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Gli Esseni

Published on 23 novembre 2013 | Leave a response

Widmer Lanzoni Socio indipendente della Società


Teosofica Italiana

Erano comunità o confraternite iniziatiche, molte di tipo monastico, organizzate generalmente su una
cerchia esteriore e una cerchia interiore più ristretta, come le comunità pitagoriche. Le comunità
essene furono presenti in Palestina fra il II secolo a.C. ed il I secolo d.C., e scomparvero con la
sanguinosa guerra giudaica. I loro monasteri, piccoli o grandi, erano in genere nei pressi dei centri
minori. Si tenevano lontano dalla società e vivevano nel lavoro, nello studio, nella preghiera, nel
silenzio, osservando strettamente il riposo sabbatico e le regole di purezza. Il loro obiettivo era
conseguire il governo e il dominio delle passioni per mezzo di una vita ascetica. Disprezzavano il
danaro e si ispiravano più allo spirito della Legge della Torah che alle sue apparenze. Si
chiamavano Figli della Luce o Figli del Padre di Vita. Al momento dell’iniziazione ricevevano una
semplice tunica bianca senza cuciture da indossare durante gli esercizi ed i riti. Gli iniziati erano
indicati come vivi ed i non iniziati come morti mentre iniziare qualcuno era indicato cometramutare
l’acqua in vino.

La prima comunità essena, austera e mistica, fondata da un non ben identificato Maestro di Giustizia,
comparve già nel III secolo a.C., al tempo degli Asmonei e dei Maccabei, per combattere il dominio
siriano. Furono i principali portatori dell’ideale messianico e, pertanto, ostili ad ogni dominazione
straniera. Dopo la cacciata dei siriani, gli Esseni, spiritualisti, nazionalisti, ostili ai sacrifici di animali,
abbandonarono Gerusalemme per protesta contro la gerarchia ecclesiastica ed il suo modo di
governare il Tempio che, secondo loro, avrebbe portato ad una crisi spirituale per la crescente
influenza del potere straniero. Gli Esseni, abbandonata Gerusalemme ed anche le città più grandi,
dove la corruzione stava secondo loro dilagando, si rifugiarono in piccoli centri. Alcune comunità si
stabilirono anche nel deserto, forse perché una parte degli Esseni abbandonò il principio della non
violenza e, nel deserto, essi si prepararono militarmente a combattere per cacciare lo straniero. Ma in
genere le comunità lavorarono sempre a preparare l’avvento del Messia secondo le profezie di Isaia.
La religiosità ascetica essena, impregnata di patriottismo, ebbe un largo seguito; i suoi insegnamenti si
diffusero ed ebbero una grande importanza nel popolo di Israele, soprattutto fra nazirei e zeloti. Gli
Esseni inoltre s’impegnavano ad osservare sempre la giustizia astenendosi da giudizi frettolosi,
avventati o temerari.

Il loro numero fu sempre molto limitato; il totale dei componenti di tutte le comunità essene
probabilmente non andò mai oltre i quattromila. Ma la loro importanza non fu nel numero bensì nella
grande influenza che esercitarono sulla società del loro tempo. Furono oppositori decisi del potere
straniero.

Una delle comunità più note fu quella di Qumran, chiamata anche Deserto o Damasco. Era presso le
rive occidentali del Mar Morto, in località El-Khalil (l’Amico) dove sembra fosse stato sepolto
Abramo, Amico di Dio, che, come riporta l’Antico Testamento, s’incontrò con il faraone d’Egitto per
scambiarsi vicendevolmente le rispettive conoscenze di sapienza sacra.

L’essenismo rifiutò la cultura ellenica, anche se fra gli Esseni era presente una forma di gnosi che
sembrava richiamarsi alla così detta gnosi positiva dell’antico Egitto, da cui probabilmente derivava. Il
loro modo di vivere e la tendenza al misticismo li avvicinavano ai Profeti. Erano considerati rigidi
osservanti dello spirito della legge mosaista, al pari dei nazirei, coloro cioè che avevano fatto voto di
nazireato, voto fatto pure da un buon numero di Esseni, specie fra gli esponenti più alti.

