Sei sulla pagina 1di 679

km 10/95 3 km 10/96 3 km 10/97 3 km 10/98 4

A
Aaronne Tema: Rimanete fedeli nonostante le debolezze umane
Abdia (n.4) Tema: Siate intrepidi e mostrate amore ai servitori di Dio
Abednego Tema: Giovani, onorate Geova con la vostra lealtà
Abele Tema: La fede che Dio gradisce
Abiatar Tema: La slealtà può vanificare anni di fedele servizio
Abigail Tema: Qualità che onorano Geova
Abisai Tema: Siate leali a quelli che prendono la direttiva
Abiu Tema: La preminenza non giustifica la disubbidienza
Abner Tema: Quelli che prendono la spada periranno di spada
Abraamo Tema: Vivere per fare la volontà di Dio
Absalom Tema: Egoismo e ambizione portano alla rovina
Il re Acab Tema: Non può esserci pace per i malvagi
Acan Tema: Chi deruba Dio va incontro a tragiche conseguenze
Il re Acaz Tema: L’idolatria fa incorrere nel disfavore divino
Adamo Tema: Perché dobbiamo mettere Dio al primo posto nella nostra vita
Agar Tema: Una schiava e il suo ruolo profetico
Aggeo Tema: Perseverate nel compiere la volontà di Dio
Ahitofel Tema: Geova frustra le trame dei traditori
Aman Tema: Orgoglio e odio contraddistinguono i figli del Diavolo
Amnon Tema: L’amore erotico basato sull’egoismo porta alla rovina
Anna Tema: La devozione altruistica reca benedizioni
Anun (figlio di Naas) Tema: Attenti a giudicare i motivi altrui!
Aquila Tema: Predicate con zelo e siate ospitali
Il re Asa Tema: Zelanti per la pura adorazione
La regina Atalia Tema: L’influenza di Izebel, un pericolo da cui guardarsi
Azael Tema: Uno spietato oppressore adempie una profezia biblica

B
Balaam Tema: L’avidità acceca
Baldassarre Tema: Imparate l’umiltà per non andare incontro alla rovina
Barnaba Tema: Siate cordiali e generosi nel vostro ministero
Baruc
(segretario di Geremia) Tema: Servite Geova per altruismo
Betsabea Tema: I trasgressori pentiti possono ottenere il favore di Dio
Boaz Tema: Siate moralmente puri e accettate la vostra responsabilità dinanzi a Dio

C
Caino Tema: Il modo in cui reagiamo ai consigli rivela molto della nostra personalità
Caleb
(figlio di Iefunne) Tema: Geova rende potenti coloro che lo seguono pienamente
Cam Tema: La mancanza di rispetto può avere tristi conseguenze
Ciro Tema: La parola di Dio si avvera sempre
Cora (n. 3) Tema: Non cedete all’invidia
Cornelio Tema: Geova Dio non è parziale

D
Daniele
(profeta di Dio) Tema: Geova benedice la devozione resa con tutta l’anima
Davide Tema: Giovani, preparatevi ora per servire Geova coraggiosamente
Debora
(la profetessa) Tema: Donne fedeli lodano Geova
Dina Tema: Le cattive compagnie possono avere tragiche conseguenze
Doeg Tema: Guardatevi da quelli che amano il male

E
Ebed-Melec Tema: Siate intrepidi e onorate i servitori di Geova
Eleazaro
(figlio di Aaronne) Tema: Rimanete saldi nel servire Geova
Eli
(il sommo sacerdote) Tema: Il permissivismo disonora Dio
Elia (il profeta) Tema: Non sottovalutate il potere della preghiera
Elifaz (il temanita) Tema: Geova odia la lingua falsa
Elisabetta Tema: Temete Dio e siate irriprovevoli
Eliseo Tema: Abbiate profondo rispetto per i servitori di Geova
Eliu
(figlio di Barachel) Tema: I veri amici dicono la verità
Enoc
(figlio di Iared) Tema: Camminate con Geova
Epafra Tema: Pregate per i fratelli e prodigatevi per loro
Epafrodito Tema: Tenete cari gli uomini fidati
Erode il Grande Tema: Dalle opere di un uomo si capisce chi sta servendo
Erode Antipa Tema: Le conseguenze di un’empia ambizione
Erode Agrippa I Tema: Ipocrisia e orgoglio conducono alla morte
Erode Agrippa II Tema: Per avere il favore di Dio non basta la curiosità intellettuale
Erode Filippo e
Filippo il tetrarca Tema: Intrighi di famiglia e posizione mondana sono vanità
Erodiade Tema: Inseguire la preminenza è una follia
Esaù Tema: Le nostre decisioni rivelano se apprezziamo le cose sacre
Esdra
(sacerdote aaronnico) Tema: Abbiate zelo per la pura adorazione
Ester Tema: Come si manifesta la vera bellezza
Eud
(figlio di Ghera) Tema: Geova libera il suo popolo
Eunice Tema: Un esempio per le madri cristiane
Eva Tema: Rispettate l’autorità teocratica
Ezechia
(re di Giuda) Tema: Fede e zelo non sono caratteristiche ereditarie
Ezechiele Tema: Come rimanere liberi dalla colpa del sangue

F
Febe Tema: Difendete i fratelli con coraggio
Felice Tema: Giuste o corrotte, le autorità superiori vanno rispettate
Festo Tema: Risultati di un’intrepida testimonianza
Filippo (n.1) Tema: Usate tatto e siate prudenti
Filippo (n. 2) Tema: Siate persone spirituali
Fineas (n.1) Tema: Mostrate decisione a favore di ciò è giusto
Fineas (n.2) Tema: Non mancate mai di rispetto a Geova

G
Gabriele Tema: Trasmessi fedelmente i messaggi di Dio
Gazzella
(cristiana di Ioppe) Tema: I veri cristiani abbondano in opere buone
Gedeone Tema: Dio approva chi è fedele e modesto
Geremia (n. 6) Tema: Geova dà potenza oltre ciò che è normale
Geroboamo (n. 1) Tema: L’ambizione egoistica può portare all’idolatria
Gheazi Tema: Il vostro cuore sia libero da avidità e inganno
Ghedalia
(figlio di Aicam) Tema: Quando viene dato un avvertimento bisogna prendere delle precauzioni
Giacobbe
(figlio di Isacco) Tema: Siate irriprovevoli e perseguite mete spirituali
Giacomo
(figlio di Zebedeo) Tema: Siate zelanti seguaci di Cristo
Giacomo (figlio di
Giuseppe e Maria) Tema: Mai perdere la speranza che i familiari accettino la verità
Gioab (n. 2) Tema: La vendetta appartiene a Geova
Giobbe Tema: L’incrollabile integrità reca il favore di Geova
Giona (n. 1) Tema: Adempite le responsabilità che Dio vi ha affidato
Gionadab
(figlio di Recab) Tema: Sostenete lealmente quelli che prendono la direttiva
Gionatan (n. 1) Tema: Guardatevi dall’egoismo
Gionatan (n. 2) Tema: Un vero amico è altruista e leale
Giosafat (n. 3) Tema: Guardatevi dalle cattive compagnie
Giosia (n. 1) Tema: Mantenetevi puri dall’idolatria
Giosuè (n. 1) Tema: Non dubitate mai delle promesse di Geova
Giovanna Tema: Servite premurosamente i santi di Dio
Giovanni (n. 1) Tema: Compite con zelo il vostro ministero
Giovanni (n. 3) Tema: Siate leali a Dio e amate i fratelli
Giuda, I (n. 1) Tema: Qualità che Geova benedice
Giuda, I (n. 12) Tema: Le persone possono cambiare
Giuda
(parr. 2-4 della voce
Giuda, Lettera di) Tema: Siate modesti, non cercate la preminenza
Giuda Iscariota Tema: Non siamo predestinati
Giuseppe (n. 1) Tema: Manifestate le qualità dell’uomo spirituale
Giuseppe (n. 8) Tema: Siate ubbidienti e giusti
Giuseppe (n. 9) Tema: Non rinunciate alla speranza che i vostri parenti accettino la verità
Giuseppe (n. 10) Tema: Siate coraggiosi e vincete il timore
Golia Tema: Confidate in Geova, non nella vostra forza

H
Hiram (re di Tiro) Tema: I vicini amichevoli possono essere utili
Husai Tema: Un amico leale agisce intrepidamente

I
Iael Tema: Un’azione coraggiosa e decisa adempie una profezia
Iafet Tema: Agire in modo rispettoso reca benedizioni
Iairo Tema: Esercitate fede in Gesù Cristo
Iedutun
(musicista levita) Tema: Lodate Geova con la musica
Iefte Tema: I voti vanno presi seriamente
Ieoiada
(sommo sacerdote) Tema: Promuovete la vera adorazione con saggezza e coraggio
Ieoram (figlio di Acab) Tema: Chi è senza fede non può aspettarsi la benedizione di Dio
Iesse Tema: Collaborate e abbiate uno spirito generoso
Iesua (n. 4) Tema: Sostenete pienamente la pura adorazione
Ietro Tema: Non siate troppo orgogliosi per ascoltare i suggerimenti
Ieu (n. 3) Tema: Lo zelo può essere rovinato dal permissivismo
Imeneo Tema: Guardatevi dagli apostati!
Ioanan (n. 5) Tema: Seguite il consiglio di Geova
Ioas (re di Giuda) Tema: Rispettate tutti i fedeli servitori di Geova
Ioas (re di Israele) Tema: Geova non benedice chi agisce con scarsa convinzione
Iochebed Tema: Fate del vostro meglio e confidate in Geova
Ioiachim Tema: Nulla può impedire l’adempimento della parola di Dio
Ioiachin Tema: La parola di Geova non viene mai meno
Iotam (n. 3) Tema: Imparate dagli errori altrui
Isacco Tema: L’ubbidienza rivela la qualità della fede
Isaia Tema: “Manda me”, uno spirito da coltivare
Is-Boset Tema: Un uomo timoroso ma giusto
Ismaele
(figlio di Abraamo) Tema: Benedetto da Dio, ma non come erede di Abraamo
Ittai Tema: Siate leali a quelli che prendono la direttiva
Izebel (n. 1) Tema: I malvagi non sfuggiranno al giudizio di Geova

L
Labano (n. 1) Tema: Siate onesti nei rapporti con gli altri
Lamec (n. 1) Tema: La violenza genera violenza
Lazzaro (n. 1) Tema: L’ospitalità reca benedizioni
Lea Tema: Un punto di vista scritturale riguardo all’odio
Levi (n. 1) Tema: L’ira violenta procura biasimo
Lidia Tema: L’ospitalità sincera è apprezzata
Loide Tema: Condividete la vostra fede con i familiari
Lot Tema: Nel mondo, ma senza farne parte
Luca Tema: Siate collaboratori fedeli

M
Mala (n. 1) Tema: Geova è giusto
Manasse (n. 4) Tema: La misericordia di Geova è grande
Manoa Tema: Siate pronti a conformarvi alla volontà di Dio
Marco Tema: Non rivangate gli errori passati
Mardocheo (n.2) Tema: Le ricompense della lealtà
Marta Tema: L’amorevole ospitalità è apprezzata
Maria (n. 1) Tema: Fede e devozione recano ricompense
Maria (n. 2) Tema: La spiritualità sia il vostro interesse principale
Maria (n. 3) Tema: Apprezzate ciò che Geova e Gesù hanno fatto per voi
Maria (n. 4) Tema: Siate costanti nei vostri atti di devozione
Matteo Tema: Dio non è parziale
Mattia Tema: Dio richiede che i sorveglianti siano uomini spirituali
Mefiboset (n.2) Tema: L’amorevole benignità contraddistingue i veri servitori di Dio
Melchisedec Tema: Gesù Cristo, Sommo Sacerdote alla maniera di Melchisedec
Mesac Tema: Le ricompense del mantenere l’integrità da giovani
Micaia Tema: Predicate con coraggio
Michea Tema: Il potere delle illustrazioni
Miriam (n.1) Tema: Guardatevi dal mormorare
Mosè Tema: Apprezzate l’addestramento provveduto da Geova

N
Naaman (n.2) Tema: L’umiltà reca ricche benedizioni
Nabal Tema: Non ripagate il bene col male
Nabucodonosor Tema: Geova umilia quelli che camminano nell’orgoglio
Nadab (n.1) Tema: Chi abusa dei privilegi incorre nel disfavore di Geova
Natan (n.2) Tema: Non trattenetevi dal correggere chi ne ha bisogno
Natanaele Tema: Mantenetevi liberi da inganno
Nebuzaradan Tema: La parola di Geova non viene mai meno
Neemia (n.3) Tema: Siate esempi per il gregge
Nicodemo Tema: Tremare davanti agli uomini è ciò che tende un laccio
Noè Tema: L’ubbidienza è essenziale per vivere

O
Obab Tema: Prendiamo la decisione di servire Geova
Ofni Tema: Ricoprire un incarico importante non autorizza ad agire empiamente
Onesimo Tema: Mantenete una buona coscienza

P
Paolo Tema: I nemici della verità possono cambiare
Pietro Tema: Siate coraggiosi ed energici nel sostenere la vera adorazione
Pilato Tema: Cedere alla folle è una grave responsabilità

R
Raab (n.1) Tema: La fede senza opere è morta
Rabsache Tema: Dio non è da beffeggiare
Rachele Tema: Accettate le avversità della vita senza provare gelosia o disperazione
Rebecca Tema: Tenete conto di Geova nella scelta del coniuge
Roboamo Tema: Non siate arroganti e respingete i cattivi consigli
Ruben (n.1) Tema: Le azioni errate possono avere conseguenze permanenti
Rut Tema: Il vero amore è leale

S
Sadrac Tema: Rimanete senza macchia in un mondo empio
Saffira Tema: Non agite con inganno
Salome (n.1) Tema: Servite Geova con modestia
Samuele Tema: Servite Dio dalla giovinezza
Sansone Tema: Salvaguardate la vostra preziosa relazione con Geova
Sara Tema: La bellezza di una moglie timorata di Dio
Saul Tema: Il potere distruttivo dell’invidia e della presunzione
Seba (n.1) Tema: Chi istiga altri a fare il male raccoglie ciò che semina
Sennacherib Tema: Geova libera il suo popolo
Sichem (n.1) Tema: L’immoralità sessuale può avere conseguenze devastanti
Simei (n.12) Tema: L’ubbidienza può salvarvi la vita
Simeone (n.1) Tema: L’ira incontrollata reca dolore e disonore

U
Ulda Tema: Geova ispira un’intrepida profetessa
Aaronne — Tema: Rimanete fedeli nonostante le debolezze umane 2°CORINTI 12:9 ,10

it-1 9-11 Aaronne


AARONNE
Figlio di Amram e Iochebed della tribù di Levi, nato in Egitto nel 1597 a.E.V. Levi era bisnonno di
Aaronne. (Eso 6:13, 16-20) Miriam era la sorella maggiore, e Mosè il fratello minore, più giovane di lui di
tre anni. (Eso 2:1-4; 7:7) Aaronne sposò Eliseba, figlia di Amminadab, ed ebbe quattro figli: Nadab, Abiu,
Eleazaro e Itamar. (Eso 6:23) Morì nel 1474 a.E.V. all’età di 123 anni. — Nu 33:39.
A motivo della riluttanza di Mosè, che trovava difficile parlare correntemente, Geova nominò Aaronne
portavoce di Mosè davanti al faraone, dicendo di Aaronne: “So bene che realmente egli sa parlare”.
Aaronne andò incontro a Mosè al monte Sinai e fu informato dell’ampio programma di azione tracciato da
Dio, che coinvolgeva Israele ed Egitto, dopo di che i due fratelli fecero ritorno in Egitto. — Eso 4:14-16,
27-30.
Aaronne cominciò quindi a servire come “bocca” per Mosè, parlando in vece sua agli anziani di Israele e
compiendo molti segni miracolosi a riprova dell’origine divina dei loro messaggi. Venne il momento di
presentarsi alla corte del faraone, e l’83enne Aaronne, portavoce di Mosè, dovette affrontare
quell’arrogante sovrano. Geova disse poi a Mosè: “Vedi, ti ho costituito Dio per Faraone, e Aaronne tuo
proprio fratello diverrà il tuo profeta”. (Eso 7:1, 7) Fu Aaronne che compì il primo segno miracoloso
davanti al faraone e ai suoi sacerdoti che praticavano la magia; e, più tardi, fu Aaronne che, per ordine di
Mosè, stese la verga di Mosè e diede il via alle dieci piaghe. (Eso 7:9-12, 19, 20) Egli continuò a operare
in stretta cooperazione con Mosè e in ubbidienza a Dio durante le successive piaghe, fino alla
liberazione. In questo fu un buon esempio per i cristiani che prestano servizio quali “ambasciatori in
sostituzione di Cristo, come se Dio supplicasse per mezzo [loro]”. — Eso 7:6; 2Co 5:20.
L’attività di Aaronne quale portavoce di Mosè evidentemente diminuì nei 40 anni durante i quali vagarono
nel deserto, poiché sembra che sempre più spesso fosse Mosè a parlare. (Eso 32:26-30; 34:31-34; 35:1,
4) Anche la verga tornò nelle mani di Mosè dopo la terza piaga. Inoltre nella battaglia contro Amalec,
Aaronne, insieme a Hur, non fece altro che sostenere le braccia di Mosè. (Eso 9:23; 17:9, 12) Tuttavia
Geova continuò a rivolgersi sia a Mosè che ad Aaronne quando dava istruzioni, ed è documentato che
essi agirono e parlarono insieme fino all’epoca della morte di Aaronne. — Nu 20:6-12.
Aaronne, nella sua posizione subordinata, non accompagnò Mosè in cima al monte Sinai per ricevere il
patto della Legge, ma, insieme a due suoi figli e a 70 anziani della nazione, ebbe il permesso di
avvicinarsi alla montagna e contemplare un’imponente visione della gloria di Dio. (Eso 24:9-15) Aaronne
e la sua casa ricevettero una menzione onorevole nel patto della Legge, e Dio stesso affidò ad Aaronne
l’incarico di sommo sacerdote. — Eso 28:1-3.
Sommo sacerdote. Con una cerimonia durata sette giorni Aaronne fu investito dei doveri sacri da Mosè
quale rappresentante di Dio, e i suoi quattro figli furono pure insediati come sottosacerdoti. Mosè rivestì
Aaronne di splendidi abiti di tessuto d’oro, turchino, porpora e scarlatto, che includevano le spalline e un
pettorale adorno di pietre preziose di vari colori. Sul capo gli fu posto un turbante di lino fine con una
lamina d’oro puro su cui erano incise le parole: “La santità appartiene a Geova”. (Le 8:7-9; Eso 28)
Aaronne fu quindi unto nella maniera descritta nel Salmo 133:2, e da quel momento poté essere
chiamato il mashìach o messia (christòs, LXX), cioè l’“unto”. — Le 4:5, 16; 6:22.
Aaronne fu preposto a tutto il sacerdozio. Dio inoltre dichiarò che dalla sua discendenza, o casa,
dovevano venire tutti i futuri sommi sacerdoti. Aaronne stesso però non aveva ricevuto il sacerdozio per
eredità, e quindi l’apostolo Paolo poté dire di lui: “Uno prende questo onore non da sé, ma solo quando è
chiamato da Dio, come lo fu anche Aaronne. E così il Cristo non glorificò se stesso divenendo sommo
sacerdote, ma fu glorificato da colui che disse a suo riguardo: ‘Tu sei mio figlio; io, oggi, ti ho generato’”.
(Eb 5:4, 5) Paolo dimostra quindi in quale modo la carica sacerdotale, ricoperta per primo da Aaronne,
era tipica di quella che ricopre Cristo Gesù come sommo sacerdote superiore e celeste. Stando così le
cose, le mansioni sacerdotali attinenti all’alto incarico di Aaronne assumono maggior significato per noi.
— Eb 8:1-6; 9:6-14, 23-28.
Come sommo sacerdote, Aaronne doveva prendere la direttiva in tutti gli aspetti dell’adorazione presso il
tabernacolo e sorvegliare l’attività di migliaia di leviti che vi prestavano servizio. (Nu 3:5-10) Nell’annuale
giorno di espiazione egli presentava le offerte per il peccato a favore dei sacerdoti, dei leviti e del popolo
d’Israele, e lui solo poteva entrare nel Santissimo del tabernacolo col sangue degli animali sacrificati. (Le
16) L’offerta giornaliera di incenso, la presentazione delle primizie della raccolta di cereali, e molti altri
aspetti dell’adorazione erano prerogativa di Aaronne e dei sacerdoti suoi figli. (Eso 30:7, 8; Lu 1:8-11; Le
23:4-11) Comunque l’unzione lo santificava non solo in vista delle mansioni inerenti ai sacrifici a favore
della nazione ma anche per svolgere altre mansioni. Era sua responsabilità insegnare alla nazione la
Parola di Dio. (Le 10:8-11; De 24:8; Mal 2:7) Era il più alto funzionario alle dipendenze del Re, Geova,
come lo furono poi i suoi successori. Nelle grandi occasioni di stato indossava gli abiti sontuosi e il
turbante di lino con la “lamina risplendente” d’oro. Portava inoltre il pettorale che conteneva gli Urim e i
Tummim, onde poter avere da Geova risposta affermativa o negativa ai problemi della nazione; tuttavia,
finché Mosè fu in vita e agì quale mediatore, sembra che questi non venissero utilizzati. — Eso 28:4, 29,
30, 36; vedi SOMMO SACERDOTE.
La devozione di Aaronne alla pura adorazione fu ben presto messa alla prova dalla morte dei figli Nadab
e Abiu, abbattuti da Dio per l’uso profano che avevano fatto della loro posizione sacerdotale. La Bibbia
dice: “E Aaronne taceva”. Quando lui e i due figli superstiti ricevettero l’ordine di non fare cordoglio per i
trasgressori morti, ‘essi fecero secondo la parola di Mosè’. — Le 10:1-11.
Per quasi 40 anni Aaronne, in qualità di sommo sacerdote, rappresentò le 12 tribù dinanzi a Geova.
Mentre erano nel deserto, scoppiò una grave ribellione contro l’autorità di Mosè e Aaronne, capeggiata
da un levita di nome Cora, insieme a Datan, Abiram e On della tribù di Ruben, che protestavano contro la
loro leadership. Geova fece aprire la terra sotto le tende di Cora, Datan e Abiram per inghiottirli insieme
alle loro famiglie, mentre Cora e i 250 che avevano cospirato con lui furono distrutti dal fuoco. (Nu 16:1-
35) Scoppiò allora da parte della congregazione il malcontento contro Mosè e Aaronne; e nella piaga
divina che seguì, Aaronne manifestò grande fede e coraggio uscendo ubbidientemente col suo
portafuoco e facendo espiazione per il popolo mentre egli stesso “stava fra i morti e i vivi”, finché il
flagello non fu arrestato. — Nu 16:46-50.
Dio allora ordinò che si deponessero nel tabernacolo 12 verghe, ciascuna delle quali rappresentava una
delle 12 tribù, e sulla verga della tribù di Levi fu scritto il nome di Aaronne. (Nu 17:1-4) L’indomani Mosè
entrò nella tenda della Testimonianza e trovò che la verga di Aaronne aveva germogliato, era fiorita e
portava mandorle mature. (Nu 17:8) Questo stabilì senza possibilità di smentita che Geova aveva scelto i
leviti figli di Aaronne per il servizio sacerdotale e che il sommo sacerdote Aaronne aveva la Sua
autorizzazione. Da allora in poi il diritto della casa di Aaronne al sacerdozio non fu mai più messo
seriamente in dubbio. La verga fiorita di Aaronne venne deposta nell’arca del patto come “segno per i figli
di ribellione”, ma a quanto pare dopo la morte di quei ribelli e l’entrata della nazione nella Terra Promessa
la verga fu tolta, essendo servita al suo scopo. — Nu 17:10; Eb 9:4; 2Cr 5:10; 1Re 8:9.
Perché Aaronne non fu punito per aver fatto il vitello d’oro?
Nonostante la sua posizione privilegiata, Aaronne commise degli errori. Nei 40 giorni della prima
permanenza di Mosè sul monte Sinai, “il popolo si congregò dunque intorno ad Aaronne e gli disse:
‘Levati, facci un dio che vada davanti a noi, perché riguardo a questo Mosè, l’uomo che ci ha fatti salire
dal paese d’Egitto, certamente non sappiamo che cosa gli sia accaduto’”. (Eso 32:1) Aaronne acconsentì
e cooperò con i ribelli nel fare la statua di un vitello d’oro. (Eso 32:2-6) Quando più tardi Mosè gli chiese
conto del suo operato, egli addusse una debole scusa. (Eso 32:22-24) Comunque Geova non indicò che
Aaronne fosse il principale trasgressore, ma disse a Mosè: “Lasciami stare, affinché la mia ira divampi
contro di loro e io li stermini”. (Eso 32:10) Mosè risolse la questione gridando: “Chi è dalla parte di
Geova? A me!” (Eso 32:26) Tutti i figli di Levi, fra cui indubbiamente anche Aaronne, risposero all’invito e
misero a morte 3.000 idolatri, probabilmente i principali promotori della ribellione. (Eso 32:28) Tuttavia
Mosè ricordò poi al resto del popolo che anch’essi erano colpevoli. (Eso 32:30) Aaronne non fu dunque il
solo a beneficiare della misericordia di Dio. Le sue azioni successive indicano che nel cuore non era
d’accordo col movimento idolatrico, ma aveva semplicemente ceduto alle pressioni dei ribelli. (Eso 32:35)
Geova mostrò di aver perdonato Aaronne riaffermando la validità della sua nomina a sommo sacerdote.
— Eso 40:12, 13.
Dopo avere sostenuto lealmente il fratello minore attraverso molte difficoltà ed essere stato da poco
insediato come sommo sacerdote da Mosè quale rappresentante di Dio, Aaronne si unì scioccamente
alla sorella Miriam nel criticare Mosè per il suo matrimonio con una donna cusita e nel mettere in dubbio
la straordinaria relazione di Mosè con Geova Dio e quindi la sua posizione, dicendo: “Forse Geova ha
parlato solo mediante Mosè? Non ha parlato anche mediante noi?” (Nu 12:1, 2) Geova agì con
prontezza: convocò i tre davanti a lui di fronte alla tenda di adunanza e punì severamente Aaronne e
Miriam per avere mancato di rispetto alla disposizione di Dio. Il fatto che solo Miriam sia stata colpita
dalla lebbra potrebbe additarla come l’istigatrice dell’azione e indicare che Aaronne ancora una volta si
era mostrato debole lasciandosi indurre a seguirla. Tuttavia, se pure Aaronne fosse stato colpito dalla
lebbra, questo, secondo la legge di Dio, avrebbe invalidato la sua nomina a sommo sacerdote. (Le 21:21-
23) Egli manifestò una giusta condizione di cuore confessando immediatamente il loro atto sconsiderato,
chiedendo scusa e supplicando disperatamente Mosè di intercedere a favore della lebbrosa Miriam. —
Nu 12:10-13.
Aaronne ancora una volta fu corresponsabile di un errore quando, insieme a Mosè, mancò di santificare e
onorare Dio di fronte alla congregazione allorché venne fatta scaturire acqua a Meriba presso Cades. Per
questa azione Dio decretò che nessuno dei due avrebbe avuto il privilegio di introdurre la nazione nella
Terra Promessa. — Nu 20:9-13.
Il primo giorno del mese di ab, il 40° anno dopo l’ Esodo, la nazione d’Israele era accampata al confine di
Edom di fronte al monte Hor. Era questione di mesi e avrebbero attraversato il Giordano; ma senza il
123enne Aaronne. Per ordine di Geova e mentre tutto l’accampamento osservava, Aaronne, suo figlio
Eleazaro e Mosè salirono in cima al monte Hor. Lì Aaronne lasciò che il fratello lo svestisse degli abiti
sacerdotali e ne rivestisse Eleazaro, suo figlio e successore quale sommo sacerdote. Quindi Aaronne
morì. Probabilmente fu seppellito là dal fratello e dal figlio, e per 30 giorni Israele ne pianse la morte. —
Nu 20:24-29.
Si noti che in ciascuno dei suoi tre errori Aaronne non fu il principale autore dell’azione sbagliata, ma
sembra piuttosto che si fosse lasciato sviare dalla pressione delle circostanze o dall’influenza altrui.
Specie nella prima trasgressione, avrebbe potuto applicare più pienamente il principio che è alla base del
comando: “Non devi seguire la folla per fini empi”. (Eso 23:2) Ciò nonostante, il suo nome in seguito è
menzionato con favore nelle Scritture. Anche il Figlio di Dio, durante la sua vita terrena, riconobbe la
legittimità del sacerdozio aaronnico. — Sl 115:10, 12; 118:3; 133:1, 2; 135:19; Mt 5:17-19; 8:4.
Sacerdoti discendenti di Aaronne. Il termine “Aaroniti” o “Aronnidi” ricorre rispettivamente nella Diodati
e nella CEI in 1 Cronache 27:17. In altre versioni (KJ, Mo) ricorre anche in 1 Cronache 12:27. (Nel testo
masoretico ebraico ricorre semplicemente il nome Aaronne. La LXX [ed. P. A. de Lagarde, in 1Cr 12:27]
ha “dei figli di Aaronne”). Evidentemente il nome “Aaronne” qui è usato in senso collettivo, come il nome
Israele, e sta per la casa di Aaronne o i suoi discendenti maschi dell’epoca di Davide che erano della
tribù di Levi e prestavano servizio come sacerdoti. (1Cr 6:48-53) La Traduzione del Nuovo Mondo dice:
“E Ieoiada fu il conduttore [dei figli] di Aaronne, e con lui c’erano tremilasettecento” (1Cr 12:27), mettendo
“dei figli” fra parentesi quadre a indicare che si tratta di un’aggiunta.

w96 15/1 24-5 Mosè e Aaronne, coraggiosi proclamatori della parola di Dio
Fecero la volontà di Geova
Mosè e Aaronne, coraggiosi proclamatori della parola di Dio
IMMAGINATE la scena: L’ottantenne Mosè e suo fratello Aaronne sono davanti all’uomo più potente della
terra, il faraone d’Egitto. Per gli egiziani quell’uomo non è solo un rappresentante degli dèi. Sono convinti
che sia egli stesso un dio. Viene ritenuto l’incarnazione di Horus, dio con la testa di falco. Insieme a Iside
e a Osiride, Horus formava la principale triade d’Egitto.
Chiunque si avvicinasse al faraone non poteva non notare la ferale testa di cobra che sporgeva dal
centro del copricapo regale. Si pensava che quel serpente potesse sputare fuoco e distruggere qualsiasi
nemico del faraone. Ora Mosè e Aaronne sono davanti a questo re divinizzato per presentargli una
richiesta inaudita: quella di lasciar andare gli schiavi israeliti perché possano celebrare una festa al loro
Dio, Geova. — Esodo 5:1.
Geova aveva già predetto che il cuore del faraone sarebbe stato ostinato. Perciò Mosè e Aaronne non si
stupirono della sua risposta provocatoria: “Chi è Geova, perché io debba ubbidire alla sua voce e
mandare via Israele? Non conosco affatto Geova e, per di più, non manderò via Israele”. (Esodo 4:21;
5:2) Si preparò così lo scenario per uno scontro drammatico. Nella successiva udienza Mosè e Aaronne
fornirono al faraone prove schiaccianti che essi rappresentavano il vero Dio onnipotente.
Un miracolo
Seguendo le istruzioni di Geova, Aaronne compì un miracolo che dimostrò la superiorità di Geova sugli
dèi d’Egitto. Gettò la sua verga di fronte al faraone e immediatamente essa divenne una grossa serpe!
Perplesso a causa di questo miracolo, il faraone convocò i suoi sacerdoti che praticavano la magia. Con
l’aiuto di forze demoniche quegli uomini riuscirono a fare qualcosa di simile con le loro verghe.
Se il faraone e i suoi sacerdoti gongolarono, l’entusiasmo fu solo momentaneo. Immaginate le loro facce
quando la serpe di Aaronne inghiottì le loro serpi, una dopo l’altra! Tutti i presenti videro che gli dèi
egiziani non potevano competere col vero Dio, Geova. — Esodo 7:8-13.
Ciò nonostante, il cuore del faraone continuò a essere ostinato. Solo dopo che Dio ebbe colpito l’Egitto
con dieci piaghe devastatrici il faraone si decise a dire a Mosè e ad Aaronne: “Levatevi, uscite di mezzo
al mio popolo, voi e gli altri figli d’Israele, e andate, servite Geova, proprio come avete dichiarato”. —
Esodo 12:31.
Lezioni per noi
Cosa permise a Mosè e ad Aaronne di recarsi davanti al potente faraone d’Egitto? Dapprima Mosè
espresse mancanza di fiducia nelle proprie capacità, asserendo di essere “lento di bocca e lento di
lingua”. Anche dopo che Geova gli ebbe garantito il suo sostegno, Mosè lo implorò dicendo: “Manda, ti
prego, per mano di colui che manderai”. In altre parole, supplicò Geova di mandare qualcun altro. (Esodo
4:10, 13) Tuttavia Geova si servì di un uomo mansueto come Mosè, dandogli la sapienza e la forza
necessarie per adempiere il suo incarico. — Numeri 12:3.
Oggi i servitori di Geova Dio e di Gesù Cristo adempiono il comando di ‘fare discepoli di persone di tutte
le nazioni’. (Matteo 28:19, 20) Per assolvere dovutamente questo incarico dovremmo fare il miglior uso
della conoscenza scritturale e delle capacità che abbiamo. (1 Timoteo 4:13-16) Invece di preoccuparci
delle nostre carenze, accettiamo con fede qualsiasi incarico Dio ci affidi. Egli può renderci idonei e
rafforzarci per compiere la sua volontà. — 2 Corinti 3:5, 6; Filippesi 4:13.
Dovendo affrontare l’opposizione di uomini e di demoni, Mosè aveva sicuramente bisogno di un aiuto
sovrumano. Di conseguenza Geova gli assicurò: “Vedi, ti ho costituito Dio per Faraone”. (Esodo 7:1) Sì,
Mosè aveva l’autorità e l’appoggio di Dio. Avendo su di sé lo spirito di Geova, Mosè non aveva nessun
motivo di temere il faraone o le schiere di quel superbo governante.
Anche noi, per compiere il nostro ministero, dobbiamo confidare nello spirito santo, o forza attiva di
Geova. (Giovanni 14:26; 15:26, 27) Con l’appoggio di Dio possiamo far nostre le parole di Davide, che
cantò: “Ho confidato in Dio. Non avrò timore. Che mi può fare l’uomo terreno?” — Salmo 56:11.
Compassionevolmente, Geova non lasciò Mosè da solo nell’adempiere il suo incarico. Gli disse:
“Aaronne tuo proprio fratello diverrà il tuo profeta. Tu, tu pronuncerai tutto ciò che ti comanderò; e
Aaronne tuo fratello parlerà a Faraone”. (Esodo 7:1, 2) Come fu amorevole da parte di Geova tenere
conto di ciò che Mosè, con i suoi limiti, poteva ragionevolmente fare!
Dio ci ha provveduto un’associazione di conservi cristiani che accettano la sfida di essere testimoni di
Geova, l’Altissimo. (1 Pietro 5:9) Perciò, nonostante gli ostacoli che possiamo incontrare, sforziamoci di
imitare Mosè e Aaronne, coraggiosi proclamatori della parola di Dio.
[Nota in calce]
La parola ebraica resa ‘sacerdoti che praticano la magia’ si riferisce a un gruppo di stregoni che
pretendevano di possedere poteri soprannaturali superiori a quelli dei demoni. Si credeva che questi
uomini avessero il potere di farsi ubbidire dai demoni e che i demoni non avessero alcun potere su di
loro.
[Figura a pagina 25]
Mosè e Aaronne rappresentarono coraggiosamente Geova davanti al faraone
Abdia (n.4) --- Tema: Siate intrepidi e mostrate amore ai servitori di Dio SALMO 138:3

it-1 20
ABDIA (Abdìa) [servitore di Geova].
4. Economo in casa del re Acab. Nonostante la malvagità del re Acab e di Izebel, Abdia aveva grande
timore di Geova e, quando Izebel ordinò di uccidere tutti i profeti di Geova, egli ne nascose cento,
“cinquanta alla volta in una caverna”. Durante la siccità voluta da Dio e predetta da Elia, questi si imbatté
in Abdia, col quale il padrone Acab aveva diviso un territorio dove entrambi cercavano erba per sfamare il
bestiame. Mentre perdurava la siccità, per un periodo di tre anni circa, Elia non si era fatto vedere da
Acab. Quando gli fu detto di informare Acab che Elia era tornato, Abdia, per il gran timore, esitò finché
non ebbe l’assicurazione che il profeta non se ne sarebbe andato, perché Acab avrebbe certo ucciso il
suo servitore se l’informazione si fosse dimostrata falsa. — 1Re 18:1-16.

w82 15/1 23-6


Abdia: impiegato da Dio per avvertire e confortare
“LA VISIONE di Abdia”. Così comincia il libro più breve delle ispirate Scritture Ebraiche. Contiene sia un
avvertimento di calamità per il paese e gli abitanti di Edom (a sud-est del Mar Morto), sia un messaggio di
conforto per i servitori di Dio. Il brano iniziale continua dicendo:
“Questo è ciò che il Signore Geova ha detto riguardo a Edom: ‘Abbiamo udito una notizia da Geova, ed
è stato mandato un inviato fra le nazioni: “Levatevi, e leviamoci contro di lei in battaglia’”. — Abd. 1.
Il nome “Abdia” significa “Servitore di Iah [Geova]”, e questo è tutto ciò che si sa sul conto dello scrittore
di questo libro profetico. Comunque il libro di Abdia è veramente utile per gli odierni adoratori di Dio. Il
modo in cui Geova trattò Edom, secondo la descrizione che ne fa Abdia, costituisce un esempio
ammonitore di come il Creatore un giorno eliminerà dalla terra tutti quelli che odiano Dio e il suo popolo.
Dall’altro lato Abdia rincuora gli adoratori di Dio non solo con la promessa della libertà dall’oppressione,
ma anche con quella di una prosperità senza fine.
Appropriatamente il messaggio di Abdia è definito una “visione”. (Abd. 1) Spesso le Scritture si
riferiscono ai profeti come a ‘veggenti’. (I Sam. 9:9; II Sam. 15:27; I Cron. 9:22) Anche quando il profeta
non vedeva nulla, spesso le comunicazioni profetiche erano chiamate visioni. — Dan. 9:24; Naum 1:1.
UMILIATO L’ALTEZZOSO EDOM
Secondo Abdia, Dio avrebbe suscitato nazioni perché impegnassero un distruttivo combattimento contro
gli edomiti. Poiché le parole di Abdia venivano dal Sovrano “Signore Geova”, il loro adempimento era
certo.
Può darsi che gli edomiti ridessero di tale predizione di calamità per la loro nazione. Edom aveva un
territorio montagnoso. I primi abitanti della zona furono chiamati “Orei”, che significa abitatori di caverne.
(Gen. 14:6; Deut. 2:12, 22) Le alture dei monti su cui abitavano, difficili da raggiungersi, facevano sentire
gli edomiti troppo al sicuro da un attacco nemico.
Tenendo conto di questo, Dio dichiarò tramite Abdia: “‘Ecco, ti ho fatto piccolo fra le nazioni. Sei
disprezzato assai. La presunzione del tuo cuore è ciò che ti ha ingannato, tu che risiedi nei recessi della
rupe, l’alto dove dimori, dicendo in cuor tuo: “Chi mi tirerà giù a terra?” Se tu facessi la tua posizione alta
come l’aquila, o se ponessi fra le stelle il tuo nido, di lì ti tirerei giù’, è l’espressione di Geova”.
— Abd. 2-4.
I presuntuosi edomiti dovevano essere resi ‘piccoli’ in quanto a numero e dignità. Dio li avrebbe ridotti in
rovina indipendentemente dall’altezza delle loro dimore o dalla loro inaccessibilità.
“SCRUTATI” MINUZIOSAMENTE
In seguito Geova indicò fino a che punto Edom sarebbe stato devastato dai suoi nemici: “Se fossero
venuti a te i ladri, se fossero venuti di notte gli spogliatori, fino a che punto ti saresti ridotto al silenzio?
Non avrebbero essi rubato quanto volevano? O se fossero venuti a te i vendemmiatori, non avrebbero
lasciato rimanere dei racimoli?” — Abd. 5.
Di solito i ladri rubano solo ‘quanto vogliono’, anziché spogliare completamente la casa. Similmente i
vendemmiatori avrebbero sempre lasciato indietro qualche grappolo. Ma con Edom le cose sarebbero
andate diversamente.
Abdia spiega: “Oh fino a qual punto sono stati scrutati i figli di Esaù! Come sono stati cercati i suoi tesori
nascosti!” (Abd. 6) I nemici degli edomiti avrebbero minuziosamente setacciato ogni caverna e ogni
recesso nascosto. Non avrebbero tralasciato nessun tesoro celato.
NESSUN AIUTO PER EDOM
Quando le nazioni nemiche avrebbero cominciato i preparativi bellici contro Edom, questa nazione
avrebbe naturalmente chiesto aiuto alle popolazioni che considerava sue alleate. Ma quando gli edomiti
avrebbero mandato loro messaggeri per chiedere aiuto e protezione contro gli invasori, i messaggeri
sarebbero stati mandati “fino alla linea di confine” dei paesi in cui erano andati a cercare aiuto. Sarebbero
stati scortati fuori senza nessuna promessa di aiuto. Lo stesso trattamento avrebbero ricevuto gli edomiti
che sarebbero fuggiti oltre i confini dei paesi vicini per sfuggire alla morte. Sarebbe stato loro rifiutato
l’accesso o sarebbero stati espulsi. (Abd. 7) Anche fra gli stessi edomiti nessuno sarebbe stato
abbastanza saggio e potente da impedire il disastro. — Abd. 8, 9.
LA RAGIONE
La ragione della calamità che doveva abbattersi su Edom è spiegata con queste parole: “A causa della
violenza al tuo fratello Giacobbe, ti coprirà la vergogna, e dovrai essere stroncato a tempo indefinito. Nel
giorno in cui te ne stesti da parte, nel giorno in cui gli estranei portarono le sue forze militari in cattività e
quando completi stranieri entrarono nelle sue porte e gettarono le sorti su Gerusalemme, anche tu eri
come uno di loro”. — Abd. 10, 11.
Gli israeliti discendevano da Giacobbe e gli edomiti dal suo gemello Esaù. Poiché Giacobbe aveva
acquistato da lui il diritto di primogenitura, Esaù cominciò a nutrire un odio omicida nei confronti del
fratello. (Gen. 25:27-34; 27:30-45) In tutta la loro storia gli edomiti continuarono a manifestare questo
odio verso Israele. (Num. 20:14-21; II Re 8:20-22; II Cron. 21:8-10; 28:16-20; Sal. 83:4-8) Nel IX secolo
a.E.V., tramite il profeta Amos, Geova accusò Edom “a motivo del suo inseguire il suo proprio fratello con
la spada, e perché rovinò le sue proprie qualità misericordiose, e la sua ira continua a sbranare per
sempre; e la sua furia, l’ha conservata in perpetuo”. — Amos 1:11.
Più di due secoli dopo, tale odio si manifestò in modo particolarmente perfido quando i babilonesi al
comando del re Nabucodonosor distrussero Gerusalemme e il suo tempio. Ripensando a
quell’avvenimento, l’ispirato salmista scrisse: “Ricorda, o Geova, riguardo ai figli di Edom il giorno di
Gerusalemme, i quali dicevano: ‘Denudatela! Denudatela fino al fondamento entro di essa!’” — Sal.
137:7.
Mediante Abdia, Dio accusò Edom per quello spirito ostile, dicendo: “E non saresti dovuto stare a
guardare nel giorno del tuo fratello, nel giorno della sua sfortuna; e non ti saresti dovuto rallegrare dei figli
di Giuda nel giorno che perirono; . . . E non saresti dovuto stare alla divisione delle vie, per stroncare i
suoi scampati; e non avresti dovuto cedere i suoi superstiti nel giorno dell’angustia”. (Abd. 12-14) La
slealtà di Edom verso Israele arrivò al punto di inseguire quelli che fuggivano e di consegnarli al nemico.
Ma agendo in quel modo gli edomiti mostrarono di ignorare un fatto essenziale. Quale?
IL GIORNO DI GEOVA È VICINO’
Geova continuò a dire: “Poiché il giorno di Geova contro tutte le nazioni è vicino. Nel modo che tu hai
fatto, sarà fatto a te. La tua sorta di trattamento ricadrà sulla tua propria testa. Poiché nel modo in cui voi
avete bevuto sul mio santo monte, tutte le nazioni continueranno a bere di continuo. E per certo verranno
e trangugeranno e sarà come se non fossero mai stati”. — Abd. 15, 16.
Gli edomiti si erano uniti ai nemici del popolo di Dio per celebrare con sbevazzamenti e gozzoviglie la
disfatta e il saccheggio di Israele. Ora sarebbe stato il loro turno di ‘bere il calice’ dell’ira di Dio. Un giorno
non solo la loro nazione, ma tutte le nazioni ostili alla nazione scelta da Dio sarebbero divenute ‘come se
non fossero mai state’.
EDOM DIVIENE COME “STOPPIA”
Geova aveva promesso che la progenie di Abraamo, Isacco e Giacobbe avrebbe preso possesso del
paese che in seguito fu chiamato Palestina. (Gen. 15:7, 17-21) Ciò avvenne, ma in seguito il popolo fu
portato in esilio dai babilonesi e il paese divenne una distesa desolata.
Tramite Abdia Geova garantì che gli israeliti ne avrebbero ripreso possesso. Infatti mediante il profeta
Dio disse: “E gli scampati saranno sul monte Sion, e deve divenire qualche cosa di santo; e la casa di
Giacobbe deve prender possesso delle cose che dovrebbero possedere. E la casa di Giacobbe deve
divenire un fuoco, e la casa di Giuseppe una fiamma, e la casa di Esaù come la stoppia; e li devono
bruciare e divorare. E non ci sarà nessun superstite della casa di Esaù; poiché Geova stesso ha parlato”.
— Abd. 17, 18.
Israele non sarebbe più stato diviso nel regno delle due tribù di Giuda e Beniamino (a volte chiamato
“Giacobbe” nella Bibbia) e nel regno settentrionale delle dieci tribù (a volte chiamato “la casa di
Giuseppe”). Queste parole preannunciavano la restaurazione dell’unità di tutt’e dodici le tribù d’Israele.
Edom, al contrario, doveva scomparire. Gli israeliti avrebbero divorato i discendenti di Esaù come il fuoco
divora la stoppia.
Questa devastazione di Edom ebbe effettivamente luogo? Sì, e in adempimento della dichiarazione di
Dio tramite Abdia vi presero parte sia gentili (versetto 1⇒ di Abdia⇐) che israeliti (versetto 18⇒ di
Abdia⇐). Consideriamo alcune prove dell’adempimento di quel che era stato predetto.
Antiche iscrizioni narrano la conquista di Edom avvenuta nel VI secolo a.E.V. per opera di truppe
babilonesi al comando del re Nabonedo. Secondo C. J. Gadd, studioso di storia e letteratura babilonese,
le truppe di Nabonedo che conquistarono Edom e Tema includevano soldati giudei. Commentando
questo fatto, John Lindsay, in un articolo intitolato “I re babilonesi ed Edom”, scrive: “Perciò, almeno in
parte, le parole del profeta, secondo cui Yahweh aveva detto: ‘Recherò la mia vendetta su Edom per
mano del mio popolo Israele’, si adempirono (Ezec. 25:14). Abbiamo anche un parziale adempimento
delle parole di Abdia, che disse che gli ‘alleati’, ‘confederati’, ‘amici fidati’ di Edom lo avrebbero
‘ingannato’, avrebbero ‘prevalso contro’ di esso e ‘posto una trappola sotto’ di esso. Possiamo notare qui
un riferimento ai babilonesi, che, sebbene ai giorni di Nabucodonosor fossero stati disposti a concedere
loro di partecipare al saccheggio di Giuda, sotto Nabonedo stroncarono una volta per tutte le velleità
commerciali e mercantili di Edom (cfr. Abd. 1 e 7)”. — Palestine Exploration Quarterly, gennaio-giugno
1976, pagina 39.
Questo concorda con le evidenze bibliche riguardanti il tempo della caduta di Edom. Come già detto,
Edom era una nazione indipendente quando Gerusalemme cadde in mano alle truppe di Nabucodonosor.
Tuttavia il libro di Malachia, scritto verso la metà del V secolo a.E.V. (circa cento anni dopo la campagna
di Nabonedo contro Edom), narra che Dio aveva già reso ‘i monti di Edom una distesa desolata e la sua
eredità per gli sciacalli del deserto’. — Mal. 1:3.
“E IL REGNO DEVE DIVENIRE DI GEOVA”
Gli israeliti avrebbero preso nuovamente possesso del paese dal quale erano stati portati in esilio in
Babilonia. Oltre a ciò il libro di Abdia descrive che il territorio d’Israele si sarebbe esteso in tutte le
direzioni: a sud nel Negheb, a est nell’ex territorio di Edom e a ovest nella Sefela e in territorio filisteo.
L’estensione a nord-ovest sarebbe arrivata, seguendo tutta la costa fenicia, fino a Zarefat, a nord, fra Tiro
e Sidone. A nord-est si sarebbero estesi in tutta la zona precedentemente occupata dal regno d’Israele,
composto di dieci tribù, inclusi Efraim, Samaria e la zona di Galaad a est del fiume Giordano. Invece di
essere confinati in una lontana terra straniera, gli esiliati di Gerusalemme avrebbero fatto ritorno perfino
da Sefarad (che pare si trovasse in Asia Minore) e avrebbero preso possesso di un’eredità territoriale che
si sarebbe estesa a sud fino a comprendere il Negheb, territorio un tempo invaso dagli edomiti. — Abd.
19, 20.
Il libro di Abdia termina in tono incoraggiante, dichiarando: “E salvatori per certo saliranno al monte
Sion, per giudicare la regione montagnosa di Esaù; e il regno deve divenire di Geova”. (Abd. 21) Dopo la
morte di Giosuè, Dio aveva suscitato giudici per ‘salvare’ Israele dall’oppressione e riconquistare il
territorio invaso dal nemico, e Abdia descrive gli israeliti rimpatriati come se fossero stati impegnati in un
compito simile. — Giud. 2:16.
Felicemente questa profezia, se se ne estende il significato, garantisce che un giorno tutti i nemici di Dio
saranno annientati e che il dominio divino sarà esteso a tutta la terra. (Sal. 22:27, 28) Questo messaggio
di avvertimento e di conforto da parte del vero Dio merita di ricevere la più ampia divulgazione. Prendete
regolarmente parte all’opera di annunciarlo ad altri?
[Figura a pagina 24]
EDOM
Il messaggio di Abdia: avvertimento di distruzione per Edom e promessa di restaurazione per il popolo di
Dio
Abednego — Tema: Giovani, onorate Geova con la vostra lealtà 2°SAMUELE 22:26

it-1 21-2 Abednego


ABEDNEGO
(Abèdnego) [prob., servitore di Nebo [dio babilonese]].
Nome dato ad Azaria, uno dei giovani della famiglia reale o della nobiltà ebraica presi prigionieri da
Nabucodonosor nel 617 a.E.V. — Da 1:3, 4, 7.
Alcuni studiosi ritengono “Nego” una corruzione intenzionale di Nebo, nome di un dio babilonese,
apportata per non offendere Azaria. (Vedi NEBO n. 4). Il nome Azaria significa “Geova ha aiutato”, e
sembra che, fra di loro, questi ebrei continuassero a usare i nomi originali. (Da 2:17) A Babilonia, egli,
insieme a Daniele, Hanania e Misael, dopo essersi dimostrato religiosamente integro in questioni di cibo
e bevande, superò con tutti gli onori un corso triennale di addestramento e un esame fatto personalmente
dal re Nabucodonosor. (Da 1:4, 5, 8-20) Più tardi, su richiesta di Daniele, il re nominò Azaria e i suoi due
compagni amministratori del distretto giurisdizionale di Babilonia. — Da 2:49.
In seguito alcuni caldei denunciarono al re Abednego (Azaria), insieme ai due ebrei suoi compagni,
perché si erano rifiutati di inchinarsi davanti all’immagine d’oro del re al suono di una particolare musica.
(Da 3:5, 8, 12) Quando furono interrogati dal re adirato, il loro netto rifiuto di violare la propria coscienza e
la propria fede in Geova indusse il re a farli gettare in una fornace surriscaldata, dove furono
miracolosamente protetti da un rappresentante angelico di Dio. Dopo esserne stati tratti fuori dal re
sbigottito, e dopo che i dignitari di corte videro che erano usciti indenni, i tre uomini riacquistarono il
favore del re. — Da 3:15-30; vedi MESAC; SADRAC.

w92 1/11 13-14 L'istruzione nei tempi biblici


Istruzione durante e dopo l’esilio
16 Circa dieci anni prima della distruzione di Gerusalemme, il re Ioiachin e un gruppo di principi e nobili
furono deportati a Babilonia dal re Nabucodonosor. (2 Re 24:15) Fra loro c’erano Daniele e altri tre
giovani nobili. (Daniele 1:3, 6) Nabucodonosor ordinò ai quattro di seguire uno speciale corso triennale di
addestramento ‘nella scrittura e nella lingua dei caldei’. Si doveva inoltre provvedere loro “una razione
giornaliera dai cibi prelibati del re e dal suo vino da bere”. (Daniele 1:4, 5) Questo costituiva un pericolo
potenziale per varie ragioni. Probabilmente il programma di istruzione non era solo un corso linguistico di
tre anni. Alcuni ritengono che in questo passo il termine “caldei” indichi “non i babilonesi come popolo, ma
la classe dotta”. (The Soncino Books of the Bible) Nel suo commentario a Daniele, C. F. Keil afferma:
“Daniele e i suoi compagni dovevano venire istruiti nella sapienza dei sacerdoti e dei dotti caldei,
insegnata nelle scuole di Babilonia”. Anche il cibo della tavola reale li esponeva al pericolo di violare le
norme dietetiche della Legge di Mosè. Cosa fecero dunque?
17 Parlando a nome di tutti e quattro i giovani nobili ebrei, Daniele mise subito in chiaro che non
avrebbero mangiato o bevuto nulla che andasse contro la loro coscienza. (Daniele 1:8, 11-13) Geova
benedisse la loro ferma presa di posizione e intenerì il cuore del funzionario babilonese addetto. (Daniele
1:9, 14-16) In quanto ai loro studi, avvenimenti successivi della vita di tutti e quattro i giovani ebrei
dimostrano al di là di ogni dubbio che il corso triennale obbligatorio di cultura babilonese non affievolì il
loro profondo attaccamento a Geova e alla pura adorazione. (Daniele, capitoli 3 e 6) Geova fece in modo
che uscissero indenni da quei tre anni di immersione forzata nell’istruzione superiore babilonese. “In
quanto a questi fanciulli, tutt’e quattro, il vero Dio diede loro conoscenza e perspicacia in ogni scrittura e
sapienza; e Daniele stesso aveva intendimento di ogni sorta di visioni e di sogni. E riguardo a ogni cosa
di sapienza e di intendimento su cui il re li interrogò, li trovò perfino dieci volte migliori di tutti i sacerdoti
che praticavano la magia e gli evocatori che erano in tutto il suo reame”. — Daniele 1:17, 20.

w93 15/1 20-5 Perché guardarsi dall'idolatria?


Perché guardarsi dall’idolatria?
“Figlioletti, guardatevi dagli idoli”. — 1 GIOVANNI 5:21.
GEOVA non è un idolo di metallo, di legno o di pietra. Nessun tempio umano può ospitarlo. Essendo egli
lo Spirito onnipotente, invisibile agli uomini, è impossibile farsene un’immagine. Perciò la pura adorazione
di Geova dev’essere del tutto esente da idolatria. — Esodo 33:20; Atti 17:24; 2 Corinti 3:17.
2 Se siete adoratori di Geova, potreste quindi chiedere: ‘Cos’è l’idolatria? In che modo i servitori di Geova
sono riusciti ad evitarla nel passato? E perché bisogna guardarsi dall’idolatria oggi?’
Cos’è l’idolatria
3 In genere l’idolatria è accompagnata da qualche cerimonia o rito. L’idolatria è la venerazione, l’amore, il
culto o l’adorazione di un idolo. E cos’è un idolo? È un’immagine, la rappresentazione di qualcosa, o un
simbolo, oggetto di devozione. Di solito l’idolatria è rivolta a un’entità superiore, vera o presunta, a cui
viene attribuita un’esistenza propria (un essere umano, un animale o un’organizzazione). Ma l’idolatria
può anche riguardare cose inanimate (una forza naturale o un oggetto senza vita).
4 I termini ebraici usati nelle Scritture per indicare gli idoli ne sottolineano spesso la futilità o esprimono
disprezzo. Fra questi ci sono i termini resi “immagine scolpita” (letteralmente, qualcosa di scolpito);
“statua, immagine o idolo di metallo fuso” (qualcosa di fuso o versato); “orribile idolo”; “idolo vano”
(letteralmente, vanità), e “idolo di letame”. Il termine greco èidolon è tradotto “idolo”.
5 Non tutte le immagini sono idoli. Dio stesso comandò agli israeliti di fare due cherubini d’oro per l’arca
del patto e di ricamare rappresentazioni di tali creature spirituali sui dieci teli che costituivano la copertura
interna del tabernacolo e sulla cortina che separava il Santo dal Santissimo. (Esodo 25:1, 18; 26:1, 31-
33) Solo i sacerdoti officianti vedevano queste rappresentazioni, che servivano principalmente come
simbolo dei celesti cherubini. (Confronta Ebrei 9:24, 25). Che le rappresentazioni dei cherubini contenute
nel tabernacolo non dovessero essere venerate è evidente dal fatto che i giusti angeli stessi rifiutarono di
essere adorati. — Colossesi 2:18; Rivelazione 19:10; 22:8, 9.
Cosa pensa Geova dell’idolatria
6 I servitori di Geova si guardano dall’idolatria perché egli è contro tutte le pratiche idolatriche. Dio vietò
agli israeliti di farsi immagini come oggetti di culto e di adorarle. I Dieci Comandamenti includevano
queste parole: “Non devi farti immagine scolpita né forma simile ad alcuna cosa che è nei cieli di sopra o
che è sulla terra di sotto o che è nelle acque sotto la terra. Non devi inchinarti davanti a loro né essere
indotto a servirle, perché io, Geova tuo Dio, sono un Dio che esige esclusiva devozione, recando la
punizione per l’errore dei padri sui figli, sulla terza generazione e sulla quarta generazione, nel caso di
quelli che mi odiano; ma che esercita amorevole benignità verso la millesima generazione nel caso di
quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti”. — Esodo 20:4-6.
7 Perché Geova è contrario a qualunque forma di idolatria? Principalmente perché, come indica il
secondo dei Dieci Comandamenti riportato sopra, esige esclusiva devozione. Per di più, tramite il profeta
Isaia disse: “Io sono Geova. Questo è il mio nome; e non darò a nessun altro la mia propria gloria, né la
mia lode alle immagini scolpite”. (Isaia 42:8) Ci fu un tempo in cui gli israeliti caddero nel laccio
dell’idolatria al punto che “sacrificavano i loro figli e le loro figlie ai demoni”. (Salmo 106:36, 37) Gli idolatri
non solo negano che Geova sia il vero Dio, ma fanno anche gli interessi del suo principale Avversario,
Satana, e dei demoni.
Leali nella prova
8 Ci guardiamo dall’idolatria anche per lealtà verso Geova. Lo si può ben capire da un episodio narrato in
Daniele capitolo 3. Per inaugurare una grande immagine d’oro che aveva fatto erigere, il re babilonese
Nabucodonosor convocò i funzionari del suo impero. L’ordine valeva anche per Sadrac, Mesac e
Abednego, tre amministratori ebrei preposti al distretto giurisdizionale di Babilonia. Al suono di certi
strumenti musicali tutti i presenti dovevano inchinarsi davanti all’immagine. Questo era un tentativo
dell’effettivo dio di Babilonia, Satana, di costringere i tre ebrei a inchinarsi davanti a un’immagine che
rappresentava l’impero babilonese. Raffiguratevi la scena.
9 Guardate! I tre ebrei sono in piedi. Ricordano la legge di Dio che vieta di fare e servire idoli o immagini
scolpite. Nabucodonosor dà loro l’ultimatum: o inchinarsi o morire! Ma, per lealtà a Geova, essi dicono:
“Se dev’essere, il nostro Dio che serviamo ci può liberare. Egli ci libererà dalla fornace di fuoco ardente e
dalla tua mano, o re. Ma se no, ti sia noto, o re, che i tuoi dèi non sono quelli che noi serviamo, e
certamente non adoreremo l’immagine d’oro che hai eretto”. — Daniele 3:16-18.
10 Quei leali servitori di Dio vengono gettati nella fornace surriscaldata. Meravigliato di vedere quattro
persone nella fornace, Nabucodonosor grida ai tre ebrei di uscire, ed essi vengono fuori indenni. A quel
punto il re esclama: “Benedetto sia l’Iddio di Sadrac, Mesac e Abednego, che ha mandato il suo angelo
[la quarta persona vista nella fornace] e ha liberato i suoi servitori che hanno confidato in lui e che hanno
cambiato la medesima parola del re e hanno ceduto i loro corpi, perché non volevano servire e non
volevano adorare nessun dio eccetto il loro proprio Dio. . . . Non esiste un altro dio che possa liberare
come questo”. (Daniele 3:28, 29) L’integrità di quei tre ebrei è un incoraggiamento per gli odierni
Testimoni a essere leali a Dio, mantenere la neutralità verso il mondo ed evitare l’idolatria. — Giovanni
17:16.
Gli idoli perdono la causa
11 Un altro motivo per guardarsi dall’idolatria è che la venerazione degli idoli è vana. Anche se alcuni idoli
di fattura umana assomigliano ai viventi — spesso infatti hanno bocca, occhi e orecchi — non possono
né parlare, né vedere, né udire, e non possono fare nulla per i loro devoti. (Salmo 135:15-18) Ciò fu
indicato nell’VIII secolo a.E.V. quando il profeta di Dio descrisse in Isaia 43:8-28 quella che si potrebbe
definire una causa giudiziaria fra Geova e gli dèi idolatrici. In essa il popolo di Dio, Israele, era schierato
da una parte e le nazioni mondane dall’altra. Geova sfidò i falsi dèi delle nazioni a dichiarare “le prime
cose”, cioè a profetizzare accuratamente. Nessuno di essi fu in grado di farlo. Rivolgendosi al suo popolo,
Geova disse: “Voi siete i miei testimoni . . . e io sono Dio”. Le nazioni non potevano dimostrare che i loro
dèi esistessero prima di Geova né che fossero in grado di profetizzare. Geova invece predisse la rovina
di Babilonia e la liberazione del Suo popolo prigioniero.
12 Inoltre, come descritto in Isaia 44:1-8, i servitori di Dio, da lui liberati, avrebbero detto di ‘appartenere a
Geova’. Egli stesso disse: “Io sono il primo e io sono l’ultimo, e oltre a me non c’è nessun Dio”. Non si udì
nessuna confutazione da parte degli dèi idolatrici. “Voi siete i miei testimoni”, Geova disse nuovamente al
suo popolo, e aggiunse: “Esiste un Dio oltre a me? No, non c’è nessuna Roccia”.
13 Ci guardiamo dall’idolatria anche perché chi la pratica manca di sapienza. Con una parte di albero di
sua scelta l’idolatra fa un dio da adorare, e con l’altra accende un fuoco su cui cuoce del cibo. (Isaia 44:9-
17) Che stoltezza! Sia chi fabbrica idoli che chi li venera si espone alla vergogna, anche perché non è in
grado di dare una testimonianza convincente della loro divinità. Ma la Divinità di Geova è fuori
discussione, perché egli non solo predisse la liberazione del suo popolo da Babilonia, ma fece anche in
modo che avvenisse. Gerusalemme fu ripopolata, le città di Giuda vennero riedificate e le protettive
“acque dell’abisso” di Babilonia — il fiume Eufrate — si prosciugarono. (Isaia 44:18-27) Come Dio aveva
pure predetto, Ciro il Persiano conquistò Babilonia. — Isaia 44:28–45:6.
14 Gli dèi idolatrici persero la causa sulla questione della divinità. E ciò che accadde a Babilonia si
avvererà immancabilmente sulla sua controparte moderna, Babilonia la Grande, l’impero mondiale della
falsa religione. Presto essa e tutti i suoi dèi, arredi sacri e idolatrici oggetti di culto scompariranno per
sempre. (Rivelazione 17:12–18:8) Nella Suprema Corte dell’universo verrà allora provato una volta per
tutte che Geova è il solo vivente e vero Dio e che adempie la sua Parola profetica.
Sacrifici ai demoni
15 Il popolo di Geova si guarda dall’idolatria anche perché è guidato dallo spirito e dall’organizzazione di
Dio. Nel I secolo il corpo direttivo dei servitori di Geova disse ai conservi cristiani: “Allo spirito santo e a
noi è parso bene di non aggiungervi nessun altro peso, eccetto queste cose necessarie: che vi asteniate
dalle cose sacrificate agli idoli e dal sangue e da ciò che è strangolato e dalla fornicazione. Se vi
asterrete attentamente da queste cose, prospererete. State sani!” — Atti 15:28, 29.
16 Un’altra ragione per guardarsi dall’idolatria è quella di evitare il demonismo. Parlando del Pasto Serale
del Signore, l’apostolo Paolo disse ai cristiani di Corinto: “Fuggite l’idolatria. . . . Il calice di benedizione
che noi benediciamo, non è una partecipazione al sangue del Cristo? Il pane che noi rompiamo, non è
una partecipazione al corpo del Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, benché molti, siamo un solo corpo,
giacché partecipiamo tutti a quel solo pane. Guardate ciò che è Israele secondo la carne: Quelli che
mangiano i sacrifici non sono partecipi con l’altare? Che dirò dunque? Che ciò che è sacrificato a un idolo
sia qualcosa, o che un idolo sia qualcosa? No; ma dico che le cose che le nazioni sacrificano le
sacrificano ai demoni, e non a Dio; e io non voglio che diveniate partecipi con i demoni. Voi non potete
bere il calice di Geova e il calice dei demoni; non potete partecipare alla ‘tavola di Geova’ e alla tavola dei
demoni. O ‘incitiamo Geova a gelosia’? Noi non siamo più forti di lui, vi pare?” — 1 Corinti 10:14-22.
17 Una parte dell’animale veniva sacrificata all’idolo, una porzione andava ai sacerdoti e l’adoratore ne
riceveva una parte da consumare in un banchetto. Comunque, parte della carne poteva essere venduta
al mercato. Non era consigliabile che un cristiano andasse nel tempio di un idolo per mangiare della
carne, anche se non partecipava al rito, perché ciò avrebbe potuto fare inciampare altri o farlo cadere
nella falsa adorazione. (1 Corinti 8:1-13; Rivelazione 2:12, 14, 18, 20) Il fatto che l’animale fosse stato
offerto a un idolo non cambiava la natura della carne, per cui il cristiano poteva comprarla al mercato.
Inoltre non era tenuto a informarsi sulla provenienza della carne servita a tavola in casa d’altri. Ma se
qualcuno diceva che era stata “offerta in sacrificio”, il cristiano non l’avrebbe mangiata, per evitare di fare
inciampare altri. — 1 Corinti 10:25-29.
18 Era diffusa l’idea che, dopo il rito sacrificale, il dio si trovasse nella carne ed entrasse nel corpo di quelli
che la mangiavano al banchetto degli adoratori. Poiché fra i commensali si stabiliva un vincolo d’unione,
quelli che mangiavano gli animali sacrificati erano partecipi dell’altare e avevano comunione con il dio
demonico rappresentato dall’idolo. Con quella forma di idolatria i demoni impedivano alle persone di
adorare il solo vero Dio. (Geremia 10:1-15) Non c’è da meravigliarsi se i servitori di Geova dovevano
continuare ad astenersi dalle cose sacrificate agli idoli! Voler essere leali a Dio, accettare la guida del suo
spirito santo e della sua organizzazione ed essere decisi a non avere nessun contatto col demonismo
sono anche oggi validi incentivi a guardarsi dall’idolatria.
Perché occorre stare in guardia?
19 I cristiani si guardano scrupolosamente dall’idolatria perché essa può assumere molte forme, e anche
un singolo atto idolatrico può compromettere la loro fede. L’apostolo Giovanni disse ai suoi conservi:
“Guardatevi dagli idoli”. (1 Giovanni 5:21) Questo consiglio era necessario perché erano circondati da
molte forme di idolatria. Giovanni scriveva da Efeso, città in cui erano molto diffuse le arti magiche e il
culto delle divinità mitologiche. A Efeso c’era una delle sette meraviglie del mondo antico: il tempio di
Artemide, ricettacolo di criminali e centro di riti immorali. Il filosofo Eraclito di Efeso paragonò l’oscura via
d’accesso all’altare di quel tempio alle tenebre dell’abiezione e giudicò la morale dei frequentatori del
tempio peggiore di quella delle bestie. Perciò i cristiani di Efeso dovevano rimanere saldi per non cedere
al demonismo, all’immoralità e all’idolatria.
20 I cristiani dovevano essere decisi a evitare anche il minimo atto idolatrico, perché un singolo atto di
adorazione reso al Diavolo avrebbe sostenuto la sua sfida secondo cui gli uomini non sarebbero rimasti
fedeli a Dio nella prova. (Giobbe 1:8-12) Nel mostrare a Gesù “tutti i regni del mondo e la loro gloria”,
Satana disse: “Ti darò tutte queste cose se ti prostri e mi fai un atto di adorazione”. Cristo rifiutò,
sostenendo così la causa di Geova nella contesa della sovranità universale e dimostrando che il Diavolo
è un bugiardo. — Matteo 4:8-11; Proverbi 27:11.
21 Nemmeno i primi seguaci di Gesù erano disposti a compiere alcun atto di adorazione che avrebbe
appoggiato Satana nella contesa. Pur avendo il debito rispetto delle “autorità superiori” governative, non
acconsentivano a bruciare incenso in onore dell’imperatore romano, anche a costo della vita. (Romani
13:1-7) A questo riguardo Daniel P. Mannix scrisse: “Pochissimi cristiani abiurarono, sebbene
generalmente nell’arena si tenesse per agevolarli un altare su cui ardeva un fuoco. Tutto quello che un
prigioniero doveva fare era spargere sulle fiamme un pizzico di incenso, al che gli veniva dato un
Certificato di Sacrificio ed era messo in libertà. Gli si spiegava inoltre con cura che egli non adorava
l’imperatore; semplicemente riconosceva il carattere divino dell’imperatore come capo dello stato romano.
Tuttavia, quasi nessun cristiano si valse dell’opportunità di sfuggire”. (Those About to Die, pagina 137) Se
foste messi similmente alla prova, rifiutereste con altrettanta decisione di compiere qualunque atto di
idolatria?
Vi guarderete dall’idolatria?
22 È chiaro che i cristiani devono guardarsi da ogni forma di idolatria. Geova esige esclusiva devozione. I
tre fedeli ebrei diedero un ottimo esempio rifiutandosi di idoleggiare la grande immagine eretta dal re
babilonese Nabucodonosor. Nella causa giudiziaria universale descritta dal profeta Isaia, solo Geova
risultò essere il vivente e vero Dio. I suoi antichi testimoni cristiani dovevano continuare ad astenersi dalle
cose sacrificate agli idoli. I numerosi cristiani che rimasero leali non cedettero alle pressioni e non
compirono nemmeno un singolo atto idolatrico che avrebbe significato rinnegare Geova.
23 Perciò, vi state personalmente guardando dall’idolatria? State rendendo a Dio esclusiva devozione?
Sostenete la sovranità di Geova e lo innalzate quale unico vivente e vero Dio? Se sì, dovreste essere
fermamente decisi a rimanere saldi contro le pratiche idolatriche. Ma quali altri argomenti scritturali
possono aiutarvi a guardarvi da ogni forma di idolatria?
[Figura a pagina 23]
I tre ebrei si rifiutarono di commettere idolatria, anche a costo della vita

w88 1/12 15-20 Geova ricompensa la fede e il coraggio


Geova ricompensa la fede e il coraggio
“Il nostro Dio che serviamo ci può liberare. Egli ci libererà dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano,
o re”. — DANIELE 3:17.
GEOVA DIO, il Sovrano universale, ha impartito a governanti mondiali importanti lezioni sulla sua
supremazia. Nell’articolo precedente abbiamo visto alcuni episodi riportati nei primi sei capitoli⇒ 1–6⇐ di
Daniele che dimostrano questo fatto. Questi stessi racconti possono ora essere riesaminati per vedere
cosa possiamo imparare da essi, in armonia con le ispirate parole dell’apostolo Paolo: “Tutte le cose che
furono scritte anteriormente furono scritte per nostra istruzione, affinché per mezzo della nostra
perseveranza e per mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza”. — Romani 15:4.
2 Fu nel 617 a.E.V., durante il breve regno di Ioiachin, figlio del re Ioiachim, che Nabucodonosor fece
deportare a Babilonia alcuni dei migliori e più saggi giovani ebrei. Fra loro c’erano Daniele, Hanania,
Misael e Azaria. — Daniele 1:3, 4, 6.
3 A giudicare dal significato dei loro nomi, è evidente che, nonostante le malvage condizioni prevalenti in
Giuda a quel tempo, quei quattro giovani ebrei avevano genitori timorati di Dio. “Daniele” significa “Il mio
giudice è Dio”. “Hanania” significa “Geova ha mostrato favore; Geova è stato benigno”. “Misael” forse
significa “Chi è simile a Dio?” o “Chi appartiene a Dio?” E “Azaria” significa “Geova ha aiutato”. Senza
dubbio i loro stessi nomi furono per loro un incentivo a essere fedeli al solo vero Dio. Invece di usare
questi nomi, i caldei chiamarono i quattro giovani ebrei Baltassar, Sadrac, Mesac e Abednego.
Ovviamente, essendo schiavi in un paese straniero, essi non avevano nessuna voce in capitolo per
quanto riguardava i nomi con cui erano chiamati da coloro che li avevano fatti prigionieri. — Daniele 1:7.
Fede e coraggio messi alla prova
4 Non solo i loro genitori timorati di Dio diedero ai quattro ebrei un buon inizio nella vita dando loro quei
nomi, ma dovettero anche allevarli nella stretta osservanza della Legge di Mosè, comprese le sue norme
dietetiche. Geova Dio stesso considerava queste ultime così importanti che dopo aver elencato molte
proibizioni di tale genere dichiarò: “Vi dovete mostrare santi, perché io sono santo”. — Levitico 11:44, 45.
5 L’ottima educazione ricevuta da questi quattro giovani ebrei fu presto messa alla prova. Perché?
Perché fu assegnata loro “una razione giornaliera dai cibi prelibati del re e dal suo vino da bere”. (Daniele
1:5) Essi sapevano che fra le cose vietate dalla Legge di Mosè c’era la carne di maiale, di coniglio, le
ostriche e le anguille. Anche quelle carni che la Legge consentiva di mangiare costituivano un problema
alla corte di Babilonia, perché non c’era modo di sapere se erano state debitamente dissanguate. Per di
più, tali carni potevano anche essere state contaminate da riti pagani. — Levitico 3:16, 17.
6 Cosa potevano fare i quattro ebrei? Leggiamo che Daniele, come avranno fatto senza dubbio anche gli
altri tre, determinò in cuor suo di non contaminarsi con tali cibi. Perciò “continuò a fare richiesta” di
semplici verdure al posto dei cibi prelibati del re, e di acqua invece del suo vino. Essi non tennero conto
di quali cibi avessero un sapore migliore. Ci vollero di sicuro fede e coraggio per insistere su questo
punto. Ebbene, dato che Geova si interessava di questi quattro giovani, fece in modo che il principale
funzionario di corte si mostrasse favorevolmente disposto verso Daniele. Tuttavia questo funzionario
esitava a concedere a Daniele gli alimenti richiesti, temendo che questa dieta potesse influire
negativamente sulla salute del giovane. Allora Daniele chiese che venisse permesso loro di provare
questa dieta per dieci giorni. Egli aveva forte fede che ubbidendo alla Legge di Dio non solo avrebbe
avuto la coscienza a posto, ma ne avrebbe anche tratto giovamento sotto l’aspetto della salute. Come
conseguenza della loro presa di posizione, i quattro ebrei dovettero senz’altro subire molti scherni. —
Daniele 1:8-14; Isaia 48:17, 18.
7 I quattro ebrei dovettero mostrare fede e coraggio per fare una questione della loro alimentazione. Ma
furono ricompensati, perché alla fine dei dieci giorni erano di aspetto migliore e più sani di tutti gli altri!
Geova stava dando loro conoscenza, perspicacia e sapienza, così che quando comparvero dinanzi al re
alla fine del loro addestramento triennale, egli li trovò “dieci volte migliori di tutti i sacerdoti che
praticavano la magia e gli evocatori che erano in tutto il suo reame”. — Daniele 1:20.
8 Tutti gli odierni servitori di Geova Dio possono trarre una lezione da questo. Quei giovani ebrei
avrebbero potuto pensare che le norme dietetiche della Legge mosaica non fossero poi così importanti,
almeno in paragone con i Dieci Comandamenti o con le leggi relative ai sacrifici o alle feste annuali.
Invece no: i leali ebrei desideravano vivere in armonia con tutti gli aspetti della Legge di Dio. Questo ci
ricorda il principio espresso da Gesù in Luca 16:10: “Chi è fedele nel minimo è anche fedele nel molto, e
chi è ingiusto nel minimo è anche ingiusto nel molto”. — Confronta Matteo 23:23.
9 Molte volte i testimoni di Geova mostrano fede e coraggio simili, ad esempio quando si tratta di
chiedere al datore di lavoro un permesso per assistere a un’assemblea di distretto. Molte volte viene fatta
un’eccezione per loro. Testimoni che desideravano intraprendere il servizio di pioniere o fare i pionieri
ausiliari hanno lottato per ottenere un lavoro a mezza giornata e spesso sono stati accontentati.
10 Che ottima lezione gli odierni genitori timorati di Dio possono imparare dall’addestramento che i quattro
giovani ebrei avevano evidentemente ricevuto! Quando i genitori cristiani hanno veramente a cuore gli
interessi spirituali dei loro figli, li metteranno al primo posto nella loro stessa vita, in armonia con Matteo
6:33. Allora potranno aspettarsi che i loro figli siano in grado di resistere alle tentazioni e alle pressioni
esercitate da compagni e insegnanti a scuola perché celebrino compleanni o festività, o violino in altri
modi i princìpi scritturali. Così facendo questi genitori timorati di Dio confermeranno la veracità di Proverbi
22:6.
Coraggio nell’interpretare i sogni di Nabucodonosor
11 Il secondo capitolo di Daniele ci fornisce un altro esempio di fede e di coraggio. Quando Daniele seppe
dell’editto del re che condannava a morte tutti i saggi di Babilonia perché non erano stati in grado di
narrargli il sogno e il suo significato, Daniele e i suoi tre compagni si fecero forse prendere dal panico?
Per nulla! Piuttosto, con assoluta fiducia che Geova gli avrebbe dato le informazioni desiderate dal re,
Daniele apparve dinanzi al monarca e gli chiese del tempo per dargli la risposta. La richiesta fu esaudita.
Allora Daniele e i suoi tre amici pregarono fervidamente al riguardo. Geova ricompensò la loro fede
dando loro le informazioni necessarie, dopo di che Daniele elevò a Geova una sentita preghiera di
ringraziamento. (Daniele 2:23) E interpretare il sogno del capitolo 4 ⇒di Daniele ⇐significò per Daniele
dover dire a Nabucodonosor che avrebbe trascorso sette anni vivendo come una bestia insieme agli
animali selvatici. Questo richiese fede e coraggio come quelli che i servitori di Dio devono mostrare oggi
per proclamare il vigoroso messaggio della vendetta divina contro il mondo di Satana.
“Resisterono alla forza del fuoco”
12 Il capitolo 3 di Daniele descrive uno dei più straordinari avvenimenti menzionati nella Bibbia,
mostrando come Geova ricompensò la fede e il coraggio manifestati da tre servitori ebrei. Immaginate la
scena. Tutti i dignitari di Babilonia sono radunati nella pianura di Dura. Davanti a loro si erge un’immagine
d’oro alta circa 27 metri e larga 2 metri e 70 centimetri. Per far leva sulle emozioni, il re ha voluto che
fosse presente un’orchestra. Al suono della musica, i convenuti devono ‘prostrarsi e adorare l’immagine
d’oro che Nabucodonosor il re ha eretto. E chiunque non si prostri e non adori sarà gettato nello stesso
momento nella fornace di fuoco ardente’. — Daniele 3:5, 6.
13 Non ci sono dubbi: rifiutarsi di ubbidire a quell’ordine richiedeva grande fede e coraggio. Ma l’essere
stati ‘fedeli nel minimo’ li aveva preparati ad essere ‘fedeli nel molto’. Il fatto che la loro presa di posizione
potesse mettere in pericolo altri ebrei non era la cosa determinante. Essi non si sarebbero prostrati e non
avrebbero adorato l’immagine. Il loro evidente rifiuto fu notato da alcuni dignitari invidiosi, i quali non
persero tempo ad informarne il re.
14 Con “ira e furore”, Nabucodonosor ordinò che i tre ebrei venissero condotti dinanzi a lui. La sua
domanda — “È realmente così?” — mostra che per lui era inconcepibile che si rifiutassero di prostrarsi e
di adorare l’immagine d’oro. Egli era disposto a dar loro un’altra possibilità, ma se avessero persistito nel
rifiuto sarebbero stati gettati nella fornace di fuoco ardente. “E chi è quel dio”, aggiunse l’altezzoso
monarca, “che vi può liberare dalle mie mani?” Con vero coraggio e fede in Geova, i tre ebrei risposero
rispettosamente al re: “A questo riguardo non abbiamo bisogno di risponderti parola. Se dev’essere, il
nostro Dio che serviamo ci può liberare. Egli ci libererà dalla fornace di fuoco ardente . . . , o re. Ma se no
ti sia noto, o re, che i tuoi dèi non sono quelli che noi serviamo, e certamente non adoreremo l’immagine
d’oro che hai eretto”. — Daniele 3:13-18.
15 Se prima Nabucodonosor era adirato, ora era furioso, perché leggiamo che “la medesima espressione
della sua faccia si cambiò verso” i tre ebrei. (Daniele 3:19) Un’indicazione del suo furore fu il comando di
riscaldare la fornace sette volte più del solito. Poi certi uomini robusti del suo esercito afferrarono i tre
ebrei e li gettarono nella fornace ardente. Le fiamme erano talmente alte che questi stessi uomini
rimasero uccisi.
16 Ma che sorpresa fu per il re vedere non tre ma quattro uomini camminare assolutamente indenni in
mezzo al fuoco! Quando il re chiamò i tre ebrei perché venissero fuori, si accorse che nemmeno un
capello della loro testa era stato bruciato e che le loro vesti non avevano nemmeno l’odore del fumo.
Geova aveva ricompensato la loro fede e il loro coraggio in maniera davvero meravigliosa! Senza dubbio
l’apostolo Paolo si riferiva a loro quando elencò fra il gran nuvolo di testimoni quelli che “resisterono alla
forza del fuoco”. (Ebrei 11:34) Che eccellente esempio essi sono stati per tutti i servitori di Geova da
allora in poi!
17 Oggi i servitori di Geova non devono affrontare la minaccia di una fornace ardente letterale. Ma
l’integrità di molti è stata messa seriamente alla prova in relazione al rendere omaggio idolatrico ai
simboli nazionali. L’integrità di altri è stata messa alla prova in relazione all’acquistare tessere di partito o
a prestare servizio militare. Geova ha sostenuto tutti questi, permettendo loro di superare la sfida e di
rimanere integri, dimostrando così che il Diavolo è un bugiardo e che Geova è il vero Dio.
[Figura a pagina 17]
Daniele e i suoi tre compagni impararono a dire di no
Abele — Tema: La fede che Dio gradisce GIACOMO 2:17

it-1 22-3 Abele


ABELE
[forse, esalazione; vanità].
Secondo figlio di Adamo ed Eva, e fratello minore del primogenito Caino. — Ge 4:2.
Probabilmente, mentre era ancora in vita, Abele ebbe delle sorelle, infatti la Bibbia dice che i suoi genitori
ebbero delle figlie, anche se non sono menzionate per nome. (Ge 5:1-4) Da adulto divenne pastore di
pecore; suo fratello, agricoltore. — Ge 4:2.
Dopo un imprecisato periodo di tempo Abele fece un’offerta a Geova Dio. Caino fece altrettanto.
Ciascuno offrì quello che aveva: Abele, dei primi nati dei suoi greggi; Caino, dei prodotti agricoli. (Ge 4:3,
4) Entrambi credevano in Dio. Senza dubbio avevano sentito parlare di Lui dai genitori e dovevano
sapere perché si trovavano tutti fuori del giardino di Eden ed era loro negato di entrarvi. Le offerte
denotavano il riconoscimento della loro condizione disapprovata ed esprimevano il desiderio di avere il
favore di Dio. Dio gradì l’offerta di Abele, ma non quella di Caino. La Bibbia non dice come si
manifestassero l’approvazione e la disapprovazione, ma senza dubbio furono evidenti a entrambi. La
ragione per cui Dio approvò solo l’offerta di Abele è chiarita da scritti successivi. L’apostolo Paolo, in
Ebrei 11:4, elenca Abele come il primo uomo di fede, e spiega che per questo il suo sacrificio fu di
“maggior valore” dell’offerta di Caino. D’altra parte 1 Giovanni 3:11, 12 precisa che la condizione di cuore
di Caino era cattiva, il che è dimostrato dal suo successivo rifiuto di accettare il consiglio e l’avvertimento
di Dio e dal premeditato assassinio del fratello Abele.
Anche se non si può dire che Abele avesse alcuna preconoscenza di come si sarebbe realizzata la
promessa divina di Genesi 3:15 relativa al “seme” promesso, egli probabilmente aveva pensato molto a
quella promessa e riteneva che si sarebbe dovuto spargere sangue, che a qualcuno si sarebbe dovuto
‘schiacciare il calcagno’, affinché il genere umano potesse essere risollevato allo stato di perfezione
goduto da Adamo ed Eva prima della ribellione. (Eb 11:4) Alla luce di ciò l’offerta di Abele dei primi nati
del gregge fu certo appropriata e contribuì senza dubbio a procurargli l’approvazione di Dio. Al Datore di
vita, Abele offrì in dono una vita, benché solo del gregge. — Cfr. Gv 1:36.
Gesù spiega che Abele fu il primo martire, perseguitato per motivi religiosi dall’intollerante fratello Caino.
In quell’occasione Gesù dice che Abele visse alla “fondazione del mondo”. (Lu 11:48-51) Il termine greco
per “mondo” è kòsmos e in questo versetto si riferisce al mondo del genere umano. Il termine
“fondazione” traduce il greco katabolè, che letteralmente significa “un gettar giù [seme]”. (Eb 11:11, Int)
Con l’espressione “fondazione del mondo” Gesù si riferiva evidentemente alla nascita dei figli di Adamo
ed Eva, e quindi alla nascita di un mondo del genere umano. Paolo include Abele nel “nuvolo di
testimoni” dei tempi precristiani. — Eb 11:4; 12:1.
In che senso il sangue di Gesù ‘parla in modo migliore di quello di Abele’?
A motivo della sua fede e dell’approvazione divina, di cui la Bibbia continua a recare testimonianza, si
può ben dire che Abele, “benché morto, parla ancora”. (Eb 11:4) In Ebrei 12:24 l’apostolo fa riferimento a
“Gesù mediatore di un nuovo patto, e al sangue di aspersione, che parla in modo migliore del sangue di
Abele”. Il sangue di Abele, anche se versato nel martirio, non riscattò o redense nessuno, non più del
sangue della pecora che aveva sacrificato. Il suo sangue in effetti gridava vendetta a Dio contro
l’assassino Caino. Il sangue di Gesù, che qui rappresenta il mezzo per convalidare il nuovo patto, parla in
modo migliore di quello di Abele in quanto invoca la misericordia di Dio su tutti coloro che hanno la fede
di Abele, ed è il mezzo che rende possibile il loro riscatto.
Poiché Set evidentemente nacque poco dopo la morte di Abele e quando Adamo aveva 130 anni, può
darsi che Abele al momento del suo martirio avesse anche 100 anni. — Ge 4:25; 5:3.

w87 15/1 11 Un così gran nuvolo di testimoni!


Cos’è la fede
4 Prima di tutto Paolo definì cos’è la fede. (Leggi Ebrei 11:1-3). La fede, da un lato, è “la sicura
aspettazione di cose sperate”. Colui che ha fede ha la garanzia che ogni cosa promessa da Dio è in
pratica adempiuta. La fede inoltre è “l’evidente dimostrazione di realtà benché non vedute”. La
convincente prova dell’esistenza di realtà invisibili è così concreta che, viene detto, essa stessa
corrisponde alla fede.
5 Per mezzo della fede “gli uomini dei tempi antichi” “ebbero testimonianza” che essi erano accetti a Dio.
Inoltre, “per fede comprendiamo che i sistemi di cose” — la terra, il sole, la luna e le stelle — “furono posti
in ordine dalla parola di Dio, per cui ciò che si vede è sorto da cose che non appaiono”. Siamo convinti
che Geova è il Creatore di queste cose, anche se non lo possiamo vedere dal momento che è uno Spirito
invisibile. — Genesi 1:1; Giovanni 4:24; Romani 1:20.
La fede e il “mondo antico”
6 Una delle tante sfaccettature della fede è il comprendere che occorre un sacrificio per i peccati. (Leggi
Ebrei 11:4). Nel “mondo antico” Abele, secondo figlio della prima coppia umana, Adamo ed Eva, mostrò
fede in un sacrificio cruento. (2 Pietro 2:5) Indubbiamente, Abele vedeva in se stesso gli effetti mortiferi
del peccato ereditato. (Genesi 2:16, 17; 3:6, 7; Romani 5:12) Chiaramente, notò pure l’adempimento
della sentenza di Dio che condannava Adamo a compiere un lavoro molto faticoso ed Eva a patire tanto
durante la gravidanza. (Genesi 3:16-19) Abele aveva perciò “la sicura aspettazione” che altre
dichiarazioni di Geova Dio si sarebbero avverate. Tra queste, c’erano le parole profetiche indirizzate
all’ingannatore per eccellenza, Satana, allorché Dio disse al serpente: “Io porrò inimicizia fra te e la
donna e fra il tuo seme e il seme di lei. Egli ti schiaccerà la testa e tu gli schiaccerai il calcagno”. —
Genesi 3:15.
7 Abele mostrò di avere fede nel Seme promesso offrendo a Dio un sacrificio animale che poteva
simbolicamente prendere il posto della sua stessa vita. Il suo infedele fratello maggiore Caino fece invece
un’offerta incruenta a base di prodotti vegetali. Successivamente, diventando un assassino, Caino sparse
il sangue di Abele. (Genesi 4:1-8) Ciò nondimeno Abele morì nella consapevolezza che Geova lo
considerava giusto, in quanto ‘Dio rese testimonianza riguardo ai suoi doni’. In che modo? Accettando il
sacrificio che Abele offrì con fede. A motivo della sua fede e dell’approvazione divina, di cui le Scritture
ispirate continuano a rendere testimonianza, ‘Abele, benché morto, parla ancora’. Egli capì che era
necessario un sacrificio per i peccati. Avete fede nel molto più importante sacrificio di riscatto di Gesù
Cristo? — 1 Giovanni 2:1, 2; 3:23.

w84 1/12 13-14 Ora è il tempo di compiere un servizio zelante


Esempi ispirati
4 Non c’è motivo che qualcuno si tiri indietro, rallenti il ritmo o riduca lo sforzo. Geova Dio e Gesù Cristo
sono dei lavoratori. (Giovanni 5:17) Inoltre la Bibbia è piena di racconti relativi a felici uomini e donne di
fede che lavorarono strenuamente, i quali sono esempi che ci infondono coraggio. Eppure molti di questi
uomini e donne fedeli sapevano che le promesse da loro attese non si sarebbero adempiute nel corso
della loro vita. Sarebbero dovute passare generazioni, in alcuni casi persino migliaia d’anni, prima che le
cose che aspettavano accadessero. Ma non per questo rallentarono la loro attività. Molti servirono con
gioia fino a tarda età, saldi nella fede, zelanti nell’ubbidire a Dio, attendendo con pazienza l’adempimento
dei Suoi propositi. Inoltre nel corso dei secoli Dio ha fornito la sua rivelazione in modo progressivo. Perciò
gli uomini di fede dell’antichità sapevano molto di meno sul modo in cui Dio avrebbe compiuto le cose
promesse di quanto ne possiate sapere voi oggi.
5 Pensate, per esempio, a quanto poche erano le cose che Abele sapeva. Sapeva soltanto che Dio aveva
promesso un “seme” e che in qualche tempo futuro quel “seme” avrebbe schiacciato la testa del
serpente. (Genesi 3:15) Eppure Abele fu definito “giusto” da Gesù, e viene menzionato per primo
nell’elenco di famosi uomini di fede fatto da Paolo. (Matteo 23:35; Ebrei 11:4) Avreste avuto una fede del
genere con le poche informazioni disponibili al tempo di Abele?

w95 15/9 4-5 Ciò che dovreste sapere sulla gelosia


“Tendenza all’invidia”
Nella storia della natura umana peccaminosa narrata nella Parola di Dio, la Bibbia, troviamo spesso
peccati d’invidia. Ricordate il racconto di Caino e Abele? Questi figli di Adamo ed Eva offrirono entrambi
un sacrificio a Dio. Abele lo fece perché era un uomo di fede. (Ebrei 11:4) Aveva fede nella capacità di
Dio di adempiere il Suo grandioso proposito riguardo alla terra. (Genesi 1:28; 3:15; Ebrei 11:1) Abele
credeva pure che Dio avrebbe ricompensato gli uomini fedeli dando loro la vita nel veniente Paradiso
terrestre. (Ebrei 11:6) Dio mostrò quindi di gradire il sacrificio di Abele. Se Caino avesse veramente
amato suo fratello Abele, sarebbe stato felice che Dio lo stesse benedicendo. Invece Caino “si accese di
grande ira”. — Genesi 4:5.
Dio esortò Caino a fare il bene affinché anch’egli potesse ricevere una benedizione. Poi lo avvertì: “Se
non ti volgi per fare il bene, il peccato è in agguato all’ingresso, e la sua brama è verso di te; e tu, da
parte tua, lo dominerai?” (Genesi 4:7) Purtroppo Caino non dominò la sua gelosa ira, ed essa lo spinse
ad assassinare il suo giusto fratello. (1 Giovanni 3:12) Da allora lotte e guerre hanno provocato la morte
di centinaia di milioni di persone. Secondo un’enciclopedia, “fra le cause basilari della guerra possono
esserci il desiderio di estendere il proprio territorio, il desiderio di maggiore ricchezza, il desiderio di più
potere o il desiderio di sicurezza”. — The World Book Encyclopedia.
I veri cristiani non partecipano alle guerre di questo mondo. (Giovanni 17:16) Purtroppo, però, a volte
certi cristiani si fanno coinvolgere in dispute. Se altri membri della congregazione si schierano per l’uno o
per l’altro, queste dispute possono trasformarsi in dannose guerre verbali. “Da dove vengono le guerre e
da dove vengono le lotte fra voi?”, chiese lo scrittore biblico Giacomo ai suoi conservi. (Giacomo 4:1) Egli
diede la risposta a quella domanda condannando la loro avidità materialistica e aggiunse: “[Voi]
continuate . . . a concupire”, o “siete gelosi”. (Giacomo 4:2, nota in calce) Sì, il materialismo può portare
alla concupiscenza, o cupidigia, e a essere gelosi di quelli che sembra stiano meglio di noi. Per questa
ragione Giacomo mise in guardia contro la “tendenza all’invidia” insita negli esseri umani. — Giacomo
4:5.
Perché è utile analizzare le cause della gelosia? Ebbene, questo può aiutarci a essere onesti con noi
stessi e a promuovere migliori rapporti con gli altri. Può anche aiutarci a essere più comprensivi, più
tolleranti e più indulgenti. Quel che più conta, mette in evidenza il disperato bisogno che l’uomo ha
dell’amorevole provvedimento preso da Dio per salvarci e liberarci dalle peccaminose tendenze umane.
— Romani 7:24, 25.
w96 15/6 4-7 Cosa significa amare Dio?
Cosa significa amare Dio?
CIRCA seimila anni fa nacque il primo bambino sulla terra. Dopo la sua nascita, la madre, Eva, disse: “Ho
prodotto un uomo con l’aiuto di Geova”. (Genesi 4:1) La sua dichiarazione rivela che, sebbene già
condannati a morte per la loro ribellione, Eva e il marito Adamo erano ancora consapevoli della Divinità di
Geova. In seguito ebbero un altro figlio. I due figli si chiamavano Caino e Abele.
Crescendo, i figli impararono sicuramente molto riguardo all’amore di Geova anche solo osservando la
creazione. Potevano ammirare gli splendidi colori della natura e la varietà di animali e piante. Dio aveva
dato loro non solo la vita, ma anche la capacità di goderla.
Appresero che i loro genitori erano stati creati perfetti e che l’originale proposito di Geova era che gli
uomini vivessero per sempre. Probabilmente Adamo ed Eva descrissero il bellissimo giardino di Eden e
in qualche modo spiegarono loro perché erano stati espulsi da quella dimora paradisiaca. Può darsi che
Caino e Abele fossero anche a conoscenza della profezia divina riportata in Genesi 3:15. Mediante quella
profezia Geova espresse il suo proposito di mettere le cose a posto a tempo debito per il bene di quelli
che lo amano e che si dimostrano leali a lui.
Acquistare conoscenza di Geova Dio e delle sue qualità deve aver suscitato in Caino e Abele il desiderio
di ottenerne l’approvazione. Così si accostarono a Geova presentandogli delle offerte. La Bibbia dice:
“Avvenne che dopo qualche tempo Caino portava dei frutti del suolo come offerta a Geova. Ma in quanto
ad Abele, anche lui portò dei primogeniti del suo gregge, perfino i loro pezzi grassi”. — Genesi 4:3, 4.
Il desiderio di avere l’approvazione di Dio costituì la base per stringere una relazione con lui. Col tempo
Caino si ribellò a Dio, mentre Abele continuò a essere mosso da sincero amore per lui. Abele non
avrebbe mai potuto stringere tale relazione con Geova Dio se non avesse prima acquistato conoscenza
della sua personalità e del suo proposito.
Anche voi potete acquistare conoscenza di Geova. Per esempio, tramite la Bibbia potete imparare che
Dio è una persona reale, non una forza impersonale che crea per puro caso. (Confronta Giovanni 7:28;
Ebrei 9:24; Rivelazione 4:11). La Bibbia insegna pure che Geova è ‘un Dio misericordioso e clemente,
lento all’ira e abbondante in amorevole benignità e verità’. — Esodo 34:6.
“Ubbidire è meglio del sacrificio”
Come illustra la storia di Caino e Abele, non basta avere conoscenza di Dio e provare il desiderio di
stringere un’intima relazione con lui. È vero che entrambi i fratelli si accostarono a Dio facendogli delle
offerte. Tuttavia, “mentre Geova guardava con favore ad Abele e alla sua offerta, non guardò con alcun
favore a Caino e alla sua offerta. E Caino si accese di grande ira, e il suo viso era dimesso”. — Genesi
4:3-5.
Perché Geova rigettò il sacrificio di Caino? C’era qualcosa che non andava nella qualità della sua offerta?
Geova si era forse offeso perché Caino aveva offerto i “frutti del suolo” invece che sacrifici animali? Non
necessariamente. In seguito Dio fu lieto di accettare offerte di cereali e di altri frutti del suolo da molti suoi
adoratori. (Levitico 2:1-16) Evidentemente c’era qualcosa che non andava nel cuore di Caino. Geova
poteva leggere il cuore di Caino e lo avvertì dicendo: “Perché ti accendi d’ira e perché il tuo viso è
dimesso? Se ti volgi per fare il bene, non ci sarà un’esaltazione? Ma se non ti volgi per fare il bene, il
peccato è in agguato all’ingresso, e la sua brama è verso di te”. — Genesi 4:6, 7.
Avere sincero amore per Dio significa più che fare semplicemente sacrifici. Per questo Geova incoraggiò
Caino a ‘volgersi per fare il bene’. Dio voleva ubbidienza. L’ubbidienza a Dio avrebbe aiutato Caino a
porre un buon fondamento per un’amorevole relazione con il Creatore. La Bibbia mette in risalto il valore
dell’ubbidienza dicendo: “Si diletta Geova degli olocausti e dei sacrifici quanto dell’ubbidienza alla voce di
Geova? Ecco, ubbidire è meglio del sacrificio e prestare attenzione è meglio del grasso dei montoni”. — 1
Samuele 15:22.
In seguito questo concetto fu chiaramente ribadito dalle parole di 1 Giovanni 5:3: “Questo è ciò che
significa l’amore di Dio, che osserviamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi”.
Non c’è modo migliore di dimostrare a Geova il nostro amore che sottometterci alla sua autorità. Questo
significa ubbidire al codice morale della Bibbia. (1 Corinti 6:9, 10) Significa amare ciò che è bene e odiare
ciò che è male. — Salmo 97:10; 101:3; Proverbi 8:13.
Un’importante espressione del nostro amore per Dio è l’amore per il prossimo. La Bibbia ci dice: “Se
qualcuno fa la dichiarazione: ‘Io amo Dio’, eppure odia il suo fratello, è bugiardo. Poiché chi non ama il
suo fratello, che ha visto, non può amare Dio, che non ha visto”. — 1 Giovanni 4:20.
È possibile avere intimità con Dio
Qualcuno potrebbe dire: ‘Adoro Geova. Ubbidisco alle sue leggi. Tratto il prossimo equamente. Faccio
tutto questo. Eppure non riesco a sentire Dio vicino. Non provo un forte amore per lui, e mi sento in colpa
per questo’. Alcuni forse pensano di non essere degni di stringere una relazione così intima con Geova.
Dopo quasi 37 anni dedicati al servizio di Geova, un cristiano ha scritto: “Molte volte nella mia vita ho
pensato che il servizio che rendevo a Geova era alquanto formale, che forse non lo facevo nemmeno di
cuore. Ma sapevo che servire Geova era la cosa giusta da fare, e non avevo nessuna intenzione di
smettere. Comunque, ogni volta che leggevo di qualcuno che diceva che il suo cuore ‘traboccava di
amore per Geova’, mi chiedevo: ‘Cosa c’è che non va in me, visto che non ho mai provato un sentimento
del genere?’” Come possiamo avere intimità con Dio?
Se amate veramente qualcuno, spesso penserete a lui. Proverete il vivo desiderio di stargli vicino perché
vi sta a cuore. Più lo vedete, più gli parlate e più pensate a lui, più il vostro amore per lui cresce. Questo
principio vale anche quando si tratta di coltivare l’amore per Dio.
In Salmo 77:12 lo scrittore ispirato dice: “Certamente mediterò su tutta la tua attività, e mi occuperò di
sicuro delle tue opere”. La meditazione è essenziale per coltivare l’amore per Dio. Questo vale in
particolar modo perché egli è invisibile. Ma più pensate a lui, più diverrà reale per voi. Solo allora potrete
stringere un’autentica e affettuosa relazione con lui, perché egli sarà reale per voi.
Il vostro desiderio di meditare spesso sulle vie di Geova e sul suo modo di agire dipenderà dalla
frequenza con cui lo ascoltate. Lo ascoltate leggendo e studiando regolarmente la sua Parola, la Bibbia. Il
salmista definisce felice l’uomo il cui “diletto è nella legge di Geova, e lègge sottovoce nella sua legge
giorno e notte”. — Salmo 1:1, 2.
Un altro fattore importante è la preghiera. Per questo la Bibbia ci esorta più volte a pregare: “in ogni
occasione”, ‘dedicando tempo alla preghiera’, ‘essendo costanti nella preghiera’ e ‘pregando
incessantemente’. (Efesini 6:18; 1 Corinti 7:5; Romani 12:12; 1 Tessalonicesi 5:17) Se pregheremo
Geova incessantemente, proveremo affetto per lui, e l’assicurazione che egli ci ascolta ci farà sentire
vicini a lui. Questo fu confermato dal salmista che dichiarò: “Io in effetti amo, perché Geova ode la mia
voce, le mie suppliche. Poiché mi ha teso il suo orecchio, e per tutti i miei giorni invocherò”. — Salmo
116:1, 2.
Imitiamo l’Iddio di amore
Geova è buono con noi. Essendo il Creatore dell’universo, ha certamente molte cose a cui pensare e
badare. Eppure la Bibbia ci dice che, con tutta la sua maestà, egli ha ugualmente cura delle sue creature
umane. Ci ama. (1 Pietro 5:6, 7) Il salmista lo conferma dicendo: “O Geova nostro Signore, com’è
maestoso il tuo nome in tutta la terra, tu, la cui dignità si narra al di sopra dei cieli! Quando vedo i tuoi
cieli, le opere delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai preparato, che cos’è l’uomo mortale che tu ti
ricordi di lui, e il figlio dell’uomo terreno che tu ne abbia cura?” — Salmo 8:1, 3, 4.
In che modo Geova si è ricordato dell’uomo mortale? La Bibbia risponde: “Da questo l’amore di Dio fu
reso manifesto nel nostro caso, perché Dio mandò il suo unigenito Figlio nel mondo affinché ottenessimo
la vita per mezzo di lui. L’amore è in questo, non che noi abbiamo amato Dio, ma che lui amò noi e
mandò il Figlio suo come sacrificio propiziatorio per i nostri peccati”. — 1 Giovanni 4:9, 10.
Perché questo sacrificio propiziatorio è la più grande prova dell’amore di Dio? Consideriamo ciò che
accadde nel giardino di Eden. Adamo ed Eva dovevano scegliere se sottomettersi alla legge di Geova
con la prospettiva di vivere per sempre o se ribellarsi a Geova e di conseguenza morire. Decisero di
ribellarsi. (Genesi 3:1-6) Così facendo condannarono a morte anche tutto il genere umano. (Romani 5:12)
Con presunzione ci privarono della possibilità di decidere per conto nostro. Nessuno di noi ebbe voce in
capitolo.
Tuttavia Geova si è amorevolmente ricordato dell’uomo mortale, riconoscendone la difficile situazione.
Mediante la morte sacrificale di suo Figlio, Gesù Cristo, Geova ha provveduto la base legale perché
ognuno di noi possa scegliere personalmente la vita o la morte, l’ubbidienza o la ribellione. (Giovanni
3:16) È come se Geova ci avesse dato l’opportunità di comparire in tribunale per dire la nostra,
l’opportunità di ritornare per così dire nell’Eden e prendere la nostra propria decisione. Questa è stata in
assoluto la più grande espressione di amore.
Immaginate il dolore che dovette provare Geova vedendo insultare, torturare e mettere al palo il suo
primogenito come un criminale. E Dio sopportò tutto questo per noi. Sapere che è stato Geova a
prendere l’iniziativa amandoci per primo dovrebbe suscitare in noi amore per lui e spingerci a cercarlo.
(Giacomo 1:17; 1 Giovanni 4:19) La Bibbia ci invita a ‘ricercare Geova e la sua forza, a cercare di
continuo la sua faccia e a ricordare le meravigliose opere che ha compiuto, i suoi miracoli e le decisioni
giudiziarie della sua bocca’. — Salmo 105:4, 5.
Provare attaccamento per Dio e stringere un’amorevole relazione con lui, essere suoi amici, non è una
meta irraggiungibile. È una cosa possibile. È vero che l’amore per Dio non può essere esattamente
equiparato ai rapporti che intercorrono fra esseri umani. L’amore che si prova per il coniuge, per i genitori,
per i fratelli, per i figli o per gli amici è diverso dall’amore che si prova per Dio. (Matteo 10:37; 19:29)
Nell’amore per Geova entrano in gioco la devozione, l’adorazione e la dedicazione senza riserve a lui.
(Deuteronomio 4:24) Nessun’altra relazione ha implicazioni di questo tipo. Tuttavia possiamo nutrire per
Dio forti e profondi sentimenti, con riverenza e rispettoso timore. — Salmo 89:7.
Benché imperfetti, anche voi, come Caino e Abele avete la capacità potenziale di amare il vostro
Creatore. Caino fece la sua scelta: si unì a Satana e divenne il primo assassino umano. (1 Giovanni 3:12)
Abele, invece, sarà ricordato da Geova come un giusto, un uomo di fede, e sarà ricompensato con la vita
nel futuro Paradiso. — Ebrei 11:4.
Anche voi dovete scegliere. Con l’aiuto dello spirito di Dio e della sua Parola potete veramente amare Dio
‘con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la forza vitale’. (Deuteronomio 6:5) Geova, da parte sua,
continuerà ad amarvi, perché è “il rimuneratore di quelli che premurosamente lo cercano”. — Ebrei 11:6.
[Figura a pagina 7]
Il sacrificio di Abele fu accetto a Dio
Abiatar — Tema: La slealtà può vanificare anni di fedele servizio ISAIA 24:16

it-1 25-7 Abiatar


ABIATAR
(Abiatàr) [padre di eccellenza; padre di più che abbastanza (sovrabbondanza)].
Figlio del sommo sacerdote Ahimelec, della tribù di Levi e della famiglia di Eli. (1Sa 14:3; 22:11; 23:6)
Visse durante i regni di Saul, Davide e Salomone, e divenne sommo sacerdote durante il regno di
Davide. Ebbe due figli, Gionatan e Ahimelec (lo stesso nome del padre di Abiatar). — 2Sa 15:27, 36;
8:17.
Abiatar viveva a Nob, “la città dei sacerdoti”, poco distante da Gerusalemme, quando Saul fece trucidare
da Doeg l’edomita il sommo sacerdote, padre di Abiatar, e altri sacerdoti (85 in tutto), perché supponeva
sostenessero Davide. Doeg abbatté con la spada anche tutti gli altri abitanti della città. Unico scampato,
Abiatar si rifugiò presso Davide, fuggitivo lui stesso, evidentemente a Cheila, parecchi chilometri a SO.
Davide, pensando di essere in qualche modo responsabile della tragedia, disse ad Abiatar: “Ben sapevo
quel giorno, perché c’era Doeg l’edomita, che immancabilmente lo avrebbe riferito a Saul. Da parte mia,
ho fatto torto a ogni anima della casa di tuo padre. Dimora con me. Non aver timore, poiché chiunque
cerca la mia anima cerca la tua anima, poiché tu hai bisogno di protezione con me”. — 1Sa 22:12-23;
23:6.
Abiatar rimase dunque con Davide per il resto della sua clandestinità e prestò servizio come sacerdote
per l’esercito di Davide. In 1 Samuele 23:6 è menzionato che Abiatar aveva portato con sé un efod e,
mentre i sacerdoti in genere portavano un efod di lino (1Sa 22:18), i versetti 9-12 del capitolo 23 di 1
Samuele indicano che questo a quanto pare era l’efod del sommo sacerdote, padre di Abiatar, con gli
Urim e i Tummim.
Durante il regno di Davide e di Salomone. Sembra che quando finalmente Davide salì al trono, Abiatar
fu nominato sommo sacerdote. Alcuni studiosi avanzano l’ipotesi che, dopo la morte del sommo
sacerdote Ahimelec, il re Saul abbia fatto insediare Zadoc come sommo sacerdote al posto di Ahimelec,
non riconoscendo perciò Abiatar, che si trovava con Davide, futuro successore di Saul. Essi sostengono
che, dopo la sua ascesa al trono, Davide abbia fatto di Abiatar un sommo sacerdote associato a Zadoc.
Tale opinione è evidentemente dovuta al fatto che Zadoc e Abiatar vengono abitualmente menzionati
insieme come se avessero la stessa alta posizione sacerdotale. (2Sa 15:29, 35; 17:15; 19:11; 20:25; 1Re
1:7, 8, 25, 26; 4:4; 1Cr 15:11) Comunque la narrazione ispirata non menziona mai alcuna nomina di
Zadoc a sommo sacerdote sotto il re Saul. Può darsi che l’importanza di Zadoc sia dovuta al fatto che era
un veggente o profeta, come il profeta Samuele che, nella Parola di Dio, è menzionato più spesso del
sommo sacerdote del suo tempo. (2Sa 15:27) Risulta che Abiatar fu l’unico sommo sacerdote durante il
regno di Davide e che Zadoc allora occupava una posizione secondaria rispetto alla sua. — 1Re 2:27,
35; Mr 2:26.
Il testo di 2 Samuele 8:17 ha provocato qualche incertezza al riguardo, poiché dice che “Zadoc figlio di
Ahitub e Ahimelec figlio di Abiatar erano sacerdoti” in quel tempo, ma non menziona Abiatar come
sommo sacerdote. Alcuni avanzano l’ipotesi che i nomi di Ahimelec e Abiatar siano stati invertiti per
errore da uno scriba e che il versetto debba leggersi “Abiatar figlio di Ahimelec”, come nella Pescitta
siriaca. Tuttavia 1 Cronache (18:16; 24:3, 6, 31) conferma l’ordine dei nomi in questo versetto come si
trovano nel testo masoretico. Sembra dunque più probabile che Zadoc e Ahimelec siano menzionati
semplicemente come sacerdoti secondari sotto il sommo sacerdote Abiatar, e che in questo caso la
posizione di Abiatar sia da ritenersi sottintesa. — 1Cr 16:37-40; cfr. Nu 3:32.
Abiatar, insieme ad altri sacerdoti, ebbe il privilegio di portare l’arca di Geova dalla casa di Obed-Edom
fino a Gerusalemme. (2Sa 6:12; 1Cr 15:11, 12) Oltre a essere sommo sacerdote faceva anche parte del
gruppo dei consiglieri di Davide. — 1Cr 27:33, 34.
Verso la fine del regno di Davide suo padre, Absalom ordì una congiura contro di lui. Ancora una volta
Abiatar rimase con Davide quando le circostanze costrinsero il re a fuggire da Gerusalemme. Per
frustrare i consigli del traditore Ahitofel, precedente consigliere di Davide, i leali sacerdoti Abiatar e Zadoc
furono rimandati a Gerusalemme perché servissero da informatori e tenessero Davide al corrente dei
piani del figlio ribelle. (2Sa 15:24-36; 17:15) Dopo la morte di Absalom, Abiatar e Zadoc fecero da
intermediari per preparare il ritorno di Davide nella capitale. — 2Sa 19:11-14.
Data la sua fedeltà nel sopportare molte avversità insieme a Davide mentre fuggiva da Saul e di nuovo
durante la ribellione di Absalom, e tenuto conto che aveva goduto per una quarantina d’anni della fiducia,
dell’amicizia e del favore di Davide, è sorprendente vedere Abiatar unirsi a un altro figlio di Davide,
Adonia, in una successiva congiura per usurpare il trono. Il complotto fallì benché avesse anche il
sostegno di Gioab, capo dell’esercito, e Salomone fu unto re per ordine di Davide dal leale sacerdote
Zadoc. (1Re 1:7, 32-40) Il figlio di Abiatar, Gionatan, che aveva in precedenza prestato servizio come
staffetta per informare Davide durante l’insurrezione di Absalom, ora andò ad avvertire Adonia che il
complotto era fallito. Il re Salomone non prese alcun provvedimento immediato contro Abiatar, ma
quando fu evidente che il complotto covava ancora, ordinò che Adonia e Gioab fossero messi a morte e
bandì il sacerdote Abiatar da Gerusalemme, dicendo: “Va ad Anatot ai tuoi campi! Poiché meriti la morte;
ma in questo giorno non ti metterò a morte, perché portasti l’arca del Sovrano Signore Geova davanti a
Davide mio padre, e perché soffristi afflizione in tutto il tempo che mio padre soffrì afflizione”. (1Re 2:26)
Zadoc fu poi incaricato di sostituire Abiatar nelle sue mansioni sacerdotali, e così la carica di sommo
sacerdote tornò alla famiglia di Eleazaro figlio di Aaronne, e la famiglia sacerdotale della casa di Eli
giunse alla sua fine completa, adempiendo la profezia di 1 Samuele 2:31. — 1Re 2:27; 1Sa 3:12-14.
Anche se in seguito, in 1 Re 4:4, vengono menzionati di nuovo “Zadoc e Abiatar” come sacerdoti sotto il
regno di Salomone, è probabile che Abiatar fosse incluso solo a titolo onorifico o in senso storico. Alcuni
studiosi ipotizzano che Salomone, dopo aver retrocesso Abiatar, lo abbia incaricato poi di fare le veci di
Zadoc, e che, mentre uno officiava sul monte Sion, dove si trovava l’Arca, l’altro prestava servizio presso
il tabernacolo, che rimase a Gabaon fino alla costruzione del tempio. (Vedi 1Cr 16:37-40). Tuttavia 1 Re
2:26 spiega che Salomone mandò Abiatar nei suoi campi ad Anatot e, anche se Anatot non era lontano
da Gabaon, l’ordine di Salomone indica che Abiatar era stato completamente allontanato dal sacerdozio.
In Marco 2:26 secondo quasi tutte le traduzioni Gesù avrebbe detto che Davide entrò nella casa di Dio e
mangiò il pane di presentazione “al tempo del sommo sacerdote Abiatar”. Dato che l’episodio ebbe luogo
durante il sacerdozio di Ahimelec, padre di Abiatar, tale traduzione sarebbe inesatta dal punto di vista
storico. Si noti che alcuni antichi manoscritti omettono la suddetta frase, e questa non si trova nei
corrispondenti passi di Matteo 12:4 e Luca 6:4. Tuttavia una simile costruzione greca ricorre in Marco
12:26 e Luca 20:37, e qui molte traduzioni usano l’espressione “nel passo del”. (Ga, Ri, VR) Sembra
dunque che Marco 2:26 consenta giustamente la versione della Traduzione del Nuovo Mondo, dove si
legge: “Come entrò nella casa di Dio, secondo il racconto relativo ad Abiatar, capo sacerdote”. Poiché il
resoconto delle prime imprese di Abiatar inizia subito dopo quello di Davide che entrò nella casa di Dio
per mangiare il pane di presentazione, e poiché in seguito Abiatar, sotto il regno di Davide, divenne
sommo sacerdote d’Israele, questa traduzione rispetta l’accuratezza storica della narrazione.

w92 15/9 14-15 Lo spirito di Geova guida il suo popolo


8 Per trarre beneficio dallo spirito di Dio dobbiamo essere disposti a seguirne la guida come lo fu Davide.
Egli pregò dicendo: “Insegnami a fare la tua volontà, poiché tu sei il mio Dio. Il tuo spirito è buono; mi
conduca nel paese della rettitudine”. (Salmo 143:10) Davide, che era stato dichiarato fuorilegge dal re
israelita Saul, voleva che lo spirito di Dio lo guidasse per essere certo di agire con rettitudine. A suo
tempo Abiatar venne con un efod sacerdotale che si usava per conoscere qual era la volontà di Dio. In
qualità di rappresentante sacerdotale di Dio, Abiatar indicò a Davide la via da seguire per piacere a
Geova. (1 Samuele 22:17–23:12; 30:6-8) Come Davide, anche Gesù si fece guidare dallo spirito di
Geova, e altrettanto può dirsi degli unti seguaci di Cristo come classe. Nel periodo 1918-19, erano
considerati dei reietti dalla società umana e i loro nemici religiosi pensavano di poterli annientare. Gli unti
pregarono per trovare una via d’uscita dalla loro condizione di inattività, e nel 1919 Dio esaudì le loro
preghiere, li liberò e li rese di nuovo attivi nel suo servizio. (Salmo 143:7-9) Di sicuro in quella circostanza
lo spirito di Geova aiutò e guidò il suo popolo come fa tuttora.

w78 1/9 31 Perché i diplomati di Galaad sono teneramente amati?


I due insegnanti di Galaad fecero poi qualche commento di addio. K. A. Adams fece notare le ottime
lezioni che si possono imparare dal racconto sul primo missionario menzionato nella Bibbia, Giona, e
anche sulla vita dell’apostolo Paolo, il missionario che viaggiò di più. U. V. Glass mise in risalto la qualità
della lealtà, osservando che aveva ammirato questa qualità nella classe. Richiamò quindi l’attenzione sul
sacerdote Abiatar il quale, dopo quasi un’intera vita di leale servizio, divenne sleale sostenendo Adonia,
figlio del re Davide, nel suo tentativo di impossessarsi del regno. C’è dunque bisogno d’essere leali,
ribadì Glass.

w78 1/12 12 Il libro di Primo Re: Documento di gloria e disonore


UNZIONE E REGNO DI SALOMONE
Il pronto intervento del profeta Natan sventa il complotto di Adonia. Quindi, mentre Adonia e i suoi
sostenitori festeggiano, è unto re Salomone figlio di Davide. Gli abitanti di Gerusalemme si abbandonano
a una tale allegrezza che se ne può udire il suono nel luogo dove Adonia e i suoi sostenitori banchettano.
Quando Gionatan figlio di Abiatar li informa di cosa significa il rumore in città, tutti si disperdono per la
paura e Adonia si rifugia nel santuario. Lì afferra i corni dell’altare degli olocausti e rifiuta di andarsene fin
quando Salomone non gli promette sotto giuramento di non ucciderlo. Salomone acconsente a lasciare
Adonia in vita, purché non divenga un malvagio cospiratore.
Poco prima di morire, Davide consiglia a Salomone di rimanere fedele a Geova Dio e di agire contro
Gioab e Simei. Dopo la morte di Davide, Adonia, probabilmente istigato da Gioab e Abiatar, prega
Betsabea di chiedere a suo figlio Salomone di dargli in moglie la bella Abisag. Salomone interpreta la
cosa come un tentativo di usurpare il trono e, perciò, comanda di mettere a morte Adonia e Gioab.
Tenendo conto del fatto che il sacerdote Abiatar aveva sofferto insieme a suo padre Davide, Salomone
non lo fa giustiziare ma lo priva della carica sacerdotale. In seguito, quando Simei trasgredisce le
restrizioni imposte sulla sua attività, viene giustiziato. Liberando così il reame dalla pericolosa influenza di
Adonia, Gioab, Abiatar e Simei, Salomone rende stabile il suo regno.
w70 1/6 345-8 Rafforziamoci in Geova
Rafforziamoci in Geova
DOPO aver visitato la sua paziente, una missionaria della Società Torre di Guardia, il chirurgo alzò
lentamente gli occhi. Aveva un’espressione grave. Con tono gentile, ma serio, la informò che non appena
possibile doveva sottoporsi a un grave intervento chirurgico.
“Non c’è alternativa”, dichiarò. In seguito, alla presenza di suo marito, il chirurgo acconsentì a non usare
sangue né frazioni di sangue. Perciò, la coppia decise di far eseguire l’operazione. — Atti 15:20.
La suddetta esperienza non è nulla di nuovo né di insolito per i membri della famiglia umana. Anche quelli
che hanno fedelmente servito Dio sono ancora soggetti al peccato e alla morte ereditati da Adamo.
Inoltre, come spiega la Bibbia, “Il tempo e l’avvenimento imprevisto capitano a tutti loro”. (Eccl. 9:11) Sì,
possiamo tutti aspettarci di avere ogni tanto delle prove nella nostra vita.
Quelli che servono Geova Dio sono molte volte messi alla prova da Satana e dalla sua organizzazione
nel tentativo di infrangere la loro integrità a Geova. Può essere esercitata grande pressione, spesso
all’improvviso, per indurre a cedere e disubbidire in qualche modo a Dio. La prova può essere la forte
attrattiva di provare il piacere del peccato. O ci può essere brutale persecuzione nel tentativo di indurre a
commettere un atto di slealtà verso Dio. — 1 Piet. 5:8.
Trovandovi improvvisamente di fronte a una grave prova, potete sentirvi quasi sopraffatti. Potete sentirvi
inclini a cedere allo scoraggiamento. In tale tempo è appropriato rammentare come altri servitori di Dio
hanno resistito nelle prove. (1 Piet. 5:9) La Bibbia mostra ciò che fecero per mantenersi spiritualmente
forti.
Ci fu, per esempio, l’occasione in cui il fuggiasco Davide e i suoi uomini tornarono al loro luogo in Ziclag.
Che scena di desolazione si presentò ai loro occhi! Una banda di predoni amalechiti aveva fatto
un’incursione e saccheggiato la città. La Bibbia dice:
“Quando Davide venne coi suoi uomini nella città, ebbene, ecco, era bruciata col fuoco, e, in quanto alle
loro mogli e ai loro figli e alle loro figlie, erano stati portati via prigionieri. E Davide e il popolo che era con
lui alzarono la loro voce e piangevano, finché non ci fu in loro più potenza per piangere. . . . E Davide fu
in grande angustia, perché il popolo disse di lapidarlo; poiché l’anima di tutto il popolo era divenuta amara
. . . Davide si rafforzò dunque mediante Geova suo Dio”. — 1 Sam. 30:3-6.
COME RAFFORZARCI IN GEOVA
Come possiamo rafforzarci in Geova? Il resto del racconto inerente all’esperienza di Davide ci aiuterà a
capire quello che occorre per ricevere forza da Geova in tempo di prova.
Dalla Parola di Dio sappiamo che Davide fu un fedele e leale servitore di Dio. Mediante lo studio e la
meditazione ottenne notevole conoscenza di Dio e di come Dio agiva con l’uomo. Questo è rivelato nei
suoi numerosi salmi biblici. Per esempio, Davide scrisse: “Ho ricordato i giorni di molto tempo fa; ho
meditato su tutta la tua attività; volontariamente mi preoccupai dell’opera delle tue proprie mani”. (Sal.
143:5) Davide faceva questo d’abitudine. Non aspettava di trovarsi in qualche situazione critica.
Nella sua triste situazione a Ziclag, Davide poté attingere pertanto a una riserva di conoscenza ed
esperienza riguardo a Dio e alle sue opere. Questo lo avrebbe incoraggiato e rafforzato. Come scrisse:
“In Dio ho confidato; non avrò timore. Che mi può fare la carne?” — Sal. 56:4; 31:1.
Senza dubbio Davide rammentò anche come Dio l’aveva meravigliosamente aiutato in precedenti
occasioni. Non gli aveva dato Dio la vittoria sul gigante Golia? Davide poté dire veramente: “Geova è la
mia luce e la mia salvezza. Di chi avrò timore? Geova è la fortezza della mia vita. Di chi avrò terrore?” —
Sal. 27:1.
Davide inoltre pregò. Fu un uomo di preghiera, e molte sue preghiere sono narrate nella Bibbia.
“Mostrami favore, o Geova, poiché sono in gravi difficoltà”, pregò una volta. (Sal. 31:9) Tali espressioni
furono senza dubbio incluse nelle preghiere che pronunciò nella sua angustia a Ziclag.
Pure interessante è notare che Davide non si considerò qualcuno di speciale che avesse una privata
linea di comunicazione con Dio. Riconobbe che Dio aveva disposto si comunicasse con lui per mezzo del
sacerdozio aaronnico. Perciò si valse di questa disposizione. Il racconto biblico spiega:
“Per cui Davide disse ad Abiatar il sacerdote, figlio di Ahimelec: ‘Accostami l’efod, ti prego’. E Abiatar
venne ad accostare l’efod a Davide. E Davide interrogava Geova, dicendo: ‘Inseguirò questa banda di
predoni? Li raggiungerò?’ A ciò egli disse: ‘Va all’inseguimento, poiché senza fallo li raggiungerai, e
senza fallo farai una liberazione’”. — 1 Sam. 30:7, 8.
Davide agì. “Davide si mise prontamente in cammino, egli e i seicento uomini che erano con lui”. Sì,
Davide non tardò o non indugiò a seguire le istruzioni di Geova. Una volta conosciute quali erano le
eseguì prontamente. Come risultato, trasformò questo disastro in vittoria. Riprese tutti coloro che erano
stati portati via e i beni di cui erano stati depredati. — 1 Sam. 30:9, 18-20.
COME OTTENERE FORZA OGGI
Il racconto concernente Davide a Ziclag è conservato nella Parola di Dio non solo come interessante
aspetto storico della sua vita. Piuttosto, è stato preservato per “nostra istruzione, affinché per mezzo della
nostra perseveranza e per mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza”. (Rom. 15:4) Lo stesso
Dio che rafforzò Davide provvede forza e perseveranza anche a noi che oggi ci sforziamo di servirlo
fedelmente. Mediante il suo spirito ci infonde potenza oltre la nostra normale capacità perché adempiamo
la sua volontà e l’incarico che ci ha affidato, perché facciamo fronte a circostanze impreviste e vinciamo
la persecuzione. — 2 Cor. 4:7.
Forse avete già cominciato a seguire le orme di Gesù Cristo, predicando la buona notizia del regno di Dio
com’egli fece. (Luca 4:43; Matt. 28:19, 20) Rammentate la prova che affrontaste quando comprendeste
per la prima volta, dopo aver studiato la Bibbia coi testimoni di Geova, che la pura adorazione di Geova
comportava il far visite alle persone di casa in casa col messaggio del Regno? (Atti 5:42; 20:20) Il
comando divino di predicare è stato per molti una vera prova della fede.
Comunque, mentre la vostra conoscenza e il vostro intendimento di Dio e dei suoi propositi
aumentavano, cominciò a crescere in voi la forza di compiere la sua volontà. E mediante fervida
preghiera, insieme all’amorevole incoraggiamento e all’assistenza di quelli che fanno parte della visibile
organizzazione di Geova, siete riuscito a superare questa prova. Guardando ora indietro forse ammettete
francamente che è stata la forza datavi da Dio ad aiutarvi a partecipare all’opera di predicazione. Sapete
che le parole della Bibbia sono vere: “Dio è colui che, per amore del suo beneplacito, agisce in voi onde
vogliate e agiate”. (Filip. 2:13) Questa iniziale esperienza d’ottenere forza da Dio per compiere la sua
volontà quanto vi ha rafforzato per affrontare e sormontare sin d’allora altre prove!
L’ORGANIZZAZIONE DI DIO ESSENZIALE PER RAFFORZARE
Nel caso di Davide, egli fu strettamente associato all’organizzazione di Geova, e nel tempo della prova
questa associazione fu molto utile e fortificante. Abiatar, sacerdote di Geova, diede a Davide istruzioni
divinamente ispirate sulla linea di condotta da seguire. Similmente, un angelo della celeste
organizzazione di Geova diede forza a Gesù per affrontare le prove della sua integrità. (Luca 22:43) E i
fratelli cristiani della congregazione di Roma diedero all’apostolo Paolo incoraggiamento e forza proprio
quando ne ebbe bisogno. (Atti 28:14, 15) Che eccellente ammonimento è contenuto oggi per noi in
queste esperienze! Dobbiamo stare vicini alla visibile organizzazione di Geova! Lì riceviamo la forza e
l’incoraggiamento necessari.
Nel nostro tempo Geova ha progressivamente rivelato la sua volontà per mezzo della sua organizzazione
dello “schiavo fedele e discreto”. (Matt. 24:45-47) Per mezzo di tale organizzazione siamo preparati ad
affrontare con successo le prove e a mantenere la nostra integrità verso Dio. Per esempio, questo fedele
corpo insegnante ha reso chiaro il punto di vista biblico della santità della vita e del sangue e che l’uso
del sangue nei sacrifici è il solo uso d’esso approvato da Dio. (Lev. 17:11-14; Atti 15:20, 29) Questa
conoscenza della volontà di Dio è stata fonte di forza per quei servitori di Dio i quali sono stati oggetto di
pressione affinché accettassero la trasfusione di sangue. Anche l’incoraggiamento di altri servitori di Dio
è stato un importante aiuto per mantenere l’integrità in tali circostanze. Ma anche se ci dovesse capitare
un incidente e perdessimo molto sangue, trovandoci forse isolati da altri servitori di Dio, non siamo mai
isolati da Dio. Possiamo invocarlo per avere forza con la certezza d’ottenerla. — Sal. 120:1; 121:1-8.
L’organizzazione di Dio è pure servita a rafforzare il suo popolo perché adempisse l’incarico di predicare
la buona notizia del Regno sino ai confini della terra. (Matt. 24:14) Naturalmente, siamo stati preavvertiti
che “tutti quelli che desiderano vivere in santa devozione riguardo a Cristo Gesù saranno anche
perseguitati”. (2 Tim. 3:12) E questa persecuzione è venuta. È venuta non a causa di disubbidienza a
Dio, ma, piuttosto, perché i moderni servitori di Geova continuano a seguire l’esempio di Gesù di
predicare il messaggio del Regno e si tengono separati dal mondo. — Giov. 17:16.
Considerate la persecuzione dei testimoni di Geova in Malawi, Zambia, Cuba, Repubblica Araba Unita, e
in molti altri Paesi. Non sono stati sopraffatti dagli sforzi di Satana di sopprimere in quelle nazioni la vera
religione. Piuttosto, Dio ha dato loro potenza oltre ciò che è normale così che, come dichiarò l’apostolo
Paolo, siano completamente vittoriosi. (Rom. 8:35-37) Leggete i resoconti nell’Annuario dei Testimoni di
Geova del 1969 (inglese) sui suddetti Paesi, e vedrete che è così. La morte stessa è stata
coraggiosamente affrontata mediante la forza della speranza della risurrezione. — Giov. 5:28, 29.
Un mezzo con cui l’organizzazione di Dio rafforzò i cristiani nel primo secolo fu quello di mandare uomini
fedeli a istruire e incoraggiare i discepoli nelle loro congregazioni sparse. Paolo e Barnaba furono due di
questi servitori viaggianti. In un’occasione questi uomini tornarono a visitare i fratelli a Listra, Iconio e
Antiochia di Pisidia, dove s’era scatenata la violenza della turba. La Bibbia dice: “Tornarono a Listra e a
Iconio e ad Antiochia, rafforzando l’animo dei discepoli, incoraggiandoli a rimanere nella fede e dicendo:
‘Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni’”. — Atti 14:21, 22.
Questa visita di Paolo e di altri fedeli servitori effettivamente rafforzò i discepoli perché rimanessero fermi.
Oggi l’organizzazione dei testimoni di Geova riceve lo stesso servizio. Uomini fedeli, mandati dal corpo
direttivo dello “schiavo fedele e discreto”, visitano continuamente le congregazioni dei testimoni di Geova
in tutta la terra per incoraggiarli a mantenere leale perseveranza nel servizio di Geova. Come li rafforza
questo provvedimento!
Ora siamo proprio alla soglia del nuovo sistema di cose. La distruzione di questo sistema di cose è
imminente. (2 Piet. 3:7-13; 1 Giov. 2:15-17) Satana il Diavolo sta per lanciare ai servitori di Dio il suo
attacco a oltranza. Abbiamo paura? Ci rafforziamo per resistere alle prove che verranno? Con le parole di
Paolo, diciamo intrepidamente: “Per ogni cosa ho forza in virtù di colui che m’impartisce potenza”. —
Filip. 4:13.
Noi continueremo il nostro studio personale della Parola di Dio, e frequenteremo le adunanze di
congregazione. Senza posa pregheremo Geova per avere guida e forza, e ci sforzeremo vigorosamente
di compiere la sua volontà. Dio ha promesso: “Non ti lascerò affatto né in alcun modo ti abbandonerò”.
Noi crediamo a questo con tutto il cuore, e diciamo fermamente: “Geova è il mio soccorritore; non avrò
timore. Che cosa mi può fare l’uomo?” (Ebr. 13:5, 6) Sì, possiamo sopportare le prove avvenire nella
forza che viene da Dio!
Abigail — Tema: Qualità che onorano Geova ROMANI 12:13

it-1 28-9 Abigail


ABIGAIL
(Abigàil) [(mio) padre si è rallegrato].
1. Una delle mogli di Davide. Originaria della città di Carmelo, era stata moglie del ricco Nabal della vicina
Maon, località al limite del deserto di Giuda, a O del Mar Morto. (1Sa 25:2, 3; Gsè 15:20, 55) Abigail era
“buona per discrezione e bella di forme”, mentre il primo marito, il cui nome significa “insensato” o
“stupido”, era “aspro e cattivo nelle sue pratiche”.
Dopo la morte del profeta Samuele, Davide e i suoi uomini si trasferirono nella zona dove pascolavano i
greggi del marito di Abigail. Gli uomini di Davide furono quindi, giorno e notte, come un “muro” protettivo
intorno ai pastori e ai greggi di Nabal. Quando giunse il tempo della tosatura, Davide mandò alcuni
giovani a Carmelo per ricordare a Nabal i servigi resigli e chiedergli del cibo. (1Sa 25:4-8, 15, 16) Ma
l’avaro Nabal li sgridò aspramente e insultò Davide come se fosse stato un buono a nulla, e tutti loro quali
presunti schiavi fuggitivi. (1Sa 25:9-11, 14) Questo fece infuriare Davide al punto che cinse la spada e
alla testa di circa 400 uomini si diresse verso Carmelo per sterminare Nabal e i suoi uomini. — 1Sa
25:12, 13, 21, 22.
Abigail, avvertita dell’incidente da un servitore preoccupato, mostrò la sua perspicacia raccogliendo
immediatamente una gran quantità di cibo e di grano che affidò ai servitori che la precedevano, proprio
come aveva fatto Giacobbe prima di incontrare Esaù. (1Sa 25:14-19; Ge 32:13-20) Senza dir nulla al
marito, cavalcò incontro a Davide e, con una lunga e fervida supplica, che rivelava saggezza e logica
oltre a rispetto e umiltà, convinse Davide che le parole insensate del marito non giustificavano l’ingiusto
spargimento di sangue né la mancanza di fiducia che Geova stesso avrebbe risolto la cosa nel modo
giusto. (1Sa 25:14-20, 23-31) Davide ringraziò Dio per il buon senso e l’azione tempestiva della donna.
— 1Sa 25:32-35; cfr. Pr 25:21, 22; 15:1, 2.
Tornata a casa, Abigail attese che il marito smaltisse una sbornia e poi lo informò di ciò che aveva fatto.
Allora “il suo cuore divenne morto dentro di lui, ed egli stesso divenne come una pietra”, e dieci giorni
dopo Geova lo fece spirare. Quando lo venne a sapere, Davide fece una proposta di matrimonio ad
Abigail, che non esitò ad accettarla. Essa condivise l’affetto di Davide con Ahinoam, un’izreelita che
Davide aveva precedentemente sposato. La prima moglie di Davide, Mical, era già stata data dal padre
Saul a un altro uomo. — 1Sa 25:36-44.
Abigail rimase con Davide a Gat al limite occidentale della Sefela e poi a Ziclag nel Negheb
nordoccidentale. In assenza di Davide una banda di predoni amalechiti provenienti da S incendiò Ziclag e
portò via tutte le donne e i bambini, incluse Abigail e Ahinoam. Avendogli Geova assicurato il successo,
Davide li inseguì alla testa dei suoi uomini e, con un attacco di sorpresa, sgominò gli amalechiti, liberò i
prigionieri e ricuperò il bottino. — 1Sa 30:1-19.
Tornato a Ziclag, tre giorni più tardi ebbe la notizia della morte di Saul. (2Sa 1:1, 2) Abigail accompagnò il
marito a Ebron di Giuda, dove Davide fu per la prima volta unto re. Qui diede alla luce un figlio, Chileab
(2Sa 3:3), chiamato anche Daniele in 1 Cronache 3:1. A Ebron il numero delle mogli di Davide salì a sei,
e né Abigail né suo figlio sono più menzionati. — 2Sa 3:2-5.

w80 1/9 19-20 Scegliamo il miglior modo di vivere


Protetti contro la colpa del sangue
13 Un episodio in cui Dio custodì e protesse Davide dai suoi stessi ragionamenti e impulsi imperfetti è
narrato in I Samuele capitolo 25. Quando Davide viveva come un fuorilegge, braccato dal re Saul che
voleva ucciderlo, Davide e i suoi uomini aiutavano e proteggevano gli israeliti ogni volta che ne avevano
l’opportunità. Uno di quelli che aiutarono fu un israelita molto ricco di nome Nabal. Una volta che Davide
e i suoi uomini erano accampati nelle vicinanze dei pastori e delle greggi di Nabal, gli uomini di Davide
furono per loro come un muro di protezione contro i predoni, e non chiesero né presero nulla in cambio.
In seguito, quando gli uomini di Davide erano a corto di provviste, Davide chiese gentilmente a Nabal,
come a un fratello israelita, di aiutarlo dandogli del cibo. Invece di manifestare la gratitudine e l’altruismo
prescritti dalla legge mosaica, Nabal gridò impropèri e insulti agli uomini di Davide.
14 Quest’azione malvagia e ingrata fece così infuriare Davide che con 400 uomini si accinse a sfogare la
sua vendetta contro Nabal e la sua famiglia. Ma Abigail, moglie di Nabal, sapendo dell’indegna condotta
del marito, si affrettò a raggiungere Davide portandogli in dono molte cibarie. Supplicò Davide in base alla
sua relazione con Geova di non vendicarsi come intendeva fare: “Non ti sia questo causa di esitazione né
pietra d’inciampo al cuore del mio signore, con lo spargimento di sangue senza causa e facendo venire la
stessa mano del mio signore alla sua salvezza”. Davide, rientrando in sé, rispose: “Benedetto sia Geova
l’Iddio d’Israele, che ti ha mandata in questo giorno incontro a me! E benedetto il tuo senno, e benedetta
tu che mi hai trattenuto dall’entrare in questo giorno nella colpa del sangue e dal far venire la mia propria
mano alla mia salvezza”. — I Sam. 25:31-33.
15 Davide, da un punto di vista umano, si era sentito giustificato nell’accingersi a ripagare Nabal per la
sua nefandezza. In tal modo però si sarebbe fatto vendetta da solo, e sarebbe incorso nella colpa del
sangue uccidendo innocenti familiari di Nabal. Che cosa lo salvò? Geova Dio osservava, e lo protesse da
quel terribile peccato.
16 Da questo esempio vediamo che non possiamo fare affidamento su noi stessi per continuare nella
condotta che porta alla salvezza, ma dobbiamo sempre rivolgerci a Dio, che ci protegge e ci dà una via
d’uscita. Questo dovrebbe infonderci grande fiducia e renderci anche molto umili.
17 Ma qualcuno potrebbe dire: ‘Quello era Davide, l’unto re di Geova, con cui Dio aveva fatto un patto per
il regno. Forse a noi non presterebbe tanta attenzione’. Possiamo davvero dire che Dio, dopo averci
acquistati col prezioso sangue di suo Figlio, non protegga altrettanto gelosamente la nostra vita? Certo
che la protegge. Come liberò Davide da un’azione avventata e calamitosa per mezzo di Abigail, così Dio
libererà senz’altro anche noi. Come spinse Abigail a salvare Davide, così può usare la sua Parola, la
Bibbia, o i suoi angeli o un altro cristiano o circostanze provvidenziali per impedirci di compiere una
stoltezza, sempre che abbiamo fede e continuiamo ad affidarci a lui con devozione e umiltà.
18 Com’è confortante e incoraggiante vedere le cose da questo punto di vista! Dio non dice: ‘Be’, ora sai
quel che devi fare, perciò arrangiati’. Al contrario, egli si interessa amorevolmente della nostra salvezza e
ci protegge attivamente finché continuiamo ad aver fede in lui e nel riscatto provveduto tramite suo Figlio.
Egli “conosce bene come siamo formati, ricordando che siamo polvere”, e sapendo che, con le nostre
sole forze, saremmo destinati a fallire, nonostante gli sforzi per attenerci alla giusta condotta sino alla
fine. — Sal. 103:10-14, 17, 18; confronta Salmo 38:4, 22; 40:12, 13; 130:3, 4.
19 Significa questo che essere fedeli nella vita praticamente non dipende da noi, che tutto dipende da
Dio? Niente affatto, come sarà chiarito in modo scritturale nell’articolo che segue.
[Figura a pagina 19]
Come Geova protesse Davide tramite Abigail dall’agire in maniera avventata e disastrosa, così senza
dubbio custodirà anche noi

w80 15/12 28-30 Abigail, una donna davvero giudiziosa


La Parola di Dio è vivente
Abigail, una donna davvero giudiziosa
NELLA persona di Abigail, la bellezza fisica o la discrezione trovavano un piacevole equilibrio. Questa
donna giudiziosa di Carmel divenne moglie di un ricco della vicina Maon. Il marito era un uomo brusco,
irragionevole, degno del nome “Nabal”, che significa “stolto” o “Insensato”. — I Sam. 25:2, 3, “Diodati”.
La saggezza di Abigail si può notare nel suo intervento decisivo in una situazione in cui fu implicato
Davide. La situazione era così grave che avrebbe potuto rendere Davide colpevole di spargimento di
sangue davanti a Dio e avrebbe potuto significare la morte di ogni uomo della casa di Nabal.
Nel periodo in cui fu dichiarato fuorilegge dal re Saul, Davide continuò ad aver cura degli interessi dei
suoi compagni israeliti. Per esempio, egli e i suoi uomini protessero i pastori e i greggi di Nabal da bande
di predoni. Per questo motivo Davide pensò che fosse giusto dare a Nabal l’opportunità di esprimere la
sua gratitudine per tutto ciò che era stato fatto a suo favore. Il tempo della tosatura delle pecore sarebbe
stato per Nabal l’occasione ideale per mostrare la sua riconoscenza. La tosatura era considerata quasi
alla stessa stregua della mietitura, ed era accompagnata da festeggiamenti. — I Sam. 25:4-8.
Quindi, dal deserto di Giuda, Davide inviò una delegazione di dieci uomini a Carmel, al confine del
deserto. Era lì che Nabal dirigeva la tosatura delle pecore. Invece di ricevere benignamente gli uomini,
Nabal si mise a inveire contro di loro. Venuto a conoscenza della sua accoglienza ostile, Davide, con
circa 400 dei suoi uomini, armati di spada, decise di uccidere Nabal e tutti gli uomini della sua casa. — I
Sam. 25:9-13.
I pastori di Nabal capirono che il modo spietato in cui il loro padrone aveva trattato gli uomini di Davide
non poteva che procurar loro guai. Ecco perché uno dei servitori raccontò l’accaduto ad Abigail.
Immediatamente la donna capì quale pericolo correvano tutti per colpa di Nabal. Sapendo che sarebbe
stato inutile cercare di far ragionare il marito, Abigail prese l’iniziativa per risolvere appropriatamente la
questione. Per lei, rispettare un giusto principio era più importante che far piacere a un uomo che aveva
mostrato disprezzo per la legge di Dio ripagando il bene col male. Dalle abbondanti scorte per il
banchetto del marito, Abigail prese duecento pani, due grosse giare di vino, cinque pecore preparate, uno
staio di grano arrostito, cento masse d’uva secca e duecento pani di fichi pressati. Caricato il tutto su
asini, i servi portarono la roba a Davide. Abigail li seguì. — I Sam. 25:14-19.
Incontrato Davide, la donna si inchinò e lo supplicò di non vendicarsi. La sua supplica si basava sui
seguenti punti: Nabal era uno stolto, un “uomo buono a nulla”. Quindi egli era disapprovato da Dio, per
cui Geova avrebbe agito contro di lui. Tramite queste spiegazioni, Davide era trattenuto da Geova
“dall’entrare nella colpa del sangue”. Abigail lo pregò quindi di accettare le provviste per i suoi uomini. — I
Sam. 25:23-27.
Poi, con piena fede nel fatto che Geova si serviva di Davide, Abigail proseguì dicendo: “Geova farà senza
fallo una casa durevole per il mio signore, perché il mio signore combatterà le guerre di Geova; e in
quanto alla malizia, non si troverà in te per tutti i tuoi giorni. Quando l’uomo si leva per inseguirti e per
cercare la tua anima, l’anima del mio signore sarà per certo avvolta nella borsa della vita presso Geova
tuo Dio; ma in quanto all’anima dei tuoi nemici, egli la frombolerà come dal cavo della fionda. E deve
accadere che, siccome Geova farà al mio signore il bene verso di te secondo tutto ciò che egli ha
proferito, per certo ti costituirà quale condottiero su Israele. E non ti sia questo causa di esitazione né
pietra d’inciampo al cuore del mio signore, con lo spargimento di sangue senza causa e facendo venire la
stessa mano del mio signore alla sua salvezza. E Geova per certo farà del bene al mio Signore, e tu ti
devi ricordare della tua schiava”. — I Sam. 25:28-31.
In base alla reputazione che Davide si era fatta come valente guerriero, Abigail riconobbe che era l’unto
di Geova. Le sue parole assunsero toni profetici, additando il giorno in cui vi sarebbe stata una casa
reale, una dinastia, di Davide. Abigail aveva fiducia che Geova lo avrebbe protetto, ne avrebbe custodito
la vita o anima come in una “borsa” in cui si avvolge qualcosa di valore. Ma questo si sarebbe avverato
solo se Davide non avesse cercato di procurarsi salvezza o liberazione con le sue stesse mani,
indipendentemente dall’aiuto di Dio. Davide reagì positivamente. — I Sam. 25:32-35.
Quando Abigail tornò a casa, trovò Nabal ubriaco. La mattina dopo, quando il marito era sobrio, Abigail
gli raccontò tutto. “Il suo cuore divenne morto dentro di lui”, evidentemente nel senso che, venendo a
conoscenza dell’intera situazione, gli prese un colpo. Circa dieci giorni dopo pare che Nabal avesse un
altro attacco di cuore, questa volta fatale. — I Sam. 25:36-38.
Dopo di ciò, Davide chiese ad Abigail di sposarlo. Accettando, Abigail disse umilmente: “Ecco, la tua
schiava come serva per lavare i piedi dei servitori del mio signore”. Si dichiarò quindi disposta a svolgere
il più umile dei compiti. Con cinque donne di servizio cominciò a condividere la vita movimentata di un
uomo costretto a vivere come fuorilegge per colpa del re Saul. Per qualche tempo visse nella città filistea
di Gat e in seguito a Ziclag. Fra le difficoltà che dovette sopportare vi fu quella d’essere presa prigioniera
da una banda di amalechiti. Felicemente, però, fu liberata indenne. — I Sam. 25:39-42; 30:1-19.
La vita di Abigail dimostra chiaramente ciò che rende una persona retta agli occhi di Dio. Abigail fu umile
e mise la lealtà a Dio al di sopra della lealtà a un uomo. Fu la sua sottomissione alla guida divina a
renderla una donna saggia.
[Figure a pagina 28]
ABIGAIL
NABAL
DAVIDE

w96 15/9 23-4 È davvero necessario chiedere scusa?


Chiedere scusa vuol dire molto nel matrimonio
Il matrimonio fra due persone imperfette offre inevitabilmente occasioni per chiedere scusa. E se marito e
moglie hanno i medesimi sentimenti, ciò li spingerà a chiedere scusa se per caso hanno parlato o agito
sconsideratamente. Proverbi 12:18 rileva: “C’è chi parla sconsideratamente come con i colpi di una
spada, ma la lingua dei saggi è salute”. I ‘colpi sconsiderati’ non si possono annullare, ma si possono
sanare con scuse sincere. Naturalmente ciò richiede attenzione e sforzo continui.
Parlando del suo matrimonio, Susanna dice: “Giacomo ed io siamo sposati da 24 anni, ma ognuno di noi
impara ancora cose nuove sul conto dell’altro. Purtroppo qualche tempo fa ci separammo e vivemmo
lontani alcune settimane. Però seguimmo i consigli scritturali degli anziani e ritornammo insieme. Ora ci
rendiamo conto che, poiché abbiamo personalità molto diverse, è probabile che avvengano degli scontri.
Quando ciò accade, chiediamo subito scusa e ce la mettiamo tutta per capire il punto di vista dell’altro.
Sono felice di dire che il nostro matrimonio è migliorato considerevolmente”. Giacomo aggiunge:
“Abbiamo anche imparato a riconoscere i momenti in cui siamo più inclini a litigare. In quelle occasioni ci
trattiamo con maggiore sensibilità”. — Proverbi 16:23.
Ci si dovrebbe scusare se si pensa di non essere in colpa? Quando sono in gioco sentimenti profondi, è
difficile essere obiettivi e capire di chi è la colpa. Ma la cosa importante è la pace del matrimonio.
Considerate Abigail, un’israelita il cui marito aveva trattato male Davide. Benché non avesse colpa della
stupidità del marito, essa chiese scusa. “Perdona, ti prego, la trasgressione della tua schiava”, supplicò.
Davide rispose trattandola in modo riguardoso, ammettendo umilmente che, se non fosse stato per lei,
avrebbe sparso sangue innocente. — 1 Samuele 25:24-28, 32-35.
Similmente una cristiana di nome June, sposata da 45 anni, pensa che per avere un matrimonio felice
bisogna essere pronti a chiedere scusa. Essa afferma: “Dico a me stessa che il nostro matrimonio è più
importante dei miei sentimenti personali. Perciò quando chiedo scusa, sento che contribuisco a rafforzare
il matrimonio”. Un uomo d’età avanzata di nome Jim afferma: “Chiedo scusa a mia moglie anche per cose
da nulla. Da quando ha subìto una grave operazione, si offende facilmente. Perciò di solito la abbraccio e
dico: ‘Mi dispiace, cara. Non intendevo offenderti’. Come una pianta che viene innaffiata, lei
immediatamente si sente sollevata”.
Se abbiamo ferito la persona che amiamo di più, è molto efficace chiedere prontamente scusa. Milagros
ne conviene di cuore, dicendo: “Per carattere sono insicura e una parola secca di mio marito mi snerva.
Ma quando lui chiede scusa, mi sento subito meglio”. Appropriatamente le Scritture ci dicono: “I detti
piacevoli sono un favo di miele, dolci all’anima e salute alle ossa”. — Proverbi 16:24.
L’arte di chiedere scusa
Se prendiamo l’abitudine di chiedere scusa quando è necessario, probabilmente riscontreremo che la
gente reagisce in modo positivo. E magari si scuserà a sua volta. Quando sospettiamo di aver turbato
qualcuno, perché non prendere l’abitudine di chiedere scusa anziché fare di tutto per evitare di
ammettere qualsiasi colpa? Il mondo può pensare che chiedere scusa sia segno di debolezza, ma in
realtà dà prova di maturità cristiana. Certo non vogliamo essere come chi ammette un errore ma
minimizza la propria responsabilità. Per esempio, ci capita di non essere sinceri nel dire che ci dispiace?
Se arriviamo in ritardo e ci profondiamo in scuse, decidiamo di essere più puntuali?
Allora, è necessario chiedere scusa? Sì. Lo dobbiamo a noi stessi e agli altri. Chiedere scusa può
alleviare la pena causata dall’imperfezione e può appianare rapporti tesi. Ogni volta che chiediamo scusa
è una lezione di umiltà e impariamo a essere più sensibili ai sentimenti altrui. Di conseguenza, i compagni
di fede, il nostro coniuge e altri ci considereranno persone che meritano il loro affetto e la loro fiducia.
Avremo pace mentale e Geova Dio ci benedirà.
[Note in calce]
I nomi sono stati cambiati.
I nomi sono stati cambiati.
[Foto a pagina 23]
Chiedere sinceramente scusa favorisce l’amore cristiano

w97 1/7 14-15 Una donna giudiziosa impedisce un'azione avventata


Fecero la volontà di Geova
Una donna giudiziosa impedisce un’azione avventata
UNA donna assennata sposata con un buono a nulla: ecco la coppia Abigail e Nabal. Abigail era “buona
per discrezione e bella di forme”. Nabal invece era “aspro e cattivo nelle sue pratiche”. (1 Samuele 25:3)
La drammatica situazione che ne scaturì e che ebbe per protagonista questa coppia male assortita ne ha
impresso indelebilmente il nome nella storia biblica. Vediamo come.
Un favore preso per scontato
Era l’XI secolo a.E.V. Davide era stato unto come futuro re di Israele, ma invece di regnare era in fuga. Al
potere c’era il re Saul, che aveva deciso di metterlo a morte. Di conseguenza Davide era costretto a
vivere come fuggiasco. Lui e circa 600 compagni trovarono infine rifugio nel deserto di Paran, a sud di
Giuda e verso il deserto del Sinai. — 1 Samuele 23:13; 25:1.
Mentre erano lì incontrarono dei pastori che lavoravano per un certo Nabal. Questo facoltoso discendente
di Caleb possedeva 3.000 pecore e 1.000 capre, e tosava le pecore a Carmelo, una città a sud di Ebron,
forse solo una quarantina di chilometri da Paran. Davide e i suoi uomini aiutarono i pastori di Nabal a
proteggere i loro greggi dai briganti che facevano scorrerie nel deserto. — 1 Samuele 25:14-16.
Frattanto a Carmelo era iniziata la tosatura. Era un periodo festoso, come la mietitura per gli agricoltori.
Si mostrava grande generosità, in quanto i proprietari dei greggi ricompensavano quelli che avevano
lavorato per loro. Perciò Davide non agì con presunzione quando mandò dieci uomini a Carmelo a
chiedere a Nabal dei viveri in cambio dell’aiuto prestato per la protezione dei suoi greggi. — 1 Samuele
25:4-9.
La risposta di Nabal fu tutt’altro che generosa. “Chi è Davide?”, disse con sarcasmo. Poi, lasciando
intendere che Davide e i suoi uomini non erano altro che servitori in fuga, chiese: “Devo io prendere il mio
pane e la mia acqua e la mia carne scannata che ho macellato per i miei tosatori e darli a uomini dei quali
non so nemmeno di dove siano?” Quando Davide fu informato di ciò, disse ai suoi uomini: “Cinga
ciascuno la sua spada!” Circa 400 uomini si prepararono a dare battaglia. — 1 Samuele 25:10-13.
La discrezione di Abigail
Le parole offensive di Nabal giunsero agli orecchi di sua moglie, Abigail. Forse non era la prima volta che
lei doveva intercedere per rimediare ai guai causati da Nabal. Comunque fosse, Abigail agì
immediatamente. Senza dire nulla a Nabal, radunò delle provviste — fra cui cinque pecore e una gran
quantità di cibo — e andò incontro a Davide nel deserto. — 1 Samuele 25:18-20.
Quando Abigail vide Davide, subito gli si prostrò davanti. “Non rivolga il mio signore il suo cuore a
quest’uomo buono a nulla, Nabal”, lo supplicò. “Riguardo a questo dono di benedizione che la tua serva
ha portato al mio signore, dev’essere dato ai giovani che camminano nei passi del mio signore”. E
aggiunse: “Non sia questo [la situazione relativa a Nabal] per te causa di esitazione né pietra d’inciampo
al cuore del mio signore”. Il termine ebraico qui tradotto “esitazione” dà l’idea di rimorsi di coscienza.
Perciò Abigail stava mettendo in guardia Davide dal compiere un’azione avventata di cui poi si sarebbe
rammaricato. — 1 Samuele 25:23-31.
Davide ascoltò Abigail. “Benedetto il tuo senno, e benedetta tu che mi hai trattenuto dall’entrare in questo
giorno nella colpa di sangue”, le disse. “Se non ti fossi affrettata a venirmi incontro, certamente non
sarebbe rimasto a Nabal fino alla luce del mattino nessuno che orina contro il muro”. — 1 Samuele 25:32-
34.
Lezioni per noi
Questo episodio biblico mostra che non è affatto sbagliato che una donna devota prenda
appropriatamente l’iniziativa in caso di bisogno. Abigail agì contro i desideri del marito, Nabal, ma la
Bibbia non la critica per questo. Al contrario, la loda come donna giudiziosa e assennata. Prendendo
l’iniziativa in quella situazione critica, Abigail salvò molte vite.
Anche se in linea di massima la moglie dovrebbe manifestare uno spirito di santa sottomissione, può
appropriatamente dissentire dal marito quando sono in gioco giusti princìpi. Naturalmente dovrebbe
cercare di mantenere uno “spirito quieto e mite” e non agire in modo indipendente per semplice spirito di
contraddizione, orgoglio o ribellione. (1 Pietro 3:4) Tuttavia la moglie devota non dovrebbe sentirsi
obbligata a fare qualcosa che sa essere decisamente poco saggio o che viola i princìpi biblici. L’episodio
di Abigail costituisce davvero un valido argomento contro quelli che insistono nel dire che la Bibbia
presenta le donne come semplici schiave.
Questo episodio ci insegna anche l’importanza della padronanza di sé. A volte Davide manifestò
pienamente questa qualità. Per esempio, rifiutò di mettere a morte il vendicativo re Saul, pur avendo
avuto ampie opportunità di farlo e pur sapendo che la morte di Saul gli avrebbe permesso di vivere in
pace. (1 Samuele 24:2-7) Invece, quando Nabal lo insultò con disprezzo, Davide fu spiazzato e giurò di
vendicarsi. Questo è un chiaro avvertimento per i cristiani, che si sforzano di ‘non rendere a nessuno
male per male’. In ogni circostanza dovrebbero seguire l’esortazione di Paolo: “Se possibile, per quanto
dipende da voi, siate pacifici con tutti gli uomini. Non vi vendicate, diletti, ma fate posto all’ira”. — Romani
12:17-19.
[Note in calce]
Si ritiene che il deserto di Paran si estendesse a nord fino a Beer-Seba. In questa parte del paese
c’erano ampi pascoli.
‘Chi orina contro il muro’ è una frase idiomatica ebraica per indicare i maschi, usata evidentemente in
senso dispregiativo. — Confronta 1 Re 14:10.
[Figura a pagina 15]
Abigail porta doni a Davide
Abisai — Tema: Siate leali a quelli che prendono la direttiva EBREI 13:7, 17

it-1 31 Abisai
ABISAI
(Abìsai) [forse, padre è (esiste)].
Figlio di Zeruia, sorella o sorellastra di Davide, e fratello di Gioab e Asael. — 2Sa 2:18; 1Cr 2:15, 16.
Abisai si distinse per il suo valore più dei 30 potenti guerrieri di cui era il capo, e la sua reputazione era
quasi pari a quella dei tre uomini più potenti al servizio di Davide. Infatti una volta abbatté 300 nemici con
una mano sola, ma “non pervenne al rango dei primi tre”. — 2Sa 23:18, 19.
Abisai sostenne lealmente Davide, suo zio, in tutte le campagne militari, ma aveva la tendenza a essere
impulsivo e spietato, e a volte doveva essere tenuto a freno. Per esempio, quando lui e Davide
penetrarono di notte nell’accampamento di Saul, Abisai avrebbe inchiodato a terra Saul, “l’unto di
Geova”, mentre dormiva, con la lancia di quest’ultimo, se Davide non glielo avesse impedito. (1Sa 26:6-9)
Quando Absalom si ribellò, Abisai dovette essere trattenuto due volte dal decapitare Simei che
malediceva il re. Davide non riuscì però a impedire che Abisai partecipasse all’uccisione di Abner. — 2Sa
3:30; 16:9-11; 19:21-23.
Abisai divenne famoso per aver preso l’iniziativa nell’abbattere 18.000 edomiti e per aver provocato in
un’altra occasione la disfatta degli ammoniti. Collaborò pure alla repressione della rivolta di Seba, un
beniaminita buono a nulla. Nell’ultima battaglia combattuta da Davide, se Abisai non fosse intervenuto, il
re avrebbe perso la vita per mano di un filisteo di grande statura. — 1Cr 18:12; 19:11-15; 2Sa 20:1, 6;
21:15-17.

w91 15/5 15 Esempi di longanimità su cui riflettere


17 Davide è un altro esempio di fedele servitore di Geova che fu longanime e sopportò con pazienza i torti
subiti. Braccato dal geloso re Saul, in due occasioni Davide avrebbe potuto vendicarsi uccidendolo. (1
Samuele 24:1-22; 26:1-25) Ma Davide aspettò Dio, come si nota da ciò che disse ad Abisai: “Geova
stesso . . . inferirà un colpo [a Saul]; o verrà il suo giorno e dovrà morire, o scenderà in battaglia, e
certamente sarà spazzato via. È impensabile, da parte mia, dal punto di vista di Geova, che io stenda la
mano contro l’unto di Geova!” (1 Samuele 26:10, 11) Sì, Davide avrebbe potuto porre fine alla caccia
spietata di Saul, ma scelse la strada della longanimità.
18 Prendete anche ciò che accadde quando il re Davide stava fuggendo da suo figlio Absalom che l’aveva
tradito. Simei, un beniaminita della casa di Saul, gettava pietre a Davide e invocava il male su di lui,
gridando: “Esci, esci, uomo colpevole di sangue e uomo buono a nulla!” Abisai voleva far uccidere Simei,
ma Davide rifiutò di vendicarsi. Anche in questo caso, anziché vendicarsi Davide manifestò la qualità
della longanimità. — 2 Samuele 16:5-13.
Abiu — Tema: La preminenza non giustifica la disubbidienza EBREI 2:2; PROVERBI 11:2

it-1 32-3 Abiu


ABIU
(Abìu) [padre è egli].
Uno dei quattro figli di Aaronne e di sua moglie Eliseba; fratello di Nadab, Eleazaro e Itamar. (Eso 6:23;
1Cr 6:3; 24:1) Nato in Egitto, Abiu, secondo figlio di Aaronne, doveva essere un uomo maturo all’epoca
dell’Esodo, dato che suo padre aveva 83 anni. — Nu 33:39.
Come figli maggiori, Nadab e Abiu ebbero da Geova il permesso di accompagnare il padre e 70 anziani
d’Israele verso il monte Sinai e di avere da una certa distanza un’imponente visione della gloria di Dio.
(Eso 24:1, 9-11) Geova onorò i figli di Aaronne, affidando loro l’incarico di prestare servizio come
sacerdoti insieme al padre, il sommo sacerdote, e stabilendo che da loro venisse l’eventuale successore
di Aaronne. Essi dovevano indossare abiti e copricapo sacerdotali “per gloria e bellezza”. Mosè doveva
“ungerli e riempire la loro mano di potere e santificarli” per il servizio di Dio. (Eso 28:1, 40-43) Il
sacerdozio sarebbe appartenuto loro “come statuto a tempo indefinito”. — Eso 29:8, 9.
Da allora in poi furono sempre inclusi nelle istruzioni di Dio relative al sacerdozio e alle sue funzioni. (Eso
29:10-46; 30:26-38) Inoltre Dio mise vigorosamente in risalto per loro, e per tutta la nazione, l’importanza
vitale di rispettare la santità delle cose relative alla sua adorazione, inclusi l’altare dell’incenso e i suoi
arredi. La loro vita dipendeva dal rispettare i regolamenti divini.
Ora, un anno dopo l’inizio dell’Esodo, era giunto il momento di erigere il tabernacolo e insediare il
sacerdozio (1512 a.E.V.). L’intera nazione si radunò davanti all’ingresso della tenda di adunanza per le
cerimonie d’investitura e vide Aaronne e Abiu e i suoi fratelli, lavati e con il capo coperto da un turbante,
ricevere l’unzione come sacerdoti di Dio per rappresentare la nazione davanti a Lui. Quindi i nuovi
sacerdoti rimasero all’ingresso della tenda di adunanza per sette giorni onde si completasse la loro
investitura e, come disse Mosè, “‘per riempire la vostra mano di potere’. . . . E Aaronne e i suoi figli
facevano tutte le cose che Geova aveva comandato per mezzo di Mosè”. — Le 8:1-3, 13-36.
L’ottavo giorno Aaronne cominciò a officiare, con l’assistenza di Abiu e dei suoi fratelli (Le 9:1-24), e
furono tutti testimoni della gloriosa manifestazione della presenza di Dio. Ma, evidentemente prima della
fine della giornata, Nadab e Abiu “presero e portarono ciascuno il suo portafuoco e vi misero del fuoco e
vi posero sopra dell’incenso, e offrivano dinanzi a Geova fuoco illegittimo, che egli non aveva loro
prescritto. A ciò un fuoco uscì d’innanzi a Geova e li consumò, così che morirono dinanzi a Geova”. (Le
10:1, 2) Per ordine di Mosè i loro cadaveri furono portati fuori del campo dai cugini di Aaronne. Il padre e
gli altri fratelli ebbero da Dio il comando di non fare cordoglio per il fatto che erano stati stroncati in questo
modo dalla congregazione. — Le 10:4-7.
Immediatamente dopo Dio avvertì Aaronne che né lui né i suoi figli dovevano bere bevande inebrianti
mentre prestavano servizio presso il tabernacolo, ‘affinché non morissero’. Un commento al versetto 9
⇒di Levitico 10 ⇐dice: “I rabbini collegavano l’incidente di Nadab e Abiu con la proibizione di bere
bevande inebrianti prima di officiare nel Santuario”. (The Pentateuch and Haftorahs, a cura di J. H. Hertz,
Londra, 1972, p. 446) Quindi può darsi che l’ubriachezza li avesse indotti a commettere quel grave
peccato, ma la causa effettiva della loro morte fu la violazione dell’esigenza di Dio in materia di pura
adorazione con l’offerta di “fuoco illegittimo, che egli non aveva loro prescritto”.
Abiu ebbe per breve tempo grande onore da Dio e notevole preminenza davanti a tutta la nazione; ma,
per ambizione, presunzione o leggerezza nei confronti delle istruzioni di Dio, non godette a lungo dei suoi
privilegi, e morì senza figli. — Nu 3:2-4; 26:60, 61; 1Cr 24:1, 2.

w84 1/4 25 Levitico: un invito a praticare la santa adorazione di Geova


⌠ 10:1, 2 — In che cosa poté consistere questo peccato?
Quando Nadab e Abiu si presero queste indebite libertà, può darsi che fossero sotto l’effetto dell’alcool.
Ciò è probabile, dal momento che subito dopo Geova vietò ai sacerdoti di bere vino o bevanda inebriante
quando prestavano servizio nel tabernacolo. Ma il vero motivo della morte di Nadab e Abiu fu il fatto che
avevano offerto “fuoco illegittimo, che [Geova] non aveva loro prescritto”. (Levitico 10:1-11) Questo
episodio mostra che oggi i servitori responsabili di Geova devono conformarsi alle esigenze divine e che
non possono assolvere i doveri affidati loro da Dio mentre sono sotto l’effetto di bevande alcoliche.

g70 8/9 27-9 Nadab e Abiu: Esempi ammonitori


“La tua parola è verità”
Nadab e Abiu: Esempi ammonitori
I NOMI di Nadab e Abiu non sono tra i nomi biblici meglio conosciuti. A parte il fatto che sono elencati
nelle genealogie delle Scritture, essi sono menzionati solo in relazione a tre brevi episodi. Ma questi
pochi episodi sono sufficienti a rendere significativo il loro racconto scritturale per tutti quelli che si
interessano di piacere a Geova Dio e ottenere la vita eterna.
Nadab e Abiu, insieme a Eleazaro e Itamar, erano figli del primo sommo sacerdote d’Israele, Aaronne
fratello del profeta Mosè. Come figli di Aaronne condivisero il suo onore, poiché erano suoi assistenti
sacerdotali. E Nadab, il primogenito, era il prossimo nella linea di successione quale sommo sacerdote
dopo la morte di suo padre. — Eso. 28:1.
Tanto per cominciare, Nadab e Abiu furono specialmente favoriti conoscendo Geova Dio in modo
incomparabile al principio del viaggio d’Israele nel deserto. Furono inclusi quando Dio invitò Mosè,
Aaronne e settanta “anziani” d’Israele a incontrarlo sul monte Sinai. Quindi questi “uomini distinti . . .
ebbero una visione del vero Dio e mangiarono e bevvero”. Lì Nadab e Abiu ebbero dunque l’onore
d’essere fra i molto più anziani “uomini distinti” d’Israele. — Eso. 24:1-11.
L’anno seguente Aaronne e i suoi quattro figli furono insediati quali sacerdoti, in un’imponente cerimonia
a cui assistette tutto Israele. Questo fece di nuovo avere a Nadab e Abiu, nonché ai loro fratelli e al loro
padre, insolita preminenza. Quindi tutt’e cinque dovettero rimanere all’ingresso della tenda di adunanza
per sette giorni. L’ottavo giorno essi cominciarono ad agire come sacerdoti, offrendo sacrifici a favore
d’Israele. — Lev. 8:1–9:24.
Evidentemente prima che quell’ottavo giorno fosse finito Nadab e Abiu agirono di loro propria iniziativa.
Consideravano essi alla leggera queste solenni attività, o tutta questa importanza era loro andata alla
testa, facendoli agire con superbia e ambizione? Presuntuosamente “Nadab e Abiu . . . presero e
portarono ciascuno il suo portafuoco e vi misero del fuoco e vi posero sopra dell’incenso, e offrivano
dinanzi a Geova fuoco illegittimo, che egli non aveva loro prescritto. A ciò un fuoco uscì d’innanzi a
Geova e li consumò”. — Lev. 10:1, 2.
Che prezzo pagarono per non aver apprezzato la loro posizione! Evidentemente si sentirono come tanti
giovani d’oggi, che pensano di sapere più dei padri e di non avere quindi bisogno di rivolgersi a loro per
avere guida e istruzione e ricevere direttiva. Ovviamente Nadab e Abiu furono anche privi d’amore e di
rispetto per il loro padre, altrimenti avrebbero notato la sua riverenza per l’adorazione di Geova e non
avrebbero mai nemmeno pensato di offrire incenso che Dio non aveva loro prescritto.
Può darsi benissimo che alla loro mancanza di rispetto per i seri aspetti del loro servizio sacerdotale
contribuisse il bere vino o altra bevanda simile in quel tempo. Questo poté farli sentire leggeri e indurli a
fare qualche cosa di così presuntuoso e avventato come l’offerta di fuoco illegittimo. Almeno questo pare
sia implicito nelle istruzioni che Geova diede ad Aaronne poco dopo questo episodio: “Non bere vino né
bevanda inebriante, tu e i tuoi figli con te, quando entrate nella tenda di adunanza, affinché non moriate.
È uno statuto a tempo indefinito per le vostre generazioni, sia per fare una distinzione fra la cosa santa e
la profana e fra la cosa impura e la pura, sia per insegnare ai figli d’Israele tutti i regolamenti che Geova
ha proferito loro per mezzo di Mosè”. — Lev. 10:8-11.
Giacché l’apostolo Paolo ci assicura che “queste cose accadevano loro come esempi, e furono scritte per
avvertimento a noi sui quali sono arrivati i termini dei sistemi di cose”, che cosa possiamo imparare dalla
condotta di Abiu? — 1 Cor. 10:11.
Parecchie cose. Anzitutto, si potrebbe dire ci sia l’implicito avvertimento per tutti i figli primogeniti di non
stimarsi troppo. È molto probabile che Nadab il primogenito prendesse l’iniziativa a questo riguardo. Tra
altri figli primogeniti che non finirono bene ci furono Caino, primogenito di Adamo; Esaù, primogenito
d’Isacco; Ruben, primogenito di Giacobbe e Amnon, primogenito del re Davide.
In questo racconto c’è anche una lezione per tutti i giovani di mostrare rispetto ai loro anziani, di rivolgersi
loro per avere guida, specialmente se tali genitori temono Dio. I giovani dovrebbero badare che non
sorga fra loro e i genitori e altri anziani il “divario delle generazioni”, poiché questo divario contribuisce a
farli agire male. La Parola di Dio consiglia chiaramente: “Onora tuo padre e tua madre”. “Osserva, o figlio
mio, il comandamento di tuo padre, e non abbandonare la legge di tua madre”. Certo se Nadab e Abiu
avessero avuto questa attitudine mentale riguardo al loro padre non sarebbero finiti in rovina. — Eso.
20:12; Prov. 6:20.
In questo racconto è contenuto un avvertimento anche contro la presunzione, poiché illustra il principio:
“È venuta la presunzione? Quindi verrà il disonore”. (Prov. 11:2) Se siamo favoriti con speciali privilegi o
riceviamo insolita preminenza, non dobbiamo lasciare che questo ci dia un’opinione troppo alta di noi
stessi. Spesso tali persone vogliono dire ai loro superiori quello che dovrebbero fare invece di apprezzare
modestamente il bisogno di guida.
E infine c’è l’avvertimento del pericolo d’essere indebitamente influenzati dalle bevande alcoliche. È vero,
la Bibbia ci dice che un dono di Dio è il vino che “fa rallegrare il cuore dell’uomo mortale”, e che dobbiamo
dare “vino a quelli che hanno l’animo amaro”. Ci è pure detto che un po’ di vino fa bene per i disturbi di
stomaco e altri mali. — Sal. 104:15; Prov. 31:6; 1 Tim. 5:23.
Ma è saggio prendere vino o qualche altra bevanda alcolica quando si hanno seri compiti da svolgere,
quando c’è bisogno di pensare chiaramente e d’avere fermo dominio di tutte le proprie facoltà fisiche e
mentali? Il dott. M. A. Block, esperto sull’effetto dell’alcool sul corpo, dice che “l’alcool toglie da uno stato
di realtà per mettere in uno stato di mente più piacevole e desiderabile”, e che “con l’alcool nel sangue
l’automobilista può pensare di far meglio quando in effetti fa peggio”. — Vital Speeches of the Day, 15
settembre 1969.
Sì, le bevande alcoliche stimolano le emozioni e indeboliscono i processi mentali. Non senza buona
ragione il saggio re Salomone osservò: “Il vino [usato in eccesso] è schernitore, la bevanda inebriante è
tumultuosa, e chiunque ne è sviato non è saggio”. Perciò i cristiani devono stare attenti sia all’occasione
che alla quantità di tali bevande che prendono. E sarebbe prudente non prendere tali bevande poco
prima di impegnarsi nel ministero o nel corso d’esso, evitando così inutile trasgressione. — Prov. 20:1.
In realtà c’è molto da imparare dagli esempi ammonitori di Nadab e Abiu contenuti nella Parola di Dio, la
Bibbia.
Abner — Tema: Quelli che prendono la spada periranno di spada MATTEO 26:52

it-1 33-4 Abner


ABNER
(Àbner) [padre è una lampada].
Figlio di Ner, della tribù di Beniamino. In 1 Samuele 14:50, 51, le parole “zio di Saul” si riferiscono
evidentemente ad Abner, anche se in ebraico si possono applicare sia ad Abner che a Ner, suo padre.
Giuseppe Flavio dice che Abner era cugino di Saul, e che i rispettivi padri, Ner e Chis, erano fratelli.
(Antichità giudaiche, VI, 129, 130 [vi, 6]) In 1 Cronache 8:33 e 9:39, però, la storia ispirata sostiene
senz’altro la tesi che Chis fosse figlio di Ner e quindi fratello di Abner. Abner era dunque zio di Saul. —
Vedi anche il riquadro alla voce ABIEL n. 1.
Abner comandava l’esercito di Saul, le cui forze combattenti a volte assunsero proporzioni rilevanti: ben
200.000 uomini. (1Sa 15:4) In speciali occasioni sedeva a tavola accanto al re. (1Sa 20:25) Benché fosse
indubbiamente un uomo forte e coraggioso, Abner venne redarguito da Davide, quando quest’ultimo era
fuggiasco nel deserto di Zif, perché non aveva fatto buona guardia a Saul, suo signore e “unto di Geova”.
— 1Sa 26:14-16.
Dopo la morte di Saul nella disfatta inflitta dai filistei, Abner si ritirò oltre il Giordano a Maanaim in Galaad,
portando con sé Is-Boset, figlio di Saul. Benché Davide fosse stato acclamato re a Ebron dalla tribù di
Giuda, Abner insediò Is-Boset come re rivale a Maanaim. Era chiaro che Abner sosteneva Is-Boset e col
tempo ottenne per lui l’appoggio di tutte le tribù tranne quella di Giuda. — 2Sa 2:8-10.
Alla fine gli eserciti dei due avversari vennero a una prova di forza presso la piscina di Gabaon nel
territorio di Beniamino, a circa un terzo della distanza fra Ebron e Maanaim. Dopo che i due eserciti si
furono studiati a vicenda, Abner propose una competizione fra una dozzina di giovani guerrieri di
entrambe le parti. Le due formazioni si uguagliavano a tal punto che ne risultò un reciproco massacro e
questo scatenò un violento combattimento fra i due eserciti. Le forze di Abner persero 18 uomini per ogni
caduto fra i soldati di Gioab, e si ritirarono nel deserto. — 2Sa 2:12-17, 30, 31.
Abner esortò più volte il veloce Asael, fratello di Gioab, a desistere dall’inseguirlo onde evitare uno
scontro mortale. Visto il continuo rifiuto di Asael, Abner gli inferse alla fine un poderoso colpo all’indietro e
lo uccise con l’impugnatura della lancia, trapassandogli l’addome. (2Sa 2:18-23) Su richiesta di Abner, al
tramonto Gioab pose fine all’inseguimento, e i due eserciti si rimisero in marcia verso le rispettive capitali.
Si può capire di che tempra fossero quegli uomini dal fatto che l’esercito di Abner percorse 80 km o più,
scendendo nel bacino del Giordano, guadando il fiume e risalendo poi la valle del Giordano fino alle
colline di Galaad, dove raggiunsero Maanaim. Dopo aver sepolto Asael a Betleem (forse l’indomani), gli
uomini di Gioab percorsero in una notte più di 22 km fra i monti per raggiungere Ebron. — 2Sa 2:29-32.
Abner sostenne il regime di Is-Boset ormai in declino ma rafforzò anche la propria posizione, forse
mirando al regno, poiché dopo tutto era fratello del padre di Saul. Quando fu ripreso da Is-Boset per aver
avuto rapporti con una concubina di Saul (atto consentito solo all’erede del re defunto), Abner adirato
annunciò che sarebbe passato dalla parte di Davide. (2Sa 3:6-11) Patteggiò con Davide, sottolineando la
propria posizione di effettivo comandante di tutto Israele, tranne Giuda. Soddisfatta la richiesta di Davide
che gli fosse restituita la moglie Mical, Abner si rivolse privatamente ai capi delle undici tribù separatesi
da Giuda per persuaderli a sostenere Davide, il re nominato da Geova. (2Sa 3:12-19) Dopo di che fu
cordialmente accolto da Davide nella capitale, Ebron, e quel giorno stesso partì per andare a convincere
tutte le tribù a fare un patto con Davide. Ma Gioab, tornato da una scorreria, dopo avere denunciato
Abner come spia, lo richiamò indietro e con l’inganno lo condusse in un luogo appartato e lo uccise. —
2Sa 3:20-27.
Con la morte di Abner crollò ogni speranza di aiuto per Is-Boset che fu ben presto assassinato da
traditori. Così il regno della casa di Saul giunse alla sua completa fine. — 2Sa 4:1-3, 5-12.
Molti anni dopo, quasi in punto di morte, Davide si ricordò della morte di Abner (e anche di quella di
Amasa) e incaricò Salomone di cancellare dalla casa di Davide la macchia del sangue versato da Gioab.
(1Re 2:1, 5, 6) Poco dopo Gioab, l’uccisore di Abner, fu messo a morte per ordine di Salomone. — 1Re
2:31-34.
Viene menzionato un solo figlio di Abner, Iaasiel, che era un capo della tribù di Beniamino durante il
regno di Davide. (1Cr 27:21) In 1 Cronache 26:28 si menzionano anche le contribuzioni per il tabernacolo
che Abner fece dal bottino che aveva preso come capo dell’esercito.

w94 15/9 6-7 Perché perdonare?


Sia che il perdono sia possibile o no, la vittima di un grave peccato può anche chiedersi: Devo rimanere
gravemente turbato sul piano emotivo, sentendomi intensamente addolorato e adirato, finché la
questione non sarà completamente risolta? Facciamo un esempio. Il re Davide provò profondo dolore
quando il suo generale, Gioab, assassinò Abner e Amasa, “due uomini più giusti e migliori di [Gioab]”. (1
Re 2:32) Davide espresse la sua indignazione verbalmente e senza dubbio anche in preghiera a Geova.
Col tempo, però, l’intensità dei sentimenti di Davide probabilmente si attenuò. Egli non rimase in preda
all’ira sino alla fine dei suoi giorni. Continuò addirittura a collaborare con Gioab, sebbene non avesse
perdonato quell’omicida impenitente. Davide fece in modo che infine fosse fatta giustizia. — 2 Samuele
3:28-39; 1 Re 2:5, 6.
Possono volerci tempo e sforzi perché chi è stato vittima di un grave peccato superi lo stato d’ira iniziale.
Il processo di guarigione può essere molto più facile se l’offensore riconosce il torto e si pente.
Comunque, indipendentemente dalla reazione del colpevole, la vittima innocente dovrebbe poter trovare
conforto e sollievo sia nella consapevolezza della giustizia e della sapienza di Geova che entro la
congregazione cristiana.
Ricordate pure che perdonare un peccatore non significa condonare il peccato. Per il cristiano, perdonare
significa lasciare con fiducia la cosa nelle mani di Geova. È lui il giusto Giudice di tutto l’universo e a
tempo debito farà giustizia. Tra l’altro giudicherà “i fornicatori e gli adulteri”. — Ebrei 13:4.

w77 15/3 164-6 Eviterete l'ambizione?


Eviterete l’ambizione?
AVETE capacità direttive? In tal caso, potete rendervi molto utili ad altri. Chi è dotato di capacità
organizzative ed è in grado di far svolgere un lavoro senza intralci e in modo efficiente viene apprezzato.
Ma sebbene le capacità direttive possano essere un vantaggio, c’è qualcosa che spesso le trasforma in
un danno. La colpa è dell’ambizione, definita “brama di potere, di onori, di grandezza; vanità, orgoglio
smisurato”.
Il desiderio di divenire preminenti è molto forte. Anche persone la cui condotta dovrebbe essere
esemplare ne sono vittime. Per esempio, di certi capi religiosi del suo giorno Gesù disse: “Guardatevi
dagli scribi che desiderano andare in giro in lunghe vesti e amano i saluti nei luoghi di mercato e i primi
posti nelle sinagoghe e i luoghi più eminenti ai pasti serali”. (Luca 20:46) Anche i discepoli di Gesù furono
a volte preda dell’ambizione. Riguardo a una di queste occasioni, leggiamo: “Ed essi vennero in
Capernaum. Or quando fu dentro la casa fece loro la domanda: ‘Di che cosa discutevate per la strada?’
Essi tacevano, poiché per la strada avevano discusso fra loro su chi era il più grande”. — Mar. 9:33, 34;
Luca 22:24.
I CATTIVI FRUTTI DELL’AMBIZIONE
Il caso di Gioab, capo dell’antico esercito israelita, illustra a quali estremi può portare l’ambizione.
Segretamente Gioab assassinò sia Abner che Amasa. Questo avvenne a causa di rivalità per la
posizione di comandante dell’esercito del re Davide. (2 Sam. 3:26, 27; 20:8-10, 23) Quando il re fu
vecchio e malato, Gioab si unì ad Adonia figlio di Davide in una cospirazione per usurpare il trono. (1 Re
1:18, 19) Fallita la cospirazione e fatto re Salomone, Gioab abbandonò Adonia. Ma tali ambiziosi
complotti non servirono a nulla, poiché Gioab subì una morte ingloriosa essendo giustiziato all’inizio del
regno di Salomone. — 1 Re 2:5, 6, 29-34.
Probabilmente avete visto molte persone ambiziose ottenere potenti cariche amministrative. Fanno
realmente del bene al prossimo? Forse siete d’accordo con le osservazioni di un ispirato scrittore della
Bibbia: “Esiste qualche cosa di calamitoso che ho visto sotto il sole, come quando esce uno sbaglio a
motivo di chi è al potere: La stoltezza è stata messa in molte alte posizioni, ma i ricchi stessi [cioè quelli
che si potrebbe pensare abbiano la prospettiva di ricoprire incarichi di sorveglianza] continuano a
dimorare semplicemente in una bassa condizione. Ho visto servitori a cavallo ma principi camminare
sulla terra proprio come servitori”. — Eccl. 10:5-7.
I frutti marci prodotti dalla cattiva amministrazione degli affari umani da parte di individui ambiziosi sono
ben descritti in Ecclesiaste 4:1: “E io stesso tornai per vedere tutti gli atti d’oppressione che si compiono
sotto il sole, ed ecco, le lagrime di quelli che erano oppressi, ma non avevano confortatore, e al lato dei
loro oppressori c’era la potenza, così che non avevano confortatore”. Non è questa una situazione anche
più evidente oggi?
LA VEDUTA CORRETTA
Che ne pensate del fatto di acquistare preminenza, superiorità o autorità? La Bibbia può aiutarvi ad avere
un punto di vista ragionevole. In che modo?
Anzitutto, le Scritture mostrano che gli sforzi ambiziosi di farsi avanti sono una semplice perdita di tempo.
Lo scrittore ispirato citato sopra osservò: “E io stesso ho visto tutto il duro lavoro e tutta l’abilità nell’opera,
che significa rivalità dell’uno verso l’altro; anche questo è vanità e un correr dietro al vento”. (Eccl. 4:4)
Non è saggio evitare tale condotta vana? Probabilmente avrete notato che le persone troppo energiche
vanno specialmente soggette a malattie causate dalla tensione, come gli attacchi cardiaci. Davvero
saggio è il consiglio delle Scritture: “È meglio una mano piena di riposo che due mani piene di duro lavoro
e correr dietro al vento”. — Eccl. 4:6.
Anche lo sfrenato desiderio di onore o di preminenza è rischioso per la spiritualità, poiché Dio dichiara:
“Ho odiato la superbia e l’orgoglio”. (Prov. 8:13) L’ambizione nuoce non solo a chi ne è schiavo, ma
anche a chi si associa a lui. Quindi lo scrittore biblico Giacomo consigliò ai cristiani del primo secolo: “Se
avete nei vostri cuori amara gelosia e contenzione, non vi vantate e non mentite contro la verità. Questa
non è la sapienza che scende dall’alto, ma è terrena, animale, demonica. Poiché dove sono gelosia e
contenzione, ivi sono disordine e ogni cosa vile”. — Giac. 3:14-16.
Che l’ambizione possa causare “disordine” è indicato dal fatto che gli apostoli di Gesù “cominciarono a
indignarsi verso Giacomo e Giovanni” quando quei due cercarono i posti più preminenti al fianco di Gesù
nel regno celeste di Dio. (Mar. 10:41) In seguito, uomini ambiziosi causarono divisioni nella
congregazione cristiana. Infine ciò portò a una generale apostasia dalla vera fede cristiana. (Atti 20:29,
30; 2 Piet. 2:1-3) Desiderate avere uno spirito che ha causato tanto danno?
LE RADICI DELL’AMBIZIONE
Perché tanti sono vittime dell’ambizione? Essendo uno sfrenato desiderio di onori e grandezza,
l’ambizione è una forma di concupiscenza. Gesù disse: “Dal di dentro, dal cuore degli uomini, vengono i
ragionamenti dannosi: . . . concupiscenze, . . . occhio invidioso, . . . superbia”. (Mar. 7:21, 22) L’apostolo
Paolo fa ulteriore luce sulla fonte del problema, dicendo: “Io sono carnale, venduto sotto il peccato . . .
vedo nelle mie membra un’altra legge che combatte contro la legge della mia mente e mi conduce
prigioniero alla legge del peccato che è nelle mie membra”. — Rom. 7:14, 23.
La causa basilare dell’ambizione è il peccato ereditato, che porta a vedere le cose in modo egoistico,
rendendo la persona altera. — Rom. 3:23; 5:12.
INCORAGGIATE L’AMBIZIONE NEGLI ALTRI?
Forse la vostra vita non è dominata dall’ambizione. Ma potreste incoraggiarla in altri. Come potrebbe
accadere?
Considerate il racconto biblico inerente ad Adamo ed Eva. Eva conosceva il comando di Dio di non
mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Evidentemente non si sentiva
limitata da questa proibizione divina. Quando il serpente la interrogò, Eva non si lamentò della sua sorte,
ma rispose semplicemente ripetendo il comando di Dio: “Del frutto degli alberi del giardino possiamo
mangiare. Ma in quanto a mangiare del frutto dell’albero che è nel mezzo del giardino, Dio ha detto: ‘Non
ne dovete mangiare, no, non lo dovete toccare affinché non moriate’”. — Gen. 3:2, 3.
A questo punto Satana il Diavolo, per mezzo del serpente, piantò con astuzia i semi dell’ambizione nella
mente di Eva, quando disse: “Positivamente voi non morrete. Poiché Dio sa che nel medesimo giorno in
cui ne mangerete i vostri occhi davvero si apriranno e voi sarete davvero simili a Dio, conoscendo il bene
e il male”. — Gen. 3:4, 5.
L’essere ‘simile a Dio’, in grado di decidere da sé ciò ch’era bene e ciò ch’era male anziché accettare il
giudizio di Dio su tali cose, questo attrasse Eva. A che cosa portò l’ambizione di Eva di ottenere la
completa indipendenza da Dio? “Di conseguenza la donna vide che il frutto dell’albero era buono come
cibo e che era qualche cosa che metteva voglia agli occhi, sì, l’albero era desiderabile a guardarsi. Ella
prendeva dunque del suo frutto e lo mangiava. Ne diede poi anche a suo marito quando fu con lei ed egli
lo mangiava”. (Gen. 3:6) In questo caso l’ambizione egoistica rese Adamo ed Eva e tutta la loro futura
progenie soggetti alla morte. — Gen. 3:19; Rom. 5:12.
Che dire di voi? Forse non esortereste direttamente nessuno ad andare contro la legge di Dio. Tuttavia
potreste incoraggiare l’ambizione in altri. È comprensibile che si abbia molta stima di familiari, parenti e
intimi amici. Ma chi desidera piacere a Dio deve stare attento a non dare troppa importanza alle capacità
dei propri cari. Alcuni potrebbero in tal modo essere spinti ad avere un’elevata opinione di sé, ciò che, a
sua volta, genera ambizione.
Per esempio, che accadrebbe se qualcuno spingesse un coniuge, un familiare o un amico a pensare che
è specialmente qualificato per ricoprire la carica di sorvegliante nella congregazione cristiana? Che
tragedia se la persona divenisse superba ed esigesse che gli altri accettassero l’opinione che essa ha di
sé e delle proprie qualità! Con buona ragione le Scritture avvertono: “L’uomo robusto che adula il suo
compagno non tende altro che una rete per i suoi passi”. (Prov. 29:5) Tale adulazione, anziché agevolare
il cristiano, lo ostacolerebbe nei suoi sforzi di ‘aspirare all’incarico di sorvegliante’. (1 Tim. 3:1) Le
Scritture richiedono che i sorveglianti della congregazione cristiana siano ‘sani di mente’; questo vuol dire
che non devono “pensare di sé più di quanto sia necessario pensare”. — 1 Tim. 3:2; Rom. 12:3.
CHE COSA POTETE FARE?
Poiché gli uomini hanno ereditato il peccato, è inevitabile divenire schiavi dell’ambizione? Evidentemente
no, poiché le Scritture esortano le persone timorate di Dio a resistere alle tendenze peccaminose. (Rom.
6:12) Sebbene ci voglia padronanza di sé, non è impossibile evitare l’ambizione. Sarà specialmente utile
imparare a pensare nel modo suggerito in Filippesi 2:3, 4: “Non fate nulla per spirito di rivalità o per
vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il
proprio interesse, ma anche quello degli altri”. — La Bibbia di Gerusalemme.
Perciò l’ambizione è del tutto antiscritturale. Essa è profondamente radicata nell’egoismo umano e
nell’arrogante spirito di questo mondo. Anziché a esaltarsi ambiziosamente, l’individuo è esortato dalla
Bibbia a servire umilmente altri. Con questo spirito gli uomini cristiani sono incoraggiati ad ‘aspirare
all’incarico di sorvegliante’. — 1 Tim. 3:1; 1 Piet. 5:1-3.
Uno dei numerosi vantaggi che si hanno seguendo questo consiglio scritturale è quello menzionato in
Ecclesiaste 5:12: “Dolce è il riposo di chi serve, mangi egli poco o molto”. Tale persona altruista è amata
e apprezzata da coloro che frequenta, invece di essere oggetto del loro risentimento. Soprattutto, “chi
serve” ottiene il favore di Geova Dio. Non sono queste valide ragioni per evitare l’ambizione?
Abraamo — Tema: Vivere per fare la volontà di Dio ROMANI 14:7, 8

it-1 35-9 Abraamo


ABRAAMO
(Abraàmo) [padre di una folla (moltitudine)].
Nome dato da Geova ad Abramo [che significa “padre è alto (esaltato)”], quando questi aveva 99 anni,
nel riaffermare la Sua promessa che la progenie di Abraamo sarebbe stata numerosa. — Ge 17:5.
Origine e storia della famiglia. Abraamo nacque verso il 2018 a.E.V., 352 anni dopo il Diluvio, dalla
discendenza di Sem, nella decima generazione a partire da Noè. Benché elencato per primo fra i tre figli
di Tera in Genesi 11:26, Abraamo non era il primogenito. Le Scritture spiegano che Tera aveva 70 anni
quando nacque il suo primo figlio, e che Abraamo nacque 60 anni dopo, quando suo padre Tera aveva
130 anni. (Ge 11:32; 12:4) Evidentemente Abraamo è menzionato per primo a motivo della sua grande
fedeltà e dell’importanza che ha nelle Scritture, consuetudine seguita nel caso di diversi altri uomini di
fede come Sem e Isacco. — Ge 5:32; 11:10; 1Cr 1:28.
Abraamo era nativo della città caldea di Ur, fiorente metropoli del paese di Sinar, presso l’attuale
confluenza del Tigri e dell’Eufrate. Ur si trovava circa 240 km a SE di Babele o Babilonia, un tempo
residenza reale di Nimrod, assai nota per l’incompiuta Torre.
All’epoca di Abraamo, la città di Ur era imbevuta di idolatria babilonica e dedita al culto del suo protettore,
il dio-luna Sin. (Gsè 24:2, 14, 15) Tuttavia Abraamo dimostrò di essere un uomo che aveva fede in Geova
Dio, come i suoi antenati Sem e Noè, e, di conseguenza, si guadagnò la reputazione di “padre di tutti
quelli che hanno fede mentre sono nell’incirconcisione”. (Ro 4:11) Siccome la vera fede si basa
sull’accurata conoscenza, Abraamo poteva aver acquistato intendimento stando personalmente insieme
a Sem (infatti nacque 150 anni prima della morte di Sem). Abraamo conosceva e usava il nome di
Geova. Sue sono le parole: “Geova, l’Iddio Altissimo, che ha fatto il cielo e la terra”, “Geova, l’Iddio dei
cieli e l’Iddio della terra”. — Ge 14:22; 24:3.
Mentre Abraamo viveva ancora a Ur, “prima che si stabilisse ad Haran”, Geova gli comandò di trasferirsi
in un paese straniero, lasciandosi dietro amici e parenti. (At 7:2-4; Ge 15:7; Ne 9:7) Dio disse che là, nel
paese che gli avrebbe indicato, avrebbe fatto di lui una grande nazione. In quel tempo Abraamo era
sposato con la sorellastra Sara, ma non avevano figli ed erano entrambi anziani. Anche se ci voleva
grande fede, egli ubbidì.
Tera, che aveva circa 200 anni ed era ancora il capo patriarcale della famiglia, acconsentì ad
accompagnare Abraamo e Sara in questo lungo viaggio, per cui l’iniziativa del viaggio verso Canaan è
attribuita a lui. (Ge 11:31) Forse l’orfano Lot, nipote di Abraamo, era stato adottato dagli zii senza figli e
perciò li accompagnava. La carovana si diresse a NO e percorse circa 960 km, finché raggiunse Haran,
importante nodo sulle strade carovaniere E-O. Haran si trova alla confluenza di due uadi che si uniscono
formando un corso d’acqua che d’inverno si versa nel fiume Balikh, circa 110 km a monte della sua
confluenza con l’Eufrate. Abraamo vi rimase fino alla morte del padre Tera. — CARTINA, vol. 1, ⇒it-1
⇐p. 330.
Soggiorno in Canaan. Ormai 75enne, Abraamo si accinse a trasferirsi con la famiglia da Haran al paese
di Canaan, dove visse in tende come residente forestiero e nomade per i restanti cento anni della sua
vita. (Ge 12:4) Solo dopo la morte del padre Tera, nel 1943 a.E.V., Abraamo partì da Haran e attraversò
l’Eufrate, evidentemente il 14° giorno del mese chi amato in seguito nisan. (Ge 11:32; Eso 12:40-43, LXX)
Fu allora che entrò in vigore il patto fra Geova e Abraamo, ed ebbero inizio i 430 anni di residenza
temporanea fino alla stipulazione del patto della Legge con Israele. — Eso 12:40-42; Gal 3:17.
Evidentemente Abraamo, con greggi e mandrie, passò da Damasco e infine raggiunse Sichem (48 km a
N di Gerusalemme), presso i grossi alberi di More. (Ge 12:6) Qui Geova apparve di nuovo ad Abraamo,
confermando e ampliando la promessa del patto: “Darò questo paese al tuo seme”. (Ge 12:7) Abraamo vi
costruì un altare a Geova, ma quello non fu il solo, poiché ne costruì altri lungo il cammino mentre
attraversava il paese diretto a S; e invocava il nome di Geova. (Ge 12:8, 9) In seguito una grave carestia
costrinse Abraamo a trasferirsi temporaneamente in Egitto e, per proteggere la propria vita, egli dichiarò
che Sara era sua sorella. Perciò il faraone si portò a casa la bella Sara perché diventasse sua moglie, ma
prima che avesse rapporti con lei, Geova indusse il faraone a restituirla. Abraamo tornò quindi in Canaan
accampandosi fra Betel e Ai, e di nuovo invocava “il nome di Geova”. — Ge 12:10–13:4.
Poiché i loro greggi e le loro mandrie crescevano di numero, fu necessario che Abraamo e Lot si
separassero. Lot scelse il bacino inferiore del Giordano, regione ben irrigata “come il giardino di Geova”,
e in seguito stabilì il suo accampamento presso Sodoma. (Ge 13:5-13) Abraamo, da parte sua, dopo che
gli fu detto di percorrere il paese in lungo e in largo, prese dimora fra i grossi alberi di Mamre a Ebron, 30
km a SSO di Gerusalemme. — Ge 13:14-18.
Quattro re alleati, capeggiati dal re elamita Chedorlaomer, riuscirono a soffocare una rivolta di cinque re
cananei, saccheggiarono Sodoma e Gomorra, e presero prigioniero Lot insieme a tutto ciò che gli
apparteneva. Abraamo, saputolo, radunò prontamente 318 suoi servitori addestrati. Insieme ai suoi
confederati Aner, Escol e Mamre, con una marcia forzata li inseguì verso N per circa 300 km fin oltre
Damasco e, con l’aiuto di Geova, sconfisse un esercito di gran lunga superiore al suo. Lot fu liberato e la
refurtiva ricuperata. (Ge 14:1-16, 23, 24) Mentre Abraamo tornava da questa grande vittoria, un
“sacerdote dell’Iddio Altissimo”, Melchisedec, che era anche re di Salem, gli venne incontro e lo
benedisse, e Abraamo a sua volta “gli diede un decimo di ogni cosa”. — Ge 14:17-20.
Il seme promesso. Dato che Sara continuava a essere sterile, sembrava che l’eredità di Abraamo
dovesse passare a Eliezer, il fedele economo originario di Damasco. Tuttavia Geova rassicurò di nuovo
Abraamo che la sua progenie sarebbe diventata innumerevole, come le stelle del cielo, e Abraamo
“ripose fede in Geova; ed egli glielo attribuiva a giustizia”, anche se ciò accadde anni prima che fosse
circonciso. (Ge 15:1-6; Ro 4:9, 10) Geova concluse allora con Abraamo un patto solenne mediante
sacrifici animali, e, allo stesso tempo, rivelò che la progenie di Abraamo sarebbe stata afflitta per un
periodo di 400 anni, soffrendo anche la schiavitù. — Ge 15:7-21; vedi PATTO.
Il tempo passava. Erano in Canaan già da dieci anni circa, ma Sara era sempre sterile. Essa propose
dunque di farsi sostituire dalla schiava egiziana Agar, per poter avere un figlio da lei. Abraamo
acconsentì. E così nel 1932 a.E.V., quando Abraamo aveva 86 anni, nacque Ismaele. (Ge 16:3, 15, 16)
Passò dell’altro tempo. Nel 1919 a.E.V., quando Abraamo aveva 99 anni, come segno o suggello che
attestasse la speciale relazione di patto esistente fra lui e Abraamo, Geova comandò che tutti i maschi
della famiglia fossero circoncisi. Allo stesso tempo Geova cambiò il suo nome da Abramo in Abraamo,
“perché di sicuro ti farò padre di una folla di nazioni”. (Ge 17:5, 9-27; Ro 4:11) Poco dopo tre angeli
materializzati, che Abraamo accolse con ospitalità nel nome di Geova, promisero che Sara stessa
avrebbe concepito e dato alla luce un figlio entro l’anno seguente. — Ge 18:1-15.
E che anno denso di avvenimenti fu quello! Furono distrutte Sodoma e Gomorra. Il nipote di Abraamo e le
due figlie scamparono a mala pena. Una carestia spinse Abraamo e sua moglie a Gherar, dove il re di
quella città filistea prese Sara per il suo harem. Geova intervenne, Sara fu liberata, e al tempo fissato, nel
1918 a.E.V., nacque Isacco, l’erede da lungo tempo promesso, quando Abraamo aveva 100 anni e Sara
90. (Ge 18:16–21:7) Cinque anni più tardi, quando Ismaele, il fratellastro 19enne si prese gioco di Isacco,
Abraamo fu costretto ad allontanare Ismaele e sua madre Agar. Allora, nel 1913 a.E.V., ebbero inizio i
400 anni di afflizione della progenie di Abraamo. — Ge 21:8-21; 15:13; Gal 4:29.
La suprema prova della fede di Abraamo giunse circa 20 anni dopo. Secondo la tradizione ebraica,
Isacco aveva ormai 25 anni. (Antichità giudaiche, I, 227 [xiii, 2]) Ubbidendo alle istruzioni di Geova,
Abraamo prese Isacco e da Beer-Seba nel Negheb si diresse al N fino al monte Moria, a N di Salem. Lì
edificò un altare e si accinse a immolare Isacco, il seme promesso, in olocausto. E in pratica fu come se
Abraamo avesse sacrificato Isacco, perché “riconobbe che Dio poteva destarlo anche dai morti”. Solo
all’ultimo momento Geova intervenne provvedendo un montone che sostituisse Isacco sull’altare del
sacrificio. Per questa fede incondizionata, dimostrata da completa ubbidienza, Geova riaffermò il suo
patto con Abraamo mediante un giuramento, una speciale garanzia legale. — Ge 22:1-18; Eb 6:13-18;
11:17-19.
Quando nel 1881 a.E.V., a Ebron, Sara morì all’età di 127 anni, fu necessario che Abraamo acquistasse
un pezzo di terra per seppellirla, perché essendo solo un residente forestiero non possedeva certo della
terra in Canaan. Perciò, a Macpela presso Mamre, acquistò dai figli di Het un campo in cui c’era una
caverna. (Ge 23:1-20; vedi ACQUISTARE). Tre anni dopo, quando Isacco compì 40 anni, Abraamo
rimandò il suo servitore più anziano, probabilmente Eliezer, in Mesopotamia a cercare per suo figlio una
moglie adatta, che fosse anch’essa una vera adoratrice di Geova. Rebecca, che era pronipote di
Abraamo, risultò la prescelta da Geova. — Ge 24:1-67.
“Inoltre, Abraamo prese di nuovo moglie”, Chetura, e quindi ebbe altri sei figli; perciò da Abraamo non
discesero solo israeliti, ismaeliti ed edomiti, ma anche medaniti, madianiti, e altri. (Ge 25:1, 2; 1Cr 1:28,
32, 34) Così si adempì in Abraamo l’espressione profetica di Geova: “Ti farò padre di una folla di nazioni”.
(Ge 17:5) Infine, nel 1843 a.E.V., alla veneranda età di 175 anni, Abraamo morì, e i figli Isacco e Ismaele
lo seppellirono nella caverna di Macpela. (Ge 25:7-10) Prima di morire Abraamo fece dei doni ai figli delle
mogli secondarie e li mandò via, affinché Isacco fosse l’unico erede di “tutto ciò che aveva”. — Ge 25:5,
6.
Capo patriarcale e profeta. Abraamo era molto ricco, possedeva grandi greggi e mandrie, molto argento
e oro, e aveva molte centinaia di servitori. (Ge 12:5, 16; 13:2, 6, 7; 17:23, 27; 20:14; 24:35) Per questo i
re di Canaan lo consideravano un potente “capo principale” con cui si dovevano fare patti di pace. (Ge
23:6; 14:13; 21:22, 23) Eppure Abraamo non permise mai che il materialismo offuscasse la sua visione di
Geova e delle Sue promesse o lo inducesse a diventare orgoglioso, altero o egoista. — Ge 13:9; 14:21-
23.
La prima volta che ricorre nelle Scritture Ebraiche, la parola “profeta” si riferisce ad Abraamo, anche se
altri come Enoc avevano profetizzato prima di lui. (Ge 20:7; Gda 14) Il primo identificato nelle Scritture
come “ebreo” è Abraamo. (Ge 14:13) Egli fu uomo di fede come Abele, Enoc e Noè (Eb 11:4-9), ma
l’espressione “ripose fede in Geova” è usata per la prima volta a proposito di Abraamo. — Ge 15:6.
Certo quest’uomo di eccezionale fede camminò con Dio, fu in costante comunicazione con lui per mezzo
di visioni e sogni e ospitò suoi messaggeri angelici. (Ge 12:1-3, 7; 15:1-8, 12-21; 18:1-15; 22:11, 12, 15-
18) Conosceva bene il nome di Dio anche se Geova in quel tempo non aveva rivelato il pieno significato
del Suo nome. (Eso 6:2, 3) Più volte Abraamo costruì altari e offrì sacrifici nel nome e alla lode e gloria
del suo Dio Geova. — Ge 12:8; 13:4, 18; 21:33; 24:40; 48:15.
Come capo patriarcale, Abraamo non permise nessuna idolatria o irreligiosità nella sua famiglia, ma
insegnò fedelmente a tutti i suoi figli e servitori ad ‘attenersi alla via di Geova per praticare giustizia e
giudizio’. (Ge 18:19) Secondo la legge di Geova, ogni maschio della famiglia di Abraamo era tenuto a
sottoporsi alla circoncisione. La schiava egiziana Agar invocò il nome di Geova in preghiera. E il più
anziano servitore di Abraamo, con una preghiera molto commovente rivolta a Geova, manifestò la propria
fede nel Dio di Abraamo. Anche Isacco, da giovane, dimostrò la sua fede e ubbidienza a Geova
lasciandosi legare mani e piedi e mettere sull’altare per il sacrificio. — Ge 17:10-14, 23-27; 16:13; 24:2-
56.
Storicità. Gesù e i discepoli menzionarono Abraamo più di 70 volte nelle loro conversazioni e nei loro
scritti. Nell’illustrazione del ricco e di Lazzaro, Gesù si riferì ad Abraamo in senso simbolico. (Lu 16:19-
31) Quando i suoi oppositori si vantarono di essere progenie di Abraamo, Gesù prontamente ne
smascherò l’ipocrisia dicendo: “Se siete figli di Abraamo, fate le opere di Abraamo”. (Gv 8:31-58; Mt 3:9,
10) Come spiega l’apostolo Paolo, non è la discendenza carnale che conta, ma piuttosto una fede come
quella di Abraamo che permette di essere dichiarati giusti. (Ro 9:6-8; 4:1-12) Inoltre Paolo identifica il
vero seme di Abraamo con Cristo, insieme a quelli che appartengono a Cristo e sono “eredi secondo la
promessa”. (Gal 3:16, 29) Egli parla anche della benignità e ospitalità di Abraamo verso gli estranei e, nel
lungo elenco di illustri testimoni di Geova in Ebrei capitolo 11, non trascura Abraamo. Altrove spiega che
le due donne di Abraamo, Sara e Agar, figuravano in un dramma profetico che riguardava due patti di
Geova. (Gal 4:22-31; Eb 11:8) Lo scrittore biblico Giacomo aggiunge che Abraamo dimostrò la propria
fede con giuste opere e perciò era conosciuto come “amico di Geova”. — Gc 2:21-23.
Le scoperte archeologiche hanno pure confermato molti particolari relativi alla storia biblica di Abraamo:
la posizione geografica di molti luoghi e numerose usanze dell’epoca, come l’acquisto del campo dagli
ittiti, la scelta di Eliezer quale erede, il trattamento riservato ad Agar.
[Diagramma a pagina 37]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

W99 1-1 P.6-20

w89 1/7 3 Perché dovreste sapere la verità su Abraamo


Perché dovreste sapere la verità su Abraamo
ABRAAMO: eroe mitico o vero profeta? Quanto è importante rispondere a questa domanda? Secondo la
cronologia biblica, Abraamo visse circa 4.000 anni fa, per cui qualcuno si potrebbe chiedere: ‘Che
differenza fa che sia esistito o no?’
Ebbene, metà della popolazione del mondo appartiene a religioni che professano di credere in Abraamo.
Un recente annuario (1988 Britannica Book of the Year) afferma che il 32,9 per cento del mondo è
cristiano, il 17,2 per cento è musulmano e lo 0,4 per cento è di fede ebraica, e Abraamo è una figura
importante in tutte e tre queste religioni. Senz’altro, i sinceri appartenenti a queste fedi dovrebbero volersi
accertare che ciò che è stato insegnato loro sul conto di Abraamo corrisponda a verità. Anche chi
appartiene ad altre religioni o non è religioso affatto dovrebbe essere interessato. Perché?
Perché la Bibbia dice che Abraamo fu un profeta. (Genesi 20:7) Questa parola viene usata nella Bibbia
per descrivere un portavoce di Dio che ha un messaggio per gli altri esseri umani. Se Abraamo fu un vero
profeta, tutti ne possono trarre beneficio. Perché? Perché il messaggio che egli ricevette conteneva una
buona notizia per tutto il genere umano. (Galati 3:8) Secondo la Bibbia, Dio promise ad Abraamo: “Tutte
le famiglie del suolo certamente si benediranno per mezzo di te”. — Genesi 12:3.
Si tratta di una promessa sorprendente, e Abraamo la sentì pronunciare in almeno due altre occasioni.
(Genesi 18:18; 22:18) Per adempierla, Dio giungerà a risuscitare dai morti rappresentanti di famiglie
ormai estinte. Per questi risuscitati la vita sarà veramente una benedizione, giacché la maggioranza di
loro sarà risuscitata su una terra simile al Paradiso che l’uomo perse in origine. Dopo di ciò verrà
insegnato loro come ottenere la benedizione della vita eterna. — Genesi 2:8, 9, 15-17; 3:17-23.
Se invece Abraamo fosse solo un personaggio mitico, non ci sarebbe nessuna base per credere alla
meravigliosa promessa che ricevette. Non solo, ma se non si può aver fiducia nelle promesse della
Bibbia alcuni potrebbero decidere di dedicarsi interamente ai piaceri della vita presente. Uno dei primi
cristiani scrisse: “Se i morti non sono destati, ‘mangiamo e beviamo, poiché domani moriremo’”. — 1
Corinti 15:32.
Pertanto, avete ogni motivo di chiedervi se Abraamo fu solo un eroe mitico o se fu invece un vero profeta.
Ciò che hanno detto su questo argomento alcuni eminenti ecclesiastici del secolo scorso potrebbe
sorprendervi. Nel contempo, gli archeologi hanno fatto interessanti scoperte che mettono in discussione
le opinioni di tali ecclesiastici.

w89 1/7 4-7 Abraamo: profeta e amico di Dio


Abraamo: profeta e amico di Dio
GLI eserciti alleati di quattro re orientali attraversano l’Eufrate. Marciano lungo la Via Regia, ad est della
valle del Giordano. Sulla loro strada sbaragliano i refaim, gli zuzim, gli emim e gli orei. Poi gli invasori
cambiano direzione e sconfiggono tutti gli abitanti del Negheb meridionale.
Qual è lo scopo di questa campagna militare? L’obiettivo sta tra le regioni occupate della Transgiordania
e del Negheb. È un’ambita valle chiamata Distretto del Giordano. (Genesi 13:10) Qui gli abitanti di cinque
città-stato — Sodoma, Gomorra, Adma, Zeboiim e Bela — vivono tranquilli nell’agiatezza. (Ezechiele
16:49, 50) Un tempo erano sudditi di quello che sembra essere il comandante degli eserciti alleati,
Chedorlaomer re di Elam, ma si sono ribellati contro di lui. Ora, senza il sostegno delle nazioni vicine, è
arrivato per loro il momento della resa dei conti. Chedorlaomer e i suoi alleati vincono la battaglia che ne
risulta e iniziano la lunga marcia che li deve riportare in patria, carichi di spoglie.
Tra i prigionieri vi è un uomo giusto, Lot. È il nipote di Abraamo, il quale dimora in tende sulle vicine
montagne di Ebron. Quando Abraamo apprende la triste notizia, immediatamente raduna 318 dei suoi
uomini. Con coraggio, e con l’aiuto di alcuni vicini, essi inseguono i quattro re e sorprendono i loro eserciti
di notte. Gli invasori si danno alla fuga. Lot e la sua famiglia vengono salvati, insieme agli altri prigionieri e
ai beni.
Quale motivo abbiamo per credere a questo racconto riportato nel 14° capitolo di Genesi? Si tratta di una
storia inventata per elevare il capostipite di un certo numero di nazioni, tra cui quella ebraica, al rango di
eroe nazionale? Che dire degli altri avvenimenti della vita di Abraamo?
Ciò che hanno detto alcuni ecclesiastici
All’inizio del XIX secolo il teologo luterano Peter von Bohlen sostenne che Abraamo fosse un mito e che
l’invasione di Chedorlaomer non avesse un fondamento storico. Un altro, il prof. Julius Wellhausen,
affermò: “Non giungiamo a una conoscenza storica dei patriarchi”. E suggerì: “[Abraamo] potrebbe
essere considerato con maggiore probabilità una libera creazione dell’arte spontanea”.
I teologi inglesi seguirono l’esempio dei loro colleghi tedeschi. “Le grandi saghe dei patriarchi del libro di
Genesi sono preistoriche, storicamente non [sono] più vere delle saghe di . . . re Artù”, scrisse
l’ecclesiastico Stopford Brooke nel libro The Old Testament and Modern Life. “Da . . . Genesi . . . non
otteniamo che un’immagine frammentaria e distorta della vita e del carattere di qualsiasi patriarca”,
scrisse John Colenso, vescovo anglicano dell’ex colonia britannica del Natal. E aggiunse: “Non si può
riporre assoluta fiducia in nessuno di questi racconti”.
Tale atteggiamento critico si diffuse come cancrena. (2 Timoteo 2:17) Oggi, milioni di credenti non
prendono più sul serio la vita dei patriarchi. Tuttavia, a vergogna dei teologi della cristianità, ci sono ora
degli atei che affermano che le critiche alla Bibbia sono state eccessive. Ad esempio, un’enciclopedia
sovietica (Bol’shaia Sovetskaia Entsiklopediia) afferma: “In anni recenti, una serie di controversie
suscitate da chi criticava la Bibbia sono state riesaminate alla luce delle nuove ricerche, specialmente in
base ai dati della cosiddetta archeologia biblica. Alcune tradizioni bibliche che erano state considerate dei
miti . . . sembrano avere un fondamento storico”. Considerate come l’archeologia ha fatto luce sulla storia
di Abraamo.
Ur dei caldei
Secondo la Bibbia, Abraamo fu allevato a “Ur dei caldei”. (Genesi 11:27-31; 15:7) Per secoli l’ubicazione
di Ur rimase un mistero. I critici credevano che se anche Ur fosse realmente esistita, si sarebbe trattato di
un posto remoto e insignificante. Poi, con loro imbarazzo, delle rovine che giacciono tra Babilonia e il
Golfo Persico furono identificate inequivocabilmente come quelle di Ur. Migliaia di tavolette di argilla
riportate alla luce sul posto rivelarono che Ur era un centro di scambi d’importanza mondiale, con una
vasta popolazione cosmopolita. Al tempo di Abraamo la città aveva persino scuole dove si insegnava ai
ragazzi a scrivere e a far di conto.
Inoltre, gli scavi a Ur rivelarono che i suoi architetti conoscevano l’uso della colonna, dell’arco, della volta
e della cupola. Gli artigiani di Ur producevano gioielli di squisita fattura, arpe elaborate e pugnali con la
lama di oro puro. In varie abitazioni gli archeologi hanno riportato alla luce condutture fognarie di argilla
cotta che portavano a vasti pozzi di raccolta profondi fino a dodici metri.
Per molti studiosi queste scoperte gettarono nuova luce su Abraamo. “Eravamo abituati a pensare ad
Abraamo come a un semplice nomade che abitava in tende, e scopriamo che forse abitava una raffinata
casa di mattoni in una città”, scrisse sir Leonard Woolley nel suo libro Digging Up the Past. “Abraamo”,
affermò l’archeologo Alan Millard, “lasciò la città raffinata, con tutta la sua sicurezza e il suo comfort, per
divenire un disprezzato nomade!” — Treasures From Bible Times.
L’invasione di Chedorlaomer
Che dire della vittoria di Abraamo su Chedorlaomer re di Elam? All’inizio del XIX secolo poco si sapeva
degli elamiti. I critici della Bibbia rifiutavano l’idea che Elam avesse mai avuto influenza su Babilonia, per
non parlare della Palestina. Ora gli elamiti sono visti in maniera diversa. L’archeologia rivela che sono
stati una potente nazione guerriera. Un’enciclopedia (Funk & Wagnalls Standard Reference
Encyclopedia) afferma: “Gli elamiti distrussero la città di Ur verso il 1950 a.C. . . . In seguito esercitarono
una considerevole influenza sui governanti di Babilonia”.
Inoltre, su iscrizioni archeologiche sono stati trovati nomi di re elamiti. Alcuni di essi cominciano con
“Kudur”, espressione simile a “Chedor”. Un’importante dea elamita era Lagamar, simile a “laomer”.
Pertanto, alcune fonti secolari ora accettano Chedorlaomer come un governante realmente esistito, il cui
nome probabilmente significa “servitore di Lagamar”. Una serie di iscrizioni babilonesi contiene nomi
simili a quelli di tre dei re invasori: Tudhula (Tidal), Eri-aku (Arioc) e Kudur-lahmil (Chedorlaomer).
(Genesi 14:1) In un suo libro, il dott. A. Custance aggiunge: “Oltre a questi nomi c’erano particolari che
sembravano riferirsi agli avvenimenti che ebbero luogo in Babilonia quando gli elamiti stabilirono la loro
egemonia sul paese. . . . Queste tavolette confermavano a tal punto la Scrittura che i critici letterari vi si
gettarono sopra facendo tutto ciò che era in loro potere per tenerne deliberatamente nascosta
l’importanza”. — Hidden Things of God’s Revelation.
Che dire dell’invasione dei quattro re? C’è nella Transgiordania e nel Negheb qualche prova archeologica
che la confermi? Sì. Nel libro The Archaeology of the Land of Israel il prof. Yohanan Aharoni riferisce la
scomparsa di una civiltà preisraelitica che aveva insediamenti “notevoli” in Transgiordania e nel Negheb
“verso il 2000 a.E.V.” Altri archeologi fissano la data intorno al 1900 a.E.V. “Le terrecotte del Negheb e
quelle della Transgiordania relative a questo periodo sono identiche, ed entrambe mostrano
un’improvvisa e catastrofica fine della civiltà”, afferma il dott. Harold Stigers nella sua opera Commentary
on Genesis. Anche critici della Bibbia, come John Van Seters accettano queste prove. Egli afferma: “Un
problema irrisolto è dove andò questo popolo, ammesso che sia andato da qualche parte, alla fine del
periodo”. — Abraham in History and Tradition.
Una possibile soluzione del problema la fornisce il capitolo 14 di Genesi. Secondo la cronologia biblica
Abraamo arrivò in Canaan nel 1943 a.E.V. La distruttiva invasione di Chedorlaomer deve essere
avvenuta poco dopo tale data. Più tardi, in quello stesso secolo, Dio portò una distruzione infuocata sulle
città immorali di Sodoma e Gomorra. Questo cambiò per sempre l’ecologia della bassa valle del
Giordano, un tempo fertile. (Genesi 13:10-13; 19:24, 25) Non era più l’obiettivo di invasori stranieri.
Ci sono molti altri esempi di come l’archeologia collima con le Scritture nel far luce su avvenimenti della
vita di Abraamo. Ma l’archeologia ha i suoi limiti. Le prove che fornisce sono spesso indirette e soggette
alle interpretazioni di uomini imperfetti.
La testimonianza più affidabile
La prova più certa che Abraamo esistette veramente è la testimonianza del Creatore dell’uomo, Geova
Dio. In Salmo 105:9-15, Dio parlò con approvazione di Abraamo, Isacco e Giacobbe chiamandoli suoi
“profeti”. Oltre mille anni dopo che Abraamo era morto Geova Dio lo menzionò per bocca di almeno tre
profeti, giungendo a chiamarlo suo “amico”. (Isaia 41:8; 51:2; Geremia 33:26; Ezechiele 33:24)
Similmente, Gesù Cristo citò Abraamo come esempio. Nella sua esistenza preumana in cielo, il Figlio di
Dio era stato testimone di persona dei rapporti tra suo Padre e il patriarca. Per questo motivo poté dire ai
giudei:
“‘Se siete figli di Abraamo, fate le opere di Abraamo. Ma ora voi cercate di uccidere me, un uomo che vi
ha detto la verità che ha udito da Dio. Abraamo non fece questo. Il padre vostro Abraamo si rallegrò
grandemente alla prospettiva di vedere il mio giorno, e lo vide e si rallegrò’. Perciò i giudei gli dissero:
‘Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abraamo?’ Gesù disse loro: ‘Verissimamente vi dico: Prima che
Abraamo venisse all’esistenza, io ero’”. — Giovanni 8:39, 40, 56-58.
Con la testimonianza e l’incoraggiamento delle due Persone più autorevoli dell’universo, abbiamo le
migliori ragioni in assoluto per accettare tutto ciò che la Bibbia afferma su Abraamo. (Giovanni 17:5, 17)
Pur presentando Abraamo come esempio, la Bibbia non lo eleva in maniera indebita al ruolo di eroe
nazionale. Lo si può notare esaminando il racconto della sua vittoria sui quattro re alleati. Quando
Abraamo ritornò dalla battaglia fu salutato da Melchisedec re di Salem, che disse: “Benedetto sia l’Iddio
Altissimo, che ha consegnato i tuoi oppressori nella tua mano!” La lode per quella liberazione andò a
Geova. — Genesi 14:18-20.
Comunque, è prossima una vittoria molto più grande! Ben presto, lo stesso Dio glorioso sconfiggerà i “re
dell’intera terra abitata” nella guerra globale chiamata Armaghedon. (Rivelazione 16:14, 16) Dopo ciò si
adempirà completamente la promessa che Dio fece ad Abraamo, suo profeta ed amico: “Per mezzo del
tuo seme tutte le nazioni della terra certamente si benediranno”. Milioni di persone stanno già godendo
un anticipo di tali benedizioni. Anche voi potete essere fra loro, come mostreranno gli articoli alle w89 1/7
pagine 18-28 di questa rivista. — Genesi 22:18.
[Cartine/Foto a pagina 7]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
[Foto]
Abraamo ubbidì lasciando Ur, una città fiorente
Esempi di manufatti provenienti da Ur:
1. Pugnale e fodero d’oro
2. Lo “stendardo di Ur”
3. Testa di toro aurea proveniente dalla cassa armonica di un’arpa
4. Gioielli
5. Acconciatura con gioielli
[Referenza fotografica]
Foto: Per gentile concessione del British Museum

w89 1/7 18-23 Abraamo: Un esempio per tutti quelli che cercano l'amicizia di Dio
Abraamo: Un esempio per tutti quelli che cercano l’amicizia di Dio
‘Non si indebolì nella fede, essendo pienamente convinto che ciò che Dio aveva promesso era anche in
grado di fare’. — ROMANI 4:19-21.
LA PAROLA divina espressa nelle Scritture “è vivente ed esercita potenza”. (Ebrei 4:12) Pertanto il
racconto dei rapporti fra Geova ed Abraamo, pur essendo stato scritto più di 3.500 anni fa, è fonte di
incoraggiamento per tutti quelli che cercano l’amicizia di Dio. (Romani 15:4) L’arcinemico, Satana, lo sa,
e ha usato capi religiosi per cercare di screditare tale racconto facendolo passare per un mito. — 2
Corinti 11:14, 15.
2 Essendo parte di “tutta la Scrittura . . . ispirata da Dio”, la storia di Abraamo è vera e “utile” per
l’istruzione dei cristiani. (2 Timoteo 3:16; Giovanni 17:17) I primi discepoli di Gesù erano senz’altro di
questo avviso, perché nelle Scritture Greche Cristiane Abraamo viene menzionato 74 volte. L’undicesimo
capitolo di Ebrei, particolarmente rafforzante per la fede, dedica più spazio a lui che a qualsiasi altro
servitore di Dio dei tempi precristiani.
3 Abraamo non era un comune “profeta”, poiché Geova lo impiegò per recitare un grande “dramma
simbolico” in cui il patriarca ebbe il grande onore di raffigurare profeticamente Dio stesso. (Genesi 20:7;
Galati 4:21-26) Pertanto, quando Gesù volle riferirsi a una posizione di favore presso Dio parlò della
“posizione del seno di Abraamo”. — Luca 16:22.
Il suo primo atto di fede
4 Abramo, come si chiamava in origine, fu allevato a “Ur dei caldei”. Mentre dimorava lì Geova Dio gli
apparve dicendogli: “Esci dal tuo paese e dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre e va al paese che io ti
mostrerò; e farò di te una grande nazione e ti benedirò e davvero farò grande il tuo nome; e mostrati una
benedizione. E certamente benedirò quelli che ti benediranno, e maledirò colui che invocherà su di te il
male, e tutte le famiglie del suolo certamente si benediranno per mezzo di te”. — Genesi 12:1-3; 15:7; Atti
7:2, 3.
5 Che sfida accettare questo invito! Per Abramo questo significava lasciare un ambiente raffinato e i
parenti per andare a vivere lontano, in un paese straniero. Ma il suo cuore fu toccato profondamente
dall’amorevole promessa di Dio. Abramo era vecchio e senza figli, e aveva una moglie sterile, per cui il
suo nome sembrava destinato ad essere presto dimenticato. La promessa di Dio garantiva il contrario: da
lui sarebbe discesa “una grande nazione”. Inoltre, la promessa di Dio includeva una meravigliosa buona
notizia per tutta l’umanità, additando un tempo in cui tutte le nazioni sarebbero state benedette. (Galati
3:8) Abramo esercitò fede nella promessa di Geova e abbandonò la città progredita in cui viveva. “Uscì”,
ci dice la Bibbia, “benché non sapesse dove andava”. — Ebrei 11:8.
6 La fede di Abramo influì su altri. Con lui partì anche la sua famiglia, nonché suo padre Tera e suo nipote
Lot. Comunque, essendo Tera il capofamiglia patriarcale, la partenza viene attribuita a lui. (Genesi 11:31)
Degno di nota è il sostegno che Abramo ricevette da sua moglie, Sarai, in seguito chiamata Sara. Essa si
accontentò di un tenore di vita più basso per il resto della sua vita. (Genesi 13:18; 24:67) Non c’è da
stupirsi se quando Sara morì “Abraamo entrò a fare lamento per Sara e a piangerla”. (Genesi 23:1, 2) A
motivo della sua forte fede e sincera sottomissione in qualità di moglie, Sara viene indicata come
esempio di vera bellezza spirituale per le donne cristiane. — Ebrei 11:11, 13-15; 1 Pietro 3:1-6.
7 Oggi molti cristiani hanno mostrato una fede simile offrendosi come volontari per diffondere il
messaggio di Dio in luoghi dove c’è grande bisogno di proclamatori del Regno e per costruire e far
funzionare nuovi impianti per la stampa e la spedizione di letteratura biblica. (Matteo 24:14) Questi
cristiani hanno ubbidito al comando: “Andate . . . fate discepoli di persone di tutte le nazioni”.
Trasferendosi in un paese sconosciuto, spesso hanno dovuto adattarsi a un tenore di vita diverso. Altri
hanno fatto notevoli sacrifici materiali per poter fare discepoli nella zona in cui vivono. — Matteo 28:19,
20.
Altri atti di fede
8 Abramo si fermò nella città di Haran fino alla morte di suo padre Tera. (Genesi 11:31, 32) Poi con tutta
la famiglia attraversò l’Eufrate e si diresse a sud. Infine giunsero al “sito di Sichem” in mezzo al paese di
Canaan. Che paesaggio meraviglioso dev’essersi offerto ai loro occhi! Sichem giace in una fertile valle fra
due catene montuose che culminano nel monte Ebal e nel monte Gherizim. È stato definito “il paradiso
della Terra Santa”. Appropriatamente, qui Geova riapparve ad Abramo e disse: “Darò questo paese al tuo
seme”. — Genesi 12:5-7.
9 Abramo rispose con un altro atto di fede. Il racconto dice: “Edificò là un altare a Geova”. (Genesi 12:7)
Probabilmente questo incluse l’offerta di un sacrificio animale, poiché in ebraico “altare” significa “luogo di
sacrificio”. In seguito Abramo ripeté questi atti di fede in altre parti del paese. Inoltre, ‘invocò il nome di
Geova’. (Genesi 12:8; 13:18; 21:33) L’espressione ebraica “invocare il nome” significa anche “dichiarare
(predicare) il nome”. La famiglia di Abramo come pure i cananei devono averlo udito dichiarare
intrepidamente il nome del suo Dio, Geova. (Genesi 14:22-24) Similmente, tutti quelli che oggi cercano
l’amicizia di Dio devono invocare con fede il suo nome. Questo include che partecipino alla predicazione
pubblica, ‘offrendo sempre a Dio un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che fanno pubblica
dichiarazione del suo nome’. — Ebrei 13:15; Romani 10:10.
10 Abramo esercitò fede in Geova in molti altri modi. Fece delle rinunce pur di mantenere la pace e
tuttavia affrontò con coraggio le situazioni critiche. (Genesi 13:7-11; 14:1-16) Pur essendo ricco non era
materialista. (Genesi 14:21-24) Piuttosto, era ospitale e sostenne generosamente l’adorazione di Geova.
(Genesi 14:18-20; 18:1-8) Ciò che più conta, era un capofamiglia esemplare e seguiva le istruzioni di
Geova comandando ai suoi figli e alla sua casa dopo di lui in modo che si attenessero “alla via di Geova
per praticare giustizia”. (Genesi 18:19) In ciò, la casa di Abramo intraprese una condotta nettamente in
contrasto con quella dei pervertiti cananei nelle vicine Sodoma e Gomorra. Abramo di certo non avrebbe
tollerato tali flagranti peccati entro la sua casa. Che egli abbia diretto la sua casa in maniera eccellente è
evidente dal modo in cui i membri di tale casa lo imitarono invocando con fede il nome di Geova. —
Genesi 16:5, 13; 24:26, 27; 25:21.
‘Non si indebolì nella fede’
11 Abramo visse per cento anni fra persone che si consideravano i padroni del paese, ma sopportò le
difficoltà grazie alla sua forte fede. (Genesi 12:4; 23:4; 25:7) La Bibbia dice: “Risiedette come forestiero
nel paese della promessa come in un paese straniero, e dimorò in tende con Isacco e Giacobbe, eredi
con lui della stessa promessa. Poiché aspettava la città [il Regno di Dio] che ha reali fondamenta, il cui
edificatore e costruttore è Dio”. ‘Eppure, se in realtà avesse continuato a ricordare quel luogo dal quale
era uscito, avrebbe avuto l’opportunità di tornarvi’. — Ebrei 11:9, 10, 15; confronta Ebrei 12:22, 28.
12 Abramo non era da molto in Canaan quando una grande carestia gli offrì un’‘opportunità di tornare’. Ur,
rifornita dalle abbondanti acque dell’Eufrate, non dipendeva dalla pioggia. Ma anziché farvi ritorno,
Abramo ripose fede in Geova e andò nella direzione opposta, in Egitto. Era un rischio. Avendo una
moglie molto bella il forestiero, Abramo, rischiava la vita in quel paese straniero. Ciò nonostante, egli
prese le sue precauzioni chiedendo a Sarai di non rivelare che erano sposati. Geova benedì Abramo per
la sua fede, e ben presto egli poté tornare nella Terra Promessa con ricchezze più grandi che mai. —
Genesi 12:10–13:2; 20:12.
13 Anche questo faceva parte del dramma profetico che Abramo inconsapevolmente recitava per nostra
istruzione. Sarai, ancora sterile, raffigurava l’organizzazione celeste di Geova composta di angeli leali,
simile a una moglie. Questa bella moglie simbolica dovette aspettare oltre 4.000 anni prima di poter
provvedere il vero seme del più grande Abraamo, Geova Dio. L’aperta persecuzione dei fedeli servitori di
Dio durante tutti questi anni di attesa talvolta faceva sembrare che Geova avesse nascosto la sua
relazione maritale con lei. — Genesi 3:15; Isaia 54:1-8; Galati 3:16, 27, 29; 4:26.
14 Dopo esser vissuto come residente forestiero per dieci anni, Abramo ancora non aveva un figlio come
erede. Disperata, Sarai lo pregò di avere una progenie dalla sua serva, Agar. Abramo fu d’accordo e
nacque Ismaele. (Genesi 12:4; 16:1-4, 16) Ma il promesso seme che avrebbe portato la benedizione
doveva venire attraverso qualcun altro. Quando Abramo aveva 99 anni il suo nome fu cambiato in
Abraamo, perché Dio gli disse: “Ti farò padre di una folla di nazioni”. Il nome di Sarai fu cambiato in Sara
con la promessa che avrebbe partorito un figlio. — Genesi 17:1, 5, 15-19.
15 Abraamo, e in seguito anche Sara, risero al pensiero, perché le facoltà riproduttive di entrambi erano
cessate. (Genesi 17:17; 18:9-15) Ma tale risata non rivelava incredulità e mancanza di fede. Come
spiega la Bibbia, Abraamo ‘non si indebolì nella fede. Ma a motivo della promessa di Dio divenne potente
mediante la sua fede, dando gloria a Dio ed essendo pienamente convinto che ciò che egli aveva
promesso era anche in grado di fare’. (Romani 4:18-21) Quello stesso giorno, Abraamo diede prova della
sua forte fede. Come segno del suo patto con lui, Geova disse ad Abraamo di circoncidersi e di
circoncidere ogni maschio nella sua vasta casa. (Genesi 15:18-21; 17:7-12, 26) Come reagì a questo
comando doloroso? “Circoncise la carne del loro prepuzio in quel medesimo giorno, proprio come Dio gli
aveva parlato”. — Genesi 17:22-27.
16 Isacco, il cui nome significa “risata”, nacque a Sara l’anno seguente. (Genesi 21:5, 6) Ben presto arrivò
il tempo di svezzarlo. Durante la festa, il geloso Ismaele perseguitò Isacco. A ciò Sara esortò vivamente
Abraamo a cacciare la schiava Agar e suo figlio dalla casa, e Geova Dio appoggiò la richiesta di Sara.
Anche se addolorato, Abraamo ubbidì prontamente. (Genesi 21:8-14) Secondo Galati 4:21-30, questo
raffigurò come il più grande Abraamo avrebbe troncato la sua relazione con la nazione dell’Israele
naturale. Come il resto dell’umanità, gli israeliti erano nati schiavi del peccato. (Romani 5:12) Ma allo
stesso tempo rigettavano Gesù Cristo, il vero Seme di Abraamo che era venuto per liberarli. (Giovanni
8:34-36; Galati 3:16) E come Ismaele perseguitò Isacco, essi perseguitarono la neocostituita
congregazione cristiana dell’Israele spirituale, che era la parte secondaria del seme di Abraamo. —
Matteo 21:43; Luca 3:7-9; Romani 2:28, 29; 8:14-17; 9:6-9; Galati 3:29.
La più grande prova di fede
17 È difficile che un padre umano abbia amato suo figlio più di quanto l’anziano Abraamo amò Isacco.
Che terribile colpo dovette essere dunque per lui ricevere questo comando: “Prendi, suvvia, tuo figlio, il
tuo figlio unico che ami tanto, Isacco, e fa un viaggio nel paese di Moria e là offrilo come olocausto su
uno dei monti che io ti designerò”. — Genesi 22:1, 2.
18 Dovette essere difficile per Abraamo capire il motivo di questo penoso comando. Tuttavia, ancora una
volta, fu pronto a ubbidire. (Genesi 22:3) Gli ci vollero tre angosciosi giorni per arrivare al monte
prescelto. Lì costruì un altare e vi pose sopra la legna per il fuoco. A un certo punto avrà dovuto spiegare
il comando di Dio a Isacco, il quale sarebbe potuto facilmente scappare via. Isacco, invece, permise che il
suo anziano padre gli legasse mani e piedi e lo ponesse sull’altare. (Genesi 22:4-9) Come mai fu così
ubbidiente?
19 Abraamo aveva fedelmente assolto le sue responsabilità nei confronti di Isacco, come indica Genesi
18:19. Senza dubbio aveva inculcato in Isacco il proposito di Geova di risuscitare i morti. (Genesi 12:3;
Ebrei 11:17-19) Isacco, da parte sua, era l’oggetto del profondo amore di Abraamo e avrà voluto
compiacere suo padre in qualsiasi cosa, specialmente se si trattava di fare la volontà di Dio. Che
eccellente esempio per le odierne famiglie cristiane! — Efesini 6:1, 4.
20 Ora veniva la parte più difficile della prova. Abraamo afferrò il coltello per scannare. Ma quando fu sul
punto di uccidere suo figlio, Geova lo fermò e disse: “Ora davvero so che temi Dio, in quanto non hai
trattenuto tuo figlio, il tuo unico, da me”. (Genesi 22:11, 12) Che ricca ricompensa, per Abraamo, udire
Dio stesso che lo dichiarava giusto! Ora poteva esser certo di essere stato all’altezza di ciò che Dio
richiede dagli esseri umani imperfetti. Cosa ancora più importante, era stata dimostrata la giustezza del
giudizio che Geova aveva espresso in precedenza riguardo alla sua fede. (Genesi 15:5, 6) Dopo ciò
Abraamo sacrificò un montone provveduto miracolosamente al posto di Isacco. Poi udì Geova
confermare, con un giuramento, le promesse del patto. In seguito divenne noto come amico di Geova. —
Genesi 22:13-18; Giacomo 2:21-23.
21 Il sacrificio di Abraamo era “illustrativo”. (Ebrei 11:19) Rappresentava il doloroso e prezioso sacrificio
che Geova Dio fece quando mandò il suo amato Figlio sulla terra per morire come “l’Agnello di Dio che
toglie il peccato del mondo”. (Giovanni 1:29) E il fatto che Isacco fosse disposto a morire illustra come il
più grande Isacco, Gesù Cristo, si sottomise amorevolmente al compimento della volontà del suo Padre
celeste. (Luca 22:41, 42; Giovanni 8:28, 29) Infine, proprio come Abraamo ricevette suo figlio vivo
dall’altare, Geova ricevette il suo amato Figlio dai morti come gloriosa creatura spirituale. (Giovanni 3:16;
1 Pietro 3:18) Com’è incoraggiante tutto questo per quelli che oggi cercano l’amicizia di Dio!
22 Esercitando fede in questo supremo atto di amore da parte del più grande Abraamo, Geova Dio, un
gruppo scelto di esseri umani sono stati dichiarati giusti come figli di Dio. (Romani 5:1; 8:15-17) Essendo
presi prima di fra gli ebrei e poi di fra i gentili, questi sono stati davvero benedetti per mezzo del Seme di
Abraamo, Gesù Cristo. (Atti 3:25, 26; Galati 3:8, 16) Da parte loro, formano la parte secondaria del seme
di Abraamo. (Galati 3:29) Costoro sono in tutto 144.000 e, come Gesù, vengono risuscitati alla vita
celeste dopo essersi mostrati fedeli sino alla morte. — Romani 6:5; Rivelazione 2:10; 14:1-3.
23 Nel frattempo milioni di persone di tutte le nazioni si stanno ‘benedicendo’ accettando l’amorevole
ministero del piccolo rimanente del seme di Abraamo. (Genesi 22:18) Sono state entusiaste di
apprendere com’è possibile che esseri umani peccatori siano dichiarati giusti come amici di Dio. Come
risultato, “una grande folla . . . di ogni nazione” sta godendo del favore di Dio, in quanto queste persone
“hanno lavato le loro lunghe vesti e le hanno rese bianche nel sangue dell’Agnello”. Seguendo la guida
del rimanente, anch’esse rendono a Dio “sacro servizio giorno e notte”. Dinanzi a questa grande folla è
posta la meravigliosa speranza della vita eterna nel Paradiso come “figli di Dio” terreni. (Rivelazione 7:9-
17; 21:3-5; Romani 8:21; Salmo 37:29) Ma prima che tali benedizioni divengano realtà devono aver luogo
avvenimenti più importanti, come apprenderemo nel prossimo articolo.

w89 1/7 23-8 Un matrimonio da cui traggono beneficio milioni di persone ora in vita
Un matrimonio da cui traggono beneficio milioni di persone ora in vita
“Geova il nostro Dio, l’Onnipotente, ha cominciato a regnare. . . . Diamo a lui la gloria, perché è arrivato il
matrimonio dell’Agnello e la sua moglie si è preparata”. — RIVELAZIONE 19:6, 7.
QUESTE entusiasmanti parole fanno parte di un profetico cantico di vittoria. Quando si comincerà a
cantarlo? Dopo la distruzione della nemica di vecchia data dell’adorazione di Geova, “Babilonia la
Grande”, la simbolica “grande meretrice” che rappresenta tutte le forme di falsa religione. Su di lei
dev’essere eseguito il giudizio a motivo del modo in cui ha mal rappresentato Dio. Come ha sviato
l’umanità con la sua ingerenza nella politica, la sua avidità materialistica e il suo odio omicida per i veri
adoratori di Geova! — Rivelazione 17:1-6; 18:23, 24; 19:1, 2; Giacomo 4:4.
2 Ben presto Geova Dio indurrà i capi politici del mondo a distruggerla. (Rivelazione 17:12, 16, 17) Ma
coloro che distruggeranno la falsa religione non si uniranno nel cantare il grande cantico di vittoria.
Piuttosto, sotto l’influenza di Satana, vale a dire Gog, attaccheranno coloro che praticano la vera
religione, che vivono in pace e si mantengono separati dalla malvagità di questo mondo. — Isaia 2:2-4;
Ezechiele 38:2, 8-12; Giovanni 17:14; Giacomo 1:27.
3 Questo attacco blasfemo da parte dei governanti politici scatenerà la battaglia di Armaghedon, che
eliminerà per sempre le nazioni antireligiose. Dopo ciò, la terra sarà liberata dalla malvagia influenza di
Satana e dei suoi demoni. (Rivelazione 16:14, 16; 19:11-21; 20:1, 2) Col cuore colmo di gratitudine, tutti
gli esseri umani che sopravvivranno si uniranno al coro celeste nell’esclamare: “Lodate Iah, perché
Geova il nostro Dio, l’Onnipotente, ha cominciato a regnare”. (Rivelazione 19:6) In effetti, tali avvenimenti
che scuoteranno il mondo segneranno l’inizio di una nuova epoca. Geova avrà rivendicato la sua
sovranità e tolto dalla faccia della terra tutti quelli che sfidano il suo dominio. Sarà finalmente arrivata l’ora
del matrimonio celeste. Come dice la continuazione del cantico profetico: “Rallegriamoci ed esultiamo, e
diamo a [Geova] la gloria, perché è arrivato il matrimonio dell’Agnello e la sua moglie si è preparata”. —
Rivelazione 19:7, 8.
4 L’Agnello non è altri che il glorificato Gesù Cristo, e la sua “moglie” sono tutti i suoi 144.000 unti seguaci
fedeli ora uniti a lui in cielo. Insieme, questi coniugi celesti compongono il numero completo dei membri
del Regno di Dio, che eleverà l’umanità, compresi i morti risuscitati, alla perfezione umana. (Rivelazione
5:8-10; 14:1-4; 20:4, 12, 13; 21:3-5, 9, 10; 22:1-3) Avranno successo gli avvenimenti che conducono a
tale matrimonio benedetto? Come potete trarre beneficio da questo matrimonio? Per trovare risposta a
tali domande, esaminiamo gli avvenimenti legati al matrimonio di Isacco, riportati nel capitolo 24 di
Genesi.
Dio sceglie una sposa per Isacco
5 Il racconto inizia con Abraamo che dà istruzioni al servitore che amministrava la sua casa,
evidentemente Eliezer. (Genesi 15:2; 24:2) “Devo farti giurare per Geova”, disse Abraamo, “che non
prenderai una moglie per mio figlio dalle figlie dei cananei fra i quali dimoro, ma andrai al mio paese e dai
miei parenti, e certamente prenderai una moglie per mio figlio, per Isacco”. — Genesi 24:3, 4.
6 Perché Abraamo insistette tanto che suo figlio non sposasse una cananea? Perché i cananei
discendevano da Canaan, che fu maledetto da Noè. (Genesi 9:25) Inoltre, i cananei erano noti per le loro
pratiche depravate, e soprattutto non adoravano Geova. (Genesi 13:13; Levitico 18:3, 17-28)
Comprensibilmente, Abraamo voleva che suo figlio sposasse una donna che apparteneva alla sua stessa
famiglia, una discendente di Sem, il quale aveva ricevuto l’ispirata benedizione di Noè. (Genesi 9:26) Che
ottimo esempio per i cristiani che oggi decidono di sposarsi! — Deuteronomio 7:3, 4.
7 Così Eliezer intraprese un viaggio di oltre 800 chilometri fino in Mesopotamia. Andò ben equipaggiato,
con dieci cammelli carichi di doni. (Genesi 24:10) In aggiunta, poteva meditare su queste incoraggianti
parole del suo padrone: “Geova, l’Iddio dei cieli, . . . manderà il suo angelo davanti a te, e certamente di
là prenderai una moglie per mio figlio”. — Genesi 24:7.
8 Alla fine giunse alla città di Nahor, nella Mesopotamia settentrionale. Eliezer lasciò che gli stanchi
cammelli si inginocchiassero per riposare a un pozzo fuori della città. Era l’ora in cui le donne andavano
ad attingere l’acqua: davvero un’ottima occasione perché Eliezer cercasse una possibile moglie! Ma che
tipo di donna doveva essere? La più attraente? No. Ad Eliezer interessava soprattutto una donna dalla
personalità devota. Lo si capisce dall’umile preghiera di fede che a questo punto egli pronunciò: “Geova,
Dio del mio padrone Abraamo, fallo avvenire, ti prego, davanti a me quest’oggi e usa amorevole benignità
al mio padrone Abraamo. Ecco, sto fermo presso una fonte d’acqua e le figlie degli uomini della città
escono ad attingere acqua. Ciò che deve avvenire è che la giovane alla quale dirò: ‘Abbassa la tua giara
d’acqua, ti prego, perché io beva’, e che veramente dirà: ‘Bevi, e darò da bere anche ai tuoi cammelli’,
questa è quella che devi assegnare al tuo servitore, a Isacco; e da questo fammi sapere che hai usato
amore leale col mio padrone”. — Genesi 24:11-14.
9 Era senz’altro una buona prova. Secondo un’enciclopedia (The New Encyclopædia Britannica), un
cammello molto assetato può bere 95 litri d’acqua in dieci minuti. Può darsi che i cammelli di Abraamo
non avessero tanta sete, ma le donne di quel tempo conoscevano senz’altro quanta acqua potevano bere
tali animali. Di certo una donna doveva essere molto gentile, altruista e laboriosa per offrirsi di attingere
acqua per dieci cammelli stanchi di proprietà di un estraneo.
10 La preghiera di Eliezer fu esaudita ancor prima che egli l’avesse completata, in quanto il racconto dice:
“Ecco, usciva Rebecca . . . Ora la giovane era di aspetto molto attraente, vergine, e nessun uomo aveva
avuto rapporti sessuali con lei; e scese alla fonte e riempiva la sua giara per l’acqua e quindi salì. Subito il
servitore le corse incontro e disse: ‘Dammi, ti prego, un piccolo sorso d’acqua della tua giara’. A sua volta
essa disse: ‘Bevi, mio signore’. Allora abbassò prontamente la sua giara sulla mano e gli diede da bere.
Quando ebbe finito di dargli da bere, disse: ‘Attingerò acqua anche per i tuoi cammelli finché abbiano
bevuto abbastanza’. Così vuotò prontamente la sua giara nell’abbeveratoio e corse ripetute volte al pozzo
ad attingere acqua, e ne attingeva per tutti i suoi cammelli”. — Genesi 24:15-20.
11 Eliezer “la fissava con meraviglia”, osservando questa miracolosa risposta alla sua preghiera. Quando
la lodevole vergine ebbe finito, la ricompensò con un anello da naso e due braccialetti d’oro e le chiese di
chi era figlia. Scoprendo che era pronipote di Abraamo, Eliezer si inchinò a Geova in riverente
adorazione, dicendo: “Benedetto sia Geova, l’Iddio del mio padrone Abraamo, che non ha lasciato la sua
amorevole benignità e la sua fidatezza verso il mio padrone. Essendo io per via, Geova mi ha guidato alla
casa dei fratelli del mio padrone”. — Genesi 24:21-27.
12 Eccitata, Rebecca corse a casa a raccontare l’accaduto alla sua famiglia. In seguito, quando il padre e
il fratello di Rebecca udirono dalla bocca stessa di Eliezer lo scopo del suo viaggio e come Geova aveva
risposto alla sua preghiera, acconsentirono senza esitazione a che Rebecca andasse in moglie a Isacco.
“E avvenne che quando il servitore di Abraamo ebbe udito le loro parole, si prostrò subito a terra davanti
a Geova. E il servitore tirava fuori oggetti d’argento e oggetti d’oro e vesti e li dava a Rebecca; e diede
cose scelte al fratello e alla madre di lei”. — Genesi 24:52, 53.
La risposta della sposa e delle sue serve
13 Come considerava Rebecca il privilegio di essere stata scelta da Dio come sposa di Isacco? Il giorno
seguente accadde qualcosa che rivelò i suoi veri sentimenti. Avendo raggiunto lo scopo del suo viaggio,
Eliezer desiderava tornare dal suo padrone senza indugio. Ma la famiglia di Rebecca voleva che la sposa
restasse con loro almeno dieci giorni. Perciò si lasciò decidere a Rebecca se era pronta a partire
immediatamente. “Sono disposta ad andare”, disse. Accettando di lasciare immediatamente la famiglia
per andare in un paese lontano a sposare un uomo che non aveva mai visto Rebecca dimostrò di avere
grande fede nella guida di Geova. Questo confermava che lei era la persona giusta. — Genesi 24:54-58.
14 Rebecca non fece il viaggio da sola. Il racconto ci spiega: “Rebecca e le sue serve si levarono e
montavano sui cammelli”. (Genesi 24:61) Così la carovana di cammelli intraprese un viaggio pericoloso di
oltre 800 chilometri in territorio straniero. “La velocità media dei cammelli carichi”, afferma un libro (The
Living World of Animals), “è di circa [4 km/h]”. Se i cammelli di Abraamo viaggiarono a tale velocità per
otto ore al giorno, avranno impiegato più di 25 giorni per raggiungere la loro destinazione nel Negheb.
15 Sia Eliezer che Rebecca e le sue serve confidavano pienamente nella guida di Geova: un ottimo
esempio per i cristiani odierni! (Proverbi 3:5, 6) Inoltre, questo racconto è un dramma profetico che
rafforza la fede. Come abbiamo visto, Abraamo rappresenta Geova Dio, che offrì il suo diletto Figlio, il più
grande Isacco, affinché gli uomini peccatori potessero ottenere la vita eterna. (Giovanni 3:16) I preparativi
per il matrimonio di Isacco furono fatti qualche tempo dopo che egli era stato risparmiato dalla morte
sull’altare per il sacrificio. Questi preparativi raffiguravano profeticamente quelli per il matrimonio celeste,
che ebbero inizio in piena misura dopo la risurrezione di Gesù.
Il matrimonio del più grande Isacco
16 Il nome Eliezer significa “Il mio Dio è un soccorritore”. Sia col nome che con le azioni, Eliezer
rappresenta in maniera appropriata lo spirito santo del più grande Abraamo, Geova Dio, che egli mandò a
questo paese distante, la terra, per scegliere una sposa adatta per il più grande Isacco, Gesù Cristo.
(Giovanni 14:26; 15:26) La classe della sposa è “la congregazione”, composta di discepoli di Gesù
generati dallo spirito santo come figli spirituali di Dio. (Efesini 5:25-27; Romani 8:15-17) Proprio come
Rebecca ricevette costosi doni, così i primi membri della congregazione cristiana, alla Pentecoste del 33
E.V., ricevettero doni miracolosi come prova della loro chiamata divina. (Atti 2:1-4) Come Rebecca, sono
stati disposti ad abbandonare tutto ciò che li legava al mondo e alla carne per essere infine uniti al loro
Sposo celeste. I singoli membri della classe della sposa devono custodire la loro verginità spirituale da
quando vengono chiamati fino alla morte, mentre viaggiano attraverso il pericoloso e seducente mondo di
Satana. (Giovanni 15:18, 19; 2 Corinti 11:3; Giacomo 4:4) Piena di spirito santo, la classe della sposa
invita fedelmente altri a valersi dei provvedimenti di Geova per la salvezza. (Rivelazione 22:17) Seguite il
suo esempio accettando anche voi la guida dello spirito?
17 La classe della sposa dà grande valore a ciò che è raffigurato dai dieci cammelli. Nella Bibbia il
numero dieci è usato per indicare perfezione o completezza riguardo a cose terrene. I dieci cammelli si
possono paragonare alla completa e perfetta Parola di Dio, attraverso la quale la classe della sposa
riceve sostentamento spirituale e doni spirituali. (Giovanni 17:17; Efesini 1:13, 14; 1 Giovanni 2:5)
Commentando l’abbeveraggio dei cammelli da parte di Rebecca, La Torre di Guardia del 15 giugno 1949
fece questa applicazione a quelli della classe della sposa: “Riguardano con amore la Parola di Dio che
reca loro molto del suo spirito. Prendono interesse alla sua Parola scritta, servendola e rianimandola con
la loro assistenza, e manifestano un sincero interessamento per il suo messaggio e il suo proposito,
cercando di credervi”. Che le cose stiano così lo si può notare ad esempio dal fatto che il rimanente della
classe della sposa ha amorevolmente reso disponibile a milioni di persone la moderna e aggiornata
Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture. Sia che questa ottima traduzione sia disponibile nella
vostra lingua o no, mostrate apprezzamento esaminando regolarmente la Bibbia insieme agli strumenti di
studio provveduti dalla classe della sposa? — 2 Timoteo 3:16.
Il matrimonio dell’Agnello si avvicina
18 In questi ultimi giorni del mondo di Satana, al rimanente della classe della sposa si è aggiunta “una
grande folla”, paragonabile alle “serve” di Rebecca. Come nel caso di Rebecca, questa è molto più
numerosa della classe della sposa, il cui numero completo è di 144.000 membri. È la “grande folla” delle
“altre pecore” di Gesù Cristo. (Rivelazione 7:4, 9; Giovanni 10:16) Come leali serve della sposa, anche i
membri di questa folla devono evitare di essere contaminati dal malvagio mondo di Satana. Anch’essi
devono accettare le direttive dello spirito di Geova e della sua Parola come viene loro spiegata dalla
classe della sposa. Ma la loro ricompensa è diversa. Se persevereranno nel sostenere lealmente la
sposa di Cristo, sopravvivranno alla fine del mondo di Satana e avranno la meravigliosa opportunità di
vivere per sempre su una terra paradisiaca. — Rivelazione 21:3, 4.
19 Riuscirono Rebecca e le sue “serve” a raggiungere la loro meta? Sì. La Bibbia riferisce: “E Isacco era
fuori a passeggiare, per meditare nel campo sul far della sera. Quando alzò gli occhi e guardò, ebbene,
ecco, venivano dei cammelli! Quando Rebecca alzò gli occhi, scorse Isacco e si lasciò scivolare dal
cammello”. Dopo che Eliezer ebbe spiegato come era riuscito a portare a termine il suo incarico, Isacco
accettò in moglie Rebecca e “si innamorò di lei”. — Genesi 24:63-67.
20 Similmente, il proposito di Geova riguardo alla sposa di Cristo non può fallire. (Isaia 55:11) Fra poco,
dopo che Babilonia la Grande sarà giudicata e distrutta, gli ultimi componenti del rimanente della sposa
completeranno il loro viaggio. Sarà giunto per loro il momento di essere separati dalle loro serve
compagne per essere uniti in matrimonio, in cielo, con il più grande Isacco. Che grandiosa occasione di
gioia universale sarà quella! — Rivelazione 19:6-8.
21 Nel frattempo, milioni di persone si stanno benedicendo accettando il ministero del sempre più esiguo
rimanente della sposa. Prima che tutti questi finiscano la loro vita terrena con la morte, la devastazione
dell’impero mondiale della falsa religione simile a una prostituta segnerà l’inizio della “grande tribolazione
come non è accaduta dal principio del mondo fino ad ora”. Rimane poco tempo. Se volete sopravvivere, è
essenziale ubbidire ai comandi divini! (Matteo 24:14, 21; Marco 13:10; Luca 21:15; Giovanni 13:34) Tali
comandi valgono in special modo nei nostri tempi difficili. Perciò, che facciate parte del rimanente della
sposa o della sua “grande folla” di serve, continuate ad ubbidire a Geova, a sua gloria e a vostra felicità
eterna. Che prospettiva grandiosa sarà per i membri della grande folla, già considerati amici di Dio,
continuare a vivere mentre Geova ‘farà ogni cosa nuova’ e benefìci eterni saranno estesi a milioni di
persone in una terra paradisiaca! — Rivelazione 21:5; 22:1, 2, 17.

w91 1/11 10-12 La perseveranza che porta alla vittoria


Aspettiamo con perseveranza senza vacillare
11 C’è bisogno di tempo perché la prova in cui ci troviamo sia completata. (Giacomo 1:2-4) Sembra che,
quando la determinazione degli antichi servitori di Dio a rimanere fedeli era messa alla prova, la regola di
Dio per loro sia sempre stata quella di aspettare, aspettare e ancora aspettare. Ma l’attesa, alla fine, si è
sempre dimostrata fruttuosa per quei fedeli servitori. Giuseppe, ad esempio, dovette aspettare 13 anni
come schiavo e prigioniero, ma questa esperienza raffinò la sua personalità. — Salmo 105:17-19.
12 Abraamo aveva già 75 anni quando Dio lo chiamò fuori da Ur dei caldei perché andasse nella Terra
Promessa. E aveva circa 125 anni quando ricevette la conferma giurata della promessa di Dio, il che
accadde subito dopo che ebbe dato prova della sua fede giungendo al punto di offrire il suo diletto figlio,
Isacco, fermandosi solo quando l’angelo di Geova gli trattenne la mano e impedì il sacrificio. (Genesi
22:1-18) Per Abraamo, 50 anni furono un lungo periodo di tempo da passare quale residente temporaneo
in un paese straniero, ma egli perseverò per altri 50 anni, fino al giorno in cui morì, all’età di 175 anni. In
tutto quel tempo, Abraamo fu un fedele testimone e profeta di Geova Dio. — Salmo 105:9-15.
13 La fede e la perseveranza di Abraamo sono indicate come esempio per tutti i servitori di Dio che
vogliono ricevere le benedizioni promesse mediante Gesù Cristo, il Seme di Abraamo. (Ebrei 11:8-10, 17-
19) Riguardo a lui, in Ebrei 6:11-15 leggiamo: “Desideriamo che ciascuno di voi mostri la stessa operosità
in modo da avere la piena certezza della speranza sino alla fine, affinché non diveniate pigri, ma siate
imitatori di quelli che mediante la fede e la pazienza ereditano le promesse. Poiché quando Dio fece la
promessa ad Abraamo, giacché non poteva giurare per nessuno più grande, giurò per se stesso,
dicendo: ‘Sicuramente, benedicendo ti benedirò, e moltiplicando ti moltiplicherò’. E così dopo che
Abraamo ebbe mostrato pazienza, ottenne questa promessa”.
14 L’unto rimanente ha già visto passare 77 anni dallo scadere dei tempi dei Gentili nel 1914, tempo in cui
alcuni di loro si aspettavano che la vera congregazione cristiana fosse glorificata in cielo, e non sappiamo
fino a quando il rimanente debba ancora aspettare. Significa questo che dovremmo vacillare e pensare
che l’attesa non finirà mai e che la ricompensa sia solo un miraggio irraggiungibile? No! In questo modo
non rivendicheremmo affatto la sovranità di Dio né onoreremmo il suo nome. Agli occhi del mondo, egli
non sarebbe giustificato concedendoci la vittoria e il premio della vita eterna. Indipendentemente dalla
durata dell’attesa i membri del rimanente, insieme ai loro fedeli compagni paragonabili a pecore, sono
decisi ad aspettare che Geova agisca al tempo da lui stabilito. Mostrando questa perseveranza
esemplare, seguono l’esempio di Abraamo. — Romani 8:23-25.
15 Il nostro motto, quindi, è ancora: ‘Perseveriamo senza vacillare nel compiere la volontà di Dio’.
(Romani 2:6, 7) In passato Dio ci ha sostenuto in situazioni davvero difficili, anche quando alcuni sono
stati messi in prigione o nei campi di concentramento, e ci ha fatto uscire vittoriosi da queste prove a
gloria del suo nome e del suo proposito. Nel tempo che ancora resta prima che la nostra prova sia
completata, Geova continuerà a fare la stessa cosa. L’esortazione di Paolo rimane valida per i nostri
giorni: “Vi è necessaria, infatti, la paziente perseveranza, per compiere la volontà di Dio e conseguire ciò
che vi è stato promesso”. — Ebrei 10:36, Nardoni; Romani 8:37.
16 Fino a quando Geova avrà del lavoro da farci fare in questo mondo malvagio, dunque, seguendo
l’esempio di Gesù, vogliamo impegnarci in tale lavoro fino a portarlo a compimento. (Giovanni 17:4) Non
ci siamo dedicati a Geova con la clausola che l’avremmo servito solo per un breve periodo di tempo e
che poi sarebbe venuto Armaghedon. Ci siamo dedicati per sempre. L’opera di Dio per noi non finirà con
la battaglia di Armaghedon. Tuttavia, è solo dopo che avremo portato a termine l’opera che dev’essere
fatta prima di Armaghedon che vedremo le grandiose realtà che seguiranno tale grande guerra. Allora,
oltre ad avere il piacevole privilegio di continuare a compiere l’opera di Dio, saremo ricompensati con le
benedizioni che lui ha promesso e che abbiamo atteso a lungo. — Romani 8:32.

w93 15/11 13-14 Camminate con coraggio nelle vie di Geova


Coraggio di ubbidire a Dio
9 Abraamo, l’“amico di Geova”, è un eccellente esempio di coraggiosa ubbidienza a Dio. (Giacomo 2:23)
Abraamo dovette avere fede e coraggio per ubbidire a Geova e lasciare Ur dei caldei, città che offriva
molti vantaggi materiali. Abraamo credette alla promessa di Dio che “tutte le famiglie del suolo” si
sarebbero benedette mediante lui e che al suo seme sarebbe stato dato un paese. (Genesi 12:1-9;
15:18-21) Per fede Abraamo “risiedette come forestiero nel paese della promessa” e aspettò “la città che
ha reali fondamenta”, il celeste Regno di Dio sotto il quale sarebbe stato risuscitato per vivere sulla terra.
— Ebrei 11:8-16.
10 La moglie di Abraamo, Sara, ebbe la fede e il coraggio che occorrevano per lasciare Ur,
accompagnare il marito in un paese straniero e sopportare qualunque eventuale avversità. E come fu
ricompensata la sua coraggiosa ubbidienza a Dio! Sebbene fosse rimasta sterile fino a circa 90 anni e
avesse “passato il limite d’età”, Sara ricevette il potere ‘di concepire un seme, poiché stimò fedele Dio
che aveva promesso’. A tempo debito partorì Isacco. (Ebrei 11:11, 12; Genesi 17:15-17; 18:11; 21:1-7)
Anni dopo, Abraamo ubbidì coraggiosamente a Dio e fu sul punto di ‘offrire Isacco’. Fermato da un
angelo, il patriarca ricevette il coraggioso e ubbidiente figlio dalla morte “in modo illustrativo”. In tal modo
lui e Isacco raffigurarono profeticamente che Geova Dio avrebbe provveduto suo Figlio Gesù Cristo come
riscatto affinché coloro che avrebbero esercitato fede in lui potessero avere la vita eterna. (Ebrei 11:17-
19; Genesi 22:1-19; Giovanni 3:16) Di sicuro la coraggiosa ubbidienza di Abraamo, Sara e Isacco
dovrebbe spingerci a ubbidire a Geova e a fare sempre la sua volontà.
w94 15/5 21-3 Riuscite ad avere pazienza?
Riuscite ad avere pazienza?
GEOVA disse ad Abramo: “Esci dal tuo paese . . . e va al paese che io ti mostrerò; e farò di te una
grande nazione e ti benedirò e davvero farò grande il tuo nome”. (Genesi 12:1, 2) Abramo aveva 75 anni.
Ubbidì e saggiamente ebbe pazienza per il resto della sua vita, aspettando Geova.
In seguito Dio fece questa promessa al paziente Abraamo (Abramo): “Sicuramente, benedicendo ti
benedirò, e moltiplicando ti moltiplicherò”. L’apostolo Paolo aggiunse: “E così dopo che Abraamo ebbe
mostrato pazienza, ottenne questa promessa”. — Ebrei 6:13-15.
Che cos’è la pazienza? I dizionari la definiscono capacità “di aspettare qualcosa con calma” o di
manifestare “sopportazione nonostante la provocazione o la tensione”. Quindi la vostra pazienza è messa
alla prova quando dovete aspettare qualcosa o qualcuno, o quando venite provocati o siete stressati. In
situazioni del genere chi è paziente rimane tranquillo; l’impaziente diventa avventato e irritabile.
L’impaziente mondo moderno
Specie in molte zone urbane non viene premiata la pazienza, ma la velocità. Per milioni di persone che
vivono in città sovraffollate, ogni giornata inizia la mattina quando suona la sveglia e comincia la corsa
frenetica: andare da qualche parte, vedere qualcuno, riuscire a fare qualcosa. È dunque strano che molti
siano tesi e impazienti?
Rimanete sconcertati di fronte alle mancanze altrui? “Non mi piace la mancanza di puntualità”, dice
Albert. Quasi tutti sono d’accordo che è stressante aspettare qualcuno che è in ritardo, specie se c’è un
orario da rispettare. Del duca di Newcastle, uomo politico inglese del XVIII secolo, fu detto: ‘La mattina
perde mezz’ora, che cerca di rincorrere per il resto della giornata senza riuscire a ricuperarla’. Se doveste
fare affidamento ogni giorno su una persona del genere, riuscireste a non perdere la pazienza?
Quando guidate l’automobile, siete pronti a irritarvi, riluttanti ad aspettare o tentati di andare troppo
veloci? In circostanze simili l’impazienza spesso causa disastri. Nel 1989, in quella che allora era la
Germania Occidentale, ci furono morti o feriti in più di 400.000 incidenti stradali . Di questi 1 su 3 fu
causato dalla guida troppo veloce o dal fatto che non si era tenuta la distanza di sicurezza. Almeno in
qualche misura, dunque, l’impazienza fu la causa del ferimento o della morte di più di 137.000 persone.
Che prezzo si paga per l’impazienza!
“Mi riesce difficile avere pazienza quando qualcuno mi interrompe di continuo”, si lamenta Ann, “o quando
qualcuno non fa che vantarsi”. Karl-Hermann ammette che la sua pazienza è messa alla prova dai “più
giovani che non hanno rispetto per gli anziani”.
Queste e altre situazioni possono rendere impazienti. Come si fa dunque a coltivare maggiore pazienza?
Geova può fortificare la vostra pazienza
Molti pensano che la pazienza riveli indecisione o debolezza. Per Geova, invece, è segno di forza. Egli
stesso “è paziente . . . perché non desidera che alcuno sia distrutto ma desidera che tutti pervengano al
pentimento”. (2 Pietro 3:9) Quindi per fortificare la vostra sopportazione rimanete vicini a Geova e
confidate in lui con tutto il cuore. Rafforzare la propria relazione con Dio è il passo più importante da fare
per diventare pazienti.
Inoltre è indispensabile conoscere i propositi di Geova per la terra e per l’uomo. Abraamo “aspettava la
città che ha reali fondamenta [il Regno di Dio], il cui edificatore e costruttore è Dio”. (Ebrei 11:10) Per
analogia sarà utile avere una chiara idea delle promesse divine ed essere disposti ad aspettare Geova.
Allora vi renderete conto che la pazienza, lungi dal denotare indecisione, in realtà avvicina altri alla vera
adorazione. Perciò “considerate la pazienza del nostro Signore come salvezza”. — 2 Pietro 3:15.
E se le circostanze in cui vi trovate mettono alla prova la vostra pazienza in modo quasi insopportabile?
Non credenti vi procurano tormentosa tensione? Siete ammalati da un tempo che sembra non finisca
più? In tal caso, prendete a cuore quello che scrisse il discepolo Giacomo. Dopo aver menzionato
l’esempio di pazienza dato dai profeti, rivelò il segreto per rimanere calmi sotto forte stress. Giacomo
disse: “C’è fra voi qualcuno che soffre il male? Preghi”. — Giacomo 5:10, 13.
Chiedete sinceramente a Geova Dio in preghiera che fortifichi la vostra pazienza e vi aiuti a essere
padroni del vostro spirito nella prova. Rivolgetevi a lui ripetutamente ed egli vi aiuterà a riconoscere le
circostanze o le abitudini altrui che costituiscono una particolare minaccia alla vostra tranquillità.
Pregando prima che si verifichino situazioni potenzialmente difficili potrete essere aiutati a rimanere
calmi.
Giusta opinione di sé e degli altri
Per conservare la serenità, bisogna avere una giusta opinione di sé e degli altri. Questo è possibile
tramite lo studio della Bibbia, poiché essa spiega che ognuno ha dei difetti innati e quindi ha dei punti
deboli. Inoltre la conoscenza biblica vi aiuterà a crescere nell’amore. Questa qualità è essenziale per
avere pazienza con gli altri. — Giovanni 13:34, 35; Romani 5:12; Filippesi 1:9.
L’amore e il desiderio di perdonare possono farvi calmare quando siete agitati. Se qualcuno ha delle
abitudini che vi danno sui nervi, l’amore vi ricorderà che sono le abitudini che trovate spiacevoli, non la
persona. Pensate quante volte le vostre stesse debolezze devono mettere alla prova la pazienza di Dio e
devono esasperare altri.
Una giusta opinione di voi stessi vi aiuterà anche ad aspettare con pazienza. Per esempio, aspiravate ad
avere qualche privilegio nel servizio di Geova e siete rimasti delusi? Sentite che, come gli ultimi granelli di
sabbia in una clessidra, la vostra pazienza è agli sgoccioli? In tal caso ricordate che molte volte
l’impazienza deriva dall’orgoglio. “È meglio chi è paziente che chi è di spirito superbo”, disse Salomone.
(Ecclesiaste 7:8) Sì, l’orgoglio è un grosso ostacolo che impedisce di coltivare la pazienza. Non è forse
vero che la persona umile trova più facile aspettare con calma? Coltivate dunque l’umiltà e vi sarà più
facile accettare un rinvio con pace mentale. — Proverbi 15:33.
La pazienza offre grandi ricompense
Abraamo è noto soprattutto per la sua fede. (Romani 4:11) Ma fu la pazienza che rese stabile la sua fede.
Quale ricompensa ebbe per avere aspettato Geova?
Geova accordò ad Abraamo sempre maggiore fiducia. Così il nome di Abraamo divenne grande e i suoi
discendenti divennero una nazione potente. Tutte le nazioni della terra si possono benedire per mezzo
del suo seme. Abraamo servì come portavoce di Dio e perfino rappresentò in maniera tipica il Creatore.
Poteva esserci una ricompensa più grande per la fede e la pazienza di Abraamo?
“Geova è molto tenero in affetto” verso i cristiani che sopportano con pazienza le prove. (Giacomo 5:10,
11) Essi hanno una buona coscienza perché fanno la sua volontà. Anche voi, dunque, se aspettate
Geova e sopportate con pazienza le prove, avrete la sua approvazione e benedizione.
La pazienza è utile al popolo di Dio in ogni aspetto della vita. Due servitori di Geova, Christian e Agnes, lo
scoprirono quando decisero di fidanzarsi. Per rispetto verso i genitori di Christian, che avevano bisogno di
tempo per conoscere Agnes, rimandarono il fidanzamento. Che effetto ebbe questa decisione?
“Solo più tardi realizzammo quanto fosse stata importante la nostra pazienza per i miei genitori”, spiega
Christian. “L’attesa paziente non distrusse la relazione fra mia moglie e me. Ma fu il primo mattone per
edificare la nostra relazione con i miei genitori”. Sì, la pazienza si rivela molto fruttuosa.
La pazienza favorisce anche la pace. Familiari e amici vi saranno grati se non farete una questione di
ogni loro errore involontario. La vostra calma e la vostra comprensione quando altri sbagliano vi faranno
evitare scene imbarazzanti. Un proverbio cinese dice: “La pazienza in un momento d’ira vi risparmierà
cento giorni di angoscia”.
La pazienza rende più attraente la vostra personalità, conferendo stabilità ad altre ottime qualità. Rende
resistente la vostra fede, duratura la vostra pace e saldo il vostro amore. Essendo pazienti vi sarà più
facile essere gioiosi nel mostrare benignità, bontà e mansuetudine. Avendo pazienza si edifica la forza
necessaria per coltivare longanimità e padronanza di sé.
Aspettate dunque con pazienza l’adempimento delle promesse di Geova, e vi è assicurato un futuro
meraviglioso. Come Abraamo ‘mediante la fede e la pazienza possiate ereditare le promesse’. — Ebrei
6:12.
[Figura a pagina 23]
Un’intima relazione con Geova vi aiuterà ad avere pazienza, come Abraamo
Absalom — Tema: Egoismo e ambizione portano alla rovina PROVERBI 15:14

it-1 39-41 Absalom


ABSALOM
(Àbsalom) [padre [cioè, Dio] è pace].
Terzo dei sei figli di Davide nati a Ebron. Sua madre Maaca era figlia di Talmai re di Ghesur. (2Sa 3:3-5)
Absalom ebbe tre figli e una figlia. (2Sa 14:27) A quanto pare è chiamato Abisalom in 1 Re 15:2, 10. —
Vedi 2Cr 11:20, 21.
La bellezza fisica era la caratteristica dominante della famiglia di Absalom. Egli era lodato in tutta la
nazione per la sua eccezionale bellezza; la sua rigogliosa capigliatura, evidentemente resa più pesante
dall’uso di olio o unguenti, quando veniva tagliata una volta all’anno pesava circa 200 sicli (2,3 kg). Anche
sua sorella Tamar era bella, e sua figlia, che aveva lo stesso nome della zia, era di “bellissimo aspetto”.
(2Sa 14:25-27; 13:1) Ma invece di essere di qualche utilità, questa bellezza provocò alcuni tragici
avvenimenti che causarono immenso dolore al padre di Absalom, Davide, e anche ad altri, e misero
scompiglio nella nazione.
Assassinio di Amnon. La bellezza di Tamar, sorella di Absalom, fece innamorare di lei il fratellastro
maggiore, Amnon. Fingendosi malato Amnon ottenne che Tamar venisse a cucinare per lui, e poi la
violentò. L’amore erotico di Amnon si trasformò in odio sprezzante ed egli fece scacciare Tamar in strada.
Absalom incontrò Tamar con l’abito a strisce, che la distingueva come vergine figlia del re, strappato e
con cenere sul capo. Egli intuì l’accaduto e subito manifestò di sospettare di Amnon, avendo
evidentemente già notato il desiderio passionale del fratellastro. Absalom ordinò tuttavia alla sorella di
non muovere alcuna accusa e la prese in casa sua. — 2Sa 13:1-20.
Secondo uno studioso, il fatto che Absalom si occupasse di Tamar al posto del padre era in armonia con
l’usanza orientale secondo cui, dove è praticata la poligamia, i figli della stessa madre sono molto uniti fra
loro e le figlie “si trovano sotto la speciale cura e protezione del fratello, che, . . . in tutto ciò che riguarda
la sicurezza e l’onore, è più considerato del padre stesso”. (John Kitto, Daily Bible Illustrations, Samuele,
Saul e Davide, 1857, p. 384) Molto tempo prima, erano stati Levi e Simeone, due fratelli di Dina, a
vendicare l’onore della sorella. — Ge 34:25.
Informato dell’umiliazione di sua figlia, Davide andò su tutte le furie ma, forse per la ragione che non era
stata presentata nessuna accusa diretta e formale col sostegno di prove o di testimoni, non prese nessun
provvedimento giudiziario contro il colpevole. (De 19:15) Absalom può aver preferito che non si facesse
una questione della violazione da parte di Amnon della legge contenuta nel libro di Levitico (Le 18:9;
20:17), per evitare spiacevole pubblicità alla sua famiglia e al suo nome. Tuttavia covò verso Amnon un
odio omicida, controllandosi esteriormente in attesa del momento propizio per vendicarsi a modo suo.
(Cfr. Pr 26:24-26; Le 19:17). Da allora in poi la sua vita, che occupa la maggior parte di sei capitoli di 2
Samuele, fu un classico esempio di perfidia. — 2Sa 13:21, 22.
Passarono due anni. Giunse il tempo della tosatura delle pecore, un’occasione festosa, e Absalom
preparò una festa a Baal-Hazor, circa 22 km a NNE di Gerusalemme, invitando i figli del re e Davide
stesso. Quando suo padre declinò l’invito, Absalom insisté perché in vece sua mandasse Amnon, il
primogenito. (Pr 10:18) Alla festa, quando Amnon era “allegro per il vino”, Absalom ordinò ai suoi servitori
di ucciderlo. Gli altri figli tornarono a Gerusalemme, e Absalom andò in esilio presso il nonno siro nel
regno di Ghesur, a E del Mar di Galilea. (2Sa 13:23-38) La “spada” predetta dal profeta Natan era entrata
nella “casa” di Davide e vi sarebbe rimasta per il resto della sua vita. — 2Sa 12:10.
Perdonato dal padre. Trascorsi tre anni, il dolore per la perdita del primogenito si era attenuato e Davide
provava intenso desiderio di rivedere Absalom. Gioab, leggendo nel pensiero del re suo zio, per mezzo di
uno stratagemma diede a Davide l’occasione di concedere ad Absalom un perdono condizionale, che gli
permise di rimpatriare, ma senza il diritto di presentarsi alla corte paterna. (2Sa 13:39; 14:1-24) Absalom
sopportò per due anni tale ostracismo e poi cominciò a manovrare per ottenere il perdono completo.
Poiché Gioab, in qualità di funzionario di corte del re, rifiutò di vederlo, Absalom fece incendiare il suo
campo d’orzo, e, quando Gioab indignato andò da lui, gli disse che voleva dal re una decisione finale e
“se c’è in me alcun errore, egli mi deve quindi mettere a morte”. Allorché Gioab riferì il messaggio, il re
Davide ricevette il figlio — che si prostrò in segno di completa sottomissione — e gli diede il bacio del
pieno perdono. — 2Sa 14:28-33.
Tradimento. Qualsiasi affetto naturale o filiale Absalom avesse avuto per Davide era evidentemente
svanito durante i cinque anni di lontananza dal padre. Può darsi che nei tre anni trascorsi con la famiglia
reale pagana si sviluppasse in lui la deleteria inclinazione all’ambizione. Absalom forse si considerava
destinato al trono essendo di discendenza reale da parte sia di padre che di madre. Dato che Chileab
(Daniele), figlio secondogenito di Davide, non è più menzionato dopo l’accenno alla sua nascita, può
darsi che fosse morto e Absalom fosse quindi il maggiore dei figli di Davide ancora viventi. (2Sa 3:3; 1Cr
3:1) Tuttavia la promessa di Dio secondo la quale un futuro “seme” di Davide avrebbe ereditato il trono fu
fatta dopo la nascita di Absalom e perciò questi doveva sapere di non essere stato scelto da Geova per il
regno. (2Sa 7:12) Ad ogni modo, una volta riavuto il rango regale, Absalom cominciò in segreto una
campagna politica. Con consumata abilità finse grande preoccupazione per il bene pubblico e si presentò
come amico del popolo. Parlando con la gente, specialmente con quelli che non erano della tribù di
Giuda, insinuò che la corte del re non si interessava dei loro problemi e che c’era grande necessità di un
uomo di cuore come lui. — 2Sa 15:1-6.
Le parole “alla fine di quarant’anni” che si trovano in 2 Samuele 15:7 sono di applicazione incerta, e nella
Settanta greca (ed. P. A. de Lagarde), nella Pescitta siriaca e nella Vulgata latina sono rese “quattro
anni”. Ma non è probabile che Absalom volesse attendere ben sei anni per adempiere un voto, se i
“quattro anni” si contano dal momento della sua completa reintegrazione. (2Sa 14:28) Poiché i tre anni di
carestia, una guerra con i filistei e il tentativo di Adonia di usurpare il trono ebbero tutti luogo durante il
regno di Davide ma dopo gli avvenimenti ora considerati, è evidente che lo scrittore fa iniziare questi
“quarant’anni” molto prima dell’inizio dei 40 anni di regno di Davide, per cui forse vanno contati dalla sua
prima unzione da parte di Samuele. In tal caso Absalom poteva essere ancora “giovane” a questo punto
della narrazione (2Sa 18:5), essendo nato tra il 1077 e il 1070 a.E.V.
Absalom, conscio di avere un forte seguito in tutto il reame, con un pretesto ottenne dal padre il
permesso di andare a Ebron, originale capitale di Giuda. Di là organizzò rapidamente una congiura in
piena regola per impadronirsi del trono, con una rete di spie pronte a proclamare il suo regno in tutta la
nazione. Dopo avere invocato con l’offerta di sacrifici la benedizione di Dio sul suo governo, ottenne
l’appoggio di Ahitofel, il più rispettato consigliere di suo padre. Molti passarono allora dalla parte di
Absalom. — 2Sa 15:7-12.
Di fronte alla gravità della crisi e temendo un attacco in forze, Davide preferì abbandonare il palazzo con
tutta la sua famiglia, pur avendo l’appoggio di un bel gruppo di uomini fedeli, inclusi i principali sacerdoti,
Abiatar e Zadoc. Rimandò questi due a Gerusalemme perché servissero da informatori. Mentre Davide
saliva sul Monte degli Ulivi, scalzo, col capo coperto e piangente, gli venne incontro Husai, il “compagno”
del re, e Davide mandò anche lui a Gerusalemme per frustrare i consigli di Ahitofel. (2Sa 15:13-37)
Sebbene circondato da opportunisti, da chi cercava favore, da chi aveva uno spirito partigiano e un odio
incontrollato, Davide, in netto contrasto con Absalom, si distinse per la tranquilla sottomissione e il rifiuto
di rendere male per male. Negando al nipote Abisai il permesso di andare a ‘staccare la testa’ a Simei
che lo malediceva e gli scagliava pietre, Davide soggiunse: “Ecco, il mio proprio figlio, che è uscito dalle
mie proprie parti interiori, cerca la mia anima; e quanto più ora un beniaminita! Lasciatelo stare affinché
invochi il male, poiché glielo ha detto Geova! Forse Geova vedrà col suo occhio, e Geova mi renderà
bontà invece della sua maledizione in questo giorno”. — 2Sa 16:1-14.
Occupando Gerusalemme e il palazzo, Absalom accettò l’apparente defezione di Husai dopo avere
osservato con sarcasmo che Husai era il fedele “compagno” di Davide. Poi, seguendo il consiglio di
Ahitofel, Absalom ebbe pubblicamente rapporti con le concubine del padre a riprova della completa
frattura fra lui e Davide e della sua irremovibile determinazione di conservare il trono. (2Sa 16:15-23) In
questo modo si adempì l’ultima parte dell’ispirata profezia di Natan. — 2Sa 12:11.
Ahitofel sollecitò Absalom ad affidargli il comando dell’esercito per infliggere a Davide un colpo mortale
quella notte stessa, prima che il suo esercito potesse riorganizzarsi. Compiaciuto, Absalom ritenne
tuttavia saggio sentire l’opinione di Husai. Questi, rendendosi conto che Davide aveva bisogno di tempo,
fece un vivido quadro della situazione, forse per approfittare della mancanza di vero coraggio da parte di
Absalom (che finora aveva manifestato più arroganza e astuzia che ardimento), e anche per far leva sulla
sua vanità. Husai raccomandò di aspettare in modo da raccogliere prima forze preponderanti comandate
dallo stesso Absalom. Per volere di Geova il consiglio di Husai prevalse. Ahitofel, rendendosi conto che la
rivolta sarebbe fallita, si suicidò. — 2Sa 17:1-14, 23.
Per precauzione Husai mandò ad avvertire Davide del consiglio di Ahitofel e, nonostante i tentativi di
Absalom di bloccare i corrieri clandestini, Davide, ricevuto l’avvertimento, attraversò il Giordano e
raggiunse Maanaim sulle colline di Galaad (dove Is-Boset aveva avuto la sua capitale). Qui fu accolto con
espressioni di generosità e benignità. Preparandosi per il conflitto Davide organizzò le sue crescenti forze
in tre divisioni al comando di Gioab, Abisai e Ittai il gattita. Esortato a rimanere in città, dove la sua
presenza sarebbe stata più utile, Davide acconsentì e ancora una volta mostrò straordinaria assenza di
rancore verso Absalom chiedendo pubblicamente ai suoi tre comandanti di ‘trattare gentilmente il giovane
Absalom per amor suo’. — 2Sa 17:15–18:5.
Battaglia decisiva e morte. L’esercito di Absalom, di recente formazione, subì una schiacciante disfatta
da parte degli esperti combattenti di Davide. Il combattimento si estese alla foresta di Efraim. Absalom
cercò di allontanarsi cavalcando il suo mulo regale, ma, passando sotto i rami bassi di un grosso albero,
la chioma gli si impigliò nella biforcazione di un ramo così che rimase sospeso per aria. L’uomo che riferì
a Gioab di averlo visto disse che non avrebbe disubbidito alla richiesta di Davide uccidendo Absalom
neanche per “mille pezzi d’argento [se si tratta di sicli, ca. 3.400.000 lire]”, ma Gioab non ebbe ritegno e
conficcò tre dardi nel cuore di Absalom, dopo di che dieci dei suoi uomini si unirono al loro comandante
nell’assumersi la responsabilità della morte di Absalom. Il corpo di Absalom fu poi gettato in una fossa e
ricoperto con un mucchio di sassi come indegno di sepoltura. — 2Sa 18:6-17; cfr. Gsè 7:26; 8:29.
Quando i messaggeri raggiunsero Davide a Maanaim, la sua prima preoccupazione fu per il figlio.
Informato della morte di Absalom, Davide si mise a camminare avanti e indietro nella camera in terrazza,
piangendo: “Figlio mio Absalom, figlio mio, figlio mio Absalom! Oh fossi morto io, io stesso, invece di te,
Absalom figlio mio, figlio mio!” (2Sa 18:24-33) Solo il ragionamento e le parole decise e schiette di Gioab
fecero uscire Davide dal suo grande dolore per la tragica fine di questo giovane fisicamente attraente e
pieno di risorse, che l’enorme ambizione aveva indotto a combattere contro l’unto di Dio a sua propria
rovina. — 2Sa 19:1-8; cfr. Pr 24:21, 22.
Il Salmo 3 fu scritto da Davide al tempo della ribellione di Absalom, come indica la soprascritta all’inizio
del salmo.
Monumento di Absalom. Cippo eretto da Absalom nel “Bassopiano del Re”, detto anche “Bassopiano di
Save”, presso Gerusalemme. (2Sa 18:18; Ge 14:17) Egli lo eresse perché non aveva figli che tenessero
vivo il suo nome dopo la sua morte. Sembrerebbe quindi che i tre figli menzionati in 2 Samuele 14:27
fossero morti piccoli. Absalom non fu sepolto sul luogo del suo monumento ma in una fossa nella foresta
di Efraim. — 2Sa 18:6, 17.
Nella valle del Chidron c’è un monumento di pietra chiamato Tomba di Absalom, ma la sua forma
architettonica indica che appartiene al periodo greco-romano, forse all’epoca di Erode. Non c’è dunque
alcuna ragione per associarvi il nome di Absalom.

