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L’attesa messianica di Maria di Nazareth

L’attesa messianica della Madre di Gesù alla luce degli eventi di cui ella fu testimone, in
rapporto alla storia universale della salvezza.

Trattare dell’attesa messianica di Maria significa avventurarsi in quell’immenso pelago che risponde al
messianismo, su cui la bibliografia è innumerevole. Mare pericoloso perché proprio intorno al messianismo
e al concetto di redenzione che comporta "si è originato e sviluppato, perdurando a tutt’oggi, il conflitto
fondamentale tra Ebraismo e Cristianesimo".

Infatti, mentre l’Ebraismo "si è sempre attenuto a un concetto di redenzione come evento pubblico", il
Cristianesimo "concepisce la redenzione come evento che accade nell’ambito dello ‘spirituale’ e
dell’invisibile".

La differenza principale consiste nel fatto che mentre gli Ebrei attendono ancora il Messia, i Cristiani rivolti
a Gesù proclamano con Pietro: "Tu sei il Messia" [Mc 8, 29]. Il discorso dello stesso Pietro
negliAtti ribadisce questa fede: "Dio ha costituito Signore e Messia quel Gesù che voi avete crocifisso" [At
2, 36].

Qui però noi ci chiediamo di che tipo era il messianismo abbracciato da Maria e dal suo entourage alle
soglie del Nuovo Testamento. È chiaro che la risposta biblica non è esplicita, ma emerge da alcuni
elementi che sarà nostro compito enucleare.

Metodologicamente, avremmo potuto scegliere di partire dalla realtà testimoniata nel Nuovo Testamento
circa il messianismo di Maria, illuminandola quindi con i testi dell’Antico Testamento. Ma ci è sembrato un
procedimento restrittivo perché lascia cadere nel nulla ciò che non viene riferito esplicitamente dai testi
neotestamentari. Preferiamo percorrere l’itinerario inverso che esamina diacronicamente le fasi della
promessa che giunge a compimento in Gesù di Nazareth, annunciato e atteso da Maria come Messia.

Il messianismo alle soglie del Nuovo Testamento

Prima di affrontare questo argomento specifico, dobbiamo spingere lo sguardo fino alle origini del
messianismo nel popolo d’Israele. E a questo proposito, come era prevedibile, divergono le opinioni.

Per Gershom Scholem esso risulta da due tipi di forze profondamente intrecciate:
"restaurative e utopiche", che mirano a cambiare lo stato attuale, ripristinando un passato ritenuto
ideale o proiettando verso una condizione del tutto nuova "da realizzarsi messianicamente".

Per Emil Schürer la fedeltà al dono della Torah implicava una ricompensa "nella vita sia della Nazione sia
dell’individuo"; ma poiché "nella realtà dei fatti né il popolo nel suo insieme né i singoli avevano ricevuto
questo premio nella misura sperata", occorreva volgere lo sguardo al futuro: si può dire, perciò, che
nell’epoca più tarda la coscienza religiosa era concentrata sulla speranza nel futuro. Un’èra perfetta,
futura, era l’obiettivo al quale si rapportavano teleologicamente tutte le idee religiose.
Anche per Albert Gelin, autore dell’ampia voce "Messianisme" del Dictionnaire de la
Bible/Supplément,ciò che comanda lo sviluppo del messianismo "non è altro che l’idea e l’esperienza
dell’Alleanza", in cui Dio si manifesta come salvatore escatologico.

L’emergere di un Messia-Re sorge a Canaan al contatto con l’ideologia regale dell’ambiente; ma dopo
l’esilio si prendono le distanze dalla regalità, spesso deficiente, e si comprende come Dio voglia rieducare
il suo popolo attorno ai Profeti, in particolare al Mediatore-Profeta che verrà negli ultimi tempi e assumerà
i connotati sia del Messia-Re sia della figura misteriosa del Servo di JHWH . Anzi, si fa avanti l’esigenza di
una "teocrazia diretta" in cui opera un’altra figura misteriosa: il figlio dell’uomoannunciato da Daniele,
segno di un messianismo trascendente.