Esseni furono chiamati anche i primi seguaci di Gesù. Il rabbi fu uno dei maggiori esponenti delle
comunità esseniche. Egli aveva fatto anche il voto di nazireato e vestiva una tunica bianca senza
cuciture. Qualche Vangeloapocrifo riporta elementi della sua predicazione, insegnamenti sulla
funzione della libertà, condizione utile e necessaria per l’evoluzione dei singoli e dei popoli. Lo si
dovrebbe chiamare Gesù il nazireo e non il nazzareno perché la città di Nazareth non esisteva ancora ai
suoi tempi. Fu infatti fondata alla fine del I secolo d.C., almeno sessanta o settant’anni dopo la
crocifissione. Questo conferma l’ignoranza dei tre evangelisti sinottici, non ebrei, non al corrente di
leggi, usi e costumi della Palestina di cui non conoscevano neppure la geografia.

Il futuro rabbi sembra sia stato educato prima in una comunità essena della Giudea, forse per entrare
poi nel monastero del monte Serbal. Successivamente compì un pellegrinaggio in Egitto, ritenuto la
Terra Madre di tutti i Misteri.

Il rabbi Jehoshua ben Joseph predicò pubblicamente il concetto di Amore, già sviscerato, praticato e
seguito nelle comunità essene. Lo stesso rabbi predicò alle masse ilDiscorso della Montagna, parte
importante della religiosità delle comunità esseniche. La gnosi essena influenzò direttamente o
indirettamente la comunità di discepoli e seguaci di Gesù a Gerusalemme, comunità guidata dopo la
morte di Gesù dal fratello Giacomo il Giusto, lui pure esseno e nazireo.

Oltre la tunica candida per le riunioni, ciascun esseno aveva un grembiule con appesa alla cintura una
paletta. Essa serviva per sotterrare i propri rifiuti organici e restituire alla terra ciò che del corpo
umano è terrestre, senza tuttavia esporre alcunché di sudicio alla luce del sole. Dopo aver soddisfatto i
bisogni corporali era di rigore lavarsi accuratamente. Abluzioni frequenti con acqua fredda erano tutto
quello che gli Esseni usavano per l’igiene personale; rifiutavano qualsiasi unguento perché grasso e
olio isolavano il corpo dall’ambiente cosmico che l’attorniava. Rifiuto interamente condiviso dai
nazirei.

Morigerati, sobri, silenziosi, con l’abitudine di far obbedire il corpo alla propria volontà, evitavano
eccessi, impazienze e tendevano alla tranquillità ed alla pace nella maggior possibile libertà. La loro
vita era di carattere monastico, sia nelle comunità come nei monasteri. Si chiamavano fratelli e fra loro
vigeva la comunanza dei beni, non esisteva la proprietà privata. Chi lavorava fuori della comunità
versava i propri proventi alla cassa comune amministrata dal Maestro della comunità o del monastero.
Nei monasteri ognuno aveva la propria cella mentre refettorio e locale per pregare erano in comune. Il
Maestro della comunità provvedeva al bisogno di tutti. Ci racconta Filone: Un esseno in viaggio
quando arriva in un monastero trova tutto ciò che gli occorre; egli non è considerato un forestiero di
passaggio ma un amico intimo, un fratello membro di quella stessa comunità. Gli Esseni avevano punti
di accoglienza quasi in ogni villaggio; praticamente una rete che dava la possibilità di raccogliere
notizie ovunque e di essere assistiti in ogni luogo.

Anche il primo nucleo di seguaci di Gesù, costituito a Gerusalemme da apostoli e discepoli, aveva la
comunione dei beni e della mensa, come si evince dalla lettura della prima metà degli Atti degli
Apostoli.

Gli Esseni ignoravano il commercio, erano in gran parte dediti all’agricoltura ed a lavori artigianali,
rifiutavano di costruire armi se non a scopo di difesa. Alcuni storici però negano che si dedicassero a
lavori agricoli.