w89 1/2 3-4 Quando la bellezza è solo esteriore


Inoltre, se non è accompagnata dalla bellezza interiore, la bellezza fisica può indurre ad avere
un’esagerata opinione di sé. Il re Davide aveva un figlio, Absalom, del quale si legge: “In paragone con
Absalom non c’era in tutto Israele nessun uomo così bello da essere tanto lodato”. (2 Samuele 14:25) Ma
la bellezza fisica di Absalom nascondeva una bruttezza interiore: era un uomo vanitoso, ambizioso e
spietato. Egli usò con astuzia il suo fascino per crearsi un seguito in Israele e quindi cospirò contro suo
padre. Alla fine fu ucciso, ma nel frattempo quest’uomo così bello aveva gettato il regno nella guerra
civile.

w79 1/8 26-7 Fiducia di fronte al pericolo


Salmi
Fiducia di fronte al pericolo
IL RE DAVIDE si trovava in una situazione molto difficile. Suo figlio Absalom si era proclamato re e aveva
complottato per impadronirsi del trono. Questo figlio ribelle si era fatto un seguito così numeroso che
Davide era stato costretto a fuggire dalla capitale, Gerusalemme. Nondimeno, Davide continuò a riporre
piena fiducia in Geova Dio.
Lo si capisce dalla melodia che Davide compose mentre fuggiva per non cadere nelle mani di Absalom.
(Salmo 3, soprascritta) Un messaggero riferì: “Il cuore degli uomini d’Israele è dietro ad Absalom”. (2
Sam. 15:13) Il fatto che una tale situazione avesse potuto crearsi rendeva perplesso Davide. Si chiedeva
perché era accaduto e come aveva potuto Absalom ottenere un appoggio così grande. Perciò, nel Salmo
3, Davide esclama: “O Geova, perché i miei avversari son divenuti molti? Perché si levano molti contro di
me?” — Vers. ⇒Salmo 3:⇐1.
La situazione era così minacciosa che molti israeliti conclusero che neppure l’Altissimo poteva evitare a
Davide di cadere nelle mani di Absalom e dei suoi uomini. Commentando questo fatto, Davide disse:
“Molti dicono della mia anima: ‘Non c’è salvezza per lui presso Dio’”. (Sal. 3:2) Ma indebolì questo la
fiducia di Davide? No, poiché egli continuò: “Eppure tu, o Geova, sei uno scudo intorno a me, la mia
gloria e Colui che mi alzi la testa. Con la mia voce chiamerò Geova stesso, ed egli mi risponderà dal suo
santo monte”. — Sal. 3:3, 4.
Davide considerava Geova come Colui che l’avrebbe protetto dalla calamità, come uno scudo protegge
un guerriero. Durante la fuga, Davide camminava a piedi nudi, piangendo e con la testa coperta. (2 Sam.
15:30) Senz’altro aveva la testa china per l’umiliazione. Tuttavia Davide non dubitò che l’Altissimo
avrebbe mutato il suo stato in uno stato di gloria e gli avrebbe alzato la testa, permettendogli di tenere la
testa alta, eretta. Perciò invocò l’aiuto di Geova, fiducioso che l’avrebbe esaudito. Dato che l’arca del
patto, simbolo della presenza di Geova, era stata riportata sul monte Sion, Davide disse
appropriatamente che la sua preghiera sarebbe stata esaudita dal santo monte di Dio. — 2 Sam. 15:24,
25.
Quindi, anche di notte, quando il pericolo di un attacco di sorpresa era più grande, Davide non era nel
terrore, non aveva paura di andare a dormire. Leggiamo le sue parole: “In quanto a me, certo giacerò per
dormire; certo mi sveglierò, poiché Geova stesso mi sostiene”. (Sal. 3:5) Esprimendo la sua ferma
convinzione nella capacità di Geova di salvare, Davide scrisse: “Non temerò dieci migliaia di popolo che
si sono schierati all’intorno contro di me. Sorgi, o Geova! Salvami, o mio Dio! Poiché dovrai colpire tutti i
miei nemici alla mascella. Dovrai rompere i denti dei malvagi. La salvezza appartiene a Geova. La tua
benedizione è sul tuo popolo”. — Sal. 3:6-8.
Che fossero rotti i denti dei nemici di Davide significava che era annientato il loro potere di far del male.
Solo Geova poteva recare tale liberazione. Pertanto il salmista ammise che “la salvezza appartiene a
Geova”. Poi, riflettendo sulle sue difficoltà personali, Davide fu spinto a considerare il popolo di Dio nel
suo insieme e pregò Dio di benedirlo.
Come Davide, non dovremmo farci vincere dal timore dell’uomo. Indipendentemente da quello che
possono fare i malvagi, Geova non abbandonerà il suo popolo e non permetterà che sia cancellato dalla
terra. Perciò, continuiamo anche noi ad attribuire la salvezza all’Altissimo.
W99 15-2, P.20 § 9, 10
Il re Acab — Tema: Non può esserci pace per i malvagi ISAIA 48:22; 57:20, 21

it-1 41-3 Acab


ACAB
(Àcab) [fratello del padre].
1. Figlio di Omri e re del regno settentrionale d’Israele. Regnò 22 anni in Samaria, a partire dal 940 a.E.V.
circa. — 1Re 16:28, 29.
Tollerata la falsa adorazione. La storia di Acab è una delle peggiori per quanto riguarda la vera
adorazione. Non solo egli continuò a profanare l’adorazione di Geova col culto dei vitelli d’oro istituito da
Geroboamo ma, dopo il suo matrimonio con Izebel, figlia di Etbaal re di Sidone, lasciò che l’adorazione di
Baal contaminasse Israele in misura senza precedenti. Giuseppe Flavio, citando l’antico storico
Menandro di Efeso, menziona Etbaal, che chiama Itobalo, e riferisce che era sacerdote di Astarte prima
di salire al trono assassinando il re. — Contro Apione, I, 123 (18).
Acab si fece trascinare nell’adorazione di Baal dalla moglie pagana Izebel, costruì un tempio a Baal ed
eresse un palo sacro in onore di Astoret (Astarte). (1Re 16:30-33) In poco tempo c’erano 450 profeti di
Baal e 400 profeti del palo sacro, che mangiavano tutti alla tavola reale di Izebel. (1Re 18:19) I veri profeti
di Geova furono passati a fil di spada e solo grazie all’intervento di un uomo di fede, Abdia, economo
della casa di Acab, ne rimasero in vita 100, da lui nascosti in caverne dove vissero di pane e acqua. —
1Re 18:3, 4, 13; 19:10.
Per essersi volto all’adorazione di Baal, Acab fu informato da Elia della venuta di una grave siccità che,
secondo Luca 4:25 e Giacomo 5:17, durò tre anni e sei mesi. (1Re 17:1; 18:1) Avrebbe ricominciato a
piovere solo alla parola di Elia e, benché Acab lo facesse cercare in tutte le nazioni e i regni circostanti,
Elia rimase introvabile fino al tempo stabilito. (1Re 17:8, 9; 18:2, 10) Acab cercò di dare a Elia la colpa
della siccità e della carestia, accusa che Elia respinse indicando che la vera causa era l’adorazione di
Baal patrocinata da Acab. Una prova sostenuta in cima al monte Carmelo dimostrò l’inesistenza di Baal e
confermò che Geova è il vero Dio; i profeti di Baal furono uccisi per comando di Elia e poco dopo una
pioggia torrenziale pose fine alla siccità. (1Re 18:17-46) Acab tornò a Izreel dalla moglie e la informò
delle azioni di Elia contro il baalismo. Izebel reagì con gravi minacce rivolte a Elia, che fuggì sul monte
Horeb. — 1Re 19:1-8.
Opere edili a Samaria; vittorie sulla Siria. Si ritiene che i lavori fatti eseguire da Acab includessero il
completamento delle fortificazioni della città di Samaria, che secondo le scoperte archeologiche
consistevano di tre mura straordinariamente forti, opera di esperti costruttori. Gli scavi hanno rivelato i
resti di un palazzo a pianta rettangolare che misurava circa 90 m per 180, con muri perimetrali di ottime
pietre squadrate. Sono stati trovati numerosi pannelli d’avorio per decorare arredi e pareti, forse
appartenuti alla “casa d’avorio” di Acab menzionata in 1 Re 22:39. — ILLUSTRAZIONE, vol. 1, ⇒it-1 ⇐p.
948; cfr. anche Am 3:15; 6:4.
La ricchezza di Samaria e la forza dovuta alla sua posizione furono presto messe alla prova dall’assedio
posto contro la città dal siro Ben-Adad II alla testa di una coalizione di 32 re. Dopo aver ceduto in un
primo tempo alle richieste dell’aggressore, Acab rifiutò poi di acconsentire volontariamente al saccheggio
del suo palazzo. I negoziati di pace fallirono e, per comando divino, Acab con uno stratagemma colse il
nemico di sorpresa facendone strage, mentre Ben-Adad si dava alla fuga. — 1Re 20:1-21.
Convinto che Geova fosse solo un “Dio dei monti”, Ben-Adad tornò l’anno dopo con uguali forze militari,
ma si schierò per il combattimento sull’altopiano nei pressi di Afec, nel territorio di Manasse, invece di
avanzare nella regione montuosa di Samaria. (Vedi AFEC n. 5). Le forze israelite avanzarono verso il
campo di battaglia, ma sembravano “due sparuti greggi di capre” in confronto al grande accampamento
siro. Rassicurate dalla promessa di Geova che la sua potenza non dipendeva dalla posizione geografica,
le forze di Acab sbaragliarono il nemico. (1Re 20:26-30) Tuttavia, proprio come Saul risparmiò
l’amalechita Agag, così Acab lasciò in vita Ben-Adad e concluse con lui un patto secondo il quale le città
conquistate sarebbero state restituite a Israele e alcune vie di Damasco sarebbero state cedute ad Acab,
evidentemente per stabilirvi bazar o mercati che avrebbero promosso gli interessi commerciali di Acab
nella capitale sira. (1Re 20:31-34) Come Saul, Acab fu condannato da Geova per questo, e una futura
calamità fu predetta per lui e per il suo popolo. — 1Re 20:35-43.
Assassinio di Nabot e conseguenze. Durante il successivo triennio di pace, Acab si interessò
dell’acquisto della vigna di Nabot a Izreel, pezzo di terra che desiderava molto perché confinante coi
terreni del suo palazzo residenziale. Quando Nabot respinse la richiesta a motivo della legge di Dio
sull’inviolabilità dei possedimenti ereditari, Acab stizzito si ritirò in casa e si sdraiò sul divano con la faccia
rivolta verso la parete, rifiutando di mangiare. Appresa la causa del suo abbattimento, la pagana Izebel,
mediante lettere scritte in nome di Acab, ordinò l’assassinio di Nabot mascherandolo con un processo per
bestemmia. Quando Acab andò a prendere possesso dell’ambìto pezzo di terra, gli venne incontro Elia,
che lo denunciò severamente come un assassino e uno che si era venduto per commettere empietà
cedendo ai costanti incitamenti della moglie pagana. Come i cani avevano leccato il sangue di Nabot così
i cani avrebbero leccato il sangue di Acab; la stessa Izebel e i discendenti di Acab sarebbero finiti in
pasto ai cani e agli uccelli da preda. Queste parole ebbero il loro effetto e, costernato, Acab digiunò
vestito di sacco, ora mettendosi a sedere ora camminando avanti e indietro per lo sconforto. Per questo
gli fu accordata una certa misericordia e fu rinviata la calamità che si sarebbe abbattuta sulla sua casa.
— 1Re 21:1-29.
Le relazioni di Acab con il regno di Giuda a S furono rafforzate mediante un’alleanza matrimoniale per cui
Atalia figlia di Acab sposò Ieoram figlio del re Giosafat. (1Re 22:44; 2Re 8:18, 26; 2Cr 18:1) Durante una
visita amichevole di Giosafat a Samaria, Acab lo indusse a sostenerlo nel tentativo di riconquistare
Ramot-Galaad dai siri, che evidentemente non avevano rispettato del tutto i termini del patto stipulato da
Ben-Adad. Mentre un gruppo di falsi profeti assicurava in coro il successo dell’impresa, per l’insistenza di
Giosafat fu chiamato il profeta Micaia, odiato da Acab, che predisse invece calamità certa. Ordinato
l’arresto di Micaia, Acab si ostinò a sferrare l’attacco, pur prendendo la precauzione di travestirsi, ma fu
colpito per caso da una freccia e morì dissanguato. Il suo corpo fu trasportato a Samaria per essere
sepolto e mentre “lavavano il carro da guerra presso la piscina di Samaria, . . . i cani leccavano il suo
sangue”. Dagli scavi effettuati a Samaria è emerso un grande bacino artificiale all’estremità NO dello
spazioso cortile del palazzo, e forse fu lì che si adempì la profezia. — 1Re 22:1-38.
Iscrizioni moabite e assire. Vi si fa menzione della ricostruzione di Gerico durante il regno di Acab,
forse come parte del programma inteso a rafforzare la dominazione di Israele su Moab. (1Re 16:34; cfr.
2Cr 28:15). La Stele di Mesa re di Moab (o Stele moabita) parla della dominazione del re Omri e di suo
figlio su Moab.
Iscrizioni assire che descrivono la battaglia combattuta fra Salmaneser III e una coalizione di 12 re a
Qarqar includono tra i facenti parte della coalizione il nome di A-ha-ab-bu. Questo è generalmente
considerato da quasi tutti gli studiosi un riferimento al re Acab di Israele; ma per le prove indicanti che
tale identificazione è discutibile, vedi la voce SALMANESER n. 1.

w97 1/8 13-14 Serviamo lealmente con l'organizzazione di Geova


La lealtà resiste alla persecuzione
18 A volte Satana attacca la nostra lealtà in modo diretto. Prendete il caso di Nabot. Quando il re Acab
insisteva perché gli vendesse la sua vigna, Nabot rispose: “È impensabile da parte mia, dal punto di vista
di Geova, darti il possedimento ereditario dei miei antenati”. (1 Re 21:3) Nabot non era cocciuto: era
leale. La Legge mosaica stabiliva che nessun israelita poteva vendere in perpetuo il suo possedimento
terriero ereditario. (Levitico 25:23-28) Di sicuro Nabot si rendeva conto che quel re malvagio avrebbe
potuto ucciderlo, perché Acab aveva già permesso alla moglie Izebel di uccidere molti profeti di Geova!
Ciò nonostante Nabot rimase saldo. — 1 Re 18:4.
19 A volte la lealtà ha un prezzo. Con l’aiuto di alcuni “uomini buoni a nulla”, Izebel fece incolpare Nabot di
un reato che non aveva commesso. Di conseguenza lui e i suoi figli vennero messi a morte. (1 Re 21:7-
16; 2 Re 9:26) Significa questo che Nabot aveva sbagliato a essere leale? No! Nabot è fra i numerosi
uomini e donne leali che ora ‘vivono’ nella memoria di Geova, riposando al sicuro nella tomba in attesa
del tempo della risurrezione. — Luca 20:38; Atti 24:15.
20 La stessa promessa rassicura gli odierni leali di Geova. Sappiamo che in questo mondo la lealtà può
costarci cara. Gesù Cristo pagò la sua lealtà con la vita e disse ai suoi seguaci di non aspettarsi un
trattamento migliore. (Giovanni 15:20) Come Gesù fu sostenuto dalla sua speranza per il futuro, così lo
siamo noi dalla nostra. (Ebrei 12:2) Possiamo quindi rimanere leali di fronte a ogni genere di
persecuzione.
21 È vero che oggi relativamente pochi di noi subiscono attacchi così diretti alla propria lealtà. Ma i
servitori di Dio potrebbero benissimo andare incontro a ulteriore persecuzione prima che venga la fine.
Come possiamo essere certi di rimanere leali? Essendo leali ora. Geova ci ha affidato un grande incarico:
predicare e insegnare il suo Regno. Impegniamoci lealmente in quest’opera d’importanza vitale. (1 Corinti
15:58) Se non lasciamo che le imperfezioni umane minino la nostra lealtà all’organizzazione di Geova e
se ci guardiamo da subdole forme di slealtà come la lealtà fuori posto, saremo meglio preparati qualora la
nostra lealtà venisse messa più seriamente alla prova. In ogni caso, possiamo avere la certezza che
Geova è incrollabilmente leale ai suoi leali servitori. (2 Samuele 22:26) Sì, egli custodisce i suoi leali! —
Salmo 97:10.
[Note in calce]
Gesù ebbe il coraggio di denunciare un’attività commerciale molto redditizia. Secondo uno storico, la
tassa del tempio doveva essere pagata con una particolare moneta ebraica. Così per pagare la tassa
molti visitatori del tempio dovevano cambiare i soldi. I cambiamonete erano autorizzati a riscuotere una
commissione fissa sul cambio, traendone ingenti guadagni.
Vedi Svegliatevi! del 22 dicembre 1993 e dell’8 e del 22 gennaio 1994.
La loro confraternita discendeva da quella dei hasidim, un gruppo nato secoli prima per contrastare
l’influenza greca. I hasidim prendevano nome dalla parola ebraica chasidhìm, che significa “leali” o “pii”.
Forse credevano che le scritture che menzionavano i “leali” di Geova si applicassero in modo particolare
a loro. (Salmo 50:5) Come i farisei dopo di loro, erano fanatici autoproclamatisi difensori della lettera della
Legge.
W69 P. 5-8
Acan — Tema: Chi deruba Dio va incontro a tragiche conseguenze 1°CORINTI 6:10;
MALACHIA 3:8-10

it-1 44-5 Acan


ACAN
(Àcan) [affine per un gioco di parole ad Acar, che significa “uno che dà l’ostracismo (che causa
afflizione)”].
1. Figlio di Carmi della casa di Zabdi della famiglia di Zera della tribù di Giuda; chiamato anche Acar. —
1Cr 2:7.
Quando gli israeliti ebbero attraversato il Giordano, Geova diede questo esplicito comando circa le
primizie della conquista, la città di Gerico: “Deve divenire una cosa votata alla distruzione; . . . essa
appartiene a Geova”. L’argento e l’oro dovevano andare nel tesoro di Geova. (Gsè 6:17, 19) Acan
tuttavia, avendo trovato una costosa veste di Sinar, una verga d’oro di 50 sicli (del valore di ca. 9.000.000
di lire) e 200 sicli d’argento (685.000 lire), segretamente li seppellì sotto la sua tenda. (Gsè 7:21) In effetti
aveva derubato Dio. Per questa violazione delle esplicite istruzioni di Geova, quando venne attaccata la
successiva città, Ai, Geova negò la sua benedizione e Israele venne messo in fuga. Chi era il colpevole?
Nessuno confessò. Tutto Israele fu portato in giudizio. Tribù per tribù, poi famiglia per famiglia della tribù
di Giuda, e infine uomo per uomo della casa di Zabdi, passarono tutti davanti a Geova finché “fu
designato” Acan. (Gsè 7:4-18) Solo allora egli ammise il suo peccato. La condanna fu prontamente
eseguita. Acan, la sua famiglia (che difficilmente ignorava quello che aveva fatto) e il suo bestiame furono
prima lapidati e poi dati alle fiamme, insieme a tutti i suoi possedimenti, nella valle di Acor, che significa
“ostracismo; afflizione”. — Gsè 7:19-26.

w79 15/8 9-12 Acan, un uomo che mise in difficoltà l'intera nazione
Acan, un uomo che mise in difficoltà l’intera nazione
GEOVA DIO desidera sempre dare cose buone al suo popolo. (Luca 11:13; Giac. 1:17) Ma a volte deve
disciplinarlo in modi che non recano gioia né a lui né a loro. (Ebr. 12:11) Gli dispiace, e se ci fosse
qualche altro modo per migliorare un individuo o una nazione, egli si servirebbe di quel modo. (Gen. 6:6;
Isa. 63:10) In ogni caso, comunque, i risultati dimostrano che ha compiuto l’azione giusta.
Un caso pertinente è quello in cui disciplinò la nazione d’Israele in relazione ad Acan della tribù di Giuda.
Acan faceva parte dell’esercito israelita che combatteva al comando di Giosuè per il possesso della Terra
Promessa. Allora essa era occupata dai cananei, dagli amorrei e da altri popoli ostili a Geova e alla sua
adorazione. Queste nazioni praticavano forme di adorazione idolatriche e avevano pratiche immorali. Dio
aveva comandato a Israele di cacciarle dal paese. — Lev. 18:24, 28.
Dio aveva compiuto miracoli facendo attraversare a Israele il Mar Rosso al comando di Mosè, dando da
mangiare al popolo e impedendo che i loro abiti si consumassero durante i 40 anni che avevano trascorsi
nel deserto. Aveva combattuto per loro, sconfiggendone i nemici. (Eso. 14:21-28; Deut. 8:3-5; 29:5) La
notizia di questi fatti suscitò uno spirito di abbattimento e il timore di Geova cadde su tutte le città di
Canaan. — Gios. 2:8-11; 5:1.
Avevano attraversato il Giordano ed erano stati oggetto delle meravigliose cure di Geova che li aveva
guidati alla conquista di Gerico. Lì Geova l’Iddio degli eserciti aveva miracolosamente fatto cadere di
piatto le mura di Gerico. Non era perito un solo soldato israelita. — Gios. 6:20, 21.
Secondo il comando di Dio, Gerico, come primizia di Canaan, doveva essere interamente votata a
Geova; tutto ciò che era in essa doveva essere distrutto e bruciato col fuoco. Gli oggetti metallici — di
oro, argento, rame e ferro — dopo l’incendio, dovevano essere consegnati al tesoro del tabernacolo di
Dio. (Gios. 6:17-19, 24) Secondo il patto che Dio aveva stipulato con Israele, ogni cosa “votata” era sotto
un’interdizione o sotto una maledizione. Chi avesse preso una cosa interdetta sarebbe stato “votato” o
maledetto come quella cosa, votato alla distruzione. — Deut. 7:25, 26.
SCONFITTI AD AI
La città di Ai si trovava sul cammino degli eserciti d’Israele. Ma lì ci fu un’umiliante sconfitta. Il racconto
biblico dice perché: “I figli d’Israele commisero un atto d’infedeltà rispetto alla cosa votata alla distruzione
in quanto Acan figlio di Carmi, figlio di Zabdi, figlio di Zera, della tribù di Giuda, prese parte della cosa
votata alla distruzione. A ciò l’ira di Geova si accese contro i figli d’Israele”. — Gios. 7:1.
Ai era più piccola di Gerico, quindi le spie mandate da Giosuè raccomandarono: “Non salga tutto il
popolo. Salgano circa duemila uomini o circa tremila uomini e colpiscano Ai. Non affaticare tutto il popolo
facendolo andare là, poiché sono pochi”. — Gios. 7:2, 3.
Il racconto biblico prosegue: “Vi salirono dunque circa tremila uomini del popolo, ma si diedero alla fuga
dinanzi agli uomini di Ai. E gli uomini di Ai abbatterono d’essi circa trentasei uomini, e li inseguirono
d’innanzi alla porta fino a Sebarim [cave di pietra] e continuarono ad abbatterli per la discesa. Di
conseguenza il cuore del popolo si struggeva e diveniva come acqua”. — Gios. 7:4, 5.
Cos’era andato storto? Geova li aveva forse abbandonati? La cosa più grave non era tanto la perdita di
36 soldati, poiché in qualsiasi battaglia di solito c’erano almeno alcune vittime. La vera calamità era che
Israele, l’esercito di Geova, era fuggito sconfitto davanti al nemico. — Gios. 7:8.
GIOSUÈ SUPPLICA GEOVA
Perciò Giosuè era in grande angustia. Egli “si strappò i mantelli e cadde con la faccia a terra dinanzi
all’arca di Geova fino alla sera, egli e gli anziani d’Israele, e si mettevano polvere sulla testa”. (Gios. 7:6)
Questi uomini eminenti della nazione provavano grande dolore e temevano che, per qualche ragione, Dio
si fosse dispiaciuto; non solo fecero cordoglio, ma fecero anche penitenza dinanzi a Dio, fortemente
convinti che qualche peccato lo avesse indotto a ritirare il suo appoggio. Il fatto che rimasero lì fino a sera
rivelò la loro profonda preoccupazione e il timore che Dio fosse adirato. Non diedero la colpa al
suggerimento delle spie né accusarono i soldati di codardia, ma si rivolsero a Dio per scoprire la causa e
perché mostrasse loro ciò che dovevano fare per riconquistare il suo favore.
Giosuè disse a Dio: “Ohimè, Signore Geova, perché hai fatto passare a questo popolo il Giordano,
proprio per darci nelle mani degli Amorrei perché ci distruggano? E avessimo noi assunto l’impegno di
continuare a dimorare dall’altra parte del Giordano! Scusami, o Geova, ma che cosa posso dire dopo che
Israele ha voltato il dorso dinanzi ai suoi nemici? E i Cananei e tutti gli abitanti del paese lo udranno, e
per certo ci circonderanno e stroncheranno il nostro nome dalla terra; e che cosa farai tu per il tuo grande
nome?” — Gios. 7:7-9.
Non si può giustamente accusare Giosuè d’essersi lamentato di Geova in questa occasione. Come fanno
notare i commentatori biblici Keil e Delitzsch, Giosuè usava semplicemente il coraggioso linguaggio della
fede pregando Dio con fervore — fede che non riusciva a comprendere le vie del Signore — e rivolgendo
al Signore l’urgentissimo appello di portare a termine la Sua opera nello stesso glorioso modo in cui
l’aveva cominciata. (Confronta Genesi 18:23-26). Forse Giosuè pensò che il desiderio del popolo prima di
entrare in Canaan fosse misto a egoismo, e non fosse un desiderio del tutto sincero di fare la volontà di
Dio. Si augurava che Israele tornasse in buoni rapporti con Dio come lo era stato dall’altra parte del
Giordano.
Vediamo che Giosuè aprì il suo cuore ed espresse senza riserve i suoi sentimenti, come si deve fare in
preghiera. (Confronta Ebrei 10:19-22). Quindi, comprendendo che quanto stava per dire poteva suonare
come un rimprovero a Geova, come se Dio avesse dimenticato il Suo proprio onore, Giosuè chiese a Dio
come Egli stesso poteva ora sostenere il Suo “grande nome” davanti al mondo. Il nome di Geova era
legato alla nazione israelita, e, per Giosuè, l’onta che la notizia della sconfitta d’Israele avrebbe recato sul
nome di Geova era la parte più dolorosa dell’intera questione. — Confronta le parole di intercessione di
Mosè a favore d’Israele dopo che il popolo aveva commesso un grave peccato. — Eso. 32:11-14.
DIO RIVELA LA CAUSA DELLA SUA IRA
Dio rispose a Giosuè: “Levati! Perché cadi sulla tua faccia?” Era come dire: ‘Sei rimasto a giacere
abbastanza a lungo. Devi capire che io non sono cambiato. È tempo di scoprire la causa della difficoltà,
cioè il peccato del popolo’. Dio disse quindi chiaramente: “Israele ha peccato, e hanno anche trasgredito
il mio patto che ho imposto loro come comando; e hanno pure preso parte della cosa votata alla
distruzione e hanno pure rubato e l’han pure tenuta segreta e l’hanno pure messa fra i loro propri oggetti”.
— Gios. 7:10, 11.
Israele aveva (1) infranto il patto disubbidendo ai comandi di Dio (Eso. 24:7, 8), (2) preso una cosa
proibita, (3) rubato ciò che in effetti apparteneva a Dio, (4) tenuto nascosto il fatto, come se Geova non
vedesse (probabilmente Giosuè aveva chiesto a tutto il popolo, dopo la caduta di Gerico, se avevano
ubbidito votando ogni cosa alla distruzione ma, se Giosuè l’aveva chiesto, Acan aveva tenuto nascosto il
suo peccato), (5) e messo gli oggetti proibiti fra le loro cose, come se appartenessero loro, rendendosi
così una cosa detestabile come ciò che avevano preso. — Gios. 6:18, 19.
Dato che il colpevole o i colpevoli non si erano fatti avanti per confessare il proprio peccato, bisognava
smascherarli. Anche allora, Geova fece sì che Giosuè scoprisse il trasgressore in modo progressivo,
dando a questi l’opportunità di attenuare fino a un certo punto la sua colpa con una confessione
volontaria. Dio, naturalmente, avrebbe potuto indicare subito il nome del trasgressore. Ma fece chiamare
il popolo da Giosuè, tribù per tribù, famiglia per famiglia, casa per casa e uomo per uomo. Si fece questo
tirando a sorte, sotto la direttiva di Geova. — Gios. 7:14; Prov. 16:33.
Qualcuno può chiedere: Perché Dio si adirò con la nazione a causa di quello che fece un uomo? Gli
eruditi biblici riconoscono che si trattò di un peccato della comunità dinanzi a Dio. Gli israeliti come
nazione avevano su di sé il nome di Dio. Ciò che essi facevano rappresentava il loro Dio e le sue vie, agli
occhi delle altre nazioni. Un atto di avidità, di furto e di menzogna da parte di un uomo si ripercuoteva
sulla reputazione dell’intera nazione, e perciò sul nome dell’Iddio che servivano. — Deut. 21:1-9.
IL PECCATO DI UN MEMBRO METTE IN PERICOLO L’INTERO CORPO
Inoltre tale peccato, se non fosse stato corretto, avrebbe contagiato tutto il popolo. La nazione avrebbe
finito per combattere le battaglie non per sostenere il nome di Dio e la vera adorazione, ma per pura
conquista egoistica. L’apostolo Paolo mostrò che permettere o condonare un grave peccato è una cosa
insidiosa e pericolosa quando scrisse alla congregazione cristiana di Gerusalemme di badare che “non
spunti nessuna radice velenosa e non causi difficoltà e affinché molti non ne siano contaminati; affinché
non vi sia fornicatore né alcuno che non apprezzi le cose sacre, come Esaù, che in cambio di un pasto
cedette i suoi diritti di primogenito”. — Ebr. 12:15, 16; confronta I Corinti 5:6, 7, 13.
Quando la sorte cadde direttamente su Acan, Giosuè fu gentile, pur sapendo che Acan era colpevole.
Disse ad Acan: “Figlio mio, ti prego, rendi gloria a Geova l’Iddio d’Israele e fagli confessione, e
dichiarami, ti prego, che cosa hai fatto? Non me lo occultare”. (Gios. 7:19) Allora Acan ‘rese gloria a Dio’
in quanto riconobbe che Geova Dio aveva diretto correttamente la sorte e che era giustamente adirato
con lui. Acan aveva “commesso una vergognosa follia in Israele”, un delitto che recava grande disonore
su Dio poiché arrecava onta a Israele che allora rappresentava Dio sulla terra. — Gios. 7:15.
RIMOSSA LA COLPA DALLA NAZIONE
Per dimostrare a tutto Israele la causa della loro sconfitta ad Ai, e per dare la prova che Acan era il
colpevole, Giosuè mandò a prendere dalla tenda di Acan gli oggetti rubati e li mostrò al popolo. (Gios.
7:22, 23) In base al comando di Dio, Acan doveva esser messo a morte. Anche la sua famiglia, la sua
tenda e i suoi averi dovettero essere bruciati, per togliere da Israele questo elemento contaminato e
simile a lievito, poiché anche la menzione del nome di Acan sarebbe stata un abominio. Il racconto dice
che, messo a morte Acan con la lapidazione e poi bruciato, fu eretto sopra le sue ceneri un grosso
mucchio di pietre e il luogo fu chiamato Acor (ostracismo, difficoltà) a rammentare la calamità che egli
aveva attirata su Israele. — Gios. 7:24-26.
Alcuni possono pensare che l’esecuzione della famiglia di Acan e la distruzione dei suoi beni siano state
ingiuste. Ma considerate il biasimo e i guai causati da questo avido desiderio di Acan. Non solo, ma 36
uomini avevano perso la vita. Inoltre, era difficile che la famiglia di Acan ignorasse il fatto che le cose
maledette e rubate erano sepolte in terra sotto la tenda di Acan. — Gios. 7:21.
Giosuè agì giustamente e questo è indicato dal fatto che successivamente Geova recò la sconfitta di Ai. Il
giudizio di Geova fu una benedizione e una protezione per Israele che proseguì nella conquista del
paese, sconfiggendo un re dopo l’altro, per sei anni. Non c’è nulla a indicare che qualcuno commettesse
un’altra azione simile a quella di Acan. Anche in seguito, al tempo dei giudici, quando fu commesso un
grave peccato, la nazione mostrò grande zelo nel discolparsi dinanzi a Dio eliminando la malvagità,
anche a costo di molte vite. — Giud., cap. 20.

w93 1/8 11 Evitate il laccio dell'avidità


Geova ci avverte del pericolo
3 Basilarmente l’avidità è lo smodato e ardente desiderio di avere di più, si tratti di denaro, beni, potere,
sesso o altro. Non siamo i primi a correre il rischio di cadere nel laccio dell’avidità. Molto tempo fa, nel
giardino di Eden, prima Eva e poi Adamo caddero in questo laccio. Il compagno di Eva, che aveva una
maggiore esperienza di vita rispetto a lei, aveva ricevuto istruzioni direttamente da Geova. Dio aveva
dato loro una dimora paradisiaca. Avevano una grande varietà di buoni cibi prodotti da una terra non
inquinata. Potevano aspettarsi di avere figli perfetti, con cui vivere e servire Dio in eterno. (Genesi 1:27-
31; 2:15) Non era abbastanza per soddisfare qualunque essere umano?
4 Eppure il fatto di avere abbastanza non impedisce di cadere nel laccio dell’avidità. Eva fu adescata
dalla prospettiva di diventare come Dio, avendo più indipendenza e stabilendo da sé le proprie norme.
Sembra che Adamo volesse continuare a godere a tutti i costi la compagnia della sua bella moglie. Se
perfino questi esseri umani perfetti caddero nel laccio dell’avidità, figuriamoci quale pericolo essa può
costituire per noi!
5 Dobbiamo guardarci dal laccio dell’avidità perché l’apostolo Paolo avverte: “Non sapete che gli ingiusti
non erediteranno il regno di Dio? Non siate sviati. Né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né uomini tenuti
per scopi non naturali, né uomini che giacciono con uomini, né ladri, né avidi . . . erediteranno il regno di
Dio”. (1 Corinti 6:9, 10) Paolo disse pure: “La fornicazione e l’impurità di ogni sorta o l’avidità non siano
neppure menzionate fra voi”. (Efesini 5:3) Perciò non si deve fare dell’avidità neppure argomento di
conversazione allo scopo di gratificare la carne imperfetta.
6 Geova ha fatto mettere per iscritto molti esempi ammonitori circa il pericolo dell’avidità. Ricordate
l’avidità di Acan. Dio disse che Gerico doveva essere distrutta, mentre l’oro, l’argento, il rame e il ferro
che vi si trovavano sarebbero dovuti andare nel Suo tesoro. Forse all’inizio Acan aveva intenzione di
seguire quest’ordine, ma poi cedette all’avidità. Una volta a Gerico, fu come se stesse andando in giro a
far spese: vide delle fantastiche occasioni, fra cui una bellissima veste che sembrava fatta apposta per
lui. Forse, mentre si impossessava di oro e argento per un valore di milioni di lire, avrà pensato: ‘Quanta
roba! Come si fa a non approfittarne?’ Infatti ne approfittò! Bramando ciò che doveva essere distrutto o
consegnato, Acan derubò Dio, e questo gli costò la vita. (Giosuè 6:17-19; 7:20-26) Considerate anche gli
esempi di Gheazi e di Giuda Iscariota. — 2 Re 5:8-27; Giovanni 6:64; 12:2-6.
7 Non dovremmo trascurare il fatto che i tre summenzionati individui non erano pagani che ignoravano le
norme di Geova. Godevano di una relazione dedicata con Dio. Erano stati tutti testimoni di miracoli che
avrebbero dovuto far capire loro la potenza di Dio e l’importanza di conservare il suo favore. Nondimeno il
laccio dell’avidità fu la loro rovina. Anche noi possiamo rovinare la nostra relazione con Dio se ci lasciamo
adescare da qualunque forma di avidità. Quali tipi o forme di avidità possono essere particolarmente
pericolose per noi?
Il re Acaz — Tema: L’idolatria fa incorrere nel disfavore divino ESODO 20:4, 5 ; 1°CORINTI 10:14

it-1 45-6 Acaz


ACAZ
(Àcaz) [forma abbreviata di Ioacaz, che significa “Geova afferri; Geova ha afferrato”].
1. Figlio di Iotam re di Giuda. Acaz salì al trono a 20 anni e regnò per 16 anni. — 2Re 16:2; 2Cr 28:1.
Dato che Ezechia figlio di Acaz aveva 25 anni quando cominciò a regnare, Acaz non doveva avere
ancora 12 anni quando lo generò. (2Re 18:1, 2) Mentre nei climi temperati i maschi di solito raggiungono
la pubertà fra i 12 e i 15 anni, nei climi più caldi possono raggiungerla prima. Anche le usanze
matrimoniali variano. Un periodico (Zeitschrift für Semitistik und verwandte Gebiete, a cura di E. Littmann,
Lipsia, 1927, vol. 5, p. 132) riferiva che il matrimonio di bambini era frequente nella Terra Promessa
anche in epoca relativamente recente, e citava il caso di due fratelli di 8 e 12 anni che erano sposati e il
maggiore andava a scuola con la moglie. Tuttavia, un manoscritto ebraico, la Pescitta siriaca e alcuni
manoscritti della Settanta greca in 2 Cronache 28:1 dicono che Acaz aveva “venticinque anni” all’inizio
del suo regno.
Qualunque fosse la sua età esatta, Acaz morì relativamente giovane e lasciò un pessimo ricordo di sé.
Nonostante il fatto che Isaia, Osea e Michea profetizzassero attivamente in quel tempo, una sfacciata
idolatria contrassegnò il suo regno. Non solo Acaz la permise fra i suoi sudditi, ma egli stesso compì
regolarmente sacrifici pagani, al punto di sacrificare il proprio figlio (o figli) nel fuoco nella valle di Innom.
(2Re 16:3, 4; 2Cr 28:3, 4) A causa della falsa adorazione il regno di Acaz fu irto di difficoltà. La Siria e il
regno settentrionale d’Israele si unirono per attaccare Giuda da N, gli edomiti colsero l’opportunità per
aggredirlo da SE e i filistei lo invasero da O. Giuda perse l’importante porto di Elat sul golfo di `Aqaba.
Zicri, potente efraimita, uccise un figlio del re Acaz e due dei suoi uomini principali durante l’incursione
del regno settentrionale nel territorio di Giuda, in cui 120.000 giudei furono massacrati e circa 200.000
presi prigionieri. Solo grazie all’intervento del profeta Oded, col sostegno di certi uomini preminenti di
Efraim, i prigionieri furono rilasciati e fecero ritorno in Giuda. — 2Cr 28:5-15, 17-19; 2Re 16:5, 6; Isa 7:1.
Il ‘tremante cuore’ di Acaz avrebbe dovuto essere rafforzato dal messaggio di Dio, pronunciato dal
profeta Isaia per assicurargli che Geova non avrebbe permesso a siri e israeliti di unirsi per distruggere
Giuda e mettere sul trono un uomo non di stirpe davidica. Ma quando fu invitato a chiedere un segno da
Dio, l’idolatra Acaz rispose: “Non chiederò, né metterò Geova alla prova”. (Isa 7:2-12) Comunque fu
predetto che, come segno, una fanciulla avrebbe avuto un figlio, Emmanuele (che significa “con noi è
Dio”), e che prima che il bambino fosse cresciuto la lega siro-israelita non avrebbe più costituito una
minaccia per Giuda. — Isa 7:13-17; 8:5-8.
In quanto ai “sessantacinque anni” di Isaia 7:8, cioè il periodo in cui Efraim sarebbe stato “frantumato”, un
commentario biblico afferma: “Una prima deportazione d’Israele avvenne nel giro di un anno o due da
questo momento [in cui fu pronunciata la profezia di Isaia], sotto Tiglat-Pileser (2 Re 15. 29). Una
seconda durante il regno di Oshea, sotto Salmaneser (2 Re 17. 1-6), circa vent’anni dopo. Ma la
deportazione finale che diede il ‘colpo di grazia’ a Israele così che non fosse più ‘un popolo’,
accompagnata dall’insediamento di stranieri in Samaria, avvenne sotto Esar-Addon, che deportò anche
Manasse, re di Giuda, nel ventiduesimo anno del suo regno, sessantacinque anni dopo che era stata
pronunciata questa profezia (cfr. Esdra 4.2, 3, 10 con 2 Re 17.24; 2 Cronache 33.11)”. — Jamieson,
Fausset e Brown, Commentary on the Whole Bible.
Vassallaggio all’Assiria e morte. Invece di riporre fede in Geova, per timore della congiura siro-israelita
Acaz preferì l’imprevidente politica di corrompere Tiglat-Pileser III re d’Assiria perché venisse in suo
aiuto. (Isa 7:2-6; 8:12) Qualunque sia stato il sollievo che l’ambizioso re assiro abbia dato ad Acaz
abbattendo Siria e Israele, fu solo temporaneo. Alla fine ciò “gli causò angustia, e non lo rafforzò” (2Cr
28:20), anzi per colpa sua Giuda finì sotto il pesante giogo dell’Assiria.
Come re vassallo, Acaz fu evidentemente convocato a Damasco per rendere omaggio a Tiglat-Pileser III
e, mentre era in quella città, vi ammirò l’altare pagano, ne copiò il disegno e incaricò il sacerdote Urija di
farne una riproduzione da collocare davanti al tempio di Gerusalemme. Acaz osò poi offrire sacrifici su
questo “grande altare”, mentre l’altare originale di rame fu messo da parte in attesa che il re decidesse
cosa farne. (2Re 16:10-16) Nel frattempo fece a pezzi gran parte degli utensili di rame del tempio e
apportò altri cambiamenti nell’area del tempio, tutto “a causa del re d’Assiria”, forse per pagare il pesante
tributo imposto a Giuda o magari per nascondere parte delle ricchezze del tempio agli avidi occhi
dell’assiro. Le porte del tempio furono chiuse e Acaz “si fece altari in ogni angolo di Gerusalemme”. —
2Re 16:17, 18; 2Cr 28:23-25.
Dopo 16 anni di malgoverno e sfacciata apostasia Acaz morì e, pur essendo stato sepolto come i suoi
antenati “nella Città di Davide” (2Re 16:20), il suo corpo non fu deposto nei luoghi di sepoltura dei re.
(2Cr 28:27) Il suo nome è menzionato nelle genealogie dei re. — 1Cr 3:13; Mt 1:9.
Il nome di Acaz compare in un’iscrizione di Tiglat-Pileser III come Yauhazi.
w76 1/9 542-3 Ninive, l'orgogliosa capitale assira
Come una tale prostituta, Ninive ingannava le nazioni con vuote promesse d’aiuto e benefici. Le sue
offerte d’amicizia erano allettanti ma traditrici. Quelli che venivano implicati con lei perdevano la propria
libertà e si trovavano in schiavitù. Questo è ben illustrato nel caso del re giudeo Acaz. Egli pagò il re
assiro Tiglat-Pileser (Tilgat-Pilneser) III perché venisse in suo aiuto e contrastasse la cospirazione della
Siria e di Israele per deporlo come re. (2 Re 16:5-9) Mentre Tiglat-Pileser distrusse in effetti la potenza
della Siria e di Israele, qualunque sollievo ciò recasse ad Acaz non fu che temporaneo. Del risultato finale
per Acaz, la Bibbia narra: “Venne contro di lui Tiglat-Pileser re di Assiria. Questi gli fu d’aggravio anziché
di vantaggio. Akhaz infatti dovette sottrarre parte dei beni del tempio di Jahve, della reggia e della casa
dei capi per consegnarla al re di Assiria. Ma non ricevette aiuti!” (2 Cron. 28:20, 21, mons. S. Garofalo)
Così invece di vero sollievo, Acaz recò su sé e sul suo popolo solo l’oppressivo giogo assiro.
Calcolati in base alla cronologia della Bibbia, lo “spargimento di sangue” e la “prostituzione” di Ninive
terminarono nel 632 a.E.V. In quel tempo la città cadde nelle mani delle forze alleate di Nabopolassar re
di Babilonia e di Ciassare il Medo. Come indicano i danni causati dal fuoco e dal fumo sui bassorilievi
trovati a Ninive, i conquistatori dovettero bruciare la città. Riguardo a Ninive, le Cronache Babilonesi
affermano: “Portarono via le grandi spoglie della città e del tempio e (fecero) della città un cumulo di
rovine”.
In maniera potente, la distruzione di Ninive rivendicò la profetica “parola di Dio”. Quella distruzione
dimostrò anche la verità che la mancanza di riguardo per le vie di Dio, compresi il sanguinario militarismo
e le alleanze ingannevoli, non può aver successo indefinitamente. Questo è qualche cosa a cui
dovremmo prestare seria attenzione. Sicuramente non vorremo esser delusi sostenendo o approvando
vie e sistemi che sono divinamente disapprovati. Pertanto, dovremmo accertarci di ciò che la Parola di
Dio, la Bibbia, insegna e confidare pienamente nel Suo promesso governo reale.

W68 P.495-496
Adamo — Tema: Perché dobbiamo mettere Dio al primo posto nella nostra vita MATTEO 6:33

it-1 60-2 Adamo


ADAMO
[uomo terreno, genere umano; da un termine che significa “rosso”].
La parola ebraica resa “uomo”, “genere umano” o “uomo terreno”, ricorre più di 560 volte nelle Scritture e
può applicarsi ai singoli individui o all’umanità in generale. È anche usata come nome proprio.
Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine”. (Ge 1:26) Che dichiarazione storica! E che posizione
unica nella storia quella di Adamo, il “figlio di Dio”, la prima creatura umana! (Lu 3:38) Adamo fu il
coronamento delle opere creative di Geova sulla terra, non solo perché comparve verso la fine delle sei
epoche creative, ma, cosa ancora più importante, perché “Dio creava l’uomo a sua immagine”. (Ge 1:27)
Perciò il perfetto uomo Adamo, e in grado molto minore la sua progenie imperfetta, possedevano
capacità e facoltà mentali molto superiori a quelle di tutte le altre creature terrestri.
In che senso Adamo fu creato a somiglianza di Dio?
Creato a somiglianza del suo grande Creatore, Adamo ebbe i divini attributi di amore, sapienza, giustizia
e potenza; aveva quindi un senso morale che implicava una coscienza, cosa del tutto nuova nel campo
della vita terrena. A immagine di Dio, Adamo doveva essere l’amministratore del globo e tenere
sottomesse le creature marine, terrestri e volatili.
Non era dunque necessario che Adamo fosse una creatura spirituale, del tutto o in parte, per possedere
qualità divine. Geova formò l’uomo dalle particelle di polvere della terra, mise in lui la forza vitale perché
divenisse un’anima vivente e gli diede la possibilità di riflettere l’immagine e la somiglianza del suo
Creatore. “Il primo uomo è dalla terra e fatto di polvere”. “Il primo uomo Adamo divenne anima vivente”.
(Ge 2:7; 1Co 15:45, 47) Ciò avvenne nel 4026 a.E.V., probabilmente in autunno, poiché secondo i più
antichi calendari umani l’anno iniziava in autunno, verso il 1° ottobre, o con la prima luna nuova del l’anno
civile lunare. — Vedi ANNO.
La dimora di Adamo era un bellissimo paradiso, un vero giardino di delizia chiamato Eden (vedi EDEN n.
1), che gli provvedeva tutte le cose necessarie per la vita fisica; infatti c’era “ogni albero desiderabile alla
vista e buono come cibo” per nutrirlo in perpetuo. (Ge 2:9) Adamo era circondato da animali pacifici di
ogni genere e specie, eppure era solo. Non c’era nessun’altra creatura ‘secondo la sua specie’ con cui
parlare. Geova riconobbe che ‘non era bene che l’uomo stesse solo’. Quindi con un’operazione
chirurgica, la prima e unica nel suo genere, Geova tolse una costola ad Adamo e ne fece l’equivalente
femminile perché fosse sua moglie e madre dei suoi figli. Traboccante di gioia alla vista di tale bella
aiutante e stabile compagna, Adamo l’accolse con la prima poesia che si ricordi: “Questa è finalmente
osso delle mie ossa e carne della mia carne”. Venne chiamata donna ‘perché fu tratta dall’uomo’. In
seguito Adamo chiamò sua moglie Eva. (Ge 2:18-23; 3:20) La veracità di questo racconto è attestata da
Gesù e dagli apostoli. — Mt 19:4-6; Mr 10:6-9; Ef 5:31; 1Tm 2:13.
Inoltre Geova benedisse i nuovi coniugi dando loro molto lavoro piacevole. (Cfr. Ec 3:13; 5:18). Non
ebbero la maledizione di essere costretti a oziare. Dovevano essere attivi e affaccendati nel coltivare la
loro dimora paradisiaca, e, mentre si sarebbero moltiplicati e avrebbero riempito la terra di miliardi di loro
simili, avrebbero dovuto estendere il Paradiso fino ai limiti della terra. Quello era il comando di Dio. — Ge
1:28.
“Dio vide poi tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono”. (Ge 1:31) Fin dall’inizio Adamo fu
veramente perfetto sotto ogni aspetto. Fu dotato della facoltà di parlare e di un ricco vocabolario. Fu in
grado di dare nomi significativi alle creature viventi che lo circondavano. Ed era capace di sostenere una
conversazione sia con Dio che con la moglie.
Per tutte queste ragioni e altre ancora, Adamo era tenuto ad amare e adorare il suo grande Creatore e a
ubbidirgli rigorosamente. Inoltre il Legislatore universale gli aveva spiegato la semplice legge
dell’ubbidienza e l’aveva pienamente informato della giusta e ragionevole pena per la disubbidienza: “In
quanto all’albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, poiché nel giorno in cui ne
mangerai positivamente morirai”. (Ge 2:16, 17; 3:2, 3) Nonostante questa legge esplicita e la relativa
severa pena per la disubbidienza, egli disubbidì.
Conseguenze del peccato. Eva fu completamente ingannata da Satana il Diavolo, ma “Adamo non fu
ingannato”, dice l’apostolo Paolo. (1Tm 2:14) Del tutto consapevole, Adamo decise volontariamente e
deliberatamente di disubbidire e poi, come un criminale, cercò di nascondersi. Portato in giudizio, invece
di manifestare dolore e rammarico o di chiedere perdono, Adamo cercò di giustificarsi e di far ricadere la
responsabilità su altri, dando persino a Geova la colpa del suo peccato volontario. “La donna che desti
perché fosse con me, essa mi ha dato del frutto dell’albero e così ho mangiato”. (Ge 3:7-12) Quindi
Adamo fu scacciato dall’Eden nella terra incolta, che venne maledetta onde producesse spine e triboli, e
dove egli avrebbe dovuto sudare per vivere, raccogliendo gli amari frutti del suo peccato. Fuori del
giardino, in attesa della morte, Adamo ebbe figli e figlie, solo di tre dei quali conosciamo il nome: Caino,
Abele e Set. A tutti i suoi figli Adamo trasmise un’eredità di peccato e morte, perché egli stesso era
peccatore. — Ge 3:23; 4:1, 2, 25.
Questo fu il tragico inizio che Adamo diede alla razza umana. Il Paradiso, la felicità e la vita eterna erano
perduti; al loro posto c’erano peccato, sofferenza e morte, frutto della disubbidienza. “Per mezzo di un
solo uomo il peccato entrò nel mondo e la morte per mezzo del peccato, e così la morte si estese a tutti
gli uomini perché tutti avevano peccato”. “La morte regnò da Adamo”. (Ro 5:12, 14) Ma Geova, nella sua
sapienza e nel suo amore, provvide un “secondo uomo”, “l’ultimo Adamo”, che è il Signore Gesù Cristo.
Grazie a questo ubbidiente “Figlio di Dio”, per i discendenti del disubbidiente “primo uomo Adamo” è stata
aperta la via che conduce al Paradiso e alla vita eterna, perfino alla vita celeste per la chiesa o
congregazione di Cristo. “Poiché come in Adamo tutti muoiono, così anche nel Cristo tutti saranno resi
viventi”. — Gv 3:16, 18; Ro 6:23; 1Co 15:22, 45, 47.
Dopo essere stato espulso dall’Eden il peccatore Adamo visse abbastanza da vedere l’assassinio di uno
dei suoi figli, l’esilio del figlio omicida, la violazione della disposizione matrimoniale e la profanazione del
sacro nome di Geova. Fu testimone della costruzione di una città, dello sviluppo di strumenti musicali e
della fabbricazione di arnesi di ferro e di rame. Osservò e fu condannato dall’esempio di Enoc, “il settimo
uomo nella discendenza da Adamo”, che “continuò a camminare con il vero Dio”. Visse fino alla nona
generazione, fino al tempo di Lamec padre di Noè. Infine, dopo 930 anni, la maggior parte dei quali
trascorsi nel lento processo che l’avrebbe portato alla morte, nel 3096 a.E.V. Adamo tornò alla terra da
cui era stato tratto, proprio come aveva detto Geova. — Ge 4:8-26; 5:5-24; Gda 14; vedi LAMEC n. 2.

w80 1/10 17-21 La speranza della creazione sta per realizzarsi


4 Oggi tutta la creazione umana è unita da una speranza data da Dio! Non solo la popolazione che vive
attualmente sulla terra, ma tutta la creazione umana fino ai diretti discendenti del primo uomo, Adamo.
Per merito del suo Creatore, questo primo uomo venne all’esistenza con un corpo e una mente
assolutamente perfetti. Fu posto in una dimora terrestre perfetta, il giardino di Eden, con tutto il
necessario per sostenere la vita umana perfetta nella felicità. Il suo Creatore, il suo Padre celeste,
divenne il suo compagno, che gli parlava regolarmente dal reame invisibile. Oltre a questo, con tutti gli
animali terrestri, gli uccelli e i pesci che c’erano nel giardino di Eden, Adamo aveva abbastanza per non
sentirsi solo. Ma perché il Padre celeste aveva messo Adamo in questo delizioso Paradiso? Per essere
un solitario giardiniere o guardaboschi? Per quanto tempo doveva vivere e godere tutto questo ben di Dio
provveduto dal suo Datore di vita?
5 Ad Adamo fu fatto capire che dipendeva tutto da lui! Avendo una memoria perfetta Adamo non poteva
dimenticare il consiglio datogli dal Padre celeste: “D’ogni albero del giardino puoi mangiare a sazietà. Ma
in quanto all’albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, poiché nel giorno in cui
ne mangerai positivamente morrai”. — Gen. 2:16, 17.
6 Quel comando divino dava ad Adamo l’opportunità di vivere per sempre, se tale fosse stata la volontà di
Dio per lui. Come indica in seguito il racconto, Adamo visse 930 anni, ma avrebbe potuto vivere
infinitamente più a lungo. Divenne responsabile del fatto che tutt’oggi si muore. Come dovremmo tutti
renderci conto, quel primo uomo sulla terra ebbe una progenie; altrimenti non saremmo qui. Ma ciò non
avvenne, come nel caso di certe piante, mediante il metodo non umano di riproduzione asessuata che gli
scienziati odierni chiamano clonazione. Piuttosto, come nel caso degli uccelli e degli animali terrestri, Dio
creò per Adamo una compagna, una moglie, prendendogli una costola dal fianco per dare inizio alla
creazione di lei. Unendo in matrimonio il primo uomo e la prima donna sulla terra, Dio diede loro la
speranza della vita senza fine sulla terra paradisiaca. Li benedisse e disse loro di riprodurre la propria
specie per riempire la terra, sulla quale si sarebbe esteso il paradiso. — Gen. 2:18-24; 1:26-28.
7 La prospettiva per tutto il genere umano era delle più rosee. Adamo ed Eva non si sarebbero mai
aspettati di vedere la loro progenie ‘gemere ed essere in pena’ a causa delle condizioni fisiche, morali e
sociali in cui ci troviamo oggi. La disubbidienza nel mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del
bene e del male poteva sembrare una cosa insignificante in se stessa, ma fu ciò che causò le condizioni
attuali. Mangiandone, prima Eva e poi Adamo peccarono e infransero la speranza che Dio aveva data
loro, tutto questo mentre erano ancora senza figli. Se Dio non fosse intervenuto in qualche modo, oggi
non avremmo alcuna speranza. In Eden entrò in scena anche un serpente, ma non diamo tutta la colpa a
quel rettile. La Bibbia piuttosto ci indica l’invisibile spirito che agiva dietro il serpente. Chi era? Un angelo
celeste, deciso ad allontanare Adamo ed Eva dal fare di Geova Dio la loro speranza.
8 Quell’intrigante ribelle, che parlò per mezzo del serpente, indusse con l’inganno Eva a cercare di essere
come Dio. Come tale, Eva si sarebbe creata la propria speranza. Fino a quel momento suo marito Adamo
era stato per lei il profeta di Dio. Adamo aveva agito come portavoce di Dio nel riferirle il comando divino
di non mangiare il frutto proibito. Ma quando volle diventare una dea mangiando il frutto proibito, divenne
la profetessa del serpente usando la sua bella voce per indurre Adamo a unirsi a lei nell’illegalità. Alla
fine, per ragioni errate agli occhi di Dio, Adamo ‘ascoltò la voce di sua moglie’, la falsa profetessa. (Gen.
3:17) Allora Geova Dio pronunciò una giusta condanna a morte per il suo infedele profeta, Adamo. Sua
moglie, Eva, ricevette la stessa condanna. Come se fossero già morti, furono scacciati dal giardino di
Eden, per vivere il resto dei loro giorni nella terra incolta. Tutti noi, racchiusi, in quanto non ancora nati,
negli organi riproduttivi di Adamo ed Eva, fummo scacciati con loro.
9 Nessun’altra prospettiva diversa da quella esposta nel comando che Dio aveva dato ad Adamo fu
offerta a quegli originali peccatori volontari, Adamo ed Eva. Giustamente non fu offerta loro alcuna
speranza, perché avevano disprezzato l’originale speranza data loro da Dio. Ma noi, loro discendenti non
responsabili, fummo lasciati senza speranza? No davvero!
SPERANZA DATA DA DIO
10 Le parole di speranza non furono rivolte direttamente ad Adamo ed Eva; essi semplicemente le
sentirono pronunciare. Le parole di Dio che contenevano una ragione di speranza per noi furono rivolte
allo spirito ribelle che aveva scaltramente usato il serpente per indurre Eva a diventare la sua profetessa.
Costui fu stigmatizzato col nome di Satana il Diavolo. Essendo l’originatore dell’astuzia e della frode allo
scopo di ingannare, ed essendosi servito di un serpente in Eden, fu chiamato anche “l’originale serpente”.
(Riv. 12:9; 20:2) Questa creatura spirituale che volle fare di sé un dio, e che fu il primo a mentire alla
donna e contro Dio, fu anche il primo contro cui fu emanata una decisione giudiziaria in Eden. Su di lui
Dio pronunciò la maledizione e quindi predisse la lotta nella quale “l’originale serpente” e quelli che si
sarebbero schierati dalla sua parte nel conflitto avrebbero subito la disfatta.
11 All’“originale serpente” Dio disse: “E io porrò inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di
lei. Egli ti ferirà la testa e tu gli ferirai il calcagno”. (Gen. 3:14, 15) Sarebbe stato l’annientamento
dell’“originale serpente” e della sua progenie. Ma questa decisione giudiziaria di Dio offriva qualche
motivo di speranza alla futura progenie di Adamo ed Eva? No, non direttamente, ma solo implicitamente
o per deduzione.
12 Ecco che entra in scena una donna. Chi doveva essere? Doveva essere colei che avrebbe mostrato
inimicizia, odio, per “l’originale serpente” e la sua progenie. Non poteva essere Eva, che aveva fatto di sé
una falsa profetessa dell’“originale serpente”, e si era lasciata persuadere che Geova Dio era bugiardo.
Non poteva essere neanche Maria, la madre di Gesù Cristo. Sarebbero passati quattromila anni prima
che nascesse questa ragazza ebrea discendente di Abraamo e sotto la Legge ebraica. Il suo figlio
primogenito, Gesù, visse sulla terra solo 33 anni e mezzo. Quando vide quello che “l’originale serpente”
fece fare sul Calvario contro il figlio da lei miracolosamente avuto, la madre terrena di Gesù aveva già
vissuto la maggior parte della sua vita. Quindi avrebbe potuto nutrire inimicizia per “l’originale serpente”
solo per alcuni decenni.
13 Logicamente la “donna” della profezia di Dio doveva essere in vita e in ascolto quando Dio parlò
all’“originale serpente” in Eden. La simbolica “donna” doveva sopravvivere alla morte di Eva, fino al
tempo stabilito da Dio perché la “donna” generasse il promesso “seme”, il che avvenne più di tremila anni
dopo la morte di Eva. Quindi, chi poteva essere questa simbolica “donna” se non la stessa “donna” di
Dio, vale a dire la sua organizzazione celeste composta di sante creature spirituali che rifiutarono di unirsi
all’“originale serpente” nella ribellione? Questi rispettarono il matrimonio di Dio con la sua fedele
organizzazione universale e non divorziarono da Lui per unirsi all’organizzazione che avrebbe sposato
“l’originale serpente”. Essi furono molto contenti che Dio ponesse inimicizia fra loro e l’organizzato “seme”
dell’“originale serpente”.
14 In Eden Dio diede dunque alla sua organizzazione celeste simile a una moglie la prospettiva di
diventare madre. Da quel momento in poi poteva sperare di diventare la madre del “seme” di cui suo
Marito, Geova Dio, sarebbe stato il Padre. Per la sua “donna” valeva la pena aspettare per quattromila
anni la realizzazione di questa speranza. Fu disposta a soffrire le pene che questo poteva comportare,
come accade alla donna simbolica vista nella visione descritta dall’apostolo Giovanni in Rivelazione 12:1-
5. La maternità è un desiderio normale di tutte le donne adulte. Quindi perché non dare alla celeste
organizzazione o donna di Dio la possibilità di diventare madre? Appropriatamente fu data alla “donna” di
Dio la speranza della maternità prima che Dio concedesse misericordiosamente a Eva, moglie del
peccatore Adamo, di diventare madre fuori dell’Eden. Ma quello che Dio disse alla peccatrice Eva fu
tutt’altro che una benedizione: “Aumenterò grandemente la pena della tua gravidanza; con doglie
partorirai figli”. (Genesi 3:16 in contrasto con ⇒Ge ⇐1:28). Nel trasmettere alla progenie informazioni
sulla profezia di Dio relativa al “seme” della “donna”, Adamo non agì in qualità di profeta di Dio; né sua
moglie Eva agì in qualità di profetessa di Dio. Sia che Adamo ed Eva credessero alla promessa di Dio
riportata in Genesi 3:15 o no, Dio volle che la loro progenie basasse la speranza su quella promessa.
Benché Adamo fosse stato creato come “figlio di Dio”, noi, suoi discendenti imperfetti ai quali è stato
trasmesso il peccato, non siamo nati come figli di Geova Dio. (Luca 3:38) Perciò non abbiamo per natura
la testimonianza dello spirito santo di Dio che attesti insieme al nostro spirito umano che siamo figli di
Dio. Ma c’è qualche speranza di tornare nella famiglia dei figli di Dio? Sì, c’è!
15 Se per noi non ci fosse speranza, perché Dio avrebbe lasciato che nascessero tanti figli di Adamo ed
Eva, oltre cento generazioni finora? Oggigiorno, dopo tutte le guerre e altre catastrofi oltre alle malattie e
alla morte naturale, sono in vita più di 4.200 milioni di persone e si predice che per il 2000 ci saranno
sulla terra sei miliardi di esseri umani. Tutto questo è stato invano? Evidentemente no!
16 L’uomo non è in grado di cavarsela da solo. Eppure la sorte della creazione umana non è senza
speranza, nonostante l’aspetto poco promettente delle cose. Questo non dipende da qualcosa che
l’uomo stesso possa fare, ma si basa solidamente su ciò che Dio ha già fatto e farà ancora secondo la
sua infallibile promessa. Avendo Dio permesso la nascita di una settantina di generazioni da Adamo ed
Eva, il suo Figlio celeste poté nascere come uomo, Gesù Cristo. Sulla terra questo Figlio di Dio compì la
volontà di Dio per il bene di tutta l’umanità. Questo segnò una svolta nella storia umana!
LA CREAZIONE UMANA “SOTTOPOSTA ALLA FUTILITÀ” CON LA SPERANZA DELLA LIBERTÀ
17 Circa 23 anni dopo che Gesù Cristo aveva terminato la sua vita terrena ed era di nuovo asceso in
cielo, l’apostolo Paolo scrisse alla congregazione di Roma: “L’ansiosa aspettazione della creazione
[umana] attende la rivelazione dei figli di Dio. Poiché la creazione fu sottoposta alla futilità, non di propria
volontà ma per mezzo di colui che la sottopose, in base alla speranza che la creazione stessa sarà pure
resa libera dalla schiavitù alla corruzione e avrà la gloriosa libertà dei figli di Dio. Poiché sappiamo che
tutta la creazione continua a gemere insieme ed è in pena insieme fino ad ora. Non solo questo, ma
anche noi stessi che abbiamo le primizie, cioè lo spirito, sì, noi stessi gemiamo in noi medesimi, mentre
aspettiamo ansiosamente l’adozione quali figli, la liberazione dal nostro corpo mediante il riscatto. Poiché
siamo stati salvati in questa speranza”. — Rom. 8:19-24.
18 Colui per mezzo del quale la creazione umana fu sottoposta alla futilità o frustrazione è Dio. Non vi
fummo sottoposti di nostra propria volontà, in quanto non siamo stati noi a decidere di nascere. Dio ha
voluto che venissimo all’esistenza, nonostante la condanna a morte di Adamo ed Eva. (Gen. 3:16-24;
5:1-4) Tuttavia non siamo nati con la “gloriosa libertà” che Adamo ed Eva ebbero dapprima nel giardino di
Eden quali “figli di Dio”. Siamo nati nella “schiavitù alla corruzione”, sotto la condanna di tutta la progenie
di Adamo alla morte. (Rom. 5:12) Perciò non possiamo salvare noi stessi. Tutti i nostri sforzi sarebbero
condannati alla futilità, alla frustrazione. Dove ci hanno portato tutti i tentativi dei governi umani? Qual è
stato a tutt’oggi il risultato di tutte le imprese sociali, economiche, finanziarie, mediche e scientifiche
dell’ambiziosa umanità? Tutti siamo ancora soggetti a corruzione mentale, fisica e morale. E ora sembra
che una guerra nucleare con missili balistici intercontinentali che emergono dai mari e piovono dai cieli
possa segnare la nostra improvvisa fine. Questo può essere descritto come un’“ansiosa aspettazione”
della creazione gemente?
19 Comunque il Creatore dell’uomo non è soggetto a futilità o frustrazione. Il corrotto genere umano non
può frustrare il proposito del Creatore. Quindi egli stesso è per noi una speranza. Perciò vuole che
riponiamo la nostra fiducia in lui, non in noi stessi. Ci ha assoggettati tutti all’incapacità umana, affinché
non avessimo motivo di riporre speranza in noi stessi. Essendo l’unica Fonte di speranza, egli ha
sottoposto l’umanità alla futilità, ma non senza speranza. Anzi, come dice Romani 8:20, 21, “in base alla
speranza che la creazione stessa sarà pure resa libera dalla schiavitù alla corruzione e avrà la gloriosa
libertà dei figli di Dio”.
20 Oggi gli esponenti di una certa ideologia politica definiscono il loro reame “il mondo libero” in contrasto
con la popolazione sotto opposti regimi. Ma qualunque sia la pretesa di gruppi politici in conflitto, nessuno
di loro ha la “gloriosa libertà dei figli di Dio”. Solo l’Iddio e Padre del Signore Gesù Cristo offre alla
famiglia umana la speranza di tornare nella relazione che Adamo ed Eva avevano con lui quando li creò
in Eden. Ma perché ciò si realizzi è necessario attendere un’azione futura da parte di Dio. Apprendiamo
di che si tratta dalle parole dell’apostolo: “L’ansiosa aspettazione della creazione attende la rivelazione
dei figli di Dio”. (Rom. 8:19) L’apostolo Paolo, che scrisse le parole di Romani 8:15-17, si classificò fra
quei “figli di Dio”.
21 Tali speciali “figli di Dio” sono il seme della “donna” di Dio, di cui si parla nella profezia di Genesi 3:15
fatta da Dio in Eden. Il principale componente di questo “seme” della celeste organizzazione di Dio è
Gesù Cristo, al quale Dio permise che “l’originale serpente” ferisse il calcagno alla sua morte sul palo di
tortura nel 33 E.V. Ma Dio sanò quella ferita al calcagno risuscitando il suo fedele Figlio il terzo giorno
dopo la sua morte. Essendo risuscitato come celeste Figlio spirituale di Dio, e non come un Figlio umano,
poté essere riaccolto dalla celeste “donna” di Dio. Questi, come dice Ebrei 2:14, 15, ‘ridurrà a nulla colui
che ha i mezzi per causare la morte, cioè il Diavolo; ed emanciperà tutti quelli che per timore della morte
erano per tutta la vita sottoposti a schiavitù’.
22 Componenti secondari del “seme” della composita “donna” di Dio sono i discepoli di Gesù Cristo, quelli
generati dallo spirito di Dio per diventare spirituali “figli di Dio” e coeredi del loro fratello maggiore, Gesù
Cristo, in cielo.
23 L’apostolo Pietro parla della loro speranza celeste come di una speranza “viva” scrivendo loro:
“Benedetto sia l’Iddio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, poiché secondo la sua grande misericordia
ci ha rigenerati ad una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per un’eredità
incorruttibile e incontaminata e durevole. Essa è riservata nei cieli per voi”. (I Piet. 1:3, 4) Questa loro
speranza è ancora “viva” oggi. Non è svanita a causa di qualche apparente ritardo nella sua realizzazione
per il loro rimanente ancora sulla terra. Essi si aspettano di veder presto realizzata questa speranza al
tempo stabilito dal loro Dio e Padre, Geova. L’apostolo Paolo richiama alla nostra mente Genesi 3:15,
scrivendo alla congregazione di Roma generata dallo spirito: “L’Iddio che dà pace stritolerà fra breve
Satana sotto i vostri piedi”. — Rom. 16:20.
24 La “rivelazione” di questi “figli di Dio” insieme al principale Figlio di Dio, Gesù Cristo, nel prossimo
futuro, è l’oggetto dell’“ansiosa aspettazione della creazione” umana. Ma subito prima di tale evento ci
aspettiamo la “grande tribolazione” che il Padre celeste, Geova Dio, farà abbattere sugli oppositori e
persecutori che fanno tribolare i suoi figli spirituali e i loro leali compagni. — Riv. 7:14, 15; II Tess. 1:6-10.

w77 1/1 20-2 Abbiate una veduta equilibrata del tempo


FATTORI RELATIVI AL TEMPO CHE DIO NON HA RIVELATI
17 Ci sono delle ragioni se non lo possiamo conoscere. Anzitutto, anche se la cronologia biblica indica
chiaramente che siamo giunti al termine di seimila anni dal tempo della creazione del primo uomo
Adamo, non ci dice quanto tempo dopo quell’avvenimento si concluse il sesto giorno creativo ed ebbe
inizio il settimo periodo o “giorno” creativo, il grande giorno di riposo di Dio. Genesi capitolo due, versetto
tre, dice che Geova benedisse e rese sacro quel “giorno”, e perciò sembra ragionevole pensare che
prima che esso finisca il malvagio vecchio ordine sarà stato eliminato e sarà stato stabilito il giusto nuovo
ordine di Dio per mezzo del regno millenario del Figlio di Dio. C’è pertanto ragione di credere che il
periodo millenario costituirà la parte conclusiva di quel grande giorno di riposo e riporterà la terra e i suoi
abitanti a uno stato di perfezione. Ciò darebbe a Dio la possibilità di dire di quel settimo giorno e dei suoi
risultati — come disse degli altri giorni creativi — che “era buono”. — Gen. 1:4, 10, 12, 18, 21, 25, 31.
18 Ma quel grande giorno di riposo non cominciò immediatamente dopo la creazione di Adamo. Ebbero
luogo altri avvenimenti dopo la creazione di Adamo ma prima della fine del sesto giorno creativo. Uno di
essi è di grande importanza per tutti noi. Si tratta della creazione della prima donna, Eva. Senza di lei
nessuno di noi sarebbe vivo, poiché, come dichiara l’apostolo Paolo in I Corinti 11:12, “come la donna è
dall’uomo, così pure l’uomo è per mezzo della donna”, in quanto abbiamo bisogno tutti di una madre
umana per nascere.
19 Quanto tempo trascorse dalla creazione dell’uomo a quella della donna? La Bibbia non lo rivela. Poté
essere un tempo relativamente breve. Alla creazione Adamo non era un bambino o un adolescente, ma
un uomo fatto, del tutto maturo, sia sul piano fisico che mentale. Non dovette strisciare prima di imparare
a camminare, né emettere suoni indistinti prima di saper parlare. Fu creato con queste facoltà e poteva
comunicare con il suo Creatore celeste e mettersi al lavoro per coltivare e aver cura del giardino dove
abitava. Poteva comprendere le istruzioni divine e anche il divieto concernente l’albero proibito della
conoscenza del bene e del male. (Gen. 2:15-17) Sotto questi aspetti, dunque, avrebbe potuto ricevere
una moglie in qualsiasi tempo.
20 Questo è vero, eppure sotto certi aspetti Adamo, alla sua creazione, fu come un neonato. Perché?
Perché, sebbene fosse completamente adulto, il giorno in cui fu creato era sempre il primo giorno della
sua vita. Tutto quello che vedeva — ogni albero, fiore, pianta, ogni corso d’acqua, lago, fiume, ogni
creatura del mondo dei volatili, degli animali e dei pesci — egli la vedeva per la prima volta. Questo
valeva per tutto ciò che faceva. Quando camminò fece il primo passo; e così anche correre, arrampicarsi,
toccare, odorare, gustare, mangiare, erano tutte esperienze nuovissime per lui. Che enorme curiosità
dovette provare mentre esaminava l’affascinante opera di Geova Dio e imparava a conoscere la sua
dimora paradisiaca! Quanto tempo gli sarebbe stato concesso per soddisfare tale curiosità prima di
assumere l’ulteriore responsabilità di capofamiglia?
21 Non sembra che quella dimora edenica consistesse di un piccolo appezzamento di terreno. Entro i suoi
confini c’erano tutte le varietà di alberi, in base al secondo capitolo di Genesi. E c’era “un fiume che
usciva dall’Eden per adacquare il giardino”, un fiume abbastanza grande da dividersi e dare origine a
quattro grandi fiumi, alcuni dei quali esistono ancora. (Gen. 2:8-10) Adamo avrebbe impiegato tempo a
esplorare tutto questo per conoscere la zona che aveva ricevuto l’incarico di sorvegliare e coltivare.
22 “Ma”, potrebbe chiedere qualcuno, “non sarebbe stato piacevole se avesse potuto fare subito tutte
queste nuove esperienze insieme a una compagna, una moglie, imparando così insieme a lei?” Sì, ma
non sarebbe stato più appropriato che acquistasse prima notevole esperienza e conoscenza? Quindi,
una volta che avesse avuto una compagna, sarebbe stato in grado di rispondere alle sue domande e di
darle spiegazioni; in tal modo ella avrebbe avuto più rispetto per lui quale capo a motivo della
conoscenza che aveva. (Efes. 5:22, 23) Il diretto avvertimento che Dio diede ad Adamo sulle
conseguenze che avrebbe avute se avesse disubbidito mangiando dell’albero proibito pose Adamo nella
posizione di profeta di Dio verso la compagna che Egli avrebbe in seguito creata per l’uomo. — Gen.
2:16, 17.
23 La sola informazione che in effetti la Bibbia ci fornisce è che, prima di creare Eva, Dio conduceva
all’uomo tutte le creature che aveva formate e “l’uomo dava dunque i nomi a tutti gli animali domestici e
alle creature volatili dei cieli e a ogni bestia selvaggia del campo, ma per l’uomo non si trovava un aiuto
come suo complemento”. (Gen. 2:18-20) Ci vogliono solo poche parole per descriverlo; ma quanto tempo
richiese in effetti?
24 La brevità del racconto di Genesi non deve certo farci pensare che Dio si limitasse a radunare tutti gli
animali e gli uccelli in un grande gruppo, facendoli poi sfilare davanti ad Adamo mentre egli dava loro in
fretta un nome, ad uno ad uno. È vero che poté doversi occupare solo delle specie fondamentali di
famiglie invece che di tutte le varietà di creature che sono venute da quelle specie di famiglie. Ma anche
così, non si deve escludere questa possibilità: il fatto che Dio ‘condusse’ queste creature ad Adamo può
significare che Adamo le studiò abbastanza da vicino per qualche tempo, osservandone le caratteristiche
abitudini e costituzione, per poi scegliere un nome specialmente adatto a ciascuna. Questo poté
richiedere una considerevole quantità di tempo. E possiamo notare che, allorché Adamo vide finalmente
la moglie appena creata, le sue prime parole furono: “Questa è finalmente osso delle mie ossa e carne
della mia carne”. (Gen. 2:23) Anche questo potrebbe indicare che ricevette la sua deliziosa compagna
umana dopo aver aspettato per un certo tempo.
25 Cosa significa questo? Semplicemente che tali fattori, e le possibilità che consentono, ci impediscono
di dire in modo positivo quanto tempo trascorse dalla creazione di Adamo a quella della prima donna.
Non sappiamo se fu un tempo breve, come un mese, o alcuni mesi, un anno o anche più. Ma qualunque
sia il tempo intercorso si dovrebbe sottrarre dal tempo trascorso dalla creazione di Adamo per sapere a
che punto siamo del settimo “giorno” di Dio, il suo grande giorno di riposo. Quindi, che siano passati
seimila anni dall’inizio dell’esistenza umana è una cosa. E tutt’altra cosa che siano passati seimila anni
del settimo “giorno” creativo di Dio. E a questo riguardo non sappiamo a che punto siamo nel corso del
tempo.
26 Ma questo non significa che la cronologia non sia importante. È naturale che ce ne interessiamo,
poiché Dio ha ritenuto opportuno farne parte integrante della sua Parola ispirata. Dei profeti dell’antichità,
l’apostolo Pietro dice che “essi continuarono a investigare quale particolare stagione o quale sorta di
stagione lo spirito che era in loro indicasse . . . quando rendeva anticipatamente testimonianza delle
sofferenze per Cristo e delle glorie che le avrebbero seguite”. — 1 Piet. 1:10, 11.
27 Oggi desideriamo giustamente sapere in quale “stagione” ci troviamo e Dio ci provvede le informazioni
necessarie. I profeti di Dio dell’antichità ebbero fede assoluta che tutto quanto Dio aveva detto si sarebbe
certamente adempiuto. Sebbene non conosciamo certi particolari o fattori relativi al tempo, possiamo e
dobbiamo avere la stessa ferma fede nell’immutabilità del proposito di Dio. Il Figlio di Dio ci ha fornito una
vigorosa ragione per essere vigilanti e scorgere l’adempimento di quel proposito, come mostra il
seguente articolo.
[Riquadro/Figure a pagina 17]
LE PROMESSE DI GEOVA SI AVVERANO ESATTAMENTE AL TEMPO DA LUI FISSATO
Il Messia apparve esattamente al tempo predetto
Al termine di 70 anni, Geova fece liberare gli Israeliti da Babilonia perché restaurassero il paese di Giuda
Al tempo giusto, dopo 400 anni di afflizione, gli Israeliti furono liberati dall’Egitto

w89 1/8 10-15 Dio si propone che l'uomo viva felice in un paradiso
Dio si propone che l’uomo viva felice in un paradiso
“E Geova Dio prendeva l’uomo e lo poneva nel giardino di Eden perché lo coltivasse e ne avesse cura”.
— GENESI 2:15.
IL PROPOSITO originale del Creatore, tuttora valido, era che gli esseri umani ubbidienti vivessero felici
senza invecchiare, sempre nel pieno del vigore giovanile, una vita senza noia, ricca di mete significative,
una vita in cui amare ed essere amati con sincerità e altruismo, nella perfezione, in un paradiso! —
Genesi 2:8; confronta Luca 23:42, 43.
2 Per convincervene, pensate a quando Adamo, appena creato, prese coscienza per la prima volta,
quando osservò il suo corpo e tutto ciò che vedeva, udiva e sentiva intorno a sé, quando ad un tratto capì
di essere vivo! Questo avvenne circa 6.000 anni fa, nell’anno 4026 prima della nostra era volgare,
secondo il computo del tempo riportato nella Sacra Bibbia. Avvenne nella regione attualmente nota come
Turchia, nella parte sudoccidentale di quella che oggi chiamiamo Asia, in qualche luogo nei pressi
dell’Eufrate e del Tigri, dunque nell’emisfero settentrionale del nostro globo. Sarà stato più o meno il 1°
ottobre, giacché i più antichi calendari dell’umanità cominciavano a contare il tempo grosso modo da
quella data.
3 Il primo uomo venne alla vita già adulto, perfettamente formato e sano, dotato di una perfetta moralità. Il
nome che il racconto biblico gli attribuisce ripetute volte richiama l’attenzione alla sostanza da cui fu
formato: si chiamava ’Adhàm. La terra, o suolo, da cui fu formato si chiamava ’adhamàh. Perciò si
potrebbe ben dire che il suo nome significava “uomo terreno”. Questo divenne il nome proprio del primo
uomo: Adamo. Che profonda impressione deve aver fatto ad Adamo venire alla vita, divenire una
persona conscia ed intelligente!
4 Quando questo primo uomo, Adamo, venne alla vita, si destò alla consapevolezza intelligente e aprì gli
occhi, non si trovò a giacere in un grembo peloso, cullato dalle lunghe e possenti braccia di qualche
creatura scimmiesca, aggrappandosi ad essa, gli occhi fissi nei suoi occhi, chiamandola teneramente
Mamma. Il primo uomo Adamo non ebbe questo strano tipo di risveglio alla vita. Non sentì alcun legame
di parentela con le scimmie, neanche quando in seguito ne vide una per la prima volta. Nel giorno in cui
fu creato nulla suggeriva che discendesse anche lontanamente da una scimmia o da una qualsiasi
creatura del genere. Tuttavia il primo uomo, Adamo, doveva rimanere perplesso quanto al modo in cui
era venuto all’esistenza? No.
5 È chiaro che egli aveva motivo di sentirsi perplesso chiedendosi come erano venute all’esistenza tutte
le cose meravigliose che guardava. Si ritrovava in un parco, un paradiso che non era stato lui a
progettare e realizzare. Com’era venuto all’esistenza tutto questo? Essendo un uomo perfettamente
intelligente e razionale, l’avrà voluto sapere. In precedenza, egli non aveva avuto alcuna esperienza.
Sapeva di non essere un uomo che si era fatto o sviluppato da sé. Se era in quella condizione, non era
davvero opera sua. — Confronta Salmo 100:3; 139:14.
6 Il primo uomo Adamo era vivo, felice, in una dimora terrena perfetta: forse sulle prime sarà stato troppo
eccitato per chiedersi da dove era venuto e perché. Non poteva quasi fare a meno di gridare di gioia.
Scoprì che le parole gli uscivano di bocca. Si udì parlare nella lingua dell’uomo, commentando le cose
belle che vedeva e udiva. Com’era bello essere vivo lì in quel giardino paradisiaco! Ma mentre gioiva
nell’acquisire informazioni osservando, ascoltando, annusando e toccando tutto ciò che gli stava intorno,
sarà stato spinto a fare dei ragionamenti. Per noi, se ci fossimo trovati al posto suo, tutto sarebbe stato
avvolto nel mistero, un mistero che non avremmo potuto risolvere da noi stessi.
Nessun mistero riguardo all’esistenza dell’uomo
7 La perplessità che il primo uomo Adamo provava ritrovandosi in vita e solo, senza vedere nessun altro
simile a lui in quel giardino paradisiaco, non durò a lungo. A un certo punto egli udì la voce di qualcuno
che parlava. L’uomo la capiva, ma dov’era colui che parlava? L’uomo non vedeva parlare nessuno. La
voce proveniva dal reame invisibile, e si rivolgeva a lui. Era la voce del Fattore dell’uomo, del suo
Creatore! E l’uomo poteva rispondergli nella stessa lingua. Si trovò a parlare con Dio, con il Creatore.
L’uomo non aveva bisogno di alcun sofisticato radioricevitore per udire la voce divina. Dio conversava
con lui come sua creatura in maniera diretta.
8 Ora l’uomo sapeva di non essere solo, e questo deve averlo fatto sentir meglio. Mille domande
affollavano la sua mente: poteva formularle all’Essere invisibile che parlava con lui. Chi l’aveva fatto, e chi
aveva fatto quel bel giardino? Perché era stato messo lì, e cosa doveva fare della sua vita? Vivere aveva
qualche scopo? Questo primo uomo Adamo fu oggetto di un’attenzione e un interesse paterni, in quanto
la sua mente indagatrice ricevette risposte soddisfacenti alle sue domande. Come sarà stato contento il
suo Fattore e Datore di vita, il suo Padre celeste, di udire l’uomo pronunciare le sue prime parole! E come
fu felice il Padre celeste di udire suo figlio parlare con lui! Per logica, la prima domanda sarà stata: “Come
sono venuto all’esistenza?” Il Padre celeste rispose con piacere a questa domanda, riconoscendo così
quel primo uomo come Suo figlio, un “figlio di Dio”. (Luca 3:38) Geova si identificò come il Padre di quel
primo uomo, Adamo. Ecco in sintesi la risposta che Adamo ricevette dal suo Padre celeste e che
tramandò alla sua progenie:
9 “E Geova Dio formava l’uomo dalla polvere del suolo e gli soffiava nelle narici l’alito della vita, e l’uomo
divenne un’anima vivente. Inoltre, Geova Dio piantò un giardino in Eden, verso oriente, e vi pose l’uomo
che aveva formato. Così Geova Dio fece crescere dal suolo ogni albero desiderabile alla vista e buono
come cibo e anche l’albero della vita nel mezzo del giardino e l’albero della conoscenza del bene e del
male. Ora c’era un fiume che usciva dall’Eden per irrigare il giardino, e di là si divideva e diveniva, per
così dire, quattro capi”. — Genesi 2:7-10.
10 La mente lucida ed elastica di Adamo assimilava con enorme interesse queste informazioni
soddisfacenti. Ora egli sapeva di non essere venuto da quel reame invisibile dal quale il suo Creatore e
Formatore stava parlando. Era stato formato invece dalla terra sulla quale viveva, e pertanto era terreno.
Il suo Datore di vita e Padre era Geova Dio. Egli era “un’anima vivente”. Avendo ricevuto la vita da Geova
Dio, era un “figlio di Dio”. Gli alberi intorno a lui nel giardino di Eden producevano frutti che erano buoni
come cibo, perché egli li mangiasse e si sostenesse in vita come anima vivente. Ma perché doveva
mantenersi in vita, perché era stato posto sulla terra, in quel giardino di Eden? Era un uomo adulto,
intelligente e capace, e aveva il diritto di sapere. Altrimenti, come avrebbe potuto realizzare lo scopo della
sua vita e in questo modo compiacere il suo Fattore e Padre compiendo la volontà divina? Le risposte a
queste legittime domande furono date nelle informazioni seguenti:
11 “E Geova Dio prendeva l’uomo e lo poneva nel giardino di Eden perché lo coltivasse e ne avesse cura.
E Geova Dio impose all’uomo anche questo comando: ‘Di ogni albero del giardino puoi mangiare a
sazietà. Ma in quanto all’albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, poiché nel
giorno in cui ne mangerai positivamente morirai’”. — Genesi 2:15-17.
12 Adamo deve aver ringraziato il suo Creatore per aver ricevuto un’occupazione che lo tenesse
impegnato in maniera costruttiva in questo meraviglioso giardino di Eden. Ora conosceva la volontà del
suo Creatore, e poteva fare qualcosa per Lui sulla terra. Ora gli era stata affidata una responsabilità,
quella di coltivare il giardino di Eden e di averne cura, ma era una cosa piacevole. Adempiendo tale
responsabilità avrebbe fatto sì che il giardino di Eden mantenesse un aspetto tale da recare gloria e lode
al suo Fattore, Geova Dio. Ogni volta che Adamo, dopo aver lavorato, aveva fame, poteva mangiare a
sazietà dagli alberi del giardino. In questo modo poteva rinnovare le sue forze e continuare a vivere felice
a tempo indefinito, in eterno. — Confronta Ecclesiaste 3:10-13.
La prospettiva della vita eterna
13 In eterno? Che pensiero quasi incredibile doveva essere questo per l’uomo perfetto! Ma perché no? Il
suo Creatore non aveva la minima intenzione di distruggere quel giardino di Eden, frutto di un magistrale
disegno. Perché mai avrebbe dovuto distruggere il proprio lavoro, se era così buono ed esprimeva così
bene la sua creatività artistica? Logicamente, egli non si sarebbe proposto di fare una cosa del genere.
(Isaia 45:18) E dato che questo incomparabile giardino doveva continuare ad essere coltivato, avrebbe
avuto bisogno di qualcuno che lo coltivasse e ne avesse cura, qualcuno come il perfetto uomo Adamo. E
se quest’uomo non avesse mai mangiato del frutto proibito dell’“albero della conoscenza del bene e del
male” non sarebbe mai morto. L’uomo perfetto poteva vivere per sempre!
14 Adamo aveva davanti a sé la vita eterna nel paradisiaco giardino di Eden! Poteva goderne in eterno, a
patto di rimanere perfettamente ubbidiente al suo Creatore, non mangiando mai del frutto che era stato
proibito dal Creatore dell’uomo. Costui desiderava che l’uomo perfetto rimanesse ubbidiente e
continuasse a vivere in eterno. La proibizione del frutto dell’“albero della conoscenza del bene e del male”
non doveva essere una causa di morte. Serviva semplicemente a mettere alla prova la perfetta
ubbidienza dell’uomo a suo Padre. Dava all’uomo l’occasione di dimostrare il suo amore per Dio, il suo
Creatore.
15 Profondamente soddisfatto di non essere solo il risultato di una combinazione fortuita ma di avere un
Padre celeste, illuminato in merito allo scopo della sua vita, con la prospettiva di vivere per sempre nel
Paradiso, l’uomo perfetto aveva dinanzi a sé un futuro luminoso. Mangiava il frutto degli alberi buoni
come cibo ed evitava l’“albero della conoscenza del bene e del male”. Voleva che fosse il suo Creatore a
fargli conoscere ciò che era bene. Lavorare, non per qualcosa di nocivo ma per coltivare il giardino di
Eden, era bene, e l’uomo perfetto lavorava.
Nessuna necessità di spiegazioni
16 La luce del giorno calava mentre il grande luminare diurno, di cui l’uomo poteva seguire il moto nel
cielo, tramontava. Caddero le tenebre, la notte, ed egli poteva scorgere la luna. Questa non gli ispirava
un senso di timore; era il luminare minore che illuminava la notte. (Genesi 1:14-18) Probabilmente nel
giardino volavano delle lucciole, emettendo a intermittenza la loro debole luce fredda.
17 Quando si fece notte e caddero le tenebre, egli sentì il bisogno di dormire come gli animali intorno a lui.
Al risveglio cominciò a sentir fame, e mangiò con buon appetito il frutto degli alberi non proibiti facendo
quella che si poteva chiamare una colazione.
18 Rinnovate le proprie forze e ben ristorato dal riposo notturno, il suo pensiero andò al lavoro del giorno.
Nell’osservare tutta la verde vegetazione che lo circondava non pensò di dover investigare il mistero di
ciò che uomini che sarebbero vissuti migliaia di anni dopo avrebbero chiamato fotosintesi, quel processo
enigmatico in virtù del quale il pigmento verde delle piante, la clorofilla, sfrutta l’energia della luce solare
per produrre sostanze utili per l’alimentazione umana e animale, assorbendo nel contempo l’anidride
carbonica che uomini e animali espirano e liberando ossigeno perché essi lo possano respirare. Gli
uomini lo possono definire un mistero, ma Adamo non aveva alcun bisogno di risolverlo. Era un miracolo
del Creatore dell’uomo. Egli lo capiva e faceva sì che funzionasse a beneficio delle creature in vita sulla
terra. Pertanto, per l’intelligenza perfetta del primo uomo bastava sapere che Dio, il Creatore, faceva
crescere le cose e aveva affidato all’uomo il compito di aver cura di queste forme di vita vegetale che
crescevano nel giardino di Eden. — Vedi Genesi 1:12.
Solo, ma per nulla infelice
19 L’istruzione dell’uomo da parte del suo Padre celeste non era finita. L’uomo aveva cura del giardino di
Eden senza che sulla terra ci fosse alcun suo simile che si unisse a lui o lo aiutasse. Per quanto
riguardava la sua specie, la specie umana, era solo. Ma non cominciò ad andare in cerca di un suo simile
per avere una compagnia terrena. Non chiese a Dio, il suo Padre celeste, di dargli un fratello o una
sorella. Pur essendo solo come uomo non divenne pazzo e non perse la gioia di vivere e di lavorare.
Godeva della compagnia di Dio. — Confronta Salmo 27:4.
20 Adamo sapeva che gli occhi del suo Padre celeste erano su di lui e sul suo lavoro. La sua più grande
soddisfazione era far piacere al suo Dio e Creatore, le cui meravigliose qualità erano rivelate da tutte le
bellissime opere creative di cui l’uomo era circondato. (Confronta Rivelazione 15:3). Continuare a vivere
in questo modo non sarebbe stato una sofferenza insopportabile o un dovere noioso per quest’uomo
perfettamente equilibrato che poteva conversare con il suo Dio. E Dio aveva dato ad Adamo un lavoro
interessante e affascinante che sarebbe stato fonte di grande soddisfazione e piacere. Il prossimo
articolo dirà di più sulle benedizioni del Paradiso e sulle prospettive che Adamo aveva ricevuto dal suo
amorevole Creatore.
[Note in calce]
Questa è, nella lingua originale, la parola che ricorre nel racconto della creazione riportato nella Sacra
Bibbia. — Genesi 1:26, Traduzione del Nuovo Mondo con riferimenti, nota in calce.
Riguardo a questo fiume edenico il profeta Mosè, che mise per iscritto queste informazioni nel libro di
Genesi nel XVI secolo prima della nostra era volgare, aggiunse le seguenti informazioni in base alla
conoscenza del suo giorno:
“Il nome del primo è Pison; è quello che circonda l’intero paese di Avila, dov’è l’oro. E l’oro di quel paese
è buono. Ci sono anche il bdellio e la pietra di onice. E il nome del secondo fiume è Ghihon; è quello che
circonda l’intero paese di Cus. E il nome del terzo fiume è Iddechel; è quello che va ad oriente
dell’Assiria. E il quarto fiume è l’Eufrate”. — Genesi 2:11-14.
[Referenza fotografica a pagina 10]
NASA photo

w89 1/8 15-21 Grandiose prospettive per l'umanità in un paradiso di delizie


Grandiose prospettive per l’umanità in un paradiso di delizie
“Dio li benedisse e Dio disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra e soggiogatela, e
tenete sottoposti i pesci del mare e le creature volatili dei cieli e ogni creatura vivente che si muove sopra
la terra’”. — GENESI 1:28.
“DIO è amore”, ci dice la Sacra Bibbia. Egli si interessa in maniera amorevole e altruistica dell’umanità e
opera incessantemente affinché gli uomini possano godere per sempre di una vita sana e pacifica sulla
terra, in un paradiso di delizie. (1 Giovanni 4:16; confronta Salmo 16:11). Il primo uomo, il perfetto
Adamo, conduceva una vita tranquilla e aveva un lavoro piacevole e interessante. Il Creatore dell’uomo
l’aveva incaricato di coltivare il bel giardino di Eden. Poi il suo Creatore gli affidò un altro compito, un
incarico speciale e stimolante, come rivela il racconto:
2 “Ora Geova Dio formava dal suolo ogni bestia selvaggia del campo e ogni creatura volatile dei cieli, e le
conduceva all’uomo per vedere come avrebbe chiamato ciascuna; e in qualunque modo l’uomo la
chiamasse — ciascun’anima vivente — quello era il suo nome. L’uomo dava dunque i nomi a tutti gli
animali domestici e alle creature volatili dei cieli e a ogni bestia selvaggia del campo”. — Genesi 2:19, 20.
3 L’uomo chiamò il cavallo sus, il toro shohr, la pecora seh, il capro `ez, un uccello `ohf, la colomba
yohnàh, il pavone tukkì, il leone ’aryèh o ’arì, l’orso dov, la scimmia qohf, il cane kèlev, il serpente
nachàsh, e così via. Quando giunse al fiume che usciva dal giardino di Eden, vide i pesci. Al pesce diede
nome dagàh. L’uomo, disarmato, non provava timore di questi animali, domestici e selvatici, né degli
uccelli, ed essi non provavano timore di lui, riconoscendolo per istinto come loro superiore, appartenente
a una forma di vita più alta. Essi erano creature di Dio, a cui Egli aveva donato la vita, e l’uomo non
aveva alcun desiderio, alcuna tendenza a far loro del male o a toglier loro la vita.
4 Il racconto non ci dice per quanto tempo all’uomo furono mostrati gli animali domestici e selvatici e le
creature volatili dei cieli. Tutto era disposto e guidato da Dio. È probabile che Adamo si sia preso il tempo
di studiare ciascun animale, osservandone le abitudini caratteristiche e la costituzione così da dargli poi
un nome particolarmente adatto. Questo potrebbe significare che trascorse un notevole periodo di tempo.
Per Adamo, acquistare familiarità in questo modo con le molte specie di creature viventi sulla terra era
un’esperienza estremamente interessante, e distinguere ciascuna specie con un nome adatto richiedeva
grande abilità mentale e linguistica.
5 Ma in che ordine erano state create tutte queste creature viventi? Gli animali terrestri erano stati creati
prima o dopo degli uccelli? E in che posizione stava l’uomo, in ordine di tempo e d’importanza, rispetto a
tutte queste creature inferiori? Come aveva preparato Dio la superficie della terra per una tale varietà di
creature viventi? Come aveva provveduto l’aria in cui gli uccelli potevano volare così in alto, l’acqua da
bere e la vegetazione come cibo, un grande luminare per far luce di giorno e permettere all’uomo di
vedere, e il luminare minore per abbellire la notte? Perché il clima era così mite e caldo che l’uomo
poteva andare in giro, lavorare e dormire nudo e all’aperto?
6 L’uomo non fu lasciato a indovinare per avere le risposte. La sua mente indagatrice meritava risposte
intelligenti provenienti da una fonte autorevole che conoscesse bene i fatti. Come figlio di Dio non fu
abbandonato nell’ignoranza, ma con tutta probabilità il suo alto livello d’intelligenza fu onorato con la
meravigliosa storia della creazione riportata in Genesi 1:1-25.
7 Adamo sarà stato molto grato per quell’emozionante racconto della creazione. Esso spiegava molte
cose. Da com’era formulato, Adamo capì che c’erano stati tre lunghi periodi di tempo (che Dio chiamava
giorni secondo il Suo modo di misurare il tempo) prima del quarto periodo creativo in cui Dio aveva fatto
apparire nella distesa dei cieli i due grandi luminari dando origine al giorno umano di ventiquattr’ore,
molto più breve. Questo più breve giorno umano sulla terra era il tempo compreso fra un tramonto del
luminare maggiore e quello successivo. Adamo comprese anche che il suo tempo sarebbe stato diviso in
anni, e senza dubbio cominciò immediatamente a contare i suoi anni di vita. Poteva farlo grazie al
luminare più grande nella distesa dei cieli. Ma in quanto ai giorni creativi di Dio, molto più lunghi, il primo
uomo comprese che stava vivendo nel sesto giorno dell’opera creativa di Dio relativa alla terra. Fino ad
allora non gli era stato detto nulla che indicasse che quel sesto giorno (dedicato al creare tutti quegli
animali terrestri e poi, separatamente, l’uomo) fosse finito. Ora l’uomo capiva l’ordine della creazione
della vita vegetale, marina, degli uccelli e degli animali terrestri. Ma Adamo, da solo nel giardino di Eden,
non era di per sé la piena e completa espressione dell’amorevole proposito di Dio per l’uomo nel
Paradiso terrestre.
Creata la prima donna
8 Il primo uomo, con la sua mente perfetta e il suo spirito d’osservazione, notò che nel regno degli uccelli
e degli animali c’erano maschi e femmine, e che insieme questi riproducevano le loro specie. Ma nel caso
dell’uomo stesso, a quel tempo non era così. Se questa osservazione lo spinse a pensare ad avere una
compagna, non trovò alcun coniuge adatto nel regno animale, nemmeno fra le scimmie. Adamo avrà
concluso che non c’era una compagna per lui; altrimenti, se ce ne fosse stata una, Dio non gliel’avrebbe
forse presentata? L’uomo era stato creato separatamente da tutte quelle specie animali, e doveva essere
diverso! Adamo non era incline a decidere le cose da sé e diventare impudente tanto da chiedere al suo
Creatore una compagna. Era giusto che l’uomo perfetto lasciasse tutto nelle mani di Dio, infatti scoprì
ben presto che Dio aveva tratto le proprie conclusioni sulla situazione. In merito a questo e a ciò che
accadde poi il racconto ci dice:
9 “Ma per l’uomo non si trovava un aiuto come suo complemento. Perciò Geova Dio fece cadere
sull’uomo un profondo sonno e, mentre dormiva, prese una delle sue costole e chiuse quindi la carne sul
posto d’essa. E Geova Dio edificava dalla costola che aveva preso dall’uomo una donna e la conduceva
all’uomo. Allora l’uomo disse: ‘Questa è finalmente osso delle mie ossa e carne della mia carne. Questa
sarà chiamata Donna, perché dall’uomo questa è stata tratta’. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua
madre e si dovrà tenere stretto a sua moglie e dovranno divenire una sola carne. Ed entrambi
continuarono ad essere nudi, l’uomo e sua moglie, eppure non si vergognavano”. — Genesi 2:20-25.
10 Le parole che Adamo pronunciò quando gli fu presentata la donna perfetta come suo aiuto e
complemento esprimevano completa soddisfazione: “Questa è finalmente osso delle mie ossa e carne
della mia carne”. Ciò che disse quando infine vide sua moglie appena creata potrebbe suggerire che egli
dovette aspettare un bel po’ prima di ricevere la sua meravigliosa compagna. Descrivendo il suo
complemento, Adamo chiamò sua moglie “Donna” (’ishshàh, letteralmente: “uomo femmina”), “perché
dall’uomo questa è stata tratta”. (Genesi 2:23, Traduzione del Nuovo Mondo con riferimenti, nota in calce)
Adamo non sentiva alcun vincolo di parentela con le creature volatili né con gli animali terrestri che Dio gli
aveva presentato in precedenza perché desse loro un nome. La sua carne era diversa dalla loro. Ma
questa donna era veramente della sua stessa carne. La costola presa dal suo fianco fabbricava lo stesso
tipo di sangue che scorreva nelle sue vene. (Vedi Matteo 19:4-6). Ora aveva qualcuno nei cui confronti
agire come profeta di Dio e con cui parlare del meraviglioso racconto della creazione.
11 Ma qual era il proposito del Creatore dell’uomo nel dargli una moglie? Era solo quello di dargli un aiuto
e un complemento, una compagna della sua stessa specie perché non soffrisse di solitudine? Il racconto
spiega il proposito di Dio riferendoci come Dio benedisse il loro matrimonio:
12 “E Dio proseguì, dicendo: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, e
tengano sottoposti i pesci del mare e le creature volatili dei cieli e gli animali domestici e tutta la terra e
ogni animale che si muove sopra la terra’. E Dio creava l’uomo a sua immagine, lo creò a immagine di
Dio; li creò maschio e femmina. Inoltre, Dio li benedisse e Dio disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi e
riempite la terra e soggiogatela, e tenete sottoposti i pesci del mare e le creature volatili dei cieli e ogni
creatura vivente che si muove sopra la terra’.
13 “E Dio proseguì, dicendo: ‘Ecco, vi ho dato tutta la vegetazione che fa seme che è sulla superficie
dell’intera terra e ogni albero sul quale è il frutto di un albero che fa seme. Vi serva di cibo. E a ogni
bestia selvaggia della terra e a ogni creatura volatile dei cieli e a ogni cosa che si muove sopra la terra in
cui è vita come un’anima ho dato tutta la verde vegetazione per cibo’. E così si fece”. — Genesi 1:26-30.
Le prospettive che si offrivano alla prima coppia umana
14 Com’era meraviglioso, per l’uomo perfetto e per la sua moglie perfetta, udire la voce di Dio che parlava
loro, dicendo loro cosa fare e benedicendoli! Con la benedizione di Dio la vita non sarebbe stata vana,
ma sarebbero stati messi in grado di assolvere il loro incarico. Che futuro meraviglioso avevano dinanzi!
Lì nel giardino di Eden, loro dimora, quella coppia felice avrà probabilmente meditato su quello che
sarebbe risultato dal compiere la volontà di Dio per loro. Guardando con gli occhi della mente nel lontano
futuro vedevano non solo il “giardino in Eden, verso oriente”, ma l’intera terra piena di uomini e donne
dall’espressione raggiante. (Genesi 2:8) L’uomo e la donna avranno esultato al pensiero che questi
sarebbero stati tutti loro figli, loro discendenti. Tutti sarebbero stati perfetti, senza difetti fisici, tutti
avrebbero goduto dell’eterna giovinezza, pieni di salute e di gioia di vivere, e tutti avrebbero espresso
amore perfetto l’uno per l’altro, adorando come i loro progenitori umani il grande Creatore e Padre
celeste. Che gioia per il primo uomo e la prima donna pensare di avere una tale famiglia!
15 Ci sarebbe stato cibo in abbondanza per ogni membro di questa famiglia umana che avrebbe riempito
l’intera terra. Per cominciare, c’era cibo in abbondanza lì, nel giardino di Eden. Dio aveva provveduto
tutta la vegetazione che produceva seme perché servisse come cibo sano e nutriente, oltre agli alberi da
frutto. — Confronta Salmo 104:24.
16 Man mano che sarebbe cresciuta di numero, questa famiglia felice avrebbe esteso il giardino oltre i
confini dell’Eden, poiché le parole di Dio indicavano che fuori del giardino di Eden la terra era incolta.
Come minimo non era curata e portata allo stesso alto livello di coltivazione che contrassegnava il
giardino di Eden. Ecco perché il Creatore disse loro di ‘soggiogare’ la terra mentre la riempivano. —
Genesi 1:28.
17 Mentre coltivatori e custodi perfetti avrebbero esteso il giardino, la terra soggiogata avrebbe prodotto
cibo in abbondanza per la crescente popolazione. Alla fine il giardino sarebbe cresciuto fino a ricoprire
l’intera terra, e tutto il pianeta, dimora eterna del genere umano, sarebbe stato un paradiso. Visto dal
cielo sarebbe stato un capolavoro di bellezza, e il Creatore celeste avrebbe potuto dire che era molto
buono. — Confronta Giobbe 38:7.
18 Sarebbe stato tutto altrettanto pacifico e tranquillo come quel giardino di Eden in cui si trovavano
l’uomo e la donna appena sposati. Non ci sarebbe stato bisogno di temere nessuno di quegli animali e di
quelle creature volatili che il primo uomo, Adamo, aveva osservato e a cui aveva dato il nome. Come i
loro primogenitori umani, quegli abitanti perfetti della terra paradisiaca avrebbero tenuto sottoposti i pesci
del mare, le creature volatili dei cieli e ogni cosa vivente che si muoveva sulla terra, comprese le bestie
selvagge del campo. Sottomettendosi per istinto all’uomo, creato “a immagine di Dio”, queste creature
inferiori sarebbero state in pace con lui. I loro amorevoli e perfetti padroni umani, nel tenerle sottoposte,
avrebbero promosso un clima di pace fra la creazione animale. La pacifica influenza di questi padroni
umani simili a Dio si sarebbe estesa protettivamente a queste creature inferiori, a cui non sarebbe
mancato nulla. Soprattutto, l’umanità perfetta sarebbe stata in pace con Dio, che non avrebbe mai tolto
loro la sua benedizione. — Confronta Isaia 11:9.
Dio si riposa dalle sue opere creative
19 Nel contemplare quello che sarebbe stato l’aspetto della terra una volta adempiuto il proposito di Dio,
la coppia umana perfetta si sarà resa conto di qualcosa. Per portare a termine questo meraviglioso
incarico affidato loro da Dio avrebbero avuto bisogno di tempo. Quanto tempo? Lo sapeva il loro Creatore
e Padre celeste. Egli indicò loro che un’altra fase si era conclusa nella grande serie dei giorni creativi, e
che essi si trovavano alla “sera”, all’inizio di un nuovo giorno secondo il modo in cui Dio stesso contava i
giorni creativi. Doveva essere un giorno benedetto e santificato per il puro e giusto proposito di Dio.
L’uomo perfetto, il profeta di Dio, ne prese nota. Il racconto ispirato ci dice:
20 “Dio vide poi tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. E si faceva sera e si faceva mattina,
un sesto giorno. Così furono portati a compimento i cieli e la terra e tutto il loro esercito. E il settimo
giorno Dio portò a compimento l’opera che aveva fatto, e si riposava il settimo giorno da tutta l’opera che
aveva fatto. E Dio benediceva il settimo giorno e lo rendeva sacro, perché in esso si è andato riposando
da tutta la sua opera che Dio ha creato allo scopo di fare. Questa è la storia dei cieli e della terra nel
tempo in cui furono creati, nel giorno che Geova Dio fece terra e cielo”. — Genesi 1:31–2:4.
21 Il racconto non dice che Dio concluse il suo giorno di riposo, che vide che era molto buono e che si
fece sera e si fece mattina, un settimo giorno. Per corrispondere ai sei giorni creativi precedenti, il settimo
giorno deve ancora essere dichiarato molto buono, poiché non è ancora finito. Può forse Geova Dio
dichiararlo molto buono finora? Fino a questo momento, è stato un giorno di pacifico riposo per lui? Che
dire di quella prospettiva affascinante che il primo uomo e la prima donna contemplarono il giorno del loro
matrimonio nel Paradiso? Nel prossimo articolo vedremo come sono andate le cose.
[Nota in calce]
Questi sono i nomi che ricorrono nel testo ebraico di Genesi e di altri libri ispirati delle Scritture Ebraiche.
Agar — Tema: Una schiava e il suo ruolo profetico GALATI 4:24, 25

it-1 74-5 Agar


AGAR
(Àgar).
Schiava egiziana di Sara; poi concubina di Abraamo e madre di Ismaele. Mentre era in Egitto a motivo
della carestia che imperversava nel paese di Canaan, Abraamo (Abramo) acquistò servi e serve, e può
darsi che in quel tempo Agar sia diventata schiava di Sara. — Ge 12:10, 16.
Poiché era sterile, Sara (Sarai) diede Agar come moglie ad Abraamo chiedendogli di avere rapporti con
lei. Ma, rimasta incinta, Agar cominciò a disprezzare la padrona, tanto che Sara se ne lamentò col marito.
“Abramo disse dunque a Sarai: ‘Ecco, la tua serva è a tua disposizione. Falle ciò che è bene ai tuoi
occhi’. Quindi Sarai la umiliava tanto che essa fuggì via da lei”. (Ge 16:1-6) L’angelo di Geova trovò Agar
presso la fonte sulla via di Sur e le ordinò di tornare dalla padrona e di umiliarsi sotto la sua mano. Inoltre
le disse che Geova avrebbe grandemente moltiplicato il suo seme e che il figlio che le sarebbe nato si
doveva chiamare Ismaele. Quando nacque Ismaele Abraamo aveva 86 anni. — Ge 16:7-16.
Anni dopo, quando Abraamo preparò “un grande banchetto il giorno che Isacco fu svezzato” all’età di
cinque anni circa, Sara notò che Ismaele figlio di Agar, ormai 19enne, “si prendeva gioco” di Isacco.
Questo non era un innocente gioco da bambini. Come è sottinteso nel versetto successivo, poteva
trattarsi di scherni per il fatto che Isacco era l’erede. In questa occasione Ismaele manifestò i primi segni
di quello spirito antagonistico che, come aveva predetto l’angelo di Geova, sarebbe stato la sua
caratteristica. (Ge 16:12) Temendo evidentemente per l’avvenire di suo figlio Isacco, Sara chiese ad
Abraamo di scacciare Agar e suo figlio. Questo dispiacque ad Abraamo, che però, ubbidendo a Geova,
acconsentì alla richiesta della moglie. L’indomani mattina di buon’ora congedò Agar col figlio, dandole del
pane e un otre d’acqua. — Ge 21:8-14.
Agar vagò nel deserto di Beer-Seba. “Infine l’acqua si esaurì . . . ed essa gettò il fanciullo sotto uno dei
cespugli”. Il fatto che Ismaele fosse chiamato “fanciullo” non è un anacronismo, perché il termine ebraico
yèledh, qui tradotto “fanciullo” significa anche “giovane”, e così è tradotto in Genesi 4:23. Ismaele venne
gettato sotto un cespuglio, benché fosse stato predetto che sarebbe diventato una “zebra d’uomo”, forse
perché da adolescente non era molto forte. (Ge 16:12) Forse perse le forze per primo e sua madre
dovette sorreggerlo. Ciò non sarebbe inconcepibile, dato che in quei tempi le donne, specie le schiave,
erano abituate a portare pesanti carichi nella vita d’ogni giorno. Sembra che anche Agar poi avesse perso
le forze, tanto che non potendo più sorreggere il figlio fu costretta a depositarlo, forse un po’
bruscamente, al riparo del cespuglio più vicino. Agar stessa si sedette “alla distanza di un tiro d’arco”
(comune espressione ebraica che indica la normale distanza a cui gli arcieri ponevano il bersaglio) da
suo figlio. — Ge 21:14-16.
Allora l’angelo di Dio chiamò Agar, dicendole di non temere perché Ismaele sarebbe diventato una
grande nazione. Inoltre Dio le aprì gli occhi così che vide un pozzo, da cui attinse l’acqua per riempire
l’otre e dar da bere al figlio. “Dio continuò ad essere col ragazzo”, che col tempo divenne un arciere e
“prese a dimorare nel deserto di Paran”. Agar gli trovò moglie nel paese d’Egitto. — Ge 21:17-21.
Secondo l’apostolo Paolo, Agar figurava in un dramma simbolico in cui rappresentava la nazione
dell’Israele carnale, legata a Geova dal patto della Legge inaugurato al monte Sinai, patto che aveva
prodotto “figli per la schiavitù”. A motivo della condizione peccaminosa della popolazione, la nazione fu
incapace di osservare quel patto. Sotto di esso gli israeliti non divennero un popolo libero ma furono
condannati come peccatori meritevoli di morte; quindi erano schiavi. (Gv 8:34; Ro 8:1-3) La
Gerusalemme dei giorni di Paolo corrispondeva ad Agar, poiché essendo la capitale rappresentava
l’organizzazione dell’Israele naturale, e si trovava in schiavitù con i suoi figli. I cristiani generati dallo
spirito sono invece figli della “Gerusalemme di sopra”, la simbolica donna di Dio. Questa Gerusalemme,
come Sara la donna libera, non è mai stata in schiavitù. Ma come Isacco era perseguitato da Ismaele,
così anche i figli della “Gerusalemme di sopra”, resi liberi dal Figlio, erano perseguitati dai figli della
Gerusalemme schiava. Comunque Agar e suo figlio furono scacciati, e ciò indicava che Geova avrebbe
ripudiato l’Israele naturale come nazione. — Gal 4:21-31; vedi anche Gv 8:31-40.

w85 15/3 12-13 Operiamo con l'Organizzatore dell'intero universo


9 In primo luogo qui Geova non stava parlando a un patto. Si stava rivolgendo a una nazione, il suo
popolo eletto, a lui vincolato dal patto della Legge mosaica. Dal punto di vista di Dio quella nazione
formava una “donna” composita, che era per lui come una moglie. Secondo quanto l’apostolo Paolo
scrisse ai galati, quella “donna” simbolica era tipica, ma egli non dice che sia un patto, o un accordo. Un
patto non potrebbe essere confortato o consolato. Paolo mostra, invece, che la “donna” antitipica è
vivente, come una “madre”, proprio come il “proprietario maritale”, Geova, è vivente come Persona,
poiché ha intelletto ed è in grado di confortare. Parlando di donne dell’antichità l’apostolo scrisse: “Ora
questa Agar [la servitrice che si sostituì alla padrona, Sara, per generare Ismaele da Abraamo] significa il
Sinai, un monte dell’Arabia, e [Agar] corrisponde alla Gerusalemme d’oggi [al tempo in cui Paolo era sulla
terra], poiché è in schiavitù [al patto della Legge mosaica] con i suoi figli. Ma la Gerusalemme di sopra è
libera, ed essa è nostra madre”. — Galati 4:25, 26.
La Gerusalemme in schiavitù
10 Agar non raffigura, o non rappresenta, il patto della Legge mosaica. E quel patto, con i suoi Dieci
Comandamenti, nemmeno è simboleggiato dal monte Sinai, al quale corrisponde Agar. Naturalmente Dio
non conclude patti con il monte Sinai. Ma quello fu il luogo in cui portò gli israeliti, che aveva liberato dalla
schiavitù egiziana, in una relazione di patto con lui, e li trattò come nazione libera. Questo avvenne dopo
che Dio aveva concluso unilateralmente un patto con Abraamo, promettendogli un discendente maschio.
11 Quando Mosè, il mediatore del patto della Legge, scese dal monte Sinai, la sua faccia aveva uno
splendore sovrumano, di un’intensità tale da doverla coprire con un velo perché gli israeliti lo potessero
guardare. (II Corinti 3:12-16) Ma sul monte Sinai Mosè non era stato in contatto diretto con Geova, visto
che Dio concluse il patto con gli israeliti tramite un angelo. (Atti 7:37, 38; Ebrei 2:2) In quel modo la
nazione di Israele si assoggettò al patto della Legge. Secoli dopo, però, quel patto fu eliminato, essendo
inchiodato sul palo di tortura di Gesù nel 33 E.V. — Colossesi 2:13, 14.
12 Paolo scrisse che il monte Sinai corrispondeva alla Gerusalemme di sotto del suo giorno.
Naturalmente Gerusalemme non era un patto; era una notevole città dove risiedevano degli ebrei. In
qualità di capitale rappresentava la nazione ed era la “madre” simbolica dei “figli”, vale a dire di tutti i
componenti della nazione ebraica, o israelita. (Matteo 23:37) A Gerusalemme c’era il tempio di Geova, il
Dio con il quale gli israeliti avevano una relazione di patto. Ma a quel tempo il popolo ebraico non aveva
un proprio regno indipendente retto da un discendente del re Davide. Ragion per cui non era libero, ma
schiavo di autorità politiche gentili. Cosa ancor più importante, si trovava in schiavitù religiosa. Solo il
Messia promesso, Gesù Cristo, avrebbe potuto liberarlo sia da quella condizione che dalla schiavitù del
peccato. Ma quella Gerusalemme non accettò Gesù quale Messia e Re e non fu mai liberata. Al
contrario, perì per mano dei romani nel 70 E.V., con il conseguente disastro per i suoi “figli”.

w88 15/2 31 Domande dai lettori


⌡ I servitori di Dio sono tenuti a ‘provvedere ai loro familiari’. Come poté dunque Abraamo mandar
via in quel modo Agar e Ismaele nel deserto?
È sia amorevole che giusto che i servitori di Dio provvedano ai loro familiari bisognosi. Circa i genitori
cristiani, l’apostolo Paolo scrisse: “Certo, se qualcuno non provvede ai suoi, e specialmente a quelli della
sua casa, ha rinnegato la fede ed è peggiore di uno senza fede”. — 1 Timoteo 5:8.
Possiamo essere certi che la condotta di Abraamo non fu contraria allo spirito di questo consiglio ispirato,
poiché egli è additato come esempio di vera fede quale “amico di Geova”. — Giacomo 2:23; Ebrei 11:8-
19.
Dio promise una benedizione attraverso il seme o l’erede di Abraamo. Quando Sara era ormai anziana e
ancora sterile, esortò Abraamo ad avere un figlio da Agar, la sua schiava egiziana. In seguito Agar,
rimasta incinta, cominciò ad agire in maniera così insolente verso di lei che il suo comportamento poté
essere descritto come una “violenza”, cioè un torto commesso con perfidia contro la diletta moglie di
Abraamo. (Esodo 23:1; 2 Samuele 22:49; Salmo 11:5) Abraamo lasciò che Sara disciplinasse Agar, al
che Agar fuggì nel deserto, forse per tornarsene in Egitto. Il racconto non dice che Agar prendesse con
sé delle provviste, per cui forse sapeva di potersi procurare acqua e viveri presso altri accampamenti, ad
esempio presso comunità di beduini. — Genesi 12:1-3, 7; 16:1-6.
Un angelo intervenne e disse ad Agar che doveva tornare a casa, che avrebbe avuto molti discendenti e
che la mano di suo figlio Ismaele ‘sarebbe stata contro tutti’. (Genesi 16:7-12) Non molti anni dopo,
Ismaele mostrò inimicizia nei confronti del giovane Isacco, vero erede di Abraamo nato da Sara. Ismaele
cominciò a ‘prendersi gioco’ di Isacco, maltrattandolo. Questo era più grave di una semplice rivalità tra
fratelli. La Parola di Dio la definisce una ‘persecuzione’ nei confronti del seme promesso da Dio ad
Abraamo. Era quindi necessario un intervento energico. — Genesi 21:1-9; Galati 4:29-31.
Geova disse ad Abraamo di dare ascolto all’opinione della moglie sul da farsi, cioè ‘cacciare Agar e suo
figlio’. Pur essendo dispiaciuto alla prospettiva che Agar se ne andasse con suo figlio, Abraamo provvide
loro il necessario in senso materiale. Forse a differenza della volta precedente in cui era andata nel
deserto, questa volta Agar partì con una scorta di pane (cosa che forse includeva vari alimenti) e acqua
provveduta da Abraamo. Evidentemente Agar si perse in qualche punto del “deserto di Beer-Seba”, e le
sue provviste si esaurirono prima di arrivare a uno dei pozzi della zona. La sua difficile situazione non era
però attribuibile ad Abraamo, in quanto egli aveva ‘provveduto ai suoi’ pur essendo costretto a mandarli
via di casa a motivo di una condotta errata. — Genesi 21:10-21.
[Cartina/Foto a pagina 31]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
[Referenza fotografica]
Da una cartina di proprietà del Pictorial Archive (Near Eastern History) Est. and Survey of Israel
[Foto]
Wadi Zin, valle di un fiume asciutto a sud di Beer-Seba
Aggeo — Tema: Perseverate nel compiere la volontà di Dio MATTEO 24:13

it-1 75-6 Aggeo


AGGEO
(Aggèo) [[nato di] festa].
Profeta ebreo in Giuda e Gerusalemme nel periodo in cui Zorobabele era governatore durante il regno
del re persiano Dario I figlio d’Istaspe. — Ag 1:1; 2:1, 10, 20; Esd 5:1, 2.
Secondo la tradizione ebraica Aggeo faceva parte della Grande Sinagoga. Aggeo 2:10-19 farebbe
pensare che fosse un sacerdote. Il suo nome compare insieme a quello del profeta Zaccaria nelle
soprascritte del Salmo 111 (112) nella Vulgata latina, dei Salmi 125 e 126 nella Pescitta siriaca, Salmo
145 nella Settanta greca, nella Pescitta e nella Vulgata, e Salmi 146, 147 e 148 nella Settanta e nella
Pescitta. Probabilmente Aggeo era nato in Babilonia e nel 537 a.E.V. era tornato a Gerusalemme con
Zorobabele e il rimanente ebraico. Purtroppo si sa ben poco di questo profeta, perché le Scritture non ne
rivelano la paternità, la tribù, ecc.
Aggeo fu il primo profeta postesilico, a cui due mesi più tardi si unì Zaccaria. (Ag 1:1; Zac 1:1) La
costruzione del tempio aveva subìto un’interruzione, provocata dall’opposizione nemica ma protrattasi per
alcuni anni a motivo dell’apatia degli ebrei, intenti a soddisfare egoistici interessi personali. Aggeo
riaccese lo zelo degli ebrei rimpatriati dall’esilio affinché riprendessero la costruzione del tempio. (Esd
3:10-13; 4:1-24; Ag 1:4) I quattro messaggi di Dio, pronunciati da Aggeo in un periodo di circa quattro
mesi nel secondo anno di Dario I figlio d’Istaspe (520 a.E.V.) e messi per iscritto dal profeta nell’omonimo
libro biblico, furono particolarmente efficaci per indurre gli ebrei a riprendere la costruzione del tempio.
(Ag 1:1; 2:1, 10, 20; vedi AGGEO, LIBRO DI). Aggeo e Zaccaria continuarono a esortarli a proseguire i
lavori finché il tempio non fu ultimato verso la fine del sesto anno di Dario, il 515 a.E.V. — Esd 5:1, 2;
6:14, 15.

w97 1/1 6-11 Tutti glorifichino Geova!


Tutti glorifichino Geova!
“Nella regione della luce devono glorificare Geova”. — ISAIA 24:15.
GEOVA, l’illustre nome di Dio! I fedeli profeti dell’antichità si rallegrarono grandemente di parlare in
questo nome! Glorificarono con esultanza il loro Sovrano Signore, Geova, nome che lo identifica come
Colui che fa ciò che si propone. (Isaia 40:5; Geremia 10:6, 10; Ezechiele 36:23) Anche i cosiddetti profeti
minori diedero gloria a Geova in modo molto espressivo. Uno fu Aggeo. Nel libro di Aggeo, formato di soli
38 versetti, il nome di Dio ricorre 35 volte. Questa profezia sembra priva di vita se si sostituisce il prezioso
nome Geova con il titolo “Signore”, come lo rendono gli apostoli sopraffini della cristianità nelle loro
traduzioni della Bibbia. — Confronta 2 Corinti 11:5.
2 In Isaia 12:2 viene usata una forma doppia del nome. Il profeta dichiara: “Ecco, Dio è la mia salvezza.
Confiderò e non avrò terrore; poiché Iah Geova è la mia forza e la mia potenza, ed è stato per me la
salvezza”. (Vedi anche Isaia 26:4). Pertanto circa 200 anni prima della liberazione di Israele dalla
schiavitù di Babilonia, Iah Geova assicurò mediante il suo profeta Isaia che avrebbe salvato il suo popolo
con la sua potenza. La schiavitù doveva durare dal 607 al 537 a.E.V. Isaia scrisse pure: “Io, Geova,
faccio ogni cosa . . . Colui che dice di Ciro: ‘È il mio pastore, e tutto ciò di cui mi diletto adempirà
completamente’; perfino nel mio dire di Gerusalemme: ‘Sarà riedificata’, e del tempio: ‘Saranno gettate le
tue fondamenta’”. Chi era questo Ciro? Niente meno che Ciro re di Persia, che conquistò Babilonia nel
539 a.E.V. — Isaia 44:24, 28.
3 Adempiendo le parole di Geova messe per iscritto da Isaia, Ciro emanò un decreto relativo al popolo
d’Israele prigioniero: “Chiunque fra voi è di tutto il suo popolo, il suo Dio sia con lui. Salga dunque a
Gerusalemme, che è in Giuda, e riedifichi la casa di Geova l’Iddio d’Israele — egli è il vero Dio — la quale
era a Gerusalemme”. Un rimanente ebraico traboccante di felicità, insieme ai non israeliti netinei e ai figli
dei servitori di Salomone tornò a Gerusalemme. Vi arrivò in tempo per celebrare la festa delle capanne
nel 537 a.E.V. e offrire sacrifici a Geova sul suo altare. L’anno seguente, nel secondo mese, furono poste
le fondamenta del secondo tempio, fra alte urla di gioia e di lode a Geova. — Esdra 1:1-4; 2:1, 2, 43, 55;
3:1-6, 8, 10-13.
4 La profezia di Geova sulla restaurazione doveva adempiersi gloriosamente in Israele: “Il deserto e la
regione arida esulteranno, e la pianura desertica gioirà e fiorirà come lo zafferano. . . . Là saranno quelli
che vedranno la gloria di Geova, lo splendore del nostro Dio”. “Andrete con allegrezza, e sarete condotti
con pace. I monti e i colli stessi si rallegreranno davanti a voi con grida di gioia . . . E deve divenire per
Geova qualcosa di famoso, un segno a tempo indefinito che non sarà stroncato”. — Isaia 35:1, 2; 55:12,
13.
5 Quella gioia, tuttavia, fu di breve durata. I popoli vicini proposero un’alleanza “interconfessionale” per la
costruzione del tempio. Dapprima gli ebrei tennero duro, dicendo: “Voi non avete nulla a che fare con noi
nell’edificare una casa al nostro Dio, poiché noi stessi, insieme, edificheremo a Geova l’Iddio d’Israele,
proprio come ci ha comandato il re Ciro, re di Persia”. Allora i vicini divennero forti oppositori.
‘Indebolivano di continuo le mani del popolo di Giuda e lo scoraggiavano dall’edificare’. Presentarono
anche la situazione sotto falsa luce ad Artaserse, il successore di Ciro, il quale emanò un ordine che
vietava la costruzione del tempio. (Esdra 4:1-24) Per 17 anni i lavori rimasero fermi. Purtroppo in quel
periodo gli ebrei adottarono un modo di vivere materialistico.
Parla “Geova degli eserciti”
6 Anche in quelle condizioni Geova manifestò ‘la sua forza e la sua potenza’ a favore di Israele
mandando profeti, in particolare Aggeo e Zaccaria, perché gli ebrei si rendessero conto delle loro
responsabilità. Il nome Aggeo ha a che fare con la festa, perché pare significhi “nato di festa”. Egli
cominciò a profetizzare il primo giorno del sesto mese, poco prima della festa delle capanne, quando gli
ebrei ‘non dovevano essere che gioiosi’. (Deuteronomio 16:15) Geova, per mezzo di Aggeo, pronunciò
quattro messaggi in un periodo di 112 giorni. — Aggeo 1:1; 2:1, 10, 20.
7 Introducendo la sua profezia, Aggeo disse: “Geova degli eserciti ha detto questo”. (Aggeo 1:2a) Chi
potrebbero essere questi “eserciti”? Sono le schiere angeliche di Geova, che a volte la Bibbia chiama
forze militari. (Giobbe 1:6; 2:1; Salmo 103:20, 21; Matteo 26:53) Per noi oggi non è incoraggiante sapere
che il Sovrano Signore Geova stesso impiega queste invincibili forze celesti per dirigere la nostra opera di
ripristinare la vera adorazione sulla terra? — Confronta 2 Re 6:15-17.
8 Qual era il contenuto del primo messaggio di Aggeo? Il popolo aveva detto: “Il tempo non è venuto, il
tempo della casa di Geova, perché sia edificata”. La costruzione del tempio, che rappresentava il
ripristino dell’adorazione divina, non era più la loro prima preoccupazione. Si erano messi a costruire
dimore sontuose per se stessi. A causa del modo di pensare materialistico il loro entusiasmo per
l’adorazione di Geova era diminuito. Di conseguenza egli aveva ritirato la sua benedizione. I loro campi
non producevano più ed essi non avevano indumenti per il rigido inverno. Il guadagno era diventato
scarso, ed era come se mettessero denaro in una borsa piena di buchi. — Aggeo 1:2b-6.
9 Per due volte Geova rivolse loro questa energica esortazione: “Ponete il cuore alle vostre vie”.
Evidentemente Zorobabele, il governatore di Gerusalemme, e il sommo sacerdote Giosuè risposero
all’invito e coraggiosamente esortarono tutto il popolo ad ascoltare “la voce di Geova loro Dio, e le parole
di Aggeo il profeta, in quanto Geova loro Dio l’aveva mandato; e il popolo temeva a causa di Geova”.
Inoltre, “Aggeo il messaggero di Geova continuò a dire al popolo secondo la missione del messaggero di
Geova, dicendo: ‘“Io sono con voi”, è l’espressione di Geova’”. — Aggeo 1:5, 7-14.
10 Alcuni dei più vecchi a Gerusalemme avrebbero potuto considerare la gloria del tempio ricostruito
“nulla” in paragone con quella del tempio precedente. Tuttavia, circa 51 giorni dopo, Geova spinse Aggeo
a dichiarare un secondo messaggio. Egli proclamò: “‘Sii forte, o Zorobabele’, è l’espressione di Geova, ‘e
sii forte, o Giosuè figlio di Iozadac, sommo sacerdote. E sii forte, popolo tutto del paese’, è l’espressione
di Geova, ‘e lavorate. Poiché io sono con voi’, è l’espressione di Geova degli eserciti. . . . ‘Non abbiate
timore’”. Geova, che a tempo debito avrebbe impiegato la sua onnipotenza per ‘scrollare cielo e terra’,
fece in modo che l’opposizione venisse totalmente superata, perfino un divieto imperiale. Nel giro di
cinque anni la costruzione del tempio fu coronata dal successo. — Aggeo 2:3-6.
11 Si adempì allora una sorprendente promessa: “‘Le cose desiderabili di tutte le nazioni dovranno venire;
e certamente riempirò questa casa di gloria’, ha detto Geova degli eserciti”. (Aggeo 2:7) Quelle “cose
desiderabili” erano i non israeliti che andavano ad adorare in quel tempio, che rifletteva la gloria della Sua
maestosa presenza. Com’era questo tempio ricostruito in paragone con quello costruito ai giorni di
Salomone? Il profeta di Dio dichiarò: “‘La gloria di quest’ultima casa diverrà più grande di quella della
casa precedente’, ha detto Geova degli eserciti”. (Aggeo 2:9) Nel primo adempimento della profezia il
tempio ricostruito durò più a lungo della prima casa. Era ancora in piedi nel 29 E.V., quando comparve il
Messia. Inoltre, prima che i suoi nemici apostati lo facessero uccidere nel 33 E.V., il Messia stesso recò
gloria ad esso quando vi predicò la verità.
12 Il primo e il secondo tempio di Gerusalemme servirono a uno scopo essenziale prefigurando importanti
aspetti del servizio sacerdotale del Messia e tenendo viva la pura adorazione di Geova sulla terra sino
all’effettiva comparsa del Messia. — Ebrei 10:1.
Il glorioso tempio spirituale
13 La profezia di restaurazione pronunciata da Aggeo ha forse un significato speciale per i tempi
successivi? Certo! Il ricostruito tempio di Gerusalemme divenne il centro di tutta la vera adorazione sulla
terra. Ma prefigurava un tempio spirituale molto più glorioso. Esso cominciò a operare nel 29 E.V. quando
Geova, al battesimo di Gesù nel Giordano, lo unse quale Sommo Sacerdote e lo spirito santo scese
come una colomba su di lui. (Matteo 3:16) Dopo avere portato a termine il suo ministero terreno con una
morte di sacrificio, Gesù fu risuscitato e salì in cielo, raffigurato dal Santissimo del tempio, dove presentò
a Geova il valore del suo sacrificio. Questo servì da riscatto, coprendo i peccati dei suoi discepoli, e aprì
la strada perché il giorno di Pentecoste del 33 E.V. venissero unti come sottosacerdoti nel tempio
spirituale di Geova. Il fedele ministero da essi svolto nel cortile del tempio sulla terra fino alla loro morte
avrebbe fatto ottenere loro una futura risurrezione celeste, per continuare il servizio sacerdotale.
14 Migliaia di ebrei — e in seguito di gentili — pentiti affluirono in quella congregazione cristiana e
cominciarono a dichiarare anch’essi la buona notizia del futuro dominio del Regno di Dio sulla terra. Dopo
circa 30 anni, l’apostolo Paolo poté dire che la buona notizia era stata “predicata in tutta la creazione che
è sotto il cielo”. (Colossesi 1:23) Ma dopo la morte degli apostoli ebbe inizio una grande apostasia, e la
luce della verità cominciò a tremolare. Il vero cristianesimo fu eclissato dal settarismo della cristianità,
basato su filosofie e insegnamenti pagani. — Atti 20:29, 30.
15 Passarono secoli. Poi, negli anni ’70 del secolo scorso, un gruppo di cristiani sinceri intraprese uno
studio approfondito della Bibbia. In base alle Scritture poterono additare il 1914 come anno che segnava
il termine dei “tempi fissati delle nazioni”. Fu allora che sette “tempi” simbolici (2.520 anni di bestiale
dominio umano) terminarono con l’intronizzazione in cielo di Cristo Gesù, Colui che ha “il diritto legale” di
Re messianico della terra. (Luca 21:24; Daniele 4:25; Ezechiele 21:26, 27) In particolare dal 1919 in poi
questi Studenti Biblici, noti oggi col nome di Testimoni di Geova, si sono impegnati per diffondere
energicamente in tutta la terra la buona notizia del veniente Regno. Fu nel 1919 che alcune migliaia di
loro risposero all’invito all’azione rivolto in occasione dell’assemblea di Cedar Point, nell’Ohio (USA). Il
loro numero crebbe fino al 1935 quando fecero rapporto di servizio di campo 56.153 proclamatori.
Quell’anno 52.465 avevano preso gli emblemi del pane e del vino alla Commemorazione annuale della
morte di Gesù, simboleggiando così la loro speranza di divenire sacerdoti con Cristo Gesù nella parte
celeste del grande tempio spirituale di Geova. Presteranno servizio con lui anche come re associati nel
suo Regno messianico. — Luca 22:29, 30; Romani 8:15-17.
16 Tuttavia Rivelazione (Apocalisse) 7:4-8⇒;⇐ e 14:1-4 mostra che il numero totale di questi cristiani unti
è limitato a 144.000, e molti di essi furono radunati nel I secolo prima che iniziasse la grande apostasia.
Dalla fine del XIX secolo e poi nel XX, Geova ha radunato un gruppo di persone che sono purificate
dall’acqua della sua Parola, dichiarate giuste mediante la fede nel sacrificio espiatorio di Gesù e
suggellate infine come cristiani unti per completare il numero dei 144.000.
17 Cosa deve avvenire una volta che l’intero numero degli unti è stato scelto? Nel 1935, a un’assemblea
storica tenuta nella città di Washington (USA), fu reso noto che la “grande folla” di Rivelazione 7:9-17 era
un gruppo che doveva essere riconosciuto “dopo” i 144.000 e il cui destino è la vita eterna su una terra
paradisiaca. Dopo avere identificato chiaramente l’unto Gesù, Giovanni il Battezzatore, che verrà
risuscitato sulla terra come una delle “altre pecore”, disse del Messia: “Egli deve continuare a crescere,
ma io devo continuare a diminuire”. (Giovanni 1:29; 3:30; 10:16; Matteo 11:11) L’opera di Giovanni il
Battezzatore di preparare discepoli per il Messia stava terminando quando Gesù cominciò a scegliere un
crescente numero di persone che avrebbero fatto parte dei 144.000. Negli anni ’30 avvenne il contrario.
Meno persone venivano ‘chiamate ed elette’ per far parte dei 144.000 mentre cominciavano ad
aumentare enormemente i componenti della “grande folla” di “altre pecore”. Questa grande folla continua
a moltiplicarsi mentre si avvicina la fine del malvagio sistema mondiale che avrà luogo ad Armaghedon.
— Rivelazione 17:14b.
18 Al principio degli anni ’20 un importante discorso pubblico pronunciato dai testimoni di Geova a cui
venne fatta molta pubblicità era intitolato “Milioni ora viventi non morranno mai”. A quel tempo una
dichiarazione del genere può essere stata presa come segno di ottimismo esagerato. Ma oggi si può fare
questa dichiarazione con piena fiducia. Sia la crescente luce sulla profezia biblica che lo stato di anarchia
in cui versa questo mondo morente sono la chiara prova che la fine del sistema di Satana è molto, molto
vicina! Il rapporto della Commemorazione del 1996 mostra che i presenti sono stati 12.921.933, dei quali
solo 8.757 (0,068 per cento) hanno indicato di avere la speranza celeste prendendo gli emblemi. Il
ripristino della vera adorazione sta per essere completato. Ma continuiamo l’opera senza mai rallentare.
Sì, Aggeo 2:4 dice: “‘Sii forte, popolo tutto del paese’, è l’espressione di Geova, ‘e lavorate. Poiché io
sono con voi’, è l’espressione di Geova degli eserciti”. Non permettiamo che tracce di materialismo o di
mondanità raffreddino il nostro zelo per l’opera di Geova. — 1 Giovanni 2:15-17.
19 Abbiamo il gioioso privilegio di partecipare all’adempimento moderno di Aggeo 2:6, 7: “Geova degli
eserciti ha detto questo: ‘Ancora una volta — fra poco — e scrollerò i cieli e la terra e il mare e il suolo
asciutto. E certamente scrollerò tutte le nazioni, e le cose desiderabili di tutte le nazioni dovranno venire;
e certamente riempirò questa casa di gloria’, ha detto Geova degli eserciti”. Nel nostro secolo in tutto il
mondo sono molto diffusi avidità, corruzione e odio. Questo mondo è davvero nei suoi ultimi giorni e
Geova ha già cominciato a ‘scrollarlo’ facendo ‘proclamare il suo giorno di vendetta’ dai suoi Testimoni.
(Isaia 61:2) Questo scrollamento preliminare culminerà con la distruzione del mondo ad Armaghedon, ma
prima che ciò avvenga Geova raduna per il suo servizio “le cose desiderabili di tutte le nazioni”, le
persone mansuete della terra, paragonate a pecore. (Giovanni 6:44) Questa “grande folla” ora ‘rende
sacro servizio’ nel cortile terreno della sua casa di adorazione. — Rivelazione 7:9, 15.
20 Chi serve nel tempio spirituale di Geova ottiene un guadagno più prezioso di qualsiasi tesoro
materiale. (Proverbi 2:1-6; 3:13, 14; Matteo 6:19-21) Inoltre Aggeo 2:9 dichiara: “‘La gloria di quest’ultima
casa diverrà più grande di quella della casa precedente’, ha detto Geova degli eserciti. ‘E in questo luogo
darò pace’, è l’espressione di Geova degli eserciti”. Cosa significano oggi per noi queste parole? Il
prossimo articolo ce lo dirà.
[Note in calce]
L’espressione “Iah Geova” si usa per dare speciale enfasi. Vedi Perspicacia nello studio delle Scritture,
volume 1, it-1 pagine 1230-31.
Iesua in Esdra e in altri libri biblici.
[Figura a pagina 7]
Gli eserciti celesti di Geova dirigono e sostengono i suoi Testimoni sulla terra
Ahitofel — Tema: Geova frustra le trame dei traditori SALMO 59:5

it-1 81 Ahitofel
AHITOFEL
(Ahìtofel).
Nativo di Ghilo sulle colline di Giuda (2Sa 15:12), padre di uno degli uomini potenti di Davide di nome
Eliam, e forse nonno di Betsabea. (2Sa 11:3; 23:34) I sagaci consigli di Ahitofel, consigliere personale di
Davide, erano stimati come se fossero la diretta parola di Geova. (2Sa 16:23) In seguito, pur essendo
stato intimo amico di Davide, divenne traditore e si unì ad Absalom, figlio di Davide, nell’insurrezione
contro il re. Essendo fra i promotori della rivolta, consigliò ad Absalom di violare le concubine di Davide, e
chiese il permesso di radunare un esercito di 12.000 uomini per dare immediatamente la caccia a Davide
e ucciderlo mentre era ancora debole e disorganizzato. (2Sa 15:31; 16:15, 21; 17:1-4) Quando Geova
sventò questo piano ben architettato, e venne seguito il consiglio di Husai, Ahitofel evidentemente si rese
conto che la ribellione di Absalom sarebbe fallita. (2Sa 15:32-34; 17:5-14) Si suicidò e fu sepolto con i
suoi antenati. (2Sa 17:23) Tranne che in tempo di guerra, questo è l’unico caso di suicidio menzionato
nelle Scritture Ebraiche. Il suo tradimento a quanto pare è ricordato nel Salmo 55:12-14.

w96 1/4 29-30 Gettate sempre il vostro peso su Geova


Quando ci si sente traditi
Questo ci fa venire in mente l’episodio che spinse Davide a scrivere il Salmo 55. Era sottoposto a grande
tensione emotiva. “Il mio medesimo cuore è in penoso dolore dentro di me”, scrisse, “e su di me sono
caduti gli spaventi della morte stessa”. (Salmo 55:4) Perché soffriva così? Absalom, suo figlio, aveva
cercato di usurpare il trono del padre. (2 Samuele 15:1-6) Essere tradito dal proprio figlio era già difficile
da accettare, ma a peggiorare la situazione il più fidato consigliere di Davide, un uomo di nome Ahitofel,
si era unito alla cospirazione contro di lui. È di Ahitofel che Davide parla in Salmo 55:12-14. A causa della
cospirazione e del tradimento, Davide fu costretto a fuggire da Gerusalemme. (2 Samuele 15:13, 14) Che
angoscia dovette provare!
Nonostante ciò, Davide non permise che la forte emozione e il dolore indebolissero la sua fiducia in
Geova. Pregò Geova di frustrare i piani dei cospiratori. (2 Samuele 15:30, 31) Ancora una volta notiamo
che Davide non attese con le mani in mano che facesse tutto Geova. Non appena ne ebbe l’opportunità,
fece il possibile per sventare la cospirazione ordita contro di lui. Rimandò a Gerusalemme un altro suo
consigliere, Husai, perché si fingesse favorevole alla cospirazione, mentre in realtà andava per frustrarla.
(2 Samuele 15:32-34) Con l’aiuto di Geova il piano funzionò. Husai riuscì a guadagnare abbastanza
tempo da permettere a Davide di raggruppare le proprie forze e organizzare la resistenza. — 2 Samuele
17:14.
Per tutta la vita Davide deve aver apprezzato moltissimo la cura protettiva di Geova e anche la sua
pazienza e prontezza a perdonare. (Salmo 34:18, 19; 51:17) È per questo che Davide ci incoraggia a
chiedere aiuto a Geova con fiducia nei momenti difficili, a ‘gettare il nostro peso su Geova’. — Confronta
1 Pietro 5:6, 7.
Aman — Tema: Orgoglio e odio contraddistinguono i figli del Diavolo 1° GIOVANNI 3:10-12

it-1 104-5 Aman


AMAN
(Àman).
Figlio di Ammedata l’agaghita. Il titolo “agaghita” può indicare che Aman era un amalechita di stirpe reale.
(Est 3:1; vedi AGAG n. 1; AGAGHITA). In effetti, se Aman era amalechita, ciò di per sé avrebbe spiegato
la ragione di tanto odio verso gli ebrei, perché Geova aveva decretato il completo sterminio degli
amalechiti. (Eso 17:14-16) Questo perché avevano manifestato di odiare Dio e il suo popolo, gli israeliti,
prendendo l’iniziativa di attaccarli mentre erano in viaggio nel deserto. — Eso 17:8.
Aman era al servizio di Assuero (Serse I) re di Persia che regnò all’inizio del V secolo a.E.V. Aman era
molto stimato e divenne primo ministro dell’impero persiano. Adirato perché l’ebreo Mardocheo si era
rifiutato di inchinarsi davanti a lui, Aman tramò per annientare lui e tutti gli ebrei dell’impero. Descrisse gli
ebrei come persone pericolose per lo stato, violatori della legge, che avevano leggi “diverse da quelle di
tutti gli altri popoli”. Fece inoltre un’offerta di natura economica dicendo al re: “Si scriva che siano distrutti;
e io pagherò diecimila talenti d’argento [ca. 102.600.000.000 di lire] nelle mani di quelli che fanno il lavoro
portandoli nel tesoro del re”. Il re diede ad Aman il suo anello con sigillo e rispose: “L’argento è dato a te,
nonché il popolo, per farne ciò che è bene ai tuoi propri occhi”. — Est 3:1-11.
Aman era gonfio d’orgoglio per aver ricevuto dal re l’autorità di emanare un decreto che autorizzava lo
sterminio degli ebrei e il saccheggio dei loro beni, e anche per essere stato in seguito invitato a due
banchetti offerti dalla regina Ester. (Est 3:12, 13; 5:4-12) Ma proprio quando pensava di essere sul punto
di realizzare la sua massima ambizione, la situazione si capovolse. Aman, che si aspettava
egoisticamente di essere esaltato, subì una cocente umiliazione quando il re gli ordinò di tenere una
cerimonia pubblica in onore dell’odiato Mardocheo, il quale in precedenza aveva scoperto un complotto
contro la vita del re. (Est 6:1-12; 2:21-23) I saggi di Aman e sua moglie videro in questo un presagio che
l’ebreo Mardocheo avrebbe avuto la meglio su di lui. — Est 6:13.
Il declino di Aman giunse a un tragico epilogo durante il secondo banchetto speciale offerto dalla regina
Ester, cugina di Mardocheo. (Est 2:7) Con coraggio, alla presenza di Aman, essa fece appello al re.
Rivelò all’attonito sovrano che i suoi stessi interessi erano minacciati; infatti la vita di sua moglie era in
pericolo a motivo di un feroce complotto. Mentre l’ira del re cresceva, Ester dichiarò con franchezza che il
vile cospiratore era “questo empio Aman”, il primo ministro ora in preda al terrore. (Est 7:1-6) Quindi il re
ordinò che Aman fosse impiccato al palo alto 22 m che egli stesso aveva preparato per impiccarvi
Mardocheo. (Est 7:7-10) La casa di Aman fu data a Ester (Est 8:7), mentre Mardocheo divenne primo
ministro e fu autorizzato a concedere agli ebrei la possibilità di difendersi. (Est 8:2, 10-15) Avendo due
giorni per vendicarsi dei loro nemici, gli ebrei riportarono una schiacciante vittoria, uccidendone oltre
75.000. I dieci figli di Aman furono uccisi e l’indomani furono appesi al palo ed esposti a pubblica infamia.
— Est 9:1-17; vedi ESTER; ESTER, LIBRO DI; MARDOCHEO n. 2; PURIM.
Aman aveva manifestato le caratteristiche degli amalechiti. Ovviamente adorava falsi dèi, e forse era
ricorso agli astrologi per tirare a sorte il giorno propizio per lo sterminio degli ebrei. (Est 3:7; vedi
SORTE). Le sue erano “opere della carne” poiché praticava idolatria e spiritismo, nutriva odio omicida
verso gli ebrei e aveva uno spirito orgoglioso, superbo, egoistico, accompagnato da estrema gelosia e
invidia, specie verso i servitori di Dio. (Gal 5:19-21) Era bugiardo e disonesto (Est 3:8), e quando i suoi
piani furono sventati e si vide condannato dimostrò di essere un abietto codardo. (Est 7:6-8) Così rivelò di
essere un servitore dell’Avversario di Dio, il Diavolo, secondo il principio di Romani 6:16.

w79 15/9 15-17 Una donna giudiziosa manifesta il suo altruismo


LEALE, MA SENZA COMPROMESSI
15 Ester è sempre in contatto con Mardocheo e continua a seguirne le istruzioni. Mentre egli siede alla
porta del re, Bigtan e Teres, funzionari di corte (che pare montassero la guardia alla porta
dell’appartamento privato del re), si indignano contro Assuero e cercano l’occasione per mettergli le mani
addosso. Appreso il complotto, Mardocheo ne informa immediatamente Ester, che parla al re in nome di
Mardocheo. Le sue dichiarazioni fanno aprire un’inchiesta. Presto i due traditori vengono giustiziati e i
loro cadaveri sono pubblicamente esposti su un palo in quanto colpevoli di lesa maestà. Sebbene
Mardocheo non venga ricompensato, il suo gesto di lealtà viene scritto nel libro dei fatti del giorno. — Est.
2:21-23.
16 Benché Mardocheo sia leale e abbia il dovuto riguardo per l’autorità governativa, non è disposto al
compromesso. Passa il tempo e per qualche ragione Assuero nomina primo ministro un certo ricco di
nome Aman. Inoltre, per ordine del re, tutti i servitori del sovrano che stanno alla porta del palazzo si
inchinano e si prostrano davanti ad Aman. Ma guardate Mardocheo! Continua a rifiutarsi decisamente di
prostrarsi dinanzi al nuovo primo ministro. Questo fatto manda Aman su tutte le furie. — Est. 3:1-5.
17 Perché Mardocheo ha assunto tale atteggiamento risoluto? Ebbene, Aman è un agaghita,
probabilmente un amalechita di discendenza reale. Geova aveva decretato lo sterminio finale degli
amalechiti perché avevano mostrato odio verso Dio e verso il suo popolo attaccando gli israeliti nel
deserto. (Eso. 17:8, 14-16; Deut. 25:17-19; 1 Sam. 15:1-33) Ecco perché il devoto Mardocheo è
irremovibile nel suo rifiuto di prostrarsi davanti ad Aman. L’inchinarsi sarebbe indice non solo di rispetto,
ma anche di pace e forse di omaggio verso questo amalechita. Mardocheo si mostra inflessibile perché si
tratta di mantenere l’integrità verso Dio.
18 L’adirato Aman comincia a cercare l’occasione propizia per annientare sia Mardocheo che il suo
popolo, i giudei di tutto l’impero. A tal fine, durante il mese di nisan, primo mese del dodicesimo anno di
Assuero, l’agaghita senza scrupoli ricorre alla divinazione. Davanti a lui ‘qualcuno [evidentemente un
astrologo] getta il Pur, cioè la Sorte’. Questo vien fatto allo scopo di determinare il giorno più propizio per
sterminare il popolo di Geova. — Est. 3:6, 7.
19 Ora Aman, parlando al re Assuero, mette in cattiva luce i giudei dipingendoli come gente indesiderabile
che viola le leggi. Aggiungendo un incentivo economico, l’agaghita dice: “Si scriva che siano distrutti; e io
pagherò diecimila talenti d’argento [un valore di miliardi di lire] nelle mani di quelli che fanno il lavoro
portandolo nel tesoro del re”. — Est. 3:8, 9.
20 Assuero dà peso alle false accuse? Sì, ci crede. Il re si sfila l’anello del sigillo, usato per autenticare i
documenti ufficiali, e lo dà ad Aman. “L’argento è dato a te, nonché il popolo, per farne ciò che è bene ai
tuoi propri occhi”, dice il governante persiano. Ben presto, sotto la guida di Aman, i segretari reali sono
impegnati a scrivere lettere contenenti un decreto che ordina la distruzione dei giudei. Il malvagio
agaghita usa l’anello del sigillo che reca l’emblema caratteristico del sovrano. Aman imprime l’anello nella
cera o in qualche altra sostanza soffice su questi documenti e così li autentica. — Est. 3:10-12.
21 Le lettere sono presto in mano ai corrieri, che impiegano veloci cavalli da posta. Il decreto, pubblicato
in varie lingue e diffuso in tutto l’impero, autorizza ad annientare i giudei e a saccheggiarne i beni.
Quando? Il tredicesimo giorno del mese invernale di adar (febbraio-marzo). È quindi comprensibile che
mentre Assuero e Aman siedono e bevono, la città di Susan, dove risiedono molti giudei, sia in
confusione. — Est. 3:13-15; 9:18.
TEMPO DI MOSTRARE CORAGGIO
22 Appena Mardocheo viene a sapere del piano di genocidio, si strappa le vesti, indossa un ruvido sacco
e si cosparge di ceneri in segno di lutto, e grida amaramente e ad alta voce. In maniera simile, la calamità
incombente induce i giudei di tutti i distretti giurisdizionali a fare gran lutto. Inoltre digiunano e senza
dubbio levano molte preghiere a Geova Dio. — Est. 4:1-3.
23 Anche Ester è profondamente addolorata. Manda degli abiti a Mardocheo perché si tolga il sacco, ma
egli non li accetta. In risposta a una domanda, egli manda alla regina una copia della legge appena
emanata e le ordina di andare davanti al re per implorare favore per il suo popolo. Cosa risponde Ester?
‘Tutti sanno che qualsiasi uomo o donna entri dal re senza essere stato chiamato viene messo a morte.
Solo se il re stende lo scettro d’oro la persona resta in vita. In quanto a me, sono ormai trenta giorni che
non vengo chiamata dinanzi a lui’. (Est. 4:4-11) Sì, Ester perderebbe la vita, a meno che il re Assuero
non ne approvi specificamente la presenza stendendo verso di lei il suo scettro, simbolo dell’autorità
reale. Richiede certo coraggio e fede in Geova andare dinanzi al sovrano senza essere stata invitata.
24 Ciò nondimeno, Mardocheo risponde: “Non pensare nella tua propria anima che la casa del re
scamperà più di tutti gli altri Giudei. Poiché se in questo tempo tu del tutto tacerai, sollievo e liberazione
stessi si leveranno per i Giudei da un altro luogo, ma in quanto a te e alla casa di tuo padre, perirete. E
chi sa se è per un tempo come questo che sei pervenuta alla dignità reale?”. (Est. 4:12-14) Mardocheo
ha fede che Ester è assurta alla dignità reale proprio in questo tempo per uno scopo speciale: la
liberazione del popolo di Dio. Ma in quanto a lei, mostrerà altruismo, fede e coraggio?
25 In risposta, Ester esorta Mardocheo a radunare tutti i giudei a Susan perché digiunino a suo favore.
‘Anch’io digiunerò’, dice, “e dopo ciò entrerò dal re, il che non è secondo la legge; e nel caso che io
debba perire, devo perire”. Ester sta per rischiare la sua stessa vita, ma questa donna giudiziosa è decisa
ad agire con coraggio e altruismo a favore del suo popolo. Ecco dunque che Ester, Mardocheo e i giudei
a Susan pregano e digiunano e confidano in Geova Dio per essere liberati. — Est. 4:15-17.
26 Anche nei tempi moderni i seguaci di Gesù Cristo unti con lo spirito, che sono giudei spirituali, e i loro
compagni devono coraggiosamente affrontare prove e nemici. (Rom. 2:28, 29) Il re dominante, Gesù
Cristo, può permettere ai nemici di giungere al limite dei loro tentativi di distruggere il popolo di Dio.
Com’è essenziale quindi che gli unti cristiani e i loro dedicati compagni agiscano con coraggio, pregando
per avere da Dio saggezza e manifestando fede vittoriosa! Ma in quanto a Geova, continuerà a sostenere
il suo popolo? Giudicatelo da voi, mentre continuiamo ad osservare il drammatico susseguirsi degli
avvenimenti del giorno di Ester.
[Figura a pagina 13]
“E nel caso che io debba perire, devo perire”. — Ester 4:16.

w79 15/9 17-22 Geova non abbandona il suo popolo


Geova non abbandona il suo popolo
“Geova non abbandonerà il suo popolo, né lascerà la sua propria eredità”. — Sal. 94:14.
GEOVA “non abbandonerà il suo popolo per amore del suo gran nome”. Così si era espresso il profeta
Samuele. In maniera simile, il salmista aveva dichiarato: “Geova non abbandonerà il suo popolo, né
lascerà la sua propria eredità”. — 1 Sam. 12:22, Nardoni; Sal. 94:14.
2 Avete personalmente fiducia in queste parole? Potevano esser certi Ester, Mardocheo e i giudei del loro
giorno che Geova non avrebbe abbandonato il suo popolo? Vedremo.
FIDUCIA IN GEOVA E AZIONE
3 Ora è il terzo giorno da che gli angosciati giudei dell’impero persiano hanno cominciato a digiunare e
pregare Geova. La coraggiosa e altruista regina Ester si è vestita in abiti regali e, senza essere stata
invitata, sta in piedi nel cortile interno della casa del re. Dal suo trono il re Assuero vede la regina. È la
sua fine? No. Egli tende lo scettro d’oro verso di lei ed essa si avvicina toccandone la punta. Ester ha
ottenuto il favore del re e lo sente chiedere: “Che cos’hai, o Ester la regina, e qual è la tua richiesta? Fino
alla metà del regno ti sia pure dato!” In risposta, essa invita Assuero e il primo ministro Aman a un
banchetto, e il suo gentile invito è accettato. — Est. 5:1-5.
4 Più tardi quel giorno il monarca persiano e Aman l’agaghita vanno al banchetto del vino da Ester. A un
certo punto il re chiede a Ester: “Qual è la tua petizione?” Rispondendo, essa invita Assuero e Aman a un
altro banchetto il giorno seguente. Aman se ne va tutto allegro. Ma quando l’integro Mardocheo il giudeo
non trema a motivo suo, l’amalechita s’indigna grandemente, sebbene si padroneggi. Come entra in casa
sua Aman chiama la moglie e gli amici. Non sa resistere al desiderio di vantarsi e raccontare loro come
Assuero lo ha esaltato al di sopra di tutti i principi e i servitori del re. — Est. 5:6-11.
5 “Per di più”, continua Aman, “Ester la regina non ha fatto venire col re al banchetto che ella aveva fatto
nessun altro che me, e anche domani sono invitato da lei col re”. Comunque, c’è qualcosa che cruccia
profondamente il vanaglorioso agaghita, poiché aggiunge: “Ma tutto questo non mi fa affatto piacere
finché vedo Mardocheo il Giudeo sedere alla porta del re”. Zeres, la moglie di Aman, e i suoi amici sono
convinti di poter risolvere il problema. “Facciano un palo alto cinquanta cubiti”, dicono. “Quindi la mattina
di’ al re che vi appendano Mardocheo. Va quindi gioioso al banchetto col re”. Pensate! Il cadavere di
Mardocheo appeso a un palo alto 50 cubiti (22 metri)! ‘Mica male!’ pensa il superbo Aman, e fa erigere il
palo. — Est. 5:12-14.
6 Mentre attendiamo di conoscere gli sviluppi del giorno successivo abbiamo tempo di meditare sulla
condotta di Mardocheo ed Ester. Entrambi riposero fiducia in Geova e ne cercarono la guida. Per amore
del popolo di Geova, Ester rischiò la propria vita andando coraggiosamente davanti al re senza essere
stata invitata. Come Mardocheo ed Ester, gli unti cristiani di oggi mostrano simile amore per tutto il
popolo di Dio e, nonostante la persecuzione da parte di oppositori religiosi, i moderni servitori di Dio
agiscono con assoluta fiducia in Geova.
LA MANO DI GEOVA DIVIENE PIÙ EVIDENTE
7 Geova, quando decide di farlo, può controllare o dirigere le autorità governative per fare adempiere la
sua volontà. Appropriatamente quindi un proverbio ispirato afferma: “Il cuore del re è come corsi d’acqua
nella mano di Geova. Ovunque si diletti, egli lo volge”. (Prov. 21:1; Dan. 2:21) Osservate ora come la
mano dell’Altissimo divenne più evidente ai giorni di Mardocheo ed Ester.
8 Assuero non riesce a dormire la notte prima di questo secondo banchetto, probabilmente perché la
mano di Geova è all’opera. Il re, traendo forse la conclusione di aver mancato in qualche modo, comanda
che gli si legga il libro delle memorie. Dopo un bel po’, sente della lealtà di Mardocheo nell’aver scoperto
la congiura di due funzionari di corte Bigtana (Bigtan) e Teres. Ma il re apprende che questo gesto di
lealtà non è stato ricompensato. Allora il sovrano di Persia decide che Mardocheo dev’essere onorato. —
Est. 6:1-3.
9 La mattina seguente, di buon’ora, l’intrigante Aman viene ricevuto dal re Assuero. Ma prima che
l’agaghita possa portare avanti il suo complotto omicida contro Mardocheo, il re chiede: “Che cosa si
deve fare all’uomo nel cui onore il re stesso ha preso diletto?” Aman dice in cuor suo: “In chi il re
prenderebbe diletto rendendogli onore più che in me?” Quindi, immaginandosi senza dubbio nel ruolo di
colui che doveva essere altamente onorato, Aman dice: ‘Si faccia uscire il cavallo del re col copricapo
regale sulla sua testa. (All’altero Aman non andava bene un cavallo qualsiasi!). Si vesta l’uomo con le
stesse vesti del re. Poi si faccia cavalcare l’uomo nella pubblica piazza della città e si faccia gridare
dinanzi a lui: “In questo modo si fa all’uomo nel cui onore il re stesso ha preso diletto”’. — Est. 6:4-9.
10 “Presto”, dice Assuero, “prendi la veste e il cavallo, proprio come hai detto, e fa così a Mardocheo il
Giudeo che siede alla porta del re. Non lasciar nulla inadempiuto di tutto ciò che hai pronunciato”. Che
colpo tremendo per il superbo Aman! Ma che può fare? Se mancasse di ubbidire, verrebbe certamente
ucciso. Per cui non passa molto che Mardocheo, vestito con gli abiti reali e in sella al cavallo del re,
cavalca nella pubblica piazza preceduto dall’umiliato Aman che grida: “In questo modo si fa all’uomo nel
cui onore il re stesso ha preso diletto”. Mardocheo torna poi alla porta del re e Aman corre a casa,
facendo lutto e coprendosi la testa dalla vergogna. La moglie e gli amici non gli recano alcun conforto, ma
dicono: “Se Mardocheo, dinanzi al quale hai cominciato a cadere, è dal seme dei Giudei, non prevarrai
contro di lui, ma senza fallo gli cadrai dinanzi”. Sì, per la moglie e gli amici dell’agaghita il fatto che egli
abbia dovuto tenere una cerimonia pubblica in onore di Mardocheo costituisce un presagio che Aman
cadrà dinanzi a questo giudeo. Aman ha appena finito di sentir pronunciare queste parole che i funzionari
di corte del re arrivano e lo conducono al secondo banchetto di Ester. — Est. 6:10-14.
CORAGGIOSA IDENTIFICAZIONE E INTREPIDA DENUNCIA
11 Durante il banchetto, Assuero chiede: “Qual è la tua petizione, o Ester la regina?” Ci vuole coraggio a
rispondere, ma la regina dice: “Se ho trovato favore ai tuoi occhi, o re, e se al re in effetti sembra bene,
mi sia data la mia propria anima alla mia petizione e il mio popolo alla mia richiesta. Poiché siamo stati
venduti, io e il mio popolo, per essere annientati, uccisi e distrutti. Ora se fossimo stati venduti per
semplici schiavi e per semplici serve, avrei dovuto tacere. Ma l’angustia non conviene quando è di danno
al re”. — Est. 7:1-4.
12 Che cosa? La regina Ester è ebrea e il suo popolo è stato condannato all’annientamento? Assuero
vuol sapere chi è il responsabile. Senza timore Ester risponde: “L’uomo, l’avversario e nemico, è questo
malvagio Aman”. La regina è stata leale, smascherando l’atterrito amalechita in sua presenza.
Coraggiosamente Ester ha indicato Aman quale responsabile di vergognose calunnie e lo ha identificato
come un perfido intrigante che opera contro gli stessi interessi del sovrano di Persia. Infuriato, il re si reca
nel giardino del palazzo. Aman, in preda alla paura in quanto sa che è inutile attendersi misericordia da
Assuero, cade sul divano su cui sta Ester. Implora d’aver salva la vita. Ma Ester non cede, perché questo
dispiacerebbe a Geova che ha decretato la completa distruzione degli amalechiti. — Est. 7:5-8.
13 Di ritorno dal giardino Assuero vede il disperato Aman sul divano di Ester e grida: “Si deve anche far
violenza alla regina, presso di me nella casa?” Immediatamente il re condanna a morte il malvagio
agaghita. Presto il corpo esanime di Aman penzola dallo stesso palo che era stato eretto per il giudeo
Mardocheo. Solo allora il furore del re si placa. — Est. 7:8-10.
14 Guardando indietro, notiamo che la coraggiosa Ester non solo rivelò la propria identità di giudea, ma
denunciò intrepidamente Aman come nemico del popolo di Dio. In maniera simile oggi, quelli che a
partire dalla prima guerra mondiale sono divenuti unti seguaci di Gesù Cristo, insieme a unti precedenti,
si sono coraggiosamente identificati come giudei spirituali e, come tali, testimoni di Geova. (Isa. 43:10-12)
Anch’essi hanno senz’altro dei nemici. Per esempio, il clero della cristianità, come Aman, ha cercato di
distruggere il popolo di Geova, ma i veri cristiani hanno intrepidamente smascherato questi nemici pieni
di odio, le cui macchinazioni non avranno maggior successo di quelle di Aman, l’amalechita senza
scrupoli. Questo perché il popolo di Geova, che dichiara la Parola di Dio con baldanza, ha il sostegno
divino nell’affrontare complotti e persecuzioni. — Isa. 54:17; Atti 4:29-31.
DALL’ANGUSTIA ALL’ALLEGREZZA
15 Assuero dà la casa del giustiziato Aman ad Ester, che ha rivelato al re la sua parentela con
Mardocheo. Inoltre, il sovrano si sfila l’anello del sigillo, che era stato tolto ad Aman, e lo dà a Mardocheo,
nominando questo leale giudeo primo ministro in luogo dell’agaghita. Avvalendosi del grado di autorità
concessole dal re, Ester pone Mardocheo a capo della casa di Aman. — Est. 8:1, 2.
16 Rischiando ancora una volta la vita per il suo popolo, Ester va dinanzi al re senza essere stata invitata
e cade piangendo ai suoi piedi. Assuero tende lo scettro d’oro ed Ester si alza, dicendo: ‘Se al re in effetti
sembra bene e se ho trovato favore dinanzi a lui, si scriva un documento al fine di revocare il disegno di
Aman. Come posso sopportare di guardare la calamità del mio popolo e la distruzione dei miei parenti?’
Siccome le leggi dei medi e dei persiani sono irrevocabili, Assuero autorizza Ester e Mardocheo a
scrivere in nome del re un documento ufficiale a favore dei giudei che consenta di neutralizzare gli effetti
del primo. — Est. 1:19; 8:3-8.
17 A ciò il nuovo primo ministro entra in azione. Il ventitreesimo giorno di sivan (maggio-giugno) vengono
convocati i segretari del re e Mardocheo detta un controdecreto. Presto esso raggiungerà i giudei, il resto
della gente e i funzionari governativi — satrapi (o viceré), governatori subordinati e principi — nei 127
distretti giurisdizionali della Persia. Mardocheo autentica i documenti sigillandoli con l’anello del sigillo
reale. In che consiste la nuova legge? Il re Assuero ha concesso ai giudei il diritto di congregarsi e di
stare in difesa delle loro anime, di annientare quelli che mostrano loro ostilità. Sì, il 13 adar (febbraio-
marzo), giorno precedentemente fissato per il loro sterminio, saranno in grado di difendersi! Senza
indugio e alternandosi, corrieri su veloci cavalli da posta spronano le loro cavalcature, portando il
controdecreto in ogni parte del vasto impero. — Est. 8:9-14.
18 Il primo ministro Mardocheo, vestito in abiti reali di panno turchino e lino, esce dalla presenza del re.
Indossa un manto finemente intessuto di lana tinta di porpora e porta sulla testa una grande corona d’oro.
Ha certo buone ragioni di essere felice a motivo del controdecreto. Susan è in festa e alla fine per i giudei
di tutto l’impero ci sono allegrezza, un banchetto e un giorno felice. Inoltre, sulla gente è caduto il terrore
dei giudei e molti divengono proseliti — Est. 8:15-17.
19 Se i cristiani del nostro giorno riflettono su questi avvenimenti possono trarne incoraggiamento. Come
Aman complottò per annientare i giudei naturali, così i capi religiosi della cristianità hanno cercato di
sterminare gli odierni giudei spirituali, i fratelli spirituali di Cristo. Gesù, che esercita il potere reale su tutta
la terra come Assuero lo esercitava sull’impero persiano, ha permesso tali tentativi, ma ha anche reso
possibile ai suoi unti seguaci di difendere la loro vita come cristiani testimoni di Geova. Inoltre, migliaia di
persone sincere, come i proseliti persiani del giorno di Ester, si sono schierate con questi giudei spirituali,
abbracciando la vera adorazione. — Zacc. 8:23; Gal. 6:16.
GEOVA SOSTIENE IL SUO POPOLO
20 Sono passati vari mesi ed è il tredicesimo giorno di adar. I giudei, congregati nelle loro città, mettono le
mani addosso a quelli che vogliono far loro del male. Non c’è uomo che tenga testa al popolo di Dio.
Anzi, vengono assistiti da funzionari governativi perché il terrore di Mardocheo è caduto su di loro. Ma è
principalmente grazie al sostegno di Geova che i giudei abbattono quelli che li odiano. Solo a Susan il
castello uccidono 500 uomini, e i dieci figli di Aman vengono messi a morte. In tutto l’impero sono uccisi
75.000 nemici, ma in nessun luogo i giudei si danno al saccheggio. Secondo una richiesta di Ester, il re
Assuero concede ai giudei della capitale, Susan, un giorno in più per combattere, durante il quale
uccideranno altri 300 uomini senza però prender bottino. Inoltre, i corpi dei dieci figli di Aman vengono
appesi al palo. Distrutti i nemici, i vittoriosi giudei fanno del quattordicesimo giorno di adar nei distretti
periferici e del quindicesimo giorno a Susan un tempo di banchetti e allegrezza. — Est. 9:1-19.
21 Geova ha liberato il suo popolo, e dovrebbero ricordarselo. Di conseguenza Mardocheo invia
documenti scritti ai giudei di tutto l’impero. Perché? Per imporre loro l’obbligo di celebrare annualmente il
14 e il 15 adar come giorni di banchetto, scambio di doni e allegrezza. In seguito, ai giudei viene mandata
un’altra lettera in merito, con la conferma della regina Ester. Questa festa di liberazione è chiamata
Purim, nome derivante dal fatto che Aman fece gettare il Pur, o la Sorte, per determinare il giorno
propizio per attuare il piano di sterminio che infine ricadde sulla sua propria testa. — Est. 9:20-32.
GEOVA SALVA I GIUSTI
22 Per Ester, Mardocheo e gli altri giudei il pericolo è passato. Geova non ha abbandonato il suo popolo.
Col passar del tempo, il re Assuero impone dei lavori forzati al paese e alle isole del mare. (Per esempio,
durante il suo regno completò gran parte dei lavori di costruzione iniziati da suo padre Dario I a
Persepoli). Ai vertici del governo — in effetti secondo solo al re — c’è Mardocheo. Questo fedele giudeo,
approvato e rispettato dal dedicato popolo di Dio, continua a operare per il loro bene e a parlare di pace a
tutta la loro progenie. — Est. 10:1-3.
23 Mardocheo fu veramente un uomo di fede, coraggio, risolutezza, integrità e lealtà a Geova e al popolo
di Dio. Ester fu una donna giudiziosa, capace di stare in silenzio quando necessario, ma di parlare
intrepidamente al momento giusto. Accettò consigli da Mardocheo, anche quando il seguirli metteva a
repentaglio la sua vita. Davvero questa donna bella e sottomessa manifestò amore, altruismo e lealtà al
suo popolo. Sia lei che Mardocheo confidarono completamente in Geova e invocarono in preghiera la
guida divina.
24 Che ottimi esempi per il moderno popolo di Dio! Di fronte all’opposizione e alla persecuzione essi
prestano servizio a fianco a fianco, leali a Geova e l’uno all’altro. Sì, sono certi che Geova Dio li sosterrà
e li libererà, come sostenne e liberò Ester, Mardocheo e il loro popolo. (Filip. 1:27-30) È proprio vero che
“molte sono le calamità del giusto, ma Geova lo libera da esse tutte”. (Sal. 34:19) Quindi, continuiamo a
proclamare le lodi del nostro Dio e a confidare sempre in lui, perché Geova non abbandona il suo popolo.
[Figura a pagina 20]
Ester non cede e il malvagio Aman è condannato a morte

w81 1/7 19 Conviene reprimere il proprio orgoglio


Uno che rifiutò di reprimere il proprio orgoglio passando sopra a un affronto fu Aman l’Agaghita. Il re
Assuero aveva ordinato che tutti s’inchinassero ad Aman, ma Mardocheo il Giudeo, per suoi buoni motivi,
si rifiutò di farlo. La cosa fece talmente adirare l’orgoglioso e vanitoso Aman che decise di uccidere non
solo Mardocheo, ma tutti i giudei. Alla fine Aman fu profondamente umiliato e morì sul palo che aveva
preparato per Mardocheo. Se Aman avesse soffocato il suo orgoglio e dimenticato l’affronto di
Mardocheo, forse non avrebbe fatto quella fine umiliante e prematura. (Ester capp. 3-9) “Lo stolto lascia
scorger subito il suo cruccio, ma chi dissimula un affronto è uomo accorto”. — Prov. 12:16, Versione
Riveduta.
Conviene anche reprimere il proprio orgoglio e scusarsi quando si è fatto torto a qualcuno con una parola
o con un’azione. Abbiamo il dovere verso noi stessi e verso l’altra persona di fare pace. Gesù consigliò
nel suo Sermone del Monte: “Se, dunque, porti il tuo dono all’altare e lì ricordi che il tuo fratello ha
qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, e va via; prima fa pace col tuo fratello, e
poi, tornato, offri il tuo dono”. — Matt. 5:23, 24.
Un altro caso ancora in cui potremmo dover reprimere il nostro orgoglio è quello di ammettere di aver
commesso un errore. Nessuno sa tutto; nessuno è perfetto. Perciò quando ci accorgiamo di aver detto
una cosa sbagliata o di aver commesso un errore di giudizio, e quindi di aver agito poco saggiamente, la
condotta migliore è quella di ammettere l’errore davanti a quelli sui quali esso può aver influito. Questo è
specialmente importante da parte di chi ha compiti di sorveglianza, sia che si tratti di un genitore, di un
sovrintendente o di un anziano nominato nella congregazione. — Confronta Giacomo 3:1, 2.
Conviene inoltre soffocare il nostro orgoglio aspettandoci sempre meno di quanto pensiamo di meritare.
Infatti Gesù disse che se si è invitati a un banchetto è meglio sedersi all’ultimo posto, anche se forse si
pensa di aver diritto a un posto più onorevole. È meglio esser invitati ad andare a occupare un posto
migliore che essere invitati ad alzarsi e a spostarsi in un posto meno onorevole. — Luca 14:7-11.
Ci sono quindi molte ragioni per reprimere il proprio orgoglio, non è vero? Conviene farlo.

w93 15/8 20 La padronanza esista in voi e trabocchi


10 Considerate anche l’esempio di un contemporaneo di Mardocheo ed Ester. Un funzionario di nome
Aman si adirò perché Mardocheo non si inchinava davanti a lui. In seguito Aman pensò a torto che
sarebbe stato favorito. “Aman uscì quel giorno gioioso e allegro di cuore; ma appena Aman vide
Mardocheo alla porta del re e che non si levò e non tremò a causa di lui, Aman fu immediatamente pieno
di furore contro Mardocheo. Comunque, Aman si padroneggiò ed entrò nella sua casa”. (Ester 5:9, 10)
Con la stessa facilità con cui si era rallegrato si adirò alla semplice vista di colui verso il quale nutriva
rancore. Quando la Bibbia dice che Aman “si padroneggiò”, pensate che voglia additarlo come esempio
di padronanza di sé? Difficilmente. Lì per lì Aman si dominò e non lasciò trasparire i suoi sentimenti, ma
non tenne a freno la sua ira e la sua gelosia. Questi sentimenti lo spinsero a tramare un omicidio.
11 Similmente oggi il non tenere a freno i sentimenti può danneggiare seriamente i cristiani. ‘Questo non
può capitare nella congregazione’, penserà qualcuno. Ma è successo. A Filippi, tra due cristiane unte non
correva buon sangue, per motivi che la Bibbia non descrive. Tanto per fare un’ipotesi, immaginate quanto
segue: Evodia aveva invitato alcuni fratelli e sorelle a pranzo o a una festicciola. Sintiche non era stata
invitata e se l’era presa. Per ripicca a sua volta forse non aveva invitato Evodia in un’altra occasione. Da
allora l’una guardava l’altra con occhio critico; col tempo avevano quasi smesso di rivolgersi la parola. In
una situazione del genere, il problema di fondo era forse il mancato invito a pranzo? No. Quella poteva
essere stata solo la scintilla. Poiché le due sorelle unte non avevano dominato i propri sentimenti, la
scintilla aveva dato fuoco a una foresta. Il problema persisté e crebbe al punto da rendere necessario
l’intervento di un apostolo. — Filippesi 4:2, 3.
Amnon — Tema: L’amore erotico basato sull’egoismo porta alla rovina 1° TESSALONICESI 4:3-7

it-1 117-8 Amnon


AMNON
(Àmnon) [degno di fede; fedele; di lunga durata].
1. Figlio primogenito di Davide e Ahinoam l’izreelita, nato a Ebron. — 2Sa 3:2; 1Cr 3:1.
Amnon fu preso da un desiderio passionale per la bella Tamar, sorella di Absalom, al punto di ammalarsi
d’amore. Seguendo il consiglio del cugino Gionadab, Amnon si finse malato e pregò Davide di mandare
Tamar a casa sua per preparare “pane di consolazione” in sua presenza. Approfittò poi dell’opportunità
per violentare la sorellastra, nonostante lei lo supplicasse e cercasse di farlo ragionare. Questo caso
illustra come può essere egoista l’amore erotico. Infatti avendo soddisfatto il proprio desiderio, Amnon
fece scacciare Tamar in strada, come se provasse ripugnanza per lei e la sua presenza stessa lo facesse
sentire impuro. — 2Sa 13:1-19.
Absalom, fratello di Tamar, odiava Amnon per quest’azione e due anni più tardi, durante una festa in
occasione della tosatura delle pecore, lo fece uccidere dai suoi servitori mentre era “allegro per il vino”.
(2Sa 13:20-29) Dato che Amnon, figlio maggiore di Davide, era il legittimo erede al trono, la sua morte
poté essere desiderata da Absalom anche per accrescere le sue possibilità di ottenere il regno. Con
questo avvenimento cominciò ad adempiersi la profezia pronunciata da Natan dopo l’adulterio di Davide
con la moglie di Uria. — 2Sa 12:10; vedi ABSALOM.

w77 15/4 240 Che cosa vogliono i giovani dalla vita?


17 Amnon, figlio maggiore di Davide, nutrì un desiderio passionale per la sua bella sorellastra Tamar.
Fingendosi malato, fece in modo d’essere servito da Tamar, che gli portò da mangiare quando non c’era
nessun altro in giro. Allora egli “l’afferrò e le disse: ‘Vieni, giaci con me, sorella mia’”. Essendo ella una
donna virtuosa, protestò, ma lui non volle ascoltare e la costrinse a giacere con lui. Ottenne realmente
quello che desiderava? Il racconto descrive il risultato: “Amnon la odiava con un odio grandissimo, . . .
maggiore dell’amore col quale l’aveva amata, così che Amnon le disse: ‘Levati, vattene!’” — 2 Sam. 13:1-
33.
18 È chiaro che Amnon, soddisfacendo il suo desiderio passionale e incestuoso non recò nessun piacere
né a sé né alla sua sorellastra. E questo è ciò che spesso accade quando persone hanno relazioni
sessuali immorali. Il Journal of the American Medical Association riportò questa confessione di un
giovane che aveva avuto relazioni sessuali preconiugali con molte ragazze traviate: “Ho imparato che
non mi recava felicità”. E di un’esperienza simile una studentessa di una scuola mista disse piangendo:
“Non ne valeva certo la pena: non è stato divertente in quel momento e da allora sono sempre
preoccupata”.
19 Siamo veramente saggi se diamo ascolto al comando della Bibbia: “Fuggite la fornicazione”! In verità,
‘fuggi i desideri propri della giovinezza’, che possono metterti in difficoltà. (1 Cor. 6:18; 2 Tim. 2:22) La
moralità sessuale ha senso perché quelli che la seguono hanno probabilità molto maggiori che il loro
matrimonio sia felice. D’altra parte, la cosiddetta “libertà” sessuale cambia ciò che dovrebbe essere
piacevole e puro in qualcosa di meschino e detestabile. Evita dunque l’immoralità, evita le cose che
conducono ad essa: le conversazioni che vertono sempre sull’altro sesso, anche le letture o le immagini
che eccitano la passione sessuale. Ricorda di tenere la mente, gli occhi e la lingua occupati in cose pure,
positive, operando per conseguire mete meritorie che rechino benefici duraturi. — Efes. 5:3-5; Filip. 4:8.

w82 15/4 8-9 Guardatevi dall'amore basato solo sulla passione


La parola di Dio è vivente
Guardatevi dall’amore basato solo sulla passione
L’IDDIO ONNIPOTENTE pose nell’uomo e nella donna una meravigliosa attrazione reciproca. Se però
questa attrazione non viene controllata possono derivarne vere e proprie tragedie, come mostra il caso di
Amnon, figlio del re Davide.
Amnon era perdutamente innamorato della bella sorellastra Tamar. La sua passione per lei era così
ardente da consumarlo. Era angustiato perché non poteva averla vicino. Quando un cugino di Amnon,
Gionadab, seppe che Amnon era così innamorato di Tamar, gli disse: ‘Fingiti malato. Quando tuo padre,
Davide, verrà a trovarti, digli: “Ti prego, fa venire Tamar a prepararmi qualcosa da mangiare”’.
Davide acconsentì alla richiesta di Amnon. Tamar andò da lui e, come potete vedere, gli preparò
qualcosa da mangiare. Se non che, quando glielo portò, egli rifiutò di mangiare e disse: ‘Manda via tutti’.
Le persone che si trovavano in casa forse pensarono che Amnon si sentisse così male da non volere
compagnia, e se ne andarono tutti eccetto Tamar.
Allora Amnon disse: ‘Portami il cibo a letto e servimi come un paziente’. Quando Tamar si avvicinò,
Amnon l’afferrò e disse: ‘Vieni a letto con me’. Ma Tamar cercò di fuggire. Amnon, però, era più forte ed
ebbe la meglio su di lei. Che avvenne poi? Accrebbe questo l’amore di Amnon per Tamar?
No, ebbe proprio l’effetto contrario. Amnon cominciò a provare per Tamar un odio più grande dell’amore
che aveva nutrito per lei. Perciò le disse: ‘Vattene’. Poiché la ragazza non voleva andarsene, egli chiamò
il suo domestico e gli disse: ‘Getta fuori questa donna e serra la porta’. Ma la cosa non finì lì.
Tamar si strappò la veste, si cosparse il capo di cenere e se ne andò piangendo. Quando suo fratello
Absalom la vide, capì che era stato Amnon. Questo suscitò in lui un odio per Amnon, così che decise di
vendicare Tamar.
Due anni dopo, Absalom indisse un banchetto e vi invitò tutti i figli di Davide. Ai suoi servitori disse:
‘Quando Amnon avrà bevuto abbastanza, uccidetelo’. Ed essi eseguirono l’ordine di Absalom. Dopo di
ciò Absalom fuggì dal paese. Potete quindi vedere quanti guai sorsero per il fatto che Amnon non seppe
dominare il suo desiderio passionale per la bella Tamar. — II Samuele 13:1-38.
La meravigliosa attrazione fra i sessi è una vera benedizione, che consente un fidanzamento e un
matrimonio felice. Ma quando i desideri sessuali non vengono padroneggiati, spesso ne derivano guai
come gravidanze illegittime, aborti e malattie veneree, per menzionarne solo alcuni. Si può trarre un’utile
lezione da racconti biblici come questo, chiedendo quindi aiuto a Dio per dominare le passioni. — Galati
5:22, 23; Colossesi 3:8; I Tessalonicesi 4:3-7.

yy 136-40 18 La moralità sessuale ha senso?


13 Per mezzo dell’apostolo Paolo Dio ci dice: “Il matrimonio sia onorevole fra tutti, e il letto matrimoniale
sia senza contaminazione, poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri”. (Ebrei 13:4) La fornicazione
include non solo i rapporti sessuali promiscui con chiunque, ma anche i rapporti prematrimoniali, come
quelli fra persone fidanzate ma non ancora sposate.
14 La Parola di Dio è molto esplicita nel condannare la fornicazione e ogni altra condotta dissoluta. Dice
che le persone che praticano tali cose non avranno nessuna parte nel regno di Dio. La Bibbia afferma:
“Non siate sviati. Né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né uomini tenuti per scopi non naturali, né uomini
che giacciono con uomini, né ladri, né avidi, né ubriaconi, né oltraggiatori, né rapaci erediteranno il regno
di Dio”. — 1 Corinti 6:9, 10.
15 Che la legge di Dio sia così positiva è realmente per il nostro bene. Gli impulsi sessuali possono
essere molto forti, e nella vita di quasi tutti si presentano occasioni in cui sarebbe facile cedere sotto la
pressione della tentazione. Se la legge di Dio in materia fosse vaga o incerta, in quelle circostanze non ci
sarebbe per certo di grande aiuto. Ma siccome è così chiara e vigorosa ci aiuta a rimanere assennati,
sostiene il nostro coraggio morale e, ciò che più conta, ci aiuta a imparare a odiare la condotta errata.
Odii in effetti l’immoralità sessuale? Perché dovresti odiarla?
16 Se a volte tale condotta sembra attraente, chiediti: ‘Desidero che la seguano quelli della mia propria
famiglia, i miei genitori o i miei fratelli e sorelle? Desidero che abbiano figli illegittimi? Accrescerebbe
questo il mio amore e il mio rispetto per loro?’ In caso contrario, non è tale condotta da odiare?
Certamente non vorrai diventare come un asciugamano pubblico su cui qualsiasi uomo o donna possa
strofinare le mani per mezzo dell’immoralità.
17 Che dire dei figli nati da tale condotta immorale? Se sei una ragazza, supponiamo che tu dia alla luce
un tale figlio, chi ne avrebbe cura? Tua madre e tuo padre? Tu stessa? Come te ne occuperesti? E come
si sentirebbe il figlio crescendo e scoprendo come fu concepito? O se tu ti rifiutassi di assolvere la
responsabilità e rinunciassi a tuo figlio per farlo adottare da altri, che ne penserebbero di te? Come ti
sentiresti tu? Potresti cercar di nascondere la nascita, tenendo poi nascosto il bambino e cedendolo per
l’adozione e cercando così di evitare la vergogna e la responsabilità. Ma non potrai mai evitare te stessa,
non ti pare?
18 Se sei un maschio, e generassi un figlio illegittimo, la tua coscienza sarebbe tranquilla? Pensa a tutta
l’afflizione e la vergogna che ricadrebbero sia sulla madre che sul figlio. Questo è certamente qualche
cosa da evitare.
19 In realtà, quale bene è mai derivato dall’immoralità sessuale? Perché vi sono in relazione con essa
tante cose indesiderabili, compresi debilitanti malattie veneree, aborti, lotte per gelosia e perfino
assassinii? Perché nei paesi dove è concessa una grande “libertà” sessuale, l’incidenza dei divorzi è
spesso fra le più alte del mondo? Il divorzio significa successo o è prova di fallimento? È un segno di vera
felicità o di infelicità e insoddisfazione?
20 D’altra parte, la moralità sessuale ha senso perché quelli che vi si attengono hanno più probabilità di
fare del loro matrimonio un successo. Questo avviene perché hanno tenuto il matrimonio in gran
considerazione, rispettando la disposizione di Dio e rispettando il futuro coniuge e il reciproco diritto di
trovare nel matrimonio un coniuge puro.
21 Infatti più badi a evitare la condotta dissoluta o a non prenderti delle libertà quando fai la corte e sei
fidanzato, più è probabile che il tuo matrimonio abbia successo. Quindi né tu né il tuo coniuge sarete
tormentati da dubbi sulla sincerità dell’amore dell’altro a causa del sospetto che il sesso fosse il solo
motivo del matrimonio. Perché, dopo tutto, il matrimonio non è solo l’unione di due corpi, è l’unione di due
persone. E ci dev’essere da parte di entrambi molto rispetto e amore per la persona perché il matrimonio
rechi felicità durevole.
COME FARE UNA SAGGIA SCELTA
22 L’amore basato solo sulla passione non è un amore perenne. È un amore egoistico, bramoso. Questa
specie di amore è ben illustrata nella Bibbia dal caso di Amnon, figlio di Davide. Egli “si innamorò” della
sua bella sorellastra Tamar. Quindi con l’inganno la costrinse ad avere rapporti con lui. E dopo? Il
racconto ci dice: “E Amnon la odiava con un odio grandissimo, perché l’odio con cui la odiò era maggiore
dell’amore col quale l’aveva amata”. La cacciò nella strada. (2 Samuele 13:1-19) Ora, se sei una giovane
donna, dovresti ingenuamente pensare che, siccome qualche ragazzo ti esprime amore appassionato e
vuole che tu abbia rapporti con lui, significhi che ti ami sinceramente? Potrebbe forse comportarsi proprio
come fece Amnon.
23 La Bibbia ci narra che la moglie del funzionario egiziano Potifar espresse la stessa specie d’interesse
per il giovane Giuseppe, che prestava servizio in casa loro. Quando egli resistette ai suoi tentativi di
sedurlo, essa mostrò le sue vere intenzioni. Perfidamente mentì al marito su Giuseppe, facendolo
ingiustamente gettare in prigione. — Genesi 39:7-20.
24 Sì, la cosiddetta “libertà” sessuale trasforma ciò che dovrebbe essere piacevole e puro in qualche cosa
di spregevole e detestabile. Quindi, che cosa desideri: un occasionale, breve momento di illecita
passione sessuale con tutti i rischi e i problemi che comporta, o la soddisfazione di avere ogni giorno
dinanzi a Dio e agli uomini una coscienza pura con il rispetto di te stesso?
25 Se vuoi mantenerti libero dall’immoralità, sta lontano dalle cose che vi conducono: la conversazione
che verte sempre sull’altro sesso e leggere articoli o guardare illustrazioni che hanno una sola mira,
quella di eccitare la passione sessuale. Tieni la mente, gli occhi, la lingua occupati in cose pure, positive,
operando per una meta meritoria che rechi benefici durevoli e non lasci vergogna o afflizione.
26 Soprattutto, rafforza la conoscenza e l’apprezzamento del Creatore e della giustezza e sapienza delle
sue vie. Rivolgiti a lui in preghiera e rivolgi il cuore alle cose che promette a quelli che lo servono. Se
veramente lo vuoi, puoi seguire con fermezza una condotta sessualmente morale, poiché Geova Dio e il
Figlio suo te ne daranno la forza necessaria.
Anna — Tema: La devozione altruistica reca benedizioni 1°TIMOTEO 4:7b, 8

it-1 142 Anna


ANNA
1. [Nome proprio femminile; dall’ebraico “Hannah”, che significa “favore, grazia”]. Madre del profeta
Samuele. Anna viveva a Ramataim-Zofim nella regione montagnosa di Efraim col marito Elcana, levita, e
l’altra moglie, Peninna. Benché non avesse figli, a differenza di Peninna che ne aveva avuti diversi, Anna
era ugualmente la moglie prediletta di Elcana. Specie quando Elcana portava la famiglia per la visita
annuale al tabernacolo di Silo, Peninna scherniva Anna perché era sterile. — 1Sa 1:1-8.
In occasione di una di queste visite a Silo, Anna fece voto a Geova che, se avesse avuto un figlio,
l’avrebbe dedicato al Suo servizio. Vedendo che Anna muoveva le labbra mentre pregava in silenzio, il
sommo sacerdote Eli dapprima sospettò che avesse ecceduto col vino e fosse ubriaca. Ma accorgendosi
del fervore e della sincerità che manifestava, Eli le augurò che Geova Dio esaudisse la sua richiesta.
Anna ben presto rimase incinta. Dopo aver partorito Samuele non tornò a Silo finché non l’ebbe svezzato.
Allora lo presentò a Geova come aveva promesso, portando come offerta un toro di tre anni, un’efa di
farina e una grossa giara di vino. (1Sa 1:9-28) Quindi ogni anno, quando andava a Silo, Anna portava al
figlio un nuovo manto senza maniche. Eli la benedisse di nuovo e Geova le mostrò nuovamente favore
così che col tempo partorì tre figli e due figlie. — 1Sa 2:18-21.
Anna aveva diverse buone qualità. Era devota e umile, e voleva far contento il marito. Ogni anno lo
accompagnava al tabernacolo per fare sacrifici. Fece personalmente un grande sacrificio, rinunciando
alla compagnia di suo figlio, per mantenere la parola data e mostrare riconoscenza per la benignità di
Geova. Conservò il suo affetto materno, com’è dimostrato dal fatto che ogni anno faceva un nuovo
mantello per Samuele. I pensieri espressi nel suo cantico di gratitudine, quando lei ed Elcana
presentarono Samuele per il servizio nel tabernacolo, sono molto simili ai sentimenti manifestati da Maria
poco dopo aver appreso che doveva essere la madre del Messia. — Lu 1:46-55.

w79 1/11 8-9 Anna, una donna che trovò conforto nella preghiera
ANNA, una donna senza figli, viveva in un tempo in cui le donne consideravano la sterilità una terribile
maledizione. I loro sentimenti erano simili a quelli di Rachele, che, in preda alla disperazione, disse al
marito Giacobbe: “Dammi dei figli, altrimenti sarò una donna morta”. (Gen. 30:1) Anche Anna pensava
che la sua femminilità fosse incompleta perché non aveva figli. Il problema era aggravato dal fatto che lei
non era l’unica moglie di Elcana. Egli aveva sposato anche Peninna, dalla quale invece aveva avuto figli
e figlie.
Quando Elcana e la famiglia si recavano al santuario di Silo per adorare, Peninna approfittava della
situazione per umiliare Anna, tormentandola con riferimenti alla sua sterilità. Anna si abbandonava al
pianto e non mangiava la sua porzione del pasto sacrificale. Allora il marito cercava di confortarla,
dicendo: “Anna, perché piangi, e perché non mangi, e perché il tuo cuore si sente male? Non ti sono io
meglio di dieci figli?” — 1 Sam. 1:2-8.
Infine Anna confidò tutte le sue preoccupazioni a Geova Dio. Trovandosi a Silo in una certa occasione,
lasciò la tavola e “pregava Geova e piangeva grandemente”. (1 Sam. 1:9, 10) Con vero fervore Anna
supplicò: “O Geova . . . se guarderai senza fallo l’afflizione della tua schiava ed effettivamente ti ricorderai
di me, e non dimenticherai la tua schiava ed effettivamente darai alla tua schiava una progenie maschia,
io la dovrò dare a Geova per tutti i giorni della sua vita, e nessun rasoio verrà sulla sua testa”. — 1 Sam.
1:11.
Siccome Anna muoveva solo le labbra mentre confidava intimamente la sua angustia a Geova Dio, il
sommo sacerdote Eli pensò erroneamente che fosse ubriaca, e la rimproverò. Ma Anna si affrettò a
spiegare: “No, mio signore! Sono una donna dallo spirito molto depresso; e non ho bevuto vino né
bevanda inebriante, ma verso la mia anima dinanzi a Geova. Non fare della tua schiava una donna
buona a nulla, poiché fino ad ora ho parlato dall’abbondanza della mia preoccupazione e della mia
vessazione”. — 1 Sam. 1:15, 16.
Riconoscendo il suo errore, egli le augurò la benedizione di Dio, dicendo: “Va in pace, e l’Iddio d’Israele
esaudisca la richiesta che tu gli hai fatta”. — 1 Sam. 1:17.
Che effetto ebbero su Anna la sua preghiera e le parole di Eli? Anna trovò vero conforto. Riprese a
mangiare e “la sua faccia non fu più preoccupata”. (1 Sam. 1:18) Avendo messo la questione nelle mani
di Geova Dio, fu liberata dal profondo dolore interiore. Anna capì che l’Altissimo si interessava di lei come
persona e confidò nel suo aiuto. Pur non sapendo esattamente quale sarebbe stato l’esito, Anna si sentì
intimamente in pace. Dovette pensare che la sua sterilità sarebbe cessata o che Geova Dio avrebbe in
qualche altro modo colmato il vuoto che ne derivava.
La fiducia di Anna nell’Altissimo non era certamente malriposta. Diede alla luce un bambino e lo chiamò
Samuele. Dopo averlo svezzato, Anna portò Samuele al santuario perché vi prestasse servizio. (1 Sam.
1:19-28) Dal momento che la Bibbia menziona una registrazione genealogica dei leviti “dai tre anni d’età
in su”, può darsi che il bambino avesse a quel tempo almeno tre anni. — 2 Cron. 31:16.
Riconoscente per la benignità che Geova le aveva mostrato, Anna fece una preghiera di ringraziamento.
Questa preghiera glorificava Geova come Colui che è senza pari. Anna disse: “Nessuno è santo come
Geova, poiché non c’è nessuno eccetto te; e non c’è nessuna roccia simile al nostro Dio”. (1 Sam. 2:2)
Nel suo proprio caso, Anna aveva visto che l’Altissimo è come una ferma roccia. Su di lui si può davvero
fare affidamento.
Per Anna erano in serbo ulteriori benedizioni. Una volta, recatasi con il marito a Silo, Eli li benedisse
entrambi dicendo: “Geova ti assegni una progenie da questa donna in luogo della cosa prestata
[Samuele], che è stata prestata a Geova”. (1 Sam. 2:20) Anna ebbe la gioia di veder realizzata quella
benedizione. Infine divenne madre di altri tre ragazzi e due ragazze. — 1 Sam. 2:21.
Come Anna trovò conforto nella preghiera, anche noi possiamo trovare incoraggiamento se mettiamo tutti
i nostri problemi nelle mani di Geova Dio. Egli risponderà a ogni richiesta che è in armonia col suo
proposito. Per cui, quando apriamo il nostro cuore al nostro Padre celeste, sia concesso anche a noi,
come ad Anna, di ‘non essere più preoccupati’, fiduciosi che egli eliminerà il nostro peso, qualunque sia,
o ci metterà in condizione di poterlo sopportare.

w90 1/3 3-4 Si può trovare la gioia in un mondo deprimente!


Si può trovare la gioia in un mondo deprimente!
MARIE ha un carattere vivace e allegro. È difficile credere che solo qualche anno fa questa donna di 32
anni diceva di sentirsi morta dentro. Marie soffriva di una grave forma di depressione. “È stato come una
grande nuvola nera che pian piano si è sollevata”, spiega. Sì, alla fine Marie è guarita e ha ritrovato la
gioia.
Ogni anno la depressione grave colpisce in tutto il mondo cento milioni di persone! Non si tratta della
semplice malinconia passeggera che la maggioranza di noi prova di tanto in tanto. La depressione grave
comporta una tristezza che non dà tregua. Chi è depresso perde interesse per la vita e non prova piacere
in nulla; anzi, prova una disperazione totale e un senso di completo fallimento. Nel 1983 l’Organizzazione
Mondiale della Sanità dichiarò: “Al presente non ci sono dubbi che le malattie depressive si verificano in
tutte le parti del mondo”.
Questa notizia non sorprende chi studia con attenzione la Bibbia. La Bibbia dice che stiamo vivendo negli
“ultimi giorni”, un periodo caratterizzato da “tempi difficili”. (2 Timoteo 3:1-5) Strutture sociali che in
passato offrivano sostegno in momenti di crisi emotiva si sono sgretolate. Nell’articolo “L’epoca della
malinconia?” il dott. Gerald Klerman attribuisce l’odierno aumento della depressione a questo
cambiamento. Egli spiega: “Le tre forme di aggregazione sociale a cui più ci si è rivolti nei momenti di
bisogno sono state la famiglia, la chiesa e il vicinato. . . . Una caratteristica del nostro tempo è che tutte e
tre queste forme di aggregazione sono, in varia misura, in crisi”.
Fu la disgregazione della sua famiglia che spinse Marie alla disperazione. “Quando la mia matrigna se ne
andò senza una parola, mi sentii tradita e sola. Avevo 12 anni, e di colpo il mio mondo sembrò crollare”,
ricorda Marie. Dopo non molto essa dovette andarsene di casa perché suo padre le faceva proposte
immorali. Marie ammette: “Mi sentivo anormale e persi tutta la fiducia in me stessa”. Così ebbe inizio per
lei la depressione grave.
Un giorno in cui Marie era estremamente depressa due testimoni di Geova bussarono alla sua porta. Il
loro gioioso messaggio biblico destò subito in lei un grande interesse. “Prima la vita mi sembrava del tutto
inutile, e vedevo solo tante cose negative, ma ora mi convinsi che potevo vivere in un nuovo mondo in cui
Dio avrebbe corretto tutte queste ingiustizie. Con l’aiuto di Dio potevo diventare idonea per ricevere
questa benedizione; la mia vita acquistò così vero significato”. Frequentando le adunanze dei Testimoni,
essa trovò sincero amore e sostegno emotivo. (Giovanni 13:34, 35) Anche i buoni consigli degli anziani di
congregazione l’aiutarono a cominciare a cambiare il suo modo di pensare negativo. (Giacomo 5:14) La
sua depressione cominciò ad allentare la presa. Molte altre persone che, come Marie, sono depresse a
motivo delle condizioni del mondo hanno trovato “la gioia di Geova” acquistando accurata conoscenza
della verità biblica. — Neemia 8:10; 1 Timoteo 2:4.
Ma, la depressione di Marie sparì forse istantaneamente? Dovremmo credere che i cristiani siano immuni
dalla depressione? Per rispondere a queste domande, dobbiamo analizzare in maniera più approfondita
questo disturbo e le sue complesse cause. Conoscendo le vere ragioni della depressione potrete riuscire
meglio a combatterla voi stessi o ad aiutare qualcuno che ne soffre.
Le cause della depressione grave
In alcuni casi la depressione ha cause fisiologiche, come malattie, carenze alimentari e squilibri ormonali.
Può anche essere provocata da tossine, agenti inquinanti, medicinali e allergeni. Comunque la Bibbia
rivela che una causa possono essere anche i propri “inquietanti pensieri”. — Salmo 94:19.
Nella maggior parte dei casi chi diventa depresso, come Marie, ha alle spalle grossi dispiaceri o situazioni
stressanti. Molti si sentono come il salmista che disse: “La mia anima ne ha avuto abbastanza delle
calamità . . . Mi hanno accerchiato tutti nello stesso tempo. [Tu, Geova,] hai allontanato da me amico e
compagno; i miei conoscenti sono un luogo tenebroso”. (Salmo 88:3, 17, 18) Come il salmista, essi si
sentono sopraffatti dai problemi o da qualche perdita e considerano la loro vita in generale senza
speranza. Possono sentirsi come se fossero completamente soli in un luogo tenebroso, e pensare che
persino Dio li abbia abbandonati.
Perché giungono a una conclusione così scoraggiante, sviluppando in effetti uno spirito abbattuto? Non è
solo a causa di problemi esterni; è anche a motivo di sentimenti negativi o dubbi sul proprio conto. Si
sentono incapaci di affrontare i problemi o una perdita. “A causa della pena del cuore c’è lo spirito
abbattuto”, spiega Proverbi 15:13. Tale pena del cuore include anche il considerarsi un fallimento, o
pensare che gli altri lo credano. Anche Epafrodito, un cristiano del I secolo, dopo essere guarito da una
grave malattia nel corso di una missione in cui era stato mandato dalla propria congregazione, divenne
“depresso perché [la congregazione aveva] udito che si era ammalato”. — Filippesi 2:25-30.
Visto che ‘lo spirito abbattuto secca le ossa’, ovvero mina la stessa esistenza, spesso alla base della
depressione grave c’è una scarsa stima di se stessi. (Proverbi 17:22) La ‘pena del cuore’ potrebbe anche
essere dovuta al fatto che ci si preoccupa troppo di come ci vedono gli altri, oppure a perfezionismo, ira
repressa, risentimento, contrasti non appianati o sensi di colpa (reali o esagerati).
Le cause della depressione grave sono dunque molte. Tuttavia Marie ha trovato la vera gioia dopo
essere divenuta cristiana. “Allora ho avuto una speranza”, ha detto. Ma per qualche tempo ha dovuto
continuare a combattere la depressione. Come si può infine vincerla?
[Nota in calce]
Vedi “Depressione: È solo un fattore mentale?” in Svegliatevi! del 22 ottobre 1987.

w90 1/3 5 Vincere la battaglia contro la depressione


Vincere la battaglia contro la depressione
“CIÒ che più mi opprimeva”, confessò Lola, “era il senso di colpa che provavo sentendomi disperata,
mentre pensavo che essendo una servitrice di Geova non avrei dovuto sentirmi così”. Questa diffusa idea
errata è spesso il primo nemico che il cristiano depresso deve sconfiggere. Lola aggiunse: “Quando smisi
di tormentarmi mentalmente per questo e pensai solo a guarire potei affrontare meglio la depressione”.
Sì, la depressione di per sé non è un motivo per credere di essere venuti meno verso Dio.
Come menzionava l’articolo precedente, la causa della depressione può essere fisiologica. Nel 1915,
molto prima che le recenti ricerche mettessero molte malattie organiche in relazione con la depressione,
La Torre di Guardia affermava: “Questa tristezza di spirito, questo senso di solitudine o depressione, è
naturale, ogni tanto, in tutti gli uomini . . . [Esso è] in qualche misura accentuato dallo stato di salute
fisica”. Pertanto, se la malinconia persiste, può essere utile andare dal medico. Se la situazione è grave,
si può decidere di far curare la depressione da uno specialista nel campo.
Ma anche se la causa non è fisica, non è realistico aspettarsi che un servitore di Dio non sia mai triste o
scoraggiato. Pensate solo a come la fedele Anna ‘aveva l’anima amareggiata e piangeva dirottamente’.
(1 Samuele 1:7, 10) Anche Neemia ‘pianse e fece cordoglio per giorni’ e aveva “tristezza di cuore”.
(Neemia 1:4; 2:2) Giobbe provò disgusto per la propria vita e pensò che Dio l’avesse abbandonato.
(Giobbe 10:1; 29:2, 4, 5) Il re Davide disse che il suo spirito veniva meno dentro di lui e che il suo cuore si
intorpidiva. (Salmo 143:4) E l’apostolo Paolo disse di avere “timori di dentro” e di sentirsi ‘abbattuto’. — 2
Corinti 4:9; 7:5, 6.
Anche se tutti questi erano fedeli servitori di Dio, ci furono momenti in cui si sentirono afflitti da varie
difficoltà, preoccupazioni o amare delusioni. Ma Dio non li aveva abbandonati né aveva tolto da loro il suo
spirito santo. Il loro sentirsi depressi non dipendeva da un fallimento spirituale. In un’occasione in cui era
afflitto, Davide supplicò in preghiera: “Fa rallegrare l’anima del tuo servitore”. Dio confortò Davide durante
quel ‘giorno d’angustia’ e lo aiutò, col tempo, a trovare la gioia. (Salmo 86:1, 4, 7) Geova aiuterà allo
stesso modo i suoi servitori odierni.
Dato che di per sé la depressione non è una dimostrazione né di fallimento spirituale né di debolezza
mentale, il cristiano che ne soffra non dovrebbe rimanere zitto per l’imbarazzo. Piuttosto, dovrebbe fare
uno dei passi più importanti nel combattere questo disturbo. Di che passo si tratta?
Esprimete il vostro stato d’animo
Dovrebbe parlarne con qualcuno. Proverbi 12:25 afferma: “L’ansiosa cura nel cuore dell’uomo è ciò che
lo farà chinare, ma la parola buona è ciò che lo fa rallegrare”. Nessun altro essere umano può sapere
quanto è intensa l’“ansiosa cura” nel vostro cuore a meno che non vi apriate e ne parliate. Confidandovi
con una persona comprensiva che è in grado di aiutarvi, probabilmente apprenderete che altri si sono
sentiti come voi e hanno avuto problemi simili. Inoltre, esprimere a parole i sentimenti è un processo
salutare, poiché fa bene al cuore esprimere un dolore anziché cercare di reprimerlo. Pertanto, chi è
depresso dovrebbe confidarsi con il coniuge, con i genitori o con un amico compassionevole e
spiritualmente qualificato. — Galati 6:1.
In parte il problema di Marie (menzionata nell’articolo precedente) stava nel fatto che cercava di
reprimere le emozioni che la turbavano e che provocarono la sua depressione. “Nel corso degli anni mi
ero creata una maschera”, disse. “Gli altri non avrebbero mai immaginato che per me era così difficile
affrontare questi sentimenti di indegnità”. Ma Marie si confidò con un anziano di congregazione. Facendo
domande appropriate l’anziano ‘attinse’ dal suo cuore l’ansietà che l’assillava e l’aiutò a comprendere
meglio se stessa. (Proverbi 20:5) Le sue buone parole basate sulle Scritture la rassicurarono. “Per la
prima volta cominciai a ricevere aiuto per vincere alcuni sentimenti che contribuivano alla mia
depressione”, spiegò Marie.
Così, parlando con un anziano comprensivo, chi ha l’anima “come un paese esausto” può ricevere
“acqua” spiritualmente ristoratrice. (Salmo 143:6; Isaia 32:1, 2) Un consigliere spirituale che ha
discernimento potrebbe anche aiutarvi a capire che potete fare dei passi pratici per affrontare quella che
forse avete considerato una situazione disperata. (Proverbi 24:6) Ma non basta semplicemente
confidarsi.
Riconoscete il vostro vero valore
Il sentirsi inutili gioca un ruolo importante nella depressione. Forse a motivo di un’infanzia infelice, alcuni
cristiani hanno poca stima di sé. Ma anche se, sotto il profilo emotivo, i maltrattamenti fisici, emotivi o
sessuali subiti hanno lasciato il segno, questo non cambia il valore di una persona. Dovete perciò
sforzarvi di avere un’opinione equilibrata del vostro vero valore come persona. “Io dico quindi a ciascuno
di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che è giusto, ma abbia di sé un concetto sobrio”,
esortò l’apostolo Paolo. (Romani 12:3, La Bibbia Concordata) Pur stando attenti a non cadere
nell’arroganza, dovreste cercare di non andare all’altro estremo. Chi ha una relazione con Dio è prezioso,
desiderabile ai suoi occhi, poiché Dio sceglie esseri umani perché divengano la sua “speciale proprietà”.
Che enorme privilegio! — Malachia 3:17; Aggeo 2:7.
Inoltre, quale onore essere “collaboratori di Dio” impegnandoci nell’opera cristiana di fare discepoli. (1
Corinti 3:9; Matteo 28:19, 20) Molti cristiani che soffrono di depressione hanno riscontrato che
quest’opera aumenta la stima di se stessi. “Anche dopo essere divenuta cristiana, mi sentivo molto
incapace”, ammise Marie. Tuttavia essa perseverò nell’opera di predicazione, e un giorno incontrò una
giovane che aveva una lesione cerebrale e voleva conoscere la Bibbia. “Aveva bisogno di qualcuno che
fosse paziente con lei, poiché imparava con lentezza”, disse Marie. “Essa assorbiva gran parte della mia
attenzione, tanto che mi dimenticai di me stessa e delle mie incapacità. Questa donna aveva bisogno del
mio aiuto e io sapevo di poterglielo dare grazie alla forza di Geova. Non so dirvi quanto mi ha
incoraggiato vederla battezzarsi. La stima che avevo di me stessa crebbe e la depressione grave
scomparve definitivamente”. Com’è vero che “chi innaffia liberalmente altri sarà anche lui liberalmente
innaffiato”! — Proverbi 11:25.
Molte persone depresse, però, si comportano come una cristiana che soffriva di depressione grave e che
ammise: “Anche se mi do molto da fare per pulire, cucinare ed essere ospitale, a un certo punto comincio
a criticarmi per ogni piccolezza”. Questo tipo di critica irragionevole mina fortemente la stima di se stessi.
Ricordate che il nostro Dio è comprensivo e ‘non continua a trovar da ridire per ogni tempo’. (Salmo
103:8-10, 14) Se Geova, che ha un senso di giustizia superiore al nostro, non ci assilla per ogni
piccolezza ed è disposto a essere così tollerante, non dovremmo sforzarci di imitarlo nel modo in cui
trattiamo noi stessi?
Tutti abbiamo difetti e punti deboli. Ma abbiamo anche i nostri punti forti. L’apostolo Paolo non si
aspettava di eccellere in tutti i campi. Egli affermò: “Anche se sono inesperto in parola, certamente non lo
sono in conoscenza”. Paolo non si sentì inferiore solo perché forse non eccelleva come oratore pubblico.
(2 Corinti 11:6) Similmente, chi è depresso dovrebbe soffermarsi su ciò che riesce a fare bene.
“La sapienza è con i modesti”, cioè con coloro che riconoscono e accettano le proprie limitazioni.
(Proverbi 11:2) Ciascuno di noi è un’anima a sé, diversa dalle altre per circostanze, energie fisiche e
capacità. Quando servite Geova con tutta l’anima, facendo ciò che voi potete fare, egli è soddisfatto.
(Marco 12:30-33) Geova non è uno che non è mai contento degli sforzi dei suoi devoti adoratori. Leora,
una cristiana che ha combattuto con successo la depressione, disse: “In certe cose non riesco bene
come tutti gli altri, ad esempio nelle presentazioni nel ministero di campo. Ma ci provo. Faccio del mio
meglio”.
Sbagli e malintesi
Ma che dire se fate un grosso sbaglio? Forse vi sentite come il re Davide, che ‘andò in giro tutto il giorno
con tristezza’ a causa dei suoi errori, del suo peccato. Ma il fatto stesso che vi sentiate così può essere la
prova che non siete andati troppo in là, commettendo un peccato imperdonabile! (Salmo 38:3-6, 8) Il
senso di colpa può dimostrare che chi ha peccato ha un cuore onesto e una buona coscienza. Perciò,
come affrontare il senso di colpa? Ebbene, avete chiesto perdono a Dio in preghiera e avete fatto dei
passi per correggere l’errore? (2 Corinti 7:9-11) Se sì, abbiate fede nella misericordia di Colui che
perdona in larga misura, decisi a non ripetere il peccato. (Isaia 55:7) Se siete stati disciplinati, ‘non venite
meno quando siete corretti, poiché Geova disciplina colui che ama’. (Ebrei 12:5, 6) Tale correzione ha lo
scopo di aiutare a ristabilire una pecora smarrita. Non toglie nulla al suo valore come persona.
Anche se il nostro cuore ci condanna, non dobbiamo concludere che Geova ci abbia condannato.
“Assicureremo il nostro cuore davanti a lui circa qualunque cosa di cui il nostro cuore ci condanni, perché
Dio è maggiore del nostro cuore e conosce ogni cosa”. (1 Giovanni 3:19, 20) Geova non vede solo i
nostri peccati e i nostri sbagli. Egli conosce le circostanze attenuanti, la nostra intera vita, i nostri motivi e
le nostre intenzioni. La vastità della sua conoscenza gli permette di essere comprensivo nell’udire le
nostre sincere preghiere di perdono, come udì quella di Davide.
Anche i malintesi e il preoccuparsi eccessivamente di avere l’approvazione degli altri fanno perdere la
stima di sé, forse fino al punto di sentirsi respinti. A causa dell’imperfezione, un altro cristiano può parlarvi
con un tono che vi sembra insensibile o sgarbato. Tuttavia molti malintesi si possono chiarire dicendo alla
persona che effetto ha avuto su di voi la sua osservazione. (Confronta Matteo 5:23, 24). Inoltre,
Salomone consigliò: “Non porre il tuo cuore a tutte le parole che il popolo può pronunciare”. Perché?
“Poiché il tuo proprio cuore sa bene che molte volte anche tu, tu stesso, hai invocato il male su altri”.
(Ecclesiaste 7:21, 22) Siate abbastanza realisti da non aspettarvi la perfezione da voi stessi o da altri
esseri umani imperfetti. Siate pronti a perdonare e a sopportare gli altri. — Colossesi 3:13.
Inoltre, non è il fatto che siate amati dagli altri o no che determina il vostro vero valore. Cristo ‘non fu
tenuto in nessun conto’, e fu “valutato” molto poco ‘dal punto di vista degli altri’. (Isaia 53:3; Zaccaria
11:13) Questo cambiò forse il suo vero valore o la stima che Dio aveva di lui? No, per cui anche se
fossimo perfetti come Gesù non potremmo piacere a tutti.
Potenza per perseverare
A volte la depressione grave può persistere nonostante i nostri sforzi per vincerla. A causa delle
sofferenze emotive, alcuni cristiani si possono sentire come si sentì Giona, che disse: “Morire è per me
meglio che vivere”. (Giona 4:1-3) Ma la sua angustia non fu permanente. Egli la superò. Perciò, se la
depressione vi fa sembrare insopportabile la vita, ricordate che è come la tribolazione di cui parlò Paolo:
“temporanea”. (2 Corinti 4:8, 9, 16-18) Avrà fine! Nessuna situazione è disperata. Geova promette di
“ravvivare il cuore di quelli che sono affranti”. — Isaia 57:15.
Non cessate mai di pregare, anche se le vostre preghiere sembrano vane. Davide supplicò: “Odi, o Dio, il
mio grido d’implorazione . . . quando il mio cuore si indebolirà. A una roccia che è più alta di me voglia tu
guidarmi”. (Salmo 61:1, 2) Come fa Dio a guidarci a una fiducia interiore che, con le nostre sole forze, ci
sembra irraggiungibile? Eileen, che combatte la depressione da anni, risponde: “Geova non mi ha
permesso di arrendermi. Questo mi dà la speranza che, se continuo a tentare, egli continuerà ad
aiutarmi. Conoscere la verità della Bibbia mi ha letteralmente tenuta in vita. In molti modi diversi (con la
preghiera, il ministero, le adunanze, le pubblicazioni, la famiglia e gli amici) Geova mi ha dato la forza per
continuare a lottare”.
Considerate il disturbo come una prova della vostra fede. “Potete confidare in Dio”, ci assicura l’apostolo
Paolo. “Egli non permetterà che siate provati più di quanto potete sopportare. Ma quando sarete provati,
Egli farà anche una via d’uscita affinché lo possiate sopportare”. (1 Corinti 10:13, Beck) Sì, Dio vi darà
“potenza oltre ciò che è normale” per sopportare qualsiasi peso emotivo. — 2 Corinti 4:7.
Un nuovo mondo senza depressione!
Dio ha promesso che presto, tramite il suo Regno celeste, eliminerà tutte le condizioni deprimenti che ci
sono sulla terra. La sua Parola dichiara: “Io creo nuovi cieli e nuova terra; e le cose precedenti non
saranno ricordate, né saliranno in cuore. Ma esultate e gioite per sempre di ciò che io creo”. (Isaia 65:17,
18) Queste parole ebbero un primo adempimento nel 537 a.E.V., quando l’antica nazione d’Israele fu
restituita alla sua patria. In quell’occasione gli israeliti cantarono: “Divenimmo come quelli che sognavano.
In quel tempo la nostra bocca si riempì di risa, e la nostra lingua di grido di gioia”. (Salmo 126:1, 2) Che
dimensioni grandiose avrà, nel nuovo mondo di Dio, l’imminente adempimento finale di questa
rassicurante profezia! — 2 Pietro 3:13; Rivelazione 21:1-4.
Sulla terra, sotto il Regno di Dio (i “nuovi cieli”), una giusta società di persone (la “nuova terra”) sarà
riportata in perfetta salute sotto il profilo emotivo, fisico e spirituale. Non è che non ricorderanno più nulla
del passato, ma con tutte le cose piacevoli a cui potranno pensare e di cui potranno rallegrarsi, non
avranno motivo di richiamare alla mente le tristi esperienze del passato o di soffermarsi su di esse.
Immaginate di svegliarvi ogni mattina con la mente perfettamente lucida, pronti a intraprendere l’attività
della giornata, senza più il peso della depressione!
Pienamente convinta della realtà di questa speranza, Lola (menzionata all’inizio) ha detto: “Per me l’aiuto
più grande è stato ricordare che il Regno di Geova risolverà questo problema. Sapevo che la depressione
non sarebbe durata in eterno”. Sì, potete essere certi che fra poco Dio farà in modo che la depressione
sia vinta per sempre!
[Nota in calce]
Vedi “Terapie delle gravi forme di depressione”, in Svegliatevi! dell’8 aprile 1982.

w90 15/3 26-30 Come aiutare chi è depresso a ritrovare la gioia


Come aiutare chi è depresso a ritrovare la gioia
EPAFRODITO, un discepolo cristiano del I secolo, era depresso. Era stato inviato per provvedere ai
bisogni dell’apostolo Paolo, che si trovava in prigione, ma si era ammalato gravemente. Pur essendo
guarito, Epafrodito era depresso perché la sua congregazione d’origine, che l’aveva inviato a Roma,
aveva “udito che si era ammalato”. (Filippesi 2:25, 26) L’essere così distante e allo stesso tempo volerli
rassicurare sul suo stato di salute fece insorgere la depressione. Probabilmente egli pensava anche che i
fratelli della sua congregazione lo considerassero un fallito. Come poteva essere aiutato a ritrovare la
gioia?
Epafrodito fu rimandato a Filippi, la sua città, portando una lettera dell’apostolo Paolo. In essa Paolo
raccomandava alla congregazione: “Fategli perciò la consueta accoglienza nel Signore con ogni gioia; e
continuate a tenere cari gli uomini di tale sorta”. (Filippesi 2:27-30) I cristiani di Filippi furono esortati a
stare vicini ad Epafrodito accogliendolo in maniera degna della fratellanza tipica della congregazione
cristiana. Le loro parole consolanti gli avrebbero dimostrato che lo stimavano molto, sì, lo ‘tenevano caro’.
Queste gioiose premure avrebbero contribuito molto ad aiutarlo a superare la sua depressione.
Questo esempio dimostra che, anche se i cristiani in generale ‘si rallegrano nel Signore’, alcuni di loro
soffrono di varie forme di depressione. (Filippesi 4:4) La depressione grave è un serio disturbo emotivo
che può persino portare al suicidio. A volte vi sono implicati squilibri chimici nel cervello e altri fattori fisici.
Tuttavia la depressione si può spesso attenuare grazie all’aiuto perspicace di altri. Per questo motivo
Paolo esortò: “Parlate in maniera consolante alle anime depresse”. (1 Tessalonicesi 5:14) Le
congregazioni dei testimoni di Geova dovrebbero quindi dare con gioia sostegno emotivo alle anime
depresse. L’odierna organizzazione cristiana riconobbe questa responsabilità già nel 1903, poiché a
proposito delle anime depresse, o abbattute, La Torre di Guardia ebbe a dire: “Gli abbattuti e i deboli
hanno bisogno di aiuto, sostegno, incoraggiamento”. Ma come si può aiutare un’anima depressa?
Innanzi tutto, mostrando “i medesimi sentimenti”, potreste aiutare la persona depressa a rivelare qual è
“l’ansiosa cura” del suo cuore. Successivamente la vostra “parola buona” potrà aiutarla a rallegrarsi. (1
Pietro 3:8; Proverbi 12:25) Il solo fatto di lasciarla parlare liberamente e di farle capire che vi interessate
di lei può esserle di grande sollievo. “Avevo un paio di amici con i quali potevo veramente confidarmi”,
spiega Maria, una cristiana nubile che lottava contro la depressione. “Avevo bisogno di qualcuno che
ascoltasse”. Avere qualcuno con cui condividere i più intimi pensieri sui problemi della vita può voler dire
molto.
Non basta comunque ascoltare e dare consigli superficiali come “Guarda il lato positivo della cosa” o
“Pensa in modo positivo”. Affermazioni del genere potrebbero rivelare mancanza di empatia ed essere
completamente fuori luogo quando qualcuno è depresso, come indica Proverbi 25:20 quando dice: “Chi
toglie una veste in un giorno freddo è come . . . un cantore con canti per un cuore mesto”. Fare
affermazioni ottimistiche senza fondamento può lasciare l’individuo depresso ancor più turbato. Perché?
Perché simili tentativi non prendono in considerazione i motivi della sua depressione.
Rafforzare con le parole
La persona gravemente depressa non si sente solo triste ma probabilmente anche indegna e disperata.
La parola greca tradotta “anime depresse” significa letteralmente “quelli di poca anima”. Uno studioso di
greco dà questa definizione: “Chi tribola a tal punto che il suo cuore sprofonda dentro di lui”. Le sue
energie emotive si sono esaurite e la sua stima di sé è venuta meno. — Confronta Proverbi 17:22.
Il patriarca Giobbe disse: “Io vi rafforzerei con le parole della mia bocca”. (Giobbe 16:5) La parola ebraica
per “rafforzare” è a volte resa “fortificare” o “rinforzare”. È usata per descrivere come il tempio fu ‘reso
forte’ mediante riparazioni alla struttura. (Isaia 41:10; Naum 2:1; 2 Cronache 24:13) Le vostre parole
devono abilmente ricostruire la stima di sé della persona depressa, mattone dopo mattone, per così dire.
Per far questo occorre che facciate appello alla sua “facoltà di ragionare”. (Romani 12:1) La già citata
Torre di Guardia del 1903 diceva riguardo alle persone depresse: “Non avendo . . . stima di sé, hanno
bisogno che qualcuno dia loro un po’ di importanza, così da mettere in luce i talenti che in effetti
possiedono, per loro stesso incoraggiamento e anche per il bene dell’intera famiglia della fede”.
L’esempio biblico di Elcana e di Anna, la sua moglie depressa, illustra come si può rafforzare qualcuno
con le parole, come fece Giobbe. Elcana aveva due mogli. Una di loro, Peninna, aveva diversi figli,
mentre Anna era sterile. Probabilmente Anna pensava di non valere nulla. (Confronta Genesi 30:1).
Come se ciò non bastasse, Peninna la vessava al punto da farla scoppiare in lacrime e farle perdere
l’appetito. Benché Elcana non si rendesse conto della gravità della sua angoscia, vedendo la situazione
le chiese: “Anna, perché piangi, e perché non mangi, e perché il tuo cuore si sente male?” — 1 Samuele
1:1-8.
Le benevole domande di Elcana, che non implicavano delle accuse, davano ad Anna l’opportunità di
esprimere i suoi sentimenti. Sia che rispondesse o no, era aiutata ad analizzare perché probabilmente si
sentiva indegna. Così oggi un’anima depressa potrebbe avere un’opinione molto negativa di sé. Potreste
chiedere: ‘Perché pensi questo?’ Poi ascoltate attentamente il suo sfogo, che vi rivelerà ciò che prova nel
suo cuore. — Confronta Proverbi 20:5.
Quindi Elcana rivolse ad Anna questa rafforzante domanda: “Non ti sono io meglio di dieci figli?” Ricordò
ad Anna che nonostante la sua sterilità egli le voleva bene, la considerava preziosa, per cui Anna poteva
concludere: ‘Beh, dopo tutto valgo qualcosa. Mio marito in effetti mi vuole molto bene!’ Le parole di
Elcana fortificarono Anna, che riprese a mangiare e andò al tempio. — 1 Samuele 1:8, 9.
Elcana fu specifico e richiamò l’attenzione della moglie su un motivo legittimo che essa aveva per sentirsi
meglio. Chi vuole aiutare una persona depressa deve fare altrettanto. Per esempio una cristiana di nome
Naomi spiega ciò che l’aiutò a ritrovare la gioia: “Alcuni amici mi lodarono per il modo in cui avevo
allevato mio figlio, per come tenevo la casa e persino per il modo in cui continuavo ad aver cura del mio
aspetto personale nonostante la depressione. Questo incoraggiamento mi aiutò moltissimo!” Sì, una lode
meritata aiuta l’anima depressa a vedere le proprie buone qualità e ad avere un’equilibrata opinione di sé.
Se vostra moglie è depressa, perché non cercare di incoraggiarla secondo le parole di Proverbi 31:28,
29? Qui leggiamo: “Il suo proprietario si leva, e la loda. Ci sono molte figlie che hanno mostrato capacità,
ma tu, tu sei ascesa al di sopra di esse tutte”. È vero che una moglie depressa può non condividere
questa opinione, ritenendosi un fallimento perché non riesce a star dietro alle faccende domestiche come
vorrebbe. Tuttavia ricordandole la donna che è interiormente e quella che era prima di iniziare a soffrire di
depressione, potreste riuscire a convincerla che la vostra non è una lode priva di contenuto. Potreste
anche dirle che vi rendete conto che ciò che fa ora le richiede uno sforzo immane. Potreste dire: ‘So
quanto ti è costato fare questo. Sei veramente da lodare per tutti gli sforzi che fai!’ Ricevere
l’approvazione e la lode del coniuge e dei figli, cioè di quelli che la conoscono meglio, è indispensabile
per ricostruire la stima di sé. — Confronta 1 Corinti 7:33, 34.
L’uso di esempi biblici può aiutare una persona depressa a capire quali cambiamenti potrebbe dover
apportare al suo modo di pensare. Per esempio, forse una persona è troppo sensibile a ciò che dicono gli
altri. Potreste considerare insieme l’esempio di Epafrodito e chiedere: ‘Perché pensi che si sentì
depresso quando seppe che la sua congregazione d’origine aveva udito della sua malattia? Era davvero
un fallito? Perché Paolo disse di tenerlo caro? Il valore di Epafrodito come persona dipendeva veramente
dal privilegio di servizio che ricopriva?’ Domande del genere possono aiutare il cristiano depresso a fare
un’applicazione personale e a rendersi conto di non essere un fallito.
“Sostenete i deboli”
La Bibbia esorta: “Sostenete i deboli”. (1 Tessalonicesi 5:14) Poter contare su molti amici cristiani in
grado di fornire assistenza a livello pratico è un altro vantaggio della vera religione. I veri amici sono quelli
‘nati per quando c’è angustia’, che stanno veramente vicini a chi è depresso. (Proverbi 17:17) Quando
l’apostolo Paolo si sentì ‘abbattuto’ e provava ‘timore di dentro’, fu confortato ‘dalla presenza di Tito’. (2
Corinti 7:5, 6) Similmente, calorose visite e telefonate in momenti appropriati saranno probabilmente
molto apprezzate dalle anime depresse. Potreste chiedere se potete essere d’aiuto in maniera pratica, ad
esempio facendo qualche commissione, sbrigando le faccende domestiche o altre cose del genere. Una
donna cristiana di nome Maria dice: “Quando ero depressa, un’amica mi scrisse diverse volte, includendo
sempre incoraggianti versetti della Bibbia. Leggevo e rileggevo la lettera, e nel farlo piangevo. Quelle
lettere erano come oro per me”.
Dopo aver esortato la congregazione ad aiutare le “anime depresse”, Paolo dice: “Siate longanimi verso
tutti. Guardate che nessuno renda male per male a nessun altro”. (1 Tessalonicesi 5:14, 15) La pazienza
è essenziale, poiché a causa della sofferenza mentale, dei pensieri negativi e dell’esaurimento dovuto
alla mancanza di riposo, la persona depressa può rispondere in modo “avventato”, come fece Giobbe.
(Giobbe 6:2, 3) Rachele, una donna cristiana la cui madre era affetta da depressione grave, rivelò: “Molte
volte mia madre diceva cose odiose. Il più delle volte cercavo di ricordare a me stessa che tipo di
persona mia madre è veramente: amorevole, benevola e generosa. Imparai che chi è depresso dice
molte cose che in effetti non pensa. La cosa peggiore che si possa fare è rispondere o reagire allo stesso
modo”.
In particolare alcune cristiane mature potrebbero essere in grado di recare sollievo ad altre donne che
soffrono di angosce a livello emotivo. (Confronta 1 Timoteo 5:9, 10). Queste cristiane capaci possono
prefiggersi di parlare in maniera consolante a queste altre donne in occasioni adatte. A volte è più
appropriato che siano mature sorelle cristiane anziché fratelli a continuare ad aiutare una donna.
Organizzando le cose e sorvegliandole dovutamente, gli anziani cristiani possono far sì che le anime
depresse ricevano la cura necessaria.
Anziani con una lingua ammaestrata
In particolare i pastori spirituali devono avere “conoscenza e perspicacia” così da saper “rispondere con
una parola allo stanco”. (Geremia 3:15; Isaia 50:4) Se un anziano non sta attento, può involontariamente
far sentire peggio la persona depressa. Per esempio i tre compagni di Giobbe ufficialmente erano andati
“a dolersi con lui e a confortarlo”. Ma le loro parole, motivate da un’opinione errata sulla situazione di
Giobbe, anziché confortarlo lo ‘schiacciarono’. — Giobbe 2:11; 8:1, 5, 6; 11:1, 13-19; 19:2.
Vari articoli delle pubblicazioni della Watch Tower hanno illustrato i princìpi che si possono applicare nel
dare consigli. La maggioranza degli anziani ha applicato tali informazioni. Nondimeno in certi casi
affermazioni sconsiderate fatte da anziani — a livello personale o in discorsi — hanno causato molto
danno. Gli anziani quindi evitino di ‘parlare sconsideratamente come con i colpi di una spada’, ma si
esprimano con la ‘lingua salutare dei saggi’. (Proverbi 12:18) Se prima di parlare un anziano pensa
all’effetto che potranno avere le sue parole, ciò che dirà potrà essere fonte di ristoro. Perciò voi anziani
siate pronti ad ascoltare e lenti a trarre conclusioni prima di avere un quadro completo della situazione. —
Proverbi 18:13.
Quando gli anziani mostrano sincero interesse per le persone depresse, queste si sentono amate ed
apprezzate. Tale cura altruistica può spingerle a non tener conto di eventuali osservazioni scoraggianti.
(Giacomo 3:2) Le persone depresse sono spesso sopraffatte da sensi di colpa e gli anziani possono
aiutarle ad avere una veduta equilibrata delle cose. Anche quando è stato commesso un grave peccato,
la cura spirituale da parte degli anziani può aiutare ‘ciò che è zoppo a essere sanato’. — Ebrei 12:13.
Quando le persone depresse pensano che le loro preghiere siano inefficaci, gli anziani possono pregare
con loro e per loro. Leggendo con loro articoli basati sulla Bibbia che trattano l’argomento della
depressione, gli anziani possono ‘spalmare’ queste persone con parole spirituali lenitive. (Giacomo 5:14,
15) Gli anziani possono anche aiutare chi è depresso a compiere passi scritturali per risolvere eventuali
contrasti personali con qualcun altro, se questo è un problema. (Confronta Matteo 5:23, 24; 18:15-17).
Spesso alla base della depressione ci sono contrasti del genere, specialmente in seno alla famiglia.
Tenete presente che ci vuole tempo per riprendersi. Anche gli amorevoli sforzi di Elcana non
risollevarono immediatamente Anna dalla depressione. Le sue stesse preghiere come pure le
rassicurazioni del sommo sacerdote alla fine le recarono sollievo. (1 Samuele 1:12-18) Abbiate quindi
pazienza se i risultati tardano a venire. Naturalmente gli anziani in genere non sono dei medici e in certi
casi ciò che possono fare è limitato. Loro, insieme ai familiari della persona depressa, possono doverla
incoraggiare a rivolgersi a esperti in materia. Se necessario, gli anziani o i familiari possono chiaramente
spiegare all’esperto l’importanza di rispettare le convinzioni religiose della persona depressa.
Fino al nuovo mondo di Dio, nessuno avrà una perfetta salute fisica, mentale o emotiva. Nel frattempo, i
cristiani che dovessero perdere la gioia a causa della depressione possono trarre forza non solo dalla
congregazione cristiana ma anche dal nostro Padre celeste, “che conforta i depressi”. — 2 Corinti 7:6,
New American Standard Bible.
[Note in calce]
Vedi l’articolo “Sconfiggere la depressione: L’aiuto che altri possono dare” in Svegliatevi! dell’8 novembre
1987, g87 8/11 pagine 12-16.
Vedi gli articoli “Una lingua ammaestrata per ‘incoraggiare lo stanco’” nella Torre di Guardia del 1°
novembre 1982, e “‘Parole spirituali’ per chi soffre di disturbi mentali” nel numero del 15 novembre 1988.

[Riquadro a pagina 29]


COME PARLARE IN MANIERA CONSOLANTE
 ASCOLTATE ATTENTAMENTE: Con domande scrutatrici ‘attingete’ ai sentimenti del cuore della
persona. Siate pronti ad ascoltare e lenti a trarre conclusioni prima di avere un quadro completo della
situazione. — Proverbi 20:5; 18:13.
 MOSTRATE EMPATIA: Mostrando “i medesimi sentimenti” insieme a ‘tenera compassione’, cercate di
identificarvi emotivamente con la persona depressa. ‘Piangete con chi piange’. — 1 Pietro 3:8; Romani
12:15.
 SIATE LONGANIMI: Possono volerci ripetute conversazioni, per cui siate pazienti. Non tenete conto
dell’eventuale “parlare avventato” che la frustrazione può produrre in chi è depresso. — Giobbe 6:3.
 RAFFORZATE CON LE PAROLE: Aiutate la persona depressa a vedere le sue buone qualità.
Lodatela in maniera specifica. Mostratele che il valore di una persona non si misura dai problemi, dalle
esperienze negative del passato o dalle sue mancanze. Spiegatele perché Dio la ama e ha cura di lei. —
Giobbe 16:5.
Anun (figlio di Naas) — Tema: Attenti a giudicare i motivi altrui! LUCA 6:36, 38

it-1 150 Anun


ANUN
(Ànun) [egli ha mostrato favore; egli è stato benigno].
1. Figlio e successore di Naas re di Ammon. A motivo dell’amorevole benignità mostratagli da Naas,
Davide inviò messaggeri a confortare Anun per la perdita del padre. Ma Anun, convinto dai suoi principi
che questo non era altro che uno stratagemma di Davide per spiare la città, disonorò i servitori di Davide
radendo loro metà della barba, tagliando in due i loro abiti fino alle natiche e quindi mandandoli via.
Quando i figli di Ammon videro che erano diventati “un fetore” per Davide a motivo dell’umiliazione subita
dai suoi messaggeri, Anun prese l’iniziativa di prepararsi per la guerra e assoldò i siri per combattere
contro Israele. Nei conflitti che seguirono, gli ammoniti e i siri furono sbaragliati da Israele; Davide
assoggettò ai lavori forzati gli ammoniti di Rabba sopravvissuti. — 2Sa 10:1–11:1; 12:26-31; 1Cr 19:1–
20:3.

w74 15/1 39-40 Guardatevi dai pensieri poco benevoli


Guardatevi dai pensieri poco benevoli
AVETE mai udito espressioni come: “Non credo una parola di ciò!” o: “Chi crede d’essere?” o: “Non è
così meraviglioso. Avrei potuto fare di meglio”? Noi tutti l’abbiamo udito senz’altro, eppure quanto
sarebbe stato meglio non dire simili cose! O, meglio ancora, non avere simili pensieri poco benevoli!
Che cosa fa avere pensieri poco benevoli verso altri? Ebbene, un’altra persona può ricevere indebita
attenzione, o molti elogi. Oppure un’altra rivelerà il suo vivo desiderio d’essere notata e lodata. Il modo in
cui uno reagisce alla situazione può dunque rivelare una punta d’invidia.
La Bibbia contiene molti eccellenti ammonimenti per salvaguardarci da tali caratteristiche poco amorevoli.
Ci consiglia di tenere a freno la lingua, ma mostra anche il bisogno di badare ai pensieri. Anche se non
sono espressi a parole, i pensieri poco benevoli possono, ciò nondimeno, nuocere. Tendono a peggiorare
i rapporti con altri. Possono anche danneggiare colui che ha tali pensieri. Questo avviene perché ciò che
influisce sulla mente influisce anche sul corpo.
Alcuni pensieri poco benevoli da cui ci dobbiamo guardare sono quelli che rivelano ingiusto sospetto.
Perché? Ebbene, considerate un esempio. La Bibbia parla degli ingiustificati sospetti dei principi di un
popolo chiamato Ammoniti. Questo popolo, benché attaccasse di frequente gli Israeliti, non era mai stato
attaccato da loro, poiché Israele aveva ricevuto da Geova specifiche istruzioni di non attaccarlo. (Deut.
2:19) Tuttavia quando il Re Davide di Gerusalemme mandò loro i suoi messaggeri a fare le sue
condoglianze per la morte del loro re, quei principi accusarono i messaggeri d’essere spie e li umiliarono
grandemente. I sospetti li spinsero perfino a corrompere una nazione vicina perché si unisse loro nella
guerra contro Israele. Alla fine pagarono cari i loro ingiustificati sospetti con la sconfitta ed essendo
assoggettati a Israele. Possiamo imparare da ciò che accadde loro. — 1 Cron. 19:1–20:3.
Nei rapporti con amici, parenti, stretti associati e, in particolare, con i conservi cristiani, è meglio fidarsi
degli altri. Anche se sorgono problemi, date loro il beneficio del dubbio. È meglio essere delusi ogni tanto
che essere indebitamente sospettosi, come se tutti fossero pronti ad approfittare di voi. Molti mariti e
molte mogli si rendono la vita infelice perché si sospettano ingiustamente. Quanto più felice sarebbe il
loro matrimonio se si prefiggessero di avere pensieri benigni gli uni verso gli altri!
Dovremmo specialmente badare di non avere pensieri poco benevoli quando si tratta di giudicare i motivi
altrui. Non dimentichiamo che fu il Diavolo stesso il primo ad accusare altri di egoistici motivi, senza
giustificazione. Cominciò la sua malvagia condotta nutrendo pensieri poco benevoli verso Dio, ciò che lo
portò a calunniare il Creatore. (Gen. 3:1-5) In seguito mise in dubbio i motivi di tutti i servitori di Dio. A che
cosa ha portato questo? Egli fa tutto quello che può per mostrare che i suoi sospetti sono fondati. E
questa, si noti, è un’altra ragione per non avere indebiti sospetti; c’è sempre il pericolo di cercare di
dimostrare che i propri sospetti sono fondati, e di divenire così nemici di altre persone. — Riv. 12:10.
Si possono nutrire pensieri poco benevoli anche avendo uno spirito troppo critico, pretendendo troppo
dagli altri. È bene comprendere che quanto può apparire piccolo e insignificante a noi può rappresentare
una grande vittoria o impresa per un altro. Quando nelle case c’è il “divario fra le generazioni”, non è esso
dovuto al fatto che i genitori criticano troppo i figli e i figli criticano troppo i genitori? Farebbero bene a
imparare dal proverbio turco: “Chi cerca un amico senza difetti resterà senza l’amico”.
C’è specialmente bisogno che i viaggiatori si guardino dai pensieri poco benevoli e delle ingiuste critiche
quando visitano paesi stranieri. Vedendo cose e usanze strane si può benissimo essere indotti a fare uno
sfavorevole paragone fra ciò che si vede e le condizioni del proprio paese. Invece, non sarebbe meglio
esercitare empatia, mettersi per così dire nei panni degli altri? Così facendo, si potranno fare concessioni,
riconoscendo fino a che punto le persone sono vittime delle circostanze. Vedendoli dal giusto punto di
vista, si possono ammirare sinceramente per quello che riescono a fare nelle condizioni esistenti.
Imparate a provare gioia in quello che fanno gli altri notando i loro lati buoni invece di badare troppo ai
loro difetti. Non siate come la persona stolta che, notando che l’oratore ripeteva una certa espressione,
contò quante volte la usava. Quanto più profitto poteva trarre dal discorso concentrando la sua attenzione
sugli argomenti presentati e apprezzando la sincerità dell’oratore!
Nel vostro stesso interesse e nell’interesse dei buoni rapporti con altri, guardatevi dunque dai pensieri
poco benevoli. Invece, date ascolto all’ispirato consiglio: “Infine, fratelli, tutte le cose . . . amabili, tutte le
cose delle quali si parla bene, se vi è qualche virtù e qualche cosa degna di lode, continuate a
considerare queste cose”. — Filip. 4:8.

w80 1/10 12-13 Attenti a non attribuire agli altri motivi errati (W97 15-5 P.26-29)
Una volta il re Davide mandò i suoi servitori a confortare il re Anun di Ammon per la morte di suo padre.
Ma gli ammoniti, invece, sospettarono che Davide avesse mandato gli uomini per spiare, e quindi li
umiliarono profondamente. Questo portò a una guerra, in cui gli ammoniti e i siri subirono una grande
disfatta. Che disastrose conseguenze per aver dubitato dei motivi altrui! — II Sam. cap. 10.
MALINTESI
Cosa possono imparare i cristiani dal racconto biblico? Per esempio che è possibile fraintendere lo spirito
e i motivi delle azioni altrui. Questo fecero gli ammoniti quando Davide mandò gli uomini a confortare il re
Anun. Oggi un individuo può essere timido e riservato. Forse ha anche un’espressione facciale seria. Altri
potrebbero ingiustamente concludere che è una persona fredda, orgogliosa ed egoista, anche se forse è
tutto il contrario.
A volte si accusa qualcuno di pigrizia. Ma forse il presunto pigro sta già facendo del suo meglio. A causa
di qualche debolezza fisica o problema di salute può non essere in grado di fare di più o di lavorare più in
fretta. È bene quindi comprendere che, per molte ragioni, non tutti sono ugualmente efficienti o produttivi.
A volte si mettono in dubbio i motivi di qualcuno che sta solo cercando di rendersi utile ad altri. Per
esempio, in un certo ufficio diverse persone fanno a turno per rispondere al telefono dopo il normale
orario di lavoro. Non sono tenute a stare sedute accanto al telefono in attesa delle chiamate, ma possono
fare qualcos’altro in una stanza vicina. Un giorno uno dei responsabili, che non era di turno, si trovò
proprio vicino al telefono quando cominciò a squillare. Gentilmente rispose, affinché la persona di turno
non fosse costretta a interrompere la sua attività nella stanza vicina. Purtroppo però l’individuo che era di
turno, anziché ringraziare l’altro per il suo amorevole aiuto, pensò che l’avesse fatto per un motivo errato.
Una questione di scarsa importanza? Sì, ma illustra il bisogno di stare attenti ai malintesi nel valutare gli
atteggiamenti e i motivi degli altri.
CONCEDIAMO AGLI ALTRI IL BENEFICIO DEL DUBBIO
Comprendendo le spiacevoli conseguenze che possono derivare dal mettere in dubbio la buona fede
degli altri, vogliamo certamente evitare di farlo. I cristiani fanno bene a concedere agli altri il beneficio del
dubbio. Questo è in armonia con il principio divino espresso dall’apostolo Paolo secondo cui l’amore
“crede ogni cosa”. (I Cor. 13:7) Attenersi a questo principio significa senza dubbio aver fiducia di un
conservo cristiano in caso di dubbio, anziché sospettare ingiustamente di lui.
Cercare di conoscere meglio gli altri può aiutarci a evitare di dubitare di loro. Questo può richiedere mesi
o anche anni. Ma in molti casi, più informazioni abbiamo, meno corriamo il pericolo di attribuire ad altri
motivi errati.
QUANDO SONO MESSI IN DUBBIO I NOSTRI MOTIVI
Che dire se siamo noi quelli di cui si dubita? Come dovremmo reagire? È bene non offendersi, perché
Ecclesiaste 7:9 dice: “Non t’affrettare nel tuo spirito a offenderti”. Col tempo l’altra persona può imparare
a conoscerti meglio e può cambiare idea. Rendendosi conto di quanto si sbagliasse, ti amerà ancora di
più, specialmente per il fatto che non hai reagito con ira. I cristiani desiderano imitare Dio, che esercita
padronanza di sé anche quando viene accusato. Inoltre, Geova conosce i nostri motivi e ci darà conforto.
Proveremo gioia se continueremo a ‘confidare in Geova e fare il bene’. Se ritiene opportuno dimostrare la
nostra buona fede in una certa questione, Geova può farlo al momento giusto. — Sal. 37:3-8; Atti 15:8; II
Cor. 7:6.
Una situazione particolarmente difficile si verifica quando qualcuno riceve un consiglio da una persona
che dubita ingiustamente dei suoi motivi. Qualsiasi cosa il primo possa dire a sua discolpa rischia di
essere considerato un tentativo di giustificarsi. In effetti, però, il consiglio potrebbe essere fuori luogo per
il fatto che non sono stati presi in considerazione certi fattori. Oppure la persona che dà il consiglio, per
quanto benintenzionata, può essere portata a diffidare di voi se cercate di spiegare come stanno
effettivamente le cose. Perciò, se il punto in questione è di scarsa importanza, potreste preferire di non
aggiungere altro per far cambiare idea a chi vi ha dato il consiglio, sempre che, tacendo, non ne derivino
conseguenze dannose. Ma se la vostra posizione o i vostri motivi sono stati fraintesi, non è sempre il
caso di stare zitti. È ovvio che sarebbe moralmente sbagliato cedere il campo a una menzogna senza
dire nulla. Vi sono circostanze in cui è appropriato che spieghiate con calma la vostra posizione o il vostro
atteggiamento, affinché la vostra coscienza sia tranquilla sapendo di avere almeno cercato di chiarire le
cose, anziché sentirvi in colpa per avere debolmente acconsentito a una falsa accusa. Questo può anche
essere utile a chi ha dato il consiglio, perché anche lui impari a essere equilibrato nel dare consigli.
Un proverbio tedesco dice: “Chi mente una volta non viene più creduto anche quando dice la verità”. Ma
questo non dovrebbe accadere fra i cristiani. Se qualcuno commette un errore che diviene noto agli altri e
un successivo sviluppo ricorda ad alcuni quel vecchio sbaglio, dovrebbero forse sospettare di lui a causa
di quel precedente errore? Non necessariamente, poiché l’amore non giudica una persona in quattro e
quattr’otto. Se noi, pur essendo innocenti, fossimo sospettati di qualcosa solo perché l’abbiamo fatta nel
passato, non saremmo addolorati di tale sfiducia nei nostri confronti? Certamente, perché sotto l’influsso
dello spirito santo di Dio le persone fanno enormi cambiamenti in meglio. È anche bene ricordare che
“l’amore . . . non tiene conto dell’ingiuria”. — I Cor. 6:9-11; 13:4, 5.

W99 1-2 P.4


Aquila — Tema: Predicate con zelo e siate ospitali TITO 2:14; EBREI 13:2

it-1 165 Aquila, I


AQUILA, I
[dal lat.; nome proprio di persona masch.].
Ebreo nativo del Ponto, nell’Asia Minore settentrionale, sempre menzionato insieme a Priscilla, sua
moglie e fedele compagna. Espulsi da Roma in seguito al decreto contro gli ebrei emanato
dall’imperatore Claudio nel 49 o all’inizio del 50 E.V., essi si stabilirono a Corinto. (At 18:1, 2) Quando
arrivò Paolo nell’autunno del 50 E.V., Aquila e Priscilla lo ospitarono amorevolmente. Fra loro nacque una
stretta amicizia poiché svolgevano insieme lo stesso lavoro di fabbricanti di tende e senza dubbio Aquila
e Priscilla aiutarono Paolo a rafforzare la nuova congregazione locale. — At 18:3.
Quando alla fine del secondo viaggio missionario Paolo s’imbarcò per la Siria nel 52 E.V., Aquila e
Priscilla lo accompagnarono fino a Efeso (At 18:18, 19), e vi rimasero almeno finché Paolo da lì scrisse ai
corinti verso il 55 E.V. La loro casa serviva come luogo di adunanza per la congregazione locale ed essi
ebbero il privilegio di aiutare l’eloquente Apollo ad acquistare un più accurato intendimento della via di
Dio. (1Co 16:19; At 18:26) Allorché Paolo scrisse ai romani, verso il 56 E.V., Claudio era morto e Aquila e
Priscilla erano tornati a Roma, e infatti egli mandò i saluti a questi suoi “compagni d’opera”. (Ro 16:3)
Anche qui la congregazione si radunava in casa loro. (Ro 16:5) Mentre erano con Paolo, una volta Aquila
e Priscilla avevano “rischiato il proprio collo” per lui, meritando la gratitudine di tutte le congregazioni. (Ro
16:4) Più tardi ritornarono a Efeso, infatti Paolo, mentre si trovava a Roma poco prima di subire il martirio
(ca. 65 E.V.), chiese a Timoteo di portare loro i suoi saluti. — 1Tm 1:3; 2Tm 4:19.

w88 1/10 13 Apprezziamo i nostri fratelli


14 Dal versetto 3 al 15 di Romani 16 Paolo manda saluti ad oltre 20 cristiani menzionandoli per nome, e a
molti altri menzionandoli individualmente o come gruppo. (Leggi i versetti 3, 4 di Romani 16). Riuscite ad
avvertire l’affetto fraterno che Paolo sentiva per Prisca (o, Priscilla; confronta Atti 18:2) e Aquila? Questa
coppia aveva affrontato dei pericoli per Paolo. Ora egli salutava questi compagni d’opera con gratitudine
e mandava loro un’espressione di ringraziamento da parte delle congregazioni gentili. Come devono
essersi sentiti incoraggiati Aquila e Priscilla da questi saluti sinceri!

w93 15/11 20-1 Abbiate coraggio!


