenza
anziani e da un corteo di bimbetti al seguito. Ci
imbarchiamo di nuovo. A seguire arriveranno
anche gli altri.
6 Agosto
Comincio a prendere coscienza della distanza
che stiamo percorrendo quando sui monitor
dell’aereo tutte le scritte appaiono in arabo. Il
tragitto, che risulterà piuttosto lungo, è Milano –
Doha – Jakarta – Ambon in aereo; seguiranno
un traghetto verso Masohi e la carrabile fino a
Saleman. Da lì, a piedi fino ad Hatu Saka.
Impiegheremo diversi giorni. Passiamo la notte
in aeroporto su panche e poltrone tutto sommato
comode.
7 Agosto
Veniamo svegliati all'alba dalla ciurma
finalmente riunita: Andrea, Pacu, Marc e Paolo
più noi due. Altro check-in e via verso Ambon.
Dall’aereo si vedono atolli incontaminati dalle
acque cristalline. Ambon è esattamente come
potevo aspettarmela, un brulicare di motorini e
piccoli bus che si accalcano congestionando la
città. Arrivati in stanza, quattro scarafaggi mi
danno il benvenuto. Già non amavo quelli
italiani, e questi sono almeno il doppio, ma visto
il “gruppo vacanze” al quale sono accozzata, mi
rassegno... siamo solo all’inizio. Le strade son
gremite di gente. Andrea ci mette in guardia sul
pericolo principale di Ambon: i tombini non
chiusi in mezzo ai marciapiedi. Mai, dunque,
guardarsi troppo intorno senza avere la certezza
di dove si mettono i piedi: sarà utile come
allenamento per quando ci addentreremo nella
foresta.
Gli stessi marciapiedi sono la prima fonte di
approvvigionamento: un tavolo accanto all’altro
ricoperti di cibarie fritte di ogni genere; piatti e
bicchieri vengono lavati sui marciapiedi stessi
all’interno di secchi, e l’acqua lanciata poco più
avanti, raccolta da scoli e fogne a cielo aperto.
Fogne che alla sera, in mezzo alla fiumana di
persone, si popolano di blatte. Ma vista
l'abbondanza cominciano a non farmi troppo
effetto.
Torniamo in hotel, dove abbiamo tre stanze.
Come prima cosa ognuno cerca di sfrattare le
blatte che ha in camera. E' più la voglia di
mettere lo scheletro in orizzontale che il sonno
in sè, ed io e Thomas ci mettiamo ad analizzare
la realtà trovata la fuori, quelli che a noi
appaiono dei controsensi. Mi stupisce una
popolazione che vive per lo più in baracche ma
col televisore al plasma ed enormi smartphone,
dove la connessione è più rapida che in da noi; e
scoprire quanto veloci possano essere alcuni
cambiamenti in queste terre in via di sviluppo,
pronti a soppiantare gli usi delle origini ormai
contaminati da un consumismo irriverente.
Dalla porta sento Andrea e Pacu che
squittiscono per mettermi paura e tra un bla bla
e l’altro confessiandoci la felicità d’esser partiti
insieme per questa avventura, ci
addormentiamo.
 41
8 Agosto
Appena svegli, ci adoperiamo a sbrigare l’iter
burocratico dei permessi per l’isola di Seram.
Pare che le Molucche siano in verità una
roccaforte della carta inutile per tutta
l’Indonesia. Una burocrazia snervante, peggiore
di della nostra. Trascorriamo metà della giornata
al comando di polizia; i funzionari comunque
sono gentili.
Documenti fatti, cambiamo il denaro e via di
corsa su di un mini bus con guida a destra e
radio altissima, circondati da una moltitudine di
motorini che sfrecciano ovunque in un continuo
ronzio di clacson. Bambinetti in divisa, casette
da fiaba e baracche fatiscenti, palme altissime,
mucche con musi da cerbiatto, bancarelle di
frutta, frittura e benzina.
Seduta sul gradino con le porte aperte, mi
sembra di assaporare maggiormente le novità
che mi circondano, colgo di continuo i sorrisi
della gente divertita alla visita di occidentali.
Al porto attendiamo consultando mappe e
assaporando kopì (caffè) e banane fritte.
Si salpa, la traversata sarà di circa due ore.
Dall’acqua ammiriamo la costa con il profilo
fitto e scuro delle foreste, interrotto da altissime
palme che mi fanno sentire in Good Morning,
Vietnam.
L’accoglienza a Masohi è surreale. Se già prima
erano stupiti d’incontrare lineamenti poco
comuni, sin qui pochi … questo reca eccitazione
tra la gente che si accalca per vederci e salutarci,
i “taxisti” che sgomitano per poterci
accompagnare.
Destinazione Hotel Irene. Mi ricorda i motel
americani, ma con palme, banani e alberi del
pane in giardino. Le camere son graziose, pulite,
con il bagno interno. La stranezza consiste in
una vascona quadrata piena d’acqua, accanto al
wc, con un recipiente in plastica, tipo un
pentolino da tè, col quale si recupera l’acqua per
lo sciacquone o per farsi la doccia.
9 Agosto
Anche Masohi mostra ai miei occhi le sue
contraddizioni. La militarizzazione è tra le
prime cose che balzano alla vista, in una
moltitudine di caserme e accademie lungo il
viale principale. C'è un mercato intricatissimo e
confuso con un numero incredibile di banchi
monotematici: solo magliette, solo scarpe,
adesivi, occhiali, ecc... Infine casette graziose
con mucche e pollame in giardino,
rigorosamente al guinzaglio, alternate a
baracche e sporcizia un po’ ovunque.
La città è però divisa serenamente tra la zona
musulmana e quella cristiana. Camminando non
percepiamo alcun dissapore. Anche nelle attività
convivono e collaborano pacificamente; le
differenze stanno nei prodotti sui banchi
(soprattutto cibi e alcolici) e nelle zone di culto,
in entrambi i casi però ampie e sfarzose.
La giornata scorre lenta; anche qui la burocrazia
è un diavolo ben radicato. Nonostante le
raccomandazioni di Mr. Yunus, direttore dei
parchi di tutta l’Indonesia, non veniamo
risparmiati dal mostrare permessi e e-mail,
sottoporci a una pseudo-visita medica, passare
dalla polizia che per fortuna ci tratta bene non
chiedendoci altri soldi, e infine tenere una sorta
di presentazione con annesse fotografie e
chiacchierate con le guardie responsabili del
parco.
Fatta la ricca spesa per restare in foresta una
settimana (compresi i machete, qui chiamati
parang), prepariamo con cura zaini e materiale,
lasciando in albergo un saccone d’abbandono
coi materiali inutili a questa prima esplorazione.
Paolo e Pacu limano i parang, chiaccherando
con gli altri di armo agile su corde veloci, con
poco spreco di corda sugli attacchi… Negli
uffici del parco erano appese fotografie
dell’ingresso: enorme, suggestivo e
impressionante nei suoi -200 metri iniziali. Ma
visto che le mie chiappette non varcano
l’ingresso degli “inferi” da un paio d'anni, la
cosa mi crea una certa agitazione e tra un
pensiero e una spalmata di antizanzara opto per
la buonanotte.
10 Agosto:
Partiamo da Masohi con due auto. All’oggi il
prezzo dei trasporti è stato tutt’altro che
economico e sembra non ci siano margini di
trattabilità. Con noi c’è pure Ato, funzionario
del parco che già lo scorso anno fece la
conoscenza di Andrea e Pacu.
 42
Il pilota guida sportivo, troppo sportivo, in un
tale nauseante susseguirsi di curve e buchi che
alla fine Pacu è costretto a fermare la corovana
per scendere a vomitare.
Arriviamo allo splendido paese di Saleman. Qui
l’isola di Seram ci si presenta in tutto il suo
splendore, colori e odori prendono il
sopravvento sui nostri sensi.
Saleman è un piccolo paese sulle rive del Mare
di Seram. E' percorso da una unica via in sabbia
battuta ai cui lati sorgono una o due file di case,
e dietro, verso l’interno, sta un campo da mezzo
ettaro dove sta svolgendosi una festa paesana
con alcuni ragazzi che giocano a palla. Alle
nostre spalle si erge invece una rumorosa
moschea dai tratti prepotenti, con una brillante
cupola argentata, per nulla armoniosa con il
paesino di pescatori che la ospita. La mia
attenzione è poi catturata dai teli in foglie di
banano intrecciate stesi sulla strada, sopra ai
quali stanno a essiccare i chiodi di garofano.
Siamo nell'Isola delle Spezie, da cui un tempo
venivano esportati in tutto il pianeta attraverso
l'India e poi l'Asia centrale.
Mentre noi curiosiamo, Andrea è nella casa del
Re del villaggio. Qui la burocrazia cartacea non
ci avrà, ma ora sono gli spiriti della grotta e gli
anziani del villaggio a doverci dare la
benedizione per raggiungere la montagna e
calarci al suo interno. Lo aspettiamo sdraiati su
un enorme panca in legno con tettoia, al centro
del paese. Lungo il tragitto in auto ne ho viste
parecchie; vengono utilizzate più come riparo
dall’acqua (qui, quando piove, piove) che dal
sole. La gente usa le abitazioni in prevalenza
come ricovero notturno, il resto della giornata
viene vissuto per le strade.
Al sole si cuoce, ma qui sotto spira un piacevole
venticello. C’è chi si appisola, chi legge, chi
scrive; tutti inebriati dal profumo di garofano
che riempie l’aria, sebbene dalla moschea
provenga a volume altissimo una nenia stridula.
Attorno a noi bambinetti scorrazzano su tricicli,
pollame e caprette minuscole riempiono le
strade.
Chiudo gli occhi, sento un rigozzare e poi
Andrea che esclama: - Magni plastica e me
vomiti nelle ciabatte?! -, rivolgendosi a una
minuscola capretta che sta proprio sotto la
nostra panca.