Non tutti praticavano il celibato, forse solo una ristretta cerchia interiore: non c’era un apposito rito
matrimoniale ma le coppie si univano more uxorio dopo avere pubblicamente proclamato davanti a
Dio il loro amore in una assemblea della comunità. L’unione carnale era soprattutto finalizzata alla
continuità della specie. Sembra infatti che al momento in cui la donna rimaneva incinta i rapporti
cessassero, almeno temporaneamente.

Gli Esseni avevano un proprio calendario, una propria casta sacerdotale, avevano conoscenze di
astrologia e di magia, pervenute loro probabilmente dall’Egitto, ed altre conoscenze di carattere
scientifico, specie nel campo della genetica. Il calendario esseno prevedeva un anno di 364 giorni, con
dodici mesi di cui otto erano di 30 giorni e quattro di 31.

In tutte le comunità esseniche vigeva la stessa severa regola, e l’obbedienza era assoluta per neofiti,
iniziati e maestri a qualsiasi livello. La vita in comune era finalizzata al lavoro, allo studio ed alla
meditazione, anticipando di secoli la regola benedettina. Lo studio era soprattutto ricerca esoterica
interiore e sperimentazione per sviluppare la propria spiritualità. Viene dagli Esseni il concetto che la
libertà è indispensabile per lo sviluppo della personalità umana a tutti i livelli, e quello conseguente
che la propria salvezza è soprattutto opera di se stessi.

La giornata cominciava con antichissime preghiere (forse di origine egizia), recitate all’alba in direzione
del sole sorgente, simbolo visibile del Padre celeste, l’Altissimo. Si pregava l’Altissimo per essere
illuminati dalla Luce dello Spirito e per avere una buona giornata, specie dal punto di vista spirituale. Il
culto esseno era di carattere solare, in quanto il sole era considerato simbolo e diretta espressione
dell’Altissimo, padre materiale e spirituale di tutto il creato, che illuminava per mezzo della luce del
sole corpi e anime.

Si mettevano poi al lavoro o allo studio delle Scritture Sacre. Il Libro di Enoch era tenuto in gran conto
per una particolare presentazione dell’Altissimo: Signore degli Spiriti = Padre; Eletto (o figlio della
Donna) = Figlio; Altra Forza = Spirito Santo o Madre. Nello studio usavano il metodo allegorico. Loro
massima ed unica gloria: la conquista del benessere spirituale.

A mezzogiorno e a sera i fratelli si riunivano per le abluzioni rituali, indossavano la bianca tunica senza
cuciture e nel refettorio ognuno occupava in silenzio il posto che gli competeva secondo l’anzianità.
Non erano vegetariani o astemi. Nel refettorio si entrava con lo stesso rispetto con cui si entrava nel
locale dove si svolgeva il culto. Il fratello fornaio metteva il pane davanti a ogni fratello ed il cuciniere
porgeva a ciascuno la ciotola con la pietanza. Il Maestro della comunità guidava la recitazione di una
preghiera all’Altissimo, recitata da tutti ad alta voce, poi benediva gli alimenti. Nessuno poteva
assaggiare qualcosa prima della benedizione. Dopo il pasto si recitava una preghiera di ringraziamento
all’Altissimo, sempre sotto la guida del Maestro.

Erano momenti di preghiera e festività: 1. levata, tramonto del sole, inizio e fine dei pasti; 2. inizio
delle 4 stagioni (solstizi ed equinozi); 3. novilunio (inizio del mese); 4. il giorno sacro di ogni mese; 5.
inizio dell’anno; 6. anno sabbatico; 7. anno del giubileo.

Le virtù praticate erano soprattutto: la verità, la probità, la cortesia, la giustizia, l’onestà, l’umiltà e
l’amore. L’osservanza scrupolosa delle regole sviluppava le virtù individuali e sociali. Essi erano
morigerati, sobri, silenziosi. L’uso costante della virtù dava loro il potere di fare obbedire il corpo alla
propria volontà. Evitavano ogni eccesso, ogni moto impaziente, tendendo alla pacificazione del proprio
animo e dell’animo altrui.