Coraggio di ‘rischiare il proprio collo’
13 Aquila e sua moglie Priscilla (Prisca) furono d’esempio in quanto con coraggio ‘rischiarono il proprio
collo’ per un compagno di fede. Accolsero Paolo in casa loro, lavorarono con lui fabbricando tende e lo
aiutarono a rafforzare la nuova congregazione di Corinto. (Atti 18:1-4) Durante i 15 anni della loro
amicizia misero perfino a repentaglio la loro vita in un modo a noi sconosciuto. Vivevano a Roma quando
Paolo scrisse ai cristiani di quella città: “Date i miei saluti a Prisca e Aquila, miei compagni d’opera in
Cristo Gesù, che hanno rischiato il proprio collo per la mia anima, ai quali non solo io ma anche tutte le
congregazioni delle nazioni rendono grazie”. — Romani 16:3, 4.
14 Rischiando il collo per Paolo, Aquila e Prisca agirono in armonia con le parole di Gesù: “Vi do un nuovo
comandamento, che vi amiate gli uni gli altri; come vi ho amati io, che anche voi vi amiate gli uni gli altri”.
(Giovanni 13:34) Questo comandamento era “nuovo” nel senso che andava oltre il comando contenuto
nella Legge mosaica di amare il prossimo come se stessi. (Levitico 19:18) Richiedeva un amore disposto
a sacrificarsi fino a dare la vita per gli altri, come fece Gesù. Tertulliano, scrittore del II-III secolo E.V., citò
quello che le persone del mondo dicevano dei cristiani: “‘Vedi’, dicono, ‘come si amano fra loro . . . e sono
pronti a morire l’un per l’altro’”. Specialmente durante la persecuzione potremmo trovarci a dover
dimostrare amore fraterno rischiando coraggiosamente la vita per non esporre i nostri conservi a brutalità
o morte per mano del nemico. — 1 Giovanni 3:16.

w96 15/12 22-4 Aquila e Priscilla: una coppia esemplare


Aquila e Priscilla: una coppia esemplare
“DATE i miei saluti a Prisca e Aquila, miei compagni d’opera in Cristo Gesù, che hanno rischiato il proprio
collo per la mia anima, ai quali non solo io ma anche tutte le congregazioni delle nazioni rendono grazie”.
— Romani 16:3, 4.
Queste parole che l’apostolo Paolo rivolse alla congregazione cristiana di Roma rivelano la grande stima
e il caloroso affetto che aveva per questa coppia. Si assicurò di non dimenticarsi di loro quando scrisse
alla congregazione di cui facevano parte. Ma chi erano questi due “compagni d’opera” di Paolo, e perché
erano così cari a lui e alle congregazioni? — 2 Timoteo 4:19.
Aquila era un ebreo della diaspora (gli ebrei dispersi) nativo del Ponto, regione dell’Asia Minore
settentrionale. Lui e sua moglie Priscilla (Prisca) si erano stabiliti a Roma. In quella città c’era una folta
comunità giudaica almeno dal 63 a.E.V., allorché Pompeo Magno aveva conquistato Gerusalemme e
condotto a Roma molti prigionieri come schiavi. Epigrafi di epoca romana rivelano infatti l’esistenza di una
dozzina di sinagoghe nella città antica. Alla Pentecoste del 33 E.V. alcuni giudei di Roma si trovavano a
Gerusalemme, dove udirono la buona notizia. Forse tramite loro il messaggio di Cristo raggiunse per la
prima volta la capitale dell’impero romano. — Atti 2:10.
Tuttavia nel 49 o agli inizi del 50 E.V. i giudei erano stati espulsi da Roma per ordine dell’imperatore
Claudio. Perciò l’apostolo Paolo conobbe Aquila e Priscilla nella città greca di Corinto. Quando arrivò a
Corinto, Aquila e Priscilla gli offrirono prontamente sia ospitalità che lavoro. Infatti, erano dello stesso
mestiere: fabbricanti di tende. — Atti 18:2, 3.
Fabbricanti di tende
Fabbricare tende non era un lavoro facile. Comportava tagliare e cucire pezzi di cuoio o di stoffa rigida e
grossolana. Secondo lo studioso Fernando Bea, era un “lavoro che richiedeva attenzione e perizia” da
parte degli artigiani che lavoravano con “tessuti ruvidi e resistenti, usati per accamparsi durante i viaggi,
ripararsi dal sole e dalla pioggia, avvolgere la mercanzia nelle stive delle navi”. — Saulo, Saulo . . . un
testimone di Cristo, Città Nuova Editrice, Roma, 1988.
Questo fa sorgere una domanda. Paolo non disse forse di essere stato ‘educato ai piedi di Gamaliele’,
cosa che lo avrebbe preparato per una professione prestigiosa negli anni avvenire? (Atti 22:3) Sì, ma gli
ebrei del I secolo consideravano onorevole insegnare un mestiere a un ragazzo anche se doveva
ricevere un’istruzione superiore. Perciò è probabile che sia Aquila che Paolo avessero imparato il
mestiere di fabbricante di tende da giovani. Quell’esperienza tornò loro molto utile in seguito. Ma,
essendo cristiani, non consideravano il lavoro secolare fine a se stesso. Paolo spiegò che il mestiere che
svolgeva a Corinto con Aquila e Priscilla era solo un mezzo per sostenere la sua principale attività:
dichiarare la buona notizia senza “imporre un costoso peso a nessuno”. — 2 Tessalonicesi 3:8; 1 Corinti
9:18; 2 Corinti 11:7.
È evidente che Aquila e Priscilla erano felici di fare tutto il possibile per agevolare l’attività missionaria di
Paolo. Chissà quante volte i tre amici avranno fatto una pausa durante il lavoro per dare testimonianza
informale ai clienti o ai passanti! E sebbene il mestiere di fabbricanti di tende fosse umile e faticoso,
erano felici di svolgerlo, lavorando anche “notte e giorno” pur di promuovere gli interessi di Dio. Oggi
avviene un po’ la stessa cosa: molti cristiani si sostengono con un lavoro part time o stagionale per
dedicare la maggior parte del tempo che resta a diffondere la buona notizia. — 1 Tessalonicesi 2:9;
Matteo 24:14; 1 Timoteo 6:6.
Esempi di ospitalità
Probabilmente Paolo, durante i 18 mesi che rimase a Corinto, usò la casa di Aquila come base per le sue
attività missionarie. (Atti 18:3, 11) È probabile, perciò, che Aquila e Priscilla abbiano avuto il piacere di
ospitare anche Sila (Silvano) e Timoteo al loro arrivo dalla Macedonia. (Atti 18:5) Può darsi che l’apostolo
Paolo abbia scritto le due lettere ai Tessalonicesi, diventate poi parte del canone biblico, mentre
alloggiava da Aquila e Priscilla.
È facile immaginare che in quel periodo la casa di Priscilla e Aquila fosse un vero centro di attività
teocratica. Probabilmente era frequentata da molti cari amici: Stefana e la sua famiglia, i primi cristiani
della provincia dell’Acaia battezzati dallo stesso Paolo; Tizio Giusto, che permise a Paolo di usare la sua
casa per pronunciarvi discorsi; e Crispo, presidente della sinagoga, che accettò la verità insieme a tutta la
sua casa. (Atti 18:7, 8; 1 Corinti 1:16) Poi c’erano Fortunato e Acaico; Gaio, presso la cui abitazione si
tenevano forse adunanze della congregazione; Erasto, economo della città; Terzo, l’amanuense a cui
Paolo dettò la lettera ai Romani; e Febe, fedele sorella della vicina congregazione di Cencrea, che
probabilmente portò la lettera da Corinto a Roma. — Romani 16:1, 22, 23; 1 Corinti 16:17.
Chi fra gli odierni servitori di Geova ha avuto la possibilità di offrire ospitalità a un ministro viaggiante sa
quanto ciò possa essere edificante e indimenticabile. Le incoraggianti esperienze raccontate in tali
occasioni possono essere una vera fonte di ristoro spirituale per tutti. (Romani 1:11, 12) E chi, come
Aquila e Priscilla, mette a disposizione la propria casa per le adunanze, forse per uno studio di libro di
congregazione, ha la gioia e la soddisfazione di contribuire in tal modo al progresso della vera
adorazione.
L’amicizia con Paolo era così stretta che quando nella primavera del 52 E.V. partì da Corinto, Aquila e
Priscilla lo accompagnarono fino a Efeso. (Atti 18:18-21) Si fermarono in questa città e prepararono il
terreno per la successiva visita dell’apostolo. Fu lì che questi esperti insegnanti della buona notizia
“presero con sé” l’eloquente Apollo ed ebbero la gioia di aiutarlo a capire “più correttamente la via di Dio”.
(Atti 18:24-26) Quando Paolo, nel suo terzo viaggio missionario, tornò a Efeso, verso l’inverno del 52/53
E.V., il campo coltivato da questa coppia energica era già maturo per la raccolta. Per circa tre anni Paolo
predicò e insegnò lì riguardo alla “Via”, mentre la congregazione di Efeso teneva le adunanze in casa di
Aquila. — Atti 19:1-20, 26; 20:31; 1 Corinti 16:8, 19.
In seguito, allorché tornarono a Roma, questi due amici di Paolo continuarono a ‘seguire il corso
dell’ospitalità’, mettendo a disposizione la loro casa per tenervi riunioni cristiane. — Romani 12:13; 16:3-
5.
‘Rischiarono il proprio collo’ per Paolo
Può darsi che pure a Efeso Paolo sia stato ospitato da Aquila e Priscilla. Alloggiava presso di loro al
momento del tumulto degli argentieri? Stando al racconto di Atti 19:23-31, quando i fabbricanti di tempietti
insorsero contro la predicazione della buona notizia, i fratelli dovettero trattenere Paolo che voleva
presentarsi davanti alla turba. Alcuni biblisti hanno ipotizzato che forse fu proprio in un pericoloso
frangente come quello che Paolo si sentì ‘incerto perfino della sua propria vita’ e che Aquila e Priscilla in
qualche modo intervennero ‘rischiando il proprio collo’ per lui. — 2 Corinti 1:8; Romani 16:3, 4.
Dopo che ‘il tumulto si fu acquietato’, Paolo saggiamente lasciò la città. (Atti 20:1) Senza dubbio anche
Aquila e Priscilla subirono opposizione e scherni. Si scoraggiarono per questo? Al contrario, continuarono
coraggiosamente a svolgere le loro attività cristiane.
Una coppia affiatata
Dopo la morte di Claudio, Aquila e Priscilla tornarono a Roma. (Romani 16:3-15) Tuttavia, l’ultima volta
che vengono menzionati nella Bibbia, li ritroviamo a Efeso. (2 Timoteo 4:19) Ancora una volta, come in
tutti gli altri passi biblici in cui vengono ricordati, questi coniugi sono menzionati insieme. Che coppia
affiatata e unita! Paolo non poteva pensare a quel caro fratello, Aquila, senza ricordare anche la sua
fedele collaboratrice, Priscilla. Che eccellente esempio per le coppie cristiane di oggi: il leale sostegno di
un coniuge devoto consente di fare molto “nell’opera del Signore”, a volte anche più di ciò che si potrebbe
fare da non sposati. — 1 Corinti 15:58.
Aquila e Priscilla servirono in diverse congregazioni. Come loro, oggi molti cristiani zelanti si sono resi
disponibili per trasferirsi dove il bisogno è più grande. Anch’essi provano la gioia e la soddisfazione di
veder crescere gli interessi del Regno e di stringere calorose e preziose amicizie cristiane.
Con il loro splendido esempio di amore cristiano, Aquila e Priscilla si conquistarono la stima di Paolo e di
altri. Quel che più conta, si fecero una buona reputazione presso Geova. Le Scritture ci assicurano: “Dio
non è ingiusto da dimenticare la vostra opera e l’amore che avete mostrato per il suo nome, in quanto
avete servito e continuate a servire i santi”. — Ebrei 6:10.
Forse non abbiamo la possibilità di prodigarci nei modi in cui si prodigarono Aquila e Priscilla, ma
possiamo imitare il loro eccellente esempio. Proveremo profonda soddisfazione spendendo le nostre
energie e la nostra vita nel sacro servizio, non dimenticando mai “di fare il bene e di condividere con altri,
poiché Dio si compiace di tali sacrifici”. — Ebrei 13:15, 16.
Il re Asa — Tema: Zelanti per la pura adorazione GIOVANNI 2:17

it-1 213-4 Asa


ASA
1. Terzo re di Giuda dopo la divisione della nazione in due regni. Asa era figlio di Abiam (Abia) e nipote di
Roboamo. Regnò per 41 anni (977-937 a.E.V.). — 1Re 15:8-10.
Zelo di Asa per la pura adorazione. Nel ventennio seguito alla scissione nazionale Giuda e Beniamino
erano sprofondati nell’apostasia. Asa manifestò zelo per la pura adorazione “come Davide suo antenato”,
e si accinse con coraggio a eliminare i prostituti dal tempio e gli idoli dal paese. Tolse a sua nonna Maaca
la posizione di ‘prima donna’ del paese, perché aveva fatto “un orribile idolo” al palo sacro, o Asheràh, e
ridusse in cenere l’idolo. — 1Re 15:11-13.
In 2 Cronache 14:2-5 si legge che Asa “eliminò dunque gli altari stranieri e gli alti luoghi e spezzò le
colonne sacre e tagliò i pali sacri”. Ma 1 Re 15:14 e 2 Cronache 15:17 dicono che “non eliminò gli alti
luoghi”. Può quindi darsi che gli alti luoghi menzionati nel precedente brano di Cronache fossero quelli
dove si praticava l’adorazione pagana che aveva contaminato Giuda, mentre il brano di Re si riferirebbe
agli alti luoghi dove la popolazione adorava Geova. Anche dopo l’erezione del tabernacolo e più tardi
dopo la costruzione del tempio, occasionali sacrifici erano offerti a Geova sugli alti luoghi e in speciali
circostanze gli furono ben accetti, come nei casi di Samuele, Davide ed Elia. (1Sa 9:11-19; 1Cr 21:26-30;
1Re 18:30-39) Comunque il luogo approvato per i normali sacrifici era quello autorizzato da Geova. (Nu
33:52; De 12:2-14; Gsè 22:29) Errate forme di adorazione sugli alti luoghi poterono continuare
nonostante l’eliminazione degli alti luoghi pagani, forse perché il re non s’impegnò ad eliminarli con lo
stesso vigore con cui eliminò quelli pagani. Oppure è possibile che Asa avesse effettuato una completa
rimozione di tutti gli alti luoghi; in tal caso, col tempo, questi sorsero di nuovo e non furono più eliminati
sino alla fine del suo regno, tanto che furono abbattuti dal suo successore, Giosafat.
Per il suo zelo per la giusta adorazione Asa ebbe la benedizione di Geova e quindi i primi dieci anni del
suo regno furono anni di pace. (2Cr 14:1, 6) In seguito Giuda fu attaccato da un esercito di un milione di
guerrieri al comando di Zera l’etiope. Nonostante la grande inferiorità numerica, Asa andò incontro
all’invasore a Maresa, circa 38 km a OSO di Gerusalemme nei bassopiani di Giuda. La sua fervente
preghiera prima della battaglia fu sia un riconoscimento che Geova Dio aveva il potere di liberarli che
un’invocazione d’aiuto rivolta a Lui: “Ci appoggiamo a te e nel tuo nome siamo venuti contro questa folla.
O Geova, tu sei il nostro Dio. Non ritenga forza l’uomo mortale contro di te”. Il risultato fu una completa
vittoria. — 2Cr 14:8-15.
Asa incontrò poi il profeta Azaria il quale gli ricordò: “Geova è con voi finché voi mostrate d’essere con
lui”, ma “se lo lasciate, egli vi lascerà”. Egli rammentò ad Asa le lotte fratricide che avevano afflitto la
nazione quando questa si era allontanata da Geova e lo esortò a continuare con coraggio la sua attività a
sostegno della pura adorazione. (2Cr 15:1-7) La pronta reazione di Asa e l’incoraggiamento che diede
alla nazione nel vero servizio di Geova indussero un gran numero di abitanti del regno settentrionale ad
abbandonare quella regione per partecipare a una grandiosa assemblea tenuta a Gerusalemme nel 15°
anno del regno di Asa (963 a.E.V.), assemblea durante la quale venne stipulato un patto che esprimeva
la determinazione del popolo di cercare Geova e che prevedeva la pena di morte per chi non l’avesse
osservato. — 2Cr 15:8-15.
Complotto e guerra contro Baasa. Baasa re d’Israele tentò di impedire il passaggio di chiunque volesse
tornare in Giuda fortificando Rama, la città di frontiera poco più a N di Gerusalemme, sulla strada
principale che portava a questa città. Asa, per qualche ragionamento umano o seguendo cattivi consigli,
smise di confidare unicamente in Geova e ricorse alla diplomazia e a trattative segrete per scongiurare
questa minaccia. Prese i tesori del tempio e quelli della casa reale e li mandò a Ben-Adad I re di Siria per
indurlo a distogliere l’attenzione di Baasa con un attacco contro la frontiera N di Israele. Ben-Adad I
accettò, e la sua incursione contro città israelite al N interruppe i lavori di costruzione di Baasa
costringendolo a ritirare le sue forze da Rama. Asa allora chiamò a raccolta tutta la manodopera
disponibile nell’intero regno di Giuda e portò via tutte le scorte di materiale edile di Baasa, servendosene
per costruire le città di Gheba e Mizpa. — 1Re 15:16-22; 2Cr 16:1-6.
Per questo Hanani il veggente andò da Asa e gli fece notare come era stato incoerente a non confidare in
Dio che lo aveva liberato dal grande esercito etiope, ricordandogli che “riguardo a Geova, i suoi occhi
scorrono tutta la terra per mostrare la sua forza a favore di quelli il cui cuore è completo verso di lui”. Per
la sua azione insensata Asa ora avrebbe dovuto affrontare una guerra continua. Irritato dal rimprovero,
Asa mise ingiustamente in prigione Hanani e cominciò a opprimere altri del popolo. — 2Cr 16:7-11.
L’affermazione di 2 Cronache 16:1 che Baasa salì contro Giuda “nel trentaseiesimo anno del regno di
Asa” ha causato qualche perplessità, dato che il regno di Baasa, iniziato nel terzo anno di Asa e durato
solo 24 anni, era terminato circa 10 anni prima del 36° anno del regno di Asa. (1Re 15:33) Alcuni
pensano a un errore di copiatura e ritengono si tratti del 16° o del 26° anno del regno di Asa, ma non è
necessario ipotizzare un errore per far tornare il conto. Commentatori ebrei citano il Seder Olam, il quale
avanza l’ipotesi che fosse il 36° anno dall’inizio del regno separato di Giuda (997 a.E.V.), corrispondente
al 16° anno di Asa (infatti Roboamo regnò 17 anni, Abia 3 anni e Asa era ora nel 16° anno). ( Soncino
Books of the Bible, Londra, 1952, nt. a 2Cr 16:1) Tale era pure l’opinione di James Ussher. Quindi anche
l’apparente contraddizione fra la dichiarazione di 2 Cronache 15:19 che ‘non ci fu guerra fino al
trentacinquesimo [in realtà il quindicesimo] anno del regno di Asa’, e quella di 1 Re 15:16 secondo cui “ci
fu la guerra stessa fra Asa e Baasa re d’Israele per tutti i loro giorni”, può essere spiegata dal fatto che,
una volta iniziate, le ostilità fra i due re continuarono come aveva predetto Hanani. — 2Cr 16:9.
Malattia e morte. Negli ultimi tre anni della sua vita Asa soffrì di una malattia ai piedi (forse gotta), e poco
saggiamente si preoccupò più della sua salute fisica che di quella spirituale. Alla sua morte ricevette
degna sepoltura nella tomba che si era preparato personalmente nella città di Davide. — 1Re 15:23, 24;
2Cr 16:12-14.
Nonostante si fosse mostrato poco saggio e a volte privo di discernimento spirituale, le sue buone qualità
e il fatto che rifuggì dall’apostasia ebbero più peso dei suoi errori, e Asa è considerato uno dei re fedeli
della casa reale di Giuda. (2Cr 15:17) Ai 41 anni del regno di Asa corrisposero, almeno in parte, i regni di
otto re d’Israele: Geroboamo, Nadab, Baasa, Ela, Zimri, Omri, Tibni (che governò su una parte di Israele
in opposizione a Omri) e Acab. (1Re 15:9, 25, 33; 16:8, 15, 16, 21, 23, 29) Alla morte di Asa salì al trono
suo figlio Giosafat. — 1Re 15:24.

w81 1/6 28-9 "Tale il padre tale il figlio"


“Tale il padre tale il figlio”
Non nel caso di Asa!
COM’ERA tuo padre? O, se sei una donna, com’era tua madre?
Un detto comune è “Tale il padre tale il figlio”. Lo stesso concetto è espresso dal detto tedesco Der Apfel
fällt nicht weit vom Stamm (la mela non cade lontano dal tronco). Questi detti derivano dalla
constatazione che spesso i figli conservano i tratti e la mentalità dei genitori.
È così nel tuo caso? Forse qualcuno dice di te: ‘È tutto suo padre!’ Ne sei contento? Vuoi essere come
tuo padre o tua madre?
Probabilmente il tuo genitore aveva o ha molte ammirevoli qualità che saresti lieto di avere anche tu. Ma
che dire se uno si accorge, in tutta onestà, che il modo di vivere del genitore è proprio l’opposto di ciò che
insegnano certi princìpi biblici? Naturalmente non vorrà ribellarsi apertamente al genitore. Ma sapendo
quanto può esser forte l’influenza dei genitori, il figlio o la figlia che si trovasse in tale situazione avrebbe
bisogno di fare sinceri e persistenti sforzi per sviluppare un modo di pensare o d’agire diverso dal loro.
Tuttavia ne varrebbe la pena, specialmente se ciò servisse ad avvicinare maggiormente il figlio a Dio, il
nostro Padre celeste. Nella Bibbia è menzionato un interessante esempio, quello di Asa.
LA SCELTA FATTA DA ASA
Nel X secolo a.E.V. Asa divenne re di Giuda. Suo padre Abiam (Abia) gli aveva dato un cattivo esempio;
invece di confidare zelantemente in Geova Dio, aveva tollerato pratiche idolatriche sugli “alti luoghi” della
falsa adorazione. Sotto questo aspetto Abiam ‘aveva camminato in tutti i peccati di suo padre’, Roboamo.
(I Re 14:22-24; 15:3) Pensi che Asa, figlio di Abiam, potesse dipartirsi da quel modello d’infedeltà?
Oppure anche nel suo caso si sarebbe mostrato vero il detto “Tale il padre tale il figlio”?
L’interessante racconto scritturale mostra che Asa non seguì le orme né del padre né del nonno. “Asa
faceva ciò che era retto agli occhi di Geova, come Davide suo antenato”. Sì, scelse di non seguire
l’esempio del padre e del nonno. Seguì quello del suo trisnonno Davide, un esempio di zelo per la pura
adorazione. La Bibbia aggiunge riguardo ad Asa: “Fece passare dal paese i prostituti del tempio e
rimosse tutti gli idoli di letame che i suoi antenati avevano fatti”. (I Re 15:11, 12; II Cron. 14:2-5) Lanciò
un’energica campagna contro l’idolatria.
RICOMPENSATO DA GEOVA
La fede di Asa in Geova fu grandemente ricompensata. Come? Ebbene, in seguito un esercito di un
milione di uomini al comando di Zera l’Etiope marciò contro il regno di Giuda. Il re si rivolse all’Altissimo
con queste parole: “O Geova, in quanto ad aiutare, a te non importa se ci sono molti o gente senza
nessuna potenza. Aiutaci, o Geova nostro Dio, poiché ci appoggiamo in effetti su di te e nel tuo nome
siamo venuti contro questa folla. O Geova, tu sei il nostro Dio”. — II Cron. 14:9-11.
Dio ascoltò questo re così diverso dal padre. Con l’aiuto di Dio i sudditi di Asa riuscirono a infliggere
un’umiliante sconfitta ai nemici etiopi. — II Cron. 14:12, 13.
Dopo ciò il profeta Azaria incontrò Asa e incoraggiò lui e i suoi sudditi a rimanere fedeli a Geova, dicendo:
“Geova è con voi finché voi mostrate d’essere con lui; e se lo ricercate, si lascerà trovare da voi, ma se lo
lasciate egli vi lascerà”. Riferendosi forse al turbolento periodo d’infedeltà da parte d’Israele prima
dell’inizio della monarchia, Azaria continuò: “Molti furono i giorni nei quali Israele era stato senza un vero
Dio. . . . C’erano molti disordini fra tutti gli abitanti dei paesi. Ed eran frantumati, nazione contro nazione e
città contro città, perché Dio stesso li tenne nel disordine con ogni sorta di angustia”. Ma non era detto
che le cose dovessero necessariamente andare in quel modo. Se il popolo e il re si fossero mostrati
diversi dai loro antenati infedeli, disse il profeta, ‘ci sarebbe stata una ricompensa per la loro attività’. — II
Cron. 15:1-7.
Asa e i suoi sudditi reagirono positivamente alle parole di Azaria. Continuarono l’opera intrapresa per
purificare la nazione dall’idolatria. Nel tempio di Geova rimisero in opera l’altare, che evidentemente era
stato profanato. In un’assemblea tenuta nel quindicesimo anno del regno di Asa il popolo stipulò un patto
per servire Geova e stabilì che chiunque si fosse deliberatamente rifiutato di farlo sarebbe stato messo a
morte. Fra i convenuti c’erano molti sudditi del regno settentrionale delle dieci tribù, i quali avevano
disertato, passando dalla parte di Asa, “quando avevano visto che Geova suo Dio era con lui”. — II Cron.
15:8-15.
In quanto ad Asa, non si trattenne dall’agire nemmeno contro l’idolatra nonna Maaca, che godeva di una
grande influenza nel regno. Asa non le permise di conservare la sua posizione “perché ella aveva fatto un
orribile idolo per il palo sacro”, per la dea Asherah. — I Re 15:13; II Cron. 15:16.
TENDENZA A TORNARE INDIETRO
Chiunque abbia deciso di essere sotto certi aspetti diverso da un genitore incredulo riscontrerà che è
necessario continuare a sforzarsi per coltivare una personalità cristiana. Può sembrare che per qualche
tempo la persona riesca ad essere diversa, dopo di che, crescendo o essendo sottoposta a particolari
pressioni, può capitare che torni indietro e cominci a imitare il genitore incredulo. Notiamo questo pericolo
esaminando la vita di Asa.
“Nel trentaseiesimo anno del regno di Asa” il re israelita Baasa mosse contro il regno meridionale di
Giuda. Per impedire che i suoi sudditi passassero dalla parte di Asa, Baasa cominciò a fortificare Rama,
una città di confine. Anziché continuare a confidare nella protezione di Geova, Asa ricorse all’intrigo.
Pagò il re siro Ben-Adad perché infrangesse il suo patto col regno israelita delle dieci tribù. I siri
attaccarono dal nord alcune città israelite, costringendo Baasa a sospendere i lavori di fortificazione e a
ritirare le truppe da Rama. Asa radunò i suoi sudditi e invase il territorio delle dieci tribù. Si impadronì dei
materiali da costruzione che si trovavano a Rama e li usò per edificare Gheba e Mizpa. — II Cron. 16:1-6.
Ma la mancanza di fede mostrata da Asa in questa circostanza non sfuggì a Geova. Tramite il suo
profeta Hanani, Dio disse ad Asa: “Ti sei appoggiato al re di Siria e non ti sei appoggiato a Geova tuo
Dio. . . . Non erano gli Etiopi e i Libi stessi forze militari assai grandi in moltitudine, in carri e in cavalieri; e
perché ti appoggiasti a Geova non li diede egli nella tua mano? Poiché, riguardo a Geova, i suoi occhi
scorrono tutta la terra per mostrare la sua forza a favore di quelli il cui cuore è completo verso di lui. Tu
hai agito stoltamente rispetto a ciò, poiché da ora in poi ci saranno guerre contro di te”. — II Cron. 16:7-9.
Si umiliò Asa sentendo queste parole? No. Si offese e fece imprigionare Hanani. Asa cominciò anche ad
opprimere altri sudditi. Gli ultimi tre anni di vita di Asa non furono anni felici. Si ammalò di una malattia ai
piedi, forse la gotta. Ma anche in questo caso non chiese aiuto a Geova Dio, ma a guaritori, che forse per
guarirlo fecero ricorso a mezzi occulti. Dopo aver regnato per circa 41 anni, Asa morì. — I Re 15:23, 24;
II Cron. 16:10, 12-14.
La vita di Asa dimostra chiaramente che non possiamo sottovalutare l’influenza dei nostri genitori, nel
bene o nel male. Ma mostrò anche che il detto “Tale il padre tale il figlio” non è necessariamente una
regola.
[Note in calce]
II Cronache 15:17 e I Re 15:14 indicano che “Asa non rimosse gli alti luoghi”. Questo potrebbe significare
che gli alti luoghi, pur essendo stati distrutti prima, furono ricostruiti durante il regno di Asa. Oppure
potrebbe darsi che gli alti luoghi come centri idolatrici fossero stati rimossi, ma continuasse ad esservi
praticata un’impropria adorazione di Geova.
Contando evidentemente non dal tempo del suo regno effettivo ma dal tempo in cui le dieci tribù si erano
separate dalla casa reale di Davide.

w91 1/4 12-13 Questo è il tempo di cercare Geova


Geova merita di essere cercato
18 Grazie al sacrificio di riscatto di Cristo Gesù, Geova non ci incolpa dei peccati e delle mancanze che
abbiamo commesso in passato se ci pentiamo ed esercitiamo fede. Notate le parole di Davide: “Non ci ha
fatto nemmeno secondo i nostri peccati; né secondo i nostri errori ha recato su di noi ciò che meritiamo.
Poiché, come i cieli sono più alti della terra, la sua amorevole benignità è superiore verso quelli che lo
temono. Quanto il levante è lontano dal ponente, tanto lontano da noi egli ha posto le nostre
trasgressioni. Come un padre mostra misericordia ai suoi figli, Geova ha mostrato misericordia a quelli
che lo temono. Poiché egli stesso conosce bene come siamo formati, ricordando che siamo polvere”. —
Salmo 103:10-14; Ebrei 10:10, 12-14.
19 Geova è un Dio davvero benigno e misericordioso. Se ci rivolgiamo a lui con umiltà e pentimento, egli
ci perdona completamente. Non serba rancore in eterno condannandoci a soffrire per sempre in un
inferno di fuoco. No, infatti egli stesso dichiarò: “Io, io sono Colui che cancello le tue trasgressioni per
amore di me stesso, e non ricorderò i tuoi peccati”. Che incoraggiamento dovrebbe essere questo per
coloro che si fossero allontanati dalla verità e avessero trascurato la propria relazione con Geova! Essi
pure sono incoraggiati a ricercare ora Geova e a tornare ad associarsi attivamente con il popolo che
porta il suo nome. — Isaia 43:25.
20 A questo riguardo il re Asa dell’antico Giuda è per noi un esempio incoraggiante. Egli aveva sradicato
la falsa adorazione dal suo regno, ma rimanevano ancora tracce di culto pagano. Il racconto di 2
Cronache 15, versetti da 2 ⇒fino ⇐a 4, narra ciò che il profeta Azaria ricordò ad Asa: “Geova è con voi
finché voi mostrate d’essere con lui; e se lo ricercate, si lascerà trovare da voi, ma se lo lasciate, egli vi
lascerà. E molti furono i giorni nei quali Israele era stato senza un vero Dio . . . Ma quando nella loro
angustia tornarono a Geova l’Iddio d’Israele e lo cercarono, egli si lasciò trovare da loro”.
21 Geova non giocò a nascondino con il re Asa, ma “si lasciò trovare”. Come reagì il re a questo
messaggio? I versetti 8 e 12 ⇒di 2 Cronache 15 ⇐dello stesso capitolo rispondono: “Appena Asa ebbe
udito queste parole . . . , si fece coraggio e faceva scomparire le cose disgustanti da tutto il paese . . . e
rinnovava l’altare di Geova che era davanti al portico di Geova. Per giunta, [gli abitanti di Giuda]
entrarono in un patto per ricercare Geova l’Iddio dei loro antenati con tutto il loro cuore e con tutta la loro
anima”. Sì, ricercarono premurosamente Geova “con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima”. Quale fu
il risultato per la nazione? Il versetto 15 ⇒di 2 Cronache 15 ⇐ci narra: “E tutto Giuda si diede
all’allegrezza per la cosa giurata; poiché avevano giurato con tutto il loro cuore e l’avevano cercato con
pieno piacere da parte loro, così che egli si fece trovare da loro; e Geova continuò a dar loro riposo
tutt’intorno”.
22 Ebbene, non è questo un incoraggiamento per tutti noi ad agire in maniera positiva riguardo alla pura
adorazione di Geova? Sappiamo che vi sono altri milioni di persone che possono divenire lodatori di
Geova. Senza dubbio molti di loro stanno facendo cambiamenti nella propria vita al fine di soddisfare le
esigenze scritturali per servire Geova. Altri stanno crescendo in perspicacia e fede, stanno cercando
Geova, così che presto saranno spinti a parlare ad altri nella lingua pura, trasmettendo loro un profondo
intendimento della verità intorno a Geova e al suo Regno. E perché è così importante che tutti noi
cerchiamo Geova ora che lo si può trovare? Perché il nuovo mondo che ha promesso è vicino! — Isaia
65:17-25; Luca 21:29-33; Romani 10:13-15.
[Foto]
Molti amici dei testimoni di Geova che sono presenti alla Commemorazione sono potenziali servitori di
Dio
[Figura a pagina 12]
Al tempo del re Asa, la nazione si volse a Geova

w93 15/11 16-17 Camminate con coraggio nelle vie di Geova


19 Quando Salomone, figlio di Davide, si accingeva a edificare il tempio di Dio, l’anziano genitore gli diede
questa esortazione: “Sii coraggioso e forte e agisci. Non aver timore e non ti atterrire, poiché Geova Dio,
il mio Dio, è con te. Non ti abbandonerà né ti lascerà finché tutta l’opera del servizio della casa di Geova
sia finita”. (1 Cronache 28:20) Agendo con coraggio, Salomone riuscì a completare il tempio. Oggi,
quando un programma di edilizia teocratica si presenta difficile, ricordiamo le parole di Davide: “Sii
coraggioso e forte e agisci”. Che modo eccellente di onorare Geova e di promuovere la pura adorazione!
20 Spinto dal desiderio di onorare Dio e promuovere la pura adorazione, il re Asa eliminò da Giuda gli idoli
e i prostituti del tempio. Destituì inoltre la nonna apostata dall’alta carica che ricopriva e ne bruciò
l’“orribile idolo”. (1 Re 15:11-13) Sì, Asa “si fece coraggio e faceva scomparire le cose disgustanti da tutto
il paese di Giuda e di Beniamino e dalle città che aveva catturato dalla regione montagnosa di Efraim, e
rinnovava l’altare di Geova che era davanti al portico di Geova”. (2 Cronache 15:8) Siete anche voi
coraggiosi nel rigettare l’apostasia e nel promuovere la pura adorazione? State impiegando le vostre
risorse materiali per il progresso degli interessi del Regno? E state cercando di onorare Geova
partecipando con regolarità all’opera di dichiarare la buona notizia come suoi Testimoni?
21 Come siamo grati che Dio abbia fatto mettere per iscritto nella Bibbia questi racconti di persone
coraggiose di epoca precristiana che mantennero l’integrità! Di sicuro il loro eccellente esempio può
aiutarci a rendere sacro servizio a Geova con coraggio, santo timore e riverenza. (Ebrei 12:28) Ma anche
le Scritture Greche Cristiane contengono esempi di santo coraggio all’opera. Come possono alcuni di
questi racconti aiutarci a camminare con coraggio nelle vie di Geova?
[Figura a pagina 15]
Gedeone e il suo manipolo di prodi confidarono coraggiosamente in Geova
La regina Atalia — Tema: L’influenza di Izebel, un pericolo da cui guardarsi ROMANI 1:28-30 ;
1°GIOVANNI 5:21

it-1 239 Atalia


ATALIA
(Atalìa).
1. Regina di Giuda, figlia di Acab re d’Israele e di sua moglie Izebel, e nipote di Omri. (2Re 8:18, 26) Era
sorella di Ieoram re d’Israele, e sorella o sorellastra degli altri 70 figli di Acab, che Ieu ordinò fossero tutti
uccisi. (2Re 3:1, 2; 10:1-9) Per calcolo politico Atalia fu data in matrimonio a Ieoram, figlio maggiore di
Giosafat re di Giuda. (2Re 8:25-27; 2Cr 18:1) Era inoltre madre di Acazia, che a suo tempo divenne re di
Giuda.
Come sua madre Izebel, Atalia incitò il marito Ieoram a fare ciò che era male agli occhi di Geova durante
gli otto anni del suo regno. (1Re 21:25; 2Cr 21:4-6) E come la madre, Atalia sparse molto sangue
innocente. Quando il malvagio figlio Acazia morì dopo un anno di regno, essa fece uccidere tutti gli altri
eredi al trono, ad eccezione del piccolo Ioas, che era stato nascosto dal sommo sacerdote e da sua
moglie, zia di Ioas. Dopo di che Atalia si autoproclamò regina e regnò per sei anni, all’incirca dal 905
all’899 a.E.V. (2Cr 22:11, 12) I suoi figli saccheggiarono il tempio di Geova e offrirono a Baal le cose
sacre. — 2Cr 24:7.
Quando Ioas compì sette anni, il sommo sacerdote Ieoiada timorato di Dio fece uscire il ragazzino dal
suo nascondiglio e lo incoronò legittimo erede al trono. Udendo il tumulto, Atalia si precipitò nel tempio e,
vedendo cosa accadeva, gridò: “Cospirazione! Cospirazione!” Il sommo sacerdote Ieoiada ordinò che
fosse portata fuori dell’area del tempio per essere giustiziata alla porta dei cavalli del palazzo reale; con
lei forse si estinse l’abominevole casa di Acab. (2Re 11:1-20; 2Cr 22:1–23:21) Così si avverò quanto era
stato predetto: “Nulla della parola di Geova, che Geova ha pronunciato contro la casa di Acab, cadrà a
terra inadempiuto”! — 2Re 10:10, 11; 1Re 21:20-24.

w80 15/6 29-30 Atalia, un'idolatra assetata di potere


Atalia, un’idolatra assetata di potere
IL DETTO ‘tale madre tale figlia’ può senz’altro applicarsi ad Atalia, figlia di Izebel e del re israelita Acab.
Izebel non si trattenne dallo spargere sangue innocente per raggiungere i propri fini, e lo stesso può dirsi
di Atalia. Entrambe erano radicate nell’idolatria.
Il fedele re Giosafat fece davvero un tragico errore quando stipulò un’alleanza matrimoniale col re Acab,
prendendo Atalia come moglie per suo figlio Ieoram. Quell’alleanza costò quasi la vita a Giosafat, quando
si unì al re Acab in un’impresa militare contro i siri. Sebbene Geova Dio intervenisse in suo aiuto,
Giosafat fu ripreso con queste parole: “Si deve dare aiuto al malvagio, e dovresti provare amore per quelli
che odiano Geova?” — II Cron. 18:1-3, 30, 31; 19:1, 2.
Dopo la morte di Giosafat, la discendenza reale di Giuda rischiò lo sterminio come conseguenza di quel
matrimonio. La perniciosa influenza di Atalia portò Ieoram a seguire la pessima condotta della casa reale
di Acab. Per rafforzare la propria posizione, egli uccise i suoi fratelli e alcuni principi. Abbandonato da
Geova per la sua infedeltà, Ieoram dovette affrontare problemi interni ed esterni. Gli arabi e i filistei
invasero il regno di Giuda e, ad eccezione del figlio più giovane, Acazia (Ioacaz), fecero prigionieri tutti i
figli di Ieoram. Poi la banda di predoni venuta con gli arabi uccise tutti i figli maggiori. Infine Ieoram morì
di una malattia ripugnante, nel corso della quale “gli vennero fuori gli intestini”. — II Re 8:16-19; II Cron.
21:4, 16-19; 22:1.
Quando Acazia successe al padre sul trono, la madre ne divenne la consigliera. Siccome era lei a
esercitare il vero potere, il breve anno di regno di Acazia fu contrassegnato da una grande malvagità.
Quando Acazia fu colpito a morte per ordine del re Ieu d’Israele, Atalia ne approfittò per impadronirsi del
trono del regno di Giuda. — II Cron. 22:2-9.
Atalia era così assetata di potere che uccise i propri nipoti. Se non che il bimbo Ioas sfuggì alla morte
grazie all’intervento della zia, Ieosabeat. Circa sei anni dopo, il marito di Ieosabeat, il sommo sacerdote
Ieoiada, fece proclamare re Ioas. Vedendo questo, “Atalia si strappò le vesti e gridò: ‘Cospirazione!
Cospirazione!’” Ma non poté fare altro. Ieoiada ordinò che fosse messa a morte. Così l’ultimo
componente sopravvissuto della casa di Acab finì ingloriosamente. — II Cron. 22:10-12; 23:11-15.
Come si può spiegare il comportamento sanguinario di Atalia? Era completamente dedita al culto degli
idoli. A causa della sua influenza, i suoi figli irruppero nel tempio di Geova, evidentemente per
saccheggiarlo. Oggetti asportati dal santuario di Geova furono dedicati a Baal, dio della fertilità. (II Cron.
24:7) Come spiega la Bibbia, l’idolatria porta a ogni specie di altri gravi peccati. Leggiamo:
“Siccome non hanno approvato di ritenere Dio nell’accurata conoscenza, Dio li ha abbandonati a un
disapprovato stato mentale, perché facciano le cose sconvenienti, essendo essi pieni d’ogni ingiustizia,
malvagità, concupiscenza, malizia, essendo pieni d’invidia, assassinio, contesa, inganno, malignità,
essendo sussurratori, maldicenti, odiatori di Dio, insolenti, superbi, millantatori, inventori di cose
dannose”. (Rom. 1:28-30)
Il fatto che Atalia assassinò i nipoti per assicurarsi il potere mostra fino a che punto di aberrazione
mentale l’idolatria può portare una persona.
Il caso di Atalia dà risalto al pericolo di contaminarsi con l’idolatria. La falsa adorazione può aprire la porta
a ogni specie di mali. Saggiamente, quindi, facciamo bene a continuare a prestare ascolto alle ispirate
parole: “Figliuoletti, guardatevi dagli idoli”. — I Giov. 5:21.
Azael — Tema: Uno spietato oppressore adempie una profezia biblica ECCLESIASTE 5:8

it-1 257-8 Azael


AZAEL
(Azaèl) [Dio ha guardato].
Noto re di Siria che a quanto pare cominciò a regnare all’epoca di Ieoram re d’Israele (ca. 917-905
a.E.V.). (2Re 8:7-16) Morì durante il regno di Ioas re d’Israele (ca. 859-845 a.E.V.). (2Re 13:24, 25) Azael
non era di stirpe reale, ma era stato semplicemente un alto funzionario al servizio del suo predecessore,
il re di Siria Ben-Adad II. — 2Re 8:7-9.
Anni prima che Azael salisse al trono, Geova aveva ordinato a Elia di “ungere Azael come re sulla Siria”.
La ragione di ciò era che Israele aveva peccato contro Dio e Azael doveva punire la nazione. — 1Re
19:15-18.
Azael non fu mai unto letteralmente con olio, ma l’incarico dato a Elia fu tuttavia adempiuto dal suo
successore, il profeta Eliseo. Questo avvenne quando il re di Siria Ben-Adad II si ammalò e mandò Azael
a Damasco, principale città della Siria. Azael doveva portare un dono a Eliseo e chiedergli se Ben-Adad
sarebbe sopravvissuto alla sua malattia o no. Eliseo disse ad Azael: “Va [da Ben-Adad], digli:
‘Positivamente ti rimetterai’”. Ma poi proseguì: “E Geova mi ha mostrato che positivamente morirà”.
Quindi disse ad Azael: “Geova mi ha mostrato che tu sarai re sulla Siria”. Al suo ritorno, riferendo la
risposta di Eliseo alla domanda del re, Azael disse: “Mi ha detto: ‘Positivamente ti rimetterai’”. Ma
l’indomani Azael soffocò il re con un copriletto bagnato e cominciò a regnare al suo posto. — 2Re 8:7-15.
Le parole di Eliseo ad Azael sono state oggetto di molte congetture. Secondo le annotazioni a margine
del testo masoretico, come pure secondo la Settanta greca, la Vulgata latina, la Pescitta siriaca e 18
manoscritti ebraici, sarebbero: “Digli: ‘. . . ti rimetterai’”. Mentre la lezione principale del testo masoretico
dice: “Digli: ‘. . . non ti rimetterai’”.
Ammesso che Azael dovesse dire a Ben-Adad “Positivamente ti rimetterai”, può darsi che alla domanda
di Ben-Adad Eliseo abbia risposto con un enigma, intendendo che la malattia di Ben-Adad in se stessa
non sarebbe stata mortale, ma che ciò nonostante egli sarebbe morto (come infatti avvenne, per mano di
Azael). Ad ogni modo, Azael riferì al re la prima parte della risposta di Eliseo: “Positivamente ti rimetterai”,
dando il resto della risposta con la sua azione violenta. — 2Re 8:10.
Azael opprime Israele. Poco dopo essere salito al trono, Azael mosse guerra al re d’Israele e al re di
Giuda a Ramot-Galaad. In quell’occasione Ieoram re d’Israele venne ferito a Rama, ma la narrazione non
dice quale fu l’esito della battaglia. (2Re 8:25-29; 2Cr 22:1-6) All’epoca di Ieu re d’Israele, successore di
Ieoram, Azael cominciò a impadronirsi un po’ alla volta del paese d’Israele, conquistando Galaad e
Basan a E del Giordano. (2Re 10:32, 33) Ciò a quanto pare aprì la strada alla successiva invasione del
regno di Giuda. Azael prese la città di Gat in Filistea, e si accinse a salire contro Gerusalemme. Ma Ioas
re di Giuda lo fece desistere dal suo intento offrendogli i tesori del tempio e del palazzo reale, al che
Azael si ritirò, risparmiando Gerusalemme. — 2Re 12:17, 18.
Specie durante il regno di Ioacaz d’Israele, figlio di Ieu, Azael cominciò a opprimere sempre più Israele,
adempiendo quanto era stato previsto dal profeta Eliseo: Azael avrebbe dato fuoco ai luoghi fortificati
d’Israele, passato a fil di spada gli uomini scelti, sfracellato i bambini e sventrato le donne incinte. (2Re
13:3, 22; 8:12) Ma Dio non permise alla Siria di abbattere completamente Israele. (2Re 13:4, 5) Dopo la
morte di Azael, Ioas re d’Israele riportò tre vittorie su Ben-Adad III figlio di Azael e riconquistò le città che
questi aveva sottratto a suo padre, il re Ioacaz. (2Re 13:23-25) In seguito Geroboamo II re d’Israele
“restituì Damasco e Amat a Giuda in Israele”. — 2Re 14:28.
In antiche iscrizioni. Azael è menzionato in un’iscrizione scoperta in una località chiamata attualmente
Afis, circa 40 km a SO di Aleppo. L’iscrizione definisce Azael “re di Aram”, e concorda con la Bibbia nel
dire che il figlio Ben-Adad III, qui chiamato “Barhadad”, gli succedette sul trono di Siria.
Le campagne di Salmaneser III contro la Siria sono ricordate nei suoi annali, in cui descrive le vittorie
riportate su Azael. In questi annali Azael viene definito un uomo qualunque (lett., un figlio di nessuno),
senza dubbio perché non era di discendenza reale, ma aveva usurpato il trono di Damasco assassinando
il re Ben-Adad II. Una di queste iscrizioni dice: “Nel diciottesimo anno del mio regno attraversai l’Eufrate
per la sedicesima volta. Azael di Damasco (Imerisu) confidò nel suo numeroso esercito e chiamò alle
armi truppe in gran numero, facendo del monte Senir (Sa-ni-ru), un monte, di fronte al Libano, la sua
fortezza. Combattei contro di lui e gli inflissi una sconfitta, passando a fil di spada 16.000 suoi soldati
scelti. Gli presi 1.121 carri da guerra, 470 cavalli da sella e anche il suo accampamento. Egli scomparve
per salvarsi la vita (ma) lo inseguii e lo assediai a Damasco (Di-mas-qi), sua residenza reale. (Là)
abbattei i suoi giardini (fuori della città, e me ne andai). Marciai fino ai monti di Hauran (sadee matHa-u-ra-
ni), distruggendo, demolendo e incendiando innumerevoli città, portando via da esse spoglie che non si
possono contare”. — Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, p. 280.
Ma Salmaneser III evidentemente non riuscì a conquistare Damasco. La conquistò Tiglat-Pileser III, ai
giorni di Rezin re di Siria. Questo adempì la profezia pronunciata da Geova per mezzo di Amos:
“Certamente manderò un fuoco sulla casa di Azael, e deve divorare le torri di dimora di Ben-Adad. E
certamente romperò la sbarra di Damasco”. — Am 1:4, 5; 2Re 16:9.
Balaam — Tema: L’avidità acceca 1°CORINTI 6:10; PROVERBI 20:21

it-1 280-1 Balaam


BALAAM
(Bàlaam) [forse, uno che ingoia].
Figlio di Beor, vissuto nel XV secolo a.E.V. Era del villaggio arameo di Petor, nell’alta valle dell’Eufrate,
vicino al fiume Sajur. Pur non essendo israelita, Balaam aveva una certa conoscenza di Geova e lo
riconosceva come il vero Dio, tanto che in un’occasione lo chiamò “Geova mio Dio”. (Nu 22:5, 18) Questo
forse era dovuto al fatto che devoti adoratori di Geova (Abraamo, Lot e Giacobbe) erano vissuti nelle
vicinanze di Haran, non lontano da Petor. — Ge 12:4, 5; 24:10; 28:5; 31:18, 38.
Balaam rifiutò l’offerta della prima delegazione inviata da Balac re di Moab, che gli portava “compensi per
la divinazione”, dicendo: “Geova ha rifiutato di lasciarmi andare con voi”. (Nu 22:5-14) Quando vennero
“altri principi in maggior numero e più onorevoli” (Nu 22:15), e Balaam chiese di nuovo a Dio il permesso
di andare, Geova disse: “Levati, va con loro. Ma potrai pronunciare solo la parola che io ti avrò
pronunciato”. — Nu 22:16-21; Mic 6:5.
Durante il viaggio l’angelo di Geova bloccò tre volte la strada, inducendo l’asina di Balaam prima a
deviare in un campo, poi a premere il piede di Balaam contro un muro e infine a sdraiarsi per terra. Tre
volte Balaam batté l’animale che miracolosamente espresse a parole la sua protesta. (Nu 22:22-30)
Finalmente Balaam stesso vide l’angelo di Geova, che annunciò: “Io sono uscito a fare resistenza, perché
la tua via è stata precipitosa contro la mia volontà”. Ma ancora una volta Geova permise a Balaam di
continuare per la sua strada. — Nu 22:31-35.
In ogni caso Dio disapprovò qualsiasi tentativo di Balaam di maledire Israele, ribadendo che, se fosse
andato, avrebbe dovuto benedire, non maledire (Gsè 24:9, 10); tuttavia gli permise di andare. Come nel
caso di Caino, Geova espresse la sua disapprovazione ma gli consentì di fare la sua scelta: abbandonare
la via errata o buttarsi a capofitto in una condotta malvagia. (Ge 4:6-8) Balaam quindi, come Caino, si
ostinò a non tener conto della volontà di Geova al riguardo, deciso a raggiungere il suo obiettivo
egoistico. Nel caso di Balaam, l’avidità della ricompensa lo accecò facendogli seguire la via sbagliata,
come scrive Giuda: ‘Balaam si precipitò per un compenso nell’errore’. L’apostolo Pietro osserva:
“Balaam, figlio di Beor, . . . amò il compenso dell’ingiustizia, ma ricevette una riprensione per la propria
violazione di ciò che era giusto. Un bestia da soma senza voce, esprimendosi con voce umana, impedì la
folle condotta del profeta”. — Gda 11; 2Pt 2:15, 16.
Giunto in territorio moabita e incontrato il re Balac sulla riva dell’Arnon, Balaam non perse tempo e il
giorno successivo si mise all’opera al servizio di quegli oppositori del popolo di Geova. Balaam insieme a
Balac offrì sacrifici, poi si ritirò sperando di ricevere qualche “sinistro presagio” (Nu 23:3; 24:1), ma l’unico
messaggio che ricevette da Geova fu una benedizione per Israele. La stessa procedura propiziatoria fu
seguita di nuovo in cima al Pisga, e ancora una volta non ci fu “nessun sinistro incantesimo contro
Giacobbe”, ma solo benedizioni. Infine la cerimonia fu ripetuta in cima al Peor, e per la terza volta “Dio
cambiò la maledizione in benedizione”. — Nu 22:41–24:9; Ne 13:2.
A questo punto “l’ira di Balac divampò contro Balaam”, e battendo le mani con rabbia esclamò: “Ti ho
chiamato per esecrare i miei nemici, ed ecco, tu li hai benedetti fino al limite queste tre volte. Ed ora
vattene al tuo luogo. Mi ero detto che immancabilmente ti avrei onorato, ma, ecco, Geova ti ha trattenuto
dall’onore”. (Nu 24:10, 11) Balaam cercò di scusarsi, dando a Geova la colpa di non aver potuto maledire
Israele, e dicendo che ‘non avrebbe potuto trasgredire l’ordine di Geova’, e che avrebbe detto ‘qualunque
cosa Geova avesse proferito’. Quindi dopo aver pronunciato qualche altra espressione proverbiale contro
i nemici d’Israele, “Balaam si levò e se ne andò e tornò al suo luogo”. — Nu 24:12-25.
L’affermazione che Balaam “tornò al suo luogo” non significa necessariamente che egli ritornasse proprio
a casa sua a Petor. In se stessa questa espressione non indica che Balaam si fosse allontanato dalle
immediate vicinanze del monte Peor. Il Commentary di F. C. Cook osserva in merito a Numeri 24:25:
“Tornò al suo proprio luogo . . . Non al suo paese, infatti rimase fra i madianiti per complottare in altri
modi contro il popolo di Dio, e per perire nel suo peccato. . . . La frase, che ricorre spesso (cfr. e.g. Gen.
xviii. 33,⇒;⇐ xxxi. 55; I S⇒am⇐. xxvi. 25; 2 S⇒am⇐. xix. 39), è idiomatica, e significa semplicemente
che Balaam se ne andò dove voleva”.
Balaam sperava ancora di ricevere la ricca ricompensa per cui aveva fatto tanta strada e si era dato tanto
da fare. Se lui non poteva maledire Israele, ragionò, forse Dio stesso avrebbe maledetto il suo popolo, se
solo si fosse potuto indurlo ad abbandonarsi all’adorazione immorale del Baal di Peor. Quindi “Balaam . .
. insegnava a Balac a porre una pietra d’inciampo davanti ai figli d’Israele, a mangiare cose sacrificate
agli idoli e a commettere fornicazione”. (Ri 2:14) “Per la parola di Balaam”, le figlie di Moab e di Madian
“servirono a indurre i figli d’Israele a commettere infedeltà verso Geova nel fatto di Peor, così che il
flagello venne sull’assemblea di Geova”. (Nu 31:16) Il risultato: 24.000 uomini d’Israele morirono per il
loro peccato. (Nu 25:1-9) Né Madian né Balaam stesso sfuggirono alla punizione divina. Geova ordinò
che gli uomini, le donne e i ragazzi di Madian fossero giustiziati; solo le vergini furono risparmiate. “E
uccisero Balaam figlio di Beor con la spada”. (Nu 25:16-18; 31:1-18) In quanto ai moabiti, essi furono
esclusi dalla congregazione di Geova “fino alla decima generazione”. — De 23:3-6.
W69 P.457-458
w74 15/3 168-74 Geova benedice i leali
Geova benedice i leali
“O voi che amate Geova, odiate ciò che è male. Egli guarda le anime dei suoi leali”. — Sal. 97:10.
ESSENDO il Creatore di tutti i viventi del cielo e della terra, Geova è il supremo Re e il solo vero Dio. La
Bibbia ne parla come del “Re a tempo indefinito”. (Ger. 10:10) Non ha dunque il diritto di esigere lealtà
dai suoi sudditi che ha creati? (Efes. 4:24) Non è soltanto ragionevole che egli esegua sanzioni sugli
sleali ma che benedica quelli che sono leali? I governanti umani non fanno forse la stessa cosa?
2 Dei più di tre miliardi (tremila milioni) di persone che oggi sono sulla terra, comparativamente pochi
prestano alcuna attenzione al loro obbligo d’esser leali al grande Sovrano, Geova Dio. Essendo di vista
corta, scorgono solo l’umano governo nazionalistico che è immediatamente su di loro. Pensano che la
lealtà verso tale governo debba venire prima di tutto il resto. Alla sua richiesta, son disposti a violare le
leggi di Dio facendo ciò che è male ai suoi occhi. Ma non è questa una prospettiva deturpata dei
superiori? È come se i dipendenti di una ditta considerassero i dirigenti come autorità superiori al
proprietario. L’autorità dei governanti umani non è più grande di quella di Colui che è Re al di sopra di
tutti.
3 Nel lontano primo secolo della nostra Èra Volgare un gruppo di uomini mostrò la corretta prospettiva
quando un gruppo di governanti umani fece loro richieste che implicavano la disubbidienza al Sovrano
Supremo. Mostrarono la propria lealtà verso di lui con la loro risposta, dicendo: “Dobbiamo ubbidire a Dio
quale governante anziché agli uomini”. (Atti 5:29) In una grande contesa come questa può non esser
difficile essere leali a Dio, ma che dire delle cose apparentemente piccole? Che dire delle cose che
possono apparire innocenti ma che possono condurre ad atti di slealtà anche più gravi?
4 La parola “lealtà” rende l’idea della fedele osservanza e della devozione al governante o capo. Dà
anche l’idea della devozione a qualche cosa o a qualcuno oltre che della fedeltà a qualsiasi persona o
persone a cui la fedeltà è dovuta. Nella parte ebraica della Bibbia la parola per “lealtà” si riferisce alla
benignità. Tuttavia contiene più del pensiero del tenero riguardo o benignità che sorge dall’amore,
benché lo comprenda così che la parola ebraica è spesso tradotta come “amorevole benignità” o “amore
leale”. È una benignità che si rivolge amorevolmente a un oggetto finché non se ne adempia lo scopo, ed
è quale Dio la esprime verso i suoi servitori ed essi verso di lui. Può vedersi così che la lealtà può essere
a doppio senso. Essa può esser mostrata dai sudditi verso un governante e da un governante verso i
suoi sudditi. Riguardo a Geova, in II Samuele 22:26 è scritto: “Con qualcuno leale agirai con lealtà”.
Questo è risultato vero, poiché egli non ha mai mancato di adempiere una promessa verso i suoi leali
servitori.
RE D’ISRAELE
5 Guardando l’antica nazione d’Israele, possiamo vedere come Dio agì lealmente verso di essa. Quella
nazione ebbe con lui una relazione incomparabile. Con mano forte aveva liberato il popolo dalla schiavitù
d’Egitto e l’aveva condotto sano e salvo fino ai piedi del monte Sinai in Arabia. Lì aveva fatto un patto o
accordo con loro, qualche cosa che non aveva fatto con nessun altro gruppo nazionale. Aveva dato loro
un codice di leggi e li aveva governati come loro invisibile Re. Riguardo a questa insolita relazione, Mosè
disse loro: “Te ha scelto Geova tuo Dio onde divenga suo popolo, una speciale proprietà, fra tutti i popoli
che sono sulla superficie della terra”. (Deut. 7:6) Così fu il vero Re d’Israele. Geova manifestò inoltre la
sua lealtà verso di loro concedendo loro vittorie su nazioni nemiche che erano più popolose e più potenti
di quanto essi non fossero. — Deut. 9:1-3.
6 Geova si attese giustamente da loro che gli manifestassero lealtà, non andando in cerca di altri dèi.
Questo fu chiaramente esposto nelle leggi che diede loro. Il primo dei famosi Dieci Comandamenti
dichiara: “Io sono Geova tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa degli schiavi. Non
devi avere altri dèi contro la mia faccia”. (Eso. 20:2, 3) Sarebbe stato un grave atto di slealtà verso di lui,
loro Dio e Re, se alcuno della nazione si fosse volto all’adorazione di dèi stranieri.
7 Molti anni dopo quando erano nelle pianure di Moab e si preparavano ad entrare nel paese che Dio
aveva loro promesso, Mosè avvertì che il loro invisibile Re avrebbe inflitto loro sanzioni se avessero agito
in modo sleale. Fra l’altro egli disse: “Maledetto sarai nella città, e maledetto sarai nel campo”. (Deut.
28:16) Inoltre menzionò le benedizioni che sarebbero venute su di loro se si fossero mantenuti leali. —
Deut. 28:1-14.
8 Gli Israeliti ebbero, in ciò che Dio fece per loro, un incentivo molto reale a perseverare nella via
dell’ubbidienza e della lealtà verso di lui. Egli li aveva liberati dalla schiavitù d’Egitto e aveva provveduto a
ogni loro necessità durante i loro quarant’anni nel deserto. Aveva dato loro per cibo la miracolosa manna,
aveva provveduto loro l’acqua, aveva dato loro un codice sanitario che ne proteggeva la salute e in quel
periodo aveva perfino impedito che si consumassero le loro scarpe e le loro vesti. — Deut. 29:5.
9 Verso la fine dei loro quarant’anni nel deserto furono attaccati dagli Amorrei al comando dei re Sihon e
Og. Geova aiutò Israele mettendo in fuga quei nemici. (Deut. 2:32-36; 3:1-13) I Moabiti notarono questa
vittoria e provarono molto timore, specialmente quando videro il vasto accampamento degli Israeliti
sparso nelle pianure di Moab. Provarono un “disgustoso terrore dei figli d’Israele”. (Num. 22:1-3) I nomadi
Madianiti pure si preoccuparono, e i loro anziani consultarono dunque gli anziani dei Moabiti. Questi ultimi
osservarono: “Ora questa congregazione lambirà tutti i nostri dintorni come il toro lambisce la verde
vegetazione del campo”. (Num. 22:4) Ci furono così avvenimenti che fecero di una cosa apparentemente
piccola una difficile prova della lealtà israelita verso Geova, loro Re.
BALAC COMPLOTTA CONTRO ISRAELE
10 Sapendo che non avrebbero potuto riportare la vittoria militare sugli Israeliti senza l’aiuto divino, Balac,
re dei Moabiti, cercò l’aiuto di Balaam, un uomo che abitava nella lontana città di Petor, evidentemente
nella valle dell’Eufrate superiore presso Haran. Quantunque non fosse Israelita, Balaam aveva qualche
conoscenza e cognizione di Geova il vero Dio. Balac e i suoi alleati madianiti mandarono da Balaam una
delegazione per chiedergli di venire a maledire gli Israeliti. Essa comunicò la richiesta di Balac: “Ora
vieni, ti prego; maledicimi questo popolo, poiché è più potente di me. Forse li potrò colpire e li potrò
cacciare dal paese; poiché so bene che colui che tu benedici è benedetto e colui che tu maledici è
maledetto”. (Num. 22:6) Balaam rifiutò la richiesta dopo aver interrogato Geova, dicendo: “Andate al
vostro paese, perché Geova ha rifiutato di lasciarmi andare con voi”. — Num. 22:13.
11 Fu mandata da Balac una seconda delegazione di messaggeri più onorevoli. Essa offrì a Balaam
ricche ricompense che avrebbe ricevute se fosse venuto a esecrare Israele. Nonostante il fatto che, alla
visita della prima delegazione, Dio avesse detto a Balaam di non andare, di nuovo Balaam cercò il
permesso di andare, essendo spinto dal suo avido desiderio per la ricca ricompensa. Geova permise a
Balaam di prendere la sua propria decisione per fare ciò che era nel suo cuore, ma quando Balaam
preferì andare con la delegazione, Egli se ne dispiacque e mandò il Suo angelo a fare resistenza. Questo
angelo disse: “Ecco, io, io sono uscito a far resistenza, perché la tua via è stata a precipizio contro la mia
volontà”. (Num. 22:22-32) Non tenendo conto di questa prova del dispiacere di Geova, Balaam continuò
a fare ciò che era nel suo proprio cuore quando l’angelo gli ebbe detto che poteva andare con gli uomini.
— 2 Piet. 2:15, 16; Giuda 11.
12 Dopo essere arrivato a Moab, Balaam fece tre tentativi di maledire Israele, ma ogni volta Geova fece
pronunciare a Balaam una benedizione. È comprensibile che il re Balac s’infuriò. “Ti ho chiamato per
esecrare i miei nemici, ed ecco, tu li hai benedetti fino al limite queste tre volte”. (Num. 24:10) Questa
ulteriore prova del dispiacere di Dio per il desiderio di Balaam di maledire Israele non fece diminuire
l’avido desiderio di Balaam per la ricompensa. Egli ora ragionò con Balac e anche con i governanti
madianiti che se avessero potuto indurre gli Israeliti a divenire sleali verso Geova, allora Geova stesso li
avrebbe maledetti. Balaam suggerì che essi adescassero gli Israeliti a partecipare all’adorazione
sessuale del Baal di Peor. (Num. 31:16) Riguardo a ciò, Rivelazione 2:14 dice che Balaam “insegnava a
Balac di porre una pietra d’inciampo davanti ai figli d’Israele, di mangiare cose sacrificate agli idoli e di
commettere fornicazione”. Fu una macchinazione astuta.
PROVA DI LEALTÀ
13 Seguendo l’insidia di Balaam, i Moabiti e i Madianiti avrebbero colpito un punto debole degli Israeliti, i
loro desideri carnali. Questa debolezza aveva già causato loro difficoltà. In un’occasione durante la loro
peregrinazione nel deserto, avevano bramato certi tipi di cibo che avevan gustato in Egitto. Non si
trattava di aver fame, ma cedettero al loro desiderio carnale dei tipi di cibo che piacevano loro. Erano
insoddisfatti di ciò che Dio aveva loro provveduto, e pertanto si lamentarono: “Chi ci darà carne da
mangiare? Ci ricordiamo del pesce che mangiavamo in Egitto per nulla, dei meloni e dei cocomeri e dei
porri e delle cipolle e dell’aglio! Ma ora la nostra anima si è inaridita! I nostri occhi non sono su nient’altro
che la manna”. (Num. 11:4-6) Questa ingrata espressione recò su di loro l’ira di Geova poiché era un
rifiuto delle sue provvisioni. In un’altra occasione parlarono irrispettosamente della manna come di un
“pane spregevole”. (Num. 21:5) Qualche cosa di così piccolo come il cibo poteva farli lamentare contro il
loro invisibile Re. Balaam dispose di approfittare di questa debolezza carnale, che sarebbe sembrata
come una cosa di poco conto, per portarli a un grave atto di slealtà verso Dio.
14 Quando presentò il suo progetto a Balac e ai suoi alleati, forse Balaam disse qualche cosa di questo
genere: ‘Guarda, ti prego, come sono belle le donne di Moab e di Madian. E nelle loro danze sono molto
allettanti e seducenti. E non è vero che gli Israeliti sono stati nel deserto per quarant’anni e il loro Dio ha
dato loro da mangiare solo la manna? Non può darsi che guardino con occhi bramosi i prodotti del
paese? Se, ora, le donne di Moab e di Madian offrissero la loro ospitalità, non potrebbero questi girovaghi
del deserto esser pronti per un vero banchetto del miglior cibo e del miglior vino di Moab? Si mettano a
sedere per mangiare e bere. Gustino i piatti tentatori di Moab, e il loro spirito si riscaldi col forte vino di
Madian. Quando si saranno abituati alla pratica, le donne sapranno quindi come attirarli in modo che
abbiano rapporti con loro e Israele si inchini agli dèi di Moab’.
15 Quando le belle donne moabite e madianite rivolsero agli uomini israeliti l’invito di venire alla loro festa,
senza dubbio agli uomini sembrò come un’innocente espressione d’ospitalità. Essi poterono ragionare in
questo modo: ‘Che potrebbe esserci di male ad accettare la gentile ospitalità dei Moabiti e dei Madianiti?
Non ci sarebbe nulla di male a condividere cibo e vino. Le danze sarebbero un trattenimento riposante.
Per certo, dopo il duro combattimento che abbiamo avuto con gli Amorrei, abbiamo diritto a un po’ di
rilassamento’. Tale modo di ragionare sarebbe stato un pericoloso razionalizzare sulle azioni che li
avrebbero portati a una situazione assai precaria.
16 Sarebbe sembrata come una cosa di poco conto accettare l’ospitalità dei Moabiti e dei Madianiti, e
mangiare la tentatrice varietà dei loro deliziosi cibi. Ma c’era la questione delle cattive compagnie. Questi
erano pagani adoratori del sesso i quali si dedicavano a riti licenziosi come parte della loro adorazione di
Baal, compresa la prostituzione cerimoniale. La ripetuta compagnia di tali persone, specialmente nella
rilassata atmosfera di una festa, non era sicura. Il buon cibo e le generose quantità di vino avrebbero
creato uno spirito da cuor leggero e avrebbero indebolito la resistenza a ciò che era male agli occhi di
Dio. In quelle circostanze, non sarebbero stati allettati gli uomini israeliti dalla vista di donne di notevole
bellezza che avrebbero danzato scarsamente vestite, con movenze sensuali, dinanzi ai tavoli del loro
banchetto? Non avrebbero ceduto al seducente invito di queste donne di partecipare con loro ai licenziosi
riti di adorazione di Baal? Così le cattive compagnie li avrebbero condotti a gravi atti di slealtà verso il loro
Dio e Re. — Eso. 34:12-15; Osea 4:11.
17 Le feste di quei popoli pagani erano religiose sotto ogni aspetto. La loro musica, le loro danze e i loro
licenziosi riti eran tutti parte della loro adorazione di Baal. Le danze che le loro donne compivano in onore
dei loro dèi servivano ad eccitare la passione sessuale dei presenti. Quegli uomini israeliti che presero
parte a questa festa cedettero in realtà agli allettamenti che erano stati posti loro dinanzi. Come un toro
condotto allo scannatoio essi furono condotti dai loro desideri carnali in principio a una festa
apparentemente innocente e in seguito alla condotta dissoluta e idolatrica, il che fu tutto un peccato
contro Dio. (Prov. 7:22) “Il popolo cominciò ad avere relazione immorale con le figlie di Moab. E le donne
vennero a invitare il popolo ai sacrifici dei loro dèi, e il popolo mangiava e s’inchinava ai loro dèi”. — Num.
25:1, 2.
18 Com’era stato predetto da Balaam, l’ira di Geova sorse a causa di questa malizia e slealtà da parte
loro. Egli fece percorrere l’accampamento israelita da una piaga mortale, che uccise 23.000 persone. (1
Cor. 10:8) Numeri, capitolo venticinque, non dichiara con precisione quanti idolatri fossero uccisi dai
giudici di Israele, ma probabilmente questi furono inclusi nella cifra complessiva di 24.000 vittime della
piaga, apparentemente con 1.000 uccisi. Così, accettando l’invito di assistere a una festa
apparentemente innocente, quegli Israeliti furono condotti a tale calamità.
19 Da ultimo si pose fine al flagello quando Fineas, figlio di Eleazaro il sommo sacerdote, ebbe trafitto con
una lancia Zimri e la donna madianita Cozbi, che aveva introdotta nella sua tenda per avervi rapporti
immorali. Molto probabilmente Zimri fu uno degli agitatori fra gli sleali. Poiché la prostituzione cerimoniale
faceva parte dell’adorazione di Baal, si poté considerare che Zimri introducesse nell’accampamento
d’Israele l’adorazione di Baal quando condusse Cozbi nella sua tenda e vi ebbe rapporti sessuali con lei.
(Num. 25:6-8) Secoli dopo Geova rammentò agli Israeliti questa slealtà verso di lui quando fece scrivere
dal suo profeta Osea: “Essi stessi andarono al Baal di Peor, e si dedicavano alla cosa vergognosa, e
divennero disgustanti come la cosa del loro amore”. — Osea 9:10.
20 La macchinazione di Balaam, mentre causò grande danno agli Israeliti, non riuscì, perché gli Israeliti
leali resisterono agli allettamenti carnali a fare ciò che è male agli occhi di Dio. L’insidia si ritorse in effetti
sui Madianiti, poiché Dio comandò agli Israeliti leali di abbatterli. “Geova parlò poi a Mosè, dicendo: ‘Ci
sia un osteggiare dei Madianiti, e li dovete colpire, perché essi vi osteggiano con le loro opere d’astuzia
che hanno astutamente commesse contro di voi nel fatto di Peor e nel fatto di Cozbi figlia del capotribù di
Madian, loro sorella che fu colpita a morte il giorno del flagello per il fatto di Peor’”. (Num. 25:16-18) Le
città madianite e i campi cinti da mura della zona furono destinate al fuoco. Cinque re di Madian, tutti i
maschi e ogni femmina che aveva avuto rapporti sessuali, nonché Balaam, furono messi a morte. (Num.
31:1-20) I Moabiti, che erano discendenti di Lot nipote di Abraamo, non furono giustiziati, ma a causa
della loro partecipazione al complotto Dio impedì loro d’entrare nella congregazione di Geova, “fino alla
decima generazione . . . a tempo indefinito”. — Deut. 23:3, 4.
BENEDETTI I LEALI
21 Il sacerdote Fineas diede prova d’essere uno dei leali, e per la sollecita azione che aveva compiuta
contro Zimri e Cozbi ricevette lodevole menzione. Egli non tollerò “nessuna rivalità” verso l’adorazione di
Geova, e questo gli fu “attribuito a giustizia”. Perciò, gli fu dato un patto di pace con Geova che “deve
servire come il patto d’un sacerdozio a tempo indefinito per lui e per la sua progenie dopo di lui”. — Num.
25:11-13; Sal. 106:30, 31.
22 L’eccellente esempio del leale Fineas è quello che oggi dovremmo voler seguire, non quello di coloro
che cedettero ai desideri carnali. Ciò che accadde a quegli sleali ci serve da esempio ammonitore. (1
Cor. 10:11) È un esempio di come, coltivando desideri errati, anche quando sembrano di poco conto e
insignificanti, si può esser condotti al disastro. — Giac. 1:14, 15.
23 Come quegli Israeliti, simili a Fineas, che rimasero leali a Geova furono benedetti col privilegio di
entrare nella Terra Promessa, così oggi i cristiani che si mantengono leali verso Geova possono
attendersi di ricevere le splendide benedizioni che Dio ha in serbo per quelli che lo amano. Essi
entreranno nella magnifica nuova èra promessa che verrà sotto il regno del suo unto Re, Gesù Cristo.
“Dell’incremento del suo governo, e della pace, non ci sarà fine”. Egli governerà “secondo diritto e
giustizia, da ora in avanti, sì, per sempre”. (Isa. 9:7, An American Translation) Quale incentivo è questo
per non cedere mai alle tentazioni carnali e per non compiere atti di slealtà verso Dio!
24 Avendo dinanzi la speranza di tale nuova èra, abbiamo una vigorosa ragione per resistere alle
tentazioni di fare ciò che è male agli occhi di Geova. Ma dobbiamo riconoscere che i desideri carnali sono
oggi un punto debole degli uomini proprio come lo fu ai giorni di quegli Israeliti che si accamparono nelle
pianure di Moab. Le tentazioni ad abbandonarsi a tali desideri sono assai grandi perché siamo circondati
da persone mondane dedite alla condotta dissoluta e all’impurità sessuale. In un certo senso esse si
dedicano all’adorazione del sesso come vi si dedicavano i Moabiti e i Madianiti. La loro letteratura, le loro
rappresentazioni teatrali, le loro pellicole cinematografiche e i loro programmi televisivi danno risalto a
ogni depravato desiderio carnale che possa essere immaginato da una mente corrotta. Noi dobbiamo
resistere a tale cattiva influenza. Cedere a essa ed essere condotti a fare ciò che è male agli occhi di Dio
può esserci fatale, come lo fu per quei 24.000 Israeliti che perirono per la loro slealtà.
25 Perciò, quando vi si presentano tentazioni che possono apparire come cose di poco conto ma che
possono effettivamente indurvi a fare ciò che è male agli occhi di Dio, vogliate ricordare questa prova di
lealtà che ebbe luogo nelle pianure di Moab. Scegliete il corso dei leali e tenete presente ciò che è scritto
in Salmo 97:10: “O voi che amate Geova, odiate ciò è male. Egli guarda le anime dei suoi leali”.
[Figura a pagina 172]
Accettando ciò che poté apparire come un’espressione di ospitalità madianita, gli Israeliti furono irretiti in
modo da compiere atti di grave peccato contro il vero Dio

w78 15/10 28-31 Un uomo che si oppose alla volontà di Dio


Un uomo che si oppose alla volontà di Dio
BALAAM era un divinatore e l’efficacia delle sue maledizioni e benedizioni lo aveva reso famoso molto al
di là dei confini del suo paese nativo. Veniva da Petor, una città situata nella valle superiore dell’Eufrate
vicino al fiume Sajur. Non lontano di lì c’era Haran, dove un tempo avevano vissuto uomini devoti come
Abraamo, Lot e Giacobbe. Questo fatto potrebbe spiegare perché il divinatore Balaam conosceva il vero
Dio, riferendosi a lui persino come a “Geova mio Dio”. — Num. 22:18.
Ma come mai Balaam si oppose alla volontà di Dio? Quando gli Israeliti stavano per entrare nella Terra
Promessa, il re moabita Balac e il suo popolo furono colpiti da terrore vedendo la vasta moltitudine, forse
3.000.000 di persone. I rappresentanti della nazione moabita si consigliarono con gli anziani di Madian e
convennero che Israele minacciava la loro sicurezza. (Num. 22:1-4) Essi sapevano molto bene ciò che
Geova Dio aveva fatto per Israele liberando la nazione dall’Egitto e sapevano pure che aveva concesso
loro una schiacciante vittoria sui potenti regni amorrei a est del Giordano. Quindi non avevano nessuna
speranza di sconfiggere gli Israeliti in battaglia. Ma fecero questo ragionamento: ‘E se si potessero
maledire gli Israeliti? Non servirebbe a indebolirli, per cui sarebbe possibile cacciarli?’ Perciò, il re Balac
fu indotto a cercare i servizi di Balaam nella speranza di avere il sopravvento su Israele.
LA PRIMA DELEGAZIONE
Ben presto una delegazione di anziani o principi moabiti e madianiti fu in cammino per Petor. Questo il
messaggio inviato a Balaam: “Ecco, un popolo è uscito dall’Egitto. Ecco, hanno coperto la terra fin dove
si può vedere, e dimorano proprio di fronte a me. Ed ora vieni, ti prego; maledicimi questo popolo, poiché
è più potente di me. Forse li potrò colpire e li potrò cacciare dal paese poiché so bene che colui che tu
benedici è benedetto e colui che tu maledici è maledetto”. — Num. 22:5-7.
Quindi Balaam invitò la delegazione a rimanere lì quella notte, promettendo di riferire loro la parola di
Geova il giorno dopo. Quale fu la rivelazione divina a Balaam? “Non devi maledire il popolo, perché è
benedetto”. (Num. 22:8, 12) In considerazione di queste parole, Balaam disse agli uomini: “Andate al
vostro paese, perché Geova ha rifiutato di lasciarmi andare con voi”. (Num. 22:13) Da queste parole, la
delegazione poté intuire che in realtà Balaam avrebbe voluto andare ma non gli era stato permesso.
Riferendo l’accaduto a Balac, dissero: “Balaam si è rifiutato di venire con noi”. — Num. 22:14.
INVIATA UNA DELEGAZIONE PIÙ ILLUSTRE
A quanto sembra Balac concluse che l’offerta fatta a Balaam e la delegazione stessa non avevano avuto
abbastanza effetto. Il re moabita ragionò evidentemente che Balaam aveva il suo prezzo, ed era deciso a
far venire il divinatore perché fosse pronunciata una maledizione più potente. Perciò, il re mandò una
delegazione più numerosa e più onorevole, assicurando a Balaam che se avesse esecrato Israele
avrebbe ricevuto grandi onori. — Num. 22:15-17.
BALAAM VUOLE LA RICOMPENSA
Cosa avrebbe fatto ora Balaam? “Se Balac mi desse la sua casa piena d’argento e d’oro”, disse, “io non
potrei trasgredire l’ordine di Geova mio Dio, in modo da fare qualche cosa piccola o grande”. (Num.
22:18) Balaam sapeva molto bene che qualsiasi tentativo di maledire Israele era contro la volontà di
Geova. Comunque non mandò via gli uomini ma evidentemente coltivò l’idea che Geova gli permettesse
di partire coi messaggeri. Per cui disse loro: “Ora voi pure state qui, vi prego, questa notte, affinché io
sappia ciò che ancora mi proferirà Geova”. (Num. 22:19) Pur dicendo che a nessun prezzo avrebbe
maledetto Israele, in realtà Balaam voleva la ricompensa. Evidentemente egli ragionò così: ‘Se solo
avessi il permesso divino di andare, non esiterei a partire immediatamente per Moab’.
Gli avvenimenti successivi rivelano che in effetti Balaam la pensava così. Quella medesima notte ottenne
ciò che cercava: Dio gli permise di accompagnare la delegazione. Ma a questa condizione: “Tu potrai
pronunciare solo la parola che io ti avrò pronunciata”. (Num. 22:20) Balaam non indugiò. La mattina sellò
la sua asina e partì per Moab insieme ai principi inviati da Balac. Avendo ricevuto il permesso di andare,
Balaam era deciso a maledire Israele e ottenere così la ricompensa promessa. Nulla lo avrebbe fermato.
O sì?
Geova Dio non era contento che Balaam accompagnasse gli uomini, deciso a maledire Israele malgrado
avesse ricevuto il comando di non farlo. Una bella sorpresa attendeva Balaam. La sua asina cominciò a
comportarsi in modo piuttosto insolito. Perché? Un angelo di Geova si era fermato sul sentiero. Fu
mostrato enfaticamente a Balaam che opponendosi alla volontà di Dio sarebbe incorso nella morte. Gli fu
di nuovo rammentato che la sola cosa che era autorizzato a fare era di pronunciare ciò che Geova voleva
dicesse. — Num. 22:22-35.
Dopo ciò cambiò Balaam le sue intenzioni? Da quello che disse al re Balac potrebbe sembrare di sì: “La
parola che Dio avrà posta nella mia bocca è ciò che pronuncerò”. (Num. 22:38) In effetti, però, Balaam
voleva sempre la ricompensa ed era disposto a fare il possibile per ottenerla.
Questo potrebbe suscitare le domande: Perché il vero Dio scelse di parlare per mezzo di un divinatore?
Perché semplicemente non gli lasciò pronunciare una maledizione su Israele, maledizione che il tempo
avrebbe rivelato essere del tutto inefficace? A questo riguardo, dobbiamo ricordare che i Moabiti e i
Madianiti riconoscevano che la sola potenza militare non poteva riuscire contro Israele. Per quanto li
riguardava, essi avevano a disposizione nella persona di Balaam l’arma più potente contro Israele, cioè il
mezzo per far pronunciare contro di loro un’efficace maledizione. Inoltre, Balaam voleva cooperare con
loro per ottenere la ricca ricompensa materiale offerta. Ma che dire se questo famoso divinatore, invece
di maledire gli Israeliti, fosse stato costretto a benedirli fino al limite nonostante volesse fare il contrario?
Non avrebbe questo dimostrato che nessun’arma poteva riuscire contro il popolo di Dio? Evidentemente
servì allo scopo di Geova impiegare Balaam per benedire Israele, con sgomento del re moabita Balac.
All’arrivo di Balaam, il re moabita dovette essere davvero soddisfatto. Balac offrì sacrifici, senz’altro grato
agli dèi d’essere riuscito a far venire il divinatore. Per l’occasione furono fatti festeggiamenti propiziatori, a
cui Balaam e i principi parteciparono mediante le porzioni inviate loro. — Num. 22:40.
BALAAM NON MALEDICE ISRAELE
In seguito, Balac condusse Balaam su un luogo elevato, da cui il divinatore poteva godere una buona
vista degli Israeliti accampati. Balaam si accinse immediatamente a fare quello per cui era stato
chiamato. Chiese a Balac di erigere sette altari e di offrire su di essi sette tori e sette montoni. Quindi,
Balaam si ritirò da solo su un nudo colle, evidentemente allo scopo di compiere riti per ‘ricorrere a
qualche sinistro presagio’. Ma lì Geova costrinse Balaam a pronunciare una benedizione su Israele.
Anche altri due tentativi di maledire il popolo di Dio, Israele, fallirono miseramente. — Num. 23:1–24:9.
Perciò l’ira di Balac divampò contro Balaam. “Io ti ho chiamato per esecrare i miei nemici”, disse, “ed
ecco, tu li hai benedetti fino al limite queste tre volte. Ed ora vattene al tuo luogo”. (Num. 24:10, 11)
Balaam tentò di giustificare il suo fallimento, dicendo: “Non avevo anche ai tuoi messaggeri che mi
mandasti parlato io, dicendo: ‘Se Balac mi desse la sua casa piena d’argento e d’oro, non potrei
trasgredire l’ordine di Geova in modo da fare qualche cosa buona o cattiva di mio proprio cuore.
Qualunque cosa Geova avrà proferita io proferirò’?” — Num. 24:12, 13.
In seguito, spinto dallo spirito di Dio, Balaam pronunciò dichiarazioni profetiche tra cui un messaggio di
condanna per Moab. Quindi Balac e Balaam si separarono. La Bibbia riferisce che Balaam “tornò al suo
luogo”, intendendo semplicemente che il divinatore se ne andò per la sua strada. Ma aveva Balaam
imparato finalmente la lezione che era inutile opporsi alla volontà di Dio? Tornò a Petor? No. — Num.
24:14-25.
BALAAM SI OPPONE ALLA VOLONTÀ DI DIO SINO ALLA FINE
Balaam voleva sempre la ricompensa e cercò di ottenerla in qualsiasi modo possibile. Dal momento che
non poteva maledire Israele, escogitò un piano mediante cui gli Israeliti avrebbero potuto attirare su di sé
la maledizione di Dio. Suggerì a Balac come servirsi di donne madianite e moabite per indurre gli uomini
israeliti a commettere idolatria e fornicazione. (Num. 31:16; Riv. 2:14) La macchinazione ebbe un certo
successo, poiché migliaia di uomini furono adescati dalla licenziosa adorazione del sesso. Come
conseguenza, 24.000 uomini d’Israele perirono. — Num. 25:1-9.
Ma la provocatoria opposizione di Balaam alla volontà di Dio fu ricompensata? Tutt’altro. Quando Geova
comandò agli Israeliti di vendicarsi dei Madianiti per la parte avuta nell’intrappolare gli Israeliti, Balaam
era ancora in mezzo a loro e così fu raggiunto dalla spada dell’esecuzione. (Num. 31:7, 8) Sì, Balaam
pagò con la vita la sua azione ostinata.
Pertanto il divinatore di Petor è un esempio ammonitore per tutti quelli che insistono a non tener conto
della volontà di Dio e inseguono invece un guadagno egoistico. (2 Piet. 2:15, 16; Giuda 11) Questo
dovrebbe incoraggiarci a studiare le Sacre Scritture, ad apprendere che cosa vuole Dio da noi e poi a
farlo, non seguendo mai una condotta stolta come quella di Balaam.
Baldassarre — Tema: Imparate l’umiltà per non andare incontro alla rovina PROVERBI 16:18

it-1 282-4 Baldassarre


BALDASSARRE
(Baldassàrre) [da un termine accadico che significa “proteggi la sua vita”; o, forse, “Bel protegga il re”].
Figlio primogenito di Nabonedo e suo coreggente durante gli ultimi anni dell’impero babilonese. Nella
Bibbia è menzionato solo dal profeta Daniele e per molto tempo la sua posizione di “re di Babilonia” fu
negata dai critici. (Da 5:1, 9; 7:1; 8:1) Tuttavia antichi testi rinvenuti dagli archeologi hanno permesso di
dimostrare la storicità del racconto biblico.
In Daniele 5:2, 11, 18, 22, si parla di Nabucodonosor come del “padre” di Baldassarre, e di Baldassarre
come del “figlio” di Nabucodonosor. È stato scritto che probabilmente la madre di Baldassarre era Nitocri,
figlia di Nabucodonosor (II). (R. P. Dougherty, Nabonidus and Belshazzar, 1929) In tal caso
Nabucodonosor sarebbe stato il nonno di Baldassarre. (Vedi Ge 28:10, 13 per un uso simile di “padre”).
Comunque non tutti gli studiosi sono convinti di questa spiegazione. Può darsi che Nabucodonosor fosse
semplicemente il predecessore di Baldassarre sul trono e suo “padre” in tal senso. Analogamente gli
assiri usarono l’espressione “figlio di Omri” per indicare un successore di Omri. — Vedi OMRI n. 3.
La storia secolare conferma il ruolo di Baldassarre quale sovrano di Babilonia?
Una tavoletta con un’iscrizione cuneiforme che risale all’anno di accessione di Neriglissar, succeduto ad
Awil-Marduk (Evil-Merodac) sul trono babilonese, menziona un certo “Baldassarre, il principale
funzionario del re”, in relazione a un’operazione finanziaria. È possibile, anche se non è provato, che si
tratti del Baldassarre della Bibbia. Nel 1924 è stata pubblicata la decifrazione di un antico testo
cuneiforme, detto “Storia in versi di Nabonedo”, grazie al quale sono state portate alla luce preziose
informazioni che avvalorano senz’altro la posizione regale che Baldassarre aveva a Babilonia e spiegano
in che modo divenne coreggente di Nabonedo. A proposito della conquista di Tema da parte di
Nabonedo nel terzo anno del suo regno, parte del testo dice: “Egli affidò l’‘accampamento’ al (figlio)
maggiore, il primogenito [Baldassarre], le truppe ovunque nel paese sottopose al suo (comando). Lasciò
andare (ogni cosa), a lui affidò il regno e, lui stesso [Nabonedo] partì per un lungo viaggio, e le forze
(militari) di Akkad marciavano con lui; egli si volse verso Tema, (molto più) a ovest”. (Ancient Near
Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, p. 313) Quindi Baldassarre esercitò senz’altro l’autorità
regale dal terzo anno di Nabonedo in poi, e questo avvenimento probabilmente corrisponde al riferimento
di Daniele al “primo anno di Baldassarre re di Babilonia”. — Da 7:1.
In un altro documento, la Cronaca di Nabonedo, a proposito del settimo, nono, decimo e undicesimo
anno del regno di Nabonedo, viene ripetuta questa dichiarazione: “Il re (era) a Tema (mentre) il principe,
gli ufficiali e il suo esercito (erano) in Akkad [Babilonia]”. (A. K. Grayson, Assyrian and Babylonian
Chronicles, 1975, p. 108) A quanto pare Nabonedo per gran parte del suo regno rimase lontano da
Babilonia, e, pur non abbandonando la posizione di sovrano supremo, delegò in sua assenza l’autorità
amministrativa al figlio Baldassarre. Ciò è reso evidente da numerosi testi ricuperati da antichi archivi
comprovanti che Baldassarre ebbe prerogative regali, che emanò ordini e comandi. Le questioni trattate
da Baldassarre in certi documenti e decreti erano tali da dover essere normalmente trattate da
Nabonedo, quale sovrano supremo, se fosse stato presente. Baldassarre rimase soltanto secondo
nell’impero, e perciò poté offrire a Daniele solo di diventare “il terzo nel regno”. — Da 5:16.
È vero che nelle iscrizioni ufficiali Baldassarre ha il titolo di “principe ereditario”, mentre nel libro di
Daniele ha il titolo di “re”. (Da 5:1-30) Una scoperta archeologica fatta nella Siria settentrionale ne spiega
la ragione. Nel 1979 venne riportata alla luce una statua a grandezza naturale di un governante
dell’antica Gozan. Sul lembo della veste c’erano due iscrizioni, una in lingua assira, l’altra in aramaico: la
lingua in cui Daniele scrisse di Baldassarre. Le due iscrizioni quasi identiche differivano in un punto
significativo. Il testo nella lingua imperiale assira dice che si trattava della statua del “governatore di
Gozan”. Il testo in aramaico, la lingua della popolazione locale, lo definisce “re”.
Alan Millard, archeologo e linguista, scrive: “Alla luce delle fonti babilonesi e delle nuove iscrizioni su
questa statua, poteva essere del tutto appropriato per un documento non ufficiale come il Libro di Daniele
chiamare Baldassarre ‘re’. Agiva in qualità di re, in rappresentanza del padre, per quanto forse non fosse
legalmente re. L’esatta distinzione sarebbe stata irrilevante e disorientante nella storia riportata in
Daniele”. — Biblical Archaeology Review, maggio-giugno 1985, p. 77.
Chi deteneva il potere sovrano in Babilonia doveva essere d’esempio nel riverire gli dèi. Esistono sei testi
cuneiformi relativi ad avvenimenti accaduti dal 5° al 13° anno del regno di Nabonedo che dimostrano la
devozione di Baldassarre alle divinità babilonesi. Quale reggente in assenza di Nabonedo, secondo
questi documenti Baldassarre offrì oro, argento e animali ai templi di Erec e Sippar, comportandosi così
in modo consono alla sua posizione regale.
La fine del dominio di Baldassarre. La notte del 5 ottobre 539 a.E.V. (calendario gregoriano; 11
ottobre, calendario giuliano), Baldassarre diede un grande banchetto per mille dei suoi grandi, come
riferisce il capitolo 5 di Daniele. (Da 5:1) Babilonia era minacciata dagli eserciti assedianti di Ciro il
Persiano e del suo alleato Dario il Medo. Secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio (che a sua volta cita il
babilonese Beroso), Nabonedo dopo essere stato sconfitto dagli eserciti medo-persiani si era rifugiato a
Borsippa. (Contro Apione, I, 150-152 [20]) Così Baldassarre sarebbe rimasto come reggente a Babilonia.
Tenere un banchetto quando la città era in stato d’assedio non è tanto strano se si ricorda che i
babilonesi consideravano inespugnabili le mura della città. Gli storici Erodoto e Senofonte dichiarano
inoltre che la città aveva abbondanti scorte e quindi nessuno si preoccupava che potesse mancare il
necessario. Erodoto descrive l’aspetto festoso della città quella notte, fra danze e piaceri.
Durante il banchetto e sotto l’effetto del vino, Baldassarre chiese che gli venissero portati i vasi del tempio
di Gerusalemme affinché lui, i suoi ospiti, le sue mogli e le sue concubine potessero usarli mentre
lodavano gli dèi di Babilonia. Ovviamente questa richiesta non era dovuta a mancanza di recipienti per
bere, ma piuttosto costituiva un deliberato oltraggio da parte di questo re pagano verso il Dio degli
israeliti, Geova. (Da 5:2-4) Fu un atto provocatorio nei confronti di Geova, che aveva ispirato le profezie
che predicevano la caduta di Babilonia. Baldassarre, che sembrava non darsi pensiero dell’assedio posto
dagli eserciti nemici, rimase invece profondamente scosso quando d’un tratto apparve una mano che
cominciò a scrivere sulla parete del palazzo. Con le ginocchia tremanti, chiamò tutti i suoi saggi perché
interpretassero il messaggio scritto, ma inutilmente. La narrazione dice che a questo punto la regina gli
diede un valido consiglio, indicando in Daniele l’unico in grado di fornire la spiegazione. (Da 5:5-12)
Secondo alcuni studiosi “la regina” non sarebbe stata la moglie di Baldassarre, ma sua madre, Nitocri,
ritenuta figlia di Nabucodonosor. Daniele, per ispirazione, rivelò il significato del messaggio miracoloso,
che prediceva la resa di Babilonia ai medi e ai persiani. Benché l’anziano profeta condannasse l’atto
blasfemo di Baldassarre, quello cioè di usare i vasi destinati all’adorazione di Geova per lodare dèi che
non vedono, non odono e non sanno nulla, Baldassarre non revocò la sua offerta e investì Daniele della
carica di terzo governante del regno. — Da 5:17-29.
Baldassarre non sopravvisse; fu ucciso la notte stessa della resa della città, il 5 ottobre 539 a.E.V.,
quando, secondo la Cronaca di Nabonedo, “le truppe di Ciro (II) entrarono in Babilonia senza
combattere”. (Assyrian and Babylonian Chronicles, cit., pp. 109, 110; vedi anche Da 5:30). Con la morte
di Baldassarre e la resa di Nabonedo a Ciro ebbe termine l’impero neobabilonese. — Vedi CIRO;
NABONEDO.
[Foto a pagina 283]
Cilindro babilonese in cui compaiono i nomi del re Nabonedo e di suo figlio Baldassarre

W98 15-9 P.8-9

w88 1/12 13-14 Quando Geova impartì delle lezioni a certi re


Baldassarre vede la scritta sul muro
15 Un altro monarca al quale Geova ebbe occasione di impartire una lezione fu Baldassarre, che regnava
insieme a suo padre Nabonedo. In occasione di un grande banchetto, Baldassarre ebbe l’ardire di
ordinare che si portassero i vasi d’oro che suo nonno Nabucodonosor aveva asportato dal tempio di
Geova a Gerusalemme, affinché lui, i suoi grandi, le sue mogli e le sue concubine potessero bervi. Così
“bevvero vino, e lodarono gli dèi d’oro e d’argento, di rame, di ferro, di legno e di pietra”. — Daniele 5:3,
4.
16 Era giunto il tempo stabilito da Dio per porre fine al dominio di Babilonia. Egli fece dunque apparire su
una parete una strana scritta. Questo miracolo scosse a tal punto il re che egli chiamò immediatamente
tutti i suoi saggi perché interpretassero la scritta. Nessuno fu in grado di farlo. Allora la madre gli
rammentò che Daniele, il quale aveva interpretato i sogni di Nabucodonosor, sarebbe stato in grado di
interpretarla. (Daniele 5:10-12) Quando fu convocato e gli venne chiesto se poteva farlo, Daniele ricordò
al monarca che Dio aveva umiliato il suo superbo nonno affinché sapesse che l’Altissimo domina sul
regno del genere umano. — Daniele 5:20, 21.
17 Daniele disse inoltre a Baldassarre: “Non hai glorificato l’Iddio nella cui mano è il tuo alito e a cui
appartengono tutte le tue vie”. (Daniele 5:23) La scritta notificava quindi al governante babilonese che i
giorni del suo regno erano pervenuti alla fine, che egli era stato pesato e trovato mancante e che il suo
regno doveva essere dato ai medi e ai persiani. E quella stessa notte, dopo che Geova ebbe impartito
all’altezzoso monarca la meritata lezione, Baldassarre, il re caldeo, fu ucciso. — Daniele 5:30.
18 Come impartì ai superbi monarchi Nabucodonosor e Baldassarre lezioni sulla sua sovranità e sul suo
potere salvifico, così ad Armaghedon Geova farà conoscere a tutti i governanti della terra che egli è il
Governante supremo, l’onnipotente Sovrano universale. Ciò influirà sulla vostra vita. In che senso? Nel
senso che allora Geova libererà anche i suoi fedeli servitori, proprio come liberò i tre ebrei dalla fornace
ardente. — Daniele 3:26-30.

w88 1/12 19-20 Geova ricompensa la fede e il coraggio


Un altro esempio di fede e di coraggio
18 Un altro esempio di fede e di coraggio è riportato nel capitolo 5 del libro di Daniele. Baldassarre, re di
Babilonia, stava tenendo un sontuoso banchetto sacrilego con mille dei suoi grandi, le sue concubine e le
sue mogli secondarie. All’improvviso apparve sul muro una strana scritta. Il re ne fu talmente scosso che
le giunture dei suoi fianchi si sciolsero e i suoi ginocchi battevano l’uno contro l’altro. Ancora una volta fu
chiamato Daniele, il servitore del vero Dio, perché interpretasse la scritta che aveva lasciato perplessi
tutti i saggi di Babilonia.
19 Il fatto di essere solo in quell’ambiente sfarzoso e ostile non mise soggezione a Daniele né lo indusse
ad annacquare il suo messaggio o a perdere di vista la contesa. In maniera pacata e calma, con un
linguaggio chiaro e dignitoso, diede testimonianza riguardo al suo Dio. Non accontentandosi
semplicemente di interpretare la scritta, Daniele ricordò al re che Geova Dio aveva umiliato suo nonno
facendo sì che vivesse come una bestia selvatica finché non riconobbe che l’Iddio Altissimo domina sul
regno del genere umano. “Benché tu conoscessi tutto questo”, disse Daniele a Baldassarre, ‘non ti sei
umiliato, ma hai profanato i vasi del tempio di Geova e hai lodato gli dèi d’oro, d’argento, di rame, di ferro,
di legno e di pietra, che non vedono nulla né odono nulla né conoscono nulla. Ma non hai glorificato
l’Iddio a cui appartengono tutte le tue vie. Di conseguenza egli ha emanato il suo decreto. Sei stato
pesato nella bilancia e trovato mancante, e il tuo regno è stato diviso e dato ai medi e ai persiani’. Sì,
Daniele diede nuovamente uno splendido esempio di fede e di coraggio per gli odierni servitori di Dio. —
Daniele 5:22-28.
20 Arrivando al sesto capitolo di Daniele, troviamo un altro eccellente esempio di fede e coraggio. Ora il re
era Dario, che fece di Daniele uno dei tre principali funzionari del suo regno. Altri, invidiosi di Daniele,
persuasero il monarca a emanare una legge che per 30 giorni vietava di fare richieste a chiunque non
fosse il re. Essi si rendevano conto che questo era l’unico modo per trovare un pretesto contro Daniele.
Questi ignorò la legge e continuò a pregare nella sua camera in terrazza con le finestre aperte, rivolto
verso Gerusalemme. Essendo stato riconosciuto colpevole di aver violato il decreto reale, Daniele,
secondo la pena prevista dalla legge, fu gettato nella fossa dei leoni. Ancora una volta Geova ricompensò
Daniele per la sua fede e il suo coraggio. In che modo? Per dirla con le parole di Ebrei 11:33, Geova
‘fermò le bocche dei leoni’.
21 I capitoli da 1 ⇒fino ⇐a 6 di Daniele narrano avvenimenti che rafforzano veramente la fede! Geova
Dio ricompensò in maniera davvero meravigliosa quelli che manifestarono fede e coraggio. Da una parte,
ciò avvenne in quanto essi furono innalzati, e, dall’altra, in quanto vennero miracolosamente liberati.
Quando ci troviamo davanti a una prova possiamo davvero trarre conforto e speranza dalle vicende di
questi fedeli testimoni. Queste cose, infatti, furono messe per iscritto proprio per questo scopo! La nostra
determinazione sia quindi quella di imitare da vicino la loro fede e il loro coraggio. — Romani 15:4; Ebrei
6:12.
[Figura a pagina 17]
Daniele e i suoi tre compagni impararono a dire di no
Barnaba — Tema: Siate cordiali e generosi nel vostro ministero GALATI 6:9

it-1 291-2 Barnaba


BARNABA
(Bàrnaba) [figlio di conforto].
Questa importante figura del cristianesimo del I secolo ci è presentata per la prima volta nelle Scritture
dallo storico Luca in Atti 4:34-36. Da questi versetti apprendiamo che quest’uomo devoto era un levita
nativo di Cipro che all’epoca si trovava a Gerusalemme. Fra i molti credenti che poco dopo la Pentecoste
vendettero case e campi e consegnarono il ricavato agli apostoli per promuovere l’opera cristiana, egli è
l’unico menzionato per nome. Si chiamava Giuseppe, ma gli apostoli lo soprannominarono Barnaba, che
significa “Figlio di conforto”. L’usanza di dare soprannomi secondo le caratteristiche personali non era
insolita.
Era un uomo molto cordiale e generoso, che non esitò a offrire se stesso e tutti i suoi beni materiali per
promuovere gli interessi del Regno. Fu lieto di ‘venire in aiuto’ dei fratelli (At 9:27), e alla vista di nuovi
interessati “si rallegrò e li incoraggiava tutti a rimanere nel Signore con proponimento di cuore”. Barnaba
“era un uomo buono, pieno di spirito santo e di fede” (At 11:23, 24), profeta e maestro della
congregazione di Antiochia. (At 13:1) Gli apostoli menzionarono Barnaba fra gli “amati”, coloro “che
hanno ceduto le loro anime per il nome del nostro Signore Gesù Cristo”. (At 15:25, 26) Pur non essendo
uno dei dodici apostoli, era giustamente chiamato apostolo (At 14:14), perché senza dubbio era uno degli
uomini “mandati dallo spirito santo”. — At 13:4, 43.
L’amicizia che legava Barnaba e Paolo, e che durò anni, ebbe inizio circa tre anni dopo la conversione di
Paolo, quando quest’ultimo volle mettersi in contatto con la congregazione di Gerusalemme. Non è
rivelato come Barnaba avesse conosciuto Paolo. Ma fu Barnaba ad avere il privilegio di presentare Paolo
a Pietro e al discepolo Giacomo. — At 9:26, 27; Gal 1:18, 19.
Nel frattempo certi ebrei di lingua greca provenienti da Cipro e da Cirene avevano suscitato molto
interesse per il cristianesimo in Antiochia di Siria. Di conseguenza il corpo direttivo di Gerusalemme
mandò Barnaba ad Antiochia per incoraggiare e rafforzare i nuovi credenti. Fu una buona scelta dato che
Barnaba era un cipriota di lingua greca. Quando “una considerevole folla si aggiunse al Signore” ad
Antiochia, Barnaba si affrettò ad andare a Tarso per convincere Paolo a venire ad aiutarlo nel suo
ministero. In quell’epoca il divino avvertimento di una prossima carestia indusse i fratelli di Antiochia a
raccogliere molte provviste che, a suo tempo, furono inviate alla congregazione di Gerusalemme per
mano di Barnaba e Paolo. — At 11:22-24, 27-30; 12:25.
Compiuta quell’opera di soccorso, i due fecero ritorno ad Antiochia verso il 47 E.V., e di là partirono per
un viaggio missionario sotto la direttiva dello spirito santo. Barnaba e Paolo toccarono prima Cipro, dove
fecero conoscere la verità di Dio al proconsole Sergio Paolo. Quindi proseguirono il viaggio all’interno
dell’Asia Minore. A volte incontrarono la violenta opposizione delle turbe. Un giorno a Listra, dopo avere
sanato uno zoppo, erano appena riusciti a trattenere “le folle dall’offrire loro sacrifici” (poiché pensavano
che Barnaba fosse il dio Zeus e Paolo, che “era quello che prendeva la direttiva nel parlare”, Ermes o
Mercurio) quando gli ebrei “persuasero le folle, e lapidarono Paolo e lo trascinarono fuori della città”. —
At 13:1-12; 14:1-20.
Verso il 49 E.V. Barnaba e Paolo sottoposero al corpo direttivo di Gerusalemme la scottante questione
della circoncisione dei non ebrei e, una volta definita, fecero subito ritorno ad Antiochia onde prepararsi
per il successivo viaggio missionario. (At 15:2-36) Tuttavia, non essendo riusciti a mettersi d’accordo
sull’opportunità di portare con loro Giovanni Marco, si diressero in territori diversi. Barnaba portò con sé a
Cipro suo cugino Marco mentre Paolo, accompagnato da Sila, si recò in Siria e Cilicia. (At 15:37-41) A
questo punto termina quanto le Scritture dicono di Barnaba, fatta eccezione per qualche breve menzione
in alcune lettere di Paolo. — 1Co 9:6; Gal 2:1, 9, 13; Col 4:10.

w78 1/11 5-7 Barnaba, leale sostenitore della vera adorazione


Barnaba, leale sostenitore della vera adorazione
“IL regno dei cieli è simile a un commerciante viaggiatore che cercava perle eccellenti. Trovata una perla
di alto valore, se ne andò e vendette prontamente tutte le cose che aveva e la comprò”. (Matt. 13:45, 46)
Queste parole di Gesù Cristo illustrano bene il vivo apprezzamento per le cose spirituali che i suoi
discepoli dovevano manifestare. Chi riconosceva quanto vale ottenere il regno dei cieli era disposto a
dare qualsiasi altra cosa per questa eredità, la più preziosa che ci fosse. Uno che lo riconobbe fu
Giuseppe, soprannominato Barnaba. Quest’uomo, nativo di Cipro, era un Israelita della tribù di Levi e
divenne uno dei primi componenti della congregazione cristiana.
Barnaba desiderava sinceramente che i suoi compagni di fede traessero beneficio dall’insegnamento
degli apostoli. Molti Giudei e proseliti convertiti erano andati a Gerusalemme da luoghi distanti per la festa
di Pentecoste del 33 E.V. Udita la completa testimonianza di Pietro che identificava in Gesù il promesso
Messia o Cristo, si pentirono e divennero discepoli battezzati. Tuttavia, avevano ancora molto da
imparare. Per dare loro la possibilità di prolungare il loro soggiorno a Gerusalemme, i credenti misero
insieme le loro risorse finanziarie. Barnaba, ad esempio, vendette volontariamente un appezzamento di
terreno, dando il ricavato agli apostoli perché lo distribuissero a chi era nel bisogno. — Atti 4:34-37.
Che ottimo spirito manifestò Barnaba! Non solo apprezzò il privilegio d’accedere in futuro al regno
celeste, ma fu anche disposto a rinunciare a beni materiali affinché altri fossero fortificati spiritualmente.
Inoltre, Barnaba dovette essere esemplare nel dare incoraggiamento e aiuto personale. Fu senz’altro
grazie al suo altruistico interesse per gli altri che gli apostoli lo soprannominarono Barnaba, che significa
“Figlio di Conforto”. (Atti 4:36) Se si considera che sostenne lealmente la vera adorazione, quel
soprannome fu molto appropriato.
Quando l’ex persecutore Saulo (Paolo) tornò a Gerusalemme come discepolo battezzato di Gesù Cristo, i
fratelli del posto ebbero timore di associarsi a lui. Non potevano credere che fosse veramente divenuto
un discepolo. Può darsi che Paolo fosse scoraggiato non essendogli stato concesso di incontrare gli
anziani della congregazione. Fortunatamente, Barnaba, il “Figlio di Conforto”, venne in suo aiuto. Lo
presentò a Pietro e Giacomo, fratellastro di Gesù, per cui Paolo poté essere accettato pienamente dalla
congregazione. — Atti 9:26, 27; Gal. 1:18, 19.
OPERA AD ANTIOCHIA
In seguito, Barnaba fu inviato dalla congregazione di Gerusalemme a curare gli interessi spirituali ad
Antiochia. Alcuni fratelli della sua nativa Cipro e anche di Cirene avevano proclamato la “buona notizia”
fra gli abitanti di lingua greca. Grazie a questa attività, molti divennero credenti. Fu motivo di grande gioia
per Barnaba vedere che tanti si valevano dell’immeritata benignità di Geova, divenendo discepoli di Gesù
Cristo. Allora egli li incoraggiò a “rimanere nel Signore con proponimento di cuore”. Ora che erano
cristiani, dovevano mantenersi fedeli. Per “rimanere nel Signore con proponimento di cuore” dovevano
stare uniti a Lui con tutto il cuore, con tutto il loro affetto. L’intero scopo della loro vita doveva essere
quello di mostrarsi pienamente devoti, di cuore, al loro Signore. — Atti 11:19-23.
L’incoraggiamento dato da Barnaba dovette avere un effetto salutare, specialmente perché egli “era un
uomo buono, pieno di spirito santo e di fede”. Fu irreprensibile e retto e si prodigò altruisticamente. La
sua condotta fu al di sopra di ogni critica. Barnaba permise allo spirito santo di operare pienamente su di
lui. Ebbe anche ferma fede, sostenuta dal frutto di opere eccellenti. Con un così eccellente esempio in
mezzo ad essa, la congregazione di Antiochia cresceva. — Atti 11:24.
Barnaba desiderava evidentemente che i fratelli ricevessero il migliore aiuto spirituale possibile.
Riconoscendo d’avere bisogno di aiuto per poter curare la congregazione in aumento, partì per Tarso in
cerca di Paolo. Dopo di che, insieme a Paolo, Barnaba promosse gli interessi spirituali ad Antiochia per
circa un anno. In quel periodo entrambi gli uomini andarono a Gerusalemme con i soccorsi offerti per i
fratelli della Giudea. — Atti 11:25-30.
IL PRIMO VIAGGIO DI EVANGELIZZAZIONE CON PAOLO
Accompagnati da Marco, cugino di Barnaba, i due uomini tornarono ad Antiochia. Durante un’adunanza
della congregazione locale, lo spirito di Dio, che operava senz’altro per mezzo di uno dei profeti della
congregazione, indicò che Barnaba e Paolo dovevano essere appartati per un servizio speciale. Avendo
Marco per servitore, Barnaba e Paolo partirono per il loro primo viaggio di evangelizzazione, toccando
Cipro e certe città dell’Asia Minore. Alla prima tappa in Asia Minore, nella città di Perga, Marco decise di
lasciarli e tornare a Gerusalemme. Paolo pensò che Marco non avesse una valida ragione per farlo, ma
Barnaba giudicò meno severamente la partenza del cugino. Sembra che durante il viaggio fosse Paolo a
prendere la direttiva nel parlare. Entrambi gli uomini, comunque, furono perseguitati da turbe infuriate. A
Listra, Paolo fu persino lapidato e abbandonato per morto. Coraggiosamente, entrambi gli uomini
tornarono nelle città dove c’erano stati disordini e rafforzarono i credenti. Nominarono anche anziani nelle
congregazioni appena formate. — Atti 13:1–14:26.
IL PROBLEMA DELLA CIRCONCISIONE
Tornati ad Antiochia, da dove lo spirito santo li aveva fatti partire, Barnaba e Paolo riferirono alla
congregazione le loro attività. Ma poi sorse un problema nella congregazione di Antiochia. Certi uomini
venuti dalla Giudea insistevano che i credenti gentili non potessero essere salvati se non si
circoncidevano e non si conformavano alla legge mosaica. Per appianare la questione, Paolo e Barnaba
partirono per Gerusalemme onde presentare la questione agli apostoli e agli altri anziani di quella
congregazione. — Atti 15:1, 2.
In quella circostanza entrambi gli uomini resero testimonianza al modo in cui Geova li aveva impiegati per
dichiarare la “buona notizia” ai Gentili incirconcisi. In base a tutte le testimonianze rese e all’evidenza
delle Sacre Scritture, gli apostoli e altri anziani della congregazione di Gerusalemme scrissero una lettera
per indicare che dai credenti gentili non erano richieste la circoncisione e l’osservanza della legge
mosaica. La lettera dichiarava: “Poiché allo spirito santo e a noi è parso bene di non aggiungervi nessun
altro peso, eccetto queste cose necessarie: che vi asteniate dalle cose sacrificate agli idoli e dal sangue e
da ciò che è strangolato e dalla fornicazione. Se vi asterrete attentamente da queste cose, prospererete.
State sani!” Quando Barnaba e Paolo portarono questa lettera ad Antiochia, ci fu grande allegrezza nella
congregazione. — Atti 15:3-31.
Può darsi fosse dopo ciò che Pietro visitò la congregazione di Antiochia e si associò liberamente ai
credenti gentili incirconcisi. Ma, poi, quando certi fratelli giudei scesero da Gerusalemme, Pietro smise di
associarsi con i convertiti gentili e stette esclusivamente con i fratelli giudei. Neppure Barnaba mostrò
equilibrio e fece la stessa cosa. Ma tutti reagirono bene quando Paolo riprese Pietro, indicando
chiaramente che tale comportamento era sbagliato. — Gal. 2:11-14.
FEDELE SERVIZIO INSIEME A MARCO
Sorse un altro problema, che questa volta riguardò Paolo e Barnaba personalmente. Paolo pensò di
tornare a visitare i fratelli che avevano incontrato durante il loro primo viaggio di evangelizzazione.
Tuttavia, quando Barnaba insisté di condurre anche Marco, fra i due uomini ci fu un aspro alterco.
Avendoli Marco lasciati la prima volta, Paolo dubitava della sua fidatezza e non lo voleva come
compagno di viaggio. Perciò, Barnaba e Paolo si separarono. Accompagnato da Marco, Barnaba tornò a
Cipro. (Atti 15:36-39) Evidentemente Marco lavorò fedelmente insieme a Barnaba, poiché in seguito lo
stesso Paolo ammise che Marco era un buon compagno. Nella sua seconda lettera a Timoteo, Paolo
scrisse: “Prendi Marco e conducilo con te, poiché mi è utile per il servizio”. (2 Tim. 4:11) Così, Barnaba,
insieme a Marco, dovette compiere un eccellente lavoro edificando i fratelli nell’isola di Cipro e facendo
nuovi discepoli.
Barnaba, pur avendo delle debolezze come qualsiasi altro uomo, fu all’altezza del suo soprannome,
“Figlio di Conforto”. Ebbe un ruolo importante nell’edificare e nell’incoraggiare i fratelli. Sostenendo
lealmente la vera adorazione, diede un esempio di come “rimanere nel Signore con proponimento di
cuore”. — Atti 11:23.

w92 1/9 11-15 Un modello ispirato di opera missionaria cristiana


Nell’isola di Cipro
6 Senza indugio i missionari salparono dal porto siro di Seleucia diretti all’isola di Cipro. Dopo aver
toccato terra a Salamina, non si lasciarono distrarre ma “proclamavano la parola di Dio nelle sinagoghe
dei giudei”. Seguendo l’esempio di Cristo, non si accontentarono di stabilirsi in quella città aspettando poi
che gli isolani andassero da loro. Al contrario, attraversarono “tutta l’isola”. Senza dubbio questo significò
fare molta strada a piedi e cambiare più volte alloggio, perché Cipro è un’isola grande e nel loro giro ne
percorsero la parte principale in tutta la sua lunghezza. — Atti 13:5, 6.
7 Alla fine della loro permanenza i due furono ricompensati con una meravigliosa esperienza nella città di
Pafo. Il proconsole dell’isola, Sergio Paolo, ascoltò il loro messaggio e “divenne credente”. (Atti 13:7, 12)
In seguito Paolo scrisse: “[Voi] vedete la vostra chiamata, fratelli, che non furono chiamati molti saggi
secondo la carne, non molti potenti, non molti di nobile nascita”. (1 Corinti 1:26) Nondimeno, fra i potenti
che accolsero il messaggio ci fu Sergio Paolo. Questa esperienza dovrebbe incoraggiare tutti, in
particolare i missionari, ad avere un atteggiamento positivo circa il dare testimonianza ai funzionari
governativi, così come siamo esortati a fare in 1 Timoteo 2:1-4. Uomini autorevoli sono stati a volte di
grande aiuto per i servitori di Dio. — Neemia 2:4-8.
8 Sotto la guida dello spirito di Geova, Paolo ebbe la parte principale nella conversione di Sergio Paolo.
(Atti 13:8-12) Inoltre, a quanto pare, da quel momento in poi fu Paolo a prendere la direttiva. (Confronta
Atti 13:7 con Atti 13:15, 16, 43). Questo era in armonia con l’incarico divino che Paolo aveva ricevuto
all’epoca della sua conversione. (Atti 9:15) Forse questo cambiamento mise alla prova l’umiltà di
Barnaba. Comunque, invece di prenderlo come un affronto personale, Barnaba probabilmente agì in
armonia col significato del suo nome, “Figlio di Conforto”, e sostenne lealmente Paolo per tutto il viaggio
missionario, come pure in seguito, quando alcuni cristiani ebrei contestarono il ministero da loro svolto
presso gli incirconcisi gentili. (Atti 15:1, 2) Che ottimo esempio è questo per tutti noi, inclusi coloro che
vivono nelle case missionarie e nelle case Betel! Dovremmo essere sempre pronti ad accettare gli
aggiustamenti teocratici e dare il nostro pieno appoggio a quelli che vengono nominati per prendere la
direttiva fra noi. — Ebrei 13:17.
L’altopiano dell’Asia Minore
9 Da Cipro Paolo e Barnaba salparono in direzione nord verso il continente asiatico. Per qualche ragione
non rivelata, i missionari non si fermarono nella regione costiera, ma fecero un viaggio lungo e pericoloso
di ben 180 chilometri fino ad Antiochia di Pisidia, sull’altopiano centrale dell’Asia Minore. Per arrivarci
bisognava salire fino a un passo di montagna e scendere poi su un altopiano situato a 1.100 metri sul
livello del mare. L’erudito biblico J. S. Howson dice: “Le abitudini criminose e banditesche della
popolazione di quelle montagne che separano l’altopiano . . . dalle pianure della costa meridionale erano
tristemente note in tutta l’antichità”. Per di più i missionari dovettero affrontare i pericoli costituiti dagli
elementi naturali. “In nessun distretto dell’Asia Minore”, aggiunge Howson, “i fiumi in piena sono tanto
pericolosi quanto nel tratto montuoso della Pisidia, dove fiumi gonfi scorrono impetuosi in fondo a
imponenti dirupi o si precipitano con violenza giù per strette gole”. Questi particolari ci aiutano a
visualizzare il tipo di viaggi che i missionari erano disposti a compiere per divulgare la buona notizia. (2
Corinti 11:26) Similmente oggi molti servitori di Geova affrontano con coraggio ogni sorta di ostacoli per
raggiungere le persone e portare loro la buona notizia.
10 Dato che ad Antiochia di Pisidia c’era una sinagoga ebraica, i missionari andarono prima lì per dare
l’opportunità di accettare la buona notizia a persone che avevano più dimestichezza con la Parola di Dio.
Invitato a parlare, Paolo si alzò in piedi e pronunciò un magistrale discorso pubblico. Durante quel
discorso mantenne una base comune con i giudei e i proseliti presenti nell’uditorio. (Atti 13:13-16, 26)
Dopo l’introduzione, Paolo passò in rassegna l’illustre storia degli ebrei, ricordando loro che Geova aveva
scelto i loro padri e poi li aveva liberati dall’Egitto, e come li aveva inoltre aiutati a sconfiggere gli abitanti
della Terra Promessa. Successivamente Paolo mise in risalto i rapporti di Geova con Davide. Quelle
informazioni erano di particolare interesse per gli ebrei del I secolo perché essi aspettavano che Dio
suscitasse un discendente di Davide come salvatore e governante eterno. A quel punto Paolo annunciò
coraggiosamente: “Dalla progenie di quest’uomo [cioè di Davide], secondo la sua promessa, Dio ha
recato a Israele un salvatore, Gesù”. — Atti 13:17-23.
11 Comunque, il tipo di salvatore che molti giudei attendevano era un eroe militare che li liberasse dalla
dominazione romana e innalzasse la nazione ebraica al di sopra di tutte le altre. Perciò rimasero
senz’altro stupiti sentendo Paolo dire che il Messia era stato consegnato dai loro stessi capi religiosi
perché fosse messo a morte. “Ma Dio lo destò dai morti”, dichiarò intrepidamente Paolo. Verso la fine del
suo discorso spiegò ai presenti che potevano ottenere un meraviglioso tipo di salvezza. “Vi sia perciò
noto”, disse, “che per mezzo di Lui vi è proclamato il perdono dei peccati; e che di tutte le cose di cui non
potevate essere dichiarati senza colpa per mezzo della legge di Mosè, chiunque crede è dichiarato senza
colpa per mezzo di Lui”. Paolo concluse il suo discorso esortando l’uditorio a non essere classificato fra i
molti riguardo ai quali Dio aveva predetto che avrebbero disprezzato il suo meraviglioso provvedimento
per la salvezza. — Atti 13:30-41.
12 Un discorso scritturale davvero efficace! Come reagì l’uditorio? “Molti dei giudei e dei proseliti che
adoravano Dio seguirono Paolo e Barnaba”. (Atti 13:43) Com’è incoraggiante questo per noi oggi! Sia
consentito anche a noi di fare del nostro meglio per esporre la verità con efficacia, sia nel ministero
pubblico che nei commenti e nei discorsi alle adunanze di congregazione. — 1 Timoteo 4:13-16.
13 I nuovi interessati di Antiochia di Pisidia non potevano tenere per sé questa buona notizia. Di
conseguenza “il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per udire la parola di Geova”. E ben presto
il messaggio si estese oltre quella città. Infatti “la parola di Geova si diffondeva in tutto il paese”. (Atti
13:44, 49) Invece di esserne contenti, giudei gelosi riuscirono a far espellere i missionari dalla città. (Atti
13:45, 50) Che effetto ebbe questo sui nuovi discepoli? Si scoraggiarono e si arresero?
14 No, perché quella era l’opera di Dio. Inoltre i missionari avevano posto un solido fondamento di fede
nel risuscitato Signore Gesù Cristo. Ovviamente, quindi, i nuovi discepoli consideravano Cristo, non i
missionari, come loro Condottiero. Leggiamo così che “i discepoli erano pieni di gioia e di spirito santo”.
(Atti 13:52) Com’è incoraggiante questo per i missionari e per altri che oggi fanno discepoli! Se facciamo
umilmente e con zelo la nostra parte, Geova Dio e Gesù Cristo benediranno il nostro ministero. — 1
Corinti 3:9.
A Iconio, Listra e Derbe
15 Paolo e Barnaba percorsero ora circa 140 chilometri in direzione sud-est fino alla città successiva,
Iconio. Non si lasciarono intimorire dalla persecuzione e seguirono la stessa procedura che avevano
seguito ad Antiochia. Descrivendo il risultato, la Bibbia dice: “Una grande moltitudine sia di giudei che di
greci divennero credenti”. (Atti 14:1) Ancora una volta i giudei che non accettarono la buona notizia
suscitarono opposizione. Ma i missionari perseverarono e trascorsero considerevole tempo a Iconio per
aiutare i nuovi discepoli. Poi, essendo stati informati che i loro oppositori giudei intendevano lapidarli,
Paolo e Barnaba saggiamente fuggirono e raggiunsero il territorio successivo, ‘Listra e Derbe e il paese
dintorno’. — Atti 14:2-6.
16 Coraggiosamente “dichiararono la buona notizia” in quel territorio nuovo, vergine. (Atti 14:7) Quando lo
vennero a sapere, i giudei di Antiochia di Pisidia e di Iconio andarono fino a Listra e persuasero le folle a
lapidare Paolo. Questi non ebbe il tempo di fuggire e fu colpito con pietre, tanto che i suoi oppositori
erano convinti che fosse morto e lo trascinarono fuori della città. — Atti 14:19.
17 Vi immaginate che angoscia dovettero provare i nuovi discepoli? Ma, meraviglia delle meraviglie,
quando circondarono Paolo, egli si alzò! La Bibbia non dice se fra quei nuovi discepoli c’era anche un
giovane di nome Timoteo. Certo prima o poi egli dovette venire a conoscenza di ciò che Dio aveva fatto
per Paolo, e la cosa dovette fare una grande impressione sulla sua giovane mente. Paolo, nella sua
seconda lettera a Timoteo, scrisse: “Tu hai seguito attentamente il mio insegnamento, la mia condotta, . .
. la sorta di cose che mi accaddero ad Antiochia, a Iconio, a Listra, la sorta di persecuzioni che ho
sopportato; eppure il Signore mi ha liberato da esse tutte”. (2 Timoteo 3:10, 11) Uno o due anni circa
dopo quella lapidazione, Paolo tornò a Listra e trovò che il giovane Timoteo era un cristiano esemplare, di
cui “rendevano buona testimonianza i fratelli di Listra e di Iconio”. (Atti 16:1, 2) Così Paolo lo scelse come
suo compagno di viaggio. Questo aiutò Timoteo a crescere spiritualmente e col tempo egli divenne
idoneo per essere mandato da Paolo a visitare varie congregazioni. (Filippesi 2:19, 20; 1 Timoteo 1:3)
Anche oggi zelanti servitori di Dio esercitano una splendida influenza sui giovani, molti dei quali,
crescendo, diventano validi servitori di Dio, come Timoteo.
18 La mattina successiva all’episodio di Listra che gli era quasi costato la vita, Paolo partì con Barnaba
per Derbe. Questa volta gli oppositori non li seguirono, e la Bibbia dice che ‘fecero parecchi discepoli’.
(Atti 14:20, 21) Dopo aver fondato una congregazione a Derbe, Paolo e Barnaba dovettero prendere una
decisione. Da Derbe c’era una strada romana trafficata che portava a Tarso. Da lì, con un breve viaggio,
si poteva arrivare ad Antiochia di Siria. Forse sarebbe stato il modo più conveniente per tornare alla base,
e quei missionari potevano pensare di meritarsi un po’ di riposo. A somiglianza del loro Maestro, però,
Paolo e Barnaba avvertivano un bisogno più grande. — Marco 6:31-34.
Compirono pienamente l’opera di Dio
19 Invece di tornare a casa per la via più breve, i missionari tornarono intrepidamente indietro e
rivisitarono quelle stesse città in cui avevano rischiato la vita. Benedisse Geova il loro altruistico interesse
per le nuove pecore? Sì, senz’altro, perché il racconto dice che riuscirono a ‘rafforzare le anime dei
discepoli, incoraggiandoli a rimanere nella fede’. Appropriatamente dissero a quei nuovi discepoli:
“Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. (Atti 14:21, 22) Paolo e Barnaba
rammentarono loro anche la loro chiamata quali coeredi del futuro Regno di Dio. Oggi dovremmo
incoraggiare in modo simile i nuovi discepoli. Possiamo rafforzarli affinché sopportino le prove ricordando
loro la prospettiva di vivere per sempre sulla terra sotto il dominio di quello stesso Regno di Dio che
Paolo e Barnaba predicavano.
20 Prima di lasciare ciascuna città, Paolo e Barnaba aiutavano la congregazione locale a organizzarsi
meglio. Evidentemente addestravano uomini qualificati e li nominavano affinché prendessero la direttiva.
(Atti 14:23) Questo favoriva senz’altro l’ulteriore espansione. Allo stesso modo oggi i missionari e altri,
dopo aver aiutato coloro che non hanno esperienza a progredire fino al punto di poter assolvere
responsabilità, a volte si recano altrove per continuare la loro buona opera in luoghi in cui il bisogno è
maggiore.
21 Quando infine i missionari tornarono ad Antiochia di Siria, avevano ogni ragione di sentirsi
profondamente soddisfatti. La Bibbia dice che avevano “pienamente compiuto” l’opera che Dio aveva
affidato loro. (Atti 14:26) Com’era logico aspettarsi, la narrazione delle loro esperienze procurò “a tutti i
fratelli grande gioia”. (Atti 15:3) Ma cosa avrebbero fatto ora? Si sarebbero riposati sugli allori? Niente
affatto. Dopo essersi recati a Gerusalemme per sottoporre al corpo direttivo il problema della
circoncisione affinché decidesse in merito, i due ripartirono per altri viaggi missionari. Questa volta
andarono in direzioni diverse. Barnaba prese con sé Giovanni Marco e andò a Cipro, mentre Paolo trovò
un nuovo compagno, Sila, col quale attraversò la Siria e la Cilicia. (Atti 15:39-41) Fu nel corso di questo
viaggio che egli scelse il giovane Timoteo e lo portò con sé.
22 La Bibbia non parla dei risultati del secondo viaggio di Barnaba. In quanto a Paolo, si recò in un nuovo
territorio e fondò congregazioni in almeno cinque città: Filippi, Berea, Tessalonica, Corinto ed Efeso. Qual
era il segreto del notevole successo di Paolo? Gli stessi princìpi valgono anche per coloro che oggi fanno
discepoli di Cristo?
[Figura a pagina 15]
L’apostolo Paolo sopportò la persecuzione, e questo fece una durevole impressione sul giovane Timoteo

w93 15/8 21-2 La padronanza esista in voi e trabocchi


17 Possiamo imparare qualcosa sulla padronanza di sé anche da un episodio che vide coinvolti Paolo e
Barnaba. Dopo essere stati compagni di servizio per anni, ebbero una divergenza di opinioni
sull’opportunità di condurre con loro Marco in un viaggio. “Ci fu un’accesa esplosione d’ira, così che si
separarono l’uno dall’altro; e Barnaba, preso con sé Marco, salpò verso Cipro”. (Atti 15:39) Il fatto che
quegli uomini maturi non abbiano controllato i loro sentimenti in quella circostanza dovrebbe servirci di
monito. Se capitò a loro, può capitare anche a noi. Tuttavia essi non lasciarono che l’accaduto creasse
una durevole frattura fra loro o scatenasse una faida. Tutto fa ritenere che i due fratelli implicati ripresero
il controllo delle proprie emozioni e in seguito collaborarono pacificamente. — Colossesi 4:10; 2 Timoteo
4:11.
18 Possiamo aspettarci che fra i servitori di Dio ci siano sentimenti feriti, perfino rancori. C’erano in epoca
ebraica e nel periodo apostolico. Ci sono stati anche fra i servitori di Geova odierni, perché siamo tutti
imperfetti. (Giacomo 3:2) Gesù esortò i suoi seguaci ad agire prontamente per risolvere simili problemi tra
fratelli. (Matteo 5:23-25) Ma è ancora meglio cercare di prevenirli migliorando la nostra padronanza. Se
un fratello o una sorella ha detto o fatto una cosa relativamente piccola che vi ha offesi o feriti, perché
non controllarvi e metterci semplicemente una pietra sopra? È proprio necessario affrontare l’altra
persona, come se non si fosse soddisfatti finché l’altro non ha ammesso di essere in torto? Fino a che
punto siete in grado di controllare i vostri sentimenti?

w90 15/6 13-14 Il popolo di Geova è reso fermo nella fede


Inizia il secondo viaggio missionario
17 Quando fu proposta l’idea di un secondo viaggio missionario, sorse un problema. (15:36-41) Paolo
suggerì di rivisitare insieme a Barnaba le congregazioni di Cipro e dell’Asia Minore. Barnaba fu
d’accordo, ma voleva portare con sé suo cugino Marco. Paolo non era dello stesso avviso, poiché Marco
li aveva abbandonati in Panfilia. Ne nacque “un’accesa esplosione d’ira”, ma né Paolo né Barnaba
cercarono di sostenere la propria posizione tentando di coinvolgere nella loro questione privata altri
anziani o il corpo direttivo. Che ottimo esempio!
18 Questa disputa, tuttavia, causò una separazione. Barnaba prese con sé Marco e se ne andò a Cipro.
Paolo, insieme a Sila, “attraversò la Siria e la Cilicia, rafforzando le congregazioni”. Barnaba si sarà fatto
influenzare da vincoli di parentela, ma avrebbe dovuto riconoscere che Paolo era un apostolo e che era
stato scelto come “un vaso eletto”. (Atti 9:15) E che dire di noi? Questo episodio dovrebbe imprimere in
noi la necessità di riconoscere l’autorità teocratica e di cooperare pienamente con “lo schiavo fedele e
discreto”! — Matteo 24:45-47.

W98 15-4 P.20-23


Baruc (segretario di Geremia) — Tema: Servite Geova per altruismo 1°CORINTI 10:24

it-1 293 Baruc


BARUC
(Bàruc) [benedetto].
1. Scriba segretario di Geremia. Baruc era figlio di Neria e fratello di Seraia, il funzionario di Sedechia che
lesse il rotolo di Geremia lungo l’Eufrate. — Ger 32:12; 51:59-64.
Nel quarto anno del re Ioiachim, 625 a.E.V., Baruc, sotto dettatura di Geremia, cominciò a scrivere in un
rotolo il messaggio profetico della rovina di Gerusalemme. Verso la fine dell’autunno dell’anno dopo, 624
a.E.V., Baruc lesse ad alta voce il rotolo “agli orecchi di tutto il popolo” all’ingresso della casa di Geova.
Fu poi invitato a leggerlo a una riunione di principi, i quali, a motivo di quello che udivano e temendo ciò
che sarebbe accaduto quando la parola fosse giunta agli orecchi del re, consigliarono a Baruc e a
Geremia di nascondersi. Ioiachim, udendo la denuncia, bruciò il rotolo pezzo per pezzo, e comandò che
Baruc e Geremia fossero condotti davanti a lui, “ma Geova li tenne nascosti”. Baruc scrisse un altro rotolo
dettato da Geremia, come il primo, ma contenente “molte altre parole” dalla bocca di Geova. — Ger 36:1-
32.
Sedici anni dopo, nel decimo anno di Sedechia, solo qualche mese prima del saccheggio di
Gerusalemme, Baruc prese l’atto di acquisto della proprietà che Geremia aveva acquistato da un cugino
e lo pose in un vaso di terracotta perché fosse conservato in luogo sicuro. — Ger 32:1, 9-16.
Ad un certo punto durante la stesura del primo rotolo, Baruc si lamentò di essere stanco e Geova
l’ammonì: ‘Non continuare a cercare grandi cose per te stesso’. Comunque, per la sua fedeltà gli fu
promessa salva la vita ‘in tutti i luoghi nei quali sarebbe andato’, non solo durante il terribile assedio di
Gerusalemme, ma anche dopo quando la popolazione ribelle costrinse lui e Geremia ad andare in Egitto.
— Ger 45:1-5; 43:4-7.

w79 15/3 28-30 Baruc, un segretario che ricevette un messaggio profetico


Baruc, un segretario che ricevette un messaggio profetico
NELL’ULTIMO venticinquennio del settimo secolo a.E.V., Baruc fu segretario del profeta Geremia. Visse
in un’epoca in cui i suoi compagni israeliti non tenevano in nessun conto la parola di Geova ma
insistevano nel fare a modo proprio. Perciò le profezie che Baruc scrisse sotto la guida di Geremia
additavano soprattutto la calamità. Dato che queste profezie erano molto impopolari, a volte Baruc
condivise le spiacevoli vicende del profeta Geremia. In un’occasione, le circostanze in cui si trovava e il
contenuto dei messaggi profetici fecero perdere l’equilibrio a Baruc, per cui uno specifico messaggio
profetico fu rivolto direttamente a lui.
Nel quarto anno di regno di Ioiachim, Geremia dettò a Baruc il messaggio profetico relativo alla
distruzione di Gerusalemme per mano dei caldei. In uno speciale giorno di digiuno nel tardo autunno
dell’anno successivo, Baruc, col rotolo che aveva scritto, si presentò nel cortile del tempio. Perché Baruc
e non Geremia? Geremia non poteva andarvi, forse perché un decreto dei funzionari del tempio glielo
impediva. Quindi Geremia mandò Baruc a leggere la parola di Geova agli israeliti radunati. Fra gli uomini
che udirono la lettura pubblica ci fu un certo Micaia. Egli fece immediatamente rapporto al segretario del
re Ioiachim e ai principi. — Ger. 36:1-13.
I principi inviarono allora Ieudi da Baruc, per chiedergli di portare il rotolo profetico. Baruc fu trattato
gentilmente, essendo invitato a sedersi e a leggere il rotolo. Udendo il vigoroso messaggio di condanna, i
principi si impaurirono, rivelando indubbiamente la loro apprensione con l’espressione del viso e il modo
di fare. Si sentirono in obbligo di informare il re Ioiachim sul contenuto del rotolo. Per stabilire che parte
aveva avuto Baruc nella stesura del rotolo profetico, i principi chiesero: “Come hai scritto tutte queste
parole dalla sua bocca?” La risposta di Baruc fece capire che egli era semplicemente il segretario e che
aveva scritto fedelmente quanto ordinatogli da Geremia. Disse: “Dalla sua bocca egli mi dichiarava tutte
queste parole, e io scrivevo nel libro con l’inchiostro”. Comprendendo che il messaggio profetico avrebbe
destato l’ira del re, i principi suggerirono a Baruc e Geremia di nascondersi. Secondo le previsioni dei
principi, Ioiachim comandò di prendere i due uomini. Tuttavia, grazie alla protezione di Geova, il
nascondiglio di Geremia e di Baruc non fu scoperto. — Ger. 36:14-26.
Questo episodio dovette essere di grande incoraggiamento per Baruc, perché un precedente messaggio
profetico era stato rivolto personalmente a lui. Quel messaggio era servito a correggere il suo modo di
pensare. Nel quarto anno del regno di Ioiachim, Baruc esclamò: “Guai a me, ora, poiché Geova ha
aggiunto mestizia alla mia pena! Io mi sono stancato a causa dei miei sospiri, e non ho trovato alcun
luogo di riposo”. (Ger. 45:3) La pena di Baruc era dovuta all’angoscia che provava dimorando in mezzo ai
suoi connazionali illegali. Erano corrotti, ostinati e impenitenti. Può darsi benissimo che Baruc si sentisse
come Lot a Sodoma, del quale la Bibbia dice: “Quel giusto, per ciò che vedeva e udiva mentre dimorava
fra loro, si tormentava di giorno in giorno l’anima giusta a causa delle loro opere illegali”. (2 Piet. 2:8)
Oltre alla pena che aveva nel cuore, Baruc si sentiva mesto. Perché pensava che Geova Dio avesse
aggiunto mestizia alla sua pena?
La parola di Geova non prometteva un cambiamento in meglio durante la vita di Baruc. Piuttosto, era un
messaggio minaccioso, che additava una distruzione certa. Questa prospettiva riempiva Baruc di
mestizia. Da un punto di vista personale, non c’era speranza di migliorare la propria posizione. Quindi
sospirava. Non poteva trovare pace né “luogo di riposo”.
Baruc non aveva un buon atteggiamento. Doveva essere corretto. Geova gli dichiarò: “Ecco, ciò che ho
edificato demolisco, e ciò che ho piantato sradico, perfino tutto il paese stesso. Ma in quanto a te, tu
continui a cercar grandi cose per te stesso. Non continuare a cercare. Poiché, ecco, io farò venire la
calamità su ogni carne, . . . e per certo ti darò la tua anima come spoglia in tutti i luoghi ai quali andrai”. —
Ger. 45:4, 5.
Poiché la distruzione che Geova aveva decretata per bocca del suo profeta Geremia sarebbe venuta,
non era certo il tempo di pensare a “grandi cose” per sé. Non era il tempo di pensare a sicurezza
materiale, prosperità, beni o preminenza. Baruc fu esortato ad accontentarsi di sfuggire vivo alla futura
distruzione. Cosa poteva valere di più? (Matt. 16:26) Pur essendogli assicurata la sopravvivenza, Baruc
doveva condividere le difficoltà del popolo in generale. Poté pregustare la protezione che avrebbe
ricevuto quando Geova impedì a lui e Geremia di cadere nelle mani del re Ioiachim.
Anche dopo la distruzione di Gerusalemme, Baruc comprese di aver ancora bisogno di perseveranza e di
dover confidare nella protezione di Geova. Quando Geremia dichiarò al popolo la parola di Geova,
consigliando di non fuggire in Egitto, essi non prestarono attenzione. Per scusare il ripudio della parola di
Geova dichiarata mediante Geremia, calunniarono Baruc, dicendo: “Baruc figlio di Neria ti istiga contro di
noi allo scopo di darci in mano ai Caldei, per metterci a morte o per portarci in esilio a Babilonia”. (Ger.
43:3) Asserirono così che Geremia, ora invecchiato, era influenzato dal suo segretario e non dichiarava
più la parola di Geova ma presentava il messaggio del suo segretario come messaggio dell’Onnipotente.
Di fronte a un tale atteggiamento, Baruc dovette continuare ad aver fede nella promessa di Geova di
salvarlo.
Oggi possiamo trarre beneficio dalla vicenda di Baruc. Non ricevette speciali ricompense materiali per
aver servito Geova fedelmente come segretario di Geremia. Allo stesso modo, oggi non dovremmo
aspettarci un trattamento speciale quando tutte le persone in generale soffrono e hanno avversità.
Dovremmo essere disposti a soffrire anche durante la futura “grande tribolazione”, accontentandoci della
promessa di Geova: “Probabilmente potrete esser nascosti nel giorno dell’ira di Geova”. (Matt. 24:21, 22;
Sof. 2:3) Allora, quando vedremo l’esecuzione del giudizio di Dio contro i malvagi, potremo attendere con
fiducia di ricevere come spoglia la nostra anima o vita, sopravvivendo alla “grande tribolazione” per
entrare nel nuovo ordine di giustizia e pace di Geova.

w80 15/8 19-22 La strada giusta dev'essere scelta ora


6 “La parola che Geremia il profeta pronunciò a Baruc figlio di Neria quando egli scrisse in un libro queste
parole dalla bocca di Geremia nel quarto anno di Ioiachim figlio di Giosia, re di Giuda, dicendo: ‘Geova
l’Iddio d’Israele ha detto questo riguardo a te, o Baruc: “Tu hai detto: ‘Guai a me, ora, poiché Geova ha
aggiunto mestizia alla mia pena! Io mi sono stancato a causa dei miei sospiri, e non ho trovato alcun
luogo di riposo’”’”.
7 Non sappiamo da quanto tempo Baruc fosse il segretario di Geremia, ma aveva almeno altri 18 anni da
trascorrere in compagnia del profeta. Non possiamo sapere quale “pena” patisse vedendo peggiorare le
condizioni del regno di Giuda, ma ora, oltre a ciò, doveva anche mettere per iscritto l’angustioso
messaggio di calamità dettato da Geremia. Probabilmente si sentiva come Geremia al tempo in cui il
profeta scrisse il libro delle “Lamentazioni” dopo la distruzione di Gerusalemme nel 607 a.E.V. da parte
del re di Babilonia. È possibile che le continue e ripetute profezie di calamità da parte di Geremia
avessero logorato Baruc.
8 Baruc non intravedeva “alcun luogo di riposo” per sé. Geova notò la disposizione d’animo di Baruc e
comandò a Geremia di dirgli: “Geova ha detto questo: ‘Ecco, ciò che ho edificato demolisco, e ciò che ho
piantato sradico, perfino tutto il paese stesso. Ma in quanto a te, tu continui a cercar grandi cose per te
stesso. Non continuare a cercare’”. — Ger. 45:4, 5.
9 Anche se Geova non le menzionò, Baruc sapeva quali “grandi cose” cercava per sé. Evidentemente
erano cose che Geova non approvava, per cui avrebbe dovuto smettere di cercarle. Perché?
10 A motivo di ciò che Geova aveva in mente di fare a breve scadenza. In quello stesso anno aveva
suscitato Nabucodonosor come re di Babilonia, e questi era colui che Geova intendeva impiegare come
esecutore dei suoi giudizi contro il popolo di Baruc. Particolarmente dai giorni del re Davide (1077-1037
a.E.V.), Geova aveva edificato il regno d’Israele, ma ora, tramite Nabucodonosor, stava per demolire quel
governo reale onde rimanesse inerte per 2.520 anni, fino al 1914 E.V. Nel lontano 1473 a.E.V. Geova
aveva piantato la nazione d’Israele nella Terra Promessa, ma ora, dopo più di 800 anni, stava per
sradicarla. Per 70 anni il paese del regno di Giuda sarebbe rimasto senza alcun israelita o animale
domestico, mentre la popolazione sarebbe stata in esilio nel paese di Nabucodonosor. A motivo di quanto
stava per accadere, era forse il tempo appropriato perché un uomo che conosceva il proposito di Geova
proclamato da Geremia cercasse per sé “grandi cose” di carattere personale? Niente affatto!
11 Ecco perché Geova gli disse di smettere di cercare tali cose. Che dire se Baruc avesse continuato
egoisticamente a cercarle? Avrebbe potuto essere in piena armonia con il messaggio che doveva
scrivere e proclamare? No! I rapporti fra lui e il profeta di Geova, Geremia, si sarebbero senz’altro
incrinati. Se Baruc voleva rimanere veramente in armonia con Geremia e il suo messaggio doveva
reprimere le ambizioni egoistiche. Mancavano ancora 18 anni alla predetta calamità, ma Baruc si trovava
già a dover prendere una decisione. La sua stessa vita, la sua “anima”, dipendeva dal prendere la
decisione giusta e dall’attenervisi.
12 Che somiglianza fra la critica situazione di Baruc e la nostra! Questo in particolare dal 1914 in poi,
poiché da allora i testimoni di Geova hanno predicato che la cristianità, il moderno antìtipo dell’infedele
Gerusalemme, verrà distrutta da qualcuno più grande di Nabucodonosor, l’ormai regnante re celeste
Gesù Cristo. È perciò veramente sconsigliabile che chi è in una relazione di patto con Dio cerchi per sé
“grandi cose” in questo sistema di cose in sfacelo e in un tempo cruciale come questo. Significherebbe
non capire che stiamo vivendo nel “tempo della fine”. Rivelerebbe mancanza di fede e di fiducia
nell’esattezza e nell’urgenza del messaggio predicato dalla classe di Geremia circa la condanna di
questo vecchio sistema di cose. È in gioco la vita, l’“anima” di ciascuno! Geova sta per compiere la sua
opera di demolire e sradicare tramite qualcuno più potente di Nabucodonosor, Gesù Cristo. Vogliamo
essere distrutti assieme al moderno antìtipo dell’apostata Gerusalemme, cioè la cristianità? Se non
vogliamo esserlo, allora dobbiamo prendere la nostra decisione finché ce n’è ancora tempo, la decisione
di fare ciò che Geova disse al segretario di Geremia, Baruc, e cioè di smettere di cercare “grandi cose” in
questo mondo.
[Figura a pagina 20]
Il "giorno di vendetta" di Dio non è il tempo di cercare "grandi cose" per se stessi
13 Ciascuno di noi cerchi di vivere in armonia con il messaggio proclamato dalla classe di Geremia.
Abbandoniamo le ambizioni egoistiche e non riponiamo i nostri affetti sulle cose transitorie di questo
condannato sistema di cose. Si richiede che partecipiamo coraggiosamente con la classe di Geremia
all’opera di avvertimento da compiere in relazione all’imminente “giorno di vendetta” di Geova. Non è
tempo di avere un cuore diviso. — Isa. 61:1, 2.
14 Quale sarà la ricompensa? È indicata in quello che Geremia ricevette il comando di dire a Baruc:
“‘Poiché, ecco, io farò venire la calamità su ogni carne’, è l’espressione di Geova, ‘e per certo ti darò la
tua anima come spoglia in tutti i luoghi ai quali andrai’”. — Ger. 45:5b.
15 Per Baruc le cose andarono proprio così. Questo mostra che senza perdere tempo prese la decisione
giusta. Ce lo conferma un precedente capitolo, Geremia 43:5-7, che narra ciò che accadde dopo la
distruzione di Gerusalemme nel 607 a.E.V. Si legge che nella loro fuga dal paese di Giuda verso l’Egitto, i
timorosi giudei sopravvissuti portarono con sé “Geremia il profeta e Baruc figlio Neria. E infine vennero
nel paese d’Egitto, poiché non ubbidirono alla voce di Geova; e vennero gradualmente fino a Tafnes”,
nell’Egitto settentrionale. Ma anche dopo ciò Geremia continuò a profetizzare a quei giudei disubbidienti.
— Ger. 43:8–44:30.
16 Quegli ostinati giudei non riuscirono a sottrarsi per molto alla dominazione della potenza mondiale
babilonese, perché a suo tempo Nabucodonosor aggiunse l’Egitto al suo impero. Se Geremia e Baruc
sopravvissero per vedere l’arrivo dei babilonesi, possiamo esser certi che non caddero vittime dell’ira di
Nabucodonosor. Egli aveva buoni motivi per ricordarsi di loro con benignità. Baruc avrebbe continuato ad
avere la sua “anima” come spoglia, cosa garantitagli da Geova in Geremia 45:5. Avrebbe così potuto
rendersi conto di quanto fosse stato saggio a smettere di cercare “grandi cose” per se stesso.
17 Possiamo trarre vero profitto dall’esempio di ubbidiente sottomissione alla correzione di Geova datoci
da Baruc? Sì! Non importa quanto stretti siano i nostri legami con la classe di Geremia, facciamo ciò che
Dio approva se non ricerchiamo “grandi cose” per noi stessi in questi ultimi giorni della cristianità. La
nostra “anima”, la nostra vita come persone, vale molto più delle “grandi cose” destinate a scomparire
con questo mondo malvagio, quando non ci rimarrà addosso che la sola “anima”. Essere allora vivi come
‘anime’ che godranno l’approvazione divina sarà qualcosa di infinitamente più prezioso che godere ora
per breve tempo qualsiasi cosa appartenga alla cristianità e a tutta la religione organizzata.

[Figura a pagina 20]


Il “giorno di vendetta” di Dio non è il tempo di cercare “grandi cose” per se stessi
[Figura a pagina 21]
Cerchiamo di non essere pigri nel compiere la “missione di Geova”
Betsabea — Tema: I trasgressori pentiti possono ottenere il favore di Dio ISAIA 1:18; 55:7

it-1 355-6 Betsabea


BETSABEA
(Betsabèa) [figlia di abbondanza; forse, figlia [nata] il settimo [giorno]].
Figlia di Eliam (Ammiel in 1Cr 3:5); forse nipote di Ahitofel. (2Sa 11:3; 23:34) Già moglie di Uria l’ittita,
uno degli uomini potenti di Davide, sposò poi Davide dopo essere stata implicata in uno degli episodi più
tristi della vita di questo re. — 2Sa 23:39.
Mentre una sera di primavera Betsabea faceva il bagno, il re Davide, dalla vicina terrazza del suo
palazzo, scorse questa donna “di ottimo aspetto”. Appreso che suo marito era lontano a combattere, il re
divorato dalla passione fece condurre Betsabea al palazzo, dove ebbe rapporti con lei. “Più tardi essa
tornò a casa sua”, e dopo alcune settimane informò Davide che era rimasta incinta. Allora Davide pensò
di far dormire Uria con la moglie per nascondere l’adulterio, ma quando questo progetto fallì, il re fece in
modo che Uria fosse ucciso in battaglia. Terminato il periodo di lutto, Betsabea divenne moglie di Davide
e diede alla luce il figlio. — 2Sa 11:1-27.
“Ma la cosa . . . parve cattiva agli occhi di Geova”. Il suo profeta Natan rimproverò il re facendo
un’illustrazione in cui rappresentò Betsabea come “un’agnella” di un uomo povero, Uria, che un ricco,
Davide, aveva presa per offrirla a un visitatore. Con gran dolore Davide si pentì (Sl 51), ma il figlio
adulterino, di cui non si sa il nome, morì. (Vedi DAVIDE). Anni dopo Davide soffrì ancora per il suo
peccato: suo figlio Absalom abusò delle sue stesse concubine. — 2Sa 11:27–12:23; 16:21, 22.
Betsabea trovò conforto nel marito pentito, più volte lo chiamò “mio signore”, come aveva fatto Sara (1Re
1:15-21; 1Pt 3:6), e a suo tempo gli diede un figlio, Salomone, che Geova amò e benedisse. (2Sa 12:24,
25) Essa ebbe anche altri tre figli, Simea, Sobab e Natan, quest’ultimo antenato di Maria madre di Gesù.
Poiché Giuseppe era discendente di Salomone, entrambi i genitori terreni di Gesù discendevano sia da
Betsabea che da Davide. — 1Cr 3:5; Mt 1:6, 16; Lu 3:23, 31.
Betsabea è menzionata di nuovo verso la fine dei 40 anni del regno di Davide. Davide le aveva giurato:
“Salomone tuo figlio è colui che regnerà dopo di me”. Perciò quando Adonia fratellastro maggiore di
Salomone tentò di usurpare il trono poco prima della morte di Davide, Betsabea, dietro suggerimento del
profeta Natan, ricordò a Davide il suo giuramento. Immediatamente Davide pose Salomone sul trono e
Betsabea divenne così la regina madre. — 1Re 1:5-37.
Dopo che il trono di Salomone fu saldamente stabilito, Betsabea comparve dinanzi a lui in veste di
influente intermediaria a favore di Adonia. Subito Salomone “si levò per andarle incontro e si inchinò”,
ordinando che si disponesse un trono per sua madre, “perché si sedesse alla sua destra”. Tuttavia la sua
richiesta rivelava soltanto la doppiezza di Adonia, per cui Salomone lo fece mettere a morte. — 1Re 2:13-
25.

w93 15/3 8-13 La misericordia di Geova ci salva dalla disperazione


La misericordia di Geova ci salva dalla disperazione
“Mostrami favore, o Dio, secondo la tua amorevole benignità. Secondo l’abbondanza delle tue
misericordie cancella le mie trasgressioni”. — SALMO 51:1.
LA LEGGE di Geova non può essere violata impunemente. Com’è evidente questo se commettiamo
qualche grave peccato contro Dio! Anche se forse abbiamo servito Geova fedelmente per anni, se
violassimo la sua legge potremmo provare grande ansietà o profonda depressione. Potremmo pensare
che Geova ci abbia abbandonato e che non siamo più degni di servirlo. Il nostro peccato può apparirci
come una fitta coltre di nubi che ci impedisce di ricevere la luce del favore di Dio.
2 Una volta Davide, re dell’antico Israele, si trovò in una situazione simile. Come mai?
Passi falsi possono portare a commettere peccati gravi
3 Davide amava Dio, ma fece alcuni passi falsi che lo portarono a commettere peccati gravi. (Confronta
Galati 6:1). Questo può capitare a qualunque uomo imperfetto, specialmente se ha autorità su altri.
Essendo un re valoroso, Davide aveva fama e potere. Chi osava contraddirlo? Uomini capaci erano ai
suoi ordini, e il popolo era pronto a fare ciò che egli richiedeva. Eppure Davide commise degli errori,
prendendosi molte mogli e facendo un censimento del popolo. — Deuteronomio 17:14-20; 1 Cronache
21:1.
4 In quel periodo di prosperità materiale, Davide commise gravi peccati contro Dio e l’uomo. Un peccato
portò all’altro come in una catena ordita da Satana! Mentre gli altri israeliti combattevano contro gli
ammoniti, dalla terrazza del suo palazzo Davide se ne stava a guardare la bella moglie di Uria, Betsabea,
che faceva il bagno. Dato che Uria era in guerra, il re fece condurre la donna nel suo palazzo e commise
adulterio con lei. Immaginate lo shock quando seppe poi che la donna era rimasta incinta! Davide mandò
a chiamare Uria, sperando che trascorresse la notte con Betsabea e credesse poi che il bambino fosse
suo. Benché Davide lo facesse ubriacare, Uria non andò a giacere con la moglie. Disperato, Davide inviò
al comandante Gioab ordini segreti di mandare Uria in prima linea, dove sarebbe sicuramente morto. Uria
rimase ucciso in battaglia, la vedova osservò il consueto periodo di lutto, e Davide la sposò prima che gli
altri si accorgessero che era incinta. — 2 Samuele 11:1-27.
5 Tramite il profeta Natan, Dio smascherò i peccati di Davide e disse: “Farò sorgere contro di te la
calamità dalla tua propria casa”. Di conseguenza il bambino dato alla luce da Betsabea morì. (2 Samuele
12:1-23) Il primogenito di Davide, Amnon, violentò la sorellastra Tamar e fu assassinato dal fratello di lei.
(2 Samuele 13:1-33) Questo stesso figlio del re, Absalom, cercò di usurpare il trono e umiliò
pubblicamente il padre avendo rapporti con le concubine di Davide. (2 Samuele 15:1–16:22) Scoppiò una
guerra civile che finì con la morte di Absalom e un ulteriore dolore per Davide. (2 Samuele 18:1-33)
Tuttavia i peccati di Davide lo resero più umile e cosciente del bisogno di stare vicino al suo
compassionevole Dio. Se dovessimo commettere degli errori, pentiamoci umilmente e avviciniamoci a
Geova. — Confronta Giacomo 4:8.
6 Davide era particolarmente colpevole perché era un governante israelita, che conosceva bene la Legge
di Geova. (Deuteronomio 17:18-20) Non era un faraone egiziano o un re babilonese che, non avendo tale
conoscenza, forse facevano regolarmente cose disapprovate da Dio. (Confronta Efesini 2:12; 4:18).
Appartenendo a una nazione dedicata a Geova, Davide sapeva che l’adulterio e l’assassinio sono peccati
gravi. (Esodo 20:13, 14) Anche i cristiani conoscono la legge di Dio. Come Davide, però, alcuni di loro la
infrangono a causa della peccaminosità ereditata, della debolezza umana e di tentazioni a cui non sanno
resistere. Se ciò dovesse accadere a qualcuno di noi, nessuno ci obbliga a rimanere in uno stato
ottenebrato che offusca la nostra vista spirituale e ci fa sprofondare nella disperazione.
La confessione reca sollievo
7 Se abbiamo violato seriamente la legge di Dio, potremmo trovare difficile confessare i nostri peccati,
anche a Geova. Cosa può accadere in tali circostanze? Nel Salmo 32 Davide ammise: “Quando tacevo
[invece di confessare] le mie ossa si consumarono per il mio gemere tutto il giorno. Poiché giorno e notte
la tua mano [o Geova] era grave su di me. L’umore della mia vita si è cambiato come all’arido calore
dell’estate”. (Versetti 3, 4⇒ di Salmo 32⇐) Il tentativo di nascondere il suo peccato e di soffocare i
rimorsi di coscienza sfibrarono il trasgressore Davide. L’angoscia ridusse il suo vigore rendendolo simile
a un albero che la siccità ha privato dell’umore vitale. Può ben darsi che egli ne risentisse sia a livello
mentale che fisico. In ogni caso, perse la gioia. Se qualcuno di noi dovesse trovarsi in uno stato simile,
cosa dovrebbe fare?
8 Confessando il peccato a Dio si possono ottenere perdono e sollievo. “Infine ti confessai il mio peccato
e non coprii il mio errore”, cantò Davide. “Dissi: ‘Farò confessione delle mie trasgressioni a Geova’. E tu
stesso perdonasti l’errore dei miei peccati”. (Salmo 32:5) Siete angustiati per qualche peccato nascosto?
Non sarebbe meglio confessarlo e lasciarlo, così da beneficiare della misericordia di Dio? Perché non
chiamate gli anziani della congregazione e non chiedete aiuto spirituale? (Proverbi 28:13; Giacomo 5:13-
20) Il vostro spirito contrito sarà tenuto in considerazione e col tempo proverete di nuovo la gioia
cristiana. “Felice è colui la cui rivolta è perdonata, il cui peccato è coperto”, disse Davide. “Felice è l’uomo
al quale Geova non attribuisce errore, e nel cui spirito non c’è inganno”. — Salmo 32:1, 2.
9 Davide e Betsabea dovettero rendere conto a Geova Dio della loro trasgressione. Avrebbero potuto
essere messi a morte per i loro peccati, ma Dio ebbe misericordia di loro. In particolare fu misericordioso
con Davide a motivo del patto del Regno. (2 Samuele 7:11-16) L’atteggiamento contrito di Davide per i
peccati commessi in relazione a Betsabea è evidente dal Salmo 51. Questo commovente salmo fu
composto dal re pentito dopo che il profeta Natan ne aveva sensibilizzato la coscienza mostrandogli
l’enormità delle sue trasgressioni della legge divina. Ci volle coraggio da parte di Natan per far notare a
Davide i suoi peccati, così come oggi gli anziani cristiani nominati devono essere coraggiosi per fare
altrettanto. Invece di negare l’accusa e ordinare che Natan fosse messo a morte, il re confessò
umilmente. (2 Samuele 12:1-14) Il Salmo 51 mostra cosa disse a Dio in preghiera riguardo al suo
comportamento riprovevole e ben si addice alla meditazione in preghiera, specie se abbiamo commesso
degli errori e desideriamo vivamente ottenere la misericordia di Geova.
Dobbiamo rendere conto a Dio
10 Davide non cercò di scusare il suo peccato, ma supplicò: “Mostrami favore, o Dio, secondo la tua
amorevole benignità. Secondo l’abbondanza delle tue misericordie cancella le mie trasgressioni”. (Salmo
51:1) Trasgredendo, Davide aveva oltrepassato i confini della Legge di Dio. Poteva comunque sperare di
riprendersi spiritualmente se Dio gli avesse mostrato favore secondo la Sua amorevole benignità, o
amore leale. L’abbondanza delle misericordie che Dio aveva mostrato in passato dava al re pentito una
base per aver fede che il Creatore avrebbe cancellato le sue trasgressioni.
11 Tramite le ombre profetiche dei sacrifici del giorno di espiazione, Geova aveva fatto capire che c’era un
modo per purificare chi si pente dei propri peccati. Ora sappiamo che Dio ci concede la sua misericordia
e il suo perdono in base alla nostra fede nel sacrificio di riscatto di Gesù Cristo. Se Davide, che
conosceva solo tipi e ombre di questo sacrificio, poté confidare nell’amorevole benignità e nelle
misericordie di Geova, quanto più gli odierni servitori di Dio dovrebbero esercitare fede nel riscatto
provveduto per la loro salvezza! — Romani 5:8; Ebrei 10:1.
12 Supplicando Dio, Davide aggiunse: “Lavami completamente dal mio errore, e purificami anche dal mio
peccato. Poiché io stesso conosco le mie trasgressioni, e il mio peccato è continuamente di fronte a me”.
(Salmo 51:2, 3) Peccare significa mancare il bersaglio delle norme di Geova. Sicuramente Davide era
venuto meno. Tuttavia non era come un assassino o un adultero indifferente al proprio reato,
preoccupato solo della punizione o della possibilità di contrarre qualche malattia. Amando Geova, Davide
odiava il male. (Salmo 97:10) Provava ripugnanza per il suo peccato e voleva che Dio lo purificasse
completamente. Davide era ben consapevole delle sue trasgressioni e profondamente dispiaciuto di
essersi lasciato sopraffare dal suo desiderio peccaminoso. Il suo peccato era di continuo davanti a lui,
perché la persona timorata di Dio, quando ha la coscienza sporca, non ha requie finché non mostra
pentimento, non confessa e non ottiene il perdono di Geova.
13 Riconoscendo di dover rendere conto a Geova, Davide disse: “Ho peccato contro di te, contro te solo,
e ho fatto ciò che è male ai tuoi occhi, affinché tu mostri d’esser giusto quando parli, perché tu sia libero
da colpa quando giudichi”. (Salmo 51:4) Davide aveva infranto le leggi di Dio, infangato la sua posizione
di re e ‘mancato senza dubbio di rispetto a Geova’, esponendoLo al biasimo. (2 Samuele 12:14; Esodo
20:13, 14, 17) Le azioni peccaminose di Davide erano reati anche contro la società israelita e i
componenti della sua famiglia, così come oggi un trasgressore battezzato causa tristezza o dolore alla
congregazione cristiana e ai suoi cari. Anche se si rendeva conto di aver peccato contro il suo prossimo,
come Uria, il re pentito riconosceva di essere maggiormente responsabile davanti a Geova. (Confronta
Genesi 39:7-9). Davide riconobbe che il giudizio di Geova sarebbe stato giusto. (Romani 3:4) I cristiani
che hanno peccato dovrebbero provare gli stessi sentimenti.
Attenuanti
14 Pur non cercando di giustificarsi, Davide in effetti disse: “Ecco, con errore fui dato alla luce con dolori di
parto, e mia madre mi concepì nel peccato”. (Salmo 51:5) Davide era stato dato alla luce nell’errore, e
sua madre aveva provato i dolori di parto a causa della peccaminosità ereditata. (Genesi 3:16; Romani
5:12) Le sue parole non significano che i corretti rapporti coniugali, il concepimento e la nascita siano
peccaminosi, in quanto fu Dio a istituire il matrimonio e la procreazione. Davide non si stava nemmeno
riferendo ad alcuno specifico peccato commesso da sua madre. Era stato concepito nel peccato nel
senso che i suoi genitori erano peccatori come tutti gli uomini imperfetti. — Giobbe 14:4.
15 Se abbiamo peccato, possiamo menzionare in preghiera a Dio eventuali circostanze attenuanti che
possono aver contribuito alla nostra trasgressione. Ma non tramutiamo l’immeritata benignità di Dio in
una scusa per tenere una condotta dissoluta né usiamo la peccaminosità ereditata come un paravento
per sottrarci alla responsabilità del nostro peccato. (Giuda 3, 4) Davide si riconobbe colpevole di aver
coltivato pensieri impuri e di aver ceduto alla tentazione. Preghiamo di non essere abbandonati in
tentazione e poi agiamo in armonia con la nostra preghiera. — Matteo 6:13.
Richiesta di purificazione
16 Si può dare l’impressione di essere persone per bene, devote, ma Dio guarda oltre le apparenze e
vede quello che uno è interiormente. Davide disse a Geova: “Ecco, hai provato diletto nella stessa
veracità nelle parti interiori; e nell’intimo voglia tu farmi conoscere la completa sapienza”. (Salmo 51:6)
Davide si era macchiato di falsità e tortuosità nel provocare la morte di Uria e cercando di nascondere i
fatti sulla gravidanza di Betsabea. Però sapeva che Dio prova diletto nella veracità e nella santità. Questa
consapevolezza dovrebbe avere un effetto positivo sulla nostra condotta, perché Geova ci
condannerebbe se agissimo in maniera tortuosa. (Proverbi 3:32) Davide si rendeva pure conto che se
Dio ‘gli avesse fatto conoscere la completa sapienza’, come re pentito, sarebbe stato in grado di
osservare le norme divine per il resto della sua vita.
17 Comprendendo il bisogno di essere aiutato da Dio a vincere le sue tendenze peccaminose, il salmista
implorò ulteriormente: “Voglia tu purificarmi dal peccato con issopo, perché io sia puro; voglia tu lavarmi,
perché io divenga più bianco perfino della neve”. (Salmo 51:7) Fra le altre cose, la pianta di issòpo (forse
una varietà della maggiorana [Origanum maru]) era usata nella cerimonia di purificazione dei lebbrosi
guariti. (Levitico 14:2-7) Era quindi appropriato che Davide pregasse di essere purificato dal peccato con
issopo. L’idea di purezza è anche associata alla sua richiesta che Geova lo lavasse affinché fosse
completamente puro, più bianco della neve incontaminata. (Isaia 1:18) Se qualcuno di noi prova rimorsi di
coscienza per aver commesso qualche trasgressione, abbia fede che se si pente e chiede perdono a Dio,
Egli può purificarlo in base al sacrificio di riscatto di Gesù.
Richiesta di essere ristabilito
18 Qualunque cristiano abbia provato rimorsi di coscienza può capire le parole di Davide: “Voglia tu
[Geova] farmi udire esultanza e allegrezza, affinché le ossa che hai schiacciato gioiscano”. (Salmo 51:8)
Prima che Davide si pentisse e confessasse i suoi peccati, la sua coscienza turbata lo faceva sentire
terribilmente male. Non provava gioia nemmeno nei canti di esultanza e allegrezza eseguiti da eccellenti
cantori e musicisti provetti. Tale era la sofferenza del peccatore Davide per la disapprovazione di Dio che
egli era come un uomo le cui ossa fossero state dolorosamente schiacciate. Anelava al perdono, alla
guarigione spirituale e a ritrovare la gioia di un tempo. Anche oggi un trasgressore pentito ha bisogno del
perdono di Geova per ritrovare la gioia che provava prima che commettesse qualcosa che ha incrinato la
sua relazione con Dio. Che una persona pentita provi di nuovo la “gioia dello spirito santo” è un segno
che Geova l’ha perdonata e la ama. (1 Tessalonicesi 1:6) Che conforto dà questo!
19 Davide pregò ulteriormente: “Nascondi la tua faccia dai miei peccati, e cancella anche tutti i miei
errori”. (Salmo 51:9) Non ci si può aspettare che Geova guardi il peccato con approvazione. Per questo
Davide gli chiese di nascondere la Sua faccia dai suoi peccati. Il re chiese a Dio anche di cancellare tutti i
suoi errori, di eliminare tutta la sua ingiustizia. Se solo Geova lo avesse fatto! Ciò avrebbe sollevato il
morale di Davide, liberandolo dal peso di una coscienza turbata, e il re ormai pentito avrebbe saputo di
essere stato perdonato dal suo amorevole Dio.
Cosa dovreste fare se avete peccato?
20 Il Salmo 51 indica che qualunque dedicato servitore di Geova abbia commesso un grave peccato e si
sia pentito può chiederGli con fiducia di mostrargli favore e di purificarlo dai suoi peccati. Se sei un
cristiano che ha commesso un simile peccato, perché non chiedi umilmente perdono al nostro Padre
celeste in preghiera? Riconosci di aver bisogno dell’aiuto di Dio per non perdere la sua approvazione, e
chiedigli di ridarti la gioia che provavi un tempo. I cristiani pentiti possono fiduciosamente rivolgersi a
Geova in preghiera per chiedergli questo, in quanto “egli perdonerà in larga misura”. (Isaia 55:7; Salmo
103:10-14) Naturalmente per poter ricevere la necessaria assistenza spirituale si dovrebbero chiamare gli
anziani della congregazione. — Giacomo 5:13-15.
21 La misericordia di Geova salva davvero i suoi servitori dalla disperazione. Ma esaminiamo le ulteriori
richieste sincere che Davide fece nel Salmo 51. Il prossimo studio mostrerà che Geova non disprezza il
cuore rotto.

w93 15/3 13-18 Geova non disprezza il cuore rotto


Geova non disprezza il cuore rotto
“I sacrifici a Dio sono uno spirito rotto; un cuore rotto e affranto, o Dio, tu non disprezzerai”. — SALMO
51:17.
GEOVA può ‘ostruire l’accesso presso di sé come con una massa di nuvole, perché la preghiera non
passi’. (Lamentazioni 3:44) Egli però desidera che i suoi servitori abbiano accesso a lui. Anche se un suo
adoratore dovesse commettere un grave errore ma si pente, il nostro Padre celeste non dimentica il bene
fatto da quella persona. Per questo l’apostolo Paolo poté dire ai suoi conservi cristiani: “Dio non è
ingiusto da dimenticare la vostra opera e l’amore che avete mostrato per il suo nome”. — Ebrei 6:10.
2 Anche gli anziani cristiani dovrebbero tener conto degli anni di fedele servizio che i loro compagni di
fede hanno reso a Dio. Questo include il sacro servizio svolto da coloro che hanno commesso un passo
falso o che hanno peccato gravemente ma che si sono pentiti. I pastori cristiani hanno a cuore il
benessere spirituale di tutti i componenti del gregge di Dio. — Galati 6:1, 2.
3 Il trasgressore pentito ha bisogno della misericordia di Geova. Ma occorre dell’altro, come si comprende
dalle parole di Davide che troviamo in Salmo 51:10-19.
Ci vuole un cuore puro
4 Se a causa di qualche peccato un cristiano dedicato si trova in una cattiva condizione spirituale, di cosa
può avere bisogno oltre che della misericordia e del perdono di Geova? Ebbene, Davide supplicò: “Crea
in me anche un cuore puro, o Dio, e metti dentro di me uno spirito nuovo, saldo”. (Salmo 51:10) A quanto
pare Davide fece questa richiesta perché si rendeva conto di avere ancora nel cuore la tendenza a
commettere gravi peccati. Forse non abbiamo commesso il genere di peccati da cui Davide fu adescato
in relazione a Betsabea e Uria, ma abbiamo bisogno dell’aiuto di Geova per non cedere alla tentazione di
commettere gravi peccati. Inoltre potremmo personalmente avere bisogno dell’aiuto di Dio per eliminare
dal nostro cuore tratti peccaminosi come concupiscenza e odio, peccati equiparati a furto e omicidio. —
Colossesi 3:5, 6; 1 Giovanni 3:15.
5 Geova richiede che i suoi servitori abbiano “un cuore puro”, cioè purezza di motivi o intenti. Sapendo di
non aver mostrato tale purezza, Davide pregò che Dio purificasse il suo cuore e lo mettesse in armonia
con le norme divine. Il salmista voleva avere anche uno spirito, o inclinazione mentale, nuovo, saldo.
Aveva bisogno di uno spirito che lo aiutasse a resistere alla tentazione e ad aderire fermamente alle leggi
e ai princìpi di Geova.
Lo spirito santo è essenziale
6 Quando siamo affranti per aver commesso degli sbagli o delle trasgressioni, potremmo pensare che Dio
ci rigetterà e ci toglierà il suo spirito o forza attiva. Così pensò Davide, perché implorò Geova dicendo:
“Non rigettarmi d’innanzi alla tua faccia; e il tuo santo spirito, oh, non togliere da me”. (Salmo 51:11)
Davide, umile e contrito, pensava che i suoi peccati lo avessero reso indegno di servire Geova. Essere
rigettato d’innanzi alla faccia di Dio avrebbe significato perdere il suo favore, il suo conforto e la sua
benedizione. Per ristabilirsi spiritualmente, Davide aveva bisogno dello spirito santo di Geova. Avendo lo
spirito santo, il re avrebbe potuto chiedere in preghiera la guida divina per piacere a Geova, evitare il
peccato e regnare con saggezza. Sapendo di aver peccato contro il Datore dello spirito santo, Davide
appropriatamente implorò Geova di non togliere il suo spirito da lui.
7 Che dire di noi? Anche noi dobbiamo chiedere in preghiera lo spirito santo e stare attenti a non
contristarlo mancando di seguirne la guida. (Luca 11:13; Efesini 4:30) Altrimenti potremmo perdere lo
spirito e non essere in grado di produrne i frutti di origine divina: amore, gioia, pace, longanimità,
benignità, bontà, fede, mitezza e padronanza di sé. In particolare, Geova Dio ci toglierebbe il suo spirito
santo se continuassimo a peccare impenitentemente contro di Lui.
L’esultanza della salvezza
8 Il peccatore pentito che viene ristabilito spiritualmente può tornare a rallegrarsi del provvedimento di
Geova per la salvezza. Desiderando ardentemente questo, Davide pregò Dio: “Rendimi l’esultanza della
salvezza da te, e voglia tu sostenermi pure con uno spirito volenteroso”. (Salmo 51:12) Com’era
meraviglioso esultare nella sicura speranza della salvezza per mano di Geova Dio! (Salmo 3:8) Dopo
aver peccato contro Dio, Davide cercò di ritrovare la gioia della Sua salvezza. Secoli dopo, Geova
provvide salvezza mediante il sacrificio di riscatto di suo Figlio, Gesù Cristo. Se qualche dedicato
servitore di Dio peccasse gravemente ma volesse ritrovare la gioia della salvezza, dovrebbe mostrare
pentimento così da evitare di peccare contro lo spirito santo. — Matteo 12:31, 32; Ebrei 6:4-6.
9 Davide chiese a Geova di sostenerlo “pure con uno spirito volenteroso”. Non sembra che questo spirito
volenteroso si riferisca alla disponibilità di Dio ad aiutarlo o al suo spirito santo, bensì all’inclinazione
mentale che spingeva Davide ad agire. Davide voleva che Dio lo sostenesse infondendogli uno spirito
volenteroso, desideroso di fare ciò che era giusto, per non ricadere di nuovo nel peccato. Geova Dio
sostiene di continuo i suoi servitori e solleva quelli abbattuti da varie difficoltà. (Salmo 145:14) Com’è
confortante comprendere questo, specie se abbiamo commesso degli errori ma, contriti, desideriamo
servire Geova fedelmente per sempre!
Cosa poteva insegnare ai trasgressori?
10 Se Dio lo avesse permesso, Davide desiderava altruisticamente fare qualcosa che dimostrasse la sua
gratitudine per la misericordia di Geova e nello stesso tempo fosse utile ad altri. Infatti, esternando i suoi
sentimenti in preghiera a Geova, il re pentito dichiarò: “Certamente insegnerò ai trasgressori le tue vie,
affinché i peccatori stessi si rivolgano direttamente a te”. (Salmo 51:13) Come poteva il peccatore Davide
insegnare ai trasgressori la Legge di Dio? Cosa avrebbe potuto dire loro? E di che utilità sarebbe stato
questo?
11 Nell’insegnare agli israeliti trasgressori le vie di Dio allo scopo di allontanarli dalla cattiva strada,
Davide poteva spiegare quanto è dannoso il peccato, cosa significa il pentimento e come si ottiene la
misericordia di Dio. Avendo provato lo struggente dolore del disfavore di Geova e di una coscienza
sporca, Davide sarebbe stato senz’altro un insegnante compassionevole verso i peccatori pentiti e
affranti. Naturalmente avrebbe potuto usare il suo esempio per insegnare ad altri solo dopo avere egli
stesso accettato le norme di Dio e ottenuto il suo perdono, perché quelli che non si sottomettono al volere
di Dio non hanno diritto di ‘enumerare i Suoi regolamenti’. — Salmo 50:16, 17.
12 Ribadendo in forma diversa le sue intenzioni, Davide disse: “Liberami dalla colpa di sangue, o Dio, Dio
della mia salvezza, affinché la mia lingua annunci con gioia la tua giustizia”. (Salmo 51:14) La colpa di
sangue comportava la condanna a morte. (Genesi 9:5, 6) Sapere quindi che l’Iddio della sua salvezza lo
aveva liberato dalla colpa di sangue in relazione a Uria avrebbe permesso a Davide di provare pace di
cuore e di mente. La sua lingua avrebbe allora potuto cantare con gioia la giustizia di Dio, non la propria.
(Ecclesiaste 7:20; Romani 3:10) Davide non poteva cancellare l’immoralità commessa né riportare in vita
Uria, come oggi nessuno può restituire la castità a una persona che ha sedotto o risuscitare qualcuno che
ha ucciso. Non dovremmo pensare a questo quando siamo tentati? E quanto dovremmo essere grati a
Geova per la misericordia che ci mostra con giustizia! La gratitudine dovrebbe spingerci a indirizzare altri
alla suprema Fonte della giustizia e del perdono.
13 Nessun peccatore può aprire giustamente le labbra per lodare Geova Dio a meno che, per così dire,
Egli misericordiosamente non gliele apra affinché dichiari le Sue verità. Per questo Davide cantò: “O
Geova, voglia tu aprire queste mie labbra, affinché la mia propria bocca dichiari la tua lode”. (Salmo
51:15) Con la coscienza alleggerita grazie al perdono di Dio, Davide si sarebbe sentito spinto a insegnare
ai trasgressori le vie di Geova e avrebbe potuto lodarlo liberamente. Come nel caso di Davide, tutti coloro
i cui peccati sono stati perdonati dovrebbero apprezzare l’immeritata benignità che Geova ha mostrato
loro e cogliere ogni occasione per annunciare la verità di Dio e ‘dichiarare la sua lode’. — Salmo 43:3.
Sacrifici accettevoli a Dio
14 Davide aveva acquistato un profondo discernimento che lo spinse a dire a Geova: “Non ti diletti del
sacrificio, altrimenti lo darei; dell’olocausto non ti compiaci”. (Salmo 51:16) Il patto della Legge richiedeva
che si offrissero a Dio sacrifici animali. Ma i peccati di Davide — adulterio e omicidio, punibili con la morte
— non potevano essere espiati da quei sacrifici. Altrimenti egli non avrebbe badato a spese per offrire
sacrifici animali a Geova. Senza un sincero pentimento, i sacrifici non hanno nessun valore. Sarebbe
quindi sbagliato credere di poter riparare con qualche buona azione il male che si continua a commettere.
15 Davide aggiunse: “I sacrifici a Dio sono uno spirito rotto; un cuore rotto e affranto, o Dio, tu non
disprezzerai”. (Salmo 51:17) Nel caso di un peccatore pentito, “i sacrifici [accettevoli] a Dio sono uno
spirito rotto”. Tale persona non ha un atteggiamento bellicoso. Il cuore della persona dedicata che ha uno
spirito rotto è profondamente addolorato per il peccato commesso, è affranto perché avverte la
disapprovazione di Dio ed è disposto a fare qualunque cosa pur di riottenere il favore divino. Non
possiamo offrire a Dio nulla di valore finché non ci pentiamo dei nostri peccati e non gli diamo il nostro
cuore con esclusiva devozione. — Naum 1:2.
16 Dio non rigetta sacrifici come un cuore rotto e affranto. Qualunque difficoltà possiamo incontrare come
suoi servitori, quindi, non cediamo alla disperazione. Se abbiamo inciampato lungo il sentiero della vita in
un modo che spinge il nostro cuore a invocare la misericordia divina, non tutto è perduto. Anche se
abbiamo peccato gravemente ma siamo pentiti, Geova non disprezzerà il nostro cuore rotto. Ci
perdonerà in base al sacrificio di riscatto di Cristo e ci ristabilirà nel Suo favore. (Isaia 57:15; Ebrei 4:16; 1
Giovanni 2:1) Come nel caso di Davide, però, l’obiettivo delle nostre preghiere dovrebbe essere quello di
riavere il favore di Dio e non di sfuggire alla necessaria riprensione o correzione. Dio perdonò Davide, ma
lo castigò pure. — 2 Samuele 12:11-14.
Preoccupazione per la pura adorazione
17 Se abbiamo commesso un grave peccato, senza dubbio ne saremo molto preoccupati e il cuore
contrito ci spingerà a implorare il perdono di Dio. Tuttavia dovremmo pregare anche per altri. Benché
desiderasse vivamente rendere di nuovo un’adorazione accettevole a Dio, nel suo salmo Davide non
dimenticò egoisticamente gli altri. Incluse questa richiesta a Geova: “Nella tua buona volontà tratta bene
Sion; voglia tu edificare le mura di Gerusalemme”. — Salmo 51:18.
18 Sì, Davide desiderava vivamente riavere il favore di Dio. Ma la preghiera dell’umile salmista fu anche
che ‘Dio, nella sua buona volontà, trattasse bene Sion’, cioè Gerusalemme, la capitale di Israele, dove
Davide aveva sperato di erigere un tempio a Dio. I gravi peccati di Davide avevano messo in pericolo
l’intera nazione, perché tutto il popolo poteva subire le conseguenze della condotta errata del re.
(Confronta 2 Samuele, capitolo 24). Si poteva dire che i suoi peccati avevano minato “le mura di
Gerusalemme”, così che ora dovevano essere riedificate.
19 Se abbiamo peccato gravemente, ma abbiamo ottenuto il perdono di Dio, sarebbe appropriato che lo
pregassimo di porre in qualche modo rimedio all’eventuale danno causato dalla nostra condotta.
Possiamo aver recato biasimo sul suo santo nome, minato la stabilità della congregazione e causato
dolore alla nostra famiglia. Il nostro Padre celeste può cancellare qualunque biasimo recato sul suo
nome, può edificare la congregazione tramite il suo spirito santo e può confortare il cuore dei nostri cari
che lo amano e lo servono. Ovviamente, che abbiamo peccato o no, dovremmo sempre preoccuparci
della santificazione del nome di Geova e del bene del suo popolo. — Matteo 6:9.
20 Se Geova avesse riedificato le mura di Sion, che altro sarebbe avvenuto? Davide cantò: “In tal caso
[tu, Geova,] ti diletterai dei sacrifici di giustizia, del sacrificio bruciato e dell’offerta intera; in tal caso tori
saranno offerti proprio sul tuo stesso altare”. (Salmo 51:19) Davide desiderava ardentemente che lui e la
nazione godessero del favore di Geova così da poterLo adorare in modo accettevole. Allora Dio si
sarebbe dilettato dei loro sacrifici bruciati e delle loro offerte intere, perché sarebbero stati sacrifici di
giustizia offerti da persone dedicate, sincere e pentite, che avevano il favore di Dio. Grati della
misericordia di Geova, sul suo altare avrebbero offerto tori, i sacrifici migliori e più costosi. Oggi onoriamo
Geova offrendogli il meglio di ciò che abbiamo. E le nostre offerte includono “i giovani tori delle nostre
labbra”, sacrifici di lode al nostro misericordioso Dio, Geova. — Osea 14:2; Ebrei 13:15.
Geova ascolta le nostre invocazioni
21 La fervida preghiera di Davide contenuta nel Salmo 51 ci mostra che se pecchiamo dovremmo reagire
con uno spirito veramente pentito. Questo salmo contiene inoltre lezioni utili e appropriate per noi. Per
esempio, se pecchiamo, ma ci pentiamo, possiamo confidare nella misericordia di Dio. Tuttavia,
preoccupiamoci innanzi tutto del biasimo che possiamo aver recato sul nome di Geova. (Versetti 1-41 di
Salmo 51) Come Davide, possiamo rivolgerci al nostro Padre celeste per invocare misericordia a motivo
della nostra peccaminosità ereditata. (Versetto 5 di Salmo 51) Dovremmo essere veritieri e chiedere
sapienza a Dio. (Versetto 6 di Salmo 51) Se abbiamo peccato, dobbiamo supplicare Geova che ci
purifichi e che ci dia un cuore puro e uno spirito saldo. — Versetti 7-10 di Salmo 51.
22 Il Salmo 51 ci aiuta anche a capire che non dovremmo mai indurirci nel peccato. Se ciò avvenisse,
Geova ci toglierebbe il suo spirito santo, o forza attiva. Se invece abbiamo lo spirito di Dio, possiamo
insegnare ad altri le sue vie. (Versetti 11-13⇒ di Salmo 51⇐) Se commettiamo un errore, ma ci
pentiamo, Geova ci permetterà di continuare a lodarlo, perché non disprezza mai il cuore rotto e affranto.
(Versetti 14-17⇒ di Salmo 51⇐) Questo salmo mostra inoltre che le nostre preghiere non dovrebbero
incentrarsi solo su di noi. Dovremmo pregare per la benedizione e il benessere spirituale di tutti quelli che
praticano la pura adorazione di Geova. — Versetti 18, 19⇒ di Salmo 51⇐.
23 Questo commovente salmo di Davide dovrebbe infonderci coraggio e renderci ottimisti. Ci aiuta a
capire che non tutto è perduto nemmeno se abbiamo commesso qualche peccato. Perché? Perché, se
siamo pentiti, la misericordia di Geova può salvarci dalla disperazione. Se siamo contriti e completamente
dedicati al nostro amorevole Padre celeste, egli ascolta le nostre invocazioni di misericordia. E com’è
confortante sapere che Geova non disprezza il cuore rotto!

[Foto a pagina 15]


Chiedete in preghiera lo spirito santo e state attenti a non contristarlo?
[Foto a pagina 17]
Mostrate gratitudine per l’immeritata benignità di Geova dichiarando la sua verità
Boaz — Tema: Siate moralmente puri e accettate la vostra responsabilità dinanzi a Dio TITO 1:15

it-1 372 Boaz


BOAZ
(Bòaz) [forse, in forza].
1. Proprietario terriero di Betleem di Giuda, “uomo potente per ricchezza”, vissuto verso il XIV secolo
a.E.V. (Ru 2:1) Boaz era figlio di Salma (Salmon) e di Raab, e padre di Obed. (Mt 1:5) Fu uno degli
antenati del Messia, il settimo nella discendenza di Giuda. (1Cr 2:3-11; Lu 3:32, 33) Il libro di Rut narra
cosa provocò la svolta assai insolita degli avvenimenti che consentì a Boaz di essere incluso nella
genealogia di Gesù.
Boaz aveva un parente stretto di nome Elimelec che, insieme ai due figli, morì senza lasciare eredi
maschi. Delle vedove dei due figli, una, Rut, rimase con Naomi, la vedova di Elimelec. Era il tempo della
mietitura, e Rut “per caso” spigolava nel campo di Boaz. (Ru 2:3) Boaz era un vero giudeo, un devoto
adoratore di Geova. Non solo salutava i mietitori con un “Geova sia con voi”, ma, dopo aver osservato la
lealtà di Rut nei confronti di Naomi, le disse: “Geova ricompensi il tuo modo di agire, e vi sia per te un
perfetto salario da Geova”. (Ru 2:4, 12) Quando Rut riferì queste cose alla suocera, Naomi esclamò: “Sia
egli benedetto da Geova . . . È uno dei nostri ricompratori”! (Ru 2:20) Inoltre, finita la mietitura, Naomi
spiegò a Rut la prassi da seguire per portare la cosa all’attenzione di Boaz. Mentre dormiva sull’aia, Boaz
si svegliò e trovò Rut che giaceva ai suoi piedi, che aveva scoperti, per chiedergli di ricomprare la
proprietà di Elimelec mediante il levirato. (Vedi MATRIMONIO DEL COGNATO). Rut doveva prendere il
posto di Naomi, che non era più in età da avere figli. Senza perdere tempo, la mattina successiva Boaz
convocò un altro parente più stretto, ma costui, che la Bibbia chiama soltanto Tal dei tali, rifiutò di
ottemperare alla disposizione divina. Boaz invece fu pronto a farlo e prese in moglie Rut, con la
benedizione degli astanti. Essa gli partorì un figlio chiamato Obed, nonno del re Davide. — Ru 3:1–4:17.
In tutto il racconto, dalla prima volta che saluta gentilmente i lavoratori fino a quando si assume la
responsabilità di preservare il nome della famiglia di Elimelec, si vede che Boaz è un uomo ammirevole: è
un uomo d’azione e autorevole eppure ha buona padronanza di sé, fede e integrità, è generoso e gentile,
moralmente puro, e sotto tutti gli aspetti ligio ai comandamenti di Geova.

w72 15/7 428-35 Accettiamo pienamente la sfida del servizio di Geova


Accettiamo pienamente la sfida del servizio di Geova
“‘Nascosi da te la mia faccia solo per un momento, ma con amorevole benignità a tempo indefinito avrò di
sicuro misericordia su di te’, ha detto il tuo Ricompratore, Geova”. — Isa. 54:8.
A BETLEEM stava spuntando l’alba. Si poteva già scorgere debolmente un po’ di movimento per le
strade mentre la pallida luce del nuovo giorno rivelava alcune indistinte figure che si affrettavano a
sbrigare qualche faccenda di buon mattino. L’aggraziata figura di una giovane donna si avvicina alla città
e attraversa rapida e silenziosa lo spiazzo che è all’ingresso della porta. Dal suo viso traspare
un’espressione di gioia e si muove con passo elastico nonostante il fagotto avvolto nel mantello. Ella gira
ed entra in una casa modesta dov’è salutata brevemente da una donna molto più vecchia, quindi
entrambe si siedono, aspettando vivamente, la più giovane con una speranza per il futuro, la più vecchia
con la speranza di realizzare il desiderio di tutta una vita.
2 La mente di entrambe le donne va alla porta della città e agli avvenimenti che cominciano a verificarsi
mentre i primi raggi del sole nascente illuminano la cittadina appollaiata sull’altura collinosa. Più persone
si muovono nelle strade. Il sole sale più in alto. Benché non sia ancora estate, il periodo semestrale
d’asciutto è inoltrato e anche in queste prime ore del giorno il sole comincia a far sentire il suo calore. Ora
c’è gente dappertutto e lo spiazzo davanti alla porta della città è teatro di considerevole attività. Ma
all’ingresso della porta è seduto da solo un uomo anziano, il cui portamento e abito lo distinguono come
un uomo di mezzi e di una certa importanza nella comunità. Questa mattina ha un contegno grave
mentre i suoi occhi scrutano ogni nuovo viso che appare nella piazza. Ovviamente, cerca qualcuno.
All’improvviso grida: “Vieni, siedi qui, ‘Tal dei tali’”. Un altro uomo di età matura si ferma, si gira e si siede
accanto al primo. Con questo saluto e questa risposta, dovevano cominciare avvenimenti che avrebbero
cambiato non solo la vita delle due donne che attendevano pazientemente nella casetta di Betleem, ma
anche la vita di molti nelle generazioni avvenire. Doveva essere presentata al “Tal dei tali” una sfida che
avrebbe avuto effetti di vasta portata, perfino nel nostro giorno.
3 Il nome della giovane donna che entrò nella città in quel giorno significativo era Rut e la donna più
anziana che la salutò quando ella entrò in casa era sua suocera, Naomi, vedova di Elimelec. Rut non era
Giudea naturale di nascita benché Naomi lo fosse. Rut era Moabita. Ma come fece a divenire nuora di
Naomi, e abitare a Betleem così lontano dal suo paese e dal suo popolo? Qual era la sua parentela con
Boaz, l’uomo anziano così intento a discutere una cosa con il “Tal dei tali”? E che cos’era questa cosa
tanto importante che la sua sfida poteva influire sulla nostra vita oggi, oltre trenta secoli dopo?
4 Il dramma che stava per cominciare nell’antico Israele, narrato nel libro di Rut, profetizzava avvenimenti
dei tempi moderni che presentano una sfida e hanno effetti di vasta portata come quelli di allora. (1 Cor.
10:11; Rom. 15:4) E ciascun personaggio dell’antico dramma è pure figurativo. Il nome Elimelec significa
“Dio è re”. Pertanto egli raffigura il Signore Gesù Cristo. Lo stesso può dirsi di Boaz, stretto parente di
Naomi, il cui nome significa possibilmente “con forza”. C’era dunque da aspettarsi che Naomi, il cui nome
significa “mia piacevolezza”, raffigurasse quelli sposati a Gesù, quelli che formano la sua sposa,
particolarmente quelli che sono sulla terra in questo “tempodella fine” quando il dramma ha il suo
rimarchevole adempimento. Rut, il cui nome significa forse “amicizia”, divenne nuora di Naomi ed ebbe
così la prospettiva di produrre una progenie per Naomi. Pertanto anch’ella rappresenterebbe quelli della
sposa di Cristo, da un punto di vista leggermente diverso e in diverse circostanze. Chi raffigura dunque
quello chiamato “Tal dei tali”, che fu pure stretto parente di Naomi? Lasceremo che il corso degli
avvenimenti nel giorno moderno ne renda chiara l’identità.
UNA DONNA ABBANDONATA
5 Torniamo ora al tempo in cui la felice famiglia di Elimelec era ancora intatta, sua moglie, Naomi, e i loro
due figli, Malon e Chilion, abitanti nel territorio di Giuda, a Betleem o Efrata. Betleem significa “casa del
pane”, mentre Efrata significa “fruttuosità” o “fertilità”. Entrambi i nomi hanno a che fare con
l’abbondanza, con l’assenza della fame o della carestia, ma in questo tredicesimo secolo avanti la nostra
èra volgare, si abbatte effettivamente su Betleem e sull’intero territorio della tribù di Giuda la carestia, la
mancanza di pane, raffigurando la scarsità che in modo spirituale colpì l’organizzazione di Geova durante
la prima guerra mondiale. Sia che altri abitanti di Betleem lasciassero o no la città, Elimelec se ne va con
la sua famiglia. Attraversa il fiume Giordano e si stabilisce nel paese o nel campo di Moab per risiedervi
temporaneamente come residente forestiero, così come oggi i servitori di Geova sono residenti
temporanei nel sistema di cose di Satana. (Giov. 17:16; 1 Giov. 5:19) Così facendo, Elimelec lascia nel
paese un possedimento ereditario. — Rut 1:1, 2.
6 Col passar del tempo l’attempato Elimelec muore, lasciando Naomi vedova. Naomi ritiene quindi
opportuno fare sposare i suoi due figli lì nel paese di Moab, e Malon, evidentemente il maggiore, sposa
Rut la Moabita, mentre Chilion sposa Orpa, pure Moabita. Infine, comunque, anche Malon e Chilion
muoiono, lasciando una madre vedova, Naomi, e mogli vedove, Rut e Orpa. (Rut 1:3-5) Sono vedove
senza figli, e non hanno dato nessuna progenie a Naomi. Essendo ella stessa troppo vecchia per avere
dei figli, Naomi deve sopportare un amaro biasimo. La morte di Malon (che significa “malaticcio, invalido”)
e Chilion (che significa “fragilità”) raffigura la morte spirituale di alcuni associati all’organizzazione di Dio
in questo difficile periodo. Fu un tempo di grande dolore per il popolo di Geova.
7 Naomi si vide come una donna abbandonata, senza seme o senza la facoltà riproduttiva di produrre
seme. Era come “una moglie lasciata interamente e afflitta di spirito, e come una moglie del tempo della
giovinezza che fu quindi rigettata”. Nei giorni in cui il frutto del seno si poteva considerare come una
benedizione da Geova e la sterilità come una maledizione, Naomi si sentì giustificata a dire: “Geova mi
ha umiliata”. (Rut 1:21) Secoli dopo il profeta Isaia fu ispirato a scrivere di una simile umiliazione, in
questo caso come diretto risultato del dispiacere di Geova. Per capire pienamente la sfida che si
presentò a Naomi, dobbiamo comprendere la profezia d’Isaia e la sua applicazione ad avvenimenti che si
sono verificati in adempimento nei tempi moderni. “‘Poiché Geova ti chiamò come se tu fossi una moglie
lasciata interamente e afflitta di spirito, e come una moglie del tempo della giovinezza che fu quindi
rigettata’, ha detto il tuo Dio: ‘Per breve momento ti lasciai interamente, ma con grande misericordia ti
radunerò. Con una marea d’indignazione nascosi da te la mia faccia solo per un momento, ma con
amorevole benignità a tempo indefinito avrò di sicuro misericordia su di te’, ha detto il tuo Ricompratore,
Geova”. — Isa. 54:6-8
GEOVA, UN PROPRIETARIO MARITALE
8 Questa profezia farebbe pensare che Geova, l’Iddio di tutta la creazione, abbia una moglie. È possibile?
Sì, simbolicamente parlando. In Isaia 54:5 le viene detto: “Poiché il suo grande Fattore è il tuo
proprietario maritale, essendo il suo nome Geova degli eserciti; e il Santo d’Israele è il tuo Ricompratore”.
Queste parole sono rivolte non a Naomi, che al giorno d’Isaia era morta da cinque secoli, né ad alcuna
donna letterale ma a un’organizzazione, la celeste Sion, l’organizzazione universale di spirituali figli di Dio
in cielo. Negli scorsi millenovecento anni questi figli spirituali dell’organizzazione universale di Dio non
sono stati limitati agli invisibili angeli spirituali del cielo che sono ancora santi e leali a Geova Dio. Questa
organizzazione universale di Geova ha incluso figli di Dio generati dallo spirito sulla terra che
raggiungono infine il numero totale di 144.000. (Riv. 14:1) Tutti questi sono seguaci delle orme del
principale dell’organizzazione universale di Dio, cioè il Signore Gesù Cristo.
9 Questi 144.000 seguaci delle orme di Gesù Cristo sono fidanzati per sposarlo in cielo e di conseguenza
sono la futura sposa di Cristo, come li chiama Rivelazione 21:9, “la sposa, la moglie dell’Agnello”. I
membri di questa classe della sposa sono stati scelti nel corso dei passati millenovecento anni. Per
questa ragione oggi sulla terra poteva essercene tutt’al più solo un rimanente. Quelli che sopravvissero
alla prima guerra mondiale, essendosi dedicati a Dio e battezzati prima dell’anno 1919 del nostro
ventesimo secolo, sono raffigurati nel dramma da Naomi. Come vennero dunque a trovarsi nella
condizione di Naomi nel paese di Moab, senza figli e abbandonata?
10 Per capire questo aspetto del dramma di Naomi e di Rut è necessario capire un altro aspetto della
relazione del rimanente sulla terra con altri membri dell’organizzazione universale di Dio, quelli che sono
in cielo. Poiché quelli del rimanente sono membri dell’organizzazione universale di Dio, qualsiasi cosa
tocchi il rimanente della sposa, ancora nella carne benché figli spirituali di Dio, tocca similmente la donna
di Dio, la celeste Sion od organizzazione universale. Questo si capisce molto chiaramente considerando
la profezia di Isaia 54:6-8 alla luce di avvenimenti che riguardarono l’attività della classe di Naomi durante
la prima guerra mondiale. Poiché fu in quel periodo, dal 1918 fino al 1919, che il più grande Elimelec
“morì” rispetto alla classe di Naomi, che divenne abbandonata, come se fosse senza un proprietario
maritale. Fu un’esperienza di umiliazione quando Geova, il marito di quell’organizzazione universale,
rigettò la sua donna, rappresentata dai membri generati dallo spirito qui sulla terra, per adempiere Isaia
54:6-8.
GEOVA È DISPIACIUTO DELLA SUA DONNA
11 Notate che nella profezia di Isaia Geova descrive la sua donna come abbandonata, afflitta di spirito,
avendole egli nascosto la faccia. Ciò indica un periodo di dispiacere verso di lei. Per questo motivo
nell’undicesimo versetto⇒ di Isaia 54⇐, si rivolge a lei dicendo: “O donna afflitta, agitata dalla tempesta,
sconfortata”. Il rimanente rappresentato da Naomi venne a trovarsi in una condizione come questa,
particolarmente nell’anno 1918, quando, in un certo senso, fu esiliato dal favore di Geova Dio. Quell’anno
Geova Dio venne all’improvviso nel suo tempio, accompagnato dal messaggero del patto, il Signore
Gesù Cristo. Egli esaminò il rimanente lì sulla terra; ne fu dispiaciuto. (Mal. 3:1, 2) Per qualche tempo
esso non aveva pienamente accettato la sfida del servizio del Regno di Geova che gli era stata
presentata. Si trattenevano, per il timore dell’uomo e non si mantenevano giustamente “puri dal mondo”.
(Giac. 1:27, La Bibbia concordata) Perciò Geova lasciò che divenissero schiavi di Babilonia la Grande e
dei suoi associati politici. In questo tempo si abbatterono su di loro molta persecuzione e molti oltraggi
che culminarono nel 1918 nell’arresto e nell’imprigionamento dei rappresentanti della sede centrale della
Società, dietro la falsa accusa di spionaggio. Questo significò che tutta l’universale organizzazione di Dio,
la donna di Dio, sarebbe stata colpita dal suo dispiacere, e la profezia predice che l’intera organizzazione
sarebbe stata come “una moglie lasciata interamente”.
12 Ma che Geova nasconda la sua faccia alla sua donna come corrisponde alla morte di Elimelec se
Elimelec rappresenta il Signore Gesù Cristo? Come muore in effetti il celeste Gesù Cristo verso la classe
di Naomi sulla terra? Durante il suo ministero terreno Gesù dimostrò chiaramente la norma d’azione: ‘Io
faccio quello che vedo fare dal Padre mio’. Se, dunque, durante il periodo di divino disfavore verso il
rimanente, Geova abbandonò la sua donna, le nascose la sua faccia, quindi il Figlio dovette fare la
stessa cosa, particolarmente verso quella parte dell’organizzazione universale di Dio, il rimanente
spirituale qui sulla terra, che forma i membri della sua sposa. Pertanto Gesù Cristo, in effetti, “morì”
rispetto a quelli abbandonati da Geova.
SUSCITATA UNA SERIA SFIDA
13 A questo punto, nell’antico dramma, sono passati dieci anni e ora Naomi ode che a Betleem c’è stato
un cambiamento. Geova ha di nuovo rivolto l’attenzione al suo popolo dandogli pane. Naomi decide di
tornare. Ma c’è una ragione anche più impellente. Laggiù a Betleem di Giuda Naomi aveva un
possedimento ereditario e ha bisogno di tornarvi per entrarne in possesso. Questo pone una seria sfida a
Rut e Orpa, le sue due “figlie”. Che cosa faranno? Evidentemente senza discutere si avviano con Naomi
per la strada che conduce a Betleem. (Rut 1:6, 7) Quindi, in qualche punto lungo la strada, Naomi tenta di
dissuaderle. “‘Andate, tornate, ciascuna alla casa di sua madre. . . . Geova vi faccia dono, e davvero
trovate ciascuna un luogo di riposo nella casa di suo marito’. Quindi le baciò, ed esse alzavano la voce e
piangevano. E le dicevano: ‘No, ma torneremo con te al tuo popolo’. Ma Naomi disse: ‘Tornate, figlie mie.
Perché dovreste venire con me? Ho io ancora dei figli nelle mie parti interiori, e dovranno essi divenire
vostri mariti? Tornate, figlie mie, andate, poiché io mi son fatta troppo vecchia per appartenere a un
marito. . . . No, figlie mie, poiché a causa di voi mi è molto amaro, che la mano di Geova sia uscita contro
di me’”. — Rut 1:8-13.
14 “Allora esse alzarono la voce e piansero ancora un po’, dopo di che Orpa baciò la suocera. In quanto a
Rut, si attaccò a lei. Dunque disse: ‘Ecco, la tua cognata vedova è tornata al suo popolo e ai suoi dèi.
Torna con la tua cognata vedova’”. (Rut 1:14, 15) Orpa raffigura alcuni che vengono a contatto con la
fedele classe di Naomi e che manifestano un po’ di interesse e zelo per un certo tempo ma che tornano
indietro mentre sono ancora nella loro giovinezza cristiana. L’interesse e i desideri personali impediscono
loro di accettare la sfida di Geova di ‘metterlo alla prova’ se egli “non vi [aprirà] le cateratte dei cieli e in
effetti non [vuoterà] su di voi una benedizione finché non ci sia più bisogno”. — Mal. 3:10; Ebr. 10:38, 39;
2 Piet. 2:22.
15 La classe di Rut, d’altra parte, sacrifica ogni vantaggio personale per partecipare con la classe di
Naomi all’adempimento del proposito di Geova per loro. “E Rut diceva: ‘Non mi far premura di
abbandonarti, di volgermi dall’accompagnarti; poiché dove andrai tu andrò io, e dove passerai la notte
passerò la notte. Il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio il mio Dio. Dove tu morrai io morrò, e li sarò
sepolta. Geova mi faccia così e vi aggiunga se altro che la morte opererà una separazione fra me e te’”.
— Rut 1:16, 17.
16 Con queste parole: “Geova mi faccia così e mi aggiunga”, Rut giurava, faceva un giuramento a Geova
che avrebbe fatto queste cose. Ella accettava pienamente questa sfida di servire l’Iddio di Naomi,
accompagnando Naomi nel suo servizio anche fino alla morte. Il fatto che Orpa non l’accettasse non
indebolì la determinazione di Rut ne raffreddò il suo zelo. L’influenza di Naomi aveva operato la
conversione di Rut, e ora il profondo desiderio del cuore di Naomi era che Rut accettasse fedelmente
l’ulteriore sfida che entrambe le donne dovevano affrontare al ritorno in Betleem.
PRESENTATA UN’ULTERIORE SFIDA
17 L’amarezza e la delusione che Naomi aveva espresso a Rut e a Orpa circa le loro prospettive a
Betleem non sono alleviate dal ritorno a casa di Naomi. Tornata a casa, il suo senso di perdita non fa
altro che acuirsi, e la viva consapevolezza della sua impotenza non fa altro che accrescere la sua
amarezza e il suo dolore. Tutta la città si eccita per il loro ritorno, specialmente le donne, che non
possono credere ai loro occhi. Ma dov’è Elimelec? Dove sono Malon e Chilion? E chi è questa Moabita?
“E le donne dicevano: È questa Naomi?’ ed ella diceva alle donne: ‘Non mi chiamate Naomi [che significa
“mia piacevolezza”]. Chiamatemi Mara [che significa “amara”], poiché l’Onnipotente me l’ha reso molto
amaro. Quando andai ero piena, e Geova mi ha fatto tornare a mani vuote. Perché dovreste chiamarmi
Naomi, quando Geova mi ha umiliata e l’Onnipotente mi ha causato calamità?’” — Rut 1:18-22.
18 Veramente la classe di Naomi poteva dire in questo tempo di afflizione: “Chiamatemi Mara, l’amara”.
Pure Isaia 12:1 fa riferimento a questa severa disciplina quando dice, mentre il profeta parla a Geova Dio:
“Sebbene tu ti adirassi con me, la tua ira gradualmente si stornò”. Quindi Isaia 52:3 dice: “Poiché Geova
ha detto questo: ‘Fu per nulla che foste venduti, e sarà senza denaro che sarete ricomprati’”. In altre
parole, il popolo che fece prigionieri i dedicati servitori di Dio qui sulla terra non li pagò, li ebbe per nulla. I
versetti cinque e sei ⇒di Isaia 52 ⇐aggiungono: “‘E ora, che interesse ho qui io?” è l’espressione di
Geova. ‘Poiché il mio popolo fu preso per nulla. . . . Per tale ragione il mio popolo conoscerà il mio nome,
pure per tale ragione in quel giorno, perché io sono Colui che parlo’”. Dio lasciò dunque che il suo popolo
fosse preso per nulla; lasciò che il nemico se ne impossessasse senza acquistarlo. Perciò, la donna di
Dio, rappresentata dal rimanente raffigurato da Naomi qui sulla terra, doveva essere redenta,
riacquistata, fuori di Babilonia la Grande.
19 Questa fu la sfida che si presentò a Naomi di Betleem della tribù di Giuda, senza figli e vedova, come
abbandonata, castigata da Geova. Tuttavia nel profondo del suo cuore ardeva il desiderio di partecipare
al proposito di Geova per le donne d’Israele, particolarmente per alcune favorite della tribù di Giuda, per
quelle di questa tribù che avevano la prospettiva della promessa di Giacobbe, il padre di Giuda. Poco
prima di morire in Egitto nell’anno 1711 a.E.V., Giacobbe benedisse Giuda con queste parole: “Lo scettro
non si allontanerà da Giuda, né il bastone del comandante di fra i suoi piedi, finché venga Silo; e a lui
apparterrà l’ubbidienza del popolo”. (Gen. 49:10) Questo Silo, il cui nome significa “Colui del quale è” o
“Colui al quale appartiene”, dev’essere il Comandante che tiene il bastone. Dev’essere Colui che afferra
lo scettro reale. Dev’essere il Messia, il vero Seme di Abraamo, mediante il quale tutte le famiglie della
terra si sarebbero benedette. (Gen. 22:17, 18) Di chi sarebbe stato figlio nella linea di discendenza di
Giuda, il pronipote di Abraamo? Quale madre di Giuda sarebbe stata significativamente onorata da
portarlo al seno? Non Naomi, poteva ben ragionare ella nel suo cuore, essendo senza figli e avendo
superato l’età della gravidanza. Non c’è da meravigliarsi che Naomi, nella sua desolata condizione,
gridasse: “Chiamatemi Mara”.
GEOVA APRE LA VIA
20 Ma Geova non avrebbe abbandonato questa donna fedele il cui grido era giunto ai suoi orecchi.
Appropriatamente il profeta avrebbe potuto dirle ciò che disse, parlando secoli dopo per conto di Geova
alla donna che essa raffigurava: “‘Nascosi da te la mia faccia solo per un momento, ma con amorevole
benignità a tempo indefinito avrò di sicuro misericordia su di te’, ha detto il tuo Ricompratore, Geova”.
(Isa. 54:8) Come doveva avvenire ciò nel caso di Naomi? Se fosse morta senza un discendente naturale,
non avrebbe avuto nessun erede a cui lasciare la proprietà del marito morto. Inoltre, se il proposito di
Geova di far venire Silo dalla tribù di Giuda doveva adempiersi per mezzo di lei, aveva bisogno di un
erede maschio. Che cosa doveva fare?
21 Di nuovo la legge d’Israele prendeva provvedimento per chi era nella situazione di Naomi. Secondo la
medesima promessa di Geova nessuna fedele donna dell’antico Israele doveva rimanere sterile. Egli
aveva detto: “Perché continui a ubbidire alla voce di Geova tuo Dio: . . . Benedetto sarà il frutto del tuo
ventre”. (Deut. 28:2-4) Né un uomo doveva rimanere senza qualcuno che tramandasse il suo nome. La
legge d’Israele dichiarava: “Nel caso in cui dei fratelli dimorino insieme e uno d’essi sia morto senza aver
figli, la moglie del morto non dovrebbe divenire di un uomo estraneo di fuori. Suo cognato vada da lei, e
la deve prendere in moglie e compiere con lei il matrimonio del cognato. E deve accadere che il
primogenito ch’ella partorirà dovrebbe succedere al nome del suo fratello morto affinché il suo nome non
sia cancellato da Israele”. (Deut. 25:5, 6) Questa legge, insieme alla legge della ricompra, era l’unica
speranza di Naomi. Se si riusciva a trovare un fratello o un parente prossimo, allora Naomi poteva
confidare in questo provvedimento della legge per cercare una soluzione. Ma Naomi stessa non poteva
avere un figlio neanche se si trovava il parente. La sua unica probabilità dipendeva quindi da sua nuora
Rut, che poteva prendere il suo posto in questa disposizione e provvedere un seme a Elimelec. Come
avrebbe Rut considerato questa opportunità? Sarebbe stata disposta a rinunciare a qualunque speranza
avesse di trovare un giovane che le desse qualche cosa per se stessa? O avrebbe riconosciuto in questa
sfida l’occasione di ricercare il proposito di Geova e di farne il suo modo di vivere?
22 E che dire di Boaz e del “Tal dei tali”? Avrebbero sostenuto questa sfida di provvedere un erede a
Naomi per il nome del suo marito morto, Elimelec? L’avrebbero riconosciuta come un’opportunità di
partecipare più pienamente al servizio di Geova? E che effetto ha oggi su di noi questa sfida e il suo
esito? Il modo in cui Naomi doveva essere ristorata nello spirito, il modo in cui il suo sogno di tutta una
vita sarebbe divenuto realtà, e le parti che avrebbero avuto Rut, Boaz e il “Tal dei tali” nell’affrontare
questa sfida, fanno tutti parte di questo commovente dramma che spinge anche oggi a fare del proposito
di Geova il nostro modo di vivere. L’articolo che segue ne rivelerà l’esito.
[Nota in calce]
Si veda il libro I Testimoni di Geova nel proposito divino (inglese), pagg. 79-83.
“Osserva, o figlio mio, il comandamento di tuo padre, e non abbandonare la legge di tua madre. Legateli
di continuo al cuore; attaccateli alla gola. Quando cammini, ti condurrà; quando giaci, farà la guardia su di
te; e quando ti sei svegliato, essa stessa si occuperà di te. Poiché il comandamento è una lampada, e
una luce è la legge, e le riprensioni della disciplina sono la via della vita”. — Prov. 6:20-23.
[Figura a pagina 429]
“Sta tranquilla, figlia mia, finché tu sappia come la cosa andrà a finire, poiché l’uomo non avrà riposo a
meno che egli non porti oggi a termine la cosa”.
[Figura a pagina 433]
Rut accettò la sfida di servire Geova, dichiarando a Naomi: “Il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio il
mio Dio”

w72 15/7 436-42 Fate del proposito di Geova il vostro modo di vivere
Fate del proposito di Geova il vostro modo di vivere
LA FEDE non è posseduta da tutti”. Così disse l’apostolo Paolo. (2 Tess. 3:2) Tra le numerose ragioni di
ciò una rimarchevole è lo spirito di autodeterminazione divenuto così forte nel nostro ventesimo secolo.
Questo desiderio di piacere personale è divenuto una religione, mentre l’amore verso il Creatore è stato
accantonato e l’indifferenza verso il suo proposito sovverte il cuore e la mente. Come deve ristorare
Geova, e quale esempio è per noi, osservare quelli che hanno altruisticamente accettato la sfida del
servizio di Geova e hanno fatto del suo proposito il loro modo di vivere. Un notevole esempio è quello di
Rut dei tempi antichi che lasciò il suo popolo e la sua casa a Moab e accompagnò la suocera vedova
Naomi a Betleem. Ella pure vedova, avrebbe potuto benissimo interessarsi di trovare marito a Moab e di
stabilirsi in un ambiente noto per allevare una famiglia. Ma l’amore di Rut per Naomi e per l’adorazione di
Geova la spinse ad abbandonare tutto e ad accompagnare Naomi che tornava in Israele. In questo
ambiente sconosciuto il suo altruistico amore fu provato sino al limite, ma il suo sincero desiderio di fare
del proposito di Geova il suo modo di vivere la sostenne e la spinse ad affrontare questa sfida senza un
attimo di esitazione. L’esito che ne ebbero Rut e Naomi, nonché gli avvenimenti stessi che portarono a
esso, ci danno un’incoraggiante lezione di zelo e devozione.
2 È il tempo della raccolta dell’orzo il che significherebbe che è dopo la celebrazione della Pasqua. È
primavera, le piogge invernali sono finite, e ora c’è qualche cosa da mietere in Betleem–Giuda. È di
nuovo il luogo del pane dopo dieci lunghi anni di carestia. Naomi aveva trascorso quegli anni in Moab,
dove aveva perso il marito Elimelec e i suoi due figli, uno dei quali era Malon, marito di Rut. Ora Naomi è
di nuovo a casa, con Rut, e ha il favore divino. Sono tornate nel suo paese natale, sono di nuovo nel
possedimento ereditario di Naomi. (Rut 1:22) A che cosa si riferisce questo nei tempi moderni?
Nell’antitipo storico d’oggi questo richiamerebbe l’attenzione sulle parole di Gesù riguardo al
radunamento di tutti gli eletti, il rimanente dei suoi unti discepoli, per mezzo degli angeli. Quando? Dopo
la caduta di Babilonia la Grande (l’impero mondiale della falsa religione) ad opera dell’antitipico Ciro il
Grande. Allora era il tempo che doveva adempiersi la profezia di Gesù riguardo alla fine del sistema di
cose. — Matt. 24:29-31.
3 Isaia 12:1, 2 parla della gioia che ci fu a quel tempo in cui il rimanente fu radunato fuori di Babilonia la
Grande. “E in quel giorno di sicuro dirai: ‘Ti ringrazierò, o Geova, poiché sebbene tu ti adirassi con me, la
tua ira gradualmente si stornò, e mi confortavi. Ecco, Dio è la mia salvezza. Io confiderò e non avrò
nessun terrore; poiché Iah Geova è la mia forza e la mia potenza, e di me è stato la salvezza’”. Queste
parole sono ripetute dal rimanente raffigurato da Naomi, a cominciare dal 1919 con la sua restaurazione
nel favore divino e con il ristabilimento nel servizio di Dio secondo il suo proposito per loro.
LO ZELO NELLA MIETITURA DÀ FRUTTO
4 Ora, nel dramma tipico, era in corso la mietitura dell’orzo. Rut abitava con la suocera, ma non voleva
esserle di peso. Voleva contribuire al mantenimento di Naomi. Con il consenso di Naomi, si valse dunque
della legge d’Israele sulla mietitura (Lev. 19:9, 10) e “andò ed entrò e spigolava nel campo dietro i
mietitori. Così capitò per caso nel tratto di campo che apparteneva a Boaz, il quale era della famiglia di
Elimelec”. (Rut 2:1-3) Boaz era un vero adoratore di Geova e rispettava la legge di Geova. (Rut 2:4-7)
Quando apprende l’identità di Rut dispone che Rut continui a lavorare nei suoi campi, sia per tutta la
mietitura dell’orzo che per la mietitura del grano che sarebbe seguìta e sarebbe durata fino alla festa di
Pentecoste nel mese di maggio. Così facendo dice a Rut: “Mi è stato pienamente riferito tutto ciò che hai
fatto a tua suocera dopo la morte di tuo marito, e come lasciavi tuo padre e tua madre e il paese dei tuoi
parenti e venivi a un popolo che in precedenza non avevi conosciuto. Geova ricompensi il tuo modo di
agire, e vi sia per te un perfetto salario da Geova l’Iddio d’Israele, sotto le cui ali ti sei venuta a rifugiare”.
(Rut 2:8-13) Favorendo Rut con questa disposizione, egli pensa alla suocera di lei, l’anziana Naomi, per
recare beneficio anche a lei.
5 I drammatici avvenimenti del giorno in adempimento di ciò sono in armonia con quanto disse Gesù: “Il
campo è il mondo . . . La mietitura è il termine di un sistema di cose, e i mietitori sono gli angeli”. (Matt.
13:38, 39) I membri della sposa di Cristo non erano ancora completi nell’anno 1919. Ne dovevano essere
radunati altri e, come Rut si unì a Naomi, lavorando diligentemente con lei nell’attività di mietitura,
lealmente anche fino alla morte, così dal 1919 in poi cominciò ad apparire una più nuova aggiunta alla
classe del rimanente. Questa classe addizionale fu raffigurata da Rut.
6 Quell’anno, il sabato pomeriggio, 6 settembre 1919, fu tenuto nel lago Erie un battesimo collettivo, al
tempo del congresso generale di Cedar Point, nell’Ohio, e ci furono più di 200 battezzati. Questi si
aggiunsero al precedente, originario rimanente, raffigurato da Naomi, della sposa di Cristo. Fra gli
spettatori c’erano i funzionari della Società liberati dalla prigione federale di Atlanta il martedì 25 marzo di
quell’anno. Ora godevano di una nuova libertà e operavano ancora a favore degli interessi del Regno del
teocratico governo di Geova Dio. Tre anni dopo, nel 1922, fu tenuta a Cedar Point, nell’Ohio, un’altra
assemblea generale. Il sabato 9 settembre 1922, ci furono 361 battezzati. Col passar del tempo
continuava ad aggiungersi la classe di Rut. Ora, come Rut la Moabita, la moderna classe di Rut
determinò di lavorare con zelo insieme alla classe di Naomi sino alla fine della mietitura di Dio sulla terra,
sia della mietitura dell’orzo che della mietitura del grano, come raffigura il dramma profetico. E come
accadde a Rut, che Boaz dichiarò una donna eccellente, così accadde a questa nuova aggiunta al
rimanente. Essa fu un’eccellente donna antitipica di esclusiva devozione a Geova Dio.
LA SPERANZA DI NAOMI METTE ALLA PROVA LA DEVOZIONE DI RUT
7 Ora, come risultato dell’industriosità di Rut e della generosità di Boaz, Naomi e Rut hanno da mangiare.
Tuttavia, Naomi è un’anziana vedova che ha superato l’età di partorire figli e ha questo possedimento
ereditario che fu di suo marito Elimelec. Ora non ha nessun aiuto se Rut non agisse quale sua
rappresentante o in sostituzione di lei. Naomi vede la soluzione. Decide di vendere questo possedimento,
pensando particolarmente ai vantaggi per Rut, che deve impiegare in questa trattativa. Per di più,
essendo vedove, Naomi e sua nuora Rut non potrebbero apportare nessun contributo alla discendenza
reale della tribù di Giuda che porta al promesso Silo. Naomi deve avere un figlio; deve avere un figlio
adottato, un figlio di Rut nella tribù di Giuda, perché quel possedimento ereditario non potrebbe uscire
dalla tribù di Giuda. Perciò Rut deve sposare un uomo nella tribù di Giuda e conservarvi la proprietà. Ma
prima, Rut deve accettare questo modo di vivere per sé, rinunciando a qualsiasi desiderio di un uomo più
giovane che non l’attempato Boaz. Come accoglierà la proposta?
8 Naomi le presenta la sfida molto chiaramente. Ella le dice: “Figlia mia, non dovrei cercarti un luogo di
riposo, affinché ti vada bene? Ed ora, non è Boaz, con le giovani del quale sei stata, nostro congiunto?
Ecco, egli questa sera ventila l’orzo nell’aia. E tu devi lavarti e spalmarti d’olio e metterti addosso i
mantelli e scendere all’aia. Non farti conoscere dall’uomo finché non abbia finito di mangiare e di bere. E
dovrebbe accadere che quando si mette a giacere, tu devi pure prendere nota del luogo dove giace; e
devi andare e scoprirlo ai piedi e metterti a giacere; ed egli, da parte sua, ti dichiarerà ciò che dovresti
fare”. Come rispose Rut? “Allora ella le disse: ‘Farò tutto ciò che mi dici’. Ed ella scendeva all’aia e faceva
secondo tutto ciò che sua suocera le aveva comandato”. — Rut 3:1-6.
9 Naomi è come l’apostolo Paolo. Nella sua relazione con la chiesa o congregazione, Paolo dice: “Vi ho
personalmente promessi in matrimonio a un solo marito onde vi presenti come casta vergine al Cristo”. (2
Cor. 11:2) Similmente, Naomi dispone per il matrimonio di Rut con l’uomo appropriato. Rut va dunque nel
campo e si mette a giacere ai piedi di Boaz. Quando egli si sveglia nel cuore della notte ella gli propone
di prenderla in moglie per suscitare un seme al morto Elimelec. — Rut 3:7-9.
SI FRAPPONE UN ALTRO “GO’EL'”
10 Questa non fu un’azione immorale da parte di Naomi e di Rut. Manifestò semplicemente fiducia
nell’onore di colui che era nella posizione di ricompratore, di go’el'. Che Boaz non fraintendesse il suo
motivo o non interpretasse erroneamente la sua proposta di matrimonio per levirato come un’impudica
offerta si capisce dalla sua risposta. “Allora [Boaz] disse: ‘Sii benedetta da Geova, figlia mia. Hai
espresso la tua amorevole benignità meglio in questo ultimo caso che nel primo, non andando dietro ai
giovani, miseri o ricchi. Ed ora, figlia mia, non temere. Tutto ciò che dici io ti farò, poiché ognuno alla
porta del mio popolo è consapevole che sei una donna eccellente. Ed ora mentre io sono infatti un
ricompratore, c’è anche un ricompratore che è parente più stretto di me. Passa qui la notte, e in mattinata
deve accadere che se egli ti ricompra, bene! Faccia la ricompra. Ma se non prova diletto nel ricomprarti,
per certo ti ricomprerò io, io stesso, com’è sicuro che Geova vive’”. — Rut 3:10-13.
11 Boaz è un uomo onorato, un uomo di grande padronanza di sé, e rammenta a Rut che nella relazione
familiare c’è un uomo più prossimo a Naomi di lui. Egli stesso è nipote di Naomi, mentre questo parente
più stretto è cognato di Naomi. È colui che dovrebbe avere la prima opportunità di comprare questo
possedimento ereditario di Naomi, di agire quale ricompratore, il go’el'. Ciò non significa che Boaz, dopo
essere stato per così lungo tempo un vecchio scapolo senza responsabilità familiari, non sia disposto a
fare il suo dovere, anche se significa diventare padre di famiglia. È disposto ad apportare il suo contributo
alla discendenza reale che conduce al promesso Silo della tribù di Giuda, a cui appartiene Boaz.
Nell’antitipo questo si applica al Signore Gesù Cristo quale celeste go’el', il Ricompratore o Redentore.
Ma prima di tutto lascia la classe di Naomi e la classe di Rut alla mercé di chiunque sia raffigurato dal
“Tal dei tali”, cognato di Naomi. Questo mette alla prova la suddivisione di Naomi e di Rut dell’odierno
rimanente. Chi vince? Chi perde? Il racconto ce lo dice.
12 Rut se ne va da sua suocera avanti che i primi raggi del sole mattutino illuminino la città. È piena di
gioia mentre porta avvolte nel mantello le sei misure d’orzo che Boaz le ha dato come pegno della sua
promessa. È salutata dall’anziana Naomi con le parole: “Chi sei tu, figlia mia?” Riconoscendo il significato
dell’espressione di Naomi, ella spiega che non è ancora la moglie di Boaz, ma narra tutto ciò che è
accaduto e che Boaz le ha detto. Quindi Naomi dice: “Sta tranquilla, figlia mia, finché tu sappia come la
cosa andrà a finire, poiché l’uomo non avrà riposo a meno che egli non porti oggi a termine la cosa”. Rut
attende ansiosamente, con una luminosa speranza per il futuro; Naomi attende con la speranza di
realizzare il desiderio di tutta la sua vita. — Rut 3:14-18.
AL RICOMPRATORE SI PRESENTA UNA SFIDA
13 Ora si sta rapidamente per giungere al culmine degli avvenimenti di questa significativa giornata. “In
quanto a Boaz, salì alla porta e lì sedeva. Ed ecco, passava il ricompratore, che Boaz aveva menzionato.
Quindi disse: ‘Vieni, siedi qui, “Tal dei tali”’. Per cui egli venne e sedette. . . . Disse ora al ricompratore: ‘Il
tratto del campo che appartenne al nostro fratello Elimelec, Naomi, che è tornata dal campo di Moab,
deve venderlo. In quanto a me, ho pensato di dovertelo rivelare, dicendo: “Compralo di fronte agli abitanti
e agli anziani del mio popolo. Se tu lo ricompri, ricompralo; ma se tu non lo ricompri, dichiaramelo,
affinché io lo sappia, poiché non c’è nessun altro che te a fare la ricompra, e io vengo dopo di te”’. Allora
egli disse: ‘Sarò io a ricomprare’”. — Rut 4:1-4.
14 Ah, sì, il “Tal dei tali” è disposto a comprare la proprietà; così accrescerà i possedimenti che ha a
Betleem. E in quanto a questa donna anziana, Naomi, ha perso la sua facoltà di riproduzione, per cui non
c’è pericolo di avere un figlio da lei a cui trasmettere la proprietà; quindi egli avrà l’intera proprietà di
Naomi per sé, oltre a quella che ha già. “Quindi Boaz disse: ‘Il giorno che tu acquisti il campo dalla mano
di Naomi, lo devi pure acquistare da Rut la Moabita, moglie del morto, in modo da suscitare il nome del
morto sulla sua eredità’”. Ah, ora la cosa è diversa. Comporta troppa responsabilità: le cose potrebbero
complicarsi. Di fronte a questa inaspettata sfida, il ricompratore risponde a Boaz: “Non sono in grado di
ricomprarlo per me stesso, onde io non rovini la mia propria eredità. Ricompralo tu per te stesso con il
mio diritto di ricompra, perché io non sono in grado di fare la ricompra”. Si toglie dunque un sandalo e lo
dà a Boaz come attestazione dell’accordo. — Rut 4:5-8.
15 Il “Tal dei tali” ha mancato di sostenere la sfida. Ma non Boaz. Egli accetta la disposizione; è felice di
accettarla. E dice al parente più stretto e a tutto il popolo: “Voi siete oggi testimoni che in effetti io
acquisto tutto ciò che appartenne a Elimelec e tutto ciò che appartenne a Chilion e a Malon dalla mano di
Naomi. E acquisto in effetti per me stesso come moglie pure Rut la Moabita, moglie di Malon, per
suscitare il nome del morto sulla sua eredità e affinché il nome del morto non sia stroncato di fra i suoi
fratelli e dalla porta del suo luogo. Voi siete oggi testimoni”. Pertanto Boaz adempie il proposito di Geova
riguardo alla responsabilità verso un fratello, mentre il “Tal dei tali” è disonorato agli occhi di tutto il popolo
che è alla porta. — Rut 4:9-12.
16 Ma, chi rappresenta il “Tal dei tali” nei tempi moderni? E che effetto ha su di noi questa sfida, circa
trenta secoli dopo? Giacché il “Tal dei tali” ostacolò per un po’ Boaz, egli rappresenta una classe qui sulla
terra che ostacola Gesù Cristo lo sposo a cui sia quelli della classe di Naomi che quelli della classe di Rut
sono spiritualmente fidanzati. Questo “Tal dei tali”, che era cognato di Naomi e che avrebbe potuto
prendere il posto di Elimelec e suscitargli un seme, raffigura uno che viene meno al suo dovere, uno che
semplicemente simula d’essere Cristo, un falso profeta, di cui il Signore Gesù Cristo avvertì i suoi
seguaci, dicendo: “Poiché [nel tempo della fine] sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che faranno grandi
segni e prodigi da sviare, se possibile, anche gli eletti”, cioè la classe di Naomi e la classe di Rut. (Matt.
24:24) Così avviene con questa odierna classe del falso Cristo. Oh, essi vogliono impadronirsi della
congregazione, del rimanente sposato al Signore Gesù Cristo, e vogliono il suo patrocinio e appoggio,
ma non vogliono la responsabilità di far produrre alla classe di Naomi e alla classe di Rut i frutti degli
interessi del Regno; comporterebbe troppo lavoro. Diminuisce troppo i loro egoistici interessi. Essi non si
interessano del regno di Dio. Preferiscono la Lega delle Nazioni e ora le Nazioni Unite del tempo attuale.
Non vogliono avere niente a che fare con la stirpe reale di Silo, il Re Gesù Cristo. Questa attitudine
mentale e questa linea d’azione potrebbero corrispondere solo al clero religioso della cristianità. Esso
non ha accettato la sfida del servizio di Geova e non ha fatto del suo proposito il proprio modo di vivere.
Gesù avvertì di fuggire da costoro! — 2 Tim. 3:5; Riv. 18:4.
ACCETTANDO LA VIA DI GEOVA SI È BENEDETTI
17 D’altra parte, Boaz, mantenendo la sua promessa, prende Rut in moglie secondo la disposizione del
levirato. (Rut 4:13-15) Il loro matrimonio non produsse un re o il Silo; il tempo del Regno d’Israele non era
ancora cominciato. Ma produssero uno che divenne nonno del re Davide, l’undicesimo nella linea di
Giuda e col quale Geova fece un patto per un Regno eterno (Matt. 1:3-6; 2 Sam. 7:12, 13), uno la cui
discendenza porta infine al Signore Gesù Cristo, il permanente erede del re Davide. (Luca 3:23-31;
20:41-44) Gli interessi di Rut e gli interessi di Naomi sono tutti collegati. Rut è la madre, ma Naomi adotta
il bambino e gli fa da balia, come se fosse figlio del suo proprio defunto marito Elimelec, colui che
riceverà il possedimento ereditario di Elimelec. Conformemente le vicine dicono: “‘È nato un figlio a
Naomi’. E gli davano nome Obed [che significa “servitore” o “chi serve”]”. (Rut 4:16, 17) Pertanto,
accettando la sfida presentata loro, e avendo a cuore gli interessi del proposito di Geova, Boaz e Rut
dedicano altruisticamente la loro vita all’adempimento di quel proposito e Geova li benedice permettendo
loro di produrre uno che ha realmente prospettive reali nella discendenza del promesso Silo, il cui “scettro
non si allontanerà da Giuda, né il bastone del comandante di fra i suoi piedi, . . . e a [cui] apparterrà
l’ubbidienza del popolo”. — Gen. 49:10.
18 Infine, ora, nel nostro stesso giorno la classe di Naomi e la classe di Rut del rimanente spirituale hanno
la prospettiva di divenire la sposa di Cristo, il Silo della profezia di Giacobbe. Ma non producono l’unto re
del messianico Regno di Dio, non più di quanto lo producessero Boaz e Rut. Producono però una classe
che serve Dio. Come il bambino che nacque a Rut in Betleem ricevette il nome di Obed, che significa “chi
serve” o “servitore”, così le moderne classi di Rut e di Naomi producono o formano una classe descritta
nella profezia di Gesù in Matteo, capitolo 24, come la classe dello “schiavo fedele e discreto”. Ed
entrambe le parti del rimanente spirituale d’oggi, la parte di Rut e la parte di Naomi, hanno intenso amore
l’una per l’altra come l’incrollabile amore di Rut verso l’anziana vedova Naomi, per la quale Rut “è meglio
di sette figli”. Nulla eccetto la morte può produrre una separazione fra loro due.
TEMPO DI ZELO E DEVOZIONE
19 Quale lezione di zelo e devozione si trova nel drammatico eppur commovente libro biblico di Rut! E
quale esempio forniscono le moderne classi di Naomi e di Rut a quelli che vivono ora nel tempo della fine
di questo malvagio sistema di cose! Questo non è il tempo di volgersi a una condotta di
autodeterminazione, preferendo una via di propria scelta a motivo di egoistici interessi od occupazioni.
Ne è il tempo di mostrare indifferenza verso il proposito di Dio che ora si approssima al culmine per
questo sistema di cose. Naomi si rese sicuramente conto che avrebbe potuto non sapere mai se era
stata effettivamente impiegata nella discendenza di Silo, tuttavia fu disposta a dedicare tutta la sua vita
per renderlo possibile. E Rut, che era una giovane donna, avrebbe potuto sposare qualsiasi giovanotto,
un ricco se l’avesse voluto o un povero se lo avesse amato, ma fu invece disposta a sposare un vecchio
solo perché suo figlio potesse divenire il figlio di Naomi. Ma lo fecero entrambe perché amavano Geova e
volevano partecipare all’adempimento del proposito di Geova. Che esempio di altruistico amore! Eppure
sia Naomi che Rut, nel loro tempo e fra i loro vicini, poterono essere considerate solo persone “comuni”.
20 Oggi viviamo nel “tempo della fine”, nel tempo in cui tutte queste profezie hanno un così meraviglioso
adempimento. Paolo scrisse questo avvertimento per noi: “Inoltre, dico questo, fratelli, che il tempo
rimasto è ridotto. Da ora in poi quelli . . . che fanno uso del mondo [siano] come quelli che non ne usano
appieno; poiché la scena di questo mondo cambia”. (1 Cor. 7:29-31) Se pensiamo di poter vivere come la
gente di questo sistema, impiegando il nostro tempo solo nelle occupazioni della vita, allora avremo un
brusco risveglio perché, come fa pensare Paolo, questo mondo sta rapidamente per scomparire e presto
non ci sarà in esso nessuna vita. Oggi, c’è tanto per cui vivere in vista delle prospettive delle benedizioni
del Regno messianico che presto saranno elargite in tutta la terra, ed è rimasto così poco tempo per
vivere in questo presente sistema malvagio. Anche se rinunciassimo a tutto ciò che questo sistema ha
per noi, ‘facendo uso del mondo’, come disse Paolo, “come quelli che non ne usano appieno”, come
potrebbe questo paragonarsi alla condotta seguìta da Rut, e dalla classe di Rut che ha già trascorso anni
nell’adempimento del proposito di Geova? Tuttavia come Geova ha benedetto con i frutti del Regno sia la
parte di Naomi che la parte di Rut dell’unto rimanente, così benedirà chiunque accetta ora pienamente la
sfida del servizio di Geova e fa del proposito di Geova il proprio modo di vivere. Quale ricompensa
migliore di questa si potrebbe ricevere?
[Figura a pagina 441]
Rut presentò altruisticamente il suo bambino a Naomi, che lo adottò come se fosse il proprio figlio; il
bambino divenne antenato del Messia.

w78 15/7 16-21 "Una donna eccellente" mostra amore leale


“Una donna eccellente” mostra amore leale
“Ognuno alla porta del mio popolo è consapevole che sei una donna eccellente”. — Rut 3:11.
SONO calate le tenebre della notte e su Betleem di Giuda e la campagna circostante è sceso un quieto
silenzio. In un’aia un uomo anziano dorme. Ma ecco che una giovane donna gli si avvicina furtivamente,
lo scopre appena, e si mette a giacere. Egli si sveglia, la trova ai suoi piedi e chiede: “Chi sei?” La
risposta di lei? “Sono Rut la tua schiava”. Essa è andata da lui per uno speciale e nobilissimo scopo.
Mentre la conversazione continua egli riconosce che è una donna virtuosa e dice: “Ognuno alla porta del
mio popolo è consapevole che sei una donna eccellente”. — Rut 3:9-11.
2 Cos’ha portato a questo insolito incontro di mezzanotte? Chi è in realtà questa donna? E qual è
l’identità dell’uomo anziano? Perché le dice che è conosciuta come “una donna eccellente”? Quali qualità
rivela? Queste e altre domande si affollano nella nostra mente allorché riflettiamo su questa straordinaria
scena notturna.
3 Il racconto divinamente ispirato che ci accingiamo a considerare, scritto probabilmente ai giorni di
Davide (verso il 1090 a.E.V.) dal profeta ebreo Samuele, è uno degli unici due libri biblici che portano un
nome femminile. (L’altro è quello di Ester). Sebbene alcuni considerino il libro di Rut una commovente
storia d’amore, è molto più di questo. Il racconto dà risalto al proposito di Geova Dio di produrre un erede
del Regno, il Messia da lungo tempo promesso. Inoltre, esalta l’amorevole benignità di Dio. — Gen. 3:15;
Rut 2:20; 4:17-22.
UNA FAMIGLIA COLPITA DALL’AVVERSITÀ
4 Gli avvenimenti narrati in questo racconto si verificarono “nei giorni in cui i giudici amministravano la
giustizia” in Israele. Dovette essere al principio di quel periodo, poiché l’uomo che abbiamo visto nell’aia
con Rut era Boaz, figlio di Raab contemporanea di Giosuè. (Rut 1:1; Gios. 2:1, 2; Matt. 1:5) Questi fatti
avvincenti abbracciano un periodo di circa 11 anni e si svolgono forse attorno al 1300 a.E.V.
5 Nel paese di Giuda è sorta una carestia e Betleem (o Efrata) ne sente gli effetti. L’avversità ha colpito
specialmente la famiglia di un certo Elimelec. Comprendendo la necessità di provvedere ai bisogni dei
suoi familiari, egli prende una decisione. Presto Elimelec, sua moglie Naomi e i loro due figli Malon e
Chilion attraversano il Giordano. Questi Efratei vanno a risiedere come forestieri in Moab, un paese su un
altipiano a est del mar Morto e a sud del fiume Arnon. — Rut 1:1, 2; confronta I Timoteo 5:8.
6 A suo tempo Elimelec muore, lasciando vedova Naomi, ormai avanti con gli anni. Successivamente i
loro due figli sposano delle Moabite. Malon sposa Rut mentre Chilion prende in moglie Orpa. (Rut 1:4, 5;
4:10) Passano circa 10 anni, e la calamità si abbatte di nuovo su questa famiglia. I figli di Naomi muoiono
entrambi e per di più senza progenie. Ora le tre donne sono sole, e il lutto e la vedovanza sono ben duri
da sopportare.
7 Specialmente Naomi è addolorata. Essa è giudea e conosce la speciale benedizione pronunciata in
punto di morte dal patriarca Giacobbe su suo figlio Giuda, con queste parole: “Lo scettro non si
allontanerà da Giuda, né il bastone del comandante di fra i suoi piedi, finché venga Silo; e a lui apparterrà
l’ubbidienza del popolo”. Questo Silo avrà lo scettro reale; infatti, sarà il Messia, il seme di Abraamo
mediante il quale tutte le famiglie della terra si benediranno. Donne di Giuda hanno la possibilità di
partorire figli che saranno antenati di quell’Unto! Ma i figli di Naomi sono morti senza progenie, ed essa
ha passato l’età d’avere figli. La possibilità che Naomi e la sua famiglia contribuiscano alla stirpe del
Messia è davvero remota. — Rut 1:3-5; Gen. 22:17, 18; 49:10, 33.
8 Tuttavia, c’è almeno un barlume di speranza che si stia preparando qualcosa di buono. Naomi ha
appreso, forse da qualche mercante ebreo di passaggio, che Geova ha “rivolto l’attenzione al suo popolo
dandogli pane”. Sì, la carestia è finita e, con la benedizione divina, c’è di nuovo pane in Giuda, buon pane
a Betleem, la “casa del pane”. Dopo non molto le tre vedove sono in cammino “nella strada per tornare al
paese di Giuda”. Non è un viaggio facile, perché devono attraversare regioni infestate di solito da ladroni
e uomini pronti a tutto. Ma la devozione di Naomi verso Geova Dio e il desiderio di ricongiungersi al suo
popolo la spingono a proseguire nonostante i pericoli del cammino. — Rut 1:6, 7.
TEMPO DI DECISIONE
9 Le giovani vedove compiranno un semplice atto di cortesia accompagnando la suocera attempata solo
fino al confine tra Moab e Israele? O proseguiranno? Vedremo. A un certo punto del cammino, Naomi
dice: “Andate, tornate, ciascuna alla casa di sua madre”. (Rut 1:8) Perché “di sua madre”, quando almeno
il padre di Rut è ancora vivo? (Rut 2:11) È naturale che una donna anziana faccia un commento simile a
delle giovani, e le loro madri avevano una casa ben fornita, a differenza della suocera indigente. Ad ogni
modo, l’affetto materno sarebbe stato di speciale conforto per una figlia addolorata.
10 Ascoltate mentre Naomi continua: “Geova eserciti amorevole benignità verso di voi, proprio come voi
l’avete esercitata verso gli uomini ora morti e verso di me. Geova vi faccia dono, e davvero trovate
ciascuna un luogo di riposo nella casa di suo marito”. (Rut 1:8, 9) Le due Moabite hanno mostrato
amorevole benignità, o amore leale, a Naomi e ai loro defunti mariti. Non sono state come le mogli ittite di
Esaù che furono “fonte di amarezza di spirito per Isacco e Rebecca”. (Gen. 26:34, 35) Priva essa stessa
di beni, Naomi può solo sperare che Dio ricompensi le sue nuore. Ed è disposta a congedarle con la
speranza che Geova darà a ciascuna di loro il riposo e il conforto che derivano dall’avere un marito e una
casa, ponendo fine così alla vedovanza e alle sue pene.
11 Ma Rut e Orpa non se ne vanno. Quando Naomi le bacia, esse si mettono a piangere ad alta voce.
Ovviamente è una suocera benigna e amorevole dalla quale è doloroso separarsi. (Rut 1:8-10; confronta
Atti 20:36-38). Ma Naomi insiste, ragionando: “Ho io ancora dei figli nelle mie parti interiori, e dovranno
essi divenire vostri mariti? Tornate, figlie mie, andate, poiché io mi son fatta troppo vecchia per
appartenere a un marito. Se avessi detto d’avere anche speranza che questa notte per certo apparterrei
a un marito e che anche partorirei per certo dei figli, continuereste ad aspettarli finché crescerebbero? Vi
terreste appartate per loro in modo da non divenire di un marito?” Sì, anche se i figli deceduti di Naomi
fossero stati sostituiti da altri figli ed essi fossero cresciuti, queste giovani donne si sarebbero astenute
nel frattempo dallo sposare qualcun altro? Era irragionevole pensarlo. E come donne moabite avevano
scarse prospettive di sposare un uomo in Giuda e poi allevare una famiglia. — Rut 1:11-13.
12 “No, figlie mie”, continua Naomi, “poiché a causa di voi mi è molto amaro, che la mano di Geova sia
uscita contro di me”. (Rut 1:13) Naomi non accusa Dio; qualunque cosa egli faccia o permetta dev’essere
giusta. (Prov. 19:3) Ma essa è addolorata per le sue nuore. Ed è giunto per loro il momento di decidere.
Proseguiranno altruisticamente con Naomi? I loro motivi e la loro lealtà sono messi alla prova.
13 Orpa prende la sua decisione. Piangendo bacia la suocera e se ne va. “Ecco”, dice Naomi a Rut. “La
tua cognata vedova è tornata al suo popolo e ai suoi dèi. Torna con la tua cognata vedova”. (Rut 1:14,
15) Sì, Orpa tornava al suo popolo e ai “suoi dèi”. Sia lei che Rut erano state allevate in mezzo al “popolo
di Chemos” e può darsi che avessero anche assistito agli orribili sacrifici di bambini nell’adorazione di
quel falso dio di Moab. Orpa torna a tutto ciò! — Num. 21:29; 2 Re 3:26, 27.
14 Ma non così Rut. “Non mi far premura di abbandonarti, di volgermi dall’accompagnarti”, dice, “poiché
dove andrai tu andrò io, e dove passerai la notte passerò la notte. Il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo
Dio il mio Dio. Dove tu morrai io morrò, e lì sarò sepolta”. Dopo di che la Moabita fa un giuramento
dinanzi a Dio, dicendo: “Geova mi faccia così e vi aggiunga se altro che la morte opererà una
separazione fra me e te”. Che commovente espressione di amore leale! Anzi, significa molto di più. Rut
ha scelto una vita di servizio a Geova, e il popolo di Naomi — che ha una relazione con il vero Dio in virtù
di un patto — sarà il suo popolo. La Moabita è decisa a servire Geova fedelmente. Quindi, Naomi
rinuncia a mandar via la giovane donna. — Rut 1:16-18.
15 Mentre l’anziana Giudea e la giovane Moabita riprendono l’arduo viaggio a fianco a fianco, abbiamo
l’occasione di riflettere sulle toccanti scene cui abbiamo assistito. L’interesse personale ha avuto il
sopravvento su Orpa. Il progresso che poteva aver fatto nella conoscenza di Geova non ha significato
abbastanza per lei da impedirle di tornare al suo popolo e ai “suoi dèi”. Se Rut avesse egoisticamente
desiderato il suo paese nativo avrebbe anch’essa potuto tornarvi. (Confronta Ebrei 11:15). Ma questa
giovane Moabita ha dimostrato amore leale non solo per l’attempata Naomi, ma specialmente per Geova.
Ha manifestato uno spirito di sacrificio e la determinazione di servire il vero Dio con fede. Osservando
queste contrastanti decisioni, noi pure siamo incoraggiati a non ‘tornare indietro alla distruzione’ ma ad
avere “fede per conservare in vita l’anima”. — Ebr. 10:38, 39.
BETLEEM È IN AGITAZIONE!
16 Infine, le due donne giungono a destinazione, Betleem. La loro presenza mette in agitazione l’intera
città. “È questa Naomi?” continuano a chiedere le donne. Gli anni hanno lasciato il segno. Certo le donne
notano gli effetti che il dolore e l’afflizione hanno prodotto su questa donna un tempo allegra. Anzi, la sua
stessa risposta indica la pena che ha nel cuore!
17 “Non mi chiamate Naomi [mia piacevolezza]”, dice. “Chiamatemi Mara [amara], poiché l’Onnipotente
me l’ha reso molto amaro. Quando andai ero piena [avendo marito e due figli], e Geova mi ha fatto
tornare a mani vuote. Perché dovreste chiamarmi Naomi, quando Geova mi ha umiliata e l’Onnipotente
mi ha causato calamità?” (Rut 1:19-21) Sì, Naomi è disposta ad accettare ciò che Geova permette, ma
evidentemente pensa che Geova sia contro di lei. (Rut 1:13; confronta I Samuele 3:18). Indubbiamente,
in un’epoca in cui il seno fecondo è considerato una benedizione divina e la sterilità una maledizione, è
umiliante per una donna non avere una progenie vivente. E che speranza può avere ora Naomi di
contribuire alla stirpe del Messia?
UN’UMILE SPIGOLATRICE TROVA FAVORE
18 Naomi e Rut sono venute a Betleem “all’inizio della mietitura dell’orzo”, al principio della primavera.
(Rut 1:22) Essendo operosa e disposta a servire, Rut, con il permesso di Naomi, va a spigolare dietro ai
mietitori nei campi. Sa che la spigolatura è il provvedimento di Geova per il povero e l’afflitto, il residente
forestiero, il ragazzo senza padre e la vedova. In Israele è loro permesso raccogliere o spigolare
qualsiasi parte di una messe che i mietitori hanno involontariamente o intenzionalmente lasciato dietro di
sé. (Lev. 19:9, 10; Deut. 24:19-21) Sebbene Rut ne abbia il diritto, umilmente chiede e ottiene il
permesso di spigolare in un certo campo. Ma evidentemente c’è la mano di Geova nella cosa poiché “per
caso” essa capita “nel tratto di campo che apparteneva a Boaz”. — Rut 2:3.
19 Ecco che Boaz si avvicina. È un “uomo potente per dovizia”, ed è figlio di Salmon e Raab. Sì, Boaz è
giudeo. Non solo Boaz è un padrone premuroso molto stimato dai suoi lavoratori, ma è un devoto
adoratore del vero Dio, poiché saluta i mietitori con le parole “Geova sia con voi”, ed essi rispondono:
“Geova ti benedica”. — Rut 2:1-4.
20 Dal giovane preposto ai mietitori, Boaz viene a sapere che Rut è la Moabita recentemente venuta a
Betleem con Naomi. Dopo averne ottenuto il permesso, essa ha spigolato assiduamente nel fresco della
mattina finché il sole è stato alto nel cielo, sopportando il caldo senza lamentarsi. Solo adesso si è seduta
momentaneamente nella casa, a quanto sembra una semplice capanna per i mietitori. Rut non è certo
una donna viziata! — Rut 2:5-7.
21 Successivamente Boaz esorta Rut a non spigolare in un altro campo, ma a stare presso le sue giovani,
che probabilmente seguivano i suoi mietitori e legavano i covoni. Boaz ha comandato ai giovani di non
toccarla, ed essa è libera di bere dai vasi che hanno riempito d’acqua. Profondamente grata, Rut cade
umilmente sulla sua faccia e si china a terra, chiedendo: “Come mai ho trovato favore ai tuoi occhi così
che sono notata, essendo io una straniera?” Ebbene, Boaz non sta cercando di conquistarsi il suo affetto
per appagare il capriccio di un vecchio. Piuttosto, ha udito che la Moabita ha lasciato suo padre, sua
madre e il suo paese, restando accanto all’anziana suocera. Ovviamente colpito dall’amore leale e
dall’umiltà di Rut, egli è spinto a dire: “Geova ricompensi il tuo modo di agire, e vi sia per te un perfetto
salario da Geova l’Iddio d’Israele, sotto le cui ali [protettive] ti sei venuta a rifugiare”. Certo, come
ammette Rut, Boaz l’ha confortata e le ha parlato in maniera rassicurante. — Rut 2:8-13; Sal. 91:2, 4.
22 Al tempo del pasto dei mietitori Boaz dice: “Accostati qui, e devi mangiare del pane e intingere il tuo
pezzo nell’aceto [“agretto”]”. Che condimento rinfrescante nella calura del giorno! Boaz porge a Rut grano
arrostito ed essa ne mangia a sazietà, e gliene avanza pure. — Rut 2:14; confronta la versione a cura del
Pontificio Istituto Biblico.
23 Poi si rimette al lavoro. Mosso da uno spirito di generosità, Boaz dice ai suoi giovani di lasciare
spigolare Rut “anche fra le spighe di grano tagliate”. Ingiunge loro anche di “sfilargliene alcune dai
manipoli di spighe”, lasciandole dietro affinché essa le raccolga. Giunge la sera, e Rut è ancora occupata
a ‘battere’ ciò che ha spigolato, a trebbiare. Battendo a mano l’orzo per terra con una verga o un
correggiato, lo si può separare dallo stelo e dalla pula. Quel giorno Rut ha spigolato una ventina di litri
d’orzo! Essa lo porta a casa a Betleem. Altruisticamente, Rut tira fuori anche il cibo che quel giorno le è
avanzato all’ora del pasto e lo dà alla suocera bisognosa. — Rut 2:14-18.
24 Rut mostra di nuovo amore leale a Naomi. Si aggiungano a ciò l’amore della giovane verso Geova, la
sua operosità e la sua umiltà; non è strano che la gente la consideri “una donna eccellente”. (Rut 3:11)
Certo Rut non mangia il “pane di pigrizia”, e per il suo duro lavoro ha qualcosa da condividere con chi è
nel bisogno. (Prov. 31:27, 31; Efes. 4:28) E assumendo la sua responsabilità verso l’anziana suocera
vedova, la Moabita deve provare la felicità che deriva dal dare. (Atti 20:35; 1 Tim. 5:3-8) Rut è davvero un
ottimo esempio per qualsiasi donna devota.
[Nota in calce]
Per la considerazione del significato profetico del libro di Rut, vedi La Torre di Guardia del 15 luglio 1972,
w72 pagg. 428-442, e il libro Preservation, pagg. 169-335, pubblicato nel 1932 dalla Watch Tower Bible
and Tract Society.
[Figura a pagina 17]
Rut implora Naomi: ‘Non mi far premura di abbandonarti, poiché dove andrai tu andrò io’
Caino — Tema: Il modo in cui reagiamo ai consigli rivela molto della nostra personalità
PROVERBI 19:20

it-1 386-7 Caino


CAINO
[qualcosa di prodotto].
Primo figlio nato alla coppia umana originale, Adamo ed Eva.
Dopo la nascita di Caino, Eva disse: “Ho prodotto un uomo con l’aiuto di Geova”. (Ge 4:1) Pensava forse
di essere la donna predetta che avrebbe generato il seme mediante il quale sarebbe venuta la
liberazione? (Ge 3:15) In tal caso, si sbagliava di grosso. Nondimeno poteva giustamente dire che Caino
era stato prodotto “con l’aiuto di Geova”, in quanto Dio non aveva privato i peccatori Adamo ed Eva delle
facoltà riproduttive e, nell’emettere la sentenza contro di lei, aveva detto che avrebbe ‘partorito figli’,
sebbene con dolore. — Ge 3:16.
Caino divenne coltivatore del suolo e, “dopo qualche tempo”, anch’egli come il fratello minore Abele portò
delle offerte da presentare a Geova, sentendo la necessità di ottenere il favore di Dio. La sua offerta di
“frutti del suolo” non fu però ‘guardata con alcun favore’ da Dio. (Ge 4:2-5; cfr. Nu 16:15; Am 5:22). Anche
se alcuni fanno rilevare che non viene detto che l’offerta di Caino fosse dei frutti più scelti mentre è
specificato che l’offerta di Abele consisteva dei “primogeniti del suo gregge, perfino i loro pezzi grassi”, il
problema non stava nella qualità dei prodotti offerti da Caino. Come si nota da Ebrei 11:4, l’offerta di
Caino non era motivata dalla fede che rese ben accetto il sacrificio di Abele. Dio può non aver
considerato con favore l’offerta di Caino anche a motivo del fatto che era incruenta, mentre quella di
Abele rappresentava una vita immolata.
Non è detto in che modo venisse fatta una distinzione fra l’offerta approvata e quella disapprovata, ma fu
senz’altro evidente sia a Caino che ad Abele. Geova, che legge il cuore dell’uomo (1Sa 16:7; Sl 139:1-6),
conosceva l’atteggiamento errato di Caino, e ne rifiutò il sacrificio. Questo rese chiaramente manifesta la
cattiva inclinazione di Caino, il quale cominciò quindi a produrre apertamente le “opere della carne”:
“inimicizie, contesa, gelosia, accessi d’ira”. (Gal 5:19, 20) Geova spiegò all’uomo accigliato che avrebbe
potuto essere esaltato semplicemente volgendosi a fare il bene. Caino avrebbe potuto umiliarsi imitando
l’approvato esempio del fratello, ma preferì ignorare il consiglio di Dio di dominare il desiderio
peccaminoso che era ‘in agguato alla porta’, pronto ad avere il sopravvento su di lui. (Ge 4:6, 7; cfr. Gc
1:14, 15). Tale condotta irrispettosa fu il “sentiero di Caino”. — Gda 11.
Successivamente Caino disse a suo fratello: “Andiamo nel campo”. (Ge 4:8) (Sebbene queste parole
manchino nel testo masoretico, alcuni manoscritti ebraici hanno qui un segno d’omissione, mentre il
Pentateuco samaritano, la Settanta greca, la Pescitta siriaca e la Vetus Latina includono tutti queste
parole dette da Caino ad Abele). Nel campo Caino attaccò Abele, uccidendolo e diventando così il primo
assassino umano. Come tale si poteva dire che “ebbe origine dal malvagio”, il quale è il padre degli
omicidi come pure della menzogna. (1Gv 3:12; Gv 8:44) L’indifferente risposta di Caino quando Geova gli
chiese dove fosse Abele fu un’ulteriore dimostrazione della sua indole; non fu un’espressione di
pentimento o di rimorso, ma una replica menzognera: “Non lo so. Sono io il guardiano di mio fratello?” —
Ge 4:9.
La sentenza con cui Dio bandiva Caino dal suolo intendeva evidentemente allontanarlo dai pressi del
giardino di Eden, e la precedente maledizione della terra sarebbe stata accresciuta nel caso di Caino, in
quanto la terra non avrebbe risposto ai suoi sforzi di coltivarla. Caino si rammaricò per la severità della
punizione, temendo la vendetta per l’assassinio di Abele, ma non espresse alcun sincero pentimento.
Geova “pose dunque un segno per Caino” onde impedire che fosse ucciso, anche se la Bibbia non dice
che questo segno o marchio venisse impresso in qualche modo sulla sua persona. Il “segno” era
probabilmente il solenne decreto di Dio, noto e osservato da altri. — Ge 4:10-15; cfr. il v. ⇒Ge 4:⇐24
dove il decreto è menzionato da Lamec.
Essendo stato bandito, Caino andò “nel paese di Fuga ad oriente dell’Eden”, portando con sé sua moglie,
figlia innominata di Adamo ed Eva. (Ge 4:16, 17; cfr. 5:4, come pure l’esempio molto più tardo del
matrimonio di Abraamo con la sorellastra Sara, Ge 20:12). Dopo la nascita del figlio Enoc, Caino “si mise
a edificare una città”, e le diede il nome del figlio. Questa città, secondo i criteri moderni, poteva essere
un semplice villaggio fortificato, e la Bibbia non dice quando fu ultimata. I suoi discendenti sono in parte
elencati e includono uomini che si distinsero come nomadi allevatori di bestiame, suonatori di strumenti
musicali e forgiatori di arnesi di metallo, e altri che divennero noti perché praticavano la poligamia e per la
loro violenza. (Ge 4:17-24) La discendenza di Caino terminò col diluvio universale ai giorni di Noè.
W99 1-2 P.20-23
W99 15-1 P.21-24

w95 15/9 3-5 Ciò che dovreste sapere sulla gelosia


Ciò che dovreste sapere sulla gelosia
COS’È la gelosia? È un sentimento intenso che può generare ansia, tristezza o ira. Possiamo provare
gelosia quando sembra che qualcuno riesca meglio di noi in qualcosa. Oppure possiamo ingelosirci
quando un amico riceve più elogi di noi. Ma la gelosia è sempre errata?
Chi è dominato dalla gelosia è portato a sospettare dei potenziali rivali. Saul, antico re di Israele, ne è un
esempio. All’inizio amava il suo scudiero, Davide, tanto che ne fece un capo dell’esercito. (1 Samuele
16:21; 18:5) Poi un giorno Saul udì delle donne che lodavano Davide dicendo: “Saul ha abbattuto le sue
migliaia, e Davide le sue decine di migliaia”. (1 Samuele 18:7) Saul non avrebbe dovuto lasciare che
questo incrinasse i suoi buoni rapporti con Davide. Invece si offese. “Da quel giorno in poi Saul guardava
di continuo Davide con sospetto”. — 1 Samuele 18:9.
La persona gelosa non augura necessariamente il male ad altri. Può semplicemente risentirsi per il
successo di un amico e desiderare ardentemente di avere le sue qualità o di trovarsi nella sua situazione.
Una forma di gelosia particolarmente deleteria è invece l’invidia. L’invidioso può tramare per impedire che
la persona di cui è geloso abbia dei vantaggi o può augurarsi che gli capiti qualcosa di male. A volte chi è
geloso non riesce a nascondere i suoi sentimenti. Può provare l’impulso irresistibile di fare del male a
qualcuno, come il re Saul che cercò di uccidere Davide. Più di una volta Saul scagliò la lancia contro
Davide nel tentativo di ‘inchiodarlo al muro’. — 1 Samuele 18:11; 19:10.
‘Ma io non sono una persona gelosa’, potreste rispondere. È vero, può darsi che la vostra vita non sia
dominata dalla gelosia. In qualche misura, però, tutti noi risentiamo della gelosia: la nostra e quella altrui.
Forse siamo pronti a riconoscere la gelosia negli altri, ma non altrettanto in noi stessi.
“Tendenza all’invidia”
Nella storia della natura umana peccaminosa narrata nella Parola di Dio, la Bibbia, troviamo spesso
peccati d’invidia. Ricordate il racconto di Caino e Abele? Questi figli di Adamo ed Eva offrirono entrambi
un sacrificio a Dio. Abele lo fece perché era un uomo di fede. (Ebrei 11:4) Aveva fede nella capacità di
Dio di adempiere il Suo grandioso proposito riguardo alla terra. (Genesi 1:28; 3:15; Ebrei 11:1) Abele
credeva pure che Dio avrebbe ricompensato gli uomini fedeli dando loro la vita nel veniente Paradiso
terrestre. (Ebrei 11:6) Dio mostrò quindi di gradire il sacrificio di Abele. Se Caino avesse veramente
amato suo fratello Abele, sarebbe stato felice che Dio lo stesse benedicendo. Invece Caino “si accese di
grande ira”. — Genesi 4:5.
Dio esortò Caino a fare il bene affinché anch’egli potesse ricevere una benedizione. Poi lo avvertì: “Se
non ti volgi per fare il bene, il peccato è in agguato all’ingresso, e la sua brama è verso di te; e tu, da
parte tua, lo dominerai?” (Genesi 4:7) Purtroppo Caino non dominò la sua gelosa ira, ed essa lo spinse
ad assassinare il suo giusto fratello. (1 Giovanni 3:12) Da allora lotte e guerre hanno provocato la morte
di centinaia di milioni di persone. Secondo un’enciclopedia, “fra le cause basilari della guerra possono
esserci il desiderio di estendere il proprio territorio, il desiderio di maggiore ricchezza, il desiderio di più
potere o il desiderio di sicurezza”. — The World Book Encyclopedia.
I veri cristiani non partecipano alle guerre di questo mondo. (Giovanni 17:16) Purtroppo, però, a volte
certi cristiani si fanno coinvolgere in dispute. Se altri membri della congregazione si schierano per l’uno o
per l’altro, queste dispute possono trasformarsi in dannose guerre verbali. “Da dove vengono le guerre e
da dove vengono le lotte fra voi?”, chiese lo scrittore biblico Giacomo ai suoi conservi. (Giacomo 4:1) Egli
diede la risposta a quella domanda condannando la loro avidità materialistica e aggiunse: “[Voi]
continuate . . . a concupire”, o “siete gelosi”. (Giacomo 4:2, nota in calce) Sì, il materialismo può portare
alla concupiscenza, o cupidigia, e a essere gelosi di quelli che sembra stiano meglio di noi. Per questa
ragione Giacomo mise in guardia contro la “tendenza all’invidia” insita negli esseri umani. — Giacomo
4:5.
Perché è utile analizzare le cause della gelosia? Ebbene, questo può aiutarci a essere onesti con noi
stessi e a promuovere migliori rapporti con gli altri. Può anche aiutarci a essere più comprensivi, più
tolleranti e più indulgenti. Quel che più conta, mette in evidenza il disperato bisogno che l’uomo ha
dell’amorevole provvedimento preso da Dio per salvarci e liberarci dalle peccaminose tendenze umane.
— Romani 7:24, 25.
Un mondo esente da gelosia peccaminosa
Da un punto di vista umano, un mondo esente da gelosia peccaminosa può sembrare inattuabile. Lo
scrittore Rom Landau ammette: “La sapienza accumulata nel corso dei secoli, con tutto ciò che i filosofi . .
. e gli psicologi hanno detto sull’argomento, non offre nessuna guida all’uomo tormentato dalla gelosia . . .
Qualche medico ha mai guarito un uomo dalla sua gelosia?”
La Parola di Dio invece offre la speranza di ottenere la vita umana perfetta in un nuovo mondo in cui
nessuno sarà più piagato dall’empia gelosia o dall’invidia. Per di più la pace di quel nuovo mondo non
sarà turbata da persone che manifesteranno simili tratti malvagi. — Galati 5:19-21; 2 Pietro 3:13.
Eppure non tutta la gelosia è errata. La Bibbia afferma che Geova stesso “è un Dio geloso”. Cosa
significa questo? E cosa dice la Bibbia riguardo alla gelosia giusta? Al tempo stesso, come si può
dominare la propria gelosia errata? Si vedano gli articoli che seguono.

w95 15/9 7 L'invidioso


L’invidioso
NELLA lingua ebraica c’è un’unica parola base per “gelosia”. Quando si riferisce agli uomini imperfetti
essa si può tradurre “invidia” o “rivalità”. (Genesi 26:14; Ecclesiaste 4:4) La lingua greca invece ha più di
un termine per “gelosia”. La parola zèlos, come il suo equivalente ebraico, può indicare sia la gelosia
giusta che quella errata. Un’altra parola greca, fthònos, ha esclusivamente senso negativo. Nella
Traduzione del Nuovo Mondo è sempre resa “invidia”.
Com’era usata la parola fthònos nel greco antico? Un dizionario biblico dice: ‘A differenza dell’avido,
l’uomo che prova fthònos non desidera necessariamente le cose che gli altri, con suo disappunto, hanno;
semplicemente non sopporta l’idea che le abbiano. Differisce da chi compete in quanto la sua mira non è
quella di vincere, ma di impedire che vincano gli altri’. — The Anchor Bible Dictionary.
Spesso l’invidioso non si rende conto che la causa principale dei suoi problemi è il suo atteggiamento.
‘Una delle caratteristiche di fthònos’, spiega il medesimo dizionario, ‘è l’inconsapevolezza. L’uomo
fthoneròs, se chiamato a giustificare la sua condotta, ripeterà a se stesso e agli altri che le sue vittime si
meritano quel trattamento e che è la situazione ingiusta a indurlo a criticare. Se gli si chiede come fa a
parlare in quel modo di un amico, dirà che lo critica avendo a cuore i suoi migliori interessi’.
Gli evangelisti Matteo e Marco usano il termine greco fthònos per descrivere lo spirito che animava coloro
che si resero responsabili dell’uccisione di Gesù. (Matteo 27:18; Marco 15:10) Sì, erano mossi
dall’invidia. Lo stesso sentimento dannoso trasforma gli apostati in feroci odiatori dei loro ex fratelli. (1
Timoteo 6:3-5) Non sorprende che agli invidiosi sia precluso l’ingresso nel Regno di Dio! Geova Dio ha
decretato che tutti quelli che continuano a essere “pieni d’invidia . . . meritano la morte”. — Romani 1:29,
32; Galati 5:21.
[Foto a pagina 7]
Non lasciate che l’invidia rovini la vostra vita

w95 15/9 15 L'amore vince la gelosia errata


5 È vero che è più facile dirlo che farlo. Lo scrittore biblico Giacomo ci ricorda che in ogni essere umano
imperfetto c’è una “tendenza all’invidia”. (Giacomo 4:5) Il primo decesso fra gli esseri umani fu causato
dal fatto che Caino cedette alla gelosia errata. I filistei perseguitarono Isacco perché invidiosi della sua
crescente prosperità. Rachele era gelosa della sorella perché aveva partorito molti figli. I figli di Giacobbe
erano gelosi del favore mostrato al loro fratello minore Giuseppe. A quanto pare Miriam era gelosa della
cognata non israelita. Per invidia Cora, Datan e Abiram ordirono una cospirazione contro Mosè e
Aaronne. Il re Saul divenne geloso dei successi militari di Davide. Senza meno la gelosia fu uno dei
motivi delle continue discussioni fra i discepoli di Gesù riguardo a chi fosse il più grande fra loro. Il fatto è
che nessun essere umano imperfetto è completamente esente dalla peccaminosa “tendenza all’invidia”.
— Genesi 4:4-8; 26:14; 30:1; 37:11; Numeri 12:1, 2; 16:1-3; Salmo 106:16; 1 Samuele 18:7-9; Matteo
20:21, 24; Marco 9:33, 34; Luca 22:24.

w73 1/11 652-3 Vendicato il sangue degli innocenti


Vendicato il sangue degli innocenti
“Poiché, ecco, Geova uscirà dal suo luogo per chiedere conto dell’errore all’abitante del paese contro di
lui, e il paese per certo esporrà il suo spargimento di sangue e non coprirà più i suoi uccisi”. — Isa. 26:21.
DA QUANDO Geova cominciò a trattare con il genere umano dimostrò la sua alta considerazione per la
vita. Nello stesso tempo rese chiaro all’uomo che anch’egli deve rispettare la vita o altrimenti rispondere a
Geova della sua mancanza di riguardo. Non avendo tenuto conto della legge di Geova, le nazioni si sono
attirate il giusto giudizio di Geova, e il sangue innocente sparso nel corso dei secoli non può più essere
coperto o rimanere invendicato. Questo è reso del tutto sicuro dalle parole del profeta Isaia: “Poiché,
ecco, Geova uscirà dal suo luogo per chiedere conto dell’errore all’abitante del paese contro di lui, e il
paese per certo esporrà il suo spargimento di sangue e non coprirà più i suoi uccisi”. — Isa. 26:21.
2 I primi due uomini che si sa nacquero nella razza umana furono coinvolti in questa controversia dello
spargimento di sangue innocente quando l’offerta fatta a Geova da Abele fu accettata, mentre quella di
Caino non fu guardata con favore, “e Caino si accese di grande ira, e il suo viso era dimesso”.
Riconoscendo la minaccia rappresentata dall’ira di Caino per la vita di Abele, Geova avvertì Caino che
avrebbe potuto avere esaltazione solo volgendosi per fare il bene. Comunque, la ragione per cui Caino
non aveva ricevuto favore nell’offerta fatta a Geova, ‘Colui che legge i cuori’, divenne più manifesta
allorché l’errata attitudine di Caino si rivelò ulteriormente. (1 Sam. 16:7) Invece di umiliarsi per
riconoscere la legge di Geova e seguire l’esempio di suo fratello, preferì ignorare il consiglio di Dio di
padroneggiare il peccato che era “in agguato all’ingresso” e seguì la via che lo portò al violento
assassinio di suo fratello. (1 Giov. 3:12; Giuda 11) Un’ulteriore evidenza della sua attitudine fu la risposta
insensibile e menzognera che diede alla domanda di Geova su dov’era Abele: “Non lo so. Sono io il
guardiano di mio fratello?” Questa non era certo un’espressione di pentimento o di rimorso! Né la pretesa
innocenza di Caino poteva esonerarlo dalla responsabilità. Il giudizio di Geova fu emesso
immediatamente. “Ascolta! Il sangue di tuo fratello grida a me dalla terra. E ora sei maledetto, al bando
dalla terra, che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano”. — Gen. 4:4-
11.
3 Notate che Geova richiamò particolarmente l’attenzione sul fatto che il sangue di Abele era stato
versato in terra. Perché? Perché la vita è nel sangue e il sangue di Abele fu versato senza un motivo
giustificabile. Caino tolse la vita ad Abele, una vita che apparteneva a Dio, e il sangue che macchiò la
terra sulla scena del suo assassinio rese muta ma eloquente testimonianza alla vita che era stata
versata, gridando vendetta a Geova. Caino dovette rendersi conto che avendo tolto la vita ad Abele
aveva messo a repentaglio la sua propria vita, poiché si lamentò con Geova: “Dovrò divenire vagante e
fuggiasco sulla terra, ed è certo che chiunque mi troverà mi ucciderà”. (Gen. 4:14) Comunque, Geova gli
disse: “‘Per tale ragione chiunque ucciderà Caino dovrà subire vendetta sette volte’. E Geova pose
dunque un segno per Caino onde nessuno, trovandolo, lo colpisse a morte”. (Gen. 4:15) Il segno che
Geova pose su Caino aveva un significato inequivocabile, come attestò in seguito Lamec, discendente di
Caino, allorché compose queste parole: “Ho ucciso un uomo perché mi ha ferito, sì, un giovane perché
mi ha dato un colpo. Se Caino dev’essere vendicato sette volte, quindi Lamec settanta volte e sette”.
(Gen. 4:23, 24) La violenza crebbe sulla terra finché, nel giorno di Noè, Geova cancellò tutto ciò in cui era
attivo “l’alito della forza della vita”, dall’uomo alla bestia. Solo Noè e quelli che erano con lui nell’arca
furono risparmiati quando le acque del diluvio coprirono la terra. — Gen. 7:22, 23.

w81 1/7 19 Conviene reprimere il proprio orgoglio


A questo riguardo leggiamo: “Riprendi la persona saggia ed essa ti amerà”. “L’orecchio che ascolta la
riprensione della vita alberga proprio fra i saggi”. (Prov. 9:8; 15:31) Uno che agli inizi della storia umana
rifiutò di accettare la riprensione fu Caino. Geova Dio l’aveva avvertito, dicendo: “Il peccato è in agguato
all’ingresso, e la sua brama si volge verso di te; e tu, da parte tua, lo padroneggerai?” Per orgoglio Caino
rifiutò di ascoltare e divenne quindi un assassino messo al bando. (Gen. 4:7)

w86 15/7 17 Continuate a vivere come figli di Dio


Amate “con opera e verità”
12 Se imitassimo Caino, saremmo spiritualmente morti. (Leggi I Giovanni 3:13-15). Caino odiava tanto
suo fratello che arrivò al punto di ucciderlo, e non ci sorprende se il mondo in maniera simile ci odia, dato
che Gesù lo predisse. (Marco 13:13) Ma “noi sappiamo [o abbiamo fiducia] d’esser passati dalla morte
[spirituale] alla vita [eterna], perché amiamo i fratelli”, i nostri conservi testimoni di Geova. A motivo di
questo amore fraterno, unito alla fede in Cristo, non siamo più ‘morti’ nei falli e nei peccati, ma Dio ha
tolto da noi la Sua condanna, e noi siamo stati destati dalla morte spirituale, avendo ricevuto la speranza
della vita eterna. (Giovanni 5:24; Efesini 2:1-7) Gli apostati, che sono privi di amore, non nutrono questa
speranza, poiché “chi non ama rimane nella morte” spirituale.
13 In realtà, “chiunque odia il suo fratello è omicida”. Può non essere commesso un assassinio letterale
(come avvenne invece quando Caino uccise Abele per invidia e per odio), ma chi nutre odio preferirebbe
che il suo fratello spirituale non fosse in vita. Dato che Geova legge il cuore, colui che odia è condannato.
(Proverbi 21:2; confronta Matteo 5:21, 22). Questo impenitente “omicida” — che odia un proprio conservo
— non “ha la vita eterna dimorante in sé”. Perciò, se in segreto nutriamo odio nei confronti di uno
qualsiasi dei nostri conservi Testimoni, non dovremmo forse pregare Geova perché ci aiuti a cambiare il
nostro stato d’animo e a nutrire amore fraterno?

w96 15/6 4-5 Cosa significa amare Dio?


Cosa significa amare Dio?
CIRCA seimila anni fa nacque il primo bambino sulla terra. Dopo la sua nascita, la madre, Eva, disse: “Ho
prodotto un uomo con l’aiuto di Geova”. (Genesi 4:1) La sua dichiarazione rivela che, sebbene già
condannati a morte per la loro ribellione, Eva e il marito Adamo erano ancora consapevoli della Divinità di
Geova. In seguito ebbero un altro figlio. I due figli si chiamavano Caino e Abele.
Crescendo, i figli impararono sicuramente molto riguardo all’amore di Geova anche solo osservando la
creazione. Potevano ammirare gli splendidi colori della natura e la varietà di animali e piante. Dio aveva
dato loro non solo la vita, ma anche la capacità di goderla.
Appresero che i loro genitori erano stati creati perfetti e che l’originale proposito di Geova era che gli
uomini vivessero per sempre. Probabilmente Adamo ed Eva descrissero il bellissimo giardino di Eden e
in qualche modo spiegarono loro perché erano stati espulsi da quella dimora paradisiaca. Può darsi che
Caino e Abele fossero anche a conoscenza della profezia divina riportata in Genesi 3:15. Mediante quella
profezia Geova espresse il suo proposito di mettere le cose a posto a tempo debito per il bene di quelli
che lo amano e che si dimostrano leali a lui.
Acquistare conoscenza di Geova Dio e delle sue qualità deve aver suscitato in Caino e Abele il desiderio
di ottenerne l’approvazione. Così si accostarono a Geova presentandogli delle offerte. La Bibbia dice:
“Avvenne che dopo qualche tempo Caino portava dei frutti del suolo come offerta a Geova. Ma in quanto
ad Abele, anche lui portò dei primogeniti del suo gregge, perfino i loro pezzi grassi”. — Genesi 4:3, 4.
Il desiderio di avere l’approvazione di Dio costituì la base per stringere una relazione con lui. Col tempo
Caino si ribellò a Dio, mentre Abele continuò a essere mosso da sincero amore per lui. Abele non
avrebbe mai potuto stringere tale relazione con Geova Dio se non avesse prima acquistato conoscenza
della sua personalità e del suo proposito.
Anche voi potete acquistare conoscenza di Geova. Per esempio, tramite la Bibbia potete imparare che
Dio è una persona reale, non una forza impersonale che crea per puro caso. (Confronta Giovanni 7:28;
Ebrei 9:24; Rivelazione 4:11). La Bibbia insegna pure che Geova è ‘un Dio misericordioso e clemente,
lento all’ira e abbondante in amorevole benignità e verità’. — Esodo 34:6.
“Ubbidire è meglio del sacrificio”
Come illustra la storia di Caino e Abele, non basta avere conoscenza di Dio e provare il desiderio di
stringere un’intima relazione con lui. È vero che entrambi i fratelli si accostarono a Dio facendogli delle
offerte. Tuttavia, “mentre Geova guardava con favore ad Abele e alla sua offerta, non guardò con alcun
favore a Caino e alla sua offerta. E Caino si accese di grande ira, e il suo viso era dimesso”. — Genesi
4:3-5.
Perché Geova rigettò il sacrificio di Caino? C’era qualcosa che non andava nella qualità della sua offerta?
Geova si era forse offeso perché Caino aveva offerto i “frutti del suolo” invece che sacrifici animali? Non
necessariamente. In seguito Dio fu lieto di accettare offerte di cereali e di altri frutti del suolo da molti suoi
adoratori. (Levitico 2:1-16) Evidentemente c’era qualcosa che non andava nel cuore di Caino. Geova
poteva leggere il cuore di Caino e lo avvertì dicendo: “Perché ti accendi d’ira e perché il tuo viso è
dimesso? Se ti volgi per fare il bene, non ci sarà un’esaltazione? Ma se non ti volgi per fare il bene, il
peccato è in agguato all’ingresso, e la sua brama è verso di te”. — Genesi 4:6, 7.
Avere sincero amore per Dio significa più che fare semplicemente sacrifici. Per questo Geova incoraggiò
Caino a ‘volgersi per fare il bene’. Dio voleva ubbidienza. L’ubbidienza a Dio avrebbe aiutato Caino a
porre un buon fondamento per un’amorevole relazione con il Creatore. La Bibbia mette in risalto il valore
dell’ubbidienza dicendo: “Si diletta Geova degli olocausti e dei sacrifici quanto dell’ubbidienza alla voce di
Geova? Ecco, ubbidire è meglio del sacrificio e prestare attenzione è meglio del grasso dei montoni”. — 1
Samuele 15:22.
In seguito questo concetto fu chiaramente ribadito dalle parole di 1 Giovanni 5:3: “Questo è ciò che
significa l’amore di Dio, che osserviamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi”.
Non c’è modo migliore di dimostrare a Geova il nostro amore che sottometterci alla sua autorità. Questo
significa ubbidire al codice morale della Bibbia. (1 Corinti 6:9, 10) Significa amare ciò che è bene e odiare
ciò che è male. — Salmo 97:10; 101:3; Proverbi 8:13.
Un’importante espressione del nostro amore per Dio è l’amore per il prossimo. La Bibbia ci dice: “Se
qualcuno fa la dichiarazione: ‘Io amo Dio’, eppure odia il suo fratello, è bugiardo. Poiché chi non ama il
suo fratello, che ha visto, non può amare Dio, che non ha visto”. — 1 Giovanni 4:20.

w96 15/6 7 Cosa significa amare Dio?


Benché imperfetti, anche voi, come Caino e Abele avete la capacità potenziale di amare il vostro
Creatore. Caino fece la sua scelta: si unì a Satana e divenne il primo assassino umano. (1 Giovanni 3:12)
Abele, invece, sarà ricordato da Geova come un giusto, un uomo di fede, e sarà ricompensato con la vita
nel futuro Paradiso. — Ebrei 11:4.
Anche voi dovete scegliere. Con l’aiuto dello spirito di Dio e della sua Parola potete veramente amare Dio
‘con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la forza vitale’. (Deuteronomio 6:5) Geova, da parte sua,
continuerà ad amarvi, perché è “il rimuneratore di quelli che premurosamente lo cercano”. — Ebrei 11:6.
[Figura a pagina 7]
Il sacrificio di Abele fu accetto a Dio
Caleb (figlio di Iefunne) — Tema: Geova rende potenti coloro che lo seguono pienamente
1° CORINTI 16:13; 2°CORINTI 4:7; GIOSUÈ 14:8

it-1 389-90 Caleb


CALEB
(Càleb) [cane].
2. Figlio di Iefunne il chenizeo della tribù di Giuda, zio di Otniel e probabilmente discendente del n. 1. (Nu
32:12; Gsè 15:17; 1Cr 4:13, 15; vedi OTNIEL). A 40 anni Caleb fu uno dei 12 uomini mandati da Mosè a
esplorare per 40 giorni il paese di Canaan e, al ritorno, insieme a Giosuè affrontò l’opposizione di tutti gli
altri e fece un rapporto favorevole, dicendo: “Saliamo direttamente, ed è certo che ne prenderemo
possesso”. (Nu 13:6, 30; 14:6-9) Poiché aveva ‘seguito pienamente Geova suo Dio’ fu l’unico adulto di
quella generazione, a parte Giosuè e alcuni leviti, a entrare nella Terra Promessa nel 1473 a.E.V. Sei
anni dopo, all’età di 85 anni, Caleb dichiarò: “Ora, ecco, Geova mi ha conservato in vita, proprio come
promise, in questi quarantacinque anni da che Geova fece questa promessa a Mosè quando Israele
camminava nel deserto, e ora, ecco, oggi ho ottantacinque anni. Tuttavia oggi sono così forte come il
giorno che Mosè mi mandò. Come la mia potenza era allora, così la mia potenza è ora per la guerra, sia
per uscire che per entrare”. — Gsè 14:6-11.
La città di Ebron (la roccaforte chiamata Chiriat-Arba, tenuta dai giganteschi anachim) e il territorio
circostante che includeva la vicina Debir furono assegnati a Caleb come suo possedimento. In 1 Samuele
30:13, 14, dove si parla degli amalechiti che fecero un’incursione “a sud di Caleb”, non sembra ci si
riferisca a una città con tale nome, ma piuttosto alla regione assegnata a Caleb e che portava il suo
nome; quindi l’incursione avvenne ‘a sud del territorio di Caleb’.
Ricevendo tale possedimento, Caleb dichiarò: “Chiunque colpirà Chiriat-Sefer [chiamata anche Debir] e
in effetti la catturerà, certamente gli darò in moglie Acsa mia figlia”. Suo nipote Otniel (primo giudice
d’Israele dopo la morte di Giosuè) conquistò la città e ottenne il premio. Caleb diede allora a sua figlia,
dietro richiesta di lei, Gullot Superiore e Gullot Inferiore come dono di nozze, oltre al “pezzo di terra a
sud”. — Gsè 15:13-19; Gdc 1:11-15; 3:9-11.
Acsa è elencata come figlia di “Caleb fratello di Ierameel” (il Caleb n. 1), il quale visse circa un secolo e
mezzo prima di “Caleb figlio di Iefunne”. (1Cr 2:42, 49) Secondo alcuni commentatori ci sarebbe stato un
solo Caleb. Ma il notevole intervallo di tempo che separa Ezron, nipote di Giuda, dall’insediamento in
Canaan porta a escludere tale ipotesi. Altri dicono che entrambi i Caleb devono aver avuto figlie con lo
stesso nome. Tuttavia nelle genealogie le donne vengono menzionate solo quando hanno avuto un ruolo
notevole nella storia del popolo di Dio. E dato che ci fu una sola Acsa famosa, doveva essere la figlia del
secondo Caleb, il figlio di Iefunne. Altri commentatori ancora, pur non avendo il sostegno di nessuna
autorità testuale, ometterebbero dal versetto (1Cr 2:49) questa frase riguardante Acsa come aggiunta
erronea di uno scriba. È più probabile pensare che lo scrittore originale abbia intenzionalmente incluso
questa sintetica informazione nel versetto 49 per una ragione particolare, usando il termine “figlia” nel
senso più ampio di discendente per richiamare l’attenzione sul fatto che Acsa non solo era la figlia di
Caleb figlio di Iefunne, ma era anche una diretta discendente di Caleb figlio di Ezron.

w93 15/5 26-9 Seguite Geova pienamente?


Seguite Geova pienamente?
“I GIUSTI confidano come un giovane leone”. (Proverbi 28:1) Esercitano fede, seguono con fiducia la
Parola di Dio e continuano coraggiosamente a servire Geova anche di fronte al pericolo.
Quando nel XVI secolo a.E.V. gli israeliti erano nella penisola del Sinai dopo che Dio li aveva liberati dalla
schiavitù d’Egitto, due uomini in particolare mostrarono di confidare come leoni. Manifestarono anche
fedeltà a Geova in circostanze avverse. Uno dei due era l’efraimita Giosuè, assistente di Mosè e poi suo
successore. (Esodo 33:11; Numeri 13:8, 16; Deuteronomio 34:9; Giosuè 1:1, 2) L’altro era Caleb, figlio di
Iefunne, della tribù di Giuda. — Numeri 13:6; 32:12.
Caleb fece la volontà di Geova con zelo e lealtà. La sua lunga vita di fedele servizio a Dio gli permise di
dire che aveva ‘seguito pienamente Geova’. (Giosuè 14:8) “Fui pienamente fedele al Signore Dio mio”,
dice la versione della CEI. Caleb ‘seguì pienamente la volontà di Jahve suo Dio’, ‘continuò a confidare’ in
lui. (Garofalo; Nardoni) Secondo un’altra traduzione Caleb dichiarò: “Seguii il SIGNORE mio Dio con tutto
il cuore”. (New International Version) Che dire di voi? State seguendo Geova pienamente?
Mandati a esplorare il paese
Immaginate di trovarvi fra gli israeliti poco dopo che Dio li ha liberati dalla schiavitù d’Egitto. Notate com’è
fedele il profeta Mosè nel seguire i comandi che Dio gli dà. Sì, osservate quanta fiducia ha Caleb che
Geova è con il Suo popolo.
È il secondo anno dopo l’esodo dall’Egitto e gli israeliti sono accampati a Cades-Barnea nel deserto di
Paran. Si trovano al confine della Terra Promessa. Dietro ordine di Dio, Mosè sta per inviare in Canaan
12 esploratori. Egli dice: “Salite qui nel Negheb, e dovete salire nella regione montagnosa. E dovete
vedere qual è il paese e il popolo che vi dimora, se è forte o debole, se sono pochi o molti; e qual è il
paese in cui dimorano, se è buono o cattivo, e quali sono le città in cui dimorano, se è in accampamenti o
in fortificazioni; e qual è la terra, se è grassa o magra, se ci sono alberi o no. E vi dovete mostrare
coraggiosi e prendere dei frutti del paese”. — Numeri 13:17-20.
I 12 uomini partono per la loro pericolosa missione. La spedizione dura 40 giorni. A Ebron vedono uomini
di statura imponente. Nella valle di Escol notano la fertilità del paese e decidono di riportare indietro
alcuni frutti. Un grappolo d’uva è così pesante che dev’essere portato su una sbarra da due uomini! —
Numeri 13:21-25.
Tornati all’accampamento israelita, gli esploratori riferiscono: “Siamo entrati nel paese dove ci hai
mandati, e in realtà vi scorre latte e miele, e questi sono i suoi frutti. Ciò nonostante, c’è il fatto che il
popolo che dimora nel paese è forte, e le città fortificate sono grandissime; e, inoltre, vi abbiamo visto
quelli nati da Anac. Gli amalechiti dimorano nel paese del Negheb, e gli ittiti e i gebusei e gli amorrei
dimorano nella regione montagnosa, e i cananei dimorano presso il mare e presso la riva del Giordano”.
(Numeri 13:26-29) Dieci esploratori non hanno nessuna intenzione di eseguire gli ordini di Dio ed entrare
in forze nella Terra Promessa.
“Geova è con noi”
Mostrando fede in Geova Dio, l’intrepido esploratore Caleb invece esorta: “Saliamo direttamente, ed è
certo che ne prenderemo possesso, perché di sicuro potremo prevalere su di esso”. Ma i dieci esploratori
non sono d’accordo, sostenendo che gli abitanti di Canaan sono più forti degli israeliti. Quegli esploratori
pusillanimi e privi di fede si considerano in paragone come semplici cavallette. — Numeri 13:30-33.
“Geova è con noi. Non li temete”, esortano Caleb e Giosuè. Le loro parole cadono su orecchi sordi.
Quando il popolo parla di colpirli con pietre, Dio interviene e pronuncia questa sentenza contro i
mormoratori: “Non entrerete nel paese in cui alzai la mano in giuramento per risiedere con voi, eccetto
Caleb figlio di Iefunne e Giosuè figlio di Nun. E i vostri piccoli . . . questi pure certamente introdurrò, ed
essi in realtà conosceranno il paese che voi avete rigettato . . . E i vostri figli diverranno pastori nel
deserto per quarant’anni, . . . finché i vostri cadaveri giungano alla loro fine nel deserto. Secondo il
numero dei giorni che esploraste il paese, quaranta giorni, un giorno per un anno, un giorno per un anno,
risponderete dei vostri errori per quarant’anni”. — Numeri 14:9, 30-34.
Ancora fedeli dopo anni
La condanna dei 40 anni viene scontata e la morte reclama un’intera generazione di mormoratori. Ma
Caleb e Giosuè sono ancora fedeli a Dio. Nelle pianure di Moab, Mosè e il sommo sacerdote Eleazaro
hanno contato gli uomini in età di leva dai 20 anni in su. Da ogni tribù di Israele Dio sceglie un uomo a cui
affidare la ripartizione della Terra Promessa. Caleb, Giosuè ed Eleazaro sono fra loro. (Numeri 34:17-29)
Sebbene abbia ora 79 anni, Caleb è ancora vigoroso, leale e coraggioso.
Quando Mosè e Aaronne censirono il popolo nel deserto del Sinai poco prima che esso rifiutasse
pavidamente di entrare nel paese di Canaan, gli uomini di guerra di Israele erano 603.550. Dopo quattro
decenni nel deserto, l’esercito si era ridotto a 601.730 uomini. (Numeri 1:44-46; 26:51) Eppure, al
comando di Giosuè e col fedele Caleb nelle loro file, gli israeliti entrarono nella Terra Promessa e
passarono di vittoria in vittoria. Come Giosuè e Caleb avevano sempre sostenuto, Geova vinceva le
battaglie per conto del suo popolo.
Attraversato il fiume Giordano con i combattenti di Israele, gli attempati Giosuè e Caleb fanno la loro
parte nelle successive battaglie. Dopo sei anni di guerra, però, buona parte del paese dev’essere ancora
occupata. Geova ne scaccerà gli abitanti, ma ora decreta che il paese sia diviso a sorte fra le tribù
d’Israele. — Giosuè 13:1-7.
Seguì Geova pienamente
Veterano di molte battaglie, Caleb sta davanti a Giosuè e dice: “Io avevo quarant’anni quando Mosè
servitore di Geova mi mandò da Cades-Barnea per esplorare il paese, e venni, riportandogli parola
proprio come era in cuor mio. E i miei fratelli che salirono con me fecero struggere il cuore del popolo; ma
in quanto a me, io seguii pienamente Geova mio Dio”. (Giosuè 14:6-8) Sì, Caleb ha seguito Geova
pienamente, facendo lealmente la volontà di Dio.
“Di conseguenza”, aggiunge Caleb, “Mosè giurò quel giorno, dicendo: ‘Il paese che il tuo piede ha calcato
diverrà tuo e dei tuoi figli come eredità a tempo indefinito, perché hai seguito pienamente Geova mio Dio’.
Ed ora, ecco, Geova mi ha conservato in vita, proprio come promise, in questi quarantacinque anni da
che Geova fece questa promessa a Mosè quando Israele camminava nel deserto, e ora, ecco, oggi ho
ottantacinque anni. Tuttavia oggi sono così forte come il giorno che Mosè mi mandò. Come la mia
potenza era allora, così la mia potenza è ora per la guerra, sia per uscire che per entrare. E ora dammi
questa regione montagnosa che Geova promise quel giorno, poiché tu stesso udisti quel giorno che là
c’erano gli anachim e città grandi e fortificate. Probabilmente Geova sarà con me, e certamente li
spodesterò, proprio come Geova promise”. A questo punto Caleb riceve Ebron in eredità. — Giosuè 14:9-
15.
All’anziano Caleb è stato assegnato il territorio più difficile: una regione infestata da uomini di statura
straordinaria. Ma la cosa non spaventa questo guerriero 85enne. Col tempo i prepotenti abitanti di Ebron
vengono sconfitti. Otniel, figlio del fratello minore di Caleb e giudice di Israele, cattura Debir. Entrambe le
città vengono in seguito occupate dai leviti ed Ebron diviene una città di rifugio per l’omicida involontario.
— Giosuè 15:13-19; 21:3, 11-16; Giudici 1:9-15, 20.
Seguite sempre Geova pienamente
Caleb e Giosuè erano uomini imperfetti. Nondimeno compirono fedelmente la volontà di Dio. La loro fede
non si affievolì durante i difficili 40 anni che dovettero trascorrere nel deserto a causa della disubbidienza
degli israeliti. Similmente gli odierni servitori di Dio non permettono che nulla interferisca col loro servizio
alla lode di Dio. Consapevoli che è in corso una lotta fra l’organizzazione di Dio e quella di Satana il
Diavolo, rimangono saldi e si sforzano di continuo di piacere al loro Padre celeste in ogni cosa.
Per esempio, molti servitori di Geova hanno rischiato brutali maltrattamenti e persino la morte per
celebrare il Pasto Serale del Signore, la Commemorazione della morte di Gesù Cristo. (1 Corinti 11:23-
26) Ecco cosa narrò a questo riguardo una donna cristiana internata in un campo di concentramento
nazista durante la seconda guerra mondiale:
“Fu detto a tutti di essere nella lavanderia alle 23,00. Esattamente alle 23,00 ci riunimmo, in numero di
105. Stemmo stretti insieme in cerchio, in mezzo [al quale era] uno sgabello con un panno bianco che
portava gli emblemi. Una candela illuminava la stanza, poiché la luce elettrica avrebbe potuto tradirci. Ci
sentivamo come i primitivi cristiani nelle catacombe. Era una festa solenne. Esprimemmo di nuovo i nostri
ferventi voti al nostro Padre di usare tutta la nostra forza per la rivendicazione del Suo santo nome, di
mantenerci fedeli alla Teocrazia”.
Nonostante le prove e le persecuzioni che affrontiamo come servitori di Geova, possiamo confidare nella
forza che Dio dà per servirlo coraggiosamente e recare onore al suo santo nome. (Filippesi 4:13) Mentre
ci sforziamo di piacere a Geova, ci sarà utile ricordare Caleb. Il suo esempio nel seguire Geova
pienamente fece una profonda impressione a un giovane che intraprese l’opera di predicazione a tempo
pieno nel lontano 1921. Egli scrisse:
“Benché divenire pioniere significasse abbandonare il mio rimunerativo lavoro in una moderna stamperia
di Coventry [in Inghilterra], non vi fu nessun rimpianto. La mia dedicazione aveva già definito la
questione; la mia vita era dedicata a Dio. Rammentai Caleb, che entrò nella Terra Promessa con Giosuè
e di cui fu detto che ‘seguì pienamente Geova’. (Gios. 14:8) Questa mi sembrò la giusta attitudine.
Sapevo che servire Dio ‘pienamente’ avrebbe reso la mia vita di dedicazione più importante; mi avrebbe
offerto maggiori possibilità di produrre i frutti che identificano il cristiano”.
Caleb fu sicuramente benedetto per aver servito Geova pienamente e con lealtà, cercando sempre di
fare la Sua volontà. Come lui, altri hanno ricevuto grande gioia e ricche benedizioni servendo Dio. Possa
dirsi altrettanto di voi mentre continuate a servire Geova pienamente.
[Figura a pagina 26]
Caleb e Giosuè furono fedeli a Geova nella prova. E voi?

w93 15/11 14-15 Camminate con coraggio nelle vie di Geova


Coraggio di ‘seguire Geova pienamente’
13 I coraggiosi Giosuè e Caleb dimostrarono che si può camminare nelle vie di Dio. ‘Seguirono Geova
pienamente’. (Numeri 32:12) Giosuè e Caleb furono tra i 12 uomini mandati in ricognizione nella Terra
Promessa. Temendo gli abitanti, dieci di questi esploratori cercarono di dissuadere Israele dall’entrare in
Canaan. Invece Giosuè e Caleb dissero coraggiosamente: “Se Geova ha provato diletto in noi,
certamente ci introdurrà in quel paese e ce lo darà, un paese dove scorre latte e miele. Solo non vi
ribellate contro Geova; e voi, non temete il popolo del paese, poiché sono pane per noi. Il loro riparo si è
ritirato di sopra a loro, e Geova è con noi. Non li temete”. (Numeri 14:8, 9) Mancando di fede e di
coraggio, quella generazione di israeliti non entrò mai nella Terra Promessa. Ma Giosuè e Caleb, insieme
alla nuova generazione, vi entrarono.
14 Dio disse a Giosuè: “Sii coraggioso e molto forte per aver cura di fare secondo tutta la legge che Mosè
mio servitore ti ha comandato. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, affinché tu agisca con
saggezza dovunque tu vada. Questo libro della legge non si deve allontanare dalla tua bocca, e vi devi
leggere sottovoce giorno e notte, per aver cura di fare secondo tutto ciò che c’è scritto; poiché allora avrai
successo nella tua via e allora agirai con saggezza”. — Giosuè 1:7, 8.
15 Giosuè mise in pratica quelle parole, e Gerico e altre città caddero nelle mani degli israeliti. Dio fece
addirittura fermare il sole così che continuò a risplendere finché Israele non ebbe completato la sua
vittoria a Gabaon. (Giosuè 10:6-14) Quando si trovò in pericolo a causa di una coalizione di forze
nemiche ‘così numerose come i granelli di sabbia che sono sulla spiaggia del mare’, Giosuè agì
coraggiosamente e Dio diede ancora una volta la vittoria a Israele. (Giosuè 11:1-9) Anche se, come
Giosuè e Caleb, siamo uomini imperfetti, possiamo seguire Geova Dio pienamente, ed egli ci darà la
forza per camminare con coraggio nelle sue vie.
Cam — Tema: La mancanza di rispetto può avere tristi conseguenze GENESI 9:24, 25

it-1 395 Cam


CAM
1. Uno dei tre figli di Noè, nati dopo il 2470 a.E.V. (Ge 5:32; 7:6; 11:10) Forse era il figlio minore (Ge
9:24); comunque è menzionato per secondo in Genesi 5:32; 6:10 e altrove. In Genesi 10:21 Sem è
chiamato “fratello di Iafet il maggiore”. Alcuni ritengono che l’espressione “figlio più giovane” in Genesi
9:24 si riferisca a Canaan nipote di Noè. — Vedi CANAAN, CANANEO n. 1.
Cam ebbe quattro figli: Cus, Mizraim, Put e Canaan. (Ge 10:6; 1Cr 1:8) Da questi figli discesero gli etiopi,
gli egiziani, alcune tribù arabe e africane, e i cananei. Benché si affermi che alcune delle tribù e nazioni
camitiche menzionate in Genesi capitolo 10 parlassero una lingua semitica, ciò non esclude che fossero
di discendenza camitica, o che in origine parlassero una lingua camitica. Molti popoli adottavano la lingua
dei conquistatori o di altri popoli con cui avevano stretti contatti, oppure la lingua del paese in cui erano
emigrati.
Cam si sposò prima del Diluvio e sopravvisse ad esso, insieme a sua moglie, suo padre, sua madre e i
suoi due fratelli con le loro mogli. (Ge 6:18; 7:13; 8:15, 16, 18; 1Pt 3:19, 20) I figli di Cam nacquero dopo
il Diluvio.
Qualche tempo dopo egli fu implicato nell’episodio che portò alla maledizione di suo figlio Canaan. Noè si
era ubriacato di vino e si era scoperto nella sua tenda. Cam vide la nudità del padre, e invece di mostrare
giusto rispetto al capofamiglia, al servitore e profeta per mezzo del quale Dio aveva preservato la razza
umana, riferì ai due fratelli ciò che aveva visto. Sem e Iafet mostrarono il giusto rispetto camminando
all’indietro per coprire il padre con un mantello, in modo da non disonorarlo guardandone la nudità. Al suo
risveglio Noè pronunciò una maledizione non su Cam, ma su Canaan figlio di Cam. Nella successiva
benedizione di Sem, che includeva una benedizione anche per Iafet, Cam fu trascurato e ignorato; solo
Canaan fu menzionato come maledetto, e fu profetizzato che sarebbe diventato schiavo di Sem e di Iafet.
— Ge 9:20-27.
È possibile che Canaan stesso sia stato direttamente implicato nell’episodio e che suo padre Cam abbia
mancato di correggerlo. Oppure Noè, parlando profeticamente sotto ispirazione, previde che le
inclinazioni cattive di Cam, forse già evidenti in suo figlio Canaan, sarebbero state ereditate dalla
progenie di Canaan. La maledizione fu in parte adempiuta quando gli israeliti, che erano semiti,
soggiogarono i cananei. Quelli che non furono distrutti (ad esempio i gabaoniti [Gsè 9]) furono resi schiavi
da Israele. Secoli dopo, la maledizione ebbe un ulteriore adempimento quando i discendenti di Canaan,
figlio di Cam, vennero a trovarsi sotto il dominio di potenze mondiali iafetiche come la Media-Persia, la
Grecia e Roma.
Alcuni hanno erroneamente sostenuto che la razza nera e la schiavitù di persone di quella razza fossero
il risultato della maledizione pronunciata su Canaan. Ma i discendenti di Canaan, il maledetto, non erano
di razza nera. La razza nera discende da Cus e forse da Put, altri figli di Cam che non ebbero nulla a che
fare con quell’episodio o con la maledizione.

w83 1/8 14 Genesi infonde fede, speranza e coraggio


⌠ 9:24, 25 — Perché Noè maledisse Canaan quando il colpevole era stato Cam?
Molto probabilmente Canaan fu colpevole di qualche offesa o perversione contro la persona di suo nonno
Noè, e Cam aveva assistito senza intervenire. Anzi, sembra che Cam figlio di Noè abbia divulgato la
cosa, mentre Sem e Iafet agirono per coprire il padre. Perciò essi furono benedetti, il probabile
perpetratore Canaan fu maledetto, e Cam che era stato a vedere e ne aveva parlato in giro soffrì per la
vergogna che ricadde sulla sua progenie. Anche se le Scritture non forniscono tutti i particolari, il punto
importante è che Geova Dio fece pronunciare a Noè la profezia e ne determinò l’adempimento quando i
cananei che non erano stati annientati dagli israeliti furono ridotti schiavi di quei discendenti di Sem. —
Giosuè 9:23; I Re 9:21. (APP. LEVITICO 5:1)
Ciro — Tema: La parola di Dio si avvera sempre ISAIA 55:10, 11

it-1 496-9 Ciro


CIRO
Fondatore dell’impero persiano e conquistatore di Babilonia, detto “Ciro il Grande” per distinguerlo dal
nonno Ciro I.
Dopo la vittoria sull’impero babilonese, secondo un documento in caratteri cuneiformi noto come Cilindro
di Ciro, egli avrebbe detto: “Io sono Ciro, re del mondo, gran re, re legittimo, re di Babilonia, re di Sumer e
Akkad, re delle quattro estremità (della terra), figlio di Cambise (Ka-am-bu-zi-ia), gran re, re di Anzan,
nipote di Ciro [I], . . . discendente di Teispe, . . . di una famiglia (che) ha sempre regnato”. (Ancient Near
Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, p. 316) È dunque dimostrato che Ciro era della dinastia dei
re di Anzan, città o regione la cui ubicazione è piuttosto incerta. Alcuni la collocano sui monti a N
dell’Elam, ma in genere si pensa si trovasse a E dell’Elam. Questa dinastia di re è detta degli
Achemenidi, da Achemene padre di Teispe.
La storia dei primi anni di Ciro II è piuttosto oscura, poiché dipende in gran parte dalle descrizioni
alquanto fantasiose di Erodoto (storico greco del V secolo a.E.V.) e di Senofonte (scrittore greco vissuto
mezzo secolo più tardi). Comunque entrambi presentano Ciro come il figlio del sovrano persiano
Cambise e di sua moglie Mandane, figlia di Astiage, re dei medi. (Erodoto, I, 107, 108; Senofonte,
Ciropedia, I, ii, 1) Tale parentela di Ciro coi medi è negata da Ctesia, altro storico greco della stessa
epoca, il quale sostiene invece che Ciro divenne genero di Astiage avendone sposato la figlia Amiti.
Ciro succedette al padre Cambise I sul trono di Anzan, allora sotto l’egemonia di Astiage re di Media.
Diodoro Siculo (del I secolo a.E.V.) pone l’inizio del regno di Ciro nel primo anno della 55a Olimpiade,
cioè nel 560-559 a.E.V. Erodoto dice che Ciro si ribellò alla dominazione dei medi e, a motivo della
defezione delle truppe di Astiage, riportò una facile vittoria e conquistò Ecbatana, capitale della Media.
Secondo la Cronaca di Nabonedo, il re Ishtumegu (Astiage) “radunò le sue truppe e marciò contro Ciro,
re di Anzan, per affron[tarlo in combattimento]. L’esercito di Ishtumegu [Astiage] si ribellò contro di lui e in
ceppi con[segnarono lui] a Ciro”. (Ancient Near Eastern Texts, cit. p. 305) Ciro riuscì ad accattivarsi la
lealtà dei medi, e da allora in poi medi e persiani combatterono uniti al suo comando. Negli anni seguenti
Ciro si accinse a consolidare il suo dominio sulla parte occidentale dell’impero medo, raggiungendo il
confine orientale del regno di Lidia presso il fiume Halys in Asia Minore.
Successivamente Ciro sconfisse Creso re di Lidia e conquistò Sardi. Poi sottomise le città ioniche
annettendo tutta l’Asia Minore all’impero persiano. Così, nel giro di pochi anni, Ciro era diventato il
principale rivale di Babilonia e del suo re, Nabonedo.
Conquista di Babilonia. Ciro ora era pronto ad affrontare la potente Babilonia e, specie da quel
momento in poi, ebbe una parte nell’adempimento della profezia biblica. Nell’ispirata profezia di Isaia
sulla ricostruzione di Gerusalemme e del suo tempio, questo re persiano era stato indicato per nome
come l’uomo a cui Geova Dio avrebbe affidato l’incarico di abbattere Babilonia e liberare gli ebrei che vi
sarebbero stati esiliati. (Isa 44:26–45:7) Anche se questa profezia fu scritta oltre 150 anni prima che Ciro
salisse al potere e la desolazione di Giuda evidentemente ebbe luogo prima della sua nascita, Geova
aveva dichiarato che Ciro sarebbe stato il Suo “pastore” a favore del popolo ebraico. (Isa 44:28; cfr. Ro
4:17). In virtù di tale nomina anticipata Ciro fu chiamato l’“unto” (forma dell’ebraico mashìach, messia, e
del greco christòs, cristo) di Geova. (Isa 45:1) Il fatto che Geova Dio ‘lo chiamasse per nome’ (Isa 45:4)
già tanto tempo prima non significa che fosse Lui a fargli mettere nome Ciro alla nascita, ma piuttosto che
preconobbe che sarebbe sorto un uomo con tale nome e che l’invito rivoltogli non sarebbe stato anonimo,
ma diretto e specifico.
Quindi, all’insaputa del re Ciro, che probabilmente era pagano e devoto zoroastriano, Geova Dio aveva
figurativamente “preso la [sua] destra” per guidarlo o rafforzarlo, cingendolo e preparandogli o
spianandogli la via per attuare il Suo proposito: la conquista di Babilonia. (Isa 45:1, 2, 5) Essendo Colui
che annuncia “dal principio il termine, e da molto tempo fa le cose che non sono state fatte”, l’Iddio
Onnipotente aveva determinato le circostanze delle vicende umane in modo da portare a termine il suo
consiglio. Aveva chiamato Ciro “dal levante”, dalla Persia (a E di Babilonia), dove sorgeva Pasargade, la
capitale preferita, e Ciro doveva essere simile a un “uccello da preda” nel piombare rapidamente su
Babilonia. (Isa 46:10, 11) Si noti che, secondo l’Encyclopædia Britannica (1910, vol. X, p. 454), “i persiani
portavano un’aquila fissata all’estremità di un’asta, e anche il sole, essendo una loro divinità, era
rappresentato sui loro stendardi, che . . . erano gelosamente sorvegliati dagli uomini più valorosi
dell’esercito”.
In che modo Ciro deviò le acque dell’Eufrate?
Le profezie bibliche relative alla conquista di Babilonia da parte di Ciro predicevano che i fiumi di
Babilonia si sarebbero prosciugati e che le sue porte sarebbero state lasciate aperte, che ci sarebbe stata
una repentina invasione della città e che i soldati di Babilonia non avrebbero opposto resistenza. (Isa
44:27; 45:1, 2; Ger 50:35-38; 51:30-32) Erodoto descrive un grande e profondo fossato che circondava
Babilonia, riferendo che numerose porte di bronzo (o di rame) permettevano di attraversare le mura
interne lungo l’Eufrate che tagliava in due la città. Nell’assediare la città, secondo Erodoto (I, 191), Ciro,
“per mezzo di un canale avendo immesso le acque dell’Eufrate nel bacino scavato [il lago artificiale che si
supponeva opera della regina Nitocri] che era allo stato di palude, fece sì che, abbassandosi il livello del
fiume, il vecchio letto diventasse guadabile. Ottenuto un tale risultato, i Persiani che avevano ricevuto gli
ordini proprio in vista di questo . . . entrarono in Babilonia. Se i Babilonesi fossero stati informati in
precedenza di ciò che Ciro intendeva fare, o se ne fossero accorti, essi dopo aver lasciato entrare i
Persiani in città li avrebbero distrutti nel peggiore dei modi. Infatti, sbarrate le piccole porte che davano
sul fiume e saliti essi stessi sul muraglione che avevano costruito lungo le rive del fiume, li avrebbero
presi come in una rete. Ora invece i Persiani si trovarono loro davanti all’improvviso. Data la grande
estensione della città, a quanto raccontano gli abitanti stessi, erano già in mano dei nemici i quartieri
estremi della città, quando i Babilonesi che abitavano il centro non sapevano ancora di essere presi; ma
in quel momento si davano alla danza (capitava infatti, che per loro fosse giorno di festa) e alla pazza
gioia, finché anche troppo vennero a conoscere lo stato delle cose. [Cfr. Da 5:1-4, 30; Ger 50:24; 51:31,
32]. In questo modo allora fu presa Babilonia per la prima volta”.
La descrizione di Senofonte differisce in alcuni particolari, ma contiene gli stessi elementi fondamentali di
quella di Erodoto. Senofonte dice che Ciro riteneva quasi impossibile prendere d’assalto le possenti mura
di Babilonia e quindi riferisce che pose l’assedio alla città, deviando le acque dell’Eufrate in canali e,
mentre la città stava celebrando una festa, fece risalire ai suoi uomini il greto del fiume fin oltre le mura
della città. Le guardie furono prese alla sprovvista e le truppe al comando di Gobria e Gadata
penetrarono nella città attraverso le porte stesse del palazzo. In una sola notte “la città fu conquistata e il
re ucciso”, e i soldati babilonesi che occupavano le varie fortificazioni si arresero la mattina dopo. —
Ciropedia, VII, v, 33; cfr. Ger 51:30.
Lo storico ebreo Giuseppe Flavio, citando la storia della conquista di Ciro scritta dal sacerdote babilonese
Beroso (del III secolo a.E.V.), dice quanto segue: “Nel diciassettesimo anno del regno di [Nabonedo],
Ciro venne dalla Persia con un grande esercito, e, avendo già conquistato tutto il resto dell’Asia, giunse in
gran fretta nella Babilonia. Quando Nabonedo si rese conto che avanzava per attaccarlo, radunò il suo
esercito e si oppose a lui; ma, sconfitto, fuggì con pochi uomini e si rinchiuse nella città di Borsippa [città
sorella di Babilonia]. Al che Ciro prese Babilonia e diede ordine che le mura esterne fossero demolite,
perché la città gli aveva causato molti guai ed era stato difficile prenderla. Poi marciò alla volta di
Borsippa per assediare Nabonedo; ma essendosi Nabonedo arreso senza opporre resistenza, fu
dapprima trattato benignamente da Ciro, che lo espulse dalla Babilonia ma gli permise di risiedere in
Carmania, dove trascorse il resto della sua vita e morì”. (Contro Apione, I, 150-153, [20]) Questa
descrizione si distingue dalle altre soprattutto per quanto dice delle attività di Nabonedo e dei rapporti che
Ciro ebbe con lui. Ma è d’accordo con la Bibbia dove si legge che Baldassarre, e non Nabonedo, fu il re
che venne ucciso la notte della caduta di Babilonia. — Vedi BALDASSARRE.
Le tavolette con iscrizioni cuneiformi scoperte dagli archeologi, pur non fornendo particolari sull’esatto
svolgimento della conquista, confermano la subitanea resa di Babilonia a Ciro. Secondo la Cronaca di
Nabonedo, in quello che risultò essere l’ultimo anno del regno di Nabonedo (539 a.E.V.), nel mese di
tishri (settembre-ottobre), Ciro attaccò gli eserciti babilonesi a Opis e li sconfisse. L’iscrizione prosegue:
“Il 14° giorno, Sippar fu presa senza combattere. N abonedo fuggì. Il 16° giorno, Gobria ( Ugbaru)
governatore di Gutium e l’esercito di Ciro entrarono a Babilonia senza combattere. Dopo di che
Nabonedo fu imprigionato a Babilonia quando (vi) tornò. . . . Nel mese di arahshamnu [marchesvan
(ottobre-novembre)], il 3° giorno, Ciro entrò a Bab ilonia”. (Ancient Near Eastern Texts, cit., p. 306) Grazie
a questa iscrizione si può stabilire la data della caduta di Babilonia il 16 tishri del 539 a.E.V., e l’entrata di
Ciro 17 giorni più tardi, il 3 marchesvan.
Inizia la dominazione mondiale ariana. Con questa vittoria Ciro pose fine alla dominazione di sovrani
semiti sulla Mesopotamia e sul Medio Oriente e fondò la prima potenza mondiale di origine ariana. Il
Cilindro di Ciro, documento in cuneiforme che gli storici ritengono fosse scritto per essere esposto a
Babilonia, ha un carattere decisamente religioso e descrive Ciro nell’atto di attribuire il merito della vittoria
a Marduk, il principale dio di Babilonia: “Egli [Marduk] scrutò ed esaminò tutti i paesi, alla ricerca di un
sovrano giusto disposto a condurlo . . . (nella processione annuale). (Quindi) pronunciò il nome di Ciro
(Ku-ra-as), re di Anzan, lo dichiarò (lett. pronunciò [il suo] nome) sovrano di tutto il mondo. . . . Marduk, il
gran signore, protettore del suo popolo, dei suoi adoratori, osservò con piacere le sue buone azioni e la
sua mente (lett. cuore) retta (e perciò) gli ordinò di marciare contro Babilonia (Ká.dingir.ra) sua città. Gli
fece prendere la strada di Babilonia (DIN.TIRki) camminando al suo fianco come un vero amico. Le sue
truppe innumerevoli, copiose come le acque di un fiume, lo accompagnavano con le armi nel fodero.
Senza colpo ferire, lo fece entrare a Babilonia (Su.an.na) sua città, evitando a Babilonia (Ká.dingir.raki)
qualsiasi calamità”. —Ancient Near Eastern Texts, cit., p. 315.
Perché il Cilindro di Ciro spiega la caduta di Babilonia in maniera diversa dalla Bibbia?
Nonostante questa interpretazione pagana degli avvenimenti, la Bibbia spiega che, nell’emanare il
proclama che autorizzava gli ebrei esiliati a tornare a Gerusalemme per ricostruirvi il tempio, Ciro
riconobbe: “Geova l’Iddio dei cieli mi ha dato tutti i regni della terra, ed egli stesso mi ha incaricato di
edificargli una casa a Gerusalemme, che è in Giuda”. (Esd 1:1, 2) Ciò naturalmente non significa che Ciro
si fosse convertito all’ebraismo, ma semplicemente che conosceva i fatti biblici relativi alla sua vittoria.
Visto che Daniele ricopriva un’alta carica amministrativa, sia prima che dopo la caduta di Babilonia (Da
5:29; 6:1-3, 28), sarebbe stato molto strano che Ciro non fosse informato delle profezie che i profeti di
Geova avevano pronunciato e scritto, inclusa la profezia di Isaia che conteneva il suo stesso nome. In
quanto al succitato Cilindro di Ciro, è risaputo che altri oltre il re possono aver contribuito alla stesura di
tale documento in cuneiforme. G. Ernest Wright (Biblical Archaeology, 1963, p. 203), parla “del re, o
dell’ufficio che ideò il documento” (cfr. il caso simile di Dario in Da 6:6-9), mentre il dottor Emil G. Kraeling
(Rand McNally Bible Atlas, 1966, p. 328) definisce il Cilindro di Ciro “un documento propagandistico
composto dai sacerdoti babilonesi”. Può senz’altro essere stato redatto sotto l’influenza del clero
babilonese (Ancient Near Eastern Texts, cit., p. 315, nt. 1), servendo così allo scopo di trovare una
spiegazione per la completa incapacità di Marduk (noto anche come Bel) e degli altri dèi babilonesi di
salvare la città, arrivando ad attribuire a Marduk proprio quello che aveva fatto Geova. — Cfr. Isa 46:1, 2;
47:11-15.
Il decreto di Ciro per il ritorno dall’esilio. Decretando la fine dell’esilio degli ebrei, Ciro assolse il suo
incarico di ‘unto pastore’ di Geova a favore di Israele. (2Cr 36:22, 23; Esd 1:1-4) Il proclama fu emanato
“nel primo anno di Ciro re di Persia”, cioè nel suo primo anno di regno sulla conquistata Babilonia. In
Daniele 9:1 la Bibbia parla del “primo anno di Dario”, anno che può essere intercorso fra la caduta di
Babilonia e il “primo anno di Ciro” su Babilonia. Se così fu, questo significherebbe che secondo lo
scrittore l’inizio del primo anno di Ciro era forse da collocarsi verso la fine del 538 a.E.V. Se invece si
considera la posizione di Dario simile a quella di un viceré, e il suo regno contemporaneo a quello di Ciro,
secondo l’usanza babilonese il primo anno di regno di Ciro andrebbe dal nisan del 538 al nisan del 537
a.E.V.
In base a quanto dice la Bibbia, il decreto di Ciro che permetteva agli ebrei di tornare a Gerusalemme fu
probabilmente emanato alla fine del 538 o all’inizio del 537 a.E.V. Così gli ebrei esiliati avrebbero avuto il
tempo di prepararsi a partire da Babilonia, compiere il lungo viaggio fino in Giuda e Gerusalemme
(viaggio che secondo Esd 7:9 poteva richiedere quattro mesi circa) e sistemarsi in Giuda “nelle loro città”
entro il “settimo mese” (tishri) del 537 a.E.V. (Esd 3:1, 6) Questo segnò la fine dei predetti 70 anni di
desolazione di Giuda iniziati nello stesso mese di tishri del 607 a.E.V. — 2Re 25:22-26; 2Cr 36:20, 21.
La cooperazione di Ciro con gli ebrei era in netto contrasto col trattamento riservato loro da precedenti
sovrani pagani. Egli restituì i preziosi utensili del tempio che Nabucodonosor II aveva portato a Babilonia,
permise agli ebrei di importare legname di cedro dal Libano, e autorizzò lo stanziamento di fondi dalla
casa del re per coprire le spese di costruzione. (Esd 1:7-11; 3:7; 6:3-5) Secondo il Cilindro di Ciro
(ILLUSTRAZIONE, vol. 2, ⇒it-2 ⇐p. 332), il sovrano persiano seguì una politica generalmente
umanitaria e tollerante verso i popoli vinti del suo reame. L’iscrizione riporta le sue parole: “Ho restituito a
[certe già menzionate] città sacre sull’altra riva del Tigri, i cui santuari erano in rovina da molto tempo, le
immagini che (solevano) dimorarvi e stabilii per quelle santuari permanenti. Ho (inoltre) radunato tutti (i
precedenti) abitanti e (a quelli) ho restituito le loro abitazioni”. — Ancient Near Eastern Texts, cit., p. 316.
Oltre al proclama reale citato in Esdra 1:1-4, la Bibbia parla di un altro documento di Ciro, una “memoria”
depositata nell’archivio di Ecbatana in Media e scoperta durante il regno di Dario il Persiano. (Esd 5:13-
17; 6:1-5) A proposito di questo secondo documento, il prof. G. Ernest Wright dice: “È esplicitamente
intitolato dikrona, termine ufficiale aramaico per un memorandum che conteneva una decisione orale del
re o di un altro funzionario e che avviava un’azione amministrativa. Non era mai destinato alla
pubblicazione ma poteva essere consultato solo dal funzionario addetto, dopo di che era depositato negli
archivi di stato”. — Biblical Archaeology, cit., p. 203.
Morte e significato profetico. Si ritiene che Ciro sia caduto in battaglia nel 530 a.E.V., anche se le
notizie sono piuttosto confuse. Prima della sua morte, il figlio Cambise II gli si affiancò nel regno, e gli
succedette come sovrano unico sul trono di Persia quando Ciro morì.
Le profezie relative all’improvvisa caduta della simbolica Babilonia la Grande contenute nel libro di
Rivelazione coincidono negli aspetti principali con la descrizione della conquista della città letterale di
Babilonia per opera di Ciro. (Cfr. Ri 16:12; 18:7, 8 con Isa 44:27, 28; 47:8, 9). Il re alla testa delle
poderose forze militari descritte subito dopo il resoconto della caduta della simbolica Babilonia non è però
un re umano, bensì la celeste “Parola di Dio”, Gesù Cristo, il vero Pastore unto da Geova. — Ri 19:1-3,
11-16.

w77 15/5 314-6 Ciro, un uomo il cui ruolo fu profetizzato


Ciro, un uomo il cui ruolo fu profetizzato
DI POCHI uomini in tutto il corso della storia umana fu predetto lo specifico ruolo che avrebbero avuto nel
proposito di Dio. Ciro figlio di Cambise e fondatore dell’Impero Persiano fu tuttavia uno di questi. La sua
conquista di Babilonia nel 539 a.E.V. e la conseguente liberazione dei Giudei dall’esilio erano state
predette molto tempo prima della sua nascita.
Già nell’ottavo secolo a.E.V. Geova aveva predetto per mezzo del profeta Isaia:
“‘Io, Geova, faccio ogni cosa . . . Colui che faccio avverare la parola del suo servitore, e Colui che eseguo
completamente il consiglio dei suoi propri messaggeri; Colui che dico di Gerusalemme: “Sarà abitata”, e
delle città di Giuda: “Saranno riedificate, e ne erigerò i luoghi desolati”; Colui che dico alle acque
dell’abisso: “Prosciugatevi; e farò seccare tutti i vostri fiumi”; Colui che dico di Ciro: “Egli è il mio pastore,
e tutto ciò in cui io mi diletto adempirà completamente”; perfino nel mio dire di Gerusalemme: “Sarà
riedificata”, e del tempio: “Saranno gettate le tue fondamenta’”.
“Questo è ciò che Geova ha detto al suo unto, a Ciro, di cui ho preso la destra, per soggiogare dinanzi a
lui le nazioni, così che io sciolga pure i fianchi dei re; per aprire dinanzi a lui gli usci a due battenti; così
che nemmeno le porte saranno chiuse”. — Isa. 44:24–45:1.
Antichi storici confermano l’adempimento di questa straordinaria profezia. Pur differendo un po’
nell’esposizione, gli storici greci Erodoto e Senofonte fanno entrambi fondamentalmente lo stesso
racconto. Ciro deviò l’Eufrate, che scorreva attraverso Babilonia e faceva parte del suo sistema difensivo.
Gli eserciti vincitori marciarono allora sul letto del fiume, riuscendo a introdursi nella città dalle porte lungo
le rive. I Babilonesi che banchettavano e gozzovigliavano furono presi completamente alla sprovvista e la
città si arrese quella notte stessa.
Inoltre, com’era stato predetto, Ciro emanò un decreto che permetteva agli Ebrei esiliati di ritornare in
patria per riedificare il tempio. Quel decreto diceva: “Ciro re di Persia ha detto questo: ‘Geova l’Iddio dei
cieli mi ha dato tutti i regni della terra, ed egli stesso mi ha incaricato di edificargli una casa in
Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque fra voi è di tutto il suo popolo, Geova suo Dio sia con lui.
Dunque salga’”. — 2 Cron. 36:23.
Che tale decreto fosse in armonia con la politica di questo sovrano è confermato dall’iscrizione del
Cilindro di Ciro, dove sono citate le sue parole: “Restituii a [certe già menzionate] sacre città sull’altra riva
del Tigri, i cui santuari sono in rovina da molto tempo, le immagini che (solevano) vivervi e stabilii per loro
santuari permanenti. Io (inoltre) radunai tutti i loro (precedenti) abitanti e restituii (loro) le loro abitazioni”.
Ancient Near Eastern Texts di James B. Pritchard, 1955, pag. 316.
Giuseppe Flavio, storico giudeo del primo secolo, sostiene che Ciro emanò il decreto dopo essere venuto
a conoscenza della profezia di Isaia. Egli scrive:
“Nel primo anno del regno di Ciro — questo era il settantesimo anno da che il nostro popolo era stato
costretto a emigrare dal suo paese a Babilonia — Dio ebbe pietà della cattività e della sventura di quegli
infelici e, come Egli aveva predetto loro mediante il profeta Geremia prima che la città fosse demolita,
che, dopo che avessero servito Nabucodonosor e i suoi discendenti e subìto questa schiavitù per
settant’anni, Egli li avrebbe ristabiliti nel paese dei loro padri ed essi avrebbero riedificato il tempio e
goduto l’antica prosperità, così Egli accordò loro. Poiché egli destò lo spirito di Ciro e gli fece scrivere in
tutta l’Asia: ‘Così dice il re Ciro. Poiché l’Iddio Altissimo mi ha nominato re del mondo abitato, io sono
persuaso che Egli è l’Iddio che la nazione israelita adora, poiché Egli ha predetto il mio nome mediante i
profeti e che io avrei dovuto edificare il Suo tempio in Gerusalemme nella terra di Giudea’.
“Ciro sapeva queste cose avendo letto il libro della profezia che Isaia aveva lasciato duecentodieci anni
prima. Poiché questo profeta aveva detto che Dio gli aveva rivelato in segreto: ‘È mia volontà che Ciro,
che io avrò nominato re di molte grandi nazioni, mandi il mio popolo nella loro terra e edifichi il mio
tempio’. Isaia profetizzò queste cose centoquarant’anni prima della distruzione del tempio. E quindi,
allorché Ciro le lesse, si meravigliò del potere divino e fu preso dal forte desiderio e dall’ambizione di fare
ciò ch’era stato scritto; e, avendo convocato gli Ebrei più illustri di Babilonia disse loro che li lasciava
tornare al loro paese nativo, e riedificare sia la città di Gerusalemme che il tempio di Dio, poiché Dio, egli
disse, sarebbe stato il loro alleato ed egli stesso avrebbe scritto ai suoi governatori e satrapi che erano
nelle vicinanze del loro paese affinché dessero loro contribuzioni di oro e argento per edificare il tempio e,
inoltre, animali per i sacrifici”. — Antichità giudaiche, Libro XI, Cap. 1, parr. 1, 2, dalla traduzione inglese
di Ralph Marcus.
Commentando questa dichiarazione di Giuseppe Flavio, The Zondervan Pictorial Encyclopedia of the
Bible (Vol. I, pag. 1055) dice: “Vi è ogni ragione di accettare la testimonianza di Giuseppe Flavio al
riguardo”. Molti critici, però, non sono d’accordo. Essi non possono accettare l’idea che la profezia
relativa a Ciro fosse stata scritta prima della caduta di Babilonia nel 539 a.E.V. Sostengono che i capitoli
da 40 fino a 66 di Isaia furono scritti da qualcuno che visse dopo quegli avvenimenti. La loro asserzione
nega che Geova Dio possa rivelare le cose ai suoi servitori molto tempo prima che avvengano e che egli
possa far avverare la sua parola.
LA PROFEZIA DI ISAIA È AUTENTICA
L’opinione che queste cose non potessero essere state scritte da Isaia è contraria a ogni evidenza
disponibile dal primo, se non dal secondo, secolo a.E.V. in poi. Il Rotolo del Mar Morto di Isaia, che si
crede risalga al primo secolo a.E.V. o al secondo secolo a.E.V., non mostra alcuna divisione della
profezia. Quello che ora è il quarantesimo capitolo di Isaia inizia nell’ultima riga della colonna in cui
termina in quel rotolo il capitolo 39 di Isaia. Ispirati scrittori biblici del primo secolo E.V. attribuirono a Isaia
materiale dell’ultima parte, come pure della prima, del libro che porta il suo nome. (Isa. 42:1-4; 53:1; Matt.
12:17-21; Rom. 10:16) Essi attribuirono dunque l’intera profezia a un solo scrittore, Isaia.
Indipendentemente dalla data attribuita dai critici a parti di Isaia, essi non possono negare che contenga
profezie le quali furono adempiute molto tempo dopo essere state messe per iscritto. Per esempio, c’è la
profezia secondo cui Babilonia sarebbe divenuta desolata come Sodoma e Gomorra, un luogo che non
sarebbe stato mai più abitato e dove neanche i pastori avrebbero portato i greggi a pascolare. (Isa. 13:19,
20) Quando il Rotolo del Mar Morto fu copiato da un manoscritto precedente, Babilonia esisteva ancora,
e a parte la profezia biblica, non vi era alcuna indicazione che la città sarebbe divenuta un deserto
desolato. Ma oggi le rovine cadenti dell’antica Babilonia attestano l’accurato adempimento della profezia.
Le teorie degli uomini che vorrebbero negare che Ciro adempì un ruolo profetizzato hanno perciò
dimostrato d’essere senza fondamento. La Parola profetica di Dio è veramente fidata. Questo dovrebbe
indurci a investigare la sua Parola, per essere sicuri di conoscere ciò che dice e di vivere in armonia con
essa.
Cora (n. 3) — Tema: Non cedete all’invidia GIOBBE 5:2; GALATI 5:19

it-1 562 Cora


CORA
[forse, calvo; calvizie].
3. Levita cheatita della famiglia di Izar. (Eso 6:16, 18, 21; 1Cr 6:1, 2, 22 [Amminadab forse era un altro
nome di Izar]). Durante il faticoso peregrinare di Israele nel deserto Cora si ribellò contro l’autorità di
Mosè e Aaronne, alleandosi con i rubeniti Datan, Abiram e On, e con 250 “capi principali dell’assemblea”
o “uomini di fama”. (Nu 16:1, 2) “L’intera assemblea, tutti loro, sono santi e Geova è in mezzo a loro”,
sostenevano i ribelli, chiedendo: “Perché, dunque, vi dovete innalzare al di sopra della congregazione di
Geova?” (Nu 16:3-11) In seguito Mosè mandò a chiamare Datan e Abiram, ma essi rifiutarono di
presentarsi, pensando che Mosè non avesse alcun diritto di convocarli. (Nu 16:12-15) A Cora, alla sua
assemblea e al sommo sacerdote Aaronne fu detto di presentarsi dinanzi a Geova, ciascuno col suo
portafuoco e l’incenso. — Nu 16:16, 17.
L’indomani Cora e i suoi 250 uomini, tutti col proprio incensiere acceso, si radunarono all’ingresso della
tenda di adunanza insieme a Mosè e Aaronne. La gloria di Geova apparve a tutta l’assemblea e Dio parlò
a Mosè e Aaronne dicendo loro di separarsi di mezzo all’assemblea, “perché li stermini in un istante”. Ma
Mosè e Aaronne intercedettero a favore del popolo, e Dio ordinò a Mosè di far allontanare l’assemblea
dai tabernacoli di Cora, Datan e Abiram. Ciò fu fatto. (Nu 16:18-27) Poco dopo, “la terra apriva la sua
bocca e inghiottiva loro e le loro case e tutto il genere umano che apparteneva a Cora e tutti i beni”. Essi
con tutto ciò che avevano scesero vivi nello Sceol, e la terra li coprì. — Nu 16:28-34.
Quelli che si trovavano davanti alla tenda di adunanza con i portafuoco pieni di incenso non sfuggirono,
perché “un fuoco uscì da Geova e consumava i duecentocinquanta uomini che offrivano l’incenso”. (Nu
16:35) Cora stesso si trovava in mezzo a loro e perciò perì nel fuoco mandato da Dio. — Nu 26:10.
Gli incensieri di coloro che avevano cospirato insieme a Cora furono trasformati in lamine di metallo con
cui rivestire l’altare. Questo “perché li hanno presentati dinanzi a Geova, così che sono divenuti santi; e
devono servire di segno ai figli d’Israele”. (Nu 16:36-40) Nonostante tale inconfutabile prova del giudizio
di Dio, l’indomani l’intera assemblea d’Israele cominciò a mormorare contro Mosè e Aaronne,
lamentandosi: “Voi, voi avete messo a morte il popolo di Geova”. Ciò provocò l’indignazione di Geova e,
nonostante le suppliche di Mosè e Aaronne, 14.700 morirono a motivo del conseguente flagello, che si
arrestò solo dopo che Aaronne ebbe fatto espiazione per il popolo. (Nu 16:41-50) Dopo ciò la posizione
sacerdotale di Aaronne venne confermata dal germogliare della sua verga. — Nu 17.
È evidente che i figli di Cora non seguirono il padre nella ribellione, poiché la Bibbia dichiara: “Comunque,
i figli di Cora non morirono”. (Nu 26:9-11) In seguito i discendenti di Cora si distinsero nel sacerdozio
levitico. — Vedi CORAITI.
Lo scrittore della lettera di Giuda associa Caino, Balaam e Cora nel mettere in guardia i cristiani dagli
uomini animaleschi “periti nel discorso ribelle di Cora”. Cora evidentemente voleva la gloria per sé. Si
oppose alle nomine fatte da Geova, diventando un ribelle, e perciò subì giustamente la morte per la sua
riprovevole condotta. — Gda 10, 11.

w79 15/5 13-15 Cora, un uomo superbo e ribelle


Cora, un uomo superbo e ribelle
IL LEVITA CORA, primo cugino di Mosè e Aaronne, ebbe il privilegio di vedere direttamente le
spettacolari manifestazioni della potenza e della gloria di Geova. Era presente quando le acque del Mar
Rosso si divisero, permettendo agli israeliti di attraversarlo all’asciutto. Quindi, insieme alla
congregazione d’Israele, levò la voce nel canto lodando Geova per aver distrutto in quello stesso mare
l’inseguitore egiziano. Da quel momento in poi, Cora vide il modo meraviglioso in cui Geova Dio aveva
cura del suo popolo nel deserto, fornendogli acqua, manna e carne. Assisté anche alla sconfitta degli
amalechiti che avevano lanciato a Israele un attacco ingiustificato. Anche questa vittoria fu una prova
della cura e della protezione di Geova.
Da ciò che aveva visto nel corso di quell’anno, Cora aveva sufficienti prove per sapere che Geova, pur
trattando il suo popolo misericordiosamente, non avrebbe tollerato né ribellione né deliberata
trasgressione delle leggi. Nadab e Abiu, figli di Aaronne, perirono in un fuoco inviato da Geova perché,
probabilmente mentre erano ubriachi, avevano offerto incenso che non era stato prescritto da Dio. Miriam
fu colpita temporaneamente dalla lebbra per aver criticato il fratello Mosè riguardo al suo matrimonio con
una cusita e sfidato la posizione eccezionale che occupava dinanzi a Geova. — Lev. 10:1, 2; Num. 12:1-
15.
Una volta lo stesso Cora aveva partecipato all’esecuzione della vendetta di Geova. Dopo che gli israeliti
erano stati coinvolti nell’adorazione del vitello al monte Sinai, Mosè aveva chiesto una prova di forza,
dicendo: “Chi è dalla parte di Geova? A me!” Solo i leviti, tra i quali doveva esserci Cora, si raccolsero al
fianco di Mosè. Ubbidendo al comando di Mosè, passarono nel campo e uccisero con la spada 3.000
idolatri. — Eso. 32:26-28.
IL MALCONTENTO CRESCE
Tuttavia, lo zelo per la giustizia che Cora poté aver manifestato in quell’occasione non durò. Sembra che
certe circostanze difficili fossero una prova troppo grande per lui. Non era contento della sua sorte e
voleva superbamente una posizione a cui non aveva diritto. Quali furono le circostanze nelle quali Cora
manifestò uno spirito superbo e ribelle?
Quando gli israeliti lasciarono l’Egitto, avevano dinanzi la meravigliosa prospettiva di entrare presto nella
Terra Promessa. Ma le cose cambiarono. Dieci delle dodici spie mandate nel paese portarono notizie
cattive che spaventarono gli israeliti. Perciò cominciarono a mormorare contro Mosè e Aaronne, dicendo:
“Fossimo morti nel paese d’Egitto, o fossimo morti in questo deserto! E perché Geova ci conduce in quel
paese per cadere di spada? Le nostre mogli e i nostri piccoli diverranno preda. Non è meglio che ce ne
torniamo in Egitto?” (Num. 14:2, 3) A causa della loro infedeltà, Geova li condannò a rimanere nel
deserto, finché dopo 40 anni di peregrinazioni tutti gli uomini registrati per la guerra morirono. Quindi
invece di ricevere un’eredità nella Terra Promessa, gli israeliti dovettero sopportare le avversità di una
vita nomade in un deserto squallido e desolato. Che delusione!
Col passar del tempo il malcontento fra gli israeliti crebbe. L’influente cheatita Cora, un uomo di forse 80
anni, fu evidentemente contagiato da questo spirito di malcontento. Col tempo capeggiò una ribellione
contro l’autorità dei suoi cugini Mosè e Aaronne, autorità data loro da Dio.
I leviti cheatiti erano accampati vicino ai rubeniti. Può darsi quindi che Cora e certi uomini importanti della
tribù di Ruben avessero un notevole scambio di idee. Essendo Ruben il primogenito di Giacobbe, può
darsi che alcuni di questi suoi discendenti fossero offesi perché Mosè esercitava autorità su di loro. In
quanto a Cora, non era contento di prestare servizio solo come assistente del sacerdozio aaronnico.
Infine, Cora e i rubeniti Datan, Abiram e On, insieme a 250 capitribù, si congregarono contro Mosè e
Aaronne, dicendo: “Questo vi basti, perché l’intera assemblea son tutti santi e Geova è in mezzo a loro.
Perché, dunque, vi dovreste innalzare al di sopra della congregazione di Geova?” — Num. 16:1-3.
Pertanto Cora dimenticò che Mosè e Aaronne avevano ricevuto la nomina da Geova, e che la santità
della congregazione dipendeva dall’ubbidienza alla legge di Dio. Tale santità o purezza non era innata in
loro. Cora sostenne erroneamente che Mosè e Aaronne si erano messi arbitrariamente al di sopra di una
congregazione in cui erano tutti uguali, in cui ciascun membro era santo.
MOSÈ IMPARTISCE LA RIPRENSIONE
Come avrebbero potuto capire tutti che Cora e i suoi sostenitori erano in errore? Mosè disse: “Nella
mattina Geova farà conoscere chi gli appartiene e chi è santo e chi gli si deve avvicinare, e chiunque avrà
scelto s’avvicinerà a Lui. Fate questo: Prendetevi i portafuoco, Cora e la sua intera assemblea, e domani
mettete in essi il fuoco e ponete su di essi l’incenso dinanzi a Geova, e deve accadere che l’uomo che
Geova avrà scelto, sarà il santo”. — Num. 16:5-7.
Non sarebbe passato molto prima che la controversia fosse risolta. Proprio la mattina dopo, Geova
avrebbe rivelato chi aveva scelto per rendergli servizio sacerdotale. Come levita cheatita, Cora non era
stato autorizzato a offrire incenso quale sacerdote. Se si fosse presentato a Geova per offrire incenso
avrebbe indicato di pensare che aveva il diritto di compiere servizi sacerdotali. Quindi dicendo a Cora e ai
suoi compagni di presentarsi coi portafuoco, Mosè li invitava ad agire secondo il loro personale desiderio
di assumere funzioni sacerdotali.
Nondimeno, fece capire a Cora e ai suoi compagni ribelli che la loro tesi era errata, dicendo: “È così poca
cosa per voi che l’Iddio d’Israele vi abbia separati dall’assemblea d’Israele per presentarvi a sé per
compiere il servizio del tabernacolo di Geova e per stare dinanzi all’assemblea a servirla, e che abbia
fatto avvicinare te e tutti i tuoi fratelli figli di Levi con te? Dovete voi cercare dunque anche d’assicurarvi il
sacerdozio? Per questa ragione tu e tutta la tua assemblea che vi radunate siete contro Geova. In quanto
ad Aaronne, che cos’è egli perché mormoriate contro di lui?” — Num. 16:9-11.
Questo rimprovero avrebbe dovuto indurre Cora e i suoi sostenitori a riconsiderare la propria posizione.
Cora e gli altri leviti avevano avuto il grande privilegio d’essere separati dagli altri israeliti per servire nel
santuario. Non era una cosa insignificante, da poco. Quindi Mosè dimostrava quanto poco Cora
apprezzasse l’onore e la dignità che Geova aveva conferito ai leviti. Ribellandosi alla disposizione di
Geova, Cora e i suoi sostenitori si mettevano in opposizione all’Altissimo. Quello che facevano era
ingiustificato. Non era stato Aaronne a costituirsi sommo sacerdote. Era tale per nomina di Dio.
CORA PERISCE MA NON I SUOI FIGLI
Le parole di Mosè, comunque, caddero su orecchi sordi. La mattina dopo Cora e 250 capitribù stettero
impudentemente all’ingresso del tabernacolo nel cortile, per offrirvi incenso. Geova dimostrò allora
vigorosamente che solo gli uomini della casa di Aaronne dovevano prestare servizio come sacerdoti. Un
fuoco da Geova consumò Cora e i 250 che erano con lui. — Num. 16:35; 26:10.
I figli di Cora non si unirono al padre in questa ribellione. Furono felici e contenti di servire come assistenti
dei sacerdoti e, perciò, continuarono a vivere. (Num. 26:9, 11) Tra i loro discendenti ci furono uomini che
scrissero canti di lode divenuti parte delle Scritture ispirate. Uno di questi canti o salmi ammette con
gratitudine: “Un giorno nei tuoi cortili è migliore di mille altrove. Ho scelto di stare sulla soglia della casa
del mio Dio anziché andare intorno nelle tende di malvagità. Poiché Geova Dio è un sole e uno scudo;
favore e gloria sono ciò che egli dà. Geova stesso non tratterrà alcuna cosa buona da quelli che
camminano in maniera irreprensibile”. — Sal. 84:10, 11.
Facciamo bene a imitare l’esempio dei figli di Cora, apprezzando sempre quello che Geova Dio ci ha
dato. In quanto allo stesso Cora, è per noi un esempio ammonitore. Quando il futuro appare poco
promettente, dobbiamo stare attenti a non farci vincere dall’orgoglio. Dobbiamo umilmente accettare
qualsiasi cosa Geova Dio permetta che subiamo, non ricalcitrando. Non dovremmo mai lasciare che i
momenti di avversità ci inducano a lamentarci della nostra sorte e a tramare per ottenere quello a cui non
abbiamo diritto. Se ricordiamo che vale veramente la pena di servire Dio con umiltà, quali che siano le
circostanze, possiamo evitare la disastrosa condotta di Cora e continuare ad avere l’approvazione di Dio
come i figli di Cora.