Stabiliti gli orari per la cerimonia del giorno
seguente, ci rechiamo alla spiaggia in una baia a
est del villaggio. E che spiaggia! Ecco
l’Indonesia delle immagini pubblicitarie:
sembra di nuotare nello schermo al plasma
gigante di un centro commerciale, una
incontaminata barriera corallina ricca di
esemplari varipinti e stelle marine blu enormi.
L’unico peccato è che l’acqua sia seriamente
troppo calda.
Sulla spiaggia ci sono invece simpatici paguretti
che Thomas, in una improvvisa vocazione
d’agente immobiliare, cerca di far impazzire
spostandoli da un guscio all'altro.
Dalle parete che sovrasta il paese, nella Grotta
dei Pipistrelli, esce al tramonto una nube
interminabile di chirotteri: per la gente del
villaggio sono le anime degli antenati che ogni
sera escono verso il mare per non fare più
ritorno. Spettacolo effettivamente molto
suggestivo.
E’ festa al paese, alla sera c’è un torneo. Tutte le
donne, di qualsiasi età, giocano a pallavolo e gli
uomini a calcio. Hanno volti simpatici e sempre
sorridenti, caratterizzati da una mescolanza nei
lineamenti tra negroidi e asiatici. Dicono di noi
che siamo molto belli perché abbiamo i nasi
piccoli come le star di Hollywood.
Ci rifociliamo nell'unico "ristorante" che c'è in
paese godendo del torneo.
Veniamo ospitati per la notte nella casa del
cugino del Re. La stanza principale è ampia,
senza alcun mobile, con della carta da parati per
pavimento. E' sicuramente tra le abitazioni più
lussuose. Accanto alla camera, una stanza più
piccola dove tutti insieme dormono sul
pavimento, e in fondo un altro stanzone con un
fornello e delle assi che fanno da appoggio ai
pochi suppellettili da cucina. Infine un bagnetto
costruito con quattro assi, una candela, un buco
a perdere, secchio e pentolino per l’acqua senza
carta igenica, che del resto si trova solo in
alcuni alberghi nelle città più grandi. Ceniamo
seduti a terra con tutta la famiglia. Riso, noodles
e brodino. Il dialogo, oltre ai gesti e a grandi
sorrisi, è aiutato da una ragazzina del villaggio
che parla inglese.
 43
11 Agosto
La sveglia viene imposta alle 05:00, in un
orecchio le urla dal megafono della moschea e
nell’altro Thomas che bestemmia per il fastidio,
il tutto condito da galli e caprette che
scorrazzano appena fuori dalla casa
rigorosamente senza finestre. Anche se siamo
nella stagione invernale fa già parecchio caldo.
Ci viene servita la coazione: kopì e strufolotto.
Il kopì, letterale traduzione di 'caffè', è una
brodaglia più simile al caffè americano, fatta
con buste monodose alle quali, se non si
interviene tempestivamente, vengono aggiunte
montagne di zucchero.
Gli strufolotti, nome coniato negli anni
precedenti da Andrea e Pacu, consistono in ogni
alimento poco identificabile però numerabile;
spesso compatti, dolci o salati, fritti o arrotolati
in foglie di banano. In questo caso sembrerebbe
pane con marmellata di ananas.
Infine vi sono i cazzifrazzi, più o meno tutto il
resto dei cibi. Zuppette piccanti, noodles, riso di
accompagnamento (in indonesiano nasi);
strufolotti, sughi e cazzifrazzi costituiranno il
menù cittadino di tutto il viaggio.
Torniamo alla nostra mattinata. Carichiamo il
camion che ci hanno messo a disposizione
pagando 700.000 rupie e ci rechiamo
nell’abitazione dove verrà eseguita la cerimonia
propiziatoria, indispensabile a una discesa
sicura.
I “sacerdoti” ci aspettano seduti a gambe
incrociate sul pavimento, con dei telini rossi
legati in testa e alla vita. Nel centro un grande
vassoio e al suo interno noci amarissime, forse
di cola, e della calce per accompagnarne la
masticazione.
Segnano i nostri nomi in un libretto, dicono frasi
a noi incomprensibili, mordono la noce passata
nella calce e fanno compiere il gesto pure a noi,
facendoci segno di non deglutire (la sensazione
è fastidiosa, come mangiare un seme
amarissimo). Dopodiché ci legano un nastrino
rosso al polso destro, Andrea deposita 1.300.000
rupie avvolte in un telo sotto al vassoio, e in fila
indiana, al suono di un enorme conchiglia,
saliamo spediti sul nostro camion. Sputeremo
l'intruglio rossastro dalla bocca un po' alla volta,
tra gli sganassoni dell'autocarro.
Lungo la strada, approfittando di un ristorante,
depositiamo un sacco da 12 kg di vestiti e
materiale inutile. Mangiamo un superbo nasi
goreng, cioè riso fritto ben piccante, servito con
due rondelle di cetriolo da addentare quando il
palato comincia a friggere, il tutto coperto con
un uovo al tegamino. In breve, grazie al
piccante e al clima, ci trasformiamo tutti in
fontanelle.
Viaggiamo poi per un’oretta. La strada è ceduta
in più punti, e questo rende la nostra
permanenza nel cassone parecchio sobbalzante,
tuttavia nessun passaggio fu più gradito, perché
ci risparmia un bel po’ di cammino e il vento
sulla faccia fa scordare l’aria tropicale che già di
prima mattina attanagliava Saleman.
La tenuta da foresta inoltre non semplifica le
cose: camicia e pantaloni rigorosamente lunghi
e ben sigillati, scarponi leggeri ma comunque
troppo pesanti, cappelli, bandane e pesanti
fardelli.
Addentratici ormai nel cuore del parco, veniamo
accompagnati da numerose farfalle di
dimensioni imbarazzanti (come le mie mani
accostate) e dai colori sgargianti, tra cui prevale
un intenso blu cobalto. Riusciamo a scorgere
qualche uccello, anch’esso coloratissimo, ma
pochi. Nonostante infatti il parco vanti 118
esemplari, di cui 15 endemici, la chioma della
foresta che ci sovrasta raggiunge i 30 m ed è
quindi praticamente impossibile vederli, poiché
prevalentemente se ne stanno lassù in alto.
Arriviamo all’imbocco del sentiero. Con noi ci
sono: Ato, il guardiaparco che ad ogni costo
hanno voluto ci accompagnasse; due portatori
che ci aiutano nel trasporto del cibo; le
rispettive figlie, tra cui la bellissima ragazzina
che nei precedenti giorni ci ha fatto da
interprete. Come in ogni documentario che si
rispetti, mentre noi indossiamo scarponi e
abbigliamento tecnico - per quanto malconcio -
e trasciniamo 25kg di zaino sulle spalle, loro
zampettano in infradito, pantaloncini di cotone e
borsettine a tracolla.
Nonostante il caldo e l’umidita iniziale,
riusciamo ad acclimatarci e in meno di due ore
siamo davanti all’ingresso di Hatu Saka.
Salutiamo subito l’enorme voragine, che
torneremo a scendere nelle prossime ore.
Congedata poi la combriccola di
 44
accompagnatori, montiamo il campo in un'isola
in mezzo al greto del fiume in secca a valle nel
punto in cui l’acqua scompare lasciando solo
sassi scivolosi. La vegetazione è fitta.
Liberiamo l'indispensabile per posizionare il
telo e le tende, sotto le quali stendiamo uno
strato di canne e fogliame per difenderci da un
sottobosco da cui nulla è destinato a tornare
asciutto.
Pronti, via, il primo pozzo è davvero
spaventevole, ampio e illuminato dalla luce del
sole equatoriale quasi fino al fondo di -217 m.
Marc arma per primo, su roccia molto viscida e
a tratti coperta da vegetazione; gli dà il cambio
Thomas e arrivano al terrazzo di -150 circa, fin
lì all'asciutto. Segue Pacu, ma si è fatto tardi e
tornano fuori.
All’ingresso ad aspettarli siamo Andrea, Paolo,
Ato ed io, previdentemente riforniti di barrette e
acqua. Il pozzo è caldo, abitato da pipistrelli
grandi come tacchini che emettono grida
acutissime e fanno rimbombare nella voragine il
loro possente battito d’ali.
12 Agosto
Partono Andrea, Paolo e Pacu, e infine io,
accompagnata all’ingresso da Marc e Thomas
che non entreranno. La grotta è bellissima, e
dopo più di due anni di inattività entrare in un
posto del genere è davvero emozionante. Il
pozzo è enorme e la luce, filtrando, dona alla
vegetazione dai colori sgargianti un aspetto
suggestivo e fiabesco.
Riprendiamo con l’attrezzamento e senza
scossoni giungiamo alla base, dove troviamo un
attivo che i precedenti esploratori australiani
non avevano potuto affrontare. Mentre Andrea
perlustra l'ambiente circostante, assai ampio,
proseguiamo sul filo della nuova via. Laghetto,
salto, saletta e davanti a noi si fa un nuovo
baratro. Siamo Paolo, Pacu ed io. Lanciamo un
sasso, sotto di noi il ruggito di un leone.
Sicuramente è qualcosa di grosso, molto grosso,
talmente grosso che ci fa pensare d’esser
confluiti nella sala finale. Armano fino a
esaurimento corda, ma non basta per arrivare
alla base: l'operazione è rimandata a domani.
Usciamo al tramonto, che qui significa intorno
alle 18:00, accompagnati dagli enormi pipistrelli
della frutta che riemergono insieme a noi. Nel
frattempo, al campo, gli altri due hanno
costruito una panca in tronchetti leggeri.
Thomas ha inoltre creato uno splendido
sentierino simile a traversine ferroviarie che
conduce alla nostra tenda, un po’ lontana dalle
altre e dal telo cambusa, per evitare che il
percorso si trasformi in un pantano. Integriamo
anche gli scoli delle tende scavando qualche
canale aggiuntivo. Sembra infatti sistematico
che la mattina vi sia bel tempo ma nel
pomeriggio si inneschi per qualche ora un
rovescio consistente. Questo fa sì che niente si
asciughi, tenda compresa; ma per il resto il
campo non è per nulla male, e pare cha avremo
viveri in abbondanza.