Di solito, gli storici o esegeti si accordano nel distinguere alle soglie del Nuovo Testamento tre tipi di
messianismo, secondo le grandi istituzioni giudaiche: regale, profetico e sacerdotale.

Il Messia-Re

Questa corrente scorge nella figura del Re davidico il mediatore di salvezza secondo la "promessa
messianica" di Natan: "Il Signore ti farà grande […]. Io renderò stabile per sempre il trono del suo
regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio" [2Sam 7, 11.13-14].

Questa profezia può intendersi come "la radice storica, alquanto elementare ma altrettanto significativa, di
quell’attesa messianica che soltanto in seguito giungerà al suo massimo grado d’intensità". Abbiamo qui
uno spostamento dell’asse gravitazionale che passa dall’Alleanza del Sinai al Patto con Davide, che di essa
è una continuazione, perché adempie all’antica promessa del riposo. Anzi, nel Patto davidico convergono
le diverse promesse di futuro generazionale per l’umanità e per Israele.

In altre parole, si tratta di una direttrice che prende inizio dal "seme" [ ‘zera’: "seme" e poi "discendenza"]
della donna [cfr. Gen 3, 15], per sfociare nel "seme" di David [cfr. 2Sam 7, 14] passando attraverso il
"seme" di Abramo [cfr. Gen 12, 7]. L’ultima specificazione di questo sviluppo, iniziatosi in Gen 3, 15, e la
definitiva sua conclusione, ci vengono attestate dal Nuovo Testamento: il "seme", al quale è rivolta la
promessa, è il Messia, Gesù [cfr. Gal 3, 19], il Figlio di David, di Abramo e di Adamo, che a sua volta è
Figlio di Dio [cfr. Lc 3, 23-28].

I Salmi regali confermano questa promessa, sviluppando una teologia davidica nel rito solenne
dell’intronizzazione che implica l’unzione del Re-Messia, la sua figliolanza nei rapporti con Dio, la sua
funzione di salvezza, la protezione divina e la promessa di stabilità del Regno.

Con il passare del tempo e con il fallimento della Monarchia, per esempio in Acaz che sconfessa la
promessa davidica dichiarandosi servo del potente re di Assiria [cfr. 2Re 16, 7], i Salmi intertestamentari
si proiettano verso un futuro Re, il Messia ideale che realizzerà il Regno di Dio. qui s’inserisce la celebre
profezia dell’Emanuele, un signore ideale che dopo la catastrofe inizierà l’era paradisiaca [cfr. Is 7, 10-17].

E tutto proprio come per Maria vergine, giovane donna promessa sposa ad un uomo della casa di david
[cfr. Lc 1, 26], per mezzo della quale la promessa di david trova il suo definitivo compimento [cfr. Lc 1,
32-33]: essa è diventata "la madre del mio Signore" [come in sal 110, 1 è chiamato il re davidico!],
perché la serva di Jahvè ha creduto.
Con Isaia e Michea la teologia della salvezza raggiunge il suo apice, arrivando alla convinzione che la
famiglia reale ha fallito e non potrà sopravvivere. Allora Dio susciterà in davide il germoglio giusto [ cfr.
Ger 23, 5]. E i testi di Qumrân esprimono l’attesa di un Messia "l’unto della giustizia, il germoglio di
Davide", ma esplicitamente politico e nazionale, del tipo zelotico-farisaico dei contemporanei di Gesù.

È interessante notare che dopo l’esilio Zaccaria fonda le sue speranze su Zorobabele che chiama
"germoglio" [cfr. Zac 6, 12], un termine messianico, per indicare un restauratore della dinastia davidica. Il
Messia comunque radunerà i dispersi d’Israele, ma non verrà come guerriero arrogante su un cavallo; la
"figlia di Sion" è invitata a rallegrarsi poiché egli cavalcherà un asino [ cfr. Zac 9, 9] appartenendo al
gruppo degli ‘anawîn’, uomini pii, indigenti e oppressi, ai quali presterà particolare attenzione.

Il Messia-Profeta

Già il Deuteronomio promette un profeta pari a Mosè e suscitato da Dio per manifestare la sua volontà
[cfr. Dt 18,15-18]. Poi, poco prima dell’esilio babilonese (538 a.C.) il ‘Deuteroisaia’ concentra il ministero
profetico nella misteriosa figura del Servo di JHWH, identificato in una persona "rappresentante e sintesi
del destino di una comunità" [ = "corporate personality"].