W65 P.423-424
W57 P.625, 626
Cornelio — Tema: Geova Dio non è parziale ATTI 10:34, 35

it-1 573-4 Cornelio


CORNELIO
Ufficiale dell’esercito (centurione) al comando di 100 uomini della coorte italica. (Vedi UFFICIALE
DELL’ESERCITO). Di stanza a Cesarea, viveva in casa propria. Il nome suggerisce che poteva essere di
famiglia nobile romana. Era “uomo devoto” che “faceva al popolo molti doni di misericordia e faceva di
continuo supplicazione a Dio”, ‘uomo giusto che temeva Dio e del quale l’intera nazione dei giudei
rendeva buona testimonianza’. Nell’autunno del 36 E.V. gli apparve in visione un angelo che gli disse: “Le
tue preghiere e i tuoi doni di misericordia sono ascesi a ricordo dinanzi a Dio”. L’angelo disse inoltre a
Cornelio di mandare a chiamare Pietro a Ioppe. — At 10:1-22.
Quando Pietro arrivò, Cornelio, in presenza dei “suoi parenti e [dei] suoi intimi amici”, gli disse: “Siamo . .
. tutti presenti dinanzi a Dio per udire tutte le cose che Geova ti ha comandato di dire”. (At 10:24, 33)
“Mentre Pietro stava ancora parlando . . . lo spirito santo cadde su tutti quelli che udivano la parola”.
Perciò queste persone, fra le quali Cornelio è menzionato per nome come il personaggio più importante,
furono i primi gentili o non ebrei a ricevere “il gratuito dono dello spirito santo”. (At 10:44, 45) Il battesimo
seguì immediatamente; dopo di che non si sa più nulla della vita e dell’attività di Cornelio.
Perché la conversione di Cornelio fu un avvenimento di particolare importanza?
Cornelio non era un proselito appartenente alla comunità ebraica, come sostengono alcuni, anche se era
a conoscenza degli scritti dei profeti, faceva doni di misericordia agli ebrei, temeva Dio, pregava di
continuo e usava il nome di Geova. Le Scritture indicano chiaramente che questo centurione era un
gentile incirconciso nel vero senso della parola. Se Cornelio fosse stato un proselito, Pietro non avrebbe
detto che a lui, ebreo, non era lecito frequentare un “uomo di un’altra razza”, in considerazione di quanto
era scritto nella Legge a proposito del residente forestiero. (Le 19:33, 34; At 10:28) Se fosse stato un
proselito, gli altri sei ebrei che accompagnavano Pietro non si sarebbero ‘meravigliati’ vedendo che lo
spirito santo era versato “su persone delle nazioni”. (At 10:45; 11:12) Se fosse stato un proselito, perché i
“sostenitori della circoncisione” avrebbero conteso per questo con Pietro? — At 11:2.
In realtà Cornelio era il primo, la primizia, dei non ebrei incirconcisi a diventare cristiano, indicando che
ormai non era più necessario che i gentili diventassero proseliti come l’eunuco etiope prima di essere
ammessi nella congregazione cristiana. “Per certo”, esclamò Pietro in quell’occasione storica,
“comprendo che Dio non è parziale, ma in ogni nazione l’uomo che lo teme e opera giustizia gli è
accetto”. (At 10:34, 35) Come alla Pentecoste Pietro era stato il primo ad aprire la Via agli ebrei, così
anche questa volta fu lui a portare la buona notizia della salvezza ai gentili incirconcisi. Anche Giacomo
fu d’accordo che questa era “la prima volta” che Dio rivolgeva l’attenzione “alle nazioni”. — At 15:7, 14.

w80 1/4 23-8 "Le chiavi del regno" e la "grande folla"


“Le chiavi del regno” e la “grande folla”
NELL’ANNO 36 E.V., a Cesarea, sulla costa orientale del Mar Mediterraneo, ebbe luogo un avvenimento
segnato nella storia del cristianesimo. Non si sa con certezza se in quell’anno Filippo l’evangelizzatore vi
si era già stabilito. In caso affermativo, come mai non fu impiegato lui per contattare un ufficiale
dell’esercito della coorte italica che era di stanza lì? Filippo aveva preceduto l’apostolo Pietro nelle attività
cristiane in Samaria, quindi perché non a Cesarea nel 36 E.V.? Le Scritture ispirate ci danno la risposta.
2 Il patto della Legge di cui Mosè era stato mediatore fra Geova Dio e Israele al Monte Sinai in Arabia fu
abolito sulla base della morte di Gesù Cristo, discendente di Abraamo e del re Davide, al palo. Questo
avvenne tre anni e mezzo dopo il battesimo di Gesù in acqua e la sua unzione con lo spirito nel 29 E.V.
Ciò nondimeno, Geova continuò a riservare un trattamento di favore ai giudei naturali e anche ai
samaritani in questo periodo di altri tre anni e mezzo, per adempiere la profezia di Daniele 9:24-27a.
Questa “settimana” o periodo di sette anni terminò nel settimo mese lunare (tishri) del 36 E.V. Da allora in
poi i discendenti israeliti di Abraamo sarebbero stati messi allo stesso livello, in senso spirituale, delle
persone delle nazioni non giudaiche, gli incirconcisi gentili. Dopo di che l’Iddio di Abraamo non avrebbe
più riservato un trattamento di favore ai giudei. Come fu dimostrato questo nel 36 E.V.?
3 Verso quel tempo, dietro urgente richiesta della congregazione cristiana della città portuale di Ioppe,
Pietro era arrivato lì e aveva destato dai morti Gazzella, una brava cristiana giudea. Pietro si trattenne
alcuni giorni da Simone il conciatore. (Atti 9:36-43) A quel tempo un gentile incirconciso era ritenuto una
compagnia indesiderabile per un giudeo, proprio come una persona disassociata dalla congregazione del
popolo di Dio. (Matt. 18:17) Quindi, fino a quel tempo, il giudeo cristiano Pietro non era mai entrato di sua
spontanea volontà in casa di un gentile incirconciso. (Questo valeva indubbiamente anche per
l’evangelizzatore Filippo). Di conseguenza, quando in seguito i circoncisi giudei cristiani di Gerusalemme
udirono che Pietro era entrato in casa di un gentile, lo criticarono, dicendo che “era entrato nella casa di
uomini incirconcisi e aveva mangiato con loro”. — Atti 11:3.
4 Anche Pietro, sebbene fosse un apostolo cristiano già da alcuni anni, disse all’uomo di Cesarea nella
cui casa aveva esitato a metter piede: “Voi ben sapete come sia illecito a un Giudeo unirsi o accostarsi a
un uomo di un’altra razza”. (Atti 10:28, Traduzione del Nuovo Mondo [NM]; La Bibbia di Gerusalemme)
Le razze gentili erano considerate contaminate e impure.
5 A sua difesa Pietro dovette esporre i fatti agli apostoli e ad altri circoncisi giudei cristiani di
Gerusalemme. Quali erano i fatti? Questi: Non era stato Pietro a prendere quell’iniziativa di sua volontà.
Aveva agito ubbidendo a Geova Dio.
6 Mentre Pietro era a Ioppe, a casa di Simone il conciatore, Dio mandò a Pietro una visione per fargli
capire che non doveva continuare a chiamare contaminate le cose che Dio aveva purificate. Poi tre
uomini, inviati da Cornelio, un centurione italiano di Cesarea, giunsero alla casa e chiesero di Pietro. A
questo punto Dio disse all’apostolo cristiano giudeo di andare con loro, “non dubitando affatto, perché li
ho inviati io”. Sei circoncisi giudei cristiani della congregazione di Ioppe risalirono con Pietro la costa fino
a Cesarea. Il giorno seguente, quando furono entrati in casa del centurione gentile Cornelio, questi
spiegò che l’angelo di Dio gli era apparso e gli aveva detto di mandare a chiamare Pietro a Ioppe: “Egli ti
dirà quelle cose mediante cui tu e tutta la tua casa potrete esser salvati”. — Atti 10:1-33; 11:14.
7 Senza sapere cosa stava per succedere, Pietro espose il messaggio riguardo al ministero terreno di
Gesù Cristo, la sua morte e la sua risurrezione dai morti grazie all’onnipotenza di Dio. Nel suo discorso
Pietro disse anche: “Questi è Colui che Dio ha decretato esser giudice dei vivi e dei morti. A lui tutti i
profeti rendono testimonianza, che chiunque ripone fede in lui ottiene per mezzo del suo nome il perdono
dei peccati”. — Atti 10:34-43.
8 A questo punto Geova Dio diede la prova che ora egli consentiva l’accesso nella congregazione
cristiana generata dallo spirito anche ai credenti gentili, sebbene incirconcisi; leggiamo infatti: “Mentre
Pietro parlava ancora di queste cose lo spirito santo scese su tutti quelli che udivano la parola. E i fedeli
venuti con Pietro che erano di quelli circoncisi si meravigliarono, perché il gratuito dono dello spirito santo
era versato anche su persone delle nazioni. Poiché li udivano parlare in lingue e glorificare Dio”. — Atti
10:44-46.
9 Raccontando egli stesso il fatto a Gerusalemme, Pietro disse: “Ma quando cominciai a parlare, lo spirito
santo cadde su loro come su noi in principio [alla Pentecoste del 33 E.V.]. Allora rammentai la parola del
Signore, come diceva: ‘Giovanni, da parte sua, battezzò con acqua, ma voi sarete battezzati nello spirito
santo’. Se Dio ha dato perciò lo stesso gratuito dono a loro come anche a noi che abbiam creduto al
Signore Gesù Cristo, chi ero io da poter impedire Dio?” — Atti 11:15-17.
10 Cosa fece allora Pietro? “Quindi Pietro rispose: ‘Può alcuno [dei sei giudei cristiani che
accompagnavano Pietro] proibire l’acqua così che non siano battezzati questi che hanno ricevuto lo
spirito santo come noi [circoncisi giudei cristiani]?’ Allora comandò che fossero battezzati nel nome di
Gesù Cristo”. — Atti 10:46-48.
11 Così “Dio rivolse la prima volta l’attenzione alle nazioni [incirconcise] per trarne un popolo per il suo
nome”. (Atti 15:14) In quell’occasione, in casa dell’incirconciso centurione Cornelio a Cesarea, Pietro usò
un’altra delle “chiavi del regno dei cieli”, la terza chiave. Da allora in poi i discepoli di Gesù unti con lo
spirito potevano essergli testimoni “fino alla più distante parte della terra”. (Atti 1:8) Ciò che Dio aveva
aperto per mezzo di Pietro, il possessore delle chiavi, rimase aperto per una testimonianza mondiale. In
armonia con questo, lo spirito santo di Dio scese o “cadde su” (greco: epipípto) tre distinte classi di
credenti: (1) sui 120 discepoli battezzati e, in seguito, su circa 3.000 convertiti giudei, tutti a
Gerusalemme alla Pentecoste del 33 E.V.; (2) sui samaritani battezzati, ma solo dopo l’arrivo e
l’intervento degli apostoli Pietro e Giovanni; (3) sui credenti gentili riuniti in casa di Cornelio a Cesarea nel
36 E.V. — Atti 1:15; 2:1-4, 38, 41; 8:15-17; 10:44, 45; 11:15, 16.
APERTA UNA VIA ALLA “GRANDE FOLLA”
12 Nel corso dei secoli da allora trascorsi, Geova ha tratto “un popolo per il suo nome” di fra i circoncisi
giudei, i circoncisi samaritani e gli incirconcisi gentili. (Amos 9:12) Questo popolo per il nome di Geova
doveva essere costituito di sole 144.000 persone che devono unirsi a Gesù nel suo regno celeste. — Riv.
7:4-8; 14:1-3.
13 Nel settembre del 1881 la Watch Tower Society pubblicò l’opuscolo Cibo per i cristiani riflessivi
(inglese). In seguito, nel 1886, uscì il libro Il divin piano delle età. Queste due pubblicazioni mostravano
che la natura spirituale e la natura umana o terrena sono separate e distinte. Di conseguenza, la
salvezza della congregazione dei 144.000 generati dallo spirito che devono andare in cielo sarebbe stata
diversa da quella dell’umanità redenta che dovrà vivere sulla terra paradisiaca. Ma alla base di entrambe
le salvezze c’è sempre il sacrificio di riscatto di Gesù Cristo.
14 Il 24 febbraio 1918, durante la prima guerra mondiale, J. F. Rutherford, quale presidente della Watch
Tower Bible and Tract Society, pronunciò un discorso pubblico a Los Angeles, in California. Era intitolato
“Milioni ora viventi non morranno mai”. Dopo la prima guerra mondiale le informazioni di questo
sorprendente discorso furono pubblicate in forma di libro. Vi veniva messo in risalto che sulla terra ci
sarebbero state persone dalla giusta disposizione che sarebbero state risparmiate durante il veniente
giorno dell’ira divina. Sarebbero sopravvissute nel nuovo ordine di Dio con l’opportunità di non morire mai
nella terra trasformata in un paradiso.
15 Sempre a Los Angeles, nel 1923, fu tenuto un congresso e il presidente della Società parlò della
parabola di Gesù delle pecore e dei capri. Con le Scritture dimostrò che le simboliche “pecore” della
parabola sono quelli che ora, in questo “tempo della fine”, fanno in molti modi del bene ai fratelli spirituali,
o ‘nati di nuovo’, di Gesù. Come ricompensa, tali operatori di bene sarebbero stati risparmiati durante la
veniente battaglia di Armaghedon, e il glorificato “Figlio dell’uomo”, il celeste Re Gesù Cristo, li avrebbe
introdotti nel reame terrestre del suo regno millenario. (Matt. 25:31-46) Questo rischiarò le speranze
terrene di molte persone simili a pecore che facevano del bene ai “fratelli” di Cristo come se l’avessero
fatto direttamente a lui.
16 Ma il culmine di questi sviluppi nell’intendimento biblico giunse dodici anni più tardi. Non fu un
momento qualsiasi della storia umana. La grande depressione economica era già nel sesto anno. Il 1933,
“Anno santo” della Chiesa Cattolica, non aveva portato la promessa “pace e prosperità”. Dopo gli scontri
con l’Impero etiopico, l’Italia fascista si preparava per la guerra, e il 3 ottobre 1935 le truppe italiane
invasero quell’impero. La Germania era nel terzo anno della dittatura di Adolf Hitler, che perseguitava
brutalmente i testimoni di Geova. Il 4 ottobre 1934 Hitler era stato avvertito da centinaia di telegrammi
giuntigli da ogni parte della terra che, se non avesse smesso di perseguitarli, Geova avrebbe distrutto lui
e il suo partito nazista. Ma, come un capro, egli decise di estirpare dal Reich tedesco questa “schiatta” di
cristiani politicamente neutrali.
17 Nel 1935, Franklin D. Roosevelt, presidente americano, era in difficoltà in relazione a un istituto da lui
patrocinato, l’NRA (National Recovery Administration), e il governo nazionale stava cedendo alle
pressioni dell’Azione Cattolica. La Russia sovietica era governata dall’“uomo forte”, Giuseppe Stalin. Il
Giappone imperiale, aggressivo nemico del comunismo, si dirigeva verso il nefasto “Tripartito” con l’Italia
fascista e la Germania nazista, per formare le potenze dell’Asse. Si preparava la seconda guerra
mondiale!
18 Sebbene il 1935 fosse un anno molto critico per la situazione politica mondiale, si dimostrò un anno
particolarmente entusiasmante per i testimoni di Geova. Dal 30 maggio al 3 giugno essi tennero un
congresso a Washington, città in cui ha sede il governo nazionale degli Stati Uniti. Il discorso pubblico
della domenica 2 giugno era intitolato “Governo” e fu radiotrasmesso in Gran Bretagna, Europa, Africa e
in varie isole. — Vedi L’Età d’Oro (inglese) del 29 agosto 1935.
19 In precedenza, il pomeriggio del venerdì 31 maggio era stato rivolto ai congressisti un elettrizzante
discorso. Per la sua importanza fu trasmesso simultaneamente da due stazioni radio. Persone simili a
“pecore” che desideravano la vita eterna su una terra paradisiaca furono specialmente invitate ad
assistere al congresso. L’interesse di tutti i congressisti fu rivolto a un tema fino ad allora frainteso, cioè
alla “grande moltitudine” vista in visione dall’apostolo Giovanni secondo Rivelazione 7:9-17 (Versione
Autorizzata). Con particolare gioia dell’uditorio visibile e invisibile, furono identificati i componenti di quella
“grande moltitudine”. Non si tratta di una classe di cristiani ‘nati di nuovo’, destinati al cielo. Si tratta della
classe terrena delle “pecore” della parabola di Gesù riportata in Matteo 25:31-46. Essi sopravvivono sulla
terra e in questo modo “vengono dalla grande tribolazione”. — Riv. 7:14.
20 Anche questi hanno l’obbligo di seguire fedelmente Gesù Cristo, il Pastore eccellente di Geova.
Mostrano la loro dedizione “consacrandosi” o dedicandosi a Geova tramite Cristo. Scritturalmente tale
dedicazione deve essere esternata con il battesimo in acqua nel nome del Padre, del Figlio e dello spirito
santo. (Matt. 28:19, 20) Per cui, quelli che desideravano diventare probabili componenti della “grande
moltitudine” ora dovevano logicamente dedicarsi e simboleggiare la loro dedicazione con il battesimo in
acqua. (La Torre di Guardia inglese del 15 agosto 1934, pag. 250, par. 34) Non dovevano aspettarsi che,
dopo il loro battesimo, lo spirito di Dio ‘cadesse’ su di loro e li generasse per quella vita celeste che non
cercavano.
21 Quella rivelazione fu elettrizzante, specialmente per quelle persone simili a “pecore” che desideravano
vivamente capire la propria posizione nella disposizione di Geova. L’identificazione della “grande
moltitudine” li spinse perciò ad agire. Il programma del giorno seguente, il sabato 1° giugno, prevede va il
battesimo in acqua. Grande fu la gioia degli 840 candidati, la maggior parte dei quali fu immersa con la
speranza d’essere classificata da Geova come parte della futura “grande moltitudine”. Fu un battesimo
eccezionale. Fu come se le cateratte fossero state aperte e fiumi di persone si precipitassero a stringere
una relazione con Geova Dio facendone pubblica dichiarazione ed entrando a far parte del “solo gregge”
del Pastore eccellente per unirsi ai suoi “fratelli” spirituali. — Giov. 10:16; Matt. 25:34.
22 Fu come se la classe dello “schiavo fedele e discreto” avesse usato una “chiave della conoscenza”
(Matt. 24:45-47; Luca 11:52), e avesse aperto la porta di meravigliosi privilegi agli eventuali membri della
“grande moltitudine”. Afferrare questi privilegi avrebbe significato per loro ‘venir fuori dalla grande
tribolazione’ ed entrare nella terra purificata sotto il nuovo governo di Cristo. La loro attenzione fu rivolta a
quel governo il giorno seguente dal discorso pubblico sul soggetto “Governo”, tema più che adatto alla
situazione mondiale allora esistente. Il discorso avvertì per tempo il grande uditorio visibile e l’ancor più
numeroso uditorio di radioascoltatori circa l’incombente distruzione di tutti i governi terreni nella guerra di
Dio ad Armaghedon. Inoltre il discorso magnificò il governo teocratico di Geova affidato a Cristo come
l’unica speranza di tutto il genere umano. Questo era il governo divino che la “grande moltitudine” o
“grande folla” doveva acclamare come sua splendida speranza.
23 Ma tale uso della “chiave della conoscenza” aveva simultaneamente chiuso la porta d’accesso al regno
celeste per i credenti idonei? No, perché Gesù Cristo è Colui che ha la “chiave di Davide”, e solo lui può
chiudere quella porta. Era ancora possibile che alcuni vi fossero ammessi per volontà di Dio. Lo dimostra
il fatto che alcuni membri dell’unto rimanente dei testimoni di Geova sono stati battezzati in acqua in anni
successivi a quella storica rivelazione riguardo alla “grande moltitudine” nella primavera del 1935, e alla
pubblicazione di quelle informazioni nella rivista Torre di Guardia (inglese) del 1° e del 15 agosto 1935. —
Riv. 3:7; Luca 11:52; Matt. 23:13.
24 Solo lo scoppio della “grande tribolazione” potrà impedire ad altre persone di entrare nelle file di quelli
simili a “pecore” che costituiranno la “grande moltitudine” o “grande folla”. (NM) Allora sarà troppo tardi
per salvarsi dalla distruzione che si abbatterà su questo sistema di cose condannato. Per tutti gli anni
trascorsi dal 1935 la porta che permette di accedere nel “solo gregge” del Pastore eccellente è rimasta
aperta. Vi sono entrati più di due milioni di persone. Il Pastore eccellente, Gesù Cristo, disse: “Io sono la
porta delle pecore”. (Giov. 10:7-9) Come tale, fa ancora entrare gli amici dei suoi “fratelli” spirituali,
separandoli dai “capri” che non sopravvivranno affatto alla “grande tribolazione” e alla sua “guerra” ad
Har-Maghedon. Tutti quelli che lo desiderano ascoltino ora la “voce” del Pastore eccellente che risuona
tramite i suoi “fratelli” spirituali ancora sulla terra. (Giov. 10:16) Che privilegio inestimabile è quello di
trovare sicurezza nel “solo gregge” sotto il “solo pastore”!
[Nota in calce]
Le centinaia di testimoni appena battezzati si unirono all’uditorio visibile nel rispondere alla risoluzione
presentata dall’oratore al termine del discorso, quando disse: “E ora, cari amici dell’uditorio visibile e
invisibile, invito ognuno di voi che desidera un giusto governo, un governo che rechi pace, prosperità e
felicità a tutte le persone ubbidienti, lo invito ad alzarsi e a dire Sì”.
Circa il modo in cui fu accolto l’invito, il giornale Herald di Washington disse:
“Come un’onda di marea l’imponente folla dentro e fuori dell’uditorio è scattata in piedi. Con le braccia
alzate, i testimoni di Geova hanno gridato il loro sì con quanto fiato avevano. Le finestre dell’auditorio han
tremato all’impatto dell’onda sonora e la voce della folla, secondo quanto dice la polizia, si sarebbe potuta
facilmente sentire a un miglio di distanza”.
Scene simili si videro contemporaneamente a Londra, a Belfast, a Copenaghen e in centinaia di altri
luoghi in varie parti del mondo. — L’Età d’Oro (inglese) del 19 giugno 1935, pag. 598; vedi anche
l’Annuario dei testimoni di Geova del 1936 (inglese), pag. 62, par. 3.

w90 1/6 18-19 Camminiamo nel timore di Geova


14 A quel tempo (nel 36 E.V.) si stava verificando altrove un avvenimento degno di nota. (10:1-8) A
Cesarea viveva il devoto gentile Cornelio, un centurione romano che era a capo di un centinaio di uomini.
Egli aveva il comando della ‘coorte italica’, evidentemente composta di reclute scelte fra cittadini romani e
liberti provenienti dall’Italia. Anche se temeva Dio, Cornelio non era un proselito ebreo. In una visione un
angelo gli disse che le sue preghiere erano ‘ascese a ricordo dinanzi a Dio’. Pur non essendo ancora
dedicato a Geova, Cornelio ricevette risposta alla sua preghiera. Ma seguendo le istruzioni dell’angelo,
mandò a chiamare Pietro.
15 Nel frattempo, mentre pregava sulla terrazza della casa di Simone, Pietro ebbe una visione. (10:9-23)
Mentre era in estasi, vide scendere dal cielo un vaso simile a un lenzuolo pieno di quadrupedi, cose
striscianti e uccelli impuri. Quando gli fu detto di scannare e mangiare, Pietro rispose che non aveva mai
mangiato nulla di contaminato. “Smetti di chiamare contaminate le cose che Dio ha purificato”, gli fu
detto. La visione lasciò Pietro perplesso, ma egli seguì la guida dello spirito. Pertanto, insieme ad altri sei
fratelli ebrei, accompagnò gli inviati di Cornelio. — Atti 11:12.
16 Per la prima volta i gentili stavano per udire la buona notizia. (10:24-43) Quando Pietro e i suoi
compagni arrivarono a Cesarea, Cornelio, i suoi parenti e i suoi intimi amici li stavano aspettando.
Cornelio cadde ai piedi di Pietro, ma l’apostolo umilmente rifiutò tale omaggio. Spiegò che Geova aveva
unto Gesù con spirito santo e potenza quale Messia, e che chiunque ripone fede in lui ottiene il perdono
dei peccati.
17 Geova entrò ora in azione. (10:44-48) Mentre Pietro stava ancora parlando, Dio versò spirito santo su
quei credenti gentili. In quel preciso momento essi furono generati dallo spirito di Dio e ispirati a parlare
lingue straniere e a magnificarlo. Pertanto, furono appropriatamente battezzati nel nome di Gesù Cristo.
Fu così che Pietro usò la terza chiave per aprire ai gentili timorati di Dio la porta della conoscenza e
dell’opportunità di entrare nel Regno celeste. — Matteo 16:19.
18 In seguito, a Gerusalemme, i sostenitori della circoncisione si misero a contendere con Pietro. (11:1-
18) Ma quando questi spiegò che i gentili erano stati “battezzati nello spirito santo”, i suoi fratelli ebrei si
acquietarono e glorificarono Dio, dicendo: “Dunque, Dio ha concesso anche a persone delle nazioni il
pentimento per la vita”. Anche noi dovremmo essere pronti ad adeguarci quando ci viene spiegato qual è
la volontà di Dio.
Daniele (profeta di Dio) — Tema: Geova benedice la devozione resa con tutta l’anima MATTEO 24:37

it-1 643-5 Daniele


DANIELE
[il mio giudice è Dio].
2. Noto profeta di Geova della tribù di Giuda, e scrittore del libro che porta il suo nome. Ben poco si sa
del primo periodo della sua vita, ma egli dice di essere stato portato a Babilonia, probabilmente quando
era adolescente, insieme ad altri nobili e principi di stirpe reale. (Da 1:3-6) Ciò avvenne nel terzo anno di
Ioiachim (come re tributario di Babilonia), terzo anno iniziato nella primavera del 618 a.E.V. (Da 1:1) Alla
morte ingloriosa di Ioiachim, suo figlio Ioiachin regnò per alcuni mesi prima di arrendersi. All’inizio del 617
a.E.V. Ioiachin e altri “uomini preminenti”, fra cui il giovane Daniele (2Re 24:15), furono ridotti in schiavitù
da Nabucodonosor.
Sotto la dominazione babilonese. Mentre molti esuli si trovavano presso il fiume Chebar, fuori di
Babilonia, Daniele e i suoi tre compagni vennero scelti per ricevere speciale istruzione circa la scrittura e
la lingua dei caldei, affinché fossero in grado di svolgere incarichi governativi. Com’era consuetudine,
furono dati loro nomi babilonesi; quello di Daniele era Baltassar, dal nome del dio di Nabucodonosor. (Da
1:7; 4:8; vedi BALTASSAR). Non volendosi contaminare con i cibi assegnati loro, che potevano includere
cose proibite dalla Legge mosaica o profanate da riti pagani, egli chiese che la loro dieta si limitasse a
verdura e acqua. Geova Dio diede loro “conoscenza e perspicacia in ogni scrittura e sapienza; e Daniele
stesso aveva intendimento di ogni sorta di visioni e di sogni”. (Da 1:17) Dopo tre anni il re li esaminò e
trovò che erano “dieci volte migliori di tutti i sacerdoti che praticavano la magia e gli evocatori che erano
in tutto il suo reame”. — Da 1:20.
Daniele continuò a prestare servizio a corte fino alla caduta di Babilonia. In Daniele 1:19 viene detto che
anche i suoi tre compagni “continuarono a stare davanti al re” (di Babilonia). Non è specificato se essi
vissero e conservarono questa posizione fino alla caduta di Babilonia, ma Daniele sì; dopo di che rimase
alla corte persiana almeno fino al terzo anno di Ciro. — Da 10:1.
I sogni di Nabucodonosor. Nel secondo anno del suo regno (probabilmente a partire dalla caduta di
Gerusalemme nel 607 a.E.V.), Nabucodonosor fa un sogno che ‘agita il suo spirito’. Poiché tutti i saggi
sono incapaci di rivelarlo, Daniele si presenta al re e non solo gli descrive il sogno rivelatogli da Dio, ma
lo interpreta, salvando se stesso e gli altri saggi dalla condanna a morte. Questo induce Nabucodonosor
a costituire Daniele “governante su tutto il distretto giurisdizionale di Babilonia e prefetto principale su tutti
i saggi”. (Da 2:48) I suoi tre compagni ricevono alti incarichi, ma non a corte, mentre Daniele presta
servizio alla corte del re.
Non si sa perché la prova d’integrità affrontata da Sadrac, Mesac e Abednego, quando fu ordinato di
adorare l’immagine d’oro eretta nella pianura di Dura, non riguardasse anche Daniele. (Da 3) La Bibbia
non dice nulla in merito. Sia la precedente condotta di Daniele sia la lealtà che mostrò in seguito a Dio
anche a rischio di essere messo a morte, come si legge al capitolo 6, assicurano che se fosse stato
presente, e in qualunque circostanza, Daniele non sarebbe sceso a compromessi inchinandosi davanti
all’immagine. Inoltre la Parola di Geova, menzionando Daniele insieme a Noè e Giobbe indica che
godeva del favore di Dio come uomo interamente devoto. — Ez 14:14, 20; Mt 24:15; Eb 11:32, 33.
In seguito Daniele interpretò il sogno di Nabucodonosor relativo all’immenso albero abbattuto e poi
lasciato germogliare di nuovo, che (nel primo adempimento della profezia) rappresentava proprio il
grande monarca babilonese. (Da 4:20-22) Nabucodonosor avrebbe perso la ragione per sette anni e poi
avrebbe riacquistato la sanità di mente e il regno. Nabucodonosor confermò l’adempimento del sogno
mandatogli da Dio, poiché ritenne opportuno fare pubblicità all’avvenimento in tutto il reame. — Da 4:1, 2.
Visioni. Nel primo e nel terzo anno di Baldassarre, Daniele ebbe due visioni (Da capp. 7 e 8) in cui vari
animali rappresentavano potenze mondiali successive, che avrebbero detenuto il potere fino al tempo in
cui sarebbero state annientate e la sovranità celeste sarebbe stata data a “qualcuno simile a un figlio
dell’uomo”. (Da 7:11-14) Non è sicuro se Daniele si trovava davvero a Susa quando ebbe la visione
riportata al capitolo 8, o se vide se stesso lì nella visione. Sembra che dopo la morte di Nabucodonosor
per molti anni Daniele facesse poco o nulla in qualità di consigliere, tanto che la regina (probabilmente la
regina madre) ritenne necessario ricordarlo a Baldassarre quando nessuno dei saggi fu in grado di
interpretare la sinistra scritta apparsa sulla parete del palazzo durante lo sfrenato e blasfemo banchetto di
Baldassarre. Come promesso, “proclamarono riguardo a [Daniele] che doveva divenire il terzo
governante nel regno”, dato che Nabonedo era il primo e suo figlio Baldassarre il secondo. Quella stessa
notte la città fu conquistata dai medi e dai persiani e Baldassarre fu ucciso. — Da 5:1, 10-31.
Sotto la dominazione medo-persiana. Durante il regno di Dario il Medo, Daniele fu uno dei tre alti
funzionari preposti ai 120 satrapi che dovevano amministrare il regno. Distintosi nell’incarico governativo
grazie al favore di Dio, Daniele stava per essere preposto a tutto il regno quando l’invidia e la gelosia
spinsero gli altri funzionari a tramare la sua morte. La legge che indussero il re a emanare doveva
riguardare l’adorazione che Daniele rendeva a Dio, dato che altrimenti non avrebbero potuto trovare in lui
colpa alcuna. Il re era riluttante a far osservare la legge, che, secondo la consuetudine, non poteva
essere revocata, ma in effetti gettò Daniele nella fossa dei leoni. A motivo della salda integrità e della
fede di Daniele, Geova mandò il suo angelo a liberarlo dalla bocca dei leoni. Allora Dario giustiziò i
cospiratori, facendoli sbranare dagli stessi leoni. — Da cap. 6.
Nel primo anno di Dario, Daniele comprese che, secondo gli scritti di Geremia, era vicina la fine dei 70
anni di desolazione di Gerusalemme. (Ger 25:11, 12) Riconobbe umilmente i peccati del suo popolo e
pregò Geova di far risplendere la Sua faccia sul desolato santuario di Gerusalemme. (Da 9:1, 2, 17) Ebbe
il privilegio di ricevere una rivelazione per mezzo di Gabriele, il quale gli trasmise la profezia delle 70
settimane, che indicava con esattezza l’anno della venuta del Messia. Daniele visse abbastanza a lungo
da vedere nel 537 a.E.V. il ritorno degli ebrei sotto Zorobabele, ma non è detto che li abbia
accompagnati. Nel terzo anno di Ciro (536 a.E.V.) Daniele ebbe la visione di un angelo che, mentre si
recava in missione da Daniele, dovette lottare col principe di Persia. L’angelo rivelò quello che doveva
‘accadere al popolo di Daniele nella parte finale dei giorni, perché era una visione ancora per i giorni
avvenire’. (Da 10:14) Iniziando dai re di Persia, Daniele descrisse futuri avvenimenti storici. La profezia
rivelava che la scena mondiale sarebbe stata dominata da due principali potenze politiche rivali, “il re del
nord” e “il re del sud”; questa situazione sarebbe esistita finché non fosse sorto Michele, evento seguito
da un tempo di grande angustia. — Da capp. 11, 12.
Forse Daniele non visse a lungo dopo il terzo anno di Ciro. Se era un adolescente quando fu portato a
Babilonia nel 617 a.E.V., doveva avere quasi 100 anni allorché ricevette la visione riportata nei capitoli da
10 fino a 12. La dichiarazione dell’angelo — “in quanto a te stesso, va verso la fine; e riposerai, ma
sorgerai per la tua sorte alla fine dei giorni” — sembra indicare che la vita di Daniele volgeva alla fine, con
la certezza che lo attendeva una risurrezione. — Da 12:13.
Daniele scrittore. A Daniele fa riferimento Cristo (Mt 24:15) e a lui si allude in Ebrei 11:33. I critici non
sono riusciti a dimostrare che uno o più scrittori posteriori, dell’epoca dei Maccabei, abbiano partecipato
alla stesura del libro canonico di Daniele o di parti di esso. In ogni caso le tre aggiunte, “Il cantico dei tre
giovani”, “Susanna e gli anziani” e “Bel e il dragone”, sono apocrife e di epoca più tarda. Questi e altri
scritti che sono attribuiti a Daniele o che ne espongono imprese o insegnamenti inusitati, rientrano
piuttosto nel regno delle favole, dovute alla grande fama di Daniele, e non sono degni di fiducia. — Vedi
APOCRIFI; anche DANIELE, LIBRO DI.

w70 15/6 355-6 Siete una persona desiderabile?


Siete una persona desiderabile?
IL MONDO giudica se una persona è desiderabile o no in base alle sue proprie norme. Se non vi
distinguete nella politica o nello sport, nell’arte, nella ricchezza o nel campo dello spettacolo, non è
probabile che il mondo vi consideri molto desiderabile. Ma questo non vi preoccupi. Quando Gesù Cristo,
il Figlio di Dio, fu sulla terra, gli uomini non lo considerarono desiderabile. — Isa. 53:2.
Ciò che conta non è se siete desiderabile per gli uomini, ma se siete desiderabile per il vostro Creatore,
Geova Dio. Ma può una debole, imperfetta creatura umana apparire realmente desiderabile al grande
Creatore dell’universo? Veramente, sì.
Se tale idea vi sembra strana, notate solo ciò che dice la Bibbia, riferendo le parole di un angelo di Dio
circa il profeta Daniele: “O Daniele . . . io stesso son venuto a riferire, perché tu sei qualcuno molto
desiderabile”. “O Daniele, uomo molto desiderabile”. “Non aver timore, o uomo molto desiderabile”. (Dan.
9:22, 23; 10:11, 19) Daniele è pertanto descritto tre volte non solo come desiderabile, ma come “molto
desiderabile”.
Che cosa fece di Daniele una persona molto desiderabile agli occhi di Dio? Non il suo aspetto personale,
né la sua erudizione, sebbene fosse molto istruito. Dio giudica non dall’aspetto esteriore, ma dal cuore.
Lo rese chiaro in un’occasione, dicendo al suo profeta Samuele: “Non come vede l’uomo vede Dio,
perché il semplice uomo vede ciò che appare agli occhi; ma in quanto a Geova, egli vede ciò che è il
cuore”. Daniele ebbe un buon cuore. — 1 Sam. 16:7.
Il buon cuore di Daniele si manifestò nella sua schietta onestà, nella sua probità. Benché avesse una
carica governativa molto elevata, non la sfruttò per egoistico guadagno. I suoi invidiosi nemici cercarono
invano di trovare un’occasione contro di lui, poiché leggiamo: “Non c’era nessun pretesto né cosa corrotta
che potessero trovare, dato che egli era degno di fiducia e in lui non si trovava nessuna negligenza né
cosa corrotta”. (Dan. 6:4; Prov. 4:23) Se vogliamo essere trovati desiderabili dinanzi a Dio, noi pure
dobbiamo custodire il nostro cuore e condurre una vita irreprensibile.
Un altro modo in cui Daniele si rese indubbiamente molto desiderabile presso Dio fu quello di lodare Dio.
Si interessava del nome di Dio. Quando Dio esaudì la sua preghiera rivelandogli il sogno di
Nabucodonosor e la sua interpretazione, Daniele disse: “Sia benedetto il nome di Dio da tempo indefinito
a tempo indefinito, per la sapienza e la possanza, poiché gli appartengono”. E dicendo a Nabucodonosor
il sogno e il suo significato, Daniele mise in risalto il fatto che solo Dio poteva rivelare queste cose.
Daniele supplicò anche a favore della liberazione del suo popolo in base al nome di Dio. — Dan. 2:20,
28; 9:19.
Inoltre, è evidente che Daniele ‘in tutte le sue vie riconobbe Geova’. (Prov. 3:6) Uno dei modi in cui lo
riconobbe fu mediante le sue preghiere. Di fronte alla minaccia dell’esecuzione se non fosse riuscito a
interpretare il sogno di Nabucodonosor, la prima cosa che fece Daniele fu di rivolgersi a Dio in preghiera.
(Dan. 2:18) E Daniele continuò fedelmente a pregare anche a costo della vita. Certo questo lo rese molto
desiderabile agli occhi di Dio. — Dan. 6:10, 11.
Se vogliamo essere persone desiderabili presso Geova dobbiamo anche noi interessarci dell’onore e del
nome di Dio e apprezzare il prezioso privilegio della preghiera. Come ci consiglia l’apostolo Paolo,
dovremmo essere “costanti nella preghiera” e ‘pregare incessantemente’. — Rom. 12:12; 1 Tess. 5:17.
Daniele si rese desiderabile dinanzi a Geova anche perché confidò pienamente in Lui. Geova Dio
apprezza moltissimo le sue creature che fanno questo. Daniele ebbe una tale fiducia in Geova che fu
pronto a correre il rischio d’essere gettato nella fossa dei leoni. E poiché Daniele confidò in Dio, Dio lo
liberò, come infatti leggiamo: “Daniele fu tirato fuori della fossa, e non si trovò in lui nessun danno, perché
aveva confidato nel suo Dio”. — Dan. 6:23.
Similmente, se volete essere una persona desiderabile agli occhi di Geova Dio dovete confidare in lui
anche quando la vostra vita è minacciata. Come dice l’apostolo Paolo, dovete avere un’attitudine
coraggiosa mentre dite: “Geova è il mio soccorritore; non avrò timore. Che cosa mi può fare l’uomo?” —
Ebr. 13:6.
Se la vostra condotta è irreprensibile, se vi interessate di lodare Geova e rendere onore al suo nome, se
riconoscete Dio in tutte le vostre vie, perseverando nella preghiera, e se confidate tanto in Dio da non
temere ciò che vi può fare l’uomo, allora anche voi diverrete una persona veramente desiderabile dinanzi
a Dio. E potrete così essere annoverati fra le “cose desiderabili” di cui Dio parla: “‘E per certo scrollerò
tutte le nazioni, e le cose desiderabili di tutte le nazioni dovranno venire; e per certo riempirò questa casa
di gloria’, ha detto Geova degli eserciti”. — Agg. 2:7.
Oggi, come risultato della predicazione di questa buona notizia del regno di Dio in tutto il mondo, si può
dire che Geova Dio sta scrollando le nazioni. Il messaggio che i giudizi di Dio saranno presto eseguiti su
di loro causa costernazione fra le nazioni. Ma, nello stesso tempo, questa predicazione fa manifestare
come “cose desiderabili” le persone di cuore retto che amano Dio. In effetti, son fatte uscire dalle nazioni,
e vengono radunate nella congregazione cristiana. Mentre si schierano dalla parte di Geova e del suo
regno si può dire che riempiono di gloria la casa di Geova, come predisse anche il profeta.
Uno dei principali scopi della rivista che state ora leggendo è quello di accelerare questo atta di scrollare
tutte le nazioni. I testimoni di Geova della vostra comunità sono pronti ad aiutarvi ulteriormente perché
siate fra le “cose desiderabili”. Com’è meraviglioso essere giudicati desiderabili da Dio! Questo
significherà ottenere il suo favore e la vita. Come dice la Bibbia: “L’essere sotto la sua buona volontà è
per tutta la vita”. — Sal. 30:5.

w80 15/4 19-22 Fatevi coraggio! Il millennio è vicino


DANIELE, ESEMPIO DI CORAGGIO
3 La Parola di Dio narra molti atti di grande coraggio mostrato in circostanze in cui la fede era messa alla
prova. Uno che manifestò più volte tale coraggio fu Daniele, profeta di Dio. Giovane e schiavo a
Babilonia, “determinò in cuor suo che non si sarebbe contaminato con i cibi prelibati del re e col suo vino
da bere”, e in questo si unirono a lui Sadrac, Mesac e Abednego. (Dan. 1:8-19) La situazione richiese un
coraggio simile a quello richiesto oggi in alcuni paesi dai giovani testimoni di Geova, per esempio per
rifiutare la refezione scolastica quando include prodotti a base di sangue. — Atti 15:28, 29.
4 In seguito, quando quegli stessi tre compagni ebrei di Daniele si mostrarono irremovibili nella questione
dell’idolatria, indubbiamente Daniele approvò lealmente il loro atteggiamento. Sotto ispirazione mise per
iscritto quell’avvenimento con dovizia di particolari, per nostro avvertimento in questi giorni critici. — Dan.
cap. 3.
5 Daniele ebbe bisogno di coraggio per andare davanti al potente Nabucodonosor di Babilonia e far
conoscere l’interpretazione dei sogni avuti dal re, specialmente per il fatto che la profezia di Daniele
indicava che a suo tempo l’impero babilonese sarebbe stato stritolato e il re stesso umiliato. (Dan. 2:36-
38, 44, 45; 4:24, 25, 33) Anche in occasione dell’idolatrico banchetto di Baldassarre, quando per volontà
di Geova apparve una mano che scrisse sul muro del palazzo reale, Daniele dovette essere molto
coraggioso per informare il re e i suoi dignitari che la grande Babilonia era finita e che sarebbe stata data
in mano alla Media-Persia. (Dan. 5:1-6, 17-28) Similmente, c’è voluto coraggio da parte di molti testimoni
di Geova odierni per parlare con baldanza riguardo al giudizio divino contro Babilonia la Grande e altri
sistemi condannati di questo mondo. — Riv. 16:12-16, 19.
NELLA FOSSA DEI LEONI
6 Nelle loro difficili esperienze, Daniele e i suoi compagni avevano fatto completo affidamento su Geova.
(Dan. 2:17, 18) E fu in relazione con la preghiera che Daniele fu nuovamente chiamato a dar prova di
intrepido coraggio. Babilonia era caduta e ora Dario regnava sulla Media-Persia, quarta potenza
mondiale della storia biblica. Grazie allo “spirito straordinario” concessogli dal suo Dio, l’anziano Daniele
si distingueva costantemente rispetto a tutti gli altri funzionari del regno. Questi notabili, gelosi della
sapienza e della posizione di Daniele, cercavano il modo per rovinarlo. Ma sapevano bene di non poter
trovare alcun pretesto, salvo che lo cercassero nella “legge del suo Dio” — Dan. 6:1-5.
7 Sapendo che Daniele aveva l’abitudine di pregare e innalzare lodi al suo Dio tre volte al giorno, i
cospiratori fecero firmare al re un editto in base al quale chiunque nell’arco di trenta giorni avesse fatto
qualche richiesta ad alcun dio o uomo che non fosse stato il re, avrebbe dovuto essere gettato nella fossa
dei leoni. L’editto entrò a far parte delle immutabili leggi dei medi e dei persiani. (Dan. 6:6-9) Questo è
simile alla situazione odierna in molti paesi, dove funzionari o ecclesiastici intriganti, irritati dal rifiuto dei
testimoni di Geova di divenire parte del mondo o di ridurre le proprie attività del Regno, e gelosi della
benedizione divina sulla loro opera, cercano di intrappolare i Testimoni per toglierli di mezzo. Questi
oppositori sanno bene che nella comunità i servitori di Geova sono generalmente le persone più oneste e
osservanti della legge. Perciò creano delle controversie che hanno a che fare con cerimonie e
acclamazioni idolatriche o col grido di slogan patriottici, tipo “Heil Hitler”, “Viva Franco”, e simili.
8 Quale splendido esempio ci lasciò Daniele in quanto ad affrontare tali controversie! Il racconto ci dice:
“Ma Daniele, appena ebbe saputo che era stato firmato lo scritto, entrò nella sua casa, ed essendo le
finestre della sua camera in terrazza aperte per lui verso Gerusalemme, si inginocchiava sulle sue
ginocchia pure tre volte al giorno e pregava e offriva lode dinanzi al suo Dio, come aveva fatto
regolarmente prima di ciò”. (Dan. 6:10) Non abbandonò la sua consueta adorazione di Geova. In maniera
simile, i fedeli testimoni dei tempi moderni non smettono di adorare Dio perché qualche dittatore mette al
bando o limita le loro attività cristiane. Possono dover procedere con cautela, per esempio organizzando
con discrezione l’attività di casa in casa, o dando testimonianza soltanto con la Bibbia, o anche dando
principalmente risalto alla predicazione occasionale. Ma devono adorare Geova! ‘Non possono smettere
di parlare delle cose che hanno viste e udite’. — Atti 4:20.
9 Per la sua integrità, Daniele fu gettato nella fossa dei leoni. Ma questo significò forse che il suo Dio lo
aveva abbandonato? Assolutamente no! Né Geova abbandona oggi i suoi testimoni quando vengono
gettati in luride prigioni. Daniele non era stato abbandonato nemmeno dal re Dario, che “trascorse la
notte in digiuno”, probabilmente pregando l’Iddio di Daniele. La protezione di Geova si dimostrò molto più
potente dell’immutabile editto della legge medo-persiana. La mattina dopo, quando il re corse alla fossa
dei leoni per vedere se l’Iddio di Daniele, che egli ‘serviva con costanza’, era stato in grado di liberarlo,
Daniele poté rispondergli: “Il mio proprio Dio ha mandato il suo angelo e ha chiuso la bocca dei leoni, e
non mi hanno ridotto in rovina, dato che dinanzi a lui s’è trovata in me l’innocenza stessa; e anche dinanzi
a te, o re, non ho fatto nessun atto dannoso”. — Dan. 6:18-22.
10 Pregare Geova è tanto importante oggi quanto al tempo di Daniele, e come può essere efficace! Anche
se oggigiorno i testimoni di Geova non vengono gettati in letterali fosse dei leoni, vivono in un mondo
dove il loro “avversario, il Diavolo, va in giro come un leone ruggente, cercando di divorare qualcuno”.
Cosa devono quindi fare i cristiani quando si trovano a faccia a faccia con persecuzioni e altre prove?
Devono essere coraggiosi. Devono sottomettersi umilmente alla necessità di affrontare le difficili
circostanze e devono pregare, fiduciosi che ovunque anche i loro fratelli pregheranno ferventemente a
loro favore. L’apostolo Pietro dà un ottimo consiglio: “Gettate su [Dio] tutta la vostra ansietà, perché egli
ha cura di voi. Mantenetevi assennati, siate vigilanti. . . . prendete la vostra determinazione contro [il
Diavolo], solidi nella fede, sapendo che le stesse cose in quanto alle sofferenze si compiono nell’intera
associazione dei vostri fratelli che sono nel mondo. Ma, dopo aver sofferto per un po’, l’Iddio d’ogni
immeritata benignità . . . completerà egli stesso il vostro addestramento, vi renderà fermi, vi renderà forti.
A lui sia la potenza per sempre”. — I Piet. 5:6-11.
11 Ci sono stati molti esempi moderni di testimoni di Geova gettati, per così dire, nella “fossa dei leoni”.
Feroci come leoni, emissari di quel “leone ruggente” che è il Diavolo cercano continuamente di divorare il
popolo di Dio. Ma i testimoni di Geova perseverano nella preghiera, gettano su Dio la loro ansietà e
prendono la loro determinazione “solidi nella fede”. Per esempio, in Rhodesia, una ragazzina era stata
ben educata dai genitori per quanto riguarda i principi biblici. Fu sequestrata dai guerriglieri. I genitori
erano molto in ansia per lei, dato che i guerriglieri avevano l’abitudine di violentare o indottrinare le
ragazze adolescenti. Tutto ciò che i genitori potevano fare era pregare per lei. Dopo diversi giorni la
ragazza tornò illesa. “Che ti è successo?” chiesero i genitori. “Non ho fatto altro che dare testimonianza”,
spiegò la ragazza. Per cui i rapitori l’avevano rimandata a casa. Qualche tempo dopo il capo dei
guerriglieri andò in quel villaggio e cercò i genitori della ragazza. Disse loro che voleva proprio conoscere
i genitori di una ragazzina così ben preparata.
12 Geova ha veramente cura dei suoi devoti servitori e sta loro vicino! Con fiducia possiamo sempre
pregare come fece Davide: “O Geova mio Dio, mi son rifugiato in te. Salvami da tutti quelli che mi
perseguitano e liberami, affinché nessuno sbrani la mia anima come fa il leone, portandomi via quando
non c’è nessun liberatore”. Sì, a volte possiamo sentire che la nostra “anima è in mezzo ai leoni”, che
siamo fra “divoratori, pure i figli degli uomini, i cui denti sono lance e frecce, e la cui lingua è una spada
affilata”. Ma pregando con fervore Geova e rifugiandoci all’ombra delle sue ali supereremo queste prove
e manterremo l’integrità. (Sal. 7:1, 2; 57:1-4) Se Daniele ‘mediante la fede fermò la bocca dei leoni’,
possiamo riuscirci anche noi. — Ebr. 11:33.
IN “UN TEMPO D’ANGUSTIA”
13 In seguito, durante il regno di Ciro, un angelo apparve in visione a Daniele e lo rafforzò dicendo: “Non
aver timore, o uomo molto desiderabile. Abbi pace. Sii forte, sì, sii forte”. (Dan. 10:1-19) Ci volle coraggio
da parte di Daniele per ricevere e mettere per iscritto la poderosa profezia che poi l’angelo gli diede e che
troviamo nei capitoli 11 e 12 di Daniele. E c’è voluto coraggio da parte dei testimoni di Geova per
continuare a ‘non far parte del mondo’ durante l’adempimento della parte finale di questa profezia, che
descrive l’antagonismo fra il comunista “re del nord” e il capitalista “re del sud” in quest’èra nucleare.
14 Il libro di Daniele menziona più volte Michele, il cui nome significa “Chi è simile a Dio?” (Dan. 10:13,
21) Perciò questo grande principe va identificato col Signore Gesù Cristo, che combatte per la
rivendicazione della sovranità di Geova. Parlando di questo “tempo della fine”, l’angelo dice a Daniele: “E
durante quel tempo sorgerà Michele, il gran principe che sta a favore dei figli del tuo popolo. E per certo
accadrà un tempo d’angustia tale come non se ne sarà fatto accadere da che ci fu nazione fino a quel
tempo. E durante quel tempo il tuo popolo scamperà, chiunque si troverà scritto nel libro”. (Dan. 12:1, 4)
Ci sia consentito di essere molto coraggiosi per fare tutto ciò che l’Iddio di Daniele richiede da noi, finché
quel “tempo d’angustia” non spazzi via il malvagio mondo di Satana. Allora spunterà il glorioso giorno del
regno millenario di Gesù. “Molti di quelli addormentati nella terra della polvere . . . si sveglieranno” con la
prospettiva della vita eterna sulla terra. Anche il coraggioso Daniele ‘sorgerà per la sua sorte alla fine dei
giorni’. — Dan. 12:2, 9, 13.
[Figura a pagina 21]
Geova, come protesse Daniele, così protegge i testimoni dagli odierni “leoni”

w85 15/5 24-6 "Voi siete il sale della terra"


Il sale impedisce la corruzione
14 Dall’elevato e puro punto di vista di Geova Dio tutto questo sistema di cose malvagio sembrerà molto
simile alle pelli di pecora menzionate in precedenza. Prima di essere pulite e di cosparse di sale,
emanavano cattivo odore e brulicavano di vermi. Ebbene, in una certa misura le condizioni di questo
mondo influiscono su tutti, e per resistere a una corruzione che tocca qualsiasi aspetto della vita occorre
avere coraggio e mantenere la propria integrità nei confronti di Dio. Solo in questo modo uno può evitare
di deteriorarsi moralmente. Non solo deve essere gentile nel parlare, ma gli occorre anche quella qualità
preservatrice che lo metta in condizione di dire di no a qualsiasi forma di corruzione. Ha urgente bisogno
di “sale”. — I Pietro 4:1-3.
15 Un fedele servitore di Geova deve saper dire di no alle pratiche cattive e alle tentazioni. Ricordate che
per tre volte Gesù disse di no quando fu tentato da Satana nel deserto. (Matteo 4:1-10) E valutate
l’esempio del profeta Daniele. Imparò a dire di no in età relativamente giovane. Quando Daniele da
giovane era alla corte reale di Babilonia, a lui e ai suoi compagni venne offerta “una razione giornaliera
dai cibi prelibati del re”. Ma Daniele e i suoi amici la rifiutarono. In questo caso non si trattava di rifiutare
un’offerta amichevole. I quattro giovani ebrei insistettero di voler seguire piuttosto una dieta a base di soli
cibi vegetali e acqua, perché non volevano mangiare cibi proibiti dalla Legge o contaminati da rituali
pagani. Per comportarsi così ci voleva vero coraggio. Il risultato fu soddisfacente, dato che al termine
prestabilito del periodo di prova il loro aspetto fisico era migliore di quello di coloro che avevano accettato
la dieta del re. E spiritualmente quegli ebrei avevano la benedizione e l’approvazione di Geova. —
Daniele 1:5-17.
16 Geova Dio fece in modo che Daniele e i suoi amici fossero protetti poiché ‘avevano sale in loro stessi’.
Ma possiamo imparare altre cose da Daniele. Gli fu affidato un incarico importante nel governo
babilonese. In quelle circostanze avrà dovuto dire di no molte volte, dato che era circondato da pagani e
che senz’altro la corte reale era piena di immoralità, menzogna, corruzione, intrighi politici e altre pratiche
corrotte. Molte volte Daniele fu sottoposto a forti pressioni. Ma pur essendo in mezzo al “mondo” di quel
tempo, ‘non faceva parte del mondo’. (Giovanni 17:16) Daniele fu un servitore di Geova fedele e accorto,
che aveva “sale”. Infatti i nemici di Daniele, forse irritati per il fatto che la sua integrità e la sua onestà si
riflettevano negativamente su di loro, cercarono addirittura di sopprimerlo! Ciò nondimeno dovettero
ammettere che “era degno di fiducia e in lui non si trovava nessuna negligenza né cosa corrotta”.
(Daniele 6:4, 5) Che ottimo esempio!
17 Come il giovane Daniele e i suoi amici, oggi i giovani cristiani affrontano prove difficili. Particolarmente
a scuola devono respingere cose come droga, tabacco, bevande alcoliche, discorsi osceni, immoralità,
inganni, spirito di ribellione, falsa adorazione, nazionalismo, cattive compagnie, insegnamenti errati quali
l’evoluzione, e altre potenti influenze. Il giovane cristiano dev’essere accorto, avere “sale” per mantenersi
puro e integro di fronte a tutte queste tentazioni.
18 Pertanto, genitori cristiani, valutate attentamente la condizione della vostra famiglia. Stanno facendo
progresso spirituale tutti i suoi componenti? Avete impedito che la corruzione mondana contaminasse i
vostri giovani? Sapete cosa fanno e cosa realmente pensano della vera adorazione e cosa provano per
essa? Sono disgustati per le cose impure di questo mondo, o corrono il rischio di esserne sopraffatti?
(Amos 5:14, 15) Se, come genitori, non state abbastanza vicino ai vostri figli per aiutarli, o se riscontrate
che farlo è difficile, perché non pregate sentitamente Geova a questo riguardo? Di sicuro egli può aiutarvi
a sormontare questo ostacolo. — I Giovanni 5:14.
19 Che genere di esempio state dando in qualità di genitori cristiani? Dite con decisione di no ai dannosi
eccessi nel mangiare e nel bere e alle molte forme di immoralità e impurità che si praticano intorno a voi?
Dite di no alla corruzione, ai furtarelli e alle barzellette e ai discorsi osceni della gente del mondo? Sul
lavoro o nel vicinato siete conosciuti come persone pure, oneste e corrette? È indispensabile dire di no al
momento giusto per essere “il sale della terra”.

w88 1/12 15-18 Geova ricompensa la fede e il coraggio


Geova ricompensa la fede e il coraggio
“Il nostro Dio che serviamo ci può liberare. Egli ci libererà dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano,
o re”. — DANIELE 3:17.
GEOVA DIO, il Sovrano universale, ha impartito a governanti mondiali importanti lezioni sulla sua
supremazia. Nell’articolo precedente abbiamo visto alcuni episodi riportati nei primi sei capitoli⇒ 1–6⇐ di
Daniele che dimostrano questo fatto. Questi stessi racconti possono ora essere riesaminati per vedere
cosa possiamo imparare da essi, in armonia con le ispirate parole dell’apostolo Paolo: “Tutte le cose che
furono scritte anteriormente furono scritte per nostra istruzione, affinché per mezzo della nostra
perseveranza e per mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza”. — Romani 15:4.
2 Fu nel 617 a.E.V., durante il breve regno di Ioiachin, figlio del re Ioiachim, che Nabucodonosor fece
deportare a Babilonia alcuni dei migliori e più saggi giovani ebrei. Fra loro c’erano Daniele, Hanania,
Misael e Azaria. — Daniele 1:3, 4, 6.
3 A giudicare dal significato dei loro nomi, è evidente che, nonostante le malvage condizioni prevalenti in
Giuda a quel tempo, quei quattro giovani ebrei avevano genitori timorati di Dio. “Daniele” significa “Il mio
giudice è Dio”. “Hanania” significa “Geova ha mostrato favore; Geova è stato benigno”. “Misael” forse
significa “Chi è simile a Dio?” o “Chi appartiene a Dio?” E “Azaria” significa “Geova ha aiutato”. Senza
dubbio i loro stessi nomi furono per loro un incentivo a essere fedeli al solo vero Dio. Invece di usare
questi nomi, i caldei chiamarono i quattro giovani ebrei Baltassar, Sadrac, Mesac e Abednego.
Ovviamente, essendo schiavi in un paese straniero, essi non avevano nessuna voce in capitolo per
quanto riguardava i nomi con cui erano chiamati da coloro che li avevano fatti prigionieri. — Daniele 1:7.
Fede e coraggio messi alla prova
4 Non solo i loro genitori timorati di Dio diedero ai quattro ebrei un buon inizio nella vita dando loro quei
nomi, ma dovettero anche allevarli nella stretta osservanza della Legge di Mosè, comprese le sue norme
dietetiche. Geova Dio stesso considerava queste ultime così importanti che dopo aver elencato molte
proibizioni di tale genere dichiarò: “Vi dovete mostrare santi, perché io sono santo”. — Levitico 11:44, 45.
5 L’ottima educazione ricevuta da questi quattro giovani ebrei fu presto messa alla prova. Perché?
Perché fu assegnata loro “una razione giornaliera dai cibi prelibati del re e dal suo vino da bere”. (Daniele
1:5) Essi sapevano che fra le cose vietate dalla Legge di Mosè c’era la carne di maiale, di coniglio, le
ostriche e le anguille. Anche quelle carni che la Legge consentiva di mangiare costituivano un problema
alla corte di Babilonia, perché non c’era modo di sapere se erano state debitamente dissanguate. Per di
più, tali carni potevano anche essere state contaminate da riti pagani. — Levitico 3:16, 17.
6 Cosa potevano fare i quattro ebrei? Leggiamo che Daniele, come avranno fatto senza dubbio anche gli
altri tre, determinò in cuor suo di non contaminarsi con tali cibi. Perciò “continuò a fare richiesta” di
semplici verdure al posto dei cibi prelibati del re, e di acqua invece del suo vino. Essi non tennero conto
di quali cibi avessero un sapore migliore. Ci vollero di sicuro fede e coraggio per insistere su questo
punto. Ebbene, dato che Geova si interessava di questi quattro giovani, fece in modo che il principale
funzionario di corte si mostrasse favorevolmente disposto verso Daniele. Tuttavia questo funzionario
esitava a concedere a Daniele gli alimenti richiesti, temendo che questa dieta potesse influire
negativamente sulla salute del giovane. Allora Daniele chiese che venisse permesso loro di provare
questa dieta per dieci giorni. Egli aveva forte fede che ubbidendo alla Legge di Dio non solo avrebbe
avuto la coscienza a posto, ma ne avrebbe anche tratto giovamento sotto l’aspetto della salute. Come
conseguenza della loro presa di posizione, i quattro ebrei dovettero senz’altro subire molti scherni. —
Daniele 1:8-14; Isaia 48:17, 18.
7 I quattro ebrei dovettero mostrare fede e coraggio per fare una questione della loro alimentazione. Ma
furono ricompensati, perché alla fine dei dieci giorni erano di aspetto migliore e più sani di tutti gli altri!
Geova stava dando loro conoscenza, perspicacia e sapienza, così che quando comparvero dinanzi al re
alla fine del loro addestramento triennale, egli li trovò “dieci volte migliori di tutti i sacerdoti che
praticavano la magia e gli evocatori che erano in tutto il suo reame”. — Daniele 1:20.
8 Tutti gli odierni servitori di Geova Dio possono trarre una lezione da questo. Quei giovani ebrei
avrebbero potuto pensare che le norme dietetiche della Legge mosaica non fossero poi così importanti,
almeno in paragone con i Dieci Comandamenti o con le leggi relative ai sacrifici o alle feste annuali.
Invece no: i leali ebrei desideravano vivere in armonia con tutti gli aspetti della Legge di Dio. Questo ci
ricorda il principio espresso da Gesù in Luca 16:10: “Chi è fedele nel minimo è anche fedele nel molto, e
chi è ingiusto nel minimo è anche ingiusto nel molto”. — Confronta Matteo 23:23.
9 Molte volte i testimoni di Geova mostrano fede e coraggio simili, ad esempio quando si tratta di
chiedere al datore di lavoro un permesso per assistere a un’assemblea di distretto. Molte volte viene fatta
un’eccezione per loro. Testimoni che desideravano intraprendere il servizio di pioniere o fare i pionieri
ausiliari hanno lottato per ottenere un lavoro a mezza giornata e spesso sono stati accontentati.
10 Che ottima lezione gli odierni genitori timorati di Dio possono imparare dall’addestramento che i quattro
giovani ebrei avevano evidentemente ricevuto! Quando i genitori cristiani hanno veramente a cuore gli
interessi spirituali dei loro figli, li metteranno al primo posto nella loro stessa vita, in armonia con Matteo
6:33. Allora potranno aspettarsi che i loro figli siano in grado di resistere alle tentazioni e alle pressioni
esercitate da compagni e insegnanti a scuola perché celebrino compleanni o festività, o violino in altri
modi i princìpi scritturali. Così facendo questi genitori timorati di Dio confermeranno la veracità di Proverbi
22:6.
Coraggio nell’interpretare i sogni di Nabucodonosor
11 Il secondo capitolo di Daniele ci fornisce un altro esempio di fede e di coraggio. Quando Daniele seppe
dell’editto del re che condannava a morte tutti i saggi di Babilonia perché non erano stati in grado di
narrargli il sogno e il suo significato, Daniele e i suoi tre compagni si fecero forse prendere dal panico?
Per nulla! Piuttosto, con assoluta fiducia che Geova gli avrebbe dato le informazioni desiderate dal re,
Daniele apparve dinanzi al monarca e gli chiese del tempo per dargli la risposta. La richiesta fu esaudita.
Allora Daniele e i suoi tre amici pregarono fervidamente al riguardo. Geova ricompensò la loro fede
dando loro le informazioni necessarie, dopo di che Daniele elevò a Geova una sentita preghiera di
ringraziamento. (Daniele 2:23) E interpretare il sogno del capitolo 4 ⇒di Daniele ⇐significò per Daniele
dover dire a Nabucodonosor che avrebbe trascorso sette anni vivendo come una bestia insieme agli
animali selvatici. Questo richiese fede e coraggio come quelli che i servitori di Dio devono mostrare oggi
per proclamare il vigoroso messaggio della vendetta divina contro il mondo di Satana.
Un altro esempio di fede e di coraggio
18 Un altro esempio di fede e di coraggio è riportato nel capitolo 5 del libro di Daniele. Baldassarre, re di
Babilonia, stava tenendo un sontuoso banchetto sacrilego con mille dei suoi grandi, le sue concubine e le
sue mogli secondarie. All’improvviso apparve sul muro una strana scritta. Il re ne fu talmente scosso che
le giunture dei suoi fianchi si sciolsero e i suoi ginocchi battevano l’uno contro l’altro. Ancora una volta fu
chiamato Daniele, il servitore del vero Dio, perché interpretasse la scritta che aveva lasciato perplessi
tutti i saggi di Babilonia.
19 Il fatto di essere solo in quell’ambiente sfarzoso e ostile non mise soggezione a Daniele né lo indusse
ad annacquare il suo messaggio o a perdere di vista la contesa. In maniera pacata e calma, con un
linguaggio chiaro e dignitoso, diede testimonianza riguardo al suo Dio. Non accontentandosi
semplicemente di interpretare la scritta, Daniele ricordò al re che Geova Dio aveva umiliato suo nonno
facendo sì che vivesse come una bestia selvatica finché non riconobbe che l’Iddio Altissimo domina sul
regno del genere umano. “Benché tu conoscessi tutto questo”, disse Daniele a Baldassarre, ‘non ti sei
umiliato, ma hai profanato i vasi del tempio di Geova e hai lodato gli dèi d’oro, d’argento, di rame, di ferro,
di legno e di pietra, che non vedono nulla né odono nulla né conoscono nulla. Ma non hai glorificato
l’Iddio a cui appartengono tutte le tue vie. Di conseguenza egli ha emanato il suo decreto. Sei stato
pesato nella bilancia e trovato mancante, e il tuo regno è stato diviso e dato ai medi e ai persiani’. Sì,
Daniele diede nuovamente uno splendido esempio di fede e di coraggio per gli odierni servitori di Dio. —
Daniele 5:22-28.
20 Arrivando al sesto capitolo di Daniele, troviamo un altro eccellente esempio di fede e coraggio. Ora il re
era Dario, che fece di Daniele uno dei tre principali funzionari del suo regno. Altri, invidiosi di Daniele,
persuasero il monarca a emanare una legge che per 30 giorni vietava di fare richieste a chiunque non
fosse il re. Essi si rendevano conto che questo era l’unico modo per trovare un pretesto contro Daniele.
Questi ignorò la legge e continuò a pregare nella sua camera in terrazza con le finestre aperte, rivolto
verso Gerusalemme. Essendo stato riconosciuto colpevole di aver violato il decreto reale, Daniele,
secondo la pena prevista dalla legge, fu gettato nella fossa dei leoni. Ancora una volta Geova ricompensò
Daniele per la sua fede e il suo coraggio. In che modo? Per dirla con le parole di Ebrei 11:33, Geova
‘fermò le bocche dei leoni’.
21 I capitoli da 1 ⇒fino ⇐a 6 di Daniele narrano avvenimenti che rafforzano veramente la fede! Geova
Dio ricompensò in maniera davvero meravigliosa quelli che manifestarono fede e coraggio. Da una parte,
ciò avvenne in quanto essi furono innalzati, e, dall’altra, in quanto vennero miracolosamente liberati.
Quando ci troviamo davanti a una prova possiamo davvero trarre conforto e speranza dalle vicende di
questi fedeli testimoni. Queste cose, infatti, furono messe per iscritto proprio per questo scopo! La nostra
determinazione sia quindi quella di imitare da vicino la loro fede e il loro coraggio. — Romani 15:4; Ebrei
6:12.
[Figura a pagina 17]
Daniele e i suoi tre compagni impararono a dire di no

w91 15/12 16 Rimaniamo vicini a Geova


11 Daniele fu risoluto e costante nella preghiera, anche quando rischiava di essere gettato nella fossa dei
leoni per aver trasgredito le restrizioni ufficiali sulla preghiera. Ma Geova ‘mandò il suo angelo e chiuse la
bocca dei leoni’, liberando Daniele. (Daniele 6:7-10, 22, 27) Daniele fu enormemente benedetto per la
sua costanza nella preghiera. Siamo anche noi costanti nella preghiera, specialmente quando
incontriamo opposizione nel predicare il Regno?

w90 1/8 6 Giovani servitori dei tempi biblici


Daniele, Gesù e Timoteo
Non avete sentito parlare di Daniele? Egli avrà avuto molto meno di vent’anni quando, insieme ad altri
“fanciulli”, fu deportato alla corte del potente Nabucodonosor, re di Babilonia. Pur essendo giovane,
Daniele era deciso a ubbidire a Dio. Sia lui che i suoi compagni non vollero contaminarsi con cibi che
forse violavano la Legge di Dio o erano stati resi impuri da riti pagani. Per più di ottant’anni Daniele non
vacillò mai, ma rimase integro al punto che non smise di pregare Dio neanche quando questo significava
essere gettato in pasto ai leoni. Prendete altrettanto sul serio il servizio che rendete a Dio e la preghiera?
Dovreste farlo. — Daniele 1:3, 4, 8; 6:10, 16, 22.
km 7/75 2 Adunanze di Servizio
Min. 30: Imitate la fedeltà di Daniele. L’oratore può riferire il racconto biblico, invitando l’uditorio a
rispondere alle domande.
Daniele fu da Dio chiamato “uomo molto desiderabile”. (Dan. 10:11) Sarebbe bello se Dio dicesse la
stessa cosa di noi. E a certi fedeli lo dice, poiché sono chiamati “le cose desiderabili di tutte le nazioni”.
(Agg. 2:7) Considerando la fedele condotta di Daniele possiamo rafforzare la nostra fedeltà per essere
“desiderabili” agli occhi di Dio.
(1) Daniele rispecchiò l’ammaestramento precedentemente ricevuto intorno alla legge di Dio rifiutando da
giovane di contaminarsi con i cibi prelibati del re. (Dan. 1:8, 9) Come ci è oggi d’esempio quando
sappiamo che certi cibi sono contaminati col sangue o quando ci vogliono imporre una trasfusione di
sangue?
(2) Daniele non si attribuì mai sapienza. Non confidò nella propria capacità. (Dan. 2:17, 18, 28-30) Che
cosa mostra l’esempio di Daniele su come ottenere vera sapienza?
(3) Daniele fu intrepido ma rispettoso quando parlò dei propositi di Dio davanti al re Baldassarre e ai suoi
funzionari. (Dan. 5:22-28) A questo riguardo, come fu Daniele un esempio per i cristiani d’oggi?
(4) Daniele non fu affatto ambizioso d’ottenere posizione, autorità o potere. Riconobbe Geova come fonte
delle rivelazioni che ricevette. Adempì perfettamente le sue responsabilità ma con imparzialità e non si
servì della sua posizione per avere speciali privilegi o favori. (Dan. 5:16, 17) In che modo la conoscenza
di ciò che Daniele fece ci aiuta ad avere la giusta veduta?
(5) Daniele continuò a praticare la vera adorazione di Dio quando complottarono legalmente contro di lui.
(Dan. 6:5-11) Come potremmo trovarci in una situazione simile? Che cosa mostra Daniele 6:5 su quella
che dovrebbe essere la nostra condotta? In che modo la sua liberazione ci dà fiducia e certezza davanti
alla persecuzione? — Dan. 6:16-24.
(6) I suoi lunghi anni di fedeltà diedero a Daniele la felice assicurazione della risurrezione. (Dan. 12:13)
Come ci è questo di conforto? — Ebr. 6:10-12.
Considerando i suddetti punti, si possono leggere per intero o in parte le scritture citate, secondo il tempo
disponibile. Quindi si può imperniare la considerazione sulle scritture.
Davide — Tema: Giovani, preparatevi ora per servire Geova coraggiosamente SALMO 31:24

it-1 652-8 Davide


DAVIDE
[prob., diletto].
Nella Traduzione del Nuovo Mondo questo nome ricorre 1.079 volte nelle Scritture Ebraiche, incluse 75
volte nelle soprascritte di 73 salmi, e 59 volte nelle Scritture Greche Cristiane. Di tutti i personaggi delle
Scritture Ebraiche, solo Mosè e Abraamo sono menzionati più spesso dagli scrittori cristiani della Bibbia.
Nei 1.138 casi in cui ricorre, il nome Davide si riferisce a un solo personaggio, il secondo re d’Israele, o a
colui di cui Davide fu a volte un tipo profetico: “Gesù Cristo, figlio di Davide”. — Mt 1:1.
Questo pastore, musicista, poeta, soldato, statista, profeta e re è una figura di primissimo piano nelle
Scritture Ebraiche. Focoso combattente sul campo di battaglia, perseverò nelle avversità, fu un valoroso
condottiero il cui coraggio e la cui forza non vennero mai meno, eppure fu abbastanza umile da
riconoscere i propri errori e pentirsi di gravi peccati. Era un uomo capace di provare tenera compassione
e misericordia, amante della verità e della giustizia, e, soprattutto, aveva assoluta fiducia in Geova suo
Dio.
Davide era discendente di Boaz e Rut, e, attraverso Perez, aveva come antenato Giuda. (Ru 4:18-22; Mt
1:3-6) Era il minore degli otto figli di Iesse e aveva anche due sorelle o sorellastre. (1Sa 16:10, 11; 17:12;
1Cr 2:16) Uno dei fratelli di Davide morì evidentemente senza figli e non è più menzionato nelle
genealogie successive. (1Cr 2:13-16) Della madre di Davide non viene fatto il nome. Alcuni hanno
pensato che Naas fosse sua madre, ma è più probabile che fosse il padre delle sorellastre di Davide. —
2Sa 17:25; vedi NAAS n. 2.
Betleem, circa 9 km a SSO di Gerusalemme, era il paese nativo di Davide, dove avevano vissuto i suoi
antenati Iesse, Obed e Boaz, e che a volte era chiamato “città di Davide” (Lu 2:4, 11; Gv 7:42), da non
confondere con “la Città di Davide”, cioè Sion a Gerusalemme. — 2Sa 5:7; vedi CITTÀ DI DAVIDE.
Ragazzo. Incontriamo Davide per la prima volta mentre bada alle pecore del padre in un campo presso
Betleem. Questo ci ricorda che sempre in un campo presso Betleem, oltre un millennio dopo, dei pastori
rimasero sbigottiti per essere stati scelti per udire l’angelo di Geova che annunciava la nascita di Gesù.
(Lu 2:8-14) Samuele, inviato da Dio a casa di Iesse per ungerne uno dei figli come futuro re, esclude i
sette fratelli maggiori di Davide, dicendo: “Geova non ha scelto questi”. Alla fine si manda a chiamare
Davide dal campo. C’è un’atmosfera di grande aspettativa quando egli entra — “un giovane dal colorito
roseo, con begli occhi e di bell’aspetto” — dato che finora nessuno sa perché Samuele sia venuto.
“Levati”, è il comando di Geova a Samuele, “ungilo, poiché è questo!” Di lui Geova dice: “Ho trovato
Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore, che farà tutte le cose che desidero”. — 1Sa 16:1-13;
13:14; At 13:22.
Gli anni che Davide trascorse facendo il pastore esercitarono una profonda influenza sul resto della sua
vita. La vita all’aria aperta lo preparò a vivere come fuggiasco quando, più tardi, dovette sottrarsi all’ira di
Saul. Divenne abile nel tirare pietre con la fionda, e manifestò perseveranza, coraggio e prontezza nel
cercare e salvare le pecore che si allontanavano dal gregge, senza esitare a uccidere un orso o un leone
quando fu necessario. — 1Sa 17:34-36.
Ma, oltre che come valoroso guerriero, Davide sarà sempre ricordato anche come abile suonatore di arpa
e compositore di cantici, attitudini che forse sviluppò nelle lunghe ore trascorse a pascolare le pecore.
Davide era noto anche per avere inventato nuovi strumenti musicali. (2Cr 7:6; 29:26, 27; Am 6:5) L’amore
di Davide per Geova elevò le sue liriche molto al di sopra del comune livello di semplice divertimento e ne
fece dei capolavori dedicati all’adorazione e alla lode di Geova. Le soprascritte di almeno 73 salmi
indicano che Davide ne fu il compositore, ma anche altri salmi gli sono altrove attribuiti. (Cfr. Sl 2:1 con At
4:25; Sl 95:7, 8 con Eb 4:7). Alcuni, per esempio i Salmi 8, 19, 23 e 29, molto probabilmente riflettono le
esperienze di Davide mentre era pastore.
Tutta l’esperienza fatta mentre custodiva le pecore preparò Davide per il ruolo più grande quale pastore
del popolo di Geova, come è scritto: “[Geova] scelse dunque Davide suo servitore e lo prese dai recinti
del gregge. Dal seguire le femmine che allattavano lo condusse per esser pastore su Giacobbe suo
popolo e su Israele sua eredità”. (Sl 78:70, 71; 2Sa 7:8) Tuttavia, la prima volta che Davide lasciò le
pecore di suo padre non fu per assumere il regno. Divenne invece musicista di corte dietro
raccomandazione di un consigliere di Saul, il quale aveva detto che Davide non solo era “esperto nel
suonare”, ma era anche “uomo potente e valoroso, e uomo di guerra e oratore intelligente e uomo ben
formato, e Geova è con lui”. (1Sa 16:18) Quindi Davide diventò l’arpista dell’inquieto Saul, e anche il suo
scudiero. — 1Sa 16:19-23.
In seguito, non si sa per quali ragioni, Davide torna a casa di suo padre per un periodo di tempo
indeterminato. Nel portare le provviste ai fratelli che facevano parte dell’esercito di Saul, in quel momento
sulla difensiva di fronte ai filistei, Davide si adira vedendo e sentendo Golia schernire Geova. “Chi è
questo incirconciso filisteo che debba biasimare le linee di battaglia dell’Iddio vivente?” (1Sa 17:26),
chiede; poi aggiunge: “Geova, che mi liberò dalla zampa del leone e dalla zampa dell’orso, mi libererà
dalla mano di questo filisteo”. (1Sa 17:37) Ottenuto il permesso, l’uccisore del leone e dell’orso si avvicina
a Golia con queste parole: “Vengo a te nel nome di Geova degli eserciti, l’Iddio delle linee di battaglia
d’Israele, che tu hai biasimato”. D’un tratto Davide lancia la pietra con la fionda e abbatte il campione
nemico. Poi con la spada dello stesso Golia, Davide lo decapita e torna al campo coi suoi trofei di guerra:
la testa e la spada del gigante. — 1Sa 17:45-54; ILLUSTRAZIONE, vol. 1, ⇒it-1 ⇐p. 745.
Va notato che la Settanta, come risulta dal manoscritto greco Vaticano 1209, del IV secolo, omette il
brano che va da 1 Samuele 17:55 fino a “filistei” in 18:6a. Perciò Moffatt mette tutti questi versetti tranne
l’ultimo fra doppie parentesi quadre, indicandoli come “aggiunte del compilatore o interpolazioni più
tarde”. Comunque esistono prove a favore della lezione del testo masoretico. — Vedi SAMUELE, LIBRI
DI (Brani mancanti nella Settanta greca).
Fuggiasco. (CARTINA, vol. 1, ⇒it-1 ⇐p. 746) Il rapido susseguirsi degli avvenimenti portò
improvvisamente Davide dall’oscura esistenza nel deserto all’attenzione di tutto Israele. Preposto agli
uomini di guerra, Davide fu accolto con giubilo e danze al suo ritorno da una vittoriosa spedizione contro i
filistei; in quei giorni si cantava: “Saul ha abbattuto le sue migliaia, e Davide le sue decine di migliaia”.
(1Sa 18:5-7) “Tutto Israele e Giuda amavano Davide”, e lo stesso Gionatan figlio di Saul concluse con lui
un patto di reciproco amore e amicizia per tutta la vita, i cui benefìci si estesero a Mefiboset figlio di
Gionatan e al nipote Mica. — 1Sa 18:1-4, 16; 20:1-42; 23:18; 2Sa 9:1-13.
Questa popolarità suscitò l’invidia di Saul, che ‘da quel giorno in poi guardava Davide con sospetto’. Per
due volte, mentre Davide suonava come un tempo, Saul scagliò una lancia con l’intento di inchiodarlo alla
parete, e tutt’e due le volte Geova lo salvò. Saul aveva promesso di dare sua figlia a chiunque avesse
ucciso Golia, ma ora era riluttante a darla a Davide. Alla fine Saul acconsentì al matrimonio di un’altra
figlia a patto che Davide gli portasse “cento prepuzi dei filistei”, richiesta irragionevole che secondo i
calcoli di Saul avrebbe significato la morte di Davide. Ma il coraggioso Davide raddoppiò la dote, presentò
a Saul 200 prepuzi e sposò Mical. Così ora due figli di Saul avevano stretto per amore patti con Davide,
circostanze che indussero Saul a odiarlo sempre di più. (1Sa 18:9-29) Mentre Davide suonava, per la
terza volta il re Saul cercò di inchiodarlo alla parete con la lancia. Col favore delle tenebre Davide fuggì, e
rivide Saul solo in circostanze diverse e davvero strane. — 1Sa 19:10.
Per diversi anni Davide visse come un fuggiasco, costretto costantemente a spostarsi da un luogo
all’altro, inseguito senza posa da un re malvagio e ostinato, deciso a ucciderlo. Davide in un primo tempo
trovò rifugio presso il profeta Samuele a Rama (1Sa 19:18-24), ma quando quello non fu più un
nascondiglio sicuro, si diresse verso la città filistea di Gat, fermandosi a Nob per vedere il sommo
sacerdote Ahimelec e farsi dare la spada di Golia. (1Sa 21:1-9; 22:9-23; Mt 12:3, 4) Tuttavia solo
fingendosi matto, disegnando come un bambino croci sulla porta e lasciandosi colare la saliva lungo la
barba, riuscì a fuggire da Gat. (1Sa 21:10-15) In seguito a quest’esperienza Davide compose i Salmi 34 e
56. Poi si rifugiò nella caverna di Adullam, dove la sua famiglia e circa 400 uomini sventurati e afflitti si
unirono a lui. Il Salmo 57 o il ⇒Salmo ⇐142, o entrambi, forse ricordano il soggiorno in quella caverna.
Davide continuò a spostarsi: di là a Mizpe in Moab e poi di nuovo nella foresta di Eret in Giuda. (1Sa
22:1-5) Mentre si trovava a Cheila apprese che Saul si preparava all’attacco, per cui, insieme ai suoi
uomini, che ora erano circa 600, partì per il deserto di Zif. Saul continuò a dargli la caccia da un luogo
all’altro, da Ores nel deserto di Zif al deserto di Maon. Quando stava per raggiungere la sua preda, Saul
fu informato di un’incursione filistea, perciò per qualche tempo abbandonò l’inseguimento, consentendo al
fuggiasco di rifugiarsi a En-Ghedi. (1Sa 23:1-29) Splendidi salmi di lode a Geova per averlo liberato
miracolosamente (Sl 18, 59, 63, 70) furono il frutto di simili esperienze.
A En-Ghedi Saul entrò in una caverna per fare i suoi bisogni. Davide, che era nascosto in fondo alla
caverna, si avvicinò furtivamente a Saul e gli tagliò il lembo della veste, ma gli risparmiò la vita, dicendo
che era impensabile da parte sua fare del male al re, “poiché è l’unto di Geova”. — 1Sa 24:1-22.
Dopo la morte di Samuele. Dopo la morte di Samuele, Davide, ancora in esilio, si stabilì nel deserto di
Paran. (vedi PARAN). Lui e i suoi uomini mostrarono benignità a Nabal, un ricco allevatore di bestiame
che lavorava nella città di Carmelo, a S di Ebron; ma da quell’ingrato ricevettero solo mortificazioni. La
prontezza di Abigail moglie di Nabal trattenne la mano di Davide dallo sterminare tutti i maschi della
famiglia, ma Nabal fu colpito da Geova e morì. Allora Davide sposò la vedova, così che oltre ad Ahinoam
di Izreel, aveva ora un’altra moglie, Abigail di Carmelo; durante la lunga assenza di Davide, Saul aveva
dato Mical a un altro uomo. — 1Sa 25:1-44; 27:3.
Di nuovo braccato, Davide si rifugiò per la seconda volta nel deserto di Zif, e paragonò Saul e i suoi 3.000
uomini a gente che cerca “una singola pulce, proprio come si insegue una pernice sui monti”. Una notte
Davide e Abisai s’introdussero nell’accampamento di Saul mentre tutti dormivano e gli portarono via la
spada e la brocca dell’acqua. Abisai voleva uccidere Saul, ma Davide gli risparmiò la vita per la seconda
volta, dicendo che, dal punto di vista di Geova, per lui era impensabile stendere la mano contro l’unto di
Dio. (1Sa 26:1-25) Quella fu l’ultima volta che Davide vide il suo avversario.
Davide rimase per 16 mesi a Ziclag in territorio filisteo, lontano da Saul. Diversi uomini potenti disertarono
dall’esercito di Saul e si unirono agli esiliati a Ziclag, permettendo a Davide di fare incursioni nei villaggi
dei nemici d’Israele a S, rendendo così più sicuri i confini di Giuda e consolidando la sua futura posizione
di re. (1Sa 27:1-12; 1Cr 12:1-7, 19-22) Quando i filistei si preparavano ad assalire l’esercito di Saul, il re
Achis, pensando che Davide fosse diventato “un fetore fra il suo popolo Israele”, lo invitò ad
accompagnarlo. Ma gli altri signori dell’asse fecero allontanare Davide considerandolo un pericolo. (1Sa
29:1-11) Nella battaglia che si concluse sul monte Ghilboa trovarono la morte Saul e tre suoi figli, fra cui
Gionatan. — 1Sa 31:1-7.
Nel frattempo gli amalechiti avevano depredato e incendiato Ziclag, portando via tutte le donne e i
bambini. Immediatamente gli uomini di Davide inseguirono e raggiunsero i predoni ricuperando mogli e
figli e tutti i beni. (1Sa 30:1-31) Tre giorni dopo un amalechita portò il diadema e il braccialetto di Saul,
vantandosi falsamente di avere messo a morte il re ferito nella speranza di ricevere una ricompensa.
Anche se non era vero, Davide ordinò che fosse ucciso perché aveva dichiarato di avere ‘messo a morte
l’unto di Geova’. — 2Sa 1:1-16; 1Sa 31:4, 5.
Re. (CARTINA, vol. 1, ⇒it-1 ⇐p. 746) La tragica notizia della morte di Saul addolorò moltissimo Davide.
Non gli importava tanto che il suo acerrimo nemico fosse morto, quanto che l’unto di Geova fosse caduto.
Nel suo dolore, Davide compose un canto funebre, intitolato “L’Arco”, nel quale piangeva la morte del suo
peggiore nemico e del suo migliore amico, caduti insieme in battaglia: “Saul e Gionatan, gli amabili e i
piacevoli durante la loro vita, e nella loro morte non furono separati”. — 2Sa 1:17-27.
Davide si trasferì quindi a Ebron, dove nel 1077 a.E.V., all’età di 30 anni, gli anziani di Giuda lo unsero re
della loro tribù. Is-Boset figlio di Saul fu fatto re delle altre tribù. Circa due anni dopo però Is-Boset fu
assassinato e i suoi assalitori ne portarono la testa a Davide sperando di ricevere una ricompensa, ma
anch’essi furono messi a morte come il sedicente uccisore di Saul. (2Sa 2:1-4, 8-10; 4:5-12) Questo
permise alle tribù che fino a quel momento erano state fedeli al figlio di Saul di unirsi a Giuda e, a suo
tempo, si radunò un esercito di 340.822 uomini che acclamò Davide re di tutto Israele. — 2Sa 5:1-3; 1Cr
11:1-3; 12:23-40.
A Gerusalemme. Davide regnò a Ebron per sette anni e mezzo prima di trasferire, per volere di Geova,
la capitale nella roccaforte gebusea conquistata: Gerusalemme. Là sul monte Sion costruì la Città di
Davide e continuò a regnare per altri 33 anni. (2Sa 5:4-10; 1Cr 11:4-9; 2Cr 6:6) Mentre dimorava a
Ebron, il re Davide aveva preso altre mogli, si era fatto restituire Mical, e aveva avuto figli e figlie. (2Sa
3:2-5, 13-16; 1Cr 3:1-4) Dopo essersi trasferito a Gerusalemme, prese ancora altre mogli e concubine
che, a loro volta, gli diedero altri figli. — 2Sa 5:13-16; 1Cr 3:5-9; 14:3-7.
Quando i filistei seppero che Davide era re di tutto Israele, mossero contro di lui. Come in passato (1Sa
23:2, 4, 10-12; 30:8), Davide interrogò Geova per sapere se doveva attaccarli. “Sali”, fu la risposta, e
Geova sbaragliò il nemico con forza irresistibile, tanto che Davide chiamò il luogo Baal-Perazim, che
significa “proprietario delle brecce”. Nello scontro successivo la strategia di Geova mutò e Davide ebbe
ordine di accerchiare i filistei e colpirli alle spalle. — 2Sa 5:17-25; 1Cr 14:8-17.
Davide tentò di portare l’arca del patto a Gerusalemme, ma il tentativo fallì quando Uzza la toccò e fu
abbattuto. (2Sa 6:2-10; 1Cr 13:1-14) Fu portata a Gerusalemme circa tre mesi più tardi, dopo scrupolosi
preparativi, fra cui quello di far santificare i sacerdoti e i leviti e assicurarsi che fossero loro a portare
l’Arca sulle spalle invece di metterla su un carro come la prima volta. Davide, vestito di abiti semplici,
manifestò la sua gioia e il suo entusiasmo per quella grande occasione ‘saltando e danzando in giro
dinanzi a Geova’. Ma la moglie Mical lo rimproverò dicendo che si comportava come “uno degli uomini
dalla testa vuota”. Per questa accusa ingiustificata Mical “non ebbe nessun figlio fino al giorno della sua
morte”. — 2Sa 6:11-23; 1Cr 15:1-29.
Davide prese anche nuove disposizioni per l’adorazione di Geova nella nuova dimora dell’Arca,
nominando portinai e musicisti e provvedendo affinché si offrissero “olocausti . . . di continuo, mattina e
sera”. (1Cr 16:1-6, 37-43) Inoltre pensò di costruire un grandioso tempio di cedro per ospitare l’Arca,
invece della tenda. Ma non gli fu permesso di costruirlo, perché Dio disse: “Hai sparso sangue in gran
quantità, e hai fatto grandi guerre. Non edificherai una casa al mio nome, poiché hai sparso una gran
quantità di sangue sulla terra dinanzi a me”. (1Cr 22:8; 28:3) Tuttavia Geova fece un patto con Davide
promettendo che il regno sarebbe rimasto per sempre nella sua famiglia, e in relazione a questo patto Dio
gli assicurò che suo figlio Salomone, il cui nome deriva da un termine che significa “pace”, avrebbe
costruito il tempio. — 2Sa 7:1-16, 25-29; 1Cr 17:1-27; 2Cr 6:7-9; Sl 89:3, 4, 35, 36.
In armonia con questo patto del regno Geova permise a Davide di estendere il suo dominio dal fiume
d’Egitto all’Eufrate, rendendo più sicure le frontiere, mantenendo la pace col re di Tiro, combattendo e
vincendo i nemici da ogni parte: filistei, siri, moabiti, edomiti, amalechiti e ammoniti. (2Sa 8:1-14; 10:6-19;
1Re 5:3; 1Cr 13:5; 14:1, 2; 18:1–20:8) Queste vittorie concessegli da Dio fecero di Davide uno dei
sovrani più potenti. (1Cr 14:17) Comunque Davide era sempre consapevole che non godeva di tale
posizione per conquista o eredità, ma per volontà di Geova, che l’aveva posto sul trono di quella
teocrazia tipica. — 1Cr 10:14; 29:10-13.
Peccati che causano calamità. Durante le continue ostilità contro gli ammoniti accadde uno dei più tristi
episodi della vita di Davide. Tutto cominciò quando il re, osservando dalla sua terrazza la bella Betsabea
che faceva il bagno, nutrì desideri sbagliati. (Gc 1:14, 15) Saputo che il marito Uria era in guerra, Davide
fece condurre la donna nel suo palazzo ed ebbe rapporti con lei. A suo tempo il re fu avvertito che era
incinta. Senza dubbio per timore che Betsabea venisse denunciata pubblicamente e messa a morte per
la sua condotta immorale, Davide mandò subito al fronte l’ordine che Uria doveva presentarsi a lui a
Gerusalemme, con la speranza che passasse la notte con la moglie. Ma benché Davide lo facesse
ubriacare, Uria rifiutò di dormire con Betsabea. Disperato, Davide lo rimandò al fronte ordinando in
segreto al comandante Gioab di metterlo in prima linea, dove sarebbe stato sicuramente ucciso. Le cose
andarono proprio così. Uria morì in combattimento, la vedova osservò il consueto periodo di lutto e
Davide la sposò prima che la gente si accorgesse che era incinta. — 2Sa 11:1-27.
Geova però osservava e smascherò l’intera riprovevole faccenda. Se Geova avesse permesso che la
questione riguardante Davide e Betsabea venisse affidata a giudici umani sotto la Legge di Mosè,
entrambi i colpevoli sarebbero stati messi a morte, e naturalmente il figlio non ancora nato del loro
adulterio sarebbe morto insieme alla madre. (De 5:18; 22:22) Ma Geova si occupò personalmente della
cosa e mostrò misericordia a Davide a motivo del patto del Regno (2Sa 7:11-16), senza dubbio perché
Davide aveva a sua volta mostrato misericordia (1Sa 24:4-7; cfr. Gc 2:13) e perché Dio aveva visto il
pentimento dei due peccatori. (Sl 51:1-4) Ma essi non evitarono del tutto la punizione. Per bocca del
profeta Natan, Geova sentenziò: “Ecco, farò sorgere contro di te la calamità dalla tua propria casa”. —
2Sa 12:1-12.
E così fu. Il figlio adulterino nato a Betsabea morì poco dopo, benché Davide digiunasse e vegliasse per
sette giorni il bambino malato. (2Sa 12:15-23) Poi Amnon, figlio primogenito di Davide, violentò la sua
stessa sorellastra Tamar, e fu successivamente assassinato dal fratello di lei, con gran dolore del padre.
(2Sa 13:1-33) Più tardi Absalom, il terzo e diletto figlio di Davide, non solo tentò di usurpare il trono, ma
disprezzò apertamente il padre e lo disonorò pubblicamente avendo rapporti con le concubine di lui. (2Sa
15:1–16:22) Infine, al colmo dell’umiliazione, la lotta fra figlio e padre trascinò il paese nella guerra civile,
che terminò con la morte di Absalom, contrariamente ai desideri di Davide e con suo grande dolore. (2Sa
17:1–18:33) Durante la sua fuga a causa di Absalom, Davide compose il Salmo 3, in cui dice: “La
salvezza appartiene a Geova”. — Sl 3:8.
Ma nonostante tutti i suoi errori e i suoi gravi peccati, Davide manifestò sempre la giusta condizione di
cuore pentendosi e implorando il perdono di Geova. Lo dimostrò nell’episodio di Betsabea, dopo il quale
scrisse il Salmo 51, dove dichiarò: “Con errore fui dato alla luce . . . mia madre mi concepì nel peccato”.
(Sl 51:5) Un’altra volta Davide confessò umilmente i suoi peccati quando Satana lo incitò a fare il
censimento degli uomini abili alla guerra. — 2Sa 24:1-17; 1Cr 21:1-17; 27:24; vedi REGISTRAZIONE.
Acquistata l’area del tempio. Quando si arrestò la pestilenza dovuta al suo errore in quest’ultima
circostanza, Davide acquistò l’aia di Ornan e, in sacrificio a Geova, immolò i bovini insieme alla treggia
usata per trebbiare. In quel luogo Salomone costruì poi il sontuoso tempio. (2Sa 24:18-25; 1Cr 21:18-30;
2Cr 3:1) Davide aveva sempre desiderato costruire il tempio, e anche se non gli fu permesso, poté
inviare una grossa squadra a tagliare pietre e a raccogliere i materiali che includevano 100.000 talenti
d’oro (54.720.000.000.000 di lire) e 1.000.000 di talenti d’argento (10.260.000.000.000 di lire), e rame e
ferro in quantità smisurata. (1Cr 22:2-16) Dal suo patrimonio personale Davide contribuì oro di Ofir e
argento raffinato per un valore di oltre 1.700 miliardi di lire. Inoltre provvide i piani architettonici, ricevuti
per ispirazione, e organizzò il servizio di decine di migliaia di leviti nelle loro numerose divisioni, incluso
un grande coro di musicisti e cantori. — 1Cr 23:1–29:19; 2Cr 8:14; 23:18; 29:25; Esd 3:10.
Periodo finale del suo regno. Negli ultimi anni della sua vita il re settantenne, ormai costretto a letto,
continuò a essere colpito da calamità nella sua famiglia. Il quarto figlio, Adonia, all’insaputa del padre o
senza il suo consenso e, cosa ancor più grave, senza l’approvazione di Geova, tentò di diventare re.
Quando ne ebbe notizia, Davide si affrettò a far insediare come re il figlio Salomone, scelto da Geova,
facendolo salire ufficialmente al trono. (1Re 1:5-48; 1Cr 28:5; 29:20-25; 2Cr 1:8) Davide consigliò quindi a
Salomone di camminare nelle vie di Geova, di osservare i suoi statuti e i suoi comandamenti e di agire
con prudenza in ogni cosa; così avrebbe avuto successo. — 1Re 2:1-9.
Dopo 40 anni di regno Davide morì e fu sepolto nella Città di Davide. Meritò l’onore di essere incluso da
Paolo nell’elenco dei testimoni che si erano distinti per la loro fede. (1Re 2:10, 11; 1Cr 29:26-30; At
13:36; Eb 11:32) Gesù, citando il Salmo 110, disse che Davide l’aveva scritto “per ispirazione”. (Mt 22:43,
44; Mr 12:36) Gli apostoli e altri scrittori biblici riconobbero più volte che Davide era un ispirato profeta di
Dio. — Cfr. Sl 16:8 con At 2:25; Sl 32:1, 2 con Ro 4:6-8; Sl 41:9 con Gv 13:18; Sl 69:22, 23 con Ro 11:9,
10; Sl 69:25 e 109:8 con At 1:20.
Nella profezia. I profeti hanno menzionato spesso Davide e la sua casa reale, a volte in relazione con gli
ultimi re d’Israele che sedettero sul “trono di Davide” (Ger 13:13; 22:2, 30; 29:16; 36:30) e a volte in
senso profetico. (Ger 17:25; 22:4; Am 9:11; Zac 12:7-12) In certe profezie messianiche l’attenzione è
rivolta al patto del regno che Geova aveva fatto con Davide. Per esempio, Isaia dice che colui che è
chiamato “Consigliere meraviglioso, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace” sarà fermamente
stabilito sul “trono di Davide” a tempo indefinito. (Isa 9:6, 7; cfr. anche 16:5). Geremia paragona il Messia
a “un germoglio giusto” che Geova ‘susciterà a Davide’. (Ger 23:5, 6; 33:15-17) Per mezzo di Ezechiele,
Geova parla del Pastore messianico come del “mio servitore Davide”. — Ez 34:23, 24; 37:24, 25.
Nell’annunciare a Maria che avrebbe avuto un figlio chiamato Gesù, l’angelo disse: “Geova Dio gli darà il
trono di Davide suo padre”. (Lu 1:32) “Gesù Cristo, figlio di Davide”, era l’erede sia legittimo che naturale
al trono di Davide. (Mt 1:1, 17; Lu 3:23-31) Paolo disse che Gesù era progenie di Davide secondo la
carne. (Ro 1:3; 2Tm 2:8) Anche il popolo comune identificò Gesù come il “Figlio di Davide”. (Mt 9:27;
12:23; 15:22; 21:9, 15; Mr 10:47, 48; Lu 18:38, 39) Era importante stabilirlo, perché, come ammisero i
farisei, il Messia doveva essere figlio di Davide. (Mt 22:42) Anche il risuscitato Gesù attestò: “Io, Gesù, . .
. sono la radice e la progenie di Davide”. — Ri 22:16; anche Ri 3:7; 5:5.
[Diagramma a pagina 656]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
w90 1/8 5 Giovani servitori dei tempi biblici
Davide, Giosia e Geremia
Dio scelse Davide, il più giovane di otto fratelli, per un incarico speciale e disse di lui: “Ho trovato Davide,
figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore, che farà tutte le cose che desidero”. Dio lo scelse perché fosse
“pastore” del suo popolo, e Davide assolse tale incarico, dando prova del suo amore per Geova nel corso
di molti anni. Scrisse più di 70 salmi e divenne progenitore di Gesù Cristo. Che siate giovani o no,
apprezzate le vie di Dio e fate le cose che egli desidera, a imitazione di Davide? — Atti 13:22; Salmo
78:70, 71; 1 Samuele 16:10, 11; Luca 3:23, 31.
Debora (la profetessa) — Tema: Donne fedeli lodano Geova PROVERBI 31:30

it-1 660-1 Debora


DEBORA
[ape].
2. Profetessa d’Israele; moglie di Lappidot. (Gdc 4:4) Non c’è alcuna prova che Lappidot e Barac fossero
la stessa persona, come ritengono alcuni. Debora e Barac erano uniti solamente dal comune interesse di
liberare Israele dall’oppressione cananea. Debora dimorava sotto una palma nella regione montuosa di
Efraim, fra Rama e Betel, e i “figli d’Israele salivano a lei per il giudizio”. — Gdc 4:5.
Geova si servì di Debora per mandare a chiamare Barac da Chedes-Neftali e informarlo del proposito di
Dio di sconfiggere con 10.000 uomini l’immenso esercito del re cananeo Iabin al comando di Sisera.
Barac ebbe da Geova la promessa che gli avrebbe dato il nemico nelle mani. Ma oltre a ciò, mentre
radunava le truppe e le conduceva sul monte Tabor, insisté che Debora, pur essendo una donna, fosse
presente come rappresentante di Dio. Debora si mostrò pronta a lasciare un luogo più sicuro per unirsi a
Barac, ma predisse che la “bellezza” della vittoria sarebbe andata a una donna. Queste parole si
avverarono quando una donna, Iael, mise a morte Sisera. — Gdc 4:6-10, 17-22.
Il giorno della vittoria Debora e Barac cantarono insieme un cantico. Parte del cantico è in prima persona,
segno che almeno in parte, se non tutto, l’aveva composto Debora. (Gdc 5:7) Le donne erano solite
celebrare le vittorie con canti e danze. (Eso 15:20, 21; Gdc 11:34; 1Sa 18:6, 7; Sl 68:11) Il cantico
attribuisce a Geova tutto il merito e la lode per la vittoria concessa al suo popolo. Arricchisce
notevolmente la narrazione che lo precede, e per avere un quadro completo bisogna esaminarli l’uno
accanto all’altra. Dopo avere descritto la potenza e la maestà di Geova e avere ricordato la condizione di
Israele prima dell’intervento di Barac, il cantico loda le tribù che risposero alla chiamata e fa domande
indagatrici sulle altre che non lo fecero. Aggiunge particolari geografici relativi alla battaglia e alla disfatta
dei cananei, al coraggio dimostrato da Iael nell’uccidere Sisera e alla delusione della madre di Sisera che
attese invano l’arrivo di spoglie e schiavi d’Israele, frutto della sperata vittoria di suo figlio Sisera. — Gdc
cap. 5.

w74 15/10 615-6 Sopravvivete ad Har-Maghedon dalla parte vittoriosa


Nel periodo di quei giudici che successero a Giosuè, Dio diede al suo popolo eletto una significativa
vittoria nei pressi di Meghiddo. Questo avvenne ai giorni del giudice Barac e della profetessa Debora.
16 In paragone col numero delle persone e coi materiali impiegati nelle battaglie moderne, la battaglia che
si disputò allora fu di piccole proporzioni, giacché il giudice Barac ebbe con sé solo diecimila uomini e la
profetessa Debora, mentre il generale nemico Sisera ebbe, oltre alle truppe appiedate, novecento carri
da guerra muniti di falci e trainati da cavalli. Comunque, non fu presso Dio una questione di poca
importanza, poiché egli intervenne nella battaglia a favore del suo popolo eletto. Solo lui avrebbe potuto
far cadere al tempo psicologicamente appropriato un grande rovescio di pioggia, per produrre nella valle
del fiume Chison un’alluvione che immobilizzò quegli spaventevoli novecento carri nemici. Nel cantico di
vittoria che Barac e Debora cantarono a Dio dopo la miracolosa sconfitta dell’oppressivo nemico,
richiamarono l’attenzione sulla necessarissima parte di Dio in questa disfatta del nemico, dicendo:
17 “Vennero i re, combatterono; quindi i re di Canaan combatterono in Taanac presso le acque di
Meghiddo. Non presero alcun guadagno d’argento. Dal cielo combatterono le stelle, dalle loro orbite
combatterono contro Sisera. Il torrente di Chison li spazzò via, il torrente dei giorni antichi, il torrente di
Chison. Calpestasti la forza, o anima mia. Allora gli zoccoli dei cavalli batterono a causa degli scalpitii,
degli scalpitii dei suoi stalloni. ‘Maledite Meroz’, disse l’angelo di Geova, ‘maleditene senza posa gli
abitanti, poiché non vennero a sostegno di Geova, a sostegno di Geova coi potenti’”. — Giud. 5:19-23;
4:1-3, 10, 12, 13.
18 La profetessa Debora e il giudice Barac e i suoi compagni guerrieri a Meghiddo sopravvissero alla
battaglia dalla parte vittoriosa. Se ne dichiara la ragione anche nel racconto di Giudici 4:14-16: “Debora
disse ora a Barac: ‘Levati, perché questo è il giorno in cui Geova ti darà per certo in mano Sisera. Non è
Geova uscito dinanzi a te?’ E Barac scese dal monte Tabor [dalla parte della valle opposta a Meghiddo]
con diecimila uomini dietro a lui. E Geova metteva Sisera e tutti i suoi carri da guerra e tutto il campo in
confusione col taglio della spada dinanzi a Barac”. Dopo ciò l’inseguimento del nemico disorganizzato e
la distruzione d’essi tutti furono per il giudice Barac e le sue truppe un compito semplice.
19 Senza dubbio le ispirate parole che Barac e Debora cantarono al termine del loro cantico dopo
quell’antica vittoria di Meghiddo si applicano come una preghiera riguardo alla guerra avvenire di Har-
maghedon. Essi cantarono: “Così periscano, o Geova, tutti i tuoi nemici, e siano quelli che ti amano come
quando il sole sorge nella sua potenza”. (Giud. 5:31) L’adempimento di questa ispirata preghiera significa
un brillante futuro per tutti quelli che amano Geova i quali ad Har-maghedon saranno dalla parte
vittoriosa. È significativo sotto questo aspetto che, in quei remoti giorni di Barac e Debora, come ci dice il
racconto, “il paese non fu più disturbato per quarant’anni”.
Dina — Tema: Le cattive compagnie possono avere tragiche conseguenze 1CORINTI 15:33

it-1 697 Dina


DINA
[giudicata [cioè, assolta; vendicata]].
Figlia di Giacobbe e di Lea. Nata a Haran durante la permanenza di suo padre in quella regione, Dina
poteva avere forse sei anni quando Giacobbe fece ritorno in Canaan e si stabilì a Succot. — Ge 30:21,
22, 25; 31:41.
Mentre Giacobbe e la sua famiglia erano attendati fuori della città di Sichem, Dina poco saggiamente
prese l’abitudine di frequentare le ragazze cananee. In una di queste occasioni fu violentata da Sichem
figlio di Emor, capo principale ivveo. Sichem s’innamorò di lei, e Dina rimase in casa sua finché non fu
vendicata dai suoi fratelli germani Simeone e Levi. (Ge 34:1-31) Alcuni sostengono che Dina doveva
essere solo una bambina quando venne violentata. Tuttavia si deve tener presente che prima di arrivare
a Sichem Giacobbe aveva costruito una casa e delle capanne a Succot, rimanendovi perciò per qualche
tempo. (Ge 33:17) A Sichem acquistò un tratto di terra e quindi vi rimase per un po’. Tutto questo,
insieme al fatto che Sichem s’innamorò di Dina, la “giovane”, dimostrerebbe che non era più una bambina
al tempo della sua relazione con Sichem. — Ge 33:18, 19; 34:12.
Anni dopo Dina, insieme al resto della famiglia di Giacobbe, andò in Egitto su invito di Giuseppe. — Ge
46:7, 15.

w81 15/4 3-7 Violenza carnale: una tragedia che si può evitare
Violenza carnale: una tragedia che si può evitare
L’ESPERIENZA insegna. Ma quando si tratta di violenza carnale, quanto è meglio imparare
dall’esperienza altrui anziché esserne personalmente vittime. Per questo motivo riportiamo di seguito due
episodi realmente accaduti.
Una bella ragazza adolescente viveva con la sua numerosa famiglia in una zona di campagna. Non era
soddisfatta della compagnia dei suoi familiari. Aveva preso l’abitudine di uscire da sola per andare a
trovare alcune ragazze della zona.
Non si sa bene quali fossero i veri motivi di queste sue visite. Forse voleva semplicemente trovare nuove
amiche. Ma fu notata da un giovane. Non si sa se l’avesse conosciuto prima e se avesse fatto qualcosa
per incoraggiare il suo interesse. Resta il fatto che questa volta egli la costrinse ad avere rapporti sessuali
con lui.
Pare che questa violenza non fosse premeditata, a differenza di quella subita da un’altra ragazza. Un
giovane nutriva un morboso desiderio per la sua sorellastra. Un giorno fece finta d’essere malato e
chiese al padre di mandare a casa sua la sorella perché gli preparasse da mangiare. Quando furono soli
egli l’afferrò. Nonostante le sue implorazioni, ebbe la meglio su di lei e la violentò.
Molti di voi avrete già letto riguardo a questi casi di violenza. Le ragazze erano Dina, figlia di Giacobbe, e
Tamar, figlia di Davide. I due episodi sono narrati nella Bibbia. — Gen. 34:1-7; II Sam. 13:1-14.
UN REATO IN RAPIDO AUMENTO
I casi di stupro sono sempre più frequenti. Uno dei motivi principali sembra ovvio. Sesso e violenza
vengono propagandati in continuazione da TV, cinema, radio, giornali, riviste e manifesti. Immoralità e
violenza esistono in città, in campagna, praticamente ovunque. E la gente fa ciò che sente e vede. Ai
nostri giorni ben si addice la descrizione biblica del mondo anteriore al diluvio universale: “La malvagità
dell’uomo era abbondante sulla terra . . . e la terra fu piena di violenza”. — Gen. 6:1-5, 11; Giuda 6, 7.
È probabile che anche allora la violenza includesse quella di natura sessuale. “Negli Stati Uniti”, afferma
The World Book Encyclopedia, “la violenza carnale è il reato che aumenta più velocemente”. “Gli esperti
calcolano che l’effettivo numero di stupri sia almeno quattro volte maggiore di quello denunciato”. Dato
che i casi denunciati sono circa 70.000 all’anno, la cifra effettiva potrebbe anche superare i 250.000. Ciò
significa che negli Stati Uniti si verifica un caso di violenza carnale ogni due minuti!
Inoltre alcune violenze di natura sessuale di solito non vengono nemmeno considerate stupri. A questo
proposito il sociologo Richard Gelles della Rhode Island University afferma: “Non posso pensare che in
un matrimonio in cui il marito picchia la moglie non si verifichino a volte anche costrizioni di natura
sessuale. Nell’ambito coniugale si verificano forse 40.000 casi di violenza sessuale all’anno, ma se si
includono i rapporti estorti con l’intimidazione — la minaccia di violenze — è probabile che arrivino a un
paio di milioni”.
L’aspetto più triste, però, è l’enorme numero di reati sessuali commessi a danno di giovani, spesso
semplici bambini. Le vittime sono decine di migliaia ogni anno. Bart Delin, in un recente libro intitolato The
Sex Offender scrive: “Si calcola che una ragazza su sei sarà molestata prima di arrivare ai sedici anni”.
Dina, la figlia di Giacobbe, forse era appena adolescente quando fu costretta ad avere rapporti sessuali.
Perché la Bibbia narra tragedie del genere? La risposta ce la dà l’apostolo Paolo, quando dice: “Tutte le
cose che furono scritte anteriormente furono scritte per nostra istruzione”. — Rom. 15:4; I Cor. 10:11.
Cosa possiamo imparare da tali racconti biblici?
AGIRE CON PRUDENZA E DISCREZIONE
Dina non usò buon giudizio. La Bibbia dice che “usciva per vedere le figlie del paese”. (Gen. 34:1) Gli
abitanti di Canaan erano gente immorale e pare che la prostituzione fosse comune. (Gen. 34:31; 38:21)
Dina non aveva evidentemente alcun motivo per uscire da sola e andare da loro. Probabilmente i genitori
l’avevano messa in guardia circa il pericolo della compagnia delle ragazze della zona. In tal caso la figlia
non prestò ascolto e si mise nei guai.
In modo analogo oggi molte ragazze subiscono violenza per essersi messe in situazioni pericolose.
Questo può dirsi di chi fa l’autostop. Si dice che nella Contea di Multnomah, nell’Oregon, si verifichi uno
stupro al giorno. E più della metà delle vittime sono giovani autostoppiste!
Molti uomini vanno semplicemente in cerca di qualcuno con cui avere rapporti sessuali e presumono che
se una donna fa l’autostop vuol dire che ci sta. Per esempio un giudice della California, spiegando il
motivo dell’annullamento di una condanna per violenza carnale, ha scritto: “Non è irragionevole che un
uomo nella posizione dell’imputato potesse credere che la donna [autostoppista] acconsentisse al
rapporto sessuale”. Un’opinione del genere può sembrare ottusa e sbagliata, ma illustra la realtà del
mondo d’oggi.
Anche se un uomo non ha alcun diritto, in nessuna circostanza, di costringere una donna ad avere
rapporti sessuali con lui, le donne devono usare discernimento, cercando di prevedere in che modo le
loro azioni potranno essere interpretate dagli uomini. Il figlio del capotribù che violentò Dina pensava
forse che se Dina usciva da sola doveva essere una ragazza di facili costumi. Forse si era convinto che
lo scopo delle sue visite non era tanto quello di incontrare le amiche quanto di vedere lui. Perciò poté
pensare che Dina desiderasse proprio fare ciò che aveva in mente lui.
DISCREZIONE E PRUDENZA OGGI
Oggi è ancor più necessario che le donne evitino di comportarsi in un modo che gli uomini possano
scambiare per un invito ad avere rapporti sessuali con loro. Frederic Straska, che ha studiato a lungo il
problema della violenza carnale, afferma:
“Indirettamente le donne stimolano gli uomini ogniqualvolta fanno qualcosa in pubblico che possa far
credere che hanno avuto o vorrebbero avere rapporti sessuali con qualcuno. Mi riferisco in particolare a
pubbliche manifestazioni d’affetto, ma ci sono altre cose che potrebbero dare questa impressione.
“Oggigiorno molti giovani di entrambi i sessi convivono senza essere sposati, e questi sono
indubbiamente affari loro. Ma lì vicino potrebbero esserci uomini di diverso avviso. Questi presumono che
qualsiasi donna accetti di vivere, e quindi di dormire, con un uomo che non sia suo marito, costituisca un
facile obiettivo”.
Senz’altro voi, per rispetto verso le leggi divine sulla moralità, non acconsentireste mai ad avere rapporti
sessuali con un uomo che non è vostro marito. Eppure un certo comportamento potrebbe far pensare che
siete persone poco serie. Per esempio, se andate in certi locali o discoteche frequentate da donne di
dubbia moralità, è comprensibile che qualcuno possa scambiarvi per quel tipo di donna.
Anche l’indossare abiti immodesti e provocanti può costituire uno stimolo o un “invito” per gli uomini. A
questo riguardo la Bibbia dà un consiglio molto utile e specifico: “Le donne si adornino con veste
convenevole, con modestia”. — I Tim. 2:9.
SITUAZIONI PERICOLOSE
La prudenza è particolarmente importante quando si comincia a frequentare un uomo. Una notevole
percentuale di violenze carnali, secondo alcuni la maggioranza, si verifica in queste occasioni. Perché?
Innanzi tutto perché può capitare che la donna esca con un uomo che non ha rispetto per le norme morali
della Bibbia. Lei può pensare che quell’uomo sia degno di fiducia perché forse assiste ad adunanze
religiose. Ma di per sé questo non garantisce che egli creda o pratichi ciò che insegna la Bibbia. Anche
nella congregazione cristiana del I secolo c’erano persone che erano spinte da motivi errati. Di loro
l’apostolo Pietro scrisse: “Hanno occhi pieni d’adulterio . . . e adescano anime instabili”. (II Piet. 2:14) È
quindi importante determinare quali sono i veri motivi di un giovane prima di uscire con lui.
Molti inoltre considerano il fatto di frequentare qualcuno dell’altro sesso come una sorta di gioco, anziché
un mezzo per conoscere meglio un probabile coniuge. Ma cosa accade spesso quando una donna
accetta di recarsi insieme a un uomo in un luogo isolato, dove forse si abbandonano a baci e abbracci
appassionati? Per molti uomini dell’odierna società immorale questi giochi sessuali preliminari sono una
“promessa” di rapporti sessuali, per cui sono capaci di costringere la donna a mantenere la “promessa”.
Anche se il giovane ha tutte le intenzioni di comportarsi bene, lo stimolo sessuale prodotto dai baci e
dalle carezze può fargli dimenticare le buone intenzioni e indurlo ad abusare della ragazza.
Che dire dei sentimenti di lei in una situazione simile? Che dire se una ragazza come te si lasciasse
coinvolgere in una situazione del genere con un giovane che le piace? Potrebbero derivarne le difficoltà
descritte da Straska: “Visto che potreste dover lottare non solo per dire di no all’uomo, ma anche a voi
stesse, potreste avere serie difficoltà a determinare se si è davvero trattato di un caso di violenza carnale
oppure no. Potreste voler placare la vostra coscienza cercando di convincervi che lo fosse”.
Non illudetevi di poter frequentare in questo modo persone del sesso opposto come se si trattasse di un
gioco, o di mettervi altrimenti in situazioni compromettenti senza dover poi affrontare conseguenze
spiacevoli. Più volte ragazze, fra cui alcune appartenenti alla congregazione cristiana che pensavano di
poter controllare la situazione, hanno subìto terribili conseguenze. Siate sagge. Usate discrezione.
Imparate dalle lezioni contenute nelle Scritture, ed evitate situazioni che potrebbero coinvolgervi in
rapporti sessuali illeciti.
SIATE DESTE
Imparate anche dalla triste esperienza di Tamar, la giovane che fu attirata dal fratellastro Amnon in un
luogo isolato, dove fu violentata. Questo caso illustra la necessità di essere deste, cercando di discernere
i pensieri e i sentimenti degli altri nei vostri confronti. Se Tamar si fosse accorta prima dei sentimenti
passionali che Amnon provava per lei, forse sarebbe riuscita ad evitare di trovarsi in quella situazione.
Certo non sempre una donna può prevedere tutte le possibilità. Per esempio una ragazza andò a
trascorrere il fine settimana a casa di un’amica. Al mattino, quand’era ancora a letto, l’amica andò con la
madre a far spesa, lasciandola sola in casa col padre. Questi entrò nella stanza in cui dormiva la ragazza
e si sedette sul letto. Quando le disse che voleva avere rapporti con lei, la ragazza rimase così
sconcertata e confusa che oppose poca resistenza.
Cosa avrebbe potuto fare questa ragazza? Cosa potrebbe fare una donna se qualcuno cercasse di
violentarla? Ci sono diverse cose che può fare.
LA CONDOTTA GIUSTA E MIGLIORE
Innanzi tutto non dovrebbe lasciarsi intimidire. Dovrebbe dire immediatamente che per nessun motivo
accetterà di avere rapporti. Alcuni inviati dello Star di Toronto, dopo aver interpellato diversi centri che
studiano il problema negli Stati Uniti e nel Canada, sono giunti a questa conclusione:
“Il momento cruciale in un tentativo di violenza carnale è il primo minuto. Se a questo punto la donna non
reagisce fisicamente e mentalmente, le sue probabilità di sfuggire all’aggressione sessuale diminuiscono
sempre di più”.
Gli esperti di uno di questi centri (Cleveland Rape Crisis Center) hanno detto:
“Prima lo stupratore scruta la vittima per cercare di determinare le probabili reazioni. Non vuole guai; la
vuole intimorire senza chiasso. Più la donna appare spaventata, più si rende vulnerabile. Più tempo fa
passare, più si trova in difficoltà”.
Perciò la ragazza menzionata prima avrebbe dovuto reagire immediatamente alla minaccia di violenza, e
avrebbe dovuto farlo con decisione e risolutezza, non assumendo un atteggiamento passivo e incerto.
Avrebbe forse potuto dire qualcosa del genere: “Che penserebbe se al mio posto ci fosse sua figlia? Lo
sa che secondo alcuni sua figlia ed io ci assomigliamo molto?”
Anche se questo non avesse fermato l’aggressore, se la ragazza si fosse mostrata immediatamente un
bersaglio difficile e aggressivo senza dubbio lo stupro avrebbe potuto essere evitato. Susan Brownmiller,
che si batte attivamente contro la violenza carnale, spiega:
“Gli stupratori si fanno coraggio man mano che gli istanti passano. È proprio così. Nella maggioranza dei
casi l’aggressore è molto meno sicuro di sé di quanto la vittima non pensi. Se si accorge che è riuscito a
terrorizzare del tutto la vittima, egli acquista più fiducia”.
Nell’agosto del 1974 la rivista Svegliatevi! descrisse l’episodio di un uomo armato di pistola che aveva
sequestrato due ragazze testimoni di Geova in una stanza d’albergo. Quando egli cercò di aprire la
chiusura lampo della camicetta di una di loro, la ragazza esclamò: “No! No! Quello no!” Gli disse che se
l’avesse toccata avrebbe gridato come non aveva mai udito nessuno gridare. Spiegò che, se non avesse
gridato, avrebbe compromesso la sua relazione con Geova Dio e con la congregazione cristiana.
(Confronta Deuteronomio 22:22-29). La sua decisa richiesta: “Non mi tocchi e non si avvicini” tenne a
bada l’uomo.
Questa donna fece la cosa scritturalmente giusta, che in effetti è poi la cosa migliore da fare. La donna
cristiana ha l’obbligo di opporsi, perché è implicata l’ubbidienza alla legge di Dio di ‘fuggire la
fornicazione’. (I Cor. 6:18) Per nessun motivo sarebbe appropriato cedere volontariamente alla violenza
carnale.
Sia dall’esperienza di persone vissute nei tempi biblici che da quella di persone viventi oggi si può quindi
imparare molto su come evitare questo tipo di violenza. Poiché in certi luoghi la violenza carnale è il reato
che aumenta più velocemente, le donne fanno senz’altro bene a riflettere su ciò che possono fare per
opporvisi.
[Nota in calce]
Per una trattazione più approfondita dell’argomento, si veda Svegliatevi! del 22 novembre 1980.
[Figura a pagina 3]
Dina fece amicizia con persone che non servivano Dio
[Figura a pagina 4]
Tamar subì l’umiliazione di essere violentata dal fratellastro Amnon
[Figura a pagina 5]
Fare l’autostop può essere pericoloso
[Figura a pagina 7]
Sin dall’inizio la donna dovrebbe opporsi con decisione allo stupratore, se necessario urlando

g86 22/5 14 La Bibbia fa per me?


Anche tu puoi trarne beneficio
Per illustrare ulteriormente il valore della Bibbia, esaminiamo alcune delle persone e delle situazioni di cui
parla e gli utili consigli che dà.
Genesi racconta di Dina, figlia di Giacobbe, che poco saggiamente fece amicizia con ragazze cananee le
quali non adoravano Geova come lo adorava lei, né seguivano le norme morali della sua famiglia. Ben
presto fu notata da un giovane cananeo. Che accadde? La violentò! (Genesi 34:1-7) Capisci quale
lezione si può imparare da questo? Appropriatamente la Bibbia consiglia: ‘Tieni la tua via lungi dal lato’
delle persone immorali, e ‘fuggi la fornicazione’. “Le cattive compagnie corrompono le utili abitudini”.
(Proverbi 5:8; I Corinti 6:18; 15:33) Ricorda cosa successe alla compagna di classe di Lydia. Quest’ultima
invece, seguendo il consiglio della Bibbia, mantenne la propria dignità e la propria purezza morale a
scuola e si conquistò il rispetto altrui.
[Figure a pagina 13]
La condotta poco saggia di Dina ebbe cattive conseguenze. I frutti che si hanno seguendo la guida della
Bibbia indicano che è la via più saggia

W99 15-2 P.31


Doeg — Tema: Guardatevi da quelli che amano il male SALMO 52:2, 3

it-1 715-6 Doeg


DOEG
(Dòeg) [forse, ansioso; spaventato].
Edomita che aveva un impegnativo incarico di sorveglianza come principale pastore del re Saul. (1Sa
21:7; 22:9) Evidentemente Doeg era un proselito. Essendo “trattenuto dinanzi a Geova” a Nob, forse a
motivo di un voto, di un’impurità o di un sospetto caso di lebbra, Doeg era presente quando il sommo
sacerdote Ahimelec diede a Davide del pane di presentazione e la spada di Golia. In seguito, quando
Saul, rivolgendosi ai suoi servitori, espresse l’opinione che stessero cospirando contro di lui, Doeg rivelò
quello che aveva visto a Nob. Dopo avere convocato il sommo sacerdote e anche gli altri sacerdoti di
Nob e avere interrogato Ahimelec, Saul ordinò ai corrieri di mettere a morte i sacerdoti. Poiché questi
rifiutarono, Doeg, per comando di Saul, non esitò a uccidere ben 85 sacerdoti. Dopo quest’azione
malvagia Doeg votò Nob alla distruzione, uccidendo tutti gli abitanti, giovani e vecchi, e anche il
bestiame. — 1Sa 22:6-20.
Come è indicato dalla soprascritta del Salmo 52, Davide scrisse a proposito di Doeg: “La tua lingua trama
avversità, affilata come un rasoio, operando ingannevolmente. Hai amato ciò che è male più di ciò che è
bene, la falsità più del parlare con giustizia. Hai amato tutte le parole divoratrici, o lingua ingannevole”. —
Sl 52:2-4.

w86 15/11 31 Domande dai lettori


⌡ Perché Davide mise consapevolmente in pericolo il sommo sacerdote Ahimelec, provocandone
la morte, come confessò in I Samuele 22:22?
In realtà I Samuele 22:22 non indica che Davide sapesse in anticipo che il suo comportamento avrebbe
portato alla morte di Ahimelec. Il versetto dice: “A ciò Davide disse ad Abiatar [figlio di Ahimelec]: ‘Ben
sapevo quel giorno, perché c’era Doeg l’Edomita, che senza fallo [questi] l’avrebbe riferito a Saul.
Personalmente ho fatto torto a ogni anima della casa di tuo padre [Ahimelec]’”.
Davide, in fuga per sottrarsi alla collera del re Saul, si recò a Nob, dove stava il sommo sacerdote
Ahimelec. Forse preoccupato che il sommo sacerdote si potesse sentire obbligato a riferire al re dove si
trovava, Davide non rivelò la ragione precisa per cui aveva lasciato Gerusalemme. Ma la sua presenza a
Nob fu notata. Un edomita di nome Doeg vide Davide e in seguito riferì la cosa all’adirato Saul.
Nulla però fa pensare che Davide sapesse in anticipo che Doeg sarebbe stato lì. Doeg ‘era lì quel giorno,
trattenuto dinanzi a Geova’. (I Samuele 21:7) Davide probabilmente rimase sorpreso, anzi turbato, che
Doeg, uomo senza scrupoli, l’avesse visto insieme ad Ahimelec. Ma ormai era cosa fatta. Davide non
poteva cambiare le cose, né poteva impedire le terribili conseguenze che l’ira di Saul avrebbe avuto per il
sommo sacerdote e decine di altri sacerdoti, e anche per donne, bambini e animali di Nob. — I Samuele
22:9-19.
Tenendo presente ciò, notate di nuovo le tristi parole che Davide rivolse ad Abiatar, sfuggito al massacro:
“Ben sapevo quel giorno, perché c’era Doeg l’Edomita . . .”. Avrebbe potuto dire: ‘Sapevo quel giorno,
non appena vidi che Doeg mi aveva visto insieme ad Ahimelec . . .’. Ma era troppo tardi. Doeg
inaspettatamente era lì e aveva notato che Davide si era intrattenuto col sommo sacerdote. Perciò
Davide concluse immediatamente che Doeg avrebbe riferito la cosa a Saul. Per questo in seguito Davide,
parlando con Abiatar, ammise di provare un senso di colpa, anche se aveva contribuito solo in modo
indiretto al successivo massacro. Davide esortò Abiatar a rimanere presso di lui, perché confidava di
avere la guida e la protezione di Geova. — I Samuele 22:22, 23.
Ebed-Melec — Tema: Siate intrepidi e onorate i servitori di Geova FILIPPESI 2:29

it-1 731-2 Ebed-Melec


EBED-MELEC
(Èbed-Mèlec) [servitore del re].
Eunuco etiope della casa del re Sedechia, che, con la sua condotta, dimostrò di essere pienamente
d’accordo con l’opera di Geremia, profeta di Geova. Quando i principi di Giuda accusarono falsamente
Geremia di sedizione, Sedechia consegnò il profeta nelle loro mani. I principi presero allora Geremia e lo
gettarono nella melmosa cisterna di Malchia nel Cortile della Guardia, perché vi morisse di fame. (Ger
38:4-6) Mostrando coraggio, nonostante il pericolo che correva a motivo del diffuso e implacabile odio per
Geremia e per il suo messaggio, Ebed-Melec parlò pubblicamente al re seduto alla Porta di Beniamino e
gli rivolse un appello a favore di Geremia. Sedechia accolse la richiesta. Allora Ebed-Melec, per ordine
del re, si recò con 30 uomini alla cisterna e vi calò delle funi insieme a stracci e pezzi di panno logoro che
Geremia poté mettere sotto le ascelle per essere tirato fuori dalla cisterna. (Ger 38:7-13) Probabilmente
fu Sedechia a ordinare a Ebed-Melec di portare con sé 30 uomini, non perché ce ne volessero così tanti
per tirare fuori Geremia dalla cisterna, ma per far fronte a qualsiasi possibile interferenza da parte dei
principi o dei sacerdoti. Per questa buona azione verso il profeta di Dio, Ebed-Melec ebbe da Geova, per
mezzo di Geremia, l’assicurazione che non sarebbe perito durante l’assedio posto dai babilonesi, ma che
avrebbe trovato scampo. — Ger 39:15-18; vedi EUNUCO.

w79 15/7 28-30 Ebed-Melec, un uomo coraggioso


Ebed-Melec, un uomo coraggioso
EBED-MELEC non era un israelita ma un eunuco etiope. Prestava servizio alla corte di Sedechia, l’ultimo
re giudeo di Gerusalemme. Circondato da funzionari corrotti e malvagi, Ebed-Melec si distinse come un
uomo coraggioso e compassionevole che aveva molto rispetto per ciò che è giusto.
All’epoca in cui le buone qualità di Ebed-Melec divennero specialmente manifeste la città di
Gerusalemme era assediata dai caldei. Geremia, profeta di Geova, aveva ripetutamente dichiarato che la
città era condannata e incoraggiato il popolo a salvarsi arrendendosi agli assedianti. L’Altissimo gli diede
questo messaggio da dichiarare: “Chi continua a dimorare in questa città morrà di spada, di carestia e di
pestilenza. Ma chi esce ai caldei continuerà a vivere e certo avrà la sua anima come spoglia e vivrà”.
Queste parole fecero infuriare certi principi, consiglieri del re Sedechia. Essi erano decisi a difendere la
città ad ogni costo e a non capitolare. Rifiutandosi di riconoscere che le parole di Geremia erano ispirate
da Dio, consideravano il profeta un ostacolo alla difesa di Gerusalemme. — Ger. 38:1-3.
Questi principi andarono dunque dal re Sedechia accusando Geremia di abbattere il morale degli uomini
di guerra e del resto della popolazione. Chiesero che il profeta fosse messo a morte come un sedizioso
che non si interessava della pace o del benessere del popolo. (Ger. 38:4) Essendo un monarca debole,
Sedechia cedette alla loro richiesta, dicendo: “Ecco, è nelle vostre mani. Poiché non c’è nulla in cui il re
stesso possa prevalere contro di voi”. (Ger. 38:5) Sedechia aveva seguito il loro consiglio proseguendo la
guerra contro i caldei, quindi si sentiva obbligato ad accontentarli togliendo di mezzo l’uomo che
consideravano un ostacolo al perseguimento dei loro obiettivi militari. Pur non autorizzando
specificamente l’esecuzione di Geremia, in pratica Sedechia firmò la condanna a morte del profeta
mettendolo completamente alla mercé dei principi.
Ma forse questi principi provarono un certo timore che li trattenne dallo spargere direttamente sangue.
Nondimeno, decisero di uccidere il profeta in modo non violento. Lo calarono in una cisterna di fango, per
lasciarvelo morire. — Ger. 38:6.
Mentre era sotto custodia nel Cortile della Guardia, per ordine del re Geremia aveva ricevuto un pane
come razione giornaliera. (Ger. 37:21) Ma ora che era nella cisterna di fango il comando del re non era
più in vigore. Essendo praticamente esaurite le vettovaglie a Gerusalemme, Geremia non poteva certo
sperare di ricevere cibo da qualcuno. La sua morte era solo questione di tempo.
Quando Ebed-Melec seppe ciò che i principi avevano fatto al profeta, agì senza indugio. Non attese
cautamente l’opportunità d’avere un’udienza privata dal re Sedechia. Per l’eunuco etiope, la sua
incolumità personale non era la cosa più importante. La vita di un innocente era in pericolo, ed Ebed-
Melec fu disposto a mettere al secondo posto il proprio benessere. Avvicinò il sovrano in pubblico,
all’aperto, vicino alla porta di Beniamino. Questa porta era situata probabilmente nella parte settentrionale
della città, la direzione da cui gli assedianti caldei avrebbero esercitato maggiore pressione. — Ger. 38:7.
Coraggiosamente, l’eunuco etiope supplicò a favore della vita di Geremia. Non ebbe timore di
condannare l’azione dei principi, pur sapendo che l’uomo che egli supplicava aveva ceduto alle loro
richieste. Ebed-Melec espose in breve i fatti: “O mio signore il re, questi uomini hanno fatto male in tutto
quello che han fatto a Geremia il profeta, che hanno gettato nella cisterna, così che morrà dov’è a causa
della carestia. Poiché non c’è più pane nella città”. — Ger. 38:9.
In modo sorprendente, Sedechia annullò la sua decisione relativa a Geremia, autorizzando Ebed-Melec a
liberare il profeta. Il re disse: “Prendi al tuo comando da questo luogo trenta uomini, e devi trarre Geremia
il profeta dalla cisterna prima che muoia”. (Ger. 38:10) È probabile che non occorressero 30 uomini per
tirare fuori Geremia dalla cisterna. Ma dato che il profeta e il suo messaggio erano tanto odiati, con tutta
probabilità quelli che volevano la morte di Geremia avrebbero fatto opposizione. Mentre era possibile
sopraffare alcuni uomini, 30 sarebbero stati sufficienti per far fronte a qualsiasi problema fosse sorto in
merito alla liberazione progettata.
Ebed-Melec mise immediatamente in atto il comando di Sedechia. Il modo in cui lo fece attesta
ulteriormente che aveva compassione e interesse per il profeta. Dato che la cisterna era profonda e
Geremia era sprofondato nel fango, ci sarebbe voluta molta forza per tirarlo fuori. Quindi, le corde
avrebbero potuto tagliare la carne del profeta. Inoltre, può darsi benissimo che quando Geremia era stato
calato nella cisterna fosse stato trattato rudemente. Quindi può darsi che avesse delle ferite sotto le
ascelle. È evidente che Ebed-Melec considerò attentamente la situazione. Si procurò stracci consumati e
pezzi di panno consumato e li calò a Geremia per mezzo delle funi, perché il profeta se li mettesse sotto
le ascelle e sopra le funi. Così gli stracci e il panno servirono a proteggere Geremia dalle funi impiegate
per tirarlo fuori della cisterna. — Ger. 38:11-13.
Perché Ebed-Melec fu così coraggioso? Pur essendo uno straniero che viveva in mezzo a un popolo che
aveva recato grande disonore a Geova Dio, aveva fiducia nell’Altissimo. Sì, la fiducia in Geova fu la
ragione per cui Ebed-Melec venne coraggiosamente in aiuto di un profeta odiato. Per questo, l’eunuco
etiope non perse la ricompensa. Per mezzo di Geremia, ricevette da Geova l’assicurazione: “Ecco, io
faccio avverare le mie parole su questa città per la calamità e non per il bene, e per certo accadranno
dinanzi a te in quel giorno. E di sicuro io ti libererò in quel giorno, . . . e non sarai dato in mano agli uomini
dei quali tu stesso hai paura. Poiché senza fallo ti procurerò scampo, e non cadrai di spada; e per certo
avrai la tua anima come spoglia, perché hai confidato in me”. (Ger. 39:16-18) Secondo queste parole,
Ebed-Melec avrebbe visto la distruzione di Gerusalemme predetta da Geremia. Tuttavia, non avrebbe
dovuto temerla. Come Ebed-Melec aveva considerato preziosa la vita di Geremia, così Geova Dio
avrebbe considerato preziosa la vita di Ebed-Melec e l’avrebbe conservato in vita.
Che eccellente esempio ci diede Ebed-Melec non cedendo al timore degli uomini ma schierandosi
coraggiosamente dalla parte del profeta di Geova! L’Altissimo non dimenticò la giusta opera di Ebed-
Melec. Né dimenticherà il nostro fedele servizio, che include il venire in aiuto dei nostri fratelli in tempo di
estremo bisogno. La Bibbia ci dice: “Dio non è ingiusto da dimenticare la vostra opera e l’amore che
avete mostrato per il suo nome, in quanto avete servito e continuate a servire i santi”. (Ebr. 6:10)
Sforziamoci dunque d’essere coraggiosi come lo fu Ebed-Melec.

su 178-80 23 "Avete bisogno di perseveranza"


Ebed-Melec fu uno che non ebbe timore. Chi era?
7 Ebed-Melec era un etiope timorato di Dio che viveva a Gerusalemme nel periodo che precedette la
distruzione della città per opera dei babilonesi. Lavorava nella casa del re Sedechia. A quel tempo
Geremia prestava servizio come profeta di Geova per il regno di Giuda e le nazioni circonvicine. Per aver
pronunciato senza compromessi il messaggio di avvertimento datogli da Dio, Geremia divenne oggetto di
intensa persecuzione. Dietro istigazione di certi principi di Gerusalemme fu addirittura gettato in una
cisterna perché sprofondasse nel fango e vi trovasse la morte. Sebbene Ebed-Melec non fosse un
israelita, riconobbe che Geremia era il profeta di Geova. Appena udì ciò che era successo, Ebed-Melec
andò subito dal re alla porta della città per intercedere a favore di Geremia. Dietro comando del re, prese
subito trenta uomini, come pure funi e vecchi stracci. Disse a Geremia di mettersi gli stracci sotto le
ascelle per attutire lo sfregamento delle funi, dopo di che il profeta fu tirato fuori dalla cisterna. —
Geremia 38:4-13.
8 Ebed-Melec era comprensibilmente preoccupato di ciò che i principi avrebbero potuto fargli per aver
sventato il loro complotto, ma tale preoccupazione fu superata dal suo rispetto per il profeta di Geova e
dalla sua fiducia in Dio. Di conseguenza Geova diede ad Ebed-Melec questa assicurazione tramite
Geremia: “‘Ecco, io faccio avverare le mie parole su questa città per la calamità e non per il bene, e per
certo accadranno dinanzi a te in quel giorno. E di sicuro io ti libererò in quel giorno’, è l’espressione di
Geova, ‘e non sarai dato in mano agli uomini dei quali tu stesso hai paura. Poiché senza fallo ti procurerò
scampo, e non cadrai di spada; e per certo avrai la tua anima come spoglia, perché hai confidato in me’,
è l’espressione di Geova”. — Geremia 39:16-18.
9 Com’è incoraggiante quella promessa per gli odierni servitori di Geova! Come Ebed-Melec, le “altre
pecore” vedono le ingiustizie commesse verso la moderna classe di Geremia, l’unto rimanente, e i
tentativi compiuti per fermare la loro predicazione del messaggio di Geova. Non hanno esitato a fare tutto
il possibile per proteggere e sostenere la classe degli unti. Giustamente, quindi, la promessa di Geova a
Ebed-Melec li rafforza, rinsaldando la loro fiducia che Dio non permetterà agli oppositori di annientarli, ma
che li preserverà come classe attraverso l’incombente distruzione mondiale, introducendoli nella Sua
giusta “nuova terra”.
10 Non tutti quelli che seguono le orme di Gesù Cristo sono minacciati di imprigionamento, ma tutti
vengono perseguitati in un modo o nell’altro. (II Timoteo 3:12) Migliaia di mogli cristiane, e anche di
mariti, hanno sopportato fedelmente per molti anni intensa persecuzione in seno alla loro stessa famiglia.
Per il loro desiderio di servire Geova, figli sono stati rinnegati dai genitori. (Matteo 10:36-38) I ragazzi
cristiani possono incontrare persecuzione anche a scuola; gli adulti, nei luoghi di lavoro. Tutti i testimoni
di Geova la sperimentano allorché partecipano alla testimonianza pubblica del Regno di Dio. A tutti loro
sono rivolte queste parole di Gesù: “Con la vostra perseveranza guadagnerete le vostre anime”. — Luca
21:19.
11 Non pochi vengono a trovarsi in altre situazioni che li mettono alla prova. Possono essere colpiti da
una grave malattia che riduca di molto il piacere di vivere. O forse si trovano in condizioni economiche
molto difficili. A volte intimi amici possono dire cose ingiuste o poco gentili. Nel caso del patriarca Giobbe,
Satana usò tutti questi mezzi nel tentativo di infrangerne l’integrità. Come reagiremmo se ci trovassimo in
situazioni analoghe? — Giacomo 5:11.
Eleazaro (figlio di Aaronne) — Tema: Rimanete saldi nel servire Geova 1°CORINTI 15:58

it-1 803 Eleazaro


ELEAZARO
(Eleàzaro) [Dio ha aiutato].
1. Terzo figlio del sommo sacerdote Aaronne e di sua moglie Eliseba in ordine di menzione. Eleazaro era
della famiglia di Cheat figlio di Levi. (Eso 6:16, 18, 20, 23; Nu 3:2) Aaronne e i suoi figli, Nadab, Abiu,
Eleazaro e Itamar, costituivano il sacerdozio d’Israele quando fu insediato da Mosè. — Le 8.
Nel secondo anno dopo l’esodo dall’Egitto, quando venne eretto il tabernacolo, Eleazaro è menzionato
come capo dei leviti. (Nu 1:1; 3:32) In quel tempo doveva avere almeno 30 anni, poiché svolgeva
mansioni sacerdotali. — Nu 4:3.
Eleazaro era uno di quelli che avevano più di 20 anni alla partenza dall’Egitto ma che entrarono nella
Terra Promessa. Essendo della tribù di Levi, non fu incluso nella condanna espressa da Dio contro le
altre dodici tribù, secondo la quale nessuno di quelli dai 20 anni in su sarebbe entrato nella Terra
Promessa, ad eccezione di Giosuè e Caleb. Non c’era nessun rappresentante di Levi fra i 12 esploratori,
10 dei quali riportarono cattive notizie, e a quanto pare i leviti non furono tra i ribelli che per mancanza di
fede mormorarono contro Geova. — Nu 13:4-16; 14:26-30.
Poco dopo la dedicazione del tabernacolo e la consacrazione di Aaronne e dei suoi figli per il sacerdozio
(Le 8), Nadab e Abiu offrirono a Geova fuoco illegittimo e furono uccisi da un fuoco proveniente da
Geova. (Le 10:1, 2; Nu 3:2-4) Aaronne, con i due figli fedeli Eleazaro e Itamar, continuò ad assolvere i
doveri del sacerdozio. Al tempo della divisione dei compiti relativi al santuario, a Eleazaro toccò la
sorveglianza del tabernacolo con i suoi utensili, dell’offerta continua di cereali, dell’olio e dell’incenso. (Nu
4:16) Per ordine di Geova, Eleazaro prese i portafuoco di rame che Cora e i suoi accoliti (nessuno dei
quali era sacerdote) avevano usato per offrire incenso a Geova nell’intento di usurpare le mansioni
sacerdotali. Se ne fecero sottili lamine di metallo con cui fu rivestito l’altare. (Nu 16:37-40) Fu Eleazaro a
immolare come offerta per il peccato la giovenca rossa le cui ceneri servivano per purificare da certe
impurità. — Nu 19:2, 3; Eb 9:13.
Dopo che gli israeliti ebbero combattuto contro i madianiti per punirli per la faccenda di Peor, Eleazaro
aiutò a dividere le spoglie prese ai madianiti e dichiarò lo statuto di Dio relativo al bottino. — Nu 31:6, 21-
41.
Con Fineas, figlio di Eleazaro e di una delle figlie di Putiel, Geova fece un patto di pace, per premiare il
suo zelante intervento a favore della pura adorazione quando Israele aveva peccato in relazione al Baal
di Peor. Questo potrebbe considerarsi un’aggiunta al patto per il sacerdozio che Geova aveva stipulato
con la tribù di Levi. — Nu 25:1-13; Eso 6:25.
Diventa sommo sacerdote. Nel 40° anno del viaggio nel deserto, dopo che Aar onne era morto all’età di
123 anni, Eleazaro, allora sui 70 anni, diventò sommo sacerdote. (Nu 33:37-39) Fu dunque il primo
sacerdote d’Israele a officiare nella Terra Promessa quando gli israeliti vi entrarono circa otto mesi più
tardi. (Nu 20:25-28; De 10:6; Gsè 4:19) Giosuè dovette stare davanti a Eleazaro per essere nominato
successore di Mosè, ed Eleazaro doveva continuare a dare il suo appoggio a Giosuè e a trasmettergli le
decisioni di Geova su problemi importanti sottoposti al giudizio degli Urim e dei Tummim. (Nu 27:18-23)
Eleazaro collaborò con Giosuè anche nella divisione della Terra Promessa dopo la conquista di Canaan.
— Gsè 14:1; 21:1-3.
Capo della principale casa sacerdotale. Le Scritture non indicano con esattezza l’epoca della morte di
Eleazaro, ma sembra che sia avvenuta più o meno all’epoca della morte di Giosuè. A Eleazaro
succedette il figlio Fineas. (Gsè 24:29, 30, 33; Gdc 20:27, 28) Eleazaro mostrò zelo per la vera
adorazione di Geova e finché ebbe vita diresse con onore il sacerdozio. Secondo la tradizione ebraica,
nel periodo in cui il tabernacolo rimase a Silo c’erano 16 gruppi di sacerdoti: 8 della famiglia di Eleazaro e
8 di quella di suo fratello Itamar. Tuttavia all’epoca di Davide gli uomini principali della famiglia di
Eleazaro erano più numerosi di quelli della famiglia di Itamar. Perciò Davide formò 16 divisioni sacerdotali
della casa di Eleazaro e 8 della casa di Itamar, per un totale di 24 divisioni che in seguito prestavano
servizio a turno nel tempio. — 1Cr 24:1-4.

w93 15/5 28 Seguite Geova pienamente?


Ancora fedeli dopo anni
La condanna dei 40 anni viene scontata e la morte reclama un’intera generazione di mormoratori. Ma
Caleb e Giosuè sono ancora fedeli a Dio. Nelle pianure di Moab, Mosè e il sommo sacerdote Eleazaro
hanno contato gli uomini in età di leva dai 20 anni in su. Da ogni tribù di Israele Dio sceglie un uomo a cui
affidare la ripartizione della Terra Promessa. Caleb, Giosuè ed Eleazaro sono fra loro. (Numeri 34:17-29)
Sebbene abbia ora 79 anni, Caleb è ancora vigoroso, leale e coraggioso.
Quando Mosè e Aaronne censirono il popolo nel deserto del Sinai poco prima che esso rifiutasse
pavidamente di entrare nel paese di Canaan, gli uomini di guerra di Israele erano 603.550. Dopo quattro
decenni nel deserto, l’esercito si era ridotto a 601.730 uomini. (Numeri 1:44-46; 26:51) Eppure, al
comando di Giosuè e col fedele Caleb nelle loro file, gli israeliti entrarono nella Terra Promessa e
passarono di vittoria in vittoria. Come Giosuè e Caleb avevano sempre sostenuto, Geova vinceva le
battaglie per conto del suo popolo.
Eli (il sommo sacerdote) — Tema: Il permissivismo disonora Dio PROVERBI 3:35; 13:18

it-1 804-5 Eli


ELI
[asceso; salito].
1. Sommo sacerdote d’Israele; probabilmente discendente di Itamar, quarto figlio di Aaronne in ordine di
menzione. (Cfr. 2Sa 8:17; 1Re 2:27; 1Cr 24:3; Eso 6:23). Come sommo sacerdote, Eli giudicò Israele per
40 anni. Samuele cominciò a profetizzare durante la sua vita. (1Sa 4:18; 3:10-13, 19-21) I giorni di Eli
furono caratterizzati da carestia spirituale in Israele, poiché “la parola di Geova era divenuta rara in quei
giorni; non si diffondeva nessuna visione”. — 1Sa 3:1.
Il primo accenno a Eli si ha nel primo capitolo di 1 Samuele. Eli è seduto fuori della porta del tabernacolo
e rimprovera la giusta Anna giudicandola ubriaca, mentre in effetti la donna sta pregando davanti a
Geova di fronte al tabernacolo. Quando Anna risponde che non è ubriaca ma ha parlato per
l’abbondanza della sua preoccupazione e vessazione, Eli la lascia andare in pace. Geova esaudisce la
preghiera di Anna, ed essa ha un figlio a cui dà nome Samuele. Non appena è svezzato, per mantenere il
suo voto, Anna lo dedica al servizio presso il tabernacolo. — 1Sa 1:9-18, 20, 24, 28; 2:11, 18.
Negligente nel disciplinare i figli. Come padre e sommo sacerdote d’Israele, Eli è negligente
nell’applicare la disciplina di Geova. I suoi due figli, Ofni e Fineas, prestano servizio come sacerdoti
officianti, ma sono “uomini buoni a nulla”, che si interessano solo di soddisfare il proprio ventre e i propri
impuri desideri sessuali. Non si accontentano della porzione del sacrificio assegnata loro dalla legge di
Dio, e addirittura servono se stessi prima di Geova, esigendo che un servitore prenda la carne cruda
dall’offerente prima di far fumare il grasso sull’altare. Gli avidi e sensuali figli di Eli approfittano del loro
incarico nella tenda di adunanza per praticarvi il vizio e il ladrocinio a spese della pura adorazione di
Geova. Neanche quando i suoi figli corrotti hanno rapporti immorali con le donne che prestano servizio
all’ingresso del tabernacolo Eli li rimuove dall’incarico, ma si limita a rimproverarli debolmente. Eli
continua a onorare i suoi figli più di Geova. — 1Sa 2:12-17, 22-25, 29.
A un certo punto arriva un profeta di Dio che pronuncia un terribile messaggio di avvertimento: la potenza
e l’influenza della casa di Eli saranno stroncate, tanto che in quella casa non ci sarà più un vecchio. I suoi
figli corrotti moriranno in un sol giorno. (1Sa 2:27-36) Proprio per mezzo del piccolo Samuele, Geova
riafferma il giudizio avverso sulla casa di Eli. (1Sa 3:11-14) Samuele ha paura di riferire il messaggio, ma
dietro richiesta di Eli lo rivela. Eli allora si sottomette umilmente, dicendo: “È Geova. Faccia ciò che è
bene ai suoi occhi”. — 1Sa 3:15-18.
Geova giudica la sua casa. La retribuzione arriva secondo la parola di Dio. Israele perde circa 4.000
uomini in un combattimento con i filistei. Gli israeliti decidono di prendere l’Arca da Silo e portarla
nell’accampamento, sperando così di essere liberati dai nemici. Ma i filistei intensificano i loro sforzi nella
battaglia. Trentamila israeliti vengono uccisi. L’Arca è catturata. Ofni e Fineas, che sono là con l’Arca,
muoiono. Un uomo della tribù di Beniamino corre dal fronte a portare la notizia a Eli. Cieco e debole, il
98enne Eli se ne sta seduto su un seggio al bordo della strada, col cuore che gli trema per l’Arca.
Udendo che l’Arca è stata catturata, Eli cade all’indietro spezzandosi il collo e muore. — 1Sa 4:2-18.
Un’ulteriore retribuzione per la casa di Eli si ebbe per mano del re Saul, che ordinò spietatamente
l’eccidio dei sacerdoti di Nob, discendenti di Eli attraverso Ahitub figlio di Fineas. (1Sa 14:3; 22:11, 18)
Solo Abiatar, uno dei figli di Ahimelec, sfuggì al massacro e continuò a prestare servizio come sacerdote
durante il regno di Davide. (1Sa 22:20; 2Sa 19:11) Comunque Abiatar venne allontanato dal sacerdozio
da Salomone per aver dato aiuto al cospiratore Adonia. (1Re 1:7; 2:26, 27) Così si adempì il giudizio di
Geova sulla casa di Eli, i cui discendenti vennero esclusi per sempre dall’incarico di sommo sacerdote. —
1Sa 3:13, 14.

w80 15/2 12-14 Eli, un sacerdote che venne meno alla sua responsabilità di padre
Eli, un sacerdote che venne meno alla sua responsabilità di padre
NESSUN uomo arriva mai al punto di non aver più bisogno di disciplina. La disciplina ci addestra ad agire
nel modo più giusto e benefico. Affrontando la vita, ci imbattiamo di continuo in una varietà di situazioni,
alcune delle quali nuove per noi, e non poche difficili. Il fatto di fare queste esperienze ci disciplina.
Se questo vale per gli adulti, un bambino ha molto più bisogno di disciplina. Qualsiasi esperienza per lui è
nuova. Inoltre, avendo ereditato l’imperfezione dai genitori, “la stoltezza è legata al cuore del ragazzo; la
verga della disciplina è ciò che la rimuoverà lungi da lui”. — Prov. 22:15.
Per questa ragione Dio rammenta ai genitori la seria responsabilità di insegnare ai propri figli a essere
rispettosi della legge, a mantenersi moralmente puri e ad amare Dio. Se non imparano questi principi
insegnati loro dai genitori con le parole, ma sono disubbidienti e sfrenati, si deve ricorrere a qualche
forma di disciplina. La trascuratezza o il non farlo produrrà figli che in seguito non daranno minimamente
retta ai genitori, con la possibilità di conseguenze tragiche sia per i figli che per i genitori.
TRASCURARE LA DISCIPLINA RECA DOLORE
Eli era un padre dell’antico Israele. Era anche sacerdote, il sommo sacerdote della nazione. Come tale,
era ben versato nella legge di Dio. Nella sua vita personale è possibile che assolvesse molto fedelmente i
suoi doveri sacerdotali. Forse aveva anche insegnato ai figli tutta la legge di Dio. Ma evidentemente era
troppo debole, fiacco, indulgente con i figli, non stando loro dietro né amministrando la necessaria
disciplina, col risultato che incorse nel disfavore di Dio e si procurò serie difficoltà. Ma egli venne meno in
una cosa molto più importante: non si mostrò zelante per la vera e pura adorazione quando i suoi figli
cominciarono a violare la legge di Dio.
I PECCATI DEI FIGLI DI ELI
Quando i suoi figli erano già cresciuti e sposati, ed egli era molto vecchio, cominciarono a giungergli
notizie sulla vergognosa condotta dei figli. Il racconto afferma: “Ora i figli di Eli erano uomini buoni a nulla;
essi non riconoscevano Geova. In quanto al diritto dovuto ai sacerdoti dal popolo, ogni qualvolta un uomo
offriva un sacrificio, un servitore del sacerdote veniva col forchettone a tre denti in mano, proprio quando
la carne bolliva, e lo ficcava nel bacino o nella pentola o nel paiolo o nella marmitta. Qualsiasi cosa il
forchettone traesse fuori il sacerdote se lo prendeva per sé. Facevano in questo modo in Silo a tutti gli
Israeliti che vi andavano”. — I Sam. 2:12-14.
La legge provvedeva al mantenimento del sacerdozio in questo modo: nelle offerte di comunione, quando
l’adoratore presentava il suo sacrificio dalla mandria o dal gregge, ai sacerdoti spettava il petto
dell’animale. Il sacerdote officiante riceveva come sua porzione la zampa destra. Ma Ofni e Fineas, i figli
di Eli, mandavano i loro servitori a prendere dalla pentola qualsiasi cosa il forchettone infilzasse,
mancando così di rispetto a Dio, violandone la disposizione, e maltrattando gli israeliti che portavano i
sacrifici. Quel ch’è peggio, derubavano Dio, prendendosi la porzione dell’offerta prima che le parti grasse
fossero offerte sull’altare, il che costituiva una violazione della legge. — I Sam. 2:15-17; Lev. 7:32-34;
3:3-5.
In aggiunta a tale peccato, questi uomini malvagi commettevano atti di immoralità con le donne che
prestavano servizio al tabernacolo, così che tutto Israele venne a saperlo. E la notizia della loro orribile
profanazione del santuario di Dio giunse agli orecchi di Eli. — I Sam. 2:22.
Qui sta la più grave mancanza di Eli. Come padre di Ofni e Fineas e, cosa più seria, come sommo
sacerdote d’Israele unto da Dio, egli avrebbe dovuto intraprendere immediatamente un’azione
disciplinare contro i due figli, rimuovendoli dall’incarico sacerdotale e impedendo loro di prestare servizio
nel santuario. Inoltre avrebbero dovuto essere puniti secondo la legge per i loro reati. Invece Eli si limitò
semplicemente a dire loro:
“Perché continuate a fare cose come queste? Poiché le cose che odo intorno a voi da tutto il popolo sono
cattive. No, figli miei, perché non è buona la notizia che odo, che il popolo di Geova fa circolare. Se un
uomo dovesse peccare contro un uomo, Dio farebbe da arbitro per lui; ma se un uomo dovesse peccare
contro Geova, chi pregherebbe per lui?” — I Sam. 2:23-25.
IL GIUDIZIO DI DIO CONTRO LA CASA DI ELI
Comunque, Dio non dormiva, ma si interessava della faccenda e aveva già giudicato quegli uomini
corrotti. “Geova si compiaceva ora di metterli a morte”, dice la Bibbia, e in armonia col suo giudizio egli
mandò “un uomo di Dio” da Eli con un terribile messaggio. (I Sam. 2:25) Il profeta disse a Eli:
“Geova ha detto questo: ‘Non mi rivelai io alla casa del tuo antenato [Aaronne] mentre si trovavano in
Egitto come schiavi della casa di Faraone? Ed egli fu scelto da tutte le tribù d’Israele per me, perché
facesse il sacerdote e salisse sul mio altare per far ascendere il fumo dei sacrifici, per portare dinanzi a
me l’efod, affinché io dessi alla casa del tuo antenato tutte le offerte fatte mediante il fuoco dai figli
d’Israele. Perché continuate voi a dar calci al mio sacrificio e alla mia offerta che io ho comandato nella
mia dimora, e tu continui a onorare i tuoi figli più di me ingrassandovi del meglio di ogni offerta d’Israele
mio popolo?
“‘Perciò l’espressione di Geova, Dio d’Israele, dice: “In realtà io dissi: In quanto alla tua casa e alla casa
del tuo antenato, cammineranno dinanzi a me a tempo indefinito”. Ma ora l’espressione di Geova dice: “È
impensabile, da parte mia, perché onorerò quelli che mi onorano, e quelli che mi disprezzano saranno di
poco conto”. Ecco, vengono i giorni quando per certo reciderò il tuo braccio e il braccio della casa del tuo
antenato, così che non ci sarà vecchio nella tua casa. E guarderai effettivamente un avversario nella mia
dimora in mezzo a tutto il bene che è fatto a Israele; e nella tua casa non ci sarà mai un vecchio. Eppure
c’è un uomo dei tuoi che non stroncherò dall’essere al mio altare in modo da far venire meno i tuoi occhi
e da far languire la tua anima; ma il maggior numero della tua casa morranno tutti mediante la spada
degli uomini. E questo è per te il segno che verrà ai tuoi due figli, Ofni e Fineas: In un solo giorno
morranno entrambi. E per certo mi susciterò un sacerdote fedele. Egli farà secondo quanto è nel mio
cuore e nella mia anima; e per certo gli edificherò una casa durevole, e per certo camminerà dinanzi al
mio unto per sempre. E deve accadere che chiunque resti nella tua casa verrà e s’inchinerà a lui per
pagare il denaro e il pane rotondo, e per certo dirà: “Ammettimi, ti prego, a uno degli uffici sacerdotali per
mangiare un pezzo di pane”’”. — I Sam. 2:27-36.
Questa profezia fu parzialmente adempiuta quando, poco tempo dopo, i due figli di Eli furono uccisi in
battaglia contro i filistei, e l’arca, che avevano portato in battaglia, venne catturata. Avutane notizia, Eli
cadde all’indietro dal suo seggio alla porta e si ruppe la nuca. — I Sam. 4:10, 11, 18.
I discendenti di Eli ricoprirono ancora per anni l’ufficio di sommi sacerdoti, ma i loro occhi videro molte
calamità, come il massacro dei sacerdoti per ordine di Saul. (I Sam. 22:11, 16-18) Un’ulteriore parte del
giudizio si ebbe anni dopo quando il re Salomone ‘cacciò Abiatar [il sommo sacerdote, discendente di Eli]
dal servire come sacerdote di Geova, per adempiere la parola di Geova che egli aveva pronunciata
contro la casa di Eli in Silo’. Salomone sostituì nell’incarico Abiatar con Zadoc. (I Re 2:27, 35) Zadoc era
discendente di Aaronne attraverso il figlio Eleazaro, mentre Eli era della linea di Itamar, altro figlio di
Aaronne. (I Cron. 6:50-53; 24:1; I Sam. 14:3; 22:9) Anche allora Dio permise ad alcuni discendenti di Eli
di prestare servizio come sottosacerdoti. Ma videro il declino dell’adorazione al tempio durante il regno
dei re, quando il sacerdozio non ricevette il dovuto sostegno dal popolo. — II Cron. 29:3, 6; 33:7; 34:8-11.
La storia di Eli mette vigorosamente in risalto fatti che non possiamo ignorare: come servitori di Dio,
dobbiamo seguire il consiglio della Bibbia di insegnare la Parola di Dio ai nostri figli ogni giorno e, pur
mostrando loro amore e considerazione, dobbiamo ‘allevarli nella disciplina e nella norma mentale di
Geova’. (Efes. 6:4, Traduzione del Nuovo Mondo, ediz. inglese del 1971; Deut. 6:4-9) Se i genitori
condonano il male commesso dai loro figli, perderanno senz’altro il rispetto dei figli. Simili genitori
riscontreranno in seguito di aver distrutto le linee di comunicazione, e vedranno tristemente i propri figli
abbandonarli per seguire le vie del mondo.
Cosa ancora più importante, l’esempio dei figli di Eli ci fa capire chiaramente il fatto che sfruttare in
qualsiasi modo la propria posizione di servitori di Dio per tornaconto egoistico recherà l’avverso giudizio
di Dio. “Se alcuno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui”. — I Cor. 3:17.

w87 15/12 16-20 Onoriamo l'Iddio che dà speranza


Uomini onorano Dio
6 Di solito la maggioranza degli esseri umani non si prefigge di onorare innanzi tutto Dio, perché è più
interessata al proprio onore. Alcuni addirittura sostengono che è normale voler essere onorati. In parte
questo è vero, perché è normale voler avere una buona reputazione, cosa che comporta un certo onore.
(1 Timoteo 3:2, 13; 5:17; Atti 28:10) Tuttavia il desiderio di essere onorati dagli uomini può facilmente
oltrepassare i limiti. Lo dimostrano i molti che inseguono la fama a qualsiasi costo o che farebbero di tutto
pur di salvare la faccia.
7 Se ci si pensa, perfino il massimo onore che si può ricevere dagli uomini è passeggero, perché la vita
umana è breve. È vero che la memoria di alcuni eroi può essere onorata per un po’, ma la maggioranza
dei morti viene dimenticata. Quanti conoscono il nome dei loro bisnonni o di quelli che governavano il loro
paese cento anni fa? In effetti, che uno sia vissuto o non sia vissuto non fa molta differenza. Non è che
un microscopico granello di polvere sulla bilancia del tempo, una minuscola goccia nel fiume della vita. E
anche se è onorato per breve tempo dopo la morte, non ne è consapevole. (Giobbe 14:21; 2 Cronache
32:33; Ecclesiaste 9:5; Salmo 49:12, 20) L’unica cosa che può fare differenza è avere la speranza che
Dio dà, onorarlo ed esserne a propria volta onorati. Possiamo notarlo nella vita di due personaggi che
vissero contemporaneamente nell’antico Israele.
8 Uno di questi era Eli. Egli servì Dio per quarant’anni nell’esclusivo incarico di sommo sacerdote, ed
ebbe anche il privilegio di giudicare Israele. (1 Samuele 1:3-9; 4:18) Tuttavia col tempo si mostrò debole
nei confronti dei suoi figli Ofni e Fineas. Pur essendo sacerdoti, questi abusavano del loro incarico
rubando parte dei sacrifici e praticando l’immoralità sessuale. Quando il loro padre si limitò a criticarli
debolmente, Dio dichiarò che Eli ‘continuava a onorare i suoi figli più di Lui’. Geova aveva garantito la
continuità del sacerdozio aaronnico, ma avrebbe stroncato la casa di Eli dall’incarico sacerdotale.
Perché? Dio spiegò: “Onorerò quelli che mi onorano, e quelli che mi disprezzano saranno di poco conto”.
— 1 Samuele 2:12-17, 29-36; 3:12-14.
9 In contrasto ecco Samuele. Probabilmente sapete che i suoi genitori lo portarono in tenera età al
tabernacolo di Silo perché vi prestasse servizio. Una notte Geova parlò al ragazzo. Vi farà piacere
leggerne il racconto in 1 Samuele 3:1-14, immaginando il ragazzo che viene svegliato non dal rumore di
un tuono, ma da una voce sommessa che egli scambiò per quella dell’anziano Eli. Pensate poi quale
coraggio deve aver avuto il giovane Samuele per riferire all’anziano sommo sacerdote la decisione di Dio
di punire la casa di Eli. Eppure Samuele lo fece; onorò Dio con la sua ubbidienza. — 1 Samuele 3:18, 19.
10 Samuele onorò Geova per anni come profeta, e Dio onorò lui. Lo si può notare in 1 Samuele 7:7-13.
Geova rispose prontamente alla preghiera con cui Samuele chiedeva aiuto per sconfiggere i filistei. Non
vi sareste sentiti onorati ricevendo tale riconoscimento da parte di Dio? Quando i figli di Samuele non
seguirono il suo esempio, Dio non lo rigettò come aveva fatto con Eli. Evidentemente Samuele aveva
fatto tutto il possibile per onorare Dio. A ulteriore conferma di ciò, Samuele disapprovò la richiesta del
popolo di avere un re umano. (1 Samuele 8:6, 7) Dio impiegò Samuele per ungere sia Saul che Davide.
Quando Samuele morì, Israele lo onorò facendo cordoglio. Cosa più importante, Dio lo onorò
menzionandolo nella Bibbia insieme ad altri uomini di fede che saranno benedetti con la risurrezione e
con le buone cose che Dio ha in serbo per loro. (Salmo 99:6; Geremia 15:1; Ebrei 11:6, 16, 32, 39, 40)
Non mostra questo che è molto importante onorare “l’Iddio che dà speranza”?
Onorerete “l’Iddio che dà speranza”?
11 Gli esempi biblici di Gesù e Samuele, per menzionarne solo due, mostrano che gli uomini possono
mettere al primo posto nella loro vita il rendere onore all’“Iddio che dà speranza”, e questi due esempi
mostrano che così facendo possiamo giustamente sperare di ricevere onore da Dio. Ma come potete
farlo con la ragionevole certezza di piacere a Dio, di essere onorati da lui e di realizzare la vostra
speranza basata sulla Bibbia?
12 Un modo è quello di provare il sincero e reverenziale timore di dispiacere a Dio. (Malachia 1:6) È
probabile che questa affermazione ci trovi pienamente d’accordo. Ma ricordate i figli di Eli. Se aveste
chiesto loro se volevano onorare Dio mostrando rispettoso timore, molto probabilmente avrebbero
risposto di sì. Il problema sta nel tradurre in opere quotidiane il nostro desiderio di onorare Dio
temendolo.
13 Se ci trovassimo di fronte alla tentazione di rubare o commettere qualche forma di immoralità sessuale
senza che ciò divenisse di pubblico dominio, il nostro desiderio di onorare Dio influirebbe sulle nostre
azioni? Dobbiamo coltivare questo modo di pensare: ‘Anche se la mia trasgressione restasse nascosta, il
fatto stesso di cedere a tale peccato disonorerebbe “l’Iddio che dà speranza”, il cui nome io porto’. In
realtà, poi, la trasgressione non rimarrà sempre nascosta, così come non rimasero nascoste le azioni
commesse dai figli di Eli. Lo confermano le parole di Paolo a proposito del “giusto giudizio di Dio”: “Egli
renderà a ciascuno secondo le sue opere: vita eterna a quelli che cercano gloria e onore e incorruttibilità
mediante la perseveranza nell’opera buona; comunque, per quelli che sono contenziosi e disubbidiscono
alla verità ma ubbidiscono all’ingiustizia ci saranno ira e indignazione”. — Romani 2:5-8.
14 Dall’altro lato, Paolo menziona la partecipazione “nell’opera buona”, che onora Dio e fa ottenere “gloria
e onore” da parte sua. Oggi una delle principali opere di questo genere è quella menzionata da Gesù in
Matteo 28:19, 20: ‘Fate discepoli di persone di tutte le nazioni, battezzandole e insegnando loro ad
osservare tutte le cose che io vi ho comandato’. In tutta la terra, milioni di testimoni di Geova compiono
attivamente quest’opera di predicazione e insegnamento che onora Dio. Molti si impegnano addirittura
come pionieri, o ministri a tempo pieno, su base permanente o durante le vacanze dal lavoro secolare o
dalla scuola. Con questo in mente, ciascuno di noi può trarre beneficio esaminando la propria posizione
in relazione a quest’opera. Per esempio, potreste chiedervi: ‘Sto onorando “l’Iddio che dà speranza”
partecipando pienamente all’opera di predicazione?’
15 Alcuni cristiani che per anni sono stati predicatori attivi hanno gradualmente rallentato. Hanno ormai
preso l’abitudine di partecipare all’importante opera di fare discepoli solo in minima misura o di tanto in
tanto. Non ci riferiamo a individui che hanno limitazioni fisiche o che rallentano a causa dell’età avanzata.
Cosa ben diversa, si nota un rallentamento in certi Testimoni di varie età. È interessante che Paolo non si
riferiva a un determinato gruppo d’età quando avvertì i cristiani del pericolo di ‘stancarsi’. A prescindere
dall’età della persona, il nocciolo della questione è che la regolare partecipazione al ministero richiede
sforzo. Come evidentemente avveniva ai giorni di Paolo, oggi alcuni ragionano così: ‘Nel corso degli anni
ho fatto la mia parte, perciò ora si sforzino i cristiani più nuovi’. — Galati 6:9; Ebrei 12:3.
16 Quelli che ragionano in questo modo sono certamente una minoranza, ma potreste chiedervi:
‘Riconosco francamente di avere una simile tendenza? La mia attuale partecipazione al ministero regge
al confronto con quella di un tempo?’ Sia che un tale rallentamento si sia verificato o no, dovremmo tutti
tener presente che “l’Iddio che dà speranza” promette “gloria e onore e pace a ognuno che opera ciò che
è bene”. (Romani 2:10) Paolo usò una parola greca che significa “operare, produrre, compiere”. Com’è
indispensabile che evitiamo ciò che accadde agli scribi e ai farisei, che si limitavano a onorare Dio solo
con le labbra! (Marco 7:6; Rivelazione 2:10) Al contrario, quando partecipiamo di cuore al ministero
pubblico, confermiamo a noi stessi e ad altri che abbiamo una vera speranza. Onoriamo il nostro
Creatore e Datore di vita. E ci mettiamo in condizione di essere onorati da lui, ora e per sempre. — Luca
10:1, 2, 17-20.
Con le nostre cose di valore
17 Un altro modo in cui possiamo onorare “l’Iddio che dà speranza” è quello indicato da Proverbi 3:9:
“Onora Geova con le tue cose di valore e con le primizie di tutti i tuoi prodotti”. Un altro traduttore rende
così questo versetto: “Glorifica Geova con la tua ricchezza, e col meglio di tutto il tuo incremento”. — A
Translation of the Old Testament Scriptures from the Original Hebrew.
18 Dato che vari ecclesiastici sono divenuti famosi a causa della loro insaziabile avidità e del loro modo di
vivere opulento, molti esitano a fare offerte a chiese e organizzazioni religiose il cui evidente scopo
sembra essere soltanto quello di accumulare ricchezze. (Rivelazione 18:4-8) Questi abusi, però, non
cambiano la validità di Proverbi 3:9. In armonia con questo consiglio ispirato, come possiamo usare le
nostre “cose di valore” per ‘onorare Geova’, “l’Iddio che dà speranza”?
19 I testimoni di Geova riscontrano che il crescente numero di persone che accettano il messaggio del
Regno richiede l’ampliamento di Sale del Regno o la costruzione di nuove sale. Ecco quindi un modo per
‘glorificare Geova con le nostre ricchezze’. Giovani e vecchi hanno preso parte a questa attività, ad
esempio decidendo di contribuire personalmente ai fondi di costruzione. Attenersi a tali decisioni di cui
altri non sono a conoscenza richiede disciplina personale o anche qualche sacrificio, specialmente se i
piani e il completamento di un progetto edilizio si protraggono per un lungo periodo di tempo. (2 Corinti
9:6, 7) Nondimeno, usare i fondi in questo modo onora veramente Geova, perché le Sale del Regno sono
luoghi in cui i cristiani lo adorano e dove sia loro che i loro associati possono acquistare conoscenza di
Dio. Le parole di Gesù in Matteo 6:3, 4 ci danno validi motivi per confidare che Dio onorerà quelli che lo
hanno onorato in tal modo.
20 Occorre però fare attenzione: Gli scribi e i farisei, che come disse Gesù non mettevano al primo posto
il rendere onore a Dio, si assicuravano di essere i primi a beneficiare della propria ricchezza. Perciò il
consiglio di Matteo 15:4-8 richiede che ci autoesaminiamo in quanto all’‘onorare Geova con le nostre
cose di valore’. (Geremia 17:9, 10) Per esempio, un cristiano che in qualche modo è divenuto ricco
tramite i suoi affari potrebbe giustificare il fatto di continuare a lavorare a tempo pieno per poter
guadagnare ancora di più. Potrebbe ragionare così: ‘Altri intraprendono il ministero di pioniere o si
trasferiscono dove il bisogno di predicatori è particolarmente sentito, ma io servo Dio in un modo
particolare, cioè guadagnando di più ed essendo così in grado di fare grosse offerte’. Le sue contribuzioni
possono essere molto utili. Ma egli farebbe bene a chiedersi: ‘Il mio personale modo di vivere rivela che il
motivo principale per cui cerco di guadagnare di più è davvero quello di usare il denaro per onorare Dio?’
(Luca 12:16-19; confronta Marco 12:41-44). Inoltre: ‘Potrei disporre le mie cose in modo da accrescere la
mia partecipazione personale all’opera più importante che esista oggi, quella di dichiarare la buona
notizia?’ In realtà, a prescindere dalle nostre circostanze, possiamo esaminare i nostri motivi e le nostre
azioni e chiederci: ‘Come posso onorare di più il mio Datore di vita, “l’Iddio che dà speranza”?’
21 Geova non ci deluderà. Che meravigliosa prospettiva sentirsi dire da lui, ora e in futuro, ciò che disse
del fedele Israele: “Per il fatto che sei stato prezioso ai miei occhi, sei stato considerato onorevole, e io
stesso ti ho amato”! (Isaia 43:4) Egli stesso inoltre promette “vita eterna a quelli che cercano gloria e
onore”. Questa è la promessa che egli fa a coloro che perseverano “nell’opera buona”. Davvero un ‘Dio
che dà speranza’!
Elia (il profeta) — Tema: Non sottovalutate il potere della preghiera 1° TESSALONICESI 5:17

it-1 805-7 Elia


ELIA
[il mio Dio è Geova].
1. Uno dei maggiori profeti d’Israele. Doveva essere originario di Tisbe, secondo alcuni un villaggio del
paese di Galaad, a E del Giordano. (1Re 17:1) Iniziò la sua lunga carriera di profeta in Israele durante il
regno di Acab, che cominciò a regnare verso il 940 a.E.V., e la continuò durante il regno di Acazia figlio di
Acab (iniziato verso il 919 a.E.V.). (1Re 22:51) L’ultima volta che è menzionato come profeta (questa
volta in Giuda) è verso la fine degli otto anni del regno di Ieoram re di Giuda, regno che cominciò nel 913
a.E.V. — 2Cr 21:12-15; 2Re 8:16.
Con Elia, Geova provvide una colonna a sostegno della vera adorazione in un tempo in cui la condizione
morale e spirituale di Israele era caduta pericolosamente in basso. Il re Acab figlio di Omri aveva
continuato l’adorazione dei vitelli istituita da Geroboamo, ma, peggio ancora, aveva sposato Izebel figlia
di Etbaal re di Sidone. Sotto l’influenza di lei, Acab accrebbe grandemente i suoi peccati, più di tutti i
precedenti re d’Israele, introducendo l’adorazione di Baal su vasta scala. I sacerdoti e i profeti di Baal si
moltiplicarono, e la corruzione giunse agli estremi. L’odio di Izebel per Geova provocò la persecuzione e
l’uccisione dei profeti, costringendoli a nascondersi in caverne. — 1Re 16:30-33; 18:13.
Cibato dai corvi. Elia viene menzionato per la prima volta nella Bibbia quando è mandato da Geova ad
annunciare a Israele il severo castigo per i peccati della nazione. Le sue prime parole sono: “Come vive
Geova l’Iddio d’Israele dinanzi al quale in effetti io sto”. Elia annuncia che Geova, l’Iddio vivente d’Israele,
ha decretato che non ci sarà pioggia né rugiada per alcuni anni, se non dietro richiesta di Elia. Quel
periodo di tempo risulta essere di tre anni e sei mesi. (1Re 17:1; Gc 5:17) Dopo quest’annuncio Geova
dice ad Elia di andare nella valle del torrente Cherit, a E del Giordano nel territorio della tribù di Gad. Là,
miracolosamente, dei corvi gli portano da mangiare. Elia attinge acqua dalla valle del torrente, il quale
però col tempo si prosciuga a motivo della siccità. Geova continua a guidarlo, inviandolo fuori del
territorio di Israele, a Zarefat, cittadina fenicia che allora dipendeva da Sidone. Là, nei pressi della città di
Sidone, dove regna Etbaal suocero del re Acab (1Re 16:31), Elia trova una vedova che sta preparando
l’ultimo pasto per sé e per suo figlio con quel po’ di farina e olio che le sono rimasti. Elia le chiede un
pane, e le promette che Geova provvederà per lei durante la siccità. Riconoscendo in lui un uomo di Dio
la vedova acconsente ed è benedetta. (Cfr. Mt 10:41, 42). Mentre Elia è in casa della donna, il figlio di lei
muore. Elia prega Dio, che lo riporta in vita; questa è la prima risurrezione di cui si ha notizia e il terzo
degli otto miracoli di Elia. — 1Re 17.
Cosa fece Elia per far comprendere a Israele che Geova è realmente il vero Dio?
Nel frattempo Acab ha cercato dappertutto nel vano tentativo di trovare Elia, senza dubbio per metterlo a
morte. (1Re 18:10) Infine Dio ordina a Elia di presentarsi ad Acab. Elia incontra Acab e chiede un
confronto con i 450 profeti di Baal e i 400 profeti del palo sacro (´Asheràh). Acab raduna i profeti sul
Carmelo, non lontano dal Mediterraneo. (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, ⇒it-1 ⇐p. 950) Allora Elia, davanti al
popolo, propone una prova a dimostrazione di chi è il vero Dio da seguire. Colui che risponderà
consumando un toro che gli verrà immolato sarà riconosciuto da tutti come tale. Il popolo accetta. Baal
viene invocato per primo, ma invano. Niente fuoco, nessuna prova che Baal sia un dio vivente, benché i
suoi profeti continuino a invocarlo, praticandosi addirittura delle incisioni secondo il loro rituale. Essi
saltellano intorno all’altare sotto il sole rovente per la maggior parte del giorno mentre Elia li schernisce
senza pietà, accrescendo il loro furore. — 1Re 18:18-29.
Poi è la volta di Elia. Con 12 pietre ripara un altare che era stato abbattuto, probabilmente per ordine di
Izebel. Quindi per tre volte fa inzuppare d’acqua l’offerta e l’altare; perfino il fosso intorno all’altare, che
circoscrive un’area di circa 32 m per 32, è riempito d’acqua. (1Re 18:30-35) Verso l’ora in cui ogni giorno
si presentava l’offerta serale di cereali Elia prega un’unica volta Geova, il quale manda dai cieli un fuoco
che consuma non solo l’offerta, ma anche la legna, le pietre dell’altare e l’acqua del fosso. (1Re 18:36-
38) Il popolo, vedendo ciò, si prostra e dice: “Geova è il vero Dio! Geova è il vero Dio!” Allora Elia fa
uccidere nella valle del torrente Chison tutti i 450 profeti di Baal. Esaudendo la preghiera di Elia, Geova
pone fine alla siccità con un acquazzone. Con l’aiuto di Geova, Elia corre quindi davanti al carro da
guerra di Acab, forse per ben 30 km, fino a Izreel. — 1Re 18:39-46.
Sfugge a Izebel. Informata della morte dei profeti di Baal, la regina Izebel giura di far mettere a morte
Elia. Spaventato, Elia fugge verso SO per 150 km fino a Beer-Seba, a O dell’estremità inferiore del Mar
Morto. (CARTINA, vol. 1, ⇒it-1 ⇐p. 949) Lasciando lì il suo servitore, Elia prosegue addentrandosi nel
deserto e prega di morire. Là gli appare l’angelo di Geova, che lo prepara per il lungo viaggio “fino al
monte del vero Dio”: l’Horeb. Ciò che mangia in quell’occasione lo sostiene durante i 40 giorni del
viaggio, in cui percorre oltre 300 km. In Horeb Geova gli parla dopo un’imponente manifestazione di
potenza in un vento, in un terremoto e in un fuoco. Ma Geova non è in queste manifestazioni; egli non è
un dio della natura e neanche la semplice personificazione di forze naturali. Queste forze naturali sono
semplici espressioni della sua forza attiva, non Geova stesso. L’Onnipotente spiega a Elia che ha ancora
un’opera da fargli compiere come profeta. Geova corregge il pensiero di Elia, che crede di essere l’unico
adoratore del vero Dio in Israele, rivelandogli che 7.000 non si sono inchinati a Baal. Manda indietro Elia
perché assolva il suo incarico, indicando per nome tre personaggi che devono essere unti o incaricati di
compiere un’opera per Geova: Azael come re di Siria, Ieu come re d’Israele, ed Eliseo come suo stesso
successore. — 1Re 19:1-18.
Nomina Eliseo suo successore. Elia si mette in viaggio verso il paese di Eliseo, Abel-Meola. Trovato
Eliseo che ara un campo, Elia getta su di lui la propria veste ufficiale, in segno della sua nomina o
unzione. Da quel momento Eliseo segue costantemente Elia e lo serve. Senza dubbio è con Elia quando
si presenta un’altra occasione di profetizzare contro Acab. L’avido re adoratore di Baal si è impadronito
illegalmente di una vigna, possedimento ereditario dell’izreelita Nabot, permettendo alla moglie Izebel di
ricorrere a false accuse, falsi testimoni e giudici iniqui per far uccidere Nabot. Elia incontra Acab nella
vigna e gli dice che il suo sangue sarà leccato dai cani nello stesso luogo in cui essi hanno leccato il
sangue di Nabot. Annuncia una sorte simile anche per Izebel. — 1Re 19:19; 21:1-26.
Circa tre anni dopo, Acab muore in battaglia. Il suo carro da guerra viene lavato presso la piscina di
Samaria e i cani ne leccano il sangue. L’esecuzione di Izebel avviene però in seguito, forse 15 anni dopo.
Ad Acab succede il figlio Acazia. Questo re segue le orme del suo malvagio padre. Quando rimane ferito
in un incidente si rivolge infatti al falso dio Baal-Zebub, dio di Ecron, per interrogarlo circa l’esito della sua
malattia. Elia gli riferisce la parola di Geova secondo cui positivamente morrà. Quando Acazia manda
una dopo l’altra tre compagnie, ciascuna composta di un comandante con 50 uomini, per prendere Elia, il
profeta fa scendere fuoco dai cieli per annientare le prime due compagnie, ma, supplicato dal terzo
comandante, torna indietro con lui per pronunciare di persona il giudizio contro Acazia. — 1Re 22:1, 37,
38; 2Re 1:1-17.
Gli succede Eliseo. In armonia con la nomina di Eliseo effettuata anni prima da Elia, arriva il momento in
cui Elia deve trasferire il mantello che simboleggia questo incarico profetico a Eliseo, che è stato ben
addestrato. Ciò avviene durante il regno del successore di Acazia, suo fratello Ieoram re d’Israele. In quel
tempo Elia va a Betel e di là a Gerico, poi scende al Giordano, mentre Eliseo lo segue sempre da vicino.
Là Eliseo come ricompensa per la sua fedeltà vede un carro da guerra di fuoco e cavalli di fuoco ed Elia
ascendere verso i cieli in un turbine. Eliseo raccoglie la veste ufficiale di Elia che gli era caduta e riceve
“due parti” (come quelle spettanti a un figlio primogenito) dello spirito di Elia, spirito di coraggio e di
‘assoluta gelosia per Geova l’Iddio degli eserciti’. — 2Re 2:1-13; 1Re 19:10, 14; cfr. De 21:17.
Elia non muore in quel tempo, né va nell’invisibile reame spirituale, ma è trasferito per ricevere un altro
incarico profetico. (Gv 3:13) Lo dimostra il fatto che Eliseo non osserva un periodo di lutto per il suo
maestro. Alcuni anni dopo la sua ascensione nel turbine Elia è ancora vivo e attivo come profeta, questa
volta nei confronti del re di Giuda. A motivo della cattiva condotta seguita da Ieoram re di Giuda, Elia gli
scrive una lettera che esprime la condanna di Geova, condanna che si adempie di lì a poco. — 2Cr
21:12-15; vedi CIELO (Ascensione al cielo).
Miracoli. Otto miracoli sono attribuiti a Elia nella Bibbia: (1) impedita ogni precipitazione atmosferica, (2)
continuo rinnovarsi della provvista di farina e olio della vedova di Zarefat, (3) risurrezione del figlio della
vedova, (4) fuoco sceso dal cielo in risposta alla sua preghiera, (5) pioggia che pose fine alla siccità in
risposta alla sua preghiera, (6) fuoco dal cielo invocato sul primo comandante e sui 50 uomini mandati dal
re Acazia, (7) fuoco dal cielo invocato sul secondo comandante e sui suoi 50 uomini e (8) divisione delle
acque del Giordano colpite con la sua veste ufficiale. Anche la sua ascensione ai cieli fu miracolosa, ma
questo fu un atto diretto di Dio, non qualcosa che avvenne in seguito a una preghiera o a una
dichiarazione di Elia.
Elia fu un vigoroso sostenitore della vera adorazione di Geova. Combatté energicamente e con successo
contro il baalismo in Israele; l’opera da lui iniziata fu portata avanti da Eliseo, e l’uccisione di Izebel e la
distruzione dell’impuro baalismo originario di Sidone furono compiute da Ieu. Ai giorni di Elia 7.000
persone, fra cui Abdia, economo di Acab, si dimostrarono fedeli a Geova; senza dubbio Elia ne rafforzò
molte e in notevole misura. Elia nominò Eliseo come suo successore, ma l’unzione di Azael e di Ieu
furono eseguite da Eliseo.
L’apostolo Paolo si riferisce senza dubbio a Elia quando parla di “Samuele e degli altri profeti, i quali
mediante la fede . . . operarono giustizia . . . donne ricevettero i loro morti mediante risurrezione”. Elia fa
dunque parte del “gran nuvolo” di fedeli testimoni dell’antichità. (Eb 11:32-35; 12:1) Il discepolo Giacomo
lo porta come esempio per dimostrare l’efficacia delle preghiere di “un uomo con sentimenti simili ai
nostri”, che serve fedelmente Dio. — Gc 5:16-18.
Opera profetica di cose avvenire. Circa 450 anni dopo l’epoca di Elia, Malachia predisse che Elia il
profeta sarebbe apparso prima della venuta del “grande e tremendo giorno di Geova”. (Mal 4:5, 6) Ai
giorni di Gesù gli ebrei erano in attesa della venuta di Elia in adempimento di questa profezia. (Mt 17:10)
Alcuni pensavano che Gesù fosse Elia. (Mt 16:14) Giovanni il Battezzatore, che come Elia portava una
veste di pelo e una cintura di cuoio ai fianchi, negò di essere Elia in persona. (2Re 1:8; Mt 3:4; Gv 1:21)
L’angelo non aveva detto al padre di Giovanni, Zaccaria, che Giovanni sarebbe stato Elia, ma che
avrebbe avuto “lo spirito e la potenza di Elia . . . per preparare a Geova un popolo ben disposto”. (Lu
1:17) Gesù fece notare che Giovanni aveva compiuto quell’opera, ma non era stato riconosciuto dagli
ebrei. (Mt 17:11-13) Dopo la morte di Giovanni, alla trasfigurazione di Gesù, Elia apparve in visione
insieme a Mosè, a indicare che doveva ancora avvenire qualcosa che era stato rappresentato dall’opera
di Elia. — Mr 9:1-8.
w80 1/9 28-9 Non siamo soli
La Parola di Dio è vivente
Non siamo soli
VI SIETE mai scoraggiati pensando che nessuno condividesse i vostri sentimenti? Vi è stato difficile
sostenere saldamente ciò che credevate giusto quando tutti gli altri vi erano contro? Vi siete sentiti soli?
Il profeta ebreo Elia si trovò in una situazione simile dopo essere stato testimone di una miracolosa
manifestazione di potenza divina. In risposta alla sua preghiera, fuoco era sceso dal cielo e aveva
consumato il suo sacrificio inzuppato d’acqua e lo stesso altare. Questo aveva dimostrato a tutti i
presenti, fra cui il re Acab, che Geova era realmente il vero Dio, mentre Baal non era stato capace di
rispondere alle invocazioni di 450 suoi profeti. Per ordine di Elia questi profeti furono uccisi. Un’altra
preghiera di Elia era stata esaudita quando un gran rovescio d’acqua aveva posto fine a una lunga
siccità. — I Re 18:21-45.
Con l’aiuto dello spirito di Dio, Elia corse davanti al carro di Acab e arrivò a Izreel prima del re. Quando la
regina Izebel sentì dal marito ciò che Elia aveva fatto ai profeti di Baal, gli mandò questo messaggio:
“Così facciano gli dèi, e così vi aggiungano, se domani a quest’ora non farò alla tua anima come
all’anima di ciascuno di loro!” — I Re 18:46–19:2.
Per timore, Elia fuggì col suo servitore. Lasciandolo a Beer-Seba, il profeta continuò la fuga e infine arrivò
all’Horeb, nella penisola del Sinai. Lì entrò in una caverna per passarvi la notte, e Geova Dio gli rivolse
questa domanda: “Che fai qui, Elia?” Scoraggiato, egli rispose: “I figli d’Israele han lasciato il tuo patto, i
tuoi altari sono stati demoliti, e i tuoi profeti sono stati uccisi con la spada, così che io solo sono restato; e
cercano la mia anima per toglierla”. — I Re 19:3-10.
Ma Elia era veramente il solo a servire Geova? No. A sua insaputa esisteva un rimanente di israeliti
fedeli. Geova gli disse: “Ho lasciato rimanere in Israele settemila, tutte le ginocchia che non si sono
piegate a Baal, e ogni bocca che non lo ha baciato”.(II Re 19:18) Elia non era solo anche in un altro
senso. Aveva il sostegno di Geova Dio e di un esercito di potenti angeli. — Confronta II Re 6:15-17.
Perciò, quando ci sentiamo soli, facciamo bene a ricordare che ci sono molti altri che perseverano
fedelmente in simili condizioni difficili e che siamo sotto la protezione di potenti esseri spirituali. Possiamo
prendere a cuore l’incoraggiamento della Bibbia: “Le stesse cose in quanto alle sofferenze si compiono
nell’intera associazione dei vostri fratelli che sono nel mondo”. (I Piet. 5:9) “L’angelo di Geova si accampa
tutto intorno a quelli che lo temono, e li libera”. — Sal. 34:7.
[Cartina a pagina 29]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

w91 15/9 21-2 In che modo la trasfigurazione di Cristo influisce su di voi


Perché apparve Elia
Anche se il defunto profeta Elia non era stato ancora risuscitato, fu appropriato che comparisse nella
visione della trasfigurazione. Elia compì una grande opera ristabilendo la pura adorazione e santificando
il nome di Geova fra gli israeliti. Gesù Cristo fece la stessa cosa quando fu sulla terra e farà ancora di più
per ristabilire la pura religione e rivendicare il suo Padre celeste mediante il Regno messianico.
Il profeta Malachia indicò che l’opera di Elia prefigurava un’attività futura. Mediante Malachia, Dio disse:
“Ecco, vi mando Elia il profeta prima che venga il grande e tremendo giorno di Geova. Ed egli deve far
volgere il cuore dei padri verso i figli, e il cuore dei figli verso i padri; affinché io non venga e realmente
colpisca la terra, votandola alla distruzione”. — Malachia 4:5, 6.
Questa profezia si adempì su piccola scala con l’opera di Giovanni il Battezzatore. Gesù lo indicò dopo la
trasfigurazione, quando i discepoli gli chiesero perché gli scribi dicessero che Elia doveva venire prima
della comparsa del Messia. Gesù rispose: “In realtà Elia viene e ristabilirà ogni cosa. Comunque, io vi
dico che Elia è già venuto ed essi non l’hanno riconosciuto ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto.
Anche il Figlio dell’uomo è destinato a soffrire in questo modo per mano loro”. La narrazione aggiunge:
“Allora i discepoli compresero che aveva parlato loro di Giovanni il Battista”. — Matteo 17:10-13.
Giovanni compì un’opera simile a quella di Elia quando battezzò gli ebrei che si pentivano dei loro peccati
contro il patto della Legge. Ciò che più conta, Giovanni fu il precursore del Messia e presentò Gesù
Cristo. (Matteo 11:11-15; Luca 1:11-17; Giovanni 1:29) Ma perché diciamo che l’opera di Giovanni era
solo un adempimento su piccola scala della profezia di Malachia?
In questa visione, Elia fu visto parlare con Gesù. Questo avvenne dopo la morte di Giovanni il
Battezzatore, il che significa che un’opera simile a quella di Elia sarebbe stata compiuta nel futuro.
Inoltre, la profezia indicava che quest’opera si sarebbe compiuta prima del “grande e tremendo giorno di
Geova”. Questo avvenimento che si avvicina a grandi passi include la “guerra del gran giorno dell’Iddio
Onnipotente” ad Har-Maghedon, o Armaghedon. (Rivelazione 16:14-16) Questo significava che
l’istituzione del celeste Regno di Dio, a quel tempo ancora futura, sarebbe stata preceduta da un’opera
corrispondente all’attività di Elia e del suo successore Eliseo. E da più di un secolo, gli odierni testimoni di
Geova compiono un’opera che include la restaurazione della vera adorazione e l’esaltazione del nome di
Dio. — Salmo 145:9-13; Matteo 24:14.
Cosa significa per voi?
Sì, Pietro considerava la trasfigurazione di Gesù una potente conferma della parola profetica di Dio.
Anche l’apostolo Giovanni forse alludeva a questa visione quando disse: “La Parola è divenuta carne e
ha risieduto fra noi, e abbiamo visto la sua gloria, una gloria tale che appartiene a un figlio unigenito da
parte di un padre; ed era pieno di immeritata benignità e verità”. (Giovanni 1:14) Allo stesso modo, la
trasfigurazione può rafforzare la vostra fede nella parola profetica di Geova.
La trasfigurazione e gli avvenimenti ad essa legati possono rafforzare la vostra fede che Gesù Cristo è il
Figlio di Dio e il promesso Messia. Può rendere più salda la vostra credenza nella risurrezione di Gesù
alla vita spirituale in cielo. Questa sorprendente visione dovrebbe anche accrescere la vostra fede nel
governo di Dio, poiché la trasfigurazione fu una visione anticipata della gloria e del potere regale di
Cristo.
Una cosa che rafforza particolarmente la fede è sapere che la trasfigurazione di Cristo si riferiva ai nostri
giorni, quando la presenza di Gesù è una realtà. (Matteo 24:3-14) Dal 1914 egli domina nei cieli come Re
nominato da Dio. Presto eserciterà l’autorità e il potere conferitigli da Dio contro tutti i nemici del dominio
divino, ponendo le basi per un nuovo mondo. (2 Pietro 3:13) Potete ricevere anche voi le eterne
benedizioni di questo nuovo mondo se esercitate fede nelle meravigliose realtà illustrate nella
trasfigurazione di Gesù Cristo.

cj 208-10 Capitolo 5
La preghiera è potente. Ottiene molto da Dio. La persona giusta agli occhi di Dio Gli è ben accetta, e le
sue preghiere sono esaudite. L’apostolo Pietro disse: “Gli occhi di Geova sono sopra i giusti, e i suoi
orecchi sono volti alla loro supplicazione”. (1 Piet. 3:12) L’apostolo Giovanni descrive l’efficacia della
preghiera: “Questa è la fiducia che abbiamo verso di lui, che qualunque cosa chiediamo secondo la sua
volontà, egli ci ascolta. Inoltre, se sappiamo che egli ci ascolta circa qualunque cosa chiediamo,
sappiamo che avremo le cose chieste giacché le abbiamo chieste a lui”. (1 Giov. 5:14, 15) E il fatto che la
preghiera a favore di un fratello può significare per lui la vita è indicato da Giovanni: “Se uno scorge il suo
fratello peccare di un peccato che non incorre nella morte, chiederà, ed egli gli darà la vita”. (1 Giov. 5:16)
Perciò, nella congregazione ciascuno dovrebbe manifestare questo amorevole interesse per chi sbaglia,
pregando Dio per lui.
Giacomo ora prosegue facendo un vigoroso esempio della forza che ha la preghiera del giusto, e indica
che chiunque nella congregazione abbia una buona posizione dinanzi a Dio può aver fiducia nell’efficacia
delle proprie preghiere. E anche chi ha bisogno della preghiera d’intercessione può avere la stessa
fiducia. Infatti scrive:
17 Elia fu un uomo con sentimenti simili ai nostri, eppure in preghiera pregò che non piovesse; e non
piovve sul paese per tre anni e sei mesi.
17 Elia fu un uomo con sentimenti simili ai nostri
Giacomo fa l’esempio di Elia, evidentemente perché Elia era tenuto in grande stima dagli ebrei. Alcuni
avevano pensato che Gesù fosse Elia ritornato. (Matt. 16:14) Elia era considerato il rappresentante
dell’intera linea dei profeti. (Come tale apparve nella visione della trasfigurazione. [Mar. 9:4]) Quando
Gesù, morente sul palo, gridò “Eli, Eli, lama sabactani?” (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”), gli ebrei pensarono che stesse chiamando Elia. (Mar. 15:34, 35) Giacomo dice che Elia
fu un uomo con sentimenti simili ai nostri, volendo dire che, pur essendo un profeta e avendo ricevuto il
potere di fare miracoli, aveva gli stessi sentimenti umani, le debolezze e le sensazioni che tutti hanno.
Infatti non pronunciava sempre profezie ispirate né compiva sempre miracoli, e, quando lo faceva, non
era con la propria forza o per la propria bontà personale, ma grazie allo spirito di Dio che operava in lui.
(Confronta I Re 17:20-22). Ne consegue che se Elia, che gli ebrei tenevano in tanta considerazione,
aveva sentimenti come tutti gli uomini, allora tutti i profeti provavano gli stessi sentimenti. Non erano
uomini soprannaturali. (Confronta Atti 14:15, dove l’apostolo Paolo e Barnaba parlano in modo simile di
se stessi).

w92 1/4 16-19 Avete una fede simile a quella di Elia?


Avete una fede simile a quella di Elia?
OGGI la società umana mina la fede. Gli intellettuali si fanno beffe dell’esistenza di Dio. Gli ipocriti
religiosi mettono Dio in ridicolo. E il mondo secolare agisce sempre più spesso come se Dio non
contasse nulla. Sia che questi atteggiamenti intimoriscano una persona, la scoraggino o la contagino
rendendola apatica, il risultato è lo stesso: la sua fede viene erosa. Non sorprende che l’apostolo Paolo
definisca la mancanza di fede “il peccato che facilmente ci avvince”! — Ebrei 12:1.
Forse è per questo che Paolo si prefisse di richiamare la nostra attenzione sulla vita di uomini e donne
dalla forte fede. (Ebrei, capitolo 11) Questi esempi possono alimentare e rafforzare la nostra fede.
Prendiamone uno, il profeta Elia, e concentriamoci sulla prima parte della sua lunga e intensa attività
profetica. Egli visse sotto il regno di Acab e della sua consorte pagana, la regina Izebel, in un periodo in
cui, come oggi, la fede nel vero Dio era in declino.
Il corrotto regno delle dieci tribù
Che coppia erano i due regnanti! Acab era il settimo re del regno di Israele, composto da dieci tribù.
Benché anche i suoi sei predecessori fossero stati malvagi, Acab fu peggio di loro. Non solo perpetuò il
corrotto culto locale dei vitelli, ma sposò una principessa straniera, Izebel, introducendo così una forma di
adorazione del falso dio Baal peggiore di quella che il paese aveva conosciuto fino ad allora. — 1 Re
16:30-33.
Izebel era vissuta nel baalismo sin dall’infanzia. Suo padre Etbaal, sacerdote di Astoret (moglie di Baal),
si era macchiato di sangue per impadronirsi del trono di Sidone, regno a nord di Israele. Izebel istigò il
suo debole marito a istituzionalizzare il culto di Baal in Israele. Non passò molto che nel paese c’erano
450 profeti di quel falso dio e 400 profeti della dea Asheràh, i quali mangiavano tutti alla tavola del re.
Com’era disgustante la loro forma di adorazione agli occhi del vero Dio, Geova! Simboli fallici, riti della
fertilità, prostituzione sacra (sia maschile che femminile), perfino il sacrificio di bambini: ecco le
caratteristiche di quella religione ripugnante. Con il beneplacito di Acab, essa si diffondeva senza ostacoli
in tutto il regno.
Milioni di israeliti dimenticarono Geova, il Creatore della terra e del suo ciclo idrologico. Per loro era Baal
che benediceva il paese facendo piovere alla fine della stagione asciutta. Ogni anno attendevano
fiduciosi che questo “Cavaliere delle nubi”, questo cosiddetto dio della fertilità e della stagione delle
piogge, ponesse fine alla siccità. Anno dopo anno, le piogge arrivavano. Anno dopo anno, il merito
andava a Baal.
Elia preannuncia una siccità
Fu probabilmente alla fine di una lunga stagione estiva senza piogge — proprio quando la popolazione
cominciava a sperare che Baal portasse le piogge vivificanti — che Elia apparve sulla scena. Egli fa la
sua comparsa nel racconto biblico come un fulmine a ciel sereno. Sappiamo poco del suo passato, nulla
dei suoi genitori. Ma a differenza del fulmine, Elia non era foriero di pioggia. Egli annunciò ad Acab:
“Come vive Geova l’Iddio d’Israele dinanzi al quale in effetti io sto, durante questi anni non cadrà né
rugiada né pioggia, eccetto che per ordine della mia parola!” — 1 Re 17:1.
Immaginate quest’uomo, vestito con la sua rozza veste di pelo. Originario delle aspre colline di Galaad,
probabilmente è cresciuto fra umili pastori di pecore. Sta in piedi, davanti al potente re Acab, forse proprio
nel suo ampio palazzo, con la sua favolosa casa d’avorio, le sue decorazioni ricche ed esotiche, i suoi
idoli imponenti. Lì, nell’animata e popolosa città fortificata di Samaria, dove l’adorazione di Geova è stata
praticamente dimenticata, egli dice ad Acab che il suo dio Baal è impotente, non esiste. Per quest’anno e
per i prossimi, dichiara Elia, non ci sarà né pioggia né rugiada!
Dove aveva attinto questa fede? Non provava timore a stare di fronte a quel re arrogante e apostata?
Forse. Più di mille anni dopo, Giacomo, fratellastro di Gesù, ci assicurò che Elia era “un uomo con
sentimenti simili ai nostri”. (Giacomo 5:17) Ma notate le parole di Elia: “Come vive Geova l’Iddio d’Israele
dinanzi al quale in effetti io sto”. Elia ricordava che in qualità di servitore di Geova egli stava dinanzi a un
trono molto più alto di quello di Acab: il trono del Sovrano Signore dell’universo! Egli era un
rappresentante, un emissario, di quel trono. Considerando la cosa da questo punto di vista, cosa aveva
da temere da Acab, un debole monarca umano che aveva perso l’approvazione di Geova?
Non era un caso che Geova fosse così reale per Elia. Il profeta aveva sicuramente studiato la storia dei
rapporti fra Dio e il Suo popolo. Geova aveva avvertito gli israeliti che li avrebbe puniti con la siccità e la
carestia se si fossero messi ad adorare falsi dèi. (Deuteronomio 11:16, 17) Convinto che Geova mantiene
sempre la parola, Elia “pregò che non piovesse”. — Giacomo 5:17.
Fede mostrata seguendo le istruzioni
Sul momento, però, la vita di Elia venne a trovarsi in pericolo a causa della sua proclamazione. Era
tempo che entrasse in gioco un altro aspetto della sua fede. Per rimanere in vita, egli doveva seguire
fedelmente le istruzioni di Geova, che gli disse: “Va via di qui, e devi volgerti ad est e nasconderti nella
valle del torrente Cherit che è ad est del Giordano. E deve avvenire che devi bere dalla valle del torrente,
e certamente comanderò ai corvi di provvederti là il sostentamento”. — 1 Re 17:3, 4.
Elia ubbidì immediatamente. Se voleva sopravvivere alla siccità e alla carestia che avevano colpito il
paese, doveva fare affidamento su qualunque cosa Geova gli avrebbe provveduto. Questo non fu affatto
facile. Significò nascondersi, vivere per mesi in totale isolamento. Significò mangiare carne e pane
portatigli dai corvi, uccelli necrofagi considerati impuri dalla Legge mosaica, e aver fiducia in Geova che
quella non fosse carne di carogne ma carne dovutamente dissanguata secondo la Legge. Questo
prolungato miracolo sembra così improbabile ad alcuni commentatori biblici da far loro supporre che qui
la parola originale dovesse essere “arabi” e non “corvi”. Ma i corvi erano l’ideale. Nessuno avrebbe
sospettato che questi disprezzati uccelli impuri che portavano i loro frammenti di cibo nel deserto
andassero in effetti a sfamare Elia, ricercato da Acab e Izebel in tutti i regni circostanti! — 1 Re 18:3, 4,
10.
Mentre la siccità si protraeva, è probabile che Elia cominciasse a preoccuparsi per il suo
approvvigionamento d’acqua nella valle del torrente Cherit. La maggioranza dei torrenti in Israele si
prosciuga nei periodi di siccità, e così “alla fine di alcuni giorni” anche questo divenne asciutto. Riuscite a
immaginare ciò che provava Elia vedendo il rivolo d’acqua ridursi a un filo e il livello dell’acqua nelle
pozze abbassarsi di giorno in giorno? Sicuramente si sarà chiesto cosa sarebbe accaduto una volta
esaurita l’acqua. Nondimeno rimase lì fedelmente. Solo quando il ruscello si fu prosciugato del tutto
Geova gli diede la seconda serie di istruzioni. Disse al profeta di andare a Zarefat. Lì gli sarebbe stato
provveduto il sostentamento a casa di una vedova. — 1 Re 17:7-9.
Zarefat! Questa cittadina apparteneva a Sidone, la città da cui veniva Izebel e dove aveva regnato il suo
stesso padre! Sarebbe stato un luogo sicuro? Può darsi che Elia se lo sia chiesto. Eppure “si levò e
andò”. — 1 Re 17:10.
Geova provvede sostentamento e vita
La sua ubbidienza fu presto ricompensata. Elia incontrò la vedova come predetto, e trovò in lei proprio il
tipo di fede che tanto mancava ai suoi connazionali. Questa povera vedova aveva farina e olio sufficienti
per un unico ultimo pasto per lei e il figlioletto. Eppure, nonostante l’estrema indigenza, fu disposta a
preparare prima il pane per Elia, confidando nella sua promessa che Geova avrebbe fatto rimanere piene
la sua giara dell’olio e la sua giara della farina finché ce ne fosse stato bisogno. Non fa meraviglia che
Gesù Cristo abbia menzionato l’esempio di fede di questa vedova quando condannò gli israeliti privi di
fede dei suoi giorni! — 1 Re 17:13-16; Luca 4:25, 26.
Nonostante questo miracolo, però, sia la fede della vedova che quella di Elia stavano per essere messe a
dura prova. Il figlio della vedova improvvisamente morì. Sopraffatta dal dolore, la donna non poté fare a
meno di pensare che quella tragedia avesse qualche relazione con Elia, l’“uomo del vero Dio”. Si
domandò se per caso non fosse stata punita per qualche peccato commesso in passato. Ma Elia le prese
dalle braccia il figlio morto e lo portò in una camera al piano superiore. Sapeva che Geova poteva
provvedere più che il semplice sostentamento. Geova è la fonte stessa della vita! Perciò Elia pregò
ripetutamente e con fervore che il fanciullo riprendesse vita.
Elia non fu il primo ad avere questa fede nella risurrezione, ma secondo il racconto biblico fu il primo ad
essere impiegato per compierne una. Il fanciullo “riprese vita”! Dev’essere stato stupendo vedere la gioia
della madre allorché Elia le restituì il figlio dicendo semplicemente: “Vedi, tuo figlio vive”. Sicuramente in
lacrime, la donna gli disse: “Ora realmente so che tu sei un uomo di Dio e che la parola di Geova nella
tua bocca è verità”. — 1 Re 17:17-24.
“Il mio Dio è Geova”
Com’è toccante, e com’è appropriato, che il nome di Elia significhi “il mio Dio è Geova”! In un tempo di
siccità e carestia, Geova gli provvide cibo e bevanda; in un tempo di caos morale, Geova gli fornì una
valida guida; in un tempo di morte, Geova lo impiegò per restituire la vita. E sembra che, ogni volta che fu
chiamato a dar prova della sua fede in Dio — avendo fiducia che Egli avrebbe provveduto il necessario,
seguendo le Sue istruzioni, confidando che Egli avrebbe santificato il Suo nome — Elia sia stato
ricompensato con ulteriori ragioni per nutrire fede in Geova. Fu sempre così mentre Elia continuò ad
accettare dal suo Dio, Geova, incarichi difficili e anche tali da incutere timore; infatti alcuni dei suoi
miracoli più spettacolari dovevano ancora aver luogo. — Vedi 1 Re, capitolo 18.
La stessa cosa si può sostanzialmente dire degli odierni servitori di Geova. Forse non veniamo nutriti
miracolosamente né siamo impiegati per compiere risurrezioni; questo non è il tempo per simili miracoli.
Ma Geova non è affatto cambiato dai giorni di Elia. — 1 Corinti 13:8; Giacomo 1:17.
Anche noi possiamo ricevere incarichi che potrebbero spaventarci, come quello di portare il messaggio di
Dio in territori difficili e che incutono timore. Potremmo dover affrontare persecuzione o anche patire la
fame. Ma Geova ha ripetutamente dimostrato a singoli individui fedeli e alla sua organizzazione
nell’insieme che egli guida e protegge ancora i suoi servitori. Dà ancora loro la forza necessaria per
eseguire qualsiasi compito abbia affidato loro. E continua ad aiutarli a sopportare qualunque prova
incontrino in questo mondo turbolento. — Salmo 55:22.
[Nota in calce]
Sia Gesù che Giacomo dicono che non piovve nel paese per “tre anni e sei mesi”. Si legge comunque
che Elia comparve dinanzi ad Acab per porre fine alla siccità “nel terzo anno”, senza dubbio contando dal
giorno in cui aveva annunciato la siccità. Perciò la prima volta che egli si presentò ad Acab dovette
essere dopo una lunga stagione asciutta, priva di piogge. — Luca 4:25; Giacomo 5:17; 1 Re 18:1.
[Figura a pagina 18]
Come Elia, avete fede che Geova soddisferà i bisogni dei suoi servitori?

w97 15/9 10-15 Sarete fedeli come Elia?


Sarete fedeli come Elia?
“Vi mando Elia il profeta prima che venga il grande e tremendo giorno di Geova”. — MALACHIA 4:5.
“UN PAESE dove scorre latte e miele”. (Esodo 3:7, 8) Questo è il paese che Geova Dio diede agli israeliti
dopo averli liberati dalla schiavitù d’Egitto nel XVI secolo a.E.V. Ma guardate! Sono passati cinque secoli
e ora il regno delle dieci tribù di Israele è afflitto da una grave carestia. È difficile trovare anche solo
dell’erba. Le bestie stanno morendo e non piove da tre anni e mezzo. (1 Re 18:5; Luca 4:25) A cosa è
dovuta questa calamità?
2 A provocare questa situazione critica è stata l’apostasia. Violando la Legge di Dio, il re Acab ha sposato
la principessa cananea Izebel e le ha permesso di introdurre in Israele il culto di Baal. Quel che è peggio,
Acab ha edificato un tempio a questo falso dio a Samaria, la capitale. Gli israeliti sono stati addirittura
indotti a credere che l’adorazione di Baal assicurerà loro abbondanti raccolti! Come Geova ha avvertito,
però, ora rischiano di ‘perire dal loro buon paese’. — Deuteronomio 7:3, 4; 11:16, 17; 1 Re 16:30-33.
Una drammatica prova per stabilire chi è il vero Dio
3 Quando inizia la carestia, Elia, fedele profeta di Dio, dice al re Acab: “Come vive Geova l’Iddio d’Israele
dinanzi al quale in effetti io sto, durante questi anni non cadrà né rugiada né pioggia, eccetto che per
ordine della mia parola!” (1 Re 17:1) Dopo aver constatato la terribile verità di questa dichiarazione, il re
accusa Elia di aver dato l’ostracismo a Israele. Ma Elia replica che la colpa è di Acab e della sua casa,
poiché hanno commesso apostasia diventando adoratori di Baal. Per risolvere la questione, il profeta di
Geova dice ad Acab di radunare tutto Israele sul monte Carmelo insieme ai 450 profeti di Baal e ai 400
profeti del palo sacro. Acab e i suoi sudditi si radunano sul posto, sperando forse che questo contribuisca
a far cessare la siccità. Ma Elia richiama l’attenzione sulla questione più importante. “Fino a quando
zoppicherete su due differenti opinioni? Se il vero Dio è Geova, seguitelo; ma se è Baal, seguite lui”. Gli
israeliti non sanno cosa rispondere. — 1 Re 18:18-21.
4 Da anni gli israeliti cercano di mischiare l’adorazione di Geova col baalismo. Per risolvere la questione
su chi è il vero Dio, Elia propone ora una disfida. Egli preparerà un giovane toro per il sacrificio, e i profeti
di Baal ne prepareranno un altro. Poi Elia dice: “Voi dovete invocare il nome del vostro dio, e io, da parte
mia, invocherò il nome di Geova; e deve avvenire che il vero Dio che risponderà mediante il fuoco è il
vero Dio”. (1 Re 18:23, 24) Pensate: fuoco dal cielo in risposta a una preghiera!
5 Elia invita i profeti di Baal a cominciare. Preparano un toro per il sacrificio e lo dispongono sull’altare.
Poi si mettono a saltellare intorno all’altare, pregando: “O Baal, rispondici!” La cosa va avanti “dalla
mattina fino a mezzogiorno”. “Chiamate con quanto fiato avete”, li schernisce Elia. Baal dev’essere
occupato in una faccenda urgente “o forse dorme e si deve svegliare!” Dopo un po’ i profeti di Baal
cominciano ad agitarsi freneticamente. Guardate! Si fanno incisioni con le daghe e dalle ferite scorre il
sangue. E che frastuono quando tutti e 450 si mettono a urlare con quanto fiato hanno! Ma non c’è
risposta. — 1 Re 18:26-29.
6 Ora è la volta di Elia. Ricostruisce l’altare di Geova, vi scava un fosso tutt’intorno e prepara il sacrificio.
Poi fa versare acqua sulla legna e sul sacrificio. Dodici grosse giare d’acqua vengono versate sull’altare,
finché il fosso stesso non è pieno. Immaginate la tensione mentre Elia prega: “O Geova, Iddio di
Abraamo, Isacco e Israele, si conosca oggi che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servitore e che per
la tua parola ho fatto tutte queste cose. Rispondimi, o Geova, rispondimi, affinché questo popolo conosca
che tu, Geova, sei il vero Dio e che tu stesso hai rivolto indietro il loro cuore”. — 1 Re 18:30-37.
7 In risposta alla preghiera di Elia ‘il fuoco di Geova cade dal cielo e divora l’olocausto e la legna e le
pietre e la polvere, e prosciuga l’acqua nel fosso’. Il popolo cade sulla propria faccia e dice: “Geova è il
vero Dio! Geova è il vero Dio!” (1 Re 18:38, 39) A questo punto Elia agisce con decisione e ordina:
“Prendete i profeti di Baal! Non ne scampi nemmeno uno!” Dopo che sono stati scannati nella valle del
Chison, il cielo si riempie di nubi oscure. Finalmente un rovescio di pioggia pone fine alla siccità! — 1 Re
18:40-45; confronta Deuteronomio 13:1-5.
8 Che giorno grandioso! Geova ha trionfato in questa straordinaria prova dimostrando la sua Divinità. Per
di più grazie a tali avvenimenti il cuore di molti israeliti torna a Dio. In questo e in altri modi Elia si
dimostra un profeta fedele. Ed egli stesso è una figura profetica.
“Elia il profeta” deve ancora venire?
9 In epoca successiva Dio predisse tramite Malachia: “Ecco, vi mando Elia il profeta prima che venga il
grande e tremendo giorno di Geova. Ed egli deve far volgere il cuore dei padri verso i figli, e il cuore dei
figli verso i padri; affinché io non venga e realmente colpisca la terra, votandola alla distruzione”.
(Malachia 4:5, 6) Elia visse circa 500 anni prima che queste parole venissero pronunciate. Dato che
questa era una profezia, gli ebrei del I secolo E.V. attendevano che Elia venisse ad adempierla. —
Matteo 17:10.
10 Chi era dunque questo Elia che doveva venire? La sua identità fu rivelata da Gesù Cristo quando
disse: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora il regno dei cieli è la meta verso cui si spingono gli
uomini, e quelli che si spingono avanti lo afferrano. Poiché tutti, i Profeti e la Legge, hanno profetizzato
fino a Giovanni; e se lo volete accettare: Egli stesso è l’‘Elia che è destinato a venire’”. Sì, colui che era
stato prefigurato da Elia era Giovanni il Battezzatore. (Matteo 11:12-14; Marco 9:11-13) Parlando a
Zaccaria, padre di Giovanni, un angelo aveva detto che Giovanni avrebbe avuto “lo spirito e la potenza di
Elia” e avrebbe ‘preparato a Geova un popolo ben disposto’. (Luca 1:17) Il battesimo amministrato da
Giovanni era un simbolo pubblico del pentimento dell’individuo per i peccati commessi contro la Legge, la
quale doveva condurre gli ebrei a Cristo. (Luca 3:3-6; Galati 3:24) Perciò l’opera di Giovanni ‘preparò a
Geova un popolo ben disposto’.
11 L’opera di Giovanni il Battezzatore in qualità di “Elia” dimostrò che era vicino un “giorno di Geova”.
Anche l’apostolo Pietro indicò la vicinanza di quel giorno, in cui Dio avrebbe agito contro i suoi nemici e
salvato il suo popolo. Mise in risalto che gli eventi miracolosi che si erano verificati alla Pentecoste del 33
E.V. erano un adempimento della profezia di Gioele circa il versamento dello spirito di Dio. Pietro indicò
che questo doveva avvenire prima del “grande e illustre giorno di Geova”. (Atti 2:16-21; Gioele 2:28-32)
Fu nel 70 E.V. che Geova adempì la sua Parola facendo eseguire dagli eserciti romani il suo giudizio
sulla nazione che aveva rigettato suo Figlio. — Daniele 9:24-27; Giovanni 19:15.
12 Comunque, doveva verificarsi qualcos’altro dopo il 70 E.V. L’apostolo Paolo mise in relazione un futuro
“giorno di Geova” con la presenza di Gesù Cristo. Inoltre l’apostolo Pietro parlò di quel giorno in relazione
ai “nuovi cieli e nuova terra” ancora futuri. (2 Tessalonicesi 2:1, 2; 2 Pietro 3:10-13) Tenete presente che
Giovanni il Battezzatore compì un’opera simile a quella di Elia prima che nel 70 E.V. arrivasse il “giorno di
Geova”. Nell’insieme tutto questo indicava che doveva aver luogo qualcos’altro che era stato
rappresentato dall’opera compiuta da Elia. Di che si trattava?
Hanno lo spirito di Elia
13 Non solo l’opera di Elia ebbe un parallelo nelle attività di Giovanni il Battezzatore, ma lo ha anche in
quelle dei cristiani unti in questi tempi difficili prima del veniente “giorno di Geova”. (2 Timoteo 3:1-5) Essi
sostengono lealmente la vera adorazione con lo spirito e la potenza di Elia. E ce ne è stato davvero
bisogno! Dopo la morte degli apostoli di Cristo ci fu un’apostasia dal vero cristianesimo, come ai giorni di
Elia in Israele si era diffusa l’adorazione di Baal. (2 Pietro 2:1) Sedicenti cristiani cominciarono a
mischiare il cristianesimo con dottrine e pratiche religiose false. Per esempio adottarono l’insegnamento
antiscritturale pagano dell’immortalità dell’anima. (Ecclesiaste 9:5, 10; Ezechiele 18:4) La cristianità
apostata ha smesso di usare il nome del solo vero Dio, Geova. Al suo posto adora una Trinità. Ha pure
adottato la consuetudine di inchinarsi davanti a immagini di Gesù e di sua madre Maria, una pratica
legata al baalismo. (Romani 1:23; 1 Giovanni 5:21) E non è tutto.
14 A partire dal XIX secolo esponenti delle chiese della cristianità cominciarono a manifestare dubbi su
molte parti della Bibbia. Per esempio rigettarono il racconto della creazione contenuto in Genesi e si
inchinarono alla teoria dell’evoluzione, definendola “scientifica”. Essa è in aperto contrasto con gli
insegnamenti di Gesù Cristo e degli apostoli. (Matteo 19:4, 5; 1 Corinti 15:47) Come Gesù e i suoi primi
seguaci, gli odierni cristiani unti con lo spirito sostengono invece il racconto biblico della creazione. —
Genesi 1:27.
15 Mentre il mondo entrava nel “tempo della fine”, la cristianità fu stretta nella morsa di una carestia
spirituale. (Daniele 12:4; Amos 8:11, 12) Ma il piccolo gruppo di cristiani unti poté contare su regolari
provviste di cibo spirituale “a suo tempo” provveduto da Dio, così come Geova fece in modo che Elia
venisse sfamato durante la carestia dei suoi giorni. (Matteo 24:45; 1 Re 17:6, 13-16) Un tempo conosciuti
come Studenti Biblici Internazionali, quei fedeli servitori di Dio ricevettero poi il nome scritturale di
Testimoni di Geova. — Isaia 43:10.
16 Elia tenne fede al significato del suo nome, cioè “Il mio Dio è Geova”. La Torre di Guardia, organo
ufficiale dei servitori di Geova sulla terra, ha sempre usato il nome di Dio. Infatti nel suo secondo numero
(agosto 1879) questa rivista esprimeva la fiducia di avere Geova come sostenitore. Questa e altre
pubblicazioni della Società (Watch Tower) smascherano gli insegnamenti antiscritturali della cristianità e
del resto di Babilonia la Grande, l’impero mondiale della falsa religione, e sostengono la veridicità della
Parola di Dio, la Bibbia. — 2 Timoteo 3:16, 17; Rivelazione (Apocalisse) 18:1-5.
Fedeli nella prova
17 Vedendosi smascherato, il clero reagì come aveva reagito Izebel quando aveva appreso che Elia
aveva ucciso i profeti di Baal. Izebel mandò un messaggio al fedele profeta di Geova, giurandogli che lo
avrebbe messo a morte. Non era una semplice minaccia, perché Izebel aveva già fatto assassinare molti
profeti di Dio. Per timore Elia fuggì a Beer-Seba, verso sud-ovest. Lasciò lì il suo servitore e andò ancora
più lontano, nel deserto, pregando di morire. Ma Geova non aveva abbandonato il suo profeta. Un angelo
apparve a Elia per prepararlo per il lungo viaggio fino al monte Horeb. Elia ricevette così nutrimento che
lo sostenne per i 40 giorni del viaggio, durante il quale percorse più di 300 chilometri. Sull’Horeb Dio gli
parlò dopo una straordinaria manifestazione di potenza in un grande vento, in un terremoto e in un fuoco.
Geova non era in tali manifestazioni. Quelle erano manifestazioni del suo spirito santo, o forza attiva.
Quindi Geova parlò al suo profeta. Immaginate quanto dovette sentirsi rafforzato Elia da quell’esperienza!
(1 Re 19:1-12) Che dire se in qualche modo, come Elia, provassimo timore quando siamo minacciati dai
nemici della vera adorazione? La sua esperienza dovrebbe farci capire che Geova non abbandona il suo
popolo. — 1 Samuele 12:22.
18 Dio rese chiaro che Elia aveva ancora del lavoro da compiere come profeta. Inoltre, sebbene Elia
pensasse di essere l’unico adoratore del vero Dio in Israele, Geova gli mostrò che 7.000 persone non si
erano inchinate a Baal. Quindi lo rimandò a svolgere il compito che gli aveva assegnato. (1 Re 19:13-18)
Come Elia, potremmo essere inseguiti dai nemici della vera adorazione. Potremmo essere oggetto di
intensa persecuzione, come predisse Gesù. (Giovanni 15:17-20) A volte potremmo diventare apprensivi.
Ma possiamo essere come Elia, che fu rassicurato da Geova e poi perseverò fedelmente nel Suo
servizio.
19 A causa dell’intensa persecuzione che subirono durante la prima guerra mondiale, alcuni cristiani unti
cedettero al timore e smisero di predicare. Pensarono a torto che la loro opera sulla terra fosse finita. Ma
Dio non li rigettò. Al contrario, li sostenne misericordiosamente, così come aveva provveduto cibo a Elia.
Come Elia, gli unti fedeli accettarono la correzione divina e si ripresero dall’inattività. I loro occhi si
aprirono al grande privilegio di predicare il messaggio del Regno.
20 Nella profezia circa la sua presenza, Gesù indicò l’opera mondiale che sarebbe stata portata a termine
prima della fine di questo malvagio sistema di cose. (Matteo 24:14) Oggi quest’opera viene svolta dai
cristiani unti e dai milioni di loro compagni che hanno la speranza di vivere su una terra paradisiaca.
Partecipare all’opera di predicazione del Regno finché non sia finita è un privilegio concesso soltanto a
coloro che sono fedeli come Elia.
Siate fedeli come Elia
21 Con uno zelo simile a quello di Elia il piccolo rimanente dei veri cristiani unti ha assolto la propria
responsabilità di aver cura degli interessi terreni del Re intronizzato, Gesù Cristo. (Matteo 24:47) Ormai
da oltre 60 anni Dio si serve di questi unti per promuovere l’opera di fare discepoli di persone alle quali ha
concesso la meravigliosa speranza della vita eterna su una terra paradisiaca. (Matteo 28:19, 20) Questi
milioni di persone possono essere davvero grate che i relativamente pochi unti ancora in vita assolvano
fedelmente e con zelo le loro responsabilità!
22 Uomini imperfetti hanno potuto compiere quest’opera di predicazione del Regno soltanto grazie alla
forza che Geova dà a quelli che confidano in lui in preghiera. “Elia fu un uomo con sentimenti simili ai
nostri”, disse il discepolo Giacomo citando come esempio la preghiera del profeta per illustrare la forza
della preghiera del giusto. (Giacomo 5:16-18) Elia non passava tutto il tempo a fare profezie o a compiere
miracoli. Aveva gli stessi sentimenti e le stesse debolezze che abbiamo noi come esseri umani, eppure
servì Dio fedelmente. Dato che anche noi abbiamo l’aiuto di Dio e riceviamo forza da lui, possiamo
essere fedeli come Elia.
23 Abbiamo buoni motivi per essere fedeli e ottimisti. Ricordate che Giovanni il Battezzatore compì
un’opera simile a quella di Elia prima del “giorno di Geova” che si abbatté nel 70 E.V. Con lo spirito e la
potenza di Elia, i cristiani unti hanno compiuto in tutta la terra una simile opera comandata da Dio. Questo
dimostra chiaramente che il grande “giorno di Geova” è vicino.

w97 15/9 15 Sarete fedeli come Elia?


[Riquadro a pagina 15]
A QUALI CIELI ASCESE ELIA?
“AVVENNE che mentre [Elia ed Eliseo] camminavano, parlando mentre camminavano, ebbene, ecco, un
carro da guerra di fuoco e cavalli di fuoco, e operavano fra loro due una separazione; ed Elia ascendeva
ai cieli nel turbine”. — 2 Re 2:11.
Che significato ha la parola “cieli” in questo contesto? A volte il termine si riferisce allo spirituale luogo di
dimora di Dio e dei suoi figli angelici. (Matteo 6:9; 18:10) “Cieli” può anche indicare l’universo fisico.
(Deuteronomio 4:19) E nella Bibbia questo termine è usato anche per indicare lo strato inferiore
dell’atmosfera terrestre, dove volano gli uccelli e soffiano i venti. — Salmo 78:26; Matteo 6:26.
A quale di questi cieli ascese il profeta Elia? Evidentemente fu trasferito attraverso l’atmosfera terrestre
e collocato in una diversa parte del globo. Anni dopo Elia era ancora sulla terra, perché scrisse una
lettera a Ieoram re di Giuda. (2 Cronache 21:1, 12-15) Che Elia non fosse asceso fino alla dimora
spirituale di Geova Dio fu successivamente confermato da Gesù Cristo, il quale dichiarò: “Nessun uomo è
asceso al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo”, cioè Gesù stesso. (Giovanni 3:13)
La via che porta alla vita celeste fu aperta per la prima volta a uomini imperfetti dopo la morte,
risurrezione e ascensione di Gesù Cristo. — Giovanni 14:2, 3; Ebrei 9:24; 10:19, 20.

cj 210-2 Capitolo 5
eppure in preghiera pregò che non piovesse
Le Scritture Ebraiche stesse non fanno particolare menzione delle preghiere di Elia perché non piovesse,
benché egli avesse annunciato la siccità in anticipo. (1 Re 17:1) Ma Elia era un uomo di preghiera, che
aveva invocato Dio riguardo alla prova del fuoco nella contesa con i profeti di Baal, ed era stato esaudito
mediante un miracolo di Dio. (1 Re 18:36-38) Geova aveva promesso la pioggia, in I Re 18:1; questo
incoraggiò Elia a pregare perché questa ponesse fine alla siccità. E che Elia pregasse è sottinteso in I Re
18:42: “In quanto ad Elia, salì in cima al Carmelo e si chinava a terra e teneva la faccia fra le ginocchia”.
Certo tutti i profeti agirono nel nome di Dio e grazie alla fede, alla relazione e alla comunicazione che
avevano con Dio. L’esempio delle preghiere di Elia nel trattenere e mandare la pioggia è vigoroso, e
Giacomo era ispirato e non sbagliava nell’attribuire il miracolo al potere della preghiera.
e non piovve sul paese per tre anni e sei mesi
Giacomo dice che non piovve per tre anni e mezzo. Il racconto di I Re 18:1 menziona la venuta della
pioggia nel “terzo anno”, forse riferendosi al terzo anno di effettiva siccità. La stagione asciutta in Israele
dura sei mesi, da aprile a settembre. Sembrerebbe dunque che, dopo di ciò, seguirono tre anni
consecutivi di siccità, per un totale di tre anni e mezzo senza pioggia. La pioggia stessa era cessata tre
anni e mezzo prima, quindi in effetti trascorsero tre anni e mezzo fra una pioggia e l’altra. Tuttavia,
benché si potesse calcolare la siccità da quando aveva smesso di piovere, forse non fu evidente e non
provocò disagio finché non si prosciugarono i corsi d’acqua e cominciò a mancare davvero l’acqua, forse
sei mesi più tardi. Pur avendo smesso di piovere, la popolazione poteva vivere del raccolto dell’anno
precedente per un periodo di tempo abbastanza lungo prima di risentire della siccità; e questa può essere
la ragione dell’espressione “nel terzo anno”, in I Re 18:1, anziché ‘nel quarto anno’. Ma abbiamo la fonte
più autorevole di tutte in Gesù Cristo, che disse: “Il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi, tanto che una
grande carestia si abbatté su tutto il paese”. (Luca 4:25)
18 E pregò di nuovo, e il cielo diede la pioggia e il paese produsse il suo frutto.
18 E pregò di nuovo, e il cielo diede la pioggia e il paese produsse il suo frutto
Con questo notevole esempio Giacomo riesce a illustrare bene il grande potere della preghiera di
qualsiasi giusto, se fatta secondo la volontà di Dio.

W68 P.211-212
W98 1-1 P.30-31
Elifaz (il temanita) — Tema: Geova odia la lingua falsa PROVERBI 6:16, 17

it-1 810 Elifaz


ELIFAZ
(Èlifaz).
2. Uno dei tre compagni di Giobbe. (Gb 2:11) Temanita, probabilmente discendente del n. 1, e quindi di
Abraamo, e lontano parente di Giobbe. Sia lui che i suoi discendenti vantavano la propria sapienza. (Ger
49:7) Fra i tre “confortatori”, Elifaz si rivela il più importante e influente, quindi forse anche il più anziano.
Parla per primo nelle tre serie di discorsi, e i suoi interventi sono i più lunghi.
Nel primo discorso il ragionamento di Elifaz è il seguente: “Chi è l’innocente che sia mai perito? E dove
furono mai spazzati via i retti?” Perciò arriva alla conclusione che Giobbe deve aver fatto qualcosa di
male per meritare la punizione di Dio. (Gb capp. 4, 5) Nella seconda diatriba* Elifaz mette in ridicolo la
saggezza di Giobbe: “Risponderà la stessa persona saggia con conoscenza piena di vento, o riempirà il
suo ventre di vento orientale? . . . Che cosa sai effettivamente tu che noi non sappiamo?” Elifaz insinua
che Giobbe “cerca di mostrarsi superiore all’Onnipotente”. Per denigrare le virtù di Giobbe, l’edomita
conclude il secondo discorso descrivendo il giusto Giobbe come un apostata, che vive in tende di
corruzione, uomo pieno d’inganno. (Gb 15) Infine Elifaz tormenta Giobbe per la terza volta, accusandolo
falsamente di ogni sorta di crimini: di estorsione, di negare pane e acqua ai bisognosi, e di opprimere
vedove e orfani. — Gb 22.
Dopo la seconda tirata di Elifaz, Giobbe risponde con ragione: “Siete tutti confortatori molesti! C’è una
fine per le parole piene di vento?” (Gb 16:2, 3) Alla fine Geova stesso si rivolge a Elifaz: “La mia ira si è
accesa contro di te e i tuoi due compagni, poiché non avete pronunciato riguardo a me ciò che è veritiero
come ha fatto il mio servitore Giobbe”. A Elifaz viene detto che devono offrire un olocausto e che Giobbe
pregherà per loro. — Gb 42:7-9.

diatriba* = DISCORSO VIOLENTO, PIENO DI ACCUSE, RIMPROVERI E CRITICHE

w94 15/11 13-14 Giobbe perseverò: Possiamo farlo anche noi!