L’esseno rifiutava per principio la schiavitù perché tutti gli uomini sono liberi per natura e la libertà è
una condizione essenziale per lavorare alla propria evoluzione. Gli schiavi non possono essere iniziati:
l’iniziazione dà frutti solo se si è liberi. L’esseno giurava una volta sola, nel momento della sua
iniziazione al primo grado. Dopo il giuramento la sua parola sarebbe sempre stata ritenuta veritiera,
senza bisogno di altri giuramenti.

Dalle Scritture gli Esseni ricavarono il concetto che la religione di Israele avrebbe subito un profondo
cambiamento: il Signore avrebbe messo alla prova il suo popolo e, superata la prova, sarebbe stata
stabilita una nuova alleanza fra Israele e il Signore per mezzo del Messia, un unto della casa di Davide.
Egli avrebbe ridato vita al regno di Israele, regno del Signore.

Molte sono le informazioni ricevute dai rotoli ritrovati nelle grotte presso Qumran nel 1947.
I Manoscritti o Rotoli del Mar Morto ci danno il concetto di due esponenti delle comunità ai massimi
livelli. Un esponente regale, il futuro Messia ed un esponente sacerdotale. Questa struttura bicefala al
vertice dell’essenismo sembra ricalcare l’esempio egizio con il faraone e il gran sacerdote. È lo stesso
simbolismo delle due colonne. L’esponente regale della stirpe di Davide avrebbe guidato il popolo alla
riconquista della libertà, l’esponente sacerdotale avrebbe curato lo spirito con una corretta gestione
del Tempio e della religiosità popolare per rigenerare il popolo e renderlo degno della libertà.

Gli Esseni osservavano le 613 regole di purezza della Torah, e ritenevano gli angeli delle entità
spirituali minori, espressione della potenza divina a livelli più vicini alla materialità delle forme. Fedeli
alla tradizione rifiutavano l’ebraismo convenzionale e interpretavano le Scritture, e specialmente il
messianesimo, in chiave simbolica ed esoterica e non come verità storica. Celebravano la Pasqua il
mercoledì e non il sabato.

Credevano nella resurrezione sia spirituale che fisica dei morti: il Signore renderà nuovamente la vita
ai defunti del suo popolo; credevano nell’immortalità dell’anima e in un sistema retributivo nell’aldilà,
con molte variabili comuni alle credenze gnostiche. Nel modo di credere esseno era presente una
forma di dualismo, con assonanze che si ritrovano nelle successive comunità gnostiche cristiane.
Ritenevano che ognuno portasse in sé la corruzione penetrata nell’animo umano in epoca anteriore
per 42 generazioni. Tale corruzione impediva la visione dell’Essere che aveva portato ad Abramo il
soffio della riabilitazione. La sua influenza poteva cessare dopo 42 generazioni con una serie di esercizi
di purificazione: un percorso ascetico molto severo per portarsi, gradino dopo gradino, fino
alla catarsi provocata dal compimento della purificazione del sangue, con riferimento al patto fra JHVH
ed Abramo. 42 gradini per l’uomo per salire a Dio. Anche la divinità avrebbe sceso 42 gradini
per umanizzarsi. Era l’attesa del Messia o Emmanuel, un’entità divina molto alta, che doveva scendere
i famosi 42 gradini per incarnarsi nell’umanità, come aveva predicato un giovane, un certo Jehoshua
figlio di Pandira, da non confondere con il rabbi Jehoshua ben Joseph (Gesù figlio di Giuseppe). Il
giovane fu lapidato dai farisei per bestemmia. Non per eresia, concetto estraneo alla cultura di Israele
in quanto ogni rabbi era libero di interpretare le Sacre Scritture come riteneva più opportuno. La
bestemmia invece era punita con la lapidazione.