13 Agosto
Dopo aver posizionato tutto quello che abbiamo
(sacchi a pelo, vestiti, libri, ecc...) nel centro
della tenda per far sì che i lati asciughino, siamo
pronti.
Entriamo Marc, Paolo, Thomas ed io con il
materiale rimasto: 50 + 50 m di corda e una
dozzina di attacchi. Sappiamo che non
serviranno, ma meglio non pentirsene.
Scendiamo producendo il materiale fotografico,
mentre Thomas continua ad armare da dove
aveva finito la corda Paolo. Sceglie
accuratamente il punto, così da usare un solo
fix, giunta una corda a metà tiro e arriviamo sul
fondo della sala.
La sala è quella del rilievo. Una enorme
campana di pietra, che gli australiani avevano
sceso dalla cima, dove tutto fa eco.
Il fondo, nella parte più alta, è composto da
terriccio misto a sassi, e ci dice senza pietà che
ci troviamo su di un sifone impenetrabile; nella
parte più bassa (parliamo di pochi cm) è fango
grondante di vermi e insetti che si rintanano alla
vista delle nostre luci nel fondo melmoso. Ai
lati si nota anche il segno delle piene: una linea
di fango sulla parete.
Scattiamo alcune fotografie con pose da 30
secondi. Marc alla macchina, mentre Thomas
pennella le pareti con un faretto e gli altri
reggono i flash. E’ un salone enorme, e
nonostante le difficoltà Marc sembra soddisfatto
del risultato, anche se solo uno schermo più
grande darà realmente il verdetto finale.
 45
Setacciamo il salone, ma nulla. Thomas si infila
in una strettoia gocciolante, trova un pozzetto di
pochi metri in una frana, ma è alla stessa quota
della sala e non può che tapparsi.
Un poco amareggiati usciamo, tra l'altro senza
aver rinvenuto alcuna traccia di australiani né
indonesiani. Io e Marc cominciamo a risalire
con attrezzatura fotografica e usciamo col
materiale del ramo nuovo, recuperato da Paolo;
poi Thomas disarma il 217 uscendo a torso nudo
grondante per il caldo. Uscire da tiri di corda
così lunghi è sempre una piacevole sensazione,
e con gli altri fuori che fan caciara prendendoti
in giro è ancora meglio!
Andrea e Pacu, mentre noi eravamo giù, sono
saliti accompagnati dal fido e silenzioso Ato
sulla vetta del monte Hatu Saka, e poi venuti
all’ingresso ad aspettarci.
Torniamo tutti al campo per un’abbondante
cena. Non c’è più motivo di stare qui altri giorni
e dunque è saccheggio alla cambusa: tutto quel
che divoriamo sarà peso in meno da portare via.
14 Agosto
Tutta una rincorsa sistemiamo il campo,
lasciando appeso a un albero, in un vasetto di
marmellata, un biglietto a testimonianza del
nostro passaggio.
Ripercorriamo il sentiero e arriviamo sulla
strada.
Sono le 13:00, fermiamo un camion diretto ad
Ambon che ci carica per 400.000 rupie e ci
facciamo lasciare allo svincolo per Masohi, con
una breve sosta per recuperare il sacco
abbandonato al ristorante.
Quanto mi piacciono questi trasferimenti nel
rimorchio. Aria in faccia, la possibilità di godere
del paesaggio e ogni tanto qualche sobbalzo che
ridesta, esibendo le facce terrorizzate dei
compagni appisolati.
Ci lascia alla fermata del bus. Perfetto: alla fine
di conti il viaggio di ritorno è costato solo
700.000 rupie; ben meno del 1.300.000
dell'andata.
Di nuovo all’Hotel Irene, prendiamo le solite
due stanze e, mentre gli altri sistemano
attrezzatura, mappe e fotografie, io mi metto a
lavare gli indumenti di tutti, monopolizzando il
giardinetto nella fase di stesura.
15 Agosto:
Alle 9:00 siamo alla sede del parco di Manusela
per una breve presentazione di fotografie,
selezionate frettolosamente da Andrea al
risveglio.
Sono effettivamente tutti interessati e stupiti.
Non tanto per le foto in sé, certamente molto
belle, quanto per la rapidità e semplicità con cui
abbiamo compiuto quel che alla squadra
indonesiana di cinque anni fa era quasi costato
la morte. Gli avventurosi eranto stati ricacciati
con un pugno di mosche, peraltro bagnate. Ci
chiedono addirittura di stendere una tabella di
requisiti da richiedere a qualsivoglia
personaggio osi ritentare l’impresa.
Forse non sanno che saremo noi a chiudergliela
per sempre, sancendo che è un pozzo senza
possibilità di scampo.
Mentre facciamo i sacchi in fretta e furia per poi
andare in centro e capire quale sia il mezzo più
conveniente per il nostro spostamento, si
presenta in Hotel un tassista con un
monovolume compatto Toyota. Lì per lì
vacilliamo, anche un po’ perplessi per la
tempestività, poi ci rendiamo conto che è
un’occasione d’oro: con le 750.000 rupie che ci
chiede per arrivare a taniwel, il pollo è lui. Si
ravvederà venendoci a prendere dopo pranzo.
La cifra è già salita a 900.000, ma il fesso, vista
la strada, rimane comunque il medesimo.
A sera tarda arriviamo a destinazione e
prendiamo alloggio in una casa – fazenda –
negozio, tipico edificio di quei soggetti un po’
trafficoni che lavorano un pochino in ogni
campo e si arricchiscono diventando in breve i
notabili del loro paese.
Qui Marc viene tentato dal rubare l’ormai
familiare pentolino della doccia/wc (essendo
fatto a forma di cuore) per portarlo a sua
moglie.
Il villaggio è davvero minuscolo, e l’unico posto
dove poter mangiare è in fondo all’unica strada.
Nel centro del paese si trova il cimitero, anche
questo adornato di particolari i tettoie in lamiera
su ciascuna tomba, come se, visto che di acqua
 46
sulla testa ne hanno presa parecchia in vita, ne
vengano preservati almeno da morti.
16 Agosto
Abbiamo l'impressione che i poliziotti di
Taniwel ci trattengano a lungo solo per darsi
importanza. Abbiamo i permessi della polizia di
Ambon, che governa Taniwel; inoltre sembrano
non capire un fico secco di quel che andiamo a
fare. Provano a fare qualche domanda, cercano
d’avanzare richieste probabilmente assurde, ma
dal nostro canto facciamo di tutto per non essere
capiti, arma sempre efficace quando si vuole
perdere tempo con burocrati perdigiorno e si
hanno già permessi firmati.
Dopo un breve tratto in fuoristrada, incontriamo
la nostra guida: Khacy. E' un tipetto sui quaranta
che avevano già incontrato Andrea e Pacu lo
scorso anno, secco e agile.
Ci accompagna guadando più volte il fiume con
l’acqua alle ginocchia, tra piantagioni di banani
e cacao, fino al punto in cui montiamo il campo.
E’ un'isoletta come quella del campo
precedente, ma qui il fiume è attivo; cosa che
torna assai comoda per far provviste d'acqua e
lavarsi. La zona è ovviamente più calda di Hatu
Saka e molto meno umida. Sempre poche,
pochissime zanzare, anche se le poche che ci
sono passano da me.
Andrea e Paolo, scarichi, seguono Khacy lungo
il sentiero che porta a monte del primo traforo
del fiume Hanoea. Scopriamo che, se per
arrivare qui (in prossimità della risorgenza del
primo traforo) abbiamo impiegato circa 40
minuti, per arrivare all’ingresso ci vuole almeno
un’ora e mezzo in più, e inoltre non sembrano
esserci posti confortevoli per un bivacco..
Montato il campo e individuato un percorso
asciutto per la risorgenza del traforo (ce ne
sarebbe uno bagnato, ovvero risalire il fiume per
una decina di minuti), Pacu, Thomas e io
cominciamo l’attrezzamento della forra in salita.
La gola venne percorsa l’anno scorso da Pacu
ed Andrea arrampicando tre salti, fino a un
gigantesco portale; poi ancora un salto e fermi
su una successiva arrampicata. Quest’anno c’è
evidentemente più acqua e si è formato un lago
di circa 20 m. L'idea di attraversarlo, torbido,
mentre ne emergono lievi guizzi qua e là, è
scoraggiante. Ma Pacu trova il coraggio e lo
percorre a nuoto. Fissiamo poi una tirolese in
Kevlar 5.5 e la testiamo. Regge perfettamente.
Poiché è tardi facciamo ritorno al campo
lasciando l’attrezzatura in loco.
17 Agosto
Il giorno più lungo e faticoso. Non puntiamo la
sveglia ma ci facciamo guidare dalla luce del
sole. Adoro perdere la concezione del tempo e
far sì che esso venga scandito dal sorgere e dal
tramontar del sole, mentre dobbiamo sforzarci
ogni volta a ricordare i giorni della settimana
per sapere chi deve prendere l'antimalarico.
Alle sei le prime voci popolano la cucina; entro
un’ora si parte. Marc, Paolo e Andrea
cominciano a rilevare dalla sorgente
dell’Hanoea, scendono il corso del fiume fino
alla confluenza con la forra e quindi la
risalgono, sempre rilevando. In contemporanea,
la squadra d’armo modifica la teleferica e
comincia ad affrontare tutte le risalite.
Andiamo bene, ma la scarsità di materiali
induce la necessità di disarmare ogni salita per
recuperare corde e attacchi. Lasciamo armati
solo alcuni traversi necessari a superare laghi
fondi e molto sporchi, nei quali rischieremmo
seriamente di ricoprirci di sanguisughe e più in
generale di infettarci in qualche maniera. Pacu e
Thomas scalano prima i tre salti esterni e poi
quello interno, dal basso, nell’ordine: tirolese
sul lago; prima salita con il masso cucito nelle
due clessidre; seconda risalita arrampicabile a
sx ma con armo verticale; terza risalita in due
balze a partire dal salone – pentola.