Gli accusatori attaccano Giobbe
19 Elifaz fu il primo a parlare in ciascuno dei tre cicli in cui si articolò il dibattito che mise ulteriormente alla
prova l’integrità di Giobbe. Nel suo primo discorso Elifaz chiese: “Dove furono mai spazzati via i retti?” Ne
deduceva che Giobbe doveva aver fatto qualcosa di male per ricevere la punizione di Dio. (Giobbe,
capitoli 4, 5) Nel suo secondo discorso Elifaz schernì la sapienza di Giobbe e gli chiese: “Che cosa sai
effettivamente tu che noi non sappiamo?” Elifaz insinuava che Giobbe cercasse di mostrarsi superiore
all’Onnipotente. Concludendo il suo secondo attacco, descrisse Giobbe come un uomo colpevole di
apostasia, corruzione e inganno. (Giobbe, capitolo 15) Nel suo ultimo discorso Elifaz accusò falsamente
Giobbe di numerosi crimini: praticare l’estorsione, privare di pane e acqua i bisognosi, opprimere vedove
e orfani. — Giobbe, capitolo 22.
20 Parlando per secondo in ciascuno dei tre cicli del dibattito, Bildad seguì basilarmente il filo conduttore
stabilito da Elifaz. I discorsi di Bildad furono più brevi, ma più caustici. Arrivò al punto di accusare i figli di
Giobbe di aver commesso qualcosa per meritarsi la morte. Con un ragionamento capzioso, fece questa
illustrazione: Come il papiro e le canne senz’acqua si seccano, così accade a “tutti quelli che dimenticano
Dio”. La dichiarazione di per sé è vera, ma non si applicava a Giobbe. (Giobbe, capitolo 8) Bildad
classificò le afflizioni di Giobbe fra quelle che si abbattono sui malvagi. (Giobbe, capitolo 18) Nel suo
breve terzo discorso Bildad sostenne che l’uomo è “un baco” e “un verme”, pertanto impuro davanti a Dio.
— Giobbe, capitolo 25.
21 Zofar fu il terzo a parlare nel dibattito. In linea di massima la sua argomentazione ricalcò quella di
Elifaz e Bildad. Zofar accusò Giobbe di malvagità e lo esortò ad abbandonare le sue pratiche
peccaminose. (Giobbe, capitoli 11, 20) Dopo il secondo ciclo di discorsi Zofar smise di parlare. Al terzo
non aveva più nulla da dire. Comunque, durante l’intero dibattito Giobbe rispose intrepidamente ai suoi
accusatori. Per esempio, a un certo punto disse: “Siete tutti confortatori molesti! C’è una fine per le parole
piene di vento?” — Giobbe 16:2, 3.
Elisabetta — Tema: Temete Dio e siate irriprovevoli PROVERBI 11:20b

it-1 812 Elisabetta


ELISABETTA
[gr. Eleisàbet, dall’ebr. ´Elishèva`, che significa “il mio Dio è abbondanza; Dio di abbondanza”].
Donna timorata di Dio, moglie del sacerdote Zaccaria e madre di Giovanni il Battezzatore. Anche
Elisabetta era della famiglia sacerdotale del levita Aaronne. Sia lei che il marito erano avanti negli anni
quando l’angelo Gabriele apparve a Zaccaria nel Santo del tempio e annunciò che, in risposta alle sue
suppliche, Elisabetta avrebbe avuto un figlio che si sarebbe chiamato Giovanni. Rimasta incinta,
Elisabetta si tenne appartata per cinque mesi. Nel sesto mese della sua gravidanza venne a trovarla
Maria sua parente. In quell’occasione il nascituro Giovanni saltò nel seno di sua madre, ed Elisabetta,
piena di spirito santo, benedisse Maria e il frutto del suo seno, chiamandola “la madre del mio Signore”.
— Lu 1:5-7, 11-13, 24, 39-43.

w94 15/7 26-7 Ricompensati per aver camminato irreprensibilmente


Ricompensati per aver camminato irreprensibilmente
GEOVA benedice e ricompensa i suoi fedeli servitori. Può darsi che essi debbano aspettare qualche
tempo prima di vedere l’adempimento dei propositi di Dio, ma che gioia provano quando vengono da lui
benedetti!
Circa duemila anni fa questo fu ben illustrato dal caso del sacerdote ebreo Zaccaria e di sua moglie
Elisabetta, entrambi della famiglia di Aaronne. Dio aveva promesso di benedire gli israeliti dando loro una
progenie se lo avessero servito fedelmente. Aveva detto che i figli erano una ricompensa. (Levitico 26:9;
Salmo 127:3) Ma Zaccaria ed Elisabetta non avevano figli ed erano avanti con gli anni. — Luca 1:1-7.
Le Scritture dicono che sia Zaccaria che Elisabetta “erano giusti dinanzi a Dio perché camminavano
irreprensibilmente secondo tutti i comandamenti e le esigenze legali di Geova”. (Luca 1:6) Amavano tanto
Dio che per loro non era un peso seguire una condotta giusta e osservare i suoi comandamenti. — 1
Giovanni 5:3.
Benedizioni inaspettate
Torniamo alla tarda primavera o all’inizio dell’estate dell’anno 3 a.E.V. In Giudea regna Erode il Grande.
Un giorno il sacerdote Zaccaria entra nel Santo del tempio di Gerusalemme. Mentre il popolo è radunato
in preghiera fuori del santuario egli brucia incenso sull’altare d’oro. Questo servizio, probabilmente
considerato il più onorevole dei servizi quotidiani, si svolge dopo che è stato offerto il sacrificio. A un
sacerdote questo privilegio può anche toccare una sola volta nella vita.
Zaccaria non crede ai suoi occhi. Alla destra dell’altare dell’incenso c’è un angelo di Geova! L’anziano
sacerdote è turbato e timoroso. Ma l’angelo gli dice: “Non aver timore, Zaccaria, perché la tua
supplicazione è stata udita favorevolmente, e tua moglie Elisabetta ti partorirà un figlio, e tu gli dovrai
mettere nome Giovanni”. Sì, Geova ha esaudito le fervide preghiere di Elisabetta e Zaccaria. — Luca 1:8-
13.
L’angelo aggiunge: “Tu proverai gioia e grande allegrezza e molti si rallegreranno della sua nascita;
poiché sarà grande dinanzi a Geova. Ma non dovrà bere né vino né bevanda forte e sarà pieno di spirito
santo fin dal seno di sua madre”. Giovanni sarà per tutta la vita un nazireo pieno dello spirito santo di
Geova. L’angelo prosegue dicendo: “Farà tornare molti dei figli d’Israele a Geova loro Dio. E andrà
davanti a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per far tornare i cuori dei padri ai figli e i disubbidienti alla
saggezza dei giusti, per preparare a Geova un popolo ben disposto”. — Luca 1:14-17.
Zaccaria chiede: “Come sarò sicuro di questo? Poiché io sono d’età avanzata e mia moglie è avanti negli
anni”. L’angelo risponde: “Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio, e sono stato mandato a parlarti e a
dichiararti la buona notizia di queste cose. Ma, ecco, tacerai e non potrai parlare fino al giorno in cui
queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si adempiranno nel loro tempo
fissato”. Quando esce dal santuario, Zaccaria non è in grado di parlare e il popolo comprende che ha
avuto una visione soprannaturale. L’unica cosa che Zaccaria può fare sono dei segni, facendosi capire a
gesti. Terminato il suo servizio pubblico, se ne torna a casa. — Luca 1:18-23.
Motivo di gioia
Proprio come promesso, Elisabetta ha presto motivo di rallegrarsi. Rimane incinta, e le viene tolto il
biasimo della sterilità. Anche Maria, sua parente, diventa gioiosa, perché lo stesso angelo Gabriele le
dice: “Ecco, concepirai nel tuo seno e partorirai un figlio, e dovrai mettergli nome Gesù. Questi sarà
grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; e Geova Dio gli darà il trono di Davide suo padre”. Maria è
disposta ad assolvere il ruolo di “schiava di Geova”. — Luca 1:24-38.
Maria si affretta a raggiungere la casa di Zaccaria ed Elisabetta, che abitano in una città sui colli della
Giudea. Al suono del saluto di Maria, il bambino salta nel seno di Elisabetta. Sotto l’influsso dello spirito
santo, Elisabetta grida: “Benedetta sei tu fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno! Come mai ho
dunque questo privilegio, che la madre del mio Signore venga da me? Poiché, ecco, appena il suono del
tuo saluto mi è giunto agli orecchi, il bambino è saltato con grande allegrezza nel mio seno. E felice colei
che ha creduto, perché ci sarà un completo adempimento delle cose che le sono state dette da parte di
Geova”. Maria risponde piena di gioia. Rimane poi con Elisabetta circa tre mesi. — Luca 1:39-56.
Nasce Giovanni
A tempo debito gli attempati Elisabetta e Zaccaria hanno un figlio. L’ottavo giorno il piccolo viene
circonciso. I parenti vogliono chiamarlo Zaccaria, ma Elisabetta dice: “No, davvero, ma si chiamerà
Giovanni”. Il marito, che ancora non può parlare, è d’accordo? Egli scrive su una tavoletta: “Il suo nome è
Giovanni”. All’istante la sua bocca si apre, e Zaccaria comincia a parlare, benedicendo Geova. — Luca
1:57-66.
Pieno di spirito santo e di gioia, il sacerdote profetizza. Parla come se il promesso Liberatore — ‘il corno
di salvezza nella casa di Davide’ — fosse già stato destato in armonia con il patto abraamico circa un
Seme tramite il quale si sarebbero benedette tutte le nazioni. (Genesi 22:15-18) Quale precursore del
Messia, il figlio nato miracolosamente a Zaccaria ‘andrà dinanzi a Geova per dare al popolo conoscenza
della salvezza’. Passano gli anni e Giovanni continua a crescere e a fortificarsi nello spirito. — Luca 1:67-
80.
Riccamente ricompensati
Zaccaria ed Elisabetta furono ottimi esempi di fede e di pazienza. Continuarono a servire Geova Dio
fedelmente anche se dovettero aspettare Lui, e le maggiori benedizioni arrivarono solo quando erano
molto avanti con gli anni.
Ma che benedizioni ricevettero Elisabetta e Zaccaria! Sotto l’influsso dello spirito di Dio, entrambi
profetizzarono. Ebbero il privilegio di divenire genitori ed educatori di Giovanni il Battezzatore, precursore
del Messia. Inoltre furono considerati giusti da Dio. Similmente coloro che oggi seguono una condotta
devota possono avere presso Dio una giusta reputazione e ricevere molte benedette ricompense per
aver camminato irreprensibilmente nei comandamenti di Geova.
Eliseo — Tema: Abbiate profondo rispetto per i servitori di Geova ISAIA 1:4

it-1 812-6 Eliseo


ELISEO
[Dio è salvezza].
Figlio di Safat; profeta di Geova nel X e IX secolo a.E.V. e successore del profeta Elia. Geova aveva
ordinato a Elia di ungere Eliseo di Abel-Meola. Trovato Eliseo che arava, Elia gettò su di lui la propria
veste ufficiale, in segno della sua nomina. (1Re 19:16) Eliseo stava arando dietro a 12 paia di tori, “e lui
col dodicesimo”. Nel XIX secolo William Thomson (The Land and the Book, 1887, p. 144) riferì che era
consuetudine fra gli arabi lavorare insieme coi loro piccoli aratri, e un solo seminatore poteva facilmente
seminare tutto il terreno che aravano in un giorno. Eliseo, essendo in coda, poteva fermarsi senza
intralciare il lavoro degli altri. Il fatto che sacrificò una coppia di tori e usò gli attrezzi come combustibile
dimostra la prontezza e la risolutezza di Eliseo, e il suo apprezzamento per la chiamata di Geova.
Preparato un pasto, Eliseo seguì immediatamente Elia. — 1Re 19:19-21.
Per circa sei anni Eliseo fu il servitore di Elia. Questi era il profeta principale, ed Eliseo lavorava a stretto
contatto con lui, essendo noto come colui che “versava acqua sulle mani di Elia” quando Elia si lavava le
mani. — 2Re 2:3-5; 3:11.
Eliseo, da quando si unì a Elia, svolse un’attività profetica in Israele sotto i regni di Acab, Acazia, Ieoram,
Ieu, fino a quello di Ioas compreso. In questo periodo i re di Giuda furono Giosafat, Ieoram, Acazia,
Atalia, Ioas e probabilmente Amazia. Dopo la separazione da Elia, Eliseo proseguì da solo il ministero
per altri 60 anni circa. — CARTINA, vol. 1, it-1 p. 949.
In 2 Re la descrizione dell’attività profetica di Eliseo non sembra seguire uno stretto ordine cronologico.
Per esempio, nel capitolo 5 Gheazi è colpito dalla lebbra, cosa che l’avrebbe escluso dal consorzio
umano. Eppure nel capitolo 8 egli parla in modo amichevole con Ieoram re d’Israele. Inoltre nel capitolo
13 si parla della morte di Ioas re d’Israele, ma poi segue la descrizione del suo ultimo incontro con Eliseo.
(2Re 13:12-21) A volte le opere e i miracoli di Eliseo sembrano raggruppati secondo la loro natura, per
esempio: (1) quelli per il bene dei profeti e di privati cittadini (2Re 4:1–6:7), e (2) quelli che avevano a che
fare con la nazione e il re. — 2Re 6:8–7:20.
Successore di Elia. L’attività di Eliseo quale successore di Elia inizia verso il 917 a.E.V. o poco dopo,
quando Elia sale ai cieli in un turbine. (2Re 1:17; 2:1, 11, 12) Prima che Elia se ne vada, Eliseo gli chiede
“due parti del [suo] spirito”, cioè una parte doppia, quella spettante a un figlio primogenito. Questa
posizione gli spetta a motivo della sua nomina ufficiale a successore di Elia avvenuta quando Elia aveva
gettato su di lui la sua veste ufficiale. (2Re 2:9) Elia, consapevole che non sta a lui concederlo, dice a
Eliseo che, se lo vedrà mentre viene allontanato da lui, il suo desiderio sarà appagato. Geova ne dà
conferma permettendo a Eliseo di vedere Elia salire ai cieli in un turbine. A Elia, mentre si allontana, cade
il ruvido mantello, la sua veste ufficiale. Eliseo lo raccoglie, identificandosi così come successore di Elia.
Alla riva del Giordano, Geova dimostra di essere con Eliseo dividendo miracolosamente le acque del
fiume quando Eliseo le colpisce con la veste. — 2Re 2:9-15.
Eliseo passa il Giordano e raggiunge i figli dei profeti a Gerico. A conferma del fatto che è il capo del
gruppo dei profeti di Dio, Eliseo risana la riserva idrica della città di Gerico, che era cattiva e provocava
aborti. Recatosi alla sorgente, il profeta getta nell’acqua del sale da una scodellina nuova, e “l’acqua
resta sanata fino a questo giorno”. — 2Re 2:19-22.
Da Gerico Eliseo sale a Betel, circa 900 m sul livello del mare, dove era già stato in compagnia di Elia a
trovare un gruppo di figli dei profeti. (2Re 2:3) Lungo la strada una banda di piccoli delinquenti mostra
grave mancanza di rispetto per lui e per il suo incarico di profeta. “Sali, testa pelata! Sali, testa pelata!”, lo
canzonano. Può darsi che volessero incitarlo a salire fino a Betel o ad andarsene dalla terra come si
supponeva avesse fatto il suo predecessore. (2Re 2:11) Per insegnare a quei ragazzi e ai loro genitori a
rispettare il profeta di Geova, egli si volta e invoca su di loro il male nel nome di Geova. Improvvisamente
due orse escono dal bosco e ne sbranano 42. — 2Re 2:23, 24.
Ieoram re d’Israele, Giosafat re di Giuda e il re di Edom finiscono in un deserto senz’acqua durante una
spedizione per sedare una rivolta di Mesa re di Moab (colui che eresse la cosiddetta Stele moabita). Il re
Giosafat manda a chiamare un profeta di Dio. Non per aiutare Ieoram, ma per rispetto verso Giosafat,
che ha il favore di Geova, Eliseo manda a chiamare un suonatore di strumenti a corda, per poter essere,
sotto l’influsso della musica, ispirato da Geova. (Cfr. 1Sa 10:5, 6). Eliseo fa scavare dei fossi che
l’indomani mattina sono pieni d’acqua. Quando di primo mattino il sole rifulge sull’acqua dei fossi questa
sembra sangue ai moabiti. Pensando che Israele e i suoi alleati si siano uccisi combattendo fra loro, i
moabiti si precipitano a portar via il bottino. Ma con loro sorpresa Israele si leva e li sconfigge. (2Re 3:4-
27) Questo episodio avviene fra il 917 e il 913 a.E.V.
A questo punto Eliseo compie una serie di miracoli a beneficio di singoli individui. La vedova di uno dei
figli dei profeti versa in condizioni disperate. Eliseo moltiplica miracolosamente la sua esigua riserva d’olio
e salva i suoi figli dall’esser venduti schiavi a un creditore. (2Re 4:1-7) Questo miracolo è simile al
secondo miracolo di Elia: la moltiplicazione della farina e dell’olio della vedova di Zarefat. — 1Re 17:8-16.
A Sunem nella valle di Izreel una donna preminente mostra a Eliseo straordinaria ospitalità perché
riconosce in lui “un santo uomo di Dio”; gli prepara perfino una stanza dal momento che egli passa
spesso da casa sua. A motivo di tale benignità Eliseo le promette che avrà un figlio, anche se suo marito
è ormai vecchio. Secondo la sua promessa, circa un anno dopo nasce il figlio, che però muore ancora
piccolo. Eliseo compie allora la sua prima risurrezione, riportando in vita il bambino, così come Elia aveva
risuscitato il figlio della vedova di Zarefat. (2Re 4:8-37; 1Re 17:17-24) La donna è grandemente
ricompensata per la benignità che ha mostrato a un profeta di Dio. — Cfr. Mt 10:41.
Eliseo torna a Ghilgal, fra i monti a N di Betel, dai figli dei profeti. C’è carestia. Mentre si prepara un
minestrone qualcuno inavvertitamente mette nella pentola dei frutti velenosi di una cucurbitacea. Non
appena assaggiano la minestra, gridano: “C’è la morte nella pentola, o uomo del vero Dio”! Poiché non è
il caso di sprecare del cibo durante la carestia, Eliseo si fa portare della farina, la mette nella pentola e
rende commestibile il minestrone, così che “nella pentola non [risulta] esserci nulla di dannoso”. — 2Re
4:38-41.
Nei momenti critici della carestia un fedele rimanente di adoratori israeliti che non si sono inchinati a Baal
mostra di apprezzare gli sforzi dei profeti di Geova portando loro del cibo. Un uomo porta 20 pani d’orzo e
un po’ di grano, ed Eliseo dà ordine che il piccolo quantitativo sia distribuito a tutti. Ma ci sono da sfamare
100 uomini dei “figli dei profeti”. Nonostante la perplessità di colui che distribuisce il cibo, tutti mangiano a
sazietà, e ne avanza ancora. — 2Re 4:42-44; cfr. Mr 6:35-44.
Guarigione di Naaman. Ben-Adad II re di Siria ha uno stimato comandante militare, Naaman, affetto da
lebbra, e lo manda dal re d’Israele perché sia guarito da questa malattia. Quest’uomo di valore, benché
lebbroso, aveva salvato la Siria. Evidentemente il fatto di avere la lebbra non impedisce a Naaman di
ricoprire una così alta carica in Siria, mentre in Israele questo avrebbe comportato la rimozione
dall’incarico. (Le 13:46) Ben-Adad manda Naaman in seguito alla testimonianza di una ragazzina israelita
prigioniera che presta servizio nella casa di Naaman. Questa ragazzina confida in Geova e parla alla sua
padrona di Eliseo, profeta di Geova in Israele. Il re d’Israele è convinto che Ben-Adad voglia attaccar lite
con lui, poiché, dice, “sono io Dio, da mettere a morte e conservare in vita?” Eliseo, avuta notizia della
preoccupazione del re, gli manda a dire: “Lascialo venire da me, ti prego, affinché sappia che esiste un
profeta in Israele”. — 2Re 5:1-8.
Eliseo non esce incontro a Naaman, ma tramite il suo servitore dà istruzioni a Naaman di bagnarsi sette
volte nel Giordano. Dapprima Naaman si indigna per questo, ma infine si umilia e, seguìta la semplice
procedura, diviene puro. Naaman torna da Eliseo e fa voto che da quel momento in poi servirà
fedelmente Geova l’Iddio d’Israele. Porta con sé un po’ di terra d’Israele, “il carico di un paio di muli”, su
cui farà sacrifici a Geova, volgendo senz’altro lo sguardo in direzione del tempio di Gerusalemme. Come
funzionario del re di Siria continuerà a svolgere il suo lavoro, che include l’accompagnare il re nella casa
del falso dio Rimmon. Poiché il re dev’essere sorretto da lui, egli dovrà chinarsi insieme al re, ma dice
che non adorerà più Rimmon. Quello che compirà non sarà un atto di culto, ma solo il suo dovere di
servitore del re. Offre un dono a Eliseo, che però lo rifiuta, in armonia col principio che il miracolo è
dovuto al potere di Geova, non al suo, ed egli non intende approfittare dell’incarico affidatogli da Geova.
— 2Re 5:9-19; cfr. Mt 10:8.
Gheazi, il servitore di Eliseo, avido di guadagno egoistico, raggiunge Naaman e gli chiede parte dei doni
rifiutati da Eliseo. Mentendo, cerca di nascondere la cosa a Eliseo. Come giusta punizione, Eliseo gli
dice: “La lebbra di Naaman si attaccherà dunque a te e alla tua progenie a tempo indefinito”. — 2Re 5:20-
27.
Si rende necessario che i figli dei profeti con cui sta Eliseo si trasferiscano in locali più spaziosi. Vanno
quindi presso il Giordano a tagliare travi per la nuova dimora. Uno dei profeti ha una scure presa a
prestito, la cui lama si stacca e cade nel fiume. Eliseo, evidentemente preoccupato che possano essere
biasimati i profeti, getta un pezzo di legno nell’acqua dov’era caduta la lama della scure e questa torna a
galla. Geova dimostra così di essere con i suoi profeti. — 2Re 6:1-7.
Israele liberato dalla minaccia sira. Durante il regno di Ieoram re d’Israele, la Siria prepara un attacco
di sorpresa contro Israele. Più di una volta le manovre di Ben-Adad II sono sventate da Eliseo, che rivela
al re Ieoram ogni mossa dei siri. Dapprima Ben-Adad pensa che ci sia un traditore nel suo stesso
accampamento. Ma quando scopre la vera origine delle sue difficoltà manda un contingente militare con
cavalli e carri da guerra ad accerchiare Dotan per catturare Eliseo. (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, ⇒it-1 ⇐p.
950) Il servitore di Eliseo è spaventato, ma Eliseo prega Dio che gli apra gli occhi, “ed ecco, la regione
montagnosa [è] piena di cavalli e di carri da guerra di fuoco tutt’intorno a Eliseo”. Poi, mentre le schiere
dei siri si avvicinano, Eliseo prega che accada il miracolo opposto: “Ti prego, colpisci questa nazione di
cecità”. Eliseo dice ai siri di seguirlo, ma non deve condurli per mano, perché evidentemente si tratta di
cecità psichica più che di cecità vera e propria. Essi non riconoscono Eliseo, che erano venuti a
prendere, né sanno dove egli li porta. — 2Re 6:8-19.
Con che tipo di cecità Geova colpì i siri che volevano catturare Eliseo?
A proposito di questa forma di cecità, William James (Principles of Psychology, 1981, vol. 1, p. 59)
afferma: “Un effetto molto interessante del disordine corticale è la cecità psichica. Questa consiste non
tanto nell’insensibilità alle impressioni ottiche, quanto nell’incapacità di comprenderle. Psicologicamente è
interpretabile come perdita di associazioni fra le sensazioni ottiche e il loro significato; e può essere
provocata da qualsiasi interruzione delle vie che collegano i centri ottici coi centri di altre idee”.
Accompagnati i siri a Samaria, Eliseo prega che Geova apra loro gli occhi, e i siri si trovano nel bel
mezzo di Samaria davanti al re Ieoram in persona. Eliseo manifesta fede nella potenza di Geova e
dimostra di non aver affatto uno spirito vendicativo. Infatti impedisce al re d’Israele di uccidere i siri,
poiché, dice, sono come prigionieri di guerra. Suggerisce al re di dar loro da mangiare a sazietà, e di
rimandarli a casa. Come risultato, “le bande di predoni dei siri non entrarono più nel paese d’Israele”. —
2Re 6:20-23.
In seguito tuttavia Ben-Adad II invade il paese, non con sporadiche incursioni di predoni, ma in forze, e
assedia Samaria. La situazione è così grave che è riferito al re almeno un caso di una donna che ha
mangiato il proprio figlio. Il re Ieoram, progenie di Acab, e quindi “figlio di un assassino”, giura di uccidere
Eliseo. Ma l’avventato giuramento non viene messo in atto. Giunto alla casa del profeta insieme al suo
aiutante, Ieoram dichiara di aver perso ogni speranza di ricevere aiuto da Geova. Eliseo assicura al re
che l’indomani ci saranno viveri in abbondanza. L’aiutante del re si fa beffe di questa predizione, tanto
che Eliseo gli dice: “Lo vedrai con i tuoi propri occhi, ma non ne mangerai”. I siri, a motivo di un frastuono
che Geova fa udire nel loro accampamento, si convincono che un grosso esercito di nazioni alleate stia
avanzando contro di loro, e fuggono abbandonando l’accampamento intatto con tutte le vettovaglie.
Quando si scopre la fuga dei siri, il re incarica l’aiutante di sorvegliare la porta di Samaria, dove questi
muore calpestato dalla folla di israeliti affamati che si precipita a saccheggiare l’accampamento: egli vede
i viveri, ma non ne mangia. — 2Re 6:24–7:20.
Azael e Ieu nominati re. L’attenzione si sposta ora a Damasco, in Siria, dove il re Ben-Adad II sta per
morire. Azael, inviato del re, incontra Eliseo e chiede se il suo padrone si rimetterà. Lo spirito di Geova
diviene operante e fa vedere a Eliseo un quadro fosco, che lo rattrista: Azael, soppiantato Ben-Adad,
recherà indicibile danno a Israele, anche se questa è una giusta punizione da parte di Geova per i peccati
della nazione. Egli incarica Azael di dire a Ben-Adad: “‘Positivamente ti rimetterai’, e Geova mi ha
mostrato che positivamente morirà”. Azael riferisce a voce la prima parte ma mette in atto la seconda,
soffocando il re sotto un copriletto bagnato e impadronendosi del trono di Siria. — 2Re 8:7-15.
C’è ancora un’opera lasciata incompiuta da Elia che Eliseo deve portare a termine: l’unzione di Ieu quale
giustiziere di Dio contro la malvagia casa di Acab. (2Re 9:1-10) Egli la porta a termine circa 18 anni dopo
che Geova ne aveva dato il comando a Elia. Eliseo può vedere l’adempimento delle profezie di 1 Re
19:15-17 e 21:21-24.
All’epoca dell’unzione di Ieu, in Israele regna Ieoram e in Giuda regna Acazia suo nipote. Il siro Azael
affligge grandemente Israele durante il suo regno, ferendo Ieoram in battaglia a Ramot-Galaad. (2Re
9:15) Ieu non perde tempo nell’eseguire il suo incarico di spazzare via l’empia casa di Acab, non
lasciandone rimanere nessun superstite. (2Re 10:11) Prima raggiunge Ieoram re d’Israele, convalescente
a Izreel. In adempimento della profezia di Eliseo, Ieoram viene raggiunto fuori della città, messo a morte
e gettato nel tratto di campo di Nabot l’izreelita. (2Re 9:16, 21-26) Entrato a Izreel, Ieu uccide la malvagia
Izebel, madre di Ieoram re d’Israele e nonna di Acazia re di Giuda. Ieu vorrebbe seppellirla, ma Geova fa
in modo che i cani ne mangino la carne come predetto dal profeta Eliseo, affinché nessuna tomba possa
perpetuarne la memoria. (2Re 9:30-37) I 70 figli di Acab vengono decapitati. Acazia, nipote di Acab, viene
ucciso (2Re 10:1-9; 9:27, 28), e 42 fratelli di Acazia vengono raggiunti dalla spada del giustiziere Ieu. —
2Re 10:12-14; 1Re 21:17-24.
Distrutta l’adorazione di Baal. Mentre si dirige sul suo carro verso la capitale Samaria, Ieu incontra
Gionadab, il quale sostiene pienamente la campagna di Ieu contro l’adorazione di Baal, e i due
raggiungono Samaria per sferrare il colpo finale che estirperà completamente il baalismo da Israele. Con
un’abile strategia Ieu fa in modo che tutti gli adoratori si radunino nella casa di Baal indossando le loro
caratteristiche vesti. La casa è piena da un capo all’altro, e non è presente nessun adoratore di Geova.
Ieu dà l’ordine ai suoi uomini di uccidere tutti gli adoratori di Baal, abbattendo le loro colonne sacre e
demolendo la casa di Baal, che viene trasformata in latrine. — 2Re 10:15-27.
Eliseo completa così l’opera iniziata da Elia. L’adorazione di Baal viene estirpata da Israele. A differenza
di Elia, Eliseo non viene fatto salire ai cieli in un turbine per essere condotto altrove prima della sua
morte. Durante il regno di Ioas re d’Israele, Eliseo muore di morte naturale. Mentre è sul letto di morte, si
profilano di nuovo difficoltà per Israele da parte della Siria. Ioas rivolge a Eliseo quella che sembra essere
una richiesta di aiuto militare contro i siri, dicendogli: “Padre mio, padre mio, carro da guerra d’Israele e
suoi cavalieri!” Su richiesta di Eliseo, Ioas colpisce la terra con le frecce. Ma poiché lo fa senza vero zelo,
solo tre volte, Eliseo gli dice che gli saranno concesse solo tre vittorie sulla Siria. E così avviene. — 2Re
13:14-19, 25.
Opera da lui compiuta. Grazie allo spirito di Dio, fino a questo momento Eliseo aveva compiuto 15
miracoli. Ma anche dopo la morte è impiegato da Geova per un 16° miracolo. Eliseo era stato fedele fin o
alla morte, approvato da Dio. La Bibbia riferisce che dopo la sepoltura di Eliseo un altro uomo stava per
essere sepolto quando una banda di predoni moabiti spaventò i becchini, che gettarono il morto nella
tomba di Eliseo e fuggirono. Non appena toccò le ossa di Eliseo, il defunto tornò in vita e si alzò in piedi.
— 2Re 13:20, 21.
In Luca 4:27 Gesù definisce Eliseo un profeta, e senza dubbio in Ebrei 11:35 si allude a lui e ad Elia,
poiché entrambi compirono delle risurrezioni. Elia aveva iniziato la sua opera profetica in un tempo in cui
Israele era sprofondato nell’adorazione di Baal e c’era bisogno di zelo per la vera adorazione. Egli compì
una grande opera facendo tornare il cuore di molti a Geova. Eliseo prese il posto lasciato vacante da Elia,
e anche se il suo ministero fu più pacifico, egli si adoperò affinché l’opera iniziata da Elia fosse
completata, e visse abbastanza a lungo da vederla compiuta. Gli vengono attribuiti 16 miracoli in
paragone con gli 8 di Elia. Come Elia, anch’egli manifestò grande zelo per il nome di Geova e la vera
adorazione. Fu paziente, amorevole e benigno, eppure fu anche molto fermo quando era implicato il
nome di Geova, e non esitò a esprimere il giudizio di Dio contro i malvagi. Si guadagnò un posto in
mezzo al “così gran nuvolo di testimoni” menzionato in Ebrei 12:1.
Poiché l’opera di Elia fu profetica di cose avvenire che si adempirono al tempo del ministero terreno di
Gesù, come pure in un periodo successivo, è ragionevole pensare la stessa cosa anche dell’opera di
Eliseo, dato che in effetti egli completò l’opera iniziata da Elia, portandone a termine la missione.

w74 15/12 752-8 "Cingetevi di modestia di mente"


“Cingetevi di modestia di mente”
“Voi tutti cingetevi di modestia di mente gli uni verso gli altri, perché Dio si oppone ai superbi, ma dà
immeritata benignità agli umili”. — 1 Piet. 5:5.
CONOSCETE alcuni che sono superbi, altezzosi, vanitosi, egotisti e presuntuosi? La maggioranza di noi
ne conosce. Ma quanto è preferibile frequentare chi è umile, modesto di mente, mansueto, alla buona!
Infatti, tutti i cristiani sono incoraggiati ad acquistare le qualità dell’umiltà e della modestia di mente. In
un’occasione Gesù sapeva che i suoi discepoli avevano discusso fra loro su chi era il più grande, e disse
loro: “Se alcuno vuole esser primo, dev’essere l’ultimo di tutti e ministro di tutti”. Quindi proseguì
mostrando che non c’era posto per l’uomo di mente altera, spiegando che se accettavano quelli che
erano simili a fanciullini in base al suo nome era come accettare lui e il Padre suo Geova. Pertanto
incoraggiò certamente i suoi discepoli a essere modesti di mente. (Mar. 9:33-37) Anni dopo Pietro
scrisse: “Voi tutti cingetevi di modestia di mente”, e proseguì spiegandone il perché e disse: “Perché Dio
si oppone ai superbi, ma dà immeritata benignità agli umili”. (1 Piet. 5:5) Quindi, non solo riscontriamo
che la modestia di mente è una qualità desiderabile, ma anche Dio la considera tale, e la ricompensa con
immeritata benignità.
2 Vogliamo avere l’approvazione di Dio, per cui facciamo bene a considerare seriamente il soggetto
dell’umiltà. Giacché la Bibbia dice che le cose scritte in essa “furono scritte per nostra istruzione”,
possiamo trovare nelle Scritture un racconto che ci dia una lezione di umiltà? (Rom. 15:4) Un racconto
degno di nota a questo riguardo si trova in Secondo Re, capitolo cinque. Da esso apprendiamo di un
uomo dei tempi antichi che acquistò umiltà, e leggendo ed esaminando il racconto possiamo
personalmente trarne profitto mentre ognuno di noi cerca di cingersi di modestia di mente.
NAAMAN IMPARA L’UMILTÀ
3 Nel decimo secolo a.E.V., la Siria, situata a nord d’Israele, aveva un capo dell’esercito di nome
Naaman, che condusse i Siri alla vittoria. Benché a quel tempo Naaman non lo sapesse, era stato Geova
che per mezzo di lui aveva dato la salvezza alla Siria. Naaman “era divenuto un uomo grande dinanzi al
suo signore e tenuto in stima, . . . e l’uomo stesso aveva mostrato d’essere un potente uomo di valore”. (2
Re 5:1) Senz’altro a motivo della sua posizione e delle sue gesta militari, Naaman era superbo, ma aveva
contratto la lebbra. Questa detestabile malattia non gli impediva di occupare la posizione di capo
dell’esercito in Siria come sarebbe avvenuto in Israele, ma, col tempo, servì a umiliarlo e gli recò
beneficio in un modo molto insolito. — Lev. 13:46.
4 Bande di predoni siri avevano preso prigioniera dal paese d’Israele una ragazzina e questa ragazza era
divenuta serva della moglie di Naaman. Questa ragazza (il cui nome non è menzionato nella Bibbia) era
a conoscenza del profeta di Geova chiamato Eliseo e dei miracoli da lui compiuti. Ella aveva fede in
Geova, Dio di Eliseo, e rese testimonianza alla sua fede. Parlando in un’occasione alla moglie di
Naaman, sua padrona, disse: “Se solo il mio signore fosse dinanzi al profeta che è in Samaria! In tal caso
lo guarirebbe dalla sua lebbra”. La testimonianza della ragazza israelita giunse col tempo agli orecchi del
re di Siria. — 2 Re 5:2-4.
5 Il re siro, che era evidentemente Ben-Adad II, scrisse una lettera a Ieoram, re d’Israele, e la fece
consegnare dal capo del suo esercito Naaman, a una distanza di circa centosessanta chilometri. Insieme
a Naaman mandò doni preziosi. Ieoram ricevette la lettera e lesse: “E ora nello stesso tempo che questa
lettera viene a te, ecco, ti mando in effetti Naaman mio servitore, affinché tu lo guarisca dalla sua lebbra”.
Ieoram fu sgomentato dalla lettera e temette che il re siro ‘cercasse una lite’ con lui. Eliseo, profeta del
vero Dio, lo seppe e mandò a dire al re Ieoram: “[Lascia] venire [Naaman] da me, ti prego, affinché egli
sappia che esiste un profeta in Israele”. Ah, Naaman avrebbe infine ricevuto attenzione personale
dall’uomo che la ragazzina israelita aveva detto poteva guarirlo! — 2 Re 5:5-8.
6 “Naaman venne dunque coi suoi cavalli e coi suoi carri da guerra e stette all’ingresso della casa di
Eliseo”. Come avrebbe agito Eliseo alla presenza di un tale dignitario? Avrebbe fatto qualche speciale
cerimonia per questo famoso capo dell’esercito? Il racconto continua: “Comunque, Eliseo mandò da lui
un messaggero, dicendo: ‘Andandovi, ti devi bagnare sette volte nel Giordano affinché la tua carne ti
torni; e sii puro’”. No, Eliseo non cercava di guadagnarsi con le lusinghe il favore di qualcuno d’alto rango.
Egli desiderava continuare ad avere il favore di Geova e fare in modo che la Sua volontà fosse compiuta.
— 2 Re 5:9, 10.
7 Fu lieto Naaman di apprendere con quanta facilità poteva guarire dalla sua lebbra? No; piuttosto, il
racconto continua dicendo: “A ciò Naaman si indignò e se ne andava e diceva: ‘Ecco, avevo detto fra me:
“Mi uscirà incontro e per certo si fermerà e invocherà il nome di Geova suo Dio e muoverà la mano da
una parte all’altra sul luogo ed effettivamente guarirà il lebbroso”. Non sono l’Abana e il Farpar, i fiumi di
Damasco, migliori di tutte le acque d’Israele? Non mi posso bagnare in essi e per certo esser puro?’
Allora si volse e andò via con furore”. — 2 Re 5:11, 12.
8 Sembrò che l’orgoglio di Naaman gli impedisse di ottenere la guarigione. Non si compiacque della
povera accoglienza ricevuta né di un rimedio così semplice. A quanto pare, che la pompa e la cerimonia
accompagnassero la cura gli interessava più della cura stessa. L’orgoglio stava per impedirgli di ubbidire
alle istruzioni del profeta di Dio. Ma i servitori di Naaman lo aiutarono a vedere le cose nella loro giusta
luce. Gli dissero: “Se il profeta stesso ti avesse proferito una cosa grande, non la faresti? Quanto più,
quindi, giacché ti ha detto: ‘Bagnati e sii puro’?” (2 Re 5:13) Essi avevano la giusta veduta.
Riconoscevano che per Naaman la cosa principale era di guarire dalla sua malattia, e la conversazione
che fecero con il loro signore diede risultati.
9 “Allora scese e si tuffava nel Giordano sette volte secondo la parola dell’uomo del vero Dio”. Sì,
cominciò a mostrare modestia di mente; si cinse di umiltà e fece quanto gli era stato raccomandato. Andò
al Giordano e si tuffò nell’acqua, una volta, due volte, fino a sei volte, ma non si vedeva nessuna
guarigione. Poi si tuffò la settima volta, e il risultato? “La sua carne tornò come la carne di un ragazzino e
divenne puro”. Era guarito! — 2 Re 5:14.
10 Ma quanto fu umiliante questo per Naaman? Sarebbe ora tornato a casa, orgoglioso d’essere stato
purificato ma privo di apprezzamento per quanto era stato fatto? Il racconto prosegue mostrando che
tornò dall’uomo del vero Dio, percorrendo una distanza di forse quaranta chilometri o più, insieme ai suoi
cavalli e carri da guerra. Questa volta Eliseo apparve dinanzi a lui, e Naaman disse: “Ecco, ora, per certo
so che non c’è nessun Dio in alcun luogo sulla terra salvo in Israele”. Che confessione di fede!
Riconoscente offrì a Eliseo un dono di benedizione. Eliseo, comunque, non voleva trarre profitto dal
servizio di Geova, per cui disse: “Come vive Geova dinanzi al quale in effetti io sto, di sicuro non
l’accetterò”. Nonostante le insistenze di Naaman, Eliseo “rifiutava” di accettare qualsiasi dono, poiché
comprendeva che era stato Geova a dare la guarigione ed egli non cercava di trarre profitto dall’incarico
affidatogli da Geova. — 2 Re 5:15, 16.
11 Infine Naaman disse: “Se no, ti prego, sia dato al tuo servitore del terreno, il carico di un paio di muli;
perché il tuo servitore non offrirà più olocausto né sacrificio ad alcun altro dio ma a Geova”. Naaman
espresse umilmente il suo desiderio di adorare il Dio di Eliseo, ma volle farlo sul suolo israelita benché
dovesse tornare al servizio del re di Siria. — 2 Re 5:17.
12 Com’era divenuto modesto di mente Naaman, non interessandosi di fare dell’ostentazione o di mettere
in risalto se stesso, ma, piuttosto, volendo piacere a Geova, colui che ora riconosceva come vero Dio!
Egli proseguì dicendo a Eliseo: “In questa cosa perdoni Geova il tuo servitore: Quando il mio Signore
entra nella casa di Rimmon [il falso dio adorato dal re di Siria] per inchinarvisi, ed egli si appoggia alla mia
mano, e io mi devo inchinare nella casa di Rimmon, quando mi inchino nella casa di Rimmon perdoni
Geova, ti prego, il tuo servitore a questo riguardo”. Naaman non avrebbe più adorato questo idolo di
Rimmon, ma si sarebbe inchinato solo meccanicamente per aiutare il suo re a inchinarsi. Eliseo credette
alla sincerità di Naaman, per cui gli disse: “Va in pace”. — 2 Re 5:18, 19.
13 Non è interessante vedere come, in un tempo relativamente breve, Naaman imparò a ‘cingersi di
modestia di mente’ e come risultato divenne adoratore di Geova e ottenne il Suo favore e la Sua
benedizione? Ma in questo stesso tempo, qualcun altro stava diventando egocentrico, di mente altera.
Chi?
GHEAZI FU SPINTO DALL’AVIDITÀ
14 Eliseo aveva un servitore di nome Gheazi che evidentemente era presente alla conversazione di
Naaman con Eliseo. Gheazi vide le cose in modo diverso da Eliseo. È riferito che disse, apparentemente
fra sé: “Ecco, il mio padrone ha risparmiato Naaman questo Siro non accettando dalla sua mano ciò che
ha portato. Come Geova vive, di sicuro gli correrò dietro e prenderò da lui qualche cosa”. Gheazi si
interessava del guadagno materiale, di trarre profitto dall’opera dello spirito di Geova; le cose spirituali
non erano dunque di supremo interesse nella sua mente. — 2 Re 5:20.
15 Naaman saltò giù dal suo carro per andare incontro a Gheazi e chiese: “Va tutto bene?” Gheazi
rispose: “Tutto bene”, e poi disse una menzogna per ottenere quello che cercava. “Il mio padrone stesso
mi ha mandato, dicendo: ‘Ecco, proprio ora son venuti da me due giovani dalla regione montagnosa di
Efraim dai figli dei profeti. Da’ loro, ti prego, un talento d’argento e due mute di vesti’”. Mentendo Gheazi
coinvolse nel suo malvagio complotto il suo padrone Eliseo e i figli dei profeti. — 2 Re 5:21, 22.
16 Naaman manifestò ancora lo stesso spirito generoso che aveva mostrato prima a Eliseo e disse:
“Orsù, prendi due talenti”. Quindi Naaman “sollecitava” Gheazi, e così quest’uomo avido prese i due
talenti d’argento e le due mute di vesti e li depose nella sua casa. Poi, a mani vuote, Gheazi tornò da
Eliseo. “Da dove sei venuto, Gheazi?” chiese Eliseo. Dicendo un’altra menzogna per coprire quelle che
aveva dette a Naaman, e mentendo per nascondere la verità, Gheazi rispose: “Il tuo servitore non è
andato in nessun luogo”. Ma, naturalmente, Geova sapeva quello che Gheazi aveva fatto e rivelò tutta la
faccenda a Eliseo. Per cui Eliseo disse a Gheazi: “Non è il mio cuore stesso andato insieme mentre
l’uomo si voltava per scendere dal suo carro a incontrarti? È tempo d’accettare argento o di accettare
vesti o uliveti o vigne o pecore o bovini o servi o serve?” — 2 Re 5:23-26.
17 Potete immaginare il sentimento d’orrore che si impadronì di Gheazi? Ebbene, il suo padrone sapeva
esattamente quello che aveva fatto! Immaginate pure la giusta indignazione che Eliseo provò. Egli aveva
servito gli interessi di Geova guarendo Naaman dalla lebbra e aveva rifiutato qualsiasi ricompensa
pecuniaria per la parte avuta in questo miracolo. E ora il suo servitore, che non vi aveva avuto nessuna
parte diretta, era andato e aveva preso avidamente qualcosa con falsi pretesti. Eliseo, con l’ovvio
sostegno di Geova, proseguì dicendo a Gheazi: “La lebbra di Naaman s’attaccherà dunque a te e alla tua
progenie a tempo indefinito”. E il racconto termina dicendo: “Immediatamente egli uscì d’innanzi a lui,
lebbroso, bianco come la neve”. — 2 Re 5:27.
ATTRIBUTI DA IMITARE O DA EVITARE
18 Ripensate al racconto di Secondo Re capitolo cinque che abbiamo appena considerato. Notiamo per
certo alcune rimarchevoli caratteristiche e inclinazioni di diverse persone. Ci sarà molto utile ripassare
alcune di queste differenze.
19 Pensate alla ragazzina israelita. Fu presa prigioniera in Israele, ma questo non indebolì la sua fede in
Geova né nella Sua capacità di servirsi di uno dei suoi fedeli servitori per compiere miracoli. Eliseo non
aveva mai guarito nessun lebbroso in Israele, come indicò in seguito Gesù. (Luca 4:27) Ma questa
ragazzina ebbe vera fede. Nella sua mente non ci furono dubbi in merito; ella credeva senza riserve che
se Naaman andava a chiedere, Geova avrebbe risposto. Benché fosse solo una serva, ebbe il coraggio
di rendere testimonianza alla fede che aveva in Geova. Dovette far questo con entusiasmo e in modo
convincente per riuscire a far accettare il suo messaggio così che spinse ad agire e non fu considerato
solo un’idea infantile. Come questa umile, innominata servitrice di Dio che diede un così straordinario
esempio di fede, dovremmo intrepidamente proferire la verità affinché tutte le persone di cuore onesto ne
traggano profitto. Non dovremmo mai trattenerci dal far conoscere Geova e i suoi propositi, temendo di
non essere qualificati per parlare a qualcuno di condizione sociale più elevata della nostra. Dovremmo
avere piena fiducia in Geova e nella sua capacità di guidarci. — Sal. 56:11.
20 C’è poi Eliseo. La Bibbia ci parla molto di questo servitore di Geova che compì miracoli. Fu impiegato
da Dio anche per destare qualcuno dai morti. (2 Re 4:32-37) Ma il suo desiderio non era quello di farsi
vedere né di arricchire ma, piuttosto, di aiutare gli altri ad accrescere il loro apprezzamento verso Geova
e i suoi propositi. Egli si interessava non certo di farsi un nome bensì di esaltare il nome del suo Dio,
Geova. Facciamo bene a imitare Eliseo interessandoci primariamente di Geova, mettendo al primo posto
il nostro amore per lui e aiutando altri a invocarlo per avere la salvezza. — Matt. 22:37, 38; Rom. 10:13.
21 Pur essendo “un potente uomo di valore” prima di incontrare Eliseo, Naaman imparò a cingersi di
modestia di mente. Si rese conto che agli occhi di Geova era solo una persona come un’altra, e non
qualcuno degno di ricevere dai Suoi servitori speciali onori o attenzione. Che gioia dovette provare
quando uscì dal Giordano la settima volta e vide la sua pelle completamente purificata! Come fu lieto
d’essersi umiliato e d’avere seguìto il suggerimento di Eliseo datogli per mezzo di un messaggero!
22 Pensate anche che cosa dovette significare per un uomo della sua posizione fare quello che fece. Non
solo accettò la parola di una ragazzina schiava presa da una nazione nemica; ma dovette abbandonare i
suoi propri dèi, pensando forse che rischiava d’incorrere nella loro disapprovazione, e andare in un paese
ostile al suo per chiedere al profeta di un Dio straniero di fare qualche cosa per lui. Divenendo umile
Naaman ottenne qualche cosa che fu per lui di maggior valore che l’essere purificato dalla lebbra. Che
cosa? Lo fece diventare adoratore di Geova, desideroso d’avere l’approvazione del solo vero Dio.
Un’eccellente ricompensa davvero per essersi rivestito d’umiltà. Come accadde a Naaman, anche noi
possiamo trarre spiritualmente immenso profitto se ci ‘rivestiamo d’umiltà’ e comprendiamo che Dio
favorisce gli umili. — 1 Piet. 5:5, La Bibbia Concordata.
23 Un altro le cui attività son portate alla nostra attenzione in questo capitolo della Bibbia è qualcuno il cui
esempio facciamo bene a non imitare. Gheazi era da qualche tempo al servizio di Eliseo e aveva avuto
ampia opportunità di vedere come Geova impiegava Eliseo e che privilegio aveva d’essere con Eliseo.
Ma nacque in lui desiderio di ricchezze materiali. L’avidità ebbe il sopravvento su di lui quando vide che il
suo padrone rifiutava tutto l’argento e le vesti offerte da Naaman. Il suo desiderio divenne fertile e lo
spinse a peccare. (Giac. 1:14, 15) Egli inventò una storia per ottenere alcune delle cose materiali con le
quali Naaman tornava a casa. Arrivò al punto di mentire al suo padrone, mentendo in effetti a Geova, che
aveva nominato Eliseo. E quali disastrosi risultati ebbe, poiché fu colpito dalla lebbra! L’avidità gli costò la
salute e il privilegio che aveva avuto di servire insieme a Eliseo. Possiamo trarre profitto da questa
illustrazione dei disastrosi risultati derivanti dall’essere avidi e dall’idolatrare se stessi. Apprendiamo che è
molto pericoloso cercar di trarre un guadagno personale dal servizio di Geova e che è qualcosa da
evitare. — Si paragoni Giovanni 12:4-6.
PARALLELO PROFETICO PER IL GIORNO D’OGGI
24 Eliseo fu un unto servitore di Dio. Cioè fu specialmente nominato da Geova per compiere una certa
opera. Può dunque essere impiegato come figura o tipo profetico dei rimanenti della sposa di Cristo
ancora sulla terra, il rimanente dei 144.000 che saranno uniti con Cristo nei cieli. (Riv. 14:1-3) Il genere
umano in generale è pressappoco nella stessa posizione in cui fu Naaman. Invece d’essere afflitto dalla
lebbra, soffre della mortifera piaga del peccato, e in tale condizione esso combatte per la maggior parte
contro i rimanenti membri della sposa di Cristo ancora sulla terra e quelli associati a loro. — Rom. 5:12;
Matt. 24:9.
25 Comunque, mediante la testimonianza del Regno che è stata data, simile a quella della piccola serva
israelita della moglie di Naaman, molti del genere umano sono stati indirizzati nella via giusta per guarire
dal loro stato di malattia, spiritualmente parlando. Sono venuti in contatto con l’unta classe di Eliseo ed è
stato loro detto ciò che Geova richiede da loro per guarire spiritualmente e per ottenere una buona
coscienza verso di lui. Come avvenne nel caso di Naaman, così anch’essi hanno dovuto mostrare fede e
umiliarsi. Sono stati incoraggiati e hanno ubbidito e hanno avuto la gioia d’essere purificati, ottenendo
una condizione accettevole agli occhi di Dio. Sono ora divenuti parte della “grande folla” la cui speranza è
di vivere per sempre in un giusto nuovo sistema in una terra purificata. (Riv. 7:9) I componenti di questa
“grande folla” hanno riconosciuto che non c’è nessun Dio in alcun luogo salvo che fra i testimoni del vero
Dio, Geova. Riconoscono che la guarigione spirituale è data gratuitamente, in armonia con le istruzioni di
Gesù. — Matt. 10:1, 8.
26 La classe di Eliseo non desidera sfruttare la “grande folla” per il fatto che l’assiste a ottenere la
guarigione spirituale dalla piaga del peccato. Rifiuta qualsiasi paga per l’assistenza che dà alle persone
onde ottengano la guarigione spirituale, come Eliseo rifiutò qualsiasi dono, pecuniario o materiale, da
parte di Naaman. Impiega gratuitamente il suo tempo per assistere altri che vogliono studiare la Parola di
Dio. E se alcuni di quelli che sono associati alla congregazione del popolo di Dio sulla terra cercano di
trarre un guadagno materiale a spese della “grande folla”, costoro sono smascherati come avidi, colpevoli
di idolatrare se stessi. Sono rimossi dall’organizzazione, in armonia con il trattamento che Eliseo inflisse a
Gheazi per la sua concupiscenza e avidità. Ciò è conforme alla regola: “Né fornicatori . . . né avidi, . . . né
rapaci erediteranno il regno di Dio”. — 1 Cor. 6:9, 10.
27 Anche i componenti della “grande folla” che si associano agli unti servitori di Dio devono cingersi di
modestia di mente. In 1 Pietro 5:5 si legge: “E voi tutti dovete indossare il grembiule dell’umiltà, per
servirvi gli uni gli altri; poiché la scrittura dice: ‘Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili’”. (Today’s
English Version of the Bible). Un grembiule ci fa pensare a qualcuno che serve, che ha cura degli
interessi altrui, che prepara da mangiare per altri. Per indossare il “grembiule dell’umiltà” è dunque
necessario essere umili, modesti di mente, interessati a servire altri.
28 Sei disposto a ‘cingerti di modestia di mente’, a “indossare il grembiule dell’umiltà”? Sei disposto ad
accettare la via di Geova per ottenere la salvezza? In questo ventesimo secolo abbiamo un esempio di
umiltà, di modestia di mente, che si trova in tutto il mondo. È nell’organizzazione dei testimoni di Geova.
Perché non continui a leggere per vedere come si sono umilmente conformati alla via di Geova per la
salvezza?
[Figura a pagina 752]
Mostrando modestia di mente il capo dell’esercito siro Naaman fu miracolosamente guarito dalla lebbra
[Figura a pagina 756]
L’avidità di Gheazi lo spinse a cercar di trarre profitto dall’opera dello spirito di Geova e dalla generosità
di Naaman. Costò a Gheazi la salute e il privilegio di servire insieme a Eliseo

w96 15/6 13 Benedizioni o maledizioni: Potete scegliere!


7 Sembra che il motivo principale degli scherni fosse il fatto che Eliseo indossava la nota veste ufficiale di
Elia, e i ragazzini non volevano intorno nessun successore di quel profeta. (2 Re 2:13) Per rispondere a
quanti mettevano in dubbio il fatto che egli fosse il successore di Elia e per insegnare a quei fanciulli
schernitori e ai loro genitori il dovuto rispetto per il profeta di Geova, Eliseo invocò il male sulla turba
schernitrice nel nome dell’Iddio di Elia. Geova dimostrò di approvare Eliseo come suo profeta facendo sì
che due orse uscissero dal bosco e sbranassero 42 di quelli che lo deridevano. Geova agì in maniera
decisa per punire la loro sfacciata mancanza di rispetto per il canale di comunicazione che egli impiegava
sulla terra a quel tempo.

w97 15/9 16-20 Chi sopravvivrà al "giorno di Geova"?


Chi sopravvivrà al “giorno di Geova”?
“Quale sorta di persone dovete essere voi in santi atti di condotta e opere di santa devozione, aspettando
e tenendo bene in mente la presenza del giorno di Geova!” — 2 PIETRO 3:11, 12.
GEOVA DIO ha scelto di fra il genere umano persone che diverranno coeredi di suo Figlio Gesù Cristo
nel Regno celeste. (Romani 8:16, 17) Mentre sono ancora sulla terra, i cristiani unti operano con lo spirito
e la potenza di Elia. (Luca 1:17) Nell’articolo precedente abbiamo rilevato certi parallelismi fra le loro
attività e quelle del profeta Elia. Ma che dire dell’opera del successore di Elia, il profeta Eliseo? — 1 Re
19:15, 16.
2 L’ultimo miracolo compiuto da Elia fu la divisione delle acque del Giordano, che egli colpì con la sua
veste ufficiale. Grazie a questo miracolo Elia ed Eliseo attraversarono il fiume sull’asciutto. Mentre
camminavano sulla sponda orientale del fiume, un turbine trasportò Elia in un’altra località della terra.
(Vedi a ⇒w97 15/9 ⇐pagina 15 il riquadro “A quali cieli ascese Elia?”). La veste ufficiale di Elia rimase
sul posto. Quando Eliseo la prese e la usò per colpire il Giordano, le acque si divisero di nuovo,
permettendogli di riattraversarlo sull’asciutto. Questo miracolo rese evidente che Eliseo era diventato il
successore di Elia nel promuovere la vera adorazione in Israele. — 2 Re 2:6-15.
Qualità essenziali
3 Secoli dopo Elia ed Eliseo, gli apostoli Paolo e Pietro misero in relazione un veniente “giorno di Geova”
con la presenza di Gesù Cristo e gli allora futuri “nuovi cieli e nuova terra”. (2 Tessalonicesi 2:1, 2; 2
Pietro 3:10-13) Per sopravvivere al grande giorno di Geova — quando Dio distruggerà i suoi nemici e
salverà il suo popolo — dobbiamo ricercare Geova e manifestare mansuetudine e giustizia. (Sofonia 2:1-
3) Comunque, mentre esamineremo gli avvenimenti che ebbero per protagonista il profeta Eliseo,
noteremo anche altre qualità.
4 Per sopravvivere al “giorno di Geova” è essenziale avere zelo per il servizio di Dio. Elia ed Eliseo furono
zelanti nel servizio di Geova. Con uno zelo analogo, oggi il rimanente dei cristiani unti rende sacro
servizio a Geova e prende la direttiva nel predicare la buona notizia. Dalla metà degli anni ’30 i suoi
componenti hanno incoraggiato tutti coloro che accettavano il messaggio del Regno e speravano di
vivere per sempre sulla terra a dedicarsi a Geova e a battezzarsi. (Marco 8:34; 1 Pietro 3:21) Milioni di
persone hanno accolto questo invito. Un tempo erano nelle tenebre spirituali e morte nel peccato, ma ora
hanno appreso la verità di Dio, hanno accettato la speranza della vita eterna in un paradiso terrestre e
servono Geova con zelo. (Salmo 37:29; Rivelazione [Apocalisse] 21:3-5) Con il loro zelo, la loro
collaborazione, la loro ospitalità e altre opere buone recano ristoro ai fratelli spirituali di Cristo che sono
ancora sulla terra. — Matteo 25:31-46.
5 Quelli che fanno del bene ai “fratelli” di Gesù perché riconoscono che sono suoi unti seguaci possono
sperare di sopravvivere al “giorno di Geova”. Una coppia che viveva nel villaggio di Sunem fu
grandemente benedetta per aver trattato in maniera benigna e ospitale Eliseo e il suo servitore. Questa
coppia non aveva figli, e il marito era vecchio. Ma Eliseo promise alla sunamita che avrebbe partorito un
figlio, e così avvenne. Alcuni anni dopo, quando questo figlio unico morì, Eliseo andò a Sunem e lo
risuscitò. (2 Re 4:8-17, 32-37) Che grandi ricompense ebbero per aver mostrato ospitalità a Eliseo!
6 Per accettare la guida scritturale impartita dai “fratelli” di Cristo e sperare così di sopravvivere al giorno
di Geova ci vuole umiltà. Naaman, comandante dell’esercito siro affetto da lebbra, dovette mostrare
umiltà per seguire il suggerimento di una ragazzina israelita schiava e andare in Israele in cerca di Eliseo
per farsi guarire. Eliseo, invece di uscire di casa per andare incontro a Naaman, gli mandò questo
messaggio: “Ti devi bagnare sette volte nel Giordano perché la tua carne ti ritorni; e sii puro”. (2 Re 5:10)
Ferito nell’orgoglio, Naaman si adirò, ma allorché si recò umilmente al Giordano e vi si immerse sette
volte, “la sua carne tornò come la carne di un ragazzino e divenne puro”. (2 Re 5:14) Prima di tornare a
casa Naaman andò di nuovo a Samaria per ringraziare il profeta di Geova. Deciso a non approfittare
materialmente dei poteri concessigli da Dio, Eliseo uscì incontro a Naaman ma non accettò nessun dono.
Naaman disse umilmente a Eliseo: “Il tuo servitore non offrirà più olocausto o sacrificio a nessun altro dio,
ma solo a Geova”. — 2 Re 5:17.
7 Oggi, seguendo umilmente i consigli scritturali degli unti, milioni di persone vengono riccamente
benedette. Inoltre, esercitando fede nel sacrificio di riscatto di Gesù, queste persone di cuore retto sono
state rese spiritualmente pure. Ora hanno il privilegio di essere amiche di Geova Dio e Gesù Cristo.
(Salmo 15:1, 2; Luca 16:9) E la loro devozione a Dio e al suo servizio sarà ricompensata, in quanto esse
verranno risparmiate dalla distruzione eterna che sta per abbattersi sugli orgogliosi peccatori impenitenti
nel “giorno di Geova” che si avvicina rapidamente. — Luca 13:24; 1 Giovanni 1:7.
“Chi è per me? Chi?”
8 Coloro che sperano di sopravvivere al “giorno di Geova” devono anche essere decisi nel fare la volontà
divina. Elia predisse intrepidamente la distruzione della famiglia di Acab, costituita da assassini e
adoratori di Baal. (1 Re 21:17-26) Comunque, prima che questa sentenza fosse eseguita, Eliseo,
successore di Elia, dovette portare a termine una certa opera rimasta incompiuta. (1 Re 19:15-17)
Quando arrivò il tempo stabilito da Geova, Eliseo ordinò a un servitore di andare a ungere Ieu, capo
dell’esercito, come nuovo re d’Israele. Dopo avergli versato dell’olio sulla testa, il messaggero disse a
Ieu: “Geova l’Iddio d’Israele ha detto questo: ‘In effetti ti ungo come re sul popolo di Geova, cioè su
Israele. E devi abbattere la casa di Acab tuo signore, e io devo vendicare il sangue dei miei servitori i
profeti e il sangue di tutti i servitori di Geova dalla mano di Izebel. E l’intera casa di Acab deve perire’”. La
malvagia regina Izebel sarebbe stata gettata in pasto ai cani e non avrebbe ricevuto una degna sepoltura.
— 2 Re 9:1-10.
9 Gli uomini di Ieu riconobbero la validità della sua unzione e lo acclamarono nuovo re di Israele. Agendo
con decisione, Ieu si diresse velocemente verso Izreel per iniziare la sua opera di giustiziere contro gli
apostati promotori del culto di Baal. Il primo a essere colpito dalla micidiale freccia di Ieu fu il re Ieoram,
figlio di Acab. Era uscito col suo carro dalla città per chiedere a Ieu se era lì per una missione di pace.
“Che pace ci potrebbe essere finché ci sono le fornicazioni di Izebel tua madre e le sue molte
stregonerie?”, rispose Ieu. A ciò la freccia di Ieu trapassò il cuore di Ieoram. — 2 Re 9:22-24.
10 Le donne devote evitano di comportarsi come Izebel o come chiunque mostri caratteristiche simili.
(Rivelazione 2:18-23) Quando Ieu raggiunse Izreel, Izebel cercò di farsi bella. Guardando giù dalla
finestra, lo salutò con una velata minaccia. Ieu chiese ai servitori di Izebel: “Chi è per me? Chi?”
Immediatamente due o tre funzionari di corte guardarono giù. Erano dalla parte di Ieu? “Fatela cadere!”,
gridò. Al che essi agirono con decisione, scaraventando la perfida Izebel giù dalla finestra, dove venne
calpestata, presumibilmente dagli zoccoli dei cavalli. Quando andarono per seppellirla, ‘non trovarono
altro che il suo teschio, i piedi e le palme delle mani’. Che drammatico adempimento delle parole di Elia:
“I cani mangeranno la carne di Izebel”! — 2 Re 9:30-37.
Sostenere di cuore la vera adorazione
11 Quelli che sperano di sopravvivere al “giorno di Geova” e di vivere per sempre sulla terra devono
sostenere con tutto il cuore la vera adorazione. Devono essere come Gionadab, un adoratore di Geova
non israelita. Mentre Ieu continuava ad adempiere con zelo il suo incarico, Gionadab volle dimostrargli il
suo consenso e dargli il suo sostegno. Così andò incontro al nuovo re d’Israele, che era diretto a Samaria
per mettere a morte i membri superstiti della casa di Acab. Vedendo Gionadab, Ieu chiese: “È il tuo cuore
retto verso di me, come il mio proprio cuore lo è verso il tuo cuore?” Udita la risposta positiva di
Gionadab, Ieu gli tese la mano e lo invitò a salire sul suo carro da guerra, dicendo: “Vieni con me e
guarda come non tollero nessuna rivalità verso Geova”. Senza indugio Gionadab accettò il privilegio di
sostenere l’unto giustiziere di Geova. — 2 Re 10:15-17.
12 È sicuramente appropriato sostenere di cuore la vera adorazione, perché Geova è il Creatore e il
Sovrano universale, che giustamente esige e merita la nostra esclusiva devozione. Agli israeliti comandò:
“Non devi farti immagine scolpita né forma simile ad alcuna cosa che è nei cieli di sopra o che è sulla
terra di sotto o che è nelle acque sotto la terra. Non devi inchinarti davanti a loro né essere indotto a
servirle, perché io, Geova tuo Dio, sono un Dio che esige esclusiva devozione”. (Esodo 20:4, 5) Quelli
che sperano di sopravvivere al “giorno di Geova” devono rendergli esclusiva adorazione, e farlo “con
spirito e verità”. (Giovanni 4:23, 24) Devono essere saldi nel sostenere la vera adorazione, come lo
furono Elia, Eliseo e Gionadab.
13 Dopo aver sterminato la casa di Acab, il re Ieu compì altri passi per individuare gli adoratori di Baal ed
eliminare quella falsa religione da Israele. (2 Re 10:18-28) Oggi il celeste Re Gesù Cristo è stato
incaricato di mettere a morte i nemici di Geova e di rivendicare la Sua sovranità. Come il cuore di
Gionadab fu con Ieu, così oggi la “grande folla” di “altre pecore” riconosce di tutto cuore Gesù Cristo
quale Re messianico e collabora con i suoi fratelli spirituali sulla terra. (Rivelazione 7:9, 10; Giovanni
10:16) Lo dimostra praticando la vera religione e partecipando con zelo al ministero cristiano, avvertendo
così i nemici di Dio del “giorno di Geova” che si avvicina a grandi passi. — Matteo 10:32, 33; Romani
10:9, 10.
Eventi drammatici a breve scadenza!
14 Ieu agì per porre fine all’adorazione di Baal in Israele. Oggi, tramite il più grande Ieu, Gesù Cristo, Dio
distruggerà Babilonia la Grande, l’impero mondiale della falsa religione. Presto vedremo adempiersi le
parole che l’angelo rivolse all’apostolo Giovanni: “Le dieci corna che hai visto, e la bestia selvaggia,
queste odieranno la meretrice [Babilonia la Grande] e la renderanno devastata e nuda, e mangeranno le
sue carni e la bruceranno completamente col fuoco. Poiché Dio ha messo nei loro cuori di eseguire il suo
pensiero, e di eseguire il loro unico pensiero di dare il loro regno alla bestia selvaggia, finché le parole di
Dio non siano compiute”. (Rivelazione 17:16, 17; 18:2-5) “Le dieci corna” rappresentano le potenze
politiche militarizzate che dominano la terra. Sebbene ora, spiritualmente parlando, Babilonia la Grande
abbia con esse una relazione adulterina, il tempo che le rimane è breve. Gli elementi politici di questo
mondo distruggeranno la falsa religione, e “la bestia selvaggia” — l’ONU — avrà con “le dieci corna” un
ruolo di primo piano nel devastarla. Che occasione sarà quella per lodare Geova! — Rivelazione 19:1-6.
15 Dopo l’attacco di Ieu contro l’adorazione di Baal, la sua casa reale rivolse l’attenzione ai nemici politici
di Israele. Il Re Gesù Cristo compirà un’azione simile. Dopo la distruzione della falsa religione
paragonabile al baalismo, rimarranno ancora le potenze politiche. Sotto l’influsso di Satana il Diavolo,
questi nemici della sovranità di Geova sferreranno un attacco a oltranza nel tentativo di distruggere
l’organizzazione di Dio sulla terra. (Ezechiele 38:14-16) Ma Geova li farà sgominare dal re Gesù Cristo,
che li annienterà ad Har-Maghedon, la “guerra del gran giorno dell’Iddio Onnipotente”, rivendicando così
in modo completo la sovranità di Geova. — Rivelazione 16:14, 16; 19:11-21; Ezechiele 38:18-23.
Serviamo con lo zelo di Eliseo
16 Finché “il giorno di Geova” non porrà fine all’intero malvagio sistema di cose di Satana, i servitori di Dio
devono essere coraggiosi e zelanti come Eliseo. Oltre all’attività che svolse quale servitore di Elia, Eliseo
prestò servizio da solo come profeta di Geova per oltre 50 anni! E rimase zelante sino alla fine della sua
lunga vita. Poco prima di morire ricevette la visita del re Ioas, nipote di Ieu. Eliseo gli disse di tirare una
freccia dalla finestra. La freccia raggiunse il bersaglio ed Eliseo esclamò: “Freccia di salvezza di Geova,
sì, freccia di salvezza contro la Siria! E certamente abbatterai la Siria ad Afec fino al punto di finirla”.
Dietro richiesta di Eliseo, Ioas tirò delle frecce a terra. Ma lo fece senza zelo, colpendola solo tre volte.
Allora Eliseo disse che allo stesso modo Ioas avrebbe riportato solo tre vittorie sulla Siria, come infatti
accadde. (2 Re 13:14-19, 25) Il re Ioas non abbatté la Siria completamente, “fino al punto di finirla”.
17 Con uno zelo simile a quello di Eliseo, l’unto rimanente prosegue invece l’offensiva contro la falsa
adorazione. I suoi compagni con la speranza terrena fanno altrettanto. Inoltre tutti quelli che sperano di
sopravvivere al “giorno di Geova” fanno bene a ricordare le parole dello zelante Eliseo circa il colpire la
terra. Prendiamo le frecce della verità e colpiamo con zelo, ripetutamente, finché Geova non dica che la
nostra opera con esse è stata completata.
18 Presto “il giorno di Geova” metterà fine all’attuale sistema di cose malvagio. Ci siano quindi di sprone
le rincuoranti parole dell’apostolo Pietro: “Giacché tutte queste cose devono quindi essere dissolte, quale
sorta di persone dovete essere voi in santi atti di condotta e opere di santa devozione, aspettando e
tenendo bene in mente la presenza del giorno di Geova!” (2 Pietro 3:11, 12) Quando ogni parte di questo
sistema verrà dissolta dal fuoco dell’ira di Dio espressa tramite Gesù Cristo, scamperanno solo quelli con
una reputazione di condotta giusta e di santa devozione. La purezza morale e spirituale è essenziale.
Altrettanto dicasi dell’amore per il prossimo, che si manifesta soddisfacendo i suoi bisogni, specialmente
in senso spirituale tramite il ministero cristiano.
19 Le vostre parole e azioni vi identificano come fedeli e zelanti servitori di Dio? In caso affermativo,
potete avere la speranza di sopravvivere al “giorno di Geova” ed entrare nel promesso nuovo mondo di
Dio. Sì, potrete sopravvivere se fate del bene ai fratelli spirituali di Cristo perché sono suoi seguaci, così
come la coppia di Sunem mostrò ospitalità a Eliseo. Per sopravvivere dovete anche essere come
Naaman, che accettò umilmente le istruzioni divine e divenne un adoratore di Geova. Se anelate a vivere
per sempre in un paradiso terrestre, dovete dimostrare di sostenere con tutto il cuore la vera adorazione,
come fece Gionadab. Allora potrete essere tra i fedeli servitori di Geova che presto vedranno adempiersi
le parole di Gesù: “Venite, voi che siete stati benedetti dal Padre mio, ereditate il regno preparato per voi
dalla fondazione del mondo”. — Matteo 25:34.

w97 1/11 30-1 Un esempio di abnegazione e di lealtà


Fecero la volontà di Geova
Un esempio di abnegazione e di lealtà
PER un giovane agricoltore di nome Eliseo quello che era iniziato come un normale giorno di aratura si
rivelò il giorno più importante della sua vita. Mentre lavorava nel campo, Eliseo ricevette la visita
inaspettata di Elia, il principale profeta di Israele. ‘Cosa vorrà da me?’, si sarà chiesto Eliseo. Non dovette
attendere a lungo per avere la risposta. Elia gettò su Eliseo la sua veste ufficiale, indicando che un giorno
sarebbe diventato il suo successore. Eliseo non prese alla leggera questo incarico. Lasciò subito il suo
campo e diventò servitore di Elia. — 1 Re 19:19-21.
Circa sei anni dopo per Elia venne il momento di andarsene. La descrizione di quell’avvenimento è stata
definita “una delle narrazioni di maggior effetto” delle Scritture Ebraiche.
Elia si prepara ad andarsene
Elia desiderava vedere per l’ultima volta Betel, Gerico e il Giordano. Ciò significava percorrere a piedi
molti chilometri, parte dei quali in aspre zone montuose. A ogni tappa del viaggio Elia incoraggiava Eliseo
a fermarsi. Ma Eliseo insisté per rimanere con il suo padrone sino alla fine. — 2 Re 2:1, 2, 4, 6.
A Betel e a Gerico “i figli dei profeti” si rivolsero a Eliseo. “Realmente sai che oggi Geova toglierà il tuo
padrone come capo sopra di te?”, gli chiesero. “Lo so bene anch’io”, replicò Eliseo. “Tacete”. — 2 Re 2:3,
5.
Elia ed Eliseo si diressero quindi verso il Giordano. Quando lo raggiunsero Elia compì un miracolo mentre
una cinquantina di profeti osservavano da una certa distanza. “Elia prese la sua veste ufficiale e l’avvolse
e colpì le acque, ed esse si dividevano gradualmente da una parte e dall’altra, così che entrambi
passarono sull’asciutto”. — 2 Re 2:8.
Una volta passati dall’altra parte, Elia disse a Eliseo: “Chiedi ciò che devo fare per te prima che io ti sia
tolto”. Eliseo chiese “due parti” dello spirito di Elia, cioè la parte doppia che normalmente sarebbe
spettata a un figlio primogenito. Indubbiamente Eliseo aveva onorato Elia come un figlio primogenito
onorerebbe suo padre. Inoltre era stato unto per diventare successore di Elia quale profeta di Geova in
Israele. Quindi la sua richiesta non era né egoistica né fuori luogo. Comunque, sapendo che solo Geova
poteva appagare questa richiesta, Elia modestamente rispose: “Hai chiesto una cosa difficile”. Poi
aggiunse: “Se mi vedi quando ti sarò tolto, ti avverrà in quel modo; ma se non mi vedi, non avverrà”. — 2
Re 2:9, 10; Deuteronomio 21:17.
Eliseo senza dubbio era più deciso che mai a restare vicino al suo padrone. Quindi apparvero “un carro
da guerra di fuoco e cavalli di fuoco”. Davanti agli occhi sgomenti di Eliseo, Elia fu rapito in un turbine,
trasferito miracolosamente in altro luogo. Eliseo raccolse la veste ufficiale di Elia e ritornò sulla riva del
Giordano. Colpì le acque, dicendo: “Dov’è Geova l’Iddio di Elia, sì, Lui?” Le acque si divisero, dando una
chiara prova che Eliseo in veste di successore di Elia aveva il sostegno di Geova. — 2 Re 2:11-14.
Lezioni per noi
Quando fu invitato a svolgere un servizio speciale insieme a Elia, Eliseo lasciò immediatamente il suo
campo per servire il principale profeta di Israele. Evidentemente alcune delle sue mansioni erano umili,
poiché divenne noto come colui che “versava acqua sulle mani di Elia”. (2 Re 3:11) Nondimeno Eliseo
considerava un privilegio il lavoro che svolgeva, e rimase lealmente al fianco di Elia.
Molti servitori di Dio oggi manifestano un simile spirito di abnegazione. Alcuni hanno lasciato i propri
“campi”, i propri mezzi di sostentamento, per predicare la buona notizia in territori lontani o per servire
come membri della famiglia Betel. Altri sono andati in paesi stranieri per lavorare alla realizzazione di
progetti di costruzione della Società. Molti hanno accettato lavori che si potrebbero considerare umili. Ma
nessuno che serve come schiavo di Geova svolge un servizio insignificante. Geova apprezza tutti coloro
che lo servono volenterosamente e benedirà il loro spirito di sacrificio. — Marco 10:29, 30.
Eliseo rimase al fianco di Elia sino alla fine. Rifiutò di abbandonare il profeta più anziano anche quando
gliene fu offerta l’opportunità. Senza dubbio l’intima relazione che aveva coltivato con Elia rese piacevole
questo amore leale. Oggi i servitori di Dio cercano di rafforzare la loro relazione con Lui e di essere più
vicini ai loro compagni di fede. Questo stretto vincolo di unione sarà benedetto, poiché la Bibbia dice di
Geova: “Con qualcuno leale agirai con lealtà”. — 2 Samuele 22:26.
[Note in calce]
L’espressione “figli dei profeti” potrebbe indicare una scuola frequentata da coloro che erano chiamati a
svolgere questa professione o semplicemente un’associazione cooperativa di profeti.
Alcuni anni più tardi Elia scrisse un messaggio a Ieoram re di Giuda. — 2 Cronache 21:12-15.
Era consuetudine che un servitore versasse acqua sulle mani del padrone per lavargliele, specie dopo i
pasti. Questa abitudine era simile a quella di lavare i piedi, che era un atto di ospitalità, di rispetto e, in
certi rapporti, di umiltà. — Genesi 24:31, 32; Giovanni 13:5.

Eliu (figlio di Barachel) — Tema: I veri amici dicono la verità PROVERBI 27:6 N.T.

it-1 816-7 Eliu


ELIU
(Elìu) [il mio Dio è lui].
1. “Figlio di Barachel il buzita della famiglia di Ram”. Essendo discendente di Buz, Eliu doveva essere un
lontano parente di Abraamo. (Gb 32:1, 2, 6; Ge 22:20, 21) Probabilmente Eliu aveva ascoltato con molta
attenzione l’intera discussione fra Giobbe e i suoi tre presunti confortatori. Ma, per rispetto verso la loro
età, rimase in silenzio finché tutti non ebbero finito di parlare. Anche se alcuni critici moderni l’hanno
definito troppo loquace, dicendo che i suoi discorsi erano verbosi, quelle di Eliu non erano parole di un
giovane impertinente. Egli si rendeva perfettamente conto che la saggezza non è prerogativa esclusiva
delle persone anziane, ma che solo lo spirito di Dio rende veramente saggi. Perciò Eliu confidava
notevolmente nello spirito di Dio e poté così capire che Giobbe non si era reso conto che la
rivendicazione di Geova Dio è assai più importante di quella di qualsiasi uomo, e che i tre amici di Giobbe
avevano in effetti definito Dio malvagio. — Gb 32:2-9, 18.
Eliu fu imparziale e non rivolse a nessuno titoli adulatori. Riconosceva di essere fatto di argilla, come
Giobbe, e che l’Onnipotente era il suo Creatore. Eliu non aveva intenzione di intimorire Giobbe, ma gli
parlò come a un vero amico, chiamandolo per nome, cosa che Elifaz, Bildad e Zofar non avevano fatto.
— Gb 32:21, 22; 33:6.
Eliu esaltò in tutti i sensi la posizione del vero Dio: l’Onnipotente è giusto e ricompensa ciascuno secondo
la sua condotta. Giudica senza parzialità e si rende pienamente conto della condotta seguita dagli uomini.
Dio ode il grido degli afflitti. È un Insegnante che rende gli uomini più saggi della creazione animale. Dio
non ode solo ciò che non è veritiero, e perciò Eliu incoraggia Giobbe a confidare in Lui. Inoltre Eliu
assicura a Giobbe che Dio è con lui e che non conserverà in vita i malvagi, mentre quelli che Lo servono
“finiranno i loro giorni in ciò che è buono”. (Gb 36:11) Poi viene consigliato a Giobbe di magnificare
l’attività di Dio, il grande Provveditore, che dà cibo in abbondanza. Eliu richiama l’attenzione di Giobbe
sulle grandi cose che Dio ha fatto e su come controlla le forze della natura, incoraggiando Giobbe a
mostrarsi “attento alle meravigliose opere di Dio”. (Gb 37:14) Eliu conclude con nobili parole, dicendo a
proposito dell’Onnipotente: “È esaltato in potenza, e non sminuirà il diritto e l’abbondanza di giustizia.
Perciò lo temano gli uomini”. — Gb 37:23, 24; capp. 34-37.
Solo grazie allo spirito di Dio fu possibile a Eliu valutare le cose in modo corretto e pronunciare le parole
che si adempirono su Giobbe quando fu ristabilito: “Non farlo scendere nella fossa! Ho trovato un riscatto!
La sua carne divenga più fresca che nella giovinezza; torni egli ai giorni del suo vigore giovanile”. — Gb
33:24, 25.

w71 1/12 715 "Nessuno disprezzi la tua giovinezza"


7 Con questa condotta Eliu fu certo un eccellente esempio per giovani e vecchi. Questo ci rammenta che,
ogni volta e ovunque siamo invitati a difendere la verità della Parola di Dio, la nostra condotta dovrebbe
rispecchiare il giusto rispetto che è dovuto. Sapere ciò che è giusto e appropriato è una cosa; comportarci
in modo corretto nel dire ciò che è giusto è un’altra cosa. Chi mostra debito rispetto e si comporta
rettamente non fomenterà atti o parole insubordinate. Non istigherà a ribellarsi contro le leggi di Cesare, o
contro le leggi contenute nella Parola di Dio per guidare i cristiani. Non si farà giustizia da sé col pretesto
che le vie della giustizia e della legge sono troppo lente, superate e devono essere rivedute. Piuttosto,
come Eliu, difenderà ciò che è retto, ma con la sua condotta giusta mostrerà di apprezzare
profondamente la parola e i comandamenti di Geova Dio. Tale giusto decoro sarà quindi in armonia con il
consiglio dell’apostolo Pietro, che disse: “Mantenete la vostra condotta eccellente fra le nazioni, affinché,
nella cosa di cui parlano contro di voi come malfattori, in seguito alle vostre opere eccellenti delle quali
sono testimoni oculari glorifichino Dio nel giorno della sua ispezione”. — 1 Piet. 2:12.

w83 15/8 9-10 La modestia, prezioso ornamento per giovani e vecchi


La modestia, prezioso ornamento per giovani e vecchi
LA MODESTIA è una qualità alla quale non si può resistere. Può rendere gradito chi la possiede. E chi
non vuole rendersi gradito? Con buone ragioni quindi si può dire che la modestia è un prezioso
ornamento per giovani e vecchi.
Sembra però che i giovani in particolare abbiano difficoltà a sviluppare il giusto equilibrio per quanto
riguarda la modestia. Da una parte ci sono alcuni giovani che appaiono eccessivamente modesti. Esitano
ad accettare le responsabilità, rendendosi conto che purtroppo hanno conoscenza limitata e mancano di
esperienza. D’altra parte molti giovani sono troppo sicuri ed evidentemente non si rendono conto delle
loro limitazioni dovute a mancanza di esperienza. La Bibbia ci fa esempi di giovani di entrambe le specie.
Esempi contrastanti
Il caso di Roboamo, figlio del re Salomone, illustra le terribili conseguenze che può avere la mancanza di
modestia. Era molto giovane quando prese il posto del padre sul trono delle dodici tribù d’Israele. Quando
il popolo supplicò Roboamo di ridurre i loro pesi, cosa fece? I consiglieri anziani gli raccomandarono
d’essere compassionevole, ma lui respinse il loro saggio consiglio. Roboamo accettò invece il consiglio
dei più giovani, che gli suggerirono di trattare duramente il popolo al quale disse: “Mio padre vi ha
imposto un giogo pesante; io renderò ancora più grave il vostro giogo. Mio padre vi ha castigati con
fruste, io vi castigherò con flagelli”. Se Roboamo fosse stato un giovane modesto, avrebbe ascoltato i
consiglieri anziani e alleviato i pesi del popolo. Poiché non lo fece, perse 10 delle 12 tribù. — I Re 12:3-
24, CEI.
Eliu fu in netto contrasto con Roboamo. Egli diede un ottimo esempio a tutti i giovani d’oggi, non essendo
né eccessivamente riservato né troppo sicuro di sé. Anche se Eliu aveva per così dire tutte le risposte,
per giorni ascoltò pazientemente Giobbe e i suoi ipocriti sedicenti confortatori. Con debita modestia, parlò
solo quando ‘le parole di Giobbe erano giunte alla fine’. “Io sono giovane di giorni e voi siete anziani”,
disse Eliu. “Perciò mi son trattenuto e ho avuto timore di dichiararvi la mia conoscenza”. — Giobbe 31:40;
32:4-7.
Le parole di Eliu furono molto più efficaci e autorevoli perché attese che parlassero quegli uomini anziani!
Evidentemente Eliu conosceva la soluzione del problema, mentre loro avevano mostrato chiaramente di
non capire la questione. E qual era quella questione? Riguardava la legittimità della sovranità di Geova
Dio e se Egli poteva avere persone sulla terra che Gli si dimostrassero fedeli indipendentemente da ciò
che dovevano soffrire. — Giobbe 1:7–2:10.
Considerate anche Geremia. Quando Geova Dio gli affidò l’incarico di profeta, si dichiarò incapace a
causa della sua relativa giovinezza. Ma Dio replicò: “Non dire: ‘Non sono che un ragazzo’. Ma a tutti quelli
ai quali ti manderò, dovresti andare; e tutto ciò che ti comanderò, dovresti pronunciare. Non aver timore a
causa delle loro facce, poiché ‘io sono con te per liberarti’”. (Geremia 1:7, 8) Con l’aiuto dello spirito di
Dio, Geremia vinse la sua timidezza e pronunciò intrepidamente i messaggi di Dio. Il profeta comunque
non arrivò mai al punto d’essere arrogante. Quando si trovò davanti a re e ad altri funzionari, parlò
sempre con il profondo rispetto che si addice al modesto.
Dal Racconto ispirato deduciamo che Timoteo era un altro giovane modesto e per di più alquanto timido
o riservato. Anche se la Bibbia non lo dichiara specificamente, possiamo capirlo da quello che dice. Si
noti che a Timoteo fu detto da un amico più attempato, l’apostolo Paolo: “Nessuno disprezzi la tua
giovinezza”. Se Timoteo fosse stato troppo sicuro di sé, certo Paolo non avrebbe avuto motivo di dirgli
queste parole. Con tutta probabilità fu sempre a causa della modestia e della riservatezza di Timoteo che
Paolo ritenne necessario dare alla congregazione di Corinto questo consiglio: “Se arriva Timoteo, fate in
modo che sia senza timore fra voi, poiché egli compie l’opera di Geova, come la compio io. Nessuno,
perciò, lo disprezzi”. — I Timoteo 4:12; I Corinti 16:10, 11.
Ovviamente i cristiani, giovani e vecchi, vorranno evitare la condotta immodesta e poco saggia di
Roboamo. Ma fanno bene a imitare i modi rispettosi e modesti di Eliu. E da Geremia e Timoteo i giovani
cristiani possono imparare che devono modestamente ma coraggiosamente avanzare nel servizio di
Geova, anche se sono alquanto timidi o riservati. Se perseverano, col tempo otterranno qualcosa che
accrescerà notevolmente il loro servizio a Geova.
Il valore dell’esperienza
I giovani hanno molte cose per cui essere grati. Riguardo ai loro privilegi, il saggio re Salomone disse:
“Rallegrati, giovane, nella tua adolescenza, e ti faccia bene il tuo cuore nei giorni della tua gioventù, e
cammina nelle vie del tuo cuore e nelle cose viste dai tuoi occhi. — Ecclesiaste 11:9.
Ma con salute ed energia fisica in abbondanza e, spesso, con la testa piena di cultura libresca, di
frequente i giovani sono inclini ad avere troppa fiducia nelle proprie capacità. Così forse credono di poter
risolvere i problemi che affliggono gli anziani da generazioni. Ma nonostante tutta la loro cultura, il loro
ardore e la loro forza fisica, resta il fatto che i giovani non hanno esperienza. Probabilmente fu per questo
che il commediografo romano Plauto osservò che “la modestia si addice al giovane”. Di solito
l’esperienza mitiga l’entusiasmo dell’individuo, il suo ardore e la sua sicurezza. È stato detto infatti che un
giovane medico comincia la carriera con cento rimedi per ogni malattia, ma con anni di esperienza scopre
che ci sono cento mali per ogni rimedio!
Sì, l’esperienza è ciò che fa differenza! La Bibbia dichiara perfino che Gesù Cristo fu reso perfetto per il
suo incarico di Re e Sommo Sacerdote mediante l’esperienza, per le cose che soffrì. (Ebrei 4:15; 5:8, 9)
È stato detto che l’esperienza è una maestra costosa, ma gli stolti non imparano da nessun altro.
Naturalmente, il mondo è pieno di persone prive della modestia necessaria per imparare anche
dall’esperienza. Eppure l’esperienza può veramente aiutare chi è modesto a diventare saggio.

w94 15/11 16-18 La ricompensa di Giobbe è fonte di speranza


8 Lì vicino c’era il giovane Eliu, discendente di Buz figlio di Nahor e quindi lontano parente di Abraamo,
l’amico di Geova. (Isaia 41:8) Eliu mostrò rispetto per quelli più grandi di lui ascoltando entrambe le parti
nel dibattito. Nondimeno parlò intrepidamente riguardo a cose nelle quali essi erano in torto. Per
esempio, “la sua ira divampò contro Giobbe perché aveva dichiarato giusta la sua propria anima anziché
Dio”. L’ira di Eliu fu rivolta in particolare contro i falsi confortatori. Con le loro dichiarazioni
apparentemente esaltavano Dio, ma in realtà lo vituperavano schierandosi dalla parte di Satana nella
controversia. “Pieno di parole” e mosso dallo spirito santo, Eliu fu un imparziale testimone di Geova. —
Giobbe 32:2, 18, 21.
9 Giobbe si era preoccupato più di rivendicare se stesso che Dio. In effetti aveva conteso con Dio. Mentre
la sua anima si avvicinava alla morte, ci fu però un’indicazione che Giobbe sarebbe stato ristabilito. In
che modo? Ebbene, Eliu fu spinto a dire che Geova aveva favorito Giobbe con questo messaggio: “Non
farlo scendere nella fossa! Ho trovato un riscatto! La sua carne divenga più fresca che nella giovinezza;
torni egli ai giorni del suo vigore giovanile”. — Giobbe 33:24, 25.
10 Eliu corresse Giobbe perché aveva detto che non c’era alcun profitto nel provare piacere in Dio
mantenendo l’integrità. Eliu disse: “Lungi sia dal vero Dio l’agire malvagiamente, e dall’Onnipotente l’agire
ingiustamente! Poiché secondo il modo in cui l’uomo terreno agisce egli lo ricompenserà”. Giobbe aveva
agito avventatamente dando risalto alla propria giustizia, ma lo aveva fatto senza adeguata conoscenza e
perspicacia. Eliu aggiunse: “Lascia che Giobbe sia provato fino al limite riguardo alle sue risposte fra gli
uomini di nocività”. (Giobbe 34:10, 11, 35, 36) Similmente possiamo dimostrare pienamente la nostra
fede e la nostra integrità solo se in qualche modo siamo ‘provati fino al limite’. Tuttavia il nostro
amorevole Padre celeste non lascerà che siamo tentati oltre ciò che possiamo sopportare. — 1 Corinti
10:13.
11 Continuando, Eliu mostrò di nuovo che Giobbe dava troppo risalto alla propria giustizia. L’attenzione
deve essere rivolta al nostro grande Fattore. (Giobbe 35:2, 6, 10) Dio “non conserverà in vita nessun
malvagio, ma darà il giudizio degli afflitti”, disse Eliu. (Giobbe 36:6) Nessuno può chiedere conto a Dio e
dire che è stato ingiusto. Dio è più sublime di quanto possiamo immaginare e i suoi anni, essendo infiniti,
sono imperscrutabili. (Giobbe 36:22-26) Quando siamo duramente provati, ricordiamo che il nostro Dio
eterno è giusto e ci ricompenserà per le fedeli attività che svolgiamo alla sua lode.
12 Mentre Eliu parlava, si stava addensando una tempesta. Al suo avvicinarsi, il cuore di Eliu cominciò a
sobbalzare e a tremare. Dopo aver descritto alcune grandi opere di Geova, egli disse: “Presta orecchio a
questo, o Giobbe; sta fermo e mostrati attento alle meravigliose opere di Dio”. Come Giobbe, dobbiamo
riflettere sulle meravigliose opere di Dio e sulla sua tremenda dignità. “In quanto all’Onnipotente, non lo
abbiamo trovato”, disse Eliu. Egli “è esaltato in potenza, e non sminuirà il diritto e l’abbondanza di
giustizia. Perciò lo temano gli uomini”. (Giobbe 37:1, 14, 23, 24) Le espressioni conclusive di Eliu ci
rammentano che quando fra poco Dio eseguirà il giudizio sui malvagi, non sminuirà la giustizia e
preserverà coloro che lo temono e lo adorano con riverenza. Che privilegio essere fra gli uomini
d’integrità che riconoscono Geova quale Sovrano universale! Perseverate come fece Giobbe e non
permettete mai al Diavolo di allontanarvi dal vostro benedetto posto in mezzo a tali felici schiere.

W67 15-3 P.173


Enoc (figlio di Iared) — Tema: Camminate con Geova MICHEA 6:8

it-1 824 Enoc


ENOC
(Ènoc) [addestrato; inaugurato [quindi, dedicato, iniziato]].
2. Figlio nato a Iared quando aveva 162 anni; il settimo uomo nella discendenza da Adamo. Oltre a
Metusela, natogli quando aveva 65 anni, Enoc ebbe altri figli e figlie. Enoc fu uno del “così gran nuvolo di
testimoni” che furono notevoli esempi di fede nell’antichità. “Enoc continuò a camminare con il vero Dio”.
(Ge 5:18, 21-24; Eb 11:5; 12:1) In qualità di profeta di Geova, predisse la venuta di Dio con le Sue sante
miriadi per eseguire il giudizio contro gli empi. (Gda 14, 15) Probabilmente le sue profezie attirarono su di
lui la persecuzione. Dio però non permise agli oppositori di uccidere Enoc. Anzi, Geova “lo prese”, cioè
troncò la sua vita all’età di 365 anni, un’età molto inferiore a quella di gran parte dei suoi contemporanei.
Enoc fu “trasferito in modo da non vedere la morte”, il che può significare che Dio lo fece cadere in uno
stato di estasi profetica e pose fine alla sua vita mentre egli era in estasi, così che Enoc non provò le
doglie della morte. (Ge 5:24; Eb 11:5, 13) Comunque non fu portato in cielo, come fanno notare le chiare
parole di Gesù in Giovanni 3:13. Sembra che, come nel caso del corpo di Mosè, Geova abbia fatto
sparire il corpo di Enoc, dal momento che “non fu trovato in nessun luogo”. — De 34:5, 6; Gda 9.
Enoc non è lo scrittore del “Libro di Enoc”, libro apocrifo, non ispirato, scritto molti secoli più tardi,
probabilmente nel II-I secolo a.E.V.

w77 15/8 485-8 Un uomo che ebbe il coraggio di parlare


Un uomo che ebbe il coraggio di parlare
QUANTI hanno il coraggio di difendere ciò che è giusto quando sono circondati da persone che fanno il
male? L’avete voi? Supponete si tratti di un problema religioso o spirituale. C’è alcun vantaggio a
parlare?
Al principio della storia umana visse un uomo che ebbe il coraggio di parlare di cose spirituali. Fu Enoc,
figlio di Iared. Enoc fu il settimo nella linea genealogica da Adamo, padre della razza umana. — Gen.
5:18; Giuda 14.
‘ENOC CAMMINÒ CON DIO’
Che persona fu Enoc? Pur essendo imperfetto come tutti noi, “Enoc continuò a camminare col vero Dio”.
(Gen. 5:24) Egli tenne una condotta in armonia con la verità che Dio aveva rivelata. La sua vita fu in
armonia con la volontà e il proposito di Geova Dio. E sicuramente Enoc ebbe fede che sarebbero venute
grandi benedizioni per mezzo del seme della “donna” di Dio. (Gen. 3:15) Non vi è nessuna esplicita
indicazione che al giorno di Enoc vi fosse qualche altro uomo che ‘camminava con Dio’. Almeno pare che
sotto questo aspetto egli fosse l’unico.
CLIMA RELIGIOSO DI QUEL TEMPO
La situazione spirituale esistente fra l’umanità era notevolmente degenerata all’epoca della nascita di
Enoc nell’anno 3404 avanti l’Èra Volgare. Col passare degli anni, le opere empie erano divenute sempre
più numerose. Il figlio di Adamo, Abele, quale testimone di Dio, aveva invocato il nome di Geova, e per la
sua fedeltà aveva subìto il martirio. (Gen. 4:4-8; Ebr. 11:4) Più di un secolo dopo, Set figlio di Adamo
generò un figlio a cui mise nome Enos. Che cosa accadde ai giorni di Enos? La Scrittura ci dice: “In quel
tempo si cominciò a invocare il nome di Geova”. (Gen. 4:25, 26; 5:3, 6) Fu quello un risveglio della vera
adorazione?
No. Studiosi ebrei affermano che questo versetto dovrebbe dire ‘cominciarono a invocare il nome di Dio
in modo profano’ o “allora cominciò la profanazione”. Il Targum palestinese dichiara: “Quella fu la
generazione nei cui giorni cominciarono a errare e a farsi degli idoli, e soprannominarono i loro idoli con il
nome della parola del Signore”. Sembra che abusassero del nome di Geova. Può darsi che gli uomini lo
applicassero a sé o a certuni per mezzo dei quali asserivano di rendere adorazione a Geova. O può darsi
che attribuissero il nome divino a degli idoli.
Ad ogni modo, quell’“invocare il nome di Geova” in modo blasfemo non significò certo un ritorno alla pura
adorazione del vero Dio. Quelle persone non camminavano con Dio. Non è scritto da nessuna parte che
qualche uomo camminasse con Dio finché non nacque Enoc, 387 anni dopo la nascita di Enos. Al giorno
di Enoc, si compivano comunemente opere vergognose ed empie e predominava la falsa adorazione. Ma
nonostante la corruzione spirituale di cui era circondato, Enoc “continuò a camminare col vero Dio”. —
Gen. 5:22.
ENOC SERVE QUALE PROFETA DI DIO
Il fedele Enoc non passò sotto silenzio l’errore religioso e le opere empie. Uomo di eccezionale fede, fu
uno del “gran nuvolo di testimoni” di Geova. (Ebr. 11:5; 12:1) Enoc, un semplice uomo imperfetto, un
testimone isolato tra i malfattori, ebbe il coraggio di parlare.
“Ecco”, dichiarò Enoc, “Geova è venuto con le sue sante miriadi, per eseguir giudizio contro tutti, e per
convincere tutti gli empi di tutte le loro empie opere che hanno empiamente fatte e di tutte le cose
offensive che gli empi peccatori han dette contro di lui”. (Giuda 14, 15) Sì, Enoc parlò coraggiosamente
come fedele profeta umano di Dio. Infatti, la profezia di Enoc fu probabilmente resa nota con la
predicazione, come anche Noè in seguito fu un “predicatore”. (2 Piet. 2:5) Tuttavia, Enoc non fece una
campagna di sua iniziativa. Parlò mosso dallo spirito santo o forza attiva di Geova. Quindi, sebbene
avesse il coraggio di parlare, parlò con la forza che Dio impartisce. — Filip. 4:13.
Non è rivelato come il discepolo Giuda, che nel primo secolo E.V. mise per iscritto le parole di Enoc,
venisse a conoscenza della profezia. Non si trova negli scritti di Mosè, che compose il racconto di
Genesi. Nondimeno, Giuda scrisse sotto ispirazione divina, e perciò che la profezia di Enoc sia inclusa
nella sua lettera prova che quelle parole sono autentiche.
Giuda parlava di certi “uomini empi” che si erano infiltrati nella congregazione cristiana. (Giuda 4) In
riferimento a loro citò la profezia di Enoc sulla venuta di Geova per eseguire il giudizio contro gli empi.
Quelle parole ebbero senz’altro un notevole effetto nel primo secolo.
Ma pensate solo quale effetto ebbero le parole profetiche di Enoc sugli empi del suo giorno! Avrebbero
quei malfattori udito con gioia che ‘Geova verrà con le sue sante miriadi per eseguire il giudizio contro gli
empi’? No di certo! Ci vollero indubbiamente coraggio e il sostegno di Geova per parlare in mezzo a
quegli ingiusti che praticavano la falsa religione. Come dovettero desiderar di mettere a tacere la lingua di
Enoc!
DIO INTERVIENE
Quegli empi dovettero desiderar di uccidere colui che Dio impiegava per smascherare la loro falsa
adorazione e le loro “empie opere”. Ma qualsiasi piano di questo genere facessero fu sventato. Come? Ci
è detto: “Quindi [Enoc] non fu più, poiché Dio lo prese”. (Gen. 5:24) Geova non permise agli avversari di
Enoc di uccidere il Suo leale profeta. Invece, Dio “lo prese”. Ma che cosa significa questo?
A questo riguardo, l’apostolo cristiano Paolo scrisse: “Per fede Enoc fu trasferito in modo da non vedere
la morte e non fu trovato in nessun luogo perché Dio l’aveva trasferito; poiché prima del suo trasferimento
ebbe la testimonianza d’essere stato accetto a Dio”. (Ebr. 11:5) Il dott. James Moffatt rese il versetto in
questo modo: “Fu per fede che Enoc fu portato in cielo, così che non morì mai (non fu sopraffatto dalla
morte, perché Dio lo aveva portato via)”. Ma come potrebbe essere corretta questa versione? Il Salmo
89:48 chiede: “Quale uomo robusto che è in vita non vedrà la morte?”
Enoc fu un uomo imperfetto. Dal suo antenato Adamo aveva ereditato il peccato e la morte. “Per mezzo
di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e la morte per mezzo del peccato”, scrisse l’apostolo Paolo,
“e così la morte si estese a tutti gli uomini perché tutti avevano peccato”. (Rom. 5:12) Inoltre, Gesù Cristo
dichiarò: “Nessun uomo è asceso al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo”. (Giov.
3:13) Quindi, Enoc morì, ma Dio non lo portò in cielo.
Invece “Dio lo prese” facendo sparire Enoc dalla scena con una morte serena quando questo fedele
profeta aveva 365 anni. (Gen. 5:23, 24) Quell’età era molto inferiore alla durata di vita della maggioranza
dei suoi contemporanei. Enoc non morì di morte violenta per mano dei suoi persecutori. Né c’è alcuna
indicazione nelle Scritture che soffrisse di salute cagionevole i cui effetti conducono così spesso alla
morte. Perciò, sembra che Enoc non provasse gli spasimi della morte. In tal caso, egli non ‘vide la morte’
nel senso che non si rese conto di morire.
Dopo la morte di questo coraggioso profeta avvenuta in qualche luogo non rivelato, Geova fece sparire in
segreto il suo corpo, come avvenne in seguito con il corpo di Mosè. (Deut. 34:5-7) Gli avversari di Enoc
non riuscirono mai a trovare il suo corpo e ad abusarne.
IL ‘TRASFERIMENTO’ DI ENOC
In qualche modo, quindi, Enoc “fu trasferito in modo da non vedere la morte” dopo avere avuto “la
testimonianza d’essere stato accetto a Dio”. (Ebr. 11:5) La parola greca resa “trasferito” in questo
versetto significa “trasferire”, “trasportare” o “cambiare di luogo a”. Fa pensare a ciò che accadde
all’apostolo Paolo, che fu trasferito o rapito “al terzo cielo”, o “in paradiso”. In quello stato Paolo ricevette
evidentemente una visione da Dio del futuro paradiso spirituale della congregazione cristiana. — 2 Cor.
12:1-4.
Essendo Enoc un profeta è possibile che Dio lo ‘prendesse’ mentre Enoc era in un simile stato di estasi.
Può darsi che Geova lo facesse addormentare nella morte mentre era in una trance profetica e aveva
una visione del nuovo ordine paradisiaco di Dio in cui Geova “effettivamente inghiottirà la morte per
sempre”. (Isa. 25:8) Nel caso di Enoc, la risurrezione dai morti potrà rappresentare il passaggio da
un’avvincente visione a una meravigliosa realtà. — Atti 24:15.
DI CHE UTILITÀ È OGGI?
Oggi le persone devote possono trarre grande beneficio dalle esperienze e dall’eccellente esempio di
Enoc. Come lui, possono ‘camminare con Dio’ nella fede, vivendo in armonia con la volontà e il proposito
divino. Pur essendo imperfette come Enoc, possono essere fedeli testimoni di Geova, come lo fu lui. —
Ebr. 12:1.
Oggi Geova non ‘prende’ le persone devote facendole sparire dalla scena così come “prese” Enoc. Per
mezzo dello spirito santo, Dio sostiene il suo popolo mentre è perseguitato per amore della giustizia. Essi
possono rallegrarsi malgrado varie prove, avendo fiducia che Dio non permetterà loro di subire più di
quello che possono sopportare. (Matt. 5:10; 1 Cor. 10:13; 1 Piet. 1:6, 7) Tuttavia, se muoiono fedeli,
come Enoc queste persone devote hanno la speranza della risurrezione. — Giov. 5:28, 29.
Sebbene non l’abbiano visto in visione, il futuro paradiso terrestre è del tutto reale per i cristiani. Sanno
che sarà stabilito. (Luca 23:43) Sono fin d’ora in un paradiso spirituale.
In armonia con l’avvertimento profetico di Enoc, Geova eseguì il giudizio contro gli empi durante il diluvio
del giorno di Noè. Ma quella profezia è d’incoraggiamento anche per i cristiani d’oggi, poiché mostra che
alla distruzione di Babilonia la Grande, l’impero mondiale della falsa religione, e durante la guerra di Dio
ad Har-Maghedon, gli empi saranno distrutti, annientati dalle sante miriadi di Dio. Il Signore Gesù Cristo
sarà responsabile di quell’opera di esecuzione. — Riv. 16:14-16; 18:1-24; 19:11-16.
Come Enoc, perciò, oggi i cristiani dichiarano il messaggio di Dio, sia che esso si riferisca ai giudizi divini
contro gli empi o al Suo glorioso proposito di benedire l’umanità sotto il dominio del Regno celeste. I
Testimoni di Geova hanno il coraggio di parlare di tali cose.

w93 15/11 12-13 Camminate con coraggio nelle vie di Geova


Camminate con coraggio nelle vie di Geova
“Felice è chiunque teme Geova, chi cammina nelle sue vie”. — SALMO 128:1.
NELLA Sacra Parola di Geova troviamo moltissimi racconti che descrivono le prove e le gioie dei suoi
leali servitori. Leggendoli riviviamo episodi della vita di Noè, Abraamo, Sara, Giosuè, Debora, Barac,
Davide e altri. Furono tutte persone reali che avevano in comune qualcosa di particolare. Avevano fede in
Dio e camminavano con coraggio nelle sue vie.
2 Le parole e gli atti di antichi testimoni di Geova possono essere per noi fonte di incoraggiamento mentre
ci sforziamo di camminare nelle vie di Dio. Saremo inoltre felici se manifesteremo riverenza verso Dio e
sano timore di dispiacergli. Questo vale anche quando nella vita affrontiamo delle prove, poiché il
salmista ispirato cantò: “Felice è chiunque teme Geova, chi cammina nelle sue vie”. — Salmo 128:1.
Cos’è il coraggio
3 Per camminare nelle vie di Geova ci vuole coraggio. Le Scritture stesse comandano ai servitori di Dio di
manifestare questa qualità. Per esempio, il salmista Davide cantò: “Siate coraggiosi, e sia forte il vostro
cuore, voi tutti che aspettate Geova”. (Salmo 31:24) Il coraggio è definito “forza morale che mette in
grado di intraprendere grandi cose e di affrontare difficoltà e pericoli di ogni genere con piena
responsabilità”. (Zingarelli, 12a edizione) La persona coraggiosa è forte, ardita, valorosa. Che Geova dia
coraggio ai suoi servitori è evidente dalle parole che l’apostolo Paolo rivolse al suo collaboratore Timoteo:
“Dio non ci diede uno spirito di codardia, ma di potenza e di amore e di sanità di mente”. — 2 Timoteo
1:7.
4 Un modo per acquistare il coraggio che Geova Dio dà è quello di considerare attentamente e
devotamente la sua Parola, la Bibbia. Molti racconti contenuti nelle Scritture possono aiutarci a divenire
più coraggiosi. Perciò vediamo prima cosa possiamo imparare da ciò che dicono le Scritture Ebraiche
riguardo ad alcuni che camminarono con coraggio nelle vie di Geova.
Coraggio di dichiarare il messaggio di Dio
5 Il coraggio di Enoc può aiutare gli odierni servitori di Geova Dio ad annunciare coraggiosamente il Suo
messaggio. Prima che Enoc nascesse, “si cominciò a invocare il nome di Geova”. Secondo alcuni
studiosi, gli uomini cominciarono a invocare il nome di Geova “in modo blasfemo”. (Genesi 4:25, 26; 5:3,
6) Può darsi che il nome divino venisse applicato a uomini o addirittura a idoli. Perciò quando nel 3404
a.E.V. nacque Enoc, la falsa religione era fiorente. Sembra infatti che egli fosse il solo a ‘camminare con
Dio’, seguendo una condotta giusta in armonia con la rivelata verità di Geova. — Genesi 5:18, 24.
6 Enoc annunciò con coraggio il messaggio di Dio, probabilmente predicando. (Ebrei 11:5; confronta 2
Pietro 2:5). “Ecco”, dichiarò quel testimone solitario, “Geova è venuto con le sue sante miriadi, per
eseguir giudizio contro tutti, e per convincere tutti gli empi di tutte le loro empie opere che hanno
empiamente fatto e di tutte le cose offensive che gli empi peccatori hanno detto contro di lui”. (Giuda 14,
15) Enoc ebbe il coraggio di usare il nome di Geova nel dichiarare quel messaggio di condanna per gli
empi. E come Geova Dio diede ad Enoc il coraggio di annunciare quel messaggio vigoroso, così ha dato
ai Suoi Testimoni odierni la forza di dichiarare intrepidamente la Sua parola nel ministero, a scuola e
altrove. — Confronta Atti 4:29-31.

w97 15/1 29-31 Enoc: Intrepido malgrado le circostanze avverse


Enoc: Intrepido malgrado le circostanze avverse
PER un uomo buono, era il tempo peggiore. La terra era piena di empietà. La condizione morale
dell’uomo scendeva sempre più in basso. Infatti presto si sarebbe detto: “Geova vide che la cattiveria
dell’uomo era abbondante sulla terra e che ogni inclinazione dei pensieri del suo cuore era solo cattiva in
ogni tempo”. — Genesi 6:5.
Enoc, il settimo uomo nella discendenza da Adamo, ebbe il coraggio di essere diverso. Egli sostenne con
fermezza la giustizia indipendentemente dalle conseguenze. Per gli empi peccatori il messaggio di Enoc
era così fastidioso che decisero di ucciderlo, e solo Geova poté aiutarlo. — Giuda 14, 15.
Enoc e la contesa universale
Molto tempo prima della nascita di Enoc era stata sollevata la contesa della sovranità universale. Dio
aveva il diritto di governare? In sostanza Satana il Diavolo disse di no. Sostenne che le creature
intelligenti si sarebbero trovate meglio se fossero state indipendenti dalla guida di Dio. Satana cercò di
produrre delle prove contro Geova Dio manovrando per trarre le creature umane dalla sua parte. Adamo,
sua moglie Eva e il loro primo figlio, Caino, sono tristemente noti per essersi schierati dalla parte di
Satana, scegliendo di governarsi da soli anziché farsi governare da Dio. La prima coppia umana fece
questo prendendo del frutto che Dio aveva proibito e Caino lo fece assassinando deliberatamente suo
fratello Abele, che era giusto. — Genesi 3:4-6; 4:8.
Abele era rimasto coraggiosamente dalla parte di Geova. Dato che Abele, con la sua integrità, aveva
promosso la pura adorazione, senza dubbio Satana fu molto felice di vedere Caino sfogare la sua ira
omicida sul fratello. Da allora Satana si è servito del “timore della morte” come di un’arma intimidatoria.
Vuole suscitare timore nel cuore di chiunque sia incline ad adorare il vero Dio. — Ebrei 2:14, 15; Giovanni
8:44; 1 Giovanni 3:12.
Al tempo della nascita di Enoc, l’idea di Satana che gli uomini non avrebbero sostenuto la sovranità di
Geova era probabilmente ben affermata. Abele era morto e il suo fedele esempio non veniva seguito.
Tuttavia Enoc si dimostrò un’eccezione. Egli aveva una base sicura per nutrire fede, poiché conosceva
bene i fatti che si erano verificati nel giardino di Eden. Come deve aver fatto tesoro della profezia di
Geova secondo cui un Seme promesso avrebbe posto fine a Satana e ai suoi stratagemmi! — Genesi
3:15.
Nutrendo sempre questa speranza, Enoc non si fece intimidire dall’assassinio di Abele, istigato dal
Diavolo, un evento di portata storica. Continuò invece a camminare con Geova, cercando per tutta la vita
di seguire la via giusta. Enoc si tenne separato dal mondo, evitandone lo spirito indipendente. — Genesi
5:23, 24.
Inoltre Enoc parlò con coraggio e indicò chiaramente che le malvage opere del Diavolo non avrebbero
avuto successo. Sotto l’influsso dello spirito santo, o forza attiva, di Dio, Enoc profetizzò riguardo ai
malvagi: “Ecco, Geova è venuto con le sue sante miriadi, per eseguir giudizio contro tutti, e per
convincere tutti gli empi di tutte le loro empie opere che hanno empiamente fatto e di tutte le cose
offensive che gli empi peccatori hanno detto contro di lui”. — Giuda 14, 15.
A causa delle sue intrepide proclamazioni, l’apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani ebrei, incluse Enoc nel
gran “nuvolo di testimoni” che diedero un esempio di autentica fede all’opera. (Ebrei 11:5; 12:1) Essendo
un uomo di fede, Enoc perseverò seguendo una condotta integra per più di 300 anni. (Genesi 5:22) La
sua fedeltà deve avere veramente irritato i nemici di Dio in cielo e sulla terra! La vigorosa profezia di Enoc
suscitò l’odio di Satana, ma gli assicurò la protezione di Geova.
Dio prese Enoc: In che modo?
Geova non permise a Satana o ai suoi servitori terreni di uccidere Enoc. Invece il racconto ispirato dice:
“Dio lo prese”. (Genesi 5:24) L’apostolo Paolo descrive il fatto così: “Per fede Enoc fu trasferito in modo
da non vedere la morte, e non fu trovato in nessun luogo perché Dio l’aveva trasferito; poiché prima del
suo trasferimento ebbe la testimonianza d’essere stato accetto a Dio”. — Ebrei 11:5.
In che senso Enoc “fu trasferito in modo da non vedere la morte”? O, com’è reso nella traduzione di R. A.
Knox, in che senso Enoc fu “preso senza fare l’esperienza della morte”? Dio pose fine serenamente alla
vita di Enoc, risparmiandogli le doglie di una morte per malattia o di una morte violenta per mano dei suoi
nemici. Sì, Geova troncò la vita di Enoc a 365 anni, quando era relativamente giovane in paragone con i
suoi contemporanei.
In che senso Enoc ricevette “la testimonianza d’essere stato accetto a Dio”? Quali prove ebbe?
Probabilmente Dio fece cadere Enoc in estasi, come accadde all’apostolo Paolo, che fu “rapito”, o
trasferito, ricevendo a quanto sembra una visione del futuro paradiso spirituale della congregazione
cristiana. (2 Corinti 12:3, 4) La testimonianza, o prova, che Enoc era stato accetto a Dio poté comportare
una visione del futuro paradiso terrestre in cui tutti i viventi sosterranno la sovranità di Dio. Forse fu
mentre Enoc aveva una tale visione estatica che Dio lo prese facendolo addormentare in una morte
indolore fino al giorno della sua risurrezione. Pare che, come nel caso di Mosè, Geova abbia fatto sparire
il corpo di Enoc, dal momento che “non fu trovato in nessun luogo”. — Ebrei 11:5; Deuteronomio 34:5, 6;
Giuda 9.
Adempiuta la profezia
Oggi i testimoni di Geova dichiarano in sostanza la profezia di Enoc. Mostrano con le Scritture come si
adempirà quando nel prossimo futuro Dio distruggerà gli empi. (2 Tessalonicesi 1:6-10) Il loro messaggio
li rende impopolari, poiché esso è molto diverso dalle idee e dagli obiettivi di questo mondo.
L’opposizione che incontrano non li sorprende, poiché Gesù avvertì i suoi seguaci: “Sarete oggetto di
odio da parte di tutti a causa del mio nome”. — Matteo 10:22; Giovanni 17:14.
Come Enoc, però, i cristiani odierni hanno l’assicurazione che saranno infine liberati dalle mani dei loro
nemici. L’apostolo Pietro scrisse: “Geova sa liberare le persone di santa devozione dalla prova, ma
riservare gli ingiusti al giorno del giudizio perché siano stroncati”. (2 Pietro 2:9) Dio può ritenere
opportuno eliminare un problema o una situazione difficile. La persecuzione può finire. Ma anche se ciò
non fosse, egli sa fare “la via d’uscita” affinché i suoi servitori riescano a sopportare le prove. Geova
provvede anche “potenza oltre ciò che è normale” quando è necessario. — 1 Corinti 10:13; 2 Corinti 4:7.
Essendo “il rimuneratore di quelli che premurosamente lo cercano”, Geova benedirà i suoi servitori fedeli
dando loro anche la vita eterna. (Ebrei 11:6) Per la stragrande maggioranza di loro, sarà la vita eterna in
un paradiso terrestre. Come Enoc, proclamiamo dunque intrepidamente il messaggio di Dio.
Proclamiamolo con fede, malgrado le circostanze avverse.
[Note in calce]
Adamo aveva 622 anni quando nacque Enoc. Enoc continuò a vivere circa 57 anni dopo la morte di
Adamo. Quindi la loro vita si sovrappose per parecchio tempo.
La versione “testimoni” in Ebrei 12:1 si basa sulla parola greca màrtys. Secondo un libro, questo termine
indica “uno che attesta, o può attestare, ciò che ha visto o udito o di cui è venuto in qualsiasi altro modo a
conoscenza”. (Wuest’s Word Studies From the Greek New Testament) Un’altra pubblicazione, a cura di
Nigel e Turner, dice che il termine si riferisce a uno che parla “per esperienza personale . . ., e per
convinzione in merito a verità e punti di vista”. — Christian Words.

[Riquadro a pagina 30]


Profanato il nome di Dio
Circa quattro secoli prima di Enoc nacque Enos, nipote di Adamo. “In quel tempo si cominciò a invocare
il nome di Geova”, dice Genesi 4:26. Alcuni studiosi di ebraico credono che questo versetto dovrebbe
leggersi si “cominciò in modo profano” a invocare il nome di Dio o “cominciò la profanazione”. Riguardo a
questo periodo, il Targum gerosolimitano dice: “Quella fu la generazione ai cui giorni cominciarono a
errare, e a farsi idoli, e chiamarono i loro idoli col nome della Parola del Signore”.
Ai giorni di Enos si abusò estesamente del nome di Geova. È possibile che alcuni abbiano applicato il
nome divino a se stessi o ad altre persone per mezzo delle quali pretendevano di accostarsi a Geova Dio
per adorarlo. O può darsi che abbiano dato il nome di Dio a idoli. Comunque sia, Satana il Diavolo aveva
sicuramente intrappolato il genere umano nel laccio dell’idolatria. Al tempo della nascita di Enoc, erano
pochi quelli che praticavano la vera adorazione. Chiunque fosse come Enoc, che viveva la verità e la
predicava, era impopolare e quindi perseguitato. — Confronta Matteo 5:11, 12.

[Riquadro a pagina 31]


Enoc andò in cielo?
“Per fede Enoc fu trasferito in modo da non vedere la morte”. Nel tradurre questa parte di Ebrei 11:5,
alcune versioni della Bibbia indicano che Enoc non morì realmente. Per esempio, la versione di James
Moffatt dice: “Fu per fede che Enoc fu portato in cielo così che non morì mai”. — A New Translation of the
Bible.
Circa 3.000 anni dopo i giorni di Enoc, tuttavia, Gesù Cristo dichiarò: “Nessun uomo è asceso al cielo se
non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo”. (Giovanni 3:13) La versione della CEI dice:
“Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo”. Quando Gesù fece
questa dichiarazione, neppure lui era asceso al cielo. — Confronta Luca 7:28.
L’apostolo Paolo afferma che Enoc e altri che formano il gran nuvolo di testimoni precristiani “morirono
tutti” e “non ottennero l’adempimento della promessa”. (Ebrei 11:13, 39) Perché? Perché tutti gli uomini,
Enoc compreso, hanno ereditato il peccato da Adamo. (Salmo 51:5; Romani 5:12) Il solo mezzo di
salvezza è tramite il sacrificio di riscatto di Cristo Gesù. (Atti 4:12; 1 Giovanni 2:1, 2) Ai giorni di Enoc
questo riscatto non era stato ancora pagato. Perciò Enoc non andò in cielo, ma dorme nella morte in
attesa della risurrezione sulla terra. — Giovanni 5:28, 29.
[Referenza fotografica a pagina 29]
Riprodotto da Illustrirte Pracht - Bibel/Heilige Schrift des Alten und Neuen Testaments, nach der
deutschen Uebersetzung D. Martin Luther’s

w87 15/1 11-12 Un così gran nuvolo di testimoni!


8 La fede ci spingerà a proclamare intrepidamente il messaggio di Dio. (Leggi Ebrei 11:5, 6). L’antico
testimone di Geova Enoc predisse coraggiosamente che Dio avrebbe eseguito il giudizio sugli empi.
(Giuda 14, 15) Senza dubbio i nemici di Enoc cercarono di ucciderlo, ma Dio “lo prese”, così che Enoc
non patì le sofferenze della morte. (Genesi 5:24) Prima, però, Enoc “ebbe la testimonianza d’essere stato
accetto a Dio”. Come? “Per fede Enoc fu trasferito in modo da non vedere la morte”. Paolo, in modo
analogo, fu trasferito, o “rapito in paradiso”, avendo evidentemente ricevuto una visione del futuro
paradiso spirituale della congregazione cristiana. (2 Corinti 12:1-4) A quanto pare, perciò, Enoc stava
osservando in visione il veniente Paradiso terrestre quando Dio lo fece addormentare nella morte
mettendolo al sicuro dalle mani dei nemici. Per essere accetti a Dio noi, come fece Enoc, dobbiamo
proclamare intrepidamente il messaggio di Dio. (Atti 4:29-31) Dobbiamo inoltre credere che Dio esiste e
che “è il rimuneratore di quelli che premurosamente lo cercano”.
Epafra — Tema: Pregate per i fratelli e prodigatevi per loro 1°TESSALONICESI 5:25

it-1 825 Epafra


EPAFRA
(Èpafra) [abbreviazione di Epafrodito].
Fedele ministro di Cristo che, predicando la buona notizia, fece conoscere ai colossesi l’immeritata
benignità di Dio e quindi molto probabilmente contribuì a stabilire la congregazione di Colosse. All’epoca
della prima detenzione di Paolo, Epafra si recò a Roma, portandogli incoraggianti notizie circa l’amore e
la fermezza della congregazione di Colosse. (Col 1:4-8) Evidentemente si trattenne a Roma, almeno per
qualche tempo, poiché Paolo, scrivendo la sua lettera ai Colossesi, include i saluti di Epafra e assicura
loro che questo schiavo di Gesù Cristo si adopera sempre “a vostro favore nelle sue preghiere, affinché
siate infine compiuti e fermamente convinti in tutta la volontà di Dio”. Come attesta Paolo, questo diletto
conservo compì inoltre una grande opera a favore dei fratelli di Laodicea e di Ierapoli. (Col 4:12, 13)
Inoltre, scrivendo a Filemone, Paolo manda i saluti di Epafra e lo chiama “mio compagno di prigionia
unito a Cristo”. (Flm 23) Epafra non va confuso con l’Epafrodito di Filippi.

w74 15/5 298 Semina dei semi della buona notizia in un mondo afflitto dalla guerra
‘CRESCE IN TUTTO IL MONDO’
9 Che la preannunciata predicazione della buona notizia del Regno fosse compiuta prima della
distruzione di Gerusalemme nel 70 E.V. fu attestato pure anni prima di quella calamità giudaica. Attestato
da chi? Dal cristiano apostolo Paolo. Verso l’anno 60 o 61 E. V., egli si trovò sotto custodia romana in
una casa privata a Roma e in catene. Durante i suoi due anni o più di arresti domiciliari in Roma egli
scrisse lettere ispirate alle congregazioni cristiane della Grecia e dell’Asia Minore. Una di queste lettere fu
inviata alla congregazione che era nella città di Colosse in Asia Minore, presso le città di Laodicea e di
Ierapoli, dov’erano pure congregazioni cristiane. Queste località appartengono ora alla moderna Turchia.
L’apostolo Paolo manda questa lettera a nome suo e di Timoteo, un conservo missionario. Paolo non
aveva fondato la congregazione di Colosse, e la sua lettera indica che non vi era mai stato. Ma per
mezzo di un conservo cristiano che era venuto a visitarlo, Paolo aveva udito di questa congregazione
colossese. Fu così commosso da questa notizia giuntagli per mezzo di Epafra, da sentirsi indotto a
scrivere questa lettera a cristiani a lui sconosciuti. Egli si presenta, dicendo:
10 “Ringraziamo sempre Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, quando preghiamo per voi, da che
abbiamo udito della vostra fede riguardo a Cristo Gesù e dell’amore che avete per tutti i santi a causa
della speranza che vi è riservata nei cieli. Di questa speranza avete già udito mediante l’annuncio della
verità di quella buona notizia che s’è presentata a voi, come sta portando frutto e crescendo in tutto il
mondo, come fa anche tra voi, dal giorno che udiste e imparaste a conoscere l’immeritata benignità di Dio
in verità. Questo è ciò che avete imparato da Epafra nostro diletto compagno di schiavitù, che è un fedele
ministro del Cristo a nostro favore, e che ci ha rivelato il vostro amore in modo spirituale”. — Col. 1:3-8.

w74 15/5 300 Semina dei semi della buona notizia in un mondo afflitto dalla guerra
17 Secondo ciò che l’apostolo Paolo aveva udito dal suo visitatore, Epafra, i componenti della
congregazione cristiana di Colosse avevano un cuore simile al “terreno eccellente” descritto da Gesù.
Quindi, la “parola del regno” seminata sul loro cuore portava frutto e produceva in varie quantità, il cento,
il sessanta, il trenta. L’apostolo Paolo non aveva seminato il seme del Regno nel cuore dei Colossesi,
ma, evidentemente, l’aveva seminato questo Epafra di Colosse, poiché nella lettera ai Colossesi Paolo
parla di lui come di “Epafra, che è dei vostri, schiavo di Cristo Gesù”. Inoltre Paolo dice loro: “Questo è
ciò che avete imparato da Epafra nostro diletto compagno di schiavitù, che è un fedele ministro del Cristo
a nostro favore, e che ci ha rivelato il vostro amore in modo spirituale”. (Col. 4:12; 1:7, 8; Filem. 23)
Questo “ministro del Cristo” agiva solo come agente del grande Seminatore del seme, Gesù Cristo. Gesù
disse: “Il seme è la parola di Dio”. (Luca 8:11) È la “parola del regno”. Ma non è seme in un deposito,
bensì è seme che viene “seminato”, vale a dire la divina “parola del regno” che è predicata, proclamata,
insegnata.
18 Quei discepoli che si uniscono sotto il grande Seminatore, Gesù Cristo, nella semina, predicazione,
proclamazione, insegnamento del seme della “parola del regno” sono, come li chiama l’apostolo Paolo,
“miei compagni d’opera per il regno di Dio”. (Col. 4:11) Anche mentre era nella casa di custodia lì a
Roma, Paolo fece più che scrivere lettere, come quella ai Colossesi. Egli “riceveva benignamente tutti
quelli che [come Epafra] venivano da lui, predicando loro il regno di Dio e insegnando le cose inerenti al
Signore Gesù Cristo con la più grande libertà di parola, senza impedimento”. (Atti 28:30, 31) Poiché
questo “seme” spirituale è la “parola di Dio”, la “parola del regno”, contiene in sé la buona notizia, un
messaggio di speranza, un messaggio del più grande governo per la benedizione di tutto il genere
umano, il messianico regno di Dio. Questo messaggio contenuto nel “seme” è qualche cosa che chi
riceve il “seme” deve capire e apprezzare. Deve afferrarne il significato, il senso, con il cuore. In tal modo
il “seme” mette radici nel suo cuore.

w97 15/5 30-1 Epafra, "un fedele ministro del Cristo"


Epafra, “un fedele ministro del Cristo”
CHI fondò le congregazioni cristiane di Corinto, Efeso e Filippi? Forse non avreste nessuna esitazione a
dire: ‘Paolo, l’“apostolo delle nazioni”’. (Romani 11:13) E avreste ragione.
Ma chi stabilì le congregazioni a Colosse, Ierapoli e Laodicea? Anche se non possiamo esserne certi,
potrebbe essere stato un uomo di nome Epafra. Magari vorreste saperne di più su questo
evangelizzatore, dato che viene definito “un fedele ministro del Cristo”. — Colossesi 1:7.
Evangelizzatore della valle del Lico
Il nome Epafra è un’abbreviazione di Epafrodito. Ma Epafra non va confuso con l’Epafrodito di Filippi.
Epafra era di Colosse, uno dei tre centri della valle del fiume Lico, in Asia Minore, in cui c’erano
congregazioni cristiane. Colosse distava appena 18 chilometri da Laodicea e 19 da Ierapoli, nell’antica
regione della Frigia.
La Bibbia non dice esplicitamente come la buona notizia del Regno di Dio arrivò in Frigia. Comunque,
abitanti della Frigia si trovavano a Gerusalemme il giorno di Pentecoste del 33 E.V. e forse alcuni erano
di Colosse. (Atti 2:1, 5, 10) Durante gli anni del ministero di Paolo ad Efeso (52-55 E.V. circa), in quella
zona fu data una testimonianza così vigorosa ed efficace che non soltanto gli efesini, ma anche “tutti
quelli che abitavano nel distretto dell’Asia udirono la parola del Signore, sia giudei che greci”. (Atti 19:10)
Sembra che Paolo non avesse predicato la buona notizia in tutta la valle del Lico, dato che molti che
divennero cristiani in quella zona non lo avevano mai visto. — Colossesi 2:1.
Secondo Paolo, chi insegnò ai colossesi “l’immeritata benignità di Dio in verità” fu Epafra. Il fatto che
Paolo chiami questo collaboratore “un fedele ministro del Cristo a nostro favore” dimostra che Epafra era
un attivo evangelizzatore della zona. — Colossesi 1:6, 7.
Sia all’apostolo Paolo che all’evangelizzatore Epafra stava molto a cuore il benessere spirituale dei
compagni di fede della valle del Lico. Quale “apostolo delle nazioni” Paolo dovette rallegrarsi quando
ricevette notizia del loro progresso. Fu proprio da Epafra che Paolo venne informato della condizione
spirituale dei colossesi. — Colossesi 1:4, 8.
Il rapporto di Epafra
I colossesi dovevano affrontare problemi abbastanza seri da spingere Epafra a fare un lungo viaggio fino
a Roma apposta per parlarne con Paolo. Evidentemente il dettagliato rapporto di Epafra spinse Paolo a
scrivere due lettere a quei fratelli che altrimenti gli erano sconosciuti. Una fu la lettera ai Colossesi.
L’altra, che a quanto pare non è stata preservata, fu inviata ai laodicesi. (Colossesi 4:16) È ragionevole
pensare che il contenuto di quelle lettere rispondesse ai bisogni di quei cristiani com’erano percepiti da
Epafra. Quali necessità vedeva? E cosa rivela questo riguardo alla sua personalità?
La lettera ai Colossesi sembra indicare che Epafra era preoccupato per il pericolo che correvano i
cristiani di Colosse a causa di filosofie pagane che implicavano l’ascetismo, lo spiritismo e superstizioni
idolatriche. Inoltre l’insegnamento propugnato dai giudei di astenersi da certi cibi e di osservare certi
giorni avrebbe potuto influenzare alcuni membri della congregazione. — Colossesi 2:4, 8, 16, 20-23.
Il fatto che Paolo tratti questi argomenti mostra quanto Epafra fosse attento e sensibile ai bisogni dei suoi
compagni di fede. Mostrò amorevole sollecitudine per il loro benessere spirituale, conscio dei pericoli
dell’ambiente nel quale vivevano. Epafra chiese consigli a Paolo, e questo rivela la sua umiltà. È possibile
che sentisse il bisogno di ricevere consigli da qualcuno che aveva più esperienza. In ogni caso, Epafra
agì saggiamente. — Proverbi 15:22.
Un uomo che apprezzava la preghiera
Nella conclusione della lettera che inviò ai cristiani di Colosse, Paolo dice: “Epafra, che è dei vostri,
schiavo di Cristo Gesù, vi manda i suoi saluti, adoperandosi sempre a vostro favore nelle sue preghiere,
affinché siate infine compiuti e fermamente convinti in tutta la volontà di Dio. In realtà gli rendo
testimonianza che fa un grande sforzo a favore vostro e di quelli di Laodicea e di quelli di Ierapoli”. —
Colossesi 4:12, 13.
Sì, anche mentre era “compagno di prigionia” di Paolo a Roma, Epafra pensava ai diletti fratelli di
Colosse, Laodicea e Ierapoli, e pregava per loro. (Filemone 23) Alla lettera, ‘lottava’ per loro nelle sue
preghiere. Secondo lo studioso D. Edmond Hiebert, il termine greco denota “un’attività strenua ed
estenuante”, analoga all’“agonia” mentale provata da Gesù Cristo mentre pregava nel giardino del
Getsemani. (Luca 22:44) Epafra desiderava vivamente che i suoi fratelli e le sue sorelle spirituali
pervenissero alla stabilità e alla piena maturità cristiana. Quale benedizione doveva essere per le
congregazioni un fratello dalla mentalità così spirituale!
Dato che Epafra fu definito un “diletto compagno di schiavitù”, non c’è dubbio che si era fatto voler bene
dai suoi conservi cristiani. (Colossesi 1:7) Quando le circostanze lo permettono, tutti i membri della
congregazione dovrebbero prodigarsi con calore e amore. Per esempio, si possono assistere gli
ammalati, quelli avanti con gli anni o altri che hanno particolari bisogni. Può essere necessario aver cura
di diverse responsabilità di congregazione o forse prendere parte a lavori di costruzione teocratica.
Pregare per altri, come fece Epafra, è un sacro servizio che tutti possono svolgere. Tali preghiere
possono includere espressioni di premuroso interessamento per gli adoratori di Geova che devono
affrontare vari pericoli o difficoltà, di natura sia spirituale che fisica. Sforzandoci così con vigore, saremo
simili a Epafra. Ognuno di noi può avere il privilegio e la gioia di mostrarsi un “diletto compagno di
schiavitù” nella famiglia dei fedeli servitori di Geova.
Epafrodito — Tema: Tenete cari gli uomini fidati FILIPPESI 2:29

it-1 825 Epafrodito


EPAFRODITO
(Epafrodìto) [da un termine che significa “coperto di schiuma”].
Fidato componente della congregazione di Filippi in Macedonia, latore di un dono a Paolo, allora
prigioniero a Roma (ca. 59-61 E.V.). (Flp 2:25; 4:18) Mentre era a Roma, Epafrodito “si ammalò e fu
vicino alla morte; ma Dio ebbe misericordia di lui”. I filippesi, saputo della sua malattia, e forse
preoccupati, chiesero notizie. Poiché Epafrodito era ansioso di vedere i filippesi ed era afflitto perché
sapevano della sua malattia, Paolo ritenne opportuno rimandarlo subito indietro appena guarito,
affidandogli la lettera per la congregazione di Filippi. Paolo incoraggia i fratelli a riservare a Epafrodito “la
consueta accoglienza nel Signore” e a “tenere cari gli uomini di tale sorta”. A motivo infatti dell’opera del
Signore, Epafrodito si era esposto al pericolo ed era stato quasi sul punto di morire. (Flp 2:25-30)
Epafrodito non va confuso con l’Epafra di Colosse.

w96 15/8 27-30 Epafrodito: l'inviato dei filippesi


Epafrodito: l’inviato dei filippesi
“FATEGLI perciò la consueta accoglienza nel Signore con ogni gioia; e continuate a tenere cari gli uomini
di tale sorta”, scrisse Paolo ai filippesi. Saremmo senz’altro felici se un sorvegliante cristiano parlasse di
noi in termini così calorosi. (Filippesi 2:29) Ma di chi stava parlando Paolo? E cosa aveva fatto questa
persona per meritare un elogio così sentito?
La risposta alla prima domanda è: Epafrodito. Per rispondere alla seconda, consideriamo le circostanze
che spinsero Paolo a scrivere queste parole.
Verso il 58 E.V. i filippesi avevano sentito che a Gerusalemme Paolo era stato trascinato fuori del tempio
e picchiato da una turba inferocita, era stato arrestato dalle autorità e, dopo una detenzione
inconcludente, era stato trasferito a Roma in catene. (Atti 21:27-33; 24:27; 27:1) Preoccupati per la sua
salute, si saranno chiesti cosa potevano fare per lui. Erano materialmente poveri e lontani da Paolo,
perciò l’aiuto che potevano offrirgli era limitato. Ma lo stesso caloroso sentimento che li aveva spinti a
sostenere il suo ministero nel passato li motivava ancora; a maggiore ragione ora che si trovava in una
situazione critica. — 2 Corinti 8:1-4; Filippesi 4:16.
I filippesi avranno considerato se qualcuno di loro poteva portare un dono a Paolo e aiutarlo qualora ne
avesse avuto bisogno. Ma si trattava di un viaggio lungo e faticoso, e aiutarlo poteva essere pericoloso! Il
commentatore Joachim Gnilka nota: “Ci voleva del coraggio per recarsi da un carcerato, anzi da uno il cui
‘reato’ doveva apparire del tutto vago”. Lo scrittore Brian Rapske aggiunge: “C’era l’ulteriore pericolo di
essere semplicemente troppo amici del prigioniero o di simpatizzare con lui o con le sue idee. . . . Una
parola o un’azione casuale poteva segnare la sorte non solo del prigioniero ma anche di chi gli prestava
aiuto”. Chi potevano mandare i filippesi?
Si può ben immaginare che un viaggio del genere avrebbe potuto suscitare preoccupazioni e incertezze,
ma Epafrodito (da non confondersi con Epafra di Colosse) fu disposto a compiere quella difficile
missione. A giudicare dal suo nome — che incorpora quello di Afrodite — poteva essere un gentile
convertito al cristianesimo, figlio di genitori devoti alla dea greca dell’amore e della fertilità. Quando Paolo
scrisse ai filippesi per ringraziarli della loro generosità poté giustamente definire Epafrodito “vostro inviato
e servitore personale per il mio bisogno”. — Filippesi 2:25.
Da ciò che la Bibbia dice di lui si capisce che Epafrodito, nonostante la sua lodevole prontezza
nell’adoperarsi in questo servizio per Paolo e per la propria congregazione, aveva dei problemi simili a
quelli che potremmo avere noi. Consideriamo il suo esempio.
“Servitore personale per il mio bisogno”
Non conosciamo i dettagli, ma possiamo immaginare che Epafrodito fosse arrivato a Roma stanco del
viaggio. Probabilmente percorse la Via Egnatia, una strada romana che passava per la Macedonia.
Avrebbe potuto attraversare l’Adriatico per arrivare al “tacco” della penisola italiana e da lì prendere la Via
Appia per Roma. Fu un viaggio faticoso (1.200 chilometri la sola andata) che probabilmente richiese più
di un mese. — Vedi il riquadro a pagina 29.
Con quale spirito Epafrodito si era messo in viaggio? Era stato mandato per rendere a Paolo un “servizio
personale” o leitourgìa. (Filippesi 2:30) In origine questa parola si riferiva a un lavoro intrapreso
volontariamente da un cittadino per servire lo Stato. In seguito finì per indicare quel genere di servizio che
lo Stato esigeva obbligatoriamente dai cittadini particolarmente qualificati per eseguirlo. Sull’uso della
parola nelle Scritture Greche, uno studioso dice: “Il cristiano è un uomo che lavora per Dio e per gli
uomini, primo, perché desidera farlo, con tutto il cuore e, secondo, perché è obbligato a farlo, perché
l’amore di Cristo lo costringe”. Che eccellente spirito mostrò Epafrodito!
‘Espose la sua anima al pericolo’
Usando una parola presa a prestito dal linguaggio delle scommesse, Paolo dice che Epafrodito aveva
‘esposto al pericolo’ (greco: paraboleusàmenos) la sua anima, o letteralmente, ‘giocato’ la sua vita per il
servizio di Cristo. (Filippesi 2:30) Non dobbiamo immaginare che Epafrodito abbia fatto qualcosa di
insensato; piuttosto il compimento del suo sacro servizio comportò un certo rischio. Tentò forse di
compiere la sua missione di soccorso durante la cattiva stagione? Cercò di portarla a termine anche dopo
essersi ammalato lungo il tragitto? In ogni modo Epafrodito “si ammalò e fu vicino alla morte”. Forse
avrebbe dovuto rimanere con Paolo per servirlo, quindi l’apostolo apparentemente voleva scusarlo
perché ritornava prima del previsto. — Filippesi 2:27.
Nondimeno Epafrodito era una persona coraggiosa, disposta a esporsi altruisticamente per soccorrere
chi era nel bisogno.
Potremmo chiederci: ‘Fino a che punto mi scomoderei per assistere i miei fratelli spirituali in difficoltà?’
Tale spirito di prontezza non è facoltativo per i cristiani. Gesù disse: “Vi do un nuovo comandamento, che
vi amiate gli uni gli altri; come vi ho amati io, che anche voi vi amiate gli uni gli altri”. (Giovanni 13:34)
Epafrodito compì il suo servizio finché fu “vicino alla morte”. Perciò è un esempio per noi, avendo la
stessa “attitudine mentale” che Paolo incoraggiò i filippesi ad avere. (Filippesi 2:5, 8, 30, Kingdom
Interlinear) Saremmo disposti a tanto?
Comunque Epafrodito era depresso. Come mai?
La sua depressione
Mettetevi nei panni di Epafrodito. Paolo riferì: “Ha ardente desiderio di vedervi tutti ed è depresso perché
avete udito che si era ammalato”. (Filippesi 2:26) Epafrodito sapeva che i fratelli della sua congregazione
erano consapevoli che stava male e che non era stato in grado di assistere Paolo come speravano. Infatti
potrebbe sembrare che Epafrodito avesse creato a Paolo delle preoccupazioni in più. Il medico Luca,
compagno di Paolo, avrà dovuto tralasciare altre faccende per prendersi cura di lui? — Filippesi 2:27, 28;
Colossesi 4:14.
Probabilmente per questo Epafrodito si trovava in uno stato di depressione. Forse pensava che fratelli
della sua congregazione lo considerassero un incapace. Può darsi che si sentisse in colpa e avesse
“ardente desiderio” di vederli per rassicurarli della sua fedeltà. Paolo usò una parola greca molto forte
(ademonèo, “essere depresso”) per descrivere la condizione di Epafrodito. Secondo lo studioso J. B.
Lightfoot questo verbo può indicare “lo stato confuso, irrequieto e turbato che è provocato da un disturbo
fisico, o da una afflizione mentale, come dispiacere, vergogna, delusione, ecc.” L’unico altro uso della
stessa parola nelle Scritture Greche si riferisce all’acuta angoscia provata da Gesù nel giardino di
Getsemani. — Matteo 26:37.
Paolo concluse che la cosa migliore era rimandare Epafrodito dai filippesi, con una lettera che spiegava
l’inatteso ritorno del loro inviato. Dicendo “considero necessario mandarvi Epafrodito”, Paolo si assume la
responsabilità del suo ritorno, fugando così qualsiasi possibile sospetto che Epafrodito fosse venuto
meno all’incarico. (Filippesi 2:25) Al contrario, Epafrodito quasi perse la vita per portare a termine la sua
missione! Paolo raccomandò calorosamente: “Fategli perciò la consueta accoglienza nel Signore con
ogni gioia; e continuate a tenere cari gli uomini di tale sorta, perché a causa dell’opera del Signore fu
molto vicino alla morte, esponendo la sua anima al pericolo, per supplire pienamente al vostro non esser
qui per rendermi servizio personale”. — Filippesi 2:29, 30.
“Continuate a tenere cari gli uomini di tale sorta”
Uomini e donne che hanno la stessa mentalità di Epafrodito sono davvero da apprezzare. Sono pronti a
sacrificarsi. Pensate a chi si è offerto di servire lontano da casa come missionario o sorvegliante
viaggiante, o di prestare servizio in una delle filiali della Watch Tower Society. Se ora alcuni di loro, a
motivo dell’età o della salute cagionevole, non possono fare ciò che facevano una volta, meritano rispetto
e considerazione per gli anni di fedele servizio.
Nondimeno una malattia debilitante può causare depressione e far sorgere sensi di colpa. Si vorrebbe
fare di più. Che frustrazione! Chiunque si trovi in una situazione del genere può imparare da Epafrodito.
Dopo tutto, era forse colpa sua se si era ammalato? No di certo! (Genesi 3:17-19; Romani 5:12)
Epafrodito desiderava servire Dio e i fratelli, ma la malattia lo limitava.
Paolo non rimproverò Epafrodito per la sua malattia, anzi disse ai filippesi di stargli vicino. Anche noi
dovremmo confortare i nostri fratelli quando sono scoraggiati. Di solito possiamo lodarli per il loro
esempio di fedeltà nel servizio. L’apprezzamento di Paolo, che parlava così bene di lui, dovette consolare
Epafrodito e alleviare la sua depressione. Anche noi possiamo essere certi che ‘Dio non è ingiusto da
dimenticare la nostra opera e l’amore che abbiamo mostrato per il suo nome, in quanto abbiamo servito e
continuiamo a servire i santi’. — Ebrei 6:10.
[Riquadro a pagina 29]
I disagi del viaggio
Oggi come oggi un viaggio tra due importanti città europee, simile a quello intrapreso da epafrodito, non
dovrebbe costare grande fatica. si potrebbe compiere tranquillamente in un’ora o due con un aereo di
linea. fare un viaggio del genere nel primo secolo era tutt’altra cosa. allora spostarsi da una località
all’altra comportava molti disagi. un viaggiatore poteva percorrere a piedi dai 30 ai 35 chilometri al giorno,
esponendosi alle intemperie e a vari pericoli, tra cui “banditi di strada”. — 2 Corinti 11:26.
Che dire delle soste notturne e del rifornimento di viveri?
Lo storico Michelangelo Cagiano de Azevedo fa notare che lungo le strade romane “si trovavano le
mansiones, veri e propri alberghi, con magazzini, scuderie e alloggi per il personale di servizio; fra due
successive mansiones si trovavano alcune mutationes, o luoghi di tappa, ove si potevano cambiare
cavalli e vetture e trovare dei viveri”. Essendo frequentate da persone di infimo rango, queste locande
avevano una pessima reputazione. Oltre a derubare i viaggiatori, i locandieri spesso arrotondavano le
entrate con i proventi delle prostitute. Giovenale, poeta satirico latino, osservò che chi si vedeva costretto
a sostare in una taverna del genere avrebbe potuto trovarsi “sdraiato accanto a qualche assassino, in
mezzo a marinai, ladri, schiavi fuggitivi, carnefici e fabbricanti di bare . . . Le coppe sono comuni, un letto
basta per tutti e si mangia tutti alla stessa tavola”. Altri scrittori antichi si lamentarono dell’acqua cattiva,
dei locali affollati, sporchi, umidi e infestati dalle pulci. — Civiltà romana: Le strade, C. Colombo, Roma,
1939.

[Cartina/Foto a pagina 27]


(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
Roma
Un viaggiatore dell’epoca romana
[Referenza fotografica]
Cartina: Mountain High Maps® Copyright © 1995 Digital Wisdom, Inc.; Viaggiatore: Da originale del
Museo della Civiltà Romana, Roma
Erode il Grande — Tema: Dalle opere di un uomo si capisce chi sta servendo MATTEO 6:24

it-1 832-6 Erode


ERODE
Nome di una famiglia di uomini politici che governarono gli ebrei. Erano idumei, edomiti, ebrei solo di
nome poiché, secondo Giuseppe Flavio, verso il 125 a.E.V. il maccabeo Giovanni Ircano aveva imposto
loro la circoncisione.
A parte la breve menzione che ne fa la Bibbia, quasi tutte le informazioni sul loro conto si devono a
Giuseppe Flavio. Il capostipite della famiglia fu Antipatro (Antipa) I, che il re asmoneo (maccabeo)
Alessandro Ianneo aveva nominato governatore dell’Idumea. Il figlio di Antipatro, anch’egli chiamato
Antipatro o Antipa, era il padre di Erode il Grande. Secondo Giuseppe Flavio, lo storico Nicola
Damasceno dice che Antipatro (II) era della stirpe degli ebrei illustri tornati da Babilonia nel paese di
Giuda. Ma, dice Giuseppe Flavio, Nicola voleva soltanto far cosa grata a Erode, che in realtà era un
edomita sia da parte di padre che di madre.
Antipatro II, uomo ricchissimo, e politico intrigante, aveva grandi ambizioni per i suoi figli. Diede il suo
appoggio a Ircano II, figlio di Alessandro Ianneo e di Alessandra Salome, aiutandolo a conquistarsi la
posizione di sommo sacerdote e re dei giudei a danno del fratello Aristobulo. In effetti, però, Antipatro
agiva per ambizione personale, e alla fine ottenne da Giulio Cesare la cittadinanza romana e il
governatorato della Giudea. Antipatro nominò il proprio figlio Fasael governatore di Gerusalemme e un
altro figlio, Erode, governatore della Galilea. La sua carriera terminò quando fu avvelenato da un sicario.
1. Erode il Grande, secondo figlio di Antipatro (Antipa) II e di sua moglie Cipro. La storia conferma la
veridicità del breve accenno che la Bibbia fa al carattere di quest’uomo, privo di scrupoli, astuto,
sospettoso, immorale, crudele e sanguinario. Come suo padre, era un abile diplomatico e un
opportunista. Bisogna però ammettere che si dimostrò un organizzatore e un comandante militare
capace. Giuseppe Flavio lo descrive come un uomo dotato di grande forza fisica, abile nel cavalcare e
nell’usare l’arco e il giavellotto. (Guerra giudaica, I, 429, 430 [xxi, 13]) Probabilmente la sua dote migliore
era quella di essere un esperto costruttore edile.
Come governatore della Giudea, Erode si distinse inizialmente ripulendo il suo territorio dalle bande di
briganti. Certi ebrei però erano invidiosi e, insieme alle madri dei briganti uccisi, spinsero Ircano II (allora
sommo sacerdote) a convocare Erode davanti al Sinedrio con l’accusa di aver scavalcato quella corte
giustiziando arbitrariamente i briganti senza farli prima processare. Erode accettò l’invito ma, con
tracotanza e insolenza, si presentò circondato dalle guardie del corpo, sebbene come sedicente proselito
fosse tenuto a rispettare quella corte. Questo insulto alla suprema corte ebraica fece adirare i giudici.
Secondo Giuseppe Flavio un giudice di nome Samaia (Simeone) ebbe il coraggio di alzarsi in piedi e dire
che se Erode fosse sfuggito alla punizione un giorno avrebbe ucciso i suoi giudici. Ma Ircano aveva un
carattere debole e remissivo. Intimorito da Erode, e avendo ricevuto una lettera con cui Sesto Cesare
(parente di Giulio Cesare e all’epoca governatore della Siria) gli intimava di assolvere l’accusato, Ircano
capitolò. — Antichità giudaiche, XIV, 168-176 (ix, 4).
Re di Giudea. Erode succedette al padre e, verso il 39 a.E.V., il senato romano lo nominò re di tutta la
Giudea; ma non poté insediarsi come re de facto che tre anni più tardi, quando conquistò Gerusalemme e
depose Antigono, figlio di Aristobulo. Dopo questa vittoria Erode fece i passi necessari per consolidare la
sua posizione persuadendo il generale romano Marco Antonio a uccidere Antigono e a dare la caccia ai
principali esponenti del partito di Antigono, 45 uomini in tutto, per metterli a morte. Dei farisei più in vista
Erode risparmiò solo Samaia e Pollione, poiché alcuni anni dopo uccise perfino Ircano II. Mettendo a
morte quelli che lo avevano giudicato, egli adempì la predizione di Samaia.
Astuto politico, Erode riteneva che fosse nel suo interesse schierarsi dalla parte di Roma. Ma dovette
essere molto diplomatico, cambiando spesso bandiera per seguire le alterne vicende dei governanti
romani. Essendo intimo amico di Sesto, dapprima sostenne Giulio Cesare, poi passò a Cassio, assassino
di Cesare. Riuscì, in parte con grosse somme di denaro, a entrare nei favori di Marco Antonio, nemico di
Cassio e vendicatore di Cesare. In seguito, quando Ottaviano (Augusto) sconfisse Antonio nella battaglia
di Azio, Erode riuscì abilmente a farsi perdonare da Augusto il fatto di aver sostenuto Antonio, e a
conservarne da allora in poi l’amicizia. Per l’appoggio dato a Roma e la liberalità dei suoi doni in denaro
ai Cesari, oltre che per la sua facilità di parola, Erode riuscì sempre a spuntarla quando ebrei o altri, a
volte membri della sua stessa famiglia, presentarono a Roma proteste o accuse contro di lui.
Quello di governatore della Galilea era stato il primo incarico ricoperto da Erode. Cassio l’aveva fatto
governatore della Celesiria. Poi il senato romano, dietro raccomandazione di Antonio, lo aveva nominato
re di Giudea. A questa l’imperatore Augusto aggiunse Samaria, Gadara, Gaza e Ioppe, quindi la
Traconitide, la Batanea, l’Auranitide e la Perea, regione a E del Giordano più o meno corrispondente a
Galaad. Anche l’Idumea era sotto la sua autorità.
Tempio e altre opere edili. In quanto al programma edilizio di Erode, la ricostruzione del tempio di
Zorobabele a Gerusalemme fu la sua opera più notevole, soprattutto dal punto di vista biblico. La
costruzione richiese spese ingentissime e Giuseppe Flavio ne descrive la magnificenza. (Antichità
giudaiche, XV, 395, 396 [xi, 3]) Gli ebrei, a motivo dell’odio e dei sospetti che nutrivano nei confronti di
Erode, non gli permisero di demolire il tempio esistente senza prima aver raccolto i materiali da
costruzione e averli fatti trasportare sul posto; solo allora poté iniziare la demolizione. Il santuario del
tempio venne ricostruito, secondo Giuseppe Flavio, in 18 mesi. (Antichità giudaiche, XV, 421 [xi, 6]) Altre
parti importanti furono completate in otto anni. Tuttavia nel 30 E.V. gli ebrei affermarono che il tempio era
stato costruito in 46 anni. Questa affermazione venne fatta durante una conversazione con Gesù Cristo
all’approssimarsi della prima Pasqua dopo il suo battesimo. (Gv 2:13-20) Secondo Giuseppe Flavio
(Antichità giudaiche, XV, 380 [xi, 1]), i lavori iniziarono nel 18° anno del regno di Erode. Eseguendo il
computo secondo il sistema usato dagli ebrei per calcolare gli anni di regno dei loro re, tale anno
potrebbe corrispondere al 18/17 a.E.V. In effetti i lavori del tempio continuarono con aggiunte varie fino a
sei anni prima della sua distruzione nel 70 E.V.
Erode fece costruire anche teatri, anfiteatri, ippodromi, cittadelle, fortezze, palazzi, giardini, templi in
onore di Cesare, acquedotti, monumenti e persino città. A queste città diede il nome suo, di parenti o di
imperatori di Roma. Fece costruire a Cesarea un porto artificiale che rivaleggiava con quello di Tiro.
Secondo Giuseppe Flavio, enormi massi di pietra furono messi in opera a una profondità di 36 m per
costruire un molo largo circa 60 m. (Antichità giudaiche, XV, 334, 335 [ix, 6]) Erode ricostruì la fortezza
Antonia e quella di Masada, e rese quest’ultima addirittura sfarzosa. Le sue imprese edili si estesero a
città lontane come Antiochia di Siria e Rodi (sull’isola omonima).
Erode amava i divertimenti molto dispendiosi ed era munifico nel fare regali, specialmente ai dignitari
romani. Una delle principali lagnanze degli ebrei sul suo conto riguardava la costruzione di anfiteatri
come quello di Cesarea, dove egli organizzava giochi greci e romani, fra cui corse di carri, duelli di
gladiatori, combattimenti fra uomini e bestie feroci, e altri spettacoli pagani. Ci teneva tanto a tenere in
vita i Giochi Olimpici che, trovandosi di passaggio in Grecia mentre era diretto a Roma, si cimentò egli
stesso nelle gare. Poi donò una grossa somma di denaro per assicurare la continuità dei giochi e
perpetuare così anche il proprio nome. Essendo ufficialmente un ebreo, chiamava gli ebrei “miei
connazionali” e quelli tornati da Babilonia per costruire il tempio di Zorobabele, “i miei padri”. Il suo stile di
vita era però in aperta contraddizione con la sua pretesa di essere un servitore di Geova Dio.
Intrighi in famiglia. Tutta la famiglia era ambiziosa, sospettosa, sfacciatamente immorale e intrigante.
Erode ebbe i maggiori dispiaceri e difficoltà proprio dalla sua famiglia. La madre Cipro e la sorella Salome
non facevano che peggiorare la situazione. Erode aveva sposato Mariamne (I), figlia di Alessandro figlio
di Aristobulo e nipote di Ircano II. Era una donna di straordinaria bellezza ed Erode l’amava molto, ma fra
lei e la madre e la sorella di Erode c’era dell’odio. Erode era sempre invidioso, e sospettava che i suoi
stessi familiari, specie i figli, complottassero contro di lui; in certi casi i suoi sospetti erano giustificati.
L’avidità di potere e la diffidenza lo spinsero a far assassinare la moglie Mariamne, tre dei suoi figli, il
fratello e il nonno (Ircano) della moglie, diversi dei suoi migliori amici, e molti altri. Ricorreva alla tortura
per estorcere confessioni da chiunque riteneva in possesso di informazioni che potessero confermare i
suoi sospetti.
Rapporti con gli ebrei. Erode cercò di rabbonire gli ebrei ricostruendo il tempio e dando loro il
necessario in tempi di carestia. In certe circostanze ridusse le tasse di alcuni sudditi. Convinse persino
Augusto a concedere privilegi agli ebrei in varie parti del mondo. Tuttavia la sua tirannia e crudeltà
superavano i lati positivi, e per gran parte del suo regno ebbe problemi con gli ebrei.
Malattia e morte. Molto probabilmente a motivo della sua vita dissoluta, Erode fu infine colpito da una
malattia ripugnante accompagnata da febbre e, per citare Giuseppe Flavio, da “un prurito insopportabile
su tutta la pelle e continui dolori intestinali, gonfiori ai piedi come per idropisia, infiammazione all’addome
e cancrena dei genitali con formazione di vermi, e inoltre difficoltà a respirare se non in posizione eretta,
e spasmi di tutte le membra”. — Guerra giudaica, I, 656 (xxxiii, 5).
Durante tale malattia mortale ordinò che venisse ucciso il suo intrigante figlio Antipatro. Inoltre, sapendo
che gli ebrei si sarebbero rallegrati alla notizia della sua morte, Erode ordinò agli uomini più illustri della
nazione ebraica di radunarsi a Gerico, in un luogo chiamato Ippodromo, dove li fece rinchiudere. Poi
comandò a quelli che gli erano vicini che, alla sua morte, non si doveva dare notizia del decesso prima
che fossero stati uccisi quei notabili ebrei. Così, egli disse, ogni famiglia della Giudea avrebbe senz’altro
pianto al suo funerale. Quest’ordine non fu mai eseguito. Salome sorella di Erode e suo marito Alexa
rimisero in libertà quegli uomini e li mandarono a casa.
Erode morì all’età di circa 70 anni. Aveva lasciato un testamento in cui designava il figlio Antipa suo
successore, ma poco prima di morire vi aggiunse una postilla o rifece testamento designando Archelao.
Questi fu riconosciuto come re dal popolo e dall’esercito (la Bibbia dice che Giuseppe, padre putativo di
Gesù, aveva udito che “Archelao regnava in Giudea invece di suo padre Erode”; Mt 2:22). Antipa però
contestò la nomina. Dopo aver esaminato la questione a Roma, Cesare Augusto sostenne Archelao,
nominandolo però etnarca e suddividendo il territorio un tempo governato da Erode: una metà andò ad
Archelao e l’altra metà fu divisa fra Antipa e Filippo, altri due figli di Erode.
Strage degli innocenti. Quanto dice la Bibbia circa l’uccisione ordinata da Erode di tutti i bambini di
Betleem e dintorni dai due anni in giù è in armonia con altri documenti storici relativi a Erode e alla sua
crudeltà. Ciò avvenne non molto tempo prima della morte di Erode: Gesù infatti scampò perché i suoi
genitori lo portarono in Egitto, da dove fecero ritorno per stabilirsi in Galilea dopo la morte di Erode. I due
avvenimenti erano stati predetti da Geova per mezzo dei profeti Geremia e Osea. — Mt 2:1-23; Ger
31:15; Os 11:1.
Data della morte. È problematico stabilire la data della morte di Erode. Alcuni cronologi sostengono che
sia morto nel 5 o nel 4 a.E.V. Tale cronologia si basa in gran parte sugli scritti di Giuseppe Flavio. Questi
indica l’anno in cui Erode fu nominato re da Roma in base all’eponimia, cioè l’uso di indicare l’anno dal
nome dei consoli in carica. Stando alle sue informazioni, Erode sarebbe stato nominato re nel 40 a.E.V.,
mentre un altro storico, Appiano, pone l’avvenimento nel 39 a.E.V. Seguendo lo stesso metodo Giuseppe
Flavio pone la conquista di Gerusalemme da parte di Erode nel 37 a.E.V., ma dice anche che ciò ebbe
luogo 27 anni dopo la conquista della città da parte di Pompeo (avvenuta nel 63 a.E.V.). (Antichità
giudaiche, XIV, 487, 488 [xvi, 4]) Secondo quest’ultimo calcolo Erode si sarebbe impadronito di
Gerusalemme nel 36 a.E.V. Giuseppe Flavio dice inoltre che Erode morì 37 anni dopo essere stato
nominato re dai romani, e 34 anni dopo aver preso Gerusalemme. (Antichità giudaiche, XVII, 190, 191
[viii, 1]) In base a questi dati la sua morte dovrebbe essere avvenuta nel 2 o forse nell’1 a.E.V.
È possibile che lo storico ebreo Giuseppe Flavio calcolasse gli anni di regno dei re di Giudea secondo il
sistema dell’anno di accessione, come si faceva un tempo per i re della discendenza di Davide. Se Erode
fu nominato re da Roma nel 40 a.E.V., il suo primo anno di regno andrebbe dal nisan del 39 al nisan del
38 a.E.V.; similmente, contando dalla sua conquista di Gerusalemme avvenuta nel 37 (o 36) a.E.V., il
primo anno di regno potrebbe essere iniziato nel nisan del 36 (o 35) a.E.V. Perciò, se, come dice
Giuseppe Flavio, Erode morì 37 anni dopo la sua nomina da parte di Roma e 34 anni dopo la conquista
di Gerusalemme, e se in entrambi i casi quegli anni si calcolano dall’inizio del suo primo anno di regno, la
sua morte potrebbe essere avvenuta nell’1 a.E.V. Nel presentare un argomento analogo, W. E. Filmer
scrive che secondo la tradizione ebraica la morte di Erode avvenne il 2 sebat (il mese di sebat
corrisponde a gennaio-febbraio del nostro calendario). — Journal of Theological Studies, a cura di H.
Chadwick e H. Sparks, Oxford, 1966, vol. XVII, p. 284.
Giuseppe Flavio precisa che Erode morì poco dopo un’eclissi di luna e prima di una Pasqua. (Antichità
giudaiche, XVII, 167 [vi, 4]; 213 [ix, 3]) Poiché ci fu un’eclissi la notte dell’11 marzo del 4 a.E.V. (13
marzo, calendario giuliano), alcuni hanno concluso che questa fosse l’eclissi menzionata da Giuseppe
Flavio.
Ma nell’1 a.E.V., circa tre mesi prima della Pasqua, ci fu un’eclissi totale di luna, mentre quella del 4
a.E.V. era stata solo parziale. L’eclissi totale dell’1 a.E.V. si verificò l’8 gennaio (10 gennaio, calendario
giuliano), 18 giorni prima del 2 sebat, data tradizionale della morte di Erode. Un’altra eclissi (parziale) si
verificò il 27 dicembre dell’1 a.E.V. (29 dicembre, calendario giuliano). — Vedi CRONOLOGIA (Eclissi
lunari).
Un altro calcolo si basa sull’età di Erode all’epoca della sua morte. Giuseppe Flavio dice che aveva circa
70 anni. Egli dice pure che Erode fu nominato governatore della Galilea (nel 47 a.E.V., data
generalmente accettata) quando aveva 15 anni, ma gli studiosi ritengono che questo sia un errore e che
doveva averne 25. (Antichità giudaiche, XVII, 148 [vi, 1]; XIV, 158 [ix, 2]) Di conseguenza la morte di
Erode dovette verificarsi nel 2 o nell’1 a.E.V. Dobbiamo però tener presente che Giuseppe Flavio non
sempre è coerente nella datazione degli avvenimenti, e non è perciò la fonte più attendibile. Per avere
prove più sicure dobbiamo rivolgerci alla Bibbia.
Le testimonianze disponibili indicano che Erode morì probabilmente nell’1 a.E.V. Lo storico biblico Luca ci
dice che Giovanni cominciò a battezzare nel 15° ann o di Tiberio Cesare. (Lu 3:1-3) Augusto morì il 17
agosto del 14 E.V. Il 15 settembre Tiberio fu nominato imperatore dal senato romano. I romani non
seguivano il sistema dell’anno di accessione; perciò il 15° anno andrebbe dall’ultima parte del 28 E.V .
all’ultima parte del 29 E.V. Giovanni aveva sei mesi più di Gesù e iniziò il suo ministero (evidentemente
nella primavera di quell’anno) prima di Gesù, essendone il precursore, colui che doveva preparargli la via.
(Lu 1:35, 36) Gesù che, come indica la Bibbia, era nato in autunno, aveva circa 30 anni quando andò da
Giovanni per farsi battezzare. (Lu 3:21-23) Molto probabilmente fu quindi battezzato in autunno, verso
l’ottobre del 29 E.V. Risalendo indietro di 30 anni si arriva all’autunno del 2 a.E.V. come data della nascita
umana del Figlio di Dio. (Cfr. Lu 3:1, 23 con la profezia di Daniele delle “settanta settimane” in Da 9:24-
27). — Vedi SETTANTA SETTIMANE.
Visita degli astrologi a Gesù. L’apostolo Matteo ci dice che dopo la nascita di Gesù avvenuta a Betleem
“ai giorni del re Erode”, alcuni astrologi giunsero a Gerusalemme da paesi orientali dicendo di aver visto
la sua stella quando erano in oriente. I timori e i sospetti di Erode si risvegliarono immediatamente ed egli
apprese dai capi sacerdoti e dagli scribi che il Cristo doveva nascere a Betleem. Poi chiamò gli astrologi
e si informò da loro circa il tempo in cui era apparsa la stella. — Mt 2:1-7.
Notiamo che questo avvenne qualche tempo dopo la nascita di Gesù, poiché il bambino non era più nella
mangiatoia, ma in una casa con i suoi genitori. (Mt 2:11; cfr. Lu 2:4-7). Dato che gli astrologi non
tornarono per comunicargli dove si trovava il fanciullino, Erode ordinò che si uccidessero tutti i bambini
dai due anni in giù a Betleem e nei dintorni. Gesù nel frattempo era stato portato in Egitto dai genitori
avvertiti da Dio. (Mt 2:12-18) Difficilmente la morte di Erode poté avvenire prima dell’1 a.E.V. perché, in
tal caso, Gesù (nato verso il 1° ottobre del 2 a.E. V.) non avrebbe avuto neanche tre mesi.
D’altra parte, non sarebbe stato necessario che Gesù avesse due anni quando furono uccisi i bambini;
poteva avere anche meno di un anno, poiché Erode aveva calcolato dal momento in cui la stella era
apparsa agli astrologi mentre erano in oriente. (Mt 2:1, 2, 7-9) Questo poteva benissimo essere avvenuto
alcuni mesi prima, poiché, se come è probabile gli astrologi venivano dalla secolare patria dell’astrologia,
Babilonia o la Mesopotamia, si trattò di un viaggio molto lungo. Gli israeliti avevano impiegato almeno
quattro mesi per il viaggio di ritorno in patria da Babilonia nel 537 a.E.V. Erode evidentemente concluse
che uccidendo tutti i bambini dai due anni in giù sarebbe stato sicuro di non lasciarsi sfuggire questo ‘re
dei giudei che era nato’. (Mt 2:2) Che Erode sia morto non molto tempo dopo questi avvenimenti è
indicato dal fatto che Gesù a quanto pare non rimase a lungo in Egitto. — Mt 2:19-21.
Possiamo dunque concludere che la cronologia biblica, i dati astronomici e i documenti storici disponibili
sembrano tutti indicare l’1 a.E.V., o forse anche l’inizio dell’1 E.V., come data della morte di Erode.

w79 15/12 14-15 Risuscitati "ciascuno nel proprio ordine"


11 Anche i bimbi ancora in fasce e i bambini non responsabili che sono morti ritorneranno per ricevere
nuove opportunità di crescere verso l’eterna giovinezza su una terra paradisiaca. Sarà così cancellato
l’effetto dell’azione omicida del re Erode il Grande. Egli mandò a Betleem gli astrologi venuti dall’Est
perché rintracciassero il neonato “re dei Giudei”. Egli cercava di uccidere Gesù, figlio della vergine giudea
Maria. Dopo che i suoi macchinosi tentativi di scoprire dove si trovava il futuro “re dei Giudei” vennero
sventati, Erode mandò i suoi soldati ad uccidere tutti i bambini dai due anni in giù. Il pianto delle
sconsolate madri di Betleem e dintorni era stato predetto dalla profezia biblica, insieme a parole di
conforto sulla risurrezione.
12 Il Vangelo di Matteo ci dice: “S’adempì quindi ciò ch’era stato dichiarato dal profeta Geremia, dicendo:
‘In Rama si udì una voce, pianto e gran lamento; era Rachele che piangeva i suoi figli, e non voleva esser
confortata, perché essi non sono più’”. (Matt. 2:1-18) Però Maria non era fra le madri che piangevano e
facevano lamento, essendo fuggita col bambino Gesù in Egitto, dove rimasero fino alla morte di Erode.
13 Comunque, per quelle madri sconsolate la situazione non era completamente disperata. La profezia di
Geremia cui Matteo fece riferimento continuava dicendo: “Geova ha detto questo: ‘“Trattieni la tua voce
dal pianto, e i tuoi occhi dalle lagrime, poiché esiste una ricompensa per la tua attività”, è l’espressione di
Geova, “e per certo essi torneranno dal paese del nemico”’”. (Ger. 31:15, 16) Secondo il modo in cui
Matteo, sotto ispirazione, applicò la profezia di Geremia, il “paese del nemico” non sarebbe stata l’antica
Babilonia del tempo di Geremia. Sarebbe stato il paese al quale il nemico, Erode il Grande, aveva
prematuramente consegnato le sue vittime innocenti, il paese della morte. La morte pure è definita un
“nemico”, perché I Corinti 15:26 dice: “Come ultimo nemico sarà ridotta a nulla la morte”.

w92 15/9 5-6 Perché i buoni soffrono?


Spesso i cattivi soffrono per aver seguito una condotta licenziosa, non come risultato di una punizione
divina. Erode il Grande era tormentato dalle malattie a causa delle sue pessime abitudini. Secondo lo
storico ebreo Giuseppe Flavio, negli ultimi tempi Erode “provava spasimi in ogni sua parte”. Aveva “un
prurito insopportabile su tutta la pelle e continui dolori intestinali, . . . infiammazione all’addome e
cancrena dei genitali con formazione di vermi”. Nel tentativo di curarsi si recò invano a Callirroe a
bagnarsi nelle acque termali. Alla fine le sofferenze divennero tali che cercò di accoltellarsi, ma
l’intervento del cugino gli impedì di farlo. — Da La guerra giudaica, I, 33, a cura di G. Vitucci, Mondadori,
Milano, 3a edizione.
Il rispetto della legge di Dio offre una certa protezione, per esempio dalle malattie trasmesse per via
sessuale. Ma come mai sembra che le persone buone che cercano il suo favore soffrano quasi più degli
altri?
W54 P.645-647
Erode Antipa — Tema: Le conseguenze di un’empia ambizione PROVERBI 16:18

Nome di una famiglia di uomini politici che governarono gli ebrei. Erano idumei, edomiti, ebrei solo di
nome poiché, secondo Giuseppe Flavio, verso il 125 a.E.V. il maccabeo Giovanni Ircano aveva imposto
loro la circoncisione.
A parte la breve menzione che ne fa la Bibbia, quasi tutte le informazioni sul loro conto si devono a
Giuseppe Flavio. Il capostipite della famiglia fu Antipatro (Antipa) I, che il re asmoneo (maccabeo)
Alessandro Ianneo aveva nominato governatore dell’Idumea. Il figlio di Antipatro, anch’egli chiamato
Antipatro o Antipa, era il padre di Erode il Grande. Secondo Giuseppe Flavio, lo storico Nicola
Damasceno dice che Antipatro (II) era della stirpe degli ebrei illustri tornati da Babilonia nel paese di
Giuda. Ma, dice Giuseppe Flavio, Nicola voleva soltanto far cosa grata a Erode, che in realtà era un
edomita sia da parte di padre che di madre.
Antipatro II, uomo ricchissimo, e politico intrigante, aveva grandi ambizioni per i suoi figli. Diede il suo
appoggio a Ircano II, figlio di Alessandro Ianneo e di Alessandra Salome, aiutandolo a conquistarsi la
posizione di sommo sacerdote e re dei giudei a danno del fratello Aristobulo. In effetti, però, Antipatro
agiva per ambizione personale, e alla fine ottenne da Giulio Cesare la cittadinanza romana e il
governatorato della Giudea. Antipatro nominò il proprio figlio Fasael governatore di Gerusalemme e un
altro figlio, Erode, governatore della Galilea. La sua carriera terminò quando fu avvelenato da un sicario.
it-1 836-8 Erode
2. Erode Antipa, figlio di Erode il Grande e di una samaritana, Maltace. Fu educato a Roma insieme al
fratello Archelao. Erode aveva stabilito nel suo testamento che il regno passasse ad Antipa, ma poi
all’ultimo momento cambiò il testamento designando Archelao. Antipa impugnò il testamento davanti a
Cesare Augusto, che sostenne i diritti di Archelao, ma divise il regno nominando Antipa tetrarca della
Galilea e della Perea. “Tetrarca”, che significa ‘governatore di un quarto’ di una provincia, era un titolo
dato al governatore di un distretto minore o a un principe locale. Tuttavia, è possibile che comunemente
fosse chiamato re, come Archelao. — Mt 14:9; Mr 6:14, 22, 25-27.
Antipa sposò la figlia di Areta, re d’Arabia, la cui capitale era Petra. Ma durante uno dei suoi viaggi a
Roma, Antipa fece visita al fratellastro Filippo, figlio di Erode il Grande e di Mariamne II (non Filippo il
tetrarca). Durante la visita si invaghì della moglie di Filippo, Erodiade, donna molto ambiziosa. Egli la
portò con sé in Galilea e la sposò, dopo aver divorziato dalla figlia di Areta e averla rimandata a casa.
Questo insulto scatenò una guerra. Areta invase il dominio di Antipa e gli inflisse gravissime perdite, tanto
da riuscire quasi a spodestarlo. Antipa si salvò appellandosi a Roma e ottenendo che l’imperatore
ordinasse ad Areta di sospendere le ostilità.
Antipa godette di grandi favori presso Tiberio, successore di Augusto. Costruttore al pari del padre, anche
se su scala molto più limitata, Antipa edificò una città sul lago di Gennezaret (il Mar di Galilea o di
Tiberiade) e la chiamò Tiberiade, in onore dell’imperatore. (Gv 6:1, 23) Chiamò un’altra città Giulia in
onore della moglie di Augusto, Giulia (meglio nota come Livia). Costruì anche fortificazioni, palazzi e
teatri.
Mette a morte Giovanni il Battezzatore. La relazione adulterina di Erode Antipa con Erodiade fu
condannata da Giovanni il Battezzatore. Giovanni poteva giustamente riprendere Antipa al riguardo
poiché di nome era ebreo e professava di osservare la Legge. Antipa lo gettò in prigione con l’intenzione
di metterlo a morte, ma aveva timore del popolo che considerava Giovanni un profeta. Ciò nonostante,
durante la celebrazione del suo compleanno, Antipa rimase così affascinato dalla figlia di Erodiade che
giurò di darle qualunque cosa avesse chiesto. Erodiade disse alla figlia di chiedere la testa di Giovanni.
Erode, benché dispiaciuto, acconsentì vigliaccamente per salvare la faccia di fronte ai presenti alla festa
e a motivo del giuramento fatto. (Tuttavia sotto la Legge un giuramento non l’avrebbe impegnato a
compiere un atto illegale come un omicidio). — Mt 14:3-12; Mr 6:17-29.
In seguito, quando sentì parlare del ministero di Gesù, cioè che predicava, sanava malati e scacciava
demoni, Antipa ne fu spaventato, temendo che Gesù fosse in effetti Giovanni risuscitato dai morti. Perciò
desiderava moltissimo vedere Gesù, non tanto per sentirlo predicare, quanto forse per accertarsi della
sua identità. — Mt 14:1, 2; Mr 6:14-16; Lu 9:7-9.
Fu probabilmente in un’occasione in cui Gesù si trovava a passare dalla Perea diretto a Gerusalemme
che i farisei gli dissero: “Esci e vattene di qui, perché Erode ti vuole uccidere”. Può darsi che Erode
stesso avesse sparso tale voce, sperando di indurre Gesù a fuggire impaurito dal suo territorio, perché
forse temeva di avere di nuovo l’ardire di alzare la mano per uccidere un profeta di Dio. Riferendosi
evidentemente all’astuzia di Erode, Gesù rispondendo ai farisei lo chiamò “quella volpe”. — Lu 13:31-33.
Il “lievito di Erode”. Sempre durante il dominio di Erode Antipa, Gesù avvertì i suoi seguaci dicendo:
“Tenete gli occhi aperti, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode”. (Mr 8:15) Entrambe queste
fazioni, i farisei e gli erodiani, vale a dire i seguaci del partito di Erode, si opponevano a Gesù e ai suoi
insegnamenti, e sebbene fossero in lotta fra loro, vedevano in Cristo un nemico comune e facevano lega
contro di lui. Gli erodiani erano un gruppo più politico che religioso; asserivano di seguire la Legge ma
ritenevano lecito che gli ebrei riconoscessero un principe straniero (gli Erode non erano veri ebrei, ma
idumei). Gli erodiani erano molto nazionalisti e non appoggiavano né l’idea di un governo teocratico sotto
re ebrei né il governo romano, ma auspicavano la restaurazione del regno nazionale sotto uno dei figli di
Erode.
Un esempio che rivela il loro “lievito” nazionalistico è la domanda tranello che, insieme ai farisei, posero a
Gesù nella speranza di prenderlo in trappola: “È lecito pagare il tributo a Cesare o no? Dobbiamo pagare
o non dobbiamo pagare?” (Mr 12:13-15) Gesù li definì “ipocriti”, e mostrò che si guardava attentamente
dal loro “lievito”, poiché la sua risposta li lasciò senza parole e sventò il loro tentativo di accusarlo di
sedizione o di sollevare il popolo contro di lui. — Mt 22:15-22.
Schernisce Gesù. L’ultimo giorno della sua vita terrena Gesù fu portato davanti a Ponzio Pilato; saputo
che Gesù era galileo, Pilato, che aveva già avuto problemi con i galilei, lo mandò da Erode Antipa,
tetrarca della Galilea, il quale si trovava momentaneamente a Gerusalemme. (Lu 13:1; 23:1-7) Vedendo
Gesù, Erode si rallegrò, non perché si preoccupasse per lui o volesse veramente appurare se le accuse
mosse contro di lui dai sacerdoti e dagli scribi fossero vere o false, ma perché desiderava vedere Gesù
compiere qualche segno. Gesù si rifiutò di farlo e, quando Erode lo interrogò “con molte parole”, rimase in
silenzio. Gesù sapeva di essere stato costretto a presentarsi a Erode per una specie di beffa. Erode,
deluso, screditò Gesù e si prese gioco di lui, rivestendolo di uno sgargiante mantello e rimandandolo a
Pilato, autorità superiore per quanto concerneva Roma. Pilato ed Erode erano stati nemici, forse per
certe accuse che Erode aveva mosso contro Pilato. Ma quest’azione di Pilato piacque a Erode e i due
divennero amici. — Lu 23:8-12.
In seguito alla scarcerazione di Pietro e Giovanni poco dopo la Pentecoste del 33 E.V., i discepoli dissero
in preghiera a Dio: “Sia Erode [Antipa] che Ponzio Pilato con gli uomini delle nazioni e con i popoli
d’Israele si sono effettivamente radunati in questa città contro il tuo santo servitore Gesù . . . E ora,
Geova, presta attenzione alle loro minacce, e concedi ai tuoi schiavi di continuare ad annunciare la tua
parola con ogni intrepidezza”. — At 4:23, 27-29.
In Atti 13:1 è menzionato un cristiano, Manaen, che era stato educato insieme a Erode il tetrarca. Poiché
Antipa era stato allevato a Roma insieme a un privato cittadino, le parole della Bibbia potrebbero indicare
che anche Manaen era stato educato a Roma.
Esiliato in Gallia. Quando Caligola nominò Agrippa I re della tetrarchia di Filippo, Erodiade moglie di
Antipa rimproverò il marito dicendo che solo per la sua indolenza non aveva ricevuto un regno. Secondo
lei, dal momento che era già tetrarca, mentre Agrippa non aveva precedentemente ricoperto nessun
incarico, Antipa doveva andare a Roma e chiedere a Cesare un regno. Alla fine Antipa cedette alle
continue pressioni della moglie. Ma Caligola, adirato dall’ambiziosa richiesta di Antipa, prestò ascolto alle
accuse mosse da Agrippa ed esiliò Antipa in Gallia (nella città di Lione, in Francia); egli infine morì in
Spagna. Erodiade, anche se avrebbe potuto sfuggire alla punizione in quanto sorella di Agrippa, rimase
al fianco del marito, probabilmente per motivi d’orgoglio. La tetrarchia di Antipa e, dopo il suo esilio, il suo
denaro e le proprietà di Erodiade, vennero dati ad Agrippa I. A Erodiade si devono quindi le due principali
calamità che colpirono Antipa: la sconfitta quasi completa inflittagli dal re Areta e il suo esilio.
Erode Agrippa I — Tema: Ipocrisia e orgoglio conducono alla morte 2°TIMOTEO 3:4, 5;
MATTEO 15:8, 9
Nome di una famiglia di uomini politici che governarono gli ebrei. Erano idumei, edomiti, ebrei solo di
nome poiché, secondo Giuseppe Flavio, verso il 125 a.E.V. il maccabeo Giovanni Ircano aveva imposto
loro la circoncisione.
A parte la breve menzione che ne fa la Bibbia, quasi tutte le informazioni sul loro conto si devono a
Giuseppe Flavio. Il capostipite della famiglia fu Antipatro (Antipa) I, che il re asmoneo (maccabeo)
Alessandro Ianneo aveva nominato governatore dell'Idumea. Il figlio di Antipatro, anch'egli chiamato
Antipatro o Antipa, era il padre di Erode il Grande. Secondo Giuseppe Flavio, lo storico Nicola
Damasceno dice che Antipatro (II) era della stirpe degli ebrei illustri tornati da Babilonia nel paese di
Giuda. Ma, dice Giuseppe Flavio, Nicola voleva soltanto far cosa grata a Erode, che in realtà era un
edomita sia da parte di padre che di madre.
Antipatro II, uomo ricchissimo, e politico intrigante, aveva grandi ambizioni per i suoi figli. Diede il suo
appoggio a Ircano II, figlio di Alessandro Ianneo e di Alessandra Salome, aiutandolo a conquistarsi la
posizione di sommo sacerdote e re dei giudei a danno del fratello Aristobulo. In effetti, però, Antipatro
agiva per ambizione personale, e alla fine ottenne da Giulio Cesare la cittadinanza romana e il
governatorato della Giudea. Antipatro nominò il proprio figlio Fasael governatore di Gerusalemme e un
altro figlio, Erode, governatore della Galilea. La sua carriera terminò quando fu avvelenato da un sicario.

it-1 838-9 Erode


3. Erode Agrippa I, nipote di Erode il Grande. Era figlio di Aristobulo, che a sua volta era figlio di Erode il
Grande e Mariamne I, la nipote del sommo sacerdote Ircano II. Aristobulo era stato messo a morte da
Erode il Grande. Agrippa fu l’ultimo Erode a divenire re su tutta la Palestina, come lo era stato suo nonno.
Primo periodo. Con diverse manovre e con l’aiuto di amici a Roma, Agrippa riuscì a diventare “il re
Erode”. (At 12:1) Educato a Roma insieme a Druso figlio dell’imperatore Tiberio e a suo nipote Claudio,
diventò una figura familiare nei circoli importanti della città. Era estremamente stravagante e temerario.
Pieno di debiti — doveva del denaro perfino al tesoro romano — abbandonò Roma e fuggì in Idumea.
Infine con l’aiuto della sorella Erodiade e della moglie Cipro (figlia del nipote di Erode il Grande, la cui
moglie era figlia di Erode) si stabilì per qualche tempo a Tiberiade. A motivo di una lite fra lui e Antipa, fu
costretto ad andarsene. Infine fece ritorno a Roma e rientrò nelle grazie di Tiberio.
Tuttavia parole incaute misero Agrippa in difficoltà con l’imperatore Tiberio. Imprudentemente egli
espresse a Caligola, con cui aveva fatto amicizia, l’auspicio che lui, Caligola, diventasse presto
imperatore. Le parole di Agrippa, udite per caso da un suo servitore, giunsero agli orecchi di Tiberio, che
gettò Agrippa in prigione. La sua vita fu in pericolo per diversi mesi, fino a quando Tiberio morì e Caligola
divenne imperatore. Questi rimise in libertà Agrippa e lo elevò al rango di re sui territori governati dal suo
defunto zio Filippo.
Favorito dagli imperatori romani. Erodiade, invidiosa perché suo fratello era divenuto re, convinse il
marito Erode Antipa, che era solo un tetrarca, ad appellarsi al nuovo imperatore di Roma perché
nominasse re anche lui. Ma Agrippa prese Antipa in contropiede. Lo accusò davanti a Caligola di essersi
alleato con Seiano, che aveva cospirato contro Tiberio, e con i parti, accuse che Antipa non poté negare
e che gli costarono l’esilio. La Galilea e la Perea, territori di Antipa, furono annesse al regno di Agrippa. In
un passo Giuseppe Flavio dice che Caligola diede questi territori ad Agrippa, mentre in altri due dice che
fu Claudio a farlo. È probabile che Caligola abbia fatto la promessa e che Claudio l’abbia confermata.
Al momento dell’assassinio di Caligola, avvenuto secondo gli storici nel 41 E.V., Agrippa si trovava a
Roma. Fu così in grado di fare da intermediario fra il Senato e il suo amico, il nuovo imperatore Claudio.
Claudio espresse la sua riconoscenza concedendogli il territorio della Giudea e della Samaria e il regno
di Lisania. Agrippa si trovò quindi a regnare più o meno sullo stesso reame del nonno Erode il Grande. In
quel tempo Agrippa chiese e ottenne da Claudio il regno di Calcide per suo fratello Erode. (Questo Erode
è menzionato nella storia solo come re di Calcide, piccolo territorio sul pendio occidentale delle montagne
dell’Antilibano).
Si ingrazia gli ebrei; perseguita i cristiani. Agrippa cercò di accattivarsi le simpatie degli ebrei,
sostenendo di essere un devoto seguace del giudaismo. Caligola, asserendo di essere un dio, aveva
deciso di erigere una statua di se stesso nel tempio di Gerusalemme, ma Agrippa abilmente lo dissuase
dal farlo. In seguito Agrippa cominciò a costruire un muro alla periferia N di Gerusalemme. Claudio
sospettò che potesse trattarsi di fortificazioni contro un eventuale attacco romano. Di conseguenza ordinò
ad Agrippa di desistere dall’impresa. Agrippa smentì la propria pretesa di essere un adoratore di Dio
sostenendo e organizzando duelli gladiatori e altri spettacoli pagani nel teatro.
Agrippa godeva del favore degli ebrei a motivo della sua discendenza asmonea da parte della famiglia di
sua nonna Mariamne. Difese la causa degli ebrei sotto il giogo romano, ma si fece anche la poco
invidiabile fama di persecutore dei cristiani, generalmente odiati dagli ebrei increduli. Egli “soppresse
Giacomo fratello di Giovanni con la spada”. (At 12:1, 2) Vedendo che ciò faceva piacere agli ebrei,
arrestò e imprigionò Pietro. L’intervento di un angelo, che liberò Pietro, produsse un gran fermento fra i
soldati di Agrippa e portò alla punizione delle guardie di Pietro. — At 12:3-19.
Giustiziato da un angelo di Dio. Il regno di Agrippa giunse a una fine improvvisa. A Cesarea, durante
alcune celebrazioni in onore di Cesare, egli indossò un sontuoso manto regale e cominciò a pronunciare
un discorso pubblico davanti a persone provenienti da Tiro e Sidone, che gli chiedevano la pace. I
presenti lo accolsero gridando: “Voce di un dio e non di un uomo!” La Bibbia riferisce l’esecuzione
sommaria di questo ipocrita: “All’istante l’angelo di Geova lo colpì, perché non aveva dato la gloria a Dio;
ed essendo roso dai vermi, spirò”. — At 12:20-23.
I cronologi pongono la morte di Erode Agrippa I nel 44 E.V., all’età di 54 anni e dopo tre anni di regno su
tutta la Giudea. Gli sopravvissero il figlio Erode Agrippa II e le figlie Berenice (At 25:13), Drusilla la moglie
del procuratore Felice, e Mariamne III. — At 24:24.

w90 1/4 21-2 Volete pronunciare un discorso biblico?


Volete pronunciare un discorso biblico?
GESÙ CRISTO parlò spesso a grandi folle, ed era senz’altro un oratore efficace. (Matteo 7:28) Non c’è
dubbio che il Figlio di Dio aveva i motivi più nobili e che i suoi discorsi rendevano gloria al suo Padre
celeste. (Confronta Giovanni 12:46-50). Nel I secolo E.V. i discepoli di Gesù fecero discorsi pubblici per
divulgare la buona notizia. Per esempio, a Corinto l’apostolo Paolo “ogni sabato pronunciava un discorso
nella sinagoga e persuadeva giudei e greci”. — Atti 18:1, 4; vedi anche 1 Timoteo 4:13.
Ma, attenzione. Quando Erode, in gran pompa, cominciò a pronunciare un discorso, il popolo radunato si
mise a gridare: “Voce di un dio e non di un uomo!” In quell’istante l’angelo di Geova colpì Erode. Perché?
“Perché non aveva dato la gloria a Dio”. — Atti 12:21-23.
La mentalità corretta
Oggi, cristiani maturi hanno il privilegio molto ambito di pronunciare discorsi biblici. Ogni ministro però
farà bene a esaminare i motivi del suo cuore. (Genesi 8:21; Geremia 17:9) È spinto dal desiderio di
onorare Dio e aiutare i compagni di fede e altri? O vuole pronunciare discorsi biblici solo per salire su un
podio e mettersi in luce?
Il giusto motivo si manifesterà in vari modi. Prima di tutto ci farà capire che solo con l’aiuto dello spirito di
Geova possiamo far onore al privilegio di parlare della verità di Dio dal podio. Perciò avremo un
atteggiamento simile a quello dell’apostolo Pietro, che disse: “Se uno parla, parli come se fossero i sacri
oracoli di Dio; se uno serve, serva come dipendendo dalla forza che Dio fornisce; affinché in ogni cosa
Dio sia glorificato per mezzo di Gesù Cristo”. — 1 Pietro 4:11.
L’amore dev’essere la ragione fondamentale per voler pronunciare un discorso biblico. In primo luogo
dobbiamo amare Geova Dio, avere il desiderio di rendergli onore e di santificare il suo santo nome. Poi
dovremmo essere spinti dall’amore per gli ascoltatori, dal sincero desiderio di istruirli e incitarli a “santi atti
di condotta e opere di santa devozione”. — 2 Pietro 3:11.
Un altro motivo dovrebbe essere il desiderio di edificare i nostri compagni di fede e altri. Questo ci
impedirà di “solleticare gli orecchi” degli ascoltatori dicendo loro solo quello che desiderano sentire. (2
Timoteo 4:3) Il desiderio di edificarli spiritualmente ci tratterrà anche dal raccontare barzellette o dire cose
solo per divertire i presenti o farli ridere. E neanche useremo un linguaggio fiorito né ostenteremo
sapienza mondana per far colpo. Piuttosto, se abbiamo il giusto motivo, quando parleremo in pubblico
seguiremo l’esempio dell’apostolo Paolo, che diede ‘dimostrazione di spirito e potenza, affinché la fede
degli ascoltatori fosse non nella sapienza degli uomini, ma nella potenza di Dio’. — 1 Corinti 2:3-5.
Tre elementi fondamentali
Pronunciare discorsi biblici impegna la mente e il cuore. Perciò gli oratori cristiani non solo devono avere
motivi corretti ma anche argomenti validi. Perciò occorre tener conto di tre elementi fondamentali: le
Scritture, i fatti e la logica.
Prima di tutto, si deve ricordare che il tema di un discorso biblico dev’essere sostenuto dai versetti usati
dall’oratore. Se avete il privilegio di pronunciare un discorso, dovreste conoscere bene il soggetto ed
essere in grado di citare versetti biblici, leggerli bene e farne un’applicazione corretta. Il giorno di
Pentecoste del 33 E.V., l’apostolo Pietro citò ripetutamente le Scritture a sostegno delle sue parole. (Atti
2:14-41) I bereani erano contenti che Paolo avesse basato solidamente il suo discorso sulle Scritture.
(Atti 17:10, 11) E Apollo “dimostrava con le Scritture che Gesù era il Cristo”, il tanto atteso Messia. — Atti
18:28.
Naturalmente la base scritturale di un discorso è fornita dallo schema provveduto dalla Società (Watch
Tower). Ma l’oratore può usare anche altri versetti, purché si applichino ugualmente bene, senza però
esagerare. Per questo il ministro cristiano deve tenersi al corrente della crescente luce spirituale.
In secondo luogo, ci sono i fatti citati a sostegno di quanto si dice. L’oratore dovrebbe stare attento che i
punti presentati non diano luogo a legittimi dubbi o polemiche, specialmente se un punto sembra
sensazionale. È saggio — e indispensabile — assicurarsi che ciò che si dice corrisponda alla realtà. Per
questa ragione, è sempre meglio poter citare fidate fonti d’informazione nel caso qualche affermazione
sia messa in dubbio. Il giorno di Pentecoste, Pietro si riferì a fatti ben noti. Lo stesso fece l’apostolo Paolo
ad Atene. — Atti 2:22; 17:22, 23, 28.
In terzo luogo occorre senz’altro la logica. L’oratore cristiano deve ragionare con gli ascoltatori. Infatti
leggiamo che Paolo “ragionava nella sinagoga con i giudei e con le altre persone che adoravano Dio e
ogni giorno nel luogo di mercato con quelli che vi si trovavano”. (Atti 17:17) In un discorso pubblico il
ragionamento dev’essere logico, semplice, chiaro, facile da seguire. Molto utile a questo proposito è l’uso
di connettivi che mostrino la relazione tra ciò che si è detto e quello che segue.
Se avete il privilegio di essere oratori pubblici, assicuratevi di avere la corretta mentalità nel pronunciare
discorsi biblici. Abbiate nel cuore amore per il Creatore e per i vostri simili. Raccogliete e presentate
scritture e fatti in modo logico. In tal caso, questo proverbio si applicherà a voi: “La lingua dei saggi è
salute”. (Proverbi 12:18) Inoltre, pronunciare buoni discorsi biblici che onorano Dio è un modo per
‘salvare voi stessi e quelli che vi ascoltano’. — 1 Timoteo 4:16.

w90 1/6 20 Camminiamo nel timore di Geova


La persecuzione non riesce nei suoi intenti
21 Il periodo di pace finì quando Erode Agrippa I cominciò a perseguitare coloro che temevano Geova a
Gerusalemme. (12:1-11) Erode fece uccidere Giacomo con la spada, forse decapitandolo; egli fu il primo
apostolo a subire il martirio. Vedendo che questo faceva piacere agli ebrei, Erode mise Pietro in prigione.
Sembra che l’apostolo fosse incatenato a due soldati, uno per lato, mentre altri due soldati montavano la
guardia alla sua cella. Erode pensava di ucciderlo dopo la Pasqua e i giorni dei pani non fermentati (dal
14 al 21 nisan), ma le preghiere della congregazione a suo favore furono esaudite appena in tempo,
come accade spesso anche con le nostre preghiere: l’angelo di Dio liberò miracolosamente l’apostolo.
22 Pietro fu ben presto alla casa di Maria (la madre di Giovanni Marco), che evidentemente era un luogo
di raduno per i cristiani. (12:12-19) Nel buio, la servitrice Roda riconobbe la voce di Pietro ma non gli aprì
la porta. All’inizio i discepoli avranno pensato che Dio avesse mandato un messaggero angelico che
rappresentava Pietro e parlava con una voce simile alla sua. Quando fecero entrare Pietro, però, egli
disse loro di riferire a Giacomo e ai fratelli (forse agli anziani) che era stato liberato. Poi se ne andò di
nascosto senza rivelare la sua destinazione, così da non mettere in pericolo loro o se stesso in caso di
interrogatorio. Erode non riuscì a rintracciare Pietro, e le guardie furono punite, forse persino con la
morte.
23 Nel 44 E.V., a Cesarea, il dominio di Erode Agrippa I, che aveva 54 anni, ebbe bruscamente fine.
(12:20-25) Egli era maldisposto nei confronti dei fenici di Tiro e Sidone, i quali corruppero il suo servitore
Blasto convincendolo ad organizzare un’udienza in cui potessero chiedere pace. Nel “giorno stabilito”
(che era anche una festa in onore dell’imperatore Claudio) Erode indossò la veste reale, si sedette in
tribunale e cominciò a pronunciare un discorso. L’uditorio rispose gridando: “Voce di un dio e non di un
uomo!” L’angelo di Geova lo colpì all’istante, “perché non aveva dato la gloria a Dio”. Erode, “roso dai
vermi, spirò”. Questo esempio ammonitore ci induca a continuare a camminare nel timore di Geova,
evitando l’orgoglio e dando a Lui la gloria per ciò che facciamo come suo popolo.
24 Nonostante la persecuzione di Erode, “la parola di Geova cresceva e si diffondeva”. Anzi, come
mostrerà un futuro articolo, i discepoli potevano aspettarsi un ulteriore incremento. Perché? Perché
‘camminavano nel timore di Geova’.

w94 1/9 19-21 Badate di non vantarvi


Badate di non vantarvi
OGGI per molti vantarsi è una virtù. Va di moda far mostra dei propri pregi, talenti e successi. Alcuni
ritengono che vantarsi sia necessario per farsi strada. Altri pensano che accresca la stima di sé. La rivista
Time osserva: “L’ideale di modestia, anche se non è certo tramontato, comincia a sembrare alquanto
fuori moda”. La scrittrice Jody Gaylin dice: “Purtroppo vantarsi apertamente . . . è l’ultima moda. Le
conversazioni con un amico o un conoscente hanno un nuovo accompagnamento: incensare se stessi”.
I personaggi in vista danno l’esempio. Forse avrete sentito quello che ha detto un ex campione di boxe:
“Non è un caso che in questo momento storico io sia il più grande uomo”. Ben nota è anche la
dichiarazione di un componente dei Beatles: “Ora siamo più popolari di Gesù Cristo”. Anche se per alcuni
si è trattato solo di frasi innocenti, per altri coloro che le hanno pronunciate rappresentavano modelli di
comportamento e di autopromozione da imitare.
Vantarsi è così comune che sorge la domanda: È positivo vantarsi delle proprie risorse e capacità?
Ovviamente è naturale essere orgogliosi di ciò che si è riusciti a fare e anche parlarne con intimi amici e
parenti. Ma che dire di quelli che vivono secondo il principio: “Se hai qualcosa, sfoggiala”? E che dire di
coloro che, pur non vantandosi apertamente, fanno abilmente in modo che gli altri vengano a sapere dei
loro pregi e successi? È bene, o come dicono alcuni addirittura necessario, farsi pubblicità in questo
modo?
Effetto sui rapporti con gli altri
Considerate come influiscono su di voi le vanterie altrui. Per esempio, che effetto vi fanno dichiarazioni
come queste?
“I libri che non ho scritto sono migliori di quelli che hanno scritto gli altri”. — Noto autore.
“Se fossi stato presente alla creazione, avrei dato qualche utile suggerimento su come organizzare
meglio l’universo”. — Sovrano medievale.
“Non può esserci un Dio, perché, se ci fosse, io non crederei di essere Lui”. — Filosofo del XIX secolo.
Vi sentite attratti da individui che fanno dichiarazioni del genere? Vi piacerebbe stare in loro compagnia?
Probabilmente no. Di solito chi si vanta — sul serio o anche per scherzo — mette gli altri sulla difensiva,
infastidisce e può suscitare invidia. Questo fu l’effetto che ebbe sul salmista Asaf, che confessò: “Ebbi
invidia di quelli che si vantavano”. (Salmo 73:3) Di sicuro nessuno di noi vuole suscitare sentimenti del
genere nei propri amici e conoscenti! Primo Corinti 13:4 dichiara: “L’amore . . . non si vanta”. Per amore e
considerazione verso i sentimenti altrui ci asterremo dal fare sfoggio delle nostre presunte capacità e
risorse.
Quando una persona si controlla e parla con modestia, mette gli altri a loro agio. Questa è una qualità
impagabile. Forse lo statista britannico Lord Chesterfield aveva in mente questo quando consigliò al figlio:
“Sii più saggio degli altri, se puoi, ma non andarglielo a dire”.
Non tutti hanno gli stessi doni. Ciò che è facile per alcuni non è proprio il forte di altri. L’amore spingerà la
persona a trattare con comprensione chi non è altrettanto dotato in certi campi. È probabile che questi
abbia doti diverse. L’apostolo Paolo ci dice: “Per l’immeritata benignità datami dico a ognuno che è fra voi
di non pensare di sé più di quanto sia necessario pensare; ma di pensare in modo da avere una mente
sana, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha distribuito”. — Romani 12:3.
Vantarsi è indice di debolezza
Mentre alcuni provano un senso di inferiorità verso chi si vanta, e lo evitano, altri reagiscono in modo
diverso. Sono dell’avviso che chi si vanta sia un insicuro. Lo scrittore Frank Trippett spiega perché chi si
vanta può, ironicamente, perdere punti agli occhi degli altri: “Dentro di sé tutti sanno che di solito il
vantarsi rivela qualche patetica debolezza interiore”. Dato che molti non si lasciano incantare dalle
vanterie, non è più saggio astenersene?
“Ma è vero!”
Alcuni cercano di giustificare così la loro abitudine di glorificare se stessi. Pensano che siccome sono
davvero dotati in certi campi, sarebbe ipocrita far finta che non sia così.
Ma hanno ragione di vantarsi? L’autostima è una valutazione soggettiva. Quello che per noi è un pregio
notevole può sembrare del tutto normale ad altri. Il fatto che una persona si senta in dovere di sfoggiare
le proprie capacità potrebbe addirittura far pensare che dopo tutto queste non siano così notevoli da
essere evidenti senza bisogno di pubblicità. La Bibbia riconosce che l’uomo ha la tendenza a ingannare
se stesso, allorché dice: “Chi pensa di stare in piedi badi di non cadere”. — 1 Corinti 10:12.
Anche se una persona è particolarmente dotata in un certo campo, ha forse ragione di vantarsi? No,
perché chi si vanta glorifica se stesso, una creatura umana, mentre qualsiasi dote abbiamo viene da Dio.
La gloria spetta a lui. Perché dovremmo attribuirci il merito di una qualità innata? (1 Corinti 4:7) Inoltre,
così come abbiamo dei pregi, abbiamo anche dei difetti. L’onestà richiede forse che diamo risalto ai nostri
difetti e alle nostre debolezze? Pochi di quelli che si vantano direbbero di sì. Forse il re Erode Agrippa I
era davvero un grande oratore. Ma per la sua scarsa modestia fece una fine poco allegra. Quel tragico
episodio dimostra quanto il vantarsi sia detestabile a Dio, come pure a molti esseri umani. — Atti 12:21-
23.
Pregi e talenti di solito sono evidenti senza bisogno di indebita pubblicità. Quando sono gli altri a
riconoscere e a lodare le qualità e le imprese di un individuo, di solito questo lo fa apparire in una luce
migliore. Saggiamente Proverbi 27:2 dice: “Ti lodi un estraneo, e non la tua propria bocca; faccia ciò lo
straniero, e non le tue proprie labbra”.
Bisogno di realizzarsi?
Alcuni pensano che nell’odierna società competitiva ostentare con sicurezza le proprie capacità sia
necessario per realizzarsi. Temono che se non si fanno avanti loro per pubblicizzare le proprie doti,
nessuno li noterà né li apprezzerà. La rivista Vogue riassume così la loro preoccupazione: “Mentre una
volta ci veniva insegnato che la modestia è una virtù, ora apprendiamo che la riservatezza può essere un
handicap”.
Per coloro che desiderano farsi strada secondo i criteri del mondo, questa preoccupazione può essere
giustificata. Ma la situazione del cristiano è diversa. Egli sa che Dio ama gli umili, non i superbi, e che
preferisce servirsi delle capacità di chi è umile. Perciò il cristiano non ha nessun bisogno di ricorrere a
tattiche egoistiche. È vero che la persona molto sicura di sé può ottenere un prestigio temporaneo
imponendosi o ricorrendo a sotterfugi, ma col tempo viene smascherata e umiliata. Come disse Gesù
Cristo, “chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. — Matteo 23:12; Proverbi 8:13; Luca
9:48.
Vantaggi della modestia
Ralph Waldo Emerson scrisse: “Ogni uomo che incontro è superiore a me in qualcosa. In quella cosa io
imparo da lui”. La sua affermazione concorda con l’ispirata esortazione dell’apostolo Paolo secondo cui i
cristiani ‘non devono fare nulla per contenzione o egotismo, ma con modestia di mente, considerando
che gli altri siano superiori a loro’. (Filippesi 2:3) Questo punto di vista modesto mette la persona in
condizione di imparare dagli altri.
Badate quindi che i vostri pregi non divengano i vostri difetti. Non rovinate le vostre capacità e le vostre
imprese vantandovi. Aggiungete alle vostre virtù la qualità della modestia. Questo è ciò che veramente
accresce la stima da parte degli altri. Aiuta ad avere rapporti migliori col prossimo e fa ottenere
l’approvazione di Geova Dio. — Michea 6:8; 2 Corinti 10:18.

Erode Agrippa II — Tema: Per avere il favore di Dio non basta la curiosità intellettuale
1°CORINTI 1:19, 20
Nome di una famiglia di uomini politici che governarono gli ebrei. Erano idumei, edomiti, ebrei solo di
nome poiché, secondo Giuseppe Flavio, verso il 125 a.E.V. il maccabeo Giovanni Ircano aveva imposto
loro la circoncisione.
A parte la breve menzione che ne fa la Bibbia, quasi tutte le informazioni sul loro conto si devono a
Giuseppe Flavio. Il capostipite della famiglia fu Antipatro (Antipa) I, che il re asmoneo (maccabeo)
Alessandro Ianneo aveva nominato governatore dell'Idumea. Il figlio di Antipatro, anch'egli chiamato
Antipatro o Antipa, era il padre di Erode il Grande. Secondo Giuseppe Flavio, lo storico Nicola
Damasceno dice che Antipatro (II) era della stirpe degli ebrei illustri tornati da Babilonia nel paese di
Giuda. Ma, dice Giuseppe Flavio, Nicola voleva soltanto far cosa grata a Erode, che in realtà era un
edomita sia da parte di padre che di madre.
Antipatro II, uomo ricchissimo, e politico intrigante, aveva grandi ambizioni per i suoi figli. Diede il suo
appoggio a Ircano II, figlio di Alessandro Ianneo e di Alessandra Salome, aiutandolo a conquistarsi la
posizione di sommo sacerdote e re dei giudei a danno del fratello Aristobulo. In effetti, però, Antipatro
agiva per ambizione personale, e alla fine ottenne da Giulio Cesare la cittadinanza romana e il
governatorato della Giudea. Antipatro nominò il proprio figlio Fasael governatore di Gerusalemme e un
altro figlio, Erode, governatore della Galilea. La sua carriera terminò quando fu avvelenato da un sicario.

it-1 839-40 Erode


4. Erode Agrippa II, pronipote di Erode il Grande. Era figlio di Erode Agrippa I e di sua moglie Cipro.
Secondo gli storici fu l’ultimo dei principi di discendenza erodiana. Agrippa aveva tre sorelle: Berenice,
Drusilla e Mariamne III. (At 25:13; 24:24) Crebbe a Roma alla corte imperiale. Aveva solo 17 anni quando
suo padre morì, e i consiglieri dell’imperatore Claudio pensarono che fosse troppo giovane per assumere
il governo dei domini paterni. Perciò Claudio nominò al suo posto dei governatori su quei territori. Dopo
essere rimasto a Roma ancora per qualche tempo, Agrippa II ricevette il regno di Calcide, piccolo
principato sul pendio occidentale della catena dell’Antilibano, appartenuto a suo zio (Erode re di Calcide).
Non molto tempo dopo, Claudio lo nominò re delle tetrarchie che erano state di Filippo e di Lisania. (Lu
3:1) Gli furono pure affidate la sorveglianza del tempio di Gerusalemme e l’autorità di nominare i sommi
sacerdoti. I suoi domini vennero estesi da Nerone, successore di Claudio, che gli concesse Tiberiade e
Tarichea in Galilea e Giulia con le sue borgate dipendenti in Perea.
Successivamente Agrippa decise di far ampliare il palazzo che era stato eretto a Gerusalemme dai
sovrani asmonei. Poiché dalla nuova ala del palazzo poteva osservare ciò che avveniva nel cortile del
tempio, gli ebrei innalzarono un muro che impediva la vista a lui e anche alle guardie romane su una
postazione elevata. La cosa dispiacque sia a Erode che a Festo, ma essendosi gli ebrei appellati a
Nerone, questi permise che il muro rimanesse. Agrippa abbellì anche Cesarea di Filippo (che chiamò
Neronia in onore di Nerone). Seguendo le orme del padre, costruì un teatro a Berito, in Fenicia,
profondendovi enormi somme di denaro per gli spettacoli.
Agrippa ebbe una relazione incestuosa con la sorella Berenice, che aveva abbandonato il marito, re di
Cilicia. Questa relazione incestuosa (condannata dalle Scritture) con la propria sorella provocò un grosso
scandalo. — Le 18:9, 29; De 27:22.
Quando fu evidente che la ribellione contro il giogo romano (66-70 E.V.) sarebbe stata solo un disastro
per la nazione, Agrippa cercò di persuadere gli ebrei a seguire una condotta più moderata. Poiché i suoi
appelli furono vani, abbandonò gli ebrei e si unì all’esercito romano, rimanendo ferito in combattimento da
una pietra lanciata con la fionda.
La difesa di Paolo. Le Scritture presentano il re Erode Agrippa II e sua sorella Berenice in occasione
della visita di cortesia fatta al procuratore Festo, probabilmente nel 58 E.V. (At 25:13) Festo era
succeduto al procuratore Felice. L’apostolo Paolo era stato accusato dagli ebrei mentre era in carica
Felice, ma questi, terminato il suo mandato, lasciò Paolo in prigione perché desiderava accattivarsi le
simpatie degli ebrei. (At 24:27) Fra parentesi, Felice era cognato di Agrippa, avendone sposato la sorella
Drusilla. (At 24:24) Mentre Paolo attendeva gli ulteriori sviluppi del suo ricorso a Cesare (At 25:8-12), il re
Agrippa espresse a Festo il desiderio di sentire ciò che Paolo aveva da dire. (At 25:22) Paolo fu lieto di
difendersi davanti ad Agrippa che sapeva “esperto di tutte le usanze e le controversie dei giudei”. (At
26:1-3) Il poderoso argomento di Paolo indusse Agrippa a dire: “In breve tempo mi persuaderesti a
divenire cristiano”. Al che Paolo rispose: “Desidererei dinanzi a Dio che in breve tempo o in lungo tempo
non solo tu ma anche tutti quelli che oggi mi odono divenissero tali quale sono io, a eccezione di questi
legami”. (At 26:4-29) Agrippa e Festo convennero che Paolo era innocente ma che, essendosi appellato
a Cesare, doveva essere mandato a Roma per essere processato. — At 26:30-32.
Dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 E.V. Erode Agrippa si trasferì a Roma con la sorella
Berenice, e ricevette l’incarico di pretore. Agrippa morì senza figli verso il 100 E.V.

w90 15/6 23-4 Proclamiamo intrepidamente il Regno di Geova!


Intrepido davanti a governanti
13 Ben presto l’apostolo si difese dalle false accuse e diede intrepidamente testimonianza a Felice. (24:1-
27) Di fronte agli accusatori ebrei Paolo mostrò che non aveva aizzato la folla. Disse che credeva nelle
cose scritte nella Legge e nei Profeti e che sperava in una “risurrezione sia dei giusti che degli ingiusti”.
Paolo era andato a Gerusalemme con “doni di misericordia” (contribuzioni per i seguaci di Gesù che
erano poveri, forse a causa della persecuzione) e si era purificato cerimonialmente. Anche se Felice
rimandò il giudizio, in seguito Paolo predicò a lui e a sua moglie Drusilla (figlia di Erode Agrippa I)
riguardo a Cristo, alla giustizia, alla padronanza di sé e al giudizio avvenire. Spaventato da tali discorsi,
Felice congedò Paolo. In seguito, comunque, fece chiamare spesso l’apostolo, sperando invano di
ricevere del denaro. Felice sapeva che Paolo era innocente ma lo lasciò legato, sperando di guadagnare
il favore degli ebrei. Due anni dopo a Felice succedette Porcio Festo.
14 Paolo pronunciò un’intrepida difesa anche davanti a Festo. (25:1-12) Se meritava di morire, l’apostolo
non si sarebbe tirato indietro, ma nessun uomo poteva consegnarlo ai giudei per favore. “Mi appello a
Cesare!” disse Paolo, valendosi del diritto che avevano i cittadini romani di essere processati a Roma (a
quel tempo davanti a Nerone). La richiesta fu accolta, e così Paolo avrebbe ‘reso testimonianza a Roma’,
com’era stato predetto. (Atti 23:11) Anche i testimoni di Geova si valgono delle disposizioni vigenti per
‘difendere e stabilire legalmente la buona notizia’. — Filippesi 1:7.
15 Il re della Giudea settentrionale Erode Agrippa II e sua sorella Berenice (con la quale aveva una
relazione incestuosa) udirono Paolo mentre facevano visita a Festo, a Cesarea. (25:13–26:23) Dando
testimonianza ad Agrippa e poi a Cesare, Paolo adempì la profezia secondo cui egli avrebbe portato il
nome del Signore ai re. (Atti 9:15) Narrando ad Agrippa ciò che era successo sulla strada per Damasco,
Paolo sottolineò che Gesù disse: “Ti è duro continuare a ricalcitrare contro i pungoli”. Come un toro
ostinato si fa del male quando resiste agli stimoli di un pungolo, Saulo aveva fatto del male a se stesso
combattendo i seguaci di Gesù, che avevano il sostegno di Dio.
16 Che effetto ebbe questo su Festo e su Agrippa? (26:24-32) Non riuscendo a comprendere la
risurrezione, e stupito della convinzione di Paolo, Festo esclamò: “Il gran sapere ti conduce alla pazzia!”
In maniera simile, oggi alcuni accusano i testimoni di Geova di essere pazzi, anche se in realtà essi come
Paolo esprimono “parole di verità e di sanità di mente”. “In breve tempo mi persuaderesti a divenire
cristiano”, disse Agrippa, che pose fine all’udienza riconoscendo però che Paolo avrebbe potuto essere
liberato se non si fosse appellato a Cesare.
Erode Filippo e Filippo il tetrarca — Tema: Intrighi di famiglia e posizione mondana sono vanità
PROVERBI 1:14
Nome di una famiglia di uomini politici che governarono gli ebrei. Erano idumei, edomiti, ebrei solo di
nome poiché, secondo Giuseppe Flavio, verso il 125 a.E.V. il maccabeo Giovanni Ircano aveva imposto
loro la circoncisione.
A parte la breve menzione che ne fa la Bibbia, quasi tutte le informazioni sul loro conto si devono a
Giuseppe Flavio. Il capostipite della famiglia fu Antipatro (Antipa) I, che il re asmoneo (maccabeo)
Alessandro Ianneo aveva nominato governatore dell'Idumea. Il figlio di Antipatro, anch'egli chiamato
Antipatro o Antipa, era il padre di Erode il Grande. Secondo Giuseppe Flavio, lo storico Nicola
Damasceno dice che Antipatro (II) era della stirpe degli ebrei illustri tornati da Babilonia nel paese di
Giuda. Ma, dice Giuseppe Flavio, Nicola voleva soltanto far cosa grata a Erode, che in realtà era un
edomita sia da parte di padre che di madre.
Antipatro II, uomo ricchissimo, e politico intrigante, aveva grandi ambizioni per i suoi figli. Diede il suo
appoggio a Ircano II, figlio di Alessandro Ianneo e di Alessandra Salome, aiutandolo a conquistarsi la
posizione di sommo sacerdote e re dei giudei a danno del fratello Aristobulo. In effetti, però, Antipatro
agiva per ambizione personale, e alla fine ottenne da Giulio Cesare la cittadinanza romana e il
governatorato della Giudea. Antipatro nominò il proprio figlio Fasael governatore di Gerusalemme e un
altro figlio, Erode, governatore della Galilea. La sua carriera terminò quando fu avvelenato da un sicario.

it-1 840 Erode


5. Erode Filippo, figlio di Erode il Grande e di Mariamne II, figlia del sommo sacerdote Simone. Filippo fu
il primo marito di Erodiade, che divorziò da lui per sposarne il fratellastro Erode Antipa. È menzionato
incidentalmente nella Bibbia in Matteo 14:3; Marco 6:17, 18 e Luca 3:19.
Il nome Erode Filippo è usato per distinguerlo da Filippo il tetrarca, il quale, secondo Giuseppe Flavio, era
anch’egli figlio di Erode il Grande e di un’altra delle sue mogli, Cleopatra di Gerusalemme.
Pare che a Filippo spettasse la successione al trono paterno, essendo il maggiore dei figli dopo i
fratellastri Antipatro, Alessandro e Aristobulo, tutti e tre messi a morte dal padre. Un precedente
testamento del padre lo nominava erede dopo Antipa. Ma fu escluso dall’ultimo testamento di Erode, e il
regno passò ad Archelao. Giuseppe Flavio riferisce che Erode aveva cancellato il nome di Filippo dal suo
testamento perché Mariamne II, madre di Filippo, pur essendo al corrente del complotto di Antipatro
contro Erode, non l’aveva rivelato.
Filippo ebbe una figlia da Erodiade, Salome, probabilmente quella che danzò davanti a Erode Antipa e
che, dietro consiglio di sua madre, chiese la testa di Giovanni il Battezzatore. — Mt 14:1-13; Mr 6:17-29.
6. Filippo il tetrarca, figlio di Erode il Grande e di Cleopatra di Gerusalemme. Cresciuto a Roma, sposò
Salome figlia di Erode Filippo e di Erodiade. Quando suo padre morì, Cesare Augusto divise il regno,
dando a Filippo la tetrarchia dell’Iturea, della Traconitide e di altri distretti vicini, con una rendita annua di
100 talenti. (Forse l’Iturea fu aggiunta in seguito e perciò non è menzionata da Giuseppe Flavio). Regnò
per più di 30 anni. Giuseppe Flavio dice: “Nel governare manifestò un’indole moderata e tranquilla. In
effetti passava tutto il suo tempo nel territorio a lui soggetto”. Giuseppe Flavio aggiunge che Filippo
sedeva in giudizio ovunque si trovasse e teneva le udienze senza indugio. Morì a Giulia e fu sepolto con
gran pompa. Non avendo lasciato figli, l’imperatore Tiberio annetté la sua tetrarchia alla provincia della
Siria. — Antichità giudaiche, XVIII, 106-108 (iv, 6).
Il nome di Filippo è menzionato una sola volta nella Bibbia in relazione alla data del ministero di Giovanni
il Battezzatore. (Lu 3:1) Questo versetto, insieme alle informazioni storiche relative ai regni di Augusto e
Tiberio, indica che il ministero di Giovanni iniziò nel 29 E.V.
[Diagramma a pagina 834]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
W54 P.649
Erodiade — Tema: Inseguire la preminenza è una follia PROVERBI 21:24

it-1 841 Erodiade


ERODIADE
(Erodìade).
La moglie di Erode Antipa che, servendosi della figlia Salome, nel 32 E.V. chiese e ottenne la testa di
Giovanni il Battezzatore. (Mr 6:22-28) Il padre Aristobulo, figlio di Erode il Grande e della sua seconda
moglie Mariamne I, e la madre erano primi cugini. Suo fratello Erode Agrippa I fece uccidere l’apostolo
Giacomo fratello di Giovanni. — At 12:1, 2.
Erodiade aveva sposato in prime nozze uno zio, fratellastro di suo padre, pure figlio di Erode il Grande
(che lo ebbe dalla terza moglie, Mariamne II) e chiamato comunemente Erode Filippo per distinguerlo da
Filippo il tetrarca dell’Iturea e della Traconitide. (Lu 3:1) Questo marito-zio, Erode Filippo, era il padre di
Salome, a quanto pare l’unica figlia di Erodiade. Tuttavia Erodiade divorziò da lui e ne sposò il fratellastro
Erode Antipa, anch’egli figlio del nonno di lei Erode il Grande e della sua quarta moglie, Maltace. Anche
Erode Antipa, l’allora governatore distrettuale (lett. “tetrarca”), che Gesù Cristo aveva chiamato “quella
volpe” (Lu 13:31, 32), aveva divorziato dalla prima moglie, figlia del re nabateo Areta d’Arabia, per
sposare Erodiade.
Giovanni il Battezzatore aveva dunque ragione di condannare il matrimonio di Erodiade con Erode
Antipa, che secondo la legge ebraica era sia illegale che immorale, ma per questo fu gettato in prigione e
poi decapitato. L’intrepida e giusta condanna da parte di Giovanni aveva suscitato l’intenso odio di
Erodiade, che alla prima opportunità fece quindi mettere a morte il profeta. — Mt 14:1-11; Mr 6:16-28; Lu
3:19, 20; 9:9.
Il fratello di Erodiade, Erode Agrippa I, tornò da Roma nel 38 E.V., dopo essere stato nominato re.
Questo contrariò molto Erodiade, perché il marito, pur essendo figlio di un re, era solo tetrarca. Perciò
non cessò di far pressione sul marito finché anch’egli andò a Roma nella speranza di essere incoronato
re. Giuseppe Flavio narra che Agrippa fratello di Erodiade inviò in segreto delle lettere all’imperatore
Caligola accusando Antipa di cospirare coi parti. Come conseguenza Antipa fu esiliato in Gallia, dove
Erodiade lo seguì. — Antichità giudaiche, XVIII, 240-256 (vii, 1, 2); Guerra giudaica, II, 181-183 (ix, 6).

W54 P.649
Esaù — Tema: Le nostre decisioni rivelano se apprezziamo le cose sacre EBREI 12:14-16

it-1 843-5 Esaù


ESAÙ
[peloso].
Primogenito di Isacco e Rebecca, fratello gemello di Giacobbe e antenato degli edomiti. Gli fu dato il
nome Esaù perché alla nascita era insolitamente peloso, ma ebbe il soprannome di Edom (“rosso”) a
motivo della minestra di lenticchie rosse per cui vendette la primogenitura. — Ge 25:25, 26, 30.
Ancor prima di nascere nel 1858 a.E.V., quando Isacco aveva 60 anni, i gemelli lottavano nel grembo
materno. In risposta alla domanda di Rebecca sul significato di ciò, Geova le rivelò che due gruppi
nazionali si sarebbero separati dalle sue parti interiori, e che il maggiore avrebbe servito il minore. — Ge
25:22, 23.
Disprezzo per le cose spirituali. Esaù diventò un abile e avventuroso cacciatore, “un uomo selvaggio”.
A differenza del fratello, l’“irriprovevole” Giacobbe, Esaù aveva una mentalità carnale, materialistica. (Ge
25:27) Ma Isacco amava Esaù, “perché significava cacciagione nella sua bocca”. — Ge 25:28.
Un giorno Esaù, stanco e affamato, tornò dai campi mentre Giacobbe stava cuocendo della minestra. Alla
richiesta di Esaù, “presto, ti prego, dammi un boccone del rosso, del rosso lì”, Giacobbe gli chiese di
vendergli la primogenitura. Non avendo nessun apprezzamento per le cose sacre, cioè per la promessa
fatta da Geova ad Abraamo riguardo al seme per mezzo del quale tutte le nazioni della terra si sarebbero
benedette, impulsivamente Esaù cedette con un giuramento la primogenitura a Giacobbe per un piatto di
lenticchie e del pane. Disprezzando così la primogenitura, considerandola di ben poco valore, Esaù
manifestò completa mancanza di fede. Forse non aveva nessuna intenzione di subire le conseguenze
insite nell’adempimento della parola di Dio relativa al seme di Abraamo: “Il tuo seme diverrà residente
forestiero in un paese non loro, e dovranno servirli, e questi certamente li affliggeranno per quattrocento
anni”. — Ge 15:13; 25:29-34; Eb 12:16.
A 40 anni Esaù fece personalmente i piani per sposarsi. Volle essere poligamo e, a differenza del padre
Isacco, il quale aveva lasciato che suo padre Abraamo gli trovasse moglie fra gli adoratori di Geova,
Esaù prese in moglie due donne pagane, le ittite Giuditta (Oolibama?) e Basemat (Ada?). Queste donne
furono fonte di amarezza di spirito per Isacco e Rebecca. — Ge 26:34, 35; 36:2; 24:1-4, 50, 51; vedi
BASEMAT n. 1; GIUDITTA.
Giacobbe riceve la benedizione. Isacco, ormai avanti negli anni, desiderava impartire la sua
benedizione al figlio maggiore, Esaù. Per prima cosa gli disse di cacciare della selvaggina e preparargli
un piatto gustoso. Esaù si accinse a farlo per ricevere la benedizione come primogenito, benché non ne
avesse più diritto avendo venduto la primogenitura. Era quindi disposto a infrangere il patto con cui aveva
giurato di cedere la primogenitura. Sapendo ciò che Geova le aveva detto prima della nascita dei due
gemelli, Rebecca intervenne, esortando Giacobbe a presentarsi al padre al posto di Esaù e ottenere così
la benedizione che gli spettava di diritto. Quando si presentò al padre ormai cieco, Giacobbe aveva
indosso le vesti di Esaù e pelli di capretto sulle mani e sulla parte glabra del collo. Perciò Isacco non lo
riconobbe. — Ge 25:23; 27:1-23.
Isacco aveva appena finito di benedire Giacobbe, quando Esaù tornò dalla caccia e si accinse a
preparare un piatto gustoso per il padre. Presentatosi al padre per ricevere disonestamente la
benedizione e saputo che Isacco aveva benedetto Giacobbe, Esaù “dette in un grido forte ed
amarissimo”. (VR) Con grande ardore, ma per un motivo egoistico, chiese a suo padre una benedizione;
tuttavia neanche le lacrime indussero Isacco a un ripensamento, facendogli revocare la benedizione che
aveva pronunciato su Giacobbe. Probabilmente Isacco riconobbe la guida di Geova al riguardo. Quindi
disse a Esaù: “Ecco, la tua dimora si troverà lontano dai fertili suoli della terra, e lontano dalla rugiada dei
cieli di sopra. E vivrai della tua spada, e servirai tuo fratello. Ma certamente accadrà che, quando diverrai
irrequieto, in realtà scuoterai il suo giogo dal tuo collo”. — Ge 25:33; 27:30-40; Eb 12:17.
Esaù sapeva che Giacobbe aveva diritto alla benedizione perché aveva legalmente acquistato la
primogenitura. (L’archeologia conferma che fra le antiche popolazioni del Medio Oriente c’era l’usanza di
scambiare la primogenitura con beni materiali. Per esempio, un’iscrizione rinvenuta a Nuzi menziona un
uomo che ricevette tre pecore dal fratello in cambio della sua parte di eredità). Ma Esaù, come Caino,
covava rancore verso il fratello Giacobbe e aspettava l’opportunità per metterlo a morte. Perciò Rebecca,
venutolo a sapere, esortò Giacobbe a rifugiarsi ad Haran da suo fratello Labano. Per ottenere il consenso
di Isacco al riguardo, benignamente preferì non rivelargli l’intenzione omicida di Esaù, ma espresse i suoi
sentimenti dicendo che avrebbe provato grande dispiacere se anche Giacobbe avesse preso moglie tra
le figlie di Het. Isacco allora chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli ordinò di andare in Paddan-Aram dai
parenti di Rebecca a cercar moglie. Questo fatto spinse Esaù a prendere una terza moglie, Maalat
(Basemat?) figlia di Ismaele figlio di Abraamo. — Ge 27:41–28:9; 36:3; vedi BASEMAT n. 2.
Avvenimenti successivi. Durante i 20 anni di assenza di Giacobbe, Esaù cominciò ad avere degli
interessi in Seir, il campo di Edom. (Ge 32:3; Gsè 24:4) Sembra però che solo anni dopo si sia trasferito
definitivamente, portando la famiglia e tutti i suoi possedimenti nel paese di Seir. (Ge 36:6-8) Al suo
ritorno in Canaan, Giacobbe fu molto allarmato quando i messaggeri che aveva inviato lo informarono
che Esaù gli stava venendo incontro con 400 uomini. La ragione del sopraggiungere di Esaù con una
schiera di 400 uomini poteva essere quella di impressionare il fratello con la sua forza preponderante, o
forse di dimostrare che era un potente capotribù. Giacobbe, dopo essersi rivolto a Geova in preghiera,
mandò davanti a sé un generoso dono di oltre 550 capi di bestiame. Scorgendo Esaù, Giacobbe, in tutta
umiltà, “si inchinava a terra sette volte finché si accostò a suo fratello”. Esaù allora corse incontro a
Giacobbe, lo abbracciò e lo baciò gettandogli le braccia al collo. Entrambi scoppiarono in lacrime. Esaù in
un primo momento rifiutò di accettare i capi di bestiame offertigli in dono da Giacobbe, dicendo: “Ho
moltissimo, fratello mio. Resti a te ciò che è tuo”. Ma a motivo dell’insistenza di Giacobbe, Esaù alla fine
accettò il dono. Poi si offrì di accompagnare Giacobbe, ma suo fratello rifiutò con tatto sia questa che la
successiva proposta di Esaù di mettere degli uomini a disposizione di Giacobbe, probabilmente a scopo
di protezione. Esaù e i suoi uomini allora se ne andarono e fecero ritorno in Seir. La Bibbia menziona
che, circa 23 anni dopo, alla morte di Isacco, Esaù e Giacobbe seppellirono il loro padre. — Ge 32:6, 7,
10-15; 33:1-3, 8, 9, 11-16; 35:29.
Princìpi illustrati. La personalità di Esaù indica chiaramente che la scelta di Giacobbe come uno degli
antenati del Seme promesso non fu una scelta arbitraria né un irragionevole favoritismo da parte di
Geova Dio. La mancanza di apprezzamento per le cose spirituali, insieme alla forte tendenza a
soddisfare i desideri carnali, resero Esaù non idoneo per essere un antenato diretto del Seme promesso.
Di qui le parole di Geova, pronunciate per mezzo del profeta Malachia: “Ma io amai Giacobbe, e ho
odiato Esaù”. Esaù è escluso dal numero dei testimoni fedeli elencati in Ebrei capitolo 11, dove Paolo
dice: “Per fede Abraamo . . . dimorò in tende con Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa
promessa”. — Mal 1:2, 3; Eb 11:8, 9; 12:1.
Scegliendo Giacobbe invece di Esaù Geova Dio mostrò che la sua scelta non dipende da norme umane.
L’apostolo Paolo menziona questo episodio per illustrare il fatto che i veri figli di Abraamo non sono
necessariamente i suoi discendenti carnali, né coloro che confidano nelle proprie opere, ma quelli che
hanno la stessa fede di Abraamo. — Ro 9:6-12.
Quello del materialista Esaù è un esempio ammonitore per i cristiani affinché non si rendano colpevoli
come lui di mancanza di apprezzamento per le cose spirituali o sacre. — Eb 12:16; vedi EDOM,
EDOMITI.

w74 1/2 83-7 Guardate attentamente l'eredità?


9 Tutti quelli che sono testimoni di Geova sanno che è in serbo una meravigliosa eredità, una
ricompensa, e tutti desiderano parteciparvi. Infatti, non dobbiamo guardare tanto lontano, siamo ora alla
soglia. Ma c’è il pericolo di disprezzare l’eredità, di disdegnarla e perderla? Sì. Bisogna prestare costante
attenzione per tenere al giusto posto l’amore verso l’eredità, perché dev’essere non solo nella nostra
mente ma anche nel nostro cuore. Affinché ognuno di noi si esamini, sarà bene ripassare un racconto
biblico che dà risalto all’importanza dell’eredità. È la narrazione relativa ai fratelli gemelli Giacobbe ed
Esaù.
10 Cominciamo il racconto da quando i ragazzi stavano crescendo. Entrambi furono allevati dal padre
Isacco e dalla madre Rebecca con la conoscenza del promesso “seme” che avrebbe benedetto tutte le
famiglie della terra. (Gen. 3:15) Entrambi sapevano che al loro nonno Abraamo era stato detto che il
“seme” sarebbe venuto dalla sua linea di discendenza, attraverso Isacco, e che la benedizione di Dio era
stata sul loro padre Isacco. (Gen. 21:12; 22:15-18; 25:11; 26:24) Questa era un’eredità di straordinario
significato. Isacco era anche materialmente ricco. I ragazzi avrebbero ereditato anche questa ricchezza e
il primogenito ne avrebbe ricevuto una porzione doppia. Ma quale ragazzo sarebbe stato qualificato per
ricevere l’eredità, particolarmente la promessa del “seme” attraverso la linea di discendenza della
famiglia? Esaù, il primogenito, era nella posizione di favore da un punto di vista umano. — Gen. 25:25,
26.
11 Il racconto biblico dice: “E i ragazzi crebbero, ed Esaù divenne un uomo che sapeva cacciare, un uomo
del campo, ma Giacobbe un uomo irriprovevole, che dimorava in tende”. — Gen. 25:27.
12 In che modo queste parole fanno luce sull’attitudine dei ragazzi? Rivelano ciò che ciascuno aveva nel
cuore. Esaù era abile nella caccia. Trascorreva il suo tempo nel campo a imparare l’arte del cacciatore.
Giacobbe, d’altra parte, s’interessava della famiglia. La parola ebraica resa qui “irriprovevole” significa
“sano”, “innocente”, “completo”. Giacobbe, pur non facendo mostra della sua forza e della sua capacità
come faceva probabilmente Esaù, non era tuttavia un debole, poiché in seguito, parlando di lui, Geova
disse che aveva “energia dinamica”. (Osea 12:3) Il fatto è che Giacobbe stimava la promessa del patto
fatta ad Abraamo più di ogni altra cosa e dedicò tutto ciò che aveva ad imparare da suo padre intorno alla
promessa. Si dedicò ad aver cura degli interessi di questa famiglia che Dio aveva designata come erede.
Voleva stare vicino a quelli che Dio benediceva, anche se considerava effettivamente Esaù come colui
che veniva prima di lui, giacché Esaù era il primogenito.
13 In seguito i due ragazzi diedero una più vigorosa prova della loro attitudine. Leggiamo:
“Una volta Giacobbe bolliva della minestra, quando Esaù venne dal campo ed era stanco. Esaù disse
dunque a Giacobbe: ‘Presto, ti prego, dammi un boccone del rosso, del rosso lì, poiché sono stanco!’ . . .
A ciò Giacobbe disse: ‘Vendimi, prima di tutto, il tuo diritto di primogenito!’ Ed Esaù continuò: ‘Ecco, io sto
semplicemente per morire, e di quale beneficio mi è una primogenitura?’ E Giacobbe aggiunse: ‘Giurami
prima di tutto!’ Ed egli gli giurava e vendeva il suo diritto di primogenito a Giacobbe. E Giacobbe diede a
Esaù pane e minestra di lenticchie, ed egli mangiava e beveva. Quindi si levò e se ne andò”. — Gen.
25:29-34.
QUESTIONE DI APPREZZAMENTO
14 Fu Giacobbe egoista, approfittando ingiustamente di Esaù? Potrebbe sembrare così. Ma considerate:
Apprezzò realmente Esaù le cose meravigliose rappresentate dalla sua primogenitura? Non stava
effettivamente per morire, come disse. Ciò è mostrato dal fatto che dopo aver mangiato si levò e se ne
andò. La Bibbia dice che “era stanco”. Perché Esaù fu spinto a fare quello che fece? Il racconto ci dice:
“Esaù disprezzò dunque la primogenitura”. L’apostolo Paolo convalidò questa dichiarazione definendo
Esaù come uno che non apprezzò “le cose sacre, . . . che in cambio di un pasto cedette i suoi diritti di
primogenito”. — Gen. 25:34; Ebr. 12:16.
15 Tutto questo dimostrò che il giudizio di Dio era stato giusto quando, prevedendo le caratteristiche dei
ragazzi, aveva detto alla madre Rebecca prima che nascessero: “Il più vecchio servirà il più giovane”. —
Gen. 25:23; Rom. 9:12.
16 Giacobbe possedeva ora il diritto di primogenito per mezzo di due cose: per la promessa di Dio e per
diritto d’acquisto. Ma non aveva ancora la benedizione d’Isacco sul primogenito. È tuttavia evidente che
Giacobbe agiva altruisticamente, non facendo nessun passo per passare davanti a Esaù in questo.
Senza dubbio aspettava Geova. Ora Isacco era cieco, e non si rendeva conto pienamente degli
avvenimenti che si verificavano. Indubbiamente spinta da Geova ad agire, Rebecca, ricordando le parole
che Dio le aveva detto prima della nascita dei ragazzi, istruì Giacobbe affinché egli ricevesse la
benedizione.
17 In quello che seguì, alcuni lettori della Bibbia accusano Rebecca e Giacobbe di inganno e disonestà.
Ma è così? A questo punto, chi occupava realmente la posizione di primogenito secondo ogni diritto? Chi
si interessava dell’eredità? Perché Esaù nascose a Isacco il fatto che Giacobbe aveva comprato la
primogenitura, ma cercò invece di ottenere per sé la benedizione? È vero che Isacco benedisse
Giacobbe pensando erroneamente di benedire Esaù. Ma in seguito riconobbe che l’azione di Giacobbe e
di Rebecca era stata giusta. Vide la mano di Geova nella cosa, benedicendo di nuovo Giacobbe, questa
volta consapevolmente, con una profezia riguardo al “seme”. Quindi diede istruzioni a Giacobbe e lo
mandò via per metterlo al sicuro dal suo adirato fratello Esaù. Per di più, Dio stesso benedisse Giacobbe
con la promessa che il “seme” sarebbe venuto dalla sua linea di discendenza. — Genesi cap. 27; 28:1-4.
18 Che l’azione di Giacobbe non fosse motivata dall’egoistico guadagno è ulteriormente comprovato dal
fatto che lasciò la casa, non assumendo la responsabilità della proprietà familiare. E non c’è nessuna
evidenza che pretendesse mai la sua porzione doppia. Per lui l’eredità avvenire era di insuperabile
valore. Voleva che il patto di Dio rimanesse nella famiglia. Il suo apprezzamento verso Geova e la Sua
promessa eclissava ogni altra considerazione.
19 In contrasto con la mancanza di apprezzamento manifestata da Esaù, la grande considerazione che
Giacobbe aveva per l’eredità di Dio fu di nuovo resa evidente da qualcosa che accadde quando vent’anni
dopo Giacobbe tornò a casa a visitare suo padre. Giacobbe aveva ragione di credere che Esaù potesse
fargli del male, e per questa ragione era alquanto timoroso e cauto. Mandò un dono a Esaù prima che
giungesse la sua casa emigrante. Se Esaù l’accettava, significava che fra loro c’era pace. Ma prima che
avvenisse l’incontro, si verificò un episodio molto insolito. La Bibbia narra:
“Più tardi, quella notte, [Giacobbe] si levò e prese le sue due mogli e le sue due serve e i suoi undici
figliolini e passò il guado di Iabboc. Dunque li prese e li condusse di là dalla valle del torrente, e condusse
di là ciò che aveva. Infine Giacobbe fu lasciato solo. Quindi un uomo veniva alle prese con lui fino a che
ascese l’aurora. Quando vide che non aveva prevalso su di lui, gli toccò la cavità della giuntura della
coscia; e la cavità della giuntura della coscia di Giacobbe si slogò, mentre era alle prese con lui. Dopo ciò
disse: ‘Lasciami andare, perché è ascesa l’aurora’. A ciò egli disse: ‘Non ti lascerò andare se prima non
mi benedici’. Dunque, gli disse: ‘Qual è il tuo nome?’ Al che egli disse: ‘Giacobbe’. Quindi disse: ‘Il tuo
nome non sarà più Giacobbe ma Israele, poiché hai conteso con Dio e con gli uomini così che alla fine
hai prevalso’. A sua volta Giacobbe domandò e disse: ‘Dichiarami, ti prego, il tuo nome’. Comunque, egli
disse: ‘Perché domandi il mio nome?’ Allora lì lo benedisse. Per cui Giacobbe diede al luogo il nome di
Peniel, perché, come egli disse: ‘Ho visto Dio a faccia a faccia eppure la mia anima è stata liberata’. E il
sole rifulgeva su di lui appena passò presso Penuel, ma zoppicava sulla coscia”. — Gen. 32:22-31.
20 Qui è rivelata la grande differenza fra l’attitudine di Giacobbe e quella di Esaù verso l’eredità. Mentre
Esaù non volle soffrire nemmeno un po’ la fame per la primogenitura, Giacobbe lottò tutta la notte con un
angelo di Dio che si era materializzato come uomo. Giacobbe fece questo per ottenere una parola di
benedizione da Geova tramite l’angelo. Giacobbe sapeva senz’altro che l’angelo era apparso per uno
scopo, ed era a conoscenza del fatto che nelle passate apparizioni gli angeli avevano recato una
benedizione o un comando a conferma del patto abraamico. (Gen. 28:10-15; 31:11-13) Egli era perciò
così desideroso che Dio continuasse ad essere con lui, così come era stato con suo padre e con suo
nonno, che s’impegnò in una vigorosa, spossante lotta con l’angelo, tenendosi stretto a lui. Giacobbe
dimostrò così il grande desiderio del suo cuore d’avere il favore di Dio. — Si paragoni Genesi 28:20-22.
21 Naturalmente, Giacobbe non vinse o non sopraffece in effetti l’angelo di Dio. L’episodio servì a mettere
alla prova il desiderio che Giacobbe nutriva con tutto il suo cuore d’essere trovato accetto a Dio. In effetti,
solo toccandolo l’angelo, con sovrumano potere, fece slogare la giuntura della coscia di Giacobbe così
che da allora in poi zoppicò. Questo fu un fattore umiliante, una protezione per Giacobbe. Fu un
rammemoratore per insegnare a Giacobbe che era stato per immeritata benignità di Dio, e non per
alcuna forza o merito da parte di Giacobbe, che Dio lo aveva benedetto e si serviva di lui. Si paragoni
l’esperienza dell’apostolo Paolo narrata in II Corinti 12:6-10.
22 Il risultato di Giacobbe e di Esaù ci dà un fortissimo incentivo a essere fedeli, ad attenerci alla
speranza della ricompensa. Giacobbe fu benedetto divenendo il progenitore di una grande nazione. Ma
soprattutto, fu la nazione che Geova Dio impiegò per operare la salvezza della razza umana. Il “seme”, il
Messia, venne dalla linea di discendenza di Giacobbe. A motivo della sua forte fede, Giacobbe ‘vive’ agli
occhi di Dio, e gli è assicurata la risurrezione per ricevere l’eredità, una parte nel reame terrestre del
regno di Dio. Egli sarà senz’altro uno dei “principi” che Gesù Cristo costituirà come sorvegliante e pastore
del suo popolo. — Luca 20:37, 38; Sal. 45:16.
COME VI SENTITE RIGUARDO ALL’EREDITÀ?
23 Considerando la vita di Giacobbe e di Esaù, ciascuno di noi può chiedersi: ‘Che cosa ne faccio della
mia vita? Quanto apprezzo la promessa eredità della vita nel nuovo ordine di Dio? Sono disposto a subire
disagi pur di ricevere l’eredità? Voglio attenermi ad essa con tutte le mie forze?’
[Figura a pagina 84]
Giacobbe stimò la promessa del patto fatta ad Abraamo, ma Esaù vendette per un pasto la sua eredità.
Apprezzate le cose sacre, come fece Giacobbe? Guardate attentamente l’eredità della vita nel nuovo
ordine di Dio e lo mostrate con ciò che fate della vostra vita?

w85 1/8 21-5 Apprezzate la vostra eredità?


Apprezzate la vostra eredità?
“Perseguite la pace . . . , vigilando attentamente . . . affinché non vi sia fornicatore né alcuno che non
apprezzi le cose sacre, come Esaù, che in cambio di un pasto cedette i suoi diritti di primogenito”. —
EBREI 12:14-16.
C’È CHI ha ucciso per essa. C’è chi è morto senza riuscire ad ottenerla. Molti, dopo averla ottenuta,
l’hanno sperperata. Che cos’è? Un’eredità. Spesso questo è ciò che accade quando ci sono dei beni da
ereditare.
2 La Bibbia parla 229 volte di eredità, e nella maggioranza dei casi si tratta di lasciti o proprietà terriere.
Ma la Parola di Dio parla anche di un’eredità molto più importante di quelle che si possono lasciare in
testamento. E questa straordinaria eredità può divenire vostra se non la disprezzate. Cos’è questa
eredità? Chi la concede? Perché alcuni la perdono? Come possiamo mostrare di apprezzarla?
L’eredità
3 Quando i giudei di Antiochia rigettarono il salvifico messaggio predicato dall’apostolo Paolo, egli si
rivolse ai non giudei, a “quelli delle nazioni”, i quali ‘si rallegrarono e glorificavano la parola di Geova, e
tutti quelli che erano giustamente disposti per la vita eterna divennero credenti’. (Atti 13:45-48) L’eredità è
quindi la vita eterna. Per alcuni consiste in “un’eredità incorruttibile e incontaminata e durevole . . . nei
cieli”. Chi è il benefattore? “L’Iddio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo”, come disse Pietro. — I Pietro
1:3, 4.
4 Ma che dire della stragrande maggioranza del genere umano che non ha alcuna speranza celeste? La
loro eredità può essere la vita perfetta come parte della “nuova terra”, una nuova società di persone
redente dal sacrificio di Gesù Cristo. Essa offre la possibilità di vivere in eterno su un pianeta trasformato
e incontaminato. (Rivelazione 11:18; 21:3, 4; Giovanni 17:3) Vi piacerebbe avere la speranza di ottenere
questa eredità? Se già sperate di riceverla, la apprezzate veramente?
Disprezzo e apprezzamento per un diritto di primogenitura
5 Per comprendere meglio cosa significa apprezzare un’eredità, prendiamo brevemente in esame
l’esempio di due fratelli. Uno aveva grande apprezzamento per i valori spirituali, mentre l’altro smise di
apprezzarli e perse di conseguenza una preziosissima eredità. I due fratelli erano Giacobbe ed Esaù, figli
gemelli del patriarca ebreo Isacco.
6 Il loro nonno Abraamo era morto quando loro avevano 15 anni. L’eredità materiale che egli aveva
lasciato al figlio Isacco includeva grandi mandrie di bestiame e un campo in cui era situata una caverna
che fungeva da tomba di famiglia. (Genesi 25:5-10) L’aspetto più importante dell’eredità, comunque, non
era una proprietà o qualcos’altro di tangibile. Era la promessa che Geova aveva fatto ad Abraamo e
successivamente ripetuto a Isacco: “Per mezzo del tuo seme tutte le nazioni della terra di certo si
benediranno”. (Genesi 22:18; 25:24-26; 26:2-5) Questo rivelava che in qualche tempo futuro il Messia, il
promesso “seme” di Genesi 3:15, sarebbe venuto dalla discendenza di Abraamo. Essendo Esaù il
primogenito dei gemelli, alla morte del padre Isacco sarebbe entrato in possesso del diritto legale alla
promessa, come pure di una doppia parte della proprietà. Ma sorge la domanda: Apprezzava questa
eredità?
7 Man mano che i gemelli crescevano, diveniva sempre più evidente la loro diversa personalità. Esaù era
un instancabile cacciatore, “un uomo di campagna”, mentre Giacobbe era “un uomo tranquillo”, “un uomo
irriprovevole”. (Genesi 25:27, Versione Riveduta; Traduzione del Nuovo Mondo) Un giorno, mentre
Giacobbe preparava una minestra di lenticchie, Esaù tornò dal campo esausto ed affamato. “Esaù disse
dunque a Giacobbe: ‘Presto, ti prego, dammi un boccone del rosso, del rosso lì, poiché sono stanco!’” —
Genesi 25:30.
8 A questo punto Giacobbe fece al suo fratello gemello una sorprendente proposta, dicendo: “Vendimi,
prima di tutto, il tuo diritto di primogenito!” (Genesi 25:31) Chiedeva l’eredità di Esaù in cambio di un
piatto di lenticchie! Pensate che Giacobbe avesse molte speranze di successo nel proporre uno scambio
del genere? Evidentemente egli riteneva di sì. Perché? Perché conosceva le inclinazioni del fratello e il
suo senso dei valori. Si sbagliava? Esaù, esagerando palesemente le sue condizioni fisiche, rispose:
“Ecco, io sto semplicemente per morire, e di quale beneficio mi è una primogenitura?” — Genesi 25:32.
9 L’accordo fu ratificato con un giuramento, dopo di che Giacobbe servì al fratello pane e minestra di
lenticchie. Esaù mangiò e “se ne andò” senza dire altro. Quindi il racconto ispirato fa opportunamente
notare: “Esaù disprezzò dunque la primogenitura”. (Genesi 25:33, 34) Giacobbe, al contrario, mostrò di
apprezzare altamente la primogenitura. Ciò che gli stava a cuore non era la proprietà, cioè un luogo di
sepoltura e del bestiame. Voleva che il promesso Seme messianico venisse dalla sua discendenza.
Voleva l’eredità spirituale. — Confronta Matteo 6:31-33.
Barattereste la vostra eredità?
10 Circa 19 secoli dopo, l’apostolo Paolo usò l’esempio di Esaù per mettere in guardia i primi cristiani,
dicendo: “Perseguite la pace con tutti, . . . vigilando attentamente perché nessuno sia privato
dell’immeritata benignità di Dio; . . . affinché non vi sia fornicatore né alcuno che non apprezzi le cose
sacre, come Esaù, che in cambio di un pasto cedette i suoi diritti di primogenito”. Perché Paolo mette qui
in relazione un fornicatore con le azioni di Esaù? Perché la mentalità di Esaù può far perdere
l’apprezzamento per le cose sacre e condurre quindi a peccati più gravi, come la fornicazione. — Ebrei
12:14-16.
11 Siete a volte tentati di barattare la vostra eredità cristiana, la vita eterna, con qualcosa di effimero come
un ‘piatto di lenticchie’? Vi succede, forse inconsapevolmente, di disprezzare le “cose sacre”? Per
esempio, in tempi recenti alcuni cristiani sono caduti vittime del moderno permissivismo in campo morale.
Sembra che, come Esaù, provino l’impellente desiderio di soddisfare una brama fisica. Proprio come
Esaù disse a Giacobbe — “Presto, ti prego, dammi un boccone del rosso” — non hanno essi detto in
effetti: ‘Presto! Perché aspettare di contrarre un matrimonio onorevole?’ — Genesi 25:30; confronta
Genesi 34:1-4.
12 Cos’è dunque accaduto? Il desiderio di provare soddisfazione sessuale a qualunque costo è divenuto il
loro ‘piatto di lenticchie’. Di conseguenza hanno disprezzato le cose sacre, inclusa la loro relazione con
Geova Dio e con Gesù Cristo. Hanno disprezzato l’integrità, la fedeltà e la castità. Hanno messo a
repentaglio la loro eredità. Alcuni di loro, tuttavia, hanno in seguito mostrato sincero pentimento, e a
quanto pare hanno di nuovo una buona reputazione davanti a Dio. — Confronta Salmo 51.
Perché alcuni vengono meno?
13 A cosa si devono queste tendenze immorali? È possibile che costoro abbiano lasciato che i loro valori
spirituali venissero erosi? Sono molti i fattori che possono produrre un effetto insidioso sul nostro modo di
pensare: amici e parenti che non condividono i nostri princìpi, persone spiritualmente deboli in seno alla
congregazione, un’atmosfera dissoluta nell’ambiente di lavoro, spettacoli e letture discutibili, una mal
diretta ricerca di amore e affetto fra gli increduli. Tutte queste cose possono condurre all’immoralità. È
possibile che in questo stesso momento alcuni di questi fattori influiscano sul vostro senso dei valori? —
II Corinti 6:14; II Tessalonicesi 3:6.
14 Per esempio, vi capita di guardare programmi televisivi o film che condonano o addirittura incoraggiano
l’immoralità? Bisogna ammettere che questi film possono affascinare la carne decaduta, come un
mulinello che risucchia l’ignaro. Possono influire subdolamente sul vostro modo di pensare. Lo si vede
chiaramente dalla forte influenza esercitata dagli omosessuali sul mondo dello spettacolo. Hanno
promosso film e spettacoli che giustificano l’omosessualità. Di conseguenza ciò che un tempo era
considerato una perversione sessuale è ora eufemisticamente definito “stile di vita alternativo”! Si è giunti
alla situazione così descritta dall’apostolo Paolo: “Avendo superato ogni senso morale, essi si sono dati
alla condotta dissoluta per operare impurità d’ogni sorta con avidità”. — Efesini 4:19; I Corinti 6:9-11.
15 Qual è la soluzione? State lontani dal “basso livello di dissolutezza”! La Bibbia consiglia: “Ricercate ciò
che è buono, e non ciò che è cattivo . . . Odiate ciò che è cattivo, e amate ciò che è buono”. Ecco la vera
prova: odiare intensamente ciò che è male. — I Pietro 4:4; Amos 5:14, 15.
16 Se abbiamo la mente di Cristo, non dovremmo forse avere scrupoli a guardare la violenza gratuita, il
morboso sadismo e la sfacciata immoralità che vengono propinati oggi dalla maggioranza degli
spettacoli? Quale dovrebbe essere in realtà la nostra norma? Paolo risponde: “Tutte le cose vere, tutte le
cose di seria considerazione, tutte le cose giuste, tutte le cose caste, tutte le cose amabili, tutte le cose
delle quali si parla bene, se vi è qualche virtù e qualche cosa degna di lode, continuate a considerare
queste cose”. — Filippesi 4:8.
17 È senz’altro meglio e più sicuro ubbidire al comando dell’apostolo. Purtroppo alcuni hanno ‘continuato
a considerare’ la pornografia presentata in televisione, al cinema e in pubblicazioni oscene. Di
conseguenza hanno contaminato la loro mente e il loro cuore con immoralità e perversioni sessuali.
Quanto sarebbe stato meglio mettere in pratica il consiglio dell’apostolo: “Fratelli, non divenite fanciullini
nelle facoltà d’intendimento [nelle cose spirituali], ma siate bambini in quanto a malizia”! — I Corinti
14:20.
Come possiamo accrescere il nostro apprezzamento?
18 Un’intima relazione con i propri genitori può far capire al figlio che loro lo amano e quali sono i loro
princìpi, così che sarà meno probabile che egli deluda la famiglia. Lo stesso vale per la nostra relazione
con Geova. Ma come possiamo rinsaldare questa relazione? Imparando a conoscere intimamente Dio. Il
nostro profondo studio personale della Parola di Dio ci aiuterà a conoscerlo e ad amarlo a tal punto che
resisteremo a qualsiasi tentazione. Come si espresse Davide nel Salmo 23, sentiremo sempre la
vicinanza del nostro Pastore, Geova. Come sarebbe assurdo commettere un grave errore mentre il
Pastore ci è così vicino! — Ebrei 4:13.
19 Esistono comunque due problemi di fondo. Il primo è che per molti lo studio personale è un peso. A
causa delle carenze dei sistemi scolastici, oggi molte persone leggono con difficoltà. Per loro studiare è
un’impresa. Ma nella vita tutto ciò che ha un valore permanente richiede sforzo. Non vale la pena di
sforzarsi per conoscere Geova, il Sovrano Signore dell’universo, nostro Padre e Dio di immeritata
benignità? — Matteo 6:9; Giacomo 4:8.
20 Il secondo problema è il poco tempo che sembra esserci per lo studio personale. Eppure trenta o
quaranta anni fa sembrava che il tempo ci fosse: tempo per conversare, leggere, scrivere lettere, fare una
passeggiata con la famiglia, meditare. Perché la situazione è cambiata? Il nostro tempo è vittima di una
specie di inflazione. Spesso all’atto pratico la giornata non è più di 24 ore. Perché? Perché in molte case
è entrato un “ladro” che si è impossessato di molto tempo prezioso. Riconoscete questo “ladro”? Sì, è il
televisore, con la sua influenza paralizzante. Secondo una ricerca, “la famiglia americana media guarda
la televisione per 7 ore e 20 minuti al giorno”. Questo rappresenta quasi un terzo della giornata! In media,
quanto tempo dedicate ogni giorno a guardare la TV? Quotidianamente, in tutto il mondo, miliardi di
preziose ore di vita vengono sprecate da persone che vegetano di fronte al televisore. È vero che alcuni
programmi sono puliti, divertenti o istruttivi. Ma anche questi possono divorare il tempo. La TV esercita un
notevole fascino.
21 Come possono i cristiani evitare di essere derubati da questo “ladro”? Solo mediante una rigorosa
gestione del tempo. Limitate il tempo che dedicate a guardare la TV. Stabilite quali cose meritano la
precedenza: le persone e i rapporti umani sono più importanti della TV. Ad esempio, vi secca quando
qualcuno viene a trovarvi mentre state guardando il vostro spettacolo preferito? Trovate difficile spegnere
il televisore, anche quando il programma è noioso o nocivo? Allora il problema c’è. — I Corinti 9:24-27.
22 Quali passi pratici potete compiere per riappropriarvi di queste ore preziose per lo studio personale e i
rapporti umani? Prendete nota dei programmi che meritano di essere visti da un cristiano e guardateli
solo se non c’è nulla di più importante da fare. Alcuni hanno addirittura preso una misura più drastica:
niente televisore in casa! Si tratta di una decisione personale. Ma non si può certo dire che eliminando il
televisore ci abbiano rimesso spiritualmente. — Efesini 5:15, 16.
23 Cosa possiamo dunque fare se vogliamo conservare la nostra preziosa eredità evitando di venderla
per un ‘piatto di lenticchie’? Accertatevi delle cose più importanti nella vita del cristiano. Stabilite quali
cose devono avere la precedenza nel vostro caso e attenetevi ad esse. Impegnatevi quindi in modo
coscienzioso per ottenere il dono della vita eterna, così come l’apostolo Paolo ‘proseguì verso la mèta
per il premio della superna chiamata’. Come Giacobbe, mostrate profondo apprezzamento per l’eredità.
Come Mosè, ‘guardate attentamente la ricompensa’. — Filippesi 1:9, 10; 3:13, 14; Ebrei 11:24-26.
24 Come possiamo essere spronati a fare tutto questo? Mediante un diligente studio della Bibbia.
Applicatela ogni giorno nella vostra vita. Frequentate regolarmente le adunanze cristiane e prestate la
massima attenzione a quanto viene detto. Amate ciò che è giusto e odiate ciò che è male. Non
disprezzate la vostra eredità per soddisfare qualche impellente desiderio carnale. La vostra eredità, la
vita eterna, vale assai più di qualsiasi ‘piatto di lenticchie’, qualunque forma esso possa assumere
oggigiorno! — Ebrei 10:24, 25; 12:12-16.
[Nota in calce]
La parola “pornografia” è così definita: “Descrizione e rappresentazione in opere letterarie, artistiche,
cinematografiche e sim[ili] di cose oscene. [Dal greco pornogràphos, ‘che scrive intorno alle meretrici’]”.
— Il Nuovo Zingarelli.
Ricordate?
 Cos’è l’eredità cristiana?
 In che modo Esaù disprezzò la sua primogenitura?
 Che pericolo si presenta oggi ai cristiani per quanto concerne la loro eredità?
 In quali vari modi possiamo accrescere il nostro apprezzamento?
[Domande sullo studio]
1, 2. (a) Cos’è un’eredità? (b) Quali domande sorgono circa un’eredità più importante?
3. Cos’è l’eredità cristiana, e chi è il benefattore?
4. Quale eredità è disponibile alla maggioranza dei componenti del genere umano?
5, 6. (a) Chi erano Esaù e Giacobbe? (b) Cosa aveva di particolare la loro eredità, e a chi sarebbe
spettata per primo?
7. Come differivano Esaù e Giacobbe in quanto ad apprezzamento e personalità? (Genesi 26:34, 35;
28:6-9)
8. Quale sorprendente proposta fece Giacobbe al fratello, e come reagì Esaù?
9. Che contrasto si nota fra Esaù e il fratello in quanto all’eredità?
10. (a) Che interessante osservazione fece Paolo circa Esaù? (b) Che relazione c’è tra la fornicazione e il
baratto della primogenitura da parte di Esaù?
11. Cosa è accaduto ad alcuni cristiani nei tempi moderni?
12. (a) In che modo alcuni non hanno mostrato apprezzamento per le cose sacre? (b) Comunque, quale
azione hanno in seguito compiuto alcuni di loro?
13. Quali fattori possono erodere i nostri valori spirituali?
14. Che pericolo comportano certi spettacoli moderni?
15. Come possiamo evitare le trappole dell’immoralità?
16. Quale norma additò Paolo ai cristiani?
17. (a) Cos’è la pornografia? (b) In che modo alcuni hanno contaminato la loro mente? (c) Qual è la
condotta saggia da seguire?
18. Cosa può servire da protezione e aiutarci ad apprezzare le cose sacre?
19, 20. (a) Quali due problemi ostacolano lo studio personale? (b) Perché sembra che oggi ci sia meno
tempo per lo studio personale?
21. (a) Quale potrebbe essere il problema di alcuni? (b) Quale pensate sia la soluzione?
22. Come possiamo riappropriarci del tempo dedicato a guardare la TV per impiegarlo in altri modi?
23, 24. Cosa possiamo fare per mostrare che apprezziamo veramente la nostra eredità? (Ebrei 11:26)
[Figura a pagina 22]
Cedereste la vostra eredità in cambio di un ‘piatto di lenticchie’?

w88 15/6 10-15 Apprezzate le cose sacre?


Apprezzate le cose sacre?
“Perseguite la pace con tutti, e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore, vigilando
attentamente . . . affinché non ci sia nessun fornicatore né alcuno che non apprezzi le cose sacre, come
Esaù, che in cambio di un pasto cedette i suoi diritti di primogenito”. — EBREI 12:14-16.
GEOVA nostro Dio è un Provveditore molto generoso. Egli soddisfa liberalmente i bisogni di tutta la sua
creazione. Ma la maggioranza dell’umanità non ci pensa molto. Essi non ringraziano Geova né
riconoscono il loro grande debito nei suoi confronti. I cristiani, d’altra parte, non danno per scontata la
bontà di Geova. Lo onorano per quello che egli fa in loro favore. A motivo della loro devozione nei suoi
confronti, Geova ha affidato al suo popolo molte cose sacre di cui l’umanità in generale non gode. Sono
cose preziose, separate come sante e pertinenti all’adorazione di Geova. Sapete quali sono queste cose
sacre? E le apprezzate di vero cuore? — Salmo 104:10-28; Matteo 5:45; Rivelazione 4:11.
2 Non tutti i servitori di Dio hanno apprezzato dovutamente le cose sacre. Ad esempio Esaù, figlio di
Isacco, venne meno sotto questo aspetto. Paolo parlò di lui quando scrisse agli unti cristiani ebrei. Dopo
averli esortati a ‘perseguire la pace con tutti’, li avvertì di accertarsi che non ci fosse fra loro “nessun
fornicatore né alcuno che non apprezzi le cose sacre, come Esaù, che in cambio di un pasto cedette i
suoi diritti di primogenito”. — Ebrei 12:14-16.
3 Che cos’erano questi diritti di primogenito? Geova aveva promesso al nonno di Esaù, Abraamo, che da
lui e dai suoi discendenti col tempo sarebbe nato colui che sarebbe stato il Seme della promessa, il
Messia o Cristo. Per mezzo di questo Seme tutte le nazioni si sarebbero potute benedire, così da essere
liberate dal peccato e dalla morte. — Genesi 22:15-18; Galati 3:16.
4 Esaù, primogenito di Isacco, aveva l’opportunità di far parte della linea di discendenza da cui sarebbe
venuto quel Seme. E questo proprio in virtù della sua primogenitura. Ma a sua vergogna il racconto
biblico dichiara: ‘Esaù disprezzò la primogenitura’. La vendette impulsivamente per della minestra di
lenticchie e del pane. Certo, non vogliamo imitare la sua mancanza di apprezzamento. Piuttosto,
dovremmo sviluppare l’atteggiamento di Giacobbe, fratello di Esaù. Egli veniva subito dopo in quanto al
diritto di primogenitura, che acquistò a motivo dell’evidente mancanza di apprezzamento di suo fratello.
Giacobbe assicurò in questo modo che il diritto di essere un antenato del Seme promesso fosse
trasmesso da uno che dava il giusto valore a questa cosa sacra. — Genesi 25:27-34.
5 Entro la congregazione cristiana, Geova ha reso disponibili molte cose sacre per mantenerci
spiritualmente forti e dovutamente preparati per il suo servizio. Consideriamone alcune. Poi,
individualmente, potremo meditarci sopra e rafforzare il nostro apprezzamento per esse così da non darle
mai per scontate.
Il nome di Geova e il riscatto: le cose più sacre
6 In cima al nostro elenco di cose sacre c’è il nome di Geova. Quanto è elevata la posizione che questo
nome occupa nella nostra mente e nel nostro cuore? Nel provvedere la preghiera modello, per prima
cosa Gesù disse: “Sia santificato il tuo nome”. (Matteo 6:9) Quando ci battezziamo, diventiamo testimoni
di Geova. (Isaia 43:10, 11) Quale onore! E quando parliamo della bontà di Geova e dei suoi grandi
propositi, gli altri imparano a conoscerlo con il suo nome personale, e anch’essi lo vogliono servire. Ma se
si trascura di parlare di lui o, peggio ancora, si cade in una condotta errata, questo reca biasimo sul buon
nome e sulla reputazione di Geova. I fedeli testimoni cristiani di Geova si sforzano sempre di santificare il
suo santo nome di fronte agli altri con le cose che dicono e fanno. — Levitico 22:31, 32; Deuteronomio
5:11.
7 Ben alto nell’elenco delle cose sacre è il sacrificio di riscatto. Quant’è prezioso per voi il sacrificio di
Cristo? È solo sulla base della completa fede in questo sacrificio umano perfetto che i nostri peccati ci
possono essere perdonati. (1 Giovanni 2:1, 2) Paolo dice che l’unta congregazione è ‘acquistata col
sangue del Figlio’ di Dio. (Atti 20:28; confronta 1 Pietro 1:17-19). Gesù, l’unigenito Figlio di Dio, rinunciò
alla sua posizione in cielo, visse sulla terra fra uomini e donne peccatori e quindi offrì la sua vita umana
perfetta subendo una morte atroce sul palo di tortura affinché potessimo avere la vita eterna. (Matteo
20:28) Sarebbe il colmo dell’ingratitudine se non si mostrasse giorno dopo giorno profondo
apprezzamento per questo prezioso dono di Dio. — Ebrei 10:28, 29; Giuda 4, 5.
La nostra relazione con Geova e la sua organizzazione
8 Arriviamo così ad un’altra cosa molto sacra, la nostra relazione con Geova. Quanto ci deve essere cara
l’intimità di cui godiamo con il nostro Padre celeste! Se ‘ci accostiamo a Dio, egli si accosterà a noi’.
(Giacomo 4:8) Egli ci ama molto, e vuole che lo amiamo con tutto il cuore. (Matteo 22:37, 38; Giovanni
3:16) Davide diede a suo figlio Salomone validi consigli in merito alla sua relazione con Geova. Tra questi
c’era un avvertimento: “E tu, Salomone figlio mio, conosci l’Iddio di tuo padre e servilo con cuore
completo e con anima dilettevole; poiché Geova scruta tutti i cuori, e discerne ogni inclinazione dei
pensieri. Se lo cerchi, egli si lascerà trovare da te; ma se lo abbandoni, egli ti respingerà per sempre”. (1
Cronache 28:9) Perciò “mantenetevi nell’amore di Dio, mentre aspettate la misericordia del nostro
Signore Gesù Cristo in vista della vita eterna”. — Giuda 21.
9 Comprendete anche che sacro privilegio è il far parte dell’organizzazione di Geova? Noi tutti dobbiamo
ricordare che se ne facciamo parte è solo per l’immeritata benignità di Geova. Chi si dimostra privo di
apprezzamento e pratica il male senza pentirsi perderà questo privilegio. Paolo avvertì: “Quindi chi pensa
di stare in piedi badi di non cadere”. (1 Corinti 10:6-12) Paolo diede questo avvertimento dopo aver
parlato dei 23.000 israeliti che persero la vita per aver commesso idolatria e immoralità. Possiamo
dimostrare di apprezzare la santità dell’organizzazione di Geova facendo individualmente la nostra parte
per mantenerla libera da impurità, immoralità, lotte, affarismo e sentimenti di superiorità e pregiudizio. (2
Corinti 7:1; 1 Pietro 1:14-16) Possiamo operare per rafforzare il vincolo dell’amore fraterno, facendo
attenzione nello stesso tempo a rispettare l’ordine teocratico e cooperando con coloro che prendono la
direttiva. — 1 Tessalonicesi 4:3-8; 5:12, 13.
La Parola di Dio, le leggi e la speranza del Regno
10 Un’altra cosa sacra è l’ispirata Parola di Dio, la Sacra Bibbia. Contiene dichiarazioni divine, istruzioni,
consigli, promesse, rivelazioni, sì, tutto ciò di cui abbiamo bisogno per essere ‘preparati per ogni opera
buona’. (2 Timoteo 3:16, 17) Come possiamo dimostrare che l’apprezziamo? In primo luogo studiandola
e applicando ciò che impariamo nella nostra vita. Quindi, prestando la dovuta attenzione al “cibo a suo
tempo” basato sulla Bibbia che Geova sta provvedendo attraverso “lo schiavo fedele e discreto”. (Matteo
24:45) E dal punto di vista pratico, dobbiamo tenere ordinate e pulite sia la nostra copia personale della
Bibbia che le pubblicazioni cristiane che usiamo nella predicazione. Potremmo recare biasimo su Geova
se uscissimo a dare testimonianza con una Bibbia sudicia o malconcia.
11 La Parola di Dio contiene le sacre leggi di Geova. Le considerate sempre sacre, o a volte tendete a
prenderle alla leggera? Le leggi di Geova sono come segnali, indicazioni e barriere di sicurezza lungo la
strada che conduce alla vita. Se vi obbediamo, viaggeremo sicuri e alla fine arriveremo alla nostra
destinazione nel nuovo mondo di Geova; ma se prendiamo alla leggera i comandi e i rammemoratori di
Geova, andiamo incontro al disastro. — Salmo 119:10, 11, 35, 101, 102; Proverbi 3:1-4.
12 Un’altra cosa sacra che apprendiamo dalla Bibbia e che ci dovrebbe stare a cuore è la nostra speranza
del Regno. Parlando del fedele Abraamo, Paolo in Ebrei 11:10 dice: “Poiché aspettava la città [il Regno di
Dio] che ha reali fondamenta, il cui edificatore e costruttore è Dio”. Avete una speranza altrettanto forte e
costante nel Regno di Dio? La vostra fede è forte al punto che nel vostro cuore non c’è spazio per dubbi,
e il vostro zelo rimane immutato mentre aspettate che i propositi di Dio si adempiano al tempo da lui
stabilito? — Matteo 24:20-22, 33, 34, 42.
Riunioni e privilegi sacri
13 ‘Incitatevi all’amore e alle opere eccellenti, non abbandonando la nostra comune adunanza, come
alcuni ne hanno l’abitudine’, consigliò Paolo. Questo indica che le nostre adunanze cristiane sono un altro
provvedimento sacro da non prendere alla leggera. Alle adunanze riceviamo l’istruzione vitale e la
calorosa compagnia di cui abbiamo tanto bisogno. Qui possiamo anche fare “pubblica dichiarazione della
nostra speranza” parlando dal podio quando ne abbiamo l’opportunità e commentando regolarmente.
(Ebrei 10:23-25) E dal momento che è nella Sala del Regno che si tengono la maggior parte delle nostre
adunanze, contribuite regolarmente in senso economico e vi impegnate nella sua manutenzione? —
Esodo 35:21.
14 Il privilegio che hanno i cristiani di predicare la buona notizia è paragonato da Paolo a un “tesoro in
vasi di terra”. (2 Corinti 4:1, 7) Sì, il ministero cristiano è un’altra cosa sacra che apprezziamo
profondamente. Anche se la maggior parte di coloro a cui predichiamo sono indifferenti, dovremmo
continuare a ricordarci quale grande privilegio abbiamo di parlare agli altri di Geova e dei suoi propositi.
In questo modo assolveremo il nostro incarico di predicare la buona notizia del Regno di Dio e di fare
discepoli. (Matteo 24:14; 28:19, 20) Un ulteriore motivo di gioia è vedere i nuovi che fanno progresso. (1
Tessalonicesi 2:19, 20) Se faremo tesoro del ministero, non saremo irregolari o inattivi nel dichiarare la
buona notizia.
15 Sacri sono anche i privilegi entro l’organizzazione di Geova. In effetti tali privilegi sono un sacro
deposito. (Confronta Atti 20:28). Sia che si tratti di sorveglianza, opera pastorale, insegnamento o di
qualche altro servizio reso ai conservi cristiani, prendete molto a cuore le responsabilità che vi sono
affidate. Anche se un compito sembra insignificante, non prendetelo alla leggera, ma fatelo bene, con
prontezza, come a Geova. Ricordate che “chi è fedele nel minimo è anche fedele nel molto”. — Luca
16:10.
Il matrimonio e la famiglia
16 Nell’elencare le cose sacre, non dimenticatevi di includere il matrimonio e la famiglia. È vero che anche
chi non è cristiano si sposa, ma per i cristiani il matrimonio è sacro, strettamente connesso alla loro
adorazione a Geova. (Confronta 1 Pietro 3:1-7). Come mostrano di rispettare questa cosa sacra? In Ebrei
13:4 la Bibbia dice: “Il matrimonio sia onorevole fra tutti, e il letto matrimoniale sia senza contaminazione,
poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri”. Gesù avvertì che continuare a guardare una donna in
modo da provare passione per lei equivarrebbe a commettere adulterio nel cuore. (Matteo 5:27, 28) Se
decidete di sposarvi, fatelo in maniera onorevole. Poi, non date mai per scontato il vostro matrimonio.
Edificate ogni giorno amore genuino e profondo rispetto. Se avete figli, ‘allevateli nella disciplina e nella
norma mentale di Geova’. In questo modo la vostra famiglia sarà ‘santa’. — Efesini 6:4; 1 Corinti 7:14.
Lo spirito santo di Geova e la preghiera
17 Abbiamo bisogno di tutti i provvedimenti di Geova, e un importante aiuto che Geova ci dà è il suo
spirito santo. (Giovanni 14:26) Non sempre conosciamo i modi in cui Geova usa il suo spirito santo in
nostro favore, ma una cosa è certa: senza di esso non ce la potremmo fare. Dovremmo pregare che lo
spirito santo ci aiuti a comprendere i veri insegnamenti e a sopportare le prove. Abbiamo bisogno che ci
aiuti a coltivare i frutti dello spirito. (Galati 5:22, 23) E in Efesini 4:30 riceviamo l’avvertimento di ‘non
contristare’ lo spirito santo immischiandoci in cose che ci impediscono di riceverlo. Ci sia concesso di
avere sempre apprezzamento per lo spirito santo di Geova.
18 L’ultima cosa sacra di cui parleremo, la preghiera, di certo non è la meno importante. Che privilegio è
per noi comunicare con il Sovrano dell’universo, Geova! Ovviamente dovremmo accostarci a lui in modo
rispettoso, riverente, mai con leggerezza. Possiamo aver fiducia che ci ascolterà e risponderà alle nostre
preghiere che saranno in armonia con la sua volontà. “Non siate ansiosi di nulla, ma in ogni cosa le
vostre richieste siano rese note a Dio con preghiera e supplicazione insieme a rendimento di grazie”.
(Filippesi 4:6) La preghiera manterrà vivo il nostro apprezzamento per le cose sacre.
19 Abbiamo parlato solo di tredici cose sacre che non dovremmo dare mai per scontate. Se ne potrebbero
menzionare molte altre. Se apprezzeremo queste cose, continueremo ad avere una buona relazione col
nostro Dio, Geova, e riceveremo ogni giorno la sua benedizione. Che pace mentale e che buona
coscienza reca questo! Non date mai per scontata questa preziosa relazione! Amate Geova con tutto il
cuore, la mente, l’anima e la forza, ed egli amerà sempre voi. (1 Giovanni 4:16) A meno che voi stessi vi
dimostriate infedeli, nulla potrà infrangere questo vincolo d’amore. — Romani 8:38, 39.
20 Manteniamoci inoltre impegnati nel servizio del Regno, assolvendo bene tutti i privilegi che abbiamo e
dimostrando apprezzamento per tutti i provvedimenti spirituali. Col cuore sempre colmo di gratitudine,
ubbidiamo con prontezza a tutte le sacre leggi e ai sacri rammemoratori di Geova, comprendendo che
servono a condurci sani e salvi sulla strada che porta alla vita. E mentre continuiamo a camminare su
quella strada stretta che porta alla vita, possiamo aspettarci non solo che Geova ci preservi in vita
attraverso la grande tribolazione, ma che ci dia la vita eterna e benedizioni senza fine nel suo nuovo
mondo, ora così vicino. Tutto questo perché avremo apprezzato le cose sacre.
Esdra (sacerdote aaronnico) — Tema: Abbiate zelo per la pura adorazione GIOVANNI 2:17

it-1 847-50 Esdra


ESDRA
[aiuto].
1. Sacerdote aaronnico, discendente di Eleazaro e Fineas, studioso, esperto copista e insegnante della
Legge, che conosceva bene sia l’ebraico che l’aramaico. Esdra aveva sincero zelo per la pura
adorazione e “aveva preparato il suo cuore per consultare la legge di Geova e per metterla in pratica e
per insegnare in Israele regolamento e giustizia”. (Esd 7:1-6, 10) Oltre al libro che porta il suo nome,
Esdra probabilmente scrisse i due libri di Cronache e, secondo la tradizione ebraica, cominciò a
raccogliere e catalogare i libri delle Scritture Ebraiche. Inoltre fece notevoli ricerche. Infatti nei due libri di
Cronache cita una ventina di fonti di informazioni. Ai giorni di Esdra molti ebrei erano dispersi in paesi
lontani, perciò era necessario fare molte copie delle Scritture Ebraiche, lavoro in cui probabilmente egli fu
un pioniere.
La Bibbia non fornisce particolari sulla prima parte della vita di Esdra. Egli viveva in Babilonia. Proveniva
da una famiglia di sommi sacerdoti, ma non apparteneva al ramo che ricoprì tale carica subito dopo il
ritorno dall’esilio nel 537 a.E.V. L’ultimo antenato di Esdra ad avere questo incarico fu Seraia, sommo
sacerdote ai giorni di Sedechia re di Giuda. Questo Seraia fu messo a morte da Nabucodonosor in
seguito alla conquista di Gerusalemme nel 607 a.E.V. (Esd 7:1, 6; 2Re 25:18, 21) In Babilonia gli ebrei
conservarono il rispetto per il sacerdozio e quindi le famiglie sacerdotali mantennero la loro identità.
Anche l’organizzazione della comunità ebraica, presieduta dagli anziani, continuò a funzionare. (Ez 20:1)
Probabilmente non solo Esdra ma anche la sua famiglia ci teneva che egli conoscesse la legge di Dio. Di
conseguenza Esdra era una persona molto istruita.
Se, come pensano alcuni, per essere uno scriba si doveva avere almeno 30 anni, Esdra poteva avere più
di 30 anni nel 468 a.E.V., quando si recò a Gerusalemme. Senz’altro era già in vita durante il regno di
Assuero, all’epoca di Mardocheo ed Ester, quando fu emanato il decreto di sterminare gli ebrei in tutto
l’impero persiano. Molti ebrei risiedevano in Babilonia, perciò quella crisi nazionale dovette lasciare in
Esdra un’impressione indelebile, rafforzando in lui la fede che Geova aveva cura del suo popolo ed era in
grado di liberarlo. Fu anche un addestramento che accrebbe la sua maturità di giudizio e lo rese idoneo
per portare a termine l’enorme compito che gli fu poi affidato. — Est 1:1; 3:7, 12, 13; 8:9; 9:1.
A Gerusalemme. Nel 468 a.E.V., 69 anni dopo il ritorno da Babilonia del fedele rimanente ebraico al
comando di Zorobabele, Artaserse I Longimano re di Persia concesse a Esdra “tutto ciò che chiese” in
quanto ad andare a Gerusalemme per promuovervi la pura adorazione. Secondo la lettera ufficiale del re,
gli israeliti che lo desideravano erano liberi di andare con Esdra a Gerusalemme. — Esd 7:1, 6, 12, 13.
Perché anche ai giorni di Esdra gli ebrei che lasciarono Babilonia dovevano avere una forte fede?
Molti ebrei si erano arricchiti a Babilonia, e Gerusalemme non offriva molto da un punto di vista materiale.
La città era scarsamente abitata e il buon inizio che c’era stato sotto Zorobabele pare non avesse avuto
seguito. Un commentatore, Dean Stanley, afferma: “Gerusalemme stessa era scarsamente popolata, e
pareva che le prospettive che le si erano aperte all’epoca dei primi rimpatriati si fossero arenate . . . È
certo che, o per la debolezza intrinseca del nuovo insediamento o per qualche successiva incursione
delle tribù vicine, su cui però non si hanno notizie precise, le mura di Gerusalemme non erano state
ancora completate: restavano ampie brecce là dove le porte incendiate non erano state riparate; i fianchi
delle sue colline rocciose erano ricoperti di rovine; il Tempio, sebbene completato, era scarsamente
arredato e gli addobbi erano inadeguati”. (Ezra and Nehemiah: Their Lives and Times, a cura di George
Rawlinson, Londra, 1890, pp. 21, 22) Perciò tornare a Gerusalemme significava perdere una posizione,
lasciare amici, rinunciare a una vita più o meno agiata per farsi una nuova vita in un paese lontano, in
condizioni penose, difficili e forse pericolose, per non parlare del viaggio lungo e rischioso a motivo delle
numerose tribù arabe ostili e di altri nemici che si potevano incontrare. Per trasferirsi ci volevano
coraggio, fede in Geova e zelo per la vera adorazione. Solo 1.500 uomini circa con le loro famiglie furono
disposti e pronti a partire, forse 6.000 persone in tutto. Per Esdra guidarli non fu compito facile. Ma le sue
esperienze passate l’avevano preparato ed egli si era rafforzato grazie alla mano di Geova su di lui. —
Esd 7:10, 28; 8:1-14.
Geova Dio provvide l’indispensabile aiuto materiale, poiché le condizioni economiche di Gerusalemme
non erano buone e le sostanze di quelli che viaggiavano con Esdra erano limitate. Il re Artaserse e i suoi
sette consiglieri furono spinti a fare una contribuzione volontaria da usarsi per acquistare animali per i
sacrifici e le relative offerte di cereali e libazioni. Esdra fu inoltre autorizzato ad accettare contribuzioni a
questo scopo nei distretti giurisdizionali di Babilonia. Nel caso i fondi fossero stati in eccedenza, Esdra e
quelli con lui potevano determinare come meglio utilizzare il sovrappiù. I vasi per il servizio del tempio
dovevano essere consegnati tutti a Gerusalemme. Se necessario, si sarebbero potuti ottenere altri fondi
dal tesoro del re. I tesorieri oltre il Fiume furono informati che Esdra poteva chiedere loro argento,
frumento, vino e olio fino a un certo ammontare, e sale senza limiti, e che la sua richiesta avrebbe dovuto
essere soddisfatta prontamente. Inoltre i sacerdoti e i lavoratori del tempio furono esentati dal pagamento
delle tasse. Esdra fu anche autorizzato a nominare magistrati e giudici, e si sarebbe dovuto eseguire il
giudizio, “sia di morte o di bando, o di ammenda in denaro o di prigionia”, su chiunque non avesse
ubbidito alla legge di Dio e alla legge del re. — Esd 7:11-26.
Riconoscendo la guida di Geova in tutto ciò, Esdra si mise immediatamente all’opera. Radunò gli israeliti
presso le rive del fiume Aava, dove ispezionò il popolo per tre giorni. Trovò che, sebbene vi fossero dei
sacerdoti nelle loro file, nessuno dei leviti non sacerdoti si era offerto volontario, mentre ce n’era molto
bisogno per il servizio del tempio. Qui Esdra rivelò le sue doti di condottiero. Senza lasciarsi scoraggiare
dalla situazione, inviò immediatamente un’ambasciata formale agli ebrei di Casifia. Questi reagirono
favorevolmente, mandando 38 leviti e 220 netinei. Con le loro famiglie, questo gruppo portò senz’altro la
schiera di Esdra a oltre 7.000 persone. — Esd 7:27, 28; 8:15-20.
Esdra proclamò quindi un digiuno per chiedere a Geova di indicargli “la retta via”. Anche se la carovana
avrebbe trasportato grandi ricchezze, Esdra non voleva minimamente esporre a biasimo il nome di
Geova chiedendo una scorta dopo aver espresso al re la sua completa fiducia nella protezione di Geova
sui suoi servitori. Dopo aver supplicato Dio, convocò 12 capi scelti fra i sacerdoti, pesò attentamente nelle
loro mani la contribuzione, che ai valori attuali doveva superare i 60 miliardi di lire, e la affidò loro. — Esd
8:21-30.
La mano di Geova mostrò effettivamente di essere con Esdra e i suoi compagni, proteggendoli dal
“nemico nella via”, così che arrivarono a Gerusalemme sani e salvi. (Esd 8:22) Esdra non ebbe difficoltà
a farsi riconoscere dai sacerdoti e dai leviti che prestavano servizio nel tempio, ai quali consegnò i beni
che aveva portato. — Esd 8:31-34.
Esorta a mandare via le mogli straniere. Dopo avere offerto sacrifici nel tempio, Esdra apprese dai
principi che molti del popolo, dei sacerdoti e dei leviti che risiedevano nel paese avevano sposato donne
straniere. Udito ciò, Esdra si strappò la veste e il manto senza maniche, ciocche di capelli e peli della
barba, e sedette attonito fino all’offerta di cereali della sera. Poi, dopo essersi inginocchiato e aver steso
le palme delle mani a Geova, alla presenza degli israeliti radunati fece pubblica confessione dei peccati
del popolo, a cominciare dai giorni dei loro antenati. — Esd 8:35–10:1.
In seguito Secania, parlando per conto del popolo, propose di concludere un patto con Geova per
mandare via le mogli straniere e i figli avuti da quelle, dopo di che disse a Esdra: “Levati, poiché la cosa
spetta a te, e noi siamo con te. Sii forte e agisci”. Allora Esdra fece giurare il popolo, e a tutti gli ex esiliati
fu comunicato di radunarsi a Gerusalemme entro tre giorni per correggere l’errore. In quell’occasione
Esdra esortò i convenuti a fare confessione a Geova e a separarsi dalle mogli straniere. Comunque, a
causa del gran numero di persone implicate nella trasgressione, non fu possibile risolvere subito la
questione, ma l’impurità fu eliminata gradualmente, in un periodo di circa tre mesi. — Esd 10:2-17.
Con Neemia. Non si sa con certezza se Esdra sia rimasto a Gerusalemme o sia tornato a Babilonia. Ma
le cattive condizioni in cui versava la città e la corruzione che aveva pervaso il sacerdozio sembrerebbero
indicare che fosse assente. Può darsi sia stato invitato da Neemia a tornare dopo la ricostruzione delle
mura di Gerusalemme. Ad ogni modo lo vediamo di nuovo all’opera quando legge la Legge al popolo
radunato e lo istruisce. Il secondo giorno di quell’assemblea i capi del popolo tengono una speciale
adunanza con Esdra per acquistare intendimento della Legge. La festa delle capanne viene tenuta con
grande allegrezza. Dopo la celebrazione durata otto giorni, il 24 tishri è proclamato giorno di astinenza, di
confessione dei peccati e di preghiera. Seguendo la direttiva e gli ordini di Esdra e Neemia, si giunge a
una “disposizione degna di fede”, questa volta non solo a voce, ma per iscritto, attestata dal sigillo dei
principi, dei leviti e dei sacerdoti. — Ne 8:1-9, 13-18; cap. 9.
I suoi scritti. I libri biblici di Cronache e quello che porta il suo nome testimoniano che Esdra fu un
instancabile ricercatore, capace di scegliere con discernimento fra le varie lezioni delle copie della Legge
allora esistenti. Manifestò un insolito zelo nell’esaminare i documenti ufficiali della sua nazione, ed è
probabilmente grazie ai suoi sforzi che oggi abbiamo l’accurato testo di Cronache. Occorre tuttavia
ricordare che egli fu ispirato dallo spirito di Dio e che Dio lo guidò per assicurare la preservazione di
buona parte della storia d’Israele a nostro beneficio.
Lo zelo di Esdra per la giustizia, la sua devota fiducia in Geova, la sua fedeltà nell’insegnare a Israele la
legge di Dio e la sua diligenza nel promuovere la vera adorazione fanno di lui, quale appartenente al
“così gran nuvolo di testimoni”, un ottimo esempio da imitare. — Eb 12:1.

w79 1/8 28-9 Misericordia e giustizia risaltano in Esdra


Misericordia e giustizia risaltano in Esdra
SOLO il Creatore, dotato di infinita sapienza e completa conoscenza di ogni aspetto della sua creazione
e d’ogni potere, può far operare le sue qualità di giustizia e misericordia in un così completo equilibrio che
il suo proposito sia perfettamente realizzato. Queste qualità spronano coloro che lo servono per cui
avviene esattamente quello che egli ha prestabilito, per il bene di tutti gli interessati.
Il libro biblico di Esdra mette in risalto questa eccellente cooperazione delle opere di Geova, che sono
sempre fatte in armonia con la sua santa personalità, senza mai discostarsi dai suoi buoni propositi e
dalle sue genuine qualità. L’apostolo Paolo, che comprendeva le vie di Dio, ci assicura: “Dio fa cooperare
tutte le sue opere per il bene di quelli che amano Dio”. — Rom. 8:28.
Esdra era un discendente di Aaronne, Eleazaro e Fineas, ed era perciò un sacerdote, benché non della
linea dei sommi sacerdoti, carica di solito ricoperta dal figlio maggiore in ciascuna generazione. (Esd. 7:1-
6) L’ultimo antenato di Esdra che aveva ricoperto la carica di sommo sacerdote era stato Seraia
(probabilmente il suo bisnonno), giustiziato da Nabucodonosor alla conquista di Gerusalemme. Esdra
tornò a Gerusalemme nel 468 a.E.V., 69 anni dopo che circa 49.000 giudei, inclusi gli schiavi, erano
tornati da Babilonia al comando di Zorobabele (chiamato pure Sesbazzar) della tribù di Giuda. (Nee.
7:66, 67) Il racconto di Esdra, tuttavia, menziona certi dettagli di questo precedente ritorno sotto
Zorobabele prima di raccontare in modo particolareggiato i fatti relativi alla sua successiva visita.
RICOSTRUZIONE DEL TEMPIO PER LA FUTURA VENUTA DEL MESSIA
Anche se Dio aveva permesso a Babilonia di portare il suo popolo in esilio a causa del loro peccato e
della loro ribellione, distruggendo il tempio e rendendo desolata la città di Gerusalemme, egli intendeva
far ricostruire il tempio e la città. Perché? Per preservare la pura adorazione sulla terra. Soprattutto, il
Messia doveva ancora venire. Per adempiere il proposito di Dio riguardo al suo arrivo, era necessario che
Gerusalemme fosse una città popolata, con il tempio di Geova in mezzo ad essa (sebbene allora fosse
stato sostituito da un terzo edificio, costruito da Erode). Inoltre, era essenziale che alla venuta del Messia
il paese fosse regolato dalla legge di Dio. Questa venuta del Messia nella ricostruita città di Sion
(Gerusalemme) era stata predetta dai profeti. — Dan. 9:25.
Dio preconosceva che alcuni in esilio a Babilonia avrebbero continuato ad amarlo e avrebbero desiderato
fare il possibile per ripristinare la pura adorazione. Poteva impiegarli per il suo proposito. Mentre prima
dell’esilio i gravi peccati del popolo avevano richiesto che l’Iddio di giustizia li cacciasse dal paese, questo
esiguo numero sarebbe stato oggetto della sua misericordia. Questa preconoscenza di Dio era stata
rivelata circa 200 anni prima quando il profeta Isaia aveva parlato della venuta di un re, un liberatore, di
nome Ciro. — Isa. 44:28; 45:1.
Ciro il Persiano venne senz’altro a conoscenza di Geova. Il profeta Daniele occupò una posizione alta e
rispettata durante la prima parte del governo di Ciro. (Dan. 6:28) Daniele gli mostrò indubbiamente che il
suo nome era menzionato nella profezia d’Isaia. Un erudito biblico osserva:
“La Sacra Scrittura mostra cosa fu a produrre un’impressione così buona su Ciro, narrando il ruolo svolto
da Daniele nella caduta della monarchia babilonese. Dan. v. ⇒6:⇐28, 30. C’è da meravigliarsi se colui
che adempì questa predizione si sentì attratto dal profeta che l’aveva pronunciata, e fu disposto a
restituire i vasi che Baldassarre quella notte aveva commesso il peccato di contaminare?”
DIO MOSTRA MISERICORDIA E PRESTA AIUTO
Riconoscendo l’esistenza di altri dèi, Ciro non avrebbe avuto difficoltà a considerare Geova come un Dio,
il vero Dio, il grande Dio, e Colui che, com’egli disse, gli aveva dato “tutti i regni della terra”. — Esd. 1:2.
La grande misericordia di Dio, la sua potenza e il suo sicuro proposito sono rivelati dal fatto che
benedisse un piccolissimo numero di fedeli. La maggioranza dei giudei a Babilonia si erano inseriti nella
vita commerciale babilonese e avevano poco o nessun interesse a ripristinare la vera adorazione.
Nondimeno, la misericordia di Dio fu estesa ai pochi fedeli. Al fine di promuovere la pura adorazione, essi
partirono da Babilonia e arrivarono a Gerusalemme dopo un viaggio rischioso attraverso un arido deserto
durante il quale ebbero la protezione di Dio. (Isa. 35:2-10) Circondati da nemici ostili, edificarono un
altare a Geova e cominciarono a porre le fondamenta del tempio. I samaritani si offrirono di aiutarli nei
lavori, fingendosi amici. Ma poiché praticavano una forma di adorazione contaminata la loro offerta fu
respinta da Zorobabele. — Esd. 4:1-4; 2 Re 17:29.
Dio approvò il modo d’agire degli israeliti ristabiliti, poiché collaborare con quella gente equivaleva a
essere “inegualmente aggiogati con gli increduli” nella vera adorazione, cercando di stipulare un accordo
fra il tempio di Dio e gli idoli. (2 Cor. 6:14-16) Tuttavia, il buono spirito del rimanente ristabilito cominciò a
vacillare quando questi che si professavano amici crearono problemi facendo pressione sul governo
persiano, indebolendo i giudei fino al punto che la costruzione del tempio infine cessò. — Esd. 4:8-24.
Nel frattempo, preoccupati per le loro case e i loro affari i giudei lasciarono la casa di Dio in una
condizione desolata. Ma il proposito di Dio non sarebbe stato sventato. (Agg. 1:8, 9) Mandò i profeti
Aggeo e Zaccaria a rammentare loro lo scopo per cui erano tornati a Gerusalemme. Essi reagirono
positivamente e la ricostruzione del tempio riprese, nonostante l’opposizione. (Esd. 5:1, 2) Geova
benedisse la loro intrepida ubbidienza. Appellatisi i giudei al re Dario il Persiano, i governatori delle
province circostanti ricevettero ordine di smettere di ostacolarli e di aiutarli dando loro dal tesoro pubblico
l’aiuto economico necessario. Grazie a questa concessione di Dario i lavori furono ultimati e il tempio fu
inaugurato con grande allegrezza. — Esd. 6:6-12, 16-22.
LA MISERICORDIA DI DIO, NON LA BONTÀ DEI GIUDEI, ADEMPIE IL PROPOSITO DIVINO
Nondimeno, il ripristino della pura adorazione ebbe successo non per merito della bontà dei giudei
rimpatriati, ma, piuttosto, grazie all’operato della misericordia di Dio nell’adempiere il suo proposito.
Perché? Perché si rese necessario che Dio inviasse il suo servitore Esdra. Nonostante l’evidenza della
misericordia e della protezione di Dio, i giudei ristabiliti avevano violato il principio osservato in
precedenza, cioè quello di tenersi separati dagli adoratori pagani. Erano arrivati al punto di stringere la
relazione più intima — quella coniugale — con donne incredule e idolatre. Perfino i sacerdoti, i leviti e i
principi avevano commesso questo peccato, disubbidendo al comando di Dio. — Esd. 9:1, 2.
Al lettore superficiale, quello che avevano fatto questi giudei può non sembrare tanto grave. Ma pensate:
Se il piccolo numero dei giudei tornati in Giuda fosse stato assorbito dalle nazioni circonvicine, che in
effetti si opponevano a Dio e alla sua adorazione praticata nel tempio, cosa sarebbe accaduto? La pura
adorazione sarebbe scomparsa dalla terra. Infatti, solo alcuni anni dopo, al tempo di Neemia, i figli nati da
tali matrimoni non sapevano neppure parlare l’ebraico! — Nee. 13:24.
Esdra comprese le terribili conseguenze di questa disubbidienza. Per qualche tempo se ne stette seduto
attonito. Quindi, dinanzi ai rimpatriati giudei radunati, pronunciò una preghiera pubblica, facendo notare
che con le loro azioni avevano commesso un grave peccato e dimostrato notevole ingratitudine. La sua
preghiera diceva, in parte:
“A causa dei nostri errori siamo stati dati, noi stessi, i nostri re, i nostri sacerdoti, in mano ai re dei paesi
con la spada, con la cattività e con la preda e con la vergogna della faccia, proprio come in questo giorno.
E ora per breve momento è venuto favore da Geova nostro Dio per lasciarci quelli che scampano e per
darci un piolo nel suo santo luogo, per far brillare i nostri occhi, . . . E ora, o Dio nostro, che diremo dopo
ciò? Poiché abbiamo lasciato i tuoi comandamenti, . . . dopo tutto ciò che è venuto su di noi per le nostre
malvage opere e per la nostra grande colpa . . . infrangeremo di nuovo i tuoi comandamenti?” — Esd.
9:7-14.
In tal modo Esdra confessò dinanzi a Dio e a tutto il popolo l’ingratitudine e la malvagità di coloro a cui
Dio aveva mostrato eccezionale misericordia. Egli non chiese perdono, poiché il popolo stesso doveva
pentirsi e mettere a posto le cose prima di aspettarsi che l’ira di Dio si stornasse da loro. Comprendendo
la grave condizione in cui era, il popolo rispose con cuore contrito. Mandarono via le mogli straniere.
Allora Dio poté perdonarli e farli rimanere nel paese. — Esd. 10:44.
Pertanto la misericordia di Dio non fu mal riposta. Inoltre, il suo interesse manifestato con l’invio dei
profeti Aggeo e Zaccaria, e con la direttiva impartita per mezzo di Esdra, preservò la pura adorazione a
quel tempo. Oggi, come in passato, coloro che cercano di conoscere Dio e di stringere con lui un’intima
relazione possono servire al suo proposito ed essere oggetto della sua misericordia e della sua
protezione.
[Nota in calce]
Biblical Commentary on the Old Testament di Keil e Delitzsch su Esdra, Neemia ed Ester, pag. 24.

W98 15-10 P.13-19


Ester — Tema: Come si manifesta la vera bellezza 1°PIETRO 3:3-5

it-1 871 Ester


ESTER
Ragazza ebrea orfana, della tribù di Beniamino, il cui nome in ebraico era Adassa (mirto); discendente di
alcuni che erano stati deportati da Gerusalemme insieme al re Ioiachin (Ieconia) nel 617 a.E.V. (Est 2:5-
7) Era figlia di Abiail, zio di Mardocheo. (Est 2:15) Questo cugino più anziano, Mardocheo, era suo tutore
ed era anche uno dei “servitori del re che erano alla porta del re” nel palazzo di Susa durante il regno di
Assuero (Serse I [V secolo a.E.V.]) re di Persia. (Est 2:7; 3:2) Dopo aver deposto la regina Vasti per la
sua disubbidienza, Assuero comandò che si radunassero tutte le vergini più belle per sottoporle a speciali
massaggi e cure di bellezza, affinché il re potesse sceglierne una in sostituzione della regina Vasti. Ester
fu una delle giovani portate nella casa del re e affidate alle cure di Egai, il guardiano delle donne. Dietro
consiglio di Mardocheo la ragazza tenne segreto il fatto di essere ebrea. (Est 2:8, 10) Ester fu scelta
come regina nel settimo anno del regno di Assuero. (Est 2:16, 17) Rimase sempre in contatto con
Mardocheo, di cui seguiva le istruzioni. A nome di Mardocheo parlò al re quando Mardocheo scoprì un
complotto contro il sovrano. — Est 2:20, 22.
Nel 12° anno di Assuero, Aman l’agaghita, che era p rimo ministro, progettò di annientare tutti gli ebrei dei
127 distretti giurisdizionali dell’impero ed ebbe dal re l’autorizzazione di emanare un decreto a tal fine.
(Est 3:7-13) Secondo le informazioni e i suggerimenti di Mardocheo, Ester rivelò al re il malvagio intento
di Aman. La reazione di Aman accrebbe il furore del re, che lo fece impiccare. (Est 4:7–7:10) Il re, su
richiesta di Ester, emanò un secondo decreto che autorizzava gli ebrei a combattere per difendere la
propria vita il giorno stabilito per il loro massacro. (Est 8:3-14) A motivo dell’editto del re e per timore di
Mardocheo, nominato primo ministro al posto di Aman, i governatori e i funzionari dell’impero aiutarono
gli ebrei a riportare una completa vittoria sui loro nemici. (Est 9) Le istruzioni di Mardocheo, confermate
da Ester, stabilirono che gli ebrei celebrassero ogni anno la festa di Purim, che si celebra tuttora. — Est
9:20, 21, 29.
Anche se il libro di Ester non menziona il nome di Dio, dalle azioni di Mardocheo ed Ester è evidente che
entrambi erano fedeli servitori del vero Dio, Geova. Ester manifestò le qualità di chi confida nella legge di
Dio. Era “graziosa di forme e bella d’aspetto” (Est 2:7) ma, cosa ancor più importante, mostrò che il suo
ornamento era “la persona segreta del cuore nella veste incorruttibile dello spirito quieto e mite”. (1Pt 3:4)
Questo le procurò il favore di Egai, il guardiano delle donne, e anche il favore del re stesso. Ester non
dava importanza all’adornamento vistoso e perciò “non chiese nulla eccetto ciò che Egai . . .
menzionava”. (Est 2:15) Ebbe sempre molto tatto e padronanza di sé. Fu sottomessa al marito Assuero,
avvicinandolo in modo rispettoso e con tatto quando la vita sua e del suo popolo era in pericolo. Rimase
in silenzio quando era saggio tacere, ma parlò con franchezza e senza timore quando era necessario, e
al momento giusto. (Est 2:10; 7:3-6) Accettò i consigli del maturo cugino Mardocheo, anche quando
seguirli significava mettere in pericolo la propria vita. (Est 4:12-16) L’amore e la lealtà di Ester verso il suo
popolo, gli ebrei, che erano anche il popolo del patto di Dio, furono evidenti quando essa intervenne a
loro favore. — Vedi MARDOCHEO n. 2.

w79 15/9 12-17 Una donna giudiziosa manifesta il suo altruismo


Una donna giudiziosa manifesta il suo altruismo
L’EDIFICIO si ergeva nella città di Susan (Susa). Era davvero un magnifico palazzo! I suoi costruttori?
Probabilmente il re persiano Dario I e suo figlio Serse I. I materiali con cui era decorato l’edificio erano
stati portati da lontano. Un’iscrizione di Dario afferma infatti che il legno di cedro era stato portato dal
Libano, l’oro da Sardi e dalla Battriana, l’argento e il rame dall’Egitto e l’avorio dall’Etiopia e dall’India.
2 Oggi di quello splendido palazzo non restano che poche rovine. Ma grazie al libro biblico di Ester, scritto
indubbiamente dal devoto giudeo Mardocheo, possiamo “visitare” quella residenza reale risalendo agli
inizi del quinto secolo avanti l’èra volgare. Possiamo rivivere i drammatici avvenimenti di un decennio (da
circa il 484 al 474 a.E.V.) in cui il popolo di Dio rischiò il genocidio in tutto l’impero persiano. Erano i giorni
di Assuero (evidentemente Serse I). Questo viaggio nel lontano passato ci sarà molto utile, perché tali
racconti biblici furono scritti per l’istruzione di persone devote, affinché “per mezzo della nostra
perseveranza e per mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza”. — Rom. 15:4.
L’EGOISMO CONDUCE ALL’UMILIAZIONE
3 Il re persiano Assuero, il cui reame abbraccia 127 distretti giurisdizionali dall’India all’Etiopia, siede sul
trono nella residenza temporanea di Susan il castello, un complesso di edifici reali circondato da
fortificazioni. È il suo terzo anno di regno ed egli ha indetto una conferenza cui sono invitati i suoi principi,
servitori, militari e nobili. Il raduno dura 180 giorni, forse per agevolare i numerosi funzionari i cui compiti
non consentono loro di essere tutti presenti contemporaneamente. (Forse c’è anche un motivo di
carattere militare, perché lo storico greco Erodoto riferisce che nel terzo anno di regno il re Serse tenne
un’assemblea per mettere a punto i piani di guerra contro la Grecia). — Est. 1:1-4.
4 A conclusione di questo imponente raduno il re dà un banchetto di sette giorni per tutto il popolo che si
trova a Susan il castello. La festa si svolge nel cortile del giardino del palazzo. Guardatevi un po’ attorno!
Il luogo è addobbato con lino, cotone e panno turchino tenuti stretti in funi di tessuto fine, e lana tinta di
porpora in anelli d’argento. Vi sono colonne di marmo e divani d’oro e d’argento su un lastricato di
porfido, marmo, madreperla e marmo nero. — Est. 1:5, 6.
5 Al banchetto il vino è servito in vasi d’oro di vario genere. I persiani sono rinomati per quanto bevono,
ma in questo banchetto non si segue l’usanza di obbligare gli ospiti a bere una determinata quantità di
vino. — Est. 1:7, 8.
6 Altrove nel complesso degli edifici reali la regina persiana Vasti sta tenendo un banchetto per le donne.
Ora è il settimo giorno della festa del re e il suo cuore è allegro per il vino. Dice a sette funzionari di corte
di condurre la bella Vasti dinanzi a lui e ai suoi ospiti. Ma che accade? Essa continua a rifiutare di
ubbidire alla parola del re. Adirato, Assuero chiede il parere di sette principi che gli sono più vicini, un
consiglio di saggi ben versati in questioni legali. “Secondo la legge”, chiede il re, “che cosa si deve fare
alla regina Vasti”? Questa donna egoista è colpevole di insubordinazione! — Est. 1:9-15.
7 Ascoltate! Memucan, principale portavoce dei sette principi, sostiene che Vasti ha fatto torto non solo al
re, ma anche ai principi e al popolo di tutto l’impero. Ciò che ha fatto verrà risaputo e tutte le mogli, anche
le principesse, disprezzeranno i loro mariti. Per cui Memucan suggerisce al re di decretare che Vasti non
possa venire dinanzi a lui e che la sua dignità reale sia data a una donna migliore. Così tutte le donne
sposate onoreranno i loro mariti. — Est. 1:16-20.
8 Assuero accetta il suggerimento. Presto vengono mandati documenti a tutti i distretti giurisdizionali, a
ciascun popolo nella propria lingua. Il decreto, ora scritto fra le immutabili leggi dei medi e dei persiani,
dispone che ‘ogni marito agisca di continuo come principe nella sua propria casa’. (Est. 1:21, 22)
L’insubordinazione e l’egoismo di Vasti le sono costati la corona reale. Hanno condotto alla sua
umiliazione.
UNA DONNA SOTTOMESSA TROVA FAVORE
9 Passa del tempo prima che l’ira di Assuero si plachi. Quindi, secondo il suggerimento dei ministri del re,
commissari incaricati vanno alla ricerca di vergini giovani e belle in tutti i distretti giurisdizionali. Queste
donne vengono portate a Susan il castello e affidate alle cure dell’eunuco Egai. Le vergini prescelte
devono essere massaggiate e, infine, la giovane che più piacerà ad Assuero diverrà regina invece di
Vasti. (Trascorsero circa quattro anni tra la deposizione di Vasti e la scelta di colei che doveva sostituirla;
il ritardo pare fosse dovuto all’assenza del re impegnato nella guerra contro i greci). — Est. 2:1-4, 16, 17.
10 Uno che si interessa molto di questa ricerca per trovare una nuova regina è Mardocheo, servitore del
re. Questo devoto giudeo della tribù di Beniamino è discendente di un certo Chis, che Nabucodonosor re
di Babilonia aveva portato in esilio da Gerusalemme insieme col re Ioiachin (Ieconia) e altri (nel 617
a.E.V.). Qualche tempo fa Mardocheo è divenuto il tutore di un’ebrea orfana di nome Adassa, che
significa “mirto”. Conosciuta anche col nome di Ester (che significa “mirto fresco”), essa è la figlia di
Abiail, defunto zio di Mardocheo. E si è fatta proprio una bella ragazza! È “graziosa di forme e bella
d’aspetto”. Ora che si cerca di sostituire Vasti, non sorprende che Ester sia fra le giovani radunate a
Susan il castello e affidate alle cure di Egai. — Est. 2:5-8, 15.
11 Ester entra nelle simpatie di Egai, che si affretta a praticarle i prescritti massaggi e darle il cibo
appropriato. Anzi, vengono scelte sette giovani donne per aver cura di lei nella parte migliore della casa
delle donne. Ester, ubbidendo alle istruzioni del suo cugino più grande, Mardocheo, non rivela d’essere
ebrea. Per sei mesi le vergini prescelte vengono massaggiate con olio di mirra, e poi, per altri sei mesi,
con olio di balsamo. Quindi ogni donna va da Assuero, per poi ritornare alla “seconda casa delle donne”
sotto le cure di Saasgaz, guardiano delle concubine del re. — Est. 2:9-14.
12 Ester è altruista, non fa affidamento sull’ornamento vistoso, per cui non richiede nulla che Egai non
menzioni. Finora ha trovato favore agli occhi di chiunque l’abbia vista. Siamo nel mese di tebet
(dicembre-gennaio), il decimo mese del settimo anno di Assuero. La tensione cresce mentre Ester è
condotta dinanzi al re. Gli piacerà? Gli piace, eccome! Il governante persiano mostra di amare Ester più
di tutte le altre donne e la incorona regina invece di Vasti. Il re felice dà una grande festa, “il banchetto di
Ester”, per tutti i suoi principi e servitori. Concede inoltre un’amnistia ai distretti giurisdizionali (forse il
condono del tributo, il congedo dal servizio militare o la scarcerazione, o più cose insieme). Assuero
continua a far doni che solo la ricchezza di un re rende possibili. Che tempo di gioia! — Est. 2:15-18.
13 Una donna veramente sottomessa ha trovato favore. Sebbene Ester sia ora regina di Persia, segue le
istruzioni di Mardocheo. (Est. 2:19, 20) Possiamo senz’altro immaginare Ester come una bellissima
donna in vesti regali. Ma il suo principale ‘ornamento è la persona segreta del cuore nella veste
incorruttibile di uno spirito quieto e mite, che è di grande valore agli occhi di Dio’. (1 Piet. 3:3, 4) Le donne
cristiane del ventesimo secolo hanno buone ragioni per evitare l’egoismo della deposta Vasti e imitare le
qualità di sottomissione e di altruismo della devota Ester.
14 È anche degno di nota il fatto che quando Ester divenne regina vi fu grande gioia, senz’altro condivisa
con tutto il cuore da Mardocheo, suo cugino maggiore. Dovette avere la sensazione che questo sarebbe
infine risultato un bene per tutti i giudei delle province persiane.
LEALE, MA SENZA COMPROMESSI
15 Ester è sempre in contatto con Mardocheo e continua a seguirne le istruzioni. Mentre egli siede alla
porta del re, Bigtan e Teres, funzionari di corte (che pare montassero la guardia alla porta
dell’appartamento privato del re), si indignano contro Assuero e cercano l’occasione per mettergli le mani
addosso. Appreso il complotto, Mardocheo ne informa immediatamente Ester, che parla al re in nome di
Mardocheo. Le sue dichiarazioni fanno aprire un’inchiesta. Presto i due traditori vengono giustiziati e i
loro cadaveri sono pubblicamente esposti su un palo in quanto colpevoli di lesa maestà. Sebbene
Mardocheo non venga ricompensato, il suo gesto di lealtà viene scritto nel libro dei fatti del giorno. — Est.
2:21-23.
16 Benché Mardocheo sia leale e abbia il dovuto riguardo per l’autorità governativa, non è disposto al
compromesso. Passa il tempo e per qualche ragione Assuero nomina primo ministro un certo ricco di
nome Aman. Inoltre, per ordine del re, tutti i servitori del sovrano che stanno alla porta del palazzo si
inchinano e si prostrano davanti ad Aman. Ma guardate Mardocheo! Continua a rifiutarsi decisamente di
prostrarsi dinanzi al nuovo primo ministro. Questo fatto manda Aman su tutte le furie. — Est. 3:1-5.
17 Perché Mardocheo ha assunto tale atteggiamento risoluto? Ebbene, Aman è un agaghita,
probabilmente un amalechita di discendenza reale. Geova aveva decretato lo sterminio finale degli
amalechiti perché avevano mostrato odio verso Dio e verso il suo popolo attaccando gli israeliti nel
deserto. (Eso. 17:8, 14-16; Deut. 25:17-19; 1 Sam. 15:1-33) Ecco perché il devoto Mardocheo è
irremovibile nel suo rifiuto di prostrarsi davanti ad Aman. L’inchinarsi sarebbe indice non solo di rispetto,
ma anche di pace e forse di omaggio verso questo amalechita. Mardocheo si mostra inflessibile perché si
tratta di mantenere l’integrità verso Dio.
18 L’adirato Aman comincia a cercare l’occasione propizia per annientare sia Mardocheo che il suo
popolo, i giudei di tutto l’impero. A tal fine, durante il mese di nisan, primo mese del dodicesimo anno di
Assuero, l’agaghita senza scrupoli ricorre alla divinazione. Davanti a lui ‘qualcuno [evidentemente un
astrologo] getta il Pur, cioè la Sorte’. Questo vien fatto allo scopo di determinare il giorno più propizio per
sterminare il popolo di Geova. — Est. 3:6, 7.
19 Ora Aman, parlando al re Assuero, mette in cattiva luce i giudei dipingendoli come gente indesiderabile
che viola le leggi. Aggiungendo un incentivo economico, l’agaghita dice: “Si scriva che siano distrutti; e io
pagherò diecimila talenti d’argento [un valore di miliardi di lire] nelle mani di quelli che fanno il lavoro
portandolo nel tesoro del re”. — Est. 3:8, 9.
20 Assuero dà peso alle false accuse? Sì, ci crede. Il re si sfila l’anello del sigillo, usato per autenticare i
documenti ufficiali, e lo dà ad Aman. “L’argento è dato a te, nonché il popolo, per farne ciò che è bene ai
tuoi propri occhi”, dice il governante persiano. Ben presto, sotto la guida di Aman, i segretari reali sono
impegnati a scrivere lettere contenenti un decreto che ordina la distruzione dei giudei. Il malvagio
agaghita usa l’anello del sigillo che reca l’emblema caratteristico del sovrano. Aman imprime l’anello nella
cera o in qualche altra sostanza soffice su questi documenti e così li autentica. — Est. 3:10-12.
21 Le lettere sono presto in mano ai corrieri, che impiegano veloci cavalli da posta. Il decreto, pubblicato
in varie lingue e diffuso in tutto l’impero, autorizza ad annientare i giudei e a saccheggiarne i beni.
Quando? Il tredicesimo giorno del mese invernale di adar (febbraio-marzo). È quindi comprensibile che
mentre Assuero e Aman siedono e bevono, la città di Susan, dove risiedono molti giudei, sia in
confusione. — Est. 3:13-15; 9:18.
TEMPO DI MOSTRARE CORAGGIO
22 Appena Mardocheo viene a sapere del piano di genocidio, si strappa le vesti, indossa un ruvido sacco
e si cosparge di ceneri in segno di lutto, e grida amaramente e ad alta voce. In maniera simile, la calamità
incombente induce i giudei di tutti i distretti giurisdizionali a fare gran lutto. Inoltre digiunano e senza
dubbio levano molte preghiere a Geova Dio. — Est. 4:1-3.
23 Anche Ester è profondamente addolorata. Manda degli abiti a Mardocheo perché si tolga il sacco, ma
egli non li accetta. In risposta a una domanda, egli manda alla regina una copia della legge appena
emanata e le ordina di andare davanti al re per implorare favore per il suo popolo. Cosa risponde Ester?
‘Tutti sanno che qualsiasi uomo o donna entri dal re senza essere stato chiamato viene messo a morte.
Solo se il re stende lo scettro d’oro la persona resta in vita. In quanto a me, sono ormai trenta giorni che
non vengo chiamata dinanzi a lui’. (Est. 4:4-11) Sì, Ester perderebbe la vita, a meno che il re Assuero
non ne approvi specificamente la presenza stendendo verso di lei il suo scettro, simbolo dell’autorità
reale. Richiede certo coraggio e fede in Geova andare dinanzi al sovrano senza essere stata invitata.
24 Ciò nondimeno, Mardocheo risponde: “Non pensare nella tua propria anima che la casa del re
scamperà più di tutti gli altri Giudei. Poiché se in questo tempo tu del tutto tacerai, sollievo e liberazione
stessi si leveranno per i Giudei da un altro luogo, ma in quanto a te e alla casa di tuo padre, perirete. E
chi sa se è per un tempo come questo che sei pervenuta alla dignità reale?”. (Est. 4:12-14) Mardocheo
ha fede che Ester è assurta alla dignità reale proprio in questo tempo per uno scopo speciale: la
liberazione del popolo di Dio. Ma in quanto a lei, mostrerà altruismo, fede e coraggio?
25 In risposta, Ester esorta Mardocheo a radunare tutti i giudei a Susan perché digiunino a suo favore.
‘Anch’io digiunerò’, dice, “e dopo ciò entrerò dal re, il che non è secondo la legge; e nel caso che io
debba perire, devo perire”. Ester sta per rischiare la sua stessa vita, ma questa donna giudiziosa è decisa
ad agire con coraggio e altruismo a favore del suo popolo. Ecco dunque che Ester, Mardocheo e i giudei
a Susan pregano e digiunano e confidano in Geova Dio per essere liberati. — Est. 4:15-17.
26 Anche nei tempi moderni i seguaci di Gesù Cristo unti con lo spirito, che sono giudei spirituali, e i loro
compagni devono coraggiosamente affrontare prove e nemici. (Rom. 2:28, 29) Il re dominante, Gesù
Cristo, può permettere ai nemici di giungere al limite dei loro tentativi di distruggere il popolo di Dio.
Com’è essenziale quindi che gli unti cristiani e i loro dedicati compagni agiscano con coraggio, pregando
per avere da Dio saggezza e manifestando fede vittoriosa! Ma in quanto a Geova, continuerà a sostenere
il suo popolo? Giudicatelo da voi, mentre continuiamo ad osservare il drammatico susseguirsi degli
avvenimenti del giorno di Ester.
[Figura a pagina 13]
“E nel caso che io debba perire, devo perire”. — Ester 4:16.

w80 1/12 30 Hai cercato di fare pace?