La missione e la spiritualità del Servo di JHWH è delineata nei quattro carmi deuteroisaiani [ cfr. Is 42, 1-7
investitura; 49, 1-6 vocazione; 50, 4-9 sofferenze; 52, 13-53,12 funzione espiatrice ed esaltazione]. La
missione del Servo è quella profetica, che annuncia la parola e insegna la giusta dottrina, ma insieme è
guaritrice e liberatrice. Pur essendo una freccia acuta e nonostante proclami il diritto con fermezza, egli
realizzerà il suo compito con mitezza, senza alzare il tono. Per due volte è detto "luce delle nazioni" [ cfr.
Is 42,6; 49,6] perché non si limiterà a radunare Israele ma porterà la salvezza fino ai confini della terra.

Il terzo e quarto carme rivelano che la missione del Servo di JHWH è segnata da incomprensioni e
persecuzioni, soprattutto da sofferenza di tipo giudiziale e di ordine fisico: sarà insultato, flagellato,
sputacchiato, reietto, disprezzato e addirittura tolto di mezzo con morte violenta.

Confrontando la vicenda del Servo di JHWH con quella di Gesù, le somiglianze sono evidenti a tal punto
che non si può non rilevare una descrizione ante litteram della passione, morte, sepoltura e risurrezione di
Gesù Cristo, innocente, messo a morte fra atroci sofferenze, e poi risuscitato da Dio per essere causa di
salvezza universale per tutta l’umanità. Anche i dettagli si corrispondono in modo singolare.

Messia-Sacerdote, "Figlio dell’uomo"

Nel contesto della restaurazione del Tempio dopo l’esilio, secondo la grandiosa visione di Ezechiele [ cfr.
capp. 40-48], non saranno più i leviti a celebrare il sacrificio, dato che anche essi come i re si sono
allontanati da Dio seguendo i loro idoli, ma "i figli di Zadok" [cfr. Ez 44, 10.15]. Prima i mediatori di
salvezza saranno i due ulivi, "i due consacrati" [cfr. Zac 4, 14], cioè Zorobabele, unto regale e detentore
del ministero politico, e Giosuè, titolare del ministero cultuale, con pari dignità: "Lo splendore dell’antica
figura messianica si rifrange ora su entrambi" (F. Horst). Poi il sommo sacerdote possiede anche il potere
regale ed è costituito messia in forza dell’unzione [ cfr. Lv 4,3.5.16]. Alla casta zadokica è legato un
"sacerdozio eterno" [cfr. Es 40, 15; Nm 25, 13]. E Qumrân attende il Messia sacerdotale, superiore a
quello davidico, che porterà pace e felicità.
La corrente messianica sacerdotale sfocerà nel mediatore escatologico. Nel libro di Daniele si trova la
figura misteriosa del "Figlio dell’uomo" [cfr. Dn 7, 13-14]. La sua origine è celeste perché appare "sulle
nubi del cielo", ma d’altra parte è intronizzato come un re davidico e Dio gli comunica "un potere eterno
che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto". L’apocalittica apocrifa vede in lui
un personaggio trascendente dotato di mediazione salvifica escatologica, che si manifesta nel giudizio e
nella redenzione universale.

Si può concludere che l’attesa messianica alle soglie del Nuovo Testamento, pur convergendo in alcuni
caratteri, non era uniforme: negli ambienti popolari è viva ancora la speranza messianica legata
all’affermarsi del destino nazionale e politico che vede nel discendente di Davide il protagonista ideale.

Ma questa linea, favorita dall’ortodossia farisaica, risente della lunga evoluzione subita dall’attesa
messianica. Accanto a questi motivi nazionalistici e politici si fa sentire un’istanza religiosa e spirituale che
si trova anche nella presentazione del Messia dei Salmi di Salomone 17-18.

Ma nei circoli più raffinati e religiosamente più sensibili, Qumrân e ambienti apocalittici, l’attesa messianica
è erede della grande speranza escatologica legata al Regno di Dio, dove le figure mediatrici si ispirano
all’ideale profetico e sacerdotale.