Al ché giungiamo dentro a un grande portale,
alto almeno quaranta metri. L’antro è infestato
da pipistrelli della frutta, che creano un surreale
e magico soffitto di occhietti illuminati
all'incrocio delle luci frontali, ma di contro
lasciano copiosamente feci dappertutto; strisce
color rosso, verde o marrone. L’odore è
comprensibilmente disgustoso, unito alle ondate
di moscerini che nemmeno permettono di tenere
gli occhi aperti. Per le prossime ore non potrà
che peggiorare.
Thomas scala la prima parete interna, Andrea la
seconda superando un ributtante laghetto abitato
da lunghe sanguisughe. Incominciamo a perdere
fiducia tutti, sia per le disagevoli condizioni sia
per la lentezza. In tre con un trapano potente e
 47
molti fix sarebbe una passeggiata per i ragazzi,
ma non siamo in tali condizioni.
Intanto noi procediamo con rilievo e fotografie.
Tocca a Pacu un difficile traverso, reso tale sia
dalla roccia estremamente scivolosa, come fosse
unta, sia dalla necessità di piantare meno fix
possibile. Segue un tratto di saliscendi
arrampicabili su melma di guano, che a sua
volta è sbarrato dall’ennesima risalita. Vi è
prima di essa, a ben vedere, una marmitta alta
sui quattro metri, che però Thomas e Andrea
superano agevolmente nonostante la roccia a
specchio, con un lancio di cordino su tronco
incastrato. Dopodiché si apre una seconda
pentola (il Dannato Tegame) alta sui sette-otto
metri.
Si fermano ad aspettarci nel posto un po' meno
impestato di guano ma non di moscerini, contro
i quali Marc continua a imprecare: - Dannati
mosceroni! - col suo inconfondibile accento
francese. Non abbiamo ancora mangiato ed è
pomeriggio inoltrato, il materiale è ormai al
limite, Paolo ha l'ultima corda rimasta: un
kevlar da 6,5mm... Silenzio, poi la voce di
Thomas: - Vabbè, tanto è artificiale. Non si vola
-.
E' allora così che conquista a fix, scalette e un
paio di nuts, la cima della pentola. Ci chiama:
sopra continua.
Molto attenti, saliamo. Tocca a me, però non ho
il duck. Provo cautamente, ma nel tentativo di
dar la prima pompata... zac!, mi si scalza la
corda davanti agli occhi.
Viene recuperato uno spezzone di corda, due
accorgimenti e siamo tutti su. C'è una galleria
che va e va, solo grazie alla motivazione del
rilievo e delle fotografie si riesce a tenere a bada
l'orda di speleologi bramosi, per lo meno fino
all'incontro con il fiume.
Si perde alla destra orografica e proviene da un
passaggio sifonante profondo e ingombro di
tronchi e grosse canne di bambù che galleggiano
in prossimità del restringimento, dal quale
fuoriesce una corrente poderosa.
Parte Andrea senza nemmeno pensarci, e a ruota
gli altri. Li osservo passare, faticano a farsi
spazio tra gli enormi tronchi (qui sono enormi
davvero), parlano di ragni giganti che vi saltano
sopra, poi non vedo più le loro luci. A questo
punto mi fermo ad attenderli con Marc.
18 Agosto
Tornano, sono felicissimi. Raccontano che il
fiume sale, se così si può dire, per un altro
mezzo chilometro. Si sono aperti saloni e grandi
portali fossili, hanno trovato una cascata a
pettine, una di quelle tende d'acqua dietro alle
quali si scompare.
Rilevato un tratto a ritroso, hanno poi
arrampicato una diramazaione e sono usciti
fuori, FUORIIIII!!! Il sogno proibito di ogni
punta si è avverato: sono spuntati a monte del
traforo, là dove si getta l'Hanoea rombando.
Sono sbucati fuori a mezzanotte in punto;
adesso potrebbe essere l'una e siamo tutti al di
qua del passaggio coi tronchi.
Torniamo così indietro, disarmando tutto in
doppia, e arriviamo al campo verso le 6:00.
Siamo schifati dai liquami di pipistrello. La
nostra ultima azione è buttarci completamente a
bagno e lavare finalmente via l'immonda
sozzura nel fiume. Siamo sporchi, avvizziti,
doloranti dall'imbrago che strizzava i pantaloni
leggeri e perennemente umidi, ma faccio
sicuramente il bagno più bello mai fatto in vita
mia.
La sensazione d'esser ripulita mentre la luna
tinge l'acqua e la foresta d'argento, resto
accucciata in silenzio nelle acque per qualche
minuto, guardandomi intorno, incredula d'esser
proprio io a far parte di questa bellissima
avventura.
Finalmente puliti, si mangia.
Poi qualche ora di riposo e la giornata trascorre
rassettando il campo, contando le restanti
provviste - fortunatamente Paolo e Marc si
offrono di tornare a Mornaten a far compere per
rimpolpare la dispensa prossima a livelli di
cannibalismo -, e nella sistemazione
dell'attrezzatura. Lavaggio e conta di
moschettoni, corde, piastrine; taglio di cordini
lesionati e così via
19 Agosto
Oggi ci siamo divisi in due squadre. Andrea,
Marc e Pacu ed io andiamo a finir di rilevare e
fotografare il tratto attivo del traforo esplorato
l'altra notte.
 48
Salutiamo Paolo e Thomas, l'altra squadra, che
si preparano all'arrivo di Kace per andare a
batter la traccia della prossima esplorazione.
Dopo un paio d'ore di cammino arriviamo sul
fiume. Dal versante opposto enormi pipistrelli
della frutta si innalzano sulle nostre teste, un
flusso continuo con mezzo metro di estensione
alare.
Sali scendi, sali scendi, siamo in prossimità
dell'ingresso a monte. Andrea attraversa il fiume
e posiziona una corda per permetterci di
attraversare. La corrente è parecchio forte, ci si
presenta un bell'ingresso percorso da parecchia
acqua.
Torniamo belli contenti al campo, ma non
troviamo gli altri. E' il tramonto e siamo pur
sempre in foresta, e sicuramente è da più di
dieci ore che pure loro sono in giro.
Fortunatamente non tardano molto. Bagnati
fradici, senza Kace, con dodici ore di cammino
sulle spalle in prevalenza sul greto del fiume,
ma contenti e con la missione in tasca. Ci
raccontano d'aver percorso circa dieci km, un
po' sulle rive e un pò direttamente nell'acqua,
per arrivare a un portale di circa 25x15 m da cui
sgorga il fiume.
Merita sicuramente tornare ma è necessario un
campo molto spartano, riducendo i pesi al
minimo indispensabile.
Cenona, il menu è sempre quello: buste di
noodles, formaggino spalmabile su simil-Tuck,
salsina piccante per dare un po' di sapore; un
piatto in due, chi con forchetta chi con
cucchiaio, kopì e il fuoco acceso per cercare di
asciugare un minimo i vestiti zuppi, dopo di ché
tutti a dormire.
20 Agosto
Dopo una pigra ma abbondante colazione a base
di frittelle dolci, fatte dall'ormai mastro fornaio
Andrea e i suoi fedeli garzoni, ecco con un
giorno di ritardo presentarsi Khacy
accompagnato da un compaesano.
E' un tipo smilzo, di età indefinibile. Il volto
scavato dalle rughe mostrerebbe almeno
cinquant'anni, ma ha capelli ricci foltissimi di
un nero corvino. Indossa soltanto un paio di
calzoncini corti e va a torso e piedi nudi. Dai
lineamenti aborigeni, schivo, non parla quasi
niente; anche se, come tutti da queste parti,
sfodera ampi sorrisi.
Cercando di comunicare loro le nostre
intenzioni - dove si vuole andare, la necessità di
bivaccare sotto le stelle, ecc... -, partiamo per la
lunga camminata, preparati a un campo
avanzato con zaini il più leggeri possibile.
Percorriamo per la prima tratta il vecchio
sentiero di cresta indicato sulle mappe del
Generale Sachse, che per primo, più di un
secolo fa, quando l'isola era ancora in mano
Olandese, fece topografare tutto l'entroterra
allora del tutto sconosciuto. Ad oggi le "sue"
mappe sono le migliori disponibili, ma
soprattutto le uniche a riportare l'esistenza dei
quattro trafori dei quali per adesso abbiamo
trovato i primi due.
Qui le creste hanno un importanza
fondamentale, e vanno seguite anche a costo di
penosi saliscendi. Se infatti un sentiero passasse
nel folto della foresta, questa lo inghiottirebbe
in men che non si dica. L'unico strumento
veramente necessario per camminare è dunque il
parang, senza il quale ogni traccia poco battuta
diventerebbe in breve irriconoscibile rispetto a
qualsivoglia punto del bosco.
Seguiamo la cresta tra folti canneti di bambù
giganti, pipistrelli della frutta che si fanno
ammirare volteggiando sulle nostre teste e
giurassici uccelli dal lungo collo bianco e rosso
con imponenti ali nere, i quali transitano tra le
fronde delle alte piante.
Scendiamo poi di nuovo sull'Hanoea, in
prossimità di un capannello sul versante sinistro,
ovviamente guadando il fiume un buon numero
di volte.
Qui le nostre guide raccolgono l'indispensabile
per il loro campeggio: una pentola, uno stuoino,
una coperta e un casco di platani. Se li
spartiscono e caricano ciascuno il suo fardello
su di un fusto secco di tronco di banano,
facendogli giusto un intaglio a un estremo per
impedirne lo scivolamento.
Riprendiamo il cammino. Facciamo tappa a un
enorme pianta simile a un pino, da cui Khacy
recupera delle enormi colate di resina che
deduco gli serviranno per accendere il fuoco.