Possiamo imparare anche dalla regina Ester. Si preparò bene prima di rivolgere al marito, il re Assuero,
la sua ardita richiesta. (Est. 5:3-8; 7:1-10) È vero che la tua situazione differisce dalla sua; non è in gioco
la tua vita o quella di tutto il tuo popolo. Ma il principio basilare è lo stesso, e cioè che se ci tieni molto al
risultato, e così dovrebbe essere, devi fare il possibile per esporre il tuo caso nella maniera più
favorevole.
Illustriamolo con un’altra storia vera: C’era un direttore d’orchestra che aveva una pianista di grande
talento ed estremamente leale, ma che purtroppo era molto permalosa e irascibile. Se veniva criticata,
tendeva a “esplodere”. Perciò il direttore, ogni qualvolta doveva darle un suggerimento sotto forma di
critica costruttiva, prima conversava con lei del più e del meno, su cose di reciproco interesse, e poi,
quando l’atmosfera era calma e amichevole, portava con tatto e gentilezza alla sua attenzione il punto
che intendeva menzionare.
Ma supponiamo che il tuo fratello non ti ascolti. Che fare? In tal caso dovresti decidere fino a che punto si
tratta di una questione di principio e fino a che punto puoi lasciare che ‘l’amore copra una moltitudine di
peccati’. Se è una questione veramente seria, vorrai procedere secondo le istruzioni di Gesù e quindi
portare con te due testimoni. Ma nella maggioranza dei casi questo non dovrebbe essere necessario. —
Matt. 18:16; I Piet. 4:8.
Naturalmente tutto questo vale anche nel caso opposto, cioè se sei tu ad aver motivo di credere di aver
offeso qualcuno, come nel caso del violoncellista che aveva offeso il suonatore di viola. Anzi, in tale
situazione i consigli menzionati si applicherebbero ancora di più. Poniamo il caso che qualcuno ti abbia
offeso. Non proveresti sollievo se venisse da te e così ti evitasse di dover andare da lui per chiarire la
cosa?
Una coscienza sensibile ti sarà di grande aiuto. Significa avere un vivo senso di ciò che è giusto e di ciò
che è sbagliato, e il desiderio di fare ciò che è giusto. Se abbiamo offeso qualcuno, siamo in debito verso
di lui, e dovremmo voler saldare onestamente i nostri debiti mettendo a posto le cose fra noi. — Matt.
6:12.
Può darsi però che i tuoi sforzi siano vani. “Un fratello riluttante è più irriducibile di una fortezza”, dice il
proverbio. (Prov. 18:19, The New English Bible) Può darsi che, avendo egli giudicato male i tuoi motivi,
non ci sia semplicemente nulla che tu possa fare per aiutarlo a ricredersi. In tal caso dipenderà dalla
gravità della questione se mandare avanti la cosa o no, per esempio con l’aiuto di un anziano della
congregazione cristiana.
Dovremmo veramente cercare di fare la pace se c’è dell’astio fra noi e un nostro conservo. Dopo tutto, i
cristiani non devono già lottare abbastanza per vincere il mondo malvagio, le macchinazioni del Diavolo e
la loro stessa debolezza innata, senza dover contendere l’uno con l’altro? Quando vi è motivo di
lamentarsi e né le preghiere né gli sforzi per perdonare e dimenticare riescono a migliorare la situazione,
allora dobbiamo necessariamente fare qualcosa. Se abbiamo offeso qualcuno, mettiamo in pratica
Matteo 5:23, 24. Se siamo stati offesi, e si tratta di un’offesa grave, mettiamo in pratica Matteo 18:15-17.
Così facendo, contribuiremo da parte nostra a favorire la pace e l’unità che devono esistere tra fratelli.
Mostreremo inoltre di essere discepoli di Cristo. — Giov. 13:34, 35.

g90 8/1 22-3 Fotomodelle e concorsi di bellezza: Che male c'è?


La bellezza può essere utile
Della vergine ebrea Ester fu detto che era “graziosa di forme e bella d’aspetto”. (Ester 2:7) Si potrebbe
addirittura dire che partecipò involontariamente a una specie di concorso di bellezza. Le circostanze? La
regina persiana Vasti era stata privata della carica per insubordinazione. Volendo trovare una donna
adatta per sostituirla, il re Assuero fece venire tutte le più belle vergini del reame. Dispose che nell’arco di
12 mesi le giovani seguissero una dieta speciale e fossero sottoposte a regolari massaggi con olio di
balsamo e olio di mirra. Quindi le ragazze vennero giudicate una per una. E allorché venne il suo turno,
Ester fu scelta per essere la nuova regina! — Ester 1:12–2:17.
Perché allora Ester partecipò? Cercava forse la gloria? No, Ester seguiva la guida di Geova, guida che
chiese in ripetute occasioni attraverso il suo devoto cugino e tutore, Mardocheo. (Ester 4:5-17) Un
malvagio di nome Aman complottava contro il popolo di Dio, la nazione di Israele, per distruggerlo. Il
“concorso di bellezza” permise a Geova di mettere Ester in una posizione chiave dove avrebbe potuto
sventare questo complotto. La bellezza di Ester fu quindi una benedizione per tutto il popolo di Dio!
Che dire di oggi? L’aspetto fisico non è certo la cosa più importante della propria vita. Ciò nondimeno,
quando è accompagnata dalla modestia e dall’umiltà, l’avvenenza può essere un bene prezioso. Significa
questo, però, che sia saggio usare questo bene intraprendendo la carriera di fotomodella o di indossatore
o partecipando a concorsi di bellezza? O ci sono altri fattori da considerare oltre all’allettamento della
fama, della gloria o della ricchezza?

w97 15/6 16-18 "Li creò maschio e femmina"


Aspetto esteriore
11 Qual è il segreto della femminilità appropriata? Una madre dichiarò: “L’attrattiva può essere falsa, e la
bellezza può essere vana; ma la donna che teme Geova è quella che si procura lode”. (Proverbi 31:30)
Perciò un riverente timore di Dio è essenziale, e l’amorevole benignità, l’affabilità, la modestia e la lingua
mite contribuiscono alla femminilità molto più della bellezza fisica. — Proverbi 31:26.
12 Purtroppo molti uomini e donne non aprono la bocca nella sapienza e non hanno l’amorevole benignità
sulla loro lingua. Il loro modo di parlare è offensivo, sarcastico, volgare e sconsiderato. Alcuni uomini
pensano che il linguaggio osceno sia segno di virilità, e alcune donne stoltamente li imitano. Tuttavia, se
una donna è bella ma priva di senno, ed è polemica, sarcastica o arrogante, può realmente essere bella
nel vero senso della parola, veramente femminile? “Come un anello d’oro da naso nel grifo di un porco,
così è la donna bella che si ritrae dall’assennatezza”. — Proverbi 11:22.
13 La bellezza unita a un modo di parlare scurrile, a sarcasmo o a mancanza di buon senso sarebbe in
contrasto con l’aspetto femminile di una donna. Infatti, tale condotta errata potrebbe addirittura fare
apparire brutta una persona fisicamente attraente. È facile capire che di per sé l’aspetto fisico di un uomo
o di una donna non può compensare o giustificare gli scoppi d’ira, le urla o le parole ingiuriose. Tutti i
cristiani possono e devono rendersi attraenti agli occhi di Dio e dei loro simili con il loro modo di parlare e
di agire basato sulla Bibbia. — Efesini 4:31.
14 Anche se la vera femminilità e la vera virilità si basano su qualità spirituali, il portamento e l’aspetto
fisico, inclusi gli abiti che indossiamo e il modo in cui li portiamo, parlano di noi. L’apostolo Pietro pensava
senza dubbio a certi modi di vestire e di acconciarsi del I secolo quando rivolse alle donne cristiane
questo consiglio: “Il vostro adornamento non sia quello dell’esteriore intrecciatura dei capelli e del
mettersi ornamenti d’oro o dell’indossar mantelli, ma sia la persona segreta del cuore nella veste
incorruttibile dello spirito quieto e mite, che è di grande valore agli occhi di Dio. Poiché così si adornavano
una volta anche le sante donne che speravano in Dio, sottomettendosi ai propri mariti”. — 1 Pietro 3:3-5.
15 In 1 Timoteo 2:9, 10 troviamo le parole di Paolo sull’abbigliamento femminile: “Desidero che le donne
si adornino con veste convenevole, con modestia e sanità di mente, . . . come si conviene a donne che
professano di riverire Dio, cioè per mezzo di opere buone”. In questi versetti egli diede risalto alla
necessità di manifestare modestia e di vestire in maniera convenevole, che rispecchi sanità di mente.
16 Se un uomo o una donna, un ragazzo o una ragazza, agiscono o si vestono in modo sessualmente
provocante, non valorizzano la vera virilità o la vera femminilità, e questo certo non onora Dio. Nel mondo
molti uomini e donne ostentano la loro sessualità in maniera eccessiva con l’abbigliamento e il
comportamento. Altri attenuano le differenze fra i sessi per scopi immorali. Come siamo grati noi cristiani
che la Bibbia riveli il pensiero di Geova Dio! Egli dichiarò all’antico Israele: “Non si deve mettere addosso
alla donna l’abbigliamento di un uomo robusto, né l’uomo robusto deve indossare il mantello di una
donna; poiché chiunque fa queste cose è detestabile a Geova”. — Deuteronomio 22:5.
17 Probabilmente vi farà piacere ricordare ciò che disse a questo riguardo La Torre di Guardia del 15
agosto 1988 a w88 15/8 pagina 17: “Il punto non è quanto un determinato modo di vestire sia alla moda,
ma quanto è adatto a uno che si professa ministro di Dio. (Romani 12:2; 2 Corinti 6:3) Abiti attillati o
troppo casual possono screditare il nostro messaggio. Stili che vistosamente e deliberatamente danno a
un uomo un tocco femminile o a una donna un tocco maschile sono senz’altro fuori luogo. (Confronta
Deuteronomio 22:5). Naturalmente le usanze locali possono cambiare a seconda del clima, delle
necessità di lavoro e così via, di modo che la congregazione cristiana non pone delle regole rigide per
l’intera fratellanza mondiale”.
18 Che consigli equilibrati e appropriati! Purtroppo alcuni cristiani, maschi e femmine, seguono
ciecamente qualsiasi cosa il mondo promuova in fatto di abbigliamento e aspetto personale senza tener
conto dell’effetto che ciò potrebbe avere sul nome di Geova e della congregazione cristiana. Ognuno di
noi potrebbe farsi un esame di coscienza per vedere se è stato influenzato dal modo di pensare del
mondo. Oppure potremmo avvicinare un fratello o una sorella che ha esperienza ed è rispettato e
chiedere se dobbiamo fare qualche cambiamento nel nostro modo di vestire, valutando poi seriamente i
suggerimenti.
Eud (figlio di Ghera) — Tema: Geova libera il suo popolo SALMO 34:7

it-1 878-9 Eud


EUD
(Èud).
2. Figlio di Ghera della tribù di Beniamino (Gdc 3:15), venne scelto da Dio per liberare la nazione dalla
schiavitù a Eglon re di Moab, schiavitù durata 18 anni e permessa da Dio perché “i figli d’Israele facevano
di nuovo ciò che era male agli occhi di Geova”. — Gdc 3:12-14.
Quando gli israeliti cominciarono a invocare l’aiuto di Geova, egli suscitò un “salvatore” nella persona di
Eud. In seguito gli israeliti mandarono a Eglon un tributo per mezzo di Eud, che si era fatto una spada a
due tagli, ‘della lunghezza di un cubito [ebr. gòmedh]’, una misura lineare di cui in questo caso non si
conosce l’esatta lunghezza. Alcuni credono che fosse un cubito corto, di circa 38 cm. Eud era mancino,
alla lettera “un uomo chiuso (impedito) alla sua mano destra”. Questo comunque non significa che Eud
avesse una menomazione, in quanto la stessa espressione ebraica è usata in relazione a 700 guerrieri
beniaminiti, che non è probabile avessero una menomazione fisica, bensì erano “mancini”, ed
evidentemente ambidestri. (Gdc 3:15, 16, nt.; 20:16; cfr. 1Cr 12:2). La Bibbia non dice esplicitamente che
Eud fosse ambidestro, anche se ciò è possibile. Nondimeno, essendo mancino, Eud cinse la spada sotto
la veste sulla coscia destra.
Dopo aver presentato il tributo, Eud mandò via i portatori, ma giunto alle cave di Ghilgal tornò indietro.
Andò poi da Eglon re di Moab che sedeva nella camera in terrazza, e gli disse: “Ho per te una parola di
Dio”. Incuriosito Eglon si alzò dal trono. Allora Eud “stese la mano sinistra e, presa la spada dalla coscia
destra”, la conficcò nell’obeso ventre di Eglon, col risultato che “l’impugnatura entrava dopo la lama così
che il grasso si richiuse sopra la lama”. Se non fosse stato mancino avrebbe sguainato la spada con la
destra, dal fianco sinistro. Quindi probabilmente Eglon non si aspettava che Eud estraesse la spada dal
fianco destro, usando la mano sinistra. Ora che il sovrano nemico era morto, Eud fuggì “dall’apertura
dell’aria”, dopo aver richiuso e sbarrato dietro di sé le porte della camera in terrazza. Quando i servitori di
Eglon aprirono finalmente le porte, scoprirono che “il loro signore era caduto a terra morto!” — Gdc 3:15-
25.
Eud, scampato nella regione montagnosa di Efraim, radunò un esercito di israeliti, dicendo loro:
“Seguitemi, perché Geova vi ha dato in mano i vostri nemici, i moabiti”. Impadronitisi dei guadi del
Giordano gli israeliti tagliarono la ritirata dei moabiti verso il loro paese. Questi senza dubbio erano già
molto demoralizzati per la morte del loro re, e gli israeliti ne abbatterono 10.000, “tutti robusti e tutti
uomini valorosi; e non ne scampò nemmeno uno”. Una volta soggiogato Moab sotto la mano di Israele
guidato da Eud, “il paese non ebbe più disturbo per ottant’anni”. — Gdc 3:26-30.
Eud non viene specificamente chiamato ‘giudice Eud’, ma è definito “un salvatore”. (Gdc 3:15) Otniel è
invece chiamato sia “salvatore” che “giudice”. (Gdc 3:9, 10) L’epoca comunque è quella dei Giudici.
Dobbiamo quindi ritenere che Eud non fosse considerato solo “un salvatore” ma anche un giudice.

W68 1-3 P.150-153

w97 15/3 29-31 Eud, coraggioso uomo di fede


Eud, coraggioso uomo di fede
ERANO passati molti anni da quando gli israeliti avevano messo piede nella Terra Promessa. Mosè e il
suo successore, Giosuè, erano morti da molto tempo. Scomparsi tali uomini di fede, l’apprezzamento per
la pura adorazione era venuto meno. Gli israeliti avevano addirittura cominciato a servire i Baal e i pali
sacri. Di conseguenza Geova diede il suo popolo in mano ai siri per otto anni. Allora gli israeliti
invocarono Geova Dio perché li aiutasse. Misericordiosamente egli li ascoltò e suscitò un giudice, Otniel,
affinché li liberasse. — Giudici 3:7-11.
Da quegli avvenimenti gli israeliti avrebbero dovuto imparare una verità fondamentale: l’ubbidienza a
Geova reca benedizioni, la disubbidienza maledizioni. (Deuteronomio 11:26-28) Ma il popolo di Israele
non imparò la lezione. Dopo 40 anni di pace, abbandonò di nuovo la pura adorazione. — Giudici 3:12.
Soggiogati da Moab
Questa volta Geova lasciò che il suo popolo cadesse nelle mani di Eglon re di Moab. La Bibbia lo
descrive come “un uomo molto grasso”. Con l’aiuto di Ammon e Amalec, Eglon attaccò Israele e stabilì il
suo palazzo a Gerico, la “città delle palme”. Ironia della sorte, proprio la prima città cananea conquistata
da Israele ora ospitava il quartier generale di un adoratore del falso dio Chemos! — Giudici 3:12, 13, 17.
Eglon oppresse gli israeliti per i successivi 18 anni, imponendo loro a quanto pare una tassa molto
onerosa. Esigendo un tributo periodico, Moab rafforzava la propria posizione economica e nel contempo
impoveriva Israele. È comprensibile che il popolo di Dio invocasse aiuto e ancora una volta Geova lo
ascoltò. Suscitò per loro un altro salvatore, questa volta un beniaminita di nome Eud. Per mettere fine alla
tirannia di Eglon su Israele, Eud dispose di agire nel giorno in cui si sarebbe dovuto pagare il tributo
successivo. — Giudici 3:14, 15.
Mettendo a punto il suo piano coraggioso, Eud si fece una spada a due tagli lunga un cubito. Se si
trattava del cubito corto, l’arma era lunga circa 38 centimetri. Qualcuno la considererebbe più una daga.
Sembra che fra la lama e l’impugnatura non ci fosse il pezzo trasversale. Perciò Eud poteva nascondere
la sua corta spada fra i lembi della veste. Inoltre, essendo mancino, poteva cingere la spada sul lato
destro, dove normalmente non si teneva un’arma. — Giudici 3:15, 16.
La strategia di Eud non era priva di rischi. Per esempio, cosa sarebbe accaduto se i servitori del re
avessero perquisito Eud per vedere se era armato? E anche se non lo avessero perquisito, di sicuro non
avrebbero lasciato il re da solo con un israelita! Ma supponendo che lo lasciassero solo e che Eglon
venisse ucciso, come avrebbe fatto Eud a fuggire? Che distanza avrebbe potuto percorrere prima che i
servitori di Eglon scoprissero l’accaduto?
Senza dubbio Eud valutò queste possibilità, mettendo forse in conto che diverse sarebbero potute finire
male. Tuttavia portò avanti il suo piano, dando prova di coraggio e di fede in Geova.
Eud incontra Eglon
Arrivò il giorno in cui si doveva consegnare il tributo. Eud e i suoi uomini entrarono nel palazzo reale e
ben presto furono davanti a Eglon. Ma per Eud non era ancora arrivato il momento di attaccare. Dopo
aver presentato il tributo, Eud congedò i portatori del tributo. — Giudici 3:17, 18.
Perché Eud non colpì subito Eglon? Per timore? Niente affatto! Per attuare il suo piano, Eud aveva
bisogno di un’udienza privata col re, che non gli era stata accordata in questo primo incontro. Inoltre Eud
doveva poter scappare rapidamente. Fuggire sarebbe stato più facile per un uomo solo che non per
l’intero gruppo di portatori del tributo. Perciò Eud decise di aspettare. La breve visita fatta a Eglon gli
permise di studiare la disposizione del palazzo e di valutare le misure di sicurezza di cui era circondato il
re.
Dopo aver raggiunto le “cave che erano a Ghilgal”, Eud lasciò i suoi uomini e tornò al palazzo di Eglon.
Durante quel tragitto di un paio di chilometri ebbe un po’ di tempo per riflettere sulla sua missione e
chiedere in preghiera la benedizione di Geova. — Giudici 3:19.
Eud ritorna
A quel che sembra Eud fu di nuovo bene accolto a palazzo. Forse col generoso tributo che aveva portato
si era ingraziato Eglon. Può darsi che la prima visita, seppur breve, fosse stata sufficiente per stabilire un
rapporto cordiale col re. In ogni caso, Eud era di nuovo al cospetto di Eglon.
“Ho una parola segreta per te, o re”, disse Eud. Che fosse arrivato fino a questo punto era un’indicazione
che Geova lo stava guidando. Ma c’era un problema. La “parola segreta” di Eud non poteva essere
pronunciata alla presenza dei servitori del re. Se Geova aveva intenzione di intervenire, Eud aveva
bisogno di quell’aiuto immediatamente. “Fate silenzio!”, ordinò il re. Non volendo che quella “parola
segreta” fosse udita da altri, Eglon mandò via i suoi servitori. Immaginate il sollievo che provò Eud! —
Giudici 3:19.
Eglon era seduto nella sua camera in terrazza quando Eud andò da lui e gli disse: “Ho per te una parola
di Dio”. Dicendo “Dio”, Eud si riferiva a Chemos? Eglon può aver pensato così. Incuriosito, si alzò dal
trono e rimase in attesa. Eud si avvicinò, probabilmente muovendosi in modo da non insospettire il re.
Poi, con un rapido movimento, “Eud stese la mano sinistra e, presa la spada dalla coscia destra, gliela
ficcò nel ventre. E anche l’impugnatura entrava dopo la lama così che il grasso si richiuse sopra la lama,
poiché non gli trasse la spada dal ventre, e ne uscivano le feci”. — Giudici 3:20-22.
I servitori del re aspettavano tranquillamente nelle vicinanze. Ma Eud era ancora in pericolo. I servitori di
Eglon sarebbero potuti entrare in qualsiasi momento e scoprire il cadavere del re disteso per terra. Eud
doveva fuggire subito! Serrate le porte, scappò attraverso l’apertura per l’aria della camera in terrazza. —
Giudici 3:23, 24a.
Scoperta e sconfitta
Dopo un po’ i servitori di Eglon cominciarono a chiedersi cosa stesse succedendo. Tuttavia non osavano
rischiare di incorrere nelle ire del re interrompendo la sua udienza privata. Poi notarono che le porte della
camera in terrazza erano serrate. “Sta semplicemente facendo i suoi bisogni naturali nella fresca stanza
interna”, pensarono. Col trascorrere del tempo, però, la curiosità si trasformò in preoccupazione. I
servitori di Eglon non potevano più aspettare. “A ciò presero la chiave e aprirono [le porte della camera in
terrazza], ed ecco, il loro signore era caduto a terra morto!” — Giudici 3:24b, 25.
Nel frattempo Eud era fuggito. Oltrepassò le cave di Ghilgal e infine raggiunse Seira, località della
regione montagnosa di Efraim. Eud radunò gli uomini di Israele e li guidò all’attacco contro i moabiti. Il
racconto dice che “abbattevano Moab, circa diecimila uomini, tutti robusti e tutti uomini valorosi; e non ne
scampò nemmeno uno”. Soggiogato Moab, il paese di Israele non ebbe più disturbo per 80 anni. —
Giudici 3:26-30.
Impariamo dall’esempio di Eud
Eud era mosso dalla fede in Dio. Ebrei capitolo 11 non lo menziona specificamente fra quelli che
“mediante la fede sconfissero regni, . . . divennero valorosi in guerra, misero in fuga eserciti di stranieri”.
(Ebrei 11:33, 34) Nondimeno Geova lo sostenne mentre agiva con fede e liberava Israele dalla tirannide
di Eglon.
Una delle qualità di Eud fu il coraggio. Ci volle coraggio per brandire una spada letterale. Quali odierni
servitori di Dio, noi non impugniamo spade di questo tipo. (Isaia 2:4; Matteo 26:52) Ma in effetti usiamo
“la spada dello spirito”, la Parola di Dio. (Efesini 6:17) Eud usò quell’arma con destrezza. Anche noi
dobbiamo saper usare abilmente la Parola di Dio mentre predichiamo la buona notizia del Regno.
(Matteo 24:14) Lo studio personale della Bibbia, la regolare presenza alle adunanze cristiane, la zelante
partecipazione al ministero e il confidare nel nostro Padre celeste in preghiera ci aiuteranno a imitare le
qualità manifestate da Eud, veramente un coraggioso uomo di fede.

[Note in calce]
I pali sacri erano probabilmente simboli fallici, associati con pratiche gravemente immorali come le orge
sessuali. — 1 Re 14:22-24.
Chemos era la principale divinità moabita. (Numeri 21:29; Geremia 48:46) È probabile che, almeno in
alcuni casi, bambini venissero sacrificati a questo dio falso e detestabile. — 2 Re 3:26, 27.
[Foto a pagina 31]
Eud e i suoi uomini presentano il tributo al re Eglon
[Referenza fotografica]
Riprodotto da Illustrirte Pracht - Bibel/Heilige Schrift des Alten und Neuen Testaments, nach der
deutschen Uebersetzung D. Martin Luther’s
Eunice — Tema: Un esempio per le madri cristiane 2°TIMOTEO 1:5

it-1 880-1 Eunice


EUNICE
(Eunìce) [da un verbo che significa “vincere”].
Ebrea credente figlia di Loide; moglie di un greco non credente e madre di Timoteo. (At 16:1) È molto
probabile che l’apostolo Paolo abbia incontrato Eunice a Listra in Asia Minore durante il primo viaggio
missionario e che allora, grazie alla sua predicazione, lei e la madre Loide siano diventate cristiane. (At
14:4-18) La fede di Eunice era “senza ipocrisia”. (2Tm 1:5) Benché suo marito fosse pagano, essa fu
esemplare nell’insegnare fin dall’“infanzia” al figlio Timoteo gli “scritti sacri”, e, una volta diventata
cristiana, senza dubbio lo istruì di conseguenza. (2Tm 3:15) Poiché il marito di Eunice era greco, i
genitori non avevano fatto circoncidere Timoteo. — At 16:3.

w93 15/11 20 Abbiate coraggio!


Coraggio nelle famiglie divise
11 Eunice e il figlio Timoteo diedero un ottimo esempio di fede coraggiosa in una famiglia religiosamente
divisa. Benché il marito fosse pagano, Eunice insegnò al figlio “gli scritti sacri” sin dall’infanzia. (2 Timoteo
3:14-17) Diventata cristiana, Eunice manifestò ‘fede senza ipocrisia’. (2 Timoteo 1:5) Ebbe anche il
coraggio di insegnare a Timoteo il cristianesimo mostrando al tempo stesso rispetto per l’autorità del
marito non credente. Di sicuro la fede e il coraggio di Eunice furono ricompensati quando il figlio ben
addestrato fu scelto per accompagnare Paolo nei viaggi missionari. Come può essere incoraggiante
questo per i genitori cristiani che si trovano in circostanze simili!
12 Timoteo, pur vivendo in una casa religiosamente divisa, accettò con coraggio il cristianesimo e diventò
una persona spirituale tanto che Paolo poté dire di lui ai filippesi: “Spero nel Signore Gesù di mandarvi
presto Timoteo, affinché io sia un’anima allegra quando saprò le cose che vi riguardano. Poiché non ho
nessun altro dalla disposizione simile alla sua, che abbia genuinamente cura delle cose che vi
riguardano. . . . Voi conoscete la prova che egli diede di se stesso, che come un figlio col padre ha fatto
lo schiavo con me per promuovere la buona notizia”. (Filippesi 2:19-22) Oggi molti ragazzi di entrambi i
sessi che vivono in case religiosamente divise abbracciano con coraggio il vero cristianesimo. Come
Timoteo, danno prova di sé, e siamo veramente felici di averli con noi nell’organizzazione di Geova!

W98 15-5 P.7-9


Eva — Tema: Rispettate l’autorità teocratica 1CORINTI 11:3

it-1 882-3 Eva


EVA
[vivente; prob. affine al verbo ebr. chayàh, “vivere”].
La prima donna, e l’ultima delle opere creative di Dio sulla terra di cui si abbia notizia.
Geova il Creatore sapeva che non era bene che l’uomo rimanesse da solo. Tuttavia, prima di procedere
alla creazione della donna, Dio condusse dall’uomo varie bestie della terra e creature volatili. Adamo
diede loro un nome, ma non trovò fra queste nessun aiutante. Fu allora che Geova lo fece cadere in un
profondo sonno, gli tolse una costola dal fianco e, dopo aver richiuso la carne, dalla costola fece una
donna. Sicuramente informato per diretta rivelazione di Dio, suo Creatore e Padre, su come la donna era
venuta all’esistenza, Adamo fu felice di prenderla in moglie, dicendo: “Questa è finalmente osso delle mie
ossa e carne della mia carne”, come era evidente ai suoi stessi sensi. Quale suo complemento, Adamo
chiamò sua moglie ´ishshàh (donna, lett. “uomo femmina”), “perché dall’uomo questa è stata tratta”. (Ge
2:18-23) A quel punto Dio impartì loro la sua paterna benedizione: “Siate fecondi e moltiplicatevi e
riempite la terra e soggiogatela”. Dovevano anche tenere sottoposta la creazione animale. (Ge 1:28)
Essendo opera delle mani di Dio, la donna era perfettamente idonea come complemento di suo marito
Adamo e anche per diventare madre.
Inganno e disubbidienza. Un giorno la donna, mentre non era in compagnia del marito, venne a trovarsi
vicino all’albero della conoscenza del bene e del male. Lì un cauto serpente, usato come portavoce
visibile da uno spirito invisibile, chiese con apparente innocenza: “È realmente così che Dio ha detto, che
non dovete mangiare di ogni albero del giardino?” La donna rispose correttamente, essendo stata senza
dubbio istruita dal suo marito e capo, che formava con lei una sola carne. Ma quando il serpente
contraddisse Dio e affermò che violandone il comando sarebbero diventati come Dio, conoscendo il bene
e il male, la donna cominciò a guardare l’albero con occhio diverso. “Vide che l’albero era buono come
cibo e che era qualcosa che metteva voglia agli occhi, sì, l’albero era desiderabile da guardare”. Per di
più il serpente aveva detto che se ne avesse mangiato sarebbe stata simile a Dio. (Cfr. 1Gv 2:16).
Completamente ingannata dal serpente e allettata dalla prospettiva legata al mangiare il frutto proibito, la
donna trasgredì la legge di Dio. (1Tm 2:14) Dopo ciò si rivolse al marito e lo indusse a unirsi a lei nella
disubbidienza a Dio. Adamo diede ascolto alla voce della moglie. — Ge 3:1-6.
L’effetto immediato della trasgressione fu la vergogna. Perciò essi presero delle foglie di fico per coprirsi i
lombi. Quando udirono la voce di Geova, sia Adamo che sua moglie andarono a nascondersi fra gli alberi
del giardino. Interrogata direttamente da Dio su ciò che aveva fatto, la donna dichiarò di aver mangiato il
frutto perché era stata ingannata dal serpente. Nell’emettere la sentenza contro di lei, Geova indicò che
gravidanza e parto sarebbero stati accompagnati da dolore; essa avrebbe bramato il proprio marito ed
egli l’avrebbe dominata. — Ge 3:7-13, 16.
Dopo la violazione della legge di Dio viene detto che Adamo diede alla moglie il nome Eva, “perché
doveva divenire la madre di tutti i viventi”. (Ge 3:20) Prima di scacciare Adamo ed Eva dal giardino di
Eden perché affrontassero le avversità di una terra maledetta, Geova mostrò loro immeritata benignità
provvedendo a entrambi lunghe vesti di pelle. — Ge 3:21.
Eva aveva ragione quando disse di aver generato il figlio Caino “con l’aiuto di Geova”?
Alla nascita del primo figlio, Caino, fuori del paradiso, Eva esclamò: “Ho prodotto un uomo con l’aiuto di
Geova”. (Ge 4:1) Eva è la prima persona di cui è specificato che usò il nome di Dio, a conferma che il
nome Geova era conosciuto dai primi esseri umani. In seguito Eva partorì anche Abele e altri figli e figlie.
Quando Adamo aveva 130 anni, Eva ebbe un altro figlio a cui diede nome Set, e disse: “Dio ha costituito
un altro seme in luogo di Abele, perché Caino l’ha ucciso”. Eva poteva giustamente esprimersi in questo
modo alla nascita di Caino e di Set, dal momento che tali nascite erano state possibili grazie al fatto che
Dio aveva dotato lei e Adamo della facoltà di procreare e che per immeritata benignità non l’aveva messa
immediatamente a morte quando aveva trasgredito il suo comando. Con la nascita di Set finisce la storia
di Eva riportata in Genesi. — Ge 4:25; 5:3, 4.
Un personaggio reale. Che Eva sia effettivamente vissuta e non sia un personaggio immaginario è
attestato da Cristo Gesù stesso. Interrogato dai farisei a proposito del divorzio, Gesù fece notare ciò che
dice Genesi riguardo alla creazione dell’uomo e della donna. (Mt 19:3-6) Ci sono anche la parole di Paolo
ai corinti, che esprimono il timore che le loro menti potessero essere in qualche modo corrotte “come il
serpente con la sua astuzia sedusse Eva”. (2Co 11:3) Poi, parlando del giusto posto della donna nella
congregazione cristiana Paolo spiega che una ragione per cui non è permesso “alla donna di insegnare
né di esercitare autorità sull’uomo” è che Adamo fu formato per primo, e non fu ingannato, “ma la donna
fu completamente ingannata e si trovò in trasgressione”. — 1Tm 2:12-14.

w80 15/11 28-30 La prima donna che fu ingannata


La prima donna che fu ingannata
NON c’è stata nessun’altra donna come lei. Infanzia, fanciullezza e adolescenza furono periodi che non
attraversò mai. Dall’inizio fu una donna matura. Il giorno stesso in cui venne all’esistenza fu anche il
giorno del suo matrimonio.
Vedendola, l’uomo Adamo fu spinto ad esclamare: “Questa è finalmente osso delle mie ossa e carne
della mia carne. Questa sarà chiamata Donna, perché dall’uomo questa è stata tratta”. — Gen. 2:23.
Perché Adamo fece questa dichiarazione riguardo alla prima donna che avesse mai visto? Per un certo
tempo l’uomo era stato l’unico componente della specie umana a vivere in un bellissimo paradiso,
giardino o parco dotato di tutto il necessario per sostenere la vita. Mentre osservava i vari animali e
sceglieva per ciascuno di loro un nome adatto, vedeva che tutti avevano una compagna. Ma fra questi
non aveva trovato nessuno della sua specie, con cui potesse stare in intima compagnia e che potesse
amare. (Gen. 2:19, 20) Quindi riconobbe immediatamente nella donna una compagna adatta a lui, il suo
complemento. In seguito la chiamò Eva, che significa “Vivente”, in quanto doveva divenire “la madre di
tutti i viventi”. — Gen. 3:20.
COME VENNE ALL’ESISTENZA
A differenza degli altri esseri umani sviluppatisi da una minuscola cellula, Eva venne all’esistenza da una
costola che il Creatore tolse dal fianco di Adamo. Alla luce delle attuali cognizioni mediche, la scelta di
una costola sembra molto appropriata. Se non viene tolto il periosteo (la membrana di tessuto connettivo
che ricopre l’osso), l’asportazione di una costola non causa un danno permanente. La costola può
ricrescere. Per il Creatore, che ha reso possibile lo sviluppo di un essere umano da una cellula uovo
fecondata nel grembo materno, non fu certo difficile utilizzare le molte cellule che compongono una
costola per produrre una donna. Poiché Adamo, quando gli fu asportata la costola, era in uno stato di
profondo sonno, dovette essere il Creatore a spiegargli in che modo la donna era venuta all’esistenza.
Questo spiegherebbe perché l’uomo chiamò Eva “osso delle mie ossa e carne della mia carne”. — Gen.
2:21-23.
Eva e il marito Adamo avevano una splendida prospettiva. Si trattava di riempire la terra della loro specie
e di trasformare il territorio esterno alla loro dimora paradisiaca in un meraviglioso paradiso. (Gen. 1:28)
Ma per continuare a vivere nel paradiso avrebbero dovuto ubbidire al comando del loro Creatore.
L’Altissimo aveva proibito ad Adamo ed Eva di prendere del frutto dell’“albero della conoscenza del bene
e del male”. (Gen. 2:16, 17) Quell’albero rappresentava il diritto del Creatore di determinare ciò che è
bene e ciò che è male per i suoi figli umani. Come sarebbe stato sbagliato che le norme del bene e del
male venissero stabilite dalle creature!
INGANNATA PER MEZZO DI UN SERPENTE
Fu proprio in relazione con l’“albero della conoscenza del bene e del male” che Eva cadde vittima di un
inganno. Un giorno, mentre non era in compagnia del marito, fece un incontro molto strano.
Apparentemente un cauto serpente era divenuto saggio e dotato della facoltà di parlare. A insaputa di
Eva, un astuto figlio spirituale si stava servendo di quel serpente più o meno come un ventriloquo si serve
di un pupazzo. (Confronta Giovanni 8:44). Questo serpente fece una domanda apparentemente
innocente: “È realmente così che Dio ha detto che non dovete mangiare di ogni albero del giardino?”
(Gen. 3:1) Eva rispose correttamente, perché Adamo doveva averle spiegato la questione dell’“albero
della conoscenza del bene e del male”, e disse: “Del frutto degli alberi del giardino possiamo mangiare.
Ma in quanto a mangiare del frutto dell’albero che è nel mezzo del giardino, Dio ha detto: ‘Non ne dovete
mangiare, no, non lo dovete toccare affinché non moriate’”. (Gen. 3:2, 3) La domanda del serpente,
comunque, aveva fatto sorgere nella mente di Eva un interrogativo, qualcosa a cui forse non aveva mai
pensato. La domanda era: Perché il frutto dell’“albero della conoscenza del bene e del male” era stato
proibito sotto pena di morte?
Il serpente aveva la risposta pronta: “Positivamente voi [incluso Adamo] non morrete. Poiché Dio sa che
nel medesimo giorno in cui ne mangerete i vostri occhi davvero si apriranno e voi sarete davvero simili a
Dio, conoscendo il bene e il male”. (Gen. 3:4, 5) Ora Eva si trovava a dover prendere una decisione.
Avrebbe difeso il Creatore, al quale doveva la sua stessa esistenza e che aveva dato a lei e al marito
tutte le cose necessarie per vivere eternamente felici? O avrebbe prestato ascolto alle parole di una
creatura inferiore che non aveva mai fatto nulla per lei? Eva non era stata lasciata priva delle informazioni
necessarie per prendere la decisione giusta. Conosceva la legge di Dio e aveva l’inconfondibile prova
che il Creatore amava sia lei che il marito. Pertanto Eva avrebbe dovuto giungere alla conclusione che,
se Dio aveva dato quel comando, doveva avere una valida ragione, e che era nei suoi migliori interessi
ubbidire. Inoltre, essendo lei e il marito una sola carne, sarebbe stato più che giusto consultarsi con lui
prima di agire.
Purtroppo, però, sembra che Eva non avesse sviluppato la gratitudine verso il Creatore necessaria per
ubbidire con fiducia al comando divino. La Bibbia riferisce: “Di conseguenza la donna vide che il frutto
dell’albero era buono come cibo e che era qualche cosa che metteva voglia agli occhi, sì, l’albero era
desiderabile a guardarsi. Ella prendeva quindi del suo frutto e lo mangiava”. (Gen. 3:6a) Con spirito di
indipendenza, Eva decise da sé ciò che era bene e ciò che era male, anziché sottomettersi alla decisione
di Dio al riguardo. Fu completamente ingannata dalla menzogna proferita tramite il serpente. Perciò,
quando mangiò del frutto proibito, lo fece convinta di migliorare la sua situazione.
Eva non perse tempo e si rivolse al marito con l’intenzione di coinvolgerlo nella trasgressione della legge
di Dio. Adamo sapeva che mangiando del frutto sarebbe andato incontro alla morte. Non cedette alle
parole del serpente: “Positivamente voi non morrete”. Ma infine cedette alle esortazioni della moglie e
mangiò il frutto. — Gen. 3:6b.

CONSEGUENZE TRAGICHE
Quale fu il risultato? L’effetto immediato fu spiacevole. Adamo ed Eva non riuscirono più a guardare in
modo puro il corpo nudo l’uno dell’altro. La coscienza turbata li fece sentire impuri, suscitando sensazioni
mai provate prima. Si coprirono con foglie di fico. — Gen. 3:7.
In seguito, udendo la voce di Dio, Eva e il marito si nascosero fra gli alberi del giardino. Rispondendo alla
domanda del Creatore sul perché delle loro azioni, Eva ammise: “Il serpente, mi ha ingannata e io ho
mangiato”. — Gen. 3:8-13.
Tragiche furono le conseguenze per quella prima coppia umana. Eva aveva scavalcato il ruolo
assegnatole da Dio e si era arrogata il compito di agire da insegnante rispetto al marito. La sentenza che
il Creatore pronunciò contro di lei rivelò il dannoso effetto che tale comportamento avrebbe avuto sul suo
matrimonio. Adamo l’avrebbe ‘dominata’, a indicare che da allora in poi avrebbe esercitato la sua autorità
in maniera tirannica. Ciò nonostante Eva avrebbe bramato il marito, provandone intensamente il bisogno.
— Gen. 3:16.
Anche la maternità avrebbe avuto i suoi problemi. Il decreto divino fu: “Aumenterò grandemente la pena
della tua gravidanza; con doglie partorirai figli”. (Gen. 3:16) Nel suo stato ormai imperfetto, Eva dovette
provare un dolore tale nel partorire da capire che poteva risultarne la morte per lei e la sua progenie.
Infine sia lei che il marito sarebbero morti. I loro corpi si sarebbero decomposti tornando agli elementi del
suolo. — Gen. 3:19.
Oltre a questo, Eva e il marito vennero espulsi dalla loro bella dimora paradisiaca, per cominciare una
vita in condizioni difficili in un territorio incolto. Tuttavia il Creatore fornì amorevolmente loro delle lunghe
vesti di pelle. — Gen. 3:21-24.
A suo tempo Eva divenne madre di Caino e Abele, come pure di altri figli e figlie. (Gen. 4:1, 2; 5:4)
Immaginate come dovette sentirsi quando seppe che Caino aveva assassinato suo fratello Abele. Che
tragica impressione dovette produrre quel primo caso di morte fra gli uomini! In seguito, quando Adamo
aveva 130 anni, Eva diede alla luce un altro figlio. Lo chiamò Set, dicendo: “Dio ha costituito un altro
seme al posto di Abele, perché Caino l’ha ucciso”. — Gen. 4:25; 5:3.
Il caso di Eva illustra molto chiaramente che chi trascura la legge di Dio va incontro a gravi problemi.
Ogni volta che qualcuno cerca di farci sembrare allettante l’errore, non dimentichiamo quello che accadde
a Eva. La felicità non può mai derivare dal disprezzo per le norme che il Creatore ha stabilito riguardo al
bene e al male. Cerchiamo di non essere come Eva per non cedere all’inganno a nostra eterna rovina.

w86 1/5 11-14 Il vostro occhio è "semplice"?


L’influenza esercitata dall’occhio
5 Prendete in esame la vicenda della prima donna, Eva. Si può notare fino a che punto l’occhio influì sul
suo comportamento dalla narrazione dell’incontro che ebbe con l’Ingannatore, Satana il Diavolo. (II
Corinti 11:3; I Timoteo 2:14) Satana sostenne che ‘i suoi occhi si sarebbero aperti’ se lei avesse ignorato
il comando di Dio, prendendo e mangiando il frutto dell’“albero della conoscenza del bene e del male”.
Quale fu la reazione di Eva? La Bibbia narra: “Di conseguenza la donna vide che il frutto dell’albero era
buono come cibo e che era qualche cosa che metteva voglia agli occhi, sì, l’albero era desiderabile a
guardarsi”. Lasciò che i suoi occhi si soffermassero su qualcosa che le era proibito avere. Questo
significava fare intenzionalmente un uso errato degli occhi. Il risultato? “Ella prendeva dunque del suo
frutto e lo mangiava”. — Genesi 2:17; 3:4-6.
6 Senza dubbio questa non era la prima volta che Eva vedeva l’“albero della conoscenza del bene e del
male” o il suo frutto. Ma stava accadendo qualcosa di diverso. Questa volta, sembrava “qualche cosa che
metteva voglia agli occhi” e “desiderabile a guardarsi”. La voglia e il desiderio normalmente sono qualità
del cuore, non degli occhi. Ma ciò che l’occhio vede intensifica la voglia e il desiderio del cuore a tal punto
che spinge ad agire. Nel caso di Eva, questa azione ebbe ripercussioni disastrose su lei stessa e sul
marito Adamo, nonché su tutta la loro futura progenie, noi inclusi. — Romani 5:12; Giacomo 1:14, 15.
7 Tuttavia, per mostrare che è possibile resistere a qualunque cosa percepita dall’occhio che porti a fare il
male, potremmo prendere in considerazione l’esempio di Gesù Cristo. Ancora una volta è coinvolto il
medesimo Tentatore, Satana. Nel suo terzo tentativo di distogliere Gesù dal compiere la volontà di Dio, “il
Diavolo lo condusse su un monte insolitamente alto, e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria”.
Notate che Satana non si limitò a offrire a Gesù tutta la potenza e la gloria del mondo in cambio di un atto
di adorazione semplicemente parlandogliene. “Gli mostrò” queste cose, sfruttando il potere che ha
l’occhio di influire sulla persona. Tuttavia, siccome l’occhio di Gesù non era distratto da quella seducente
offerta ma era pienamente concentrato sulla sua relazione col suo Padre celeste, Geova, egli riuscì a
frustrare il subdolo piano di Satana. — Matteo 4:8-10.
8 Cosa possiamo imparare dagli esempi summenzionati? Prima di tutto, le cose sulle quali concentriamo i
nostri occhi possono rendere più intensi i desideri buoni o cattivi del nostro cuore. Questo ci può indurre a
compiere azioni che si riveleranno o utili o dannose per noi stessi e per altri. In secondo luogo, è chiaro
che l’occhio è uno degli strumenti preferiti di Satana per cercare di ingannare le sue vittime. Fra tutti i
“disegni” che Satana usa per sviare l’umanità, quello di fare appello agli occhi sembra essere uno dei più
potenti. — II Corinti 2:11.
9 Tuttora Satana impiega la stessa tattica negli stratagemmi a cui ricorre per distogliere l’umanità dal
compiere la volontà di Dio. Mediante lo sfarzo e il fascino del mondo, Satana incoraggia “il desiderio della
carne e il desiderio degli occhi e la vistosa ostentazione dei propri mezzi di sostentamento”. (I Giovanni
2:16) Lo si può vedere chiaramente nei metodi pubblicitari impiegati dal mondo del commercio. Non è
forse vero che le pubblicità di maggior successo sono quelle che meglio sfruttano l’impatto visivo? Le
migliaia di tabelloni pubblicitari colorati e di insegne luminose, le fotografie su carta lucida che compaiono
su periodici e quotidiani, gli ingegnosi “spot” televisivi — e i miliardi spesi per produrli — tutti confermano
che l’obiettivo principale della pubblicità è quello di stimolare “il desiderio degli occhi” del consumatore.
10 Anche se molte di queste pubblicità lasciano forse ben poco all’immaginazione, ciò che è più sottile è il
fatto che in realtà promuovono non semplicemente la vendita di prodotti commerciali, ma anche la
diffusione di stili di vita. Molto spesso i prodotti vengono reclamizzati come se fossero usati dalle persone
più privilegiate, influenti, felici e belle. Il messaggio è questo: se il consumatore userà quel prodotto,
automaticamente i suoi “mezzi di sostentamento” corrisponderanno a quelli di una di queste categorie. Gli
operatori pubblicitari sanno che, quando una persona accetta un certo modo di vivere, basta poco per
persuaderla ad accettarne i beni e le comodità. A questo proposito, è saggio che i cristiani dedicati
prendano a cuore il consiglio di Ebrei 13:5, dove leggiamo: “La vostra maniera di vivere sia libera
dall’amore del denaro, accontentandovi delle cose presenti”.
Manteniamo l’occhio “semplice”, non “malvagio”
11 Poiché ogni giorno ci troviamo di fronte a un gran numero di distrazioni che colpiscono l’occhio,
possiamo capire ancora meglio per quale ragione Gesù esortò a mantenere il proprio occhio “semplice” e
non “malvagio”. (Matteo 6:22, 23) Cosa significa? Qui “semplice” rende il termine greco haploùs, che
basilarmente si riferisce all’unicità di pensiero o alla dedizione a un unico obiettivo. D’altro canto,
“malvagio” rende il termine greco originale poneròs, che significa cattivo, indegno e maligno. L’‘occhio
semplice’, perciò, anziché essere distratto o distolto da tutto ciò che accade, si concentra su una sola
cosa. L’‘occhio malvagio’, invece, è incostante, malizioso e avido, e viene attratto dalle cose ambigue e
oscure.
12 Ma su che cosa dovrebbe concentrarsi l’occhio perché ‘tutto il corpo sia illuminato’? Un esame del
contesto ci aiuterà a trovare la risposta. Nei versetti precedenti, Gesù aveva parlato di “tesori sulla terra”
e di “tesori in cielo”. Aveva detto che “dove è il tuo tesoro, ivi è anche il tuo cuore”. Poi, dopo aver parlato
dell’occhio, ribadì il bisogno di mostrare unità di intenti, dicendo: “Nessuno può essere schiavo di due
signori”, cioè di Dio e della Ricchezza. Nei versetti successivi, diede consigli in merito al punto di vista da
assumere nei confronti delle necessità quotidiane e concluse con l’ammonizione: “Continuate dunque a
cercare prima il regno e la sua giustizia, e tutte queste altre cose vi saranno aggiunte”. — Matteo 6:19-34.
13 Che insegnamento possiamo trarre da tutto questo? Qui Gesù parla degli obiettivi che ci dobbiamo
porre nella vita, mostrando che è inutile andare in cerca di cose materiali e che è bene coltivare
l’interesse per le cose spirituali. Chiaramente, ci dice che, concentrando i nostri occhi esclusivamente
sugli interessi del Regno, ‘tutto il nostro corpo sarà illuminato’. Perché? Perché, se compiere la volontà di
Dio diviene l’obiettivo della nostra esistenza, ci sforzeremo di rispecchiare la gloriosa buona notizia in
ogni aspetto della vita. Non solo possiamo attendere con ansia un futuro luminoso, ma possiamo essere
anche liberati dalle tenebre e dalle cose subdole che derivano da una vita imperniata su mete egoistiche.
— II Corinti 4:1-6.
14 L’apostolo Paolo ribadì ciò che disse Gesù, spiegando: “Quelli che hanno determinato d’arricchire
cadono in tentazione e in un laccio e in molti desideri insensati e dannosi, che immergono gli uomini nella
distruzione e nella rovina”. (I Timoteo 6:9) Queste parole sono senz’altro vere! I giornali sono pieni di
notizie su parlamentari, sindaci, giudici, banchieri, dirigenti d’azienda e altri colti in flagrante mentre
commettevano i cosiddetti ‘reati da colletto bianco’ che, secondo una fonte, “fruttano un minimo di 200
miliardi di dollari l’anno” nei soli Stati Uniti. La ‘tentazione e il laccio’ di divenire ricchi hanno trasformato
molte persone un tempo rispettabili in criminali e delinquenti. Indubbiamente non vogliamo essere
‘immersi nella distruzione e nella rovina’, ritrovandoci nelle “tenebre” dalle quali Gesù aveva messo in
guardia. — Vedi Proverbi 23:4, 5.
15 Ma sono solo quelli che concentrano il proprio occhio sul divenire ricchi a correre il rischio di
camminare nelle tenebre? No, dal momento che “il desiderio degli occhi” include molte altre cose.
Ricordate le parole di Gesù riportate in Matteo 5:28: “Chi continua a guardare una donna in modo da
provar passione per lei ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. Senza dubbio
quest’avvertimento si può applicare anche al lasciare che i propri occhi si soffermino su materiale volto a
eccitare o a suscitare passioni e desideri illeciti.
16 C’è poi l’ansietà per il mangiare, il bere e il vestire di cui parlò Gesù. (Matteo 6:25-32) Sebbene queste
cose siano necessarie, un desiderio smoderato di possedere sempre ciò che è all’ultimo grido, più
costoso o ricercato, può rendere schiavi la nostra mente e il nostro cuore. (Romani 16:18; Filippesi 3:19)
Anche nello svago, nei passatempi preferiti, nelle attività sportive, nell’esercizio fisico, e così via,
dobbiamo mantenere il dovuto equilibrio e stare attenti a non farci prendere dalle mode e dai capricci
passeggeri del mondo. In tutti questi campi sarebbe bene ricordare le sagge parole che si trovano in
Proverbi 27:20: “Lo Sceol e il luogo di distruzione stessi non si saziano; né si saziano gli occhi dell’uomo”.
Abbiamo realmente bisogno di esercitare padronanza di noi stessi, così da non procurarci danni spirituali
nel tentativo di soddisfare i nostri occhi.

Chi mantiene l’occhio “semplice” è benedetto


17 Chi ha mantenuto il proprio occhio “semplice” e lo ha tenuto ben concentrato sulle promesse del
Regno di Dio ha ricevuto molte benedizioni da Geova. Questo è ben illustrato da esperienze provenienti
da tutto il mondo di persone che appartengono a diversi ceti sociali. Notate questi esempi:
“Mentre abitavo in Colombia, nell’America del Sud, per servire dove il bisogno è grande, dovevo vivere
con uno stipendio di circa 100 dollari [170.000 lire] al mese. Avevo cominciato a fare il pioniere, ma
all’inizio del mese caddi e mi ruppi una caviglia. Le spese mediche conseguenti assorbirono quasi tutte le
mie risorse finanziarie e non avrei avuto altro denaro sino alla fine del mese. Dovevo versare la mia
contribuzione per la Sala del Regno ma, se lo avessi fatto, non avrei avuto il denaro con cui comprare da
mangiare la settimana seguente. Dopo aver riflettuto per qualche giorno sulla cosa, giunsi alla
conclusione che l’affitto della sala andava pagato, per cui misi il denaro nella cassetta delle contribuzioni.
Proprio il mattino seguente ricevetti una lettera da una sorella degli Stati Uniti che era venuta a trovarmi
in Colombia. Nella lettera allegava del denaro colombiano rimastole dalla sua visita. Era esattamente la
stessa somma che avevo messo nella cassetta”.
Un afoso martedì pomeriggio Ki, amministratore di una clinica di Daejeon (Corea del Sud), fu invitato da
tre colleghi a trascorrere il pomeriggio al mare. Sebbene l’idea fosse allettante, Ki sapeva che, se fosse
andato con loro, quella sera non sarebbe stato di ritorno in tempo per lo studio di libro di congregazione.
Così declinò l’invito. Poco dopo, i tre furono riportati alla clinica: morti! Erano deceduti in un incidente
automobilistico subito dopo aver lasciato la clinica. Ki fu addolorato per l’incidente, ma fu lieto di essersi
salvato la vita perché si era attenuto a una sana abitudine coltivata nel corso degli anni. — Ebrei 10:24,
25.
18 Si può insegnare anche ai giovani a mantenere i propri occhi concentrati sugli interessi del Regno,
come mostra questa esperienza:
“Quando venimmo a sapere da due ospiti che i fratelli di tre congregazioni delle Filippine dovevano
trovare 1.000 dollari per congregazione — una grossa cifra per loro — così da ricostruire la Sala del
Regno distrutta da un incendio, mio marito ed io decidemmo di inviare una contribuzione. E i nostri
quattro figli, il più piccolo dei quali ha quattro mesi e il più grande sei anni? Ogni settimana, quando mio
marito riceveva lo stipendio, comprava un dollaro d’argento per ciascuno di loro. Mio marito divise le
monete perché ciascuno vedesse quante ne aveva. Menzionammo anche alcune delle cose che avevano
pensato di comprare con quei soldi. Ma la risposta era sempre la stessa: volevano dare il denaro ai
fratelli”. Ai loro 99 dollari i piccoli allegarono una semplice lettera. I fratelli filippini furono talmente colpiti
dall’amore e dalla generosità dei piccoli che molti piangevano mentre veniva letta la lettera.
19 “In quanto ai tuoi occhi, dovrebbero guardare diritto, sì, i tuoi propri occhi brillanti dovrebbero guardar
fisso di fronte a te”. (Proverbi 4:25) Quant’è saggio prendere a cuore questo consiglio e non permettere ai
nostri occhi di allontanarsi dalla retta via, per non essere sviati! “Guardate dunque accortamente che il
modo in cui camminate non sia da persone non sagge ma da saggi”, avvertì Paolo, “riscattando per voi
stessi il tempo opportuno, perché i giorni sono malvagi”. Diede anche questa esortazione: “Comprendete
qual è la volontà di Geova”. (Efesini 5:15-17) In tal modo, possiamo essere certi di riuscire a mantenere
“semplice” il nostro occhio e possiamo fiduciosamente attendere un futuro luminoso: la vita eterna nel
nuovo sistema di cose promesso da Dio. — Confronta II Corinti 4:17, 18.
[Figura a pagina 12]
Le cose sulle quali concentriamo i nostri occhi possono intensificare il desiderio del cuore

w94 1/4 10-13 L'insegnamento divino in contrasto con gli insegnamenti dei demoni
Resi manifesti gli insegnamenti dei demoni
4 Ciò che accadde è descritto nella Bibbia in Genesi 3:1-5. Servendosi di un serpente, Satana si rivolse
alla donna, Eva, e le chiese: “È realmente così che Dio ha detto, che non dovete mangiare di ogni albero
del giardino?” Una domanda apparentemente innocente, ma riflettiamo un attimo: “È realmente così?”
Satana sembrava sorpreso, come a dire: ‘Perché mai Dio avrà detto una cosa del genere?’
5 Nella sua innocenza Eva rispose che era effettivamente così. Conosceva l’insegnamento divino al
riguardo. Sapeva che Dio aveva detto ad Adamo che se avessero mangiato dell’albero della conoscenza
del bene e del male sarebbero morti. (Genesi 2:16, 17) Evidentemente la domanda di Satana destò il suo
interesse, per cui lo ascoltò mentre arrivava al punto: “A ciò il serpente disse alla donna: ‘Positivamente
non morirete’”. Che perfida dichiarazione! Satana accusava Geova, il Dio di verità, il Dio di amore, il
Creatore, di aver mentito ai Suoi figli umani! — Salmo 31:5; 1 Giovanni 4:16; Rivelazione 4:11.
6 Ma Satana non si limitò a questo. Aggiunse: “Poiché Dio sa che nel medesimo giorno in cui ne
mangerete i vostri occhi davvero si apriranno e voi sarete davvero simili a Dio, conoscendo il bene e il
male”. Secondo Satana, Geova Dio — che aveva provveduto così generosamente per i nostri
primogenitori — voleva privarli di una cosa meravigliosa. Voleva impedire loro di diventare come dèi.
Così facendo, Satana mise in discussione la bontà di Dio. Incoraggiò inoltre ad appagare se stessi e a
ignorare deliberatamente le leggi di Dio, dicendo che agire in tal modo sarebbe stato benefico. In effetti
Satana sfidò la sovranità di Dio sulla Sua creazione, asserendo che Dio non aveva diritto di imporre dei
limiti all’uomo.
7 Con quelle parole di Satana si cominciarono a udire gli insegnamenti demonici. Questi insegnamenti
malefici continuano ancora a promuovere simili princìpi empi. Proprio come fece nel giardino di Eden,
Satana, a cui nel frattempo si sono aggiunti altri spiriti ribelli, continua a contestare il diritto di Dio di
stabilire norme di comportamento. Continua a sfidare la sovranità di Geova e cerca di spingere gli uomini
a disubbidire al loro Padre celeste. — 1 Giovanni 3:8, 10.
8 In quel primo scontro della battaglia fra insegnamento divino e insegnamenti demonici, Adamo ed Eva
presero una decisione errata e persero la speranza della vita eterna. (Genesi 3:19) Col passar degli anni,
e man mano che il loro corpo si deteriorava, ebbero la chiara prova di chi aveva mentito e di chi aveva
detto la verità nell’Eden. Comunque, centinaia d’anni prima che morissero in senso fisico, divennero le
prime vittime del conflitto fra verità e menzogna quando furono giudicati indegni di vivere dal loro
Creatore, la Fonte della vita. Fu allora che morirono in senso spirituale. — Salmo 36:9; confronta Efesini
2:1.
Gli insegnamenti dei demoni oggi
9 Com’è descritto nel libro di Rivelazione (Apocalisse), l’apostolo Giovanni fu portato mediante ispirazione
nel “giorno del Signore”, che iniziò nel 1914. (Rivelazione 1:10) In quel tempo Satana e i demoni furono
espulsi dal cielo e scagliati nelle vicinanze della terra: una sonora sconfitta per l’avversario del nostro
grande Creatore. In cielo non si udì più la sua voce che accusava di continuo i servitori di Geova.
(Rivelazione 12:10) Ma fino a che punto si erano propagati sulla terra gli insegnamenti dei demoni dal
tempo dell’Eden? La Bibbia dice: “Il gran dragone fu scagliato, l’originale serpente, colui che è chiamato
Diavolo e Satana, che svia l’intera terra abitata”. (Rivelazione 12:9) Il mondo intero era caduto vittima
delle menzogne di Satana! Non sorprende che Satana sia chiamato “il governante di questo mondo”! —
Giovanni 12:31; 16:11.
10 Satana ammise la sconfitta dopo l’espulsione dal cielo? Niente affatto! Decise di continuare a
combattere contro l’insegnamento divino e coloro che vi si attengono. Dopo essere stato espulso dal
cielo, Satana continuò la sua guerra: “Il dragone [Satana] si adirò contro la donna, e se ne andò a far
guerra contro i rimanenti del seme di lei, che osservano i comandamenti di Dio e hanno il compito di
rendere testimonianza a Gesù”. — Rivelazione 12:17.
11 Oltre a combattere contro i servitori di Dio, Satana inonda il mondo con la sua propaganda, cercando
di mantenere la presa sull’umanità. In una delle visioni relative al giorno del Signore contenute nella
Rivelazione, l’apostolo Giovanni vide tre bestie selvagge che simboleggiano Satana, la sua
organizzazione politica sulla terra e la potenza mondiale dominante dei nostri giorni. Dalla bocca di
queste tre uscirono delle rane. Cosa simboleggiano queste ultime? Giovanni scrive: “Esse sono, infatti,
espressioni ispirate da demoni e compiono segni, e vanno dai re dell’intera terra abitata, per radunarli alla
guerra del gran giorno dell’Iddio Onnipotente”. (Rivelazione 16:14) È chiaro che gli insegnamenti dei
demoni hanno molto potere sulla terra. Satana e i demoni combattono ancora contro l’insegnamento
divino e continueranno a farlo finché non verranno fermati con la forza da Gesù Cristo, il Re messianico.
— Rivelazione 20:2.
Identificati gli insegnamenti dei demoni
12 Possono gli uomini timorati di Dio resistere agli insegnamenti dei demoni? Sì, certo, per due motivi:
primo, perché l’insegnamento divino è più potente; secondo, perché Geova ha smascherato le strategie
di Satana per consentirci di resistere. Come disse l’apostolo Paolo, “non ignoriamo i suoi disegni”. (2
Corinti 2:11) Sappiamo che uno dei mezzi che Satana usa per conseguire i suoi fini è la persecuzione. (2
Timoteo 3:12) Ma in modo molto più subdolo cerca di influire sulla mente e sul cuore di coloro che
servono Dio. Sviò Eva e mise desideri errati nel suo cuore. Oggi cerca di fare la stessa cosa. Ai corinti
Paolo scrisse: “Temo che in qualche modo, come il serpente con la sua astuzia sedusse Eva, le vostre
menti siano corrotte e distolte dalla sincerità e dalla castità che son dovute al Cristo”. (2 Corinti 11:3)
Riflettete su come ha corrotto il modo di pensare dell’umanità in generale.
13 Parlando a Eva, Satana accusò Geova di mentire e disse che gli uomini avrebbero potuto essere come
dèi se avessero disubbidito al loro Creatore. L’attuale condizione degradata del genere umano è la prova
che chi mentiva era Satana, non Geova. Oggi gli uomini non sono affatto dèi! Comunque, a quella prima
menzogna Satana ne fece seguire altre. Promosse l’idea che l’anima umana era immortale, imperitura.
Lasciò così intravedere agli uomini la possibilità di divenire come dèi in un altro modo. Poi, sulla base di
quella falsa dottrina, promosse insegnamenti quali l’inferno di fuoco, il purgatorio, lo spiritismo e il culto
degli antenati. Centinaia di milioni di persone sono ancora schiave di queste menzogne. — Deuteronomio
18:9-13.
14 Naturalmente ciò che Geova disse ad Adamo era la verità. Dopo aver peccato contro Dio, Adamo morì
sul serio. (Genesi 5:5) Quando Adamo e i suoi discendenti morirono, divennero anime morte, inconsce e
inattive. (Genesi 2:7; Ecclesiaste 9:5, 10; Ezechiele 18:4) A causa del peccato ereditato da Adamo, tutte
le anime umane muoiono. (Romani 5:12) Nell’Eden, comunque, Geova promise la venuta di un seme che
avrebbe combattuto contro le opere del Diavolo. (Genesi 3:15) Quel Seme fu Gesù Cristo, l’unigenito
Figlio di Dio. Gesù morì senza peccato e la vita che offrì in sacrificio divenne il riscatto per redimere il
genere umano dalla sua mortifera condizione. Coloro che ubbidientemente esercitano fede in Gesù
hanno l’opportunità di ricevere la vita eterna persa da Adamo. — Giovanni 3:36; Romani 6:23; 1 Timoteo
2:5, 6.
15 La vera speranza per il genere umano è il riscatto, non qualche vaga idea di una sopravvivenza
dell’anima. Questo è un insegnamento divino. È la verità. È anche una meravigliosa dimostrazione
dell’amore e della sapienza di Geova. (Giovanni 3:16) Come dovremmo essere grati di aver appreso
questa verità e di essere stati liberati dagli insegnamenti dei demoni su tale argomento! — Giovanni 8:32.
16 Mediante le menzogne che pronunciò nel giardino di Eden, Satana incoraggiò Adamo ed Eva ad
ambire all’indipendenza da Dio e a confidare nella loro sapienza. Oggi ne vediamo i risultati a lungo
termine nella criminalità, nelle difficoltà economiche, nelle guerre e nelle sfacciate disparità che affliggono
il mondo odierno. Non fa meraviglia che la Bibbia dica: “La sapienza di questo mondo è stoltezza presso
Dio”! (1 Corinti 3:19) Eppure la maggioranza degli esseri umani preferisce stoltamente soffrire anziché
prestare attenzione agli insegnamenti di Geova. (Salmo 14:1-3; 107:17) I cristiani, avendo accettato
l’insegnamento divino, evitano di cadere in questa trappola.
Ezechia (re di Giuda) — Tema: Fede e zelo non sono caratteristiche ereditarie EBREI 12:1;
GIOVANNI 2:17

it-1 885-7 Ezechia


EZECHIA
(Ezechìa) [Geova rafforza].
1. Re di Giuda dal 745 al 717 a.E.V. Salì al trono probabilmente alla morte del padre Acaz, nel “terzo
anno di Oshea” re d’Israele (forse il terzo anno di Oshea quale re tributario di Tiglat-Pileser III), ma il suo
regno decorre ufficialmente dal nisan dell’anno dopo (745 a.E.V.). (2Re 18:1) Profeti contemporanei al
regno di Ezechia furono Isaia, Osea e Michea. (Isa 1:1; Os 1:1; Mic 1:1) Ezechia si distinse come re che
‘si era tenuto stretto a Geova’, facendo ciò che era retto agli occhi di Geova e attenendosi ai suoi
comandamenti. Fin dall’inizio del suo regno fu zelante nel promuovere la vera adorazione non solo in
Giuda, ma in tutto il territorio d’Israele. In quanto a seguire le vie di Geova come aveva fatto Davide suo
antenato, si poté dire a proposito di Ezechia: “Dopo di lui non ci fu nessuno simile a lui fra tutti i re di
Giuda, nemmeno fra quelli che erano stati prima di lui”. Per questo “Geova mostrò d’essere con lui”. —
2Re 18:3-7.
Opere letterarie. Ezechia è noto anche per essersi interessato di raccogliere alcuni proverbi di
Salomone, come indica l’introduzione a quelli che ora sono i capitoli 25-29 di Proverbi: “Anche questi
sono proverbi di Salomone che gli uomini di Ezechia re di Giuda trascrissero”. (Pr 25:1) Dopo che Geova
l’ebbe guarito da una malattia mortale, Ezechia scrisse il cantico di ringraziamento riportato in Isaia
38:10-20, in cui menziona una scelta di brani “per strumenti a corda” (Isa 38 v. 20). Alcuni ritengono che il
Salmo 119 sia stato scritto da Ezechia. Se così fu, il salmo sarebbe stato scritto quando Ezechia non era
ancora re, ma solo un principe.
Situazione all’epoca in cui salì al trono. Quando Ezechia salì al trono, il regno di Giuda non godeva del
favore di Dio, perché suo padre Acaz aveva commesso molte azioni detestabili a Geova e aveva lasciato
dilagare in Giuda l’adorazione di falsi dèi. Perciò Geova aveva permesso che il paese soffrisse per mano
dei nemici, specie della seconda potenza mondiale, l’Assiria. Acaz aveva spogliato il tempio e il palazzo
reale per corrompere con un regalo il re d’Assiria. Peggio ancora, aveva fatto a pezzi gli utensili del
tempio, ne aveva chiuso le porte, e si era fatto altari “in ogni angolo di Gerusalemme”, offrendo sacrifici
ad altri dèi. Durante il suo regno Acaz, con un’alleanza, aveva messo il regno sotto la protezione del re
d’Assiria. (2Re 16:7-9; 2Cr 28:24, 25) Ezechia invece, all’inizio del suo regno, ‘si ribellò contro il re
d’Assiria’. — 2Re 18:7.
Quando Ezechia salì al trono di Giuda, il regno settentrionale delle dieci tribù d’Israele era in una
condizione ancora peggiore. Per i loro gravissimi peccati Geova aveva permesso che si trovassero in
terribili difficoltà, diventando tributari dell’Assiria, e non passò molto tempo che l’Assiria si impadronì di
Israele e ne deportò la popolazione. — 2Re 17:5-23.
Zelo per la vera adorazione. Non appena salì al trono, all’età di 25 anni, Ezechia manifestò il suo zelo
per l’adorazione di Geova. Il suo primo atto fu quello di riaprire il tempio e restaurarlo. Poi, convocati i
sacerdoti e i leviti, disse loro: “Ho a cuore di concludere un patto con Geova l’Iddio d’Israele”. Fu un patto
di fedeltà, come se il patto della Legge, ancora in vigore ma trascurato, venisse nuovamente inaugurato
in Giuda. Con grande vigore Ezechia si accinse a riorganizzare il servizio dei leviti e ripristinò le
disposizioni relative agli strumenti musicali e al canto di lode. Era nisan, il mese in cui si doveva celebrare
la Pasqua, ma il tempio, i sacerdoti e i leviti erano impuri. Entro il 16 nisan il tempio fu purificato e gli
utensili riparati. Quindi si dovette fare una speciale espiazione per tutto Israele. Prima i principi portarono
sacrifici e offerte per il peccato per il regno, il santuario e il popolo, poi quest’ultimo offrì migliaia di
olocausti. — 2Cr 29:1-36.
Poiché essendo impuro il popolo non aveva potuto osservare la Pasqua nella data stabilita, Ezechia
ricorse alla legge che consentiva a chi era impuro di celebrare la Pasqua un mese dopo. Invitò non solo
Giuda, ma tutto Israele, per mezzo di lettere portate da corrieri in tutto il paese, da Beer-Seba a Dan.
Molti derisero i corrieri; ma alcuni, specie delle tribù di Aser, Manasse e Zabulon, si umiliarono e
accettarono l’invito, e furono presenti anche alcuni di Efraim e Issacar. Inoltre c’erano molti adoratori di
Geova non israeliti. Probabilmente non fu facile assistervi per gli abitanti del regno settentrionale fedeli
alla vera adorazione. Come i messaggeri, dovettero incontrare opposizione e scherni, poiché il regno
delle dieci tribù si trovava in uno stato di decadenza, sprofondato com’era nella falsa adorazione e
minacciato dagli assiri. — 2Cr 30:1-20; Nu 9:10-13.
Dopo la Pasqua si tenne per sette giorni la festa dei pani non fermentati, e la gioia fu tale che l’intera
congregazione decise di prolungare la festa per altri sette giorni. Anche in tempi così pericolosi la
benedizione di Geova ebbe il sopravvento, tanto che “ci fu a Gerusalemme una grande allegrezza,
poiché dai giorni di Salomone figlio di Davide re d’Israele non c’era stato nulla di simile a Gerusalemme”.
— 2Cr 30:21-27.
Quello che avvenne in seguito dimostrò che si trattava di un vero risveglio e ritorno alla pura adorazione e
non di un semplice entusiasmo passeggero. Prima di tornarsene a casa, i celebranti distrussero le
colonne sacre, abbatterono gli alti luoghi e gli altari e tagliarono i pali sacri in tutto il paese di Giuda e
Beniamino e persino in Efraim e Manasse. (2Cr 31:1) Ezechia diede l’esempio frantumando il serpente di
rame fatto da Mosè, perché il popolo ne aveva fatto un idolo a cui offriva il fumo dei sacrifici. (2Re 18:4)
Dopo la grande festa Ezechia assicurò la continuità della vera adorazione organizzando le divisioni dei
sacerdoti e disponendo che il servizio del tempio venisse sostenuto; esortò ad osservare la Legge per
quanto riguardava le decime e la contribuzione delle primizie a favore dei leviti e dei sacerdoti, e il popolo
vi aderì di tutto cuore. — 2Cr 31:2-12.
Aumenta la pressione assira. In quei momenti terribili, quando l’Assiria travolgeva tutto ciò che
incontrava sul suo cammino, Ezechia continuò a confidare in Geova l’Iddio di Israele. Si ribellò al re
d’Assiria e abbatté le città filistee, che evidentemente si erano alleate con l’Assiria. — 2Re 18:7, 8.
Nel quarto anno di Ezechia (742 a.E.V.) Salmaneser re d’Assiria cinse d’assedio Samaria. Nel sesto
anno di Ezechia (740 a.E.V.) Samaria fu presa. Gli abitanti del regno delle dieci tribù furono deportati e gli
assiri trasferirono nel paese altre popolazioni. (2Re 18:9-12) Così il regno di Giuda, che rappresentava il
governo teocratico e la vera adorazione, rimase come un isolotto circondato da un mare di nemici.
Sennacherib, figlio di Sargon II, nutriva l’ambizione di aggiungere la conquista di Gerusalemme agli altri
trofei di guerra, in particolare per il fatto che Ezechia si era ritirato dall’alleanza stipulata con l’Assiria da
suo padre, il re Acaz. Nel 14° anno del regno di Ez echia (732 a.E.V.), Sennacherib “salì contro tutte le
città fortificate di Giuda e le prendeva”. Per salvare Gerusalemme Ezechia offrì a Sennacherib del
denaro, al che Sennacherib chiese l’esorbitante somma di 300 talenti d’argento (più di 3.000.000.000 di
lire) e 30 talenti d’oro (oltre 16.400.000.000 di lire). Per pagarla Ezechia fu costretto a dare tutto l’argento
che c’era nel tempio e nel tesoro del re, oltre ai metalli preziosi di cui egli stesso aveva fatto rivestire le
porte e gli stipiti del tempio. Questo soddisfece il re d’Assiria, ma solo temporaneamente. — 2Re 18:13-
16.
Opere di edilizia e di ingegneria. Ritenendo imminente un attacco da parte dell’avido Sennacherib,
Ezechia manifestò saggezza e strategia. Ostruì tutte le sorgenti e le fonti d’acqua fuori della città di
Gerusalemme affinché, in caso di assedio, gli assiri si trovassero a corto d’acqua. Consolidò le
fortificazioni della città e “fece dardi in abbondanza e scudi”. Tuttavia non confidava in tale apparato
militare, poiché, radunati i capi militari e il popolo, disse loro: “Siate coraggiosi e forti. Non abbiate timore
né siate atterriti a causa del re d’Assiria e a causa di tutta la folla che è con lui; poiché con noi ce ne sono
più di quanti ce ne sono con lui. Con lui c’è un braccio di carne, ma con noi c’è Geova nostro Dio per
aiutarci e per combattere le nostre battaglie”. — 2Cr 32:1-8.
L’acquedotto di Ezechia fu una delle più notevoli opere d’ingegneria dell’antichità. Dal pozzo di Ghihon, a
E della parte settentrionale della Città di Davide, seguiva un percorso irregolare per 533 m fino alla
Piscina di Siloam nella valle del Tiropeon sotto la Città di Davide, ma all’interno delle nuove mura
aggiunte a S della città. (2Re 20:20; 2Cr 32:30) Un’iscrizione in caratteri paleoebraici fu rinvenuta dagli
archeologi sul muro dell’angusta galleria, la cui altezza media era di 1,8 m. L’iscrizione in parte dice: “E
questo è il modo in cui avvenne la perforazione: — Mentre [. . .] (erano) ancora [. . .] piccone(i), ciascuno
verso il suo compagno, e mentre c’erano ancora tre cubiti da perforare, [si udì] la voce di un uomo che
chiamava il suo compagno, perché c’era una sovrapposizione nella roccia sulla destra [e sulla sinistra]. E
quando la galleria fu scavata, i cavapietre tagliarono (la roccia), ciascuno verso il suo compagno, piccone
contro piccone; e l’acqua fluì dalla sorgente verso la piscina per 1.200 cubiti, e l’altezza della roccia sopra
la(e) testa(e) dei cavapietre era 100 cubiti”. (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974,
p. 321) Perciò la galleria fu scavata nella roccia partendo da entrambe le estremità per poi congiungersi
nel mezzo, un vero capolavoro di ingegneria!
Insuccesso di Sennacherib a Gerusalemme. Come Ezechia aveva previsto, Sennacherib decise di
attaccare Gerusalemme. Mentre il suo esercito cingeva d’assedio la città fortificata di Lachis,
Sennacherib inviò un distaccamento del suo esercito con una delegazione di capi militari a intimare la
resa a Gerusalemme. Il portavoce del gruppo era Rabsache (questo non è un nome proprio, ma un titolo
militare), che parlava fluentemente l’ebraico. Questi schernì ad alta voce Ezechia e sfidò Geova,
asserendo con tracotanza che Geova non avrebbe potuto liberare Gerusalemme così come gli dèi delle
altre nazioni non avevano potuto salvare i paesi dei loro adoratori dalle mani del re d’Assiria. — 2Re
18:13-35; 2Cr 32:9-15; Isa 36:2-20.
Ezechia era molto angosciato ma continuò a confidare in Geova e a invocarlo nel tempio; inoltre mandò
alcuni capi del popolo dal profeta Isaia. La risposta di Isaia, ispirata da Geova, fu che Sennacherib
avrebbe ricevuto una notizia e sarebbe tornato al suo paese, dove sarebbe stato ucciso. (2Re 19:1-7; Isa
37:1-7) Nel frattempo Sennacherib era partito da Lachis alla volta di Libna, dove apprese che Tiraca re
d’Etiopia era uscito per combattere contro di lui. Nondimeno Sennacherib mandò per mezzo di un
messaggero lettere a Ezechia, continuando a minacciarlo e a schernire Geova l’Iddio di Israele. Ricevute
quelle lettere assai oltraggiose, Ezechia le srotolò davanti a Geova, che di nuovo rispose per mezzo di
Isaia schernendo a sua volta Sennacherib e assicurando che gli assiri non sarebbero entrati a
Gerusalemme. Geova disse: “Certamente difenderò questa città per salvarla, per amore di me stesso e
per amore di Davide mio servitore”. — 2Re 19:8-34; Isa 37:8-35.
Durante la notte Geova mandò il suo angelo, che abbatté 185.000 fra i migliori soldati di Sennacherib,
“ogni uomo potente e valoroso, e ogni condottiero e capo nel campo del re d’Assiria, così che egli tornò
con la vergogna in faccia al suo proprio paese”. La minaccia di Sennacherib nei confronti di
Gerusalemme fu così sventata. Poi “avvenne che mentre si inchinava nella casa di Nisroc suo dio,
Adrammelec e Sarezer, suoi propri figli, lo abbatterono con la spada”. — 2Cr 32:21; Isa 37:36-38.
Sono state rinvenute iscrizioni che descrivono la sconfitta inflitta da Sennacherib alle forze etiopi. Esse
dicono: “In quanto a Ezechia, il giudeo, che non si sottomise al mio giogo, io assediai 46 delle sue città
forti . . . e (le) conquistai . . . Lui stesso imprigionai a Gerusalemme, la sua residenza reale, come un
uccello in gabbia”. (Ancient Near Eastern Texts, cit., p. 288) Egli non dice di aver conquistato la città.
Questo conferma il racconto biblico della rivolta di Ezechia contro l’Assiria e il fatto che Sennacherib non
riuscì a prendere Gerusalemme. Come usavano fare i re pagani per esaltare se stessi, in questa
iscrizione Sennacherib esagera il quantitativo d’argento pagato da Ezechia, facendo salire a 800 i 300
talenti menzionati dalla Bibbia.
Prolungamento della vita di Ezechia. Mentre Sennacherib minacciava Gerusalemme, Ezechia fu
colpito da un foruncolo maligno. Il profeta Isaia gli consigliò di sistemare i suoi affari e prepararsi a morire.
Fino ad allora Ezechia non aveva avuto figli, per cui sembrava che la discendenza reale di Davide
rischiasse di estinguersi. Ezechia pregò con fervore Geova e pianse; allora Geova rimandò da lui Isaia
per informarlo che gli erano stati concessi altri 15 anni di vita. Come segno miracoloso l’ombra sarebbe
tornata indietro di dieci gradini sulla “scala di Acaz”. (Vedi SOLE). Nel terzo anno dopo questo
avvenimento Ezechia ebbe un figlio chiamato Manasse, che salì al trono dopo di lui. — 2Re 20:1-11, 21;
21:1; Isa 38:1-8, 21.
Errore e pentimento di Ezechia. Le Scritture dicono che “Ezechia non ricambiò secondo il beneficio
resogli, poiché il suo cuore si insuperbì e ci fu indignazione contro di lui e contro Giuda e Gerusalemme”.
(2Cr 32:25) La Bibbia non precisa se la sua superbia si riferisse all’atto poco saggio di mostrare l’intero
tesoro della sua casa e tutto il suo dominio ai messaggeri del re di Babilonia Berodac-Baladan (Merodac-
Baladan), venuti a congratularsi con lui per la sua guarigione. Forse Ezechia fece sfoggio di tutta questa
ricchezza per impressionare il re di Babilonia, un possibile alleato contro il re d’Assiria. Ciò naturalmente
poteva eccitare l’avidità dei babilonesi. Il profeta Isaia era contrario a qualsiasi alleanza o amicizia con
Babilonia, da sempre nemica di Dio. Quando seppe come Ezechia aveva accolto i messaggeri di
Babilonia, Isaia pronunciò la profezia, ispirata da Geova, che col tempo i babilonesi avrebbero portato via
tutto a Babilonia, inclusi alcuni discendenti di Ezechia. Ezechia allora si umiliò e Dio benignamente
promise che la calamità non sarebbe venuta ai suoi giorni. — 2Re 20:12-19; 2Cr 32:26, 31; Isa 39:1-8.
A Gerusalemme, all’epoca del profeta Geremia, alcuni capi del popolo parlarono bene di Ezechia per il
fatto che aveva prestato ascolto a Michea di Moreset, il profeta di Geova. — Ger 26:17-19.
2. Antenato del profeta Sofonia, forse il re Ezechia. — Sof 1:1.

w82 1/4 25-8 L'"economo" mentre si avvicina ad Har-Maghedon


L’“economo” mentre si avvicina ad Har-Maghedon
HAR-MAGHEDON è il nome ebraico del luogo in cui fra breve si combatterà la “guerra del gran giorno
dell’Iddio Onnipotente”. Il rimanente della classe dell’“economo” si avvicina ora a quella “guerra” che
metterà fine per sempre a questo sistema di cose mondiale. Perciò la classe dell’“economo” si mantiene
spiritualmente sveglia per vedere in che modo il signore ritornato, il glorificato Gesù Cristo, distruggerà i
nemici visibili del Regno circa il quale essa chiede a Geova Dio in preghiera: “Venga il tuo regno. Si
compia la tua volontà, come in cielo, anche sulla terra”. (Matt. 6:9, 10; Riv. 16:14-16) Questo stato di
cose nel mondo fu illustrato o predetto da ciò che avvenne durante l’amministrazione dell’israelita che
Ezechia, re di Gerusalemme, nominò suo economo reale in un periodo molto critico.
2 L’“economo” era un giudeo di nome Eliachim, figlio di Ilchia. Tre volte è menzionato come l’uomo posto
“sulla casa” del re Ezechia. (Isa. 36:3, 22; 37:2) Aveva sostituito in quell’incarico reale un certo Sebna. Il
decreto di Dio riguardante Eliachim e Sebna è riportato in Isaia 22:15-25, dove leggiamo:
“Il Sovrano Signore, Geova degli eserciti, ha detto questo: ‘Va, entra da questo economo, da Sebna, che
è sulla casa: “Che cosa c’è qui che t’interessi, e chi c’è qui che t’interessi, che ti sei scavato qui un luogo
di sepoltura?” In alto [egli] si scava il luogo di sepoltura; in una rupe si taglia una residenza. “Ecco, Geova
ti lancerà giù con violento lancio, o uomo robusto, e ti afferrerà con forza. Senza fallo t’avvolgerà
strettamente, come una palla per un ampio paese. Lì morrai, e lì i carri della tua gloria saranno il disonore
della casa del tuo padrone. E di sicuro io ti spingerò via dalla tua posizione e dalla tua posizione ufficiale
uno ti tirerà giù.
“‘“E dovrà accadere in quel giorno che per certo io chiamerò il mio servitore, cioè Eliachim figlio di Ilchia.
E per certo lo vestirò della tua lunga veste, e della tua fascia lo fascerò fermamente, e gli darò in mano il
tuo dominio; ed egli dovrà divenire un padre all’abitante di Gerusalemme e alla casa di Giuda. E per certo
metterò la chiave della casa di Davide sulla sua spalla, ed egli dovrà aprire senza che alcuno chiuda, e
dovrà chiudere senza che alcuno apra. E per certo lo conficcherò come un piolo in un luogo durevole, e
dovrà divenire come un trono di gloria alla casa di suo padre. E dovranno appendere a lui tutta la gloria
della casa di suo padre, i discendenti e i rampolli, tutti i vasi di piccola sorta, sia i vasi a sorta di coppe
che tutti i vasi delle larghe giare.
“‘“In quel giorno”, è l’espressione di Geova degli eserciti, “il piolo conficcato [in un] luogo durevole sarà
rimosso, e dovrà cavarsi e cadere, e il carico che c’è sopra dovrà essere stroncato, poiché Geova stesso
ha parlato”’”.
3 Conforme al significato del Suo nome (“Dio innalza”), Geova innalzò Eliachim all’incarico di economo
del re Ezechia. Questo avvenne prima che l’imperatore assiro Sennacherib invadesse il paese di Giuda
nel 732 a.E.V. Sennacherib fece accampare il suo esercito a una certa distanza da Gerusalemme e poi
inviò il suo portavoce Rabsache che, con una guardia del corpo, si mise davanti a Gerusalemme e ne
domandò la resa. Nel far questo, Rabsache disprezzò Geova Dio ed esaltò l’Assiria e il suo imperatore. Il
re di Gerusalemme, Ezechia, inviò ad ascoltare quell’empia invettiva i suoi rappresentanti, cioè Eliachim,
ora economo, Sebna, retrocesso all’incarico di segretario, e Ioa, il cancelliere. Profondamente addolorati
per ciò che avevano udito, lo riferirono al re Ezechia. Sentendosi del tutto impotente, il re si rivolse al
profeta Isaia, rappresentante di Geova. — Isa. 36:1–37:7.
4 In questo racconto possiamo notare le stesse caratteristiche della critica situazione odierna. In modo
corrispondente, Sennacherib re d’Assiria è un tipo di Satana il Diavolo, il nemico del regno di Dio, che
chiede la resa dell’organizzato popolo di Geova sotto minaccia di schiavitù o distruzione. L’unto re
Ezechia, il cui nome significa “Iah ha rafforzato”, è un tipo del re già insediato, Gesù Cristo, che partecipa
con grande sensibilità all’angustia dei suoi leali discepoli sulla terra allorché subiscono biasimi e sono
minacciati di distruzione per mano dell’organizzazione del Diavolo. Eliachim, l’“economo” preposto alla
casa del re Ezechia, è un tipo del rimanente della classe dell’“economo” ancora sulla terra in questo
“termine del sistema di cose” a partire dal 1914. Come l’economo tipico, Eliachim, era un giudeo, cioè un
israelita, così oggi il rimanente è composto di israeliti spirituali sotto il regnante Gesù Cristo.
5 In questa tarda data il decrescente numero di membri dell’unto rimanente continua ancora a diffondere
in tutto il mondo e in molte lingue la rivista La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova. Questa
loro particolare identificazione come servitori di Geova Dio è la logica conseguenza del susseguirsi degli
eventi teocratici del ventesimo secolo. Difatti nel memorabile anno 1931 molte migliaia dell’unto
rimanente si riunirono in un congresso generale a Columbus (Ohio, U.S.A.), dove il 26 luglio adottarono
all’unanimità una risoluzione con cui assumevano il nome biblicamente legittimo di “testimoni di Geova”.
In tal modo quegli studenti biblici internazionali respinsero tutti i nomi dispregiativi che i sistemi religiosi
della cristianità avevano affibbiato loro. In breve tempo tutte le congregazioni degli israeliti spirituali in
tutto il mondo adottarono armoniosamente quel nome.
6 Si assunsero così le responsabilità indicate dalle parole che furono rivolte agli israeliti ai giorni del
profeta Isaia:
“‘Voi siete i miei testimoni’, è l’espressione di Geova, ‘pure il mio servitore che io ho scelto, onde
conosciate e abbiate fede in me, e affinché comprendiate che io sono lo stesso. . . . Voi siete dunque miei
testimoni’, è l’espressione di Geova, ‘e io sono Dio’”. — Isa. 43:10-12.
Le responsabilità di un economo
7 Come Sebna sotto il governo del re Ezechia al tempo di Isaia, ci sono ecclesiastici della cristianità che
pretendono di avere l’esclusivo diritto all’amministrazione terrena sotto il più grande Ezechia, Gesù
Cristo. Ma a differenza del clero, i fedeli membri dell’unto rimanente dei testimoni di Geova si sono
vigorosamente sforzati di provvedere effettivamente all’amministrazione reale. È stato particolarmente
così dalla fine della prima guerra mondiale scoppiata in seno alla cristianità. Per quel tempo i
guerrafondai ecclesiastici della cristianità si erano fatti un’incancellabile reputazione per ciò che concerne
l’incarico di economi che dicevano di aver ricevuto dal re Gesù Cristo. I fatti indicavano già chiaramente
che “i tempi dei Gentili” o “fissati tempi delle nazioni” erano scaduti nell’autunno del 1914. Indicavano
inoltre che il glorificato Gesù Cristo aveva cominciato a regnare nei cieli quale più grande Ezechia. (Ezec.
21:25-27; Luca 21:24, La Bibbia del re Giacomo; Traduzione del Nuovo Mondo) Gli ecclesiastici della
cristianità sostennero forse lo stabilito regno di Geova retto da Cristo? No!
8 Nel 1919 il clero della cristianità si mise a disposizione come economo della proposta Lega o Società
delle Nazioni. Ma quella Lega fallì completamente nel 1939. Ora il suo posto è stato preso dalle Nazioni
Unite, una modificata organizzazione per il mantenimento della pace. In netto contrasto con quegli
ecclesiastici, il rimanente degli israeliti spirituali continua a sostenere lo stabilito regno di Dio retto da
Cristo.
9 Perciò, dall’inizio del giudizio divino nel 1918, chi è stato posto o confermato nell’onorevole incarico di
economo? I fatti storici dal 1918 in poi parlano da sé: l’unto rimanente degli israeliti spirituali. Come
classe, essi sono la risposta alla domanda di Gesù: “Chi è realmente il fedele economo, il discreto, che il
suo signore costituirà sul suo corpo di servitori per dar loro a suo tempo la loro misura di provvista di
cibo?” (Luca 12:42) Essi formano l’odierno più grande Eliachim. Sono cioè la classe dell’“economo” di cui
fu un tipo il fedele e discreto Eliachim durante il regno del re Ezechia (745-716 a.E.V.), al tempo
dell’invasione assira nel paese di Giuda.
10 Nonostante i guai in cui si dibattono la cristianità e il resto del mondo del genere umano, il rimanente
della classe del “fedele economo” è davvero “felice”, proprio come aveva predetto Gesù, dicendo: “Felice
quello schiavo, se il suo signore, arrivando, lo troverà a fare così!” Perché? Perché Gesù aggiunse: “Vi
dico veracemente: Lo costituirà sopra tutti i suoi averi”. — Luca 12:43, 44.
11 Al fedele rimanente degli israeliti spirituali è avvenuto in senso spirituale proprio ciò che avvenne a
Eliachim, figlio di Ilchia, che prese il posto del vanaglorioso Sebna nell’incarico di “economo” preposto
alla casa del re Ezechia. Geova disse al profeta Isaia: “E dovrà accadere in quel giorno [in cui Geova
avrebbe rimosso Sebna dal suo incarico] che per certo io chiamerò il mio servitore, cioè Eliachim figlio di
Ilchia. E per certo lo vestirò della tua lunga veste [la veste di Sebna], e della tua fascia lo fascerò
fermamente, e gli darò in mano il tuo dominio; ed egli dovrà divenire un padre all’abitante di
Gerusalemme e alla casa di Giuda”. — Isa. 22:20, 21.
12 Questo corrisponde a quando Gesù costituì la classe dell’“economo” fedele e discreto sopra tutti gli
averi del suo regno. In particolare dalla primavera dell’anno postbellico del 1919 si aprì un nuovo capitolo
nella storia religiosa. Allora, come Eliachim, il rimanente della classe dell’“economo” fedele e discreto fu
vestito con la dignità di ambasciatori dello stabilito regno di Geova Dio retto da Cristo. (II Cor. 5:20) Con
questo incarico hanno annunciato il regno stabilito, predicandolo “in tutta la terra abitata, in testimonianza
a tutte le nazioni”. (Matt. 24:14; Mar. 13:10) Affinché assolvessero questo oneroso ministero, l’Iddio
Onnipotente ha cinto in senso simbolico i loro lombi fasciandone i fianchi con la “fascia” di un economo o
maggiordomo (sokhèn, in ebraico; oikonòmos nella Settanta greca). — Confronta Zaccaria 3:1-7.
13 In maniera notevole dalla primavera del 1919 Geova Dio ha rivolto a tutto il suo popolo dedicato l’invito
a uscire da “Babilonia la Grande”, l’impero mondiale della falsa religione. (Riv. 18:2, 4) I componenti della
classe dell’“economo” ne sono ubbidientemente usciti, e il loro celeste Signore Gesù Cristo,
invisibilmente presente, ha impiegato questa classe per dare a tutti quelli che hanno la prospettiva di
ricevere il regno celeste ‘la loro misura di provvista di cibo a suo tempo’. Sotto questo aspetto la classe di
Eliachim è divenuta come un “padre” che provvede per tutti quelli che sono rappresentati dall’‘abitante di
Gerusalemme e dalla casa di Giuda’. Tramite Cristo Geova ha posto tale “dominio” nelle mani della
classe dell’“economo”, e questo “economo” composito ha esercitato tale “dominio” con fedeltà e
discrezione fino ad ora. Particolarmente dal 1935 la “grande folla” delle “altre pecore” di Cristo ha tratto
beneficio da tale cura paterna proprio come “il residente forestiero” che era dentro le porte dell’antica
Gerusalemme. — Eso. 20:10; Giov. 10:16; Riv. 7:9-17.
14 Sull’attuale classe di Eliachim è stata posta un’onerosa responsabilità simile a quella descritta dalle
parole di Geova riguardo a Eliachim ai giorni del re Ezechia: “E per certo metterò la chiave della casa di
Davide sulla sua spalla, ed egli dovrà aprire senza che alcuno chiuda, e dovrà chiudere senza che alcuno
apra”. (Isa. 22:22) La classe del composito “economo” si è mostrata degna di portare la regale “chiave
della casa di Davide”. Si è mantenuta desta per salvaguardare gli interessi terreni del messianico regno
di Dio raffigurato dalla “casa di Davide”. Ha accolto quelli che il Signore ha scelto come ultimi membri del
rimanente degli eredi del Regno. Nel 1935 ha cominciato ad accogliere le “altre pecore” che il Pastore
eccellente si è compiaciuto di riunire in un “solo gregge” insieme all’unto rimanente. Ha sbarrato la porta
a tutti gli apostati espulsi e a coloro che cercavano di intrufolarsi per corrompere i testimoni di Geova. —
Confronta Rivelazione 3:7.
15 Profetizzando ulteriormente riguardo alla moderna classe di Eliachim, Geova disse: “E per certo lo
conficcherò come un piolo in un luogo durevole, e dovrà divenire come un trono di gloria alla casa di suo
padre. E dovranno appendere a lui [come a un piolo] tutta la gloria della casa di suo padre, i discendenti
e i rampolli, tutti i vasi di piccola sorta, sia i vasi a sorta di coppe che tutti i vasi delle larghe giare”. — Isa.
22:23, 24.

w88 15/1 11 Geova, nostra forza


4 Isaia aveva buone ragioni per dichiarare: ‘Confiderò e non avrò timore’. Il profeta conosceva bene i
salvifici atti di Dio. Era stato testimone oculare quando Geova aveva adempiuto la Sua parola umiliando
l’Assiria e il suo presuntuoso re, Sennacherib. In una notte, 185.000 soldati assiri furono uccisi da un solo
angelo mandato dal nostro onnipotente Dio, Geova! Quella grande salvezza fu dovuta al fatto che il re
Ezechia e tutto Giuda avevano avuto assoluta fiducia in Iah Geova. (Isaia 37:6, 7, 21, 36-38) Anche in
questo XX secolo Geova ha liberato il suo popolo da oppressione, bandi, persecuzioni e campi di
concentramento. Come i vanagloriosi assiri del tempo di Isaia, anche il nazista Hitler inveì contro i
testimoni di Geova, e una volta gridò: “Questa razza sarà sterminata in Germania!” Ma furono Hitler e i
nazisti a essere sterminati. E ora il piccolo gruppo di Testimoni tedeschi che ha confidato in Geova è
cresciuto fino a superare i 121.200! — Salmo 27:1, 2; Romani 8:31, 37.

w88 15/1 17-18 Confidate in Iah Geova!


La liberazione è certa!
9 Gli odierni servitori di Geova confidano in lui per la stessa ragione per cui confidava in lui il re Ezechia.
Egli faceva assoluto affidamento su Geova quale suo Sovrano Signore. Quindi, al culmine della minaccia
assira, egli si rivolse a Geova con queste parole: “O Geova degli eserciti, Dio d’Israele, che siedi sui
cherubini, tu solo sei il vero Dio di tutti i regni della terra. Tu stesso hai fatto i cieli e la terra. Porgi il tuo
orecchio, o Geova, e odi. Apri i tuoi occhi, o Geova, e vedi, e odi tutte le parole di Sennacherib che egli
ha mandato per biasimare l’Iddio vivente”. (Isaia 37:16, 17) Quando siamo perseguitati, oltraggiati o
scherniti da coloro che odiano Geova, non scaturisce dal nostro cuore una preghiera simile? Con piena
fiducia in Geova, non gli chiedete di rimuovere il biasimo dal suo nome? Gesù provò questi sentimenti
quando stava per morire sul palo di tortura. Chiese perfino che il calice che stava per bere potesse
‘passare’ via da lui a motivo del grande biasimo sul nome del Padre. — Matteo 26:39-44.
10 La preghiera di Ezechia mostrava che egli non aveva nessun motivo egoistico nel chiedere di essere
liberato dagli assiri. Non stava semplicemente cercando di salvare la pelle. Piuttosto, si preoccupava che
il nome di Geova fosse santificato e la Sua sovranità rivendicata. Concluse perciò la sua preghiera con
queste parole: “E ora, o Geova nostro Dio, salvaci dalla sua mano, affinché tutti i regni della terra
conoscano che tu solo, o Geova, sei Dio”. (Isaia 37:20) Similmente, mentre andiamo incontro alle prove
che precedono la guerra finale di Armaghedon, teniamo presente che la nostra salvezza personale è
secondaria rispetto alla santificazione del nome di Geova. Come il nostro Sovrano Signore dichiarò una
sessantina di volte per bocca del suo profeta Ezechiele, “dovranno conoscere che io sono Geova”. —
Ezechiele 38:23.
11 Dopo che il re Ezechia ebbe pregato, Isaia lo informò circa la parola che Geova aveva proferito contro
Sennacherib. Che errore aveva commesso quel blasfemo assiro biasimando l’Iddio vivente! Mediante
Isaia, Geova disse riguardo a Sennacherib: “Chi hai biasimato e di chi hai parlato ingiuriosamente? E
contro chi hai alzato la voce e levi gli occhi in alto? Contro il Santo d’Israele!” Bastò un angelo di Geova
per abbattere e rendere “cadaveri” 185.000 soldati assiri, il meglio dell’esercito di Sennacherib. Ritiratosi
pieno di vergogna a Ninive, alcuni anni dopo quel re superbo fu ucciso dai suoi stessi figli mentre
perseverava nel suo culto idolatrico. Possiamo confidare in Geova, certi che riserverà un trattamento
simile a Satana e a tutte le sue schiere che in maniera blasfema ingiuriano e perseguitano i testimoni di
Geova. — Isaia 37:23, 36-38.

w88 15/4 17-19 Riponiamo fiducia in Geova


Confidiamo in Geova per sopravvivere
10 In quanto ai problemi di questo mondo, non confidate nelle soluzioni proposte dagli uomini. Confidate
invece in Colui che può mantenere le sue promesse. (Giosuè 23:14) Per esempio, notate cosa accadde
nell’VIII secolo a.E.V., ai giorni di Ezechia, re di Giuda. La Bibbia dice di questo re: “Egli continuò a fare
ciò che era retto agli occhi di Geova”. (2 Re 18:3) Durante il suo regno la fortissima potenza mondiale
assira mosse contro Gerusalemme. Il portavoce del monarca assiro Sennacherib chiese la capitolazione
di Gerusalemme dicendo: “Il re ha detto questo: ‘Non vi inganni Ezechia, poiché egli non vi può liberare
dalla mia mano. E non vi faccia Ezechia confidare in Geova’”. — 2 Re 18:29, 30.
11 Cosa fece Ezechia? La Bibbia dice: “Ezechia pregava dinanzi a Geova e diceva: ‘O Geova, Dio
d’Israele, che siedi sui cherubini, tu solo sei il vero Dio di tutti i regni della terra. Tu stesso hai fatto i cieli e
la terra. Porgi il tuo orecchio, o Geova, e odi. Apri i tuoi occhi, o Geova, e vedi, e odi le parole di
Sennacherib che egli ha mandato per biasimare l’Iddio vivente. . . . O Geova nostro Dio, salvaci, ti prego,
dalla sua mano, affinché tutti i regni della terra conoscano che tu solo, o Geova, sei Dio’”. — 2 Re 19:15-
19.
12 Geova udì questa preghiera e mandò il profeta Isaia a dire a Ezechia: “Questo è ciò che Geova ha
detto riguardo al re d’Assiria: ‘Non entrerà in questa città né vi tirerà una freccia né l’affronterà con uno
scudo né eleverà contro di essa un bastione d’assedio’”. Ezechia doveva forse radunare un esercito per
affrontare l’Assiria? No, doveva confidare in Geova, come in effetti fece. Che accadde? “L’angelo di
Geova usciva e abbatteva centottantacinquemila nel campo degli assiri”. Sennacherib pagò di persona
per aver schernito Geova e i servitori di Geova. Secondo la parola di Geova, non fu tirata nemmeno una
freccia contro Gerusalemme. — 2 Re 19:32-37.
13 Nei nostri giorni accadrà qualcosa di simile. Coloro che confidano in Geova sopravvivranno agli scherni
di questo mondo e alla sua fine. “Quelli che conoscono il tuo nome confideranno in te, poiché certamente
non lascerai quelli che ti cercano, o Geova”. (Salmo 9:10) Ma, prima di distruggere questo mondo
macchiato di sangue, Geova invita tutte le persone sincere a rivolgersi a lui per trovare sicurezza. Queste
costituiscono “una grande folla” di tutte le nazioni e “vengono dalla grande tribolazione”. Sopravvivranno
alla fine di questo sistema perché confidano in Geova e lo servono “giorno e notte”. — Rivelazione 7:9-
15.
14 Sono loro che, come prediceva Isaia 2:2, 3, accettano un invito che viene diffuso in tutto il mondo con
crescente impegno: “E deve avvenire nella parte finale dei giorni che il monte della casa di Geova [la sua
vera adorazione] sarà fermamente stabilito . . . E molti popoli certamente andranno e diranno: ‘Venite, e
saliamo al monte di Geova, . . . ed egli ci istruirà intorno alle sue vie, e noi certamente cammineremo nei
suoi sentieri’”. Il versetto 4 di Isaia 2 dice: “E dovranno fare delle loro spade vomeri e delle loro lance
cesoie per potare. Nazione non alzerà la spada contro nazione, né impareranno più la guerra”.
15 Ai nostri giorni, chi sono coloro che hanno ‘trasformato le proprie spade in vomeri’? Coloro che ‘non
imparano più la guerra’? Che sono uniti da un incrollabile amore per i loro fratelli e sorelle spirituali in tutta
la terra? Chi confida veramente in Geova e invita altri a fare la stessa cosa? La realtà contemporanea
dimostra che la risposta può essere una sola: i testimoni di Geova. Loro, come Ezechia, confidano in
Geova con tutto il cuore e lo dimostrano osservando i suoi comandamenti.

W98 15-11 P.16 §10


Ezechiele — Tema: Come rimanere liberi dalla colpa del sangue ATTI 20:26

it-1 888-9 Ezechiele


EZECHIELE
[Dio rafforza].
Figlio del sacerdote Buzi. Fu tra i prigionieri portati a Babilonia nel 617 a.E.V. insieme a Ioiachin da
Nabucodonosor. Ezechiele ebbe le prime visioni di Dio “nel trentesimo anno, nel quarto mese, il quinto
giorno del mese”, nel “quinto anno dell’esilio del re Ioiachin”. Profetizzò agli ebrei che vivevano presso il
fiume Chebar, secondo alcuni studiosi moderni uno dei grandi canali babilonesi. Il “trentesimo anno”
sembra riferirsi all’età di Ezechiele; in quel tempo cominciò la sua attività profetica. — Ez 1:1-3.
Essendo di famiglia sacerdotale, senza dubbio Ezechiele conosceva bene tutto ciò che aveva relazione
col tempio, comprese tutte le attività che vi si svolgevano, ed era ben versato nella Legge. Probabilmente
conosceva bene anche Geremia e le sue profezie, dato che Geremia aveva profetizzato a Gerusalemme
durante la giovinezza di Ezechiele. E inoltre Ezechiele aveva avuto il vantaggio di vivere in Giuda durante
parte del regno del giusto re Giosia, che aveva distrutto le immagini scolpite e gli altari di Baal, si era
accinto a riparare il tempio e, quando era stato rinvenuto nel tempio il libro della Legge (a quanto pare un
originale scritto da Mosè), aveva intensificato in Giuda le riforme a favore della pura adorazione. — 2Cr
34.
Prima che Babilonia distruggesse Gerusalemme, in quali luoghi strategici si trovavano i profeti di
Geova?
L’attività profetica di Ezechiele fu contemporanea a quella di Geremia e di Daniele. Geremia prestava
servizio come profeta di Dio per gli ebrei residenti a Gerusalemme e in Giuda, ed era quindi a contatto
con i corrotti re giudei. Daniele si trovava alla corte di Babilonia e poi della Media-Persia; a lui furono
trasmesse profezie riguardanti la successione delle potenze mondiali e la loro sconfitta per mano del
Regno di Dio. Ezechiele prestava servizio fra la popolazione ebraica e i suoi capi nella regione di
Babilonia, dove continuò l’opera dei profeti. Perciò, benché a Gerusalemme gli ebrei avessero il tempio
col suo sommo sacerdote e Geremia, sacerdote e profeta, quelli che si trovavano in Babilonia non furono
abbandonati da Geova: Ezechiele era in mezzo a loro come profeta di Dio e, anche se non immolava
sacrifici, era là per consigliarli e istruirli nella legge divina.
C’era anche una stretta relazione fra l’opera profetica di Geremia e quella di Ezechiele, poiché entrambi
confutavano e cercavano di dissipare dalla mente degli ebrei a Gerusalemme e in Babilonia l’idea che
Dio avrebbe presto posto fine alla dominazione babilonese e che Gerusalemme non sarebbe caduta.
Anzi Geremia mandò una lettera ai prigionieri nel paese di Babilonia, dicendo loro di sistemarsi e stare in
pace in Babilonia perché avrebbero dovuto attendere 70 anni prima di essere liberati. Senza dubbio
Ezechiele ebbe modo di udire le parole di quella lettera, e forse anche di sentir leggere il libro che
Geremia mandò in seguito per predire la caduta di Babilonia. — Ger 29; 51:59-64.
Profetizzò a persone ‘ostinate’. Agli occhi di Geova i prigionieri in Babilonia erano in una posizione
migliore rispetto agli ebrei rimasti in Giuda, com’è illustrato dal canestro di fichi buoni e da quello di fichi
cattivi che Geremia vide. (Ger 24) Ma nonostante ciò Ezechiele non aveva un compito facile, perché gli
israeliti prigionieri facevano sempre parte di quella casa ribelle e, come gli fu detto, “ci sono degli ostinati
e cose che ti pungono e tu dimori fra scorpioni”. (Ez 2:6) Per comando di Geova prese dimora fra gli
esiliati a Tel-Abib presso il fiume Chebar. (Ez 3:4, 15) Benché fossero in esilio, gli ebrei abitavano in case
di loro proprietà. (Ger 29:5) Almeno fino a un certo punto, erano riusciti a mantenere la loro
organizzazione religiosa. Gli anziani di Giuda furono in grado di recarsi più volte da Ezechiele. (Ez 8:1;
14:1; 20:1) Anche quando giunse il momento della restaurazione alla fine dei 70 anni, molti di quegli ebrei
non vollero lasciare Babilonia.
Uno dei motivi per cui almeno alcuni degli ebrei in Babilonia non desideravano tornare in patria poteva
essere il materialismo. Nei pressi di un canale dell’Eufrate vicino a Nippur, luogo che secondo alcuni
studiosi si trovava in prossimità del Chebar, una spedizione americana scoprì gli archivi di una grossa
impresa commerciale, “Murashu e figli”. Vi sono state trovate iscrizioni contenenti vari nomi ebraici, il che
indica che gli israeliti si erano ben inseriti in Babilonia e che molti di loro svolgevano attività commerciali.
Morte della moglie. Ezechiele dice di aver ricevuto il suo incarico presso il fiume Chebar nel quinto anno
dell’esilio del re Ioiachin (cioè nel 613 a.E.V.). Profetizzò almeno per 22 anni fin verso il 591 a.E.V. La sua
ultima profezia datata è infatti del 27° anno dell’ esilio. (Ez 29:17) Pare che Ezechiele fosse felicemente
sposato. Poi Geova gli disse: “Figlio dell’uomo, ecco, tolgo da te la cosa desiderabile ai tuoi occhi con un
colpo”. (Ez 24:16) Può darsi che la moglie fosse stata infedele a lui o a Geova, ma qualunque fosse la
ragione della sua morte, Ezechiele ricevette il comando di non piangere, ma di sospirare senza parole.
Gli fu detto di mettersi il copricapo e di non portare alcun segno di lutto. Tutto questo doveva in realtà
essere per gli israeliti prigionieri in Babilonia un segno che Geova avrebbe profanato il suo santuario di
cui erano tanto orgogliosi, e che, contrariamente alle loro speranze, Gerusalemme sarebbe stata
distrutta. — Ez 24:17-27.
“Sentinella”. Ezechiele ricevette l’incarico di profetizzare in modo simile a come l’aveva ricevuto Isaia.
Ebbe una maestosa visione di Geova sul trono, servito da creature viventi con quattro facce e quattro ali,
accompagnate da ruote dentro a ruote che si muovevano insieme alle creature viventi. Poi Geova parlò a
Ezechiele chiamandolo “figlio dell’uomo”, per ricordare al profeta che era un semplice uomo terreno. (Ez
capp. 1, 2; cfr. Isa 6). Fu mandato come sentinella alla casa d’Israele per avvertire gli israeliti della loro
condotta malvagia. Benché fossero molto duri di cuore, l’avvertimento era necessario affinché sapessero
che un profeta di Geova era stato in mezzo a loro. Anche se rifiutavano di ascoltare, se avesse mancato
di avvertirli secondo le parole di Geova egli sarebbe stato responsabile della loro vita: si sarebbe
macchiato del loro sangue. — Ez 3:7, 17, 18; 2:4, 5; 33:2-9.
Scene e illustrazioni. Ezechiele spesso profetizzava per mezzo di scene o rappresentazioni simboliche,
mediante allegorie o parabole, o in seguito a visioni. Una delle più notevoli scene simboliche fu la
rappresentazione, durata prima 390 e poi 40 giorni, dell’assedio di Gerusalemme, che contiene
un’importante profezia cronologica. Ci vollero ubbidienza, pazienza e molta fede per dare questo
avvertimento illustrativo a un popolo schernitore, senza fede. Durante l’assedio di Gerusalemme
Ezechiele rivolse profeticamente l’attenzione alle nazioni pagane che odiavano Israele e che avrebbero
partecipato, rallegrandosene, alla rovina di Israele, e descrisse la punizione che Geova avrebbe inflitto
loro. In seguito alla caduta di Gerusalemme il tono delle profezie di Ezechiele cambiò. Dopo una vigorosa
condanna degli avidi pastori d’Israele e di Seir, le sue attività profetiche furono volte a rafforzare la fede
nella promessa di Dio che gli israeliti sarebbero stati rianimati, radunati e riunificati, e che il glorioso
pastore di Geova, il Suo “servitore Davide”, li avrebbe benedetti a tempo indefinito sotto un patto di pace.
(Ez 37) Quindi Ezechiele descrive nei particolari il tempio ricostruito, secondo il “progetto” mostratogli da
Geova. Questa visione del tempio era profetica di qualcosa che riguardava il lontano futuro, perché
nessun tempio del genere è mai stato costruito. — Ez 40-48.
Analogie con l’opera di Gesù Cristo. Ci sono delle analogie fra l’opera di Ezechiele e quella di Gesù.
Sia Ezechiele che Gesù dovettero trasmettere a un popolo indifferente e duro di cuore un messaggio di
condanna, che includeva un messaggio di speranza per quelli che avrebbero rinunciato alla loro condotta
malvagia. A Ezechiele fu detto che il popolo sarebbe venuto a udire le sue parole, ma il loro cuore
sarebbe stato insensibile. (Ez 33:30-32) Similmente molte folle andarono a udire i discorsi di Gesù, ma
pochi mostrarono di apprezzarne gli insegnamenti. Ezechiele predicò ai prigionieri in Babilonia. Gesù
spiegò di essere stato mandato a predicare la liberazione ai prigionieri (Lu 4:18); disse chiaramente agli
ebrei che essi erano spiritualmente schiavi e bisognosi di una liberazione, per provvedere la quale egli
era stato mandato. (Gv 8:31-36) Come Ezechiele, Gesù non riprese mai gli ebrei con le proprie parole,
ma dichiarò ciò che Geova gli aveva detto di dire. — Gv 5:19, 30.
La speranza di Ezechiele. Ezechiele fu fedele a Dio, ubbidendo a ogni comando ricevuto, nonostante il
suo compito fosse difficile. È uno dei profeti che per fede perseverarono e aspirarono “a un luogo
migliore, cioè uno che appartiene al cielo”. (Eb 11:16) Pur non appartenendo alla classe che forma il
Regno dei cieli (Mt 11:11), Ezechiele attendeva il tempo in cui sarebbe stato istituito il Regno messianico,
e a suo tempo, tramite la risurrezione, egli riceverà l’adempimento della promessa di Dio e la benedizione
del dominio messianico. (Eb 11:39, 40) Ezechiele si distinse per energia, coraggio, ubbidienza e zelo per
l’adorazione di Dio.

w88 1/1 28-9 Continuate a predicare il Regno


Evitiamo la colpa di sangue
13 La responsabilità dei dedicati testimoni di Geova di avvertire la gente in merito all’imminente giudizio di
Dio è analoga a quella di Ezechiele nell’antichità. Egli fu incaricato di fungere da sentinella per la casa
d’Israele. Doveva avvertire gli israeliti che se non avessero smesso di seguire le loro cattive vie
sarebbero stati giustiziati. Se lui, in qualità di sentinella, non li avesse avvertiti, i malvagi sarebbero stati
giustiziati comunque, ma il loro sangue sarebbe ricaduto sulla testa della sentinella negligente. Notiamo
l’atteggiamento di Geova riguardo all’eseguire il suo giudizio: “Non provo diletto nella morte del malvagio,
ma in quanto qualcuno malvagio si ritrae dalla sua via ed effettivamente continua a vivere. Volgetevi,
volgetevi dalle vostre cattive vie, poiché per quale ragione dovreste morire, o casa d’Israele?” —
Ezechiele 33:1-11.
14 L’apostolo Paolo, che aveva accettato la propria responsabilità di sentinella, disse agli anziani di Efeso:
“In questo giorno vi invito quindi a testimoniare che sono puro del sangue di tutti gli uomini”. Perché? Egli
proseguì: “Poiché non mi sono trattenuto dal dirvi tutto il consiglio di Dio”. (Atti 20:26, 27) Si può dire la
stessa cosa dell’odierna classe della sentinella, il rimanente degli unti seguaci di Gesù Cristo. Tutti questi,
insieme agli oltre tre milioni di loro compagni che hanno la speranza di sopravvivere alla fine di questo
sistema di cose e di ottenere la vita eterna sulla terra, non devono mai rallentare la loro opera di
predicare la buona notizia del Regno di Dio e avvertire dell’imminente esecuzione del suo giudizio.
Evitano così di essere responsabili della morte altrui.
15 L’odierna opera di predicazione viene profeticamente descritta in Ezechiele capitolo 9. Qui leggiamo
che Geova aveva stabilito di punire la città di Gerusalemme. Prima di eseguire quel giudizio, un uomo
vestito di lino e con un calamaio da segretario ai fianchi fu incaricato di passare per la città e segnare
sulla fronte tutti quelli che sospiravano per le cose detestabili che vi accadevano. Una volta completata
quest’opera, tutti gli abitanti della città, a eccezione di quelli segnati per sopravvivere, dovevano essere
giustiziati. Portata a pieno compimento l’opera di apporre il segno, l’uomo riferì: “Ho fatto proprio come mi
hai comandato”. (Ezechiele 9:11) Portò fedelmente a termine il suo incarico.
16 L’uomo vestito di lino raffigura l’unto rimanente dei seguaci di Cristo, ai quali si è unita la “grande folla”
di “altre pecore”. Oggi, come al tempo di Ezechiele, la principale controversia riguarda la rivendicazione
della sovranità di Geova. Parlando della fine dell’attuale sistema di cose nella guerra del gran giorno
dell’Iddio Onnipotente, Geova dice: “Le nazioni dovranno conoscere che io sono Geova”. (Rivelazione
7:9; Giovanni 10:16; Ezechiele 39:7) Perché le nazioni lo conoscano, è indispensabile che i servitori
terreni di Geova continuino a predicare il suo nome e il suo proposito in testimonianza a tutte le nazioni.
17 Continuando a predicare la buona notizia del Regno, ci manteniamo vigilanti. Abbiamo sempre ben
chiara davanti a noi l’importanza del nome e del proposito di Geova. Se rallentiamo, la nostra speranza
nel Regno potrebbe affievolirsi e noi potremmo essere portati via ‘da ansietà, ricchezze, piaceri di questa
vita, e non portare nulla alla perfezione’. (Luca 8:14) Perseverando con zelo nel dichiarare la “buona
notizia”, osserviamo fedelmente i comandi del nostro Signore, Gesù Cristo: “Continuate a stare in
guardia, siate svegli, poiché non sapete quando è il tempo fissato. Ma quello che dico a voi lo dico a tutti:
Siate vigilanti”. — Marco 13:10, 33, 37.
18 Persistiamo quindi nel cercare ‘quelli che sospirano’ finché Geova lo permetterà. Tutti noi, che
facciamo parte dell’unto rimanente o delle “altre pecore”, vogliamo continuare ad assolvere fedelmente il
nostro incarico di predicare la buona notizia del Regno in tutta la terra abitata in testimonianza a tutte le
nazioni. (Matteo 24:14) Quando Geova stesso porrà fine a quest’opera dando inizio alla “grande
tribolazione”, possa ciascuno di noi dire a Geova: “Ho fatto proprio come mi hai comandato”.

[Prospetto a pagina 28]


Risultati di sette anni di predicazione
Febe --- Tema: Difendete i fratelli con coraggio ROMANI 16:1, 2

it-1 903
FEBE [pura; luminosa; raggiante].
Cristiana della congregazione di Cencrea nel I secolo. Nella lettera scritta ai cristiani di Roma, Paolo
‘raccomanda’ loro questa sorella, e chiede che le sia dato tutto l’aiuto di cui poteva avere bisogno, poiché
aveva “mostrato di difendere molti, sì, me stesso”. (Ro 16:1, 2) Può darsi che Febe abbia portato a Roma
la lettera di Paolo o abbia accompagnato il latore della stessa.
Paolo chiama Febe “ministro della congregazione di Cencrea”. Questo induce a chiedersi in che senso
sia usato qui il termine diàkonos (ministro). Alcune traduzioni gli danno un significato ufficiale e perciò lo
rendono “diaconessa” (CEI, VR). Ma le Scritture non prevedono servitori di ministero donne. Altri
attribuiscono al termine significato generico e lo traducono “al servizio” (Ga). Comunque Paolo si riferiva
evidentemente a qualche cosa che aveva a che fare con la divulgazione della buona notizia, il ministero
cristiano, e parlava di Febe come di una donna ministro associata alla congregazione di Cencrea. — Cfr.
At 2:17, 18.
Febe aveva “mostrato di difendere molti”. Questa espressione traduce il sostantivo greco prostàtis, che
fondamentalmente significa “protettrice” o “soccorritrice”, e quindi non si limita al mostrare cordialità, ma
comporta il venire in aiuto di altri nel bisogno. Può anche essere tradotto “patrona”. Il fatto che fosse
libera di viaggiare e rendere notevoli servizi nella congregazione potrebbe indicare che Febe era vedova
e anche piuttosto ricca. Quindi poteva essere in grado di far valere l’influenza che aveva nella comunità a
favore dei cristiani che erano accusati ingiustamente, difendendoli; oppure poteva aver offerto loro rifugio
in momenti di pericolo, proteggendoli. La Bibbia comunque non fornisce particolari in merito.

w88 1/10 13 Apprezziamo i nostri fratelli


Caloroso apprezzamento
13 Fu a Corinto, verso il 56 E.V., durante il suo terzo viaggio missionario, che Paolo scrisse la sua lettera
ai Romani. Sembra che abbia affidato il manoscritto a una donna cristiana di nome Febe, appartenente
alla vicina congregazione di Cencrea, la quale si recava a Roma. (Leggi i versetti 1, 2 di Romani 16).
Notate con che calore egli la raccomanda ai fratelli di Roma. In qualche modo essa aveva difeso vari
cristiani, tra cui Paolo, forse in occasione dei loro viaggi, quando passavano per il trafficato porto di
Cencrea. Essendo imperfetta e peccatrice, come tutti gli altri esseri umani, Febe aveva le sue debolezze.
Ma anziché mettere la congregazione di Roma in guardia contro le mancanze di Febe, Paolo dispose che
essi ‘l’accogliessero nel Signore in modo degno dei santi’. Che eccellente atteggiamento positivo!
14 Dal versetto 3 al 15 di Romani 16 Paolo manda saluti ad oltre 20 cristiani menzionandoli per nome, e a
molti altri menzionandoli individualmente o come gruppo. (Leggi i versetti 3, 4 di Romani 16). Riuscite ad
avvertire l’affetto fraterno che Paolo sentiva per Prisca (o, Priscilla; confronta Atti 18:2) e Aquila? Questa
coppia aveva affrontato dei pericoli per Paolo. Ora egli salutava questi compagni d’opera con gratitudine
e mandava loro un’espressione di ringraziamento da parte delle congregazioni gentili. Come devono
essersi sentiti incoraggiati Aquila e Priscilla da questi saluti sinceri!
15 Paolo divenne un fedele cristiano probabilmente entro uno o due anni dalla morte di Cristo. Quando
scrisse la sua lettera ai Romani erano già molti anni che egli veniva usato da Cristo come principale
apostolo per le nazioni. (Atti 9:15; Romani 1:1; 11:13) Eppure notate la sua generosità e umiltà. (Leggi il
versetto 7 di Romani 16). Egli salutò Andronico e Giunia come “uomini noti fra gli apostoli [mandati]” e
ammise che servivano Cristo da più tempo di lui. Nessuna traccia di meschina gelosia!
16 Di antichi cristiani come Epeneto, Ampliato e Stachi sappiamo poco o nulla. (Leggi i versetti 5, 8, 9 di
Romani 16). Ma solo da come Paolo li salutò possiamo essere certi che erano uomini fedeli. Si erano resi
così cari a Paolo che egli chiamò ciascuno di loro “mio diletto”. Paolo ebbe parole gentili anche per Apelle
e Rufo, chiamandoli rispettivamente “l’approvato in Cristo” e “l’eletto nel Signore”. (Leggi i versetti 10, 13
di Romani 16). Che bei complimenti per questi due cristiani! E conoscendo la sua franchezza, possiamo
star certi che Paolo non fece quei complimenti per pura formalità. (Confronta 2 Corinti 10:18). E tra l’altro,
Paolo non si dimenticò di salutare la madre di Rufo.
17 Questo ci porta a considerare l’apprezzamento che Paolo nutriva per le sorelle. Oltre alla madre di
Rufo, Paolo menzionò nientemeno che sei altre donne cristiane. Abbiamo già visto quanto parlò bene di
Febe e di Prisca. Ma notate con quale caloroso affetto fraterno salutò Maria, Trifena, Trifosa e Perside.
(Leggi i versetti 6, 12 di Romani 16). Si può capire che queste sorelle laboriose che avevano “compiuto
molte fatiche” per i loro fratelli erano nel suo cuore. Com’è edificante vedere come Paolo apprezzava di
cuore i fratelli e le sorelle, nonostante le loro imperfezioni!

Felice — Tema: Giuste o corrotte, le autorità superiori vanno rispettate ROMANI 13:1

it-1 905-6 Felice


FELICE
(dal lat. felix).
Procuratore della provincia romana della Giudea che dopo l’ultima visita di Paolo a Gerusalemme verso il
56 E.V. lo tenne prigioniero per due anni. Tacito afferma che Felice ricoprì per diversi anni la carica di
procuratore insieme a Cumano e poi rimase l’unico procuratore della Giudea. (Annali, XII, 54) Giuseppe
Flavio non menziona che Felice abbia prestato servizio insieme a Cumano, e per questa ragione molti
studiosi dicono che Felice iniziò a ricoprire la carica di procuratore nel 52 E.V. (Antichità giudaiche, XX,
137 [vii, 1]; Guerra giudaica, II, 247, 248 [xii, 8]) Comunque, a motivo degli anni durante i quali Felice era
stato in carica, Paolo poté dirgli: “Questa nazione ti ha avuto come giudice per molti anni”. — At 24:10.
Alcuni storici dicono che Felice era uno schiavo, di nome Antonio, a cui l’imperatore Claudio aveva
concesso la libertà insieme a suo fratello Pallante, e che fu un funzionario crudele e immorale. Tacito lo
descrive come uno che “esercitò il potere regio con animo di servo, commettendo ogni arbitrio e ogni
sorta di crudeltà”. (Storie, V, 9) Si dice che sia stato lui a ordire l’uccisione del sommo sacerdote
Gionatan. Svetonio riferisce che fu marito di tre regine. (Le vite di dodici Cesari, V, 28) Questa
descrizione collima con quanto apprendiamo su Felice dalla Bibbia.
Dopo l’arresto di Paolo, il comandante militare romano Claudio Lisia, temendo per la sicurezza del
prigioniero se fosse rimasto a Gerusalemme, si affrettò a trasferirlo a Cesarea sotto forte scorta,
“comandando agli accusatori di parlare contro di lui” alla presenza di Felice. (At 23:23-30) Cinque giorni
dopo, il sommo sacerdote Anania, un certo Tertullo e altri scesero da Gerusalemme presentando accuse
assurde contro Paolo. Felice presiedette il processo, senza giungere a una conclusione. Ordinò che
Paolo fosse tenuto in prigione, ma con minor sorveglianza e senza vietare ad alcuno dei suoi di
assisterlo.
In seguito Felice “fece chiamare Paolo e lo ascoltò intorno alla credenza in Cristo Gesù”. In
quell’occasione, alla presenza di Drusilla moglie di Felice, Paolo parlò “della giustizia e della padronanza
di sé e del giudizio avvenire”. Udendo queste cose “Felice si spaventò” e disse all’apostolo: “Per il
momento vattene, ma quando troverò il tempo opportuno ti farò chiamare di nuovo”. In quei due anni
Felice fece chiamare spesso Paolo per conversare con lui, sperando inutilmente che l’apostolo gli desse
del denaro in cambio della propria scarcerazione. — At 24:24-27.
L’amministrazione di Felice creò molto malcontento fra gli ebrei. Forse nel 58 E.V. “Felice ebbe per
successore Porcio Festo; e siccome Felice desiderava guadagnare il favore dei giudei, lasciò Paolo” in
prigione. (At 24:27) Comunque questo gesto di Felice non lenì le ferite che aveva inflitte agli ebrei; né
impedì loro di inviare a Roma una delegazione per ribadire le accuse contro di lui. Dopo essere stato
richiamato a Roma Felice evitò la punizione solo grazie all’intercessione di suo fratello Pallante e alla
posizione di favore di cui questi godeva presso Nerone.

w93 15/8 17-19 La padronanza esista in voi e trabocchi


La padronanza esista in voi e trabocchi
“Aggiungete alla vostra fede . . . la padronanza di sé”. — 2 PIETRO 1:5, 6.
GESÙ disse: “Sarete trascinati per causa mia davanti a governatori e re, in testimonianza a loro”. (Matteo
10:18) Se foste chiamati davanti a un governatore, un giudice o un presidente, di cosa parlereste? Forse
iniziereste col parlare del motivo per cui siete lì, dell’accusa che vi è stata mossa. Lo spirito di Dio vi
aiuterebbe a farlo. (Luca 12:11, 12) Ma pensereste mai di parlare della padronanza di sé? Ritenete che
essa sia un elemento importante del nostro messaggio cristiano?
2 Prendiamo un fatto realmente accaduto. Un testimone di Geova fu arrestato e processato. Quando gli
fu data l’opportunità di parlare, volle spiegare ciò che credeva come cristiano, in testimonianza.
Esaminando il racconto vedrete che nella sua deposizione egli parlò “della giustizia e della padronanza di
sé e del giudizio avvenire”. Ci riferiamo a ciò che accadde all’apostolo Paolo a Cesarea. Ci fu un primo
interrogatorio. “Alcuni giorni dopo Felice arrivò con Drusilla sua moglie, che era giudea, e fece chiamare
Paolo e lo ascoltò intorno alla credenza in Cristo Gesù”. (Atti 24:24) Dalla storia sappiamo che Felice
“esercitò il potere regio con animo di servo, commettendo ogni arbitrio e ogni sorta di crudeltà”. (Tacito,
Storie, V, 9, a cura di A. Arici, Torino, 1983) Si era già sposato due volte quando indusse Drusilla a
divorziare dal marito (violando la legge di Dio) e a divenire la sua terza moglie. Forse era lei che voleva
sentir parlare della nuova religione, il cristianesimo.
3 Paolo proseguì parlando “della giustizia e della padronanza di sé e del giudizio avvenire”. (Atti 24:25)
Questo avrebbe reso evidente il contrasto fra le giuste norme di Dio e la crudeltà e l’ingiustizia di cui
erano colpevoli Felice e Drusilla. Forse Paolo sperava di convincere Felice a dar prova di giustizia nella
causa che si stava dibattendo. Ma perché tirare in ballo ‘la padronanza di sé e il giudizio avvenire’?
Quella coppia immorale voleva sapere cosa comportava la “credenza in Cristo Gesù”. Avevano quindi
bisogno di capire che per seguirlo occorreva tenere a freno i propri pensieri, le proprie parole e le proprie
azioni, che è poi il significato della padronanza di sé. Tutti gli uomini devono rendere conto a Dio di ciò
che pensano, dicono e fanno. Perciò, più importante di qualunque giudizio Felice potesse emettere nel
caso di Paolo era il giudizio cui il governatore e sua moglie andavano incontro dinanzi a Dio. (Atti 17:30,
31; Romani 14:10-12) Si può comprendere perché, udendo il messaggio di Paolo, “Felice si spaventò”.
Importante ma non facile
4 L’apostolo Paolo riconosceva che la padronanza di sé è un aspetto essenziale del cristianesimo.
L’apostolo Pietro, uno dei più intimi collaboratori di Gesù, lo confermò. Scrivendo a coloro che sarebbero
divenuti “partecipi della natura divina” in cielo, Pietro li esortò a manifestare certe qualità essenziali, come
la fede, l’amore e la padronanza di sé. La padronanza di sé era quindi inclusa in questa assicurazione:
“Se queste cose esistono in voi e traboccano, vi impediranno di essere inattivi o infruttuosi riguardo
all’accurata conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo”. — 2 Pietro 1:1, 4-8.
5 Sapete però che una cosa è dire che bisogna esercitare padronanza di sé e un’altra è metterla
effettivamente in pratica nella propria vita. Una ragione è che la padronanza di sé è una qualità
relativamente rara. In 2 Timoteo 3:1-5 Paolo descrisse gli atteggiamenti che sarebbero prevalsi nel nostro
tempo, negli “ultimi giorni”. Uno dei tratti caratteristici di questo periodo sarebbe stata la diffusa mancanza
di “padronanza di sé”. Non è ciò che vediamo tutt’intorno a noi?
6 Molti pensano che tutto sommato faccia bene sfogarsi o esternare in modo incontrollato i propri stati
d’animo. Se ne convincono ancor più vedendo come si comportano certi personaggi cari al pubblico, i
quali, lungi dall’esercitare padronanza, sono soliti agire d’impulso. Per esempio, molti tifosi si sono
abituati a manifestare in modo selvaggio i loro sentimenti, anche con violente esplosioni d’ira. Ricorderete
di sicuro, se non altro per averlo letto sui giornali, casi in cui eventi sportivi sono stati teatro di violente
risse o disordini. Per dimostrare il punto, però, non occorre che ci dilunghiamo nell’analizzare esempi di
scarsa padronanza di sé. Si potrebbero elencare molti campi in cui occorre esercitare padronanza: nel
mangiare e nel bere, nella condotta con persone dell’altro sesso, nel tempo e nel denaro spesi per gli
hobby. Ma invece di fare una carrellata di tante attività, esaminiamo uno degli aspetti fondamentali in cui
dobbiamo esercitare padronanza.
Festo — Tema: Risultati di un’intrepida testimonianza ATTI 4:29

it-1 918 Festo


FESTO
[dal lat. festus, “festivo; gioioso”].
Governatore della provincia romana della Giudea dopo che Felice fu richiamato a Roma. (At 24:27) Non
si sa con precisione in che anno avvenne il passaggio dei poteri; le uniche fonti di informazione sono la
Bibbia e Giuseppe Flavio, ma nessuna delle due fa luce su questa nomina da parte di Nerone. I critici
propendono per due tesi: una pone l’arrivo di Porcio Festo in Giudea già nel 54 E.V., l’altra non prima del
61. Secondo gli storici sarebbe avvenuto tra il 58 e il 61 E.V. Sembra che il 58 E.V. sia la data più
probabile dell’inizio del mandato di Festo in Giudea. — R. Young, Analytical Concordance to the Bible, p.
342.
Tre giorni dopo essere giunto a Cesarea, Festo si recò a Gerusalemme, evidentemente per familiarizzarsi
con i problemi della popolazione che doveva governare. Paolo si trovava a Cesarea, dove era stato
lasciato prigioniero dall’amministrazione di Felice. I capi sacerdoti e gli ebrei più in vista non persero
tempo e chiesero che Paolo venisse trasferito a Gerusalemme, con l’intento di tendergli un’imboscata e
ucciderlo durante il tragitto. Festo decise invece di sottoporlo a un nuovo processo e ingiunse agli
accusatori di presentarsi al suo tribunale a Cesarea. Dopo il processo Festo si convinse dell’innocenza di
Paolo e più tardi confessò al re Agrippa II: “Ho compreso che non ha commesso nulla che meriti la
morte”. (At 25:25) In precedenza, “desiderando guadagnare il favore dei giudei”, Festo aveva chiesto a
Paolo se era disposto a recarsi volontariamente a Gerusalemme per essere giudicato. (At 25:9) Paolo
però aveva risposto: “Nessuno mi può consegnare loro per favore. Mi appello a Cesare!” — At 25:11.
Questo pose a Festo un altro problema. Spiegando ad Agrippa che c’era questo prigioniero da mandare
a Roma, ma che non aveva accuse da muovere contro di lui, Festo osservò: “Mi sembra irragionevole
mandare un prigioniero e non indicare anche le accuse contro di lui”. (At 25:27) Agrippa si offrì di
ascoltare personalmente Paolo per cercare di trovare una soluzione. A propria difesa Paolo pronunciò un
discorso così eloquente e commovente che Festo fu indotto a esclamare: “Tu divieni pazzo, Paolo! Il gran
sapere ti conduce alla pazzia!” (At 26:24) Paolo allora rivolse un vibrante appello ad Agrippa, che provocò
questa sua osservazione: “In breve tempo mi persuaderesti a divenire cristiano”. (At 26:28) In seguito
Agrippa disse a Festo: “Quest’uomo poteva essere liberato se non si fosse appellato a Cesare”. Questa
decisione fu del tutto provvidenziale, infatti il Signore aveva precedentemente rivelato a Paolo: “Fatti
coraggio! . . . mi devi rendere testimonianza anche a Roma”. — At 23:11; 26:32.
Rispetto all’oppressiva amministrazione di Felice, quella di Festo viene generalmente considerata buona.
Festo eliminò i terroristi detti sicarii (uomini armati di pugnale, assassini), e cercò in altri modi di far
rispettare la legge romana. Tuttavia una sua decisione fu revocata in appello a Roma. Agrippa si era
costruito una sala da pranzo prospiciente la sacra area del tempio, al che gli ebrei avevano costruito un
muro per impedire la vista. Festo ordinò che il muro fosse abbattuto per la ragione che ostruiva la visuale
ai soldati, ma quando la cosa fu presentata in appello a Roma fu deciso che il muro poteva rimanere.
Festo morì mentre era ancora in carica e gli succedette Albino.

w90 15/6 23-4 Proclamiamo intrepidamente il Regno di Geova!


Intrepido davanti a governanti
13 Ben presto l’apostolo si difese dalle false accuse e diede intrepidamente testimonianza a Felice. (24:1-
27) Di fronte agli accusatori ebrei Paolo mostrò che non aveva aizzato la folla. Disse che credeva nelle
cose scritte nella Legge e nei Profeti e che sperava in una “risurrezione sia dei giusti che degli ingiusti”.
Paolo era andato a Gerusalemme con “doni di misericordia” (contribuzioni per i seguaci di Gesù che
erano poveri, forse a causa della persecuzione) e si era purificato cerimonialmente. Anche se Felice
rimandò il giudizio, in seguito Paolo predicò a lui e a sua moglie Drusilla (figlia di Erode Agrippa I)
riguardo a Cristo, alla giustizia, alla padronanza di sé e al giudizio avvenire. Spaventato da tali discorsi,
Felice congedò Paolo. In seguito, comunque, fece chiamare spesso l’apostolo, sperando invano di
ricevere del denaro. Felice sapeva che Paolo era innocente ma lo lasciò legato, sperando di guadagnare
il favore degli ebrei. Due anni dopo a Felice succedette Porcio Festo.
14 Paolo pronunciò un’intrepida difesa anche davanti a Festo. (25:1-12) Se meritava di morire, l’apostolo
non si sarebbe tirato indietro, ma nessun uomo poteva consegnarlo ai giudei per favore. “Mi appello a
Cesare!” disse Paolo, valendosi del diritto che avevano i cittadini romani di essere processati a Roma (a
quel tempo davanti a Nerone). La richiesta fu accolta, e così Paolo avrebbe ‘reso testimonianza a Roma’,
com’era stato predetto. (Atti 23:11) Anche i testimoni di Geova si valgono delle disposizioni vigenti per
‘difendere e stabilire legalmente la buona notizia’. — Filippesi 1:7.
15 Il re della Giudea settentrionale Erode Agrippa II e sua sorella Berenice (con la quale aveva una
relazione incestuosa) udirono Paolo mentre facevano visita a Festo, a Cesarea. (25:13–26:23) Dando
testimonianza ad Agrippa e poi a Cesare, Paolo adempì la profezia secondo cui egli avrebbe portato il
nome del Signore ai re. (Atti 9:15) Narrando ad Agrippa ciò che era successo sulla strada per Damasco,
Paolo sottolineò che Gesù disse: “Ti è duro continuare a ricalcitrare contro i pungoli”. Come un toro
ostinato si fa del male quando resiste agli stimoli di un pungolo, Saulo aveva fatto del male a se stesso
combattendo i seguaci di Gesù, che avevano il sostegno di Dio.
16 Che effetto ebbe questo su Festo e su Agrippa? (26:24-32) Non riuscendo a comprendere la
risurrezione, e stupito della convinzione di Paolo, Festo esclamò: “Il gran sapere ti conduce alla pazzia!”
In maniera simile, oggi alcuni accusano i testimoni di Geova di essere pazzi, anche se in realtà essi come
Paolo esprimono “parole di verità e di sanità di mente”. “In breve tempo mi persuaderesti a divenire
cristiano”, disse Agrippa, che pose fine all’udienza riconoscendo però che Paolo avrebbe potuto essere
liberato se non si fosse appellato a Cesare.
Filippo (n.1) --- Tema: Usate tatto e siate prudenti 2°TIMOTEO 2:24

it-1 933-4
FILIPPO [amante dei cavalli].
1. Uno dei primi discepoli fra i dodici apostoli di Gesù Cristo. Nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca, Filippo
è menzionato per nome solamente nell’elenco degli apostoli. (Mt 10:3; Mr 3:18; Lu 6:14) Solo Giovanni
fornisce su di lui qualche informazione particolareggiata.
Filippo era dello stesso villaggio di Pietro e Andrea, cioè Betsaida sulla riva N del Mar di Galilea.
Sentendo l’invito di Gesù, “sii mio seguace”, Filippo fece proprio come aveva fatto Andrea il giorno prima.
Andrea era andato a cercare suo fratello Simone (Pietro) e l’aveva condotto da Gesù, e Filippo fece la
stessa cosa con Natanaele (Bartolomeo) dicendo: “Abbiamo trovato colui del quale scrissero Mosè, nella
Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret. . . . Vieni e vedi”. (Gv 1:40, 41, 43-49) La frase
“trovato Filippo, Gesù gli disse”, come pure le parole rivolte da Filippo a Natanaele, possono indicare che
si conoscevano già, in quanto Filippo menzionò il nome, la famiglia e la residenza di Gesù. Non è
precisato se tra Filippo e Natanaele (Bartolomeo) esistesse qualche rapporto oltre l’amicizia, ma nella
Bibbia sono sempre elencati insieme, tranne in Atti 1:13.
Quando Gesù entrò trionfalmente in Gerusalemme cinque giorni prima della Pasqua del 33 E.V. (Mr
11:7-11), alcuni greci volevano vederlo. Essi chiesero a Filippo di essere presentati, forse incoraggiati dal
suo nome greco, oppure semplicemente perché per caso si trovava lì. Ad ogni modo Filippo
evidentemente non si sentì autorizzato a esaudire la richiesta di quei greci (forse proseliti). Prima conferì
con Andrea, insieme al quale è menzionato anche in un’altra occasione (Gv 6:7, 8) e che forse era più in
confidenza con Gesù. (Cfr. Mr 13:3). Insieme presentarono a Gesù la richiesta, ma non i richiedenti. (Gv
12:20-22) Questo atteggiamento cauto e circospetto si nota anche nella risposta di Filippo alla domanda
di Gesù su come sfamare la moltitudine, e anche nella sua richiesta (fatta dopo le domande piuttosto
brusche di Pietro e Tommaso): “Signore, mostraci il Padre, e ci basta”. (Gv 6:5-7; 13:36, 37; 14:5-9) Il
tatto di Filippo è in netto contrasto con la schiettezza un po’ brusca di Pietro, e questi brevi accenni
rivelano che gli apostoli scelti da Gesù avevano personalità diverse.
A motivo dell’intimità che aveva con Natanaele (Bartolomeo) e con i figli di Zebedeo, può darsi che
Filippo fosse uno dei due discepoli non identificati che si trovavano sulla riva del Mar di Galilea quando
apparve il risuscitato Gesù. — Gv 21:2.

g 63 22-8 pag. 22-23

g79 22/7 27
"Chi ha veduto me, ha veduto il Padre": In che senso? ‘Ciò che dice la Bibbia’
IN UNA occasione Filippo, discepolo di Gesù, chiese: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. (Giov. 14:8)
Rispondendo a questa domanda, Gesù dichiarò: “Sono con voi da tanto tempo e non mi hai conosciuto,
Filippo? Chi ha veduto me, ha veduto il Padre”. (Giov. 14:9) Cosa intese dire Gesù con queste parole?
Prima di rispondere a questa domanda, consideriamo una particolare interpretazione delle parole di
Gesù. Alcuni credono che, se chi ha visto Gesù ha visto anche il Padre, Gesù debba essere
l’Onnipotente Dio, del tutto uguale al Padre, Geova.
Chi crede a questo cita anche molti passi del “Vecchio Testamento” che si riferiscono a Geova Dio, ma
che gli scrittori biblici cristiani (nel “Nuovo Testamento”) applicano a Gesù Cristo. Facciamo un esempio:
Per mezzo del profeta Isaia, Dio disse: “Io, sì, io sono il Signore e fuori di me non c’è Salvatore”. (Isa.
43:11) E in preghiera a Dio il salmista dichiarò: “Presso di te è la sorgente della vita, e nella tua luce noi
vediamo luce”. (Sal. 36:10) Tuttavia, gli scrittori biblici cristiani dichiarano che il salvatore dell’umanità e la
sorgente della vita e della luce è Gesù Cristo. — Giov. 1:4; 5:26; 8:12.
Brani paralleli come questi e il fatto che il Figlio di Dio disse: “Chi ha veduto me, ha veduto il Padre”,
provano forse che Gesù sia l’Onnipotente Dio? Vediamo.
Le Scritture si riferiscono ripetutamente a Gesù Cristo come a colui che Dio ha “mandato” come suo
principale rappresentante. (Vedi, ad esempio, Giovanni 3:17, 28, 34; 5:23, 24, 30, 37). Fatto degno di
nota, la Bibbia descrive spesso coloro che rappresentano altri come se fossero quelli rappresentati.
Considerate due esempi:
(1) Il Vangelo di Matteo narra che, dopo aver pronunciato il sermone del monte, Gesù entrò in
Capernaum, dove “gli venne vicino un centurione che lo supplicava” di guarire il suo schiavo. (Matt. 8:5-
13) Tuttavia, dal racconto parallelo di Luca 7:1-10 apprendiamo che il centurione “inviò [a Gesù] alcuni
anziani dei Giudei, per pregarlo che venisse a salvare il suo servo”.
(2) Nel Vangelo di Marco leggiamo che “gli si accostano Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo”,
chiedendo: “Concedi a noi di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e un altro alla sinistra”. (Mar.
10:35-37) Tuttavia, Matteo narra che in effetti questa richiesta fu fatta a Gesù dalla “madre dei figli di
Zebedeo”, come loro rappresentante. — Matt. 20:20, 21.
Naturalmente, nessuno concluderebbe da questi racconti biblici che quegli anziani giudei e il centurione
fossero coeguali, o che la madre di Giacomo e Giovanni e i suoi figli fossero coeguali. Allo stesso modo,
nessuno dovrebbe concludere che Gesù e Dio siano coeguali semplicemente perché certe cose dette di
Geova Dio in certe parti della Bibbia sono applicate a Gesù Cristo in altre parti. La vera ragione è che
Gesù rappresenta Dio.
È questo il motivo per cui il Figlio di Dio disse: “Chi ha veduto me, ha veduto il Padre”? Sì, ma questa
espressione non indica solo che lo rappresentava. La richiesta: “Signore, mostraci il Padre”, fa pensare
che Filippo chiedesse a Gesù di dare ai discepoli una manifestazione visibile di Dio, come quella che era
stata concessa in visione a Mosè, Elia e Isaia nei tempi antichi. (Eso. 24:10; 1 Re 19:9-13; Isa. 6:1-5)
Tuttavia, in tali visioni i servitori di Dio videro non Dio stesso, ma rappresentazioni simboliche di lui. (Eso.
33:17-22; Giov. 1:18) La risposta di Gesù indicò che Filippo aveva già qualcosa di meglio che visioni di
quel genere. Dato che Gesù rifletteva alla perfezione la personalità del Padre suo, che solo il Figlio
‘conosceva’ pienamente, vedere Gesù Cristo era come vedere Dio stesso. — Matt. 11:27.
I miracoli del Figlio di Dio, per esempio, manifestarono l’amore e la tenera compassione per il benessere
dell’uomo che sono tipici di Geova Dio. Non è strano che dopo avere Gesù risuscitato il figlio morto di una
vedova della città galilea di Nain, gli osservatori esclamassero: “Dio ha visitato il suo popolo”! — Luca
7:11-16.
Le parole che Gesù disse, sia per il significato che per il modo in cui le pronunciò, diedero ulteriori
opportunità di ‘vedere il Padre’ (cioè capire la sua personalità, la sua volontà e il suo proposito). Chi
ascoltò Gesù apprese che Dio giudica secondo la condizione del cuore, anziché da cose esterne come
ricchezza, istruzione, purezza cerimoniale od origine nazionale. (Matt. 5:8; 8:11, 12; 23:25-28; Giov. 8:33-
44) Che differenza rispetto al punto di vista dei capi religiosi giudei! — Nota Giovanni 7:48, 49.
Anche il modo in cui Gesù parlava fece capire ai suoi ascoltatori che udivano un messaggio da Dio,
poiché “insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi”. (Matt. 7:29) Anziché parlare
indirettamente, nel nome di altri insegnanti umani (com’era usanza tra gli scribi), Gesù parlò spesso in
prima persona, dicendo: “Io vi dico”, “In verità vi dico”, e “In verità, in verità vi dico”. (Si noti Matteo 5:20,
22; 6:2, 5, 16; Giov. 1:51; 3:3, 5, 11; 5:19, 24, 25). A volte Gesù dichiarò perfino che i peccati di certuni
erano perdonati, cosa per cui alcuni lo accusarono di usurpare in modo blasfemo una prerogativa che
apparteneva esclusivamente a Dio. — Mar. 2:1-7; Luca 5:17-21; 7:47-49.
Ma Gesù non usurpò mai la posizione di Dio. Ammise prontamente che l’autorità con cui parlava e agiva
non aveva origine da lui. Era un’autorità che gli era stata delegata, poiché “tutto il Padre gli aveva dato
nelle mani”. (Giov. 13:3; confronta Matteo 11:27; 28:18; Giov. 3:35; 17:2). Pertanto Gesù dichiarò: “In
verità, in verità vi dico, il Figlio nulla può fare da se stesso se non vede che il Padre lo fa: poiché quanto
egli fa, questo anche il Figlio similmente fa”. — Giov. 5:19; confronta Giovanni 5:30; 8:28, 42.
Dato che Gesù faceva tutto in piena armonia con la volontà di Dio, chi osservava Gesù in un certo
senso osservava Dio all’opera. Nelle sue note su Giovanni 14:9, il commentatore biblico Albert Barnes
esprime bene questo pensiero: “Ha visto il Padre. Questo non può riferirsi all’essenza o alla sostanza di
Dio, poiché egli è invisibile, e sotto questo aspetto nessun uomo ha in nessun tempo veduto Dio. Quando
dice che Dio è visto, significa solo che è stata data qualche manifestazione di Lui; o che è stata data
qualche dimostrazione del genere affinché conosciamo il suo carattere, la sua volontà e i suoi propositi. .
. . Conoscere il Figlio significava, naturalmente, conoscere il Padre. C’era un’unione così intima nella loro
disposizione e nei loro intenti, che chi capiva l’uno capiva anche l’altro”. — Confronta Giovanni 10:30.
[Note in calce]
Tutte le citazioni scritturali di questo articolo sono prese dalla Bibbia Concordata (Mondadori, 1968);
questa versione è approvata sia dalle autorità cattoliche che da quelle protestanti.
Ulteriori esempi di rappresentanti dei quali si parla come di coloro che essi rappresentano si trovano in
Matteo 10:40; 18:5; Luca 9:48; Giov. 4:1, 2.
Filippo (n. 2) --- Tema: Siate persone spirituali 1CORINTI 2:14-16

it-1 933-4
FILIPPO [amante dei cavalli].
2. Evangelizzatore e missionario del I secolo. Come Stefano, Filippo fece parte dei sette ‘uomini che
avevano buona testimonianza, pieni di spirito e sapienza’ scelti per la quotidiana, imparziale distribuzione
di viveri fra le vedove cristiane di lingua greca e di lingua ebraica di Gerusalemme. (At 6:1-6) L’attività di
Filippo (come del resto quella di Stefano) una volta terminato questo servizio speciale conferma la grande
spiritualità degli uomini che avevano tale mansione amministrativa; infatti Filippo svolse un’opera simile a
quella svolta in seguito dall’apostolo Paolo, benché più limitata.
Quando la persecuzione disperse tutti, tranne gli apostoli che rimasero a Gerusalemme, Filippo andò a
Samaria e là proclamò la buona notizia del Regno e, grazie al miracoloso potere dello spirito santo,
scacciò demoni e guarì paralitici e zoppi. Traboccanti di gioia, moltissimi accettarono il messaggio e
furono battezzati, incluso un certo Simone che aveva praticato le arti magiche. (At 8:4-13) Perciò quando
gli apostoli udirono “che Samaria aveva accettato la parola di Dio, inviarono loro Pietro e Giovanni”,
affinché quei credenti battezzati potessero ricevere il gratuito dono dello spirito santo. — At 8:14-17.
Filippo fu poi condotto dallo spirito di Geova incontro all’eunuco etiope sulla strada di Gaza, dove in
breve tempo quell’“uomo al potere sotto Candace regina degli etiopi” ripose fede in Gesù e chiese a
Filippo di essere battezzato. (At 8:26-38) Di lì Filippo si diresse ad Asdod e raggiunse poi Cesarea
‘dichiarando la buona notizia in tutte le città’ incontrate per via. (At 8:39, 40) La sua fu davvero l’opera di
un “evangelizzatore”. — At 21:8.
A Cesarea, centro di scambi internazionali, circa 20 anni dopo Filippo svolgeva ancora attivamente il
ministero, ed era ancora noto come “uno dei sette uomini” scelti dagli apostoli. Luca, che verso il 56 E.V.
rimase per qualche tempo in casa di Filippo insieme a Paolo, riferisce che “quest’uomo aveva quattro
figlie, vergini, che profetizzavano”. (At 21:8-10) Poiché le quattro figlie di Filippo avevano già un’età che
consentiva loro di svolgere un’opera profetica, è possibile che Filippo fosse già sposato all’epoca della
sua precedente attività.

w73 1/6 338-9 Seguite il principale Agente del Dominio Divino


11 In seguito scoppiò a Gerusalemme una violenta persecuzione e il fedele giudeo cristiano Stefano fu
lapidato a morte. I discepoli di Cristo si dispersero da Gerusalemme, a eccezione dei dodici apostoli. Fra i
dispersi ci fu Filippo l’Evangelizzatore. Egli andò a nord verso la città di Samaria e “predicava loro il
Cristo”. Filippo recò grande gioia alla città mediante ciò che predicò e i miracolosi segni che compì. I
Samaritani si attenevano al Pentateuco o cinque libri scritti da Mosè e praticavano la circoncisione.
Perciò, molti di essi accettarono Gesù Cristo come il ‘mediatore migliore’ prefigurato da Mosè. Nel caso di
questi credenti samaritani, Filippo adempì ciò che Gesù aveva comandato di fare, poiché leggiamo: “Ma
quand’ebbero creduto a Filippo, che dichiarava la buona notizia del regno di Dio e del nome di Gesù
Cristo, erano battezzati, uomini e donne”. (Atti 8:1-13; Matt. 28:19, 20; Atti 1:8) Quei Samaritani furono
battezzati nel nome di Gesù, di cui divennero credenti discepoli battezzati.
12 Dopo aver fatto molti discepoli fra quei circoncisi Samaritani, Filippo fu da un angelo di Dio indirizzato
verso un circonciso proselito del giudaismo. Quest’uomo, un eunuco etiope, tornava dall’aver adorato in
Gerusalemme. Quando Filippo si accostò al carro ed espresse il suo saluto, l’Etiope stava leggendo la
profezia d’Isaia, in quello che ora è il cinquantatreesimo capitolo di Isaia. L’Etiope chiese a Filippo chi vi
era descritto da Isaia. Quindi, come ci narra Atti 8:35, “Filippo aprì la bocca e, cominciando da questa
Scrittura, gli dichiarò la buona notizia riguardo a Gesù”. Filippo parlò all’Etiope anche del battesimo in
acqua e l’uomo chiese d’essere battezzato appena giunsero a un conveniente specchio d’acqua. Filippo
lo battezzò, naturalmente, nel nome di Gesù. (Atti 8:36-39) Come quei credenti Samaritani, questo
circonciso Etiope si presentò a Geova Dio per fare la sua volontà come discepolo di Gesù Cristo.
Fineas (n.1) --- Tema: Mostrate decisione a favore di ciò è giusto PROVERBI 10:11

it-1 937-8
FINEAS (Fìneas).
1. Figlio di Eleazaro e nipote di Aaronne; sua madre era figlia di Putiel e suo figlio si chiamava Abisua.
(Eso 6:25; 1Cr 6:4) La rapida azione del giovane Fineas pose fine alla piaga mandata da Geova, dopo
che nella pianura di Moab erano già morti 24.000 israeliti per avere commesso fornicazione ed essersi
uniti al Baal di Peor. Quando scorse Zimri portare la madianita Cozbi nella sua tenda, Fineas li trafisse
entrambi con una lancia, “la donna per le parti genitali”. Questo zelo nel ‘non tollerare rivalità alcuna’ nei
confronti di Geova “gli fu attribuito a giustizia”, e Dio fece un patto in base al quale il sacerdozio sarebbe
rimasto nella sua discendenza “a tempo indefinito”. — Nu 25:1-3, 6-15; Sl 106:30, 31.
Durante la sua vita Fineas ebbe vari incarichi. Rappresentò il sacerdozio nell’esercito che eseguì la
vendetta di Geova su Madian. (Nu 31:3, 6) Quando sembrava che tre tribù avessero abbandonato
l’adorazione di Geova, fu responsabile del gruppo incaricato di investigare la cosa. (Gsè 22:9-33) Era
capo dei custodi del tabernacolo. (1Cr 9:20) Dopo che suo padre fu sepolto sul Colle di Fineas, egli
prestò servizio come sommo sacerdote. (Gsè 24:33; Gdc 20:27, 28) Il suo nome figura in diverse
genealogie posteriori all’esilio. — 1Cr 6:4, 50; Esd 7:5; 8:2.

w95 1/3 14-18


Viviamo “di giorno in giorno” all’altezza della nostra dedicazione
“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda di giorno in giorno il suo palo di tortura e
mi segua di continuo”. — LUCA 9:23.
“ERAVAMO davvero uomini dedicati?” Secondo John F. Kennedy, 35° presidente degli Stati Uniti, la
risposta a questa domanda è uno dei fattori da cui dipende il successo degli uomini di governo. La
domanda, con un significato più profondo, potrebbe servire da test per valutare il nostro successo come
ministri cristiani.
2 Ma cosa si intende per dedicazione? Un dizionario la definisce “atto o rito del dedicare qualcosa a un
essere divino o a un uso sacro”, “votare o riservare qualcosa per uno scopo particolare”, “altruistica
dedizione”. (Webster’s Ninth New Collegiate Dictionary) A quanto pare John F. Kennedy stava usando la
parola nel senso di “altruistica dedizione”. Per un cristiano, la dedicazione significa molto di più.
3 Gesù Cristo disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda il
suo palo di tortura e mi segua di continuo”. (Matteo 16:24) Essere separati per un uso divino non significa
compiere semplicemente un atto di adorazione la domenica o quando si visita un luogo di culto. Implica
l’intero modo di vivere della persona. Essere cristiani significa rinnegare se stessi e servire l’Iddio che
Gesù Cristo serviva, Geova. Per di più, il cristiano prende il suo “palo di tortura” sopportando qualunque
sofferenza possa dover subire quale seguace di Cristo.
L’esempio perfetto
4 Quand’era sulla terra, Gesù dimostrò cosa significa dedicarsi a Geova. Ecco quali erano i suoi
sentimenti: “Non hai voluto né sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo”. Quindi aggiunse:
“Ecco, io vengo (nel rotolo del libro è scritto di me) per fare, o Dio, la tua volontà”. (Ebrei 10:5-7)
Appartenendo a una nazione dedicata, egli era dedicato a Geova dalla nascita. Nondimeno, all’inizio del
suo ministero terreno, andò spontaneamente a farsi battezzare in simbolo della presentazione di se
stesso per compiere la volontà di Geova, che nel suo caso includeva il deporre la propria vita come
sacrificio di riscatto. Così diede l’esempio ai cristiani in quanto a fare tutto ciò che la volontà di Geova
comporta.
5 Dopo il battesimo Gesù condusse una vita che lo portò infine a subire una morte di sacrificio. Non era
interessato né a far soldi né a vivere una vita comoda. La sua vita era imperniata sul ministero. Esortò i
discepoli a ‘continuare a cercare prima il regno e la Sua giustizia’ ed egli stesso visse all’altezza di queste
parole. (Matteo 6:33) Una volta addirittura disse: “Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo hanno dove
posarsi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove adagiare la testa”. (Matteo 8:20) Avrebbe potuto formulare i
suoi insegnamenti in modo da spillare denaro ai suoi seguaci. Essendo falegname avrebbe potuto
sottrarre del tempo al ministero per realizzare qualche bel mobile da vendere, così da avere qualche
soldo in più. Ma non usò le sue capacità per arricchirsi materialmente. Quali dedicati servitori di Dio,
stiamo imitando Gesù in quanto ad avere il giusto concetto delle cose materiali? — Matteo 6:24-34.
6 Mettendo al primo posto il servizio di Dio, Gesù non cercava i propri interessi. Durante i tre anni e
mezzo del suo ministero pubblico fece una vita di sacrificio. Una volta, dopo una giornata intensa in cui
non aveva nemmeno avuto il tempo di mangiare, Gesù fu disposto ad ammaestrare le persone che erano
“mal ridotte e disperse come pecore senza pastore”. (Matteo 9:36; Marco 6:31-34) Benché “stanco del
viaggio”, prese l’iniziativa di parlare con una donna samaritana che si era recata alla fonte di Giacobbe a
Sichar. (Giovanni 4:6, 7, 13-15) Mise sempre il benessere altrui al di sopra del proprio. (Giovanni 11:5-15)
Possiamo imitare Gesù sacrificando generosamente i nostri interessi personali per servire Dio e gli altri.
(Giovanni 6:38) Pensando a come possiamo veramente piacere a Dio anziché fare il minimo
indispensabile, vivremo all’altezza della nostra dedicazione.
7 Mentre aiutava le persone, Gesù non cercava minimamente di richiamare l’attenzione su di sé. Era
dedicato a Dio per fare la Sua volontà. Perciò, qualunque cosa venisse compiuta, si assicurava sempre
che tutta la gloria andasse a Geova, al Padre. Quando un certo governante lo chiamò “Maestro buono”,
usando la parola “buono” come titolo, Gesù lo corresse dicendo: “Nessuno è buono, tranne uno solo,
Dio”. (Luca 18:18, 19; Giovanni 5:19, 30) Come Gesù, siamo anche noi pronti a distogliere l’onore da noi
e a indirizzarlo verso Geova?
8 Per tutta la sua vita dedicata sulla terra, Gesù dimostrò di essersi separato dal mondo per servire Dio.
Si mantenne puro per poter offrire se stesso come “agnello senza difetto e immacolato” da sacrificare
quale riscatto. (1 Pietro 1:19; Ebrei 7:26) Osservò tutti i precetti della Legge mosaica, adempiendo così
quella Legge. (Matteo 5:17; 2 Corinti 1:20) Visse in armonia con i propri insegnamenti in campo morale.
(Matteo 5:27, 28) Nessuno poteva giustamente accusarlo di avere cattivi motivi. In effetti ‘odiava
l’illegalità’. (Ebrei 1:9) Quali schiavi di Dio, imitiamo Gesù mantenendo la nostra vita e anche i nostri
motivi puri agli occhi di Geova.
Esempi ammonitori
9 In contrasto con l’esempio di Gesù, abbiamo l’esempio ammonitore degli israeliti. Anche dopo aver
dichiarato che avrebbero fatto tutto quello che Geova aveva proferito, non fecero la volontà di Dio.
(Daniele 9:11) L’apostolo Paolo incoraggiò i cristiani a imparare da ciò che era capitato agli israeliti.
Esaminiamo alcuni fatti che Paolo riferì nella sua prima lettera ai Corinti e vediamo quali trappole i
dedicati servitori di Dio devono evitare oggi. — 1 Corinti 10:1-6, 11.
10 Per prima cosa Paolo avvertì di non essere “desiderosi di cose dannose”. (1 Corinti 10:6) Questo può
farvi venire in mente quella volta che gli israeliti si lamentarono perché avevano solo la manna da
mangiare. Geova mandò loro delle quaglie. Qualcosa di simile era accaduto circa un anno prima nel
deserto di Sin, poco prima che gli israeliti dichiarassero che si dedicavano a Geova. (Esodo 16:1-3, 12,
13) Ma la situazione non era esattamente la stessa. La prima volta che Geova provvide le quaglie, non
chiamò gli israeliti a render conto del loro mormorio. Questa volta, però, le cose andarono diversamente.
“La carne era ancora fra i loro denti, prima che si potesse masticare, quando l’ira di Geova divampò
contro il popolo, e Geova colpiva il popolo con una grandissima strage”. (Numeri 11:4-6, 31-34) Cos’era
cambiato? Come nazione dedicata, questa volta furono ritenuti responsabili delle loro azioni. La
mancanza di apprezzamento per i provvedimenti di Geova li portò a lamentarsi contro di lui, nonostante
avessero promesso di fare tutto ciò che Geova aveva proferito! Anche oggi ci si può lamentare in modo
simile della tavola di Geova. Alcuni non apprezzano i provvedimenti spirituali che Geova prende tramite lo
“schiavo fedele e discreto”. (Matteo 24:45-47) Ricordate, però, che la nostra dedicazione richiede che
rammentiamo con gratitudine ciò che Geova ha fatto per noi e accettiamo il cibo spirituale che egli
provvede.
11 Successivamente Paolo ammonì: “Né divenite idolatri, come alcuni di loro”. (1 Corinti 10:7) Qui
evidentemente l’apostolo si stava riferendo all’adorazione del vitello che gli israeliti praticarono subito
dopo aver concluso il patto con Geova al monte Sinai. Forse direte: ‘Sono un dedicato servitore di Geova,
non commetterò mai idolatria’. Notate, però, che dal loro punto di vista gli israeliti non avevano smesso di
adorare Geova; avevano però introdotto l’adorazione del vitello, qualcosa di disgustante agli occhi di Dio.
Cosa comprendeva quel tipo di adorazione? Il popolo fece sacrifici di fronte al vitello e poi “si mise a
sedere per mangiare e bere. Quindi si levò per divertirsi”. (Esodo 32:4-6) Oggi alcuni possono asserire di
adorare Geova. Ma forse la loro vita è incentrata sulle cose del mondo, non sull’adorazione di Geova, ed
essi cercano di inserire il servizio di Geova negli spazi lasciati liberi da queste cose. È vero che questo
non è eccessivo quanto l’inchinarsi davanti a un vitello d’oro, ma in linea di principio non è molto diverso.
Chi fa dei propri desideri un dio è ben lontano dal vivere all’altezza della propria dedicazione a Geova. —
Filippesi 3:19.
12 Un tipo di divertimento è implicato anche nel successivo esempio ammonitore menzionato da Paolo.
“Né pratichiamo la fornicazione, come alcuni di essi commisero fornicazione, solo per cadere, ventitremila
d’essi in un giorno”. (1 Corinti 10:8) Gli israeliti, allettati dai piaceri immorali offerti dalle figlie di Moab,
furono indotti ad adorare il Baal di Peor a Sittim. (Numeri 25:1-3, 9) Rinnegare se stessi per fare la
volontà di Geova include che si accettino le sue norme su ciò che è moralmente puro. (Matteo 5:27-30) In
quest’epoca di degrado morale, ci viene ricordato il bisogno di mantenerci puri da ogni sorta di condotta
immorale, sottomettendoci all’autorità di Geova di decidere cosa è bene e cosa è male. — 1 Corinti 6:9-
11.
13 Anche se a Sittim molti caddero nella trappola della fornicazione, alcuni furono all’altezza della
dedicazione che la nazione aveva fatto a Geova. Uno di loro, Fineas, diede un notevole esempio di zelo.
Quando scorse un capo principale israelita che portava una madianita nella sua tenda, Fineas prese
immediatamente una lancia e li trafisse. Geova disse a Mosè: “Fineas . . . ha fatto ritirare la mia ira di
sopra i figli d’Israele perché non ha tollerato alcuna rivalità verso di me in mezzo a loro, così che non ho
sterminato i figli d’Israele nella mia insistenza sull’esclusiva devozione”. (Numeri 25:11) Non tollerare
alcuna rivalità verso Geova: ecco il senso della dedicazione. Non possiamo permettere che nel nostro
cuore qualcos’altro prenda il posto della dedicazione a Geova. Lo zelo per Geova ci spinge anche a
mantenere pura la congregazione non tollerando eventuali casi di grave immoralità, ma riferendoli agli
anziani.
14 Paolo menziona un altro esempio ammonitore: “Né mettiamo Geova alla prova, come alcuni di loro lo
misero alla prova, solo per perire mediante i serpenti”. (1 Corinti 10:9) Qui Paolo si riferiva alla
circostanza in cui gli israeliti si rivolsero a Mosè lamentandosi di Dio perché ‘si erano stancati a causa
della via’. (Numeri 21:4) Commettete mai questo errore? Quando vi siete dedicati a Geova, pensavate
forse che Armaghedon fosse proprio dietro l’angolo? La pazienza di Geova è stata più lunga di quanto vi
aspettavate? Ricordate: Non ci siamo dedicati a Geova per un certo periodo di tempo o solo fino ad
Armaghedon. La nostra dedicazione è per sempre. “Non smettiamo dunque di fare ciò che è eccellente,
poiché a suo tempo mieteremo se non ci stanchiamo”. — Galati 6:9.
15 Infine Paolo mise in guardia dal divenire “mormoratori” contro i servitori nominati da Geova. (1 Corinti
10:10) Gli israeliti mormorarono energicamente contro Mosè e Aaronne quando 10 dei 12 esploratori
inviati a perlustrare il paese di Canaan fecero un cattivo rapporto. Parlarono addirittura di sostituire Mosè
con un altro condottiero e di tornare in Egitto. (Numeri 14:1-4) Oggi accettiamo la guida che ci viene
impartita tramite l’operato dello spirito santo di Geova? Guardando la tavola spirituale riccamente
imbandita dalla classe dello schiavo fedele e discreto, è evidente chi Gesù sta impiegando per
dispensare “cibo a suo tempo”. (Matteo 24:45) La dedicazione con tutta l’anima a Geova richiede che si
rispettino i suoi servitori nominati. Non diveniamo mai come alcuni mormoratori dei nostri giorni che, per
così dire, si sono rivolti a un nuovo capo per essere ricondotti indietro nel mondo.
È il massimo che posso fare?
16 Gli israeliti non avrebbero commesso errori così gravi se avessero ricordato che la loro dedicazione a
Geova era senza riserve. A differenza di quegli israeliti infedeli, Gesù Cristo visse fino all’ultimo all’altezza
della sua dedicazione. Come seguaci di Cristo, vogliamo imitare il suo esempio di devozione con tutta
l’anima vivendo “non più per i desideri degli uomini, ma per la volontà di Dio”. (1 Pietro 4:2; confronta 2
Corinti 5:15). Oggi la volontà di Geova è “che ogni sorta di uomini siano salvati e vengano all’accurata
conoscenza della verità”. (1 Timoteo 2:4) Per questo dobbiamo predicare “questa buona notizia del
regno” prima che venga la fine. (Matteo 24:14) In che misura ci sforziamo di compiere questo servizio?
Potremmo chiederci: ‘È il massimo che posso fare?’ (2 Timoteo 2:15) Le circostanze variano. Geova
desidera essere servito “secondo ciò che la persona ha, non secondo ciò che non ha”. (2 Corinti 8:12;
Luca 21:1-4) Nessuno dovrebbe giudicare la profondità e la sincerità della dedicazione di un altro.
Ognuno dovrebbe valutare personalmente quanto è grande la propria devozione a Geova. (Galati 6:4) Il
nostro amore per Geova dovrebbe indurci a chiederci: ‘Come posso rendere felice Geova?’
17 La profondità della nostra devozione a Geova aumenta man mano che cresce l’apprezzamento per lui.
In Giappone un ragazzo di 14 anni si dedicò a Geova e simboleggiò la sua dedicazione col battesimo in
acqua. In seguito decise di proseguire gli studi per diventare scienziato. Non pensava affatto al ministero
a tempo pieno, ma come servitore dedicato non voleva lasciare Geova e la sua organizzazione. Per
realizzare il suo desiderio di far carriera si iscrisse all’università. Conobbe laureati che erano costretti a
dedicare tutta la loro vita alla ditta per cui lavoravano o agli studi. Si chiese: ‘Che ci faccio io qui? Posso
davvero vivere come loro e dedicarmi al lavoro secolare? Non sono già dedicato a Geova?’ Con
rinnovato apprezzamento iniziò il servizio di pioniere regolare. Comprese meglio il significato della sua
dedicazione e decise nel suo cuore di andare in qualsiasi posto ci fosse bisogno di lui. Frequentò la
Scuola di Addestramento per il Ministero e fu inviato come missionario all’estero.
18 La dedicazione influisce sulla nostra intera vita. Dobbiamo rinnegare noi stessi e seguire “di giorno in
giorno” l’eccellente esempio di Gesù. (Luca 9:23) Avendo rinnegato noi stessi, non possiamo chiedere a
Geova di concederci una licenza. La nostra vita deve conformarsi ai princìpi che Geova ha stabilito per i
suoi servitori. Anche nei campi in cui possiamo scegliere, è opportuno chiederci se stiamo facendo del
nostro meglio per vivere una vita dedicata a Geova. Mentre lo serviamo di giorno in giorno, facendo tutto
il possibile per piacergli, avremo successo come cristiani e avremo l’approvazione di Geova, Colui che
merita che gli rendiamo devozione con tutta l’anima.
[Foto a pagina 17]
I cristiani dedicati ‘non smettono di fare ciò che è eccellente’

w95 15/9 8-14


Gelosia per la pura adorazione di Geova
“Geova, il cui nome è Geloso, è un Dio geloso”. — ESODO 34:14.
GEOVA si definisce “un Dio geloso”. Forse vi chiederete il perché, dato che la parola “gelosia” ha una
connotazione negativa. Naturalmente la principale qualità di Dio è l’amore. (1 Giovanni 4:8) Qualunque
sentimento di gelosia da parte sua deve pertanto essere per il bene dell’umanità. In effetti vedremo che la
gelosia di Dio è essenziale per la pace e l’armonia dell’universo.
2 La parola base ebraica per “gelosia” e quelle derivate ricorrono più di 80 volte nelle Scritture Ebraiche.
Quasi la metà delle volte si riferisce a Geova Dio. “Quando è riferito a Dio”, spiega G. Herbert Livingston,
“il concetto di gelosia non indica un sentimento negativo, bensì l’insistenza sull’esclusiva adorazione di
Geova”. (The Pentateuch in Its Cultural Environment) Perciò a volte la Traduzione del Nuovo Mondo
rende questo sostantivo ebraico “insistenza sull’esclusiva devozione”. (Ezechiele 5:13) Altre traduzioni
valide sono “ardore” o “zelo”. — Salmo 79:5; Isaia 9:7.
3 L’uomo è stato creato con la capacità di provare gelosia, ma la caduta del genere umano nel peccato
ha determinato una distorsione di questo sentimento. Tuttavia la gelosia umana può avere un effetto
positivo. Può indurre l’individuo a proteggere una persona amata da influenze negative. Inoltre gli esseri
umani possono mostrare giusta gelosia per Geova e per la sua adorazione. (1 Re 19:10) Per esprimere il
senso corretto di questa gelosia per Geova, il sostantivo ebraico può essere tradotto ‘non tollerare
nessuna rivalità’ verso di lui. — 2 Re 10:16.
Il vitello d’oro
4 Un esempio di gelosia giusta si ebbe dopo che gli israeliti ricevettero la Legge al monte Sinai. Più volte
erano stati avvertiti di non adorare dèi di fattura umana. Geova aveva detto loro: “Io, Geova tuo Dio, sono
un Dio che esige esclusiva devozione [o, “un Dio che è geloso (zelante); un Dio che non tollera rivalità”]”.
(Esodo 20:5, nota in calce; confronta Esodo 20:22, 23; 22:20; 23:13, 24, 32, 33). Geova concluse un
patto con gli israeliti, promettendo di benedirli e di farli entrare nella Terra Promessa. (Esodo 23:22, 31) E
il popolo disse: “Siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito e a ubbidire”. — Esodo 24:7.
5 Di lì a poco, però, gli israeliti peccarono contro Dio. Erano ancora accampati ai piedi del Sinai. Mosè era
sul monte da molti giorni per ricevere ulteriori istruzioni da Dio e il popolo fece pressione su Aaronne,
fratello di Mosè, perché facesse loro un dio. Aaronne acconsentì e fece un vitello con l’oro messo a
disposizione dal popolo. Si disse che quell’idolo rappresentava Geova. (Salmo 106:20) Il giorno seguente
offrirono sacrifici e continuarono “a inchinarsi” davanti a esso. Poi ‘si divertirono’. — Esodo 32:1, 4, 6, 8,
17-19.
6 Mosè scese dal monte mentre gli israeliti facevano baldoria. Vedendo la loro condotta vergognosa,
gridò: “Chi è dalla parte di Geova?” (Esodo 32:25, 26) I figli di Levi si radunarono presso Mosè ed egli
comandò loro di prendere le spade e di mettere a morte i festeggiatori idolatri. Dimostrando la loro
gelosia per la pura adorazione di Dio, i leviti uccisero circa 3.000 dei loro fratelli colpevoli. Geova rinforzò
quell’azione colpendo i superstiti con una piaga. (Esodo 32:28, 35) Allora Dio ripeté il comando: “Non
devi prostrarti davanti a un altro dio, perché Geova, il cui nome è Geloso, è un Dio geloso”. — Esodo
34:14.
Il Baal di Peor
7 Quarant’anni dopo, quando la nazione di Israele stava per entrare nella Terra Promessa, attraenti
moabite e madianite adescarono molti israeliti perché andassero da loro e accettassero la loro ospitalità.
Quegli israeliti avrebbero dovuto rifiutarsi di stare in intima compagnia con adoratori di falsi dèi. (Esodo
34:12, 15) Invece corsero come ‘tori che vanno al macello’, commisero fornicazione con le donne e si
prostrarono con loro davanti al Baal di Peor. — Proverbi 7:21, 22; Numeri 25:1-3.
8 Geova mandò un flagello per uccidere quelli che avevano partecipato a quella vergognosa forma di
adorazione del sesso. Dio comandò inoltre agli israeliti innocenti di uccidere i loro fratelli colpevoli. Con
grande sfacciataggine uno dei capi principali di Israele, un certo Zimri, portò una principessa madianita
nella sua tenda per avere rapporti con lei. Vedendo questo, Fineas, sacerdote timorato di Dio, mise a
morte la coppia immorale. Allora il flagello si fermò e Dio dichiarò: “[Fineas] ha rimosso la mia ira dai figli
d’Israele, perch’egli è stato animato della stessa mia gelosia in mezzo a loro; così nella mia gelosia non
ho sterminato i figli d’Israele”. (Numeri 25:11, La Nuova Diodati) Benché la nazione fosse risparmiata
dalla distruzione, almeno 23.000 israeliti perirono. (1 Corinti 10:8) Persero l’opportunità di entrare nella
Terra Promessa in cui avevano tanto sperato.
Una lezione ammonitrice
9 Purtroppo gli israeliti dimenticarono presto queste lezioni. Non si dimostrarono gelosi della pura
adorazione di Geova. ‘Con le loro immagini scolpite incitarono Dio a gelosia’. (Salmo 78:58) Di
conseguenza Geova lasciò che le dieci tribù di Israele fossero portate in schiavitù dagli assiri nel 740
a.E.V. Le restanti due tribù, che formavano il regno di Giuda, subirono una punizione analoga quando nel
607 a.E.V. la capitale, Gerusalemme, fu distrutta. Molti furono uccisi e i superstiti furono deportati in
Babilonia. Che esempio ammonitore per tutti i cristiani oggi! — 1 Corinti 10:6, 11.
10 Un terzo della popolazione terrestre — circa un miliardo e 900 milioni di persone — si professa ora
cristiano. (1994 Britannica Book of the Year) Perlopiù appartiene a chiese che nell’adorazione fanno uso
di icone, immagini e croci. Geova non risparmiò il suo proprio popolo che lo incitava a gelosia
commettendo idolatria. Non risparmierà nemmeno i sedicenti cristiani che lo adorano con l’ausilio di
oggetti materiali. “Dio è uno Spirito, e quelli che l’adorano devono adorarlo con spirito e verità”, disse
Gesù Cristo. (Giovanni 4:24) Inoltre, la Bibbia mette in guardia i cristiani contro l’idolatria. (1 Giovanni
5:21) Gli idolatri impenitenti sono fra coloro che non erediteranno il Regno di Dio. — Galati 5:20, 21.
11 Anche se non si inchinerebbe mai davanti a un idolo, il vero cristiano deve evitare qualunque cosa sia
idolatrica, impura e peccaminosa agli occhi di Dio. Per esempio, la Bibbia avverte: “Fate morire perciò le
membra del vostro corpo che sono sulla terra rispetto a fornicazione, impurità, appetito sessuale, desideri
dannosi e concupiscenza, che è idolatria. A causa di queste cose viene l’ira di Dio”. (Colossesi 3:5, 6) Per
ubbidire a queste parole occorre respingere il comportamento immorale. Questo richiede che si evitino
quei tipi di svago fatti apposta per suscitare impuri appetiti sessuali. Invece di soddisfare desideri del
genere, i veri cristiani manifestano gelosia per la pura adorazione di Dio.
Successivi esempi di santa gelosia
12 Il principale esempio in quanto a mostrare gelosia per la pura adorazione di Dio fu Gesù Cristo. Nel
primo anno del suo ministero vide avidi mercanti che trafficavano nei cortili del tempio. Gli ebrei venuti da
fuori potevano aver bisogno dei cambiamonete per cambiare la valuta straniera e pagare la tassa del
tempio. Avevano anche bisogno di acquistare animali e uccelli da offrire in sacrificio come richiesto dalla
Legge di Dio. Questi scambi commerciali si sarebbero dovuti svolgere fuori dei cortili del tempio. Quel
che è peggio, i mercanti evidentemente approfittavano dei bisogni religiosi dei propri fratelli facendo
pagare loro prezzi esorbitanti. Divorato dalla gelosia per la pura adorazione di Dio, Gesù usò una sferza
per scacciare pecore e bovini. Rovesciò inoltre i tavoli dei cambiamonete, dicendo: “Smettete di fare della
casa del Padre mio una casa di mercato!” (Giovanni 2:14-16) Così Gesù adempì le parole di Salmo 69:9:
“L’assoluto zelo [o, “la gelosia”, Byington] per la tua casa mi ha divorato”.
13 Tre anni dopo, Gesù notò di nuovo avidi mercanti che facevano affari nel tempio di Geova. L’avrebbe
purificato una seconda volta? La sua gelosia per la pura adorazione di Dio era forte come quando aveva
iniziato il suo ministero. Egli scacciò sia i venditori che i compratori. E fornì una ragione ancor più
vigorosa per le sue azioni, dicendo: “Non è scritto: ‘La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte
le nazioni’? Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladroni”. (Marco 11:17) Che meraviglioso esempio di
costanza nel manifestare santa gelosia!
14 La personalità del Signore Gesù Cristo, ora glorificato, non è cambiata. (Ebrei 13:8) Nel XX secolo egli
è altrettanto geloso della pura adorazione del Padre come quando era sulla terra. Lo si può notare dai
messaggi che Gesù rivolse alle sette congregazioni e che sono riportati nel libro di Rivelazione, o
Apocalisse. Essi hanno il loro adempimento principale oggi, nel “giorno del Signore”. (Rivelazione 1:10;
2:1–3:22) Nella visione l’apostolo Giovanni vide il glorificato Gesù Cristo con “occhi come fiamma di
fuoco”. (Rivelazione 1:14) Questo indica che nulla sfugge all’attenzione di Cristo mentre ispeziona le
congregazioni per assicurarsi che si mantengano pure e idonee per il servizio di Geova. Oggi i cristiani
devono tenere presente l’avvertimento di Gesù circa il servire due padroni: Dio e la ricchezza. (Matteo
6:24) A chi era materialista nella congregazione di Laodicea Gesù disse: “Poiché sei tiepido e non sei né
caldo né freddo, ti vomiterò dalla mia bocca. . . . Sii zelante e pentiti”. (Rivelazione 3:14-19) Con le parole
e con l’esempio, gli anziani nominati della congregazione dovrebbero cercare di aiutare i loro conservi a
evitare la trappola del materialismo. Gli anziani devono anche proteggere il gregge dalla corruzione
morale di questo mondo, che ha il pallino del sesso. Per di più i servitori di Dio non devono tollerare nella
congregazione nessuna influenza paragonabile a quella di Izebel. — Ebrei 12:14, 15; Rivelazione 2:20.
15 L’apostolo Paolo fu un imitatore di Cristo. Per proteggere i cristiani battezzati da poco da influenze
spiritualmente malsane, egli disse: “Sono geloso di voi con una santa gelosia”. (2 Corinti 11:2) Prima di
ciò la gelosia di Paolo per la pura adorazione lo aveva spinto a ordinare alla stessa congregazione di
disassociare un fornicatore impenitente che costituiva un fattore di contaminazione. Le istruzioni ispirate
date in quella circostanza sono di grande aiuto agli anziani odierni che si adoperano per mantenere pure
le oltre 75.500 congregazioni dei testimoni di Geova. — 1 Corinti 5:1, 9-13.
La gelosia di Dio è di beneficio per il suo popolo
16 Quando per punizione Dio lasciò che gli abitanti di Giuda fossero portati prigionieri in Babilonia, essi
divennero oggetto di scherno. (Salmo 137:3) Mossi da odio e gelosia, gli edomiti addirittura aiutarono i
babilonesi a far soffrire il popolo di Dio, e Geova ne tenne conto. (Ezechiele 35:11; 36:15) In esilio i
superstiti si pentirono e dopo 70 anni Geova li fece tornare in patria.
17 Sulle prime gli abitanti di Giuda si trovarono in una situazione molto difficile. La città di Gerusalemme e
il suo tempio giacevano in rovina. Ma le nazioni circostanti si opponevano a qualsiasi tentativo di
ricostruire il tempio. (Esdra 4:4, 23, 24) Che ne pensava Geova? Il racconto ispirato afferma: “Geova
degli eserciti ha detto questo: ‘Sono stato geloso di Gerusalemme e di Sion con grande gelosia. Con
grande indignazione mi sento indignato contro le nazioni che sono a loro agio; perché io, da parte mia, mi
sentii indignato solo per un poco, ma esse, da parte loro, aiutarono alla calamità’. Perciò Geova ha detto
questo: ‘Certamente tornerò a Gerusalemme con misericordie. La mia propria casa sarà edificata in
essa’, è l’espressione di Geova degli eserciti”. (Zaccaria 1:14-16) In armonia con questa promessa, il
tempio e la città di Gerusalemme vennero finalmente ricostruiti.
18 Nel XX secolo la vera congregazione cristiana ha avuto un’esperienza simile. Durante la prima guerra
mondiale Geova disciplinò i suoi servitori perché non erano stati rigidamente neutrali in quel conflitto
mondiale. (Giovanni 17:16) Dio lasciò che le potenze politiche li opprimessero e il clero della cristianità si
rallegrò di tale calamità. Anzi, gli ecclesiastici istigarono i politici a mettere al bando l’opera degli Studenti
Biblici, come si chiamavano allora i testimoni di Geova. — Rivelazione 11:7, 10.
19 Tuttavia Geova mostrò gelosia per la sua adorazione e nell’anno postbellico 1919 fece tornare i suoi
servitori nel suo favore. (Rivelazione 11:11, 12) Come risultato il numero dei lodatori di Geova è passato
da meno di 4.000 nel 1918 a circa 5 milioni oggi. (Isaia 60:22) Presto la gelosia di Geova per la sua pura
adorazione sarà evidente in modi ancor più straordinari.
Futuri atti di gelosia divina
20 Per secoli le chiese della cristianità hanno imitato la condotta degli apostati abitanti di Giuda che
incitavano Geova a gelosia. (Ezechiele 8:3, 17, 18) Presto Geova Dio agirà mettendo nel cuore di membri
delle Nazioni Unite un pensiero drastico che spingerà quelle potenze politiche a devastare la cristianità e
il resto della falsa religione. (Rivelazione 17:16, 17) I veri adoratori sopravvivranno a quella spaventosa
esecuzione del giudizio divino. Accoglieranno l’invito delle creature celesti che dicono: “Lodate Iah! . . .
Poiché egli ha eseguito il giudizio contro la grande meretrice [la falsa religione] che corrompeva la terra
con la sua fornicazione [i falsi insegnamenti e l’appoggio dato alla politica corrotta], e ha vendicato il
sangue dei suoi schiavi dalla mano di lei”. — Rivelazione 19:1, 2.
21 Cosa accadrà dopo la distruzione dell’impero mondiale della falsa religione? Satana inciterà le potenze
politiche a lanciare un attacco a oltranza contro il popolo di Geova. Come reagirà il vero Dio a questo
tentativo satanico di spazzare via la vera adorazione dalla faccia della terra? Ezechiele 38:19-23
risponde: “Nel mio ardore [o, “nella mia gelosia”], nel fuoco del mio furore, [io, Geova,] dovrò parlare. . . .
E certamente verrò in giudizio con lui [con Satana], con la pestilenza e col sangue; e farò piovere un
rovescio di pioggia inondatrice e chicchi di grandine, fuoco e zolfo su di lui e sulle sue schiere e sui molti
popoli che saranno con lui. E certamente mi magnificherò e mi santificherò e mi farò conoscere davanti
agli occhi di molte nazioni; e dovranno conoscere che io sono Geova”. — Vedi anche Sofonia 1:18; 3:8.
22 Com’è confortante sapere che il Sovrano Signore dell’universo ha cura dei suoi veri adoratori e ne è
geloso! Spinti da profonda gratitudine per la sua immeritata benignità, dimostriamo anche noi gelosia per
la pura adorazione di Geova Dio. Con zelo, continuiamo a predicare la buona notizia e attendiamo
fiduciosamente il grande giorno in cui Geova magnificherà e santificherà il suo eccelso nome. — Matteo
24:14.
[Figura a pagina 10]
Fineas fu geloso della pura adorazione di Geova
Fineas (n.2) --- Tema: Non mancate mai di rispetto a Geova GALATI 6:7

it-1 937-8
FINEAS (Fìneas).
2. Il minore dei due figli “buoni a nulla” del sacerdote Eli. (1Sa 1:3; 2:12) Mentre prestavano servizio come
sacerdoti, lui e il fratello Ofni avevano rapporti con donne presso il santuario e “trattavano l’offerta di
Geova senza rispetto”. (1Sa 2:13-17, 22) Debolmente ripresi dal padre, rifiutarono di dare ascolto. Per la
loro malvagità Dio pronunciò un giudizio contro di loro, che si adempì quando entrambi furono uccisi lo
stesso giorno mentre combattevano contro i filistei. (1Sa 2:23-25, 34; 3:13; 4:11) La notizia della cattura
dell’Arca e della morte del suocero e del marito fu fatale per la moglie di Fineas che, colta
prematuramente dalle doglie, morì nel dare alla luce Icabod. — 1Sa 4:17-21.
Gabriele — Tema: Trasmessi fedelmente i messaggi di Dio EBREI 1:14

it-1 981 Gabriele


GABRIELE
[robusto di Dio].
L’unico santo angelo oltre a Michele menzionato per nome nella Bibbia; l’unico angelo materializzato che
dichiarò il proprio nome. Due volte Gabriele apparve a Daniele: la prima presso il fiume Ulai “nel terzo
anno del regno di Baldassarre”, per spiegare a Daniele la visione del capro e del montone (Da 8:1, 15-
26); la seconda “nel primo anno di Dario” il Medo, per trasmettere la profezia delle “settanta settimane”.
(Da 9:1, 20-27) Al sacerdote Zaccaria, Gabriele portò la buona notizia che lui e sua moglie Elisabetta,
ormai anziana, avrebbero avuto un figlio, Giovanni (il Battezzatore). (Lu 1:11-20) A Maria, ragazza
vergine promessa sposa a Giuseppe, Gabriele annunciò: “Buon giorno, altamente favorita, Geova è con
te”. Poi le spiegò che avrebbe avuto un figlio, Gesù, di cui disse: “Sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; e
Geova Dio gli darà il trono di Davide suo padre, . . . e del suo regno non ci sarà fine”. — Lu 1:26-38.
Dalla Bibbia si apprende che Gabriele è una creatura angelica di primo piano che fa parte della corte
celeste e sta “dinanzi a Dio”, che fu “mandato” da Geova Dio a portare speciali messaggi ai Suoi servitori
qui sulla terra (Lu 1:19, 26), e che apparve in visione o materializzato con l’aspetto di “un uomo robusto”,
in armonia col significato del suo nome. — Da 8:15.

w85 1/4 9 Messaggi dal cielo


Sicuramente Gabriele si sarà sentito privilegiato per aver trasmesso questi messaggi. E, man mano che
nei prossimi numeri di questa rivista leggeremo altri particolari sul conto di Giovanni e di Gesù,
comprenderemo più chiaramente la ragione per cui questi messaggi dal cielo sono tanto importanti.
II Timoteo 3:16; Luca 1:5-33.
Gazzella (cristiana di Ioppe) — Tema: I veri cristiani abbondano in opere buone 1° TIMOTEO 6:17-19 ;
PROVERBI 11:25
it-1 997 Gazzella, I
GAZZELLA, I
Cristiana della congregazione di Ioppe la quale “abbondava in buone opere e faceva doni di
misericordia”, che evidentemente includevano il confezionare vesti e mantelli per le vedove bisognose.
(At 9:36, 39) “Gazzella” è la traduzione del greco “Dorcas” e dell’aramaico “Tabita”. Può darsi che questa
cristiana fosse conosciuta con entrambi i nomi, non essendo insolito per gli ebrei, specie se risiedevano
in città portuali come Ioppe con popolazione mista di ebrei e gentili, avere un nome ebraico e uno greco o
latino. Oppure Luca può aver tradotto il nome a beneficio dei lettori gentili. Gazzella è l’unica donna
menzionata nelle Scritture a cui sia applicata la forma femminile “discepola”. Questo però non vuol dire
che avesse una posizione speciale nella congregazione, poiché tutti i cristiani erano in effetti discepoli di
Gesù Cristo. (Mt 28:19, 20) La sua morte avvenuta verso il 36 E.V. addolorò moltissimo le vedove alle
quali con la sua benignità aveva fatto molto bene, mentre non si parla del dispiacere provato dal marito,
fatto che indicherebbe che all’epoca non era sposata.
Quando morì, i discepoli di Ioppe la prepararono per la sepoltura e, appreso che l’apostolo Pietro era a
Lidda, circa 18 km a SE di Ioppe, lo mandarono a chiamare. Senza dubbio avevano saputo che Pietro
aveva guarito il paralitico Enea e ciò poteva dar loro ragione di sperare che potesse risuscitare Gazzella;
oppure si rivolsero a lui solo per essere consolati. — At 9:32-38.
Seguendo una procedura simile a quella con cui Gesù aveva risuscitato la figlia di Iairo (Mr 5:38-41; Lu
8:51-55), Pietro, dopo aver fatto uscire tutti dalla stanza, pregò e quindi disse: “Tabita, alzati!” Gazzella
aprì gli occhi, si sedette e, presa la mano di Pietro, si alzò. Questa è la prima risurrezione compiuta da un
apostolo di cui si abbia notizia, in seguito alla quale molti divennero credenti in tutta Ioppe. — At 9:39-42.

w81 15/5 8-9 La generosità reca benedizioni


La Parola di Dio è vivente
La generosità reca benedizioni
SIAMO in una stanza superiore in un quartiere della città di Ioppe, sulle rive del Mediterraneo. La donna
che giace sul letto è morta di malattia. Si tratta di una cristiana del I secolo chiamata Tabita (Dorcas in
greco), cioè Gazzella. Alla sua morte, due messaggeri sono stati mandati alla vicina città di Lidda a
chiamare l’apostolo Pietro.
Quando Pietro entra nella stanza trova le donne in lacrime. Volevano bene a Gazzella, perché compiva
molte opere buone. Mostrano a Pietro le vesti da lei cucite per loro. Come discepola di Cristo, Gazzella
deve essere stata anche molto attiva nel parlare ad altri del regno di Dio. Ma cosa può fare Pietro per lei
ora che è morta?
La prima cosa che Pietro fa è quella di far uscire tutti. Poi, dopo essersi inginocchiato e aver pregato, si
rivolge al cadavere e dice: “Tabita, alzati!” A questo punto, come puoi vedere, la donna apre gli occhi. È
tornata in vita! Pietro l’aiuta ad alzarsi.
Ora Pietro fa entrare gli altri. Puoi immaginare l’incontenibile gioia che devono aver provato vedendo
Gazzella in piedi, viva! Che meravigliosa benedizione essere destati dai morti! — Atti 9:36-42.
Da ciò possiamo imparare una lezione: Chi cerca di aiutare altri — mettendo generosamente a loro
disposizione il suo tempo, le sue energie e le sue capacità — sarà riccamente ricompensato. In questo
caso non erano solo quelle donne ad amare Gazzella per le sue buone opere, ma anche Geova Dio. Per
questo diede a Pietro il potere di destarla dai morti.
Impara quindi bene questa lezione: Se sei generoso con altri, ti ricorderanno con amore. Per di più la
generosità è una delle importanti qualità di cui hai bisogno per essere ricordato da Dio. Egli può
ricompensarti con la vita, la vita eterna nel suo giusto nuovo ordine. — Prov. 11:25; I Giov. 2:17.

w91 15/7 21-2 Perseguiamo sempre l'amorevole benignità


Donne che mostrano benignità
15 L’amorevole benignità di Gazzella (Tabita), discepola di Ioppe, non mancò di essere ricompensata.
“Essa abbondava in buone opere e faceva doni di misericordia”, e quando “si ammalò e morì” i discepoli
mandarono a chiamare Pietro che si trovava a Lidda. Quando Pietro arrivò, “lo condussero nella camera
superiore; e tutte le vedove gli si presentarono, piangendo e mostrando molte vesti e mantelli che
Gazzella faceva mentre era con loro”. Immaginatevi la scena: queste vedove tristi e piangenti raccontano
all’apostolo quanto era benigna Gazzella, e gli mostrano quegli indumenti come prova del suo amore e
della sua benignità. Dopo aver mandato tutti fuori, Pietro si inginocchia per pregare e si volta verso il
corpo. Immaginate di sentirlo mentre dice: “Tabita, alzati!” E guardate! “Essa aprì gli occhi e, scorto
Pietro, si mise a sedere. Datale la mano, egli la fece alzare e, chiamati i santi e le vedove, la presentò
vivente”. (Atti 9:36-41) Che benedizione da Dio!
16 Per quel che sappiamo, questa fu la prima risurrezione compiuta da un apostolo di Gesù Cristo. E alla
base delle circostanze che portarono a questo miracolo meraviglioso c’era la benignità. Chi può dire se
Gazzella sarebbe stata riportata in vita se non avesse abbondato in buone opere e non avesse fatto doni
di misericordia, cioè se non avesse abbondato in amorevole benignità? Il miracolo della risurrezione di
Gazzella non solo fu una benedizione per lei e per quelle vedove, ma diede anche testimonianza alla
gloria di Dio. Sì, “questo fu noto in tutta Ioppe e molti divennero credenti nel Signore”. (Atti 9:42) Anche
oggi benigne donne cristiane abbondano in buone opere, forse confezionando abiti per i compagni di
fede, preparando da mangiare per chi è più anziano e mostrando ospitalità ad altri. (1 Timoteo 5:9, 10)
Che testimonianza è questa per chi ci osserva! Soprattutto, come siamo felici che la santa devozione e
l’amorevole benignità spingano questo ‘grande esercito di donne ad annunciare la buona notizia’ alla
gloria del nostro Dio, Geova! — Salmo 68:11.
Gedeone — Tema: Dio approva chi è fedele e modesto 1°CORINTI 4:2 ; PROVERBI 11:2

it-1 999-1000 Gedeone


GEDEONE
[tagliatore; stroncatore].
Uno dei più notevoli giudici d’Israele; figlio di Joas della famiglia di Abiezer della tribù di Manasse.
Gedeone risiedeva a Ofra, villaggio che si trovava a O del Giordano. La sua divisione era la più
insignificante della tribù di Manasse e lui stesso era “il più piccolo nella casa di [suo] padre”. — Gdc 6:11,
15.
Gedeone visse in un momento molto turbolento della storia di Israele. Poiché erano stati infedeli a Geova
gli israeliti non godevano il frutto della loro fatica. Per diversi anni le nazioni pagane vicine, specie i
madianiti, avevano invaso Israele al tempo della raccolta, “numerosi come le locuste”. Per sette anni la
mano di Madian aveva gravato su di loro, tanto che gli israeliti si erano fatti dei depositi sotterranei per
nascondere le scorte di viveri agli invasori. — Gdc 6:1-6.
Chiamato a liberare Israele. Per non essere scoperto dai madianiti, Gedeone trebbiava il grano in uno
strettoio anziché all’aperto quando gli apparve un angelo che gli disse: “Geova è con te, o potente e
valoroso”. Gedeone chiese come ciò potesse essere vero, dato che i madianiti opprimevano la nazione.
Quando gli fu detto che sarebbe stato lui a liberare Israele, Gedeone disse modestamente di essere
insignificante, ma gli fu assicurato che Geova sarebbe stato con lui. Allora Gedeone chiese un segno per
accertarsi che il messaggero fosse davvero un angelo di Geova. Portò in dono carne, pani non fermentati
e brodo, e per ordine dell’angelo li pose su una grande roccia e versò il brodo. L’angelo toccò la carne e i
pani non fermentati col suo bastone, e fuoco ascese dalla roccia e consumò l’offerta; dopo di che l’angelo
svanì. — Gdc 6:11-22.
Quella notte stessa Geova mise alla prova Gedeone comandandogli di demolire l’altare che suo padre
aveva eretto al dio Baal, di abbattere il palo sacro che c’era accanto, di edificare un altare a Geova e poi
di sacrificare su di esso il giovane toro di sette anni di proprietà del padre (toro che evidentemente era
ritenuto sacro a Baal), usando come legna il palo sacro. Per prudenza Gedeone lo fece di notte, con
l’aiuto di dieci servitori. Quando gli uomini del villaggio si alzarono la mattina, videro l’accaduto e, saputo
che era stato Gedeone, chiesero a gran voce che fosse messo a morte. Joas però non consegnò loro il
figlio ma replicò che Baal avrebbe dovuto difendersi da solo. Allora Joas diede al figlio Gedeone il nome
di Ierubbaal (che significa “faccia Baal una difesa legale [contenda]”), dicendo: “Faccia Baal una difesa in
suo proprio favore, perché qualcuno ha abbattuto il suo altare”. — Gdc 6:25-32.
Vittoria su Madian. Dopo ciò, quando i madianiti, insieme agli amalechiti e agli orientali, invasero di
nuovo Israele e si accamparono nella valle di Izreel, lo spirito di Geova avvolse Gedeone. Dopo aver
convocato gli abiezeriti per la battaglia, Gedeone inviò messaggeri a tutto Manasse, e anche ad Aser,
Zabulon e Neftali, esortandoli a unirsi a lui. Per essere certo di avere il sostegno di Dio, Gedeone chiese
che un vello esposto di notte nell’aia l’indomani mattina fosse bagnato di rugiada mentre l’aia doveva
essere asciutta. Quando Geova gli concesse questo miracolo, Gedeone cautamente volle accertarsi
mediante un secondo segno che Geova fosse veramente con lui, e perciò chiese e ottenne il miracolo
inverso. — Gdc 6:33-40.
Accogliendo il suo invito, 32.000 combattenti si raccolsero intorno a Gedeone. Si accamparono presso il
pozzo di Harod a S dell’accampamento madianita che si trovava presso il colle di More nel bassopiano.
Gli invasori, forti di circa 135.000 uomini, erano oltre quattro volte più numerosi dei 32.000 israeliti. (Gdc
8:10) Ma Geova indicò che gli uomini di Gedeone erano troppi, nel senso che se Dio avesse dato Madian
nelle loro mani, avrebbero potuto concludere che la salvezza era dovuta al loro proprio valore. Per ordine
di Dio, Gedeone disse a chi aveva timore e tremava di ritirarsi. Anche se 22.000 se ne andarono, ne
rimasero ancora troppi. Geova ordinò quindi a Gedeone di condurre i 10.000 uomini rimasti fino all’acqua
per metterli alla prova. Pochi, solo 300, si portarono l’acqua alla bocca con la mano, e questi furono
messi da una parte. Gli altri, che si erano inginocchiati per bere, vennero scartati. I 300, con il loro modo
di bere, si erano rivelati desti, ansiosi di combattere per la vera adorazione nel nome di Geova. Geova
promise che avrebbe salvato Israele mediante quella piccola schiera di 300 uomini. — Gdc 7:1-7.
Di notte Gedeone e il suo servitore Pura andarono a perlustrare l’accampamento nemico. Là Gedeone
sentì un uomo raccontare un sogno a un suo compagno. Questi a sua volta disse che il sogno significava
che Madian e tutto l’accampamento sarebbero stati dati nelle mani di Gedeone. Rafforzato da ciò che
aveva udito, Gedeone tornò all’accampamento d’Israele, organizzò i 300 in tre schiere per poter attaccare
l’accampamento di Madian da tre parti, e diede a ogni uomo un corno e una grande giara con dentro una
torcia. — Gdc 7:9-16.
Con i suoi 100 uomini Gedeone raggiunse l’accampamento madianita appena si erano appostate le
sentinelle per la veglia intermedia della notte. Allora, secondo gli ordini di Gedeone, i suoi uomini fecero
esattamente ciò che fece lui. La quiete della notte fu interrotta dal suono dei 300 corni, dal rumore delle
300 giare infrante e dal rimbombo di 300 grida di guerra; allo stesso tempo il cielo fu illuminato dalle 300
torce. L’accampamento nemico fu preso dal panico. Gli invasori cominciarono a gridare e a fuggire, e
“Geova poneva in tutto il campo la spada di ciascuno contro l’altro; e il campo continuò la fuga fino a Bet-
Sitta, verso Zerera, fino alla periferia di Abel-Meola presso Tabbat”. — Gdc 7:17-22.
Intanto gli uomini di Neftali, Aser e Manasse si erano radunati per inseguire Madian. Inoltre furono inviati
messaggeri a Efraim perché intercettasse i madianiti in fuga. Gli efraimiti fecero ciò, impadronendosi delle
acque fino a Bet-Bara e al Giordano. Inoltre catturarono e uccisero i due principi madianiti Oreb e Zeeb.
Incontratisi con Gedeone gli efraimiti però “cercarono con veemenza di attaccar lite con lui” perché non li
aveva convocati dall’inizio. Tuttavia Gedeone, facendo notare modestamente che quello che aveva fatto
lui non era nulla in confronto a quello che avevano fatto loro catturando Oreb e Zeeb, calmò il loro spirito
e così evitò uno scontro. — Gdc 7:23–8:3.
Passato il Giordano, Gedeone e i 300 che erano con lui, benché stanchi, continuarono a inseguire Zeba e
Zalmunna, i re di Madian, e i loro uomini. Per via egli chiese viveri agli uomini di Succot, ma i principi di
Succot rifiutarono di prestare aiuto, dicendo: “Sono le palme delle mani di Zeba e di Zalmunna già nella
tua mano così che si debba dare pane al tuo esercito?” Anche gli uomini di Penuel rifiutarono di
soddisfare la richiesta di Gedeone. — Gdc 8:4-9.
Giunto a Carcor dove gli invasori, ridotti a circa 15.000 uomini, erano accampati, Gedeone attaccò di
sorpresa l’accampamento nemico. Zeba e Zalmunna si diedero alla fuga. Immediatamente Gedeone li
inseguì e li catturò. Inoltre “fece tremare tutto l’accampamento”. — Gdc 8:10-12.
Di ritorno dal combattimento, Gedeone catturò un giovane di Succot e da lui si informò dei nomi dei
principi e degli anziani della città. Mantenendo ciò che aveva detto quando non avevano soddisfatto la
sua richiesta di viveri, Gedeone inflisse agli anziani di Succot una lezione con spine e rovi. Inoltre, come
aveva promesso, abbatté la torre di Penuel e uccise gli uomini della città perché non avevano collaborato
provvedendo viveri per i suoi uomini. — Gdc 8:13-17.
Quindi Gedeone ordinò a Ieter suo primogenito di uccidere Zeba e Zalmunna, perché avevano ucciso i
fratelli dello stesso Gedeone, figli di sua madre. Per la sua ancora giovane età, Ieter ebbe paura di
mettere a morte i re di Madian. Perciò Gedeone, sfidato da Zeba e Zalmunna a farlo lui stesso, li
giustiziò. — Gdc 8:18-21.
L’efod. Gli israeliti riconoscenti chiesero a Gedeone di fondare con la sua famiglia una dinastia reale. Ma
egli, consapevole che Geova era il legittimo Re di Israele, non aderì alla loro richiesta. Suggerì invece
che offrissero i gioielli d’oro presi come bottino di guerra. I soli anelli da naso ammontavano a 1.700 sicli
d’oro (ca. 310.000.000 di lire). Quindi fece un efod e lo espose a Ofra. Ma tutto Israele cominciò ad avere
“rapporti immorali” con l’efod, che diventò un laccio per Gedeone e la sua famiglia. Così, anche se fatto
per un motivo giusto, l’efod distolse l’attenzione dal vero santuario di Geova, il tabernacolo. I tentativi di
Gedeone fallirono, producendo un risultato contrario a quello voluto. — Gdc 8:22-27; vedi EFOD, II.
Testimone approvato. La liberazione che Geova effettuò per mezzo di Gedeone fu così completa che
per i 40 anni durante i quali egli fu giudice nulla turbò più la pace. Gedeone prese molte mogli da cui
ebbe 70 figli. Dopo la sua morte avvenuta in tarda età Israele cadde di nuovo vittima dell’adorazione di
Baal. Inoltre Abimelec, figlio che Gedeone ebbe dalla sua concubina, una donna di Sichem, uccise gli altri
figli di Gedeone. Solo Iotam, il minore, scampò. — Gdc 8:28–9:5; vedi ABIMELEC n. 4; OFRA n. 3.
Per la sua fede Gedeone, nonostante le alterne vicende, meritò di essere incluso nel “così gran nuvolo di
testimoni”. (Eb 11:32; 12:1) Inoltre fu di una modestia esemplare, unita a grande cautela. Evidentemente
la sua cautela fu salutare, e non si deve pensare che derivasse da mancanza di fede, poiché non fu mai
rimproverato per essere stato cauto. Per di più, com’è indicato dal Salmo 83, la sconfitta di Madian ai
giorni di Gedeone costituisce un modello profetico della prossima distruzione di tutti i nemici di Geova, a
completa rivendicazione del suo santo nome. — Cfr. Isa 9:4; 10:26.

km 9/73 2-3 Adunanze di Servizio


Min. 25: Gedeone e i trecento fedeli. Invitate l’uditorio a leggere e a commentare le scritture e a farne
l’applicazione personale.
Gedeone divenne giudice d’Israele dopo la morte di Giosuè e prima che vi fossero re in Israele. Israele
non seguiva la vera adorazione; così Geova permise che fosse oppresso da Madian. Geova scelse
Gedeone. Leggete Giudici 6:1, 7-12, 15, 16.
Geova lo invitò ad abbattere un altare di Baal appartenente a suo padre Joas e a erigere un altare a
Geova. Leggete Giudici 6:25-27. Gli uomini della città si adirarono; volevano mettere a morte Gedeone.
Ma suo padre ribatté che dovevano lasciare che Baal si difendesse da sé se poteva. Leggete Giudici
6:28-31. Benché il compito non fosse facile, Gedeone diede prova d’essere un ubbidiente adoratore di
Geova.
Quando i Madianiti fecero guerra a Israele, lo spirito di Geova spinse Gedeone a radunare le forze per
difendere Israele. Ma non era con un gran numero di persone che Geova avrebbe liberato Israele.
Leggete Giudici 6:34; 7:2-4, 7. Geova diede a Gedeone ulteriori assicurazioni. Leggete Giudici 7:9-15.
Gedeone agì con fede, e Geova diede la vittoria. Leggete Giudici 7:16-22.
Che cosa apprendiamo dalla fedele condotta di Gedeone e dei trecento? Invitate l’uditorio a commentare
i seguenti punti.
1. Gedeone ripose fede in Geova e nella sua capacità di salvare; anche noi dobbiamo far questo. Israele
faceva ciò ch’era male agli occhi di Geova. Prevaleva l’adorazione di Baal. Gedeone dovette essere
molto leale a Geova per ubbidire al comando di abbattere l’altare di Baal appartenente a suo padre e per
difendere la vera adorazione di Geova.
2. Oggi ci si presentano spesso grandi ostacoli nel nostro territorio dove la falsa religione esercita forte
presa sul popolo. Dobbiamo avere una fede come quella di Gedeone e agire ubbidientemente nella
guerra spirituale.
3. Gedeone dovette esercitare ulteriore fede in quanto Geova si serviva di un piccolo gruppo per
compiere la sua volontà. Gli fu detto di mandare a casa tutti quelli dell’esercito che avevano timore e
tremavano; 22.000 andarono a casa e ne rimasero 10.000. L’esercito fu ulteriormente ridotto a 300, per
cui la proporzione era di 450 a 1. L’ubbidienza di Gedeone rivelò assoluta fiducia in Geova. Oggi ci si
presentano svantaggi simili, nel ministero cristiano, nella guerra spirituale. Mentre continuiamo
fedelmente il ministero, anche noi dobbiamo mostrare assoluta fiducia in Geova.
4. Le armi che ebbero Gedeone e i trecento erano un corno, una grande giara vuota e una torcia. Fu
Geova a dare la vittoria finale.
Oggi le armi della nostra guerra non sono carnali. Piuttosto, impieghiamo la verità, la buona notizia della
pace, lo scudo della fede e la spada dello spirito, che è la Parola di Dio, per abbattere i falsi insegnamenti
religiosi e quindi edificare apprezzamento per la vera adorazione. — Efes. 6:10, 14-18.
5. L’attitudine di Gedeone in quanto alla preminenza è un esempio per noi. Leggete Giudici 8:22, 23. È
importante mantenere la nostra relativa posizione in seno all’organizzazione di Geova e cercare sempre
di esaltare il nostro Dio Geova anziché noi stessi.

w78 15/1 7-11 Un giudice modesto che volle essere sicuro


Un giudice modesto che volle essere sicuro
ACCADDE nel tredicesimo secolo a.E.V., circa 200 anni dopo la morte di Giosuè, successore di Mosè. Il
luogo era la valle di Izreel nella parte settentrionale del paese che Dio aveva promesso agli Israeliti.
Cosa accadde a quel tempo di tanto interessante per noi? Un giudice d’Israele con un esercito di soli 300
uomini mise in rotta il nemico forte di circa 135.000 soldati.
Come poté avvenire una tal cosa? Un elemento importante fu la determinazione di questo giudice
d’essere sicuro che Dio lo sostenesse.
Il racconto biblico di questo sorprendente avvenimento si trova nel libro di Giudici, capitoli da 6 ⇒fino ⇐a
8. Il racconto comincia così: “Quindi i figli d’Israele facevano ciò che era male agli occhi di Geova. Geova
li diede dunque per sette anni in mano a Madian. E la mano di Madian prevalse su Israele”. (Giud. 6:1, 2)
Se Israele seminava, i Madianiti e altri predoni “si accampavano contro di loro e rovinavano i prodotti
della terra fino a Gaza, e non lasciavano rimanere alcuna sostanza né pecora né toro né asino in Israele”.
— Giud. 6:4.
DIO SCEGLIE “IL PIÙ PICCOLO”
In preda alla disperazione, Israele invocò “l’aiuto di Geova a motivo di Madian”. (Giud. 6:7) Perciò, Dio
suscitò come giudice e liberatore un uomo della famiglia di Abiezer (una suddivisione della tribù di
Manasse), cioè Gedeone figlio di Joas. Mentre Gedeone batteva di nascosto il frumento in uno strettoio,
per non farsi vedere dal nemico, gli apparve un angelo, che gli disse: “Geova è con te, con te, potente di
valore”. Sorpreso, egli chiese com’era possibile che Dio fosse con Israele, visto che erano in condizioni
così spaventose. “Allora Geova [mediante il suo angelo] gli fece fronte e disse: ‘Va con questa tua
potenza, e per certo salverai Israele dalla mano di Madian. Non ti mando io?’” — Giud. 6:11-14.
Il modo in cui Gedeone accolse questo incarico di Dio rivela una disposizione modesta. Egli rispose:
“Scusami, Geova. Con che cosa salverò io Israele? Ecco, i miei mille sono il minimo in Manasse, e io
sono il più piccolo nella casa di mio padre”. Tuttavia, Dio lo rassicurò: “Perché io mostrerò d’essere con
te, e tu per certo abbatterai Madian come un sol uomo”. — Giud. 6:15, 16.
Gedeone, tuttavia, sapeva a quali difficoltà sarebbe andato incontro combattendo contro Madian e contro
qualsiasi nazione si fosse alleata con esso. Perciò chiese un “segno” per essere sicuro che questo
incarico venisse proprio da Dio. Egli portò in dono carne, pani non fermentati e brodo, mise queste cose
su una grande roccia e versò il brodo. Il messaggero angelico toccò la carne e i pani non fermentati con il
suo bastone. Dalla roccia scaturì il fuoco che consumò l’offerta, e allora il messaggero svanì. “Di
conseguenza Gedeone comprese che era l’angelo di Geova”. — Giud. 6:17-22.
Quella notte Geova mise alla prova il giudice che aveva scelto. Dio gli comandò di demolire l’altare del
dio Baal, che era di suo padre, di abbattere il palo sacro che gli stava accanto, di costruire al suo posto
un altare a Geova e offrire su di esso il giovane toro di sette anni (evidentemente un toro considerato
sacro a Baal) appartenente a suo padre Joas. Il palo sacro doveva essere usato come legna da ardere.
Coraggiosamente Gedeone accettò questo incarico. Ma, per cautela, lo adempì di notte. — Giud. 6:25-
27.
Quando il giorno dopo gli uomini della città si alzarono e videro cos’era accaduto, chiesero la vita di
Gedeone. Tuttavia, suo padre Joas intervenne, sostenendo che se Baal era veramente un dio, doveva
difendersi da sé. — Giud. 6:28-32.
INSOLITI PREPARATIVI PER LA BATTAGLIA
Il racconto biblico narra quindi che “tutto Madian e Amalec e gli Orientali si raccolsero insieme come un
sol uomo e passavano e si accampavano nel bassopiano di Izreel”. Allora lo spirito di Geova avvolse
Gedeone. Egli radunò gli Abiezeriti per la battaglia, e mandò anche messaggeri in tutto Manasse e Aser,
Zabulon e Neftali, esortandoli a unirsi a lui. (Giud. 6:33-35) Al suo fianco si raccolsero 32.000 uomini. Il
campo nemico, però, contando circa 135.000 soldati, superava Israele nella proporzione di 4 a 1.
A questo punto Gedeone chiese a Dio di compiere due miracoli, per essere nuovamente sicuro che Dio
avrebbe sostenuto l’attacco contro Madian. Egli chiese che un vello di lana lasciato per tutta la notte
nell’aia fosse bagnato di rugiada mentre la terra intorno rimaneva asciutta, e la sera successiva che il
vello fosse asciutto, sebbene la terra fosse bagnata. Dio esaudì entrambe queste richieste. — Giud. 6:36-
40.
Quando Gedeone e i suoi uomini si accamparono per prepararsi a incontrare il nemico, Geova diede un
comando inaspettato: “Il popolo che è con te è troppo numeroso perché io dia Madian nelle loro mani.
Forse Israele si vanterebbe contro di me, dicendo: ‘La mia mano mi ha salvato’. E ora proclama, suvvia,
agli orecchi del popolo, dicendo: ‘Chi ha timore e trema? Si ritiri’”. Ubbidendo, Gedeone li mise alla prova.
Con quale risultato? “Allora, ventiduemila del popolo si ritirarono, e diecimila rimasero”. (Giud. 7:2, 3) Lo
svantaggio d’Israele crebbe all’improvviso, con un rapporto numerico di 13 a 1.
Poi Geova comandò a Gedeone di far scendere i rimanenti diecimila uomini all’acqua per metterli
ulteriormente alla prova. La maggior parte di essi allentarono la vigilanza e si inginocchiarono avidamente
per bere. Tuttavia, 300 uomini rimasero all’erta piegandosi solo abbastanza per portarsi l’acqua alla
bocca con la mano. Allora Dio disse: “Mediante i trecento uomini . . . vi salverò, e di sicuro darò Madian
nella tua mano”. (Giud. 7:4-7) Lo svantaggio d’Israele era ora di 450 a 1.
Dio disse a Gedeone che, se aveva paura, doveva esplorare il campo nemico di notte con un servitore.
Così fece, e udì un uomo narrare un sogno al suo compagno. L’uomo aveva sognato un pane tondo
d’orzo che ruzzolava nel campo di Madian facendo crollare una tenda. Il compagno esclamò: “Questo
non è altro che la spada di Gedeone figlio di Joas, uomo d’Israele. Il vero Dio gli ha dato in mano Madian
e tutto il campo”. — Giud. 7:9-14.
Rafforzato, Gedeone tornò al campo d’Israele e organizzò il colpo di mano contro il nemico. Ma come
poteva aver successo un gruppo di 300 uomini contro 135.000 circa?
“LA SPADA DI GEOVA E DI GEDEONE!”
Il cauto giudice dispose le sue forze in tre schiere di circa cento uomini ciascuna. Così fu possibile
avvicinare il nemico da tre lati. Diede a ciascun uomo un corno, una grossa giara di terracotta e una
torcia dentro la giara, spiegando: “Quando io suonerò il corno, io e tutti quelli che sono con me, anche voi
dovrete suonare i corni, voi pure, intorno a tutto il campo, e dovrete dire: ‘Di Geova e di Gedeone!’” (Giud.
7:16-18) Funzionò questa strategia? Il racconto scritturale narra:
“A suo tempo Gedeone venne coi cento uomini che erano con lui al limite del campo all’inizio della veglia
di mezzanotte. Essi avevano appena finito di appostare le sentinelle. E suonavano i corni e si
frantumavano le grosse giare per l’acqua che erano nelle loro mani. Allora le tre schiere suonarono i corni
e fracassarono le grosse giare e riafferrarono le torce con la mano sinistra e i corni con la destra per
suonarli, e gridavano: ‘La spada di Geova e di Gedeone!’ Intanto continuavano a stare ciascuno al suo
luogo tutto intorno al campo, e l’intero campo si mise a correre e a urlare e si diede alla fuga. E i trecento
continuarono a suonare i corni, e Geova poneva in tutto il campo la spada di ciascuno contro l’altro; e il
campo continuò la fuga fino a Bit-Sitta, ancora verso Zerera, sino alla periferia di Abel-Meola presso
Tabbat”. — Giud. 7:19-22.
Questa strategia ebbe un effetto davvero distruttivo! Il suono dei corni, il rumore delle giare fracassate, le
torce levate in alto e le grida fecero credere evidentemente ai Madianiti d’essere circondati da grandi
forze militari. Forse pensarono che ciascuna torcia rappresentasse non una sola persona, ma un’intera
schiera di soldati. Presi dal panico, si diedero alla fuga, perfino levando “la spada di ciascuno contro
l’altro” fra loro stessi.
Deciso a mettere completamente in rotta il nemico, Gedeone chiese ora aiuto alle tribù di Manasse, Aser,
Neftali ed Efraim. Questi piombarono sui Madianiti in fuga, togliendo loro ogni via di scampo. Gli uomini di
Efraim catturarono e giustiziarono Oreb e Zeeb, due principi di Madian. — Giud. 7:23-25.
Poi accadde qualcosa che rivelò di nuovo l’ottima disposizione di Gedeone. Leggiamo: “Gli uomini di
Efraim gli dissero: ‘Che sorta di cosa è questa che tu ci hai fatta, non chiamandoci quando sei andato a
combattere contro Madian?’ E cercarono con veemenza di attaccar lite con lui”. Il valoroso giudice,
tuttavia, rispose con lodevole modestia: “Ora che cosa ho fatto io in paragone con voi? . . . Nella vostra
mano Dio ha dato i principi di Madian, Oreb e Zeeb, e che cosa ho potuto fare io in paragone con voi?”
Con questa risposta mite evitò ulteriori dispute. — Giud. 8:1-3; Prov. 15:1.
Benché stanco, questo giudice coraggioso, insieme ai suoi trecento uomini, attraversò il Giordano
all’inseguimento di Zeba e Zalmunna, i re di Madian. Durante il cammino Gedeone chiese da mangiare
agli uomini di Succot, ma i principi di Succot glielo rifiutarono, dicendo: “Sono le palme di Zeba e
Zalmunna già nella tua mano così che si debba dare pane al tuo esercito?” La stessa cosa accadde nella
città di Penuel. — Giud. 8:4-9.
Nonostante le difficoltà, Gedeone e i suoi uomini continuarono l’inseguimento. Infine scovarono Zeba e
Zalmunna, insieme ai 15.000 uomini che rimanevano loro. Ancora una volta questo giudice costituito da
Dio si mostrò cauto, poiché “colpiva il campo mentre il campo non se lo aspettava”. (Giud. 8:10, 11) Zeba
e Zalmunna fuggirono, ma furono catturati e messi a morte da Gedeone. — Giud. 8:12, 18-21.
Gli uomini d’Israele furono così grati della completa vittoria ottenuta da Gedeone che gli chiesero di
stabilire una dinastia di re su di loro. Ma egli non desiderava affatto lo sfarzo e l’adorazione della creatura
che sono prerogativa delle case reali stabilite dall’uomo. “Io stesso non vi governerò, né mio figlio vi
governerà. Geova è colui che vi governerà”. — Giud. 8:22, 23.
Quindi Gedeone chiese come contribuzione i gioielli d’oro presi fra le spoglie. Con ciò fece un costoso
efod, o paramento sacerdotale, forse ornato di pietre preziose. Probabilmente lo fece con un buon
motivo, forse considerando l’efod un ricordo della conquista di Madian. Tuttavia, fu una pietra d’inciampo,
poiché “lì tutto Israele aveva rapporti immorali con esso [l’efod], così che servì di laccio a Gedeone e a
tutta la sua casa”. (Giud. 8:27) Evidentemente gli Israeliti usarono la costosa veste per qualche specie di
falsa adorazione.
LEZIONI UTILI PER I NOSTRI GIORNI
Il racconto biblico su Gedeone contiene utili lezioni per le persone d’oggi. Considerate, ad esempio, la
sua cautela. Avete notato come questo giudice chiese più volte un segno miracoloso che Dio lo
sosteneva? Questa non fu un’indicazione di mancanza di fede. Dovette avere grande fede per essere
disposto a combattere con uno svantaggio numerico di 4 a 1, per non parlare di quando divenne di 13 a 1
e, infine, di 450 a 1. Ma benché pieno di fede, Gedeone volle essere sicuro d’avere il sostegno divino per
un’impresa umanamente impossibile. Anche dopo avere ricevuto quest’assicurazione, Gedeone agì con
cautela, attaccando il nemico quando non se lo aspettava.
Similmente oggi, i cristiani sono molto inferiori di numero rispetto a un mondo ostile ai veri adoratori di
Geova. (Giov. 15:18, 19) Coloro che desiderano avere l’approvazione di Dio in questo periodo di tempo
devono esaminare di continuo la Bibbia per essere sicuri che il loro sacro servizio sia conforme ad essa e
abbia il sostegno di Dio. (2 Cor. 13:5) Come Gedeone fu cauto abbattendo di notte l’altare di Baal, così i
cristiani devono essere “cauti come serpenti” e usare tatto nell’opera di testimoniare e fare discepoli,
opera che abbatte le falsità religiose. (Matt. 10:16; 24:14; 28:19, 20) Essi cercano i momenti e i metodi
adatti affinché il messaggio cristiano produca il suo utile effetto sulle persone di cuore retto.
Un’altra ottima lezione ci è data dall’umiltà di Gedeone. Le scritture consigliano ai cristiani di coltivare
un’atteggiamento simile, “non facendo nulla per contenzione o egotismo, ma con modestia di mente”. —
Filip. 2:3.
Inoltre, questo racconto biblico è profetico. Il giudice Gedeone prefigura Cristo Gesù, a cui Dio “ha
affidato tutto il giudizio”. (Giov. 5:22) Le Scritture predicono che presto Gesù, insieme agli eserciti celesti,
guerreggerà con “i re della terra e i loro eserciti”. (Riv. 19:11, 14, 19) Il risultato sarà conforme alla
preghiera del salmista che fece riferimento alla liberazione ottenuta da Gedeone: “Fa a loro come a
Madian. . . . In quanto ai loro nobili, rendi questi come Oreb e come Zeeb, e come Zeba e come
Zalmunna . . . affinché conoscano che tu, il cui nome è Geova, tu solo sei l’Altissimo su tutta la terra”. —
Sal. 83:9-18.

w82 1/11 21-6 "Ciascuno al suo posto"


“Ciascuno al suo posto”
“Restarono fermi intorno all’accampamento ciascuno al suo posto”. — Giudici 7:21, “Garofalo”.
COSA vi viene in mente osservando l’armonia delle opere di Dio in contrasto con il disordine della società
umana? Non siete d’accordo con l’ispirato scrittore biblico che disse: “Dio è un Dio non di disordine, ma di
pace”? (I Corinti 14:33) Queste parole scritte dall’apostolo Paolo indicano che Dio non può essere il
responsabile del confuso stato di cose del mondo. Geova Dio sa come organizzare le cose in modo che
tutto ciò che è governato dalle sue leggi abbia il suo giusto posto. Ne è una prova la creazione che ci
circonda. Più l’uomo conosce l’universo, più si rende conto dell’ordine che vi regna. In qualsiasi direzione
rivolga i suoi telescopi, l’uomo nota che ogni stella è al suo posto e percorre ordinatamente la sua orbita.
2 Che differenza notiamo quando rivolgiamo la nostra attenzione alle condizioni dell’umanità! Quanta
confusione, disordine e rivalità omicide! L’umanità, divisa dal punto di vista politico, religioso, sociale e
razziale, è stracarica di problemi insolubili. La criminalità dilaga a tal punto che è impossibile scoprire e
assicurare alla giustizia ogni trasgressore. A volte perfino i militari, che dovrebbero osservare una rigida
disciplina, infrangono di frequente le regole.
3 Non sorprende quindi che, come per l’universo fisico, Geova Dio desideri che la pace e l’ordine regnino
fra i suoi adoratori e rappresentanti terreni. Come suoi servitori, i singoli cristiani sono paragonati a soldati
disciplinati di un esercito. L’apostolo Paolo scrisse che ciascuno dovrebbe essere un “eccellente soldato
di Cristo Gesù”. (II Timoteo 2:3) Tutti noi dovremmo quindi voler continuare a “combattere l’eccellente
guerra”. (I Timoteo 1:18) La nostra lotta, però, non dimentichiamolo, non è fisica. È spirituale. È contro gli
invisibili “governanti mondiali di queste tenebre, contro le malvage forze spirituali che sono nei luoghi
celesti”. — Efesini 6:12.
4 Le forze al comando dell’“iddio di questo sistema di cose” pensano di intimidire i servitori di Dio perché
perdano coraggio e fuggano dinanzi al nemico. (II Corinti 4:4) Questa strategia è destinata a fallire
miseramente, perché è Geova colui che dirige le cose e che ‘addestra le nostre mani alla guerra’. (Salmo
18:34) Siamo incoraggiati dall’assicurazione che ‘la battaglia non è nostra, ma di Dio’. (II Cronache 20:15)
Tramite il suo potente Comandante in capo, Cristo Gesù, Geova guiderà la battaglia sino alla vittoria
finale. Egli garantisce quindi ai suoi leali che non subiranno mai l’onta della sconfitta. Non saranno mai
costretti a ritirarsi davanti agli attacchi nemici. — Salmo 18:25.
5 Per mezzo di un emozionante racconto ispirato, che descrive una battaglia combattuta ai giorni dei
giudici d’Israele, secoli prima dell’èra volgare, Geova richiama la nostra attenzione su alcuni criteri bellici
che i ‘soldati di Cristo’ fanno bene a seguire. Ai tempi del giudice Gedeone, un esercito di adoratori
pagani “numerosi come le locuste” invase il paese d’Israele. (Giudici 6:5) Geova diede istruzioni a
Gedeone sul modo in cui l’esercito d’Israele avrebbe dovuto affrontare questa minaccia apparentemente
insormontabile. Contrariamente a qualsiasi strategia umana, Gedeone ricevette l’ordine di ridurre il suo
esercito prima da 32.000 a 10.000 uomini, e poi da 10.000 uomini a 300. ‘Mediante questi’, promise
Geova, “vi salverò”. — Giudici 7:2-7.
6 L’equipaggiamento dei trecento uomini consisteva di corni e grosse giare vuote contenenti torce. Nel
cuore della notte Gedeone li fece appostare intorno all’accampamento dei madianiti e dei loro alleati.
Ricevettero istruzioni di entrare in azione al segnale di Gedeone. La leale ubbidienza e la scrupolosa
osservanza degli ordini di battaglia impartiti da Gedeone erano indispensabili. Quando tutti furono al loro
posto, Gedeone diede il segnale. Allora i trecento “suonarono i corni e fracassarono le grosse giare [che
nascondevano le torce] e riafferrarono le torce con la mano sinistra e i corni con la destra per suonarli, e
gridavano: ‘La spada di Geova e di Gedeone!’ Intanto continuavano a stare ciascuno al suo [posto] tutto
intorno al campo, e l’intero campo si mise a correre e a urlare e si diede alla fuga”. Il nemico fu
annientato. — Giudici 7:19-22.
7 Poniamoci ora alcune domande. Geova avrebbe concesso quello splendido trionfo se i trecento uomini
non avessero preso sul serio gli ordini di battaglia o non avessero atteso il segnale di Gedeone o non
avessero usato parte dell’equipaggiamento bellico fornito loro da Gedeone? Che dire se avessero deciso
di loro propria iniziativa di appostarsi intorno al campo nemico in punti diversi da quelli assegnati, solo
perché forse li ritenevano migliori? In tutto questo ci sono alcuni importanti princìpi che dovrebbero
guidare anche noi, poiché ‘queste cose accadevano loro come esempio per nostro beneficio’. — I Corinti
10:11.
8 Nella nostra guerra cristiana dovremmo riconoscere Geova in tutte le nostre vie, confidare in lui e
guardare a lui per conseguire la vittoria. D’altra parte, l’abile strategia umana, i più brillanti pensieri umani,
non possono garantire la vittoria. “Non mediante forza militare, né mediante potenza, ma mediante il mio
spirito”, dice Geova. (Zaccaria 4:6) Perciò, nel quotidiano combattimento in difesa della verità e della
giustizia, noi cristiani eviteremo di adottare idee e metodi mondani che contraddicono i princìpi provveduti
da Dio per guidare il suo popolo. Chi è incline a seguire i consigli di quelli del mondo mostra di avere
poca fede nella capacità di Dio di soccorrerci in tempo di bisogno. Dovremmo avere la stessa ferma
convinzione dello scrittore biblico Giacomo (1:5), che disse: “Quindi, se alcuno di voi è privo di sapienza,
continui a chiederla a Dio, poiché egli dà generosamente a tutti e senza biasimare; ed essa gli sarà data”.
‘Imparate guardando me’
9 Gesù Cristo, il più grande Gedeone, ha ora il pieno comando delle sue forze visibili e invisibili. Mediante
lui Geova rivela progressivamente i suoi propositi per il suo popolo e l’ordine degli eventi. Com’è
emozionante sapere che Cristo Gesù è attivamente impegnato a dirigere tutte le attività dei suoi ‘soldati’
sulla terra, rendendone così certa la vittoria finale! Secondo la sua promessa egli è con loro “tutti i giorni
fino al termine del sistema di cose”. — Matteo 28:20.
10 Poiché ora Gesù Cristo è l’intronizzato Capo e Comandante di tutti quelli che combattono per la verità
e la giustizia, possiamo unitamente ‘imparare guardando lui’, come i trecento impararono guardando
Gedeone. (Giudici 7:17) Ma come possiamo ‘guardare’ Cristo se è invisibile? Lo ‘guardiamo’ nel senso
che discerniamo i segnali che egli dà tramite lo “schiavo” visibile che egli ha costituito su tutti gli interessi
terreni del suo regno. (Matteo 24:45-47) Tramite questo canale costituito mediante lo spirito, vengono
trasmesse a tutti i suoi ‘soldati’ la sua guida e la sua strategia. Essi non possono permettersi di avanzare
di loro propria iniziativa o di diventare impazienti perché le cose non si realizzano nel modo in cui
pensano loro. L’ordine degli eventi è stabilito dal nostro invisibile Comandante. Ciò che conta è quello
che pensa lui, non quello che potremmo pensare noi.
Equipaggiamento provveduto da Dio
11 Il più grande Gedeone sa di quale equipaggiamento hanno bisogno i suoi soldati sulla terra. Non
hanno bisogno di un’armatura e di armi letterali, perché non combattono contro esseri umani. Il loro è un
combattimento spirituale. Le loro armi sono “potenti mediante Dio per rovesciare cose fortemente
trincerate. . . . [per rovesciare] i ragionamenti e ogni cosa alta innalzata contro la conoscenza di Dio . . .
[conducendo] ogni pensiero in cattività per renderlo ubbidiente al Cristo”. (II Corinti 10:4, 5)
Indipendentemente dall’opposizione a cui possono andare incontro, i fedeli guerrieri cristiani devono
divenire esperti nell’uso dell’equipaggiamento provveduto da Dio così da poter fare ciò che fece l’apostolo
Paolo, cioè trasmettere alle persone “tutto il consiglio di Dio”. — Atti 20:27.
12 Per poter raggiungere il risultato voluto, gli uomini di Gedeone dovettero agire come un sol uomo e
usare l’equipaggiamento in loro dotazione. Il rumore delle 300 giare di terracotta frantumate, la vista delle
300 torce innalzate tutto intorno al campo, l’allarmante suono dei 300 corni e l’urlo delle 300 voci che
irruppe da ogni parte nel silenzio della notte produssero indubbiamente un terrificante effetto sui
madianiti! Similmente, non è forse vero che anche oggi la concertata proclamazione del regno di Dio e
della sua vendetta induce il nemico a sopravvalutare le dimensioni e il pericolo del messaggio
proclamato? Perché questo? Perché l’intera organizzazione del popolo di Geova si conforma lietamente
al tempo stabilito per dare al mondo i loro specifici messaggi sotto la direttiva del più grande Gedeone
mediante il suo “schiavo” nominato. D’altra parte, se ciascun testimone di Geova agisse di testa propria,
decidendo quando e come dichiarare il messaggio di Dio, come si potrebbe dare una testimonianza a
livello mondiale? La volontà di Geova è perciò che ‘abbiamo fra di noi la medesima attitudine mentale che
ebbe Cristo Gesù [il più grande Gedeone], affinché di comune accordo glorifichiamo con una sola bocca
l’Iddio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo’. — Romani 15:5, 6.
13 La forza che ci unifica è costituita dallo spirito di Geova e dalla sua Parola, la Bibbia. È un bene che
ciascuno di noi non vada insegnando le proprie idee sul messaggio biblico. Geova ha provveduto una
gran quantità di mezzi per capire la Bibbia, sotto forma di pubblicazioni, affinché il nostro pensiero e il
nostro insegnamento possano essere armonici. In tal modo evitiamo la distruttiva mancanza di unità e le
molteplici dottrine contrastanti che si riscontrano nella cristianità e nel paganesimo. Né ci mostriamo
esitanti o attenuiamo la serietà del messaggio di Dio per le nazioni, un messaggio di grande speranza, è
vero, ma che preavverte pure della sua vendetta e retribuzione. Siamo ben consapevoli che il suono di
tromba dev’essere forte e chiaro. — I Corinti 14:8.
14 Com’è dunque appropriato che tutti apprezziamo l’importanza dell’equipaggiamento fornitoci da Geova
per la guerra cristiana! Egli ci addestra anche ad usarlo bene, affinché ai singoli e alle nazioni sia data la
più efficace testimonianza. Non è una voce solitaria che grida nel deserto, ma un forte e penetrante
avvertimento che vien fatto risuonare in tutto il mondo. In questo modo ‘Geova sta emettendo la sua voce
dinanzi alle sue forze militari’. — Gioele 2:9, 11.
“Ciascuno al suo posto”
15 Nel caso dei trecento uomini di Gedeone, sarebbe stato impensabile che uno di loro, una volta ricevuto
l’ordine di appostarsi in un dato punto, avesse cominciato a far storie e a chiedere di cambiar posto con
qualcun altro, oppure che addirittura si fosse scelto da solo il luogo in cui appostarsi. Una cosa del
genere avrebbe significato mettere il proprio giudizio al di sopra di quello di Gedeone, colui che Geova
stava usando per guidare l’attacco. Avrebbe rivelato mancanza di umiltà e di riguardo per il tempo
stabilito da Geova per un eventuale cambiamento. Con un simile spirito, come avrebbe potuto
partecipare sinceramente al grido “La spada di Geova e di Gedeone!”?
16 Nella disposizione di cose di Geova, ciascuno di noi deve mettere al primo posto il proposito di Geova
e gli interessi generali del suo Regno. Si richiede che assolviamo fedelmente il compito assegnatoci,
qualunque sia il posto che occupiamo nell’organizzazione. (I Corinti 4:2) Un altro requisito è la dovuta
umiltà, incompatibile con l’arrivismo. In ogni situazione si applica il principio insegnato da Cristo Gesù:
“Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. (Matteo 23:12) E Giacomo ci esorta dicendo:
“Umiliatevi [non semplicemente agli occhi degli uomini, ma] agli occhi di Geova, ed egli vi esalterà”. —
Giacomo 4:10.
17 Possiamo quindi capire l’importanza delle parole di Giudici 7:21: “Ciascuno al suo posto”. Prestando
servizio nell’organizzazione di Geova, dobbiamo essere contenti di servire in qualsiasi posto egli ci
assegni, e di assolvere fedelmente e scrupolosamente l’incarico. Possiamo essere certi che Colui che
nota la caduta di un piccolo passero si interessa di noi in misura molto maggiore, mentre svolgiamo
lealmente qualsiasi compito ci sia stato affidato. (Matteo 10:29-31) Egli sa di quale addestramento
abbiamo bisogno e per quale lavoro siamo tagliati, e provvederà al riguardo. Possiamo essere certi che
non ci trascura. — I Pietro 5:10.
18 Oggi tutti i servitori di Geova sono al comando del più grande Gedeone, Cristo Gesù. Vogliamo
unitamente prestare servizio per la rivendicazione del nome di Geova, rimanendo umilmente sottoposti
alle sue norme di battaglia, “ciascuno al suo posto”. Abbiamo fiducia che la strategia generale di Geova
porterà certamente alla vittoria finale. E abbiamo anche fiducia che Geova vede la nostra leale
ubbidienza e ci ricompenserà con la “vera vita” nel suo nuovo ordine, poiché la sua Parola dice: “Divenite
saldi, incrollabili, avendo sempre molto da fare nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è
vana riguardo al Signore”. — I Timoteo 6:19; I Corinti 15:58.
[Testo in evidenza a pagina 23]
La leale ubbidienza e la scrupolosa osservanza degli ordini di Geova permisero a Gedeone e ai suoi
uomini di riportare una splendida vittoria
[Figura a pagina 25]
Geova ci ha provveduto l’indispensabile equipaggiamento di cui abbiamo bisogno oggi per combattere

w88 1/4 30-1 È sempre il caso di ubbidire?


“Provate le espressioni ispirate”
Che dire dell’autorità entro la congregazione cristiana? Poiché coloro che hanno posizioni di
responsabilità sono nominati per opera dello spirito santo e basano i loro consigli e le loro esortazioni
sulla Parola di Dio, possiamo esser certi che è appropriato ubbidire all’autorità debitamente costituita
nella congregazione cristiana. (Atti 20:28; Ebrei 13:17) Ma questo non significa che ubbidiamo a questa
autorità senza prendere nella giusta considerazione quello che viene detto. Perché?
L’apostolo Giovanni diede questo consiglio: “Non credete ad ogni espressione ispirata, ma provate le
espressioni ispirate per vedere se hanno origine da Dio”. (1 Giovanni 4:1) Questo non significa che
dovremmo insospettirci di tutto quello che altri ci dicono. Piuttosto, teniamo bene a mente le parole di
Paolo in Galati 1:8: “Anche se noi o un angelo dal cielo vi dichiarasse come buona notizia qualcosa oltre
ciò che vi abbiamo dichiarato come buona notizia, sia maledetto”.
Le informazioni che ci vengono presentate sono diverse da quello che ci è stato insegnato per mezzo
dello “schiavo fedele e discreto”? Chi diffonde un messaggio del genere parla per onorare il nome di
Geova, o cerca di esaltare se stesso? Le informazioni sono in armonia con gli insegnamenti della Bibbia
nel loro insieme? Queste sono domande che ci aiuteranno a ‘provare’ qualunque cosa sembri discutibile.
Siamo esortati ad ‘accertarci di ogni cosa e attenerci a ciò che è eccellente’. — Matteo 24:45; 1
Tessalonicesi 5:21.
Un caso interessante è quello del giudice Gedeone. Per essere sicuro che Geova sarebbe stato con lui,
Gedeone propose una prova: “Ecco, io tengo esposto un vello di lana nell’aia”, disse a Geova. “Se la
rugiada sarà solo sul vello ma tutta la terra sarà asciutta, dovrò quindi sapere che tu salverai Israele per
mezzo mio”. Quando Geova fece avvenire quello che aveva chiesto, Gedeone volle essere più sicuro e
propose: “Resti asciutto, ti prego, solo il vello, e su tutta la terra ci sia rugiada”. — Giudici 6:37-39.
Gedeone era troppo cauto o sospettoso? Evidentemente no, perché Geova accolse entrambe le sue
richieste e fece proprio come aveva chiesto. Gedeone voleva assicurarsi che la sua posizione fosse
corretta. Non avendo la scritta Parola di Dio come l’abbiamo noi, quello fu per lui un modo molto efficace
di ‘accertarsi’. Ma una volta rassicurato, ubbidì esattamente agli ordini di Geova, anche se affrontare con
300 uomini un esercito nemico di 135.000 uomini poteva sembrare un suicidio da un punto di vista
umano. (Giudici 7:7; 8:10) Mostriamo lo stesso atteggiamento esaminando la Parola di Dio per sapere
qual è realmente la volontà di Geova e attenendoci a essa?
La scelta più saggia
Geova non si aspetta che crediamo ciecamente. Non vuole da noi il tipo di ubbidienza che il domatore
ottiene da una bestia usando il morso o la frusta. Perciò disse a Davide: “Non vi rendete come il cavallo o
il mulo senza intendimento, la cui vivacità si deve frenare perfino con morso o cavezza”. (Salmo 32:9)
Geova invece ci ha dotati della capacità di pensare e del discernimento affinché, in base all’intendimento,
possiamo scegliere di ubbidirgli.
In giapponese la parola kiku (udire) non significa solo ascoltare e ubbidire, ma anche giudicare se una
cosa è buona o cattiva. Quando qualcuno ci parla, è bene ascoltare in questo senso, così quando
ubbidiamo non lo facciamo per semplice credulità ma per libera scelta. Quando parla il nostro Padre
celeste, Geova Dio, sia per mezzo della sua Parola, la Bibbia, che tramite la sua organizzazione terrena,
è più importante che mai ascoltare e ubbidire, dimostrando in tal modo di essere adoratori ubbidienti che
non ignorano l’amorevole rammemoratore: “Mi hai sentito?”
[Figura a pagina 29]
Chi dovrei ascoltare?
[Figura a pagina 31]
Gedeone si accertò della volontà di Geova e gli ubbidì

w91 1/5 15-16 Parlate la lingua pura e vivete per sempre!


4 Un altro modo per imparare le “regole grammaticali” della lingua pura è quello di visualizzare gli
avvenimenti narrati nella Bibbia. Provate a farlo, ad esempio, con il racconto di Giudici 7:15-23. Guardate!
Il giudice israelita Gedeone ha diviso i suoi uomini in tre compagnie di cento uomini ciascuna. Con il
favore delle tenebre, essi discendono in silenzio le pendici del monte Ghilboa e circondano
l’accampamento madianita addormentato. Sono ben armati questi trecento uomini? No, non dal punto di
vista militare. Susciterebbero le risa di scherno degli altezzosi militaristi! Ciascuno di loro ha solo un
corno e una grossa giara con dentro una torcia. Ma ascoltate! A un segnale convenuto, i cento uomini
che sono con Gedeone suonano i loro corni e rompono le loro giare, subito imitati dagli altri duecento.
Mentre tutti alzano le torce accese, li udite gridare: “La spada di Geova e di Gedeone!” I madianiti sono
terrorizzati! Essi inciampano assonnati mentre escono dalle loro tende con gli occhi sbarrati per il terrore
alla vista delle fiamme guizzanti che illuminano figure indistinte ed evocano timori superstiziosi. Mentre i
madianiti si danno alla fuga gli uomini di Gedeone continuano a suonare i corni, e Geova volge i nemici
l’uno contro l’altro. Che efficace lezione della lingua pura! Dio può liberare il suo popolo senza un esercito
umano. Inoltre, “Geova non abbandonerà il suo popolo per amore del suo grande nome”. — 1 Samuele
12:22.
5 Gli studenti che imparano una lingua straniera con il metodo comunicativo cercano di ripetere
correttamente i suoni e le parole dell’insegnante. Quali eccellenti opportunità ci sono di parlare la lingua
pura alle adunanze cristiane! Qui udiamo altri che si esprimono in tale lingua della verità scritturale, e noi
stessi possiamo avere il privilegio di commentare. Temiamo forse di dire qualcosa di sbagliato? Questa
non dovrebbe essere la nostra principale preoccupazione, poiché un errore benevolmente corretto
dall’anziano che presiede un’adunanza come il settimanale studio della rivista Torre di Guardia può
raffinare il nostro linguaggio. Quindi siate presenti e partecipate regolarmente alle adunanze cristiane. —
Ebrei 10:24, 25.

W67 P. 58-62

Geremia (n. 6) — Tema: Geova dà potenza oltre ciò che è normale 2°CORINTI 4:7

it-1 1041-2 Geremia


GEREMIA
[forse, Geova esalta; o, Geova scioglie [prob. dal seno]].
6. Profeta, figlio di Ilchia sacerdote di Anatot, città sacerdotale nel territorio di Beniamino, meno di 5 km a
NNE del Monte del Tempio a Gerusalemme. (Ger 1:1; Gsè 21:13, 17, 18) Ilchia, padre di Geremia, non
era il sommo sacerdote omonimo, discendente di Eleazaro. Molto probabilmente era discendente di
Itamar, e forse di Abiatar, il sacerdote escluso dal servizio sacerdotale dal re Salomone. — 1Re 2:26, 27.
Mandato come profeta. Geremia ricevette l’incarico di profeta da giovane, nel 647 a.E.V., 13° anno del
regno di Giosia re di Giuda (659-629 a.E.V.). Geova gli disse: “Prima che io ti formassi nel ventre ti
conobbi, e prima che tu uscissi dal seno ti santificai. Ti feci profeta alle nazioni”. (Ger 1:2-5) Fu dunque
uno dei pochi uomini della cui nascita Geova si assunse la responsabilità — intervenendo con un
miracolo o guidando provvidenzialmente le cose — affinché potessero essere suoi speciali servitori. Altri
furono Isacco, Sansone, Samuele, Giovanni il Battezzatore e Gesù. — Vedi PRESCIENZA,
PREORDINAZIONE.
Quando Geova gli parlò, Geremia rivelò la sua timidezza rispondendo: “Ohimè, o Sovrano Signore
Geova! Ecco, realmente non so parlare, poiché non sono che un ragazzo”. (Ger 1:6) Da questa sua
osservazione, e pensando al coraggio e alla fermezza che mostrò durante il suo ministero profetico, si
capisce che tale forza straordinaria non era innata in lui, ma derivava dalla piena fiducia in Geova.
Davvero Geova fu con lui “come un terribile potente” e lo rese “una città fortificata e una colonna di ferro
e mura di rame contro tutto il paese”. (Ger 20:11; 1:18, 19) Per il suo coraggio e la sua fermezza Geremia
si fece una reputazione tale che durante il suo ministero terreno Gesù fu preso per Geremia redivivo. —
Mt 16:13, 14.
Scritti. Geremia oltre che profeta fu ricercatore e storico. Scrisse il libro che porta il suo nome e gli è
generalmente attribuita la stesura di 1 e 2 Re, libri che trattano la storia di entrambi i regni (Giuda e
Israele) dal punto in cui terminano i libri di Samuele (cioè dall’ultima parte del regno di Davide su tutto
Israele) sino alla fine di entrambi i regni. La sua cronologia del periodo dei re d’Israele e di Giuda, che
segue il metodo della comparazione o collazione, ci aiuta a stabilire con precisione la data di certi
avvenimenti. Dopo la caduta di Gerusalemme, Geremia scrisse il libro di Lamentazioni.
Vigoroso messaggio di denuncia. Geremia non era un lamentatore. Anzi si mostrò amorevole,
premuroso e comprensivo. Ebbe padronanza di sé e mirabile perseveranza, e fu assai rattristato dal
comportamento dei suoi concittadini e dai giudizi che subirono. — Ger 8:21.
In effetti era Geova a lamentarsi di Giuda, e giustamente, e Geremia aveva l’obbligo di dichiarare questo
senza posa, come fece. Inoltre si deve ricordare che gli israeliti erano la nazione di Dio, legata a lui da un
patto e sotto la sua legge, che essi avevano violato spudoratamente. Per spiegare e avvalorare le
denunce di Geremia, Geova fece più volte riferimento alla Legge, richiamando l’attenzione sulla
responsabilità dei principi e del popolo e spiegando in che cosa avevano trasgredito. Più volte Geova
richiamò l’attenzione su quello che, come li aveva avvertiti per mezzo del profeta Mosè, sarebbe
accaduto loro se avessero rifiutato di ascoltare le sue parole e avessero infranto il suo patto. — Le 26; De
28.
Coraggio, perseveranza e amore. Il coraggio e la perseveranza di Geremia furono pari all’amore che
aveva per il suo popolo. Dovette proclamare severe denunce e terribili giudizi, specie a sacerdoti, profeti
e governanti e a quelli che seguivano la “condotta popolare” e avevano manifestato “un’infedeltà
durevole”. (Ger 8:5, 6) Eppure riconobbe che era stato mandato anche “per edificare e per piantare”. (Ger
1:10) Egli pianse per la calamità che si sarebbe abbattuta su Gerusalemme. (Ger 8:21, 22; 9:1) Il libro di
Lamentazioni è una prova del suo amore e della sua preoccupazione per il nome e il popolo di Geova.
Nonostante la meschina slealtà dell’incostante re Sedechia nei suoi confronti, Geremia lo supplicò di
ubbidire alla voce di Geova e continuare a vivere. (Ger 38:4, 5, 19-23) Inoltre Geremia non si considerava
giusto, ma incluse anche se stesso nel riconoscere la malvagità della nazione. (Ger 14:20, 21) Dopo
essere stato rimesso in libertà da Nebuzaradan, esitò a lasciare quelli che venivano portati in esilio a
Babilonia, pensando forse di doverne condividere la sorte o desiderando continuare a curare i loro
interessi spirituali. — Ger 40:5.
Durante la sua lunga carriera a volte si scoraggiò e chiese a Geova di essere rassicurato, ma anche
nell’avversità non trascurò mai di invocare il suo aiuto. — Ger 20.
Amicizie. Durante gli oltre 40 anni di servizio profetico Geremia non fu abbandonato. Geova era con lui
per liberarlo dai nemici. (Ger 1:19) Geremia provava diletto nella parola di Geova. (Ger 15:16) Evitò la
compagnia di coloro che non rispettavano Dio. (Ger 15:17) Ebbe buoni amici fra i quali poté compiere
un’opera costruttiva (Ger 1:10), cioè i recabiti, Ebed-Melec e Baruc. Grazie a questi amici fu assistito e
liberato dalla morte, e più di una volta Geova manifestò la sua potenza proteggendolo. — Ger 26:7-24;
35:1-19; 36:19-26; 38:7-13; 39:11-14; 40:1-5.
Rappresentazioni simboliche. Geremia inscenò diverse situazioni che dovevano simboleggiare la
condizione di Gerusalemme e la calamità che si sarebbe abbattuta su di lei. Ci fu la visita in casa del
vasaio (Ger 18:1-11) e l’episodio della cintura rovinata. (Ger 13:1-11) Geremia ricevette il comando di
non sposarsi: questo era un avvertimento della “morte da malattie” dei bambini nati durante quegli ultimi
giorni di Gerusalemme. (Ger 16:1-4) Egli ruppe una fiasca davanti agli anziani di Gerusalemme come
simbolo dell’incombente distruzione della città. (Ger 19:1, 2, 10, 11) Ricomprò un campo da Hanamel,
figlio del suo zio paterno, per rappresentare il ritorno dopo i 70 anni di esilio, quando in Giuda si
sarebbero di nuovo acquistati campi. (Ger 32:8-15, 44) A Tafnes, in Egitto, nascose grosse pietre nella
terrazza di mattoni presso la casa del faraone, profetizzando che Nabucodonosor avrebbe collocato
proprio in quel punto il suo trono. — Ger 43:8-10.
Un vero profeta. Daniele riconobbe che Geremia era un vero profeta di Geova e, studiando le sue
profezie relative ai 70 anni di esilio, poté rafforzare e incoraggiare gli ebrei spiegando loro che la
liberazione era vicina. (Da 9:1, 2; Ger 29:10) Esdra richiamò l’attenzione sull’adempimento delle parole di
Geremia. (Esd 1:1; vedi anche 2Cr 36:20, 21). L’apostolo Matteo fece notare come una delle profezie di
Geremia si adempì ai giorni dell’infanzia di Gesù. (Mt 2:17, 18; Ger 31:15) L’apostolo Paolo menzionò i
profeti, fra i quali Geremia di cui citò gli scritti, in Ebrei 8:8-12. (Ger 31:31-34) Di quegli uomini lo stesso
scrittore disse che “il mondo non era degno di loro”, e che ricevettero “testimonianza mediante la loro
fede”. — Eb 11:32, 38, 39.

km 1/74 2 Adunanze di Servizio


Min. 20: La perseveranza di Geremia. Fate leggere le scritture all’uditorio, invitandolo a commentarle e
farne l’applicazione personale (in base al tempo disponibile).
Geremia fu uno del ‘gran nuvolo di testimoni’ dalla cui condotta possiamo trarre molto incoraggiamento.
(Ebr. 12:1) Anzitutto, si rese conto che la sua forza veniva da Geova. — Ger. 1:6, 18, 19; 20:11.
Geremia fu coraggioso e intrepido grazie alla forza di Geova, ma ebbe anche vera considerazione per il
popolo. Provò compassione e mostrò anche amore per essi quando soffrivano a causa dei loro peccati.
(Ger. 8:21–9:1) Dichiarò intrepidamente l’avvertimento e il messaggio di giudizio di Geova, tuttavia ebbe
a cuore il suo ulteriore incarico di ‘edificare e piantare’. — Ger. 1:10; 38:19-23.
Geremia si scoraggiò a causa dell’aspra opposizione, ma amava la Parola di Dio e vi si attenne. Non
abbandonò mai l’opera affidatagli. Fu incoraggiato da Geova e liberato. — Ger. 20:8, 9, 11; 40:2-4.
Quali sono alcune cose che possiamo imparare dalla vita di Geremia, applicandole nella nostra vita?
1. L’umiltà e la fiducia in Geova. Dobbiamo comprendere che facciamo la sua opera, non la nostra. Egli ci
ama e ci dà la forza e la capacità di continuare a servirlo fedelmente. — Giac. 4:6, 10; Efes. 6:10; 1 Piet.
4:11.
2. Baldanza, coraggio. Dio non vuole che tremiamo dinanzi ai nostri oppositori e che manchiamo di
santificare il suo nome. A nostra volta, non vogliamo ‘annacquare’ il messaggio di Dio o esser timidi e
trattenerci dal dichiarare la verità. — Atti 4:29; Gios. 1:7-9; Sal. 27:14.
3. L’amore per i nostri fratelli e per altri. La nostra attitudine ha molta importanza. Siamo come un
“rimbombante cembalo” se l’amore non ci sprona. Dobbiamo ricordare il nostro scopo di ‘edificare e
piantare’, di aiutare le persone. — 1 Cor. 13:1-3.
4. Come Geremia, non è raro che a volte ci scoraggiamo a causa dell’opposizione, dell’indifferenza o di
circostanze avverse. (2 Cor. 1:8-10) Dobbiamo pregare Dio, appoggiarci a lui e attendere fiduciosamente
il suo aiuto. Nel frattempo, se non abbandoniamo il nostro posto nella sua disposizione, potremo
perseverare con gioia ed essere liberati. — Giac. 5:11; Filip. 1:27, 28; 2 Piet. 2:9.

km 7/77 2 Adunanze di servizio


Min. 20: “Prendete a modello . . . i profeti”. Gli antichi profeti ebrei erano uomini “con sentimenti simili ai
nostri”. (Giac. 5:10, 17) Non fu sempre facile per loro adempiere il loro incarico, poiché spesso ebbero
forte opposizione dai loro connazionali. A volte si scoraggiarono e dovettero cambiare il loro modo di
pensare. Considerate con l’uditorio le seguenti domande: (1) Cosa affrontò Geremia quando dichiarò il
messaggio di Dio al suo popolo? (Ger. 20:7, 8) (2) Che effetto ebbe l’atteggiamento degli Israeliti sul
modo in cui il profeta considerava il suo incarico? (Ger. 20:9, 10) (3) Poté continuare Geremia con le sue
sole forze? (Ger. 20:11) (4) Perché a volte possiamo sentirci come Geremia, e come può incoraggiarci
questo esempio? (5) Come si sentì Elia riguardo al suo incarico e perché? (1 Re 19:4, 9, 10) (6) Era
corretto il modo di pensare di Elia? (1 Re 19:15-18) (7) Che cosa illustra il caso di Elia in quanto alla
nostra conoscenza dell’opera che resta da fare e al numero di persone di cuore retto che si possono
ancora trovare?
km 12/78 2 Adunanze di servizio
Min. 17: Impariamo dall’esperienza di Geremia. Geremia fu un uomo fedele e leale, pur trovandosi a
volte in difficoltà. Nel considerare il materiale seguente, far leggere le scritture da qualcuno dell’uditorio
prima di fare le domande.
1. Leggere Geremia 1:6-8. Domanda: Anche se non ci sentiamo all’altezza, come possiamo essere
incoraggiati da questi versetti?
2. Leggere Geremia 1:17-19. Come ci rassicurano e ci incoraggiano questi versetti mentre svolgiamo
un’opera simile a quella di Geremia?
3. Leggere Geremia 20:9, 11, 13. Se qualche volta siamo scoraggiati, quale incoraggiamento ci danno
questi versetti?
4. Leggere Geremia 26:12, 15. Cosa ci viene ricordato da questi versetti?
5. Leggere Geremia 31:3, 4. Cosa dicono questi versetti circa l’amore e la misericordia di Geova verso
coloro che si pentono e tornano a fare la sua volontà? Oggi le persone possono cambiare e avere ancora
il favore di Geova? Cosa dice Isaia 1:18, 19?
Nella conclusione chiedere ai presenti: Come vi ha rassicurati e incoraggiati questa considerazione?

W98 1-3 P.26


KM 1-98 P.1
Geroboamo (n. 1) — Tema: L’ambizione egoistica può portare all’idolatria 1°TIMOTEO 3:1

it-1 1047-8 Geroboamo


GEROBOAMO
(Geroboàmo).
Nome di due re d’Israele che regnarono a distanza di 130 anni l’uno dall’altro.
1. Primo re del regno delle dieci tribù d’Israele; figlio di Nebat, uno dei funzionari di Salomone del villaggio
di Zereda, della tribù di Efraim. A quanto pare Geroboamo rimase orfano in tenera età e fu allevato dalla
madre vedova, Zerua. — 1Re 11:26.
Salomone, osservando che Geroboamo era non solo un uomo valoroso e potente, ma anche un solerte
lavoratore, lo incaricò di sorvegliare il lavoro obbligatorio assegnato alla casa di Giuseppe. (1Re 11:28) In
seguito il profeta di Dio Ahia diede una sorprendente notizia a Geroboamo. Dopo essersi strappato il
mantello nuovo in 12 pezzi, il profeta gli disse di prenderne dieci, a indicare che Geova avrebbe diviso in
due parti il regno di Salomone e lui, Geroboamo, sarebbe diventato re di dieci tribù. Questa divisione però
doveva riguardare solo il governo e non costituire anche un allontanamento dalla vera adorazione che
aveva il suo centro nel tempio di Gerusalemme, la capitale del regno meridionale. Geova Dio assicurò a
Geroboamo che avrebbe benedetto e fatto prosperare il suo regno e gli avrebbe edificato una casa o
discendenza permanente, a patto che lui osservasse le sue leggi e i suoi comandamenti. — 1Re 11:29-
38.
Forse informato di questi avvenimenti, Salomone cercò di uccidere Geroboamo. Ma egli fuggì in Egitto
dove, protetto dal faraone Sisac, rimase al sicuro fino alla morte di Salomone. — 1Re 11:40.
Verso il 998 a.E.V., alla notizia della morte di Salomone, Geroboamo tornò immediatamente in patria, e si
unì al popolo nel chiedere a Roboamo figlio di Salomone di rendere più leggero il loro giogo se voleva
che appoggiassero il governo che aveva appena assunto. Ma Roboamo ignorò il buon suggerimento dei
consiglieri più anziani, preferendo quello dei suoi compagni più giovani di aumentare il lavoro imposto al
popolo. Le dieci tribù risposero a questa crudeltà acclamando re Geroboamo. In effetti questo “volgere
degli eventi ebbe luogo per volere di Geova, affinché egli realmente eseguisse la parola che Geova
aveva pronunciato per mezzo di Ahia”. — 1Re 12:1-20; 2Cr 10:1-19.
Appena investito del potere regale Geroboamo si accinse a costruire Sichem, la sua capitale, e a E di
Sichem, dall’altra parte del Giordano, fortificò l’insediamento di Penuel (Peniel), la località dove Giacobbe
aveva lottato con l’angelo. (1Re 12:25; Ge 32:30, 31) Vedendo i suoi sudditi affluire al tempio di
Gerusalemme per adorare, Geroboamo pensò che col tempo sarebbero potuti passare dalla parte di
Roboamo e che quindi l’avrebbero ucciso. Perciò decise di risolvere il problema istituendo il culto dei due
vitelli d’oro, uno dei quali fu eretto a Betel nel S e l’altro a Dan nel N. Istituì anche un suo sacerdozio non
aaronnico, formato da uomini comuni disposti a procurarsi l’incarico mediante l’offerta di un toro e sette
montoni. Costoro prestavano servizio “per gli alti luoghi e per i demoni a forma di capro e per i vitelli che
aveva fatto”. Geroboamo inventò anche speciali ‘feste’ e diede personalmente l’esempio offrendo sacrifici
agli dèi da lui appena creati. — 1Re 12:26-33; 2Re 23:15; 2Cr 11:13-17; 13:9.
Una volta, mentre Geroboamo si accingeva a offrire fumo propiziatorio sull’altare di Betel, lo spirito di
Geova spinse un uomo di Dio a rimproverare il re per la sua abominevole idolatria. Quando il re ordinò di
afferrare quel servitore di Dio, l’altare si spaccò in due, la cenere si sparse, e la mano del re si seccò.
Solo dopo che l’uomo di Dio ebbe placato l’ira di Geova la mano tornò normale, tuttavia Geroboamo
seguitò nella sua blasfema sfida contro Geova. (1Re 13:1-6, 33, 34) L’introduzione del culto dei vitelli
costituì i “peccati di Geroboamo”, peccati di cui si resero colpevoli anche altri re d’Israele perpetuando
tale adorazione apostata. — 1Re 14:16; 15:30, 34; 16:2, 19, 26, 31; 22:52; 2Re 3:3; 10:29, 31; 13:2, 6,
11; 14:24; 15:9, 18, 24, 28; 17:21-23.
Roboamo morì nel 18° anno del regno di Geroboamo, m a le ostilità fra le due nazioni proseguirono
durante i tre anni del regno di Abiam (Abia), figlio di Roboamo e suo successore. (1Re 15:1, 2, 6; 2Cr
12:15) Una volta Abia radunò 400.000 uomini per combattere contro gli uomini di Geroboamo che erano il
doppio. Nonostante la superiorità numerica e l’abile strategia nel tendere imboscate, Geroboamo subì
una grave sconfitta. Perse 500.000 uomini e molte città efraimite, e subì una grave umiliazione. La vittoria
di Giuda fu dovuta al fatto che Abia e i suoi uomini avevano confidato in Geova e avevano invocato il suo
aiuto. — 2Cr 13:3-20.
Ad accrescere la calamità di Geroboamo, suo figlio Abia cadde mortalmente ammalato, al che il re fece
travestire la moglie e la mandò a portare un dono al vecchio profeta Ahia, ormai cieco, per chiedere se il
bambino sarebbe guarito. La risposta fu negativa e inoltre fu predetto che sarebbe stato stroncato ogni
erede maschio di Geroboamo e, eccetto questo figlio in cui Geova trovò qualcosa di buono, nessuno dei
suoi discendenti avrebbe avuto una sepoltura decente, anzi i loro cadaveri sarebbero andati in pasto ai
cani o agli uccelli da preda. — 1Re 14:1-18.
Poco dopo, verso il 977 a.E.V., “Geova lo colpì, così che [Geroboamo] morì”, dopo 22 anni di regno. (2Cr
13:20; 1Re 14:20) Gli succedette il figlio Nadab che regnò due anni prima di essere ucciso da Baasa, il
quale non lasciò in vita nessuno della casa di Geroboamo. Così, “a causa dei peccati di Geroboamo”, la
sua dinastia terminò repentinamente “secondo la parola di Geova”. — 1Re 15:25-30.

w78 1/12 13 Il libro di Primo Re: Documento di gloria e disonore


DISONORE DI UN REGNO DIVISO
Tuttavia, il dominio glorioso finisce nel disastro. Salomone trascura la legge di Dio di non moltiplicarsi le
mogli, e questo causa la sua rovina. Le alleanze matrimoniali con donne che non adorano Geova portano
Salomone a tollerare l’idolatria su vasta scala. Perciò Geova decreta la divisione del regno israelita, e
solo le tribù di Giuda e Beniamino restano leali alla casa di Davide. Nel frattempo, avendo perduto la
benedizione di Geova, Salomone ha ulteriori problemi a causa di bande di predoni.
Per mezzo del profeta Ahia, l’efraimita Geroboamo apprende che Geova lo ha scelto per regnare su 10
tribù d’Israele. Geroboamo riceve il comando di rimanere fedele a Geova e gli è data l’assicurazione che
allora si troverà bene. Poiché Salomone cerca di ucciderlo, Geroboamo fugge in Egitto.
Morto Salomone, sale al trono suo figlio Roboamo. Trascurando il consiglio degli anziani e accettando il
suggerimento dei giovani, Roboamo dichiara che imporrà sulla nazione un pesante giogo. Le 10 tribù si
ribellano e fanno re Geroboamo su di loro, e così si adempie la parola di Geova dichiarata per mezzo di
Ahia. Successivamente Roboamo si prepara a far guerra per sottomettere le tribù ribelli, ma, in
ubbidienza alla parola di Geova dichiarata per mezzo di Semaia, rinuncia ai suoi piani.
L’INFEDELTÀ RECA DISONORE A ENTRAMBI I REGNI
Invece di confidare nella promessa di Geova che il regno sarebbe stato stabile finché fosse rimasto
fedele, Geroboamo istituisce l’adorazione dei vitelli. Egli vuole impedire ai suoi sudditi di andare ad
adorare a Gerusalemme. Non avendo fede, ragiona che l’indipendenza politica dipende dall’indipendenza
religiosa. Per mezzo dei suoi profeti Geova dichiara che infine un Giudeo di nome Giosia porrà fine con la
forza all’adorazione idolatrica e che la casa di Geroboamo perirà nel disonore.
Neppure il regno delle due tribù rimane leale a Geova. Esso è umiliato nel quinto anno di regno di
Roboamo quando l’egiziano Sisac invade Giuda e porta via preziosi tesori da Gerusalemme. Inoltre, i due
regni israeliti si fanno guerra durante il regno di Roboamo e suo figlio Abiam. Come suo padre, Abiam si
mostra sleale a Geova. Tuttavia, Asa, figlio di Abiam, che assume quindi il potere nel regno delle due
tribù, compie passi decisi per eliminare l’idolatria dal reame. Ma, minacciato da Baasa, il monarca del
regno settentrionale, per mancanza di fede Asa chiede aiuto al re siro Ben-Adad.

w95 1/4 12 Agli occhi di Dio siete preziosi!


11 Per esempio, quando Geova decretò che l’intera dinastia apostata di Geroboamo doveva essere
eliminata, spazzata via come “sterco”, ordinò che solo uno dei figli del re, Abia, ricevesse degna
sepoltura. Come mai? “Per la ragione che qualcosa di buono verso Geova l’Iddio d’Israele è stato trovato
in lui”. (1 Re 14:10, 13) Significa questo che Abia fosse un fedele servitore di Geova? Non
necessariamente, dato che perì, come il resto della sua malvagia famiglia. (Deuteronomio 24:16)
Nondimeno Geova apprezzò quel “qualcosa di buono” che aveva notato nel cuore di Abia e agì di
conseguenza. Un commentario biblico osserva: “Anche se c’è solo qualche cosa buona, verrà notata:
dato che Dio ne è alla ricerca, la vede, anche se è molto piccola, e se ne compiace”. (Matthew Henry’s
Commentary on the Whole Bible) E non dimenticate che se Dio trova in voi qualche buona qualità, anche
in piccola misura, può farla crescere man mano che vi sforzate di servirlo fedelmente.

w95 1/7 16-17 L'"Israele di Dio" e la "grande folla"


9 Dopo la morte di Salomone, il popolo di Dio si divise dando vita alla nazione di Israele a nord, sotto il re
Geroboamo, e alla nazione di Giuda a sud, sotto il re Roboamo. Poiché il tempio, il centro della pura
adorazione, si trovava nel territorio di Giuda, Geroboamo istituì un’illecita forma di adorazione erigendo
immagini di vitelli nel territorio della sua nazione. Inoltre “faceva una casa di alti luoghi e faceva sacerdoti
dal popolo in genere, che non erano dei figli di Levi”. (1 Re 12:31) La nazione settentrionale sprofondò
ancora di più nella falsa adorazione quando il re Acab permise alla moglie Izebel, una straniera, di
istituire il culto di Baal nel paese. Infine Geova emanò un giudizio contro il regno ribelle. Tramite Osea
disse: “Il mio popolo sarà certamente ridotto al silenzio, perché non c’è conoscenza. Poiché la
conoscenza è ciò che tu stesso hai rigettato, anch’io ti rigetterò dal farmi da sacerdote”. (Osea 4:6) Poco
dopo gli assiri spazzarono via il regno settentrionale di Israele.

w94 15/1 13 Geova domina, mediante la teocrazia


14 A Roboamo, figlio di Salomone, fu chiesto di alleggerire il carico dei suoi sudditi. Invece di affrontare la
situazione con mitezza, egli ribadì bellicosamente la sua autorità, cosa che gli costò la perdita di 10 delle
12 tribù. (2 Cronache 10:4-17) Il primo re delle dieci tribù secessioniste fu Geroboamo. Per evitare che il
suo regno potesse ricongiungersi con la nazione sorella, egli istituì il culto dei vitelli. Da un punto di vista
politico poté sembrare un’abile mossa, ma rivelò sfacciato disprezzo per la teocrazia. (1 Re 12:26-30) In
seguito, al termine di una lunga vita di fedele servizio, il re Asa lasciò che l’orgoglio macchiasse la sua
reputazione. Maltrattò il profeta che era andato a dargli consigli per conto di Geova. (2 Cronache 16:7-11)
Sì, a volte anche chi non è un novellino ha bisogno di consigli.

w79 15/5 26-7 Il successo dipende dalla fedeltà a Dio


UN REGNO DIVISO
Preferendo la voce di giovani inesperti e adulatori al ragionevole consiglio degli anziani, Roboamo
informò i rappresentanti della nazione che avrebbe imposto sul popolo un giogo più pesante di quello
imposto da suo padre. Dato che il popolo aveva già subito abbastanza oppressione dopo che Salomone
si era allontanato dalla legge di Geova nell’ultima parte del suo regno, 10 tribù si ribellarono, adempiendo
la parola detta da Geova tramite Ahia. — 10:1-19.
Radunato un esercito, Roboamo tentò di riportare sotto il suo dominio le tribù ribelli. Ma ricevuta tramite il
profeta Semaia la parola di Geova, rinunciò a questo intento. Le tribù ribelli formarono un regno
indipendente sotto Geroboamo, che stabilì l’adorazione dei vitelli. Di conseguenza, i leviti fedeli che
abitavano nelle città sotto il dominio di Geroboamo partirono per Giuda e Gerusalemme. — 11:1-17.
Avendo anche Roboamo, insieme ai suoi sudditi, abbandonato la legge divina, Geova ritirò la sua
protezione. Sisac (Shèshonq I) invase il reame di Giuda, prendendo una dopo l’altra le città fortificate.
Tuttavia, udita la dichiarazione divina che sarebbero stati abbandonati nelle mani di Sisac a causa della
loro infedeltà, Roboamo e i principi si umiliarono e Geova non permise che quel governante egiziano
riducesse in rovina Gerusalemme. Nondimeno, la città fu spogliata dei suoi tesori. — 12:1-12.

w78 1/12 15 Idolatria: Rovina dei regni israeliti


Idolatria: Rovina dei regni israeliti
IL REGNO delle 10 tribù d’Israele cominciò male con l’adorazione dei vitelli stabilita dal suo primo re,
Geroboamo. L’adorazione idolatrica non fu mai interrotta e a causa d’essa Geova permise infine che gli
Assiri riducessero in rovina il regno settentrionale. Invece di imparare da questo esempio ammonitore,
anche gli abitanti del regno delle due tribù divennero idolatri. Quindi Geova tolse alla nazione la sua
benedizione. Infine, la capitale fu ridotta in rovina, insieme al bel tempio costruito dal re Salomone. Il libro
biblico chiamato Secondo Re continua il racconto storico iniziato in Primo Re e indica chiaramente che gli
Israeliti avrebbero potuto evitare la calamità se avessero dato ascolto alle parole dei profeti.
Tra i principali profeti del regno settentrionale ci furono Elia ed Eliseo. Quando Elia fu miracolosamente
tolto dalla scena, Eliseo continuò il compito di Elia. Un aspetto notevole di quel compito fu l’unzione del re
Ieu. Dopo che Eliseo ebbe mandato uno dei suoi servitori a ungerlo re, Ieu eseguì senza perdere tempo
la vendetta di Geova contro la casa idolatra di Acab, inclusa la malvagia Izebel.
Successivamente, Ieu si accinse a rimuovere dal suo reame l’adorazione di Baal. Diede l’impressione di
voler incoraggiare l’adorazione di Baal in maniera anche più estesa di quanto non avesse fatto Acab e
fece radunare tutti gli idolatri nella casa di Baal. Dopo essersi accertato che non ci fosse in mezzo a loro
neppure un adoratore di Geova, Ieu comandò ai suoi uomini di uccidere gli idolatri radunati. Avendo Ieu
compiuto quest’azione decisa, gli fu assicurato che quattro generazioni di suoi figli gli sarebbero
succedute sul trono. Furono Ioacaz, Ioas, Geroboamo II e Zaccaria.
Nondimeno Ieu non sradicò l’adorazione dei vitelli. Il racconto biblico dice: “Ieu stesso non ebbe cura di
camminare nella legge di Geova l’Iddio d’Israele con tutto il suo cuore. Non si dipartì dai peccati di
Geroboamo con i quali egli aveva fatto peccare Israele”. — 2 Re 10:31.
Nessun discendente di Ieu né alcuno dei successivi governanti del regno delle 10 tribù fece qualcosa per
porre fine all’adorazione dei vitelli. Il racconto di Secondo Re fa questi commenti sulla situazione e sul
risultato: “I figli d’Israele camminarono in tutti i peccati di Geroboamo che egli aveva fatti. Non se ne
dipartirono, finché Geova rimosse Israele dalla sua vista, proprio come aveva parlato per mezzo di tutti i
suoi servitori i profeti. Israele andò dunque dal suo proprio suolo in esilio, in Assiria, fino a questo giorno”.
(II Re 17:22, 23) Elia ed Eliseo non furono i soli profeti che avvertirono gli Israeliti. Altri furono Micaia,
Giona, Oded, Osea, Amos e Michea. Tuttavia il popolo non ascoltò le esortazioni dei profeti a pentirsi.

w76 1/1 30 Gli avvenimenti della Bibbia nel giusto ordine


Durante il regno di Roboamo, figlio di Salomone, nel 997 a.E.V., dieci tribù si ribellarono e fecero loro re
Geroboamo. Tuttavia, le tribù di Beniamino e Giuda, come pure i Leviti, rimasero fedeli alla casa reale di
Davide. Il regno delle dieci tribù ebbe un cattivo inizio quando il re Geroboamo introdusse l’adorazione
dei vitelli. In tutti gli anni che passarono sino alla caduta del regno delle dieci tribù, conquistato nel 740
a.E.V. dagli Assiri, la pratica dell’idolatria non cessò mai. (1 Re 12:16-24, 28-30; 2 Re 17:1-6) Circa 133
anni dopo, nel 607 a.E.V., i Babilonesi conquistarono il regno delle due tribù. — 2 Re 25:1-9.

w76 15/8 503 La misericordia di Dio ad Har-Maghedon


La misericordia di Dio ad Har-Maghedon
DA CHE peccato e malvagità regnano sulla terra, nei matrimoni fra uomini e donne ci sono sempre stati
problemi. Anche nel matrimonio di Dio con l’antica nazione d’Israele ci furono difficoltà.
2 Dio rappresentò in un dramma la propria relazione coniugale per mezzo di quella del profeta Osea. Per
comando di Dio, Osea aveva sposato Gomer, figlia di Diblaim. Questo raffigurò il matrimonio di Geova
con l’antico Israele avvenuto mediante il patto della Legge mosaica al monte Sinai nel 1513 a.E.V. Dopo
la morte del re Salomone, figlio di Davide, avvenuta nel 997 a.E.V., la nazione d’Israele, sposata da lungo
tempo, si divise in due parti. Le due tribù di Giuda e Beniamino rimasero unite sotto il regno di Giuda, le
altre dieci tribù sotto il regno d’Israele. Il primo re di quest’ultimo regno fu Geroboamo figlio di Nebat della
tribù di Efraim. Sotto questo Geroboamo I il regno d’Israele ruppe il contratto matrimoniale stipulato con
Geova; ne boicottò l’adorazione a Gerusalemme e stabilì la propria adorazione nazionale con immagini
idolatre, due vitelli d’oro, uno a Dan e l’altro a Betel. Come Gomer, moglie del profeta Osea, così il regno
delle dieci tribù d’Israele divenne adultero.

w72 1/11 647 Che genere di rappresentazioni sono, ornamentali o idolatriche?