Il rabbi Gesù aveva percorso l’intera scala delle 42 generazioni e si era purificato al punto d’aver
ricevuto il più alto grado d’iniziazione nel sistema degli Esseni. Nel culto esseno non mancavano
riferimenti a elementi di culti solari ed anche al pensiero pitagorico. Infatti mentre presso gli ebrei
l’immortalità dell’anima fu un concetto accettato fra il I secolo a.C. e il II secolo d.C., gli Esseni fin dal
principio cedettero nell’immortalità dell’anima, in conformità con il pensiero pitagorico: il corpo come
prigione dell’anima.

Trattando le condizioni del popolo di Israele si deve sempre tenere presente che l’autorità religiosa era
inscindibile da quella politica, perché della loro religione gli ebrei hanno sempre privilegiato il
carattere particolarmente nazionale e patriottico, trascurandone purtroppo l’aspetto ed il respiro
universale.

La pratica religiosa unita alla meditazione favoriva la progressione spirituale e gradualmente portava a
conoscenze misteriche sempre più profonde, conoscenze che potevano essere accompagnate anche
da poteri.Conoscitori di tecniche terapeutiche e della forza risanatrice del pensiero e della preghiera,
avevano la fama di guaritori e probabilmente erano in contatto con lacomunità dei
Terapeuti dell’Egitto, e con altre comunità analoghe. Il loro pensiero, con una chiara impronta
monoteistica mosaista, aveva analogie con il pitagorismo e il caldeismo, il tutto amalgamato da un
messianismo, sentito come avvenimento che si stava avvicinando. Si entrava nella comunità per scelta
personale e in età adulta. Dopo un periodo di prova ed un successivo colloquio preliminare, il
candidato poteva essere accettato se aveva dimostrato una discreta conoscenza della Torah. Seguiva
poi la votazione dei membri della comunità e il superamento delle prove di ammissione.

La prima prova di iniziazione era il battesimo, con cui entrava a far parte della comunità. È probabile
che prima del rito di iniziazione il candidato, a dimostrazione della propria volontà di migliorarsi e di
evolversi, facesse una confessione pubblica dei propri errori e delle proprie mancanze. Così era
previsto anche nella tradizione egizia del culto di Iside, al quale la tradizione essena sembra spesso
ispirarsi. Il rito d’iniziazione era celebrato con solennità ed il neofita era immerso totalmente
nell’acquaper tre volte. Egli s’impegnava a non divulgare quello che sapeva o che avrebbe saputo sulla
vita e l’organizzazione della comunità e a non rivelare il nome degli angeli (nomi di potenza?). Gli
veniva quindi consegnata una bacchetta d’oro con due alette, appena accennate, simbolo che
richiamava l’ascia bipenne cretese, le cui ali indicavano Amore e Conoscenza, le ali che permettevano
all’iniziato di innalzarsi verso l’Altissimo, come nella scuola pitagorica. Il neofita s’impegnava
all’adorazione della Divinità unica, alla giustizia verso tutti ed all’astensione da ogni giudizio temerario
od avventato.

Il battesimo non è mai stato nella tradizione ebraica e, fra gli ebrei, lo si trova soltanto nelle comunità
esseniche. Anche se non se ne sa molto. Ma Giovanni Battista, pure lui esponente esseno ai massimi
livelli, era cresciuto in Egitto dove probabilmente le comunità ebraiche avevano assorbito elementi
importanti della religiosità egizia, come ad esempio il battesimo, presente nel culto e nei misteri di
Iside. Il rito pubblico per il battesimo di Gesù, se effettivamente ci fu un battesimo pubblico come
narrano le Scritture canoniche cristiane, fu probabilmente un atto di propaganda. Gesù era un maestro
esseno allo stesso livello di Giovanni ed era stato battezzato quando era stato accettato dalla sua
comunità. La colomba che appare nei racconti canonici è un simbolo egizio del culto di Iside. Come la
frase che riconosce nel battezzato il proprio figlio, altra caratteristica del battesimo isiaco.