Stefano De Fiores

Un linguaggio necessario per la mariologia


Nell’esegesi mariana degli ultimi anni c’è il riconoscimento positivo del "linguaggio
mitologico" nella narrazione sacra, necessario per la teologia come per la mariologia.

La Sacra Scrittura con i suoi circa tremila anni di storia è senza dubbio un documento unico, un
patrimonio dell’umanità di rara bellezza e di inestimabile valore, qualcosa di speciale e straordinario. È una
mole senza pari di informazioni religiose, storiche, "scientifiche", etniche… Anche Maria di Nazareth entra
in questo spazio privilegiato da protagonista, ma è chiaro da subito che Lei non è la protagonista, e tanto
meno l’unica. Ci sono centinaia di personaggi, di epoche prima e dopo di Lei, a partire dal XIV sec. a.C.
fino a giungere al 100 d.C. Senza dimenticare tutta la storia e gli eventi posteriori, fino ai nostri giorni.

La "realtà biblica" e la Vergine Maria

Oggi, a distanza di duemila anni dagli avvenimenti che hanno coinvolto Maria, se vogliamo cogliere "la
realtà biblica" nella sua freschezza e attualità, bisogna innanzitutto rispettare uno dei criteri irrinunciabili
dell’esegesi contemporanea: prendere il testo così come è giunto a noi, così com’è. Non solo Autori del
calibro di Laurentin e Schillebeeck insistono che la piena realtà delle narrazioni sacre è colta quando si
prende tutto il testo biblico nella sua interezza: vivisezionarlo, smembrarlo vuol dire distruggerlo. Inoltre,
la stessa ricerca delle fonti - tanto importante per la comprensione dei testi sacri - va presa con cautela.

Naturalmente, la realtà non significa di per sé sola storicità: Eva e la madre Sion possono essere anche
idealizzazioni, mentre Is 7 e Os 1-2 possono benissimo essere testi storici.
Si nota, però, una certa concretezza nel vocabolario che è estranea alla concezione filosofica greco-
occidentale: così la tenerezza è indissolubilmente legata alle "viscere materne", la grazia agli occhi, la
forza al braccio.

È in questa concretezza che si rivela Dio, senza mai identificarsi con persone o realtà esclusive. Nel
rivelarsi Dio "osserva certe leggi": si rivela parzialmente e ripetutamente (nel padre, nella madre, nella
donna, nel guerriero). Nessun testo esclude l'altro. Tuttavia, ci sono delle punte estreme: il Sinai e il
Golgota.

In questo itinerario della fede, per quanto concerne l’Antico Testamento, si nota un’evoluzione,
un’apertura al futuro riscontrabile pure in Genesi-Osea-Isaia [cfr. Westermann, Fredmann, ecc.]. Nel
Nuovo Testamento, invece, appare un senso di ritorno al passato. Così nel Magnificat, mentre Maria
spinge lo sguardo in avanti, i poveri si rispecchiano nella sua immagine; mentre Cana è rivolta al Golgota,
Giovanni ritorna al Golgota dove scopre Maria madre.

Opportuna distinzione tra mistero e mito

Nonostante l’energica esclusione del mito dalla Bibbia, sia nella concezione verginale di Maria come nella
madre che geme del libro dell’Apocalisse, al capitolo 12 [Bergmeier afferma che la donna vestita di Sole
non è tratta da Iside, ma dalla figura della figlia di Sion], non si può non tenere conto che la donna che
schiaccia la testa al serpente è una figura già presente in Ugarit; la Vergine-Madre di Isaia è preceduta
dalla Vergine Anat che genera, e prima dell'Apocalisse vi è Iside rappresentata con il mondo sotto i suoi
piedi e il sole che la trasfigura in un mito celeste.

Per questo, non si può rigettare a priori quanto alcuni studiosi in questi ultimi anni hanno scritto: che non
solo noi oggi viviamo di miti, ma che il mito è un linguaggio necessario anche per la teologia e l’esegesi, e
a maggior ragione per la mariologia.