D’altra parte, i vitelli d’oro eretti dal re Geroboamo a Dan e a Betel erano idoli. Era loro resa effettiva
adorazione nel settentrionale Regno d’Israele. Benché si facesse l’asserzione che i vitelli d’oro
rappresentassero Geova, ciò non ne rendeva accettevole la relativa adorazione. (1 Re 12:28; 14:7-9)
Geova dichiarò per mezzo del suo profeta Isaia: “Io sono Geova. Questo è il mio nome; e non darò a
nessun altro la mia propria gloria, né la mia lode alle immagini scolpite”. (Isa. 42:8) Facendo i vitelli d’oro
(evidentemente giovani tori) e usandoli nell’adorazione, gli Israeliti si resero colpevoli d’aver scambiato la
gloria di Dio per qualche cosa che lo rappresentava in maniera errata. Quale insulto fu per il supremo
Sovrano dell’universo essere rappresentato come un toro, “un mangiatore di vegetazione”! — Sal.
106:20.
Il fatto che il toro fosse nel settentrionale Regno d’Israele oggetto di adorazione non fece dei tori che
erano nel tempio di Salomone degli idoli. In modo simile, il fatto che varie creature, piante e corpi celesti,
tutte parte delle opere creative di Dio, siano state e ancora siano venerate non le rende di per sé
inaccettabili a scopo decorativo o ornamentale. Molte cose che un tempo erano adorate dagli antichi han
perduto il loro significato idolatrico e sono in genere considerate come semplicemente ornamentali.

W63 P.255, 256


W65 P.118
Gheazi — Tema: Il vostro cuore sia libero da avidità e inganno 1°TIMOTEO 6:9, 10; EFESINI 5:3;
PROVERBI 12:20; 1°CORINTI 6:10
it-1 1081-2 Gheazi
GHEAZI
(Gheàzi).
Servitore del profeta Eliseo.
Quando in un’occasione Eliseo si chiese cosa fare per un’ospitale sunamita, Gheazi portò all’attenzione
del suo padrone il fatto che la donna non aveva figli e che suo marito era vecchio. Perciò Eliseo disse alla
donna che per ricompensa avrebbe avuto un figlio. Anni dopo il bambino avuto miracolosamente si
ammalò e morì. Allora la sunamita sellò un’asina, andò da Eliseo sul Carmelo e gli si strinse ai piedi.
Vedendo ciò Gheazi cercò di allontanarla, ma gli fu detto di lasciarla stare. Dopo che la donna ebbe finito
di parlare, Eliseo mandò immediatamente Gheazi dal ragazzo, mentre lui e la donna lo seguivano. Per
via Gheazi tornò loro incontro con la notizia che, benché gli avesse messo il bastone di Eliseo sulla
faccia, “il ragazzo non si [era] svegliato”. Tuttavia poco dopo Eliseo risuscitò il figlio della sunamita. —
2Re 4:12-37.
In seguito, poiché ci sarebbero stati sette anni di carestia, Eliseo raccomandò alla sunamita e alla sua
famiglia di trasferirsi temporaneamente altrove, ovunque fosse possibile. Finita la carestia la donna tornò
in Israele dalla Filistea e andò dal re per supplicarlo di restituirle la casa e il campo. Proprio in quel
momento Gheazi stava raccontando al re che Eliseo le aveva risuscitato il figlio. Sentendone il racconto
dalla sunamita stessa, il re diede ordine che le venisse restituita ogni cosa, incluso tutto quello che aveva
prodotto il campo durante la sua assenza. — 2Re 8:1-6.
L’avidità di guadagno egoistico fu la rovina di Gheazi. Ciò avvenne in relazione alla guarigione del siro
Naaman. Eliseo aveva rifiutato di accettare un dono da Naaman per averlo guarito dalla lebbra (2Re
5:14-16), ma Gheazi bramando il dono ragionò che era solo giusto accettarlo. Perciò rincorse Naaman e,
a nome di Eliseo, chiese un talento d’argento (del valore di 10.260.000 lire) e due mute di abiti, col
pretesto che servivano per due giovani figli dei profeti appena arrivati dalla regione montagnosa di
Efraim. Naaman fu ben lieto di dargli non uno, ma due talenti d’argento, e anche le due mute di abiti, e
disse a due suoi servitori di portare il dono per Gheazi. A Ofel questi prese il dono dalle mani dei servitori,
li congedò, portò il dono a casa sua e poi si presentò a mani vuote a Eliseo, negando di essere andato in
qualche posto quando gli fu chiesto: “Da dove vieni, Gheazi?” Perciò fu colpito dalla lebbra. L’avidità,
unita alla falsità, costò a Gheazi il privilegio di continuare a servire Eliseo e fu inoltre la causa della lebbra
che colpì lui e la sua progenie. — 2Re 5:20-27.

w78 15/2 14-15 Siate saggi, rifuggite dall'avidità


Siate saggi, rifuggite dall’avidità
“TENETE i vostri occhi aperti e guardatevi da ogni sorta di concupiscenza, perché anche quando una
persona ha abbondanza la sua vita non dipende dalle cose che possiede”. — Luca 12:15.
Cosa diede a Gesù Cristo motivo di dire queste parole? Una grande moltitudine lo stava ascoltando
quando un uomo gridò: “Di’ a mio fratello di dividere con me l’eredità”. (Luca 12:13) Non c’era in realtà
nessun motivo di fare una simile richiesta, perché la legge mosaica stabiliva che il primogenito ricevesse
due parti di tutto ciò che apparteneva a suo padre. Evidentemente, perciò, la concupiscenza aveva spinto
l’uomo a chiedere a Gesù Cristo di emettere un giudizio a suo favore.
Le succitate parole di Gesù sulla concupiscenza furono rivolte alla folla che aveva udito la richiesta
dell’uomo. Queste parole facevano capire che l’individuo deve valutare bene le cose per rifuggire dalla
concupiscenza o avidità. Non deve perdere di vista il fatto che qualunque sia l’oggetto del suo errato
desiderio non può in nessun modo contribuire a conservarlo in vita. Anzi, l’avidità può condurlo alla
rovina.
Questo è ben illustrato da quanto accadde a Gheazi, servitore del profeta ebreo Eliseo. Per mezzo di
Eliseo, Naaman, capo dell’esercito siro, fu guarito dalla ripugnante lebbra. Grato della miracolosa
guarigione, Naaman volle offrire a Eliseo un dono. Ma il profeta lo rifiutò, non volendo trarre profitto
dall’incarico e dai poteri che Geova Dio gli aveva concessi. Però Gheazi bramò quel dono, ragionando
che fosse giusto accettarlo. Corse dietro a Naaman e, in nome di Eliseo, chiese un talento d’argento e
due mute di vesti, asserendo falsamente che il profeta aveva cambiato idea per il fatto che erano arrivati
due giovani dei figli dei profeti. Naaman fu felice di accontentarlo, offrendo all’avido Gheazi non uno ma
due talenti d’argento e due mute di vesti. — 2 Re 5:15, 16, 20-23.
In apparenza l’avidità di Gheazi portò frutto. Ma in effetti non fu così. Egli perse il privilegio d’essere al
servizio di Eliseo. Essendo stato avido, avendo abusato del nome del suo padrone per un guadagno
disonesto e avendo presentato il profeta sotto falsa luce, Gheazi attirò la calamità su di sé e sulla sua
progenie. Pronunciando il giudizio di Dio, Eliseo disse a Gheazi: “La lebbra di Naaman s’attaccherà
dunque a te e alla tua progenie a tempo indefinito”. L’esecuzione di quel giudizio non tardò. Il racconto
continua: “Immediatamente egli uscì d’innanzi a [Eliseo], lebbroso, bianco come la neve”. — 2 Re 5:27.
Certo Geova Dio non considera una cosa da poco il cercar di trarre un guadagno egoistico dai suoi doni.
Questo includerebbe l’uso della propria posizione di responsabilità nella congregazione cristiana per
trarre un guadagno egoistico. Infatti, un requisito che devono soddisfare coloro che sono nominati a un
particolare incarico di servizio nella congregazione è che ‘non siano avidi di guadagno disonesto’. (1 Tim.
3:8) Gli anziani sono esortati: “Pascete il gregge di Dio affidato alla vostra cura, non per forza, ma
volontariamente; né per amore di guadagno disonesto, ma premurosamente”. — 1 Piet. 5:2.
È con buona ragione che la Bibbia dà questo comando. I servitori nominati di una congregazione, ad
esempio, possono dover maneggiare denaro. Ciò richiede che siano scevri da avidità in modo esemplare.
Altrimenti, qualora venissero nominati pur avendo una grave debolezza sotto questo aspetto, potrebbero
esser tentati di usare erratamente ciò che è affidato loro, appropriandosi cose a cui non hanno diritto. In
quanto agli anziani, anch’essi devono stare attenti a non servirsi della propria posizione per trarre un
profitto o un guadagno di qualsiasi specie. Non solo sarebbe errato che cercassero di trarre un guadagno
materiale, ma sarebbe pure errato che traessero altri vantaggi personali a motivo della posizione,
dell’autorità, del prestigio o della preminenza che hanno.
Se un anziano o un altro servitore nominato della congregazione divenisse avido, come Gheazi,
perderebbe il suo incarico di fiducia. Ciò che è più grave, potrebbe anche perdere la sua relazione con
Geova.
Questo fatto di rifuggire dall’avidità dovrebbe essere motivo di grande preoccupazione non solo per gli
uomini nominati economi nella congregazione cristiana, ma per tutti i veri cristiani. La Bibbia include gli
“avidi” fra coloro che ‘non erediteranno il regno di Dio’. (1 Cor. 6:9, 10) Tale avidità può manifestarsi in
vari modi: con l’amore del denaro, con il desiderio di potere o di fama, con gli eccessi nel mangiare o nel
bere, con i rapporti sessuali illeciti o cose simili.
Per non esser vittima dell’avidità, bisogna badare ai propri pensieri e ai propri argomenti di
conversazione. (Filip. 4:8; Efes. 5:3) L’avidità non dovrebbe trovar posto fra i veri cristiani. Non dovrebbe
esistere.
Quindi, se desiderate avere o mantenere una buona relazione con Dio, rifuggite dall’avidità. Invece di
permettere che sorgano nel vostro cuore desideri errati, fate uno sforzo sincero per pensare a cose
buone ed edificanti. Questo vi permetterà di godere molto di più la vita ora e vi garantirà un avvenire
sicuro. Sì, la vita deriva non dall’oggetto della propria avidità, ma dal resistere all’inclinazione all’avidità e
dal mantenere una relazione approvata con Geova Dio.

w85 15/3 8-9 Un uomo rovinato dall'avidità


La Parola di Dio è vivente
Un uomo rovinato dall’avidità
NAAMAN è riconoscente per essere stato guarito dalla lebbra. Mostra la sua gratitudine offrendo in dono
a Eliseo migliaia di pezzi d’oro e d’argento e dieci cambi di bellissime vesti. Ma Eliseo rifiuta il dono. È
stato in realtà Geova a compiere la guarigione miracolosa ed Eliseo non intende prendersene il merito
accettando un dono.
Ma che dire del servitore di Eliseo, Gheazi? Quest’ultimo osserva con avidità quelle belle vesti e tutto
quel denaro. Che succederà se Gheazi continuerà a desiderare alcune di queste cose? Il desiderio errato
lo potrebbe infine attirare e adescare, per poi commettere il male. — Giacomo 1:13-15.
Giunge il momento in cui Naaman e i suoi servitori si congedano e si mettono in cammino per tornare a
casa loro, in Siria. Ma Gheazi non smette di pensare a tutte quelle belle vesti e a tutto quel denaro.
Guardate! Gheazi se ne va di corsa. Dove sta andando?
Gheazi insegue Naaman e lo raggiunge. Naaman saluta Gheazi, chiedendogli: ‘Va tutto bene?’
‘Sì’, risponde Gheazi. ‘Ma Eliseo mi manda a dirti che sono appena giunti due ospiti, ed egli gradirebbe
che tu dessi due cambi di vesti e un po’ d’argento’. Questa, però, è una menzogna. Queste cose Gheazi
le vuole per sé. Comunque Naaman non lo sa, e così è ben felice di fare questo dono. Insiste addirittura
che Gheazi prenda più denaro di quello che ha chiesto.
Allorché Gheazi rientra a casa, Eliseo gli chiede: ‘Dove sei stato?’
‘Oh, da nessuna parte’, risponde. Ma Geova ha rivelato a Eliseo ciò che di male ha fatto Gheazi. Perciò
Eliseo dice: ‘Questo non è il tempo di accettare denaro e vesti! Ora la malattia di Naaman verrà su di te e
sulla tua progenie’. Gheazi viene immediatamente colpito dalla lebbra, e questa malattia gli rimarrà per il
resto della vita. Ciò che accadde a Gheazi mostra come l’avidità possa portare alla rovina. — II Re 5:5,
15-27.
Ghedalia (figlio di Aicam) — Tema: Quando viene dato un avvertimento bisogna prendere delle
precauzioni PROVERBI 22:3

it-1 1082-3 Ghedalia


GHEDALIA
(Ghedalìa) [Geova è grande].
4. “Figlio di Aicam figlio di Safan”. Nel 607 a.E.V., dopo la distruzione di Gerusalemme, il re
Nabucodonosor nominò Ghedalia governatore degli ebrei lasciati nel paese di Giuda. Ghedalia si stabilì a
Mizpa, dove prese dimora anche il profeta Geremia. Quindi i comandanti militari di Giuda sfuggiti alla
cattura, sentito che Ghedalia era stato nominato governatore, andarono da lui a Mizpa con i loro uomini.
Ghedalia assicurò loro, sotto giuramento, che se avessero continuato a servire il re di Babilonia non
sarebbe successo loro nulla di male, e li incoraggiò a raccogliere vino, olio e frutti estivi. Anche gli ebrei
che erano dispersi in Moab, Ammon, Edom e altrove tornarono da Ghedalia.
Tutto questo non piacque evidentemente a Baalis re di Ammon, che riuscì ad assicurarsi la
collaborazione di Ismaele in un complotto per assassinare il governatore Ghedalia. Saputolo, Ioanan e gli
altri comandanti militari avvertirono il governatore, che però non credette alle loro parole. Ioanan si rivolse
persino a Ghedalia in privato e si offrì di sventare il complotto uccidendo Ismaele. Ma Ghedalia non volle
saperne, pensando che Ismaele venisse accusato falsamente. Perciò quando questi, insieme ad altri
dieci uomini, venne a Mizpa, Ghedalia non prese nessuna precauzione e si accinse a mangiare con loro.
Mentre mangiavano, Ismaele e i suoi uomini si levarono e uccisero Ghedalia e tutti gli ebrei e i caldei che
erano con lui. — 2Re 25:22-25; Ger 39:14; 40:5–41:3.

w80 1/8 14-19 Illuminazione della festa


Illuminazione della festa
IN OCCASIONE della festa delle capanne “la città del gran Re”, la città di Geova, veniva illuminata in
modo speciale. (Matt. 5:35) Di notte, nel tempio di Erode, e precisamente nel Cortile delle donne a est
dell’altare, si poteva vedere qualcosa di insolito. Vi erano installati quattro giganteschi candelabri,
ciascuno con quattro grandi coppe. Per riempire le coppe di olio combustibile si dovevano usare delle
scale. Le vecchie vesti dei sacerdoti servivano da stoppini. Le 16 coppe accese facevano una tale luce
da illuminare di notte tutta Gerusalemme. Sotto l’intensa luce, gli israeliti maschi danzavano o facevano
acrobazie nel Cortile delle donne, mentre le donne osservavano la scena da una balconata. I cantori
intonavano i 15 Salmi delle ascese, con l’accompagnamento musicale dei leviti. I festeggiamenti
continuavano fino allo spuntar del giorno.
2 I gentili incirconcisi presenti alla festa dovevano rimanere nel Cortile dei Gentili, separato dal Cortile
d’Israele dalla barriera di pietra e dal Cortile esterno. — Vedi Atti 21:28, 29 per avere un’idea delle
limitazioni imposte all’ingresso dei gentili nel tempio.
3 Se teniamo conto delle notevoli caratteristiche aggiunte alla celebrazione della festa delle capanne,
possiamo capire meglio alcuni interessanti commenti fatti da Gesù Cristo in occasione della festa.
L’ultima volta che la celebrò fu nell’autunno del 32 E.V. Poiché a Gerusalemme i giudei cercavano di
ucciderlo, Gesù lasciò la Galilea da solo e si recò alla festa senza dare nell’occhio. Verso la metà della
festa, forse il 18 tishri, egli uscì allo scoperto e cominciò a insegnare al popolo, alle folle di celebratori nel
tempio.
4 L’ultimo giorno della festa, il 21 tishri, era chiamato “il gran giorno della festa”. Quel giorno Gesù
probabilmente ricordò al popolo il versamento dell’acqua di Siloe, quando disse: “Se alcuno ha sete,
venga a me e beva. Chi ripone fede in me, come ha detto la Scrittura: ‘Dalla sua parte più intima
sgorgheranno torrenti d’acqua viva’”. L’apostolo Giovanni commenta quelle parole di Gesù dicendo:
“Comunque, disse questo dello spirito che stavano per ricevere quelli che riponevano fede in lui; poiché
lo spirito non vi era ancora, perché Gesù non era ancora stato glorificato”. — Giov. 7:37-39.
5 Quelle meravigliose parole cominciarono ad avverarsi il giorno di Pentecoste dell’anno seguente,
quando sui circa 120 discepoli, riuniti in una stanza superiore a Gerusalemme, fu versato lo spirito santo.
Da loro cominciarono veramente a scorrere torrenti d’acqua viva quando, in molte lingue
miracolosamente apprese, dichiararono le “magnifiche cose di Dio” alle migliaia di giudei stupefatti che si
erano radunati per osservare lo spettacolo. — Atti 2:1-41.
6 Il settimo e ultimo giorno della festa delle capanne, Gesù fece un’altra osservazione che può aver
ricordato ai discepoli la speciale illuminazione tipica di quella celebrazione, quella dei quattro grandi
candelabri nel Cortile delle donne nel tempio. Gesù disse: “Io sono la luce del mondo. Chi segue me non
camminerà affatto nelle tenebre, ma possederà la luce della vita”. — Giov. 8:12.
7 Che in occasione della festa delle capanne Gesù dicesse d’essere “la luce del mondo” fu molto
appropriato, perché la festa assumeva le caratteristiche di una festa mondiale. In che senso? Nel senso
che, secondo la legge di Dio, il “residente forestiero” entro le porte degli israeliti aveva il diritto di
partecipare alla festa e di rallegrarsi col popolo eletto di Dio. — Deut. 16:14.
8 Secondo Numeri 29:12-34, veniva offerto in sacrificio un insolito numero di tori. Il primo giorno erano
offerti 13 tori, e ogni giorno dei sei successivi veniva offerto un toro in meno, fino ad offrirne sette il
settimo ed ultimo giorno, giorno in cui Gesù disse: “Io sono la luce del mondo”. Perciò, per la fine della
festa, erano stati offerti in totale 70 tori. Il numero 70 è multiplo di 7 e di 10, ed entrambi questi numeri
rappresentano completezza, perfezione: il 7 perfezione spirituale e il 10 completezza terrena. Il 10 tishri, il
Giorno di Espiazione, veniva offerto un solo toro come sacrificio di espiazione. Ma durante i sette giorni
della festa delle capanne, dal 15 al 21 tishri, venivano offerti 70 tori. Come tipo, questi avrebbero
provveduto abbastanza sangue per la purificazione e la salvezza dell’intero mondo del genere umano.
Questo corrisponde a quanto indicato nel capitolo 10 di Genesi. Vi si trovano i nomi di capifamiglia e di
nazioni, a cominciare da Noè, attraverso i suoi tre figli, fino al nome di Iobab. In tutto ne sono elencati 70,
che pare abbraccino la popolazione mondiale in quel periodo postdiluviano.
9 Perciò, al tempo giusto, fu molto appropriato che Gesù Cristo annunciasse: “Io sono la luce del mondo”,
non solo la luce dei suoi unti seguaci. Riguardo all’utilità della luce, ricordiamo che solo dopo aver detto
“Si faccia luce” e aver creato il sole, la luna e le stelle, e permesso alla loro luce di giungere sulla terra,
Dio creò gli animali e infine l’uomo e la donna perfetti, perché godessero la luce della vita. Oggi, in questo
mondo ottenebrato dal peccato e lontano da Dio, tutti possono trarre beneficio dalla luce che emana da
Gesù Cristo, “la luce del mondo”. Tutti hanno bisogno della “luce della vita”. — Giov. 8:12; Gen. 1:3.
ANTITIPICA FESTA DELLE CAPANNE
10 Come le due feste precedenti disposte da Dio per il suo popolo eletto, anche la festa delle capanne ha
un significato antitipico nei nostri giorni. Quando cominciò? Possiamo determinarlo studiandone gli aspetti
tipici e antitipici alla luce della storia.
11 In Matteo capitolo 13 Gesù Cristo narrò una parabola che parla della raccolta dei prodotti del campo.
Si tratta della parabola del grano e delle zizzanie. Spiegando gli elementi della parabola, Gesù disse: “La
mietitura è il termine di un sistema di cose”. (Matt. 13:39) La profezia e la cronologia biblica, come pure
gli eventi storici, indicano che il termine dell’attuale sistema di cose cominciò nel 1914, anno nel cui
autunno terminarono i “sette tempi” di dominio gentile sulla terra senza interferenza da parte del
messianico regno di Dio. (Dan. 4:23-25) La “mietitura” o raccolta dei veri cristiani che formano la classe
del “grano” cominciò in quell’anno? No, perché la storia mostra che durante la prima guerra mondiale
iniziata nel 1914 i cristiani adoratori di Geova furono dispersi. La loro organizzazione mondiale fu
scompaginata dai nemici del messianico regno di Geova, il regno celeste che questi unti discepoli del
regnante Gesù Cristo, generati dallo spirito, proclamavano con zelo. Infine nel 1918 lo sconvolgimento
dell’organizzazione colpì anche la sede centrale del dedicato popolo di Geova a Brooklyn, New York.
12 Nella sua profezia sul “segno” della sua presenza e del termine di questo sistema di cose, Gesù disse:
“Ed egli manderà i suoi angeli con gran suono di tromba ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro
venti, da un’estremità all’altra dei cieli”. (Matt. 24:31) Queste parole predicevano un radunamento degli
“eletti” di Cristo da tutti i luoghi in cui erano stati dispersi o isolati. Questo radunamento cominciò ad aver
luogo nell’anno postbellico del 1919, subito dopo il rilascio, avvenuto il 25 marzo 1919, dei membri della
sede centrale di Brooklyn, che erano stati detenuti per nove mesi nel penitenziario federale di Atlanta
(Georgia, U.S.A.). Fu quindi in quel memorabile anno che cominciò a vedersi l’effetto dell’antitipica festa
della raccolta, o delle capanne. L’evento fu caratterizzato da un’indicibile gioia in tutto il mondo da parte
dell’unto rimanente degli “eletti” di Cristo.
13 A conferma di ciò dobbiamo ricordare diverse cose importanti. Quando Gesù disse: “La mietitura è il
termine di un sistema di cose”, di che stava parlando? Della raccolta dei “figli del regno”, cioè degli eredi
al regno celeste generati dallo spirito. Questa classe unta dallo spirito fu prefigurata dal grano, e la loro
raccolta cominciò effettivamente nella primavera del 1919. Nel corso del tempo altri furono radunati in
aggiunta agli eredi del Regno che erano stati dispersi dagli eventi della prima guerra mondiale. Nel
periodo che va dal 1919 in poi migliaia di altri si schierarono dalla parte dello stabilito regno di Dio e si
dedicarono a Geova, vennero battezzati, generati spiritualmente e unti dallo spirito di Dio, e quindi
entrarono nelle file del rimanente originale. Questi nuovi, come classe, furono prefigurati da notevoli
personaggi di drammi biblici precristiani, come Rut la moabita, che divenne leale compagna dell’ebrea
Naomi, sua suocera, e la regina Ester, cugina del giudeo Mardocheo, il quale divenne primo ministro
dell’impero persiano sotto l’imperatore Assuero (Serse).
14 Sia Rut che Ester entrarono in stretta relazione con la linea di Davide e con la sua preservazione fino
alla prima venuta di Gesù, il “figlio di Davide”. (Matt. 1:1, 5; Rut 4:18-22; Ester 4:13, 14) La raccolta della
classe di Rut ed Ester, insieme all’originale unto rimanente, contrassegna l’apertura dell’antitipica festa
della raccolta, o delle capanne.
15 Un’altra cosa da tener presente: Nei tempi precristiani, erano i giudei naturali a celebrare la tipica festa
delle capanne. Erano stati loro a ricevere da Geova, tramite Mosè, il comando di celebrarla. Perciò,
all’epoca del raccolto autunnale si recavano tutti a Gerusalemme e dimoravano in capanne. Lo facevano
anche quelli che abitavano stabilmente a Gerusalemme. La festa delle capanne suscitava ricordi del
passato. Quali? Levitico 23:42, 43 risponde, dicendo: “Dovreste dimorare per sette giorni nelle capanne.
Tutti i nativi d’Israele dovrebbero dimorare nelle capanne, affinché le vostre generazioni sappiano che
feci dimorare i figli d’Israele nelle capanne quando li facevo uscire dal paese d’Egitto. Io sono Geova
vostro Dio”. Qui si parla degli ebrei nativi.
16 Naturalmente, anche la “numerosa compagnia mista” di non israeliti che decisero di seguire gli israeliti
e che ‘salirono con loro’ dovette dimorare in tende durante il viaggio verso la Terra Promessa. (Eso.
12:38) Tuttavia il comando di celebrare la festa delle capanne non fu rivolto alla “numerosa compagnia
mista”, ma fu dato a Israele. Né la Terra Promessa fu data da coltivare alla “numerosa compagnia mista”,
ma fu divisa fra le dodici tribù non levitiche di Israele, e la legge della restituzione della terra al Giubileo si
applicava agli israeliti. Quindi la festa della raccolta sarebbe stata in particolare per gli israeliti.
Benignamente al “residente forestiero” era permesso parteciparvi. Durante la celebrazione ai giorni di
Gesù Cristo, i non israeliti o gentili non potevano andare oltre il Cortile dei Gentili, essendo separati dal
Cortile di Israele tramite il Cortile esterno. Il luogo riservato loro era al livello più basso dell’intera struttura
del tempio di Erode.
I CELEBRATORI CHE PORTAVANO I RAMI
17 Durante la celebrazione, erano gli israeliti a portare i cosiddetti “lulab” e gli ethrog (cedri). Per farci
un’idea della festa ai giorni di Gesù, possiamo leggere la descrizione della celebrazione ebraica in
Neemia 8:14-18. Il lulab era un mazzo di rami di vari alberi e il celebratore ebreo lo teneva in mano. Si
dice che l’usanza sia derivata da Levitico 23:40:
18 “E il primo giorno vi dovete prendere il frutto di alberi splendidi, le fronde di alberi delle palme e le
frasche degli alberi ramosi e dei pioppi della valle del torrente, e vi dovete rallegrare dinanzi a Geova
vostro Dio per sette giorni”.
19 Il lulab era composto di (1) un germoglio di palma ancora ripiegato, (2) tre ramoscelli di mirto circondati
di foglie, e (3) due rami di salice, lunghi, interi e dal legno rossiccio. Gli israeliti che portavano il lulab lo
agitavano, e alla fine della festa se ne disfacevano. Il lulab e l’ethrog (un cedro, frutto tondeggiante simile
al limone) erano portati in processione attorno all’altare nel Cortile dei sacerdoti, un giro in ciascuno dei
primi sei giorni e sette giri il settimo ed ultimo giorno. Dopo ciò l’ethrog, il cedro, veniva mangiato. Nella
processione si cantava il Salmo 118:25: “Ah, ora, Geova, salva, ti prego! Ah, ora, Geova, concedi
successo, ti prego!” I gentili, nel loro cortile, non potevano partecipare a tutto questo.
20 Il governatore Neemia, alla festa delle capanne tenuta ai suoi giorni, disse agli israeliti tornati dall’esilio
babilonese: “Questo giorno è santo al nostro Signore, e non vi contristate, poiché la gioia di Geova è la
vostra fortezza”. (Nee. 8:10) Gli odierni israeliti spirituali dovrebbero sentirsi allo stesso modo da che
furono liberati da Babilonia la Grande nel 1919.
21 È evidente che l’adempimento della festa delle capanne cominciò in quell’anno del dopoguerra. In vista
delle loro precedenti aspettative in relazione a quell’anno, gli spirituali “figli del regno” entravano in quel
periodo del dopoguerra alquanto perplessi. Ma si rallegrarono immensamente quando nella primavera del
1919 furono liberati da Babilonia la Grande. Si dedicarono immediatamente all’opera di raccolta che li
attendeva. Dapprima pensavano che si trattasse solo di “un’opera di spigolatura”. A questo proposito, si
veda La Torre di Guardia inglese del 1° maggio 1919, all’articolo “La mieti tura è finita: Cosa seguirà?”,
pagina 138, paragrafo 1. Ma invece di un’opera di spigolatura si dimostrò una mietitura su vasta scala.
22 I membri dell’unto rimanente dei mietitori vivevano, per così dire, in “capanne”, perché non riponevano
i loro affetti sulle cose terrene. Non si aspettavano di vivere per l’eternità in un paradiso terrestre.
Attendevano vivamente di ricevere l’eredità celeste del glorificato Signore Gesù Cristo. Perciò vedevano
le cose nello spirito di Ebrei 13:13, 14: “Usciamo, dunque, verso di lui fuori del campo, portando il biasimo
che egli portò, poiché non abbiamo qui una città che rimanga, ma cerchiamo premurosamente quella
avvenire”. In vista di ciò si considerano pellegrini, ‘forestieri e residenti temporanei’ in questo sistema di
cose, come Abraamo, Isacco e Giacobbe. — I Piet. 2:11; Gen. 47:9; Eso. 6:4; Ebr. 11:13; Sal. 119:54.
23 Dal celeste tempio di Geova cominciò a risplendere l’illuminazione spirituale per l’unto rimanente che
era appena entrato nel moderno antìtipo della festa delle capanne. Fu durante la raccolta della classe
spirituale prefigurata da Rut e da Ester che la parabola di Gesù delle pecore e dei capri, narrata in Matteo
25:31-46, ricevette speciale illuminazione per poter essere da loro compresa. Al congresso generale
tenuto nel 1923 a Los Angeles, in California, il presidente della Watch Tower Society, liberato quattro
anni prima dal penitenziario di Atlanta, in Georgia, considerò la parabola delle pecore e dei capri. Perché
cominciasse ad adempiersi non era necessario aspettare il regno millenario di Gesù Cristo. La classe
delle pecore si stava già formando. Alcuni suoi componenti erano già visibili e facevano il bene al
rimanente dei “fratelli” spirituali del glorificato Gesù Cristo. Il discorso pubblico intitolato “Milioni ora viventi
non morranno mai” fu applicato a loro. Essi appartenevano alle “altre pecore” di cui Gesù parlò in
Giovanni 10:16.
24 Al tempo in cui fu spiegata la parabola di Matteo 25:31-46 non furono fatti particolari sforzi per
radunare quelle “altre pecore”. Ma fu espressa riconoscenza per la benignità che esse mostravano al
rimanente dei “fratelli” spirituali di Cristo. A tempo debito vi sarebbe stata ulteriore illuminazione spirituale
nell’antitipica festa delle capanne.

Giacobbe (figlio di Isacco) — Tema: Siate irriprovevoli e perseguite mete spirituali


1°CORINTI 2:14-16 1°TESSALONICESI 5:23

it-1 1094-9 Giacobbe


GIACOBBE
[che afferra il calcagno; soppiantatore].
1. Figlio di Isacco e Rebecca, e gemello minore di Esaù. I genitori di Giacobbe erano già sposati da 20
anni quando nel 1858 a.E.V. nacquero questi gemelli, i loro unici figli. Isacco aveva allora 60 anni. Perciò,
come nel caso di Abraamo, le preghiere di Isacco per avere una progenie furono esaudite solo dopo che
la sua pazienza e la sua fede nelle promesse di Dio erano state pienamente messe alla prova. — Ge
25:20, 21, 26; Ro 9:7-10.
Durante la gravidanza Rebecca era afflitta perché i gemelli lottavano dentro di lei: questo, spiegò Geova,
era l’inizio dell’ostilità fra due nazioni. Inoltre Geova dichiarò che, contrariamente alla consuetudine, il
maggiore avrebbe servito il minore. Infatti alla nascita Giacobbe, il secondo nato, teneva il calcagno di
Esaù; per questo fu chiamato Giacobbe, cioè uno “che afferra il calcagno”. (Ge 25:22-26) Geova dimostrò
così la sua capacità di individuare le tendenze genetiche del nascituro e di esercitare la preconoscenza e
il diritto di decidere in anticipo chi scegliere per i suoi propositi, senza per questo determinare in alcun
modo il destino finale dei singoli. — Ro 9:10-12; Os 12:3.
Esaù, il figlio prediletto dal padre, era un indomito e inquieto cacciatore errante; Giacobbe invece è
descritto come “un uomo irriprovevole [ebr. tam], che dimorava in tende”, conduceva la vita tranquilla del
pastore, era fidato nell’occuparsi di tutto ciò che riguardava la famiglia ed era il figlio particolarmente
amato dalla madre. (Ge 25:27, 28) Altre volte il termine ebraico tam è usato per descrivere quelli che Dio
approva. Per esempio, “gli uomini assetati di sangue odiano ogni irriprovevole”, eppure Geova assicura
che “il futuro di tal uomo [irriprovevole] sarà pacifico”. (Pr 29:10; Sl 37:37) Il fedele Giobbe “si mostrava
irriprovevole [ebr. tam] e retto”. — Gb 1:1, 8; 2:3.
Primogenitura e benedizione. Alla morte di Abraamo, nel 1843 a.E.V., suo nipote Giacobbe aveva 15
anni, per cui da ragazzo aveva avuto ampia opportunità di sentire parlare del patto di Dio, vincolato da un
giuramento, direttamente dalle labbra del nonno oltre che dal padre. (Ge 22:15-18) Giacobbe comprese
quale privilegio sarebbe stato partecipare all’adempimento di simili promesse divine. A un certo punto si
presentò l’opportunità di acquistare legalmente dal fratello la primogenitura e tutto ciò che
l’accompagnava. (De 21:15-17) Questa opportunità gli venne offerta quando un giorno Esaù tornò
esausto dal campo e sentì il profumo del gustoso piatto che suo fratello aveva cucinato. “Presto, ti prego”,
esclamò Esaù, “dammi un boccone del rosso, del rosso lì, poiché sono stanco!” Giacobbe rispose:
“Vendimi, prima di tutto, il tuo diritto di primogenito!” “Esaù disprezzò dunque la primogenitura”, per cui la
vendita fu prontamente effettuata e suggellata da un solenne giuramento. (Ge 25:29-34; Eb 12:16) Per
queste valide ragioni Geova disse: “Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù”. — Ro 9:13; Mal 1:2, 3.
Fu corretto da parte di Giacobbe farsi passare per Esaù?
Isacco, ormai vecchio e sicuro di essere vicino alla morte, chiese a Esaù di andare a cacciare della
selvaggina, dicendo: “Fammi mangiare, perché la mia anima ti benedica prima che io muoia”. Rebecca
però, udita la conversazione, mandò subito Giacobbe a prendere due capretti onde preparare un gustoso
piatto per Isacco; poi disse a Giacobbe: “Lo devi portare a tuo padre ed egli lo deve mangiare, affinché ti
benedica prima della sua morte”. Mise persino le pelli dei capretti sulle mani e sul collo di Giacobbe
affinché Isacco, toccando Giacobbe, concludesse che era Esaù. Quando Giacobbe portò il cibo al padre,
Isacco gli chiese: “Chi sei tu, figlio mio?” E Giacobbe rispose: “Sono Esaù tuo primogenito”. Giacobbe
sapeva bene che legalmente aveva diritto di agire in veste di Esaù, primogenito di Isacco. Isacco tastò
Giacobbe per vedere se era realmente Esaù o no, e disse: “La voce è la voce di Giacobbe, ma le mani
sono le mani di Esaù”. Comunque la cosa riuscì, e la Bibbia dice che “lo benediceva”. (Ge 27:1-29)
Rebecca e Giacobbe avevano agito bene?
Non c’è dubbio che Giacobbe aveva diritto alla benedizione. Prima della nascita dei gemelli, Geova
aveva detto a Rebecca: “Il maggiore servirà il minore”. (Ge 25:23) Poi, seguendo l’inclinazione che
Geova aveva già previsto e che gli aveva fatto amare Giacobbe più di Esaù, Esaù aveva venduto la
primogenitura a Giacobbe per un piatto di minestra. — Ge 25:29-34.
La Bibbia non dice fino a che punto Isacco conoscesse queste indicazioni su chi avrebbe dovuto ricevere
la benedizione. Non sappiamo esattamente perché Rebecca e Giacobbe si comportarono in quel modo,
se non che entrambi sapevano che la benedizione spettava a Giacobbe. Questi non travisò dolosamente
i fatti per impadronirsi di qualcosa che non gli apparteneva. La Bibbia non condanna ciò che fecero
Rebecca e Giacobbe. Il risultato fu che Giacobbe ricevette la benedizione a cui aveva diritto. Isacco
stesso si rese evidentemente conto che era stata fatta la volontà di Geova. Poco dopo, nel mandare
Giacobbe in Haran a cercarsi moglie, Isacco lo benedisse nuovamente e disse in particolare: “Dio
Onnipotente . . . darà a te la benedizione di Abraamo”. (Ge 28:3, 4; cfr. Eb 11:20). Quindi è giusto
concludere che il risultato fu quello che Geova si era proposto. La Bibbia spiega chiaramente la lezione
che dovremmo trarne, avvertendoci di badare che “non ci sia nessun fornicatore né alcuno che non
apprezzi le cose sacre, come Esaù, che in cambio di un pasto cedette i suoi diritti di primogenito”. — Eb
12:16.
In Paddan-Aram. (CARTINA, vol. 1, ⇒it-1 ⇐p. 529) Giacobbe aveva 77 anni quando partì da Beer-Seba
per il paese dei suoi antenati, dove trascorse i successivi 20 anni della sua vita. (Ge 28:10; 31:38) Dopo
avere percorso quasi 100 km in direzione NNE, si fermò la notte a Luz (Betel) sulle colline di Giuda,
usando una pietra come cuscino. Là nei suoi sogni vide una scala a pioli, o una scalinata, che giungeva
fino ai cieli, su cui salivano e scendevano angeli. Alla sommità c’era Geova, che confermò a Giacobbe il
patto fatto con Abraamo e Isacco. — Ge 28:11-13; 1Cr 16:16, 17.
Con questo patto Geova promise a Giacobbe che avrebbe vigilato su di lui, l’avrebbe difeso e non
l’avrebbe abbandonato finché il terreno su cui giaceva non fosse diventato suo, e il suo seme non fosse
diventato numeroso come i granelli di polvere della terra. Inoltre gli disse: “Per mezzo di te e per mezzo
del tuo seme tutte le famiglie del suolo certamente si benediranno”. (Ge 28:13-15) Quando si rese
pienamente conto dell’importanza dell’esperienza avuta quella notte, Giacobbe esclamò: “Com’è
tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio”. Perciò cambiò il nome di Luz in Betel, che
significa “casa di Dio”, ed eresse una colonna che unse a testimonianza di quei memorabili avvenimenti.
Grato per la promessa di Dio di aiutarlo, Giacobbe fece anche voto di dare a Geova un decimo di tutto ciò
che avrebbe ricevuto. — Ge 28:16-22.
Proseguendo il viaggio, nelle vicinanze di Haran Giacobbe si imbatté in sua cugina Rachele, e il padre di
lei Labano, fratello di sua madre, lo invitò a stare con loro. Giacobbe si innamorò di Rachele e acconsentì
a lavorare sette anni per suo padre per poterla avere in moglie. Gli anni che passavano “agli occhi suoi
furono come alcuni giorni”, tanto era profondo il suo amore per Rachele. Tuttavia al momento delle nozze
gli venne invece data disonestamente Lea, sorella maggiore di Rachele; e Labano spiegò: “Non c’è
l’usanza . . . di dare la minore prima della primogenita”. Dopo che questo matrimonio era stato celebrato
per una settimana, Labano diede in moglie a Giacobbe anche Rachele a patto che lavorasse altri sette
anni come pagamento per lei. Labano inoltre diede a Lea e a Rachele due serve, rispettivamente Zilpa e
Bila. — Ge 29:1-29; Os 12:12.
Con questo matrimonio Geova cominciò a edificare una grande nazione. Lea ebbe uno dopo l’altro
quattro figli: Ruben, Simeone, Levi e Giuda. Rachele, vedendo che continuava a essere sterile, diede a
Giacobbe la sua schiava Bila e, per mezzo di lei, ebbe due figli, Dan e Neftali. Quindi Lea divenne sterile.
Perciò diede anch’essa a Giacobbe la sua schiava Zilpa, e da questa unione nacquero due figli, Gad e
Aser. In seguito Lea ricominciò ad avere figli e diede alla luce prima Issacar e poi Zabulon, e anche una
figlia di nome Dina. Rachele alla fine rimase incinta e diede alla luce Giuseppe. Di conseguenza nel giro
relativamente breve di sette anni, Giacobbe fu benedetto con molti figli. — Ge 29:30–30:24.
Diventa ricco prima di lasciare Haran. Terminati i pattuiti 14 anni di lavoro per l’acquisto delle mogli,
Giacobbe era ansioso di tornare in patria. Ma Labano, vedendo come Geova l’aveva benedetto a motivo
di Giacobbe, insisté che continuasse a sorvegliare i suoi greggi; disse persino a Giacobbe di stabilire lui il
proprio salario. In quella parte del mondo pecore e capre sono generalmente di un colore omogeneo: le
pecore bianche, le capre nere. Giacobbe chiese dunque che gli fossero date solo le pecore e le capre
con colori e segni anomali: tutte le pecore marrone scuro e tutte le capre con macchie bianche. “Questo è
eccellente!”, fu la risposta di Labano. E perché il salario fosse il più basso possibile, Labano, dietro
suggerimento di Giacobbe, separò dal gregge tutte le capre striate, variegate e macchiate e tutti i giovani
montoni marrone scuro, che diede da pascolare ai propri figli. Pose fra sé e Giacobbe perfino una
distanza di tre giorni, per impedire qualsiasi incrocio fra i due greggi. Solo gli animali che in futuro
sarebbero nati di colore diverso dal normale sarebbero stati di Giacobbe. — Ge 30:25-36.
Giacobbe iniziò dunque col pascolare solo pecore di colore normale e capre senza nessun segno.
Tuttavia lavorò sodo e fece quello che pensava avrebbe accresciuto il numero degli animali di colore
insolito. Prese bastoni ancora verdi di storace, mandorlo e platano, e li scortecciò in modo da renderli a
macchie e a strisce. Poi li pose nei canali di scolo degli abbeveratoi, evidentemente con l’idea che se gli
animali avessero guardato le strisce quando erano in calore ciò avrebbe influito sui nascituri, che
sarebbero diventati striati o di colore insolito. Giacobbe ebbe inoltre cura di mettere i bastoni negli
abbeveratoi solo quando erano in calore gli animali robusti. — Ge 30:37-42.
Il risultato? I nuovi nati con segni o colori non normali, e perciò salario di Giacobbe, erano più numerosi di
quelli di colore uniforme, che spettavano a Labano. Avendo ottenuto i risultati desiderati, Giacobbe pensò
probabilmente che ciò fosse dovuto al suo stratagemma dei bastoni a strisce. In questo condivideva
senza dubbio l’idea errata che molti comunemente hanno, cioè che cose del genere possano influire sui
nascituri. Tuttavia in un sogno il Creatore lo informò del contrario.
Nel sogno Giacobbe apprese che il suo successo era dovuto a certi princìpi genetici e non ai bastoni.
Anche se egli pascolava unicamente animali di colore uniforme, la visione gli rivelò che i capri erano
striati, variegati e macchiati. Come mai? Evidentemente, pur essendo di colore uniforme, erano ibridi,
risultanti da incroci avvenuti nel gregge di Labano prima che Giacobbe cominciasse a essere pagato.
Perciò nelle cellule riproduttive di alcuni di quegli animali erano presenti fattori ereditari che avrebbero
prodotto future generazioni striate e macchiate, secondo le leggi dell’ereditarietà scoperte nel secolo
scorso da Gregor Mendel. — Ge 31:10-12.
Nei sei anni durante i quali Giacobbe lavorò a queste condizioni, Geova lo benedisse e lo fece prosperare
grandemente aumentando non solo i suoi greggi, ma anche il numero dei suoi servitori, degli asini e dei
cammelli, e questo nonostante che Labano continuasse a cambiare il salario pattuito. Finalmente, “il vero
Dio di Betel” ordinò a Giacobbe di tornare nella Terra Promessa. — Ge 30:43; 31:1-13, 41.
Ritorno nella Terra Promessa. Per timore che Labano tentasse nuovamente di impedirgli di lasciare il
suo servizio, Giacobbe in segreto prese mogli, figli e tutto ciò che possedeva, attraversò l’Eufrate e si
diresse alla volta di Canaan. In previsione di ciò Giacobbe probabilmente era andato a pascolare i greggi
presso l’Eufrate, come si può desumere da Genesi 31:4, 21. In quei giorni Labano era andato a tosare i
suoi greggi e venne a sapere della partenza di Giacobbe solo tre giorni dopo che era avvenuta. Altro
tempo può essere trascorso per finire la tosatura e fare i preparativi per inseguire Giacobbe. Tutto questo
avrebbe permesso a Giacobbe e ai suoi greggi, che procedevano lentamente, di arrivare fino alla regione
montagnosa di Galaad prima che Labano li raggiungesse, ad almeno 560 km in linea d’aria da Haran,
distanza che tuttavia poteva essere facilmente percorsa in sette giorni da Labano e dai suoi parenti
lanciatisi all’inseguimento cavalcando cammelli. — Ge 31:14-23.
Quando Labano li trovò accampati pochi chilometri a N del torrente Iabboc chiese spiegazioni a
Giacobbe: perché se ne era andato senza lasciargli salutare e baciare figli e nipoti, e perché aveva
rubato i suoi dèi? (Ge 31:24-30) La risposta alla prima domanda era abbastanza ovvia: per timore che
Labano gli impedisse di partire. In quanto alla seconda domanda, Giacobbe non ne sapeva niente, e
nonostante le ricerche non si trovarono i terafim di famiglia che Rachele aveva davvero rubati e nascosti
nel cesto della sella del suo cammello. — Ge 31:31-35.
Una spiegazione del comportamento di Rachele, e della preoccupazione di Labano, è questa: “Il
possesso degli dèi familiari distingueva l’erede legittimo, il che spiega l’ansietà di Labano in Gen. 31:26
ss. di farsi ridare da Giacobbe i suoi dèi familiari”. — Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B.
Pritchard, 1974, p. 220, nt. 51.
Composta pacificamente la disputa, Giacobbe eresse un cippo e poi ammucchiò delle pietre, che
rimasero per molti anni a testimonianza del patto di pace che i due avevano concluso con un pasto
cerimoniale. I nomi dati a quel mucchio di pietre furono Galeed (mucchio di testimonianza) e La Torre di
Guardia. — Ge 31:36-55.
Ora Giacobbe era ansioso di fare la pace anche con suo fratello Esaù, che non vedeva da più di 20 anni.
Per placare qualsiasi odio latente suo fratello potesse ancora covare, Giacobbe si fece precedere da
costosi doni per Esaù: centinaia di capre e pecore, e molti cammelli, bovini e asini. (Ge 32:3-21)
Giacobbe era fuggito da Canaan praticamente a mani vuote; ora grazie alla benedizione di Geova
tornava ricco.
Perché Giacobbe fu reso claudicante dall’angelo con il quale aveva lottato?
Giacobbe, la notte in cui con la famiglia attraversò lo Iabboc diretto a S incontro a Esaù, ebbe la
straordinaria esperienza di lottare con un angelo. Per la sua perseveranza il suo nome fu cambiato in
Israele, che significa “colui che contende (persevera) con Dio; o, Dio contende”. (Ge 32:22-28) Da quel
momento in poi entrambi i nomi compaiono spesso nei parallelismi poetici ebraici. (Sl 14:7; 22:23; 78:5,
21, 71; 105:10, 23) Durante la lotta l’angelo gli toccò la giuntura della coscia, e Giacobbe fu reso
claudicante per il resto della sua vita, forse per insegnargli l’umiltà, per ricordargli di continuo di non
esaltarsi a motivo della prosperità che Dio gli aveva dato o per essersi cimentato con un angelo. A ricordo
di quegli avvenimenti memorabili Giacobbe chiamò il luogo Peniel o Penuel. — Ge 32:25, 30-32.
Dopo l’amichevole incontro, i gemelli Giacobbe ed Esaù, ormai 97enni, andarono ciascuno per la sua
strada, forse senza incontrarsi più se non per seppellire insieme il padre Isacco circa 23 anni più tardi.
Esaù se ne andò verso S a Seir con i suoi doni e Giacobbe tornò a N, riattraversando lo Iabboc. — Ge
33:1-17; 35:29.
I successivi 33 anni come forestiero. Separatosi da Esaù, Giacobbe si stabilì a Succot. Questa fu la
prima località dove Giacobbe rimase per qualche tempo dopo il ritorno da Paddan-Aram. Quanto tempo
vi sia rimasto non è precisato, ma poté trattarsi di diversi anni, perché si costruì una casa in cui vivere e
anche delle capanne, cioè qualche tipo di stalla coperta per il bestiame. — Ge 33:17.
Successivamente Giacobbe si trasferì a O del Giordano nei pressi di Sichem, dove acquistò un tratto di
terra dai figli di Emor per “cento pezzi di denaro [ebr. qesitàh]”. (Ge 33:18-20; Gsè 24:32) Attualmente
non si conosce il valore di quell’antica unità monetaria, la qesitàh, ma cento di queste, tutte insieme,
potevano essere una somma considerevole pesata in argento, dato che all’epoca non esisteva moneta
coniata.
Fu a Sichem che la figlia di Giacobbe, Dina, cominciò a fare amicizia con le cananee, e ciò a sua volta
diede a Sichem, figlio del capo principale Emor, l’opportunità di violentarla. In seguito a questo episodio la
situazione sfuggì di mano a Giacobbe: i suoi figli uccisero tutti gli uomini di Sichem, presero prigionieri
donne e bambini, si appropriarono di tutti i beni della comunità e resero il loro padre Giacobbe un fetore
per gli abitanti del paese. — Ge 34:1-31.
Giacobbe fu quindi avvertito da Dio di partire da Sichem e trasferirsi a Betel, cosa che fece. Comunque
prima di partire disse alla famiglia di purificarsi, cambiarsi d’abito ed eliminare tutti i falsi dèi (inclusi
probabilmente i terafim di Labano) e anche gli orecchini che forse portavano come amuleti. Giacobbe
seppellì tutte queste cose nei pressi di Sichem. — Ge 35:1-4.
Betel, la “casa di Dio”, aveva speciale importanza per Giacobbe, poiché là, forse 30 anni prima, Geova gli
aveva ripetuto il patto abraamico. Ora, dopo che Giacobbe ebbe costruito un altare al grande Dio dei suoi
padri, Geova riaffermò il patto e confermò che il nome di Giacobbe era stato cambiato in Israele.
Giacobbe eresse quindi una colonna su cui versò una libagione e olio a ricordo di questi avvenimenti
memorabili. Fu pure mentre dimorava a Betel che Debora, nutrice di sua madre, morì e fu sepolta. — Ge
35:5-15.
Anche in questo caso non si sa per quanto tempo Giacobbe sia rimasto a Betel. Quando partirono diretti
a S, ed erano ancora a una certa distanza da Betleem (Efrat), Rachele fu presa dalle doglie, e morì nel
partorire il suo secondo figlio, Beniamino. Là Giacobbe seppellì la diletta Rachele ed eresse un cippo
sulla sua tomba. — Ge 35:16-20.
Quest’uomo, Israele, che era stato benedetto e ora aveva ben dodici figli da cui avrebbero avuto origine
le dodici tribù d’Israele, si diresse ancora più a S. Del suo successivo accampamento viene detto che era
“a una certa distanza al di là della torre di Eder”, quindi fra Betleem ed Ebron. Là Ruben, il figlio maggiore
di Giacobbe, ebbe rapporti sessuali con Bila, concubina di suo padre e madre di Dan e Neftali. Forse
Ruben pensava che suo padre fosse troppo vecchio per fare qualcosa al riguardo, ma, essendo incorso
nella disapprovazione di Geova per quest’azione incestuosa, perse la primogenitura. — Ge 35:21-26;
49:3, 4; De 27:20; 1Cr 5:1.
Probabilmente prima che suo figlio Giuseppe fosse venduto schiavo in Egitto, Giacobbe si era trasferito a
Ebron, dove viveva ancora il vecchio padre Isacco. Comunque la data di questo trasferimento non è
sicura. — Ge 35:27.
Un giorno Giacobbe mandò Giuseppe (ormai 17enne) a vedere come stavano i suoi fratelli che
pascolavano i greggi paterni. Quando finalmente Giuseppe li trovò a Dotan, circa 100 km a N di Ebron,
essi lo afferrarono e lo vendettero a una carovana di mercanti diretti in Egitto. Questo avvenne nel 1750
a.E.V. I fratelli fecero quindi credere al padre che Giuseppe fosse stato ucciso da una bestia feroce. Per
molti giorni Giacobbe lo pianse, rifiutando di lasciarsi consolare, e dicendo: “Scenderò facendo lutto da
mio figlio nello Sceol!” (Ge 37:2, 3, 12-36) La morte del padre Isacco nel 1738 a.E.V. non fece che
accrescere il suo dolore. — Ge 35:28, 29.
In Egitto. Circa dieci anni dopo la morte di Isacco un’estesa carestia costrinse Giacobbe a mandare dieci
figli in Egitto a procurarsi dei cereali. Beniamino rimase a casa. Giuseppe, amministratore annonario del
faraone, riconosciuti i suoi fratelli chiese che portassero con loro in Egitto il fratello minore Beniamino.
(Ge 41:57; 42:1-20) Tuttavia, quando seppe della richiesta, Giacobbe in un primo tempo rifiutò di lasciar
partire questo diletto figlio della sua vecchiaia, temendo che gli accadesse qualcosa di male. All’epoca
Beniamino aveva almeno 22 anni. (Ge 42:29-38) Solo quando tutto il cibo acquistato in Egitto era stato
consumato Giacobbe acconsentì a lasciar partire Beniamino. — Ge 43:1-14; At 7:12.
In seguito alla riconciliazione di Giuseppe con i suoi fratelli, Giacobbe con l’intera famiglia e tutti i loro
beni e il bestiame furono invitati a trasferirsi in Egitto, nel fertile paese di Gosen nella regione del delta,
perché la grande carestia era destinata a durare altri cinque anni. Per aiutarli, il faraone provvide perfino
carri e provviste alimentari. (Ge 45:9-24) Durante il viaggio Geova assicurò a Giacobbe che questo
trasferimento aveva la sua benedizione e approvazione. (Ge 46:1-4) Tutte le anime considerate parte
della famiglia di Giacobbe, inclusi Manasse, Efraim e altri forse nati in Egitto prima della morte di
Giacobbe, erano 70 di numero. (Ge 46:5-27; Eso 1:5; De 10:22) Questo numero non includeva Lea, che
era morta nella Terra Promessa (Ge 49:31), né le innominate figlie di Giacobbe e neanche le mogli dei
suoi figli. — Ge 46:26; cfr. Ge 37:35.
Poco dopo il suo arrivo in Egitto nel 1728 a.E.V., Giacobbe fu condotto alla corte del faraone dove salutò
il sovrano benedicendolo. Giacobbe si definì un residente forestiero (come Abraamo e Isacco, perché
come loro non aveva ereditato la terra promessa da Dio). Quando gli fu chiesta la sua età, Giacobbe
rispose che aveva 130 anni ma che, in confronto ai suoi antenati, i suoi giorni erano stati “pochi e
angustiosi”. — Ge 47:7-10.
Poco prima di morire, Giacobbe benedisse i nipoti, figli di Giuseppe, e, per volere di Dio, pose il minore
Efraim prima del maggiore Manasse. Poi a Giuseppe, che doveva ricevere la parte doppia d’eredità
spettante al primogenito, Giacobbe annunciò: “Ti do in effetti una spalla del paese più che ai tuoi fratelli,
la quale presi dalla mano degli amorrei con la mia spada e col mio arco”. (Ge 48:1-22; 1Cr 5:1) Poiché
Giacobbe aveva acquistato pacificamente dai figli di Emor il pezzo di terra vicino a Sichem (Ge 33:19,
20), sembra che la promessa fatta a Giuseppe fosse un’espressione della fede di Giacobbe, con la quale
annunciò profeticamente la futura conquista di Canaan da parte dei suoi discendenti come se fosse già
stata effettuata mediante la sua spada e il suo arco. (Vedi AMORREO). La parte doppia della terra
conquistata spettante a Giuseppe consisteva nelle due porzioni date alle tribù di Efraim e Manasse.
Prima di morire Giacobbe si fece forza e benedisse ciascuno dei dodici figli. (Ge 49:1-28) Mostrò fede
nell’attuazione dei propositi di Geova. (Eb 11:21) Per la sua fede e perché Geova gli aveva
specificamente confermato la benedizione del patto abraamico, spesso nelle Scritture Geova è definito
Dio non solo di Abraamo e di Isacco, ma anche di Giacobbe. — Eso 3:6; 1Cr 29:18; Mt 22:32.
Alla fine, nel 1711 a.E.V., dopo 17 anni trascorsi in Egitto, Giacobbe morì all’età di 147 anni. (Ge 47:27,
28) Così terminò il periodo storico che va dalla nascita di Giacobbe alla sua morte, e che occupa più di
metà delle pagine del libro di Genesi. (Capp. 25–50) Poiché Giacobbe desiderava essere seppellito in
Canaan, in previsione del viaggio Giuseppe ne fece prima imbalsamare il corpo dai medici egiziani. Un
grande corteo funebre, all’altezza dell’importanza di suo figlio Giuseppe, mosse quindi dall’Egitto.
Quando giunse nella regione del Giordano ci furono sette giorni di riti funebri, dopo di che i figli di
Giacobbe seppellirono il padre nella caverna di Macpela, dove erano stati sepolti Abraamo e Isacco. —
Ge 49:29-33; 50:1-14.
2. I profeti spesso usavano il nome “Giacobbe” in senso figurativo, riferendosi alla nazione discesa da
quel patriarca. (Isa 9:8; 27:9; Ger 10:25; Ez 39:25; Am 6:8; Mic 1:5; Ro 11:26) Gesù una volta menzionò
figurativamente Giacobbe nel parlare di quelli che sarebbero stati “nel regno dei cieli”. — Mt 8:11.

w74 1/2 82-8 Guardate attentamente l'eredità?


Guardate attentamente l’eredità?
“Quindi il re dirà a quelli alla sua destra: ‘Venite, voi che avete la benedizione del Padre mio, ereditate il
regno preparato per voi dalla fondazione del mondo’”. — Matt. 25:34.
SAPETE di poter avere un’eredità a cui guardare? Non un’eredità di semplice denaro, che può essere
accompagnata da difficoltà. Non il genere di eredità che spesso fa divenire nemici i parenti. No, piuttosto
questa è un’eredità che tutti i futuri eredi si aiutano gli uni gli altri a ottenere per intero.
2 Gli apostoli di Gesù Cristo parlarono spesso dell’eredità riservata ai fratelli spirituali di questo Figlio di
Dio, un’eredità nei cieli con Cristo. Essi devono partecipare al suo dominio del regno. Come tale, la loro
eredità include i doni dell’incorruzione e dell’immortalità. — 1 Cor. 6:9, 10; 15:50; Efes. 1:14; 1 Piet. 1:4.
3 C’è poi un’eredità riservata ad altri. In una sua illustrazione Gesù parlò di quelli che avrebbero mostrato
amorevole benignità ai suoi fratelli spirituali, gli eredi celesti. Egli disse a queste persone di cuore
benevolo: “Ereditate il regno preparato per voi dalla fondazione del mondo”. Egli dichiarò che ciò avrebbe
significato per loro la vita eterna. Questa eredità non sarebbe stata come quella degli eredi celesti, ma
come quella di coloro che avrebbero fatto parte del reame terrestre dominato dal regno di Cristo durante
il suo dominio millenario. — Matt. 25:34, 46; Riv. 20:4, 6.
4 La parola greca usata dalla Bibbia per “ereditare” è kle·ro·no·me'o. Nel modo in cui è usata sopra non si
riferisce a qualche cosa che si riceve di diritto semplicemente a causa della parentela, come l’eredità che
un figlio riceve dal padre. Piuttosto, vuol dire qualche cosa data come ricompensa, un dono elargito per le
cose fatte con fede verso il provvedimento di Geova preso mediante Gesù Cristo.
5 Tutti coloro che si sono accostati a Geova Dio in base al sacrificio di Gesù Cristo e che vivono una vita
dedicata hanno la prospettiva di ricevere tale eredità. Quale eccellente prospettiva a cui guardare! È
un’eredità a cui non si può paragonare nessuna eredità terrena trasmessa dai genitori.
QUELLI CHE GUARDARONO SECOLI PRIMA
6 Che cosa sopportereste per ricevere l’eredità, la ricompensa della vita eterna? L’apostolo Paolo
descrive come la considerarono fedeli uomini dell’antichità, secoli prima di ricevere l’eredità. Di Abraamo,
egli scrive: “Per fede Abraamo . . . ubbidì andando in un luogo . . . benché non sapesse dove andava. . . .
Poiché egli aspettava la città [il Regno] che ha reali fondamenta, il cui edificatore e creatore è Dio”. “Per
fede [egli] . . . fece come se offrisse Isacco”. — Ebr. 11:8-10, 17.
7 Di un altro uomo che apprezzò più di ogni altra cosa la santa eredità, Paolo dice: “Per fede Mosè,
quando fu cresciuto, rifiutò d’esser chiamato figlio della figlia di Faraone, scegliendo d’essere maltrattato
col popolo di Dio piuttosto che avere il temporaneo godimento del peccato, . . . poiché guardava
attentamente la ricompensa”. — Ebr. 11:23-26.
8 Questi uomini, e molti altri come loro, si prodigarono con zelo non per un’eredità terrena in questo
sistema di cose, ma per un’eredità nel nuovo ordine di Dio. Paolo dice: “Non [ottennero] l’adempimento
delle promesse, ma le videro da lontano e le salutarono . . . Quindi Dio non si vergogna di loro, d’esser
chiamato loro Dio, poiché ha preparato per loro una città [il Regno]”. — Ebr. 11:13-16.
9 Tutti quelli che sono testimoni di Geova sanno che è in serbo una meravigliosa eredità, una
ricompensa, e tutti desiderano parteciparvi. Infatti, non dobbiamo guardare tanto lontano, siamo ora alla
soglia. Ma c’è il pericolo di disprezzare l’eredità, di disdegnarla e perderla? Sì. Bisogna prestare costante
attenzione per tenere al giusto posto l’amore verso l’eredità, perché dev’essere non solo nella nostra
mente ma anche nel nostro cuore. Affinché ognuno di noi si esamini, sarà bene ripassare un racconto
biblico che dà risalto all’importanza dell’eredità. È la narrazione relativa ai fratelli gemelli Giacobbe ed
Esaù.
10 Cominciamo il racconto da quando i ragazzi stavano crescendo. Entrambi furono allevati dal padre
Isacco e dalla madre Rebecca con la conoscenza del promesso “seme” che avrebbe benedetto tutte le
famiglie della terra. (Gen. 3:15) Entrambi sapevano che al loro nonno Abraamo era stato detto che il
“seme” sarebbe venuto dalla sua linea di discendenza, attraverso Isacco, e che la benedizione di Dio era
stata sul loro padre Isacco. (Gen. 21:12; 22:15-18; 25:11; 26:24) Questa era un’eredità di straordinario
significato. Isacco era anche materialmente ricco. I ragazzi avrebbero ereditato anche questa ricchezza e
il primogenito ne avrebbe ricevuto una porzione doppia. Ma quale ragazzo sarebbe stato qualificato per
ricevere l’eredità, particolarmente la promessa del “seme” attraverso la linea di discendenza della
famiglia? Esaù, il primogenito, era nella posizione di favore da un punto di vista umano. — Gen. 25:25,
26.
11 Il racconto biblico dice: “E i ragazzi crebbero, ed Esaù divenne un uomo che sapeva cacciare, un uomo
del campo, ma Giacobbe un uomo irriprovevole, che dimorava in tende”. — Gen. 25:27.
12 In che modo queste parole fanno luce sull’attitudine dei ragazzi? Rivelano ciò che ciascuno aveva nel
cuore. Esaù era abile nella caccia. Trascorreva il suo tempo nel campo a imparare l’arte del cacciatore.
Giacobbe, d’altra parte, s’interessava della famiglia. La parola ebraica resa qui “irriprovevole” significa
“sano”, “innocente”, “completo”. Giacobbe, pur non facendo mostra della sua forza e della sua capacità
come faceva probabilmente Esaù, non era tuttavia un debole, poiché in seguito, parlando di lui, Geova
disse che aveva “energia dinamica”. (Osea 12:3) Il fatto è che Giacobbe stimava la promessa del patto
fatta ad Abraamo più di ogni altra cosa e dedicò tutto ciò che aveva ad imparare da suo padre intorno alla
promessa. Si dedicò ad aver cura degli interessi di questa famiglia che Dio aveva designata come erede.
Voleva stare vicino a quelli che Dio benediceva, anche se considerava effettivamente Esaù come colui
che veniva prima di lui, giacché Esaù era il primogenito.
13 In seguito i due ragazzi diedero una più vigorosa prova della loro attitudine. Leggiamo:
“Una volta Giacobbe bolliva della minestra, quando Esaù venne dal campo ed era stanco. Esaù disse
dunque a Giacobbe: ‘Presto, ti prego, dammi un boccone del rosso, del rosso lì, poiché sono stanco!’ . . .
A ciò Giacobbe disse: ‘Vendimi, prima di tutto, il tuo diritto di primogenito!’ Ed Esaù continuò: ‘Ecco, io sto
semplicemente per morire, e di quale beneficio mi è una primogenitura?’ E Giacobbe aggiunse: ‘Giurami
prima di tutto!’ Ed egli gli giurava e vendeva il suo diritto di primogenito a Giacobbe. E Giacobbe diede a
Esaù pane e minestra di lenticchie, ed egli mangiava e beveva. Quindi si levò e se ne andò”. — Gen.
25:29-34.
QUESTIONE DI APPREZZAMENTO
14 Fu Giacobbe egoista, approfittando ingiustamente di Esaù? Potrebbe sembrare così. Ma considerate:
Apprezzò realmente Esaù le cose meravigliose rappresentate dalla sua primogenitura? Non stava
effettivamente per morire, come disse. Ciò è mostrato dal fatto che dopo aver mangiato si levò e se ne
andò. La Bibbia dice che “era stanco”. Perché Esaù fu spinto a fare quello che fece? Il racconto ci dice:
“Esaù disprezzò dunque la primogenitura”. L’apostolo Paolo convalidò questa dichiarazione definendo
Esaù come uno che non apprezzò “le cose sacre, . . . che in cambio di un pasto cedette i suoi diritti di
primogenito”. — Gen. 25:34; Ebr. 12:16.
15 Tutto questo dimostrò che il giudizio di Dio era stato giusto quando, prevedendo le caratteristiche dei
ragazzi, aveva detto alla madre Rebecca prima che nascessero: “Il più vecchio servirà il più giovane”. —
Gen. 25:23; Rom. 9:12.
16 Giacobbe possedeva ora il diritto di primogenito per mezzo di due cose: per la promessa di Dio e per
diritto d’acquisto. Ma non aveva ancora la benedizione d’Isacco sul primogenito. È tuttavia evidente che
Giacobbe agiva altruisticamente, non facendo nessun passo per passare davanti a Esaù in questo.
Senza dubbio aspettava Geova. Ora Isacco era cieco, e non si rendeva conto pienamente degli
avvenimenti che si verificavano. Indubbiamente spinta da Geova ad agire, Rebecca, ricordando le parole
che Dio le aveva detto prima della nascita dei ragazzi, istruì Giacobbe affinché egli ricevesse la
benedizione.
17 In quello che seguì, alcuni lettori della Bibbia accusano Rebecca e Giacobbe di inganno e disonestà.
Ma è così? A questo punto, chi occupava realmente la posizione di primogenito secondo ogni diritto? Chi
si interessava dell’eredità? Perché Esaù nascose a Isacco il fatto che Giacobbe aveva comprato la
primogenitura, ma cercò invece di ottenere per sé la benedizione? È vero che Isacco benedisse
Giacobbe pensando erroneamente di benedire Esaù. Ma in seguito riconobbe che l’azione di Giacobbe e
di Rebecca era stata giusta. Vide la mano di Geova nella cosa, benedicendo di nuovo Giacobbe, questa
volta consapevolmente, con una profezia riguardo al “seme”. Quindi diede istruzioni a Giacobbe e lo
mandò via per metterlo al sicuro dal suo adirato fratello Esaù. Per di più, Dio stesso benedisse Giacobbe
con la promessa che il “seme” sarebbe venuto dalla sua linea di discendenza. — Genesi cap. 27; 28:1-4.
18 Che l’azione di Giacobbe non fosse motivata dall’egoistico guadagno è ulteriormente comprovato dal
fatto che lasciò la casa, non assumendo la responsabilità della proprietà familiare. E non c’è nessuna
evidenza che pretendesse mai la sua porzione doppia. Per lui l’eredità avvenire era di insuperabile
valore. Voleva che il patto di Dio rimanesse nella famiglia. Il suo apprezzamento verso Geova e la Sua
promessa eclissava ogni altra considerazione.
19 In contrasto con la mancanza di apprezzamento manifestata da Esaù, la grande considerazione che
Giacobbe aveva per l’eredità di Dio fu di nuovo resa evidente da qualcosa che accadde quando vent’anni
dopo Giacobbe tornò a casa a visitare suo padre. Giacobbe aveva ragione di credere che Esaù potesse
fargli del male, e per questa ragione era alquanto timoroso e cauto. Mandò un dono a Esaù prima che
giungesse la sua casa emigrante. Se Esaù l’accettava, significava che fra loro c’era pace. Ma prima che
avvenisse l’incontro, si verificò un episodio molto insolito. La Bibbia narra:
“Più tardi, quella notte, [Giacobbe] si levò e prese le sue due mogli e le sue due serve e i suoi undici
figliolini e passò il guado di Iabboc. Dunque li prese e li condusse di là dalla valle del torrente, e condusse
di là ciò che aveva. Infine Giacobbe fu lasciato solo. Quindi un uomo veniva alle prese con lui fino a che
ascese l’aurora. Quando vide che non aveva prevalso su di lui, gli toccò la cavità della giuntura della
coscia; e la cavità della giuntura della coscia di Giacobbe si slogò, mentre era alle prese con lui. Dopo ciò
disse: ‘Lasciami andare, perché è ascesa l’aurora’. A ciò egli disse: ‘Non ti lascerò andare se prima non
mi benedici’. Dunque, gli disse: ‘Qual è il tuo nome?’ Al che egli disse: ‘Giacobbe’. Quindi disse: ‘Il tuo
nome non sarà più Giacobbe ma Israele, poiché hai conteso con Dio e con gli uomini così che alla fine
hai prevalso’. A sua volta Giacobbe domandò e disse: ‘Dichiarami, ti prego, il tuo nome’. Comunque, egli
disse: ‘Perché domandi il mio nome?’ Allora lì lo benedisse. Per cui Giacobbe diede al luogo il nome di
Peniel, perché, come egli disse: ‘Ho visto Dio a faccia a faccia eppure la mia anima è stata liberata’. E il
sole rifulgeva su di lui appena passò presso Penuel, ma zoppicava sulla coscia”. — Gen. 32:22-31.
20 Qui è rivelata la grande differenza fra l’attitudine di Giacobbe e quella di Esaù verso l’eredità. Mentre
Esaù non volle soffrire nemmeno un po’ la fame per la primogenitura, Giacobbe lottò tutta la notte con un
angelo di Dio che si era materializzato come uomo. Giacobbe fece questo per ottenere una parola di
benedizione da Geova tramite l’angelo. Giacobbe sapeva senz’altro che l’angelo era apparso per uno
scopo, ed era a conoscenza del fatto che nelle passate apparizioni gli angeli avevano recato una
benedizione o un comando a conferma del patto abraamico. (Gen. 28:10-15; 31:11-13) Egli era perciò
così desideroso che Dio continuasse ad essere con lui, così come era stato con suo padre e con suo
nonno, che s’impegnò in una vigorosa, spossante lotta con l’angelo, tenendosi stretto a lui. Giacobbe
dimostrò così il grande desiderio del suo cuore d’avere il favore di Dio. — Si paragoni Genesi 28:20-22.
21 Naturalmente, Giacobbe non vinse o non sopraffece in effetti l’angelo di Dio. L’episodio servì a mettere
alla prova il desiderio che Giacobbe nutriva con tutto il suo cuore d’essere trovato accetto a Dio. In effetti,
solo toccandolo l’angelo, con sovrumano potere, fece slogare la giuntura della coscia di Giacobbe così
che da allora in poi zoppicò. Questo fu un fattore umiliante, una protezione per Giacobbe. Fu un
rammemoratore per insegnare a Giacobbe che era stato per immeritata benignità di Dio, e non per
alcuna forza o merito da parte di Giacobbe, che Dio lo aveva benedetto e si serviva di lui. Si paragoni
l’esperienza dell’apostolo Paolo narrata in II Corinti 12:6-10.
22 Il risultato di Giacobbe e di Esaù ci dà un fortissimo incentivo a essere fedeli, ad attenerci alla
speranza della ricompensa. Giacobbe fu benedetto divenendo il progenitore di una grande nazione. Ma
soprattutto, fu la nazione che Geova Dio impiegò per operare la salvezza della razza umana. Il “seme”, il
Messia, venne dalla linea di discendenza di Giacobbe. A motivo della sua forte fede, Giacobbe ‘vive’ agli
occhi di Dio, e gli è assicurata la risurrezione per ricevere l’eredità, una parte nel reame terrestre del
regno di Dio. Egli sarà senz’altro uno dei “principi” che Gesù Cristo costituirà come sorvegliante e pastore
del suo popolo. — Luca 20:37, 38; Sal. 45:16.
COME VI SENTITE RIGUARDO ALL’EREDITÀ?
23 Considerando la vita di Giacobbe e di Esaù, ciascuno di noi può chiedersi: ‘Che cosa ne faccio della
mia vita? Quanto apprezzo la promessa eredità della vita nel nuovo ordine di Dio? Sono disposto a subire
disagi pur di ricevere l’eredità? Voglio attenermi ad essa con tutte le mie forze?’
24 Come Giacobbe, possiamo rendere sicura l’eredità. La sua mente e il suo cuore furono rivolti alle
promesse fin dalla sua giovinezza. Evidentemente impiegò il suo tempo a imparare tutto quello che poté
sulle opere di Dio con suo padre Isacco e suo nonno Abraamo. Fu un uomo che pregò Dio. Lavorò
strenuamente e sopportò molte prove ma mantenne in tutto e per tutto mitezza di spirito e forte fede.
25 Geova ha provveduto molto benignamente al nostro bisogno spirituale. Lo apprezzate come
Giacobbe? Leggete regolarmente la Bibbia? Leggete La Torre di Guardia, non semplicemente gli articoli
di studio ma anche gli altri articoli che contiene? Essi hanno molte eccellenti informazioni che altrimenti
non otterreste.
26 Siete pazienti e altruisti, come lo fu Giacobbe? Siete disposti a servire con tutto il cuore, aspettando
che Geova vi benedica? Giacobbe non si irritò perché, a settantasette anni, il padre gli consigliò di
lasciare la casa, non portando con sé nulla dell’eredità. La sua attitudine fu esattamente il contrario di
quella del figlio prodigo dell’illustrazione di Gesù, che volle lasciare la casa e volle anche la sua eredità,
per spenderla secondo i propri desideri. Giacobbe aveva novantasette anni quando si mise in viaggio per
tornare a casa, non spinto dal desiderio di rivendicare un’eredità terrena, ma per comando di Dio. — Gen.
31:3.
27 Gesù Cristo disse: “Non c’è nessuno che, avendo lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o
figli o campi per amor mio e per amore della buona notizia, non riceva ora, in questo tempo, cento volte
tanto, di case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel sistema di cose
avvenire la vita eterna”. (Mar. 10:29, 30) Giacobbe si sentì così.
28 Non si tratta quindi di servire pensando a un limite di tempo, o di cercare le comodità e gli agi materiali
per noi stessi o semplicemente di sopportare alcune prove. Si tratta di tutta la vita, di tenere
continuamente l’eredità dinanzi ai nostri occhi.
29 Si tratta di tenere stretta l’eredità, facendo vigorosamente e fino all’esaurimento ciò che le nostre mani
trovano da fare, proprio come Giacobbe lottò tutta la notte con l’angelo. (Eccl. 9:10) E tutto ciò che
Giacobbe fece, lo fece bene, con tutte le sue forze. Inoltre, mise gli interessi altrui prima dei suoi.
Guardate come Giacobbe lavorò strenuamente negli interessi di Labano, suo parente e datore di lavoro.
Egli disse:
“Questi vent’anni sono stato con te. Le tue pecore e le tue capre non hanno abortito, e non ho mai
mangiato i montoni del tuo gregge. Non ti ho portato nessun animale fatto a brani. Ne subivo io la perdita.
Se uno era rubato di giorno o era rubato di notte, tu lo richiedevi dalla mia mano. La mia esperienza è
stata che di giorno mi consumava il caldo e di notte il freddo, e il sonno fuggiva dai miei occhi”. — Gen.
31:38-40.
30 Ora Giacobbe non faceva il lavoro secolare solo per aiutare Labano, né per accumulare ricchezza
materiale. Giacobbe accresceva il suo gregge con la prospettiva di tornare a suo tempo a casa con una
famiglia propria. Perché? Perché sapeva che sia Abraamo che Isacco erano forestieri nel paese e che
Dio lo avrebbe infine dato alla posterità di Abraamo. Giacobbe credeva in questa promessa. Tutta la sua
anima ne era completamente presa. Voleva avere una casa libera, che servisse Dio interamente. E Dio lo
benedisse così che la sua famiglia, i suoi dodici figli, divenne realmente il fondamento della grande
nazione d’Israele.
31 I cristiani hanno oggi un’opera da compiere che richiede attenzione con tutto il cuore. Quest’opera
consiste nell’aver cura degli interessi del Regno. Si deve dichiarare la buona notizia. Ci vuole fedeltà. Si
deve compiere l’opera pastorale con lo stesso zelo e lo stesso vigore con cui Giacobbe ebbe cura dei
suoi greggi e di quelli di Labano. Come avvenne a Giacobbe, l’eredità avvenire merita d’essere guardata
attentamente. La parola greca tradotta “guardava attentamente”, in Ebrei 11:26, significa distogliere lo
sguardo da ogni altra cosa e rivolgerlo a un solo oggetto.
32 Se stiamo così attenti all’eredità nulla ci farà inciampare. Nulla ci distoglierà. Avremo la certezza della
grande eredità, o nei cieli, come nel caso dei fratelli di Gesù Cristo generati dallo spirito, o nel reame
terrestre del Regno. Quest’ultima speranza è nutrita dalla grande maggioranza dei testimoni di Geova
oggi sulla terra. Entrambi i gruppi hanno l’attitudine dell’apostolo Paolo, che nutrì la speranza della
chiamata “superna” (celeste). Egli scrisse: “Fratelli, io non mi considero ancora come se l’avessi afferrato;
ma vi è una cosa al riguardo: Dimenticando le cose di dietro e protendendomi verso quelle davanti,
proseguo verso la mèta per il premio della superna chiamata di Dio mediante Cristo Gesù”. Continui tutto
il popolo di Dio a guardare così attentamente. — Filip. 3:13, 14.
[Figura a pagina 84]
Giacobbe stimò la promessa del patto fatta ad Abraamo, ma Esaù vendette per un pasto la sua eredità.
Apprezzate le cose sacre, come fece Giacobbe? Guardate attentamente l’eredità della vita nel nuovo
ordine di Dio e lo mostrate con ciò che fate della vostra vita?

w93 15/7 25-6 Abbiate tenera cura delle preziose pecore di Geova
Si deve rendere conto
Un altro ben noto pastore fu il patriarca Giacobbe. Egli si sentiva personalmente responsabile di ciascuna
pecora affidatagli. Era stato così scrupoloso nel badare ai greggi di suo suocero Labano, che dopo 20
anni trascorsi al suo servizio poté dirgli: “Le tue pecore e le tue capre non hanno abortito, e non ho mai
mangiato i montoni del tuo gregge. Non ti ho portato alcun animale sbranato. Ne subivo io la perdita. Se
uno era rubato di giorno o era rubato di notte, lo richiedevi dalla mia mano”. — Genesi 31:38, 39.
I sorveglianti cristiani manifestano una preoccupazione anche maggiore per le pecore che il Pastore delle
nostre anime, Geova Dio, “acquistò col sangue del suo proprio Figlio”. (Atti 20:28; 1 Pietro 2:25; 5:4)
Paolo mise in risalto la serietà di questa responsabilità quando, parlando degli uomini che prendono la
direttiva nella congregazione, ricordò ai cristiani ebrei: “Essi vigilano sulle vostre anime come coloro che
renderanno conto”. — Ebrei 13:17.
L’esempio di Giacobbe fa anche capire che l’opera del pastore non conosce sosta. Si svolge giorno e
notte e spesso richiede spirito di sacrificio. Giacobbe disse a Labano: “La mia esperienza è stata che di
giorno mi consumava il caldo e di notte il freddo, e il sonno fuggiva dai miei occhi”. — Genesi 31:40.
Oggi si può sicuramente dire altrettanto di molti amorevoli anziani cristiani, come illustra la seguente
esperienza. In seguito a complicazioni sopraggiunte dopo una biopsia per un tumore al cervello, un
fratello fu ricoverato nel reparto di terapia intensiva di un ospedale. I familiari disposero di stargli vicino
giorno e notte. Per dar loro il necessario incoraggiamento e appoggio morale, uno degli anziani locali
modificò il suo programma denso di impegni in modo da andare a trovare tutti i giorni il malato e i suoi
familiari. A motivo però della terapia intensiva, non sempre l’anziano poteva fare la visita di giorno. Perciò
spesso doveva andare all’ospedale la sera tardi. Ma fu felice di farlo, sera dopo sera. “Mi rendevo conto
che dovevo fare la visita in un momento adatto per il paziente, non per me”, disse l’anziano. Quando il
fratello si riprese abbastanza da essere trasferito in un altro reparto, l’anziano continuò le sue
incoraggianti visite quotidiane di giorno.

W98 1-9 P.22-23


W61 P.344-347
Giacomo (figlio di Zebedeo) — Tema: Siate zelanti seguaci di Cristo 1°PIETRO 2:21

it-1 1099-100 Giacomo


GIACOMO
[dalla forma greca del nome ebraico Giacobbe, che significa “che afferra il calcagno; soppiantatore”].
2. Figlio di Zebedeo; fratello di Giovanni e uno dei dodici apostoli di Gesù Cristo. (Mt 10:2) Pare che sua
madre fosse Salome, come si nota paragonando due descrizioni dello stesso avvenimento, una delle
quali menziona “la madre dei figli di Zebedeo”, mentre l’altra la chiama “Salome”. (Mt 27:55, 56; Mr 15:40,
41; vedi SALOME n. 1). Un ulteriore confronto con Giovanni 19:25 sembra indicare che Salome era
sorella carnale di Maria, madre di Gesù. In tal caso Giacomo era cugino di primo grado di Gesù.
Giacomo e suo fratello lavoravano con il padre in un’impresa di pesca quando, nel 30 E.V., Gesù li invitò,
insieme ai pescatori Pietro e Andrea, a divenire suoi discepoli e “pescatori di uomini”. In risposta all’invito
di Gesù, Giacomo e Giovanni abbandonarono la loro impresa di pesca, condotta in società con Pietro e
Andrea e abbastanza grande da impiegare lavoratori salariati. — Mt 4:18-22; Mr 1:19, 20; Lu 5:7-10.
L’anno dopo, il 31 E.V., quando Gesù scelse come apostoli dodici suoi discepoli, Giacomo era fra questi.
— Mr 3:13-19; Lu 6:12-16.
Spesso Pietro, Giacomo e Giovanni erano menzionati insieme nell’intima compagnia di Cristo. Per
esempio, questi tre furono i soli presenti insieme a Cristo sul monte della trasfigurazione (Mt 17:1, 2),
furono gli unici apostoli invitati a entrare in casa per assistere alla risurrezione della figlia di Iairo (Lu
8:51), e furono i più vicini a Gesù nel Getsemani mentre pregava quell’ultima notte. (Mr 14:32-34) Furono
Pietro, Giacomo e Giovanni, insieme ad Andrea, a chiedere a Gesù quando sarebbe avvenuta la predetta
distruzione del tempio di Gerusalemme e quale sarebbe stato il segno della sua presenza e del termine
del sistema di cose. (Mr 13:3, 4) Giacomo è sempre menzionato insieme a suo fratello Giovanni, e nella
maggioranza dei casi è menzionato per primo. Questo potrebbe indicare che era il maggiore dei due. —
Mt 4:21; 10:2; 17:1; Mr 1:19, 29; 3:17; 5:37; 9:2; 10:35, 41; 13:3; 14:33; Lu 5:10; 6:14; 8:51; 9:28, 54; At
1:13.
A Giacomo e a suo fratello, Gesù diede il soprannome di Boanerges, termine di origine semitica che
significa “Figli del Tuono” (Mr 3:17), forse perché avevano un carattere energico, focoso ed entusiasta.
Per esempio, quando certi samaritani furono poco ospitali nei confronti di Gesù, Giacomo e Giovanni
volevano far scendere fuoco dal cielo per annientarli. Anche se Gesù li rimproverò per tale spirito di
vendetta, questo atteggiamento rivelava la loro giusta indignazione e anche la loro fede. (Lu 9:51-55)
Essi inoltre nutrivano l’ambizione di avere i posti più preminenti nel Regno, alla destra e alla sinistra di
Gesù, e a quanto pare indussero la madre (forse zia di Gesù) a chiedergli questo favore. Dopo avere
spiegato che decisioni del genere dipendevano dal Padre, Gesù colse l’occasione per sottolineare che
“chiunque vorrà essere il primo fra voi dovrà essere vostro schiavo”. — Mt 20:20-28.
Giacomo evidentemente morì di spada nel 44 E.V. per ordine di Erode Agrippa I, e fu il primo dei dodici
apostoli a morire come martire. — At 12:1-3.

w90 1/6 20 Camminiamo nel timore di Geova


La persecuzione non riesce nei suoi intenti
21 Il periodo di pace finì quando Erode Agrippa I cominciò a perseguitare coloro che temevano Geova a
Gerusalemme. (12:1-11) Erode fece uccidere Giacomo con la spada, forse decapitandolo; egli fu il primo
apostolo a subire il martirio. Vedendo che questo faceva piacere agli ebrei, Erode mise Pietro in prigione.
Sembra che l’apostolo fosse incatenato a due soldati, uno per lato, mentre altri due soldati montavano la
guardia alla sua cella. Erode pensava di ucciderlo dopo la Pasqua e i giorni dei pani non fermentati (dal
14 al 21 nisan), ma le preghiere della congregazione a suo favore furono esaudite appena in tempo,
come accade spesso anche con le nostre preghiere: l’angelo di Dio liberò miracolosamente l’apostolo.

w97 15/8 12-13 Vivete per il presente o per un futuro eterno?


“Siate vigilanti”
3 Oggi molti hanno un atteggiamento pessimista e vivono solo per il presente. (Efesini 2:2) L’apostolo
Pietro lo aveva predetto, parlando di “schernitori con i loro scherni, che . . . diranno: ‘Dov’è questa sua
promessa presenza? Infatti, dal giorno che i nostri antenati si addormentarono nella morte, tutte le cose
continuano esattamente come dal principio della creazione’”. (2 Pietro 3:3, 4) Se i veri adoratori
cadessero vittime di un simile modo di ragionare, potrebbero diventare “inattivi o infruttuosi”. (2 Pietro 1:8)
Siamo lieti di vedere che questo non accade alla maggioranza degli odierni servitori di Dio.
4 Non è sbagliato interessarsi della veniente fine dell’attuale sistema malvagio. Ricordate l’interesse
manifestato dagli stessi apostoli di Gesù, che chiesero: “Signore, ristabilirai in questo tempo il regno
d’Israele?” Gesù rispose: “Non sta a voi acquistar conoscenza dei tempi o delle stagioni che il Padre ha
posto nella propria autorità”. (Atti 1:6, 7) Queste parole ricalcavano sostanzialmente quanto aveva già
detto sul Monte degli Ulivi: “Non sapete in quale giorno verrà il vostro Signore. . . . In un’ora che non
pensate viene il Figlio dell’uomo”. (Matteo 24:42, 44) Dobbiamo continuare a rammentare a noi stessi
quel consiglio! Alcuni possono essere tentati di assumere l’atteggiamento: ‘Forse dovrei soltanto
rallentare un po’ e prendermela più comoda’. Che errore sarebbe questo! Considerate l’esempio di
Giacomo e Giovanni, i “Figli del Tuono”. — Marco 3:17.
5 Sappiamo che Giacomo era un apostolo particolarmente zelante. (Luca 9:51-55) Dopo l’istituzione della
congregazione cristiana, egli dovette avere un ruolo di primo piano. Ma quando Giacomo era ancora
relativamente giovane, Erode Agrippa I lo fece uccidere. (Atti 12:1-3) Pensate che Giacomo, vedendo la
sua vita giungere inaspettatamente al termine, si sia rammaricato di essere stato così zelante, di essersi
impegnato tanto nel ministero? È improbabile. Sicuramente fu felice di aver speso gli anni migliori della
sua vita relativamente breve nel servizio di Geova. Ebbene, nessuno di noi può sapere quando la sua vita
potrebbe inaspettatamente aver fine. (Ecclesiaste 9:11; confronta Luca 12:20, 21). Chiaramente quindi è
saggio tener vivo il nostro zelo e mantenerci molto attivi nel servizio di Geova. In questo modo
continueremo ad avere un buon nome presso di lui e a vivere in vista del nostro futuro eterno. —
Ecclesiaste 7:1.

gt 22 22 Chiamati quattro discepoli


Capitolo 22
Chiamati quattro discepoli
DOPO che nella sua città, a Nazaret, hanno tentato di ucciderlo, Gesù va a stabilirsi a Capernaum, sul
Mar di Galilea. Questo adempie un’altra profezia di Isaia, quella in cui era predetto che il popolo della
Galilea che dimorava presso il mare avrebbe visto una gran luce.
Mentre svolge in questa zona la sua illuminante opera di predicare il Regno, Gesù rintraccia quattro suoi
discepoli. Questi in precedenza avevano viaggiato con Gesù, ma dopo essere rientrati insieme a lui dalla
Giudea, erano tornati al loro mestiere di pescatori. Forse ora Gesù li ha cercati, essendo giunto il
momento di avere collaboratori fissi e costanti da poter addestrare perché proseguano il ministero dopo
che lui se ne sarà andato.
Gesù sta dunque camminando lungo la riva, e quando vede Simon Pietro e i suoi compagni intenti a
lavare le reti, si dirige verso di loro. Salito sulla barca di Pietro, gli chiede di scostarsi da terra. Allorché
giungono a una certa distanza, Gesù si mette a sedere e dalla barca insegna alle folle che sono sulla
riva.
Più tardi Gesù dice a Pietro: “Va al largo dove è profondo, e calate le vostre reti per la pesca”.
“Insegnante”, risponde Pietro, “per tutta la notte ci siamo affaticati senza prendere nulla, ma al tuo cenno
calerò le reti”.
Calate le reti, prendono una tale quantità di pesce che le reti cominciano a rompersi. Gli uomini fanno
subito cenno ai loro compagni della barca vicina di venire ad aiutarli. Presto entrambe le barche sono
talmente piene di pesci che quasi affondano. Visto ciò, Pietro cade alle ginocchia di Gesù e dice:
“Allontanati da me, Signore, perché sono un uomo peccatore”.
“Smetti di aver timore”, risponde Gesù. “Da ora in poi prenderai uomini vivi”.
Gesù invita anche Andrea, fratello di Pietro. “Venite dietro a me”, li esorta, “e vi farò pescatori di uomini”.
Ai loro soci Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, viene rivolto lo stesso invito, e anch’essi accettano
senza esitare. Perciò tutt’e quattro abbandonano il loro mestiere di pescatori per diventare i primi seguaci
fissi e costanti di Gesù. Luca 5:1-11; Matteo 4:13-22; Marco 1:16-20; Isaia 9:1, 2.
⌡ Perché Gesù invita i suoi discepoli a seguirlo, e chi sono essi?
⌡ Quale miracolo incute timore a Pietro?
⌡ Che tipo di pesca Gesù invita i suoi discepoli a compiere?

W59 P.333-335
W65 P.263-264
Giacomo (figlio di Giuseppe e Maria) — Tema: Mai perdere la speranza che i familiari accettino la verità
1°CORINTI 7:12-15

it-1 1099 Giacomo


GIACOMO
[dalla forma greca del nome ebraico Giacobbe, che significa “che afferra il calcagno; soppiantatore”].
4. Figlio di Giuseppe e Maria, e fratellastro di Gesù. (Mr 6:3; Gal 1:19) Pur non essendo un apostolo,
questo Giacomo evidentemente era un sorvegliante della congregazione cristiana di Gerusalemme (At
12:17) e fu lui a scrivere il libro biblico che porta il suo nome. (Gc 1:1) Forse era il più vicino di età a
Gesù, essendo menzionato per primo fra i quattro figli di Maria nati in modo naturale: Giacomo,
Giuseppe, Simone e Giuda. (Mt 13:55; vedi FRATELLO). Nella lettera ai Corinti, scritta verso il 55 E.V.,
Paolo fa capire che Giacomo era sposato. — 1Co 9:5.
Sembra che durante il ministero di Gesù Giacomo fosse ben al corrente dell’attività di suo fratello (Lu
8:19; Gv 2:12) ma, anche se a quanto pare non si opponeva, non era discepolo e seguace di Cristo. (Mt
12:46-50; Gv 7:5) Probabilmente insieme ai suoi fratelli non credenti esortò Gesù a salire apertamente
alla festa dei tabernacoli, quando i capi degli ebrei cercavano di ucciderlo. (Gv 7:1-10) Giacomo può
anche essere stato uno dei parenti che dissero di Gesù: “È fuori di sé”. — Mr 3:21.
Comunque, dopo la morte di Gesù e prima della Pentecoste del 33 E.V., Giacomo si era radunato per
pregare insieme alla madre, ai fratelli e agli apostoli in una camera al piano superiore di una casa a
Gerusalemme. (At 1:13, 14) Fu evidentemente a questo Giacomo che il risuscitato Gesù apparve
personalmente, com’è riportato in 1 Corinti 15:7, per convincerlo, lui un tempo non credente, che era
davvero il Messia. Questo ci ricorda l’apparizione di Gesù a Paolo. — At 9:3-5.
In seguito Giacomo ebbe un ruolo preminente nella congregazione di Gerusalemme e ne divenne, pare,
un “apostolo”. (Vedi APOSTOLO [Apostoli delle congregazioni]). Infatti la prima volta che Paolo andò dai
fratelli di Gerusalemme (verso il 36 E.V.), disse di essere stato 15 giorni con Pietro ma di non aver visto
“nessun altro degli apostoli, se non Giacomo il fratello del Signore”. (Gal 1:18, 19) Pietro, dopo essere
stato liberato miracolosamente di prigione, disse ai fratelli radunati in casa di Giovanni Marco di
‘comunicare queste cose a Giacomo e ai fratelli’, indicando così la preminenza di Giacomo. (At 12:12, 17)
Verso il 49 E.V. fu sottoposto ‘agli apostoli e agli anziani’ di Gerusalemme il problema della circoncisione.
Dopo la testimonianza di Pietro, Barnaba e Paolo, Giacomo prese la parola, presentando una risoluzione
che fu approvata e adottata dall’assemblea. (At 15:6-29; cfr. At 16:4). Riferendosi a quell’occasione,
Paolo dice che tra i cristiani di Gerusalemme Giacomo, Cefa e Giovanni “sembravano essere colonne”.
(Gal 2:1-9) Verso la fine di un successivo viaggio missionario, a Gerusalemme, Paolo fece una relazione
del suo ministero a Giacomo e a “tutti gli anziani”, dopo di che questi gli diedero alcuni consigli. — At
21:15-26; vedi anche Gal 2:11-14.
Che lo scrittore del libro di Giacomo fosse questo ‘fratello di Gesù’, e non uno degli apostoli omonimi (il
figlio di Zebedeo o il figlio di Alfeo), sembra indicato all’inizio della lettera. Qui lo scrittore si definisce
“schiavo di Dio e del Signore Gesù Cristo” e non apostolo. In modo simile anche suo fratello Giuda si
definisce “schiavo di Gesù Cristo, ma fratello di Giacomo”. (Gc 1:1; Gda 1) Entrambi evitarono umilmente
di dichiararsi fratelli carnali del Signore Gesù Cristo.
Secondo una tradizione veniva chiamato “Giacomo il Giusto”, a motivo del suo modo di vivere. Le
Scritture non parlano della morte di Giacomo. Comunque lo storico Giuseppe Flavio dice che nel tempo
intercorso fra la morte del procuratore romano Festo, verso il 62 E.V., e l’arrivo del suo successore,
Albino, il sommo sacerdote Anano (Anania) “radunò i giudici del Sinedrio e introdusse dinanzi a loro un
uomo che si chiamava Giacomo, il fratello di Gesù detto Cristo, e alcuni altri. Li accusò di avere
trasgredito la legge e li fece lapidare”. — Antichità giudaiche, XX, 200 (ix, 1).

w74 1/6 340-3 "La fede senza opere è morta"


A che cosa servono le parole senza le opere?
13 Il discepolo Giacomo, fratellastro di Gesù, conosceva senz’altro le attività di suo fratello, ma non c’è
nessuna indicazione che seguisse Gesù come suo discepolo durante il suo ministero terreno. Giacomo
poté essere fra i parenti di Gesù che dissero di lui: “È fuori di sé”. (Mar. 3:21) Comunque, con molta
probabilità fu questo Giacomo a vedere Gesù dopo la sua risurrezione. Paolo si riferiva evidentemente a
lui quando scrisse ai Corinti: “Apparve poi a più di cinquecento fratelli in una volta . . . Apparve poi a
Giacomo, quindi a tutti gli apostoli”. (1 Cor. 15:6, 7) È dunque probabile che questo Giacomo, dopo la
morte di Gesù e prima della Pentecoste del 33 E.V., si riunisse per la preghiera insieme a sua madre e
agli apostoli e ad altri nella camera superiore in Gerusalemme. (Atti 1:13, 14) Credette che Gesù è il
Signore, e seppe pure che Gesù era stato destato dai morti. In seguito Giacomo divenne un notevole
seguace di Cristo Gesù e, negli anni successivi, fu uno di quelli che, quando il corpo degli anziani si riunì
a Gerusalemme, presero parte a decisioni emanate nell’interesse di tutte le congregazioni. — Atti 15:6,
13.
14 Giacomo scrisse in termini molto vigorosi ai suoi fratelli cristiani e trattò questo soggetto della fede. Lo
considerò nello stesso modo dell’apostolo Paolo. Giacomo si espresse in questo modo: “Che beneficio vi
è, fratelli miei, se uno dice che ha fede ma non ha opere?” (Giac. 2:14) Non c’è nessuna ragione di
vantarsi della propria fede se non si hanno opere per sostenerla. In realtà una tale asserzione di fede è
falsa. Per illustrare questo importante soggetto delle opere appropriate Giacomo pone alla congregazione
una domanda: “Se un fratello o una sorella è in uno stato di nudità e mancante del cibo sufficiente per il
giorno, e uno di voi dice loro: ‘Andate in pace, riscaldatevi e saziatevi’, ma non date loro le cose
necessarie al corpo, che beneficio vi è?” (Giac. 2:15, 16) Le opere sono necessarie per dimostrare che il
desiderio espresso a parole è sincero. Rammentiamo che Gesù disse: “Quando il Figlio dell’uomo sarà
venuto nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, sederà quindi sul suo glorioso trono. . . . ed egli separerà
gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri. E metterà le pecore alla sua destra, ma i
capri alla sua sinistra. Quindi il re dirà a quelli alla sua destra: ‘Venite, voi che avete la benedizione del
Padre mio, ereditate il regno preparato per voi. . . . Fui estraneo e mi accoglieste in modo ospitale; nudo,
e mi vestiste. . . . In quanto l’avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me’”. — Matt.
25:31-40.
15 Non è necessario essere letteralmente nudi per aver bisogno di aiuto. La nota in calce della
Traduzione del Nuovo Mondo su Matteo 25:36 dice: “O ‘non sufficientemente vestito’; nella lingua
comune la parola originale di questa espressione significava ‘vestito d’un abito leggero, solo con gli
indumenti intimi’, quindi scarsamente vestito, non necessariamente nudo”. Che l’“estraneo” sia nudo o
che sia vestito solo con abiti leggeri, chi vede la sua condizione non dovrebbe dire solo: ‘Va in pace,
riscaldati e saziati’. Certo, non possiamo offrire tale aiuto a Gesù di persona, ma possiamo offrirlo ai suoi
“fratelli”, ai cristiani unti dallo spirito che sono vivi qui sulla terra. Date loro tale aiuto, sia perché li vedete
nel bisogno sia perché sapete che appartengono a Cristo? — Matt. 10:41, 42.
16 Giacomo spiega che le parole non sostenute dalle azioni sono prive di valore. Solo dicendo le parole
‘Riscaldati’ non recherete beneficio al vostro fratello o alla vostra sorella cristiana. Un’altra traduzione
rende le parole di Giacomo in questo modo: “Supponete che un fratello o una sorella abbia il vestito a
brandelli senza sufficiente cibo per il giorno, e uno di voi dice: ‘Buona fortuna a voi, riscaldatevi e abbiate
abbondanza da mangiare’, ma non fa nulla per provvedere ai loro bisogni fisici, a che cosa giova?” (New
English Bible) Se il cristiano vuole che le persone si riscaldino, ci vorrà quindi un po’ di lavoro da parte
sua per dar loro qualche cosa con cui riscaldarsi, e non basterà dire solo: “Buona fortuna a voi”, senza
fare nulla per provvedere ai bisogni fisici. In modo simile, la fede dev’essere accompagnata dalle opere.
La fede dev’essere sostenuta dalle azioni.
La vostra fede è morta o viva?
17 Giacomo prosegue dicendo: “Così anche la fede, se non ha opere, è in se stessa morta”. (Giac. 2:17)
Questo è vero. Giacomo introduce ora una persona immaginaria e dice: “Tuttavia, qualcuno dirà: ‘Tu hai
fede, e io ho opere. Mostrami la tua fede senza le opere, e io ti mostrerò la mia fede mediante le mie
opere’”. (Giac. 2:18) Il punto in discussione non è se siano le opere in armonia con la legge mosaica a
condurre alla salvezza o se sia la fede in Gesù Cristo. Piuttosto, la fede reale e viva è messa in contrasto
con la fede morta o senza vita. Un’altra traduzione lo presenta in questo modo: “Ma qualcuno obietterà:
‘Ecco uno che asserisce di avere fede e un altro che addita le sue opere’. Al che rispondo: ‘Provami che
questa fede di cui parli è reale benché non sia accompagnata da opere, e con le mie opere io ti proverò
la mia fede’”. — NE.
18 La persona è dunque costretta a porsi la domanda: Può il cristiano dar prova della sua fede senza
avere nessuna opera? O deve il cristiano dar prova della sua fede facendo vedere ad altri con l’uso del
cuore, della mente, dell’anima e della forza che la sua è una fede viva, una fede produttiva, non una fede
morta? Giacomo mostra che le opere o l’attività è la prova della propria fede. Oggi nel mondo vi sono
molti che dicono di credere in Dio, ma quando chiedete: ‘Chi è? Che cosa ha fatto? Che cosa sta
facendo?’ la conversazione finisce lì. Non hanno vera fede in Dio, perché non lo conoscono. Non hanno
nessuna “sicura aspettazione di cose sperate”. Non conoscono nessuna “evidente dimostrazione di realtà
benché non vedute”. (Ebr. 11:1) Altri dicono: ‘Credo in Gesù Cristo’, ma quando chiedete: ‘Che cosa sta
facendo ora Gesù Cristo?’ in realtà non lo sanno. Dicono che morì. Non credono che è il Signore
risuscitato, vivo nei cieli, investito di grande potenza e regnante, che presto porrà fine al malvagio
sistema di cose e si prepara a far divenire piena realtà la preghiera che ai cristiani è stato insegnato di
pregare, cioè: “Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. (Matt. 6:10, Ga) Tali
persone si trovano in difficoltà quando si tratta di dirvi in che cosa consiste la loro fede. Non possono
sostenerla con prove bibliche. Non hanno nessuna speranza. In realtà, non credono che Gesù è Signore
e che Geova Dio lo destò dai morti e che è stato reso re del regno di Dio e posto sul trono celeste per la
benedizione di tutto il genere umano. Ci credete voi?
19 Evidentemente, nella sua considerazione con persone che professavano d’essere della congregazione
di Dio nel primo secolo Giacomo riscontrò che alcuni non avevano una fede viva, attiva, che spingesse a
mostrare vero amore verso i fratelli cristiani e a partecipare all’opera di produrre altri discepoli di Gesù
Cristo. Quindi Giacomo disse: “Tu credi che vi è un solo Dio, non è vero? Fai molto bene. E pure i demoni
credono e rabbrividiscono”. (Giac. 2:19) Perché Giacomo disse così?
20 Egli spiega che i demoni credono che c’è un Dio. Infatti, lo sanno molto bene, perché “quando gli
uomini cominciarono a crescere di numero sulla superficie della terra e nacquero loro delle figlie, i figli del
vero Dio notavano che le figlie degli uomini erano di bell’aspetto; e si presero delle mogli, cioè tutte quelle
che scelsero”. (Gen. 6:1, 2) Questi “figli del vero Dio” erano creature spirituali ma si materializzarono.
Mentre “continuarono ad avere relazione con le figlie degli uomini ed esse partorirono loro dei figli: essi
furono i potenti dell’antichità, gli uomini famosi”. A causa della loro depravazione questi angeli decaduti
portarono la rovina sulla terra, e la loro ibrida progenie, “i potenti”, contribuirono senz’altro alla “violenza”
che riempì a quei giorni la terra. Di conseguenza, Dio disse che avrebbe distrutto il genere umano
mediante un diluvio, preservando solo Noè, sua moglie e i suoi tre figli e le loro mogli. — Gen. 6:4-7, 11-
13.
21 Che cosa ne fu di quegli angeli materializzati quando caddero le acque del diluvio? Furono costretti a
tornare nel reame spirituale, ma non ai posti assegnati che avevano abbandonati. Giuda ci dice: “Gli
angeli che non mantennero la loro posizione originale ma abbandonarono il proprio luogo di dimora egli li
ha riservati al giudizio del gran giorno con legami sempiterni, sotto dense tenebre”. (Giuda 6) Giacomo si
riferisce a questi angeli chiamandoli demoni. Questi demoni credevano che c’è un Dio, credevano che
esiste, ma non facevano le opere di Dio.
22 Sapevano anche del Figlio di Dio, Cristo Gesù, ma non facevano le sue opere. Quando Gesù fu nel
paese dei Gadareni incontrò due uomini posseduti da demoni che uscivano di fra le tombe
commemorative. Questi uomini erano insolitamente fieri e nessuno aveva il coraggio di passare per la
strada. Questi demoni sapevano chi era Gesù Cristo. “Essi gridavano, dicendo: ‘Che abbiamo a che fare
con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo stabilito?’” Il racconto ci dice che Gesù
espulse i demoni dagli uomini e i demoni andarono in una mandra di porci. — Matt. 8:28-32.
23 Indubbiamente questi demoni credevano che c’è un Dio e che Gesù è il Figlio di Dio. E rabbrividivano
al pensiero di quello che significava per loro. Pietro ci dice: “Dio non si trattenne dal punire gli angeli che
peccarono, ma, gettandoli nel Tartaro, li consegnò a fosse di dense tenebre per esser riservati al
giudizio”. — 2 Piet. 2:4.
24 È assai evidente che questi figli di Dio divennero demoni perché non facevano la volontà di Dio. Erano
ribelli. Sapevano di certo che c’è un Dio, e ora Giacomo, parlando a quelli della congregazione cristiana,
dice: “Tu credi che vi è un solo Dio, non è vero? Fai molto bene”. Ma se il loro credo arrivava solo lì,
allora non erano molto migliori dei demoni. I demoni sono contro Dio eppure credono. Hanno
conoscenza. Conoscono la posizione che Geova occupa nell’universo, ma non si conformano alla sua
volontà. Similmente, milioni e milioni di persone proprio qui sulla terra credono che c’è un Dio, e dicono di
avere fede, ma dove sono le loro opere? La loro fede è morta.

w75 15/9 573-4 Una famiglia molto privilegiata: Perché?


FRATELLASTRI E SORELLASTRE
Gesù fu il figlio “primogenito” di Maria, ma non fu figlio unico nella famiglia di Giuseppe e Maria. (Luca
2:7) Le Scritture citano le parole di coloro che conobbero Gesù i quali avrebbero detto: “Dove ha preso
quest’uomo tale sapienza e tali opere potenti? Non è questo il figlio del falegname? Non si chiamano sua
madre Maria e i suoi fratelli Giacomo e Giuseppe e Simone e Giuda? E le sue sorelle non son tutte con
noi? Dove ha preso dunque quest’uomo tutte queste cose?” — Matt. 13:54-56.
Il fatto che Gesù era figlio di una famiglia numerosa spiega un avvenimento che ebbe luogo quando
aveva circa dodici anni. La famiglia tornava a Nazaret dalla celebrazione pasquale a Gerusalemme.
Benché Gesù mancasse, Giuseppe e Maria non se ne accorsero che dopo un giorno di viaggio.
Supposero che fosse in compagnia di parenti o conoscenti. Se avessero avuto solo un bambino a cui
badare, è difficile immaginare come potesse accadere una tal cosa. — Luca 2:42-45.
Nei primi tre anni del ministero terreno di Gesù, i fratellastri non esercitarono fede in lui. (Giov. 7:5) Ma al
tempo della Pentecoste dell’anno 33 E.V., questo era cambiato. Dopo la sua risurrezione, Gesù ‘apparve
a Giacomo’, evidentemente il fratellastro. Questo contribuì senz’altro a fortificare la convinzione non solo
di Giacomo, ma anche degli altri fratellastri di Gesù, che Gesù era il Messia. In seguito gli altri fratellastri
di Gesù si riunirono con gli undici fedeli apostoli e altri in una stanza superiore in Gerusalemme e furono
evidentemente fra quelli che ricevettero lo spirito santo. — 1 Cor. 15:7; Atti 1:14-26; 2:1-4.
Il Giacomo che prestò servizio come anziano nella congregazione di Gerusalemme e che evidentemente
scrisse l’ispirata “Lettera di Giacomo” fu ovviamente il fratellastro di Gesù. (Atti 12:17; Giac. 1:1) Il Giuda
che scrisse una lettera che divenne parte del canone biblico fu probabilmente il fratello di Giacomo. Né
l’uno né l’altro di questi scrittori approfittò della propria parentela carnale con Gesù ma riconobbe
umilmente d’essere “schiavo di Gesù Cristo”. — Giac. 1:1; Giuda 1.
ALTRI PARENTI
La madre terrena di Gesù era imparentata con Elisabetta che era della tribù di Levi e della linea
sacerdotale di Aaronne. Questa Elisabetta e suo marito, il sacerdote Zaccaria, furono i genitori timorati di
Dio di Giovanni Battista, il precursore di Gesù Cristo. (Luca 1:36-40) Secondo la tradizione, la madre di
Maria e la madre di Elisabetta erano sorelle carnali della tribù di Levi. Questo vorrebbe dire che Maria ed
Elisabetta erano cugine e Giovanni Battista e Gesù erano secondi cugini. La Bibbia, comunque, non
rivela la parentela esistente fra Maria ed Elisabetta.
Salome, moglie di Zebedeo e madre di due apostoli di Gesù, Giacomo e Giovanni, poté essere sorella di
Maria. Questa veduta tradizionale trova un certo sostegno nelle Scritture (benché non definitivo).
Giovanni 19:25 dice: “Presso il palo di tortura di Gesù stavano . . . sua madre e la sorella di sua madre;
Maria la moglie di Cleopa [Alfeo] e Maria Maddalena”. In Matteo 27:56 e in Marco 15:40, è menzionata
Salome o la madre dei figli di Zebedeo in relazione allo stesso episodio. Per cui, se si fa riferimento alle
stesse donne di Giovanni 19:25, Salome sarebbe la sorella di Maria. Questo significherebbe che
Giacomo e Giovanni, fedeli apostoli di Gesù, erano suoi cugini.
La tradizione afferma che Gesù era imparentato con un’altra famiglia ancora. Il marito dell’“altra Maria”,
Cleopa o Alfeo, menzionato in Giovanni 19:25, si suppone fosse il fratello di Giuseppe. Per cui un altro
apostolo, Giacomo figlio di Alfeo, sarebbe cugino di Gesù. — Matt. 10:3; 27:56, 61; Atti 1:13.
Che la tradizione sia corretta o no, tra quelli che le Scritture identificano in maniera determinata come
parenti di Gesù ci furono uomini e donne di eccezionale fede e devozione. Il loro principale obiettivo non
fu di glorificare se stessi ma di onorare Dio. Il loro atteggiamento fu simile a quello di Maria, allorché disse
a Elisabetta: “La mia anima magnifica Geova, e il mio spirito non può fare a meno di esultare in Dio mio
Salvatore; perché egli ha guardato la bassa posizione della sua schiava. Poiché, ecco, da ora in poi ogni
generazione mi dichiarerà felice; perché il Potente ha fatto per me opere grandi e santo è il suo nome; e
di generazione in generazione la sua misericordia è su quelli che lo temono. Egli ha operato
potentemente col suo braccio, ha disperso quelli che sono superbi nell’intenzione dei loro cuori. Ha
deposto uomini potenti dai troni e ha esaltato i modesti; ha pienamente saziato gli affamati di buone cose
e ha mandato via a vuoto quelli che avevano ricchezza. È venuto in aiuto d’Israele suo servitore, per
ricordare la misericordia, come disse ai nostri antenati, ad Abraamo e al suo seme, in eterno”. — Luca
1:46-55.
La scelta che Dio fece della famiglia in cui nacque suo Figlio rivela davvero che ai suoi occhi
l’apprezzamento di cuore per le cose sacre ha vero valore. Coltivate tale apprezzamento di cuore?
[Nota in calce]
Come mostra Matteo 1:16, Giuseppe era figlio di Giacobbe; evidentemente, perciò, quando in Luca 3:23
è chiamato figlio di Eli vuol dire genero di Eli.
[Diagramma a pagina 573]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

w95 15/12 16-17 Gioiosi "operatori della parola"


Gioiosi “operatori della parola”
“Accettate con mitezza che sia piantata in voi la parola che può salvare le vostre anime. Comunque,
divenite operatori della parola, e non solo uditori”. — GIACOMO 1:21, 22.
“DIVENITE OPERATORI DELLA PAROLA”. Questa semplice dichiarazione contiene un messaggio
vigoroso. È presa dalla “Lettera di Giacomo”, un libro biblico, e sarà esposta nelle Sale del Regno dei
Testimoni di Geova come scrittura dell’anno 1996.
2 Giacomo, fratellastro del Signore Gesù, ricopriva un ruolo importante nella primitiva congregazione
cristiana. In un’occasione il Signore Gesù, dopo essere stato risuscitato, apparve personalmente a
Giacomo, e poi a tutti gli apostoli. (1 Corinti 15:7) In seguito, quando l’apostolo Pietro fu miracolosamente
liberato di prigione, disse a un gruppo di cristiani radunati: “Riferite queste cose a Giacomo e ai fratelli”.
(Atti 12:17) Sembra che Giacomo, pur non essendo un apostolo, presiedesse l’adunanza del corpo
direttivo a Gerusalemme in cui gli apostoli e gli anziani decisero che i convertiti gentili non erano tenuti a
circoncidersi. Giacomo ricapitolò la questione, e la decisione, confermata dallo spirito santo, fu trasmessa
a tutte le congregazioni. — Atti 15:1-29.
3 È ovvio che il maturo pensiero di Giacomo aveva un peso notevole. Tuttavia egli riconobbe umilmente
di non essere che uno “schiavo di Dio e del Signore Gesù Cristo”. (Giacomo 1:1) La sua lettera ispirata
contiene moltissimi consigli saggi ed è incoraggiante per i cristiani odierni. Fu completata circa quattro
anni prima che i romani al comando del generale Cestio Gallo lanciassero il primo attacco contro
Gerusalemme, dopo che la buona notizia era stata estesamente predicata “in tutta la creazione che è
sotto il cielo”. (Colossesi 1:23) Erano tempi difficili, e i servitori di Geova erano ben consapevoli che il Suo
giudizio sulla nazione giudaica stava per essere eseguito.
4 Quei cristiani avevano già tutte le Scritture Ebraiche e gran parte di quelle Greche. Come indicano i loro
numerosi riferimenti agli scritti precedenti, gli scrittori biblici cristiani avevano grande fiducia nella Parola
di Dio. Similmente oggi dobbiamo studiare seriamente la Parola di Dio e metterla in pratica nella nostra
vita. Per perseverare abbiamo bisogno della forza spirituale e del coraggio che le Sacre Scritture
provvedono. — Salmo 119:97; 1 Timoteo 4:13.
Gioab (n. 2) — Tema: La vendetta appartiene a Geova ROMANI 12:19-21

it-1 1107-9 Gioab


GIOAB
(Giòab) [Geova è padre].
2. Secondo dei tre figli di Zeruia sorella o sorellastra di Davide (forse figlia della madre di Davide da un
precedente matrimonio con Naas; 2Sa 17:25). Gioab era dunque nipote di Davide. Abisai e Asael erano
suoi fratelli. (2Sa 8:16; 1Cr 2:13-16) Nell’identificare questi tre uomini viene menzionato il nome della
madre anziché quello del padre, perché lei era sorella di Davide; così è spiegata la loro parentela con
Davide.
Caratteristiche. Gioab era un abile comandante, un uomo deciso e pieno di risorse, un capace
organizzatore. Ma era anche un ambizioso opportunista, un uomo vendicativo, astuto e a volte senza
scrupoli.
Gioab era a capo degli uomini di Davide quando Is-Boset figlio di Saul regnava su tutto Israele ad
eccezione della tribù di Giuda, fedele a Davide. (2Sa 2:10) I servitori di Is-Boset e quelli di Davide si
schierarono gli uni contro gli altri presso la Piscina di Gabaon; gli uomini di Is-Boset erano comandati da
Abner, zio di Saul, responsabile dell’intronizzazione di Is-Boset. Mentre gli uomini sedevano gli uni di
fronte agli altri, Abner suggerì un combattimento fra 12 uomini per ciascuna delle due parti. Ognuno
afferrò il proprio avversario per la testa, e lo trapassò con la spada, così che caddero morti tutti insieme.
(2Sa 2:12-16) Poiché lo scontro non risolse la questione, seguì una battaglia vera e propria. Alla fine
risultò che l’esercito di Is-Boset aveva perso 360 uomini, quello di Davide solo 20. — 2Sa 2:30, 31.
Durante il combattimento, mentre Abner fuggiva, il veloce Asael fratello di Gioab si mise a inseguirlo.
Nonostante le rimostranze e le minacce di Abner, Asael persisté finché alla fine Abner lo trafisse con un
colpo all’indietro sferrato con il calcio della lancia. (2Sa 2:18-23) Raggiunto il colle di Amma, Abner e i
suoi uomini si radunarono sulla cima, e da lì Abner chiese che il combattimento fosse sospeso onde
evitare amarezza e spargimento di sangue a non finire. Gioab in questo caso manifestò saggezza dando
ascolto all’appello e tornando da Davide a Ebron. — 2Sa 2:24-28, 32.
Si vendica uccidendo Abner. Gioab però continuò a covare rancore attendendo l’occasione di
vendicarsi. Nel frattempo combatteva un’interminabile guerra con la casa di Saul, in costante declino di
fronte al sempre più forte Davide. Alla fine Abner si offese con Is-Boset per una questione personale e
fece un patto con Davide, promettendo di portare tutto Israele dalla sua parte. (2Sa 3:6-21) Gioab era
molto contrario a questo accordo e accusò Abner di essere una spia. Ma fingendosi suo amico, lo uccise
a tradimento per vendicare suo fratello Asael. Allo stesso tempo pensò forse di aver eliminato un
possibile rivale al posto di comandante dell’esercito di Davide. — 2Sa 3:22-27.
Venuto a sapere dell’assassinio, Davide negò davanti a tutto Israele che la sua casa ne avesse alcuna
colpa: “Ricada sulla testa di Gioab e sull’intera casa di suo padre, e non sia stroncato dalla casa di Gioab
uomo con lo scolo o lebbroso [cioè malato] o uomo che afferri il fuso che gira [forse, storpio] o uno che
cada di spada o uno che abbia bisogno di pane!” Però al momento non fece nulla contro Gioab e Abisai,
complice di Gioab nell’assassinio, perché, come ebbe a dire: “Io oggi sono debole benché unto re, e
questi uomini, i figli di Zeruia, sono troppo severi per me. Geova ripaghi l’operatore di ciò che è male
secondo la sua propria malizia”. — 2Sa 3:28-30, 35-39.
Comandante degli eserciti di Israele. Dopo essere stato unto re di tutto Israele Davide salì contro
Gerusalemme (Gebus). I gebusei schernivano Davide, pensando che la loro posizione fosse
inattaccabile. Ma Davide, resosi conto che si poteva penetrare nella città attraverso il tunnel per l’acqua,
offrì la posizione di “capo e principe” a chiunque si fosse arrampicato su per questo tunnel e per primo
avesse colpito i gebusei. Gioab vi riuscì e dopo che la città si arrese a Davide ebbe come ricompensa
l’alta posizione di comandante di tutto l’esercito di Israele. (2Sa 5:6-8; 8:16; 20:23; 1Cr 11:4-8) In qualità
di comandante Gioab aveva dieci attendenti che gli portavano le armi, fra cui il potente Naharai il berotita.
— 2Sa 18:15; 1Cr 11:39.
Dopo la conquista di Edom da parte di Davide, Gioab vi rimase per sei mesi con l’intenzione di sterminare
ogni maschio. (2Sa 8:13, 14; 1Re 11:14-17) In seguito Gioab manifestò la sua abilità di stratega nella
guerra contro gli ammoniti e i siri, affidando al fratello Abisai il comando di una divisione per respingere
un attacco a tenaglia delle forze nemiche. (2Sa 10:8-14; 1Cr 19:6-16) Senza dubbio ebbe una parte
importante in altre battaglie combattute da Davide contro i filistei, i moabiti e altri.
Sostiene il regno di Davide. Nell’assedio di Rabba di Ammon, Gioab sembrò dar prova di lealtà a
Davide, l’unto re di Geova. Prese “la città delle acque”, probabilmente la parte della città dove si
trovavano le riserve idriche o il forte che le proteggeva. Conquistata la parte nevralgica della città, la
capitale non poteva resistere a lungo e la resa era inevitabile. Invece di portare a termine con successo
l’assedio della città, Gioab (per riguardo al re, per il bene di Israele, o per il proprio vantaggio) sembrò
mostrare il giusto rispetto per il suo sovrano terreno. Disse che preferiva fosse l’unto re di Geova a
completare la conquista della capitale nemica e a meritare la fama per quell’impresa, anche se lui, Gioab,
aveva svolto l’indispensabile lavoro preliminare. — 2Sa 12:26-31; 1Cr 20:1-3.
Collabora nel provocare la morte di Uria. Fu durante l’assedio di Rabba che Davide mandò una lettera
a Gioab per mano di Uria dicendogli di mandare quest’ultimo nel vivo della battaglia affinché rimanesse
ucciso. Gioab assecondò pienamente la cosa, ma nel fare rapporto al re sull’esito della battaglia si servì
abilmente di questo fatto per impedire che Davide gli rimproverasse di aver perso in combattimento
uomini valorosi mandandoli troppo vicino alle mura della città. Nel suo rapporto Gioab disse: “Alcuni dei
servitori del re morirono; e morì anche il tuo servitore Uria l’ittita”. Come Gioab aveva calcolato, la
risposta di Davide non ebbe un tono di disapprovazione, ma piuttosto di incoraggiamento per Gioab. —
2Sa 11:14-25; vedi DAVIDE.
Aiuta Absalom, poi lo osteggia. Dopo che Absalom era stato tre anni al bando per avere ucciso il
fratellastro Amnon, Gioab mandò da Davide una donna di Tecoa, suggerendole cosa dire per chiedere il
ritorno di Absalom. La richiesta fu accolta e Gioab riportò Absalom a Gerusalemme, ma Davide si rifiutò
di vederlo. Due anni dopo Absalom chiese ripetutamente a Gioab di venire da lui per poi presentarsi al re
in suo favore, cosa che però Gioab non fece. Alla fine Absalom ricorse allo stratagemma di appiccare il
fuoco al campo di orzo di Gioab, provocandone l’immediata e adirata risposta. Absalom poté quindi
spiegare la sua azione, e persuase Gioab a chiedere al re di riceverlo. — 2Sa 13:38; 14:1-33.
Anche se sostenne la causa di Absalom favorendone il ritorno, quando questi si ribellò Gioab si schierò
dalla parte di Davide. Davide diede a Gioab il comando di un terzo dei suoi uomini, con ordini precisi di
trattare bene Absalom. Tuttavia durante il combattimento Gioab disubbidì all’ordine di Davide, nonostante
i consigli di un commilitone, e uccise Absalom. (2Sa 18:1-17) In questo, come in altri casi, egli mise il
proprio giudizio al di sopra degli ordini teocratici impartiti per mezzo dell’unto re di Dio. Comunque in
seguito ebbe il coraggio di parlare in modo chiaro e schietto a Davide che, facendo lutto per Absalom,
metteva in pericolo l’unità del regno. — 2Sa 19:1-8.
Rimosso come comandante, poi reintegrato. Evidentemente per il fatto che Gioab aveva disubbidito
uccidendo Absalom, Davide gli tolse il comando dell’esercito e lo diede ad Amasa. (2Sa 19:13) Questi
però non si dimostrò all’altezza di Gioab come comandante. Quando Davide gli ordinò di radunare gli
uomini di Giuda per combattere il ribelle Seba figlio di Bicri, Amasa radunò Giuda, ma arrivò in ritardo
anziché al tempo fissato da Davide. Poiché la cosa era urgente, Davide incaricò Abisai di inseguire Seba
“affinché realmente non si trovi città fortificate e scampi davanti ai nostri occhi”. Nel combattimento che
seguì sembra che Gioab abbia preso la direttiva come quando era comandante dell’esercito. Nel
conseguente assedio di Abel di Bet-Maaca, gli abitanti della città per ordine di Gioab gettarono dalle mura
la testa di Seba, e Gioab risparmiò la città, ritirandosi e facendo ritorno a Gerusalemme. — 2Sa 20:1-7,
14-22.
Assassina Amasa. Durante l’inseguimento di Seba, Gioab commise un grave crimine. Quando Amasa
(che era suo cugino; 2Sa 17:25; 1Cr 2:16, 17) gli venne incontro presso Gabaon, Gioab fece cadere la
spada dal fodero. Raccogliendola, l’afferrò opportunamente con la sinistra mentre prese Amasa per la
barba con la destra, come per baciarlo. Poiché Amasa non sospettava nulla, Gioab lo uccise con un solo
fendente. È vero che Gioab poteva nutrire qualche sospetto su Amasa che aveva capeggiato l’esercito
ribelle di Absalom; ma ad ogni buon conto Gioab, da opportunista, approfittò di un tempo di emergenza e
di lotte per fare carriera assassinando il rivale. Davide forse rimandò un’azione contro Gioab a motivo
dell’amicizia di Amasa con Absalom e per il fatto che Gioab solo di recente aveva combattuto le forze
ribelli di Absalom comandate da Amasa. Secondo i propri ambiziosi desideri Gioab era di nuovo
comandante dell’esercito. — 2Sa 20:8-13, 23.
Perché Davide non condannò a morte Gioab quando assassinò Abner, e perché lo nominò di nuovo
comandante dopo che ebbe assassinato anche Amasa, il quale era stato fatto comandante al suo posto?
La Bibbia non lo dice. Se fu per debolezza nell’applicare la legge di Dio, ciò poté essere dovuto alla forza
e all’influenza di Gioab e della sua famiglia nell’esercito. Oppure poté dipendere da altre circostanze che
la Bibbia non menziona. Ad ogni modo si deve ricordare che Davide, pur non condannando a morte
Gioab per qualche ragione, giusta o no, non lo perdonò, ma incaricò il proprio figlio e successore
Salomone di ripagare Gioab per la sua malvagità.
Non completa il censimento. In un’altra occasione Davide fu istigato da Satana a fare illegalmente il
censimento della popolazione. Gioab protestò inutilmente con lui. Tuttavia non portò a termine il
censimento, tralasciando le tribù di Levi e Beniamino “perché la parola del re [gli] era stata detestabile”.
— 1Cr 21:1-6; 2Sa 24:1-9; vedi REGISTRAZIONE.
Appoggia la cospirazione di Adonia. Nonostante il servizio prestato precedentemente sotto Davide,
quando questi diventò vecchio e malato Gioab lo abbandonò e si unì alla cospirazione di suo figlio
Adonia. (1Re 1:18, 19) Forse lo fece pensando che, se Adonia fosse diventato re, avrebbe avuto lui le
redini del governo, oppure si sentiva più sicuro con Adonia che con Salomone. Quando però seppe che
Salomone era stato fatto re da Davide, abbandonò Adonia. (1Re 1:49) In seguito, quando Adonia venne
ucciso, Gioab fuggì nella tenda di Geova e afferrò i corni dell’altare. (1Re 2:28) Questo non servì a
proteggerlo perché si era macchiato di omicidio volontario; perciò Salomone mandò Benaia a ucciderlo.
Così Salomone seguì il consiglio che Davide gli aveva dato prima di morire, cioè di non lasciare scendere
in pace nello Sceol i capelli grigi di Gioab, dato che era colpevole di spargimento di sangue per l’omicidio
di Abner e di Amasa, “due uomini più giusti e migliori di lui”. Gioab fu sepolto nella sua stessa casa nel
deserto. Dopo di che Benaia venne nominato comandante dell’esercito. — 1Re 2:5, 6, 29-35; 11:21.
Gli ultimi versetti (Sl 60:8-12) del 60° salmo, un salmo di Davide, ricordano la vittoria di Gioab sugli
edomiti. — Vedi la soprascritta del salmo Sl 60:0.

w93 1/12 19 Esempi di umiltà da imitare


19 Anche il quarto presidente della Società, Fred W. Franz, fu un ottimo esempio di umiltà. Nei circa 32
anni in cui fu vicepresidente della Società, scrisse gran parte del materiale per le riviste e per il
programma delle assemblee di distretto; eppure sotto questo aspetto preferì rimanere sempre nell’ombra
e non cercò mai di essere al centro dell’attenzione. Troviamo un esempio simile nell’antichità. Quando
sconfisse gli ammoniti a Rabba, Gioab fece in modo che il merito della vittoria andasse al re Davide. — 2
Samuele 12:26-28.
20 Ci sono davvero molti ottimi esempi, passati e attuali, che ci forniscono valide ragioni per essere umili.
Ma ci sono molte altre ragioni per essere umili, e queste, insieme a varie cose che ci aiutano ad avere
umiltà, saranno prese in esame nel prossimo articolo.

w94 15/9 6-7 Perché perdonare?


Sia che il perdono sia possibile o no, la vittima di un grave peccato può anche chiedersi: Devo rimanere
gravemente turbato sul piano emotivo, sentendomi intensamente addolorato e adirato, finché la
questione non sarà completamente risolta? Facciamo un esempio. Il re Davide provò profondo dolore
quando il suo generale, Gioab, assassinò Abner e Amasa, “due uomini più giusti e migliori di [Gioab]”. (1
Re 2:32) Davide espresse la sua indignazione verbalmente e senza dubbio anche in preghiera a Geova.
Col tempo, però, l’intensità dei sentimenti di Davide probabilmente si attenuò. Egli non rimase in preda
all’ira sino alla fine dei suoi giorni. Continuò addirittura a collaborare con Gioab, sebbene non avesse
perdonato quell’omicida impenitente. Davide fece in modo che infine fosse fatta giustizia. — 2 Samuele
3:28-39; 1 Re 2:5, 6.
Possono volerci tempo e sforzi perché chi è stato vittima di un grave peccato superi lo stato d’ira iniziale.
Il processo di guarigione può essere molto più facile se l’offensore riconosce il torto e si pente.
Comunque, indipendentemente dalla reazione del colpevole, la vittima innocente dovrebbe poter trovare
conforto e sollievo sia nella consapevolezza della giustizia e della sapienza di Geova che entro la
congregazione cristiana.
Ricordate pure che perdonare un peccatore non significa condonare il peccato. Per il cristiano, perdonare
significa lasciare con fiducia la cosa nelle mani di Geova. È lui il giusto Giudice di tutto l’universo e a
tempo debito farà giustizia. Tra l’altro giudicherà “i fornicatori e gli adulteri”. — Ebrei 13:4.

w90 15/8 13 Lealtà: a che prezzo?


15 Ma ci sono anche altri pericoli; l’ambizione può minare la lealtà. Fu questo il motivo che spinse
Absalom a ribellarsi contro suo padre, il re Davide. In maniera subdola, Absalom cercò di ingraziarsi il
popolo. Alla fine raccolse un esercito per combattere i leali sostenitori di suo padre. La slealtà nei
confronti del padre, Davide, costò la vita ad Absalom, ed egli fu ucciso da Gioab. Che caro prezzo per
aver cercato di sovvertire la disposizione teocratica! — 2 Samuele 15:1-12; 18:6-17.

w78 1/12 12 Il libro di Primo Re: Documento di gloria e disonore


Poco prima di morire, Davide consiglia a Salomone di rimanere fedele a Geova Dio e di agire contro
Gioab e Simei. Dopo la morte di Davide, Adonia, probabilmente istigato da Gioab e Abiatar, prega
Betsabea di chiedere a suo figlio Salomone di dargli in moglie la bella Abisag. Salomone interpreta la
cosa come un tentativo di usurpare il trono e, perciò, comanda di mettere a morte Adonia e Gioab.
Tenendo conto del fatto che il sacerdote Abiatar aveva sofferto insieme a suo padre Davide, Salomone
non lo fa giustiziare ma lo priva della carica sacerdotale. In seguito, quando Simei trasgredisce le
restrizioni imposte sulla sua attività, viene giustiziato. Liberando così il reame dalla pericolosa influenza di
Adonia, Gioab, Abiatar e Simei, Salomone rende stabile il suo regno.

w77 15/3 164-6 Eviterete l'ambizione?


I CATTIVI FRUTTI DELL’AMBIZIONE
Il caso di Gioab, capo dell’antico esercito israelita, illustra a quali estremi può portare l’ambizione.
Segretamente Gioab assassinò sia Abner che Amasa. Questo avvenne a causa di rivalità per la
posizione di comandante dell’esercito del re Davide. (2 Sam. 3:26, 27; 20:8-10, 23) Quando il re fu
vecchio e malato, Gioab si unì ad Adonia figlio di Davide in una cospirazione per usurpare il trono. (1 Re
1:18, 19) Fallita la cospirazione e fatto re Salomone, Gioab abbandonò Adonia. Ma tali ambiziosi
complotti non servirono a nulla, poiché Gioab subì una morte ingloriosa essendo giustiziato all’inizio del
regno di Salomone. — 1 Re 2:5, 6, 29-34.
Probabilmente avete visto molte persone ambiziose ottenere potenti cariche amministrative. Fanno
realmente del bene al prossimo? Forse siete d’accordo con le osservazioni di un ispirato scrittore della
Bibbia: “Esiste qualche cosa di calamitoso che ho visto sotto il sole, come quando esce uno sbaglio a
motivo di chi è al potere: La stoltezza è stata messa in molte alte posizioni, ma i ricchi stessi [cioè quelli
che si potrebbe pensare abbiano la prospettiva di ricoprire incarichi di sorveglianza] continuano a
dimorare semplicemente in una bassa condizione. Ho visto servitori a cavallo ma principi camminare
sulla terra proprio come servitori”. — Eccl. 10:5-7.
I frutti marci prodotti dalla cattiva amministrazione degli affari umani da parte di individui ambiziosi sono
ben descritti in Ecclesiaste 4:1: “E io stesso tornai per vedere tutti gli atti d’oppressione che si compiono
sotto il sole, ed ecco, le lagrime di quelli che erano oppressi, ma non avevano confortatore, e al lato dei
loro oppressori c’era la potenza, così che non avevano confortatore”. Non è questa una situazione anche
più evidente oggi?
LA VEDUTA CORRETTA
Che ne pensate del fatto di acquistare preminenza, superiorità o autorità? La Bibbia può aiutarvi ad avere
un punto di vista ragionevole. In che modo?
Anzitutto, le Scritture mostrano che gli sforzi ambiziosi di farsi avanti sono una semplice perdita di tempo.
Lo scrittore ispirato citato sopra osservò: “E io stesso ho visto tutto il duro lavoro e tutta l’abilità nell’opera,
che significa rivalità dell’uno verso l’altro; anche questo è vanità e un correr dietro al vento”. (Eccl. 4:4)
Non è saggio evitare tale condotta vana? Probabilmente avrete notato che le persone troppo energiche
vanno specialmente soggette a malattie causate dalla tensione, come gli attacchi cardiaci. Davvero
saggio è il consiglio delle Scritture: “È meglio una mano piena di riposo che due mani piene di duro lavoro
e correr dietro al vento”. — Eccl. 4:6.
Anche lo sfrenato desiderio di onore o di preminenza è rischioso per la spiritualità, poiché Dio dichiara:
“Ho odiato la superbia e l’orgoglio”. (Prov. 8:13) L’ambizione nuoce non solo a chi ne è schiavo, ma
anche a chi si associa a lui. Quindi lo scrittore biblico Giacomo consigliò ai cristiani del primo secolo: “Se
avete nei vostri cuori amara gelosia e contenzione, non vi vantate e non mentite contro la verità. Questa
non è la sapienza che scende dall’alto, ma è terrena, animale, demonica. Poiché dove sono gelosia e
contenzione, ivi sono disordine e ogni cosa vile”. — Giac. 3:14-16.
Che l’ambizione possa causare “disordine” è indicato dal fatto che gli apostoli di Gesù “cominciarono a
indignarsi verso Giacomo e Giovanni” quando quei due cercarono i posti più preminenti al fianco di Gesù
nel regno celeste di Dio. (Mar. 10:41) In seguito, uomini ambiziosi causarono divisioni nella
congregazione cristiana. Infine ciò portò a una generale apostasia dalla vera fede cristiana. (Atti 20:29,
30; 2 Piet. 2:1-3) Desiderate avere uno spirito che ha causato tanto danno?
LE RADICI DELL’AMBIZIONE
Perché tanti sono vittime dell’ambizione? Essendo uno sfrenato desiderio di onori e grandezza,
l’ambizione è una forma di concupiscenza. Gesù disse: “Dal di dentro, dal cuore degli uomini, vengono i
ragionamenti dannosi: . . . concupiscenze, . . . occhio invidioso, . . . superbia”. (Mar. 7:21, 22) L’apostolo
Paolo fa ulteriore luce sulla fonte del problema, dicendo: “Io sono carnale, venduto sotto il peccato . . .
vedo nelle mie membra un’altra legge che combatte contro la legge della mia mente e mi conduce
prigioniero alla legge del peccato che è nelle mie membra”. — Rom. 7:14, 23.
La causa basilare dell’ambizione è il peccato ereditato, che porta a vedere le cose in modo egoistico,
rendendo la persona altera. — Rom. 3:23; 5:12.
INCORAGGIATE L’AMBIZIONE NEGLI ALTRI?
Forse la vostra vita non è dominata dall’ambizione. Ma potreste incoraggiarla in altri. Come potrebbe
accadere?
Considerate il racconto biblico inerente ad Adamo ed Eva. Eva conosceva il comando di Dio di non
mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Evidentemente non si sentiva
limitata da questa proibizione divina. Quando il serpente la interrogò, Eva non si lamentò della sua sorte,
ma rispose semplicemente ripetendo il comando di Dio: “Del frutto degli alberi del giardino possiamo
mangiare. Ma in quanto a mangiare del frutto dell’albero che è nel mezzo del giardino, Dio ha detto: ‘Non
ne dovete mangiare, no, non lo dovete toccare affinché non moriate’”. — Gen. 3:2, 3.
A questo punto Satana il Diavolo, per mezzo del serpente, piantò con astuzia i semi dell’ambizione nella
mente di Eva, quando disse: “Positivamente voi non morrete. Poiché Dio sa che nel medesimo giorno in
cui ne mangerete i vostri occhi davvero si apriranno e voi sarete davvero simili a Dio, conoscendo il bene
e il male”. — Gen. 3:4, 5.
L’essere ‘simile a Dio’, in grado di decidere da sé ciò ch’era bene e ciò ch’era male anziché accettare il
giudizio di Dio su tali cose, questo attrasse Eva. A che cosa portò l’ambizione di Eva di ottenere la
completa indipendenza da Dio? “Di conseguenza la donna vide che il frutto dell’albero era buono come
cibo e che era qualche cosa che metteva voglia agli occhi, sì, l’albero era desiderabile a guardarsi. Ella
prendeva dunque del suo frutto e lo mangiava. Ne diede poi anche a suo marito quando fu con lei ed egli
lo mangiava”. (Gen. 3:6) In questo caso l’ambizione egoistica rese Adamo ed Eva e tutta la loro futura
progenie soggetti alla morte. — Gen. 3:19; Rom. 5:12.
Che dire di voi? Forse non esortereste direttamente nessuno ad andare contro la legge di Dio. Tuttavia
potreste incoraggiare l’ambizione in altri. È comprensibile che si abbia molta stima di familiari, parenti e
intimi amici. Ma chi desidera piacere a Dio deve stare attento a non dare troppa importanza alle capacità
dei propri cari. Alcuni potrebbero in tal modo essere spinti ad avere un’elevata opinione di sé, ciò che, a
sua volta, genera ambizione.
Per esempio, che accadrebbe se qualcuno spingesse un coniuge, un familiare o un amico a pensare che
è specialmente qualificato per ricoprire la carica di sorvegliante nella congregazione cristiana? Che
tragedia se la persona divenisse superba ed esigesse che gli altri accettassero l’opinione che essa ha di
sé e delle proprie qualità! Con buona ragione le Scritture avvertono: “L’uomo robusto che adula il suo
compagno non tende altro che una rete per i suoi passi”. (Prov. 29:5) Tale adulazione, anziché agevolare
il cristiano, lo ostacolerebbe nei suoi sforzi di ‘aspirare all’incarico di sorvegliante’. (1 Tim. 3:1) Le
Scritture richiedono che i sorveglianti della congregazione cristiana siano ‘sani di mente’; questo vuol dire
che non devono “pensare di sé più di quanto sia necessario pensare”. — 1 Tim. 3:2; Rom. 12:3.
CHE COSA POTETE FARE?
Poiché gli uomini hanno ereditato il peccato, è inevitabile divenire schiavi dell’ambizione? Evidentemente
no, poiché le Scritture esortano le persone timorate di Dio a resistere alle tendenze peccaminose. (Rom.
6:12) Sebbene ci voglia padronanza di sé, non è impossibile evitare l’ambizione. Sarà specialmente utile
imparare a pensare nel modo suggerito in Filippesi 2:3, 4: “Non fate nulla per spirito di rivalità o per
vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il
proprio interesse, ma anche quello degli altri”. — La Bibbia di Gerusalemme.
Perciò l’ambizione è del tutto antiscritturale. Essa è profondamente radicata nell’egoismo umano e
nell’arrogante spirito di questo mondo. Anziché a esaltarsi ambiziosamente, l’individuo è esortato dalla
Bibbia a servire umilmente altri. Con questo spirito gli uomini cristiani sono incoraggiati ad ‘aspirare
all’incarico di sorvegliante’. — 1 Tim. 3:1; 1 Piet. 5:1-3.
Uno dei numerosi vantaggi che si hanno seguendo questo consiglio scritturale è quello menzionato in
Ecclesiaste 5:12: “Dolce è il riposo di chi serve, mangi egli poco o molto”. Tale persona altruista è amata
e apprezzata da coloro che frequenta, invece di essere oggetto del loro risentimento. Soprattutto, “chi
serve” ottiene il favore di Geova Dio. Non sono queste valide ragioni per evitare l’ambizione?

w71 1/4 222-3 Domande dai lettori (3)


⌠ Perché fu un peccato che il re Davide facesse un censimento, com’è narrato in II Samuele
capitolo 24? — M. C., U.S.A.
Dobbiamo dire francamente che non lo sappiamo con certezza, poiché la Bibbia non ci dice precisamente
in che cosa questo fosse un peccato. Tuttavia, dandoci un’idea di questo episodio essa rende chiaro che
Geova non fu in nessun modo ingiusto o crudele nel modo in cui lo considerò.
Il racconto dice: “L’ira di Geova si accese di nuovo contro Israele, quando uno incitò Davide contro di
loro, dicendo: ‘Va, fa il conto di Israele e di Giuda’. Il re disse dunque a Gioab capo delle forze militari che
era con lui: ‘. . . registrate il popolo, e per certo conoscerò il numero del popolo’. Ma Gioab disse al re:
‘Geova tuo Dio aggiunga al popolo perfino cento volte quanti sono mentre i medesimi occhi del mio
signore il re lo vedono. Ma in quanto al mio signore il re, perché ha egli trovato diletto in questa cosa?’
Infine la parola del re prevalse su Gioab . . . E a Davide batteva il cuore dopo aver così contato il popolo.
Davide disse di conseguenza a Geova: ‘Ho peccato assai in ciò che ho fatto’”. — 2 Sam. 24:1-10.
Fare il censimento o registrare il popolo non era una cosa proibita in Israele. Non molto tempo dopo
l’esodo dall’Egitto, Dio disse a Mosè di fare “la somma dei figli d’Israele come loro censimento”. Furono
così elencati tutti i maschi idonei al servizio militare, e fu presa una tassa per il servizio del tabernacolo.
(Eso. 30:11-16; Num. 1:1-3) Un altro censimento fu fatto poco prima che Israele entrasse nella Terra
Promessa. — Num. 26:1-4.
Comprendendo ciò, i commentatori hanno addotto varie possibili ragioni per cui Geova considerò un
peccato il censimento fatto da Davide. Alcuni hanno pensato che Davide sbagliasse non riscuotendo la
tassa come Dio aveva detto che si doveva fare in tali occasioni. Altri hanno pensato che il re mostrasse
debolezza cercando di vedere quanto erano grandi le sue forze militari, invece di contare su Geova per la
vittoria indipendentemente dalla loro grandezza. Tuttavia altri dicono che forse Davide cedette all’orgoglio
umano, volendo essere in grado di vantarsi dell’importanza e della gloria di Israele.
Ma, come si è notato, non sappiamo proprio perché il censimento di Davide fu un peccato. Ciò che fece
fu decisamente sbagliato, poiché fu Satana a ‘levarsi contro Israele e incitare Davide a numerare Israele’.
(1 Cron. 21:1) Anche Gioab, che a volte mise le sue passioni e ambizioni prima di ciò che era giusto,
riconobbe che il censimento di Davide fu una cosa cattiva. Leggiamo: “La parola del re era stata
detestabile a Gioab”. (1 Cron. 21:6) Oggi siamo molto lontani dai fatti, ma se i contemporanei di Davide
seppero che questo atto era assolutamente sbagliato, dovette esserci una base per trarre tale
conclusione. Ricordate che anche Davide, quando ebbe finito, confessò: “Ho peccato assai in ciò che ho
fatto”. — 2 Sam. 24:10.
Come punizione per questo peccato Geova portò tre giorni di pestilenza che uccise 70.000 Israeliti. (2
Sam. 24:12-16) Fu questo ingiusto? Morirono 70.000 innocenti per l’errore del re? La Bibbia mostra
chiaramente che siamo tutti peccatori meritevoli di morte; solo per immeritata benignità di Dio viviamo.
(Rom. 3:23; 6:23; Lam. 3:22, 23) Quelli che morirono non avevano dunque nessuno speciale “diritto” alla
vita. Per di più, può alcun uomo dire oggi con certezza che quei 70.000 non furono colpevoli di qualche
grave peccato non menzionato nel racconto storico?
Solo soffermatevi e riflettete su come Geova ha trattato gli uomini nel passato. Attese egli semplicemente
che Caino avesse assassinato Abele per metterlo poi al bando? No, Dio avvertì Caino in anticipo della
cattiva attitudine che stava acquistando. (Gen. 4:2-16) Geova diede agli innocenti una via di scampo
prima di distruggere i malvagi a Sodoma. (Gen. 19:12-25) E trattando con Israele, Dio mandò
continuamente i suoi servitori i profeti per avvertire il popolo contro le loro cattive vie prima di infliggere la
punizione. — Ger. 7:25, 26.
Questi, e molti altri esempi che si potrebbero citare, mostrano quali eccellenti qualità ha Geova. Con
buona ragione gli Israeliti poterono descriverlo come “un Dio di atti di perdono, clemente e
misericordioso, lento all’ira e abbondante in amorevole benignità”. (Neem. 9:17) In tutte le sue azioni
Geova corrisponde e ciò che Mosè ed Eliu dissero di lui: “Tutte le sue vie sono dirittura. Un Dio di fedeltà,
presso cui non è ingiustizia”. “Dio stesso non agisce malvagiamente, e l’Onnipotente stesso non perverte
il giudizio”. — Deut. 32:4; Giob. 34:12.
Quindi anche se, in questa tarda data, non abbiamo tutti i particolari circa il peccato di Davide nel fare il
censimento, o la risultante pestilenza, abbiamo buona ragione di riconoscere che la condotta seguìta da
Dio dev’essere stata assolutamente giusta e retta, come lo sono state le sue altre attività riguardo alle
imperfette creature umane.

W55 P.109-111
W56 P.425
W65 P.434
Giobbe — Tema: L’incrollabile integrità reca il favore di Geova GIOBBE 27:5b

it-1 1109-11 Giobbe


GIOBBE
[oggetto di ostilità].
Uomo vissuto nel paese di Uz, in quella che oggi è l’Arabia. (Gb 1:1) Di Giobbe Dio disse: “Non c’è
nessuno come lui sulla terra, uomo irriprovevole e retto, che teme Dio e si ritrae dal male”. (Gb 1:8)
Questo indicherebbe che Giobbe dimorava in Uz più o meno all’epoca in cui i suoi lontani cugini, le dodici
tribù d’Israele, erano in schiavitù in Egitto. Ormai Giuseppe, il figlio di Giacobbe (Israele), era morto (1657
a.E.V.) dopo molte ingiuste sofferenze, ma irriprovevole agli occhi di Geova Dio. Mosè, il profeta di
Geova che avrebbe liberato le dodici tribù d’Israele dalla schiavitù egiziana, non era ancora comparso.
Nel periodo intercorso fra la morte di Giuseppe e il tempo in cui Mosè rivelò con la sua condotta di essere
irriprovevole e retto, nessun altro essere umano fu integro come Giobbe. Fu probabilmente in questo
periodo che ebbero luogo le conversazioni fra Geova e Satana a proposito di Giobbe. — Gb 1:6-12; 2:1-
7.
La narrazione delle esperienze di Giobbe è generalmente attribuita a Mosè. Egli poteva aver saputo di
Giobbe nei 40 anni trascorsi in Madian e dell’esito delle sue vicende e della sua morte quando Israele si
trovava nei pressi di Uz verso la fine del viaggio nel deserto. Se Mosè terminò il libro di Giobbe verso il
1473 a.E.V., all’epoca dell’entrata di Israele nella Terra Promessa (probabilmente non molto tempo dopo
la morte di Giobbe), la prova di Giobbe dovrebbe essere avvenuta verso il 1613 a.E.V., poiché Giobbe
visse altri 140 anni dopo quella prova. — Gb 42:16, 17.
Giobbe era parente di Abraamo, poiché erano entrambi discendenti di Sem. Pur non essendo israelita,
Giobbe era un adoratore di Geova. Era “il più grande di tutti gli orientali”, possedendo grandi ricchezze.
Aveva moglie, sette figli e tre figlie. (Gb 1:1-3) Era coscienzioso nell’assolvere funzioni sacerdotali per la
famiglia, offrendo sacrifici a Dio in loro favore. — Gb 1:4, 5.
Giobbe era una figura di rilievo alla porta della città, uno al quale persino gli anziani e i principi rendevano
onore. (Gb 29:5-11) Era un giudice imparziale, che faceva giustizia difendendo la causa della vedova ed
era come un padre per l’orfano, per l’afflitto e per chi non aveva soccorritore. (Gb 29:12-17) Non si
macchiò di immoralità, di avido materialismo o di idolatria, e fu generoso con i poveri e i bisognosi. — Gb
31:9-28.
L’integrità di Giobbe. L’integrità di Giobbe fu messa in dubbio da Satana. Allora Geova, certo della sua
integrità e sapendo di poter ristabilire e ricompensare Giobbe, permise a Satana di metterne alla prova
l’integrità fino al limite, ma non gli permise di ucciderlo. Sebbene Satana, con vari mezzi, lo privasse
prima del bestiame e dei servitori, poi dei figli (Gb 1:13-19), Giobbe non attribuì mai a Dio un’azione stolta
o sbagliata. E non si allontanò da Dio, neanche quando la moglie e altri fecero pressione su di lui. (Gb
1:20-22; 2:9, 10) Disse la verità riguardo a Dio. (Gb 42:8) Accettò la riprensione per essere stato troppo
ansioso di dichiararsi giusto e per aver trascurato di rivendicare Dio (Gb 32:2), e riconobbe i suoi peccati
verso Dio. — Gb 42:1-6.
Geova amava Giobbe. Per la sua fedeltà nella prova Dio lo costituì sacerdote per i tre compagni che
avevano conteso con lui e gli ridiede la condizione precedente. Giobbe ebbe di nuovo una bella famiglia
(evidentemente dalla stessa moglie) e una ricchezza doppia rispetto a prima. Tutti i parenti e gli amici di
un tempo tornarono a rendergli omaggio e a portargli doni. (Gb 42:7-15) Giobbe visse per vedere figli e
nipoti fino alla quarta generazione. — Gb 42:16.
Per mezzo del profeta Ezechiele, Dio additò Giobbe come esempio di giustizia. (Ez 14:14, 20) La sua
pazienza nel sopportare la sofferenza è di esempio per i cristiani, e il felice risultato che ebbe esalta
l’affetto e la misericordia di Geova. (Gc 5:11) La descrizione delle sue penose esperienze è di grande
conforto per i cristiani e li rafforza; molti princìpi biblici vengono messi in risalto e spiegati nel libro che
porta il suo nome.

w73 1/4 199-201 Il Dominio Divino ha inizio sul genere umano


CONDOTTA DI QUELLI CHE SONO CONTRO DI ESSO
8 Quelli che oggi sono contro il dominio divino, vale a dire il dominio di Dio sopra la terra, hanno una
grande compagnia. Probabilmente hanno una compagnia assai più grande di quanto non sappiano o non
si rendano conto. Forse hanno nella loro compagnia quelli che non desiderano ammettere che sono dalla
loro parte e con loro associati. Che cosa intendiamo dire? Siccome seguono una filosofia materialistica, si
rifiutano di convenire che ci sia qualche cosa di spirituale, fino al punto di negare che c’è un Dio, il quale
è Spirito. Almeno non prendono seriamente il pensiero di Dio, né l’esistenza di qualsiasi altra persona
spirituale dotata d’intelligenza. In realtà non hanno nessuna ragionevole base per assumere questa
opinione o attitudine mentale; tuttavia vi si attengono, rendendosi ciechi ai fatti evidenti. Comunque,
dovranno ammettere che questa ostilità verso il dominio divino ebbe un inizio. La storia prova che ebbe
inizio seimila anni fa. Non cominciò con l’uomo, ma l’uomo vi fu implicato.
9 Con chi ebbe dunque inizio l’ostilità verso il dominio divino? Non con una creatura subumana, come un
serpente, ma con una creatura sovrumana, una di quelle di cui Dio parlò al patriarca Giobbe dicendo che
erano “figli di Dio”. (Giob. 38:7) Giobbe ebbe una penosa esperienza con questo iniziatore di ostilità verso
il dominio divino. Giobbe fu informato che il nome di costui era Satana. Nella lingua di Giobbe il nome di
Satana era la stessa cosa che dire “Colui che oppone resistenza”. Ma “Colui che oppone resistenza” a
chi? A Dio, di sicuro! Giobbe era a favore del dominio divino. Satana diede prova che la sua resistenza
era contro Dio, tentando di distruggere Giobbe perché sosteneva il dominio divino. Satana non fu per
Giobbe una persona immaginaria come non fu una persona immaginaria per Dio stesso. Dopo che la
dura esperienza di Giobbe era stata superata, Dio rivelò a Giobbe chi era stato responsabile delle sue
sofferenze e delle sue prove. Era stato questo Satana. In un’adunanza dei “figli di Dio” in cielo era
comparso Satana. Lì chiese a Dio di togliere a Giobbe la sua protezione e di lasciargli mettere Giobbe
alla prova riguardo alla lealtà verso il dominio divino.
10 Satana asserì che, se gliene fosse stata concessa la libertà, avrebbe potuto indurre Giobbe a maledire
Dio nella sua medesima faccia. Questo avveniva nel remoto diciassettesimo secolo avanti la nostra Èra
Volgare. La prova della pazienza e della fedeltà di Giobbe fu narrata nel libro biblico di Giobbe perché noi
la leggiamo. Riuscì Satana a forzare Giobbe nel campo di quelli che oppongono resistenza a Dio e al
dominio divino? Più di sedici secoli dopo il cristiano discepolo Giacomo fratellastro di Gesù Cristo
riguardo a ciò scrive e dice: “Ecco, noi dichiariamo felici quelli che hanno perseverato. Voi avete udito
della perseveranza di Giobbe e avete visto il risultato che Geova diede, che Geova è molto tenero in
affetto e misericordioso”. — Giac. 5:11.
11 Nel caso di Giobbe, Geova Dio vinse contro Satana, poiché Satana risultò bugiardo. In che modo?
Mentre Satana recava prove su Giobbe, leggiamo: “In tutto questo Giobbe non peccò né ascrisse a Dio
alcuna cosa sconvenevole”. Quando lo stato di Giobbe sembrò disperato e sua moglie rinunciò a sperare
riguardo a lui, ella gli disse: “Mantieni ancora la tua integrità? Maledici Dio e muori!” Ma Giobbe le disse:
“Anche tu parli come parla una delle donne insensate. Accetteremo dal vero Dio semplicemente ciò che è
buono e non accetteremo anche ciò che è male?” Il racconto quindi dice: “In tutto questo Giobbe non
peccò con le sue labbra”. Infine, prima che Geova capovolgesse la situazione per Giobbe, ai tre ipocriti
critici di Giobbe disse: “La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due compagni, poiché voi non
avete pronunciato riguardo a me ciò che è verace come ha fatto il mio servitore Giobbe”. (Giob. 1:1-22;
2:9, 10; 42:7, 8) Questo risultò in effetti un rimprovero per Satana, che fu smascherato come un
calunniatore o Diavolo.
12 Così questa persona storica, Giobbe del paese di Uz, rimase fedele a Geova come Dio Onnipotente.
Giobbe fu a favore del dominio divino. Comunque, fu oltre duemilaquattrocento anni prima della prova di
Giobbe che Satana il Diavolo suscitò la contesa in quanto al dominio divino. Questo avvenne poco dopo
che il Creatore, Geova Dio, aveva piantato il Giardino di Eden alcune centinaia di chilometri a nord-est
della località del paese di Uz. In quel Paradiso di Delizie, Geova aveva posto il primo uomo e la prima
donna perché vi dimorassero e vi rendessero servizio in sottomissione al dominio divino. Era allora verso
il principio del settimo giorno creativo di Geova, verso il 4026 a.E.V., o quasi seimila anni fa. (Gen. 1:28
fino a 2:3) Continuò questo settimo giorno creativo, questo grande Giorno di Sabato per Geova rispetto
alla creazione terrestre, ad esser pacifico, con tutta la creazione in cielo e sulla terra in leale
sottomissione al dominio divino? La nostra propria esperienza umana odierna e anche la storia terrena
dei passati seimila anni rispondono di No. La calma di questo grande Giorno Sabatico di Geova cominciò
a essere turbata quasi dal suo medesimo inizio.

w76 15/10 636-9 Giobbe rivela perché Dio permette il male


Giobbe rivela perché Dio permette il male
IL LIBRO di Giobbe è sempre stato altamente elogiato come un capolavoro letterario. E questo anche se
il libro perde molto nella traduzione dall’ebraico in qualsiasi altra lingua. Infatti Martin Lutero, che lo
tradusse in tedesco, deplorò: “Giobbe soffre più per la mia versione che per gli scherni dei suoi amici”.
Tale sublime opera fu messa per iscritto circa trentacinque secoli fa in un ambiente pastorale e si
potrebbe dire che questo sia un punto a sostegno dell’ispirazione divina di questo sacro poema. E
trentanove dei suoi quarantadue capitoli sono poesia.
Ma è triste che la maggioranza di coloro che apprezzano la bellezza del libro di Giobbe non
comprendano ciò che il suo Autore Divino, Geova Dio, si propose di insegnarci facendolo scrivere! Infatti
moltissimi che dichiarano di apprezzarne grandemente la bellezza dubitano persino della sua storicità,
asserendo che sia una semplice allegoria basata su una leggenda popolare.
Tuttavia, negare che il libro di Giobbe narri cose effettivamente accadute significa andare contro la
ragione e le Scritture. Come mai? Perché in Ezechiele 14:14, 20 Giobbe è elencato insieme ad altri
uomini fedeli che si sono assicurati un posto nella storia: “Se in mezzo a esso fossero stati questi tre
uomini, Noè, Daniele e Giobbe, a causa della loro giustizia essi stessi libererebbero [solo] la loro anima”.
Giobbe sarebbe stato elencato insieme a Noè e Daniele se non fosse mai vissuto?
Inoltre, il discepolo Giacomo addita Giobbe come esempio di pazienza e perseveranza: “Ecco, noi
dichiariamo felici quelli che hanno perseverato. Voi avete udito della perseveranza di Giobbe e avete
visto il risultato che Geova diede, che Geova è molto tenero in affetto e misericordioso”. (Giac. 5:11) Se
in effetti Giobbe non fosse mai vissuto e fosse stato un semplice personaggio allegorico, come potrebbe
incoraggiare i cristiani a sforzarsi di perseverare? Sì, un autore può far sopportare a un personaggio
allegorico ogni sorta di cose con la sua immaginazione, ma a che cosa servirebbe tutto questo alle
creature imperfette la cui perseveranza è veramente messa alla prova? Non servirebbe proprio a nulla!
Perché sia possibile trarre incoraggiamento da Giobbe, egli deve esser vissuto realmente.
Qual è lo scopo del libro di Giobbe? Fornisce la chiave per risolvere il più sconcertante problema
dell’umanità: Perché Dio permette il male? Perché Dio permette che gli innocenti soffrano?
Sapete perché? Dal libro di Giobbe comprendiamo che Geova lo ha permesso perché il suo avversario,
Satana il Diavolo, si vantò di poter allontanare da Dio tutti gli uomini. Sì, Satana asserì che Geova non
merita di esser temuto e adorato e che gli uomini gli ubbidiscono solo per trarne un guadagno egoistico.
Satana si vantò che se Dio gli avesse permesso di colpire Giobbe, uomo molto giusto, sarebbe riuscito a
indurre Giobbe a maledire Dio. Dio accettò la sfida e permise a Satana di causare a Giobbe ogni sorta di
difficoltà e sofferenze. Il nome Giobbe significa “oggetto di ostilità”, e fu senz’altro oggetto dell’ostilità di
Satana. Ma Satana non riuscì a mettere Giobbe contro Dio. Così Giobbe sostenne Geova quale legittimo
Sovrano e colui che merita di essere temuto e adorato.
CHI? QUANDO? DOVE? CHE COSA?
Chi scrisse il libro di Giobbe, e quando? Critici moderni insistono che non se ne può conoscere lo
scrittore, e ritengono fosse scritto solo nel sesto secolo a.E.V. Tuttavia c’è ragione di credere che fu
scritto molti, molti secoli prima e da nessun altro che Mosè. Negli scritti di Mosè ci sono brani sia in
poesia che in prosa che assomigliano moltissimo a brani di Giobbe. Anche alcuni dei primi studiosi ebrei
e cristiani furono dell’opinione che lo scrittore era stato Mosè.
Quando e dove visse Giobbe? Il racconto rivela che Giobbe visse quando non c’era nessun uomo simile
a lui su tutta la terra. Quindi deve esser vissuto dopo la morte del fedele patriarca Giuseppe e prima che
Mosè fosse suscitato come profeta di Geova, tra il diciassettesimo e il sedicesimo secolo a.E.V. Visse nel
paese di Uz, in quella che oggi si chiama Arabia.
Il libro di Giobbe si potrebbe considerare suddiviso in cinque parti distinte: Prima, il perché della tragedia
di Giobbe. Seconda, i discorsi di Giobbe e dei suoi tre amici. Terza, i discorsi di Eliu, che corregge i
quattro che hanno parlato prima. Quarta, le dichiarazioni di Geova Dio stesso. Quinta, il risultato.
LA PROVA DI GIOBBE
Il libro inizia parlandoci della condotta giusta e irreprensibile di Giobbe, della sua famiglia e della grande
prosperità materiale di cui godeva. Quindi ci è presentata una visione del cielo, dove Satana compare fra
i leali figli di Dio alla presenza di Geova. Dio richiama l’attenzione di Satana sulla condotta retta di
Giobbe, il che fa pensare che la contesa fosse già stata sollevata. In effetti, Geova disse a Satana: ‘Così
tu pretendi che non ci sia nessun uomo sulla terra che mi teme e pratica la giustizia? Che ne pensi del
mio servitore Giobbe?’ E Satana risponde: ‘Sì, certo che ti serve. Ma guarda quanta prosperità gli hai
dato: 7.000 pecore, 3.000 cammelli, e roba del genere! Portagli via tutto quello che ha e vedrai cosa
pensa realmente di te!’ Accettando la sfida, Geova permette a Satana di privare Giobbe di tutti i suoi beni,
inclusi i figli.
Ma Giobbe non serviva Dio e non faceva il bene per le benedizioni materiali di cui godeva, ma piuttosto
perché amava Dio e la giustizia. Satana si presenta di nuovo in cielo e, quando gli vien fatta notare la
ferma condotta di Giobbe, risponde che se Giobbe stesso dovesse soffrire si volgerebbe contro Geova
Dio. Allora Dio permette a Satana di colpire Giobbe, dalla testa ai piedi, con una malattia ripugnante e
assai dolorosa. Ora perfino la moglie lo esorta a darsi per vinto: “Maledici Dio e muori!” Ma Giobbe la
rimprovera: “‘Anche tu parli come parla una delle donne insensate. Accetteremo dal vero Dio
semplicemente ciò che è buono e non accetteremo anche ciò che è male?’ In tutto questo Giobbe non
peccò con le sue labbra”. — Giob. 2:10.
DISCORSI DI GIOBBE E DEI SUOI TRE AMICI
Tre amici di Giobbe, Elifaz, Bildad e Zofar, odono della calamità che si è abbattuta su Giobbe e vengono
a confortarlo. Sono così turbati dal suo misero stato che rimangono seduti in silenzio per sette giorni.
Giobbe rompe il silenzio con un discorso in cui maledice il giorno in cui nacque. Rispondendo Elifaz
sostiene che, poiché Dio è giusto, Giobbe sta ricevendo quello che merita. Giobbe replica e gli chiede di
mostrargli dove ha sbagliato. Poi Bildad e Zofar sostengono lo stesso argomento, e ogni volta Giobbe
protesta la sua innocenza, giustificando però se stesso, invece di Geova Dio. C’è poi una seconda serie
di discorsi, e parte di un terzo. Cercando erroneamente di aiutare Giobbe, i suoi tre amici divengono in
effetti suoi nemici, e lungi dal confortarlo, ne accrescono l’infelicità!
Egli li rimprovera più volte per le loro aspre parole, che si fanno più dure e più errate man mano che la
discussione procede: “Che cosa riprende la riprensione da parte di voi?” “Voi siete spacciatori di falsità;
siete tutti medici di nessun valore”. “Che cosa ti irrita che rispondi?” — Giob. 6:25; 13:4; 16:3.
In tutto questo Giobbe si attiene alla sua integrità e fede in Dio. Anzi, in più occasioni mentre risponde si
rivolge a Dio anziché a uno dei suoi amici: “Fammi conoscere perché contendi con me”. (Giob. 10:2)
Nelle seguenti parole di Giobbe è additata la speranza della risurrezione: “Oh mi nascondessi tu nello
Sceol, . . . mi stabilissi un limite di tempo e ti ricordassi di me! Se l’uomo robusto muore può egli tornare a
vivere? . . . Tu chiamerai, e io stesso ti risponderò. Bramerai l’opera delle tue mani”. (Giob. 14:13-15) Nel
suo ultimo discorso (capitoli da 26 ⇒fino ⇐a 31⇒ di Giobbe⇐) Giobbe insiste sulla sua innocenza:
“Finché spirerò non rimuoverò da me stesso la mia integrità!” (Giob. 27:5) Egli richiama l’attenzione sulla
grande e insondabile sapienza di Dio; racconta come era grande la propria fama e come era tenuto in
alta stima ma come ora è caduto in basso agli occhi altrui; insiste di nuovo sulla sua condotta giusta. No,
non aveva fatto nulla per meritare quanto gli accadeva.

ELIU E GEOVA RISPONDONO A GIOBBE


Tutto questo viene ascoltato da Eliu, che esitava a parlare a motivo della sua relativa giovinezza. Ma egli
non può più trattenersi, perché Giobbe si preoccupa più di giustificare se stesso che Dio. Inoltre i tre
amici di Giobbe non erano riusciti a convincere Giobbe e quindi ‘avevano dichiarata ingiusta la causa di
Dio’. (Giob. 32:3, versione di F. Nardoni) Eliu supplica: “O Giobbe, ti prego di udire le mie parole. . . .
Ecco, io sono al vero Dio proprio ciò che sei tu”. (Giob. 33:1, 6) Egli parla in difesa della giustizia e delle
vie di Geova e del bisogno che l’uomo sia sottomesso a Dio. Sottolinea la necessità di conoscere Geova
Dio; mostra che Geova è equilibrato nelle sue azioni e in conclusione esalta l’imperscrutabile grandezza
del Creatore.
Mentre Eliu termina il suo discorso si prepara una tempesta. Ora Geova parla dal turbine: “Chi è costui
che oscura il consiglio mediante parole senza conoscenza? Cingi i tuoi lombi, . . . lascia che io ti
domandi, e tu informami. Dov’eri tu quando io fondai la terra? Dichiara, se in effetti conosci
l’intendimento”. (Giob. 38:1-4) Quindi Geova richiama l’attenzione sulla piccolezza e sull’esistenza
temporanea dell’uomo in paragone con l’eternità del Creatore, con la Sua grandezza, la Sua potenza e la
Sua sapienza manifeste in tutta la creazione, dai vasti cieli stellati alle possenti creature terrestri come
l’ippopotamo e il coccodrillo.
Dopo aver udito Geova Dio parlare in questo modo, Giobbe riconosce di aver parlato affrettatamente,
senza conoscere tutti i fatti, e si pente “nella polvere e nella cenere”. Dopo di che Geova parla di nuovo,
biasimando questa volta i tre amici di Giobbe. Egli esige che facciano sacrifici e comanda a Giobbe di
intercedere per loro. Quindi Giobbe è benedetto con sette figli e tre belle figlie e il doppio del bestiame
che aveva prima. Dopo esser vissuto per altri 140 anni, Giobbe muore “vecchio e sazio di giorni”. —
Giob. 42:1-17.
Il libro di Giobbe fa veramente luce sul perché Dio permette il male, sul perché lascia che i giusti soffrano.
Lo ha permesso per dimostrare che il vanto di Satana di poter allontanare tutti gli uomini da Dio è falso.
Allo stesso tempo questo dà a tutti coloro che amano Dio e la giustizia l’opportunità di dimostrare la
sincerità della loro adorazione, di provare che mantengono l’integrità. Ne darete prova voi? In tal caso,
potrete avere la ricompensa della vita eterna che Geova Dio offre a tutti i suoi fedeli servitori. Questo è
stato reso possibile dal sacrificio di Gesù Cristo, colui che più di ogni altro mantenne l’integrità. — Giov.
3:16.

w79 1/12 25-8 Giobbe, un modello di condotta devota


Giobbe, un modello di condotta devota
‘Quell’uomo ha la pazienza di Giobbe’. Non è insolito sentire ancor oggi questa espressione. Il racconto
biblico di Giobbe è noto in tutto il mondo, e a ragione. Di Giobbe, Dio disse: “Non c’è nessuno come lui
sulla terra, uomo irriprovevole e retto, che teme Dio e si ritrae dal male”. (Giob. 1:8; 2:3) La descrizione
che la Bibbia fa di Giobbe costituisce un modello di condotta devota degno d’essere imitato.
Giobbe viveva in Uz, pare una regione dell’Arabia settentrionale. Numerosi versi del libro di Giobbe
indicano che visse al tempo dei patriarchi, forse mentre Israele era schiavo in Egitto. Circa la condizione
di Giobbe leggiamo: “Gli nacquero sette figli e tre figlie. E il suo bestiame era settemila pecore e tremila
cammelli e cinquecento paia di bovini e cinquecento asine, insieme a una servitù assai numerosa; e
quell’uomo era il più grande di tutti gli Orientali”. — Giob. 1:1-3.
Dietro al comportamento irriprovevole e retto di Giobbe c’era una purezza di pensieri, motivi e desideri.
“Ho concluso un patto con i miei occhi. Come potrei dunque mostrarmi attento a una vergine?” (Giob.
31:1) Poiché il patriarca amava profondamente sua moglie, era per lui impensabile ‘porsi in agguato al
medesimo ingresso del suo compagno’ per commettere adulterio con la moglie di questi. (Giob. 31:9-12)
Sebbene indicibilmente ricco, Giobbe rifiutò di riporre fiducia nelle ricchezze. (Giob. 31:24, 25) La fedeltà
a Dio non lasciava posto nel suo cuore al diffuso culto idolatrico del sole, della luna e di altri corpi celesti.
— Giob. 31:26-28.
“LIBERAVO L’AFFLITTO”
Nel suo modo d’agire come uno degli anziani che sedevano alla porta della città per aver cura degli affari
cittadini, Giobbe era al di sopra d’ogni biasimo. Egli racconta:
“Io liberavo l’afflitto che invocava soccorso, e il ragazzo senza padre e chiunque non aveva soccorritore.
La benedizione di colui che stava per perire, veniva su di me, e allietavo il cuore della vedova. Divenni
occhi per il cieco; e piedi fui per lo zoppo. Fui un vero padre per i poveri; e la causa di uno che non avevo
conosciuto, la esaminavo. Rompevo le mascelle del malfattore, e gli strappavo dai denti la preda”. —
Giob. 29:12, 13, 15-17.
Giobbe mostrava simile benevolenza nei suoi rapporti privati col prossimo. I suoi servitori domestici erano
trattati con umanità. (Giob. 31:13-15) Poveri, vedove, orfani e chi si trovava in uno stato di estrema
necessità, trovavano tutti in Giobbe un valido sostegno. (Giob. 31:16-21) Giobbe non rendeva male per
male e non augurava il male a chi lo trattava in modo ostile. — Giob. 31:29, 30.
Comunque, Giobbe è particolarmente famoso per un’altra santa qualità. Lo scrittore biblico Giacomo la
mette in evidenza, dicendo: “Noi dichiariamo felici quelli che hanno perseverato. Voi avete udito della
perseveranza di Giobbe”. (Giac. 5:11) In che modo Giobbe si dimostrò un modello di devota
perseveranza?

COLPITO DALLA CALAMITÀ


Senza preavviso, Giobbe fu colpito dalla disgrazia. Si abbatté a ondate. Il patriarca non faceva a tempo a
riprendersi da un disastro che ne arrivava un altro. Perse prima i bovini, poi le asine, le pecore e i
cammelli, portati via dai sabei, dai fulmini e dai caldei. (Giob. 1:13-17) Giunse poi la notizia che tutti i suoi
figli e le sue figlie erano rimasti uccisi. — Giob. 1:18, 19.
Come vi sareste sentiti se foste stati colpiti da simili disastri uno dopo l’altro? La reazione di Giobbe fu
davvero lodevole. Anziché provare rancore contro Dio, esclamò: “Nudo uscii dal ventre di mia madre, e
nudo vi tornerò. Geova stesso ha dato e Geova stesso ha tolto. Si continui a benedire il nome di Geova”.
— Giob. 1:21.
Ma Giobbe doveva ancora sopportare altre difficoltà. Fu colpito da ‘foruncoli maligni dalla pianta del piede
alla sommità del capo. Ed egli si prendeva un frammento di terracotta per grattarsi; e sedeva fra la
cenere’. (Giob. 2:7, 8) Questa condizione di estremo abbandono era dovuta alla terribile sofferenza e al
dolore. Con riferimento alla natura ripugnante della sua malattia, Giobbe esclamò: “Quando mi son
messo a giacere ho anche detto: ‘Quando mi leverò?’ E quando la sera perviene effettivamente alla sua
misura, io mi sono anche saziato d’irrequietezza fino al crepuscolo del mattino. La mia carne si è vestita
di bachi e masse di polvere; la mia stessa pelle ha formato croste e si dissolve”. — Giob. 7:4, 5.
‘ACCETTEREMO SEMPLICEMENTE CIÒ CHE È BUONO?’
Persone che prima ammiravano Giobbe se ne allontanarono abbandonandolo del tutto. “Quelli che
risiedono come forestieri nella mia casa; e le mie schiave stesse mi reputano un estraneo; son divenuto
ai loro occhi un vero straniero”. (Giob. 19:15) Di sua moglie e dei suoi fratelli Giobbe dichiarò: “Il mio fiato
è ripugnante per mia moglie e faccio schifo ai figli di mia madre”. — Giob. 19:17, versione a cura della
C.E.I.
Perfino i criminali e i rifiuti della società oltraggiavano Giobbe. Indicando il netto contrasto con la sua
precedente condizione di prosperità, Giobbe dichiarò: “Sedevo qual capo, come un re in mezzo ai soldati
o come un consolatore d’afflitti. Ed ora si ridono di me quei che hanno meno giorni di me, i cui padri
stimavo solo degni di stare coi cani del mio gregge. Ed ora son la loro canzone [derisoria], son diventato il
loro zimbello. Mi sfuggono e si allontanan da me, e al mio viso non risparmian gli sputi”. — Giob. 29:25–
30:1, 9, 10, Nardoni.
Le sofferenze di Giobbe si aggravarono al punto che egli invocava la morte come sollievo dalla
sofferenza. “Oh mi nascondessi tu nello Sceol [la tomba]”, gridò, “mi tenessi in segreto finché si ritragga
la tua ira, mi stabilissi un limite di tempo e ti ricordassi di me!” — Giob. 14:13.
Anche la moglie di Giobbe arrivò al punto di dirgli: “Maledici Dio e muori!” (Giob. 2:9) Ma anche
nell’estremo dolore e nell’angoscia, Giobbe rifiutò di scegliere quella che poteva sembrare la via più
facile. Invece, replicò alla moglie: “Anche tu parli come parla una delle donne insensate. Accetteremo dal
vero Dio semplicemente ciò che è buono e non accetteremo anche ciò che è male?” — Giob. 2:10.
Secondo il racconto scritturale, tutte quelle calamità erano state causate a Giobbe da Satana il Diavolo,
col permesso di Dio. Satana sosteneva che la devozione di Giobbe a Dio era dovuta esclusivamente
all’amore della prosperità materiale. Il Diavolo asseriva che se Dio avesse ‘steso la sua mano’ contro
Giobbe rendendogli la vita difficile, questi avrebbe ‘maledetto Dio nella sua medesima faccia’. (Giob.
1:11; 2:4, 5) Ma in questo il Diavolo risultò bugiardo.
SOPPORTA “CONFORTATORI MOLESTI”
La perseveranza di Giobbe doveva essere messa alla prova in maniera ancor più difficile. Andarono a
fargli visita tre compagni: Elifaz il Temanita, Bildad il Suhita e Zofar il Naamatita. Apparentemente erano
venuti “a dolersi con [Giobbe] e a confortarlo”. (Giob. 2:11) Ma la visita si rivelò tutt’altro che confortante. I
compagni sostenevano che la malattia di Giobbe era una punizione divina per i suoi gravi peccati. (Giob.
4:7-9; 8:11-19; 20:4-29; 22:7-11) Secondo Elifaz, Bildad e Zofar, le circostanze in cui una persona si
trova, sia prospere che tragiche, sarebbero un’indicazione del suo valore morale. Erano convinti che la
malattia di Giobbe fosse la prova che egli era un reprobo e continuavano ad insistere che si pentisse.
Giobbe non fu affatto confortato dalle loro false accuse. “Ho udito molte cose come queste”, esclamò.
“Siete tutti confortatori molesti! . . . Se le vostre anime esistessero dov’è la mia anima, sarei brillante in
parole contro di voi, e contro di voi scuoterei la testa? Vi rafforzerei con le parole della mia bocca”. —
Giob. 16:2, 4, 5.
Il fedele patriarca respinse completamente il punto di vista che i giusti vivano sempre nella prosperità e
negli agi mentre i malvagi soffrano sempre per malattie e privazioni. Egli chiese: “Perché i malvagi stessi
continuano a vivere, sono invecchiati, sono anche divenuti superiori in dovizia? La loro progenie è
fermamente stabilita con essi alla loro vista, e i loro discendenti dinanzi ai loro occhi. Le loro case sono la
pace stessa, libere dal terrore, e la verga di Dio non è su di loro. Il suo proprio toro [del malvagio]
effettivamente feconda, e non sciupa seme; le sue mucche generano e non subiscono aborto”. — Giob.
21:7-10; vedi anche i versetti 29-31 ⇒di Giobbe 21 ⇐e Salmo 73:1-14.
Essendo il patriarca all’oscuro dell’asserzione del Diavolo che Giobbe avrebbe maledetto Dio se fosse
stato colpito da calamità, era rimasto molto perplesso per l’improvviso mutamento delle circostanze. Per
cui a volte Giobbe si mostrò troppo preoccupato di rivendicare la propria integrità. Per esempio, spinto
dalle emozioni, Giobbe gridò:
“La mia anima prova per certo disgusto della mia vita. Darò di sicuro sfogo alla mia preoccupazione circa
me stesso. Parlerò davvero nell’amarezza della mia anima! Dirò a Dio: ‘Non mi dichiarare malvagio.
Fammi conoscere perché contendi con me. È bene che tu faccia torto, che tu rigetti il prodotto del duro
lavoro delle tue mani, e che effettivamente brilli sul consiglio dei malvagi?”’ (Giob. 10:1-3) “Sappiate,
quindi, che Dio stesso mi ha sviato, e la sua rete da caccia ha chiuso su di me. Ecco, io continuo a
invocare: ‘Violenza!’ ma non ho risposta; continuo a invocare soccorso, ma non c’è giudizio. Egli ha
bloccato il mio medesimo sentiero con un muro di pietra, e non posso passare; e sui miei cammini mette
le stesse tenebre”. — Giob. 19:6-8.
Espressioni come queste non dovrebbero comunque farci pensare che Giobbe avesse perso fiducia nella
giustizia di Dio nel trattare il genere umano. Al contrario, era assolutamente convinto che, sebbene per un
certo tempo il malvagio spesso prosperasse mentre il giusto soffriva, alla fine Dio avrebbe messo a posto
la situazione. In quanto alla “sorte che Dio serba al malvagio”, Giobbe dichiarò: “Se ha molti figli saranno
per la spada e i discendenti non si sazieranno di pane; i superstiti li seppellirà la peste e le vedove loro
non faran lamento. Ammassi pure argento come rena e ammonti vesti come fango: egli le ammonta e il
giusto se ne veste e l’innocente spartirà l’argento”. — Giob. 27:13-17, Nardoni.
Giobbe non approvò mai il ragionamento dei suoi compagni che la sofferenza sia la prova certa della
disapprovazione divina, né fu d’accordo con l’affermazione di Elifaz secondo cui Dio non ha fede nei suoi
servitori, siano essi angeli o uomini. (Giob. 4:18, 19) Al contrario, Giobbe sostenne che Dio era
consapevole che lui era un uomo integro e che avrebbe agito a suo favore redimendolo dalla terribile
situazione in cui era venuto a trovarsi. — Giob. 16:18, 19; 19:23-27.
ACCETTA LA CORREZIONE
È comunque vero che Giobbe si era preoccupato eccessivamente di dimostrare la propria giustizia. Il
racconto scritturale narra che “si accese l’ira di Eliu figlio di Barachel il Buzita della famiglia di Ram. La
sua ira si accese contro Giobbe perché aveva dichiarato giusta la sua propria anima anziché Dio”. (Giob.
32:2) Eliu riprese Giobbe, esprimendo il suo punto di vista che “Dio stesso non agisce malvagiamente, e
l’Onnipotente stesso non perverte il giudizio”. (Giob. 34:12) Dopo Eliu, Geova stesso “rispondeva a
Giobbe dal turbine”. (Giob. 38:1) Sia Eliu che, in particolar modo, Geova additarono il fatto che l’evidenza
dell’operato e del controllo divino in tutta la creazione superano di gran lunga la comprensione umana.
Sgomento davanti a questa realtà, Giobbe trasse la conclusione che aveva parlato senza comprendere
bene il modo in cui Dio lo trattava. “Ecco! Son divenuto di poco conto”, dichiarò Giobbe. “Che cosa
risponderò? Ho messo la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, e di sicuro non risponderò; e due volte,
e di sicuro non aggiungerò nulla”. (Giob. 40:4, 5) Dopo che Geova ebbe interrogato ulteriormente Giobbe
sulla Sua incommensurabile sapienza evidente nella creazione animale, Giobbe esclamò: “Ho saputo che
tu puoi fare ogni cosa, e non c’è idea che ti sia irraggiungibile. Per sentito dire ho udito di te, ma ora il mio
proprio occhio in effetti ti vede. Perciò mi ritratto, e in effetti mi pento nella polvere e nella cenere”. —
Giob. 42:2, 5, 6.
Come ricompensa per la sua perseveranza, Geova ristabilì Giobbe in buona salute, lo benedisse con il
doppio dei possedimenti che aveva avuti e gli concesse altri 140 anni di vita. “E gradualmente Giobbe
morì, vecchio e sazio di giorni”. — Giob. 42:10, 16, 17.
Giobbe è un ottimo esempio per gli odierni adoratori di Dio. Dovette sopportare un’estenuante prova per
motivi a quel tempo a lui sconosciuti, ma rifiutò di provare rancore verso Dio. Sebbene perplesso sul
perché dovesse soffrire, capì che qualsiasi cosa Dio permetta deve avere uno scopo utile.
Non convenite che il libro di Giobbe è di grande valore per gli odierni adoratori di Dio? Perché non
leggerlo attentamente alla prima occasione?
“Avete udito della perseveranza di Giobbe e avete visto il risultato che Geova diede, che Geova è molto
tenero in affetto e misericordioso”. — Giac. 5:11.

w86 1/3 10-15 L'integrità di Giobbe: perché è così straordinaria?


L’integrità di Giobbe: perché è così straordinaria?
“Finché spirerò non rimuoverò da me stesso la mia integrità!” — GIOBBE 27:5.
GIOBBE fu un personaggio storico straordinario. Non solo possedeva grandi ricchezze materiali, ma era
anche stimato come giudice e capo compassionevole. La Bibbia dice che “era il più grande di tutti gli
Orientali”. (Giobbe 1:3; 29:12-25) Viene ricordato, con Noè e Daniele, come uomo molto giusto.
(Ezechiele 14:14, 20) La Bibbia inoltre presenta Giobbe come un esempio che i cristiani debbono imitare,
il che prova che fu un personaggio storico realmente esistito. — Giacomo 5:11.
2 Giobbe viveva nel paese di Uz, in quella che ora è l’Arabia. Pur non essendo un israelita, Giobbe era un
adoratore di Geova, cosa che Geova fece notare a Satana. L’affermazione di Dio: “Non c’è nessuno
come lui sulla terra, uomo irriprovevole e retto”, rivela che a quel tempo non era in vita nessun altro
notevole servitore di Dio. (Giobbe 1:8) La prova a cui Satana sottopose Giobbe deve quindi aver avuto
luogo mentre i suoi lontani cugini, gli israeliti, erano schiavi in Egitto: nel periodo che seguì la morte di
Giuseppe, eccezionale uomo di integrità, avvenuta nel 1657 a.E.V. e che precedette il tempo in cui Mosè
cominciò a seguire una condotta integra.
3 Evidentemente fu Mosè a scrivere il libro di Giobbe. Come poteva però essere a conoscenza della
prova di Giobbe? Ebbene, dopo essere stato costretto ad abbandonare l’Egitto nel 1553 a.E.V., Mosè si
stabilì nel paese di Madian, non lontano da quello di Uz. (Esodo 2:15-25; Atti 7:23-30) A quel tempo
Giobbe stava concludendo gli ultimi 140 anni di vita con i quali Geova lo aveva benedetto. (Giobbe 42:16)
In seguito, allorché gli israeliti passarono vicino a Uz mentre il loro viaggio nel deserto volgeva al termine,
Mosè poté avere notizie circa gli ultimi anni di vita di Giobbe e la sua morte.
La limitata conoscenza di Giobbe
4 Quando Giobbe fu sottoposto alla prova, la sua conoscenza di Dio e dei suoi propositi era limitata, dato
che non era ancora stata scritta alcuna parte della Bibbia. Giobbe, però, aveva una certa conoscenza dei
rapporti di Dio con Abraamo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe. Questo perché Giobbe discendeva
evidentemente dal fratello di Abraamo, Nahor, tramite il primogenito di questi, Uz. Inoltre, il fratello di Uz
era Betuel, padre della moglie di Isacco, Rebecca, e bisnonno di Giuseppe. (Genesi 22:20-23) Giobbe
considerò indubbiamente importantissimo conoscere qualsiasi cosa Geova avesse comunicato ad
Abraamo e ai suoi discendenti, e provava il vivo desiderio di piacere a Geova. Giobbe divenne così un
uomo di eccezionale integrità, un uomo irriprovevole e completamente devoto a Geova.
5 Non molto tempo dopo la morte di Giuseppe in Egitto, l’integrità di Giobbe divenne il soggetto di una
controversia tra Geova Dio e Satana nei cieli invisibili. Giobbe, tuttavia, non sapeva nulla di questa
controversia imperniata sulla sua integrità. Ed è in particolare il fatto che ignorasse le ragioni della sua
sofferenza a rendere la sua inviolabile integrità così straordinaria. Per il bene di tutti i futuri servitori di
Dio, Geova fece scrivere da Mosè i particolari della controversia relativa all’integrità di Giobbe.
La questione relativa all’integrità di Giobbe
6 Il libro di Giobbe toglie il manto di invisibilità, così che possiamo vedere un’adunanza di angeli che ebbe
luogo in cielo alla presenza di Geova Dio. È in questa occasione che Geova rammenta a Satana, pure
presente, che “non c’è nessuno come [Giobbe] sulla terra, uomo irriprovevole e retto, che teme Dio e si
ritrae dal male”. (Giobbe 1:8) È chiaro che esiste una controversia in cui l’integrità di Giobbe è chiamata
in causa. Ma non è una questione nuova. Era sottintesa quando Satana fece allontanare Adamo ed Eva
da Dio e in effetti disse: ‘Dammene l’opportunità e io posso far smettere chiunque di servirti’. — Genesi
3:1-6.
7 Ora, durante questa adunanza formale tenuta in cielo, Satana è costretto a dire quello che pensa sui
motivi dell’integrità di Giobbe. “È per nulla che Giobbe ha temuto Dio?”, chiede. “Non hai tu stesso posto
una siepe attorno a lui e attorno alla sua casa e attorno a ogni cosa che ha tutto intorno? . . . Ma, per
cambiare, stendi la tua mano, ti prego, e tocca tutto ciò che ha e vedi se non ti maledirà nella tua
medesima faccia”. — Giobbe 1:9-11.
8 Geova accetta la sfida di Satana. Ha completa fiducia nell’integrità di Giobbe e risponde a Satana:
“Ecco, ogni cosa che egli ha è nella tua mano. Solo non stendere la tua mano contro lui stesso!” (Giobbe
1:12) Satana colpisce subito Giobbe. Predatori sabei portano via i 1.000 bovini e le 500 asine di Giobbe,
trucidando tutti i mandriani eccetto uno. Successivamente Satana manda un fuoco dal cielo che distrugge
le 7.000 pecore di Giobbe e i relativi pastori, risparmiandone uno solo. Poi Satana fa in modo che tre
schiere di caldei portino via i 3.000 cammelli di Giobbe e uccidano tutti i servitori eccetto uno. Infine
Satana provoca un fortissimo vento che abbatte la casa in cui stanno banchettando i dieci figli di Giobbe,
che muoiono tutti. In seguito, in rapida successione, i superstiti di questi disastri riferiscono a Giobbe le
terribili notizie. — Giobbe 1:13-19.
9 Che calamità! Anche se Giobbe avesse capito chi le aveva provocate, sarebbe stato difficile
sopportarle. Ma non lo capiva! Non sapeva di essere al centro di una controversia sorta in cielo e che
Geova lo stava impiegando per dimostrare che esistono persone che manterranno la propria integrità
malgrado tutte le ingiuste sofferenze che Satana può causare loro. Invece, afflitto dal dolore e pensando
addirittura che in qualche modo Dio sia responsabile delle sue perdite, Giobbe disse: “Geova stesso ha
dato, e Geova stesso ha tolto. Si continui a benedire il nome di Geova”. Sì, “in tutto questo Giobbe non
peccò né ascrisse a Dio alcuna cosa sconvenevole”. — Giobbe 1:20-22.
10 Che umiliazione per Satana sentirsi rammentare da Geova, durante un’altra adunanza angelica, che
nonostante tutto Giobbe “mantiene ancora la sua integrità”! Satana però non cede. Adesso sostiene che,
se gli verrà data la possibilità di colpirlo nel fisico, Giobbe maledirà Dio in faccia. Avendo fiducia che
Giobbe si manterrà integro anche in questo caso, Geova dà il permesso, ordinando però a Satana di non
uccidere Giobbe. Satana così ‘colpisce Giobbe con foruncoli maligni dalla pianta del piede alla sommità
del capo’. (Giobbe 2:1-8) Giobbe è ridotto in uno stato così disgustosamente pietoso che i parenti e gli
amici lo evitano e i conoscenti lo prendono in giro. — Giobbe 12:4; 17:6; 19:13-19; 30:1, 10-12.
11 Poi, un altro colpo ancora! La fede della moglie di Giobbe si indebolisce. “Mantieni ancora la tua
integrità? Maledici Dio e muori!”, lei gli dice. Lui, però, le risponde: “Anche tu parli come parla una delle
donne insensate. Accetteremo dal vero Dio semplicemente ciò che è buono e non accetteremo anche ciò
che è male?” Il racconto dice: “In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra”. (Giobbe 2:9, 10) E se
si pensa che Giobbe ignora il motivo della sua sofferenza, si comprende che la sua integrità è davvero
straordinaria!
Un attacco di tipo diverso
12 Satana, però, non ha finito. Suscita tre presunti saggi, i quali o conoscevano Giobbe di persona oppure
avevano sentito parlare della sua fama di “più grande di tutti gli Orientali”. Evidentemente sono molto più
anziani di Giobbe. (Giobbe 1:3; 15:10; 32:6) Due di loro sono suoi parenti alla lontana. Elifaz il Temanita
discende da Abraamo tramite Teman, nipote di Esaù, mentre Bildad il Suhita discende da Shua, figlio di
Abraamo. (Giobbe 2:11; Genesi 36:15; 25:2) Non si conoscono con precisione gli antenati di Zofar.
All’apparenza questi tre uomini vanno a confortare Giobbe, ma in realtà Satana li impiega nel tentativo di
minare l’integrità di Giobbe. Come gli agenti politici che si atteggiano ad amici minano la fedeltà dei
prigionieri verso i loro governi e li mettono contro di essi, così Satana sperava che i suoi “confortatori”
facessero volgere Giobbe contro il suo Dio. — Giobbe 16:2, 3.
13 Al loro arrivo i tre passano sette giorni e sette notti a osservare silenziosi l’atroce sofferenza e lo stato
di estrema umiliazione di Giobbe. (Giobbe 2:12, 13) Elifaz, che evidentemente è il più anziano, prende
infine la parola, fissando il tono e l’argomento generale di quello che si rivela un dibattito con tre cicli di
interventi. Il discorso di Elifaz, come quelli dei suoi compagni, è composto in gran parte di accuse. Dopo
che ciascuno degli accusatori ha parlato, Giobbe a sua volta risponde, confutando le loro tesi. Zofar non
interviene nel terzo ciclo del dibattito, ritenendo evidentemente di non poter aggiungere altro. Perciò Zofar
fa solo due interventi, Elifaz e Bildad invece tre ciascuno.
14 I discorsi di Elifaz sono più lunghi ed è quello dei tre che parla con i toni più miti. Bildad si esprime in
modo più tagliente e Zofar va ancora oltre. Le loro argomentazioni mirano astutamente a conseguire
l’obiettivo di Satana: infrangere l’integrità di Giobbe. Spesso menzionano fatti veri, ma nel contesto
sbagliato o facendone un’applicazione errata. Satana usò la medesima tattica nei confronti di Gesù.
Citando un versetto secondo il quale l’angelo di Dio avrebbe protetto il suo servitore, Satana invitò Gesù
a provare di essere il Figlio di Dio gettandosi giù dal tempio. (Matteo 4:5-7; Salmo 91:11, 12) Giobbe
affrontò simili ragionamenti satanici per un prolungato periodo di tempo.
15 Nel suo discorso iniziale Elifaz sostiene che le afflizioni di Giobbe sono la punizione divina per i suoi
peccati. “Chi è l’innocente che sia mai perito?”, domanda. “Secondo ciò che ho visto, quelli che tramano
ciò che è nocivo e quelli che seminano affanno lo mieteranno essi stessi”. (Giobbe 4:7, 8) Proseguendo
Elifaz afferma che Dio non si fida dei suoi servitori. “Egli non ha fede nei suoi servitori”, dice Elifaz, “e
accusa di mancanza i suoi [angeli]. Quanto più quelli che dimorano in case d’argilla”. — Giobbe 4:18, 19.
16 Bildad prosegue l’attacco verbale. “Se tu fossi puro e retto”, dice, “ora [Dio] si desterebbe per te e per
certo restaurerebbe il tuo giusto luogo di dimora”. Bildad fa notare che il papiro e le canne si seccano e
muoiono in mancanza d’acqua, e conclude giustamente che ciò accadrà anche a “tutti quelli che
dimenticano Dio”. Ma come sbaglia quando applica questo esempio a Giobbe e aggiunge: “Perirà la
medesima speranza dell’apostata”. — Giobbe 8:6, 11-13.
17 Le affermazioni di Zofar sono ancora più pesanti. ‘Se solo Dio parlasse e ti dicesse cosa pensa!’, sono
in effetti le sue parole. ‘Dio sa cosa hai fatto. Ti sta punendo molto meno di quanto tu non meriti. Liberati
dai tuoi peccati e abbandona tutta la tua malvagità, e allora avrai sicurezza e molti amici’. — Giobbe 11:4-
6, 14-20.
18 Nel secondo ciclo del dibattito Elifaz continua ad attaccare l’integrità di Giobbe. ‘Ecco, Dio non si fida
neppure degli angeli, quanto meno di uno come te! Il malvagio ha sempre dei problemi’. (Giobbe 15:14-
16, 20) Bildad, indispettito dalla risoluta opposizione di Giobbe alle loro argomentazioni, dice in pratica:
‘La tua luce sarà estinta. Qualsiasi ricordo della tua esistenza perirà. Ecco cosa accade a coloro che
dimenticano Dio’. (Giobbe 18:5, 12, 13, 17-21) Alludendo alla precedente prosperità di Giobbe, Zofar
domanda: ‘Non sai che il grido di gioia dei malvagi è breve e che l’allegrezza dell’apostata è per un
momento? Il cielo scopre gli errori dei malvagi’. — Giobbe 20:4, 5, 26-29.
19 In apertura del terzo ciclo del dibattito, Elifaz chiede: ‘Può un uomo essere utile a Dio? Anche se tu
fossi irriprovevole, Dio ne trarrebbe vantaggio? Torna a Dio’, dice, ‘e metti a posto le tue cose. Allora
verrai ristabilito’. (Giobbe 22:2, 3, 21-23) Bildad conclude il suo attacco verbale: ‘Chi sulla terra può
vantarsi di essere puro?’, chiede. ‘Dio è talmente glorioso che persino la luna e le stelle sono meno di
nulla rispetto a lui. Quanto meno vale l’uomo, che ai suoi occhi è solo un verme!’ — Giobbe 25:2-6.
Giobbe si difende e viene corretto
20 Malgrado la sua terribile sofferenza, Giobbe non cede neppure per un istante alle ingannevoli
argomentazioni dei suoi tormentatori. Se la sofferenza è una punizione inviata da Dio per i peccati,
“perché i malvagi stessi continuano a vivere, sono invecchiati, sono anche divenuti superiori in dovizia?”,
chiede. (Giobbe 21:7-13) E contrariamente a quanto affermano gli accusatori di Giobbe, Geova in realtà
considera preziosi coloro che mantengono l’integrità, i quali in tal modo danno una risposta alle
provocazioni di Satana, che sostiene di poter far volgere chiunque dal servire Dio. (Proverbi 27:11; Salmo
41:12) Giobbe confida nella propria integrità, esclamando: “Finché spirerò non rimuoverò da me stesso la
mia integrità!” (Giobbe 27:5) No, non ha fatto nulla per meritare quanto gli è capitato.
21 Il giovane Eliu segue parola per parola il lungo dibattito. Ora parla lui e dice ai falsi confortatori di
Giobbe che neppure una delle loro affermazioni ha dimostrato che Giobbe sia un peccatore. (Giobbe
32:11, 12) Rivolgendosi poi a Giobbe, Eliu dice: “Udivo il suono delle tue parole, ‘Io sono puro senza
trasgressione; son puro, e non ho errore. Ecco, egli trova occasioni per opporsi a me, mi prende per suo
nemico’. . . . In questo tu non sei stato nel giusto”. (Giobbe 33:8-13; 6:29; 13:24, 27; 19:6-8) Sì, Giobbe si
è dimostrato troppo preoccupato di difendere se stesso. Al tempo stesso, però, non ha mai condannato
Dio, né ha mai smesso di confidare che Dio avrebbe fatto ciò che è giusto.
22 Un forte vento comincia a soffiare mentre Eliu conclude il suo discorso e Geova stesso parla dal
turbine: “Chi è costui che oscura il consiglio mediante parole senza conoscenza? Cingi i tuoi lombi . . .
Lascia che io ti domandi e tu informami”. Dopo aver ascoltato Geova, Giobbe riconosce di aver parlato in
modo sconsiderato, senza piena conoscenza, e si pente “nella polvere e nella cenere”. Geova poi
denuncia Elifaz e i suoi due compagni, ordinando a Giobbe di intercedere a loro favore. Giobbe viene poi
ristabilito ed è benedetto con sette figli e tre bellissime figlie, nonché con il doppio del bestiame che
aveva in precedenza. Dopo essere vissuto altri 140 anni, Giobbe muore “vecchio e sazio di giorni”. —
Giobbe 38:1-4; 42:1-17.
23 Giobbe fu davvero uno straordinario uomo di integrità! Non poteva sapere di essere il bersaglio della
malvagia sfida di Satana. Questo fatto sottolinea ancora di più la sua integrità, in quanto, pur pensando
che tutta la sua sofferenza venisse da Dio, Giobbe non rinnegò né maledì Dio. Che lezione per noi, dal
momento che noi in realtà sappiamo da chi vengono le prove della nostra integrità! Dovremmo senza
dubbio sentirci spinti a imitare l’esempio di Giobbe e a proseguire nell’opera di Geova a prescindere da
quali ostacoli l’Avversario di Dio possa metterci davanti.
[Figura a pagina 13]
Satana inviò tre “confortatori” per far volgere Giobbe contro Dio

w86 1/3 15-20 L'integrità di Giobbe: chi la può imitare?


L’integrità di Giobbe: chi la può imitare?
“Egli mi peserà su accurata bilancia e Dio conoscerà la mia integrità”. — GIOBBE 31:6.
GIOBBE confidava nella propria integrità e pertanto era lieto di essere esaminato da Dio. Il suo esempio
può essere molto incoraggiante per noi oggi, in modo particolare quando Satana il Diavolo cerca
disperatamente di infrangere l’integrità di tutti coloro che servono Dio. (I Pietro 5:8) Riconoscendo questo
fatto, il discepolo Giacomo disse di ‘prendere a modello di sofferenza del male e di esercizio della
pazienza i profeti’, in particolare Giobbe. (Giacomo 5:10, 11) Ma chi può imitare l’integrità di Giobbe? Noi
lo possiamo? In quali modi Giobbe è stato per noi un esempio di integrità?
2 Il nome Giobbe significa “oggetto d’ostilità”: proprio ciò che divenne. Ma, allorché Geova acconsentì alla
richiesta di Satana ed eliminò la “siepe” che proteggeva Giobbe, nulla di ciò che Satana poté fare riuscì a
infrangere l’integrità di Giobbe nei confronti di Dio. (Giobbe 1:1–2:10) Giobbe in tal modo fornì una
risposta alle insinuazioni di Satana, il quale sostiene di poter far desistere chiunque dal servire Dio.
(Proverbi 27:11) Mantenendo l’integrità, Giobbe stava in realtà dichiarando davanti all’intero universo:
‘Satana, sei uno spregevole bugiardo, perché Geova è il mio Dio e io manterrò la mia integrità verso di lui
accada quel che accada!’ — Giobbe 27:5.
Quelli simili a Giobbe
3 È significativo il fatto che la controversia sorta tra Geova e Satana fosse universale, dal momento che
coinvolgeva il reame spirituale. Lassù nel cielo, circondato dalle cure protettive di Geova, c’era il
promesso “seme” tramite il quale Dio intendeva realizzare i suoi meravigliosi propositi. (Genesi 3:15)
Qualora, però, fosse stato privato della ‘siepe protettiva’ che lo circondava, avrebbe davvero imitato
l’integrità di Giobbe? Avrebbe dimostrato che un uomo perfetto, come lo era stato Adamo, poteva
mantenere perfetta integrità verso Dio? (I Corinti 15:45) Satana fece i preparativi per sottoporre questo
“seme” alla prova più dura non appena fosse comparso sulla terra.
4 Gesù Cristo mostrò d’essere il “seme” inviato dal cielo. Divenne quindi l’obiettivo dell’attenzione di
Satana, sì, il principale oggetto dell’ostilità di Satana. A riprova del fatto che Geova aveva tolto la sua
siepe protettiva, Cristo gridò mentre era appeso al palo di tortura: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?” (Matteo 27:46; Salmo 22:1) Anche se comprendeva pienamente che Dio aveva ritirato la
sua protezione, Gesù, come Giobbe, “non peccò né ascrisse a Dio alcuna cosa sconvenevole”. (Giobbe
1:22) Imitò Giobbe mantenendo perfetta integrità verso Dio e così dimostrò che ‘non c’era nessuno come
lui sulla terra’. (Giobbe 1:8) Nella persona di Gesù, pertanto, Geova Dio ha una risposta completa ed
eterna alla falsa accusa di Satana, secondo cui Dio non è in grado di mettere sulla terra un uomo che gli
resterà fedele nella prova suprema.
5 Nondimeno, volendo ancor più che una semplice risposta, Satana continua ad accusare i fratelli
spirituali di Gesù, che, assieme a lui, formano il “seme” dell’organizzazione di Dio simile a una donna. Nel
descrivere l’istituzione del Regno in cielo, la Bibbia dice di Satana: “È stato gettato giù l’accusatore dei
nostri fratelli, che li accusa giorno e notte davanti al nostro Dio!” Satana, però, fa più che accusare:
scatena un attacco avverso! La Bibbia spiega che, dopo essere stato scacciato dal cielo, “il dragone
[Satana] si adirò contro la donna, e se ne andò a far guerra contro i rimanenti del seme di lei, che
osservano i comandamenti di Dio e hanno l’opera di rendere testimonianza a Gesù”. — Rivelazione 12:7-
12, 17.
6 “I rimanenti del seme” della donna sono gli unti testimoni di Geova rimasti oggi sulla terra. Loro sono
alla testa dell’“opera di rendere testimonianza a Gesù”, proclamando in tutto il mondo che lui ora è
insediato come Re e presto porrà fine a questo ingiusto sistema di cose. (Matteo 24:14; Daniele 2:44) Ma
non sono affatto soli! Ora un’enorme folla di oltre tre milioni di persone si è loro associata per formare
un’unita organizzazione mondiale che mantiene l’integrità. Tutti questi uomini di integrità sono divenuti
l’oggetto dell’implacabile persecuzione di Satana, e il loro Padre celeste, Geova, si compiace della loro
integrità. — II Timoteo 3:12; Proverbi 27:11.
7 Fa indubbiamente bene rendersi conto del fatto che come la malvagia attenzione di Satana era
concentrata su Giobbe, così oggi lo è su di noi che ci sforziamo di mantenere l’integrità verso Dio. Ma
non dobbiamo turbarci. Perché? Perché “Geova è molto tenero in affetto e misericordioso” e ‘non ci
abbandonerà né ci lascerà del tutto’. (Giacomo 5:11; Deuteronomio 31:6) Sì, Geova ci sosterrà. “A quelli
che camminano nell’integrità è uno scudo”, dice la Bibbia. (Proverbi 2:7) Questo non significa, però, che
Geova non permetta che siamo messi alla prova. Lo permetterà, come fece con Giobbe. “Ma Dio è
fedele”, fece notare l’apostolo Paolo, “ed egli non lascerà che siate tentati oltre ciò che potete sopportare,
e con la tentazione farà anche la via d’uscita onde la possiate sopportare”. — I Corinti 10:13.
Quando ci troviamo nelle prove
8 L’esempio di integrità di Giobbe può esserci particolarmente utile quando affrontiamo prove difficili.
Giobbe soffriva così intensamente che desiderava morire ed essere nascosto nello Sceol, la comune
tomba dell’umanità. (Giobbe 14:13) Alcuni oggi si sono sentiti così, e hanno detto di potersi riconoscere in
Giobbe quando soffriva tanto. In certi casi forse anche voi vi siete sentiti così. In effetti, leggere in merito
alle sue sofferenze può essere come ricevere incoraggiamento da un amico che ha affrontato una prova
ancora più dura della nostra. Sapere che qualcun altro ha perseverato e capisce ci è senz’altro di aiuto
per perseverare.
9 Comprendendo le nostre necessità, Geova ha fatto scrivere il libro di Giobbe per aiutarci a mantenere
l’integrità come fece Giobbe. (Romani 15:4; Giacomo 5:10, 11) Dio sa che, come ogni parte del corpo
dipende dalle altre, anche i suoi servitori fedeli hanno bisogno l’uno dell’altro. (I Corinti 12:20, 26)
Ripensate ai recenti congressi “Manteniamo l’integrità!” ai quali hanno assistito milioni di lettori di questa
rivista. I presenti rammenteranno la piacevole compagnia di tanti altri il cui principale obiettivo nella vita è
quello di mantenere l’integrità verso Dio. Per loro, sapere che le molte migliaia di persone lì presenti
mantenevano l’integrità, sul lavoro o a scuola nelle rispettive località, ha rappresentato un grande
incoraggiamento a rimanere integri nonostante prove difficili. — I Pietro 5:9.
10 Può darsi però che non conserviamo sempre il giusto punto di vista, proprio come capitò a Giobbe.
Una persona che soffre intensamente ed è scoraggiata può dire: ‘Perché Dio mi fa questo? Perché
permette che mi capitino cose simili?’ Può addirittura arrivare al punto di domandare: ‘A che scopo
servire Dio?’ Non comprendendo da dove venivano le sue sofferenze, Giobbe dubitò che ci fossero
vantaggi immediati ad essere giusti, dato che i buoni sembravano soffrire tanto quanto i cattivi, se non di
più. (Giobbe 9:22) Secondo Eliu, Giobbe disse: “Che mi giova? che guadagno io di più a non peccare?”
(Giobbe 35:3, Versione Riveduta) Non possiamo permettere però che le nostre afflizioni ci assorbano al
punto di perdere la giusta prospettiva e mettere in discussione l’utilità di servire Dio.
11 Eliu impartì a Giobbe l’opportuna correzione: presentò le cose nella giusta prospettiva spiegando che
Geova era molto più importante di Giobbe. (Giobbe 35:4, 5) Mostrò che, a prescindere da quanto accade,
non dovremmo mai concludere che Dio si disinteressi di noi o pensare in qualche modo di vendicarci per
quelle che consideriamo ingiustizie da parte Sua. “Se effettivamente pecchi”, chiese Eliu a Giobbe, “che
cosa compi contro di lui? E se le tue rivolte effettivamente aumentano, che gli fai?” (Giobbe 35:6) Sì, se
cercate di fare un dispetto a Dio lasciando le sue vie o smettendo di compiere il suo servizio, fate male
solo a voi stessi, non a Dio.
12 D’altro canto, Eliu mostrò che, se noi facciamo ciò che è giusto, Geova non ne trae alcun vantaggio
personale. Dio ovviamente è contento se manteniamo l’integrità, ma al tempo stesso egli non dipende
affatto dalla nostra adorazione, come fu indicato dalla domanda che Eliu fece a Giobbe: “Se sei
realmente nel giusto, che cosa gli dai, o che riceve egli dalla tua propria mano?” (Giobbe 35:7) Dio ci ha
dato la vita e grazie a lui respiriamo, ci muoviamo ed esistiamo. Egli possiede tutto! (Atti 17:25; I
Cronache 29:14) Pertanto, la nostra malvagità o la nostra giustizia non possono influire personalmente su
Dio. — Giobbe 35:8.
Quando veniamo corretti
13 Come reagì Giobbe alla correzione impartitagli prima da Eliu e poi da Geova stesso? La accettò,
pentendosi “nella polvere e nella cenere”. (Giobbe 42:6) Certo, Giobbe si umiliò, riconoscendo il proprio
errore. Non ammiriamo questo tipo di umiltà? Ma che dire di noi? Anche se forse siamo risoluti uomini di
integrità come lo fu Giobbe, tutti noi tendiamo a fare sbagli e a perdere l’equilibrio in un modo o nell’altro.
(Giacomo 3:2; Galati 2:11-14) Cosa faremo quando il nostro sbaglio o la nostra imperfezione ci vengono
fatti notare, magari da qualcuno più giovane di noi, come Eliu? — Giobbe 32:4.
14 Non è sempre facile accettare la correzione. (Ebrei 12:11; Proverbi 3:11, 12) La tendenza è quella di
cercare di giustificarsi. Come Giobbe, senza volerlo possiamo aver detto o fatto qualcosa di errato. Forse
il nostro motivo era buono. Ma possiamo aver parlato senza conoscere tutti i fatti, con mancanza di
intendimento o di sensibilità. Può darsi che le nostre parole rispecchiassero un sentimento di superiorità
razziale o nazionale, oppure un atteggiamento rigido privo di fondamento scritturale su una certa
questione. Forse ci viene fatto notare che quanto abbiamo detto rispecchia soprattutto il nostro punto di
vista personale, e che ha ferito altri fino al punto di metterne in pericolo la spiritualità. Quando veniamo
corretti, riconosceremo, come fece Giobbe, di ‘aver parlato senza comprendere’ e saremo disposti a
‘ritrattare’? — Giobbe 42:3, 6.
Confidiamo in Dio, non nelle ricchezze
15 Bildad espresse delle riserve circa l’oggetto della fiducia di Giobbe, sostenendo che lui aveva
dimenticato Dio e aveva riposto la sua fiducia altrove. (Giobbe 8:13, 14) Tuttavia, anche se era stato
benedetto con molte cose materiali, Giobbe non riponeva fiducia in esse. La sua integrità non era stata
per nulla scossa dalla perdita di tutti i suoi possedimenti. (Giobbe 1:21) Nella sua difesa conclusiva
Giobbe disse: “Se ho posto nell’oro la mia confidenza, oppure ho detto all’oro: ‘Sei la mia fiducia!’ Se mi
rallegravo perché la mia proprietà era molta, e perché la mia mano aveva trovato una gran quantità di
cose; . . . anche questo sarebbe stato un errore da porsi all’attenzione dei giudici, poiché avrei rinnegato
il vero Dio di sopra”. — Giobbe 31:24-28.
16 Che dire di noi? Dove riponiamo la nostra fiducia: in Geova o nei beni materiali? Se fossimo pesati su
una bilancia accurata, come lo voleva essere Giobbe, Dio riconoscerebbe che sotto questo aspetto siamo
integri? La principale preoccupazione della nostra vita è realmente quella di fornire a Geova una condotta
integra con la quale rispondere alle insinuazioni di Satana? O ci preoccupiamo particolarmente di
soddisfare il nostro desiderio di piaceri e di possedimenti? Che ottima cosa poter essere come Giobbe e
rallegrare il cuore di Geova confidando in Lui, anziché dare indebita importanza a noi stessi o alle cose
materiali di cui possiamo avvalerci! Se confidiamo in Geova, mettendo al primo posto i suoi interessi, egli
promette di non lasciarci né abbandonarci. — Matteo 6:31-33; Ebrei 13:5, 6.
Moralità sessuale
17 I falsi confortatori di Giobbe non lo accusarono direttamente di aver tenuto una condotta sbagliata in
campo sessuale, ma insinuarono più volte che fosse colpevole di qualche colpa segreta per la quale Dio
lo puniva. Essendo un uomo ricco, “il più grande di tutti gli Orientali”, senza dubbio Giobbe ebbe delle
occasioni per avere rapporti sessuali extraconiugali. (Giobbe 1:3; 24:15) Altri servitori di Dio, sia prima
che dopo Giobbe, cedettero alle tentazioni sessuali. (Genesi 38:15-23; II Samuele 11:1-5) Giobbe, però,
si difese da qualsiasi insinuazione di questo genere, affermando: “Ho concluso un patto con i miei occhi.
Come potrei dunque mostrarmi attento a una vergine? . . . Se il mio cuore è stato adescato verso una
donna, e mi ponevo in agguato al medesimo ingresso del mio compagno . . . questo sarebbe stato
condotta dissoluta, e questo sarebbe stato un errore da porsi all’attenzione dei giudici”. — Giobbe 31:1,
9-11.
18 Forse in nessun altro modo Satana ha ottenuto tanto successo nell’indebolire l’integrità dei servitori di
Dio come inducendoli a commettere fornicazione. (Numeri, capitolo 25) È possibile imitare l’integrità di
Giobbe resistendo a qualsiasi allettamento a seguire una condotta errata in campo sessuale? È davvero
una sfida, particolarmente oggi, in questo mondo impazzito per il sesso nel quale l’immoralità è così
comune. Ma pensate a come è bello, una volta chiamati a rendere conto, poter ripetere con fiducia le
parole di Giobbe: “Dio conoscerà la mia integrità”! — Giobbe 31:6.
Cosa ci può aiutare
19 Non è facile imitare l’integrità di Giobbe, dato che oggi Satana tenta in ogni modo di infrangere la
nostra integrità come tentò di infrangere quella di Giobbe. È perciò essenziale rivestire la completa
armatura di Dio. (Efesini 6:10-18) Perciò dobbiamo schierarci dalla parte di Dio come fece Giobbe,
sempre desiderosi di piacerGli in ogni cosa che noi o i nostri familiari facciamo. (Giobbe 1:5) Pertanto
studiare la Bibbia, radunarsi regolarmente con i nostri conservi e dichiarare pubblicamente la nostra fede
sono cose di vitale importanza. — II Timoteo 2:15; Ebrei 10:25; Romani 10:10.
20 Ciò che in particolar modo può sostenerci nella prova è ciò che sostenne Giobbe: la fiducia che questa
vita non è tutto quello che c’è. “Se l’uomo robusto muore può egli tornare a vivere?”, chiese Giobbe. E in
risposta disse: “Tu chiamerai, e io stesso ti risponderò”. (Giobbe 14:13-15) L’avere la stessa fiducia che
Geova risusciterà i suoi servitori fedeli può aiutare anche noi ad affrontare qualsiasi prova Satana ci
metta davanti. (Ebrei 6:10) Molto tempo fa il salmista biblico scrisse: “In quanto a me, a causa della mia
integrità mi hai sostenuto, e mi metterai dinanzi alla tua faccia a tempo indefinito”. (Salmo 41:12) Possa
essere questo il felice futuro di ciascuno di noi: che Geova ci sostenga e ci preservi per sempre perché
siamo suoi servitori che mantengono l’integrità!
[Figura a pagina 17]
Vi è mai capitato, come capitò a Giobbe, di mettere in dubbio che ci siano vantaggi immediati nel
mantenere l’integrità?

w93 15/9 12-13 La perseveranza è essenziale per i cristiani


14 Quali situazioni misero alla prova la perseveranza di Giobbe? Egli subì un rovescio economico allorché
perse quasi tutti i suoi averi. (Giobbe 1:14-17; confronta Giobbe 1:3). Provò il dolore derivante dalla
perdita improvvisa di tutti e dieci i figli, uccisi da una tempesta di vento. (Giobbe 1:18-21) Fu colpito da
una malattia grave e assai dolorosa. (Giobbe 2:7, 8; 7:4, 5) Persino sua moglie fece pressione su di lui
perché rinnegasse Dio. (Giobbe 2:9) Intimi compagni gli dissero cose offensive, false e malevole.
(Confronta Giobbe 16:1-3 e Giobbe 42:7). Nonostante tutto, però, Giobbe rimase saldo e mantenne
l’integrità. (Giobbe 27:5) Le prove che sopportò sono simili a quelle che i servitori di Geova affrontano
oggi.
15 Cosa permise a Giobbe di sopportare tutte quelle prove? Una cosa che in particolare lo sostenne fu la
speranza. “Esiste speranza perfino per l’albero”, dichiarò. “Se è tagliato, germoglierà pure di nuovo, e il
suo proprio ramoscello non cesserà d’essere”. (Giobbe 14:7) Che speranza aveva Giobbe? Alcuni
versetti dopo si legge: “Se un uomo robusto muore, può egli tornare a vivere? . . . Tu chiamerai, e io
stesso ti risponderò. Bramerai l’opera delle tue mani”. (Giobbe 14:14, 15) Sì, Giobbe vedeva più in là
delle sofferenze del momento. Sapeva che le prove non sarebbero durate per sempre. Nella peggiore
delle ipotesi avrebbe dovuto perseverare sino alla morte. Nutriva la viva speranza che Geova, il quale ha
l’amorevole desiderio di risuscitare i morti, lo avrebbe riportato in vita. — Atti 24:15.
16 Cosa impariamo dalla perseveranza di Giobbe? Per perseverare sino alla fine non dobbiamo mai
perdere di vista la nostra speranza. Ricordate pure che la certezza della speranza del Regno significa
che qualunque sofferenza abbiamo è relativamente “momentanea”. (2 Corinti 4:16-18) La nostra preziosa
speranza è solidamente fondata sulla promessa di Geova, secondo la quale nel prossimo futuro “egli
asciugherà ogni lacrima dai [nostri] occhi, e la morte non ci sarà più, né ci sarà più cordoglio né grido né
dolore”. (Rivelazione 21:3, 4) Questa speranza, che “non conduce alla delusione”, deve custodire le
nostre facoltà mentali. (Romani 5:4, 5; 1 Tessalonicesi 5:8) Dev’essere reale per noi, così reale che con
gli occhi della fede possiamo già vederci nel nuovo mondo: non più a combattere contro malattie e
depressione, ma mentre ci alziamo ogni giorno in buona salute e con la mente serena; non più tormentati
da gravi problemi economici, ma mentre viviamo in sicurezza; non più a piangere la morte di persone
care, ma mentre proviamo la gioia di vederle risuscitare. (Ebrei 11:1) Senza questa speranza possiamo
sentirci così aggravati dalle prove attuali da gettare la spugna. Che potente incentivo è invece la nostra
speranza per continuare a lottare, a perseverare sino alla fine!

w94 15/11 10-14 Giobbe perseverò: Possiamo farlo anche noi!


Giobbe perseverò: Possiamo farlo anche noi!
“Ecco, noi dichiariamo felici quelli che hanno perseverato”. — GIACOMO 5:11.
‘IL DIAVOLO mi sta alle calcagna! Mi sento proprio come Giobbe!’ Con queste parole Alexander Hugh
Macmillan confidò i suoi sentimenti a un intimo amico alla sede mondiale dei testimoni di Geova. Il fratello
Macmillan terminò la sua vita terrena il 26 agosto 1966, all’età di 89 anni. Sapeva che il merito del fedele
servizio dei cristiani unti come lui ‘andava direttamente con loro’. (Rivelazione [Apocalisse] 14:13) In
effetti essi avrebbero continuato a servire Geova senza interruzione essendo risuscitati alla vita
immortale nei cieli. Gli amici furono felici che il fratello Macmillan avesse ottenuto la ricompensa. Nei suoi
ultimi anni sulla terra, però, fu afflitto da varie prove, fra cui la salute cagionevole che lo rese vivamente
cosciente dei tentativi di Satana di infrangere la sua integrità verso Dio.
2 Quando il fratello Macmillan disse che si sentiva proprio come Giobbe, si riferiva a un uomo che aveva
sopportato grandi prove di fede. Giobbe visse nel “paese di Uz”, probabilmente nell’Arabia settentrionale.
Discendente di Sem figlio di Noè, Giobbe era un adoratore di Geova. A quanto pare le prove di Giobbe
ebbero luogo fra la morte di Giuseppe e il tempo in cui Mosè si dimostrò un uomo retto. Durante quel
periodo nessuno sulla terra uguagliò Giobbe in quanto a santa devozione. Geova lo considerò un uomo
irriprovevole, retto e timorato di Dio. — Giobbe 1:1, 8.
3 Essendo “il più grande di tutti gli orientali”, Giobbe aveva molti servi e ben 11.500 capi di bestiame. Ma
per lui le ricchezze più importanti erano quelle spirituali. Come gli odierni padri timorati di Dio, molto
probabilmente Giobbe aveva insegnato ai sette figli e alle tre figlie a servire Geova. Anche dopo che
erano andati ad abitare per conto proprio, egli agiva da sacerdote per la sua famiglia offrendo sacrifici in
loro favore, nel caso avessero commesso dei peccati. — Giobbe 1:2-5.
4 I cristiani perseguitati fanno bene a riflettere sull’esempio di Giobbe per rafforzarsi ed esercitare
paziente perseveranza. “Ecco”, disse il discepolo Giacomo, “noi dichiariamo felici quelli che hanno
perseverato. Voi avete udito della perseveranza di Giobbe e avete visto il risultato che Geova diede, che
Geova è molto tenero in affetto e misericordioso”. (Giacomo 5:11) Come Giobbe, anche gli unti seguaci di
Gesù e l’odierna “grande folla” hanno bisogno di perseveranza per superare le prove della loro fede.
(Rivelazione 7:1-9) Ebbene, quali prove sopportò Giobbe? Perché ebbero luogo? E come possiamo
trarre beneficio dalla sua esperienza?
Una contesa infuocata
5 All’insaputa di Giobbe, in cielo stava per essere suscitata una grande contesa. Un giorno “i figli del vero
Dio entrarono per porsi dinanzi a Geova”. (Giobbe 1:6) Era presente l’unigenito Figlio di Dio, la Parola.
(Giovanni 1:1-3) C’erano anche gli angeli fedeli e i disubbidienti ‘figli [angelici] di Dio’. (Genesi 6:1-3) E
c’era pure Satana, perché la sua espulsione dal cielo non avvenne che dopo l’istituzione del Regno nel
1914. (Rivelazione 12:1-12) Ai giorni di Giobbe, Satana avrebbe suscitato un’infuocata contesa. Stava
per mettere in discussione la legittimità della sovranità di Geova su tutte le Sue creature.
6 “Da dove vieni?”, chiese Geova. Satana rispose: “Dal percorrere la terra e dal camminare per essa”.
(Giobbe 1:7) Era andato in cerca di qualcuno da divorare. (1 Pietro 5:8, 9) Infrangendo l’integrità dei
servitori di Geova, Satana tentava di dimostrare che nessuno avrebbe pienamente ubbidito a Dio per
amore. Accogliendo la sfida, Geova chiese a Satana: “Hai rivolto il cuore al mio servitore Giobbe, che non
c’è nessuno come lui sulla terra, uomo irriprovevole e retto, che teme Dio e si ritrae dal male?” (Giobbe
1:8) Giobbe soddisfaceva i requisiti divini, che tenevano conto della sua imperfezione. (Salmo 103:10-14)
Ma Satana replicò: “È per nulla che Giobbe ha temuto Dio? Non hai tu stesso posto una siepe attorno a
lui e attorno alla sua casa e attorno a ogni cosa che ha tutt’intorno? Hai benedetto l’opera delle sue mani,
e il suo stesso bestiame si è sparso sulla terra”. (Giobbe 1:9, 10) Così il Diavolo calunniò Geova,
lasciando intendere che nessuno ami e adori Geova per quello che è, ma che Egli corrompa le sue
creature affinché lo servano. Satana insinuò che Giobbe serviva Dio per tornaconto personale, non per
amore.
Satana all’attacco!
7 “Ma, per cambiare”, disse Satana, “stendi la tua mano, ti prego, e tocca tutto ciò che ha e vedi se non ti
maledirà nella tua medesima faccia”. Come avrebbe risposto Geova a quell’accusa sfrontata? “Ecco”,
disse Geova, “ogni cosa che ha è nella tua mano. Solo non stendere la tua mano contro lui stesso”! Il
Diavolo aveva detto che tutto ciò che Giobbe possedeva era benedetto, accresciuto e protetto. Dio
avrebbe lasciato che Giobbe soffrisse, sebbene la sua persona non dovesse essere toccata. Deciso a
fare il male, Satana lasciò l’assemblea. — Giobbe 1:11, 12.
8 Ben presto l’attacco satanico ebbe inizio. Uno dei servitori di Giobbe gli portò questa cattiva notizia: “I
bovini stessi stavano arando e le asine pascolavano accanto a loro quando i sabei fecero un’incursione e
li presero, e abbatterono i servitori col taglio della spada”. (Giobbe 1:13-15) La “siepe” che proteggeva i
beni di Giobbe era stata tolta. Quasi all’istante ci fu un diretto intervento demonico, perché un altro
servitore riferì: “Il medesimo fuoco di Dio cadde dai cieli e divampò fra le pecore e i servitori e li divorò”.
(Giobbe 1:16) Che idea diabolica far apparire Dio responsabile di quella calamità abbattutasi sul suo
stesso servitore! Dato che i fulmini vengono dal cielo, si sarebbe potuto facilmente dare la colpa a Dio,
ma in realtà quel fuoco era di origine demonica.
9 Mentre Satana proseguiva l’attacco, un altro servitore riferì a Giobbe che i caldei avevano preso i suoi
cammelli e ucciso tutto il resto della servitù. (Giobbe 1:17) Benché in questo modo Giobbe subisse la
rovina economica, ciò non rovinò la sua relazione con Dio. Sareste in grado di sopportare una grave
perdita materiale senza infrangere la vostra integrità verso Geova?
Una tragedia ancora più grave
10 L’attacco del Diavolo contro Giobbe non era ancora finito. Un altro servitore riferì: “I tuoi figli e le tue
figlie stavano mangiando e bevendo vino nella casa del loro fratello primogenito. Ed ecco, venne un gran
vento dalla regione del deserto, e colpì i quattro canti della casa, così che essa cadde sui giovani e
morirono. E io scampai, io solo, per riferirtelo”. (Giobbe 1:18, 19) Persone disinformate potrebbero dire
che quella devastazione causata dal vento fosse un ‘castigo di Dio’. Comunque, il potere demonico aveva
toccato Giobbe in un punto particolarmente sensibile.
11 Affranto, Giobbe ‘si strappò il manto senza maniche, si rase i capelli, cadde a terra e si inchinò’. Ma
ascoltate le sue parole: “Geova stesso ha dato, e Geova stesso ha tolto. Si continui a benedire il nome di
Geova”. Il racconto aggiunge: “In tutto questo Giobbe non peccò né attribuì a Dio nulla di sconvenevole”.
(Giobbe 1:20-22) Ancora una volta Satana era stato sconfitto. Che dire se quali servitori di Dio dovessimo
essere addolorati per la perdita di una persona cara? L’altruistica devozione a Geova e la fiducia in lui
possono aiutarci a perseverare e a mantenere l’integrità, come fece Giobbe. Gli unti e i loro compagni
che hanno la speranza terrena possono sicuramente trarre conforto dal racconto della perseveranza di
Giobbe.
La contesa si fa più accesa
12 Dopo un po’ Geova convocò un’altra assemblea nelle corti celesti. Giobbe aveva perso i figli e i beni e
sembrava fosse stato colpito da Dio, ma la sua integrità era intatta. Ovviamente Satana non avrebbe
ammesso che le sue accuse contro Dio e contro Giobbe erano false. Ora i ‘figli di Dio’ stavano per udire
le prove a carico e a discarico mentre Geova spingeva il Diavolo in modo da portare la contesa a una
chiarificazione definitiva.
13 Chiamando Satana a rendere conto, Geova gli chiese: “E tu, da dove vieni?” La risposta? “Dal
percorrere la terra e dal camminare per essa”. Ancora una volta Geova richiamò l’attenzione sul suo
servitore Giobbe, irriprovevole, retto, timorato di Dio, che ancora manteneva la sua integrità. Il Diavolo
ribatté: “Pelle per pelle, e l’uomo darà tutto ciò che ha per la sua anima. Per cambiare, stendi la tua
mano, ti prego, e tocca fino al suo osso e alla sua carne e vedi se non ti maledirà nella tua medesima
faccia”. Allora Dio disse: “Ecco, è nella tua mano! Solo bada alla sua stessa anima!” (Giobbe 2:2-6)
Insinuando che Geova non avesse ancora rimosso tutte le sue barriere protettive, Satana chiese di poter
toccare le ossa e la carne di Giobbe. Anche se non gli sarebbe stato permesso di uccidere Giobbe,
Satana sapeva che la malattia fisica lo avrebbe afflitto e avrebbe fatto sembrare che fosse punito da Dio
per qualche peccato nascosto.
14 Congedato da quell’assemblea, Satana si rimise all’opera con diabolica perfidia. Colpì Giobbe con
“foruncoli maligni dalla pianta del piede alla sommità del capo”. Com’era tragica la situazione di Giobbe
mentre sedeva in mezzo alla cenere e si grattava con un frammento di terracotta! (Giobbe 2:7, 8) Nessun
medico umano poteva dargli sollievo da quella malattia terribilmente dolorosa, ripugnante e umiliante,
poiché era causata dal potere satanico. Solo Geova poteva guarire Giobbe. Se sei un servitore di Dio e
sei malato, non dimenticare mai che Dio può aiutarti a sopportare e può darti la vita in un nuovo mondo
senza malattie. — Salmo 41:1-3; Isaia 33:24.
15 Infine la moglie disse a Giobbe: “Mantieni ancora la tua integrità? Maledici Dio e muori!” “Integrità”
denota irreprensibile devozione, e la moglie può aver usato un tono sarcastico per indurre Giobbe a
maledire Dio. Ma egli rispose: “Anche tu parli come parla una delle donne insensate. Accetteremo dal
vero Dio semplicemente ciò che è buono e non accetteremo anche ciò che è male?” Anche questo
tentativo di Satana andò a vuoto, perché leggiamo: “In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra”.
(Giobbe 2:9, 10) Supponete che familiari contrari ci dicessero che siamo stolti a prodigarci nelle attività
cristiane e ci esortassero a rinnegare Geova Dio. Come Giobbe potremmo sopportare con perseveranza
tale prova perché amiamo Geova e desideriamo lodare il suo santo nome. — Salmo 145:1, 2; Ebrei
13:15.
Tre arroganti impostori
16 In quello che si rivelò un altro stratagemma satanico, tre “compagni” andarono da Giobbe
apparentemente per confortarlo. Uno era Elifaz, probabilmente discendente di Abraamo attraverso Esaù.
Dato che Elifaz parlò per primo, è probabile che fosse il più anziano. C’era anche Bildad, discendente di
Suah, uno dei figli che Abraamo ebbe da Chetura. Il terzo era Zofar, detto il naamatita dal nome della
famiglia o dal luogo di residenza, forse nell’Arabia nord-occidentale. (Giobbe 2:11; Genesi 25:1, 2; 36:4,
11) Come quelli che oggi cercano di indurre i testimoni di Geova a rinnegare Dio, il trio era manovrato da
Satana che voleva indurre Giobbe a dichiararsi colpevole di false accuse e a infrangere la sua integrità.
17 I tre fecero gran mostra di commossa partecipazione, piangendo, strappandosi le vesti e gettandosi
polvere sulla testa. Ma poi si sedettero con Giobbe per sette giorni e sette notti senza pronunciare una
sola parola di conforto! (Giobbe 2:12, 13; Luca 18:10-14) Quei tre arroganti impostori erano così privi di
spiritualità che non avevano nulla di confortante da dire riguardo a Geova e alle sue promesse. Anzi,
trassero conclusioni errate e si prepararono a usarle contro Giobbe non appena avessero completato le
formalità relative alle condoglianze. Fatto interessante, prima che terminassero i sette giorni di silenzio, il
giovane Eliu si mise a sedere a una distanza da cui avrebbe potuto ascoltare la conversazione.
18 Alla fine Giobbe ruppe il silenzio. Non avendo ricevuto alcun conforto dai tre visitatori, maledisse il
giorno in cui era nato e si chiese perché la sua vita miserevole fosse stata prolungata. Desiderava trovare
pace nella morte, dando ormai per scontato che non avrebbe più potuto provare vera gioia prima di
morire, ora che era caduto in miseria, orbato dei figli e gravemente malato. Ma Dio non avrebbe lasciato
che Giobbe fosse toccato fino al punto di morire. — Giobbe 3:1-26.
Gli accusatori attaccano Giobbe
19 Elifaz fu il primo a parlare in ciascuno dei tre cicli in cui si articolò il dibattito che mise ulteriormente alla
prova l’integrità di Giobbe. Nel suo primo discorso Elifaz chiese: “Dove furono mai spazzati via i retti?” Ne
deduceva che Giobbe doveva aver fatto qualcosa di male per ricevere la punizione di Dio. (Giobbe,
capitoli 4, 5) Nel suo secondo discorso Elifaz schernì la sapienza di Giobbe e gli chiese: “Che cosa sai
effettivamente tu che noi non sappiamo?” Elifaz insinuava che Giobbe cercasse di mostrarsi superiore
all’Onnipotente. Concludendo il suo secondo attacco, descrisse Giobbe come un uomo colpevole di
apostasia, corruzione e inganno. (Giobbe, capitolo 15) Nel suo ultimo discorso Elifaz accusò falsamente
Giobbe di numerosi crimini: praticare l’estorsione, privare di pane e acqua i bisognosi, opprimere vedove
e orfani. — Giobbe, capitolo 22.
20 Parlando per secondo in ciascuno dei tre cicli del dibattito, Bildad seguì basilarmente il filo conduttore
stabilito da Elifaz. I discorsi di Bildad furono più brevi, ma più caustici. Arrivò al punto di accusare i figli di
Giobbe di aver commesso qualcosa per meritarsi la morte. Con un ragionamento capzioso, fece questa
illustrazione: Come il papiro e le canne senz’acqua si seccano, così accade a “tutti quelli che dimenticano
Dio”. La dichiarazione di per sé è vera, ma non si applicava a Giobbe. (Giobbe, capitolo 8) Bildad
classificò le afflizioni di Giobbe fra quelle che si abbattono sui malvagi. (Giobbe, capitolo 18) Nel suo
breve terzo discorso Bildad sostenne che l’uomo è “un baco” e “un verme”, pertanto impuro davanti a Dio.
— Giobbe, capitolo 25.
21 Zofar fu il terzo a parlare nel dibattito. In linea di massima la sua argomentazione ricalcò quella di
Elifaz e Bildad. Zofar accusò Giobbe di malvagità e lo esortò ad abbandonare le sue pratiche
peccaminose. (Giobbe, capitoli 11, 20) Dopo il secondo ciclo di discorsi Zofar smise di parlare. Al terzo
non aveva più nulla da dire. Comunque, durante l’intero dibattito Giobbe rispose intrepidamente ai suoi
accusatori. Per esempio, a un certo punto disse: “Siete tutti confortatori molesti! C’è una fine per le parole
piene di vento?” — Giobbe 16:2, 3.
Possiamo perseverare
22 Come Giobbe, possiamo dover affrontare più di una prova per volta, e Satana può servirsi dello
scoraggiamento o di altri fattori per cercare di infrangere la nostra integrità. Può cercare di metterci contro
Geova quando abbiamo problemi economici. Se muore una persona cara o siamo malati, Satana può
cercare di farci incolpare Dio. Come i compagni di Giobbe, qualcuno può addirittura accusarci
falsamente. Per usare le parole del fratello Macmillan, Satana potrebbe ‘starci alle calcagna’, ma
possiamo perseverare.
23 Come abbiamo visto finora, Giobbe sopportò numerose prove. Ma si limitò semplicemente a
sopportare? Il suo spirito era stato davvero fiaccato? Vediamo se Giobbe aveva realmente perso ogni
speranza.
[Foto a pagina 10]
Alexander H. Macmillan

w94 15/11 15-20 La ricompensa di Giobbe è fonte di speranza


La ricompensa di Giobbe è fonte di speranza
‘Geova benedisse la fine di Giobbe più del suo principio’. — GIOBBE 42:12.
GEOVA “è il rimuneratore di quelli che premurosamente lo cercano”. (Ebrei 11:6) Spinge inoltre i suoi
devoti servitori a dare coraggiosamente testimonianza, anche se le prove li hanno resi così deboli come
se fossero morti. (Giobbe 26:5; Rivelazione [Apocalisse] 11:3, 7, 11) Fu così per il sofferente Giobbe.
Benché calunniato da tre falsi confortatori, non fu messo a tacere dal timore dell’uomo. Al contrario, diede
un’intrepida testimonianza.
2 Molti odierni testimoni di Geova hanno subìto persecuzione e difficoltà talmente grandi da essere
prossimi alla morte. (2 Corinti 11:23) Come Giobbe, però, hanno mostrato amore verso Dio e praticato la
giustizia. (Ezechiele 14:14, 20) Sono anche venuti fuori dalle prove con la determinazione di piacere a
Geova, rafforzati per dare un’intrepida testimonianza e pieni di autentica speranza.

Giobbe dà un’intrepida testimonianza


3 Nel suo ultimo discorso Giobbe diede una testimonianza anche maggiore delle precedenti. Mise
completamente a tacere i suoi falsi confortatori. Con mordente sarcasmo disse: ‘Oh di quanto aiuto siete
stati a uno senza potenza!’ (Giobbe 26:2) Giobbe magnificò Geova, la cui potenza sospende la terra sul
nulla nello spazio e le nubi cariche d’acqua sopra la terra. (Giobbe 26:7-9) Eppure Giobbe disse che tali
meraviglie ‘non sono che i margini delle vie di Geova’. — Giobbe 26:14.
4 Certo della propria innocenza, Giobbe esclamò: “Finché spirerò non rimuoverò da me la mia integrità!”
(Giobbe 27:5) Contrariamente alle false accuse mosse contro di lui, non aveva fatto nulla per meritarsi i
guai che gli erano capitati. Giobbe sapeva che Geova non ascolta le preghiere degli apostati, ma
ricompensa chi mantiene l’integrità. Questo può aiutarci a ricordare che presto la tempesta di
Armaghedon spodesterà i malvagi, i quali non sfuggiranno all’inesorabile mano di Dio. Fino ad allora i
servitori di Geova continueranno a camminare nell’integrità. — Giobbe 27:11-23.
5 Immaginate quel trio di saggi dal punto di vista del mondo che ascoltano Giobbe mentre spiega che
l’uomo ha usato le sue capacità per trovare oro, argento e altri tesori nella terra e nel mare. “Ma”, dice
Giobbe, “una borsa di sapienza vale più di una piena di perle”. (Giobbe 28:18) I falsi confortatori di
Giobbe non potevano comprare la vera sapienza. La sua fonte è il Creatore del vento, della pioggia, del
fulmine e del tuono. Sì, il riverente “timore di Geova, questo è sapienza, e ritrarsi dal male è
intendimento”. — Giobbe 28:28.
6 Nonostante le sofferenze, Giobbe non smise di servire Geova. Invece di allontanarsi dall’Altissimo,
quest’uomo d’integrità anelava alla sua precedente “intimità con Dio”. (Giobbe 29:4) Non fu per vantarsi
che Giobbe raccontò come ‘liberava l’afflitto, si rivestiva di giustizia ed era un vero padre per i poveri’.
(Giobbe 29:12-16) Stava semplicemente narrando la sua vita di fedele servitore di Geova. Vi siete fatti
una reputazione simile? Naturalmente Giobbe intendeva anche smascherare la falsità delle accuse
rivoltegli dai tre impostori che facevano mostra di pietà religiosa.
7 Giobbe era deriso da uomini più giovani di lui, ‘i cui padri egli non avrebbe nemmeno posto con i cani
del suo gregge’. Era detestato e sputacchiato. Nonostante la sua grave afflizione, nessuno gli mostrava
considerazione. (Giobbe 30:1, 10, 30) Comunque, essendo pienamente devoto a Geova, Giobbe aveva
la coscienza a posto e poté dire: “Egli mi peserà su un’accurata bilancia e Dio conoscerà la mia integrità”.
(Giobbe 31:6) Giobbe non era un adultero né uno che tesseva inganni, né aveva trascurato di aiutare i
bisognosi. Pur essendo ricco, non aveva mai confidato nelle ricchezze materiali. Non aveva nemmeno
commesso idolatria rendendo devozione a cose inanimate, come la luna. (Giobbe 31:26-28) Confidando
in Dio, diede un ottimo esempio in quanto a mantenere l’integrità. Nonostante tutte le sofferenze e i falsi
confortatori, Giobbe si difese egregiamente e diede una splendida testimonianza. Avendo detto tutto
quello che doveva dire, si rimise a Dio quale suo Giudice e Rimuneratore. — Giobbe 31:35-40.
Parla Eliu
8 Lì vicino c’era il giovane Eliu, discendente di Buz figlio di Nahor e quindi lontano parente di Abraamo,
l’amico di Geova. (Isaia 41:8) Eliu mostrò rispetto per quelli più grandi di lui ascoltando entrambe le parti
nel dibattito. Nondimeno parlò intrepidamente riguardo a cose nelle quali essi erano in torto. Per
esempio, “la sua ira divampò contro Giobbe perché aveva dichiarato giusta la sua propria anima anziché
Dio”. L’ira di Eliu fu rivolta in particolare contro i falsi confortatori. Con le loro dichiarazioni
apparentemente esaltavano Dio, ma in realtà lo vituperavano schierandosi dalla parte di Satana nella
controversia. “Pieno di parole” e mosso dallo spirito santo, Eliu fu un imparziale testimone di Geova. —
Giobbe 32:2, 18, 21.
9 Giobbe si era preoccupato più di rivendicare se stesso che Dio. In effetti aveva conteso con Dio. Mentre
la sua anima si avvicinava alla morte, ci fu però un’indicazione che Giobbe sarebbe stato ristabilito. In
che modo? Ebbene, Eliu fu spinto a dire che Geova aveva favorito Giobbe con questo messaggio: “Non
farlo scendere nella fossa! Ho trovato un riscatto! La sua carne divenga più fresca che nella giovinezza;
torni egli ai giorni del suo vigore giovanile”. — Giobbe 33:24, 25.
10 Eliu corresse Giobbe perché aveva detto che non c’era alcun profitto nel provare piacere in Dio
mantenendo l’integrità. Eliu disse: “Lungi sia dal vero Dio l’agire malvagiamente, e dall’Onnipotente l’agire
ingiustamente! Poiché secondo il modo in cui l’uomo terreno agisce egli lo ricompenserà”. Giobbe aveva
agito avventatamente dando risalto alla propria giustizia, ma lo aveva fatto senza adeguata conoscenza e
perspicacia. Eliu aggiunse: “Lascia che Giobbe sia provato fino al limite riguardo alle sue risposte fra gli
uomini di nocività”. (Giobbe 34:10, 11, 35, 36) Similmente possiamo dimostrare pienamente la nostra
fede e la nostra integrità solo se in qualche modo siamo ‘provati fino al limite’. Tuttavia il nostro
amorevole Padre celeste non lascerà che siamo tentati oltre ciò che possiamo sopportare. — 1 Corinti
10:13.
11 Continuando, Eliu mostrò di nuovo che Giobbe dava troppo risalto alla propria giustizia. L’attenzione
deve essere rivolta al nostro grande Fattore. (Giobbe 35:2, 6, 10) Dio “non conserverà in vita nessun
malvagio, ma darà il giudizio degli afflitti”, disse Eliu. (Giobbe 36:6) Nessuno può chiedere conto a Dio e
dire che è stato ingiusto. Dio è più sublime di quanto possiamo immaginare e i suoi anni, essendo infiniti,
sono imperscrutabili. (Giobbe 36:22-26) Quando siamo duramente provati, ricordiamo che il nostro Dio
eterno è giusto e ci ricompenserà per le fedeli attività che svolgiamo alla sua lode.
12 Mentre Eliu parlava, si stava addensando una tempesta. Al suo avvicinarsi, il cuore di Eliu cominciò a
sobbalzare e a tremare. Dopo aver descritto alcune grandi opere di Geova, egli disse: “Presta orecchio a
questo, o Giobbe; sta fermo e mostrati attento alle meravigliose opere di Dio”. Come Giobbe, dobbiamo
riflettere sulle meravigliose opere di Dio e sulla sua tremenda dignità. “In quanto all’Onnipotente, non lo
abbiamo trovato”, disse Eliu. Egli “è esaltato in potenza, e non sminuirà il diritto e l’abbondanza di
giustizia. Perciò lo temano gli uomini”. (Giobbe 37:1, 14, 23, 24) Le espressioni conclusive di Eliu ci
rammentano che quando fra poco Dio eseguirà il giudizio sui malvagi, non sminuirà la giustizia e
preserverà coloro che lo temono e lo adorano con riverenza. Che privilegio essere fra gli uomini
d’integrità che riconoscono Geova quale Sovrano universale! Perseverate come fece Giobbe e non
permettete mai al Diavolo di allontanarvi dal vostro benedetto posto in mezzo a tali felici schiere.
Geova risponde a Giobbe
13 Come dovette rimanere stupito Giobbe quando Geova gli parlò dal turbine! Quella tempesta, a
differenza del gran vento di cui Satana si era servito per far crollare la casa e uccidere i figli di Giobbe,
era opera di Dio. Giobbe rimase senza parola quando Dio gli chiese: “Dov’eri tu quando io fondai la terra?
. . . Chi ne pose la pietra angolare, quando le stelle del mattino gridarono gioiosamente insieme, e tutti i
figli di Dio emettevano urla di applauso?” (Giobbe 38:4, 6, 7) Geova rivolse a Giobbe una domanda dopo
l’altra riguardo al mare, alla coltre di nubi che lo avvolge, all’aurora, alle porte della morte, alla luce e alle
tenebre, alle costellazioni. Quando gli venne chiesto: “Hai conosciuto gli statuti dei cieli?”, Giobbe non fu
in grado di rispondere. — Giobbe 38:33.
14 Altre domande indicarono che prima che l’uomo venisse creato e che gli fosse affidato il dominio sui
pesci, i volatili, le bestie e le creature striscianti, Dio provvedeva per loro senza bisogno di nessun aiuto o
consiglio da parte dell’uomo. Ulteriori domande di Geova riguardarono creature come il toro selvaggio, lo
struzzo e il cavallo. A Giobbe fu chiesto: “È per tuo ordine che l’aquila vola verso l’alto e costruisce in alto
il suo nido?” (Giobbe 39:27) Ovviamente no! Immaginate la reazione di Giobbe quando Dio gli chiese: “Ci
dev’essere alcuna contesa di uno che trova da ridire con l’Onnipotente?” Nessuna meraviglia che Giobbe
rispondesse: “Ecco, son divenuto di poco conto. Che cosa ti risponderò? Mi son messo la mano sulla
bocca”. (Giobbe 40:2, 4) Dato che Geova è sempre nel giusto, se mai provassimo la tentazione di
lamentarci contro di lui, ‘mettiamoci la mano sulla bocca’. Le domande di Dio evidenziarono anche la sua
superiorità, la sua dignità e la sua forza manifeste nella creazione.
Beemot e Leviatan
15 Successivamente Geova menzionò Beemot, in genere ritenuto l’ippopotamo. (Giobbe 40:15-24)
Questo erbivoro, dalla mole enorme e dalla pelle coriacea, “mangia erba verde”. I suoi fianchi e i fasci
muscolari del suo ventre racchiudono potenza ed energia. Le ossa delle sue zampe sono robuste come
“tubi di rame”. Beemot non si fa prendere dal panico nelle acque torrenziali, ma nuota senza difficoltà
contro corrente.
16 Dio chiese inoltre a Giobbe: “Puoi tu tirare fuori Leviatan con un amo, o puoi tenere giù la sua lingua
con una fune?” La descrizione del Leviatan corrisponde a quella del coccodrillo. (Giobbe 41:1-34) Questo
rettile non concluderà un patto di pace con nessuno, e nessun uomo saggio è così audace da provocarlo.
Le frecce non lo scacciano e “ride del vibrare del giavellotto”. Quando si adira, Leviatan fa ribollire le
profondità come una pentola d’unguento. Il fatto che Leviatan e Beemot fossero assai più potenti di
Giobbe lo aiutò a umiliarsi. Anche noi dobbiamo riconoscere umilmente che come singoli individui non
siamo potenti. Per sfuggire alla stretta di Satana, il Serpente, e per adempiere i nostri incarichi nel
servizio di Geova abbiamo bisogno della sapienza e della forza che Dio dà. — Filippesi 4:13; Rivelazione
12:9.
17 Completamente umiliato, Giobbe riconobbe che il suo punto di vista era errato e ammise di aver
parlato senza conoscenza. Tuttavia aveva espresso fede che avrebbe ‘contemplato Dio’. (Giobbe 19:25-
27) Come poteva avvenire questo, dato che nessun uomo può vedere Geova e vivere? (Esodo 33:20) In
effetti Giobbe vide la manifestazione della potenza di Dio, udì la sua parola e gli occhi del suo
intendimento furono aperti affinché comprendesse la verità riguardo a Geova. Perciò Giobbe ‘si ritrattò e
si pentì nella polvere e nella cenere’. (Giobbe 42:1-6) Le numerose domande cui non era stato in grado di
rispondere avevano dimostrato la supremazia di Dio e la piccolezza dell’uomo, anche di uno così devoto
a Geova come lui. Questo ci aiuta a capire che non dobbiamo porre i nostri interessi al di sopra della
santificazione del nome di Geova e della rivendicazione della sua sovranità. (Matteo 6:9, 10) La nostra
principale preoccupazione dovrebbe essere quella di mantenere l’integrità e di onorare il nome di Geova.
18 Ma che dire di quei confortatori falsi e ipocriti? Geova avrebbe potuto giustamente uccidere Elifaz,
Bildad e Zofar per non aver detto la verità su di lui, come invece aveva fatto Giobbe. “Prendetevi sette tori
e sette montoni e andate dal mio servitore Giobbe”, disse Dio, “e dovete offrire un sacrificio bruciato a
vostro proprio favore; e Giobbe mio servitore pregherà egli stesso per voi”. I tre dovettero umiliarsi per
farlo. L’integro Giobbe avrebbe dovuto pregare per loro e Geova accettò la sua preghiera. (Giobbe 42:7-
9) Che dire però della moglie di Giobbe, che lo aveva incitato a maledire Dio e morire? A quanto pare si
riconciliò col marito grazie alla misericordia di Dio.
Le ricompense promesse ci infondono speranza
19 Non appena Giobbe ebbe smesso di preoccuparsi delle sue sofferenze e fu ravvivato nel servizio di
Dio, Geova cambiò la sua situazione. Dopo che Giobbe ebbe pregato per i tre “compagni”, Dio “fece
volgere la cattività di Giobbe” e gli diede ‘tutto ciò che era stato suo in quantità doppia’. Geova mostrò di
essere superiore a Satana il Diavolo fermando la sua mano che aveva fatto ammalare Giobbe e
guarendo miracolosamente quest’ultimo. Inoltre Dio respinse le orde demoniche e le tenne a bada
innalzando di nuovo una siepe intorno a Giobbe mediante il Suo angelo che gli si accampò intorno. —
Giobbe 42:10; Salmo 34:7.
20 I fratelli e le sorelle di Giobbe e tutti quelli che in precedenza lo conoscevano andarono a mangiare a
casa sua, gli espressero la loro solidarietà e lo confortarono per la calamità che Geova aveva lasciato
venire su di lui. Ciascuno di loro diede a Giobbe del denaro e un anello d’oro. Geova benedisse la fine di
Giobbe più del suo principio, così che egli ebbe 14.000 pecore, 6.000 cammelli, 1.000 paia di bovini e
1.000 asine. Giobbe ebbe anche sette figli e tre figlie, esattamente quanti ne aveva prima. Le figlie —
Iemima, Chezia e Cheren-Appuc — erano le più belle del paese e Giobbe diede loro un’eredità tra i loro
fratelli. (Giobbe 42:11-15) Inoltre Giobbe visse altri 140 anni e vide quattro generazioni di discendenti. Il
racconto termina con queste parole: “Gradualmente Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni”. (Giobbe
42:16, 17) Geova Dio ne aveva miracolosamente allungato la vita.
21 Il racconto scritturale di Giobbe ci rende più consapevoli dei mezzi che Satana usa e ci aiuta a capire
che relazione c’è fra l’integrità dell’uomo e la sovranità universale. Come Giobbe, tutti coloro che amano
Dio saranno messi alla prova. Ma possiamo perseverare come Giobbe. Egli emerse dalle prove con fede
e speranza e ricevette molte ricompense. In qualità di odierni servitori di Geova, abbiamo vera fede e
speranza. E che meravigliosa prospettiva il grande Rimuneratore ha posto dinanzi a ciascuno di noi!
Tenere presente la ricompensa celeste aiuterà gli unti a servire lealmente Dio per il resto della loro vita
sulla terra. Molti che hanno la prospettiva di vivere sulla terra non moriranno mai, ma quelli che
dovessero morire saranno ricompensati con la risurrezione su una terra paradisiaca insieme allo stesso
Giobbe. Con questa autentica speranza nel cuore e nella mente, tutti coloro che servono Geova possano
dimostrare che Satana è un bugiardo rimanendo saldamente schierati dalla parte di Geova, mantenendo
l’integrità e sostenendo incrollabilmente la Sua sovranità universale.
[Figura a pagina 18]
Le parole di Geova riguardo a Beemot e a Leviatan aiutarono Giobbe a umiliarsi

w95 1/1 3-4 Mantenete l'integrità e vivete!


Mantenete l’integrità e vivete!
“MALEDICI Dio e muori!” Queste parole furono rivolte a Giobbe dalla moglie, com’è illustrato sulla
copertina di questa rivista. Il fatto risale a circa 3.600 anni fa. Tuttavia quell’aggressione verbale contro un
fedele servitore di Dio pone in rilievo una questione che tuttora l’umanità deve affrontare. Il fedele Giobbe
aveva subìto terribili perdite: il bestiame, la casa, i dieci figli. Ora il suo corpo era tormentato da una
malattia cronica, che lo provava fino al limite. La ragione? L’arcinemico di Dio e dell’uomo, Satana il
Diavolo, aveva lanciato una sfida secondo cui l’uomo non avrebbe mantenuto l’integrità verso Dio se
sottoposto a una severa prova. — Giobbe 1:11, 12; 2:4, 5, 9, 10.
Anche oggi, come ai giorni di Giobbe, “tutto il mondo giace nel potere del malvagio”, Satana il Diavolo. (1
Giovanni 5:19) Anzi, oggi è ancor più evidente, perché “colui che è chiamato Diavolo e Satana, che svia
l’intera terra abitata”, è stato scagliato dai cieli sulla terra. (Rivelazione [Apocalisse] 12:9) Questo spiega i
grossi guai che oggi affliggono il genere umano. La prima guerra mondiale, scoppiata nel 1914, segnò “il
principio dei dolori di afflizione”, che si sono susseguiti fin quasi al termine del XX secolo. — Matteo 24:7,
8.
In questo mondo crudele e degradato, vi sentite mai come se foste arrivati al limite della sopportazione?
Vi chiedete mai: ‘La vita ha davvero uno scopo?’ Forse Giobbe si sentiva così, ma, pur commettendo
degli errori, non perse mai la fede in Dio. Espresse la sua determinazione con queste parole: “Finché
spirerò non rimuoverò da me la mia integrità!” Era certo che Dio avrebbe ‘conosciuto la sua integrità’. —
Giobbe 27:5; 31:6.
Gesù Cristo stesso, il Figlio di Dio, dovette sopportare delle prove quand’era sulla terra. Satana lo attaccò
in vari modi. Cercò di approfittare dei bisogni fisici di Gesù e mise alla prova la Sua fiducia nella Parola di
Dio, come sul monte della tentazione. (Matteo 4:1-11) Angariò Gesù spingendo gli apostati scribi e farisei
e i loro seguaci a perseguitarlo, ad accusarlo di bestemmia e a cospirare per ucciderlo. (Luca 5:21;
Giovanni 5:16-18; 10:36-39; 11:57) Essi si comportarono con Gesù molto peggio di quanto non si fossero
comportati i tre falsi confortatori con Giobbe. — Giobbe 16:2; 19:1, 2.
Nel giardino di Getsemani, mentre si avvicinava al culmine della prova, Gesù disse ai discepoli: “L’anima
mia è profondamente addolorata, fino alla morte”. Poi “cadde sulla sua faccia, pregando e dicendo:
‘Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice. Tuttavia, non come io voglio, ma come tu vuoi’”.
Alla fine, sul palo di tortura, adempiendo le parole profetiche di Salmo 22:1, Gesù gridò: “Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato?” Ma in effetti Dio non abbandonò Gesù, perché questi mantenne una
perfetta integrità verso di Lui e provvide a tutti i cristiani un modello da seguire. Geova ricompensò Gesù
per la sua integrità risuscitandolo e innalzandolo nel più alto dei cieli. (Matteo 26:38, 39; 27:46; Atti 2:32-
36; 5:30; 1 Pietro 2:21) Dio ricompenserà tutti coloro che similmente manterranno l’integrità verso di lui.
Non solo l’integrità di Gesù diede un’esauriente risposta alla sfida di Satana, ma il sacrificio della sua
perfetta vita umana provvide il riscatto, in base al quale gli esseri umani che mantengono l’integrità
possono ottenere la vita eterna. (Matteo 20:28) Per prima cosa Gesù raduna un “piccolo gregge” di unti
che divengono suoi coeredi nel Regno dei cieli. (Luca 12:32) Dopo ciò viene radunata una “grande folla”
che sopravvivrà alla “grande tribolazione” ed erediterà la vita eterna nel reame terrestre del Regno di Dio.
— Rivelazione 7:9, 14-17.
L’integro Giobbe sarà fra i miliardi di morti che allora verranno risuscitati e diverranno parte della pacifica
società della “nuova terra”. (2 Pietro 3:13; Giovanni 5:28, 29) Com’è raffigurato nell’ultima pagina di
questa rivista, l’integrità di Giobbe fu ricompensata quando Geova “benedisse poi la fine di Giobbe più del
suo principio”. Egli acquistò forza spirituale in quanto “non peccò con le sue labbra”. Dio gli allungò la vita
di altri 140 anni. In senso materiale, Giobbe ricevette il doppio di tutto ciò che aveva prima ed ebbe “sette
figli e tre figlie”, le più belle ragazze di tutto il paese. (Giobbe 2:10; 42:12-17) Ma tutta questa prosperità
dà solo un’idea delle benedizioni che tutti coloro che mantengono l’integrità riceveranno nel Paradiso
della “nuova terra”. Come spiegano le pagine che seguono, anche voi potrete provare quella gioia!
[Figura a pagina 4]
Gesù diede un perfetto esempio in quanto a mantenere l’integrità

w97 15/5 22-3 Come trovare una speranza quando si è disperati


Come trovare una speranza quando si è disperati
SUPPONETE che vi sia capitato quanto segue: Tutti i vostri beni materiali sono andati distrutti e siete
rimasti sul lastrico. I vostri figli — la gioia della vostra vita — sono morti. Il vostro coniuge non vi dà
nessun appoggio morale. La vostra salute è letteralmente rovinata. Arrivare a sera è una sofferenza.
Se vi capitasse veramente qualcosa del genere, sapreste trovare una ragione per continuare a vivere? O
vi dareste in preda alla disperazione?
La triste situazione appena descritta è quella in cui si trovò Giobbe, un uomo vissuto nei tempi biblici.
(Giobbe, capitoli 1, 2) In un momento in cui si sentiva molto giù, Giobbe si lamentò: “La mia anima prova
certamente disgusto della mia vita”. Sarebbe morto volentieri per trarre sollievo. (Giobbe 10:1; 14:13)
Tuttavia, nonostante la sua immensa sofferenza, Giobbe rimase integro verso Dio. Perciò Geova
“benedisse poi la fine di Giobbe più del suo principio”. Pertanto egli morì in pace, “vecchio e sazio di
giorni”. — Giobbe 42:12, 17.
Giobbe diede un esempio di perseveranza che è elogiato ancora oggi. Le prove raffinarono la sua
personalità e spronarono altri a compiere opere buone. (Giacomo 5:10, 11) Ciò che più conta,
l’ineccepibile integrità di Giobbe fece rallegrare il cuore di Geova. (Proverbi 27:11) Fu così che un
tormentoso incubo si trasformò infine in un grandioso trionfo di devozione, fede e integrità che recò
benedizioni a Giobbe e a tutti quelli che sono stati toccati dal suo esempio.
Speranza nonostante varie prove
Potreste incontrare prove simili a quelle che ebbe Giobbe. La perdita di una persona cara può avervi
sconvolto profondamente. Una grave malattia può avere trasformato la vostra esistenza in un tormento.
Un penoso divorzio potrebbe avervi fatto pensare che la vita non abbia più senso. Rovesci economici
potrebbero avervi ridotto sul lastrico. Potreste essere vittime di violenta persecuzione da parte di
oppositori della vera adorazione. La lotta per far fronte alle prove potrebbe avervi fatto concludere di non
avere nessuna speranza per il futuro. — 1 Pietro 1:6.
Anziché disperarvi, chiedetevi: ‘Perché soffro?’ Soffrite perché vivete in un mondo che “giace nel potere
del malvagio”, Satana il Diavolo. (1 Giovanni 5:19) Ragion per cui tutti soffrono. In un modo o nell’altro
tutti noi risentiamo dell’odio istigato dal Diavolo contro il messaggio del Regno, delle parole poco gentili di
altri o delle azioni empie e orribili così comuni in questi “tempi difficili”. — 2 Timoteo 3:1-5.
Se nella vostra vita è accaduto qualcosa di tragico, forse siete stati vittime ‘del tempo e dell’avvenimento
imprevisto’. (Ecclesiaste 9:11) A volte, invece, nella vita le cose vanno storte a causa della nostra
peccaminosità ereditata. (Romani 5:12) Anche se avete commesso un errore grave, ma vi siete pentiti e
avete chiesto aiuto spirituale, non pensate di essere stati abbandonati da Dio. (Salmo 103:10-14;
Giacomo 5:13-15) Lui, più di ogni altro, ha cura di noi. (1 Pietro 5:6, 7) Potete essere sicuri che “Geova è
vicino a quelli che hanno il cuore rotto; e salva quelli che sono di spirito affranto”. (Salmo 34:18) Anche
davanti a una tragedia o a una dura prova, Geova può darvi la sapienza necessaria per farvi fronte.
(Giacomo 1:5-8) Ricordate sempre che Geova può sanare tutte le ferite. Se avete il suo favore, nulla può
impedirvi di ottenere il premio della vita. — Romani 8:38, 39.