Percorriamo ancora diverse ore di saliscendi,
questa volta un po' meno ripido, e finalmente
siamo all'ingresso. Sono circa le 15:30.
 49
Avendo pochi viveri, saltiamo il pranzo per
cominciare subito l'esplorazione. Nonostante le
generose dimensioni del traforo, l'acqua
proviene da uno sifone con stalattiti gigantesche
a soli duecento metri dall'ingresso. E' splendido,
ma chiude. Non convinti, ci dirigiamo allora in
un ramo fossile, scoprendo che sbuca all'aperto.
Sembra un cedimento della montagna.
Thomas prosegue e trova di là dal collasso un
nuovo antro. Avanza in esplorazione con Pacu,
che lo ha raggiunto poco dopo. Noi quattro
proseguiamo con rilievo e fotografie, ma Marc
riscontra dei problemi con l'impianto
illuminante. Decido così d'accompagnarlo fuori
io: il sole è già tramontato e Marc non ha un
buonissimo rapporto con l'acqua.
Dopo una serie di disarrampicatine da
torrentisti, scorgiamo in lontananza, in una
piccola insenatura del fiume, il fuoco dei nostri
accompagnatori. Appena arriviamo, vi mettono
sopra la pentola con cinque o sei platani.
Il sapore dei platani bolliti è molto simile alle
nostre patate lessate; un po' più appiccicaticci, e
devo ammettere che dopo sedici giorni di
zuppette piccanti, anche se non abbiamo nulla
per condirle, sono squisite.
Dopo qualche ora Marc si stende. Khacy, Kobe
ed io restiamo al fuoco. E' molto suggestivo
ammirare i volti di questi uomini illuminati dal
fuoco, la luna che colora d'argento tratti del
fiume e della foresta con palme che svettano nel
buio a più di quaranta metri.
Continua ad aver dell'incredibile per me esser in
un posto del genere, e la sensazione che provo,
circondata da questa prepotente natura, è di
serenità, quella serenità che rende estremamente
a proprio agio, come se questo luogo mi
risultasse familiare. Devo chiamare in causa la
ragione per rendermi conto di essere
lontanissima da casa, in un posto veramente
selvaggio, incontaminato e quasi inesplorato.
Anche Khacy e Kobe vanno a stendersi, ma su
un'altra spiaggetta. L'insenatura è talmente
piccola che altrimenti al ritorno degli altri
quattro non ci saremmo stati. Mi arrotolo
davanti al fuoco col sacco a pelo come cuscino;
penso ai miei genitori, agli amici, ai ragazzi
ancora dentro, ogni tanto mi appisolo
ridestandomi e mi guardo attorno cercando le
loro luci. Ad un certo punto il bosco si illumina:
eccoli!
Sono distrutti dal sonno e dalla fame, ci dicono
di essere andati avanti parecchio in un mostro
che ha ancora diversi rami da esplorare, ma
soprattutto hanno trovato l'uscita a monte anche
stavolta, e anche stavolta sotto alle stelle.
In qualche modo ci stringiamo sulla poca sabbia
che c'è, in modo da evitare, almeno dormendo,
che i piedi finiscano in acqua.
21 Agosto
Al mattino ci dividiamo i pochi platani avanzati,
raccontandoci l'esplorazione attorno agli ultimi
tizzoni. Marc confessa d'aver visto nella notte
un enorme scolopendra che camminava tra i
sacchi a pelo, ma vista la situazione già precaria
aveva deciso di non dire nulla per non vederci
finire tutti in acqua. Meglio così, avrei dormito
con un occhio aperto.
Il ritorno è in prevalenza sul fiume. Siamo
stanchi e affamati dopo questa “tre giorni
massacrante”.
Al campo, in previsione del rientro di domani,
finiamo gli ultimi viveri. La “forneria” Benassi
si rimette all'opera: Andrea impasta, Thomas e
Pacu su due fornelli a benzina cuociono le
frittelle; prima condite con salse piccanti
illudendoci di mangiare pizzette, poi margarina
e zucchero di canna come fossero ciambelle
dolci. Vero che eravamo affamati, ma in ogni
caso le ciambelline in foresta son proprio una
gran soddisfazione.
22 Agosto
All'alba smontiamo il campo. Quasi alla fine del
sentiero di ritorno, ancora digiuni, troviamo
Kace ad aspettarci con un casco di bananine
buonissime.
In paese passiamo subito dal Re a ritirare il
sacco d'abbandono, poi un giretto fugace a
salutare il mare e ad acquistare chiodi di
garofano. Anche qui le strade son piene di telini
con chiodi a essicare.
Mentre aspettiamo sotto a una tettoia che arrivi
il taxi pick - up, in breve tempo, incuriosita
dalla nostra presenza, una folla di persone di
tutte le età ci si fa intorno e ci circonda.
 50
Mostriamo loro le fotografie fatte in questi
giorni; comunichiamo a gesti e grandi sorrisi ma
non è affatto un problema: è gente semplice,
curiosa, ospitale e generosa. Una signora viene
verso di noi portando un vassoio con sei tazze di
caffè e biscotti.
Saliamo sul cassone e partiamo. Viaggia con noi
anche Kace, che probabilmente va nella città di
Piru a depositare i soldi guadagnati da noi. Ad
un incrocio veniamo raggiunti da un signore in
motorino. Era con noi prima, in paese. Mi cerca,
ha in mano la mia camicia, è venuto per
portarmela, ma allo stesso tempo mi sta
chiedendo se può tenerla. Mi dispiace
immensamente, ma non posso lasciargliela
perché è l'unico indumento a manica lunga che
possiedo, e nei prossimi giorni ci spostiamo in
Papua, dove dicono che la foresta sia ancor più
selvaggia, e più alto il rischio di prendere la
malaria.
Al porto di Piru prendiamo il traghetto che ci
porterà sull'isola di Ambon. E' stipato
all'inverosimile, ci sono persone abbarbicate in
ogni angolo.
Torniamo al nostro solito, accogliente albergo
tempestato di scarafaggi. Festeggiamo, se così si
può dire, al ristorante cinese, dove si trovano (a
cifre improponibili) le uniche birre. Domani
l'allegra combricola si dividerà in aeroporto:
Marc prenderà il volo per Jakarta, mentre noi
cinque ci dirigeremo a Sorong, nella Guinea
Indonesiana, dove ci attende l'ultima grande
incognita. La più grande, per l'esattezza, da
quando siam partiti.
 51

Ringraziamenti
Come ci suggerisce il mito, uomini e fiumi
possono essere più simili di quanto pensiamo.
Entrambe scorrono attraverso luoghi e tempi,
entrambe costruiscono i propri luoghi e le
proprie storie, entrambe si fondono tra simili per
creare qualcosa di più grande e a volte si
separano in contorte diffluenze. Per alcuni anni,
alcuni di noi hanno intrecciato le proprie storie
con quelle dei fiumi di Seram. Adesso che altre
correnti e altri fiumi ci trascinano in un altra
grande isola, quello che possiamo dire è che
stata una fortuna ed un onore esplorare tra le
foreste ed i fantasmi di quest'isola.
Hanno partecipato alla spedizione Seram 2016:
Ivan Vicenzi (Gruppo Speleologico Sacile),
Thomas Pasquini (Gruppo Spelologico
Piemontese), Katia Zampatti (Gruppo Grotte
Brescia), Andrea Benassi (Società Speleologica
Saknussem), Marc Faverjon e Paolo Turrini.
Un ringraziamento particolare va al Dr. Yunus
Kusamahbrata, a tutto il personale del Manusela
National Park, agli abitanti dei villaggi di
Saleman e Latuhelo e ovviamente a Kikko
Lamp, nostro sponsor tecnico.
 52
20 Traversando l'Hanoea nella forra appena

DIDASCALIE a monte dell'inghiottitoio (Vicenzi)

21 La forra dell'Hanoea nei pressi
dell'inghiottitoio (Faverjon)
1 Progressione lungo il ramo attivo 22 Sifone nella grotta di Balubloi
dell'Hanoea (Vicenzi) (Faverjon)
2 Traverso su un grande lago nella forra 23 Galleria fossile a Balubloi (Faverjon)
prima dell'ingresso a valle dell'Hanoea 24 Ingresso a valle di Balubloi (Faverjon)
(Vicenzi) 25-26Bivaccando lungo l'alto corso
3 Risalendo la forra per raggiungere dell'Hanoea nei pressi di Balubloi
l'ingresso a valle dell'Hanoea (Faverjon) (Faverjon)
4 Risorgenza dell'Hanoea (Vicenzi) 27 Ramo fossile dell'Hanoea (Faverjon)
5 Ingresso fossile dell'Hanoea (Faverjon) 28 Lungo la valle dell'Hanoea (FaverjonI)
6 Grande scolopendra nel ramo delle 29 Il cimitero dei bamboo: Hanoea
sanguisughe (Vicenzi) (Faverjon)
7 Galleria Hanoea (Faverjon) 30 Vita di campo (Vicenzi)
8 Un tratto di galleria semiattiva prima 31 Un grande Amblipigio nei rami fossili
della confluenza del ramo attivo dell'Hanoea (Vicenzi)
(Faverjon) 32 Risalendo la valle dell'Hanoea verso
9 Un tratto della forra semiattiva Balubloi (Vicenzi)
(Faverjon) 33-34 Grandi volpi volandi volano nella
10 La balena bianca: la grande cattura del foresta di bamboo presso l'inghiottitoio
fiume nel ramo 'neanche bagnato' dell'Hanoea (Vicenzi)
(Vicenzi) 35 Il fiume Hanoea nei pressi della grotta di
11 Galleria nel tratto semi attivo (Faverjon) Balubloi (Faverjon)
12 Ramo attivo 'Neanche bagnato II' 36 Galleria fossile nel primo traforo
(Vicenzi) dell'Hanoea (Faverjon)
13 Laghi nella galleria semi attiva 37 Rapide nella grotta di Balubloi
(Faverjon) (Faverjon)
14 Il cimitero dei bamboo, il quasi sifone 38-39Khacy raccoglie resina da un
che da accesso al tratto attivo della grotta grande albero lungo una pista in foresta.