Nelle comunità esseniche non erano ammessi coloro che non erano nel pieno possesso delle proprie
facoltà mentali, coloro che avevano difetti fisici agli arti, chi mostrava segni di percosse o macchie
d’infamia sulla pelle e gli anziani incerti sulle gambe. Il celibato, anche se era preferito, non era
tuttavia uno status imprescindibile. Anche perché i rabbi seguivano la tradizione ebraica che imponeva
loro l’obbligo del matrimonio. Gli Esseni credevano nella reincarnazione e nella presenza immanente
della Divinità nella Creazione in quanto la Creazione è la manifestazione della Divinità stessa.

Dopo un periodo probatorio e un esame per accertare se la conoscenza della Torah si era
approfondita, l’esseno iniziato al primo livello era ammesso al secondo, previo abbandono delle
proprie ricchezze personali a favore della comunità, se non l’aveva già fatto. Generalmente non
progrediva oltre. L’accesso al terzo livello, considerato il consiglio segreto della Comunità, era
consentito a pochi con le qualificazioni necessarie. Eventualmente si verificava dopo un lungo periodo
di permanenza nel secondo livello. Il calice d’oro rappresentava l’iniziazione suprema e il vino della
vigna del Signore era l’aspirazione divina.
Indubbiamente gli Esseni, e in particolare le comunità di Qumran, furono d’ispirazione al movimento
zelota. Tutto fu poi spazzato via dalla sanguinosa Guerra Giudaica, ritenuta da molti storici una delle
più terribili nella storia degli uomini, in cui entrambi i contendenti si superarono a vicenda in crudeltà
e ferocia. Ciò che eventualmente poté sopravvivere alla guerra fu poi estirpato dalle repressioni e dalla
definitiva diaspora che l’imperatore Adriano fu costretto ad imporre agli ebrei nel 135 d.C. dopo altre
rivolte contro il potere romano.

Comunque gli Esseni, con le loro radici egizie, possono essere considerati i precursori di un tipo
di cristianesimomolto differente da quello divulgato e organizzato da Paolo Saulo di Tarso, ebreo
fariseo per nascita ma per nascita anche civis romanus. Il cristianesimo di Paolo è il cristianesimo
romano che con Costantino arrivò al potere e, dimentico dell’amore predicato da Gesù, ha per secoli
perseguitato, incarcerato, deportato o bruciato chi gli ha fatto ombra.

L’origine del nome esseno viene forse da Osin (esecutore della volontà di Dio). Ma potrebbe anche
venire dal grecoEssanoi o Essenoi. C’è anche da tener conto di Hasidim(proveniente da Hesed =
misericordia). Erano anche chiamati Figli di Sadoq e quindi con la stessa origine dei sadducei. Un primo
loro nucleo potrebbe proprio essersi staccato dalla comunità sacerdotale quando gli Asmonei
associarono la carica di sommo sacerdote a quella regale, e la resero ereditaria.

Le comunità esseniche influenzarono le rivolte contro i romani, specie gli zeloti che nel I secolo
seguirono Giacomo il Giusto, fratello e successore del rabbi Gesù. Morto Giacomo gli zeloti seguirono il
successore Simone il Cananeo o zelota, altro fratello di Gesù e Simone bar Cleofa, cugino del rabbi. Il
deserto, importante per l’isolamento e le meditazioni in particolari momenti della vita, ebbe poi anche
la grande importanza di campo di addestramento per preparare i combattenti contro lo straniero.

Con la distruzione conseguente alla Guerra Giudaica, i gruppi di seguaci del rabbi Gesù furono distrutti:
migliaia di impalazioni e crocifissioni fra i prigionieri, dispersi e perseguitati gli altri, scomparirono i
discendenti dei discepoli diretti.

I sacerdoti di Demetra del grande tempio di Efeso in Asia Minore si chiamavano Esseni. Esseno in
siriaco significasanto. Nella metodologia essena c’è, in comune con ilbuddismo, la perfezione raggiunta
attraverso la rinuncia e il sacrificio. Alcune caratteristiche esseniche furono comuni tanto al
monachesimo cristiano quanto a quello buddista. Furono apprezzati da Giuseppe Flavio che li
paragonò ai pitagorici.

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