"Nulladimeno, conviene che distinguiamo tra mistero e mito. Il mito è un linguaggio, mentre il mistero è la
realtà profonda della fede. Il mito è un’ermeneutica della storia. Perciò i misteri di Maria si esprimono più
adeguatamente per mezzo di simboli e miti, che per mezzo della razionalità teologica. La realtà di Maria è
tanto feconda e tanto fondamentale che attrae a sé quasi tutti i miti luminosi della nostra archeologia
interiore" (L. Boff).

Prima di scivolare nella difficile discussione a favore o contro il mito nella Bibbia, bisogna aver chiaro
alcune distinzioni. Il mito utilizzato nella filosofia e nel razionalismo è ben diverso e distinto da quello
cosiddetto cristiano, che è basato sulla realtà storico-rivelata. La distinzione è fondamentale: vi è un mito
che entra nella storia e c’è una storia che diviene mito.

È necessario impostare bene il problema, distinguendo tra miti antichi e fede biblica. Con la distinzione
"mito dall’alto e mito dal basso", si mostra come è inutile dire che fuori della Bibbia si vive di mito, mentre
l’uomo biblico e post-biblico vive di storia e di fede: mito, storia, fede, non sono termini esclusivisti.

Tuttavia, quando si giunge a parlare dell’adombramento di Maria, l’autore nota che Luca si scosta dal
vocabolario della sessualità per immergersi invece in quello dell’ineffabilità (e storicità) dello Spirito Santo.

Sarebbe poi tutto un mondo letterario da studiare, se le nozze di Cana e la donna sul Golgota si
riallacciassero non solo alla madre Sion, ma tenessero anche in considerazione che a Efeso c’era Cibele-
Artemide, e le fontane che versano vino sono ben conosciute in Asia Minore. Questo sia detto supponendo
un genere storico nelle due scene giovannee, che garantisce la presenza della rivelazione del Verbo che,
espressa in Maria, viene poi riscoperta sotto le fattispecie dei miti insiti nella cultura mediterranea.
Il fondamento storico dei "montaggi teologici"

In alcuni Autori si può notare con curiosità che, mentre da una parte si sforzano per escludere il mito, poi
fanno di tutto per dire che Maria non ha fatto nessun voto di verginità. Obbligati però, per fede, ad
ammettere la verginità, allora escogitano lo stratagemma di "montaggi teologici" realizzati da Luca; di un
chiaro influsso del testo di Matteo sulla verginità lucana ante partum, ecc.

Anche chi ammetta che c’è un voto di verginità in Lc 1, 34 lo attribuisce a una teologizzazione di Luca
basata sulla realtà storica per cui Maria è sempre stata vergine. Oppure si attribuisce la domanda
all’Angelo Gabriele ["com’è possibile, non conosco uomo…"] al desiderio di sapere chi sarà il padre
(Stock).

Se non si avesse una grande stima di questi esegeti cattolici, si potrebbe dire che qui si sta prendendo in
giro la Bibbia. Il testo del v. 34 c’è; e non può essere preso che come una conferma della condizione
verginale di Maria. Infatti:

1] Letterariamente, tutto sta bene nel testo [saluto, turbamento di Maria, chiarimento dell’Angelo: "sarai
madre"; dal divenire madre si passa all’obiezione: "non conosco uomo"; dall'azione dello Spirito si giunge
al sì fiducioso].

2] Storicamente, nessuna nascita miracolosa dell’Antico Testamento spiega l’obiezione del "non-conosco"
[Anna in particolare è stata "conosciuta" prima di avere Samuele, cfr. 1Sam 1, 19]: l’interrogazione è
storicamente ingenua se questa "promessa sposa" di Giuseppe vuol sapere chi è o sarà il padre; invece è
chiara se la giovane ha una difficoltà reale davanti a Dio, poiché sarebbe paradossale e grave che il
Giuseppe raccontato dall’evangelista Matteo ne sapesse di più di Maria circa la sua verginità. In
conclusione, è vero che lo "storico" Luca costruisce teologicamente il suo Vangelo, ma si può parlare di
"montaggi teologici" solo a patto che siano fatti fondati veramente sulla storia.

Giuseppe Daminelli

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