(Faverjon) L'albero presenta tracce di incisioni su
15 Un grande granchio si nasconde tra le tutto il tronco e sembra essere lo stesso
marmitte del primo tratto di grotta albero ritratto nella fotografia di De
(Vicenzi) Vries del 1927. La resina raccolta oggi
come un secolo fa serve per accendere i
16 Uno dei rami attivi nei pressi fuochi e illuminare
dell'inghiottitoio superiore (Vicenzi)
40 Campo in foresta (Faverjon)
17 Risalendo il ramo 'Neanche bagnato'
verso la balena bianca' (Vicenzi) 41 Piccoli amici di campo (Vicenzi)
18 Grandi inclusioni fossili nella galleria 42 Giocando con le rapide. Frame video
appena oltre il cimitero dei bamboo dalla riprese sul ramo attivo dell'Hanoea
(Vicenzi) (Vicenzi)
19 Risalendo la forra 'fossile' nella galleria 43 Il ramo attivo della grotta di Balubloi
delle sanguisughe (Faverjon) (Vicenzi)
 53
44 La balena bianca, la cattura nel ramo 64 Armando il P220 d'ingresso ad Hatu
'neanche bagnato II' (Vicenzi) Saka (Vicenzi)
45 Grotta di Balubloi (Benassi) 65 Camp Susan, sul Sungai Niatolun
(Faverjon)
46 Una confluenza nella grotta di Hanoea
(Vicenzi) 66 Il P220 dalla prima cengia (Vicenzi)
47 Risalendo la forra presso l'ingresso di 67 Ingresso del ramo attivo alla base del
Balubloi (Benassi) P220 (Faverjon)
48 Khacy e Kobe in un tratto di foresta di 68 La grande nuvola che sosta a metà del
bamboo risalendo verso Balubloi P220 (Faverjon)
(Faverjon) 69 Armando il pozzo d'ingresso (Benassi)
49 Foto dell'ingresso del Way Mata 70 Esplorando lungo il ramo attivo di Hatu
pubblicata da De Vries 1927 Saka (Benassi)
50 Frame dalle riprese della cerimonia 71 La grande cengia sul P220 (Benassi)
tenutasi a Saleman per intercedere presso 72 Lingresso dalla base del P220 (Faverjon)
gli antenati e poter accedere alla grotta di
Hatu Saka 73 L'ingresso dalla sala sul fondo
dell'Ultimate Pitch ovvero da -388. Sulla
51 La costa presso il villaggio di Saleman: destra si nota la luce di uno speleo che
sul fondo le montagne di Hatu Saka risale verso l'inbocco del P70 del ramo
52 Infiniti stormi di chirotteri che attivo che sbocca a metà del P180
fuoriescono come ogni sera dalla grotta (Faverjon)
di Luisala dirigendosi verso il mare 74 Risalendo il P70 verso l'imbocco del
aperto. Per gli abitanti di Saleman si ramo attivo (Faverjon)
tratta delle anime dei propri antenati.
75 La base completamente piatta della
53 Armando il primo pozzo di Hatu Saka grande sala al fondo di Hatu Saka
(Vicenzi) (Faverjon)
54 La foresta pluviale verso la cima del
Gununga Saka (Benassi)
55 L'ingresso di Hatu Saka dalla cengia alla
base del primo pozzo (Faverjon)
56 Scendendo lungo il primo pozzo di Hatu
Saka (Benassi)
57-58 Armando un traverso lungo la cengia
a metà del P220 (Benassi)
59 In vista della base del P220 (Vicenzi)
60 Morfologie carsiche sul Gunung Saka,
sopra l'inghiottitoio (Benassi)
61 Una grande zona di carso a lame o
pinnacoli presso una delle cime del
Gunung Saka (Benassi)
62 Grandi zone di assorbimento sulle zone
sommitali del Saka (Vicenzi)
63 Il solco, thalweg, del Sungai Niatolun,
nei pressi del bordo d'ingresso della Gua
Hatu Saka (Faverjon)
 54

COORDINATE:
Grotte esplorate durante le spedizioni
Seram 2012, 2015 & 2016

Nome grotta Area Latitudine Long. Quota Esplorazione Sviluppo Dislivello Anno
Gua Rarola 1 9683983 416531 10 Si 10 +5 2015
Hanoea spring 2 9680301 426126 65 Si 50 0 2016
Hanoea dry 2 9680353 425886 105 Si 2011 -143 +16 2016
Hanoea sinkhole 2 9679849 428444 248 Si 2016
Bolubloi 2 9673549 426356 330 Parziale 962 +47 2016
Sapalewa sinkhole 3 9676876 441213 280 Parziale >4000 -210 2012,2015
Sapalewa spring 3 9677956 440018 220 Parziale 2012,2015
Sapalewa high 3 440950 9676880 430 Parziale 2015
Pozzo del casuario 3 9676890 440882 360 No ? ? 2015
Gua Batu Sori 3 9676736 440692 422 Si 210 +15 -10 2012,2015
Gua Cepet Cepet 3 9676975 440743 414 Si 70 -10 2012,2015
Cobra di pietra 3 9676710 440586 480 Parziale >400 -80 2015
Portale alto 3 9676726 440507 530 Parziale >100 >-50 2015
Ingr. alto 3 9676873 440399 570 No ? ? 2015
Sapalewa
Valle perduta I° 3 9676746 440189 560 No ? ? 2015
Valle perduta II° 3 9677092 440269 570 No ? ? 2015
Gua Patune 3 9677227 439775 440 Si 88 -35 2012
Gua Hatu Patola 4 9684232 453009 248 Parziale >10 ? 2012
Gua Toke 4 9683982 449306 90 Parziale >80 -30 2012
Gua Puhon 4 9684038 449143 62 No ? ? 2012
Gua Tana 4 9684045 449100 63 Parziale >250 -10 2012
Gua Hatu Saka 6 9667051 512886 910 Si 1000 -388 2016
Gua Satu Baik 7 9652004 552699 1567 Si 15 -15 2012
Gua Dua 7 9651860 552860 1550 Si 5 0 2012
Gua Tiga 7 9651773 553003 1599 Si 5 0 2012
Gua Empat 7 9651544 553132 1697 Si 5 0 2012
Gua Lima 7 9650469 553603 1969 Si 5 0 2012
Gua Labah-Labah 7 9650409 553584 1989 Si 21 -8 2012
Gua Top 7 9649090 551555 2796 Si 12 -5 2012
Grotte Hatu Huran 8 9631902 426052 10 Si 50 -10 2015
Grotte di Hatu Sua 8 9632757 426106 17 Parziale >50 +2 2015

1- Gunung Rarola
2- Hanoea - Towile
3- Sapalewa –ToiSiwa
4- Kasieh – Hatu Patola
5- Sawai – Saleman
6- Gunung Hatu Saka
7- Gunung Binaiya
8- Hatuhuran - Hatusua
 55
ABSTRAC:
Seram: the island of lost rivers
"Once in the island of Seram existed a huge
mountain: the whole island was constituted by
an upland. In the centre of it, more or less where
today the sources of rivers Makina and
Sapalewa lie, lived a couple: husband and wife.
There, at some distance from the village, they
had built their Pondok: their hut. The man's
name was Makina and the wife's name was
Sapalewa.”
So it begins a myth collected in the '20s of the
past century (De Vries; 1927). It tells the origin
of the rivers in Seram, born from Makina and
Sapalewa: husband and wife who lived as
human beings before becoming the forefather of
all the watercourses of the island.
"...from the woman's head suddenly the water
went out spraying around. The splashes
transformed into a stream that gushed from the
head of Sapalewa, dragged the man and
transported both along the watercourses of
Sapalewa and Makina, the first rivers that
appeared in Seram. Makina travelled her road
towards east, while Sapalewa dug his own
across the terrain. They pushed and kicked
whatever they met and hurled into the air
enormous chunks of rock and earth. So it was
born the wild and fierce mountain."
Mountain that today is strewed with big walls,
karst cones, valleys and - of course - caves,
apparently originated by supernatural forces.
Following the wave of these suggestions, in
august 2016, under the flag of Acheloos Geo
Exploring, it took place the expedition Seram
2016 in the homonym island of the Indonesian
archipelago of Maluku. The expedition, the third
in the island, had two different goals: seeking a
continuation in the huge pit of Goa Hatu Saka
(currently the deepest cave in Indonesia) and
carrying on the exploration of the large karst
tunnels in the province of West Seram, already
begun in the previous expedition with the
Sapalewa Underground River.
Nowadays, in the island, around 110 cavities
have been reported, as result of two Australian
expeditions (1997, 1998), three Indonesian ones
(2011, 2013, 2016) and three of our Italian
group (2015, 2016, plus a survey in 2012),
which found about 30 caves for a sum of ten
kilometres. Considered the extreme
fragmentation of limestone areas and trying to
frame Seram's potential, in these three
expeditions eight different karst areas have been
visited: at high altitude as much as along the
several sea cliffs. Among the individuated karst
phenomena, Sapalewa's system is surely today
the most important one; but lots of karst
surfaces are still unexplored, in the central
massif as much as in the vast Manusela National
Park. They are wild and harsh regions, even for
its inhabitants, both in the western karst areas
and in the eastern ones (Benassi; 2015). Even if
it has been almost unknown under a
speleological perspective until few years ago
(Laumans; 2016), Seram Island has become an
area of primary importance from Indonesian
karst's viewpoint; and probably has still many
secrets to reveal for who is looking for a not
easy and never banal expeditionary caving.
Sapalewa: all rivers' mother
"Sapalewa hit the Hatoesori Mountain, a huge
mass of rock; so big that she could not go ahead
any more. Raged for this delay, she broadened
more and more. She grove until the nearby
villagers of Boeria understood to be in serious
danger of being dragged and swallowed by the
flood. Each time a rumble shook the land, the
villagers could hear the shout of Sapalewa: -
Hahate sa mai! Hahatatata! -. In her language
it meant "Give me it! Hurry!”.
They didn't understand what did she wish; thus,
shivering for fear, they attempted to drop a dog
in the fury of the water, but a vortex hurled it
back. So, they tried to offer every sort of
savoury food, but even these were each time
rejected by a whirlpool. Lastly they pushed an
old woman in the water, and she came back with
a message: Sapalewa demanded a parang, by
which to smash the rock. Therefore the villagers
run to take a parang and launched it in the
water. After a short time they heard a thunder:
here the water, by now at the same level of their
houses, began to decrease.
Once she was disappeared underground in the
 56
rock wall, Sapalewa continued for her way. She
met and broke a passage across Batoe Tajane
and finally across Batoetausiwa. When she
came back to surface, she twisted the parang
towards the Kampong; then, after a travel of
three days, she joined with her husband
Makina."
In this way the Alune, who live in the province
of West Seram, tell the origin of the great tunnel
that Sapalewa has dug across the Hatoesori
range. This karst system, explored in the
previous expedition, reaches 4,5 km in
extension, adding together the active section and
the fossil galleries that surround the large
internal Tiankeng. The difference in altitude
between the highest and lowest entrances
amounts to 210 metres (Benassi; 2015, 2016).
Even if it hasn't been object of further
researches, the karst area of Sapalewa still offers
several explorative chances. Particularly, from
the observation of orthophotos, two high
entrances have been identified: they could be
just as many fossil branches of the system.
Moreover, some cavities have been reached but
not completely explored.
Hanoea, daughter of Sapalewa
According to the myth, Hanoea river would be
daughter of Makina and Sapalewa, and not
casually she often decides to disappear
underground, same as her mother. Along its
course the river meets indeed several different
limestone benches, in which it has drilled a
sequence of tunnels.
Amounting an absorption basin of around 50
km2, Hanoea arises nearby the peaks of Towile
Boi Boi, in a barely known plain area at about
1200 m of altitude. After a course of 30 km it
flows into the Seram Sea, close by the village of
Latuhelo. In this point the river has an average
flow rate of around 2 m3/s, estimated on
pluviometric evaluations which take confirm in
fieldwork observations. Hanoea's valley is
narrow, isolated and uninhabited, though it's
weakly used for the cultivation of orchards and -
especially in the remote forests upstream the
first tunnel – as hunting territory. Geologically,
it offers a complex situation: part of the valley
develops on impermeable bedrocks and part
through limestone blocks owning to several
facies.
The identification of tunnels took place during
the stage of study of historical geological
sources (Rutten; 1920), which were collected in
accurate fieldwork campaign. Because of the
dense forest coverage, the analysis of the
present aerial and satellite photos had allowed to
identify only the first of the four, maybe five,
tunnels existing in the valley; but we had
reached its lower entrance in the previous
expedition (Benassi; 2015), confirming the
reliability of historical information.
This first tunnel passes through a big isolated
cone, running in airline for 1,3 km with a
difference in altitude of 200 m. The downstream
way out consists in a syphon, though by the
orographic right side of the river its possible to
ascend in a parallel canyon. It is a semi-fossil
structure, for sure the ancient river bed, and
leads to the lower entrance, 60 m higher than
the syphon. This semi-fossil branch, in some
points higher than 70 metres and inhabited by a
huge colony of chiropters, comes flooded by
Sapalewa's waters only during overflows of the
submerged section, which leave small lakes and
ponds. The gallery continues gaining altitude
with vadose structure until it intersects the
active course, in proximity of the point in which
it immerses in its hidden section. Finally,
ascending the river with an aquatic progression,
it's possible to arrive at the higher entrance, in
which, at the end of a canyon, Hanoea plunges
into the darkness.
The cave amounts thus a total extension of 2,1
km, an hydrological difference in altitude of 190
m and an underground walkable difference of
160 m.
By the morphological point of view, it's relevant
the presence before the main catchment of
numerous point of capture of the river, which
show that the limestone layer is partially present
below the riverbed.
The existence of an underground course and its
exit syphon were known by nearest villagers,
but the uncertainties about the position of the
superior entrance pushed us to explore the cave
by climbing counter-current. Traced the way to
get externally to the upstream tract of the river,
we reached and partially explored the second
underground course of Hanoea, locally known
as Balubloi.
The valley section enclosed between the two
tunnels, around 8 kilometres long, seems to
 57
develop above principally impermeable terrains,
and not to receive remarkable affluents during
the dry season. The limestone bench emerges
again about one kilometre before the ingress; in
this point the flow rate has been estimated in
around 1,5 m3/s. The second bench, from the
analysis of geological maps, appears to be much
wider than the previous: even if the N-S width
doesn't go beyond the 2 kilometres, the E-W one
should reach a length of 20 kilometres. It seems
to arise from the summit of Towile Boi Boi,
then run along the most part of the Hanoea
superior course and continue towards west,
cutting transversally two further valleys.
Moreover, direct observations put in evidence
that it's constituted by a different limestone
compared to the first tunnel, which is much
harder and more compact. In all likelihood, this
is the same bench of the nearby karst system of
Sapalewa.
The E-W orientation of the river valley, being
the riverbed totally included in the limestone
bench, makes the structure of this second cave
more complex. Its partial exploration showed
that it's not a simple tunnel, but rather a series of
internal valleys and partially dried poljes that
develop all along the main valley. Those we
defined as 'second, third and fourth tunnel'
observing aerial and geological maps, could
instead be part of a sole system, in which the
normal hydrological circulation flows
underground and the external river comes
activated during the floods. About this, the
observation of the flow rate inside Balubloi and
the presence of several branches and creeks into
the cave confirm the hypothesis of a superior
complexity. Currently the cave is known for
around 1 km, but the exploration ended only for
lack of time. Moreover, all the higher mountain
region, until the peak of Towile, remains
unexplored and could represent an important
future purpose.
Kawa and his brothers
Despite three expeditions, most part of the
tunnels identified in the '20s of the last century
by the renown geologist Luis Martin Robert
Rutten remain today unexplored. Logistic
difficulties make them arduous and far
objectives. Arduous but certain: the accuracy of
geological surveys and confirms we had along
the Hanoea, make us think that all the classified
phenomena can reveal to be important karst
systems.
Particularly, the existence of river Kawa's tunnel
(Rutten, 1920; Sachse, 1922) has been
confirmed to us by local villagers. Its theoretical
2 m3 flow rate and its position in the same
limestone bench of high Hanoea, make the
Kawa an extremely interesting aim.
River Mata's tunnel has been confirmed instead
by the discovery of an old photo of the 20's,
which portrays the entrance. It could have
historical-religious relevance, too.
We know little or nothing about karst
phenomena in the area of Cecilia Range,
situated in the eastern region of West Seram.
Historical sources report the existence of two
underground rivers, though the thick forested
coverage hides every ingress making useless the
satellite photos. In spite of it, morphological
observations allow to suppose that al least one
of these two rivers, the Way Menja (or Jali),
could have a considerable vertical develop. Both
historical maps and actual DEMs show indeed a
big suspended close valley of 6 km2 at about
900 m.a.s.l.. At its bottom, according to Rutten
and Sachse, should sink the Way Menja. On the
contrary, the downstream exit is not certain,
pushing us towards new explorative fantasies.
Goa Hatu Saka: the bottom of Indonesia
Goa Hatu Saka looks like an impressive open-
air chasm. The cave opens at 910 m.a.s.l. and
with its 388 metres of profundity it's currently
the deepest in whole Indonesia. It consists in a
semi-active sink with preeminent vadose
morphology, in which the river Sungai Niatolun
flows into. Even if the watercourse has a limited
absorption basin, that is a suspended valley of 4-
5 km2 of extension, the elevated precipitation
rate guarantees an average flow rate of almost
200 l/s, which rapidly increases in case of
intense rainfalls.
The cave is constituted by two main verticals:
the ingress pit, of 217 m, and the terminal
chamber (the Ultimate Pitch), a huge rock bell
of 180 metres in height. It's possible to move
from one to the other through three ways, two
fossil and one semi-active. The bottom, that is
the basal surface of the Ultimate Pitch, is a vast
detrital filling. We can't know what precisely
occludes the flowing of this cyclopic mass of
mud, but the surprising planarity (around 2
 58
metres of difference in height in 90 metres of
length), the absence of evident traces of floods
on the walls (except for the inferior part) and the
presence of a proliferating fauna (mostly
annelids and predator insects), allow to think
that should exist a sufficient passage to drain
every flood without submerging the ambient,
but anyway impenetrable to every further
exploratory hope.
The abyss is known by immemorial time and
takes its name from the mountain in which it
develops, Hatu Saka indeed, nowadays inside
the territory of the Manusela National Park. The
area is also within the traditional boundaries of
the coastal village of Saleman: for its
inhabitants it's still a sacred place, which is why
the expeditions that have ventured here until
now had to ingratiate their selves with the deity
through rituals managed by the king of the
village.
The first explorative attempt dates back to 1970.
The previous year three villagers of Saleman
with two friends from Jakarta had visited the
chasm and had decided to descend it. So,
equipped with rope ladders, they travelled the
long path from the coast to Goa Hatu Saka
ingress and raised again on the edge of the pit.
But, terrified in front of the view of the
bottomless hole, they quickly changed their
minds and decided to made do towards a safer
depth measurement. Showing wit, they lowered
a stone tied to liane segments knotted each
other. The segments were of equal length, thus
they could estimate a depth of around 220 m.
It's an inaccuracy – considering the instruments
- all in all microscopic.
The western discovery occurred during SUSS
(Sidney University Speleological Society) –
WCC (Wessex Caving Club) expedition in
august 1996. Accompanied by Thalip, son of
one of the braves of 26 years before, the
anglophones reached the pit and descended a
fistful of metres to take some pictures. The same
people organized in 1998 the 'Ekspedisi
International Menjelajak Goa', an international –
mainly Anglo-Saxon – expedition aimed to
explore Goa Hatu Saka. In 13 days of forest
camping, despite adverse climate conditions,
they succeeded to explore almost completely the
cave, making it the greatest Indonesian cave for
profundity.
April is not indeed the driest period of the year,
so the whole entrance pit was flowed by a huge
waterfall of 200 metres. The watercourse, that
time estimated in about 0,5 m3/s, occluded one
of the three possible ways, which was not
explored. For this reason, and considering the
remarkable potential (that is about 900 m
because there are many possible sources at sea
level), the exploration of Goa Hatu Saka
couldn't to be considered completed.
After the long period political crisis and strong
civil tensions in Indonesia, an expedition team
from Java renewed the interest for Goa Hatu
Saka. Members of the Acintyacunyata
Speleological Club of Yogykarta attempted to
repeat the descent with the 'Laporan Ekspedisi
Seram 2011'. Unfortunately, despite it was
summer, they were surprised by a furious flood
that forced them to retreat.
The probable end of the exploration has arrived
with our expedition, in 2016. Despite King of
Saleman's blessings and the auspicious red
stripes around our wrists, the only evident
prosecution – that was the unexplored semi-
active way – brought us again in the great final
chamber. We didn't find any other prosecution
opportunity.
Anyway, the favourable season (first days of
august) allowed to find the Sungai Niatolun in
what is its maximum drought. The cave was
indeed dry because the water of the creek
suddenly disappeared 400 metres before the
jump in Hatu Saka, in a small inaccessible sink.
Actually this has to be considered the active
course of Sungai Niatolun , and not the
following thalweg that ends at the entrance of
the abyss.
The spatial extension of Goa Hatu Saka reaches
now 1 km, while the depth has been confirmed
in 388 m from the lowest access point in the
valley. The pit presents indeed a semi-circle of
walls that rises for further 90 metres until a
higher zone of lapiez. A survey in the highest
section of the mountain, which climbs up
towards north until 1400 m.a.s.l., didn't add any
interesting note. The whole area is hard to walk
and looks like constituted of large lapiez fields
and closed valleys. Anyway, in some points we
found significant superficial karst morphologies,
as zones of high sharp rock blades, in all similar
to the needles of mount Kajende in Papua or the
ones on the Gunung Api in Mulu.
Thanksgivings
 59
How the myth remembers to us, men and rivers
can resemble their selves more than what we
think. Both flow through time and places, both
build their places and their stories, both can
come together to create something greater and
sometimes divide in contorted diffluences. For
some years, many of us crossed their own
stories with those of Seram's rivers. Now that
other currents and other rivers drag us towards
another vast island, what we can say is that it
has been a fortune and a honour to explore
between the forests and the ghosts of this land.

Participants to Seram 2016 expedition: Andrea

Benassi (Società Speleologica Saknussem),
Marc Faverjon, Thomas Pasquini (Gruppo
Speleologico Piemontese), Paolo Turrini, Ivan
Vicenzi (Gruppo Speleologico Sacile), Katia
Zampatti (Gruppo Grotte Brescia).
A special thanks goes to Dr. Yunus
Kusamahbrata, to all the Manusela National
Park staff, to the inhabitants of Saleman and
Latuhelo and of course to Kikko Lamp, our
technical sponsor.
 60
GOA HATU SAKA
Technical notes of the descent in Goa Hatu
Saka and observations about the karst area
of Hatu Saka for Manusela National Park.
Index
1. Indications for the descent
2. Environmental dangers
3. Further explorations
4.Observations about the karst area of
Hatu Saka
1. Indications for the descent
Warnings
It's implied that facing a descent like this
requests high competence and experience
in the activity of caving in all its aspects.
Particularly about using technical gear,
which wrong or improper use, especially in
a so deep and impressive environment, can
seriously lead to catastrophic
consequences. Furthermore, being skilled
in caving progression techniques is not
enough to visit Goa Hatu Saka: it's
necessary to have an optimum athletic
condition, in order to be always selfaware
and ready to react to any possible situation.
For this reason, we suggest to spend much
time for training in the months preceding
the descending attempt in Goa Hatu Saka.
The chosen path
The progression track we followed into the
abyss was surely original: in facts we didn't
find any trace of previous Australian
expedition, who probably passed some
metres aside our track. From the edge of
the valley, where the big hole opens in front
of the cavers, we rigged on the right side. It
means that, going down along the rope,
wall-faced, the waterfall theoretically stays
to the right of who is descending. We
underline 'theoretically' because when we
went into Goa Hatu Saka, it was completely
dry. More or less at half height of the pit
there's the balcony where the fossil way
departs from. It was used by the Australians
and it's probably less exposed to water. It
leads to the top of the Ultimate Pitch that is
the final chamber of the cave. We reached
the balcony, but our objective was the
semiactive way, thus we proceeded
towards the bottom of the entrance pit.
Almost at the base there's a second fossil
branch, which arrives at the top of the
Ultimate Pitch, too. Gained the base of the
chasm, here it begins the semi-active tract.
It's a sequence of three verticals: p30, p30,
p20. We found it in dry conditions, but
anyway moist. This fact shows that the risk
to be dragged by a flood is always
consistent: a prolonged heavy rain could be
enough, even during the dry season. It
makes this section likely the most
dangerous of the whole cave, inasmuch it
wouldn't be possible to avoid sudden flood
waves. The semi-active way, as we
discovered, ends up in the Ultimate Pitch
with a final drop of 70 m.
List of materials
We won't make considerations concerning
the personal gear (harnesses, descenders,
etc...), but only regarding the rigging
equipment we've used to reach the bottom
of the abyss. Of course they must be tested
and certified materials.
– Ropes: about 500 m; semi-static type,
diameter: 9-10 mm.
– Anchors: about 40, plus 10 for reserve.
Each anchor is constituted by a hanger and
a carabiner. We used aluminium alloy
anchors inasmuch lighter than steel ones.
– Anchor bolts: about 40 expansion bolts;
diameter: 8 mm, length: 5,5 – 7 mm. The
expansion bolts we fixed are still in place,
thus re-usable by every subsequent caver.
Note: in some points of the descent there
have been used natural anchorings,
wrapped with loop bands or kevlar cords.
2. Environmental dangers
As previously mentioned, the water
represents the major danger during the
descent in Goa Hatu Saka. This happens
because the abyss bears as prosecution of
a river, the Sungai Niatolun, of sizeable flow
rate: around 200 l/s, which can quickly
 61
increase as consequence of sudden heavy
rains. As it is easily imaginable, being
overwhelmed by a huge waterfall in a cave,
especially in a vertical one, is potentially
deadly. It is anyway possible to reduce - but
not eliminate - the risk of being surprised by
a flood applying some simultaneous
strategies:
– Season: organize expeditions only during
the dry season. In this period, around
august, the climate is less rainy and less
violent. Mostly, the river could be all
absorbed by the active sink leaving the
downstream Thalweg completely dry. This
is the safest condition, in which we found
the Sungai Niatolun in august 2016.
– Rigging: when choosing the descending
track, keep in mind the possible trajectory
of water in case of flood, in order to set
ropes as more distant from it as it's
possible. Moreover, as less time is spent to
rig the descent, reach the bottom of the
cave and go out dismantling the rigging, as
less probable is the happening of floods.
Our expedition has completed the
operations in two days and half, receiving
only little rains.
– Alerting: keeping at least a guard around
the entrance of the abyss is absolutely
necessary. This person, connected with the
inside through enough powerful radios, has
the assignment to alert people into the cave
in case of negative meteorological situation.
– Athletic training: cavers who can move
rapidly along ropes and are able to
preserve their energy after many hours of
permanence inside a cave, have much
more chances to face critical situations or to
escape at the beginning of a flood before it
can become overwhelming.
The nebulization of water in the air, due to a
waterfall inside the first pit, is a danger that
should be considered and can potentially
bring to suffocation. Fortunately, we didn't
face this situation, thus it's not possible to
furnish concrete approaches.
3. Further explorations
What we mainly found inside Goa Hatu
Saka is that the exploration led by the
Australians was already complete. Their
only heritage, the only part they had not
explored, that is the semi-active way, brings
in the great Ultimate Pitch same as the two
fossil branches. No prosecution is possible
in this relatively narrow semi-active tract,
and neither in the Ultimate pitch, which is
completely covered by a thick and dense
layer of mud. We didn't visit the two
alternative branches because they had
already well explored by the Australians,
thus there's no reason to think they could
give furthermore explorations.
In conclusion, Goa Hatu Saka still stands
for its dark fascination and its frightening
greatness, though it doesn't offer
reasonable explorative opportunities any
more.
4. Observations about the karst area of
Hatu Saka
Some elements and observations lead to
suppose that Hatu Saka area could enclose
a much more complex and extended karst
system than what we currently know.
Sungai Niatolun itself comes absorbed
around half kilometre before the entrance of
Goa Hatu Saka, demonstrating that it exists
another underground flowing of the creek.
Moreover, even if it is absolutely
inaccessible from here, it's reasonable to
think that below the basal flat surface of the
Ultimate Pitch could stay an aerial space.
In this perspective, the only strategy is to
start further research campaigns in the
higher part of the massif, particularly
around the peaks of Gunung Hatu Saka, in
northern position in respect to Goa Hatu
Saka. Here there are several sinkholes and
closed valleys. Recent high definition
satellite photos have showed in this area, at
about 1.6 km north of Goa Hatu Saka and
altitude of 1200 m, the presence of a dark
stain, which could be both a huge hole or a
simple shadow.
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https://www.facebook.com/IndonesianSpeleological
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Pagina ufficiale della ISS
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