W67 P.138-145
W98 1-5 P.30, 31

Giona (n. 1) — Tema: Adempite le responsabilità che Dio vi ha affidato 2°TIMOTEO 1:13, 14

it-1 1120-1 Giona


GIONA
[colomba].
1. Profeta di Geova, “figlio di Amittai”, originario di Gat-Hefer (2Re 14:25), città di confine del territorio di
Zabulon. (Gsè 19:10, 13) Adempiendo la parola di Geova pronunciata per mezzo del profeta Giona,
Geroboamo II re di Israele riuscì a ristabilire “la linea di confine d’Israele dall’entrata di Amat fino al mare
dell’Araba [il Mar Salato]”. (2Re 14:23-25; cfr. De 3:17). Sembra dunque che Giona abbia prestato
servizio come profeta per il regno delle dieci tribù durante il regno di Geroboamo II. Evidentemente è lo
stesso profeta che Geova incaricò di proclamare un giudizio contro Ninive (Gna 1:1, 2) e, perciò, anche lo
scrittore del libro che porta il suo nome.
Invece di assolvere l’incarico di predicare ai niniviti, Giona decise di fuggire. Nel porto di Ioppe riuscì a
imbarcarsi su una nave diretta in Tarsis (ritenuta generalmente la Spagna) oltre 3.500 km a O di Ninive.
— Gna 1:1-3; 4:2.
Dopo essere salito a bordo, Giona scese sottocoperta, “nelle parti più interne”, e cadde in un profondo
sonno. Nel frattempo i marinai, di fronte a un vento impetuoso mandato da Dio che minacciava di far
naufragare la nave, invocarono l’aiuto dei loro dèi e gettarono in mare il carico per alleggerire la nave. Il
capitano svegliò Giona, insistendo che anch’egli invocasse il suo “dio”. Alle fine i marinai tirarono a sorte
per vedere chi fosse responsabile della tempesta. Geova fece evidentemente in modo che la sorte
indicasse Giona. Quando fu interrogato, Giona confessò di non essere stato fedele al suo incarico. Non
volendo che altri perissero per causa sua, chiese di essere gettato in mare. Fallito ogni tentativo per
ritornare a terra, i marinai fecero secondo la parola di Giona e il mare si placò. — Gna 1:4-15.
Mentre Giona sprofondava sott’acqua, gli si avvinghiarono intorno alla testa delle alghe. Infine non ebbe
più la sensazione di annegare e si trovò all’interno di un grosso pesce. Giona pregò Geova, glorificandolo
quale Salvatore e promettendo di adempiere il voto fatto. Il terzo giorno il profeta fu vomitato sulla
terraferma. — Gna 1:17–2:10.
È ragionevole credere che i niniviti si siano pentiti in seguito all’avvertimento di Giona?
Ricevuto una seconda volta l’ordine di andare a Ninive, il profeta iniziò il lungo viaggio. “Infine Giona
cominciò a entrare nella città per la distanza di un giorno di cammino, e proclamava e diceva: ‘Solo
quaranta giorni ancora, e Ninive sarà rovesciata’”. (Gna 3:1-4) La Bibbia non rivela se Giona conosceva
la lingua assira o se aveva ricevuto miracolosamente la capacità di parlarla. Può anche darsi che abbia
parlato in ebraico, e che la sua proclamazione sia stata poi interpretata da qualcuno che conosceva la
lingua. Se pronunciate in ebraico, le parole di Giona avranno suscitato molta curiosità, perché molti si
saranno chiesti cosa diceva quello straniero.
Per alcuni critici è incredibile che i niniviti, re compreso, si siano mostrati sensibili alla predicazione di
Giona. (Gna 3:5-9) Interessanti a questo proposito sono le osservazioni di C. F. Keil: “La profonda
impressione fatta sui niniviti dalla predicazione di Giona, tale che l’intera città si pentì in sacco e cenere, è
ben comprensibile, se solo teniamo presente la grande emotività degli Orientali, il timore di un Essere
Supremo proprio di tutte le religioni pagane dell’Asia, e la grande stima di cui indovini e oracoli godevano
in Assiria dai tempi più remoti . . . , e se teniamo conto della circostanza che la comparsa di uno
straniero, il quale, senza alcun concepibile interesse personale e col più intrepido ardimento, rivelò alla
grande città residenza reale le sue empie vie e ne annunciò la distruzione entro un brevissimo periodo di
tempo, con la fiducia così caratteristica dei profeti inviati da Dio, non poteva non fare grande impressione
sulla mente della popolazione, impressione tanto più forte se la notizia del miracoloso operato dei profeti
d’Israele era giunta a Ninive”. — Commentary on the Old Testament, 1973, vol. X, Giona 3:9, pp. 407,
408.
Trascorsi 40 giorni senza che accadesse nulla a Ninive, Giona fu molto contrariato per il fatto che Geova
non aveva recato la calamità sulla città. Pregò persino che Dio lo facesse morire. Ma Geova gli rispose
chiedendogli: “Ti sei giustamente acceso d’ira?” (Gna 3:10–4:4) Il profeta lasciò allora la città e poi si
costruì una capanna. Là, a E di Ninive, Giona attese per vedere cosa sarebbe accaduto alla città. — Gna
4:5.
Quando una zucca da fiaschi crebbe miracolosamente facendogli ombra, il profeta se ne rallegrò molto.
Ma la sua gioia fu di breve durata. L’indomani, di prima mattina, un verme danneggiò la pianta, facendola
seccare. Privato della sua ombra, Giona rimase esposto a un ardente vento orientale con il sole cocente
che picchiava sulla sua testa. Ancora una volta, chiese di morire. — Gna 4:6-8.
Mediante questa pianta di zucca venne data a Giona una lezione di misericordia. Egli provava
commiserazione per la pianta, forse chiedendosi perché fosse morta. Eppure non l’aveva piantata né
coltivata. D’altra parte, essendo il Creatore e Sostenitore della vita, Geova a maggior ragione provava
commiserazione per Ninive. Il valore dei suoi abitanti e del bestiame era molto maggiore di quello di una
pianta di zucca. Perciò chiese a Giona: “Da parte mia, non dovrei provare commiserazione per Ninive la
gran città, in cui esistono più di centoventimila uomini che non conoscono affatto la differenza fra la
destra e la sinistra, oltre a molti animali domestici?” (Gna 4:9-11) Che Giona abbia capito la lezione è
indicato dalla schietta descrizione delle proprie esperienze.
Può darsi che in seguito Giona abbia incontrato almeno uno di coloro che erano a bordo della nave
partita da Ioppe, forse nel tempio di Gerusalemme, e da lui abbia saputo dei voti fatti dai marinai dopo
che la tempesta si era placata. — Gna 1:16; cfr. Gna 2:4, 9; vedi GIONA, LIBRO DI; NINIVE.

w76 15/5 293-6 Traete profitto dalle esperienze di Giona


Traete profitto dalle esperienze di Giona
QUALI SONO LE ESPERIENZE DI GIONA?
Il profeta israelita Giona riceve da Geova Dio il comando di andare nella città di Ninive per avvertirne gli
abitanti che saranno distrutti a causa della loro malvagità. Ma invece di ubbidire, Giona va nella direzione
opposta e prende una nave che fa vela per la Spagna. Geova fa levare una grande tempesta, e i marinai
gettano le sorti per scoprire chi potrebbe essere il responsabile della tempesta. La sorte cade su Giona.
Egli confessa la sua colpa e chiede loro di lanciarlo in mare, assicurando che allora la tempesta si
placherà. Riluttanti accondiscendono e, in effetti, la tempesta si calma.
Ma Giona non affoga. Geova ha un’opera da fargli compiere e lo fa ingoiare da un grande pesce. Dopo
tre giorni esso lo vomita sull’asciutto. Giona riceve di nuovo il mandato di avvertire i Niniviti. Questa volta
ubbidisce, va a Ninive e ne avverte gli abitanti che entro quaranta giorni saranno distrutti a causa della
loro malvagità. Ma, con sua grande meraviglia, si pentono tutti, dal più grande al più piccolo! Così Dio si
intenerisce. Giona è molto dispiaciuto di questa svolta degli avvenimenti e, imbronciato, esce dalla città e
si mette ad aspettare. Resosi conto che Dio si è davvero intenerito, manifesta uno spirito di scontentezza,
per cui Geova lo rimprovera.
REALMENTE ACCADUTE?
Considerando quanto sono importanti per noi le esperienze di Giona, anzitutto dobbiamo rispondere alla
domanda: Giona è realmente esistito ed ebbe davvero le esperienze menzionate nel libro biblico che
porta il suo nome? Se così non fosse, il messaggio contenuto nel libro di Giona non sarebbe altrettanto
valido ed efficace per noi.
Molti eruditi religiosi del nostro tempo dubitano che quelle di Giona siano esperienze reali. Pertanto, un
teologo protestante chiede: “Accadono cose simili in un mondo come il nostro?” E un gruppo di eruditi
cattolici romani dice che il libro di Giona è “un’avventura amena” consistente in “una serie di scherzi che
Dio giocò al suo profeta” e che il libro “mira a divertire” oltre che a istruire. Bastano due opinioni del
genere, tipiche di molte altre.
Ma sostenere che il libro di Giona non sia storico perché tali cose non accadono nel nostro giorno non è
né in armonia coi fatti né con il resto della Bibbia. La Bibbia comincia parlando della creazione. Oggi
vediamo avvenire la creazione? Nella Bibbia, da Genesi a Rivelazione, sono narrati anche miracoli. Il
fatto che non vediamo avvenire oggi tali miracoli vuol forse dire che questi miracoli non ci furono mai? I
libri della Bibbia furono scritti sotto ispirazione divina, ma vediamo all’opera nel nostro giorno una simile
ispirazione divina? È chiaro che spetta a Geova Dio scegliere il tempo e il modo di esercitare il suo potere
divino.
In quanto alle ragioni per cui possiamo considerare storico il libro di Giona, notate quanto segue: All’inizio
il libro di Giona segue lo stesso modello di altri cinque libri dei profeti “minori”: “La parola di Geova era
rivolta a Giona”. (Giona 1:1) Gli antichi eruditi ebrei accettarono il libro di Giona considerandolo autentico
e storico. Dati i suoi molti strani avvenimenti, non l’avrebbero certo accettato se non fossero stati convinti
della sua autenticità. L’onestà e la franchezza del libro gli danno l’impronta della verità. Giona non
nascose le sue debolezze né prima né dopo aver predicato ai Niniviti. È pure degno di nota che durante il
regno di Geroboamo II (IX secolo a.E.V.) Giona, figlio di Amittai, pronunciò una profezia che si adempì. (2
Re 14:23-25) Nelle Scritture Ebraiche i nomi di Giona e di suo padre ricorrono solo lì e in Giona 1:1. Pare
dunque che il Giona menzionato in Giona 1:1 sia la stessa persona menzionata in II Re 14:25, e questo
conferma che è davvero esistito.
Il fatto più importante è che Gesù Cristo citò il racconto di Giona e lo mise ripetutamente in relazione con
avvenimenti sulla cui storicità non c’è nessun dubbio. Pertanto in un’occasione disse: “Come Giona fu nel
ventre del grosso pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell’uomo sarà nel cuore della terra tre giorni e
tre notti”. (Matt. 12:39, 40) A che cosa sarebbe servito questo argomento o questo paragone se Giona
non fosse mai esistito, o se non avesse mai trascorso tre giorni e tre notti nel ventre di un grosso pesce?
Gesù Cristo disse inoltre che gli uomini di Ninive si sarebbero levati in giudizio contro i Giudei del suo
giorno perché i Niniviti ascoltarono Giona e si pentirono, mentre ora i Giudei avevano in mezzo a loro un
profeta molto più grande eppure non lo ascoltavano. (Matt. 12:41) Come si poteva fare un paragone
sfavorevole tra la condotta dei Giudei del giorno di Gesù e quella di uomini mai esistiti? È assurdo. Ma
non è tutto qui! A tale proposito Gesù condannò i Giudei del suo giorno perché non lo ascoltavano mentre
la regina di Saba fece un lungo viaggio per ascoltare il re Salomone, la cui grandezza non era neppure
paragonabile a quella di Gesù. Non v’è dubbio che Gesù, l’uomo più saggio e più istruito che sia mai
vissuto, considerò il racconto del libro di Giona così storico come il racconto sul re Salomone e sulla
regina di Saba. Questi racconti descrivono persone realmente esistite e avvenimenti realmente accaduti.
— Matt. 12:42.
CARATTERISTICHE E QUALITÀ DI GIONA
Che uomo fu Giona? Con tutta probabilità fu un uomo diffidente e poco sicuro di sé. Alcuni l’hanno
definito timido e vergognoso. In effetti, sembra proprio così dal momento che fuggì “d’innanzi a Geova”,
invece di adempiere il suo mandato. Ma esaminiamo prima la natura del mandato che aveva ricevuto da
Geova. Ricevette il comando di andare a Ninive. Quanto distava? Quasi mille chilometri in linea d’aria.
Poiché a quei giorni non c’erano strade dirette che portassero da Israele in Assiria, può darsi che avesse
dovuto fare un viaggio di 1.100-1.300 chilometri. E come? A piedi! Percorrendo pressappoco quaranta
chilometri al giorno, forse avrebbe impiegato un mese per arrivare a Ninive. Che città era Ninive? Era la
capitale dell’impero mondiale dell’Assiria, abitata da 120.000 pagani, che per giunta avevano la
reputazione d’essere malvagi. Non è strano che, solo a pensarci, l’incarico di andare lì a predicare il
messaggio ammonitore di Geova apparisse così formidabile!
La reazione che Giona ebbe quando Geova Dio si intenerì perché i Niniviti si erano pentiti lo fa apparire
in una luce piuttosto sfavorevole. Ma fu davvero un uomo tanto cattivo, che pensava solo a sé? In realtà,
no. Giona fu evidentemente di indiscussa onestà. In tutto il suo racconto, che scrisse senz’altro di suo
pugno, egli non si risparmia, ma riferisce le sue debolezze e manchevolezze. Tuttavia, c’è dell’altro. Egli
fu anche un fedele testimone di Geova Dio, poiché quando i marinai increduli gli chiesero chi era, egli
rispose con baldanza: “Sono un Ebreo, e temo Geova l’Iddio dei cieli, Colui che ha fatto il mare e
l’asciutto”. In un momento difficile ci volle coraggio per dir questo e anche per dir loro francamente che
era fuggito per sottrarsi a un incarico affidatogli da Geova. — Giona 1:9.
Ma non solo, quando la sorte cadde su di lui, egli pensò che ci fosse la mano di Geova, poiché
evidentemente conosceva ciò che diceva la Parola di Dio delle sorti. (Prov. 16:33; 18:18) Non volendo
dunque che gli innocenti marinai facessero naufragio per colpa sua, Giona disse loro: “Sollevatemi e
lanciatemi nel mare, e il mare vi si placherà; perché mi rendo conto che a motivo mio questa grande
tempesta è su di voi”. (Giona 1:12) Se fosse stato egoista senz’altro avrebbe taciuto, sperando di riuscire
in qualche modo a superare la tempesta insieme agli altri uomini che erano sulla nave. Tra parentesi, si
noti che la testimonianza da lui resa al vero Dio Geova portò frutto, poiché quando la tempesta si fu
placata i marinai offrirono un sacrificio a Geova e Gli fecero voti.
Abbiamo anche ragione di credere che Giona fu mansueto e ammaestrabile. Le persone mansuete sono
d’indole mite e si lasciano ammaestrare, come leggiamo: “[Geova] insegnerà ai mansueti la sua via”.
(Sal. 25:9) Giona non si inasprì, piuttosto si pentì. Mostrò di saper accettare la severa disciplina che Dio
gli impartì. Lo si capisce dalla preghiera che disse mentre era nel ventre del pesce, preghiera che indica
pure come Giona conoscesse bene il libro di Salmi. Tra l’altro, pregò: “Quando la mia anima venne meno
dentro di me, Geova fu Colui del quale mi ricordai. Quindi la mia preghiera venne a te, nel tuo santo
tempio. . . . In quanto a me, con la voce del rendimento di grazie per certo sacrificherò a te. Ciò che ho
votato, per certo pagherò. La salvezza appartiene a Geova”. — Giona 2:7, 9; Sal. 50:14; 3:8.
IMPARIAMO DALLE ESPERIENZE DI GIONA
Che cosa possiamo imparare dalle esperienze di Giona? Moltissimo! Il racconto esalta la grandiosa
potenza di Geova, mostrando, ad esempio, che egli può far levare una grande tempesta per adempiere il
suo proposito e quindi la può far placare secondo la sua volontà. Dà pure risalto al fatto che Geova
s’interessa anche di una città piena di pagani ed esalta la grande misericordia che egli può decidere di
mostrare verso tali persone. Vediamo anche come Geova fu longanime col suo profeta Giona,
insegnandogli lezioni di cui aveva tanto bisogno. — Giob. 37:23; Atti 10:34, 35; Eso. 34:6, 7; Rom. 2:4.
Le esperienze di Giona ci insegnano che è saggio ubbidire ai comandi di Geova. Ci aiutano pure a capire
più perfettamente che Geova vuole che siamo misericordiosi con gli altri. Possiamo mostrare tale qualità
facendo loro conoscere il proposito di Geova riguardo alla terra e all’uomo, con la fiducia che alcuni
ascolteranno come gli antichi Niniviti ascoltarono la predicazione di Giona. E se, a volte, incontriamo sul
nostro cammino ostacoli apparentemente insormontabili, vogliamo esercitare fede, come la esercitò
Giona nel ventre del pesce, che con l’aiuto di Geova possiamo sormontarli e continuare ad adempiere
l’incarico affidatoci. — Giac. 3:17; Matt. 5:7; Luca 6:35, 36; 17:5, 6.
Possiamo imparare molto anche dalla condotta di Giona, tanto sulle azioni che dovremmo compiere
quanto sulle azioni che non dovremmo compiere. Anzitutto, quando ci è affidato un difficile compito o
privilegio di servizio non dovremmo rifiutarci. Come Giona, potremmo riscontrare in seguito che non è poi
così difficile. Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che forse Giona decise di andare a Tarsis per un viaggio
d’affari. Quindi possiamo chiederci: Ci dedichiamo a volte a interessi commerciali secolari quando
potremmo abbondare “nell’opera del Signore”? E abbiamo preferenze in quanto alle persone a cui
dobbiamo predicare o al territorio in cui predicare, come le ebbe evidentemente Giona? Se Geova
avesse comandato a Giona di predicare un messaggio ammonitore agli abitanti di una delle città di
Giuda, senz’altro egli non avrebbe obiettato. Di nuovo, siamo noi come Giona lasciando che il timore
dell’uomo ci distolga dal fare il nostro dovere? — Ebr. 12:25; Giac. 4:13-15; 1 Cor. 15:58; Sal. 118:6.
Non dimentichiamo che Giona ebbe alcune qualità ammirevoli che faremmo bene a imitare. Siamo così
schietti e così onesti nella nostra vita di ogni giorno come lo fu Giona, sia in ciò che disse ai marinai che
nello scrivere tutto quello che avvenne? Come Giona, siamo sempre pronti a dire che siamo testimoni di
Geova? Siamo disposti a mettere il benessere altrui prima del nostro come lo fu Giona quando agì per la
salvezza dei marinai chiedendo loro di gettarlo in mare, ciò che, per quanto Giona poteva vedere,
avrebbe significato per lui solo la morte immediata negli abissi marini? — Sal. 11:7; 1 Piet. 3:15; Filip. 2:3,
4.
Sì, le esperienze di Giona contengono molte lezioni, e noi possiamo imparare da esse. Ci insegnano
quello che dobbiamo e quello che non dobbiamo fare. Ci insegnano a imitare le buone qualità
manifestate da Giona e a evitare i suoi errori. Siamo incoraggiati a imitare le ammirevoli qualità di Geova
Dio, e particolarmente la sua misericordia, la sua longanimità e il suo amore. La drammatica storia di
Giona ha notevole significato per noi perché a Giona queste cose accaddero realmente! — Rom. 15:4.

w86 15/9 16-19 Consigli che sono 'conditi con sale'


Fate esempi
7 Un’altra occasione in cui Gesù diede consigli fu quando i suoi discepoli si preoccupavano di chi sarebbe
stato il primo nel Regno dei cieli. Avrebbe potuto rimproverare con severità i suoi seguaci perché si
preoccupavano di cose simili. Gesù invece ‘condì le sue parole con sale’. Fatto avvicinare un bambino,
disse: “Chi si umilierà come questo fanciullino sarà il più grande nel regno dei cieli”. (Matteo 18:1-4; Luca
9:46-48) Il consiglio era chiaro, eppure benigno ed edificante. Indicando che il Regno dei cieli era molto
diverso dai regni di questo mondo, Gesù esortava i suoi seguaci ad essere umili e cercava di eliminare la
ragione della loro disputa.
8 Notate anche che efficace metodo di insegnamento usò Gesù in questa circostanza. Un esempio
vivente, un bambino! I consiglieri saggi spesso sanno dare sapore alle loro parole facendo esempi, i quali
hanno la caratteristica di mettere in risalto la serietà di una faccenda e possono aiutare colui che riceve i
consigli a ragionare e a vedere il problema sotto una luce nuova. Spesso gli esempi contribuiscono ad
allentare la tensione.
9 Quando mise in guardia Caino contro il grave pericolo di commettere un peccato molto serio, Geova
fece un efficace paragone fra il peccato e una bestia feroce. Disse: “Il peccato è in agguato all’ingresso, e
la sua brama si volge verso di te”. (Genesi 4:7) Quando Giona si adirò perché Geova aveva risparmiato i
niniviti pentiti, Dio gli diede una pianta come riparo. Poi, quando essa si seccò e Giona cominciò a
lamentarsi, Geova disse: “Tu, da parte tua, hai provato commiserazione per la pianta . . . Non dovrei io
provare commiserazione per Ninive la gran città, in cui esistono più di centoventimila uomini?” (Giona
4:5-11) Davvero un ottimo consiglio!
10 In maniera analoga, quando una giovane si era risentita perché i suoi genitori le avevano vietato certe
compagnie, un sorvegliante viaggiante cercò di aiutarla facendo questo esempio: “A te piace cucire,
vero? Supponiamo che tu abbia dedicato molto tempo per fare un bell’abito da regalare a un’amica. Se,
dopo averglielo donato, tu vedessi che lei lo usa per pulire il pavimento, come ti sentiresti?” La ragazza
ammise che le sarebbe dispiaciuto molto. Perciò il ministro proseguì: “È così che la pensano anche i tuoi
genitori. Ci hanno messo tanto per allevarti e sono orgogliosi di te. Perciò, desiderano che tu frequenti
persone che ti tratteranno bene, e non gente che finirà per farti del male”. Questo esempio aiutò la
ragazza a capire quali erano le intenzioni dei suoi genitori.
Fate domande
11 Avrete notato che, mentre spiegava a Giona che non aveva ragione di adirarsi, Geova fece delle
domande. Quando Giona, adirato per il fatto che Ninive non era stata distrutta, chiese di morire, Geova
disse: “Ti sei tu giustamente acceso d’ira?” Giona non rispose. Poi Geova lasciò che la pianta crescesse
e morisse. A quel punto Giona fu doppiamente irritato. Così Geova gli chiese: ‘Ti sei giustamente acceso
d’ira per la pianta?’ Questa volta Giona rispose: “Mi sono giustamente acceso d’ira, fino alla morte”. Ora
che il profeta gli aveva risposto, Geova mise a confronto l’atteggiamento di Giona verso una pianta con il
Suo atteggiamento verso Ninive e concluse chiedendo: “Non dovrei io provare commiserazione per
Ninive?” (Giona 4:4, 9, 11) In tal modo, a Giona fu consigliato di imitare l’atteggiamento di Geova verso i
niniviti che si erano pentiti.
12 Certo, le domande aiutano il consigliere a capire come la pensa colui che ha bisogno di suggerimenti.
Inoltre aiutano quest’ultimo a vedere meglio quali sono i suoi stessi problemi e quali motivazioni lo
spingono ad agire. Per esempio uno potrebbe insistere di avere il diritto di bere un bicchierino prima di
tornare a casa in auto. Può darsi che pensi veramente: ‘Su di me l’alcool non ha nessun effetto!’ Un
amico potrebbe voler fare questo ragionamento con lui: ‘Metti il caso, però, che tu rimanga coinvolto in un
incidente di cui non hai colpa. Cosa penserebbero gli agenti di polizia se si accorgessero che hai bevuto?
E metti anche il caso che, in realtà, l’alcool influisca anche solo minimamente sulla tua capacità di
reazione. Vuoi davvero metterti a guidare sapendo di non avere i riflessi pronti al 100 per cento? Vale la
pena di correre il rischio, solo per un bicchierino?’
13 I consigli cristiani si basano sempre sulla Bibbia. E, ogni qualvolta è possibile, i cristiani che danno
consigli usano direttamente la Bibbia. È uno strumento molto efficace. (Ebrei 4:12) Per fare un esempio:
Un anziano esperto cercava di aiutare una persona che non era più attiva nell’opera di predicazione.
L’anziano richiamò la sua attenzione sulla parabola di Gesù circa l’uomo che aveva due figli, ai quali
aveva chiesto di andare a lavorare nella sua vigna. Il primo disse che ci sarebbe andato, ma non ci andò.
Il secondo dapprima rifiutò, ma infine decise di andarci. (Matteo 21:28-31) A quel punto l’anziano chiese:
“Ora come ora, a quale dei due assomigli?” Il proclamatore capì subito il punto, specialmente allorché il
consigliere proseguì: “Secondo te, come vede la cosa Geova, il Proprietario della vigna?”
14 Lo stesso vale quando si cerca di aiutare chi ha dubbi, chi ha problemi coniugali o familiari, chi non va
d’accordo con altri o chi si trova in altre situazioni difficili. Abili domande aiutano quelli che ricevono i
consigli a ragionare, ad autoesaminarsi e a giungere alle conclusioni giuste.

w96 15/5 24-8 Giona impara a conoscere meglio la misericordia di Geova


Giona impara a conoscere meglio la misericordia di Geova
GEOVA ha deciso di affidare un incarico al profeta Giona. Siamo nel IX secolo a.E.V. e in Israele regna
Geroboamo II. Giona viene da Gat-Hefer, città della tribù di Zabulon. (Giosuè 19:10, 13; 2 Re 14:25) Dio
intende mandare Giona a Ninive, capitale dell’Assiria situata più di 800 chilometri a nord-est della città in
cui risiede. Deve avvertire i niniviti che è imminente la loro distruzione per mano di Dio.
Giona può aver pensato: ‘Andare in quella città e parlare a quella nazione? Non sono nemmeno devoti a
Dio. A differenza degli israeliti, quegli assiri sanguinari non hanno mai fatto un patto con Geova. La
popolazione di quella nazione malvagia potrebbe addirittura prendere il mio avvertimento per una
minaccia e muovere guerra contro Israele! Io non ci vado, non ci vado proprio! Raggiungerò subito Ioppe
e prenderò una nave che vada nella direzione opposta, fino a Tarsis, all’altra estremità del Mar Grande.
Farò così!’ — Giona 1:1-3.
Pericolo in mare!
Ben presto Giona è a Ioppe, sulla costa del Mediterraneo. Paga il viaggio e sale su una nave diretta a
Tarsis, generalmente associata con la Spagna, oltre 3.500 chilometri a ovest di Ninive. Una volta in mare,
il profeta scende sotto coperta e si addormenta per la stanchezza. Poco dopo Geova fa soffiare un gran
vento sul mare, e tutti i marinai, spaventati, invocano ciascuno l’aiuto del proprio dio. Il rullio e il
beccheggio della nave sono tali che per alleggerirla si decide di gettare in mare il carico. Il naufragio però
sembra ormai certo, e Giona sente il capitano che gli dice concitatamente: “Che hai, dormiglione? Levati,
invoca il tuo dio! Forse il vero Dio avrà cura di noi, e non periremo”. Giona si alza e va sul ponte. —
Giona 1:4-6.
“Venite, e gettiamo le sorti”, dicono i marinai, “per conoscere a causa di chi abbiamo questa calamità”. La
sorte cade su Giona. Immaginate la sua tensione quando i marinai dicono: “Dichiaraci, suvvia, a causa di
chi abbiamo questa calamità? Che lavoro fai, e da dove vieni? Qual è il tuo paese, e di quale popolo sei?”
Giona dice che è ebreo, che adora “Geova l’Iddio dei cieli” e che ha timore reverenziale di “Colui che ha
fatto il mare e l’asciutto”. La tempesta si è abbattuta su di loro perché lui, invece di portare
ubbidientemente il messaggio di Dio a Ninive, sta fuggendo dalla presenza di Geova. — Giona 1:7-10.
I marinai gli chiedono: “Che ti dovremmo fare, affinché il mare ci si plachi?” Mentre il mare si fa sempre
più tempestoso, Giona dice: “Sollevatemi e lanciatemi in mare, e il mare vi si placherà; perché mi rendo
conto che per causa mia questa grande tempesta è su di voi”. Non volendo gettare il servitore di Geova
in mare, dove andrebbe incontro a morte certa, i marinai cercano di guadagnare terra. Non riuscendoci,
gridano: “Ah, ora, o Geova, ti preghiamo, fa che non periamo a causa dell’anima di quest’uomo! E non
mettere su di noi sangue innocente, dato che tu stesso, o Geova, hai fatto secondo ciò in cui hai provato
diletto!” — Giona 1:11-14.
Gettato in mare!
Detto questo, i marinai gettano Giona in mare. Mentre sprofonda nel mare in burrasca, la furia delle
acque comincia a placarsi. Vedendo ciò ‘gli uomini provano grande timore di Geova, e gli offrono dunque
un sacrificio e fanno voti’. — Giona 1:15, 16.
Mentre le acque si richiudono su di lui, senza dubbio Giona prega. A un certo punto si accorge di
scivolare in un morbido tunnel che finisce in una cavità più ampia. Cosa sorprendente, riesce ancora a
respirare! Togliendosi le alghe attorcigliate intorno alla testa, Giona si ritrova in un posto davvero insolito.
Infatti ‘Geova aveva stabilito che un grande pesce inghiottisse Giona, così che Giona fu nelle parti
interiori del pesce per tre giorni e tre notti’. — Giona 1:17.
L’accorata preghiera di Giona
Nel ventre del gigantesco pesce, Giona ha tempo di pregare. Alcune cose che dice assomigliano a certi
salmi. In seguito Giona mise per iscritto le sue preghiere, che esprimono sia disperazione che
contrizione. Per esempio, pensò che il ventre del pesce sarebbe diventato per lui lo Sceol, la sua tomba.
Pregò dunque: “Dalla mia angustia chiamai Geova, ed egli mi rispondeva. Dal ventre dello Sceol invocai
soccorso. Tu udisti la mia voce”. (Giona 2:1, 2) Due dei canti delle ascese — probabilmente cantati dagli
israeliti quando salivano a Gerusalemme per le feste annuali — esprimono pensieri analoghi. — Salmo
120:1; 130:1, 2.
Riflettendo sulla sua discesa in mare, Giona prega Geova dicendo: “Quando mi gettasti nelle profondità,
nel cuore del mare aperto, un medesimo fiume mi circondò. Tutti i tuoi flutti e le tue onde, mi passarono
sopra”. — Giona 2:3; confronta Salmo 42:7; 69:2.
Giona teme che la disubbidienza gli costerà il favore di Dio e che non rivedrà mai più il tempio di Dio.
Dice in preghiera: “In quanto a me, dissi: ‘Sono stato cacciato d’innanzi ai tuoi occhi! Come contemplerò
ancora il tuo santo tempio?’” (Giona 2:4; confronta Salmo 31:22). Giona vede la situazione così tragica
che dice: “Le acque mi circondarono fino all’anima [mettendo in pericolo la sua vita]; le stesse acque
dell’abisso mi rinchiudevano. Alghe mi si avvinghiarono intorno alla testa”. (Giona 2:5; confronta Salmo
69:1). Immaginate la condizione di Giona, visto che aggiunge: “Scesi alle fondamenta dei monti
[all’interno del pesce]. In quanto alla terra, le sue sbarre [come quelle di una tomba] erano su di me a
tempo indefinito. Ma dalla fossa facevi risalire la mia vita [il terzo giorno], o Geova mio Dio”. — Giona 2:6;
confronta Salmo 30:3.
Pur trovandosi nel ventre del pesce, Giona non pensa: ‘Sono così depresso che non riesco a pregare’. Al
contrario, prega e dice: “Quando la mia anima venne meno dentro di me [in punto di morte], Geova fu
Colui del quale mi ricordai [con fede, come Colui che ha incomparabile potenza e misericordia]. Quindi la
mia preghiera venne a te, nel tuo santo tempio”. (Giona 2:7) Dal tempio celeste Dio udì Giona e lo salvò.
Giona conclude la preghiera dicendo: “In quanto a quelli che osservano gli idoli di falsità [confidando nelle
immagini inanimate dei falsi dèi], lasciano la loro propria amorevole benignità [abbandonando Colui che
mostra questa qualità]. Ma in quanto a me, con la voce del rendimento di grazie certamente sacrificherò a
te [Geova Dio]. Il voto che ho fatto [in questa circostanza o in altre], certamente pagherò. La salvezza
appartiene a Geova”. (Giona 2:8, 9; confronta Salmo 31:6; 50:14). Consapevole che solo Dio può
liberarlo dalla morte, il profeta pentito (come fecero il re Davide e il re Salomone prima di lui) ascrive la
salvezza a Geova. — Salmo 3:8; Proverbi 21:31.
Giona ubbidisce
Dopo aver riflettuto molto e pregato ardentemente, Giona si sente spingere fuori del tunnel attraverso cui
era entrato. Alla fine viene gettato sull’asciutto. (Giona 2:10) Grato di essere stato liberato, Giona
ubbidisce a Dio, che gli dice: “Levati, va a Ninive la gran città, e proclamale la proclamazione che ti
pronuncio”. (Giona 3:1, 2) Giona parte per la capitale dell’Assiria. Quando apprende che giorno è, si
accorge di essere rimasto nel ventre del pesce per tre giorni. Il profeta attraversa il fiume Eufrate presso
l’ampia ansa occidentale, si dirige a est attraversando la Mesopotamia settentrionale, arriva al fiume Tigri
e infine raggiunge la gran città. — Giona 3:3.
Giona entra a Ninive, la gran città. Ne percorre le strade per un giorno e poi dichiara: “Solo quaranta
giorni ancora, e Ninive sarà rovesciata”. Giona ha forse ricevuto il dono miracoloso della conoscenza
della lingua assira? Non lo sappiamo. Ma anche se parla in ebraico e qualcun altro interpreta, la sua
proclamazione dà risultati. Gli uomini di Ninive cominciano a riporre fede in Dio. Proclamano un digiuno e
si vestono di sacco, dal più grande al più piccolo. Quando la notizia giunge agli orecchi del re di Ninive,
egli si alza dal trono, si toglie la veste ufficiale, si copre di sacco e si mette a sedere in mezzo alla cenere.
— Giona 3:4-6.
Com’è sorpreso Giona! Il re assiro invia banditori che proclamano: “Nessun uomo e nessun animale
domestico, nessuna mandria e nessun gregge deve assaggiare alcuna cosa. Nessuno deve prendere
cibo. Non devono bere nemmeno acqua. E si coprano di sacco, uomo e animale domestico; e invochino
Dio con forza e si convertano, ciascuno dalla sua cattiva via e dalla violenza che era nelle loro mani. Chi
sa se il vero Dio si volgerà e realmente proverà rammarico e si volgerà dalla sua ira ardente, così che
non periamo?” — Giona 3:7-9.
I niniviti ubbidiscono al decreto del re. Quando Dio vede che si sono allontanati dalla loro cattiva via,
prova rammarico per la calamità che aveva detto di voler causare loro, e vi rinuncia. (Giona 3:10) A
motivo del loro pentimento, della loro umiltà e della loro fede, Geova decide di non infliggere la
preannunciata punizione.
Il profeta è contrariato
Passano quaranta giorni e a Ninive non accade nulla. (Giona 3:4) Comprendendo che i niniviti non
saranno distrutti, Giona prova vivo disappunto e, accesosi d’ira, dice a Dio in preghiera: “Ah, ora, o
Geova, non era questo affar mio, mentre ero sul mio proprio suolo? Perciò andai avanti e fuggii a Tarsis;
poiché sapevo che tu sei un Dio clemente e misericordioso, lento all’ira e abbondante in amorevole
benignità, e provi rammarico della calamità. E ora, o Geova, togli via da me, ti prego, la mia anima,
poiché morire è per me meglio che vivere”. Geova risponde con questa domanda: “Ti sei giustamente
acceso d’ira?” — Giona 4:1-4.
A questo punto Giona lascia contrariato la città. Andando verso est, erige una capanna per sedersi
all’ombra in attesa di vedere cosa accadrà alla città. A sua volta Geova, compassionevolmente,
‘stabilisce che una zucca da fiaschi salga sopra Giona, per fare ombra alla sua testa, per liberarlo dal suo
stato calamitoso’. Come si rallegra Giona per la zucca da fiaschi! Ma Dio fa in modo che al sorgere
dell’aurora un verme colpisca la pianta, che comincia ad avvizzire. Di lì a poco è completamente secca.
Dio manda anche un arido vento orientale. Ora il sole batte sulla testa del profeta, tanto che si sente venir
meno. Continua a chiedere di morire. Sì, dice ripetutamente: “Morire è per me meglio che vivere”. —
Giona 4:5-8.
Ora parla Geova, che chiede a Giona: “Ti sei giustamente acceso d’ira per la zucca da fiaschi?” Giona
risponde: “Mi sono giustamente acceso d’ira, fino alla morte”. In sostanza ora Geova dice al profeta: ‘Tu
hai provato commiserazione per la zucca da fiaschi. Eppure non avevi faticato per farla crescere. È
venuta su ed è perita come la semplice crescita di una notte’. Dio prosegue quindi il ragionamento: ‘Io, da
parte mia, non dovrei provare commiserazione per Ninive la gran città, abitata da più di 120.000 uomini
che non conoscono la differenza fra la destra e la sinistra, oltre che da molti animali domestici?’ (Giona
4:9-11) La risposta è ovvia.
Giona si pente e in seguito mette per iscritto il libro biblico che porta il suo nome. Come fece a sapere
che i marinai ebbero timore di Geova, che Gli offrirono un sacrificio e che Gli fecero dei voti? Può averlo
appreso per ispirazione divina o forse nel tempio da uno dei marinai o dei passeggeri. — Giona 1:16; 2:4.
‘Il segno di Giona’
Quando gli scribi e i farisei chiesero un segno a Gesù Cristo, egli disse: “Una generazione malvagia e
adultera va in cerca di un segno, ma non le sarà dato nessun segno eccetto il segno del profeta Giona”.
E aggiunse: “Poiché come Giona fu nel ventre del grosso pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio
dell’uomo sarà nel cuore della terra tre giorni e tre notti”. (Matteo 12:38-40) Il giorno ebraico cominciava
al tramonto. Cristo morì il venerdì pomeriggio 14 nisan 33 E.V. Il suo corpo fu posto in una tomba prima
del tramonto di quel giorno. Il 15 nisan cominciò quella sera e andò fino al tramonto del sabato, settimo e
ultimo giorno della settimana. A quel punto iniziò il 16 nisan, che continuò fino al tramonto di quella che
noi chiamiamo domenica. Di conseguenza Gesù rimase morto nella tomba per parte del 14 nisan, per
tutto il 15 nisan e per le ore notturne del 16 nisan. Quando la domenica mattina alcune donne si recarono
alla tomba, era già stato risuscitato. — Matteo 27:57-61; 28:1-7.
Gesù rimase nella tomba per parte di tre giorni. Così i suoi nemici ricevettero ‘il segno di Giona’. Ma
Cristo disse: “Gli uomini di Ninive sorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno;
perché essi si pentirono alla predicazione di Giona, ma, ecco, qui c’è più di Giona”. (Matteo 12:41)
Quanta verità in queste parole! Gli ebrei avevano in mezzo a loro Gesù Cristo, un profeta assai maggiore
di Giona. Giona fu un segno adeguato per i niniviti, ma Gesù predicò con un’autorità molto più grande e
una dovizia di prove assai maggiore di quell’antico profeta. Eppure la maggioranza degli ebrei non
credette. — Giovanni 4:48.
Come nazione, gli ebrei non accettarono umilmente il Profeta più grande di Giona e non esercitarono
fede in Lui. Ma che dire dei loro antenati? Anch’essi mancarono di fede e non mostrarono uno spirito
umile. Infatti la predicazione svolta da Giona a Ninive mise in risalto la differenza fra i niniviti pentiti e gli
israeliti dal collo duro, del tutto privi di fede e di umiltà. — Confronta Deuteronomio 9:6, 13.
Che dire di Giona stesso? Imparò quanto sia grande la misericordia di Dio. Per di più la reazione di
Geova alla lamentela di Giona per la pietà mostrata ai niniviti che si pentirono dovrebbe farci capire che
non dobbiamo lamentarci quando il nostro Padre celeste mostra misericordia alle persone oggi. Sì,
rallegriamoci che ogni anno migliaia di persone si volgano a Geova con fede e cuore umile!

km 7/74 2 Adunanze di Servizio


Min. 20: Traete personale beneficio dal modo di vivere di Giona.
Giona visse probabilmente nel nono secolo a.E.V. Visse l’esperienza che narrò. Il libro che scrisse è il
solo nelle Scritture Ebraiche che riguardi esclusivamente un messaggio profetico mandato da Geova a
una città non israelita il cui popolo effettivamente si pentì.
Invitate i fratelli ad aprire la Bibbia al libro di Giona. Invitateli ad esprimersi facendo loro queste domande:
1. Secondo Giona 1:1, 2, quale incarico ricevette Giona da Geova e quali problemi gli presentò? Secondo
il versetto 3 di Giona 1, come reagì Giona all’incarico?
CHE COSA APPRENDIAMO DA QUESTO? Accettate volenterosamente gli incarichi di servizio e
cercate, con l’aiuto di Geova, di adempierli senza brontolare, senza trovare da ridire o sottrarvi ad essi.
2. Quando Giona fuggì per non adempiere il suo incarico, che cosa fece Geova, secondo il versetto 4 di
Giona 1? Che cosa accadde dopo che l’equipaggio della nave ebbe gettato Giona in mare? (1:15-17)
Qual è la prova che Giona riconobbe di aver seguìto una condotta sbagliata? (2:1, 7, 9) Come sappiamo
che Geova udì la preghiera di Giona e mostrò misericordia? (2:10)
CHE COSA APPRENDIAMO DA QUESTO? Quando ci mostriamo sinceramente pentiti di un passato
errore e chiediamo aiuto a Geova, egli lo concede. Dobbiamo stare attenti a non accettare la sua
immeritata benignità venendo meno al suo scopo.
3. Quale comando ripeté Geova a Giona? (3:1, 2) Che cosa fece ora Giona? (3:3, 4) Quali furono i
risultati? (3:5-9) Quale fu la reazione di Dio? (3:10) Come si sentì Giona riguardo alla misericordia
mostrata da Dio? (4:1-3, 5)
CHE COSA APPRENDIAMO DA QUESTO? Non pensate come lo pensò Giona in principio, che Geova
abbia verso di noi il dovere di fare una certa cosa. Geova non doveva distruggere il popolo di Ninive solo
perché Giona aveva predicato quel messaggio. Non dobbiamo pensare che quelli ai quali predichiamo
debbano ricevere un avverso giudizio per il modo in cui accolgono il messaggio che rechiamo; dobbiamo
piuttosto attendere Geova e sperare il meglio per loro. Possono cambiare disposizione e pentirsi.
Una volta non pensavamo che tanti sarebbero tornati nella risurrezione, ma non c’è nessuna ragione di
dispiacerci della misericordia di Geova; invece, ci rallegriamo che le decisioni giudiziarie siano nelle mani
di Geova e di suo Figlio.
4. Quale ulteriore benedizione Geova diede a Giona? (4:6) Che cosa turbò la condizione di benessere di
Giona? (4:7, 8) Quale appropriato paragone fece Geova? (4:10, 11)
CHE COSA APPRENDIAMO DA QUESTO? Non mancate mai di apprezzare l’immeritata benignità che
Geova ci mostra. Rallegratevi anche quando è mostrata misericordia ad altri.
Il racconto rivela che Giona fu un fedele servitore di Geova. Fu sincero, onesto, scrivendo anche in merito
alla sua attitudine e alle opere di Geova verso di lui. Ricordate il racconto e traetene personale beneficio.

km 1/78 2 Adunanze di servizio


Min. 28: “Potete trarre profitto dall’esperienza di Giona?” Vi è molto che possiamo imparare da ciò che
accadde al tempo di Giona. Partecipazione dell’uditorio:
Leggere Giona 1:1-3. Quale incarico di servizio ricevette Giona? (vers. 2) (Molto simile al nostro oggi) Chi
lo mandò? (vers. 1)
Invitate i presenti a osservare la cartina sulla pagina di risguardo all’inizio della Bibbia e a trovare la città
di Ioppe. Dov’era Ninive? Dov’era Tarsis? Quanto maggiore sarebbe stata la distanza fino a Tarsis di
quella fino a Ninive? Pensate che fosse stolto da parte di Giona lasciare il popolo di Geova e cercare di
andare tanto lontano, senza la benedizione di Geova, per evitare il suo incarico? Perché?
Perché mostreremmo di avere un motivo errato se programmassimo le nostre altre attività nel deliberato
tentativo di evitare di partecipare pienamente all’opera di predicare e fare discepoli affidataci da Geova?
Che accadde a Giona per aver cercato di evitare l’incarico datogli da Geova? (Giona 1:4, 10, 12, 17)
Leggere Giona 2:1, 2, 9, 10. Che fece Giona per ricevere aiuto? (vers. 1) Udì Geova la sua preghiera?
(vers. 2) Cosa promise Giona a Geova? (vers. 9) Secondo il versetto 10, che accadde a Giona? Cosa
possiamo imparare da questi versetti?
Leggere Giona 3:1-4. Quant’era vasto il territorio di Ninive? (vers. 3) Quale fu il messaggio proclamato da
Giona? (vers. 4) Pensate che fosse facile per Giona predicare tale messaggio?
Leggere Giona 3:5, 8, 10. Perché Geova mostrò misericordia al popolo di Ninive? Credete che Geova
mostrerà ora misericordia alle persone che ripongono fede in lui e abbandonano le loro cattive vie? Come
ciò sottolinea l’urgenza di compiere oggi l’opera di fare discepoli?
Leggere Giona 4:1, 3, 4. Che pensò Giona quando Geova non distrusse Ninive nel momento in cui Giona
se l’aspettava? Fu un atteggiamento giusto?
Leggere Giona 4:11. Come il versetto 11 indica che Geova desidera che le persone si pentano e vivano?
Come Giona descrisse Geova nel versetto 2⇒ di Giona 4⇐? Come dovremmo considerare il fatto che
Geova fa continuare l’opera di predicazione e altre persone ancora imparano la verità? Fate commentare
uno o due proclamatori che hanno conosciuto la verità negli ultimi due anni e apprezzano la pazienza di
Geova nel far continuare la predicazione.
Gionadab (figlio di Recab) — Tema: Sostenete lealmente quelli che prendono la direttiva EBREI 13:17

it-1 1123-4 Gionadab


GIONADAB
(Giònadab) [dall’ebr. Yehohnadàb, Yohnadàb, “Geova è disposto (nobile, generoso)”].
In ebraico entrambe le forme sono usate scambievolmente per ciascuno dei due personaggi che portano
questo nome.
2. Figlio di Recab; compagno del re Ieu. Il suo incontro con Ieu non fu casuale, perché di propria iniziativa
Gionadab “gli veniva incontro” e, a sua volta, ricevette la benedizione di Ieu. I successivi avvenimenti
dimostrano che Gionadab era completamente d’accordo con la decisione di Ieu di eliminare l’adorazione
di Baal da Israele. A ciascuna proposta di Ieu, Gionadab rispose subito in modo affermativo. Ieu chiese:
“È il tuo cuore retto verso di me?” La risposta fu: “Lo è”. “Dammi in effetti la mano”, disse Ieu; e Gionadab
gli diede la mano. Una volta sul carro di Ieu, fu detto a Gionadab: “Vieni con me e guarda come non
tollero nessuna rivalità verso Geova”. Ancora una volta egli mostrò la sua prontezza. Infine, quando
giunsero a Samaria e tutti gli adoratori di Baal furono radunati, Gionadab non si tirò indietro, ma
accompagnò Ieu nella casa di Baal e rimase al suo fianco durante la carneficina che seguì. Allo stesso
tempo Ieu mostrò completa fiducia in Gionadab. — 2Re 10:15-28.
Quasi 300 anni dopo, i discendenti di Gionadab, i recabiti, per volere di Geova furono usati da Geremia
come esempio di fedeltà ai comandi del loro antenato, in contrasto con la disubbidienza a Dio
manifestata dal popolo di Giuda e di Gerusalemme. Gionadab aveva ordinato ai recabiti di vivere in
tende, di non seminare seme né piantare viti e di non bere vino. Quando Geremia offrì loro del vino, essi
lo rifiutarono, riferendosi al comandamento del loro antenato Gionadab. Per tale fedeltà Geova promise:
“Non sarà stroncato da Gionadab figlio di Recab un uomo che stia sempre dinanzi a me”. — Ger 35:1-19.

w80 15/6 26-8 Liberazione e sopravvivenza al crollo della cristianità


14 Geremia ubbidì. (Ger. 35:3-5) Ma i recabiti rifiutarono di bere anche dietro invito del profeta, e dissero:
“Noi non berremo vino, perché Gionadab figlio di Recab, nostro antenato, ci impose comando, dicendo:
‘Non dovete bere vino, né voi né i vostri figli, a tempo indefinito. E non dovete edificare casa, e non
dovete seminare seme; e non dovete piantare vigna, né deve divenire vostra. Ma dovreste dimorare in
tende per tutti i vostri giorni, per continuare a vivere per molti giorni sulla superficie della terra dove
risiedete come forestieri’.
“Noi continuiamo dunque a ubbidire alla voce di Gionadab figlio di Recab nostro antenato in ogni cosa
che ci comandò non bevendo affatto vino in tutti i nostri giorni, noi, le nostre mogli, i nostri figli e le nostre
figlie, e non edificandoci case per dimorarvi, così che non divenga nostro né vigna né campo né seme. E
continuiamo a dimorare in tende e a ubbidire e a fare secondo tutto ciò che Gionadab nostro antenato ci
comandò. Ma avvenne che quando Nabucodonosor re di Babilonia salì contro il paese noi dicevamo:
‘Venite, ed entriamo in Gerusalemme a causa delle forze militari dei Caldei e a causa delle forze militari
dei Siri, e dimoriamo in Gerusalemme’”. — Ger. 35:6-11.
15 Il voto imposto ai recabiti li proteggeva. Li induceva a vivere una vita semplice come forestieri nel
paese, lungi dalla corruzione delle città. Non essendo israeliti sottoposti al patto della legge mosaica,
erano come stranieri entro le porte degli israeliti, per i quali non costituivano alcun problema. Non
interferivano con i doveri degli israeliti di osservare il loro patto con Geova, ma, anzi, rispettavano il patto
della Legge per quel che li riguardava. In quanto a non bere bevande alcoliche, comunque, erano simili ai
nazirei d’Israele. Rimanendo sobri, erano sempre ben desti. L’invasione del paese di Giuda da parte degli
eserciti del re Nabucodonosor stava per ostacolare la loro semplice vita nomade. Quindi, vedendo
avanzare gli invasori caldei, i recabiti si rifugiarono a Gerusalemme.
16 La loro irremovibile decisione di rispettare il voto di non bere vino, anche quando furono invitati a farlo
dal profeta-sacerdote Geremia, fornì a Geova un esempio da usare contro gli israeliti, che violavano il
loro patto. I recabiti rispettavano il proprio voto anche se era stato imposto loro da un semplice uomo, il
loro antenato. Gli israeliti avevano infranto il patto della Legge anche se era stato stipulato non con un
semplice uomo, ma con l’Iddio altissimo. Opportunamente Geova disse ora a Geremia:
“Va, e devi dire agli uomini di Giuda e agli abitanti di Gerusalemme: ‘Non riceveste di continuo
l’esortazione di ubbidire alle mie parole?’ è l’espressione di Geova. ‘Sono state eseguite le parole di
Gionadab figlio di Recab, che egli comandò ai suoi figli, di non bere vino, ed essi non ne hanno bevuto
fino a questo giorno, perché hanno ubbidito al comandamento del loro antenato. E in quanto a me, io vi
ho parlato, levandomi di buon’ora e parlando, ma voi non mi avete ubbidito. E continuai a mandarvi tutti i
miei servitori i profeti, levandomi di buon’ora e mandandoli, dicendo: “Volgetevi, suvvia, ciascuno dalla
sua cattiva via, e rendete buone le vostre azioni, e non camminate dietro ad altri dèi per servirli. E
continuate a dimorare sulla terra che ho data a voi e ai vostri antenati”. Ma voi non porgeste il vostro
orecchio, né mi ascoltaste. Ma i figli di Gionadab figlio di Recab hanno eseguito il comandamento del loro
antenato che egli comandò loro; ma in quanto a questo popolo, non mi ha ascoltato’”.
“Perciò Geova l’Iddio degli eserciti, l’Iddio d’Israele, ha detto questo: ‘Ecco, io farò venire su Giuda e su
tutti gli abitanti di Gerusalemme tutta la calamità che ho pronunciata contro di loro, per la ragione che ho
parlato loro ma essi non hanno ascoltato, e ho continuato a chiamarli ma non hanno risposto’”. — Ger.
35:13-17.
17 Dal confronto fra israeliti e recabiti è chiaro che gli israeliti, altamente favoriti, erano in grado, con
l’aiuto dei profeti di Dio, di osservare il loro patto con Geova Dio. Egli aveva provveduto il suo tempio e il
suo sacerdozio per offrire sacrifici che controbilanciassero i peccati involontari che essi commettevano a
causa delle debolezze della carne. Nonostante ciò, essi scelsero altri dèi, particolarmente Baal, e
incorporarono nella loro adorazione ogni sorta di cose malvage proibite dalla legge data da Geova tramite
Mosè. Perciò la loro apostasia dal patto della legge di Dio, che esigeva la pura adorazione, era
deliberata. Non mostravano alcun rispetto né per l’unico vivente e vero Dio né per i solenni voti che
avevano fatti. Questo attirò la calamità su quegli apostati. Per ragioni simili un’irrevocabile calamità
incombe sull’intera cristianità!
COME SOPRAVVIVERE ALLA DISTRUZIONE DI TUTTE LE FALSE RELIGIONI
18 Chi vuole sfuggire alla distruzione che sta per abbattersi sulla cristianità e sul suo intimo amico, questo
sistema di cose che reca disonore a Dio? “Noi!” dicono quelli della “grande folla” predetta in Rivelazione
7:9-17. Essi provano un senso di grande sicurezza per la promessa che Geova fece ai recabiti, promessa
riportata in Geremia 35:18, 19, dove si legge: “E alla casa dei Recabiti Geremia disse: ‘Geova degli
eserciti, l’Iddio d’Israele, ha detto questo: “Per la ragione che voi avete ubbidito al comandamento di
Gionadab vostro antenato e continuate a osservare tutti i suoi comandamenti e a fare secondo tutto ciò
che egli vi comandò, perciò Geova degli eserciti, l’Iddio d’Israele, ha detto questo: ‘Non sarà stroncato da
Gionadab figlio di Recab un uomo che stia dinanzi a me per sempre’”’”.
19 Perciò Gionadab figlio di Recab, sebbene non fosse israelita, non avrebbe mancato di avere sulla terra
un discendente approvato da Geova per sempre. Ricordiamo che questo Gionadab si era schierato con
tutto il cuore dalla parte del re Ieu nel distruggere il culto di Baal in tutto l’apostata regno d’Israele. (II Re
10:15-28) Il nome di questo figlio di Recab, cioè Gionadab o Ionadab, prende atto dell’unico vivente e
vero Dio, perché significa “Geova è munifico”. Il recabita a cui Geremia dichiarò la promessa di Dio era
Iaazania, il cui nome significa “Iah [Geova] ode”. (Ger. 35:3-5) Fedeli al loro voto, Iaazania e i suoi fratelli
si erano rifiutati di bere il vino che Geremia aveva offerto loro nel tempio di Geova. Lì, alla presenza di
Geova, avevano dimostrato la loro integrità riguardo a quel voto.
20 Geova rispettò la fedeltà di quei recabiti e promise che non sarebbero stati spazzati via nell’imminente
distruzione di Gerusalemme nel 607 a.E.V. Possiamo essere certi che allora i recabiti non furono
stroncati dalla presenza di Geova, in quanto egli rispettò la sua promessa come quei recabiti rispettavano
il loro voto di non bere vino. Una prova storica della loro sopravvivenza potrebbe essere l’esistenza di un
certo Malchia, figlio di Recab, che riparò una porta di Gerusalemme ai giorni del governatore Neemia.
(Nee. 3:14) Che qualche recabita sia sopravvissuto fino ai giorni di Gesù Cristo e ne sia diventato un
discepolo non è detto nella Parola di Geova. Ma sarebbe stato più che appropriato!
21 Oggi non è possibile identificare i recabiti naturali, ma ve ne è una controparte moderna. Si tratta degli
intimi amici degli israeliti spirituali prefigurati da Geremia. Gli antichi recabiti sopravvissero alla distruzione
dell’apostata Gerusalemme. Poiché prefigurarono la “grande folla” di “altre pecore” di Cristo, è
appropriato che questa controparte dei recabiti sopravviva alla “grande tribolazione” del mondo, il cui
primo evento sarà la distruzione della cristianità, controparte di Gerusalemme.
22 Il volume III del libro inglese Rivendicazione, presentato il lunedì 18 luglio 1932 a Brooklyn, New York,
fu il primo a indicare (alle pagine 77-83) che il Gionadab dell’antichità raffigurava una classe di timorati di
Dio che, con la protezione di Dio, sarebbero rimasti vivi attraverso la “grande tribolazione” per entrare nel
nuovo ordine sotto il regno di Cristo. (Pagine 230-233 della Torre di Guardia inglese del 1° agosto 1932).
L’interessante argomento “Milioni ora viventi non morranno mai” veniva applicato a loro. Coerentemente,
quindi, il numero della Torre di Guardia inglese del 15 aprile 1935 conteneva questo annuncio:
La Torre di Guardia ricorda nuovamente ai lettori che dal 30 maggio al 3 giugno 1935 si terrà a
Washington un congresso dei testimoni di Geova e dei Gionadab. Si spera che molti del rimanente e dei
Gionadab riescano a partecipare al congresso. Finora non molti Gionadab hanno avuto il privilegio di
assistere a un congresso, e il congresso di Washington può essere per loro di vero conforto e beneficio.
— Pag. 114.
23 Fu proprio così, perché lì, il venerdì 31 maggio, fu rivelato loro che la classe di Gionadab non era altro
che la “grande moltitudine” predetta in Rivelazione 7:9-17 (Versione autorizzata). Conformemente, la
maggioranza degli 840 congressisti battezzati in acqua il giorno appresso mostrarono di essere Gionadab
o recabiti antitipici.
24 L’antico Gionadab visse nel X secolo a.E.V. e non vide la distruzione di Gerusalemme nel 607 a.E.V.
Ma i suoi discendenti, i recabiti, che Geremia mise alla prova riguardo all’osservanza del voto, videro
effettivamente la caduta di Gerusalemme e sopravvissero a tempo indeterminato. Come discendenti di
Gionadab, anch’essi prefigurarono la “grande folla” destinata a sopravvivere alla caduta della cristianità.
— Vedi il libro inglese Potete sopravvivere ad Armaghedon ed entrare nel nuovo mondo di Dio, pagine
64-67.
25 Voi dedicati e battezzati cristiani prefigurati da quegli antichi recabiti, anche voi, come loro, dovete
stare lontani dagli eccessi, dalla falsa adorazione e dall’amicizia del mondo. (Giac. 4:4; I Giov. 2:15-17)
Continuate a imitare Gionadab figlio di Recab manifestando zelo per Geova e opposizione al moderno
culto di Baal, per poter vedere Geova distruggere la cristianità e tutte le altre false religioni per mezzo del
suo più grande Ieu, Gesù Cristo. Fedeli come i recabiti, osservate la vostra dedicazione al Sovrano
Signore Geova e fate la vostra parte nell’incrementare gli interessi del suo glorioso regno retto da Cristo.
Questo vi aiuterà a mantenere salda l’ottenuta liberazione da questo mondo condannato, finché esso non
esisterà più. Facendo uso della vostra preziosa libertà in armonia con la volontà di Dio, non sarete
“stroncati” quando egli esprimerà la sua vendetta contro questo mondo malvagio e quelli che amano il
mondo. Voi rimarrete approvati davanti a lui e sarete ricompensati con la vita in un paradiso terrestre
sotto il regno di suo Figlio. Il rimanente della classe di Geremia si rallegrerà per voi con grande esultanza!
(La considerazione della profezia di Geremia riprenderà nella Torre di Guardia del 15 luglio 1980).
[Figura a pagina 25]
Sopravvivenza al crollo della cristianità

w97 15/9 18-19 Chi sopravvivrà al "giorno di Geova"?


Sostenere di cuore la vera adorazione
11 Quelli che sperano di sopravvivere al “giorno di Geova” e di vivere per sempre sulla terra devono
sostenere con tutto il cuore la vera adorazione. Devono essere come Gionadab, un adoratore di Geova
non israelita. Mentre Ieu continuava ad adempiere con zelo il suo incarico, Gionadab volle dimostrargli il
suo consenso e dargli il suo sostegno. Così andò incontro al nuovo re d’Israele, che era diretto a Samaria
per mettere a morte i membri superstiti della casa di Acab. Vedendo Gionadab, Ieu chiese: “È il tuo cuore
retto verso di me, come il mio proprio cuore lo è verso il tuo cuore?” Udita la risposta positiva di
Gionadab, Ieu gli tese la mano e lo invitò a salire sul suo carro da guerra, dicendo: “Vieni con me e
guarda come non tollero nessuna rivalità verso Geova”. Senza indugio Gionadab accettò il privilegio di
sostenere l’unto giustiziere di Geova. — 2 Re 10:15-17.
12 È sicuramente appropriato sostenere di cuore la vera adorazione, perché Geova è il Creatore e il
Sovrano universale, che giustamente esige e merita la nostra esclusiva devozione. Agli israeliti comandò:
“Non devi farti immagine scolpita né forma simile ad alcuna cosa che è nei cieli di sopra o che è sulla
terra di sotto o che è nelle acque sotto la terra. Non devi inchinarti davanti a loro né essere indotto a
servirle, perché io, Geova tuo Dio, sono un Dio che esige esclusiva devozione”. (Esodo 20:4, 5) Quelli
che sperano di sopravvivere al “giorno di Geova” devono rendergli esclusiva adorazione, e farlo “con
spirito e verità”. (Giovanni 4:23, 24) Devono essere saldi nel sostenere la vera adorazione, come lo
furono Elia, Eliseo e Gionadab.
13 Dopo aver sterminato la casa di Acab, il re Ieu compì altri passi per individuare gli adoratori di Baal ed
eliminare quella falsa religione da Israele. (2 Re 10:18-28) Oggi il celeste Re Gesù Cristo è stato
incaricato di mettere a morte i nemici di Geova e di rivendicare la Sua sovranità. Come il cuore di
Gionadab fu con Ieu, così oggi la “grande folla” di “altre pecore” riconosce di tutto cuore Gesù Cristo
quale Re messianico e collabora con i suoi fratelli spirituali sulla terra. (Rivelazione 7:9, 10; Giovanni
10:16) Lo dimostra praticando la vera religione e partecipando con zelo al ministero cristiano, avvertendo
così i nemici di Dio del “giorno di Geova” che si avvicina a grandi passi. — Matteo 10:32, 33; Romani
10:9, 10.

su 89-92 12 Identificati per la distruzione o per la sopravvivenza?


Capitolo 12
Identificati per la distruzione o per la sopravvivenza?
LA SITUAZIONE religiosa oggi esistente ci spinge a rivelare cosa abbiamo realmente nel cuore. Amiamo
sul serio Geova e le sue vie? Siamo come suo Figlio, Gesù Cristo, al quale fu detto: “Hai amato la
giustizia e hai odiato l’illegalità”? (Ebrei 1:9) Siamo disposti a manifestarlo apertamente affinché gli altri
sappiano da che parte stiamo? Il racconto biblico in merito a Ieu e a Gionadab, figlio di Recab, ci aiuta a
esaminare la nostra posizione.
2 Nel X secolo a.E.V. Ieu fu unto per divenire re sul regno delle dieci tribù d’Israele, che aveva per
capitale Samaria. Egli fu incaricato di distruggere tutti coloro che appartenevano alla malvagia casa del re
Acab, inclusa la regina Izebel, che aveva promosso in Israele l’adorazione di Baal e aveva cercato di
eliminare l’adorazione di Geova. Gionadab, un chenita (quindi un non israelita), quando andò incontro a
Ieu era senza dubbio al corrente del suo compito di giustiziere. Ma quanto era forte l’amore di Gionadab
per Geova? Avrebbe apertamente manifestato la sua ferma convinzione che si doveva adorare solo
Geova, il vero Dio?
“È IL TUO CUORE RETTO VERSO DI ME?”
3 Dopo essersi scambiati il saluto, Ieu invitò Gionadab a chiarire la propria posizione. “È il tuo cuore retto
verso di me”, chiese Ieu, “come il mio proprio cuore lo è verso il tuo cuore?” Senza esitazione Gionadab
rispose: “Lo è”. “Se lo è, dammi in effetti la mano”, replicò Ieu. Così fece salire Gionadab sul suo carro e
gli disse: “Vieni con me e guarda come non tollero nessuna rivalità verso Geova”. Gionadab non si
ritrasse timorosamente. — II Re 10:15, 16; vedi Deuteronomio 6:13-15.
4 Arrivati a Samaria, Ieu prese provvedimenti affinché tutti gli adoratori di Baal si rendessero riconoscibili.
I profeti, i sacerdoti e tutti gli adoratori di Baal furono convocati per un grande sacrificio nella casa di Baal.
Furono informati che chiunque non fosse stato presente non sarebbe sopravvissuto. Ieu comandò che
fossero date delle vesti a tutti gli adoratori di Baal affinché potessero essere chiaramente identificati. Così
chiunque avesse asserito di adorare anche Geova sarebbe stato costretto a rivelare chi serviva in realtà.
Sembrava prospettarsi un gran giorno per Baal e per Satana il Diavolo, il falso dio che in effetti Baal
rappresentava.
5 Quello non era certo un posto adatto per i veri adoratori di Geova. Fu fatta una ricerca per essere sicuri
che fossero presenti solo gli adoratori di Baal. Poi iniziò la cerimonia. Nel frattempo, all’esterno, gli uomini
di Ieu si prepararono, e al suo segnale entrarono in azione. “Abbatteteli! Non ne esca nemmeno uno”,
comandò. Tutti gli adoratori di Baal furono sterminati. La casa di Baal fu abbattuta. “Così Ieu annientò
Baal da Israele”. Gionadab era al fianco di Ieu come testimone di quegli avvenimenti. (II Re 10:18-28)
Come reagite personalmente a ciò che ebbe luogo? È vero che nessuno di noi prova piacere nella morte
di altri, nemmeno dei malvagi, ma comprendiamo perché ciò fu necessario e perché fu scritto nella Bibbia
così che oggi possiamo leggerlo? — Confronta Ezechiele 33:11.
6 Il racconto non intende autorizzarci a distruggere edifici di proprietà di gruppi religiosi o persone dedite
alla falsa adorazione. Per eseguire i Suoi giusti giudizi, Geova non ha incaricato i suoi Testimoni moderni,
ma il glorificato Gesù Cristo, in qualità di più grande Ieu. Permettendo alle potenze politiche di esprimere
congiuntamente il loro odio per Babilonia la Grande, il Re celeste provvederà ad annientare l’impero
mondiale della falsa religione. (Rivelazione 6:2; 17:16; 19:1, 2) Quand’era sulla terra, Gesù rifiutò di
compiere anche un solo atto di adorazione in onore del Diavolo. Condannò la tendenza a mettere da
parte la Parola di Geova per seguire tradizioni umane e a speculare sull’adorazione di Dio a scopo di
lucro. Non tollerò nessuna rivalità verso Geova. — Luca 4:5-8; Matteo 15:3-9; 21:12, 13.
7 Perché Cristo, che ora regna in mezzo ai suoi nemici, permette dunque l’apparente prosperità del
moderno baalismo? Perché lascia che coloro che onorano l’iddio di questo sistema di cose disprezzando
le esigenze di Geova la facciano apparentemente franca? Perché ne tollera il comportamento, come se
Dio non avesse nulla da ridire sulla loro immoralità sessuale, il loro materialistico modo di vivere, le
pratiche spiritiche che compiono pur dicendosi cristiani, e le dottrine babiloniche che insegnano
spacciandole per la Parola di Dio? Questo antico dramma mostra che tutto ciò serve a mettere alla prova
le persone, affinché mostrino apertamente chi adorano, e se meritano pertanto la salvezza o la
distruzione.
8 Quale via avete scelto? Avete abbandonato ogni pratica che potrebbe farvi identificare come seguace
del baalismo moderno? Vi siete separati dal mondo prendendo posizione come veri adoratori di Geova?
— II Corinti 6:17.
9 Gionadab, in qualità di adoratore non israelita di Geova, prefigurò le “altre pecore” che vengono
attualmente radunate con la speranza della vita eterna sulla terra. Rispecchiate lo spirito di Gionadab?
Siete disposti a mostrare pubblicamente di essere dalla parte del più grande Ieu e dei suoi unti seguaci
sulla terra che proclamano il veniente “giorno di vendetta da parte del nostro Dio”? Partecipate con loro a
questa urgente opera? (Isaia 61:1, 2; Luca 9:26; Zaccaria 8:23) Rendete a Geova esclusiva devozione,
non lasciando che alcuna cosa prenda il posto che gli spetta nel vostro cuore? (Matteo 6:24; I Giovanni
2:15-17) La vostra vita dimostra che la vostra relazione con lui è il vostro bene più prezioso, e che tutto il
resto è imperniato su di essa? — Salmo 37:4; Proverbi 3:1-6.

W98 1-1 P.12-17


W69 P.5, 6
Gionatan (n. 1) — Tema: Guardatevi dall’egoismo EFESINI 5:3-5

it-1 1124 Gionatan


Yohnathàn e Yehohnathàn, “Geova ha dato”; vedi IEONATAN].
1. Levita che prestò servizio come sacerdote in relazione alla falsa adorazione a casa di Mica in Efraim e
poi per i daniti. Nei capitoli 17 e 18 di Giudici viene menzionato più volte un giovane levita che, in Giudici
18:30, è chiamato “Gionatan figlio di Ghersom, figlio di Mosè”. Il fatto che in precedenza venga detto che
era “della famiglia di Giuda” può semplicemente indicare che risiedeva a Betleem nel territorio di Giuda.
— Gdc 17:7.
Durante i suoi vagabondaggi Gionatan capitò a casa di Mica sui monti di Efraim. Mica aveva in casa
un’immagine scolpita. Gionatan acconsentì a prestare servizio come sacerdote per quella casa anche se
non era della famiglia di Aaronne e nell’adorazione veniva usata un’immagine. In seguito cinque daniti
che cercavano un posto dove parte della tribù potesse stabilirsi incontrarono Gionatan. Essi gli chiesero
di interrogare Dio per sapere se avrebbero avuto successo, ed egli diede loro un responso favorevole nel
nome di Geova.
Quando 600 uomini di Dan, con le famiglie e il bestiame, passarono dalla casa di Mica diretti a N,
portarono via gli oggetti di culto inclusa l’immagine scolpita. Inoltre indussero l’egoista Gionatan a unirsi a
loro per diventare sacerdote per tutti loro anziché per una sola famiglia. (Gdc 17:7–18:21) Gionatan “e i
suoi figli divennero sacerdoti della tribù dei daniti fino al giorno che il paese fu portato in esilio”. (Gdc
18:30) Alcuni commentatori hanno applicato questo versetto a una conquista della regione, come quella
di Tiglat-Pileser III, o di tutte le tribù settentrionali nel 740 a.E.V. (2Re 15:29; 17:6) Ma poiché il libro di
Giudici fu scritto evidentemente da Samuele, il riferimento deve riguardare un avvenimento precedente.
Giudici 18:31 dice che i daniti tennero per sé l’immagine scolpita “tutti i giorni che la casa del vero Dio
restò a Silo”. Questo indica un periodo di tempo a cui potrebbe riferirsi il versetto precedente, e corrobora
l’opinione secondo cui la famiglia di Gionatan prestò servizio sacerdotale finché l’Arca non venne
catturata dai filistei. Alcuni sostengono che il versetto 30 di Giudici 18 dovrebbe leggere: ‘Fino al giorno
che l’arca fu portata in esilio’. (1Sa 4:11, 22) Ma a questa conclusione circa la durata del sacerdozio della
famiglia di Gionatan si può arrivare anche senza alterare il testo, poiché il versetto 30 può essere inteso
nel senso che il paese, in certo qual modo, fu portato in esilio quando l’Arca venne catturata.
Gionatan (n. 2) — Tema: Un vero amico è altruista e leale PROVERBI 17:17; 18:24

it-1 1124-5 Gionatan


GIONATAN
(Giònatan) [dall’ebr. Yohnathàn e Yehohnathàn, “Geova ha dato”; vedi IEONATAN].
2. Figlio maggiore e favorito del beniaminita re Saul, avuto evidentemente da Ahinoam figlia di Ahimaaz.
(1Sa 14:49, 50) Gionatan è noto soprattutto per l’amicizia disinteressata che nutrì per Davide, il re
designato da Geova, e per l’aiuto che gli diede.
Gionatan è menzionato per la prima volta quale valoroso comandante di mille guerrieri nei primi anni del
regno di Saul. (1Sa 13:2) Perciò a quel tempo doveva avere almeno 20 anni e quindi averne quasi 60
quando morì nel 1078 a.E.V. (Nu 1:3) Davide aveva 30 anni quando Gionatan morì. (1Sa 31:2; 2Sa 5:4)
All’epoca della loro amicizia Gionatan doveva dunque avere circa 30 anni più di Davide. Il fatto che
Gionatan fosse ormai adulto quando Saul diventò re può spiegare il suo temperamento e la sua
mentalità. Durante gli anni della sua formazione può aver sentito l’influenza del padre che, fino al
momento di essere scelto quale re, aveva manifestato modestia, ubbidienza e rispetto per le disposizioni
di Geova. — 1Sa 9:7, 21, 26; 10:21, 22.
La prima volta che viene menzionato, Gionatan con coraggio portò mille uomini male armati alla vittoria
contro la guarnigione filistea di Gheba. In risposta il nemico si radunò a Micmas. Segretamente Gionatan
e il suo scudiero si allontanarono da Saul e dai suoi uomini raggiungendo l’avamposto nemico. Con
quest’azione Gionatan manifestò il suo valore e la capacità di ispirare fiducia in altri, pur riconoscendo la
direttiva di Geova, poiché per agire attese un segno da Dio. I due intrepidi combattenti abbatterono da
soli 20 filistei, cosa che provocò un combattimento in grande stile con la vittoria di Israele. (1Sa 13:3–
14:23) Mentre era in corso il combattimento Saul avventatamente maledisse con un giuramento chiunque
avesse mangiato prima della fine della battaglia. Gionatan, che non ne sapeva nulla, mangiò un po’ di
miele selvatico. Più tardi, di fronte a Saul, Gionatan non cercò di sottrarsi alla morte per avere mangiato
del miele. Tuttavia fu redento dal popolo consapevole che quel giorno Dio era con lui. — 1Sa 14:24-45.
Queste imprese dimostrano chiaramente che Gionatan era un guerriero coraggioso, abile e potente. Di lui
e di Saul si disse che erano “più veloci delle aquile” e “più potenti dei leoni”. (2Sa 1:23) Gionatan era un
esperto arciere. (2Sa 1:22; 1Sa 20:20) Le sue qualità virili potevano averlo reso particolarmente caro a
Saul. Sembra infatti che fossero molto uniti. (1Sa 20:2) Ciò tuttavia non attenuò lo zelo di Gionatan verso
Dio né la sua lealtà all’amico Davide.
Davide era stato introdotto alla corte del re Saul affinché suonasse per lui, dal momento che lo spirito di
Geova aveva lasciato il re ed era stato sostituito da un cattivo spirito, cosa che Gionatan poteva aver
notato. Benché giovane, Davide era “un uomo potente e valoroso, e uomo di guerra”; Saul “lo amava
molto” ed egli diventò il suo scudiero. — 1Sa 16:14-23.
La speciale amicizia di Gionatan per Davide iniziò poco dopo che questi uccise Golia. Quell’intrepida
azione a difesa del popolo di Geova dovette commuovere Gionatan. Sentendone parlare da Davide
stesso, “la medesima anima di Gionatan si legava all’anima di Davide, e Gionatan lo amava come la sua
propria anima”. (1Sa 18:1) I due coraggiosi guerrieri e devoti servitori di Dio “concludevano un patto”
d’amicizia. Gionatan capiva che Davide aveva lo spirito di Dio. (1Sa 18:3) Non fu geloso di lui
considerandolo un rivale, come fece Saul. Anzi il suo rispetto per il modo in cui Dio dirigeva gli
avvenimenti fu un ottimo esempio per il suo giovane amico. Non assecondò il desiderio di Saul di
uccidere Davide, ma avvertì quest’ultimo e cercò di intercedere per lui. Quando Davide fu costretto a
fuggire, Gionatan si incontrò con lui e fece un patto affinché Davide proteggesse lui e la sua casa. — 1Sa
19:1–20:17.
Un’altra volta Gionatan parlò a Saul di Davide, e questo quasi gli costò la vita, poiché in uno scatto d’ira
Saul scagliò una lancia contro il suo stesso figlio. Come d’accordo, Gionatan e Davide s’incontrarono in
un campo dove apparentemente il figlio del re era andato per esercitarsi nel tiro con l’arco. (1Sa 20:24-
40) I due amici rinnovarono il loro vincolo d’affetto e “si baciavano l’un l’altro e piangevano l’uno per
l’altro”, come altri uomini hanno fatto e fanno tuttora in alcuni paesi. (1Sa 20:41; Ge 29:13; 45:15; At
20:37) In seguito Gionatan poté incontrare per l’ultima volta Davide a Ores e “rafforzare la sua mano
riguardo a Dio”; in quell’occasione rinnovarono il loro patto. — 1Sa 23:16-18.
Non c’è alcuna indicazione nella Bibbia che Gionatan abbia partecipato alle spedizioni di suo padre
contro Davide. Ma nella battaglia contro i nemici di Dio, i filistei, Gionatan combatté fino alla morte: morì
lo stesso giorno di due suoi fratelli e del padre. I filistei ne appesero i cadaveri alle mura di Bet-San. Ma
valorosi uomini di Iabes-Galaad li tirarono giù e li seppellirono a Iabes. In seguito Davide portò le ossa di
Saul e di Gionatan a Zela. (1Sa 31:1-13; 2Sa 21:12-14; 1Cr 10:1-12) Davide pianse amaramente la morte
del caro amico Gionatan e compose per Saul e Gionatan un canto funebre intitolato “L’Arco”. (2Sa 1:17-
27) Il re Davide mostrò speciale benignità al figlio zoppo di Gionatan, Mefiboset, che aveva cinque anni
quando il padre morì. In seguito gli diede un posto permanente alla tavola del re. (2Sa 4:4; 9:10-13) La
discendenza di Gionatan continuò per diverse generazioni. — 1Cr 8:33-40.

w80 1/6 9-11 Gionatan, 'un uomo fra mille'


Gionatan, ‘un uomo fra mille’
IL SAGGIO re Salomone disse: “Fra mille ho trovato un uomo”. (Eccl. 7:28) Questo per indicare che è
raro trovare un uomo ideale. Pochi eccellono sotto il profilo morale. Uno di questi pochi fu Gionatan, il
figlio del re Saul. Fu coraggioso, leale e altruista. Se mai un uomo si fosse potuto sentire giustificato a
cedere a sentimenti di gelosia, rivalità o invidia, quell’uomo avrebbe dovuto essere Gionatan. Ma egli
manifestò profondo affetto e lealtà a una persona che uomini meno nobili avrebbero considerato una
pericolosa minaccia alla loro posizione.
Agli inizi del regno di suo padre, Gionatan si distinse come coraggioso guerriero. Con mille uomini male
equipaggiati, egli sopraffece l’agguerrita guarnigione filistea a Gheba. (I Sam. 13:1-3) All’epoca Gionatan
doveva avere almeno vent’anni, l’età minima per fare il soldato in Israele. — Num. 1:3.
In seguito, con l’aiuto di Dio, Gionatan e il suo scudiero abbatterono una ventina di nemici filistei. Questa
azione aprì la via agli israeliti, che riportarono una vittoria sui loro nemici. In questa campagna Gionatan
violò senza saperlo l’inconsulto giuramento fatto dal padre. Per Saul, rispettare completamente i termini
di quel giuramento voleva dire far mettere a morte il figlio. Gionatan non si tirò codardamente indietro, ma
disse al padre: “Eccomi! Fammi morire!” Ma il popolo, comprendendo che Gionatan aveva avuto
l’appoggio di Geova, redense Gionatan. — I Sam. 14:1-45.
Quasi venti anni dopo, Davide uccise il gigante filisteo Golia. La coraggiosa impresa di Davide, portata a
termine con piena fede nel potere salvifico di Geova, colpì il cuore di Gionatan. La Bibbia narra: “La
medesima anima di Gionatan si legò all’anima di Davide, e Gionatan lo amava come la sua propria
anima”. (I Sam. 18:1) In segno di amicizia Gionatan diede a Davide le sue vesti, la sua spada, il suo arco
e la sua cintura. — I Sam. 18:4.
Quando in seguito Davide mostrò il proprio coraggio conducendo le forze di Israele in battaglia contro i
filistei, le donne accolsero con canti e danze i vincitori di ritorno. Cantavano: “Saul ha abbattuto le sue
migliaia, e Davide le sue decine di migliaia”. (I Sam. 18:5-7) Questo accese la gelosia di Saul, che
cominciò a guardare Davide con grande sospetto. Fallito il tentativo di uccidere Davide con un colpo di
lancia, Saul acconsentì a dargli in moglie la figlia Mical chiedendogli in cambio di portargli la prova
dell’uccisione di cento nemici filistei. Saul era convinto che così Davide sarebbe stato ucciso dai nemici.
Ma Davide tornò con duecento prepuzi di filistei, come prova che ne aveva uccisi tanti. Questo non fece
altro che accrescere la paura di Saul e il suo odio per Davide. — I Sam. 18:8-29.
Ma Gionatan non permise che l’odio e la gelosia di suo padre distruggessero la sua amicizia con Davide.
Quando Saul manifestò apertamente il desiderio di far uccidere Davide, Gionatan intervenne e riuscì a
strappare al padre la promessa che non avrebbe ucciso il suo amico. Ma in seguito Davide fu costretto a
fuggire per salvarsi la vita in quanto Saul gli aveva nuovamente scagliato contro una lancia. Il re mandò
anche degli uomini a montare la guardia durante la notte alla casa di Davide, con l’intento di ucciderlo al
mattino. Quella notte Davide riuscì a fuggire da una finestra. — I Sam. 19:1-12.
A questo punto Gionatan, d’accordo con Davide, fece un tentativo per scoprire le vere intenzioni del
padre riguardo all’amico. Saul si adirò e inveì contro il figlio con queste parole: “Figlio d’una serva ribelle,
non conosco bene io che tu scegli il figlio di Iesse a tua propria vergogna e a vergogna delle parti segrete
di tua madre? Poiché per tutti i giorni che il figlio di Iesse vive sulla terra, tu e il tuo regno non sarete
fermamente stabiliti. Or dunque manda e conducilo da me, poiché è destinato alla morte”. Alle proteste di
Gionatan, il padre infuriato gli scagliò contro la lancia. — I Sam. 20:1-33.
Dopo questi fatti Gionatan incontrò Davide in un luogo convenuto. I due uomini riaffermarono la loro
amicizia e la loro lealtà. (I Sam. 20:35-42) È davvero rimarchevole che una tale amicizia fosse sorta e
continuasse. Gionatan era l’erede al trono, ma sapeva che alla fine il regno sarebbe passato a Davide.
Inoltre aveva circa 30 anni più di Davide. Tuttavia Gionatan si rallegrava dei successi di Davide e
piangeva con lui per la sua afflizione. Indubbiamente l’amicizia di Gionatan aiutò Davide a mostrare il
giusto rispetto per il re, tanto che non approfittò delle opportunità di fargli del male. Mentre Saul dava
spietatamente la caccia a Davide, Gionatan ebbe occasione di rafforzare l’amico. Riguardo a una tale
occasione leggiamo: “Gionatan figlio di Saul si levò e andò da Davide a Ores, per rafforzare la sua mano
riguardo a Dio. E continuò a dirgli: ‘Non aver timore; poiché la mano di Saul mio padre non ti troverà, e tu
stesso sarai re su Israele e io stesso ti sarò secondo; e anche Saul mio padre ne ha conoscenza’”. — I
Sam. 23:16, 17.
Che nobiltà d’animo mostrò Gionatan dicendosi contento di occupare il secondo posto nel regno! Questa
altruistica devozione fu possibile perché Gionatan aveva accettato Davide come l’uomo scelto da Geova
per essere re e lo amava per le sue ottime qualità.
Gionatan, però, non divenne secondo nel regno, ma morì col padre in battaglia. (I Sam. 31:2) La morte di
Saul e di Gionatan fornì a Davide l’occasione per comporre un canto funebre, “L’Arco”. Dapprima questo
canto funebre entrò a far parte della raccolta di poemi, canti e altri scritti che formavano il libro di Iashar.
In seguito “L’Arco” fu trascritto nel racconto ispirato di II Samuele. Il brano doveva essere insegnato ai
figli di Giuda. — II Sam. 1:17-27.
Quando pensiamo al meraviglioso vincolo d’amicizia fra Davide e Gionatan, possiamo facilmente capire
perché Davide si espresse in questo modo nell’“Arco”: “Sono angustiato per te, fratello mio Gionatan, tu
mi eri molto piacevole. Il tuo amore mi era più meraviglioso dell’amore delle donne”. (II Sam. 1:26)
Gionatan fu veramente ‘un uomo fra mille’.

w85 15/5 5 Come trovare veri amici


Il valore della lealtà
Lo scrittore di Proverbi 18:24 mostrò di comprendere profondamente le relazioni umane, dal momento
che scrisse: “Ci sono degli amici che conducono a rovina ma ce n’è anche di più affezionati di un fratello”.
(Moraldi) Sì, chi desidera avere un “amico solo nella buona sorte”? Prendete invece l’esempio di Davide
e Gionatan. Gionatan avrebbe potuto nutrire risentimento nei confronti di Davide, dato che Gionatan era
l’erede al trono di Israele ma sapeva che in realtà Davide sarebbe divenuto re. Tuttavia Gionatan si
mostrò leale, e non geloso, verso Davide, al punto di mettere a repentaglio la propria vita per salvare
Davide. — I Samuele 18:1-3; 20:17, 31, 32; II Samuele 1:26.

w85 15/5 8-11 Coltiviamo l'amicizia migliore che ci sia nell'universo


Coltiviamo l’amicizia migliore che ci sia nell’universo
“Ma tu, o Israele, sei il mio servitore, tu, o Giacobbe, che io ho scelto, il seme di Abraamo mio amico”. —
ISAIA 41:8.
QUANT’È prezioso un vero amico! Ma come si fa a trovare un amico sincero? Cosa c’è alla base di
un’amicizia durevole? Qualcosa che non viene mai meno, per cui neppure un vero amico viene meno.
Che cos’è? Ebbene, è la qualità menzionata dall’apostolo Paolo, allorché disse: “L’amore non viene mai
meno”! — I Corinti 13:8.
2 Nelle Scritture Ebraiche il sostantivo tradotto “amore” deriva da un verbo che significa “amare”.
(Deuteronomio 6:4, 5; confronta Matteo 22:37). E nella Settanta greca il verbo che traduce l’espressione
“devi amare” del testo ebraico è agapàn. Comunque, sia in quell’antica versione che nelle Scritture
Greche Cristiane, il termine tradotto “amico” non deriva da quel verbo, ma è il sostantivo greco phìlos,
tratto da un verbo che significa “aver affetto per”. Perciò, secondo l’originale greco, nei confronti di un
amico o tra amici si esprime amorevole affetto. In italiano, il termine “amico” deriva dal verbo latino
amare.
3 Il verbo greco da cui deriva “amico” esprime pertanto un sentimento più caloroso e profondo rispetto a
quello dell’amore espresso dal verbo agapàn, che compare nel testo greco di Giovanni 3:16, dove
vengono citate le parole di Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito Figlio, onde
chiunque esercita fede in lui non sia distrutto ma abbia vita eterna”. Perciò, l’amore (gr. agàpe) di Geova
Dio è sufficientemente ampio da abbracciare l’intero mondo dell’umanità, nonostante lo stato
peccaminoso della razza umana. Ma ai suoi 11 apostoli fedeli l’unigenito Figlio di Dio disse che essi
erano uniti a lui da un tipo di amore più caloroso e più profondo.
Un tipo di amicizia prezioso
4 Gesù disse ai suoi apostoli che sarebbero rimasti suoi “amici” se avessero continuato a fare le cose che
egli aveva loro comandato. Spiegando che ciò avrebbe incluso il privilegio di godere l’intimità derivante
dalla fiducia reciproca, disse: “Non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa quello che fa il suo
padrone. Ma vi ho chiamati amici, perché tutte le cose che ho udite dal Padre mio ve le ho fatte
conoscere”. (Giovanni 15:14, 15) Nel dire questo, Gesù riferì il termine phìlos a ciascuno di quegli
apostoli.
5 In Proverbi 18:24 il saggio ispirato dichiarò: “Esistono compagni disposti a spezzarsi l’un l’altro, ma
esiste un amico che si tiene più stretto di un fratello”. Quest’amicizia non si basa su vincoli carnali; si
fonda sull’apprezzamento per il reale merito del proprio amico. Sì, i parenti possono dividersi per vari
motivi egoistici, ma un amico vero sarà irremovibile e si atterrà alla sua amicizia a prescindere dalle
prove, dalle condizioni dolorose o difficili, o dalle circostanze penose che possono sorgere.
6 A questo punto forse pensiamo a Gionatan, figlio del rigettato re Saul, e a Davide, scelto da Geova Dio
e unto perché fosse re di Israele. La loro amicizia durò fino a quando Gionatan morì sul campo di
battaglia. Udita la triste notizia, Davide pronunciò il lamento funebre riportato in II Samuele 1:17-27.
Indicando quanto fosse stata affettuosa la sua relazione con Gionatan, Davide disse: “Sono angustiato
per te, fratello mio Gionatan, tu mi eri molto piacevole. Il tuo amore mi era più meraviglioso dell’amore
delle donne”. Un’amicizia del genere non poteva essere dimenticata o non contraccambiata. Fu a motivo
d’essa che il re Davide mostrò misericordia a Mefiboset, il figlio sopravvissuto di Gionatan. — II Samuele
9:1-10.
7 Questo prezioso tipo di amicizia non è scomparso dalla superficie della terra. Oggi, durante l’attuale
“termine del sistema di cose” in cui ‘l’amore della maggioranza si è raffreddato’, la cordialità di
un’amorevole amicizia come quella è profondamente sentita tra i dedicati e battezzati testimoni di Geova
Dio, i quali in tutto il mondo rendono testimonianza al Regno, come predisse Gesù. (Matteo 24:3-14) Gli
amici sono propensi a rivelare cose l’uno all’altro perché tra loro c’è fiducia. Ricordate che una sera
conversando con gli 11 apostoli rimastigli leali, Gesù disse: “Vi ho chiamati amici, perché tutte le cose
che ho udite dal Padre mio ve le ho fatte conoscere”. (Giovanni 15:14, 15) Sì, le cose spirituali della
Parola di Dio che devono avverarsi o essere messe in pratica sarebbero state rivelate in primo luogo ai
veri “amici” del Signore Gesù Cristo generati dallo spirito. Poi questi “amici” avrebbero avuto il privilegio e
la responsabilità di rendere note queste cose fino a quel momento segrete a coloro che avrebbero voluto
stringere una relazione amichevole con Geova Dio, la fonte di questi segreti.
8 Questa è la procedura seguita da Geova nei confronti dei suoi adoratori generati dallo spirito che sono
stati introdotti nel suo nuovo patto tramite il Mediatore Gesù Cristo. Nell’istituire il Pasto Serale del
Signore, Gesù disse: “Questo calice significa il nuovo patto in virtù del mio sangue, che sarà versato in
vostro favore”. (Luca 22:20) Questo era in armonia col Salmo 25:14, il quale dice: “L’intimità con Geova
appartiene a quelli che lo temono, anche il suo patto, per farlo conoscere loro”. Che conoscenza
straordinaria viene data a coloro che stringono una relazione amichevole con Geova Dio e col suo
Mediatore Gesù Cristo!
Di chi Geova diviene amico
9 Ma è realmente possibile avere come Amico l’Altissimo e Onnipotente Dio? Si è veramente umiliato a
tal punto da diventare nostro Amico? Non è presuntuoso pensarlo. In una lettera scritta agli israeliti
spirituali prima della distruzione di Gerusalemme del 70 E.V. Giacomo disse: “Si adempì la scrittura che
dice: ‘Abraamo ripose fede in Geova e gli fu attribuito a giustizia’, ed egli fu chiamato ‘l’amico di Geova’”.
(Giacomo 1:1; 2:23; Genesi 15:6; Galati 6:16) In una “scrittura” ebraica alla quale Giacomo faceva qui
riferimento leggiamo questa invocazione fatta a Dio dal re Giosafat, allorché la sicurezza di Gerusalemme
fu minacciata da un’invasione di vaste proporzioni: “Non cacciasti tu stesso, o Dio nostro, gli abitanti di
questo paese d’innanzi al tuo popolo Israele e lo desti quindi al seme di Abraamo, che ti amava [“tuo
amico”, CEI], a tempo indefinito?” (II Cronache 20:7) Qui possiamo notare che il basilare termine ebraico
tradotto “amico” (CEI) si riferisce a ‘uno che ama’. Senza dubbio Abraamo amava Geova, il Dio che lo
aveva fatto uscire da Ur dei Caldei per condurlo nella Terra Promessa. Poiché Abraamo lo amava, Geova
poté divenire suo amico, o estendergli la propria amicizia.
10 Comunque, in Isaia 41:8 è Geova stesso a parlare e a rivolgere queste parole incoraggianti ai
discendenti di Abraamo, intesi come nazione: “Ma tu, o Israele, sei il mio servitore, tu, o Giacobbe, che io
ho scelto, il seme di Abraamo mio amico”. L’Altissimo Dio onorò quest’amicizia con Abraamo
permettendogli di divenire l’illustre antenato di Gesù Cristo, Salvatore di tutta l’umanità, compreso lo
stesso Abraamo. Questo discendente di Abraamo era più di un amico di Geova Dio, dato che si tratta del
diletto Figlio di Dio. — Giovanni 3:16.
11 Da quanto precede, cosa possiamo concludere? Che creature umane che risiedono sullo “sgabello” di
Geova hanno la possibilità di divenire suoi amici. (Isaia 66:1) Naturalmente, la nostra preziosa amicizia
con Lui sarà messa alla prova in questo vecchio mondo, poiché Satana il Diavolo, “l’iddio di questo
sistema di cose”, tenterà di infrangerla. — II Corinti 4:4.

w85 15/5 25-6 "Voi siete il sale della terra"


18 Pertanto, genitori cristiani, valutate attentamente la condizione della vostra famiglia. Stanno facendo
progresso spirituale tutti i suoi componenti? Avete impedito che la corruzione mondana contaminasse i
vostri giovani? Sapete cosa fanno e cosa realmente pensano della vera adorazione e cosa provano per
essa? Sono disgustati per le cose impure di questo mondo, o corrono il rischio di esserne sopraffatti?
(Amos 5:14, 15) Se, come genitori, non state abbastanza vicino ai vostri figli per aiutarli, o se riscontrate
che farlo è difficile, perché non pregate sentitamente Geova a questo riguardo? Di sicuro egli può aiutarvi
a sormontare questo ostacolo. — I Giovanni 5:14.
19 Che genere di esempio state dando in qualità di genitori cristiani? Dite con decisione di no ai dannosi
eccessi nel mangiare e nel bere e alle molte forme di immoralità e impurità che si praticano intorno a voi?
Dite di no alla corruzione, ai furtarelli e alle barzellette e ai discorsi osceni della gente del mondo? Sul
lavoro o nel vicinato siete conosciuti come persone pure, oneste e corrette? È indispensabile dire di no al
momento giusto per essere “il sale della terra”.
Stabilità e lealtà
20 Senza dubbio a motivo del fatto che rappresentava libertà dalla corruzione, in Israele il sale veniva
impiegato nell’adorazione di Geova. Tutte le offerte fatte sull’altare, ad esempio, andavano salate. Nella
Legge data tramite Mosè veniva detto: “Non devi lasciare che il sale del patto del tuo Dio manchi sulla tua
offerta di grano. Insieme a ogni tua offerta presenterai il sale”. E “un patto di sale” veniva ritenuto
vincolante. — Levitico 2:13; Numeri 18:19; II Cronache 13:4, 5.
21 In qualità di suoi Testimoni, i servitori di Geova sono l’odierno “sale della terra”. Questo richiede che
siano incorruttibili, fedeli e leali. Devono coltivare con diligenza il frutto dello spirito di Dio: amore, gioia,
pace, longanimità, benignità, bontà, fede, mitezza e padronanza di sé. (Galati 5:22, 23) Dal frutto dello
spirito derivano qualità spirituali simili al sale. Ma, di per sé, il fatto che alcuni abbiano servito Geova per
anni non è una garanzia che non si allontaneranno. (I Corinti 10:12) Gesù stesso ci mise in guardia a
questo riguardo.

w89 1/1 23-8 Uniti sotto un vessillo d'amore


Uniti sotto un vessillo d’amore
“Soprattutto, abbiate intenso amore gli uni per gli altri”. — 1 PIETRO 4:8.
VEDIAMO tale tipo di amore fra l’odierno popolo di Dio? Certo! È un amore che si basa sul riconoscere e
sostenere la sovranità di Geova, proprio come la sosteneva Davide. Particolarmente dal 1922 gli unti
fratelli di Gesù Cristo, “il Figlio di Davide”, hanno proclamato in tutta la terra che il Regno di Dio è vicino e
che, in quanto ai campioni del dominio oppressivo di Satana, spetta loro la morte per mano del Giudice
costituito da Dio, Gesù Cristo. — Matteo 21:15, 42-44; Rivelazione 19:11, 19-21.
2 Davide era ‘un uomo secondo il cuore di Geova’. Ciò era evidente dal suo amore per Geova e per la
Sua giustizia, tratti che anche il codardo re Saul gli riconobbe, sì, dalle sue qualità di intrepidezza,
incondizionata devozione a Geova, attitudine al comando e umile sottomissione all’ordine teocratico. — 1
Samuele 13:14; 16:7, 11-13; 17:33-36; 24:9, 10, 17.
3 Dopo il suo trionfo su Golia, Davide tornò a fare rapporto a Saul. Fu allora che si fece avanti un altro
amante della giustizia. Era Gionatan, il figlio maggiore di Saul. “E avvenne che, appena [Davide] ebbe
finito di parlare a Saul, la medesima anima di Gionatan si legava all’anima di Davide, e Gionatan lo
amava come la sua propria anima”. (1 Samuele 18:1) Ciò che fece guadagnare a Davide la sincera
ammirazione di Gionatan non fu tanto il suo coraggio o l’abilità di fromboliere, ma il suo infuocato zelo nel
rimuovere il biasimo dal nome di Dio, il suo altruismo e la sua ovvia fiducia in Geova. — Confronta Salmo
8:1, 9; 9:1, 2.
4 Anche se Gionatan aveva circa trent’anni più di Davide, egli si legò a questo giovane guerriero in un
durevole vincolo d’amicizia. “E Gionatan e Davide concludevano un patto, perché lo amava come la sua
propria anima. Inoltre, Gionatan si spogliò del manto senza maniche che aveva addosso e lo diede a
Davide, e anche le sue vesti, e perfino la sua spada e il suo arco e la sua cintura”. (1 Samuele 18:3, 4)
Che notevole dimostrazione di riconoscimento da parte di Gionatan! Normalmente Gionatan sarebbe
stato l’erede di Saul. Tuttavia egli dimostrò a Davide un amore caloroso e basato sul principio e mostrò di
sottomettersi a colui che era stato unto per essere re, colui che in maniera preminente si interessava di
sostenere il nome e la sovranità di Geova. — 2 Samuele 7:18-24; 1 Cronache 29:10-13.
5 Anche Gionatan stesso combatteva per la giustizia. Egli aveva dichiarato che “per Geova non c’è
ostacolo a salvare con molti o con pochi”. Perché? Perché Gionatan riconosceva che c’è sempre bisogno
di cercare la guida divina per ottenere la vittoria nella guerra teocratica. Quando Gionatan commise
involontariamente una trasgressione per cui Saul lo condannò a morte, egli accettò con umiltà tale
giudizio. Felicemente, il popolo lo redense. — 1 Samuele 14:6, 9, 10, 24, 27, 43-45.
Espressioni di amore leale
6 Saul divenne geloso della fama di Davide come guerriero e cercò di ucciderlo, ma l’amore leale di
Gionatan venne in soccorso! Dice il racconto: “In quanto a Gionatan, figlio di Saul, provava molto diletto
in Davide. Gionatan riferì dunque a Davide, dicendo: ‘Saul mio padre cerca di farti mettere a morte. E ora
sta in guardia, ti prego, la mattina, e devi dimorare in segreto e tenerti nascosto’”. In quell’occasione
Gionatan placò Saul, così che Davide fu risparmiato. Ma gli ulteriori successi di Davide nel ‘combattere
contro i filistei e abbatterli con una grande strage’ ridestarono l’animosità di Saul. Costui decise
nuovamente di uccidere Davide, per cui Davide fuggì. — 1 Samuele 19:2-10.
7 A suo tempo, il fuggiasco Davide si incontrò di nuovo con Gionatan, che dichiarò: “Qualunque cosa la
tua anima dica la farò per te”. I due fecero nuovamente un patto dinanzi a Geova, e Davide promise che
non avrebbe mai stroncato la propria amorevole benignità dalla casa di Gionatan, promessa che egli
mantenne fedelmente. “Così Gionatan giurò di nuovo a Davide a causa del suo amore per lui; poiché lo
amava come amava la sua propria anima”. — 1 Samuele 20:4-17; 2 Samuele 21:7.
8 Il re Saul si intestardì nella sua volontà di uccidere Davide. Giunse al punto di scagliare una lancia
contro suo figlio Gionatan quando costui parlò in difesa di Davide! Perciò Gionatan incontrò Davide
segretamente in un campo. “In quanto a Davide, . . . cadde con la faccia a terra e si inchinò tre volte; e si
baciavano l’un l’altro e piangevano l’uno per l’altro, finché Davide l’ebbe fatto di più. E Gionatan diceva a
Davide: ‘Va in pace, poiché abbiamo giurato, tutti e due, nel nome di Geova, dicendo: “Geova stesso
mostri d’essere fra me e te e fra la mia progenie e la tua progenie a tempo indefinito”’”. Così essi si
divisero, e Davide divenne un fuggiasco nel deserto di Zif. — 1 Samuele 20:41, 42.
9 Amorevolmente, Gionatan continuò ad incoraggiare Davide. Come dice il racconto: “Ora Gionatan figlio
di Saul si levò e andò da Davide a Ores, per rafforzare la sua mano riguardo a Dio. E gli diceva: ‘Non
aver timore; poiché la mano di Saul mio padre non ti troverà, e tu stesso sarai re su Israele e io stesso ti
sarò secondo; e anche Saul mio padre sa che è così’. I due conclusero quindi un patto dinanzi a Geova”.
— 1 Samuele 23:15-18.
10 Sembra che quella sia stata l’ultima volta che Davide e il suo leale compagno Gionatan si sono
incontrati. In seguito, quando sia Gionatan che Saul furono uccisi in una battaglia contro i filistei, Davide
compose un canto funebre, “L’Arco”. In esso esprimeva rispetto per Saul quale unto di Geova, ma il suo
cantico culminava con le parole: “Gionatan ucciso sui tuoi alti luoghi! Sono angustiato per te, fratello mio
Gionatan, mi eri molto piacevole. Il tuo amore era per me più meraviglioso dell’amore delle donne. Come
sono caduti i potenti e perite le armi da guerra!” (2 Samuele 1:18, 21, 25-27) Davide venne quindi unto
per la seconda volta, come re su Giuda.
Paralleli moderni
11 Giacché “tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare”, che cosa impariamo dal racconto di
Davide e Gionatan? (2 Timoteo 3:16) Notiamo che esiste un amore “più meraviglioso dell’amore delle
donne”. In effetti, “l’amore delle donne” può essere piacevole e soddisfacente quando si onorano le leggi
di Geova riguardo al matrimonio. (Matteo 19:6, 9; Ebrei 13:4) Ma Davide e Gionatan furono un esempio
di un tipo d’amore più elevato, in armonia con il comandamento: “Ascolta, o Israele: Geova nostro Dio è
un solo Geova. E devi amare Geova tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la
tua forza vitale”. — Deuteronomio 6:4, 5.
12 Davide e Gionatan erano uniti nell’esprimere tale amore combattendo per togliere dal nome di Geova
tutto il biasimo che i Suoi nemici avevano gettato su di esso. Così facendo, essi nutrivano anche ‘intenso
amore l’uno per l’altro’. (1 Pietro 4:8) L’amicizia di cui godevano sotto questo aspetto andava anche oltre
il comando riportato in Levitico 19:18: “Devi amare il tuo prossimo come te stesso”. In effetti, essa
prefigurò il tipo di amore indicato nel “nuovo comandamento” di Gesù: “Che vi amiate gli uni gli altri; come
vi ho amati io, che anche voi vi amiate gli uni gli altri”. L’amore di Gesù era altruistico non solo in quanto
egli era completamente sottomesso alla volontà di Geova, ma anche in quanto era disposto persino a
‘cedere la sua anima a favore dei suoi amici’. — Giovanni 13:34; 15:13.
Un unico “gregge” unito
13 I cristiani unti del “piccolo gregge” hanno sostenuto l’urto della battaglia nel combattimento contro il
Golia moderno. Ma dal 1935 a loro si sono affiancati i proclamatori del Regno di un “ovile” diverso e più
grande. Queste “altre pecore” si sono unite alle “pecore” dell’unto rimanente come “un solo gregge” sotto
il “solo pastore”, “il Figlio di Davide”, in un eccelso vincolo di amorevole unità, come quella che esisteva
tra Gionatan e Davide. — Luca 12:32; Giovanni 10:16; Ezechiele 37:24.
14 Proprio quando questo gruppo di Gionatan cominciava a moltiplicarsi fino a diventare una grande folla,
scoppiò la seconda guerra mondiale, così che sia gli unti che i loro compagni furono messi severamente
alla prova. Quelli furono anni di accanita persecuzione, spesso istigata dal clero. Questo corrispondeva ai
tentativi di Saul di mettere a morte l’unto Davide e, in seguito, Gionatan, quando costui si schierò
amorevolmente dalla parte di Davide. Che intenso amore hanno mostrato la classe di Davide e quella di
Gionatan l’una per l’altra durante quel periodo! L’illustrazione di Gesù riportata in Matteo 25:35-40 spesso
si adempì in maniera letterale.
15 Che contrasto fra l’integrità dei testimoni di Geova e la condotta della moderna classe di Saul! I
Testimoni, che ‘non fanno parte del mondo’, hanno ubbidito al comando di Gesù di ‘amarsi gli uni gli altri’
su scala mondiale. (Giovanni 15:17-19) D’altra parte, nelle due guerre mondiali il clero della cristianità da
entrambe le parti pregava il proprio “dio” per avere la vittoria, mentre milioni di soldati venivano
massacrati da loro compagni di fede di altre nazioni. Lo “spirito cattivo da parte di Geova” che terrorizzò
Saul può ben corrispondere al risultato del versamento da parte degli angeli delle piaghe del capitolo 8 di
Rivelazione. È evidente che il clero della cristianità non ha lo spirito santo di Geova. — 1 Samuele 16:14;
18:10-12; 19:10; 20:32-34.
16 Nel 1918 il clero approfittò della crisi bellica per convincere le forze politiche negli Stati Uniti a
intervenire contro i responsabili della Società (Watch Tower) e infine a metterli in prigione. (Questi
studenti biblici furono in seguito completamente scagionati). Durante la seconda guerra mondiale, i
testimoni di Geova furono messi al bando nel territorio delle potenze dell’Asse e nella maggior parte dei
paesi del Commonwealth britannico, spesso su istigazione religiosa. Notate ad esempio l’allegata
riproduzione di una lettera che l’arcivescovo di Sydney (in seguito nominato cardinale) scrisse poco prima
che i testimoni di Geova fossero messi al bando in Australia. Quando si ricorse in appello contro il bando
presso l’Alta Corte dell’Australia, il giudice Starke definì tale bando “arbitrario, capriccioso e oppressivo”.
Esso fu tolto il 14 giugno 1943, e il governo dovette rifondere i danni. In anni più recenti, le pressioni
religiose su diversi governi in Africa e in Asia hanno portato ad opprimere in maniera spietata i testimoni
di Geova. Pertanto un Saul moderno, il clero della cristianità, ha continuato a braccare il popolo di Dio.
17 Negli anni ’80, in che modo i testimoni di Geova hanno affrontato le continue pressioni politico-
religiose? Ebbene, proprio come Davide affrontò Golia e come Davide e Gionatan affrontarono il re Saul!
Essi sono intrepidi e determinati a mantenersi integri nei confronti della contesa della sovranità, in quanto
sanno che il Regno di Dio trionferà. (Daniele 2:44) Di fronte alla persecuzione essi presentano un fronte
unito, incoraggiandosi l’un l’altro in un internazionale vincolo d’amore quale il mondo non ha mai visto
prima. Mantenendosi neutrali in tempo di guerra, essi non spargono il sangue dei loro compagni di fede
che sono in altre nazioni. (Michea 4:3, 5) In tal modo dimostrano di essere il gruppo a cui si riferiva Gesù
quando disse: “Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore fra voi”. (Giovanni
13:35) Come fratellanza mondiale, i testimoni di Geova si sono ‘rivestiti d’amore, il perfetto vincolo
d’unione’, un vincolo che trascende tutte le barriere razziali, tribali e nazionali. — Colossesi 3:14.
Mostrare “intenso amore”
18 Ricordate che “la medesima anima di Gionatan si legava all’anima di Davide, e Gionatan lo amava
come la sua propria anima”. Che rimarchevole parallelo c’è stato in questi “ultimi giorni”! (2 Timoteo 3:1,
14) In tutto l’insensato tumulto di quest’era violenta, c’è stato un unico gruppo, i testimoni di Geova, che
ha mantenuto un’amorevole unità mondiale. Mantenendosi neutrali come cristiani, essi hanno onorato il
loro Creatore come Sovrano Signore di tutta l’umanità. (Salmo 100:3) Oh, i moderni refaim, parenti politici
di “Golia”, continuino pure a biasimare l’Israele spirituale. (2 Samuele 21:21, 22) E il moderno Saul, il
clero della cristianità, continui pure a creare problemi alle classi di Davide e di Gionatan. (1 Samuele
20:32, 33) Ma “la battaglia appartiene a Geova”. Come Sovrano Signore, egli otterrà la vittoria finale per i
suoi servitori leali. Osservando la posizione della classe di Davide, posizione che non conosce
compromessi, in tutti i paesi milioni di appartenenti alla classe di Gionatan, inclusi persino ex persecutori,
si sono uniti ad essa sotto il ‘vessillo d’amore’ di Cristo. — 1 Samuele 17:47; Il Cantico dei Cantici 2:4.
19 Potete analizzare la crescente attività di questi milioni di Testimoni consultando la tabella alle w89 1/1
pagine 4-7 di questa rivista. Nel decennio 1979-88, il numero dei proclamatori della buona notizia dello
stabilito Regno di Dio è aumentato da 2.186.075 a 3.592.654, un aumento del 64,3 per cento. A livello
mondiale, essi costituiscono un popolo veramente unito che condivide un’unica fede, presta unitamente
servizio a Dio ed è coerentemente devoto ai princìpi morali della Bibbia. È a questo gruppo internazionale
così strettamente unito che si applicano oggi le parole di Gesù: “Se osservate i miei comandamenti,
rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre e rimango nel suo amore”. —
Giovanni 15:10; confronta 1 Corinti 1:10.
20 Nonostante essi predichino in oltre 200 lingue diverse, questi testimoni di Geova parlano la “lingua
pura” della verità servendo Dio “spalla a spalla”. Così facendo, imitano l’esempio d’amore di Davide e
Gionatan. (Sofonia 3:9; 1 Samuele 20:17; Proverbi 18:24) Se non siete già uniti al popolo di Dio, non vi
piacerebbe far parte della moderna classe di Gionatan? Potete prefiggervelo come meta, e i testimoni di
Geova mostreranno intenso amore aiutandovi a raggiungere questa meta.
[Note in calce]
Un ottimo esempio al riguardo è riportato nell’Annuario dei testimoni di Geova del 1973, da yb73 pagina
212, paragrafo 3, a pagina 213, paragrafo 3.
Vedi l’Annuario dei testimoni di Geova del 1988, yb88 pagine 150-4.

w89 1/1 27 Uniti sotto un vessillo d'amore


[Riquadro a pagina 27]
St. Mary’s Cathedral
Sydney
August 20, 1940.
The Rt. Hon. W. M. Hughes, M.H.R.,K.C.,
Attorney General,
CANBERRA.
Dear Mr. Hughes:
(TRADUZIONE DELLA LETTERA)
Le sono grato per la sua lettera del 9 c.m. in merito alle rimostranze fattele dall’on. Jennings.
Naturalmente, è comprensibile che lei debba esercitare la massima cautela in una questione così
delicata come quella a cui le rimostranze si riferiscono.
Se però l’unico suo dubbio nasce dal fatto che questa gente professa di diffondere le dottrine del
cristianesimo le suggerirei, con il massimo rispetto, di fondare il suo giudizio non su ciò che costoro
professano, ma sui fatti. Come fatti, le invio le loro pubblicazioni e le loro stesse parole e azioni,
confermate dalla polizia del Nuovo Galles del Sud. Difficilmente si potrebbe concepire cosa più contraria
al cristianesimo.
Il commissario di polizia del [Nuovo Galles del Sud] ha espresso la speranza che le autorità del
Commonwealth dichiarino illegale la società in questione, così che la polizia possa prendere misure più
efficaci nei suoi confronti.
With every good wish, I remain,
Yours faithfully,
ARCHBISHOP OF SYDNEY

w93 1/12 24 Felici gli umili


19 I rapporti fra Davide, il re Saul e suo figlio Gionatan dimostrano chiaramente che l’amore e l’umiltà
sono strettamente legati e che la stessa cosa può dirsi dell’orgoglio e dell’egoismo. A motivo dei successi
militari di Davide, le donne di Israele cantarono: “Saul ha abbattuto le sue migliaia, e Davide le sue
decine di migliaia”. (1 Samuele 18:7) Non essendo affatto umile, ma anzi essendo divorato dall’orgoglio,
da quel momento Saul nutrì un odio omicida nei confronti di Davide. Com’era diverso l’atteggiamento di
suo figlio Gionatan! Leggiamo che Gionatan amava Davide come la propria anima. (1 Samuele 18:1)
Cosa fece dunque Gionatan quando il corso degli eventi rese chiaro che Geova stava benedicendo
Davide e che questi, non lui, sarebbe succeduto a Saul sul trono di Israele? Gionatan provò forse gelosia
o invidia? Tutt’altro! A motivo del suo grande amore per Davide, poté dire, come si legge in 1 Samuele
23:17: “Non aver timore; poiché la mano di Saul mio padre non ti troverà, e tu stesso sarai re su Israele e
io stesso ti sarò secondo; e anche Saul mio padre sa che è così”. Il grande amore per Davide spinse
Gionatan ad accettare umilmente quella che comprese essere la volontà di Dio riguardo a chi doveva
succedere al padre sul trono di Israele.
20 La relazione esistente fra amore e umiltà è ulteriormente evidenziata da ciò che accadde l’ultima notte
che Gesù Cristo trascorse con gli apostoli prima di morire. In Giovanni 13:1 leggiamo che Gesù “avendo
amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Dopo ciò, leggiamo, Gesù lavò i piedi agli
apostoli, agendo come un umile servo. Che splendida lezione di umiltà! — Giovanni 13:1-11.
21 Ci sono davvero molte ragioni per essere umili. È la cosa giusta e onesta da fare. Denota fede. Aiuta a
mantenere buoni rapporti con Geova Dio e con i propri conservi. Denota saggezza. Soprattutto, è indice
di amore e reca vera felicità.

g83 22/2 20-1 "Secondo la vostra fede"


“Secondo la vostra fede”
I Samuele 14:1-23
La nazione d’Israele era sotto il dominio dei filistei. Il re Saul radunò un esercito per liberare Israele, ma i
filistei prevalsero e gli Israeliti si nascosero. A questo punto Gionatan, figlio di Saul, disse a colui che gli
portava le armi: ‘Passiamo all’avamposto dei filistei. Forse Geova opererà per noi.’
‘Esponiamoci. Se dicono: “Salite contro di noi!” saliremo, poiché questo sarà il segno che Geova è con
noi’.
Uscirono all’aperto e i filistei esclamarono: ‘Gli ebrei escono dalle loro tane!’ A Gionatan e a colui che gli
portava le armi gridarono: “Salite a noi, e vi faremo sapere una cosa!” Era il segno che attendevano da
Geova! “Sali dietro a me”, disse Gionatan a colui che gli portava le armi, “perché Geova li darà per certo
in mano a Israele”.
I due cominciarono a salire verso l’avamposto filisteo.
Davanti alla schiacciante superiorità del nemico, Gionatan e colui che gli portava le armi stettero schiena
contro schiena e combatterono contro i filistei, finché venti di essi giacquero a terra, morti. Nel momento
cruciale, veramente Geova ‘operò per loro’.
Terremoto! Confusione! Nello scompiglio i filistei combatterono l’uno contro l’altro.
Gli israeliti uscirono dai loro nascondigli per partecipare alla battaglia e i loro nemici furono messi in fuga.
COSA IMPARIAMO: Ponderate le parole: “Forse Geova opererà per noi”. La fede che Geova avrebbe
operato spinse Gionatan ad agire. Geova operò veramente. Gli israeliti uscirono dai loro nascondigli, i
filistei furono messi in rotta, e “Geova salvava quel giorno Israele”. (I Samuele 14:23) Tutto grazie alla
fede di Gionatan. Oggi i cristiani non partecipano a guerre carnali come fecero i servitori di Geova nei
tempi antichi. Ma abbiamo bisogno del suo sostegno nelle nostre attività cristiane, e quando avanziamo
con fede diamo a Dio motivo di operare per noi. Gesù dice: “Vi avvenga secondo la vostra fede”. (Matteo
9:29) Geova ci rivolge l’invito: “Mettetemi alla prova, suvvia”. (Malachia 3:10) Come Gionatan, dunque,
agiamo secondo la nostra forte fede. “Forse Geova opererà” anche per noi.
Giosafat (n. 3) — Tema: Guardatevi dalle cattive compagnie 1°CORINTI 15:33

it-1 1135-6 Giosafat


GIOSAFAT
(Giòsafat) [Geova è Giudice].
3. Figlio di Asa re di Giuda e di Azuba figlia di Sili. Nel 936 a.E.V., quando aveva 35 anni, Giosafat
succedette al padre sul trono e regnò per 25 anni. (1Re 22:42; 2Cr 20:31) Regnò nello stesso periodo dei
re di Israele Acab, Acazia e Ieoram. (1Re 22:41, 51; 2Re 3:1, 2; 2Cr 17:3, 4) Il suo buon regno fu
contrassegnato da stabilità, prosperità, gloria e relativa pace con i paesi vicini. Giosafat riceveva doni dai
sudditi e un tributo dai filistei e dagli arabi. — 2Cr 17:5, 10, 11.
Successi. Giosafat rafforzò la propria posizione dislocando forze militari nelle città fortificate di Giuda e
stabilendo guarnigioni sia nel paese di Giuda che nel territorio di Israele conquistato da suo padre Asa. A
Gerusalemme c’era un grosso contingente di valorosi guerrieri al servizio del re; e in Giuda Giosafat
costruì fortificazioni e città adibite a deposito. — 2Cr 17:1, 2, 12-19.
A differenza dei re israeliti del regno settentrionale, Giosafat si occupò molto della vera adorazione. (2Cr
17:4) Incaricò certi principi, leviti e sacerdoti di insegnare la legge di Geova nelle città di Giuda. (2Cr 17:7-
9) Inoltre santificò delle offerte sante (2Re 12:18) e si recò personalmente in tutto il reame per
incoraggiare i sudditi a essere fedeli e tornare a Geova. (2Cr 19:4) Con coraggio Giosafat continuò la
campagna contro l’idolatria iniziata da Asa. (1Re 22:46; 2Cr 17:6) Ma l’adorazione sbagliata praticata
sugli alti luoghi era così radicata fra gli israeliti che Giosafat, nonostante i suoi sforzi, non riuscì a
eliminarla in modo completo e permanente. — 1Re 22:43; 2Cr 20:33.
Il regno di Giosafat vide anche l’istituzione di un migliore sistema giuridico. Il re stesso ribadì ai giudici
l’importanza di essere imparziali e di non lasciarsi corrompere, poiché non giudicavano per l’uomo, ma
per Geova. — 2Cr 19:5-11.
Giosafat dimostrò di essere un re che confidava pienamente in Geova. Quando il paese di Giuda fu
minacciato dalle forze alleate di Ammon, di Moab e della regione montagnosa di Seir, egli riconobbe
umilmente la debolezza della nazione di fronte a questo pericolo e invocò l’aiuto di Geova. Allora Geova
combatté per Giuda seminando la confusione nelle file dei nemici così che questi si uccisero fra loro.
Perciò le nazioni circostanti si intimorirono e Giuda continuò ad avere pace. — 2Cr 20:1-30.
Rapporti con il regno delle dieci tribù. Giosafat rimase in pace con il regno settentrionale e poco
saggiamente strinse un’alleanza matrimoniale con Acab. (1Re 22:44; 2Cr 18:1) Per questa ragione in
diverse occasioni fu costretto ad allearsi con il regno di Israele.
Durante una visita nel regno settentrionale compiuta qualche tempo dopo il matrimonio di Atalia figlia di
Acab con il suo figlio primogenito Ieoram, Giosafat acconsentì ad accompagnare il re Acab in una
spedizione militare per riconquistare Ramot-Galaad occupata dai siri. Comunque prima di mettersi in
marcia Giosafat richiese che Acab interrogasse Geova. Quattrocento profeti avevano assicurato ad Acab
che avrebbe avuto successo. Tuttavia il vero profeta di Geova, Micaia, odiato da Acab, ma convocato per
l’insistenza di Giosafat, predisse una sconfitta sicura. Ciò nonostante Giosafat, forse per non rimangiarsi
la promessa di accompagnare Acab, scese in campo indossando abiti regali. Poiché Acab aveva preso la
precauzione di travestirsi, i siri conclusero erroneamente che il re di Israele fosse Giosafat e perciò
concentrarono su di lui il loro attacco. Giosafat riuscì a salvarsi a stento mentre Acab, nonostante il
travestimento, fu ferito mortalmente. (1Re 22:2-37; 2Cr 18) Tornato a Gerusalemme, Giosafat fu
rimproverato per essersi stoltamente alleato con il malvagio Acab. Infatti Ieu il visionario gli disse: “Si
deve dare aiuto al malvagio, e dovresti provare amore per quelli che odiano Geova? E per questo c’è
indignazione contro di te dalla persona di Geova”. — 2Cr 19:2.
In seguito Giosafat si unì al re Acazia, successore di Acab, in un’impresa per costruire navi a Ezion-
Gheber sul golfo di `Aqaba. Ma Geova disapprovava questa alleanza marittima con il malvagio Acazia.
Perciò, in adempimento della profezia, le navi fecero naufragio. — 1Re 22:48, 49; 2Cr 20:35-37; vedi
ACAZIA n. 1.
Qualche tempo dopo, Giosafat si unì a Ieoram, successore di Acazia, e al re di Edom in un’offensiva
militare per sedare la rivolta di Mesa re di Moab contro il regno delle dieci tribù. Ma gli eserciti alleati
rimasero intrappolati in un deserto senz’acqua. Giosafat allora mandò a chiamare un profeta di Geova.
Solo per rispetto verso Giosafat il profeta Eliseo ricercò l’ispirazione di Dio, e il suo consiglio salvò i tre re
e i loro eserciti dal disastro. — 2Re 3:4-25.
Ieoram diventa re. Mentre era ancora in vita, Giosafat affidò il regno al primogenito Ieoram, mentre agli
altri figli diede preziosi doni e città fortificate di Giuda. (2Re 8:16; 2Cr 21:3) Specie dopo la morte e
sepoltura di Giosafat nella Città di Davide, l’alleanza matrimoniale con la casa di Acab si dimostrò funesta
per il regno di Giuda. A motivo dell’influenza di Atalia, Ieoram abbandonò la retta via seguita dal padre e
riprese le pratiche idolatriche. — 1Re 22:50; 2Cr 21:1-7, 11.

w85 15/1 28-32 "La battaglia non è vostra, ma di Dio"


“La battaglia non è vostra, ma di Dio”
“Riponete fede in Geova . . . e abbiate dunque successo”. — II CRONACHE 20:20.
GIOSAFAT di Giuda fu un buon re. ‘Non si dipartì dal fare ciò che era retto agli occhi di Geova’. (II
Cronache 20:32) Il suo nome significa “Geova è Giudice”. Egli esaltò il nome di Geova, rivolgendosi a lui
per ricevere guida nella via della giustizia e aiuto nel giudicare il Suo popolo. Fece sì che a questo popolo
fosse insegnata la legge di Geova. Andò di persona tra i giudei per incoraggiarli a tornare alla vera
adorazione di Geova. Organizzò il regno per l’adorazione teocratica. In tutto ciò ben raffigura il Re Gesù
Cristo che è stato insediato sul suo trono celeste nel 1914 e che ora raduna il popolo di Geova perché
sopravviva, mentre le forze demoniche radunano le nazioni per la guerra finale di Armaghedon. — Matteo
25:31-34; Rivelazione 16:13, 14, 16.
2 Dopo che Giosafat si era preoccupato di ristabilire l’ordine teocratico in Giuda, sorse un notevole
problema. Dalle regioni di Ammon, di Moab e del monte Seir venne un potente avversario, “una gran
folla”, che minacciava di distruggere il popolo di Dio. (II Cronache 20:1, 2, 22) La situazione odierna è
simile. I testimoni di Geova, ‘non facendo parte del mondo’, sono odiati dal mondo di Satana e spesso
sono perseguitati con crudeltà dai nemici di Dio. (Giovanni 15:19; I Giovanni 5:19) Al tempo di Giosafat
era in gioco il controllo del paese dove abitava il popolo di Geova, Giuda (che significa “lode”). Ma ora,
seguendo il modello degli antichi Ammon e Moab, le odierne potenze politiche e la grande industria
(compresi i fabbricanti di armi “apocalittiche”) lottano per il controllo del mondo. Facendo questo invadono
anche il reame che, dal 1914, appartiene giustamente al messianico Regno di Dio. (Rivelazione 11:15,
18) Nell’antichità il monte Seir divenne il territorio dominato dall’apostata Edom, popolo discendente da
Esaù, gemello di Giacobbe. Appropriatamente, dunque, gli abitanti del monte Seir prefigurarono gli
orgogliosi apostati dell’odierna cristianità. — Genesi 32:3.
3 Minacciato da quelle orde di invasori, cosa poteva fare il re Giosafat? Ebbene, cosa fanno sempre i leali
servitori di Geova di fronte a situazioni di emergenza, persecuzione o pericolo di vita? Giosafat “volse la
faccia per ricercare Geova”. E da tutte le città di Giuda il popolo andò “a consultare Geova” presso la sua
casa dedicata alla vera adorazione. — II Cronache 20:3-5.
4 Che ottimo esempio per l’odierno popolo di Dio! Quest’èra di violenza sta precipitando verso Har-
Maghedon. Nel mondo di Satana le condizioni non diverranno meno violente. (II Timoteo 3:1, 13) Spesso
può essere minacciata la stessa vita di chi fa parte del popolo di Geova. Dove troveremo protezione?
Nella nostra unità di adorazione. Ci raduniamo nelle Sale del Regno e in altri centri di studio biblico per
ricevere nutriente cibo spirituale e per organizzare il nostro servizio pubblico di lode a Geova.
Felicemente una “grande folla” continua sta affluendo da tutte le nazioni per partecipare al “sacro
servizio” assieme al popolo di Dio. Questi nuovi accorrono al ‘monte della casa di adorazione di Geova’.
Anche per loro questo significa salvezza. — Rivelazione 7:9, 15; Isaia 2:3.
5 Giosafat si trovava “nella casa di Geova dinanzi al nuovo cortile”. Evidentemente nel programma di
costruzione attuato dal re in Giuda era stato incluso l’ampliamento degli edifici usati per l’adorazione nel
tempio di Gerusalemme. Similmente oggi sotto la guida di Gesù Cristo, il Re insediato, è stato portato
avanti un vasto programma di edificazione spirituale, perché nel cortile terreno del tempio di Geova ci
fosse sufficiente spazio per i milioni di componenti della “grande folla” non sacerdotale. Com’è bello
essere lì! — Salmo 27:1-5.
Rivolgiamoci a Geova
6 Nella casa di Geova Giosafat espose in preghiera l’intera cosa a Dio. Riconobbe la Regalità, la potenza
e la possanza di Geova, e ne ricordò le opere verso il Suo popolo. Menzionò la fervida preghiera di
Salomone quando il tempio fu dedicato, concludendo umilmente: “Noi stessi non sappiamo che cosa
dovremmo fare, ma i nostri occhi sono verso di te”. (II Cronache 20:5-12; 6:12-14, 34, 35) Vi siete mai
trovati in una situazione simile, apparentemente senza via d’uscita? Nel periodo apostolico Paolo si trovò
spesso in simili difficoltà. Dovette affidarsi completamente a Geova. Ma poté sempre dire: “Quando sono
debole, allora sono potente”, poiché quando si sentiva del tutto incapace, la sua piena fiducia in Geova
diveniva per lui una fonte di forza invincibile. Voi pure potete essere forti! — II Corinti 12:10; Proverbi
18:10.
7 Cercate di immaginare quella scena nella vasta area del tempio di Gerusalemme: “Intanto tutti quelli di
Giuda stavano in piedi dinanzi a Geova, pure i loro piccoli, le loro mogli e i loro figli”. (II Cronache 20:13)
Ricordavano senza dubbio le precise istruzioni di Mosè, riportate in Deuteronomio 31:12, in merito allo
scopo di queste raduni. C’erano solo posti in piedi in mezzo a quella grande assemblea, mentre con
rispetto quelle famiglie aspettavano Geova, deste e pronte a eseguire i suoi ordini.
Il canale che Geova usa
8 Come avrebbe fatto il Sovrano Signore Geova a rispondere alla preghiera di Giosafat? Geova provvide
un canale di comunicazione nella persona di Iahaziel, della tribù di Levi. Anche se Iahaziel non era un
sacerdote, Geova lo scelse per proclamare uno dei più stimolanti messaggi di incoraggiamento contenuti
nelle Scritture. La cosa importante era che “lo spirito di Geova fu su di lui in mezzo alla congregazione”.
(II Cronache 20:14) Geova ha stabilito un canale simile in mezzo al suo popolo odierno? Certo! Gesù ne
parlò nella sua profezia relativa al “termine del sistema di cose” menzionando l’unta classe dello “schiavo
fedele e discreto”, alla quale il Signore avrebbe affidato tutti i suoi “averi” terreni. — Matteo 24:3, 45-47.
9 Il nome Iahaziel significa “Dio vede”. Dio poteva veramente vedere tutto ciò che era implicato in quel
momento critico. Poteva prevedere quale condotta doveva seguire il popolo di Dio. Poteva vederne il
risultato finale. Quale messaggio, quindi, inviò Geova tramite Iahaziel? Ascoltate! Questo: “Prestate
attenzione, tutto Giuda e voi abitanti di Gerusalemme e re Giosafat! Ecco ciò che Geova vi ha detto: ‘Non
abbiate timore né siate atterriti a causa di questa gran folla; poiché la battaglia non è vostra, ma di Dio’”.
(II Cronache 20:15) Quanto dev’essersi rallegrata quella folla! E quanto ci rallegriamo noi oggi sapendo
che, a prescindere da come ci possono attaccare Satana e le sue schiere e da come possono essere
messe alla prova la nostra fede e la nostra integrità, noi come popolo unito, possiamo affidarci
completamente a Geova, fiduciosi che egli combatterà per noi! — Esodo 15:2, 3; Salmo 24:8; 37:3-7;
Zaccaria 14:3.
Indispensabile l’unità d’azione
10 Quei giudei, comunque, non dovevano starsene senza far nulla, aspettando un’eventuale liberazione
da parte di Geova. Dovevano essere un popolo di azione! Dovevano dimostrare ubbidienza a Geova e
fare le cose a suo modo se intendevano sopravvivere. Senza dubbio molti di loro avranno pensato che le
istruzioni provenienti da Geova fossero piuttosto insolite. Queste misero alla prova la loro integrità. Allo
stesso modo, prima di intraprendere ‘la sua opera strana, il suo lavoro insolito’ con la distruzione della
cristianità all’inizio della “grande tribolazione”, Geova esige che i suoi testimoni prendano parte
unitamente a un’opera che può sembrare insolita a molti. È il loro sacro servizio di andare ripetutamente
dalle persone alle loro case, per avvertirle dell’imminente distruzione. — Isaia 28:21; Matteo 24:14, 21.
11 Questo fu prefigurato dagli ordini dati da Iahaziel al popolo di Giuda. Riferendosi alle orde nemiche,
disse: “Domani scendete contro di loro. . . . Non avrete bisogno di combattere in questo caso. Mettetevi a
posto, state fermi e vedete la salvezza di Geova a vostro favore. O Giuda e Gerusalemme, non abbiate
timore né siate atterriti. Domani uscite contro di loro, e Geova sarà con voi”. (II Cronache 20:16, 17) A
quella schiera disarmata di uomini, donne e bambini fu comandato di uscire contro gli eserciti congiunti
dell’avversario! — Confronta Salmo 148:12, 13.
12 Giosafat e i giudei mostrarono profonda gratitudine per la guida provveduta da Geova tramite Iahaziel.
“Subito Giosafat si inchinò con la faccia a terra, e tutto Giuda e gli abitanti di Gerusalemme stessi
caddero dinanzi a Geova per mostrar rispetto a Geova”. (II Cronache 20:18) Anche il più grande Giosafat,
Gesù Cristo, quando era sulla terra mostrò di affidarsi in modo sottomesso a Geova, e possiamo star
certi che aspetterà che sia Geova a dargli il comando di combattere quando ‘alla sua destra Geova farà a
pezzi i re nel giorno della sua ira’. (Salmo 110:5, 6) In modo simile oggi i testimoni di Geova sono felici di
“mostrar rispetto” al Dio nel quale ripongono fiducia mentre servono nei suoi cortili. — Salmo 84:10-12;
122:1-4.
13 Come dice II Cronache 20:19, i cantori del tempio “si levarono per lodare Geova l’Iddio d’Israele con
voce straordinariamente alta”. E oggi chi, sotto la guida dell’unto rimanente, loda Geova di fronte ai suoi
nemici con “voce straordinariamente alta”? Certamente all’avanguardia del popolo di Geova sta il gruppo
sempre in aumento dei pionieri. Nel 1984 il numero di pionieri ausiliari e regolari, pionieri speciali e
missionari, di quelli cioè che prendono la direttiva nel lodare Geova nel campo, è cresciuto del 25 per
cento. Il loro ‘canto’ ha inciso in modo straordinario sullo sbalorditivo totale di 505.588.037 ore,
aumentate del 15,7 per cento, dedicate l’anno scorso al ministero.
14 A Gerusalemme quello non era il momento di essere dormiglioni. Ubbidienti, i giudei “si alzavano la
mattina di buon’ora e uscivano verso il deserto di Tecoa”. (II Cronache 20:20) Erano ansiosi di mostrare
la loro fede con opere. (Confronta Giacomo 2:14). Oggi, in modo simile, spesso i ministri di Dio devono
andare presto al lavoro. Casalinghe che sono pioniere, e altre, devono alzarsi presto per accudire alle
faccende di casa, per poter poi dedicare l’intera mattinata al servizio di Geova. Nel mondo di Satana ci
sono persone che “sospirano e gemono”, che devono essere segnate perché ottengano la salvezza
attraverso la “grande tribolazione”. I testimoni di Geova sono decisi a trovarle. — Confronta Ezechiele
9:4.
Alla battaglia!
15 In II Cronache 20:20 il racconto continua, dicendo: “Mentre uscivano, Giosafat stette in piedi e quindi
disse: ‘Uditemi, o Giuda e voi abitanti di Gerusalemme! Riponete fede in Geova vostro Dio affinché
abbiate lunga durata. Riponete fede nei suoi profeti e abbiate dunque successo’”. Similmente il capo della
congregazione cristiana, il nostro Re ora regnante, ha incoraggiato moltissimo il suo popolo a essere
fedele. Lo vediamo da passi come questi: Matteo 10:27, 28; 24:9-13; Giovanni 16:33. Fede in Geova,
fede in coloro che impiega come portavoce, sì, fede nella sua organizzazione! Oggi, mentre ‘usciamo’ per
servire Geova, quanto è importante esercitare questa fede! È questo il modo per conseguire il successo
certo, successo che arriderà a tutti i dedicati e battezzati Testimoni che esercitano fede in Geova e nei
suoi provvedimenti. Tra questi, il meraviglioso provvedimento della vita eterna reso possibile dal sacrificio
di suo Figlio. — Giovanni 3:16; 17:3.
16 Inoltre Giosafat “si consigliò col popolo e collocò cantori a Geova e quelli che offrivano lode in
ornamento santo mentre uscivano davanti agli uomini armati, e dicendo: ‘Date lode a Geova, poiché la
sua amorevole benignità è a tempo indefinito’”. (II Cronache 20:21) Allora i cantori del tempio erano alla
testa di quelli che uscivano alla battaglia. In modo simile, sotto la guida dell’unto rimanente, ci sono i
pionieri e i missionari, i sorveglianti viaggianti e le rispettive mogli, coloro che servono in case Betel,
anziani di congregazione e servitori di ministero che spesso vanno all’avanguardia nel compiere il sacro
servizio, esortando all’azione tutti coloro che si uniscono alle congregazioni. Tutti questi offrono lode a
Geova “in ornamento santo” marciando in modo teocratico. Il loro ornamento spirituale include anche ‘la
nuova personalità cristiana che rivela vera giustizia e lealtà’. (Efesini 4:24; Galati 5:22, 23) Che privilegio
è far parte dell’odierno movimento mondiale che esalta il nome e l’amorevole benignità di Geova! —
Salmo 144:1, 2; 136:1-26.
17 Geova aveva detto al suo popolo: “Non avrete bisogno di combattere in questo caso”. Fu proprio così.
“Al tempo in cui cominciarono col grido di gioia e di lode” Geova preparò un’imboscata alle schiere di
invasori, così che “i figli di Ammon e di Moab stavano in piedi contro gli abitanti della regione montagnosa
di Seir per votarli alla distruzione e annientarli”. (II Cronache 20:17, 22, 23) Ciò ben raffigura quanto sta
per accadere nel mondo di Satana. Secondo Rivelazione 17:16, 17 Geova ha un “pensiero” circa
Babilonia la Grande, della quale la cristianità è la parte più biasimevole. Indurrà le nazioni militarizzate
dell’ONU a condividere il suo “pensiero” e a riversarsi contro la falsa religione per devastarla e
distruggerla. Il grande sistema apostata della cristianità, come quegli edomiti del monte Seir, sarà
annientato.
18 Ma non è tutto! Rimangono i moderni Ammon e Moab! (Confronta Rivelazione 18:9, 10, 15-17).
Saranno ancora decisi a distruggere gli adoratori di Geova, gli odierni “Giudei”. Ma allora sarà giunto per
Geova il tempo di eseguire il giudizio. Secondo la descrizione di Rivelazione 19:11-16, il Re, Gesù Cristo,
si accingerà a ‘calcare lo strettoio del vino del furore dell’ira di Dio Onnipotente’, distruggendo quanto
rimane del sistema mondiale di Satana. Al culmine di quella grande battaglia, quelli che resteranno delle
nazioni politiche e le loro schiere militarizzate, impazziti, senza dubbio si colpiranno reciprocamente con
le loro armi di distruzione. Avvenne questo con Ammon e Moab, quando “aiutarono ciascuno a ridurre in
rovina il suo proprio prossimo”. Ma Geova non permetterà mai loro di usare le armi nucleari al punto di
distruggere il popolo di Dio o la Sua opera, la nostra terra. — Rivelazione 11:18; Isaia 45:12, 18; Salmo
115:16.
19 “In quanto a Giuda, venne alla torre di guardia del deserto. Quando ebbero voltato le loro facce verso
la folla, ebbene, ecco, erano lì, i loro cadaveri caduti a terra senza che alcuno scampasse”. Quando gli
odierni “Giudei”, insieme ai loro compagni di adorazione, osserveranno i risultati della guerra di Har-
Maghedon, loderanno Geova per quella grandiosa vittoria. Non dovranno prendere spoglie letterali, ma si
rallegreranno radunandosi nel simbolico “Bassopiano di Beraca”, nome che significa “benedizione”.
Gioiosamente la “grande folla” non sacerdotale entrerà in una terra purificata sotto il dominio del Regno,
ansiosi di svolgere il loro successivo compito, quello di rendere la terra un giardino paradisiaco. Per mille
anni il reame reale del più grande Giosafat, Gesù Cristo, non sarà disturbato e il suo Dio, Geova,
continuerà a dare riposo dappertutto. — II Cronache 20:24-30.
[Figure alle pagine 30 e 31]
Come Giosafat, l’intronizzato Gesù ora aiuta il popolo di Dio ad ‘avere successo’ nel lodare Geova

W92 1-1 P.20-21


W98 1-5 P.19-25
(SCHEMA DISCORSO N°41)
Giosia (n. 1) — Tema: Mantenetevi puri dall’idolatria 1°GIOVANNI 5:21

it-1 1136-7 Giosia


GIOSIA
(Giosìa) [se affine a una radice araba, Geova sani; Geova ha sanato].
1. Figlio di Amon re di Giuda e di Iedida figlia di Adaia. (2Re 22:1) Giosia ebbe almeno due mogli, Amutal
e Zebida. (2Re 23:31, 34, 36) Dei suoi quattro figli menzionati nella Bibbia, solo il primogenito Ioanan non
diventò re di Giuda. — 1Cr 3:14, 15.
Dopo che suo padre fu assassinato e i cospiratori furono giustiziati, a soli otto anni Giosia diventò re di
Giuda. (2Re 21:23, 24, 26; 2Cr 33:25) Circa sei anni più tardi Zebida diede alla luce il secondo figlio di
Giosia, Ioiachim. (2Re 22:1; 23:36) Nell’8° anno de l suo regno, Giosia si accinse a imparare e a fare la
volontà di Geova. (2Cr 34:3) Più o meno in quel tempo nacque Ioacaz (Sallum), figlio di Giosia e Amutal.
— 2Re 22:1; 23:31; Ger 22:11.
Nel 12° anno di regno, Giosia diede inizio a una ca mpagna contro l’idolatria che a quanto pare si
protrasse fino al 18° anno del suo regno. Altari us ati per la falsa adorazione furono abbattuti e sconsacrati
bruciandovi sopra ossa umane. Furono distrutti anche i pali sacri, le immagini scolpite e le statue di
metallo fuso. Giosia estese la sua opera fino al N di quello che era stato il regno delle dieci tribù, ora
desolato in seguito alla conquista assira e al successivo esilio. (2Cr 34:3-8) Evidentemente le denunce
dell’idolatria da parte di Sofonia e di Geremia avevano avuto un buon effetto. — Ger 1:1, 2; 3:6-10; Sof
1:1-6.
Quando il re Giosia aveva già terminato di purificare il paese di Giuda e stava facendo riparare il tempio
di Geova, il sommo sacerdote Ilchia trovò “il libro della legge di Geova per mano di Mosè”, senza dubbio
la copia originale. Safan il segretario, a cui Ilchia affidò l’eccezionale reperto, riferì il progresso fatto nei
lavori di riparazione del tempio e poi lesse il libro a Giosia. All’udire la parola di Dio, questo re fedele si
strappò le vesti e quindi incaricò una delegazione di cinque uomini di interrogare Geova a favore suo e
del popolo. La delegazione andò dalla profetessa Ulda, che allora dimorava a Gerusalemme, e tornò con
un messaggio di questo genere: ‘A motivo della disubbidienza alla legge di Geova verrà la calamità. Ma
poiché tu, re Giosia, ti sei umiliato, sarai raccolto in pace nel sepolcro e non vedrai la calamità’. — 2Re
22:3-20; 2Cr 34:8-28; vedi ULDA.
Allora Giosia radunò tutto il popolo di Giuda e Gerusalemme, inclusi gli anziani, i sacerdoti e i profeti, e
lesse loro la Legge di Dio. Dopo di che fu concluso davanti a Geova un patto di fedeltà. Seguì poi una
seconda e più intensa campagna contro l’idolatria. Si fece cessare l’attività dei sacerdoti di dèi stranieri in
Giuda e Gerusalemme, e i sacerdoti leviti che sugli alti luoghi avevano partecipato a un’adorazione errata
furono privati del privilegio di servire presso l’altare di Geova. Gli alti luoghi costruiti secoli prima durante il
regno di Salomone furono resi del tutto inadatti all’adorazione. In adempimento di una profezia
pronunciata circa tre secoli prima da un innominato uomo di Dio, Giosia abbatté l’altare costruito a Betel
da Geroboamo re d’Israele. Non solo a Betel ma anche nelle altre città della Samaria gli alti luoghi furono
eliminati, e i sacerdoti idolatri furono sacrificati sugli altari su cui avevano officiato. — 1Re 13:1, 2; 2Re
23:4-20; 2Cr 34:33.
Nel 18° anno del suo regno, Giosia dispose che il 1 4 nisan si celebrasse la Pasqua. Fu una Pasqua che
superò tutte quelle celebrate sin dai giorni del profeta Samuele. Giosia stesso diede come contribuzione
30.000 vittime pasquali e 3.000 capi di bestiame. — 2Re 23:21-23; 2Cr 35:1-19.
Circa quattro anni dopo nacque Mattania (Sedechia) figlio di Giosia e di sua moglie Amutal. — 2Re 22:1;
23:31, 34, 36; 24:8, 17, 18.
Verso la fine dei 31 anni del regno di Giosia (659-629 a.E.V.) il faraone Neco con il suo esercito si diresse
a N in aiuto degli assiri. Per una ragione che la Bibbia non rivela, il re Giosia “non ascoltò le parole di
Neco dalla bocca di Dio” e cercò di respingere l’esercito egiziano a Meghiddo, ma fu ferito mortalmente.
Riportato a Gerusalemme su un carro da guerra, morì per via o appena arrivato. La morte di Giosia
addolorò molto i suoi sudditi. “Tutto Giuda e Gerusalemme furono in lutto per Giosia. E Geremia intonava
un canto su Giosia; e tutti i cantori e le cantatrici continuano a parlare di Giosia nei loro canti funebri fino
ad oggi”. — 2Cr 35:20-25; 2Re 23:29, 30; vedi ASSIRIA (La caduta dell’impero).
Tre figli e un nipote di Giosia diventarono re di Giuda, ma nessuno di loro imitò il suo ottimo esempio
volgendosi a Geova con tutto il cuore, l’anima e la forza vitale. (2Re 23:24, 25, 31, 32, 36, 37; 24:8, 9, 18,
19) Questo rivela che, anche se Giosia era riuscito a eliminare esteriormente l’idolatria, il popolo in
generale non era tornato a Geova con cuore completo. Perciò una calamità futura era certa. — Cfr. 2Re
23:26, 27; Ger 35:1, 13-17; 44:15-18.

w90 1/8 5 Giovani servitori dei tempi biblici


Giosia divenne re a soli otto anni. A circa 15 anni, “mentre era ancora un ragazzo, cominciò a ricercare
l’Iddio di Davide suo antenato”. Ancor prima di compiere vent’anni Giosia intraprese una campagna
contro la falsa adorazione. In seguito fece riparare il tempio e ripristinò la pura adorazione nel paese.
Leggiamo: “Per tutti i suoi giorni [gli israeliti] non si scostarono dal seguire Geova l’Iddio dei loro antenati”.
Nessuno di noi può essere re come Giosia, nondimeno possiamo tutti servire Dio e opporci con decisione
alla falsa adorazione, qualunque sia la nostra età. — 2 Cronache 34:3, 8, 33.

w93 15/1 20-5 Perché guardarsi dall'idolatria?


Perché guardarsi dall’idolatria?
“Figlioletti, guardatevi dagli idoli”. — 1 GIOVANNI 5:21.
GEOVA non è un idolo di metallo, di legno o di pietra. Nessun tempio umano può ospitarlo. Essendo egli
lo Spirito onnipotente, invisibile agli uomini, è impossibile farsene un’immagine. Perciò la pura adorazione
di Geova dev’essere del tutto esente da idolatria. — Esodo 33:20; Atti 17:24; 2 Corinti 3:17.
2 Se siete adoratori di Geova, potreste quindi chiedere: ‘Cos’è l’idolatria? In che modo i servitori di Geova
sono riusciti ad evitarla nel passato? E perché bisogna guardarsi dall’idolatria oggi?’
Cos’è l’idolatria
3 In genere l’idolatria è accompagnata da qualche cerimonia o rito. L’idolatria è la venerazione, l’amore, il
culto o l’adorazione di un idolo. E cos’è un idolo? È un’immagine, la rappresentazione di qualcosa, o un
simbolo, oggetto di devozione. Di solito l’idolatria è rivolta a un’entità superiore, vera o presunta, a cui
viene attribuita un’esistenza propria (un essere umano, un animale o un’organizzazione). Ma l’idolatria
può anche riguardare cose inanimate (una forza naturale o un oggetto senza vita).
4 I termini ebraici usati nelle Scritture per indicare gli idoli ne sottolineano spesso la futilità o esprimono
disprezzo. Fra questi ci sono i termini resi “immagine scolpita” (letteralmente, qualcosa di scolpito);
“statua, immagine o idolo di metallo fuso” (qualcosa di fuso o versato); “orribile idolo”; “idolo vano”
(letteralmente, vanità), e “idolo di letame”. Il termine greco èidolon è tradotto “idolo”.
5 Non tutte le immagini sono idoli. Dio stesso comandò agli israeliti di fare due cherubini d’oro per l’arca
del patto e di ricamare rappresentazioni di tali creature spirituali sui dieci teli che costituivano la copertura
interna del tabernacolo e sulla cortina che separava il Santo dal Santissimo. (Esodo 25:1, 18; 26:1, 31-
33) Solo i sacerdoti officianti vedevano queste rappresentazioni, che servivano principalmente come
simbolo dei celesti cherubini. (Confronta Ebrei 9:24, 25). Che le rappresentazioni dei cherubini contenute
nel tabernacolo non dovessero essere venerate è evidente dal fatto che i giusti angeli stessi rifiutarono di
essere adorati. — Colossesi 2:18; Rivelazione 19:10; 22:8, 9.
Cosa pensa Geova dell’idolatria
6 I servitori di Geova si guardano dall’idolatria perché egli è contro tutte le pratiche idolatriche. Dio vietò
agli israeliti di farsi immagini come oggetti di culto e di adorarle. I Dieci Comandamenti includevano
queste parole: “Non devi farti immagine scolpita né forma simile ad alcuna cosa che è nei cieli di sopra o
che è sulla terra di sotto o che è nelle acque sotto la terra. Non devi inchinarti davanti a loro né essere
indotto a servirle, perché io, Geova tuo Dio, sono un Dio che esige esclusiva devozione, recando la
punizione per l’errore dei padri sui figli, sulla terza generazione e sulla quarta generazione, nel caso di
quelli che mi odiano; ma che esercita amorevole benignità verso la millesima generazione nel caso di
quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti”. — Esodo 20:4-6.
7 Perché Geova è contrario a qualunque forma di idolatria? Principalmente perché, come indica il
secondo dei Dieci Comandamenti riportato sopra, esige esclusiva devozione. Per di più, tramite il profeta
Isaia disse: “Io sono Geova. Questo è il mio nome; e non darò a nessun altro la mia propria gloria, né la
mia lode alle immagini scolpite”. (Isaia 42:8) Ci fu un tempo in cui gli israeliti caddero nel laccio
dell’idolatria al punto che “sacrificavano i loro figli e le loro figlie ai demoni”. (Salmo 106:36, 37) Gli idolatri
non solo negano che Geova sia il vero Dio, ma fanno anche gli interessi del suo principale Avversario,
Satana, e dei demoni.
Leali nella prova
8 Ci guardiamo dall’idolatria anche per lealtà verso Geova. Lo si può ben capire da un episodio narrato in
Daniele capitolo 3. Per inaugurare una grande immagine d’oro che aveva fatto erigere, il re babilonese
Nabucodonosor convocò i funzionari del suo impero. L’ordine valeva anche per Sadrac, Mesac e
Abednego, tre amministratori ebrei preposti al distretto giurisdizionale di Babilonia. Al suono di certi
strumenti musicali tutti i presenti dovevano inchinarsi davanti all’immagine. Questo era un tentativo
dell’effettivo dio di Babilonia, Satana, di costringere i tre ebrei a inchinarsi davanti a un’immagine che
rappresentava l’impero babilonese. Raffiguratevi la scena.
9 Guardate! I tre ebrei sono in piedi. Ricordano la legge di Dio che vieta di fare e servire idoli o immagini
scolpite. Nabucodonosor dà loro l’ultimatum: o inchinarsi o morire! Ma, per lealtà a Geova, essi dicono:
“Se dev’essere, il nostro Dio che serviamo ci può liberare. Egli ci libererà dalla fornace di fuoco ardente e
dalla tua mano, o re. Ma se no, ti sia noto, o re, che i tuoi dèi non sono quelli che noi serviamo, e
certamente non adoreremo l’immagine d’oro che hai eretto”. — Daniele 3:16-18.
10 Quei leali servitori di Dio vengono gettati nella fornace surriscaldata. Meravigliato di vedere quattro
persone nella fornace, Nabucodonosor grida ai tre ebrei di uscire, ed essi vengono fuori indenni. A quel
punto il re esclama: “Benedetto sia l’Iddio di Sadrac, Mesac e Abednego, che ha mandato il suo angelo
[la quarta persona vista nella fornace] e ha liberato i suoi servitori che hanno confidato in lui e che hanno
cambiato la medesima parola del re e hanno ceduto i loro corpi, perché non volevano servire e non
volevano adorare nessun dio eccetto il loro proprio Dio. . . . Non esiste un altro dio che possa liberare
come questo”. (Daniele 3:28, 29) L’integrità di quei tre ebrei è un incoraggiamento per gli odierni
Testimoni a essere leali a Dio, mantenere la neutralità verso il mondo ed evitare l’idolatria. — Giovanni
17:16.

Gli idoli perdono la causa


11 Un altro motivo per guardarsi dall’idolatria è che la venerazione degli idoli è vana. Anche se alcuni idoli
di fattura umana assomigliano ai viventi — spesso infatti hanno bocca, occhi e orecchi — non possono
né parlare, né vedere, né udire, e non possono fare nulla per i loro devoti. (Salmo 135:15-18) Ciò fu
indicato nell’VIII secolo a.E.V. quando il profeta di Dio descrisse in Isaia 43:8-28 quella che si potrebbe
definire una causa giudiziaria fra Geova e gli dèi idolatrici. In essa il popolo di Dio, Israele, era schierato
da una parte e le nazioni mondane dall’altra. Geova sfidò i falsi dèi delle nazioni a dichiarare “le prime
cose”, cioè a profetizzare accuratamente. Nessuno di essi fu in grado di farlo. Rivolgendosi al suo popolo,
Geova disse: “Voi siete i miei testimoni . . . e io sono Dio”. Le nazioni non potevano dimostrare che i loro
dèi esistessero prima di Geova né che fossero in grado di profetizzare. Geova invece predisse la rovina
di Babilonia e la liberazione del Suo popolo prigioniero.
12 Inoltre, come descritto in Isaia 44:1-8, i servitori di Dio, da lui liberati, avrebbero detto di ‘appartenere a
Geova’. Egli stesso disse: “Io sono il primo e io sono l’ultimo, e oltre a me non c’è nessun Dio”. Non si udì
nessuna confutazione da parte degli dèi idolatrici. “Voi siete i miei testimoni”, Geova disse nuovamente al
suo popolo, e aggiunse: “Esiste un Dio oltre a me? No, non c’è nessuna Roccia”.
13 Ci guardiamo dall’idolatria anche perché chi la pratica manca di sapienza. Con una parte di albero di
sua scelta l’idolatra fa un dio da adorare, e con l’altra accende un fuoco su cui cuoce del cibo. (Isaia 44:9-
17) Che stoltezza! Sia chi fabbrica idoli che chi li venera si espone alla vergogna, anche perché non è in
grado di dare una testimonianza convincente della loro divinità. Ma la Divinità di Geova è fuori
discussione, perché egli non solo predisse la liberazione del suo popolo da Babilonia, ma fece anche in
modo che avvenisse. Gerusalemme fu ripopolata, le città di Giuda vennero riedificate e le protettive
“acque dell’abisso” di Babilonia — il fiume Eufrate — si prosciugarono. (Isaia 44:18-27) Come Dio aveva
pure predetto, Ciro il Persiano conquistò Babilonia. — Isaia 44:28–45:6.
14 Gli dèi idolatrici persero la causa sulla questione della divinità. E ciò che accadde a Babilonia si
avvererà immancabilmente sulla sua controparte moderna, Babilonia la Grande, l’impero mondiale della
falsa religione. Presto essa e tutti i suoi dèi, arredi sacri e idolatrici oggetti di culto scompariranno per
sempre. (Rivelazione 17:12–18:8) Nella Suprema Corte dell’universo verrà allora provato una volta per
tutte che Geova è il solo vivente e vero Dio e che adempie la sua Parola profetica.
Sacrifici ai demoni
15 Il popolo di Geova si guarda dall’idolatria anche perché è guidato dallo spirito e dall’organizzazione di
Dio. Nel I secolo il corpo direttivo dei servitori di Geova disse ai conservi cristiani: “Allo spirito santo e a
noi è parso bene di non aggiungervi nessun altro peso, eccetto queste cose necessarie: che vi asteniate
dalle cose sacrificate agli idoli e dal sangue e da ciò che è strangolato e dalla fornicazione. Se vi
asterrete attentamente da queste cose, prospererete. State sani!” — Atti 15:28, 29.
16 Un’altra ragione per guardarsi dall’idolatria è quella di evitare il demonismo. Parlando del Pasto Serale
del Signore, l’apostolo Paolo disse ai cristiani di Corinto: “Fuggite l’idolatria. . . . Il calice di benedizione
che noi benediciamo, non è una partecipazione al sangue del Cristo? Il pane che noi rompiamo, non è
una partecipazione al corpo del Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, benché molti, siamo un solo corpo,
giacché partecipiamo tutti a quel solo pane. Guardate ciò che è Israele secondo la carne: Quelli che
mangiano i sacrifici non sono partecipi con l’altare? Che dirò dunque? Che ciò che è sacrificato a un idolo
sia qualcosa, o che un idolo sia qualcosa? No; ma dico che le cose che le nazioni sacrificano le
sacrificano ai demoni, e non a Dio; e io non voglio che diveniate partecipi con i demoni. Voi non potete
bere il calice di Geova e il calice dei demoni; non potete partecipare alla ‘tavola di Geova’ e alla tavola dei
demoni. O ‘incitiamo Geova a gelosia’? Noi non siamo più forti di lui, vi pare?” — 1 Corinti 10:14-22.
17 Una parte dell’animale veniva sacrificata all’idolo, una porzione andava ai sacerdoti e l’adoratore ne
riceveva una parte da consumare in un banchetto. Comunque, parte della carne poteva essere venduta
al mercato. Non era consigliabile che un cristiano andasse nel tempio di un idolo per mangiare della
carne, anche se non partecipava al rito, perché ciò avrebbe potuto fare inciampare altri o farlo cadere
nella falsa adorazione. (1 Corinti 8:1-13; Rivelazione 2:12, 14, 18, 20) Il fatto che l’animale fosse stato
offerto a un idolo non cambiava la natura della carne, per cui il cristiano poteva comprarla al mercato.
Inoltre non era tenuto a informarsi sulla provenienza della carne servita a tavola in casa d’altri. Ma se
qualcuno diceva che era stata “offerta in sacrificio”, il cristiano non l’avrebbe mangiata, per evitare di fare
inciampare altri. — 1 Corinti 10:25-29.
18 Era diffusa l’idea che, dopo il rito sacrificale, il dio si trovasse nella carne ed entrasse nel corpo di quelli
che la mangiavano al banchetto degli adoratori. Poiché fra i commensali si stabiliva un vincolo d’unione,
quelli che mangiavano gli animali sacrificati erano partecipi dell’altare e avevano comunione con il dio
demonico rappresentato dall’idolo. Con quella forma di idolatria i demoni impedivano alle persone di
adorare il solo vero Dio. (Geremia 10:1-15) Non c’è da meravigliarsi se i servitori di Geova dovevano
continuare ad astenersi dalle cose sacrificate agli idoli! Voler essere leali a Dio, accettare la guida del suo
spirito santo e della sua organizzazione ed essere decisi a non avere nessun contatto col demonismo
sono anche oggi validi incentivi a guardarsi dall’idolatria.
Perché occorre stare in guardia?
19 I cristiani si guardano scrupolosamente dall’idolatria perché essa può assumere molte forme, e anche
un singolo atto idolatrico può compromettere la loro fede. L’apostolo Giovanni disse ai suoi conservi:
“Guardatevi dagli idoli”. (1 Giovanni 5:21) Questo consiglio era necessario perché erano circondati da
molte forme di idolatria. Giovanni scriveva da Efeso, città in cui erano molto diffuse le arti magiche e il
culto delle divinità mitologiche. A Efeso c’era una delle sette meraviglie del mondo antico: il tempio di
Artemide, ricettacolo di criminali e centro di riti immorali. Il filosofo Eraclito di Efeso paragonò l’oscura via
d’accesso all’altare di quel tempio alle tenebre dell’abiezione e giudicò la morale dei frequentatori del
tempio peggiore di quella delle bestie. Perciò i cristiani di Efeso dovevano rimanere saldi per non cedere
al demonismo, all’immoralità e all’idolatria.
20 I cristiani dovevano essere decisi a evitare anche il minimo atto idolatrico, perché un singolo atto di
adorazione reso al Diavolo avrebbe sostenuto la sua sfida secondo cui gli uomini non sarebbero rimasti
fedeli a Dio nella prova. (Giobbe 1:8-12) Nel mostrare a Gesù “tutti i regni del mondo e la loro gloria”,
Satana disse: “Ti darò tutte queste cose se ti prostri e mi fai un atto di adorazione”. Cristo rifiutò,
sostenendo così la causa di Geova nella contesa della sovranità universale e dimostrando che il Diavolo
è un bugiardo. — Matteo 4:8-11; Proverbi 27:11.
21 Nemmeno i primi seguaci di Gesù erano disposti a compiere alcun atto di adorazione che avrebbe
appoggiato Satana nella contesa. Pur avendo il debito rispetto delle “autorità superiori” governative, non
acconsentivano a bruciare incenso in onore dell’imperatore romano, anche a costo della vita. (Romani
13:1-7) A questo riguardo Daniel P. Mannix scrisse: “Pochissimi cristiani abiurarono, sebbene
generalmente nell’arena si tenesse per agevolarli un altare su cui ardeva un fuoco. Tutto quello che un
prigioniero doveva fare era spargere sulle fiamme un pizzico di incenso, al che gli veniva dato un
Certificato di Sacrificio ed era messo in libertà. Gli si spiegava inoltre con cura che egli non adorava
l’imperatore; semplicemente riconosceva il carattere divino dell’imperatore come capo dello stato romano.
Tuttavia, quasi nessun cristiano si valse dell’opportunità di sfuggire”. (Those About to Die, pagina 137) Se
foste messi similmente alla prova, rifiutereste con altrettanta decisione di compiere qualunque atto di
idolatria?
Vi guarderete dall’idolatria?
22 È chiaro che i cristiani devono guardarsi da ogni forma di idolatria. Geova esige esclusiva devozione. I
tre fedeli ebrei diedero un ottimo esempio rifiutandosi di idoleggiare la grande immagine eretta dal re
babilonese Nabucodonosor. Nella causa giudiziaria universale descritta dal profeta Isaia, solo Geova
risultò essere il vivente e vero Dio. I suoi antichi testimoni cristiani dovevano continuare ad astenersi dalle
cose sacrificate agli idoli. I numerosi cristiani che rimasero leali non cedettero alle pressioni e non
compirono nemmeno un singolo atto idolatrico che avrebbe significato rinnegare Geova.
23 Perciò, vi state personalmente guardando dall’idolatria? State rendendo a Dio esclusiva devozione?
Sostenete la sovranità di Geova e lo innalzate quale unico vivente e vero Dio? Se sì, dovreste essere
fermamente decisi a rimanere saldi contro le pratiche idolatriche. Ma quali altri argomenti scritturali
possono aiutarvi a guardarvi da ogni forma di idolatria?
[Figura a pagina 23]
I tre ebrei si rifiutarono di commettere idolatria, anche a costo della vita

w93 15/1 25-30 Guardatevi da ogni forma di idolatria


Guardatevi da ogni forma di idolatria
“Quale accordo c’è fra il tempio di Dio e gli idoli?” — 2 CORINTI 6:16.
GEOVA ha un tempio in cui non ci sono idoli. Esso fu prefigurato dal tabernacolo di Israele costruito da
Mosè e dai successivi templi edificati a Gerusalemme. Quelle strutture rappresentavano la “vera tenda”, il
grande tempio spirituale di Geova. (Ebrei 8:1-5) Quel tempio è la disposizione per accostarsi a Dio in
adorazione sulla base del sacrificio di riscatto di Gesù Cristo. — Ebrei 9:2-10, 23.
2 Ciascun cristiano unto diviene una “colonna nel tempio” di Dio, ricevendo un posto in cielo. Una “grande
folla” di altri adoratori di Geova ‘rende a Dio sacro servizio’ in ciò che fu rappresentato dal cortile dei
gentili del tempio ricostruito da Erode. Grazie alla fede nel sacrificio di Gesù, essi godono di una
condizione giusta che permetterà loro di essere conservati in vita attraverso la “grande tribolazione”. —
Rivelazione 3:12; 7:9-15.
3 La congregazione dei cristiani unti sulla terra è paragonata figurativamente a un altro tempio esente da
idolatria. A questi ‘suggellati con lo spirito santo’ l’apostolo Paolo disse: “Siete stati edificati sul
fondamento degli apostoli e dei profeti, mentre Cristo Gesù stesso è la pietra angolare. Unitamente a lui
l’intero edificio, essendo armoniosamente collegato, cresce in un tempio santo a Geova. Unitamente a lui,
anche voi siete edificati insieme per essere un luogo che Dio abiti mediante lo spirito”. (Efesini 1:13; 2:20-
22) Questi 144.000 suggellati sono “pietre viventi” edificate in modo da formare “una casa spirituale in
vista di un sacerdozio santo”. — 1 Pietro 2:5; Rivelazione 7:4; 14:1.
4 Dato che questi sottosacerdoti sono “l’edificio di Dio”, egli non permette che questo tempio venga
contaminato. (1 Corinti 3:9, 16, 17) “Non siate inegualmente aggiogati con gli increduli”, avvertì Paolo.
“Poiché quale associazione hanno la giustizia e l’illegalità? O quale partecipazione ha la luce con le
tenebre? Inoltre, quale armonia c’è fra Cristo e Belial? O quale parte ha il fedele con l’incredulo? E quale
accordo c’è fra il tempio di Dio e gli idoli?” I cristiani unti, che appartengono a “Geova l’Onnipotente”, non
devono contaminarsi con l’idolatria. (2 Corinti 6:14-18) Anche i componenti della grande folla devono
evitare ogni forma di idolatria.
5 Alcune forme di idolatria sono evidenti, mentre altre sono sottili. No, l’idolatria non si limita
all’adorazione di falsi dèi e dee. È idolatria l’adorazione di qualunque cosa o persona all’infuori di Geova.
Come Sovrano dell’universo, egli esige esclusiva devozione, e ne ha tutto il diritto. (Deuteronomio 4:24)
Sapendo questo, i veri cristiani danno ascolto agli avvertimenti scritturali contro ogni forma di idolatria. (1
Corinti 10:7) Consideriamo alcune forme di idolatria che i servitori di Geova devono evitare.
Prefigurata l’idolatria della cristianità
6 Nel 612 a.E.V., mentre era in esilio in Babilonia, il profeta Ezechiele ebbe una visione di certe cose
detestabili praticate dai giudei apostati nel tempio di Geova a Gerusalemme. Ezechiele vide un “simbolo
della gelosia”. Settanta anziani vennero visti offrire incenso nel tempio. Si videro donne che piangevano
su un falso dio. E c’erano 25 uomini che adoravano il sole. Cosa significavano quegli atti di apostasia?
7 Le cose detestabili che Ezechiele vide in quella visione prefiguravano l’idolatria della cristianità. Per
esempio, egli disse: “Ecco, a nord della porta dell’altare c’era nell’ingresso questo simbolo della gelosia.
E [Geova Dio] proseguì, dicendomi: ‘Figlio dell’uomo, vedi quali grandi cose detestabili fanno, le cose che
la casa d’Israele fa qui perché io stia lontano dal mio santuario?’” — Ezechiele 8:1-6.
8 L’idolatrico simbolo della gelosia poteva essere un palo sacro che rappresentava una falsa divinità
ritenuta dai cananei la consorte del loro dio Baal. Qualunque fosse la natura del simbolo, esso incitava
Geova a gelosia perché in questo modo la devozione che Israele Gli doveva non era più esclusiva, in
violazione dei suoi comandamenti: “Io sono Geova tuo Dio . . . Non devi avere altri dèi contro la mia
faccia. Non devi farti immagine scolpita né forma simile ad alcuna cosa che è nei cieli di sopra o che è
sulla terra di sotto o che è nelle acque sotto la terra. Non devi inchinarti davanti a loro né essere indotto a
servirle, perché io, Geova tuo Dio, sono un Dio che esige esclusiva devozione”. — Esodo 20:2-5.
9 L’adorazione del simbolo della gelosia nel tempio di Dio era una delle grandi cose detestabili compiute
dagli israeliti apostati. Similmente le chiese della cristianità sono contaminate da simboli e immagini che
disonorano Dio e che rendono non più esclusiva la devozione che asseriscono di rendere a Colui che
professano di servire. Dio è anche provocato a gelosia dal fatto che il clero rigetta il Suo Regno come
unica speranza del genere umano e idoleggia le Nazioni Unite, ‘la cosa disgustante stabilita in un luogo
santo’, dove non dovrebbe stare. — Matteo 24:15, 16; Marco 13:14.
10 Ezechiele riferisce cosa vide nel tempio: “Ecco, c’era ogni rappresentazione di cose striscianti e di
bestie abominevoli, e tutti gli idoli di letame della casa d’Israele, essendo l’intaglio sul muro tutt’intorno. E
settanta uomini degli anziani della casa d’Israele . . . stavano davanti ad essi, ciascuno col suo incensiere
in mano, e il profumo della nuvola dell’incenso ascendeva”. Pensate! Anziani israeliti nel tempio di Geova
che offrivano incenso a falsi dèi, rappresentati da detestabili incisioni murali! (Ezechiele 8:10-12) In modo
analogo, alcuni paesi della cristianità hanno come simbolo uccelli e animali selvatici, a cui viene resa
devozione. Inoltre molti ecclesiastici sono colpevoli di aver contribuito a sviare le masse dando credito
alla falsa teoria dell’evoluzione dell’uomo da inferiori forme di vita animale, invece di sostenere l’autentico
racconto biblico della creazione per opera di Geova Dio. — Atti 17:24-28.
11 All’ingresso della porta della casa di Geova, Ezechiele vide donne israelite apostate che piangevano
su Tammuz. (Ezechiele 8:13, 14) Per i babilonesi e i siri Tammuz era il dio della vegetazione, che cresce
nella stagione piovosa e muore nella stagione asciutta. La morte della vegetazione raffigurava quella di
Tammuz, la quale di anno in anno veniva pianta dai suoi adoratori nel periodo della massima calura. Con
il riapparire della vegetazione durante la stagione delle piogge, si credeva che Tammuz facesse ritorno
dagli inferi. Il suo simbolo era l’iniziale del suo nome, l’antica lettera tau a forma di croce. Questo può ben
far pensare alla venerazione idolatrica della croce da parte della cristianità.
12 Nel cortile interno del tempio, Ezechiele vide poi 25 israeliti apostati che adoravano il sole, violando il
comando di Geova che vietava simili atti idolatrici. (Deuteronomio 4:15-19) Quegli idolatri inoltre
stendevano al naso di Dio un ramoscello osceno, forse un simbolo fallico. Non sorprende che Dio non
esaudisse le loro preghiere, così come la cristianità invocherà invano il suo aiuto durante la “grande
tribolazione”. (Matteo 24:21) Come quegli israeliti apostati adoravano il sole quale fonte di luce, dando le
spalle al tempio di Geova, così la cristianità volta le spalle alla luce divina, insegna false dottrine,
idoleggia la sapienza mondana, e chiude un occhio sull’immoralità. — Ezechiele 8:15-18.
13 I testimoni di Geova evitano le forme di idolatria praticate dalla cristianità, l’antitipica Gerusalemme,
viste da Ezechiele nella visione profetica. Noi non idoleggiamo simboli che disonorano Dio. Pur
rispettando le “autorità superiori” governative, la nostra sottomissione a loro è relativa. (Romani 13:1-7;
Marco 12:17; Atti 5:29) Il nostro cuore è devoto a Dio e al suo Regno. Non mettiamo la teoria
dell’evoluzione al posto del Creatore e della sua creazione. (Rivelazione 4:11) Non adoriamo la croce e
non idoleggiamo l’intellettualismo, la filosofia o altre forme di sapienza mondana. (1 Timoteo 6:20, 21) Ci
guardiamo anche da tutte le altre forme di idolatria. Quali sono alcune di esse?
Altre forme di idolatria
14 I cristiani non si uniscono al resto dell’umanità nell’idoleggiare la simbolica “bestia selvaggia”.
L’apostolo Giovanni disse: “Vidi ascendere dal mare una bestia selvaggia, con dieci corna e sette teste, e
sulle sue corna dieci diademi . . . Tutti quelli che dimorano sulla terra l’adoreranno”. (Rivelazione 13:1, 8)
Le bestie possono simboleggiare “re” o potenze politiche. (Daniele 7:17; 8:3-8, 20-25) Perciò le sette
teste della simbolica bestia selvaggia rappresentano potenze mondiali: Egitto, Assiria, Babilonia, Media-
Persia, Grecia, Roma e la duplice potenza anglo-americana, costituita da Gran Bretagna e Stati Uniti
d’America. Il clero della cristianità manca gravemente di rispetto a Dio e a Cristo incoraggiando l’umanità
a idoleggiare il sistema politico di Satana, “il governante di questo mondo”. (Giovanni 12:31) Come
cristiani neutrali e sostenitori del Regno, invece, i servitori di Geova rigettano tale idolatria. — Giacomo
1:27.
15 I servitori di Dio si astengono anche dall’idoleggiare i divi dello spettacolo e dello sport. Dopo essere
diventato testimone di Geova, un musicista disse: “La musica leggera e la musica da ballo possono
suscitare desideri errati. Il cantante parla della felicità e della tenerezza che molti ascoltatori possono
pensare manchi nel loro partner. Spesso il cantante viene identificato con ciò di cui parla la canzone. Per
questa ragione alcuni professionisti di mia conoscenza sono dei veri beniamini delle donne. Una volta
che si è immersi in questo mondo fantastico si può finire per idoleggiare il cantante. Tutto può cominciare
piuttosto innocentemente con la richiesta di un autografo per ricordo. Ma alcuni finiscono per considerare
l’artista come il loro ideale, e mettendolo su un piedistallo, ne fanno un idolo. Appenderanno al muro la
foto della star e cominceranno a vestirsi e pettinarsi come lui. I cristiani devono tenere presente che
l’adorazione appartiene solo a Dio”.
16 Sì, solo Dio merita di essere adorato. Quando Giovanni ‘cadde per adorare davanti ai piedi dell’angelo’
che gli aveva mostrato cose straordinarie, quella creatura spirituale rifiutò di essere in alcun modo
idoleggiata e disse: “Sta attento! Non farlo! Io sono solo un compagno di schiavitù tuo e dei tuoi fratelli
che sono profeti e di quelli che osservano le parole di questo rotolo. Adora Dio”. (Rivelazione 22:8, 9) Il
timore, o profonda riverenza, che proviamo per Geova ci spinge ad adorare soltanto lui. (Rivelazione
14:7) Così la santa devozione ci salvaguarda dall’idolatria. — 1 Timoteo 4:8.
17 L’immoralità sessuale è un’altra forma di idolatria da cui i servitori di Geova rifuggono. Sanno che
“nessun fornicatore o impuro o avido — che significa essere idolatra — ha alcuna eredità nel regno del
Cristo e di Dio”. (Efesini 5:5) Si tratta di idolatria perché la brama di piacere illecito diventa oggetto di
devozione. I desideri sessuali errati mettono in pericolo le qualità sante. Guardando e ascoltando
materiale pornografico l’individuo rovina qualunque relazione abbia con l’Iddio di santità, Geova. (Isaia
6:3) Per guardarsi da questo genere di idolatria, quindi, i servitori di Dio devono evitare la pornografia e la
musica corruttrice. Devono attenersi a solidi valori spirituali basati sulle Scritture e continuare a “rivestire
la nuova personalità che fu creata secondo la volontà di Dio in vera giustizia e lealtà”. — Efesini 4:22-24.
Evitate l’avidità e la concupiscenza
18 I cristiani stanno anche in guardia contro l’avidità e la concupiscenza, forme di idolatria strettamente
collegate fra loro. L’avidità è un desiderio bramoso o smodato, e la concupiscenza è avidità che ha per
oggetto ciò che appartiene ad altri. Gesù mise in guardia contro la concupiscenza e parlò di un ricco
avido al quale la morte impedì di godersi le ricchezze e che purtroppo non venne trovato “ricco verso
Dio”. (Luca 12:15-21) Paolo diede ai compagni di fede questo appropriato consiglio: ‘Fate morire le
membra del vostro corpo che sono sulla terra rispetto alla concupiscenza, che è idolatria’. — Colossesi
3:5.
19 Coloro che sono ossessionati dall’amore del denaro, che hanno una brama smodata di cibo e bevande
o che ambiscono il potere e la fama, fanno di questi desideri i loro idoli. Come indicò Paolo, la persona
avida è idolatra e non erediterà il Regno di Dio. (1 Corinti 6:9, 10; Efesini 5:5) Perciò le persone
battezzate che praticano l’idolatria in quanto avide potrebbero essere disassociate dalla congregazione
cristiana. Applicando le Scritture e pregando con fervore, possiamo però evitare l’avidità. Proverbi 30:7-9
dice: “Due cose ti ho chiesto [o Geova Dio]. Non le trattenere da me prima che io muoia. Allontana da me
la falsità e la parola menzognera. Non darmi né povertà né ricchezze. Fammi divorare il cibo prescrittomi,
affinché io non mi sazi e realmente non ti rinneghi e dica: ‘Chi è Geova?’ e affinché non sia ridotto in
povertà e realmente non rubi e non inveisca contro il nome del mio Dio”. Questo modo di pensare può
aiutarci a evitare pratiche idolatriche come l’avidità e la concupiscenza.
Guardarsi dall’idoleggiare se stessi
20 I servitori di Geova si guardano anche dall’idoleggiare se stessi. In questo mondo è comune
idoleggiare se stessi e la propria volontà. Il desiderio di fama e gloria spinge molti ad agire subdolamente.
Vogliono che sia fatta la loro volontà, non quella di Dio. Ma non potremmo avere nessuna relazione con
Dio se cedessimo al culto di noi stessi cercando subdolamente di ottenere ciò che vogliamo e di
signoreggiare su altri. (Proverbi 3:32; Matteo 20:20-28; 1 Pietro 5:2, 3) Come seguaci di Gesù, abbiamo
rinunciato alle cose subdole del mondo. — 2 Corinti 4:1, 2.
21 Invece di ricercare la fama, i servitori di Dio seguono l’esortazione di Paolo: “Sia che mangiate o che
beviate o che facciate qualsiasi altra cosa, fate ogni cosa alla gloria di Dio”. (1 Corinti 10:31) Essendo
servitori di Geova, non insistiamo idolatricamente a fare le cose a modo nostro, ma compiamo con gioia
la volontà di Dio, accettando la guida dello “schiavo fedele e discreto” e collaborando pienamente con
l’organizzazione di Geova. — Matteo 24:45-47.
Continuate a stare in guardia!
22 Come popolo di Geova, non ci inchiniamo davanti a idoli materiali. Ci guardiamo anche da sottili forme
di idolatria. Anzi, dobbiamo continuare a evitare ogni sorta di idolatria. Perciò prendiamo a cuore il
consiglio di Giovanni: “Guardatevi dagli idoli”. — 1 Giovanni 5:21.
23 Se siete servitori di Geova, esercitate sempre le vostre facoltà di percezione e la vostra coscienza
addestrata secondo la Bibbia. (Ebrei 5:14) Così facendo, non sarete contagiati dallo spirito idolatrico del
mondo, ma imiterete i tre fedeli ebrei e i primi cristiani leali. Renderete a Geova esclusiva devozione ed
egli vi aiuterà a stare in guardia contro ogni forma di idolatria.

[Figure a pagina 26]


Sapete in che modo le cose detestabili viste da Ezechiele in visione prefiguravano l’idolatria della
cristianità?
[Referenza fotografica]
Disegno (in alto a sinistra) basato su una foto di Ralph Crane/Bardo Museum

w95 15/12 14 "Fecero proprio così"


15 In Giuda ci furono alcuni re ubbidienti, l’ultimo dei quali fu Giosia. Nel 648 a.E.V. cominciò a eliminare
l’idolatria dal paese e a restaurare il tempio di Geova. Fu lì che il sommo sacerdote trovò “il libro della
legge di Geova per mano di Mosè”. Cosa fece allora Giosia? “Il re ora salì alla casa di Geova con tutti gli
uomini di Giuda e gli abitanti di Gerusalemme e i sacerdoti e i leviti e tutto il popolo, sia il grande che il
piccolo; ed egli leggeva ai loro orecchi tutte le parole del libro del patto, che era stato trovato nella casa di
Geova. E il re stava in piedi al suo posto e concludeva dinanzi a Geova il patto di seguire Geova e di
osservare i suoi comandamenti e le sue testimonianze e i suoi regolamenti con tutto il suo cuore e con
tutta la sua anima, per eseguire le parole del patto che erano scritte in questo libro”. (2 Cronache 34:14,
30, 31) Sì, Giosia “fece proprio così”. Grazie alla sua condotta fedele, l’esecuzione del giudizio di Geova
contro l’infedele Giuda fu rimandata ai giorni dei suoi figli traviati.

W98 1-11 p.16 §12, 13


Giosuè (n. 1) — Tema: Non dubitate mai delle promesse di Geova TITO 1:2; ISAIA 55:10, 11

it-1 1137-9 Giosuè


GIOSUÈ
[dall’ebr. Yehohshùa`, “Geova è salvezza”].
1. Figlio di Nun; efraimita “ministro” di Mosè che fu poi nominato suo successore. (Eso 33:11; De 34:9;
Gsè 1:1, 2) Le Scritture descrivono Giosuè come un condottiero coraggioso e intrepido, che confidava
sempre nelle sicure promesse di Geova, e che seguiva la Sua direttiva, deciso a servirlo fedelmente. In
origine il suo nome era Oshea, ma Mosè lo chiamò Giosuè. (Nu 13:8, 16) La Bibbia però non dice
quando Oshea cominciò a essere chiamato Giosuè.
Assume il comando contro gli amalechiti. Nel 1513 a.E.V., quando gli israeliti si accamparono a
Refidim poco dopo la miracolosa liberazione dalla potenza militare egiziana al Mar Rosso, gli amalechiti,
senza essere stati provocati, sferrarono un attacco contro di loro. Giosuè fu allora incaricato da Mosè di
assumere il comando nel combattimento contro gli amalechiti. Sotto la sua abile direttiva gli israeliti, con
l’aiuto di Dio, sconfissero il nemico. Successivamente Geova decretò il completo sterminio degli
amalechiti, ordinando a Mosè di mettere per iscritto il decreto e di trasmetterlo a Giosuè. — Eso 17:8-16.
Assistente di Mosè. In seguito, al monte Sinai, Giosuè, quale assistente di Mosè, fu probabilmente uno
dei 70 anziani che ebbero il privilegio di vedere un’imponente visione della gloria di Geova. Dopo di che
Giosuè accompagnò per un tratto Mosè sul monte Sinai ma non entrò nella nuvola, poiché solo Mosè
ricevette il comando di entrarvi. (Eso 24:9-18) Sia lui che Mosè rimasero sul monte Sinai per 40 giorni e
40 notti. Terminato quel periodo di tempo, mentre scendeva dal monte Sinai insieme a Mosè, Giosuè
scambiò il canto degli israeliti in relazione all’idolatrica adorazione del vitello per un “rumore di battaglia”.
Senza dubbio condivise l’indignazione di Mosè quando scorse il vitello d’oro, e forse aiutò a distruggerlo.
— Eso 32:15-20.
Adorando il vitello gli israeliti infransero il solenne patto che avevano fatto con Geova Dio. Questo può
aver indotto Mosè a spostare la sua tenda (la “tenda di adunanza”) dal luogo in cui il popolo era
accampato, perché Geova non aveva ancora perdonato il loro peccato e perciò non era in mezzo a
Israele. Forse per impedire che gli israeliti entrassero nella tenda di adunanza ora che erano impuri,
Giosuè rimaneva lì ogni volta che Mosè tornava all’accampamento israelita. — Eso 33:7-11; 34:9.
Un’altra volta Mosè, che a motivo dei mormorii del popolo sentiva la sua responsabilità troppo gravosa,
ricevette da Geova l’ordine di scegliere 70 anziani per farsi aiutare. Questi anziani dovevano andare alla
tenda di adunanza. Ma due di loro, Eldad e Medad, senza dubbio per una valida ragione, rimasero
nell’accampamento. Quando lo spirito di Dio divenne operante sui 68 radunati presso la tenda di
adunanza, anche Eldad e Medad cominciarono a comportarsi come profeti nell’accampamento. Questa
notizia fu subito portata a Mosè. Allora Giosuè, geloso per il suo signore, esortò Mosè a trattenerli.
Poiché Eldad e Medad avevano evidentemente ricevuto lo spirito senza la mediazione di Mosè, Giosuè
pensava forse che questo sminuisse l’autorità del suo signore. Ma Mosè lo corresse dicendo: “Vorrei che
tutto il popolo di Geova fossero profeti, perché Geova porrebbe su di loro il suo spirito”. — Nu 11:10-29;
cfr. Mr 9:38, 39.
Esplora la Terra Promessa. Qualche tempo dopo gli israeliti si accamparono nel deserto di Paran. Di là
Mosè mandò 12 uomini a esplorare la Terra Promessa, e uno di questi fu Giosuè (Oshea). Quaranta
giorni dopo, solo Giosuè e Caleb riportarono buone notizie. Gli altri dieci scoraggiarono il popolo,
sostenendo che Israele non avrebbe mai potuto sperare di sconfiggere i potenti abitanti di Canaan.
Perciò un mormorio di ribellione si propagò nell’accampamento. Giosuè e Caleb si strapparono le vesti e,
mentre cercavano di dissipare i timori del popolo, lo esortavano a non ribellarsi. Ma le loro coraggiose
parole, che riflettevano completa fiducia nella capacità di Geova di adempiere la sua parola, non valsero
a nulla. Infatti “tutta l’assemblea parlò di colpirli con pietre”. — Nu 13:2, 3, 8, 16, ⇒; 13:⇐25–14:10.
Per la loro ribellione Geova condannò gli israeliti a vagare nel deserto per 40 anni finché fossero morti
tutti gli uomini registrati dai 20 anni in su (esclusi i leviti, che non erano contati fra gli altri israeliti abili al
servizio militare; Nu 1:2, 3, 47). Tra gli uomini registrati solo Giosuè e Caleb sarebbero entrati nella Terra
Promessa, mentre i dieci esploratori infedeli sarebbero morti per un flagello mandato da Geova. — Nu
14:27-38; cfr. Nu 26:65; 32:11, 12.
Nominato successore di Mosè. Verso la fine della peregrinazione di Israele nel deserto anche Mosè e
Aaronne, per non avere santificato Geova rispetto all’acqua miracolosamente provveduta a Cades,
persero il privilegio di entrare nella Terra Promessa. (Nu 20:1-13) Perciò Geova ordinò a Mosè di
nominare Giosuè suo successore. Alla presenza del nuovo sommo sacerdote, Eleazaro figlio di Aaronne,
e davanti all’assemblea di Israele, Mosè pose le mani su Giosuè. Anche se era stato nominato
successore di Mosè, Giosuè non avrebbe potuto come lui conoscere Geova “faccia a faccia”. Non tutta la
dignità di Mosè fu trasmessa a Giosuè, ma solo quella necessaria per avere il rispetto della nazione.
Invece di comunicare direttamente con Geova, per così dire “faccia a faccia” come Mosè, Giosuè doveva
consultare il sommo sacerdote, a cui erano stati affidati gli Urim e i Tummim mediante i quali accertare la
volontà divina. — Nu 27:18-23; De 1:37, 38; 31:3; 34:9, 10.
Per ordine di Dio, Mosè diede a Giosuè certe istruzioni e lo incoraggiò ad assolvere fedelmente il suo
incarico. (De 3:21, 22, 28; 31:7, 8) Infine, quando la sua morte era ormai vicina, Mosè dovette presentarsi
insieme a Giosuè nella tenda di adunanza. Geova allora confermò la precedente nomina di Giosuè
avvenuta mediante l’imposizione delle mani di Mosè. (De 31:14, 15, 23) Successivamente Giosuè
contribuì in qualche modo a mettere per iscritto e insegnare agli israeliti il cantico dato a Mosè sotto
ispirazione. — De 31:19; 32:44.
Attività quale successore di Mosè. Dopo la morte di Mosè, Giosuè si preparò a entrare nella Terra
Promessa. Mandò i responsabili a istruire gli israeliti circa i preparativi per attraversare il Giordano di lì a
tre giorni; ricordò ai gaditi, ai rubeniti e a metà della tribù di Manasse l’obbligo che avevano di dare man
forte nella conquista del paese, e inviò due uomini in ricognizione a Gerico e dintorni. — Gsè 1:1–2:1.
Dopo il ritorno dei due uomini, gli israeliti partirono da Sittim e si accamparono presso il Giordano.
L’indomani Geova arrestò miracolosamente il corso del Giordano, permettendo alla nazione di
attraversarlo all’asciutto. A ricordo di questo avvenimento Giosuè collocò 12 pietre nel mezzo del letto del
fiume e altre 12 a Ghilgal, primo accampamento di Israele a O del Giordano. Fece inoltre coltelli di selce
per circoncidere tutti i maschi israeliti nati nel deserto. Così quattro giorni più tardi furono in grado di
celebrare la Pasqua. — Gsè 2:23–5:11.
Nei pressi di Gerico, Giosuè ebbe poi un incontro con un principe angelico da cui ricevette istruzioni circa
la tattica da seguire per prendere la città. Giosuè agì di conseguenza e, dopo avere votato Gerico alla
distruzione, pronunciò una maledizione profetica sul suo futuro ricostruttore, maledizione che si adempì
più di 500 anni dopo. (Gsè 5:13–6:26; 1Re 16:34) Quindi mosse contro Ai. In un primo momento un
contingente israelita di circa 3.000 uomini venne sconfitto, perché non aveva l’aiuto di Geova a motivo
della disubbidienza di Acan, che aveva preso per sé parte del bottino di Gerico. Dopo che Acan fu
lapidato per questo peccato insieme alla sua famiglia, Giosuè tese un’imboscata contro Ai e ridusse la
città a un cumulo di rovine. — Gsè 7:1–8:29.
Fu allora che l’intera congregazione di Israele, inclusi donne, bambini e residenti forestieri, si trasferì nei
pressi del monte Ebal. Sul monte Ebal Giosuè costruì un altare secondo le precise istruzioni della Legge.
Mentre metà della popolazione stava davanti al monte Gherizim e l’altra metà davanti al monte Ebal,
Giosuè lesse loro la “legge, la benedizione e la maledizione”. “Non ci fu parola di tutto ciò che Mosè
aveva comandato che Giosuè non leggesse ad alta voce”. — Gsè 8:30-35.
Tornati a Ghilgal al loro accampamento, Giosuè e i capi principali di Israele ricevettero dei messaggeri
gabaoniti. Riconoscendo che Geova combatteva per gli israeliti, i gabaoniti riuscirono con l’inganno a
concludere un patto di pace con Giosuè. Ma quando si seppe come stavano realmente le cose, Giosuè li
rese schiavi. La notizia di ciò che avevano fatto i gabaoniti giunse anche ad Adoni-Zedec re di
Gerusalemme. Per questo lui e altri quattro re cananei intrapresero una spedizione punitiva contro di loro.
In risposta all’invocazione di aiuto dei gabaoniti, Giosuè da Ghilgal organizzò una marcia durata tutta la
notte. Geova combatté per Israele in difesa dei gabaoniti, indicando che non disapprovava il patto che
avevano fatto con loro. In seguito a una miracolosa grandinata perirono più avversari che nel
combattimento vero e proprio. Geova ascoltò la voce di Giosuè persino prolungando le ore di luce per
favorire la battaglia. — Gsè 9:3–10:14.
Giosuè sfruttò questa vittoria data da Dio conquistando Maccheda, Libna, Lachis, Eglon, Ebron e Debir, e
infranse così la potenza cananea nel S del paese. Allora i re cananei del N, al comando di Iabin re di
Hazor, radunarono i loro eserciti presso le acque di Merom per combattere contro Israele. Pur dovendo
affrontare cavalli e carri da guerra, Giosuè fu incoraggiato da Dio a non cedere al timore. Ancora una
volta Geova concesse la vittoria agli israeliti. Secondo le istruzioni, Giosuè tagliò i garretti dei cavalli e
bruciò i carri nemici. Hazor stessa fu data alle fiamme. (Gsè 10:16–11:23) Così, nel giro di sei anni circa
(cfr. Nu 10:11; 13:2, 6; 14:34-38; Gsè 14:6-10), Giosuè sconfisse 31 re e soggiogò gran parte della Terra
Promessa. — Gsè 12:7-24; CARTINA, vol. 1, ⇒it-1 ⇐p. 737.
Era ormai tempo di dividere il paese fra le singole tribù. La suddivisione venne iniziata a Ghilgal, sotto la
direttiva di Giosuè, del sommo sacerdote Eleazaro e di altri dieci rappresentanti nominati da Dio. (Gsè
13:7; 14:1, 2, 6; Nu 34:17-29) Dopo che il tabernacolo fu trasferito a Silo, la ripartizione del paese a sorte
continuò di là. (Gsè 18:1, 8-10) Giosuè stesso ricevette la città di Timnat-Sera nella regione montagnosa
di Efraim. — Gsè 19:49, 50.
Ultime esortazioni agli israeliti, e morte. Verso la fine della sua vita Giosuè radunò gli anziani, i capi, i
giudici e i responsabili di Israele, li esortò a servire Geova fedelmente e li avvertì delle conseguenze della
disubbidienza. (Gsè 23:1-16) Convocò inoltre l’intera congregazione di Israele, ricordò ciò che Geova
aveva fatto in passato per i loro antenati e per la nazione, e li invitò quindi a servire Geova: “Ora se è
male agli occhi vostri servire Geova, sceglietevi oggi chi volete servire, se gli dèi che servirono i vostri
antenati che erano dall’altra parte del Fiume o gli dèi degli amorrei nel cui paese dimorate. Ma in quanto
a me e alla mia casa, serviremo Geova”. (Gsè 24:1-15) Allora gli israeliti rinnovarono il patto di ubbidire a
Geova. — Gsè 24:16-28.
Giosuè morì a 110 anni e fu sepolto a Timnat-Sera. Il buon effetto della sua incrollabile lealtà a Geova è
evidente dal fatto che “Israele continuò a servire Geova per tutti i giorni di Giosuè e per tutti i giorni degli
anziani che prolungarono i loro giorni dopo Giosuè”. — Gsè 24:29-31; Gdc 2:7-9.

w76 15/7 435-6 Rimanete saldi come vedendo Colui che è invisibile
13 Anche Giosuè, successore di Mosè, manifestò fede. Egli pure ‘vide’ Geova. Quando i sacerdoti che
trasportavano l’arca del patto entrarono nel fiume Giordano, le acque a monte si fermarono
miracolosamente. Mentre i sacerdoti erano sull’asciutto in mezzo al fiume Giordano, gli Israeliti ne
attraversarono il letto prosciugato. La presenza di Geova fu realmente sentita da quegli Israeliti. Avanti
verso Gerico! Lì, per sei giorni consecutivi, fecero un giro ogni giorno attorno alla città e poi, il settimo
giorno, fecero sette volte il giro intorno alla città. Quando i sacerdoti suonarono il corno e il popolo gridò,
le mura di Gerico apparentemente imprendibili crollarono. Veramente gli Israeliti poterono ‘vedere’ Geova
in tutto questo. (Gios. 3:15-17; 6:10-16) Ma in quell’occasione anche qualcuno che era dentro Gerico
‘vide’ Geova. Fu Raab. Avendo ella riposto fede nella grande potenza di Geova, fu risparmiata, insieme
alla sua famiglia. Aveva dimostrato la sua fede con le opere che aveva compiute nascondendo i
messaggeri di Geova. — Gios. 2:1-21; 6:25; Giac. 2:25; Ebr. 11:30, 31.

w78 15/5 24-7 Giosuè attesta la fedeltà di Geova


Giosuè attesta la fedeltà di Geova
LA FIDATEZZA del fedele Sovrano universale Geova Dio, è in netto contrasto con l’incapacità dei
governanti umani di mantenere le promesse. Egli è un Dio che mantiene sempre le sue promesse, che fa
la sua parte in qualsiasi patto stipuli con le sue creature. Giustamente, il profeta Mosè lo chiamò “un Dio
di fedeltà”. — Deut. 32:4.
Giosuè, il sesto libro della Bibbia, è in realtà un racconto di come Geova Dio adempì fedelmente le
promesse fatte alla nazione d’Israele e ai loro antenati. Egli promise ripetutamente di dar loro il paese di
Canaan. Infatti, esso venne chiamato Terra Promessa. Inoltre, Geova assicurò a Giosuè il successo in
tutte le sue imprese, a patto che questi si attenesse alla legge di Dio. Giosuè ubbidì e Geova, fedele alla
sua promessa, gli diede il successo. — Gios. 1:8.
AUTENTICITÀ E SCRITTORE
Com’è accaduto per molti altri libri delle Scritture Ebraiche, il libro di Giosuè è stato oggetto di aspre
critiche. Alcuni lo definiscono un “romanzo”, altri affermano che sia “completamente privo di storicità”. Ma
le loro critiche sono prive di solida base. Come potrebbe questo libro essere una frode letteraria quando
si considera il modo in cui onora il Creatore, Geova Dio, Colui che mantiene le promesse? Come si può
fare una simile asserzione se si considerano le ardenti esortazioni del libro alla fedeltà e l’onestà con cui
narra le mancanze del popolo di Dio? Inoltre, il libro ha tutte le caratteristiche di un racconto
contemporaneo. Lo si vede dai molti particolari forniti sia riguardo all’epoca che al contesto geografico
degli avvenimenti narrati.
La sua autenticità è pure vigorosamente sostenuta dai molti riferimenti che successivi scrittori biblici
fanno agli avvenimenti narrati nel libro di Giosuè. I salmisti li menzionano più volte, come anche il
governatore Neemia, il profeta Isaia, il primo martire cristiano Stefano, l’apostolo Paolo e il discepolo
Giacomo. Certo questi scrittori ispirati non li avrebbero menzionati se ci fossero stati dubbi sulla storicità
degli avvenimenti narrati nel libro. Inoltre, in I Re 16:34 troviamo l’adempimento della maledizione che
Giosuè pronunciò sull’uomo che avesse ricostruito Gerico. — Gios. 6:26.
Che fosse proprio Giosuè a scrivere il libro è una conclusione del tutto ragionevole. Essendo succeduto a
Mosè come condottiero d’Israele, avrebbe logicamente continuato il racconto della storia del suo popolo
iniziato da Mosè. Sia gli studiosi ebrei del passato che i primi cristiani ne furono fermamente convinti.
Inoltre, alcune decine di volte ricorre l’espressione ‘fino a questo giorno’, a indicare che lo scrittore fu un
contemporaneo degli avvenimenti narrati. E poi abbiamo la testimonianza diretta: “Giosuè scrisse quindi
queste parole nel libro della legge di Dio e prese una grossa pietra e la eresse lì sotto il massiccio albero
che è presso il santuario di Geova”. — Gios. 24:26.
Il libro di Giosuè si potrebbe dividere in quattro parti principali: I capitoli da 1 ⇒fino ⇐a 5 trattano gli
avvenimenti dalla morte di Mosè all’inizio della conquista del paese; i capitoli da 6 ⇒fino ⇐a 12 narrano
la conquista di Canaan; i capitoli da 13 ⇒fino ⇐a 22 trattano la divisione del paese; e i capitoli 23 e 24
contengono i messaggi di addio di Giosuè, che ci rammentano i discorsi d’addio che Mosè rivolse a
Israele.
AVVENIMENTI PRECEDENTI LA CADUTA DI GERICO
Questo libro del successore di Mosè comincia con la promessa che Geova sarebbe stato con Giosuè
com’era stato con Mosè, se avesse fedelmente scrutato la Parola di Dio giorno e notte e agito in armonia
con essa. (Gios. 1:1-9) Ricevuto questo incoraggiamento, Giosuè ordinò al popolo di prepararsi ad
attraversare il Giordano. Prima, però, mandò due uomini a esplorare il paese e particolarmente Gerico.
Questi entrarono nella casa, che poteva ben essere una locanda, della meretrice Raab. La donna disse
loro che tutta la città di Gerico aveva timore degli Israeliti e parlò della propria fede in Geova Dio. Avendo
nascosto le due spie agli uomini mandati del re ad arrestarle, essa strappò loro la promessa che quando
gli Israeliti avrebbero preso Gerico lei e la sua casa sarebbero state risparmiate. — Gios. 1:10–2:24.
Dopo che le spie ebbero fatto a Giosuè il loro rapporto questi, insieme a tutto il popolo, si alzò la mattina
presto per attraversare il Giordano. Davanti stavano i sacerdoti che portavano l’arca del patto. Mentre
avanzavano ed entravano nelle acque del Giordano allora in piena, Geova, fedele alla sua promessa,
separò le acque, permettendo agli Israeliti di attraversarlo all’asciutto. Per commemorare questo
miracolo, Giosuè fece erigere nel luogo dove si accamparono quel giorno una colonna di pietre prese dal
mezzo del Giordano. Successivamente, Giosuè ordinò di circoncidere tutti i maschi, dopo di che fu
celebrata la Pasqua. A questo punto cominciarono a mangiare del prodotto del paese, e Geova cessò di
provveder loro la manna. Giosuè fu rassicurato dall’apparizione dell’angelico “principe dell’esercito di
Geova”. — Gios. 3:1–5:15.
LA CONQUISTA DI CANAAN
In ubbidienza alle istruzioni divine, gli Israeliti marciarono attorno a Gerico una volta al giorno per sei
giorni. Il settimo giorno marciarono attorno alla città sette volte. Partecipavano alla marcia un esercito ben
equipaggiato e anche i sacerdoti, che suonavano i corni di montone e accompagnavano l’arca del patto.
Durante l’ultimo giro di quel giorno finale, i sacerdoti suonarono i corni, il popolo urlò e, secondo la parola
di Geova, le mura di Gerico caddero. I soldati israeliti marciarono in essa e passarono a fil di spada tutti
gli abitanti, come pure il bestiame bruciando la città col fuoco. Solo Raab e i parenti che erano in casa
sua furono risparmiati. — Gios. 6:1-27.
Giosuè e il popolo mossero quindi contro Ai. Tuttavia, lì, con loro grande costernazione, furono sconfitti.
Giosuè si prostrò dinanzi a Geova e chiese il significato di questa disfatta. Si preoccupava specialmente
di quello che sarebbe accaduto al nome di Geova se il suo popolo fosse stato distrutto. Rispondendo,
Geova gli disse che in relazione alla distruzione di Gerico era stata commessa un’infedeltà. Tirando le
sorti, Giosuè scoprì il colpevole, Acan della tribù di Giuda, che aveva preso delle spoglie contrariamente
alle esplicite istruzioni di Geova. Dopo che Acan e la sua famiglia e tutti i loro averi erano stati distrutti,
Israele ebbe di nuovo successo, prendendo sia Ai che la città di Betel. Poi, ubbidendo al comando di
Mosè, gli Israeliti si fermarono, sei tribù di fronte al monte Gherizim e sei tribù di fronte al monte Ebal,
mentre Giosuè pronunciava loro la benedizione e la maledizione. — Deut. 11:29; Gios. 7:1–8:35.
Successivamente, leggiamo come gli uomini di Gabaon chiesero la pace a Israele. A motivo di ciò le
nazioni circonvicine si accinsero ad attaccare i Gabaoniti, che allora invocarono l’aiuto di Giosuè. Con
una marcia forzata, Giosuè venne in loro soccorso. Fu durante questa battaglia che Giosuè chiese al sole
e alla luna di fermarsi. E si fermarono per circa un giorno intero, permettendo a Israele di mettere
completamente in rotta le forze alleate che avevano minacciato i Gabaoniti. Di nuovo Geova fu un Dio
fedele. Non solo Egli esaudì la richiesta di Giosuè ma lanciò grandi chicchi di grandine, che uccisero più
nemici di quelli uccisi dai guerrieri israeliti. — Gios. 9:1–10:15.
In seguito Giosuè e il suo esercito vinsero i Cananei a sud e a ovest e poi a nord. Israele ottenne ripetute
vittorie su forze nemiche alleate. Furono sconfitti complessivamente trentun re. — Gios. 10:16–12:24.
LA DIVISIONE DEL PAESE
Narrando la divisione del paese, Giosuè cominciò logicamente ripetendo che le tribù di Ruben, Gad e
mezza tribù di Manasse avevano ricevuto la loro eredità a est del Giordano (dietro loro richiesta, poiché
era un’ideale terreno da pascolo ed essi avevano grandi greggi). Tutta la terra a ovest del Giordano fu
divisa a sorte, a cominciare dalla tribù di Giuda. Fu stabilito che ci fossero sei città di rifugio per gli omicidi
involontari. Queste erano incluse nelle 48 città assegnate alla tribù di Levi che non aveva un’eredità
separata nel paese. — Gios. 13:1–21:42.
Concludendo il racconto della divisione del paese, Giosuè mise in risalto quanto segue: “Geova diede
dunque a Israele tutto il paese che aveva giurato di dare ai loro antenati . . . Non una promessa venne
meno di tutta la buona promessa che Geova aveva fatta alla casa d’Israele; s’avverò tutta”. — Gios.
21:43-45.
Dopo di che i combattenti delle due tribù e mezzo il cui territorio era situato a est del Giordano, ma che
avevano aiutato gli altri Israeliti a prendere possesso del paese, tornarono alla loro eredità. Il fatto che
costruirono un altare come monumento fu scambiato per un atto di apostasia e causò una crisi
temporanea. Ma quando essi spiegarono che l’altare doveva servire semplicemente per testimonianza
dinanzi a Geova, e non per i sacrifici, tutti gli altri Israeliti furono soddisfatti. — Gios. 22:1-34.
DISCORSI DI ADDIO DI GIOSUÈ
Rendendosi conto che non aveva più molto da vivere, Giosuè convocò dinanzi a sé tutti gli anziani, i capi,
i giudici e gli ufficiali d’Israele. Rammentò ciò che Geova aveva fatto per loro, secondo la Sua promessa,
e poi raccomandò: “[Siate] molto coraggiosi nell’osservare e nel mettere in pratica tutto ciò che è scritto
nel libro della legge di Mosè non deviando mai da essa né a destra né a sinistra”. Dopo averli avvertiti di
ciò che sarebbe accaduto loro se fossero stati infedeli, rammentò di nuovo: “Voi sapete bene con tutto il
vostro cuore e con tutta la vostra anima che nessuna parola di tutte le buone parole che Geova vostro
Dio vi ha proferite è venuta meno. Vi si son tutte avverate. Nessuna parola è venuta meno”. — Gios.
23:1-16.
Poi, dopo aver raccolto tutto Israele a Sichem, Giosuè pronunciò il messaggio di Geova, in cui raccontava
la loro storia, dal tempo di Abraamo al tempo dell’esodo dall’Egitto, il loro soggiorno nel deserto, la
traversata del Giordano e il recente successo nella conquista del paese di Canaan. In considerazione di
tutto ciò, Giosuè esortò il popolo a temere Geova Dio e ad adorare Lui solo. Ma, “se è male agli occhi
vostri servire Geova, sceglietevi oggi chi servirete. . . . Ma in quanto a me e alla mia casa, serviremo
Geova”. Con apprezzamento il popolo rispose che era impensabile da parte loro servire altro dio
all’infuori di Geova. — Gios. 24:1-18.
Tuttavia, Giosuè non si fermò lì. Piuttosto, rammentò loro: “Voi non potete servire Geova perché egli è un
Dio santo; è un Dio che esige esclusiva devozione. Egli non perdonerà le vostre rivolte e i vostri peccati”.
A sua volta il popolo insisté: “No, ma serviremo Geova!” Al che Giosuè rispose: “Voi siete testimoni contro
voi stessi che di vostro proprio consenso vi siete scelto Geova, per servirlo”. A ciò essi risposero: “Siamo
testimoni”. Così Giosuè concluse col popolo un patto in tal senso. — Gios. 24:19-28.
Non molto tempo dopo, all’età di 110 anni, Giosuè morì. E leggiamo che “Israele continuò a servire
Geova per tutti i giorni di Giosuè e per tutti i giorni degli anziani che prolungarono i loro giorni dopo
Giosuè e che avevano conosciuto tutta l’opera di Geova ch’egli aveva fatta per Israele”. (Gios. 24:29-31)
Tutti loro avevano visto senz’altro come Geova Dio è fedele, mantenendo tutte le sue promesse.
Oggi possiamo trarre profitto dal libro di Giosuè, come fece notare anche l’apostolo Paolo: “Tutte le cose
che furono scritte anteriormente furono scritte per nostra istruzione, affinché per mezzo della nostra
perseveranza e per mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza”. Sì, il libro di Giosuè rafforza
la nostra speranza che qualsiasi cosa Geova Dio abbia promessa la eseguirà sicuramente. — Rom. 15:4.
[Note in calce]
Ad Abraamo (Gen. 13:15); a Isacco (Gen. 26:3); a Giacobbe (Gen. 35:12); a Mosè (Eso. 3:8). Vedi anche
i riferimenti di Mosè a questa promessa, come in Levitico 25:2; Numeri 14:31; Deuteronomio 4:22; 5:33;
6:10; 7:1; ecc.
Sal. 44:1-3; 78:54; 105:42-45; 135:10–12; 136:17–22; Nee. 9:22-25; Isa. 28:21; Atti 7:45; 13:19; Ebr. 4:8;
11:30, 31; Giac. 2:25.
[Figura a pagina 25]
Giosuè studiò fedelmente le leggi di Geova “giorno e notte”

w84 15/9 27-30 Giosuè vi aiuta a servire Geova con coraggio


Giosuè vi aiuta a servire Geova con coraggio
“NEL mondo avrete tribolazione, ma fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo”. Forse ricorderete che queste
parole furono pronunciate dall’uomo chiamato Gesù. Se però parlaste l’ebraico, vi verrebbe in mente il
nome Giosuè, dato che Gesù è la forma greca del nome ebraico Giosuè. — Giovanni 16:33.
Appropriatamente l’essere coraggiosi è anche una delle idee dominanti del libro biblico scritto dal
predecessore di Gesù, Giosuè figlio di Nun. Ma, potreste chiedere, in che modo possiamo trarre
personalmente beneficio dal libro di Giosuè? Ebbene, cominciamo con questo fatto dell’essere
coraggiosi.
Un uomo coraggioso
Mentre la vita di Mosè volgeva al termine, come suo successore Geova scelse Giosuè, il quale
certamente non era un novizio o un giovane inesperto. Giosuè era nato come schiavo in Egitto, ma dopo
l’Esodo si era fatto notare come valoroso condottiero nel respingere l’attacco ingiustificato degli
amalechiti. (Esodo 17:8-16) Giosuè diede un’ulteriore prova del suo valore e della sua fede quando solo
lui e Caleb, dei dodici uomini inviati a esplorare il paese di Canaan, dissero senza timore che con l’aiuto
di Geova si sarebbero potuti sconfiggere gli immorali cananei e prendere la Terra Promessa. — Numeri
13:1–14:9.
Dato che a lui non sarebbe stato permesso di entrare nella Terra Promessa, Mosè disse a Giosuè: “Sii
coraggioso e forte, perché tu, tu introdurrai questo popolo nel paese che Geova giurò ai loro antenati di
dar loro, e tu stesso lo darai loro in eredità”. — Deuteronomio 31:7, 23.
Si può ben capire quindi perché dal libro di Giosuè ci possiamo attendere di imparare in che modo fu
coraggioso lui e come possiamo esserlo noi. Infatti più della metà delle volte in cui le parole “coraggioso”
e “forte” ricorrono insieme in uno stesso versetto biblico si trovano nel libro di Giosuè o in commenti a lui
relativi. Per esempio, proprio all’inizio di questo libro troviamo il consiglio che Geova diede a Giosuè: “Sii
coraggioso e molto forte per aver cura di fare secondo tutta la legge che Mosè mio servitore ti ha
comandata. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, onde tu agisca con saggezza ovunque tu
vada”. (Giosuè 1:7) Consideriamo alcune delle occasioni nelle quali Giosuè dimostrò di avere
interiormente il coraggio della fede dandone prova con le azioni. Vedremo poi quali lezioni possiamo
imparare personalmente.
Fede e azioni coraggiose
Subito dopo essere stato incoraggiato da Geova ad essere “coraggioso e molto forte”, Giosuè iniziò i
preparativi per condurre Israele al di là del Giordano, nel paese di Canaan. Giosuè comandò:
“Preparatevi le provviste, perché fra tre giorni attraverserete questo Giordano per andare a impossessarvi
del paese che Geova vostro Dio vi dà”. (Giosuè 1:11) Così la fede coraggiosa di Giosuè non lo indusse a
pensare che si sarebbero potuti mettere a sedere e aspettare che Geova facesse tutto. Era necessario
sforzarsi di persona. In modo simile abbiamo bisogno di fede e di coraggio per seguire il consiglio di
Gesù secondo il quale Dio ci aiuterà a trovare cibo e vestiario adatti. Ma che sia promesso questo aiuto
non significa che possiamo semplicemente metterci a sedere e non far nulla per sostentarci. — Matteo
6:25-33.
Il primo problema che ora si presentava a Giosuè era quello di guadare il Giordano in primavera, periodo
in cui il fiume era in piena ed era molto pericoloso attraversarlo. (Giosuè 5:10) Giosuè non pensò: ‘Forse
sarebbe meglio aspettare l’estate quando le acque saranno più basse’. Dio disse di agire e Giosuè lo
fece con coraggio. Vedete un insegnamento in questo caso? Quando è il momento di fare qualcosa che
ha relazione con la vera adorazione, dobbiamo agire con coraggio, anziché essere inclini a rimandare a
un momento che sembra più favorevole o più comodo. Sì, agite, come fece Giosuè. — Ecclesiaste 11:4;
Giacomo 4:13, 14.
Mostrando di essere con Giosuè, Dio gli comandò di far portare dai sacerdoti l’arca del patto verso il
fiume in piena. Quando entrarono nel fiume, l’acqua si divise. Il popolo poté quindi passare all’asciutto.
Anziché prendersene il merito, Giosuè seguì le istruzioni di Geova e costruì a Ghilgal (al sicuro sulla riva
occidentale) un memoriale fatto con pietre prese dal letto del fiume. Serviva a sottolineare il fatto che ‘la
mano di Geova è forte, onde egli sia temuto per sempre’. (Giosuè 3:5–4:24) Anche se noi non possiamo
personalmente vedere quel memoriale di pietre, ciò che Geova fece tramite Giosuè dovrebbe rafforzare
la nostra fiducia nella capacità di Dio di agire a favore del suo popolo. La rilevanza di quel memoriale
sarà stata certamente piena di significato per gli israeliti che dovevano affrontare la roccaforte cananea di
Gerico.
Giosuè, intrepido comandante militare, avrebbe guidato gli israeliti a un attacco in massa contro questa
città fortificata? Forse sapete che Giosuè invece seguì le istruzioni di Dio. Cosa fece? Ogni giorno fece
marciare in silenzio intorno alla città gli uomini armati seguiti dai sacerdoti, dei quali alcuni suonavano
corni di montone e altri trasportavano l’Arca. Il settimo giorno fecero sette giri di marcia, dopo di che “il
popolo urlò, quando suonavano i corni. . . . Le mura [di Gerico] cadevano”. Questo permise agli uomini di
Giosuè di assalire la città e votarla alla distruzione. Fu una vittoria completa! — Giosuè 6:20.
Saldamente coraggioso, ma ragionevole
Possiamo comprendere un altro aspetto del coraggio di Giosuè da due avvenimenti successivi. Il primo
ebbe a che fare con la vicina città di Ai. Quando si accinsero ad attaccarla, gli israeliti vennero messi in
rotta. Perché? Perché, contrariamente al comando di Dio, Acan aveva preso del bottino da Gerico. Alcuni
potrebbero scusare il suo modo di agire dato che le cose che prese erano utili e che, così facendo, non
sembrava aver danneggiato nessuno. Forse avete sentito ragionamenti simili circa furtarelli ai danni del
datore di lavoro o altre “piccole” trasgressioni. Come reagì Giosuè?
Con la guida divina Giosuè scoprì il colpevole ed ebbe prova del misfatto trovando i beni rubati. Quelle
cose saranno sembrate proprio insignificanti! Ma Giosuè andò al punto, dicendo ad Acan: “Perché hai
dato l’ostracismo a noi? Geova darà in questo giorno l’ostracismo a te”. (Giosuè 7:25) Deciso ad essere
giusto, Giosuè fece giustiziare il peccatore, rimuovendo l’ostacolo alla conquista di Ai. Pensando a come
Giosuè trattò il caso di Acan, potremmo chiederci: ‘Mi mostro altrettanto deciso quando i miei compagni di
lavoro o di scuola danno poca importanza ad azioni illegali o immorali?’
Consideriamo ora il secondo avvenimento, che ebbe a che fare con gli abitanti cananei di Gabaon. Dopo
che questi ebbero udito dei successi di Giosuè contro Gerico e Ai, con accortezza inviarono uomini che si
finsero viaggiatori provenienti da un paese lontano che volevano concludere, e lo fecero, un patto di pace
con Israele. Risultò poi che gli uomini in realtà venivano dalla vicina Gabaon e molti israeliti cominciarono
a lamentarsi del modo in cui era stata trattata la faccenda. Giosuè si sarebbe adirato per l’inganno e
avrebbe ordinato di distruggere Gabaon?
Era stato fatto un patto, e Giosuè lo rispettò. Domandò che da allora in poi i gabaoniti fossero assegnati a
prendere l’acqua e raccogliere la legna per la casa di Dio. I gabaoniti furono disposti a rispettare questa
disposizione e ben presto gli eventi mostrarono che anche Giosuè l’avrebbe rispettata. In che modo?
Ebbene, cinque re cananei della zona si allearono e marciarono contro Gabaon. Giosuè agì con rapidità
e, dopo aver marciato tutta la notte, attaccò i re alleati. Geova diede il suo aiuto facendo piovere una
grandine micidiale sull’esercito cananeo e facendo poi rimanere miracolosamente immoto il sole per un
giorno, in modo che gli israeliti poterono completare la loro vittoria. Ricordando i gabaoniti, se stipuliamo
un accordo o diamo la nostra parola per qualcosa che non è contrario ai princìpi di Dio, saremo
fermamente coraggiosi al pari di Giosuè? Manteniamo la parola anche se ci è difficile o non ci conviene?
— Salmo 15:4.
È significativo che, dopo la suddetta battaglia, e dato che i cinque re nemici dovevano essere giustiziati,
Giosuè dicesse al suo popolo: “Non abbiate timore, non vi atterrite. Siate coraggiosi e forti, poiché così
Geova farà a tutti i vostri nemici ai quali muovete guerra”. (Giosuè 10:25) L’essere forti e coraggiosi
sarebbe stato molto utile agli israeliti man mano che avanzavano nella conquista ordinata da Dio, prima a
sud e in seguito verso nord, dove il re di Hazor aveva pure formato una lega contro Israele che si
dimostrò vana. Anche se tecnologicamente non erano avanzati quanto i cananei, i quali avevano città
fortificate e carri da guerra, con coraggio gli israeliti eseguirono la volontà di Geova.
Altre lezioni che si apprendono da Giosuè
Finora nel libro di Giosuè abbiamo particolarmente visto lezioni relative al suo coraggio. Ma leggendo
tutto il libro, potrete trovare altre utili lezioni.
Molte donne, ad esempio, sono rimaste colpite dal comportamento di Raab, la quale protesse due israeliti
che erano andati a esplorare Gerico. Udendo le grandi cose che Dio faceva a favore di Israele, la
maggioranza dei cananei si misero sulla difensiva, e impauriti si opposero a Israele. Ma non Raab. Era
disposta a scontrarsi contro il proprio popolo e a mettere a repentaglio la propria vita per poter beneficiare
dell’amorevole benignità di Geova. Fece anche tutto il possibile per aiutare i suoi parenti ad apprendere
cosa dovevano fare per aver salva la vita. Oggi potremmo senz’altro usare quel racconto per aiutare
alcune donne a capire la priorità che ha la vera adorazione sui legami con i propri vicini o persino con la
propria nazione. — Giosuè 2:8-14.
In Giosuè troverete una buona lezione sul non giudicare male i motivi altrui. Questo ha a che vedere con
il periodo in cui, dopo aver conquistato gran parte di Canaan, Giosuè ripartì il paese secondo le eredità
tribali. Gli uomini di due tribù e mezzo si accingevano a ritornare nel loro territorio a est del Giordano. Nel
farlo, eressero un altare. Circa il significato dell’altare le altre tribù pervennero a una conclusione errata.
Sorse la minaccia di una guerra fra tribù. Nel leggere il racconto di Giosuè capitolo 22, notate come
bisogna stare attenti a non attribuire motivi errati alle azioni altrui. E osservate, inoltre, cosa sarebbe bene
che faceste se pensate che un altro vi abbia offeso o abbia agito in modo non corretto.
Una sintesi del libro di Giosuè non può fare a meno di sottolineare quanto sia importante apprendere e
attenersi alla vera adorazione basata sulla Parola di Dio. Dio consigliò a Giosuè di leggere la Sua parola
regolarmente e di non discostarsene. (Giosuè 1:8) Dopo la vittoria contro Ai, Giosuè portò l’intera nazione
a nord nella zona di Sichem, tra il monte Ebal e il monte Gherizim. Là costruì un altare per i sacrifici, e poi
‘scrisse sulle pietre una copia della legge di Mosè’. (Giosuè 8:32) Lesse quindi la legge al popolo. “Non ci
fu parola di tutto ciò che Mosè aveva comandato che Giosuè non leggesse ad alta voce di fronte a tutta la
congregazione d’Israele, insieme alle donne e ai piccoli e ai residenti forestieri che camminavano in
mezzo a loro”. — Giosuè 8:35.
In seguito, dopo essere vissuto per un certo periodo nella città che umilmente aveva richiesto come
eredità, Giosuè radunò nuovamente il popolo, al quale disse: “In quanto a me, mi son fatto vecchio, sono
avanzato nei giorni. E in quanto a voi, avete visto tutto ciò che Geova vostro Dio fece a tutte queste
nazioni a motivo di voi, perché Geova vostro Dio era colui che combatteva per voi”. Pertanto li incoraggiò
in questo modo: “Voi dovete essere molto coraggiosi nell’osservare e nel mettere in pratica tutto ciò che è
scritto nel libro della legge di Mosè non deviando mai da essa né a destra né a sinistra . . . Ma dovreste
tenervi stretti a Geova vostro Dio”. Per spronarli ricordò loro: “Voi sapete bene . . . che nessuna parola di
tutte le buone parole che Geova vostro Dio vi ha proferite è venuta meno. Vi si son tutte avverate”. —
Giosuè 23:2-8, 14.
Infine radunò di nuovo il popolo per dar loro le esortazioni di addio, e per sollecitarli: “Sceglietevi oggi chi
servirete, . . . ma in quanto a me e alla mia casa, serviremo Geova”. Quando gli assicurarono che anche
loro l’avrebbero fatto, egli fece un patto con loro. Il racconto divino dice: “Avvenne che dopo queste cose
Giosuè figlio di Nun, servitore di Geova, gradualmente morì all’età di centodieci anni”. Sicuramente
questo leale adoratore di Geova ci fornisce un vigoroso incentivo a essere coraggiosi e forti mentre
‘temiamo Geova e lo serviamo senza difetto e in verità’. — Giosuè 24:14, 15, 29.

w86 15/12 10-12 'Siate coraggiosi e molto forti'


‘Siate coraggiosi e molto forti’
“Non dovete aver timore di loro, poiché Geova vostro Dio è Colui che combatte per voi”. —
DEUTERONOMIO 3:22.
ERA tempo che nella storia di Israele accadessero eventi di capitale importanza. La nazione santa di Dio
ora doveva prepararsi per entrare nella Terra Promessa. Per 40 anni Mosè aveva guidato gli israeliti
attraverso un grande e tremendo deserto. Ma ora, nella regione del Giordano nel paese di Moab, Mosè si
rivolgeva per l’ultima volta al popolo di Dio. Benché avesse 120 anni, “il suo occhio non si era indebolito,
e la sua forza vitale non l’aveva abbandonato”, né gli erano venute meno le facoltà vocali. Giosuè, che
stava per succedergli, e tutti gli israeliti avranno provato una grande emozione nell’udire Mosè che
spiegava con vigore la legge di Geova e li esortava energicamente a mostrarsi coraggiosi quando
sarebbero entrati nel paese per prenderne possesso. — Deuteronomio 1:1-5, 19, 21, 29, 30; 3:22; 31:6,
7, 23; 34:7.
2 Questi eventi di tanto tempo fa sono semplicemente storia passata? Niente affatto! L’apostolo Paolo
dice: “Tutte le cose che furono scritte anteriormente furono scritte per nostra istruzione, affinché per
mezzo della nostra perseveranza e per mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza”. (Romani
15:4) Quel racconto ha dei paralleli moderni. Può rafforzarci visto che oggi siamo impegnati in una guerra
spirituale. Serve anche da “avvertimento a noi sui quali sono arrivati i termini dei sistemi di cose”, in
quanto ci aiuta ad evitare le trappole di Satana. — I Corinti 10:11; I Pietro 4:7.
Da dove veniva la forza di Giosuè?
3 Tra breve il popolo di Dio entrerà nel nuovo sistema di cose di Geova. In considerazione degli eventi
che si vanno profilando nel mondo, abbiamo bisogno di coltivare uno spirito intrepido. Come possiamo
farlo? Mentre Giosuè si apprestava a entrare nella Terra Promessa, Dio gli diede queste istruzioni: “Solo
sii coraggioso e molto forte per aver cura di fare secondo tutta la legge che Mosè mio servitore ti ha
comandata. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, onde tu agisca con saggezza ovunque tu
vada. Questo libro della legge non dovrebbe dipartirsi dalla tua bocca e vi devi leggere sottovoce giorno e
notte, per aver cura di fare secondo tutto ciò che vi è scritto; poiché allora avrai successo nella tua via e
allora agirai con saggezza”. — Giosuè 1:7, 8.
4 Ecco il segreto! Leggere la Bibbia ogni giorno. Essa contiene la legge di Dio per noi. Meditate su di
essa. Prestate ascolto ai suoi rammemoratori. Non fatevi sviare tornando nel mondo materialistico e
immorale che vi circonda. In qualsiasi situazione vi troviate, agite con saggezza. Mettete all’opera
l’accurata conoscenza e l’intendimento spirituale che avete acquistato mediante il vostro studio della
Parola di Dio. Parlate ad altri della Bibbia. Facendo questo e confidando in Geova, potrete veramente
‘essere coraggiosi e molto forti e avere successo nella vostra via’. — Confronta Salmo 1:1-3; 93:5;
119:165-168.
5 Giosuè era stato “ministro di Mosè dalla sua giovinezza” in poi. (Numeri 11:28) Senza dubbio questa
intima compagnia lo aveva aiutato ad acquistare forza spirituale. Oggi in modo simile, i giovani ministri
possono acquistare forza collaborando con i genitori devoti, con i pionieri, con coloro che sono Testimoni
da molto tempo e con altri leali servitori di Geova. Impegnarsi nel dare testimonianza di casa in casa in
compagnia di persone tanto zelanti può esser fonte di gioia e può servire ad accrescere la maturità dei
nostri giovani e a suscitare in loro il desiderio di fare progresso nel ministero. (Atti 20:20, 21; Isaia 40:28-
31) Per i giovani Testimoni potrebbe esserci meta migliore del servizio continuo a sostegno del Regno di
Geova? — Salmo 35:18; 145:10-12.
6 Quando Mosè inviò Giosuè a combattere gli amalechiti, “Giosuè fece proprio come Mosè gli aveva
detto”. Era ubbidiente; per questo ottenne la vittoria. Anche noi parteciperemo alla rivendicazione di
Geova se seguiamo scrupolosamente gli ordini di battaglia che riceviamo tramite la sua organizzazione.
Geova disse a Mosè di perpetuare il suo trionfo su Amalec mettendolo per iscritto in un libro e
proponendolo agli orecchi di Giosuè. Giosuè indubbiamente magnificò a sua volta la vittoria di Geova
parlandone ad altri. Allo stesso modo, noi oggi possiamo far conoscere i potenti atti del Sovrano Signore
Geova e proclamare il suo incombente “giorno di vendetta” sui malvagi. — Esodo 17:10, 13, 14; Isaia
61:1, 2; Salmo 145:1-4.
7 Mosè incluse Giosuè tra i 12 capi principali che inviò a esplorare la Terra Promessa. Una volta tornati,
dieci esploratori mostrarono grande timore dei cananei che popolavano il paese e persuasero il popolo a
chiedere a gran voce di ritornare in Egitto. Ma Giosuè e Caleb dichiararono intrepidamente: “Se Geova
ha trovato diletto in noi, per certo ci introdurrà in quel paese e ce lo darà, un paese dove scorre latte e
miele. Solo non vi ribellate contro Geova; e voi, non temete il popolo del paese, poiché essi sono pane
per noi. Il loro riparo si è dipartito di sopra a loro, e Geova è con noi. Non li temete”. — Numeri 13:1–
14:38.
8 Ciò nondimeno, l’assemblea di Israele continuò a mormorare, ragion per cui Geova intervenne e
condannò quei timorosi israeliti a vagare per 40 anni nel deserto. Ad eccezione di Giosuè e Caleb, tutti gli
uomini di guerra morirono senza vedere la Terra Promessa. Che ammonimento per noi oggi! Non
dobbiamo mai lamentarci delle disposizioni prese da Geova. Anche se dobbiamo dare testimonianza in
territori difficili, mostriamoci coraggiosi e forti visitando le persone per far conoscere loro il salvifico
messaggio del Regno. Non dobbiamo mai imitare gli apostati del nostro tempo i quali, anziché dare una
pubblica testimonianza, preferiscono calunniare i loro fratelli e ritornare nelle vie del mondo, l’Egitto
antitipico. — Numeri 14:1-4, 26-30; Luca 12:45, 46; confronta Atti 5:27-29, 41, 42.
Il nome di Geova in primo piano!
9 Nell’elenco dei 12 esploratori riportato nella Bibbia, Giosuè viene chiamato Oshea, nome che significa
“salvezza”. Ma a questo punto il racconto dice: “Mosè chiamava Oshea, figlio di Nun, Giosuè [che
significa ‘Geova è salvezza’]”. Per quale ragione Mosè diede tanto risalto al nome di Geova? Perché
Giosuè prestava principalmente servizio allo scopo di rivendicare quel nome. Giosuè divenne un esempio
vivente di ubbidienza al comando che in seguito Mosè avrebbe dato con grande enfasi a Israele: “Devi
amare Geova tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza vitale”. Così
facendo, ebbe il privilegio di dimostrare che ‘Geova è salvezza’. — Numeri 13:8, 16; Deuteronomio 6:5.
10 Non abbiamo forse imparato anche noi a considerare il nome di Geova preziosissimo e degno di ogni
lode? Il suo insigne nome significa “Egli fa divenire” in relazione all’adempimento delle sue promesse.
Come sono entusiasmanti le sue promesse del Regno! Con uno zelo simile a quello di Giosuè dovremmo
voler magnificare il nome e i propositi di Geova dinanzi a tutti coloro che potranno ancora accettare la
speranza del suo puro e giusto nuovo sistema di cose. In questi tempi difficili, possiamo essere rafforzati
dalle ulteriori parole che Geova rivolse a Giosuè: “Non ti ho io comandato? Sii coraggioso e forte. Non ti
sgomentare o non ti atterrire, poiché Geova tuo Dio è con te ovunque tu vada”. — Giosuè 1:9.
11 L’equivalente greco di Giosuè è Gesù, nome che pure significa “Geova è salvezza”. È tramite Gesù
Cristo che Geova mette la salvezza a disposizione dell’umanità. Quando nel 33 E.V. Gesù entrò a
Gerusalemme a cavallo di un puledro, la folla gridava: “Salva, preghiamo! Benedetto colui che viene nel
nome di Geova!” (Marco 11:9; Zaccaria 9:9) Giosuè fu veramente un tipo di Gesù, il quale ‘ci ha lasciato
un modello onde seguiamo attentamente le sue orme’. (I Pietro 2:21) Come Giosuè, Gesù considerava
prezioso il nome di Geova e lo esaltò. Per due volte, nell’ultima preghiera che fece con i discepoli, mise in
risalto il nome di Dio: “Io ho reso manifesto il tuo nome agli uomini che mi hai dati dal mondo. . . . Ho fatto
conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, onde l’amore col quale mi hai amato sia in loro e io unito
a loro”. (Giovanni 17:6, 26) Abbiamo lo splendido privilegio di far conoscere ad altri quel nome!
12 Quando nella Bibbia leggiamo che Giosuè guidava lealmente il popolo, possiamo ricordare che il più
grande Giosuè, Gesù Cristo, sta guidando l’odierno popolo di Dio. È imminente “il giorno di Geova”, il
giorno della Sua rivendicazione. Non vediamo l’ora che si adempia la sua promessa relativa al giusto
nuovo sistema che seguirà quel giorno! (II Pietro 3:10-13, 17, 18) Attendiamo quindi con fiducia i futuri
potenti atti di Geova, che saranno ancora più potenti di quelli compiuti tramite Giosuè.
Il miracolo di Geova al Giordano
13 Era l’epoca della mietitura del 1473 a.E.V. e il Giordano era in piena. Com’era possibile che milioni di
persone, vecchi e giovani, uomini, donne e bambini, riuscissero ad attraversare quell’impetuoso corso
d’acqua? Eppure Geova aveva ordinato a Giosuè: “Ora levati, passa questo Giordano, tu e tutto questo
popolo”. In risposta il popolo disse a Giosuè: “Tutto ciò che ci hai comandato faremo”. Gli israeliti
levarono il campo. I sacerdoti si mossero per primi portando, accuratamente coperta, l’arca del patto che
rappresentava la presenza di Geova presso di loro. Geova poi cominciò a ‘fare cose meravigliose in
mezzo a loro’; infatti, “nell’istante in cui i portatori dell’Arca giunsero al Giordano e i piedi dei sacerdoti
che portavano l’Arca s’immersero nella riva delle acque . . . le acque che scendevano da sopra si
fermavano”. Di sotto, le acque “furono recise”, defluendo verso il Mar Morto, “e il popolo passò” il fiume.
(Giosuè 1:2, 16; 3:5-16) Davvero uno stupendo miracolo!
14 L’impetuoso Giordano corrisponde alla marea dell’umanità che ora sta precipitando a capofitto verso la
distruzione ad Armaghedon. (Confronta Isaia 57:20; Rivelazione 17:15). Oggi, mentre l’umanità è sull’orlo
di quel precipizio finale, Geova rafforza il suo popolo che ora è composto da oltre 3.000.000 di persone,
un numero analogo a quello del popolo di Dio che marciava con Giosuè. — Confronta Abacuc 2:3.
15 Mentre i milioni di israeliti attraversavano il letto del fiume, “i sacerdoti che portavano l’arca del patto di
Geova stavano immobili su terra asciutta in mezzo al Giordano”, a simboleggiare che l’interruzione era
stata provocata da Geova Dio. (Giosuè 3:17) Nel 1919 il piccolo gruppo di Testimoni unti si mise
coraggiosamente davanti alle “acque” dell’umanità. Nel 1922 accolsero intrepidamente l’invito di
‘annunciare, annunciare, annunciare il Re e il suo Regno’, e fu come se avessero detto: “Eccomi! Manda
me”. Geova assicurò loro: “Nel caso che tu dovessi passare per le acque, per certo sarei con te; e per i
fiumi, non ti sommergerebbero”. Nel 1931 Geova li onorò conferendo loro il nome di Testimoni di Geova.
(Isaia 6:8; 43:2, 12) Fra coloro che attraversarono il Giordano c’erano gli israeliti che non appartenevano
alla tribù di Levi e i discendenti della “numerosa compagnia mista” che aveva lasciato l’Egitto insieme a
Mosè. In modo simile, l’odierna “grande folla” va verso il nuovo sistema di Dio, mentre i rimanenti della
spirituale classe sacerdotale restano “saldi, incrollabili”, esemplari nella loro fede. — Esodo 12:38;
Rivelazione 7:9; I Corinti 15:58.
Reso memorabile il miracolo
16 Geova si accinse poi a rendere memorabile il miracolo avvenuto al Giordano: ordinò che 12 uomini, in
rappresentanza delle tribù di Israele, prendessero 12 pietre dal letto del fiume e le depositassero sulla
riva occidentale a Ghilgal. Quelle pietre dovevano essere messe lì a perpetuo ricordo del nome di Geova
e dei suoi potenti atti. In futuro, ai figli degli israeliti si doveva far sapere qual era lo scopo di questo
memoriale: “Onde tutti i popoli della terra conoscano la mano di Geova, che è forte; onde in realtà temiate
Geova vostro Dio per sempre”. (Giosuè 4:1-8, 20-24) Nei tempi moderni gli atti meravigliosi che Geova
compie proteggendo il suo popolo, nonostante i malvagi attacchi di personalità politiche e religiose,
servono a ricordare che Egli è dalla parte del suo popolo. Indubbiamente, le stupende opere che compirà
per rivendicare il suo nome saranno ricordate per sempre nel suo nuovo sistema di cose. — Rivelazione
12:15, 16; Salmo 135:6, 13.
17 Occorreva un altro memoriale: “Ci furono anche dodici pietre che Giosuè eresse in mezzo al Giordano
sul luogo dove si erano fermati i piedi dei sacerdoti che portavano l’arca del patto, ed esse vi rimangono
fino a questo giorno”. Non appena i sacerdoti uscirono dal letto del fiume e Geova fece nuovamente
scorrere le acque che erano state arginate, esse scesero impetuosamente intorno alle 12 pietre di
testimonianza. (Giosuè 4:9) Da allora in poi, quel fiume non poté evitare la presenza di quelle pietre.
Oggi, in modo simile, l’umanità precipita sempre più rapidamente verso il “Mar Morto” di Armaghedon. Ma
non può sottrarsi alla testimonianza data a livello mondiale dai testimoni di Geova, i quali stanno “fermi in
un solo spirito, combattendo a fianco a fianco con una sola anima per la fede della buona notizia”.
(Filippesi 1:27, 28) I dati disponibili indicano che, negli scorsi 67 anni, i Testimoni hanno pubblicato e
lasciato nelle case di persone di tutto il mondo, in più di 200 lingue, oltre 570.000.000 di libri e opuscoli,
più di 6.400.000.000 di copie delle riviste La Torre di Guardia e Svegliatevi!, e hanno ottenuto milioni di
abbonamenti alle riviste: veramente una colossale testimonianza!
18 Possiamo essere felici che questa testimonianza sia andata avanti fino al 1986. Per compiere la
volontà di Dio c’è voluto uno strenuo impegno, paragonabile a quello dei 12 uomini, ciascuno dei quali
portò a spalla fino a Ghilgal una pietra del memoriale. Ma uno splendido spirito di pioniere ha unito gli
odierni servitori di Dio e li ha continuamente spronati ad ‘essere coraggiosi e molto forti’. — Salmo 27:14;
31:24; Sofonia 3:9.
19 Ci sono altri avvenimenti del tempo di Giosuè che dovrebbero spronarci ad andare avanti, fiduciosi che
Geova compirà altri miracoli per il bene del suo popolo. Ne prenderemo in considerazione alcuni nel
prossimo articolo.
[Nota in calce]
Secondo Asher Goldenberg, nel periodo del Primo Tempio era normale che i nomi propri avessero una
forma più lunga e includessero parte del Tetragramma per denotare la lealtà a Geova. Egli dice che “nel
Pentateuco Mosè cambia il nome a Hoshe ben-Nun e lo chiama ‘Giosuè’ allorché lo invia in esplorazione;
prevedeva in tal modo che [Giosuè] non avrebbe tradito [Geova]”.

w86 15/12 15-20 Com'è maestoso il nome di Geova!


Com’è maestoso il nome di Geova!
“O Geova nostro Signore, come è maestoso il tuo nome in tutta la terra!” — SALMO 8:1, 9.
FINALMENTE, nel 1473 a.E.V., gli israeliti misero piede nella Terra Promessa. Li attendevano, però,
alcuni anni di guerra teocratica, poiché dovevano purificare il paese dai suoi depravati abitanti. Ma i
cananei erano proprio tanto malvagi? Indubbiamente! La loro idolatria e il loro modo di vivere immorale
erano detestabili dal punto di vista di Geova e costituivano un pericolo per il popolo di Dio. Per questo Dio
fece annunciare da Mosè che Lui avrebbe impiegato la Sua nazione santa, Israele, per eseguire i Suoi
giudizi. Così Geova avrebbe fatto in modo che il paese ‘vomitasse’ quelle nazioni impure. — Levitico
18:1-30; Deuteronomio 12:29-32.
2 Anche oggi potremmo chiederci: Questo mondo è davvero tanto malvagio da meritare di essere
distrutto? Ebbene, che dire dei sistemi religiosi del mondo? Purtroppo essi non onorano il Creatore,
Geova Dio. Coloro che fanno parte della cristianità hanno lasciato Dio, “fonte d’acqua viva, per scavarsi
cisterne, cisterne rotte, che non possono contenere acqua”. (Geremia 2:13) Le loro dottrine settarie non
contengono “acqua” di verità. Hanno dimostrato di far parte del mondo sostenendone i conflitti e la
politica, e approvandone la morale sessuale. Come disse Gesù, sono riconoscibili “dai loro frutti”. —
Matteo 7:16, 17; confronta Galati 6:7, 8.
3 Che dire della morale del mondo? Negli ultimi anni, si è assistito dappertutto a un vertiginoso aumento
nel numero di aborti, gravidanze fra adolescenti e famiglie divise, particolarmente nei cosiddetti paesi
cristiani. In certe nazioni, addirittura il 50 per cento di tutti i matrimoni finisce col divorzio. La “rivoluzione
sessuale” degli anni ’60 ha avuto altre conseguenze disastrose. Una di queste veniva ricordata nel New
York Times del 13 giugno 1986, in un articolo di prima pagina dal titolo: “SI PREVEDE CHE ENTRO IL
’91 I DECESSI PER AIDS AUMENTERANNO DI DIECI VOLTE”. L’articolo indicava che entro il 1991,
soltanto negli Stati Uniti il numero dei pazienti affetti da AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita)
potrà superare i 100.000, con una spesa sanitaria di 16 miliardi di dollari l’anno. Questa malattia a
decorso letale si trasmette soprattutto tramite contatti omosessuali, abuso di stupefacenti e trasfusioni di
sangue, tutte cose che violano la legge di Dio. — I Corinti 6:9, 10; Galati 5:19-21; Atti 15:19, 20.
4 Al tempo di Giosuè, Geova inviò la Sua nazione santa a purificare la Terra Promessa facendo ricorso
alla guerra letterale. Oggi la nostra guerra è spirituale. (II Corinti 10:3, 4) Noi Testimoni non ricorriamo ad
azioni violente per togliere di mezzo coloro che non tengono conto della Parola di Dio. Sarà Geova a
toglierli di mezzo a suo tempo e a suo modo. (Deuteronomio 32:41, 43) Non accogliamo in nostra intima
compagnia persone senza princìpi, anche se possiamo mostrare vero amore facendo conoscere loro la
buona notizia del Regno. (I Corinti 15:33) Possiamo studiare con loro la Parola di Dio ed esortarli a
‘pentirsi, e convertirsi, affinché i loro peccati siano cancellati’. — Atti 3:19; Matteo 21:31, 32; Luca 5:27-
32.
Raab e la sua famiglia
5 Prima ancora che Israele attraversasse il Giordano, Geova aveva rivolto la sua attenzione alla città di
Gerico. Giosuè vi mandò due spie, in rappresentanza di tutto Israele, e disse loro: “Andate, date uno
sguardo al paese e a Gerico”. Perché far spiare Gerico? Anche se era una città piccola e non poteva
tener testa all’esercito israelita, dominava le vie di accesso al paese di Canaan. Come mostrano gli
eventi, la presenza delle spie a Gerico diede la possibilità ai suoi abitanti di far vedere con chiarezza se
erano dalla parte di Geova o contro di lui. Le spie “andarono e vennero dunque nella casa di una
prostituta il cui nome era Raab, e vi presero alloggio”. (Giosuè 2:1-7) Fu indubbiamente per merito della
guida divina che le spie si recarono a casa di Raab, proprio come oggi gli angeli spesso guidano i
testimoni di Geova verso persone che invocano aiuto spirituale! “Gli occhi di Geova sono verso i giusti, e i
suoi orecchi son verso la loro invocazione di soccorso”. — Salmo 34:15; vedi anche II Cronache 16:9.
6 Perché quelle spie si recarono nella casa di una prostituta? Non per scopi immorali, ma probabilmente
per trarre in inganno i cananei che osservavano. Ciò che Raab disse alle spie rivela che lei non nutriva
interessi immorali nei loro confronti. Poiché sapeva che erano servitori di Geova, Raab poté dir loro che
desiderava ardentemente diventare un’adoratrice di Geova. Rischiò addirittura la propria vita
nascondendoli sul tetto di casa sua. Fu simile alle “pecore” della parabola di Gesù, le quali si mostrano
benigne verso i “fratelli” del Signore. (Matteo 25:31-46) Pur facendolo con discrezione, oggi i testimoni di
Geova non esitano a visitare gli interessati che si mostrano ‘amici della pace’ e a studiare la Bibbia con
loro. — Luca 10:5-7.
7 Raab era venuta a conoscenza dei potenti atti di Geova. Poté manifestare la sua fede alle spie che
erano nascoste dicendo: “In effetti so che Geova vi darà certamente il paese, e che lo spavento di voi è
caduto su di noi, e che tutti gli abitanti del paese si sono scoraggiati a causa di voi”. Dopo aver riferito
cosa aveva saputo in merito ai potenti atti di Geova, Raab proseguì: “Geova vostro Dio è Dio nei cieli di
sopra e sulla terra di sotto. E ora, vi prego, giuratemi per Geova che, siccome io ho esercitato amorevole
benignità verso di voi, anche voi eserciterete per certo amorevole benignità verso la casa di mio padre, e
mi dovete dare un segno meritevole di fiducia”. (Giosuè 2:9-13) Come Raab, oggi i nuovi che imparano a
conoscere la verità di Dio non devono più aver timore del giudizio che verrà eseguito nel “giorno di
Geova”. (Sofonia 1:14-18) Piuttosto, abbandonano le vie mondane e cercano l’aiuto dei testimoni di
Geova per ottenere la salvezza. — Salmo 3:6-8; Proverbi 18:10.
8 Il segno che le spie diedero a Raab consisteva in una “corda di filo scarlatto” che lei avrebbe dovuto
legare alla finestra per la quale le spie stesse erano fuggite. (Giosuè 2:17-21) Poiché Raab mise in
mostra questo segno, la sua casa sarebbe stata risparmiata quando Gerico sarebbe stata distrutta. Oggi,
in modo simile, coloro che mostrano una fede come quella di Raab se vogliono salvarsi devono farsi
riconoscere come dedicati e battezzati adoratori di Geova. Rivelazione 7:9, 10, 14 li descrive come “una
grande folla” e dice che “hanno lavato le loro lunghe vesti e le han rese bianche nel sangue dell’Agnello”.
Essi esercitano fede nel sangue sacrificale di Gesù e ne danno prova compiendo opere cristiane.
(Romani 10:9, 10) In Giacomo 2:24, 25 si legge: “Voi vedete che l’uomo è dichiarato giusto dalle opere e
non dalla fede soltanto. Nella stessa maniera non fu anche Raab la meretrice dichiarata giusta dalle
opere, dopo che ebbe ricevuto i messaggeri con ospitalità e li ebbe mandati fuori per un’altra via?”
9 Tra le “opere” compiute da Raab ci furono la protezione data alle due spie e il fatto che radunò altri in
casa sua perché si salvassero. Allo stesso modo, la “grande folla” si dà da fare per sostenere lealmente
l’unto “schiavo fedele e discreto” mentre questo gruppo provvede lo spirituale “cibo a suo tempo” e
soprintende all’attività mondiale di predicazione del Regno. (Matteo 24:45-47) Da parte sua Raab diede
intrepidamente testimonianza alla casa di suo padre, un compito che era pieno di pericoli, perché
avrebbe potuto essere tradita. (Confronta Matteo 10:32-36). Oggi, similmente, in molti paesi in cui c’è
opposizione, i testimoni di Geova devono mostrarsi intrepidi nel dare testimonianza. Questo ha dato
luogo a una splendida raccolta, e spesso famiglie intere sono uscite da Babilonia la Grande per schierarsi
dalla parte della pura adorazione di Geova. — Salmo 73:28; 107:21, 22.
Gerico: antica e moderna
10 Esaminiamo questi emozionanti avvenimenti da una diversa angolazione. “Gerico era strettamente
chiusa a causa dei figli d’Israele, e nessuno usciva e nessuno entrava”. Era la prima città cananea che
sarebbe finita sotto la spada del giudizio di Geova. Per questa ragione, in quanto primizia dedicata a Dio,
le doveva essere riservato un trattamento particolare. Giosuè spiegò: “La città deve divenire una cosa
votata alla distruzione; essa con tutto ciò che è in essa appartiene a Geova”. — Giosuè 6:1, 17; confronta
Esodo 22:29; Levitico 27:26.
11 Essa corrisponde benissimo a Babilonia la Grande, l’impero mondiale della falsa religione, che ha
raggiunto l’apice della sua malvagità in questo XX secolo bagnato di sangue. Essa ha cercato di chiudere
le sue porte per non essere invasa dai testimoni di Geova. Come disse Raab, “lo spavento” del popolo di
Dio è caduto su di essa. Ad esempio, il quotidiano La Repubblica del 12 novembre 1985 titolava: “GRIDO
D’ALLARME DELLA CHIESA CONTRO I TESTIMONI DI GEOVA”. L’articolo parlava di un convegno
svoltosi a Bologna con la partecipazione di un cardinale cattolico per far fronte alla “minaccia”
rappresentata dai testimoni di Geova. Il papa ha inviato un telegramma di incoraggiamento e di sostegno.
È stato dichiarato che i testimoni di Geova “ormai pullulano in tutto il mondo” e che “ora la chiesa si
mobilita” per contrastare questo “pericolo”. Ma prevarrà? — Geremia 1:17-19.
12 Babilonia la Grande accoglie una sconcertante moltitudine di dèi: dalla mistica Trinità della cristianità ai
milioni di dèi delle religioni orientali. Mosè, prima di affidare l’incarico a Giosuè, aveva dichiarato:
“Ascolta, o Israele: Geova nostro Dio è un solo Geova”. Oggi, i testimoni di Geova si distinguono da tutti
gli altri in quanto esaltano questo “solo Dio e Padre”. (Deuteronomio 6:4; Efesini 4:6) Geova combatterà
per noi, come fece al tempo di Giosuè e degli altri leali capi israeliti. — II Cronache 20:15, 17; 32:7, 8;
Isaia 54:17.
Esecuzione del giudizio
13 Giosuè preparò molto accuratamente l’assedio di Gerico. Gli uomini che erano cresciuti nel deserto
furono circoncisi. Questo simboleggiava il fatto che mettevano da parte qualsiasi cosa potesse impedir
loro di mostrare completa devozione a Geova. (Deuteronomio 10:16; 30:5, 6) Si riprese a celebrare la
Pasqua. Il popolo cominciò a nutrirsi del prodotto del paese non appena cessò la manna provveduta
miracolosamente. Per di più, il “principe dell’esercito di Geova” — senza dubbio il Logos preumano —
apparve a Giosuè per rassicurarlo. Giosuè ne riconobbe umilmente la presenza. Sotto tutti questi aspetti,
possiamo osservare dei paralleli con quanto è accaduto nel nostro tempo ai testimoni di Geova, a mano a
mano che si sono dedicati all’opera che stava loro dinanzi. Il nostro cibo spirituale è diventato più vario e
ricco di contenuto man mano che “lo schiavo fedele e discreto” è andato progressivamente avanti sotto la
guida del Signore Gesù Cristo. — Giosuè 5:1-15.
14 Osservate adesso la scena della battaglia. La tattica predisposta da Geova è davvero strana! Per sei
giorni, una volta al giorno, i sacerdoti israeliti marciano intorno a Gerico, trasportando l’Arca, simbolo
della presenza di Geova. Sono preceduti da sette sacerdoti che suonano corni di montone, mentre i
soldati israeliti marciano sia davanti che dietro ad essi. Il settimo giorno, però, si alzano ‘di buon’ora,
appena ascende l’aurora’, e marciano intorno alla città sette volte. Chissà come tremano gli abitanti di
Gerico! — Giosuè 6:2-15.
15 Troviamo un notevole parallelo di quegli avvenimenti in ciò che stanno facendo attualmente i testimoni
di Geova a livello mondiale. Di recente, c’è stata una grande espansione nella nostra attività del Regno.
Nel quinquennio 1981-85 le file dei pionieri sono aumentate del 134 per cento. L’esercito dei pionieri e
degli altri fedeli proclamatori del Regno si alza “di buon’ora”, spesso in senso letterale, e proclama con
zelo i giudizi di Geova. Agli occhi dei capi religiosi della cristianità, questi Testimoni sembrano “un popolo
numeroso e potente”. Gli ecclesiastici provano “penosi dolori” nel vedere che la proclamazione della
verità spinge molte persone oneste ad abbandonarli e a schierarsi dalla parte di Geova. — Gioele 2:1-3,
6.
16 Infine Giosuè ordina al popolo: “Urlate; poiché Geova vi ha dato la città”. Si leva un tonante grido di
guerra. La terra trema e — miracolo dei miracoli — le mura di Gerico crollano. Gli israeliti
ubbidientemente si lanciano contro la città per annientare ogni creatura vivente che vi si trova.
Distruggono la città col fuoco. Ma, guardate! Un piccolo tratto delle mura esterne è rimasto in piedi, e da
una finestra pende una corda scarlatta. Raab e la famiglia di suo padre vengono condotte fuori incolumi.
A suo tempo, la fede di Raab viene ulteriormente ricompensata, in quanto diventa moglie dell’israelita
Salmon e antenata di Gesù Cristo. — Giosuè 6:16-26; Matteo 1:5.
17 “Geova fu dunque con Giosuè, e la sua fama si sparse per tutta la terra”. In maniera simile, il maestoso
nome di Geova verrà rivendicato allorché Babilonia la Grande sarà devastata e spogliata delle sue
ricchezze e della sua gloria all’inizio della “grande tribolazione”. — Giosuè 6:27; Rivelazione 17:16; 18:9,
10, 15-17; Matteo 24:21, 22.

L’insuccesso di un apostata
18 Poco tempo dopo la clamorosa vittoria ottenuta a Gerico, si verificò un fatto sorprendente. Le forze
d’assalto che Giosuè aveva inviato ad abbattere la vicina città di Ai vennero messe in rotta! “Di
conseguenza il cuore del popolo si struggeva e diveniva come acqua”. Sconvolto, Giosuè esclama in
preghiera: “Ohimè, Signore Geova, . . . che cosa farai tu per il tuo grande nome?” — Giosuè 7:2-9.
19 Geova quindi rivelò a Giosuè che in Israele era stata commessa “una vergognosa follia”. Il
trasgressore fu scoperto: era Acan, della tribù di Giuda. Aveva rubato dalle spoglie di Gerico una “bella”
veste babilonese, oro e argento. Geova ‘diede l’ostracismo’ ad Acan, e lui e la sua famiglia vennero
lapidati. Quindi essi e i loro beni furono bruciati col fuoco. A durevole testimonianza di quell’esecuzione
del giudizio di Geova, sul corpo di Acan fu messo un grosso mucchio di pietre e quella località fu
chiamata “Bassopiano di Acor”, nome che significa “ostracismo; afflizione”. Ancora una volta Geova disse
a Giosuè: “Non aver timore e non ti atterrire”. Il nome di Geova fu esaltato: infatti Giosuè non subì più
sconfitte in battaglia. — Giosuè 7:10–8:1.
20 Esiste un parallelo moderno del peccato di Acan? Sì. L’apostolo Paolo mise in guardia contro
“oppressivi lupi” che non avrebbero tenuto conto dell’ordine teocratico e avrebbero cercato il proprio
tornaconto egoistico. Dal 1919, di tanto in tanto, in mezzo al popolo di Dio si sono manifestate simili
persone avide. Per fare un esempio recente, verso la metà degli anni ’70 alcuni anziani piuttosto in vista
si fecero prendere dal malcontento. Pensavano non fosse consono alla loro “dignità” dare testimonianza
di casa in casa e proclamare il messaggio del Regno secondo l’esempio lasciato dagli apostoli di Gesù.
(Atti 5:42; 20:20, 21, 29, 30) Ritennero opportuno volgersi nuovamente a insegnamenti babilonici.
Subdolamente cercarono di insinuare dei dubbi in merito agli “ultimi giorni” e di far rallentare l’opera dei
testimoni di Geova. (II Pietro 3:3, 4) Infine, li si dovette disassociare. — II Giovanni 10, 11; confronta
Filippesi 1:15-17; Ebrei 6:4-8.
21 La Torre di Guardia del 1° gennaio 1980 mostrò molto chiaramente qual è la base scritturale del nostro
ministero di casa in casa e quanto esso sia quindi importante. I Testimoni leali si inoltrarono con vigore
negli anni ’80! È probabile che la presenza di un piccolo numero di apostati abbia contribuito al
rallentamento dell’opera di Geova durante la seconda metà degli anni ’70, allorché l’aumento medio
annuo nel numero di testimoni di Geova attivi scese addirittura a meno dell’1 per cento. Invece, negli
scorsi cinque anni l’aumento annuo medio è stato superiore al 6 per cento. A livello mondiale è stato
raggiunto un massimo di 3.024.131 proclamatori nel 1985, rispetto ai 2.179.256 del 1975. Geova
continua ad ‘affrettare’ la sua opera! — Isaia 54:2, 3; 60:22.
22 Il nome di Geova è divenuto realmente maestoso in tutta la terra! Ma, mediante il libro di Giosuè, egli
‘annuncia’ molte altre cose, come vedremo. — Isaia 42:8, 9.

w86 15/12 21-6 "Serviremo Geova nostro Dio"


“Serviremo Geova nostro Dio”
“In quanto a me e alla mia casa, serviremo Geova”. — GIOSUÈ 24:15.
GLI emozionanti avvenimenti riportati nel libro di Giosuè sono stati scritti “per nostra istruzione” e sono
“esempi” per incoraggiare e proteggere noi “sui quali sono arrivati i termini dei sistemi di cose”. (Romani
15:4; I Corinti 10:11) Questo libro mette in risalto qualità sante, come perseveranza, fede e ubbidienza.
“Per fede le mura di Gerico caddero dopo che ne fu fatto il giro per sette giorni. Per fede Raab la
meretrice non perì con quelli che agirono disubbidientemente, avendo ricevuto le spie in modo pacifico”.
(Ebrei 11:30, 31) La fede di Giosuè, di Raab e degli altri leali di quel tempo dovrebbe spronarci ad essere
coraggiosi e forti per portare a termine l’attuale opera di Dio. — Giosuè 10:25; Giovanni 4:34.
2 Dopo la netta vittoria conseguita ad Ai, Giosuè prestò attenzione alle particolareggiate istruzioni che si
trovano in Deuteronomio 27:1–28:68. Sul monte Ebal eresse un altare di pietre intere e su di esso eseguì
il comando: “Vi devi offrire sacrifici di comunione e mangiarli, e ti devi rallegrare dinanzi a Geova tuo Dio”.
Altre pietre furono erette come memoriale, vennero imbiancate, e su di esse si scrissero le parole della
Legge. Quindi le tribù furono divise: una parte doveva stare sul monte Gherizim “per benedire il popolo”,
e l’altra “sul monte Ebal per la maledizione”. Ad alta voce i leviti proclamarono le maledizioni per la
disubbidienza, e tutto il popolo rispose: “Amen!” Poi vennero proclamate le benedizioni per l’ubbidienza.
Guai se Israele ‘non avesse messo in pratica tutte le parole della legge e non avesse temuto il glorioso e
tremendo nome di Geova Dio’! — Giosuè 8:32-35.
3 Gli israeliti continuarono a ubbidire alle “parole della legge”? Nonostante le esortazioni ripetute più volte
da Mosè prima e da Giosuè poi, gli israeliti vennero miseramente meno. Che vigorosa lezione per noi
oggi! Nonostante i continui avvertimenti, c’è sempre chi pensa di poter disubbidire alle esigenze di Dio,
‘fare a modo proprio’ e sopravvivere ugualmente. Che stoltezza! Facendo riferimento alla storia
dell’antico Israele, Paolo affermò: “Chi pensa di stare in piedi badi di non cadere”. — I Corinti 10:12;
Ecclesiaste 2:13.
4 Alcuni componenti del popolo di Dio hanno criticato gli avvertimenti dati, e hanno detto di essere stanchi
di sentir ripetere sempre le stesse cose. Ma spesso costoro sono i primi a cadere nelle trappole di
Satana. L’ispirato libro biblico di Deuteronomio (in ebraico Mishneh’ hattoràh, che significa “Ripetizione
della Legge”) è composto quasi per intero da quattro discorsi di Mosè; questi discorsi fecero ben capire
agli israeliti che dovevano ubbidire alle leggi dichiarate in precedenza da Geova. Mosè spese quattro
volte più parole per mettere in guardia contro la disubbidienza e per parlare delle risultanti “maledizioni” di
quante ne spese per descrivere le “benedizioni”. Sul monte Ebal Giosuè avvertì nuovamente gli israeliti
del fatto che dovevano ubbidire. Questo non ci fa forse capire quanto sia importante fare ogni sforzo per
‘entrare per la porta stretta’? — Matteo 7:13, 14, 24-27; 24:21, 22.
5 Si stava ora profilando una prova di forza decisiva. Era stata tolta di mezzo Gerico, una città di confine,
così come la falsa religione verrà devastata all’inizio della “grande tribolazione”. Ai era caduta. Ma ora,
“tutti i re che erano dalla parte del Giordano nella regione montagnosa e nella Sefela e lungo l’intera
costa del mare Grande e di fronte al Libano, gli Ittiti e gli Amorrei, i Cananei, i Ferezei, gli Ivvei e i
Gebusei . . . si radunavano tutti insieme per far guerra unanimemente contro Giosuè e Israele”. (Giosuè
9:1, 2) Nel corrispondente parallelo moderno, notiamo che le nazioni della terra ora si sono riunite
insieme formando le cosiddette Nazioni Unite. Cercano di conseguire pace e sicurezza alle proprie
condizioni, ma ‘si sono ammassate insieme come un sol uomo contro Geova e contro il suo unto’, il più
grande Giosuè. (Salmo 2:1, 2) Come andranno a finire le cose?
Agiscono con accortezza
6 Come aveva fatto Raab prima di loro, anche altri non israeliti cominciarono ora a interessarsi alla
sopravvivenza. Erano gli abitanti di Gabaon, una grande città a nord di Gebus, cioè Gerusalemme.
Avevano sentito parlare dei potenti atti di Geova e avevano deciso di cercare di ottenere la pace e la
sicurezza alle condizioni stabilite da Geova. Ma come? Inviarono a Ghilgal, dove si trovava
l’accampamento israelita, degli uomini i quali avevano con sé viveri secchi e sbriciolati, sacchi e otri di
vino consumati, e indossavano vesti e sandali rappezzati. Rivolgendosi a Giosuè, essi dissero: “I tuoi
servitori son venuti da un paese molto lontano per riguardo verso il nome di Geova tuo Dio, perché
abbiamo udito la sua fama e tutto ciò che fece in Egitto”. Udito ciò, “Giosuè fece pace con loro e concluse
con loro il patto di lasciarli vivere”. — Giosuè 9:3-15.
7 Gli israeliti, tuttavia, scoprirono ben presto che i gabaoniti in realtà ‘dimoravano proprio in mezzo a loro’!
Come giudicò Giosuè il loro stratagemma? Rispettò il giuramento fatto in precedenza, ‘li lasciò vivere, ed
essi divennero raccoglitori di legna e attingitori d’acqua per tutta l’assemblea’. — Giosuè 9:16-27;
confronta Deuteronomio 20:10, 11.
8 Molti netinei, che in seguito prestarono servizio presso il tempio di Geova, probabilmente discendevano
dai gabaoniti. Pertanto i gabaoniti possono ben prefigurare coloro che formano la “grande folla”, i quali
ora stanno rendendo a Dio “sacro servizio giorno e notte nel suo tempio”. (Rivelazione 7:9, 15) Sebbene
vivano in un mondo simile al paese di Canaan, essi nel loro cuore “non fanno parte del mondo”. In
precedenza si erano dovuti accontentare di cibo spirituale ‘sbriciolato’, come quello che si trova nelle
chiese della cristianità, e non avevano “vino” di gioia. Venuti in contatto col popolo di Dio, si sono resi
conto che Geova sta compiendo atti potenti per mezzo dei suoi testimoni. Hanno compiuto un lungo
viaggio dal mondo di Satana per poter cambiare le loro “vesti” lacere con una nuova identità quali umili
servitori di Geova, rivestendo la nuova personalità. — Giovanni 14:6; 17:11, 14, 16; Efesini 4:22-24.
Il sostegno dell’organizzazione
9 Quando Adoni-Zedec, re di Gerusalemme, venne a sapere che i gabaoniti avevano concluso la pace
con Israele, “ebbe molto timore, perché Gabaon era una città grande, come una delle città reali, . . . e tutti
i suoi uomini erano potenti”. Si alleò ad altri quattro re e strinse d’assedio Gabaon. I gabaoniti invocarono
immediatamente l’aiuto di Giosuè: “Sali presto a noi e salvaci e aiutaci”. Giosuè passò subito all’azione, e
Geova lo rassicurò dicendogli: “Non aver timore di loro, poiché te li ho dati in mano. Nessun uomo d’essi
ti terrà fronte”. Giosuè e i suoi potenti e valorosi uomini marciarono “per tutta la notte” per cogliere il
nemico completamente di sorpresa. — Giosuè 10:1-9.
10 Come quei cinque re, alcuni governanti odierni si adirano vedendo che tanti loro concittadini — persino
alcuni che sono “potenti” — si schierano dalla parte del più grande Giosuè e del suo Regno mondiale di
giustizia. Questi governanti pensano che i confini nazionali vadano conservati, anche se le nazioni
disputano e combattono continuamente fra loro. Cercano quindi di impedire che le provviste di cibo
spirituale giungano alla “grande folla” di persone amanti della pace, cercano di vietare le adunanze dove
esse possono nutrirsi di questo “cibo” e di costringerle a smettere di parlare ad altri di argomenti spirituali.
Ma questi moderni gabaoniti sono lealmente schierati dalla parte dell’Israele spirituale e dicono: “Verremo
con voi”. — Zaccaria 8:23; confronta Atti 4:19, 20; 5:29.
11 Allorché la “grande folla” si rivolge all’organizzazione “madre” per chiedere aiuto, esso viene
provveduto subito e in abbondanza. Anche in molti altri campi si può osservare la prontezza con la quale i
testimoni di Geova fanno le cose, ad esempio quando vengono predisposte immediate misure di
soccorso in occasione di disastri naturali, o quando vengono rapidamente costruite le necessarie Sale del
Regno e altri luoghi di riunione in cui viene provveduto il “cibo”. Lo scorso giugno, in occasione di un
congresso in programma allo Yankee Stadium di New York, a mezzanotte, dopo una partita di baseball,
un esercito di volontari è entrato nel locale per ripulirlo; lo stadio non era mai stato così pulito come nei
quattro giorni seguenti. Inoltre, gli anziani dei testimoni di Geova, uomini responsabili, agiscono con
prontezza per risolvere i problemi che sorgono in relazione alla predicazione della buona notizia. —
Filippesi 1:6, 7.
Geova combatte per Israele
12 Ma ora guardate cosa accade presso Gabaon. Geova getta il nemico in confusione. Israele lo insegue
compiendo un grande massacro. Ma cosa sta cadendo dai cieli? Grossi pezzi di ghiaccio! Muoiono più
nemici per questi giganteschi chicchi di grandine che per mano dei guerrieri israeliti. Ora ascoltate.
Giosuè sta parlando a Geova; e cosa dice “dinanzi agli occhi d’Israele”? Questo: “Sole, resta immoto
sopra Gabaon, e, luna, sul bassopiano di Aialon”. Un altro imponente miracolo! “Per circa un giorno
intero” il sole illumina il campo di battaglia, finché non viene completamente portata a termine la vendetta
di Geova. Non sta a noi speculare sul modo in cui Geova compì quel miracolo, non più di quanto stia a
noi chiederci in che modo egli ‘fece’ in modo che due grandi luminari risplendessero nel quarto “giorno”
creativo. (Genesi 1:16-19; Salmo 135:5, 6) Il racconto è chiaro: “Nessun giorno è stato come quello, né
prima né dopo, in quanto Geova ascoltò la voce di un uomo, poiché Geova stesso combatteva per
Israele”. — Giosuè 10:10-14.
13 Dopo le operazioni di rastrellamento, i cinque re vengono uccisi, e Giosuè dice ai suoi comandanti:
“Non abbiate timore, non vi atterrite. Siate coraggiosi e forti, poiché così Geova farà a tutti i vostri nemici
ai quali muovete guerra”. Le cose sono già andate così nel caso di sette re cananei, e continueranno ad
andare così fino al rovesciamento di un completo numero di altri 24 regni. Solo a quel punto, dopo sei
anni di guerre, il paese si riposa. — Giosuè 10:16-25; 12:7-24.
14 Oggi, mentre ci avviciniamo alla guerra finale di Armaghedon, mostriamoci coraggiosi e forti come lo
furono Giosuè, i suoi uomini potenti e tutto l’immenso accampamento israelita. Possiamo esser certi che,
così come portò in salvo milioni di israeliti nella Terra Promessa, Geova potrà compiere altri imponenti
miracoli, consentendo a milioni di suoi intrepidi servitori di sopravvivere ad Armaghedon per entrare nel
suo nuovo sistema. — Rivelazione 7:1-3, 9, 14; 19:11-21; 21:1-5.
La nostra decisione
15 Sebbene fosse ormai prossimo alla novantina, Giosuè aveva un altro enorme compito da assolvere:
ripartire il paese fra le tribù di Israele. Questo non voleva dire che per gli israeliti la vita sarebbe stata
facile da allora in poi. Caleb, ad esempio, chiese di avere un territorio a Ebron, dove vivevano i
giganteschi anachim; voleva continuare a darsi da fare per stanare anche l’ultimo dei nemici di Geova.
Questo non significa che sulla terra, durante il Regno millenario di Cristo, ci saranno nemici umani. Ma ci
sarà del lavoro da fare. Nel nuovo sistema di cose, non dobbiamo aspettarci di vivere fra agi e mollezze.
Dopo aver ricevuto i rispettivi incarichi nella “nuova terra”, le “altre pecore” del Signore avranno molto da
fare nel colossale progetto volto ad abbellire la terra e a trasformarla in un Paradiso letterale. — Giosuè
14:6-15; Marco 10:29, 30; Romani 12:11.
16 Nel ripartire il paese, Giosuè dispose che sei città dei leviti fossero “città di rifugio”, tre da ciascun lato
del Giordano. Facevano parte del sistema predisposto da Geova per proteggere l’omicida involontario,
che poteva così fuggire a una di queste città. Egli doveva dimostrare di avere una coscienza pura davanti
a Dio, e lo faceva restando in quella città fino alla morte del sommo sacerdote. In maniera simile, a causa
dei loro precedenti contatti con questo mondo colpevole di spargimento di sangue, gli odierni componenti
della “grande folla” devono cercare di ottenere una buona coscienza presso Dio. Possono far questo
confessando i loro peccati, pentendosi, convertendosi, dedicandosi a Geova e battezzandosi in acqua.
Dopo ciò, devono conservare questa condizione. Alla “grande folla” è richiesto di restare nella “città” fino
a quando Gesù morirà simbolicamente rispetto alla sua opera di sommo sacerdote, al termine del Regno
millenario. — Giosuè 20:1-9; Rivelazione 20:4, 5; I Corinti 15:22, 25, 26.
17 Che meravigliose benedizioni Geova aveva riversato sul suo popolo Israele! Il viaggio era stato difficile
e le prove tante. Ma infine gli israeliti erano entrati nella Terra Promessa e vi si erano stabiliti. Come si
saranno sentiti riconoscenti verso Geova in cuor loro! Mostrandoci fedeli al nostro Dio, anche noi potremo
rallegrarci quando entreremo nel suo nuovo sistema che include la “nuova terra”. Come al tempo di
Giosuè, anche nel nostro caso si potrà dire: “Non una promessa venne meno di tutta la buona promessa
che Geova aveva fatta alla casa d’Israele; s’avverò tutta”. (Giosuè 21:45) Possiate felicemente farne
parte!
18 Infine, a 110 anni, Giosuè chiamò a sé gli anziani di Israele. Narrò loro in che modo meraviglioso
Geova aveva benedetto il suo popolo fedele dal tempo di Abraamo fino ad allora. Ora Geova disse loro:
“Così vi diedi un paese per cui non avevate faticato e città che non avevate edificate, e prendeste a
dimorarvi. Voi mangiate delle vigne e degli uliveti che non avete piantati”. Avendo essi ricevuto tante
cose, era sicuramente intenzione degli israeliti ‘temere Geova e servirlo senza difetto e in verità’ per
sempre. E, pensando all’imminente glorioso nuovo sistema di Geova per la terra, ognuno di noi dovrebbe
senz’altro nutrire un desiderio simile. — Giosuè 24:13, 14.
19 Poi Giosuè mise le cose in chiaro dinanzi al popolo: “Se è male agli occhi vostri servire Geova,
sceglietevi oggi chi servirete. . . . IN QUANTO A ME E ALLA MIA CASA, SERVIREMO GEOVA”.
Possono queste parole essere fatte proprie da ognuno di noi, dai nostri familiari credenti, dai componenti
della congregazione e dalla mondiale “casa di Dio”? Certamente! (Efesini 2:19) A quel tempo il popolo
rispose a Giosuè: “Serviremo Geova nostro Dio e ascolteremo la sua voce!” (Giosuè 24:15, 24) Ma, triste
a dirsi, in anni successivi essi vennero meno a questo riguardo. Noi non vogliamo imitare coloro che
vennero meno. Vogliamo imitare Giosuè e la sua famiglia, Caleb, i gabaoniti e Raab. Sì, “SERVIREMO
GEOVA”. Ci sia permesso di farlo con coraggio e con la completa fiducia che nulla “potrà separarci
dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore”. — Romani 8:39.

w93 15/11 14-15 Camminate con coraggio nelle vie di Geova


Coraggio di ‘seguire Geova pienamente’
13 I coraggiosi Giosuè e Caleb dimostrarono che si può camminare nelle vie di Dio. ‘Seguirono Geova
pienamente’. (Numeri 32:12) Giosuè e Caleb furono tra i 12 uomini mandati in ricognizione nella Terra
Promessa. Temendo gli abitanti, dieci di questi esploratori cercarono di dissuadere Israele dall’entrare in
Canaan. Invece Giosuè e Caleb dissero coraggiosamente: “Se Geova ha provato diletto in noi,
certamente ci introdurrà in quel paese e ce lo darà, un paese dove scorre latte e miele. Solo non vi
ribellate contro Geova; e voi, non temete il popolo del paese, poiché sono pane per noi. Il loro riparo si è
ritirato di sopra a loro, e Geova è con noi. Non li temete”. (Numeri 14:8, 9) Mancando di fede e di
coraggio, quella generazione di israeliti non entrò mai nella Terra Promessa. Ma Giosuè e Caleb, insieme
alla nuova generazione, vi entrarono.
14 Dio disse a Giosuè: “Sii coraggioso e molto forte per aver cura di fare secondo tutta la legge che Mosè
mio servitore ti ha comandato. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, affinché tu agisca con
saggezza dovunque tu vada. Questo libro della legge non si deve allontanare dalla tua bocca, e vi devi
leggere sottovoce giorno e notte, per aver cura di fare secondo tutto ciò che c’è scritto; poiché allora avrai
successo nella tua via e allora agirai con saggezza”. — Giosuè 1:7, 8.
15 Giosuè mise in pratica quelle parole, e Gerico e altre città caddero nelle mani degli israeliti. Dio fece
addirittura fermare il sole così che continuò a risplendere finché Israele non ebbe completato la sua
vittoria a Gabaon. (Giosuè 10:6-14) Quando si trovò in pericolo a causa di una coalizione di forze
nemiche ‘così numerose come i granelli di sabbia che sono sulla spiaggia del mare’, Giosuè agì
coraggiosamente e Dio diede ancora una volta la vittoria a Israele. (Giosuè 11:1-9) Anche se, come
Giosuè e Caleb, siamo uomini imperfetti, possiamo seguire Geova Dio pienamente, ed egli ci darà la
forza per camminare con coraggio nelle sue vie.

w95 15/12 13 "Fecero proprio così"


Giosuè, coraggioso e molto forte
10 Quando Mosè incaricò Giosuè di guidare Israele nel paese della promessa, probabilmente l’ispirata
Parola scritta di Geova consisteva solo dei cinque libri di Mosè, di un paio di salmi e del libro di Giobbe.
Mosè aveva dato istruzioni a Giosuè di congregare il popolo una volta raggiunta la Terra Promessa e di
‘leggere questa legge di fronte a tutto Israele perché la udisse’. (Deuteronomio 31:10-12) Per di più
Geova stesso comandò a Giosuè: “Questo libro della legge non si deve allontanare dalla tua bocca, e vi
devi leggere sottovoce giorno e notte, per aver cura di fare secondo tutto ciò che c’è scritto; poiché allora
avrai successo nella tua via e allora agirai con saggezza”. — Giosuè 1:8.
11 Leggendo ogni giorno il “libro” di Geova, Giosuè sarebbe stato pronto ad affrontare le prove che lo
attendevano, così come il fatto di leggere quotidianamente la Parola di Geova, la Bibbia, rafforza oggi i
Suoi moderni Testimoni permettendo loro di affrontare le prove di questi difficili “ultimi giorni”. (2 Timoteo
3:1) Circondati come siamo da un mondo violento, dobbiamo anche noi prendere a cuore l’esortazione
data a Giosuè: “Sii coraggioso e forte. Non provare spavento e non ti atterrire, poiché Geova tuo Dio è
con te dovunque tu vada”. (Giosuè 1:9) Dopo aver conquistato Canaan, le tribù di Israele furono
riccamente ricompensate allorché presero possesso della loro eredità. “Proprio come Geova aveva
comandato a Mosè, così fecero i figli d’Israele”. (Giosuè 14:5) Una ricompensa analoga attende tutti noi
che oggi leggiamo la Parola di Dio e la mettiamo ubbidientemente in pratica nella nostra vita, facendo
“proprio così”.

Giovanna — Tema: Servite premurosamente i santi di Dio EBREI 6:10

it-1 1141 Giovanna


GIOVANNA
[dall’ebr. Yehohchanàn, “Geova ha mostrato favore; Geova è stato benigno”].
Una delle donne che Gesù guarì da infermità e che poi diventarono sue seguaci e servivano lui e gli
apostoli con i loro averi. (Lu 8:1-3) Giovanna a quanto pare era fra le donne presenti quando Gesù venne
messo al palo. Avendo preparato aromi e olio da portare alla tomba, queste donne furono le prime a
scoprire che era stato risuscitato. Gli undici apostoli trovarono però difficile credere loro. (Lu 23:49, 55,
56; 24:1-11) Cuza, marito di Giovanna, era economo di Erode Antipa. — Lu 8:3.

w91 1/7 15 'Donne che faticano nel Signore'


5 Luca dice: “Poco dopo viaggiava di città in città e di villaggio in villaggio, predicando e dichiarando la
buona notizia del regno di Dio. E con lui c’erano i dodici, e certe donne che erano state guarite di spiriti
malvagi e malattie, Maria detta Maddalena, da cui erano usciti sette demoni, e Giovanna moglie di Cuza,
incaricato di Erode, e Susanna e molte altre donne, che li servivano con i loro averi”. (Luca 8:1-3) Gesù
accettava che queste donne lo seguissero e usassero i loro averi per soddisfare i bisogni materiali suoi e
dei suoi apostoli.

w85 15/8 6 Tutti gli uomini sono uguali: in che modo?


Anche se Gesù scelse dodici uomini come suoi apostoli, pure le donne beneficiavano della sua
compagnia. Queste erano molto attive, e di Maria Maddalena, Giovanna e Susanna si dice esplicitamente
che servivano Gesù. Alla Pentecoste del 33 E.V. anche le donne ricevettero i doni dello spirito santo.
Perciò erano in grado di parlare pubblicamente in lingue straniere e di rendere testimonianza alle verità
della loro fede cristiana. Le sorelle cristiane, tuttavia, non prendevano la direttiva nell’insegnare all’interno
delle congregazioni, ma partecipavano assieme ai fratelli alla predicazione pubblica della Parola di Dio.
— Luca 8:1-3; Atti 1:14; 2:17, 18; 18:26.

w71 15/3 184 Quelli che divennero discepoli di Gesù


Facciamo un gioco. Io dirò il nome di ciascun apostolo. E tu ripeti i nomi dopo di me:
(1) Pietro e (2) suo fratello Andrea, (3) Giacomo e (4) suo fratello Giovanni, (5) Filippo, (6) Bartolomeo,
(7) Matteo, (8) Tommaso, (9) Giacomo figlio di Alfeo, (10) Simone chiamato “lo zelante”, (11) Giuda figlio
di Giacomo e (12) Giuda Iscariota. Ma in seguito Giuda Iscariota divenne cattivo e si volse contro Gesù.
Paolo fu dunque scelto da Gesù perché fosse apostolo.
Quanti di questi nomi riesci a ricordare? Dimmi i nomi che conosci.
I soli discepoli di cui abbiamo parlato finora erano uomini. Significa questo che solo gli uomini potevano
essere discepoli di Gesù? No. Anche alcune donne divennero discepole. Alcune di esse viaggiavano con
Gesù quando andava a predicare. C’erano Maria Maddalena, Giovanna, Susanna e altre. Più avanti la
Bibbia parla di una famiglia in cui quattro figlie erano impegnate a parlare ad altri di Dio. Che famiglia
felice doveva essere!

Giovanni (n. 1) — Tema: Compite con zelo il vostro ministero TITO 2:14

it-1 1141-3 Giovanni


GIOVANNI
[dall’ebr. Yehohchanàn, “Geova ha mostrato favore; Geova è stato benigno”].
1. Giovanni il Battezzatore, figlio di Zaccaria e di Elisabetta; precursore di Gesù. I genitori di Giovanni
erano entrambi della famiglia sacerdotale di Aaronne. Zaccaria era un sacerdote della divisione di Abia.
— Lu 1:5, 6.
Nascita miracolosa. Nel 3 a.E.V., durante il periodo in cui prestava servizio la divisione di Abia, venne
per Zaccaria il turno di offrire incenso nel santuario, un raro privilegio. Mentre era davanti all’altare
dell’incenso, gli apparve l’angelo Gabriele, il quale gli annunciò che avrebbe avuto un figlio, a cui si
doveva dare nome Giovanni. Questo figlio doveva essere nazireo per tutta la vita, come Sansone.
Sarebbe stato grande al cospetto di Geova e sarebbe andato davanti a Lui “per preparare a Geova un
popolo ben disposto”. La nascita di Giovanni sarebbe stata un miracolo di Dio, poiché sia Zaccaria che
Elisabetta erano avanti negli anni. — Lu 1:7-17.
Quando era incinta di sei mesi, Elisabetta ricevette la visita di Maria sua parente, allora incinta per opera
dello spirito santo. Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il nascituro le saltò in grembo ed essa, piena
di spirito santo, riconobbe quale suo “Signore” il bambino che sarebbe nato a Maria. — Lu 1:26, 36, 39-
45.
Quando nacque il bambino di Elisabetta, vicini e parenti volevano chiamarlo come il padre, ma Elisabetta
disse: “No, davvero, ma si chiamerà Giovanni”. Allora venne chiesto al padre quale nome voleva dare al
bambino. Come aveva detto l’angelo, Zaccaria non era stato più in grado di parlare da quando aveva
ricevuto l’annuncio, perciò scrisse su una tavoletta: “Il suo nome è Giovanni”. In quel momento la bocca
di Zaccaria si aprì ed egli riprese a parlare. Allora tutti riconobbero che la mano di Geova era sul
bambino. — Lu 1:18-20, 57-66.
Inizio del suo ministero. Giovanni trascorse i primi anni della sua vita fra le colline della Giudea, dove
abitavano i suoi genitori. Egli “cresceva e si fortificava nello spirito, e rimase nei deserti fino al giorno in
cui si mostrò apertamente a Israele”. (Lu 1:39, 80) Secondo Luca, Giovanni iniziò il suo ministero nel 15°
anno del regno di Tiberio Cesare, quando aveva circa 30 anni. Anche se non si ha notizia che Giovanni
abbia svolto mansioni sacerdotali nel tempio, quella era l’età in cui i sacerdoti prendevano servizio. (Nu
4:2, 3) Augusto morì il 17 agosto del 14 E.V., e Tiberio fu acclamato imperatore dal senato romano il 15
settembre; quindi il suo 15° anno andava dall’ultim a parte del 28 E.V. all’agosto o settembre del 29 E.V.
Poiché Gesù (anche lui all’età di circa 30 anni) si presentò per essere battezzato nell’autunno, Giovanni,
maggiore di sei mesi, doveva avere iniziato il suo ministero nella primavera del 29 E.V. — Lu 3:1-3, 23.
Giovanni cominciò a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: “Pentitevi, poiché il regno dei cieli si è
avvicinato”. (Mt 3:1, 2) Indossava un abito di pelo di cammello con una cintura di cuoio ai fianchi, simile
alla veste del profeta Elia. Si nutriva di locuste e miele selvatico. (2Re 1:8; Mt 3:4; Mr 1:6) Siccome
Giovanni era un insegnante, i suoi discepoli lo chiamavano “Rabbi”. — Gv 3:26.
Scopo della sua opera. Giovanni predicava un battesimo per il perdono dei peccati a coloro che si
pentivano, limitandosi a battezzare ebrei e proseliti. (Mr 1:1-5; At 13:24) L’invio di Giovanni fu una
dimostrazione dell’amorevole benignità di Dio verso gli ebrei. Essi erano in una relazione di patto con
Geova, ma erano colpevoli di peccati commessi contro il patto della Legge. Giovanni faceva loro notare
che avevano infranto il patto, ed esortava quelli di cuore sincero a pentirsi. Il loro battesimo in acqua
simboleggiava tale pentimento. Quindi erano pronti per riconoscere il Messia. (At 19:4) Persone di ogni
genere andavano da Giovanni per essere battezzate, perfino meretrici ed esattori di tasse. (Mt 21:32)
Venivano al battesimo anche farisei e sadducei, ai quali Giovanni rivolse un severo messaggio di
denuncia e parlò del giudizio ormai vicino. Non li risparmiò, anzi li chiamò “progenie di vipere” e fece
notare che non serviva a nulla confidare nella discendenza carnale da Abraamo. — Mt 3:7-12.
A coloro che venivano da lui, Giovanni insegnò che dovevano essere generosi e non rendersi colpevoli di
estorsione, che dovevano accontentarsi di quello che avevano e non maltrattare nessuno. (Lu 3:10-14) Ai
suoi discepoli battezzati insegnò anche a pregare Dio. (Lu 11:1) In quel tempo “il popolo era in
aspettazione e tutti ragionavano in cuor loro di Giovanni: ‘Che sia lui il Cristo?’” Giovanni negò di esserlo,
e dichiarò che Colui che l’avrebbe seguito sarebbe stato molto più grande. (Lu 3:15-17) Quando i
sacerdoti e i leviti andarono da lui a Betania oltre il Giordano chiedendo se era Elia o “Il Profeta”, rispose
che non lo era. — Gv 1:19-28.
Anche se non fece miracoli come Elia (Gv 10:40-42), Giovanni venne ugualmente con lo spirito e la
potenza di Elia. Compì un’opera poderosa volgendo “i cuori dei padri ai figli e i disubbidienti alla
saggezza dei giusti”. Adempì lo scopo per cui era stato mandato: “preparare a Geova un popolo ben
disposto”. Fece indubbiamente “tornare molti dei figli d’Israele a Geova loro Dio”. (Lu 1:16, 17) Fu il
precursore del rappresentante di Geova, Gesù Cristo.
Presenta “l’Agnello di Dio”. Nell’autunno del 29 E.V. Gesù andò da Giovanni per essere battezzato.
Dapprima Giovanni obiettò, riconoscendo il proprio stato peccaminoso e quello giusto di Gesù. Ma Gesù
insisté. Dio aveva promesso a Giovanni un segno affinché potesse identificare il Figlio Suo. (Mt 3:13; Mr
1:9; Lu 3:21; Gv 1:33) Quando Gesù fu battezzato il segno si concretò: Giovanni vide lo spirito di Dio
scendere su Gesù e udì la voce stessa di Dio dichiarare che Gesù era Suo Figlio. Evidentemente nessun
altro era presente al battesimo di Gesù. — Mt 3:16, 17; Mr 1:9-11; Gv 1:32-34; 5:31, 37.
Dopo il battesimo Gesù si ritirò nel deserto per circa 40 giorni. Quando Gesù ritornò, Giovanni lo additò ai
propri discepoli come “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. (Gv 1:29) L’indomani Andrea e un
altro discepolo, probabilmente Giovanni figlio di Zebedeo, furono presentati al Figlio di Dio. (Gv 1:35-40)
Così Giovanni il Battezzatore, quale fedele “portiere” dell’ovile d’Israele, cominciò a cedere i suoi
discepoli al “pastore eccellente”. — Gv 10:1-3, 11.
Mentre i discepoli di Gesù battezzavano in Giudea, Giovanni battezzava a Enon presso Salim. (Gv 3:22-
24) Quando gli giunse notizia che Gesù faceva molti discepoli, Giovanni non ne fu geloso, anzi rispose:
“Questa mia gioia è stata perciò resa piena. Egli deve continuare a crescere, ma io devo continuare a
diminuire”. — Gv 3:26-30.
Ultimi giorni del suo ministero. Le parole di Giovanni si dimostrarono vere. Dopo un anno o più di attivo
ministero, Giovanni venne messo a tacere. Erode Antipa lo gettò in prigione perché gli aveva
rimproverato la relazione adulterina con Erodiade, portata via al fratello Filippo. Antipa, che professandosi
proselito avrebbe dovuto rispettare la Legge, aveva paura di Giovanni, sapendo che era un uomo giusto.
— Mr 6:17-20; Lu 3:19, 20.
Mentre era in prigione Giovanni sentì che Gesù aveva compiuto opere potenti, fra cui la risurrezione del
figlio di una vedova a Nain. Desiderando averne conferma da Gesù stesso, mandò due suoi discepoli a
chiedergli: “Sei tu Colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?” Gesù non rispose direttamente, ma in
presenza dei discepoli di Giovanni compì molte guarigioni, scacciando anche demoni. Quindi disse ai
discepoli di riferire che ciechi, sordi, zoppi, ecc. erano sanati, e che la buona notizia era predicata. Così
non solo a parole, ma mediante la testimonianza delle opere di Gesù, Giovanni fu confortato e
rassicurato che Gesù era davvero il Messia (Cristo). (Mt 11:2-6; Lu 7:18-23) Dopo che i messaggeri di
Giovanni erano andati via, Gesù rivelò alle folle che Giovanni era più di un profeta: era colui di cui aveva
scritto Malachia, profeta di Geova. Inoltre applicò a Giovanni la profezia di Isaia 40:3, come aveva fatto
Zaccaria padre di Giovanni. — Mal 3:1; Mt 11:7-10; Lu 1:67, 76; 7:24-27.
Gesù Cristo spiegò ai discepoli che la venuta di Giovanni era un adempimento della profezia di Malachia
4:5, 6, secondo la quale Dio avrebbe mandato Elia il profeta prima del grande e tremendo giorno di
Geova. Tuttavia, per quanto Giovanni fosse grande (“Fra i nati di donna non è stato suscitato uno
maggiore di Giovanni il Battista”), non avrebbe fatto parte della classe della “sposa” che sarebbe stata
con Cristo nel suo Regno celeste (Ri 21:9-11; 22:3-5), poiché Gesù disse: “Il minore nel regno dei cieli è
maggiore di lui”. (Mt 11:11-15; 17:10-13; Lu 7:28-30) Inoltre Gesù difese indirettamente Giovanni
dall’accusa di essere indemoniato. — Mt 11:16-19; Lu 7:31-35.
Qualche tempo dopo, Erodiade sfogò il rancore che provava nei confronti di Giovanni. Durante la
celebrazione del compleanno di Erode, la figlia di Erodiade deliziò Erode con la sua danza ed egli giurò
che le avrebbe dato qualunque cosa avesse chiesto. Istigata dalla madre, essa chiese la testa di
Giovanni. Erode, per riguardo verso il giuramento e verso i presenti, accolse la richiesta. Giovanni fu
decapitato in prigione e la sua testa presentata su un vassoio alla ragazza, che la portò alla madre. I
discepoli di Giovanni andarono poi a prenderne il corpo e lo seppellirono, riferendo la cosa a Gesù. — Mt
14:1-12; Mr 6:21-29.
Dopo la morte di Giovanni, Erode, udito che Gesù predicava, guariva e scacciava demoni, si spaventò,
temendo che in realtà fosse Giovanni risuscitato dai morti. Da allora in poi desiderò moltissimo vedere
Gesù, non per sentirlo predicare, ma perché non era sicuro di questa conclusione. — Mt 14:1, 2; Mr 6:14-
16; Lu 9:7-9.
Fine del battesimo di Giovanni. Il battesimo di Giovanni continuò fino al giorno di Pentecoste del 33
E.V., quando fu versato lo spirito santo. Da quel momento si predicò il battesimo “nel nome del Padre e
del Figlio e dello spirito santo”. (Mt 28:19; At 2:21, 38) Quelli che in seguito vennero battezzati con il
battesimo di Giovanni dovettero essere ribattezzati nel nome del Signore Gesù per poter ricevere lo
spirito santo. — At 19:1-7.

w90 15/3 24 Gemme dal Vangelo di Giovanni


Umiltà e gioia
Il Vangelo di Giovanni presenta Gesù come la Parola e l’Agnello che espia il peccato e fa riferimento a
miracoli che dimostrano che Egli è “il Santo di Dio”. (1:1–9:41) Fra l’altro, il racconto sottolinea l’umiltà e
la gioia di Giovanni il Battezzatore. Egli era il precursore di Cristo, ma disse: “Non sono degno di
sciogliere il legaccio del [suo] sandalo”. (1:27) I sandali erano legati per mezzo di cinturini di cuoio o lacci.
A volte uno schiavo scioglieva i lacci dei sandali di qualcuno e portava questi ultimi per lui, trattandosi di
un compito umile. Giovanni il Battezzatore mostrò in tal modo di essere umile e di capire quanto era
insignificante in paragone col suo Maestro. Questa è un’ottima lezione, poiché solo gli umili sono adatti
per servire Geova e il suo Re messianico! — Salmo 138:6; Proverbi 21:4.
Anziché essere orgoglioso e provare risentimento verso Gesù, Giovanni il Battezzatore disse: “L’amico
dello sposo, quando sta ad ascoltarlo, prova molta gioia a motivo della voce dello sposo. Questa mia
gioia è stata perciò resa piena”. (3:29) In qualità di rappresentante dello sposo, l’amico dello sposo
conduceva le trattative per il matrimonio, talvolta organizzando lo sposalizio e consegnando i doni alla
sposa e il prezzo della sposa al padre di lei. Questo incaricato aveva motivo di rallegrarsi quando il suo
dovere era compiuto. Analogamente Giovanni si rallegrò nell’unire Gesù ai primi componenti della Sua
sposa. (Rivelazione 21:2, 9) Come i servizi dell’amico dello sposo duravano solo per un periodo limitato,
così l’opera di Giovanni ebbe presto fine. Egli continuò a diminuire mentre Gesù continuò a crescere. —
Giovanni 3:30.

w95 15/5 29-31 Il precursore del Messia


Il precursore del Messia
UNA larga cintura di cuoio dava ancor più risalto all’abbronzatura della sua pelle. Col suo vestito di pelo
di cammello, sembrava davvero un profeta. Molti, affascinati, andavano al fiume Giordano, dove egli
dichiarava intrepidamente di essere pronto a battezzare i peccatori pentiti.
La gente era stupita! Chi era quell’uomo? Quali erano le sue intenzioni?
Gesù Cristo disse di lui: “Perché siete andati? Per vedere un profeta? Sì, vi dico, e assai più che un
profeta. . . . Fra i nati di donna non è stato suscitato uno maggiore di Giovanni il Battista”. (Matteo 11:9-
11) Perché Giovanni era un uomo così eccezionale? Perché era il precursore del Messia.
Predetta la sua missione
Più di 700 anni prima della sua nascita, Geova annunciò che Giovanni avrebbe gridato nel deserto:
“Preparate la via di Geova! Rendete diritta attraverso la pianura desertica la strada maestra per il nostro
Dio”. (Isaia 40:3; Matteo 3:3) Oltre 400 anni prima che Giovanni nascesse, l’Iddio Onnipotente aveva
dichiarato: “Ecco, vi mando Elia il profeta prima che venga il grande e tremendo giorno di Geova”.
(Malachia 4:5) Il fatto che Giovanni il Battezzatore fosse nato circa sei mesi prima di Gesù non era una
semplice coincidenza, né era dovuto solo a fattori naturali. Come la nascita di Isacco, promesso figlio di
Abraamo, la nascita di Giovanni era stata un miracolo, perché entrambi i suoi genitori, Zaccaria ed
Elisabetta, avevano oltrepassato l’età feconda. — Luca 1:18.
Ancor prima che Giovanni venisse concepito, il suo incarico, la sua opera e il suo modo di vivere erano
stati rivelati dall’angelo Gabriele. Con il vigore e lo spirito di Elia, Giovanni avrebbe fatto tornare molti
disubbidienti dalla via della morte e li avrebbe preparati ad accettare il Messia, Gesù. Fin dalla nascita
Giovanni doveva essere nazireo, interamente dedicato a Dio, e non avrebbe dovuto toccare né vino né
bevanda inebriante. In realtà il suo cibo nel deserto consisteva di “locuste e miele selvatico”. (Marco 1:6;
Numeri 6:2, 3; Luca 1:13-17) Come Samuele, dall’infanzia Giovanni fu riservato al glorioso servizio
dell’Iddio Altissimo. — 1 Samuele 1:11, 24-28.
Il nome stesso Giovanni fu scelto da Dio. In ebraico il nome tradotto “Giovanni” significa “Geova ha
mostrato favore; Geova è stato benigno”.
L’ottavo giorno, quando il bambino fu circonciso, il padre Zaccaria fu spinto a dichiarare sotto ispirazione:
“In quanto a te, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, poiché andrai dinanzi a Geova per
preparare le sue vie, per dare al suo popolo conoscenza della salvezza mediante il perdono dei loro
peccati, a motivo della tenera compassione del nostro Dio. Con questa compassione un’alba ci visiterà
dall’alto”. (Luca 1:76-78) Il ministero pubblico doveva avere un ruolo di primo piano nella vita di Giovanni.
In confronto ad esso, tutte le altre cose sarebbero passate in secondo piano. Per questo le Scritture
riassumono i primi 30 anni della vita di Giovanni in un unico versetto: “Il bambino cresceva e si fortificava
nello spirito, e rimase nei deserti fino al giorno in cui si mostrò apertamente a Israele”. — Luca 1:80.
Voce nel deserto
Nel 15° anno del regno di Tiberio Cesare, quando Po nzio Pilato era governatore della Giudea, Giovanni il
Battezzatore si presentò nel deserto dichiarando il suo elettrizzante messaggio: “Pentitevi, poiché il regno
dei cieli si è avvicinato”. (Matteo 3:2; Marco 1:4; Luca 3:1, 2) La popolazione dell’intera regione ne fu
scossa. Quell’intrepida dichiarazione toccò il cuore di coloro che desideravano ardentemente avere una
speranza sicura. L’annuncio di Giovanni metteva alla prova anche l’umiltà delle persone, perché
richiedeva pentimento di cuore. La sua sincerità e la sua convinzione spinsero moltitudini di persone
oneste e sincere a considerarlo un uomo mandato da Dio.
La fama di Giovanni si diffuse come la luce allo spuntare di un nuovo giorno. In qualità di profeta di
Geova, era facilmente riconoscibile per il suo abbigliamento e la sua devozione. (Marco 1:6) Persino
sacerdoti e leviti venivano da Gerusalemme per scoprire cosa ci fosse dietro tutto quell’interesse.
Pentirsi? Perché, e di che cosa? Chi è quest’uomo? Volevano saperlo. Giovanni spiegò: “‘Non sono io il
Cristo’. Ed essi gli chiesero: ‘Che cosa, dunque? Sei Elia?’ E disse: ‘Non lo sono’. ‘Sei Il Profeta?’ Ed egli
rispose: ‘No!’ Perciò gli dissero: ‘Chi sei? affinché diamo una risposta a quelli che ci hanno mandato. Che
dici di te stesso?’ Egli disse: ‘Sono la voce di qualcuno che grida nel deserto: “Rendete diritta la via di
Geova”, come ha detto il profeta Isaia’. Ora quelli che erano stati mandati venivano da parte dei farisei. E
lo interrogarono, dicendogli: ‘Perché dunque battezzi se tu stesso non sei il Cristo né Elia né Il Profeta?’”
— Giovanni 1:20-25.
Pentimento e battesimo erano passi necessari per coloro che volevano entrare nel Regno. Perciò
Giovanni replicò: ‘Io battezzo i peccatori che si pentono con acqua, ma dopo di me qualcuno più forte vi
battezzerà con spirito santo e con fuoco. Io non sono nemmeno degno di sciogliergli il legaccio dei
sandali. E state attenti! Ha in mano una pala per ventilare e raccoglierà il grano nel suo deposito, ma
arderà la pula distruggendola’. (Luca 3:15-17; Atti 1:5) In effetti sui seguaci del Messia sarebbe stato
versato spirito santo, ma sui suoi nemici si sarebbe abbattuto il fuoco della distruzione.

“Persone di ogni sorta” vengono avvertite


Molti ebrei sinceri furono profondamente colpiti dalle parole di Giovanni e confessarono apertamente i
loro peccati di infedeltà nei confronti del patto della Legge. Dimostrarono pubblicamente il loro pentimento
facendosi battezzare da Giovanni nel Giordano. (Matteo 3:5, 6) Come risultato il loro cuore era nella
condizione giusta per ricevere il Messia. Soddisfacendo il loro desiderio di conoscenza delle giuste norme
di Dio, Giovanni li istruì lietamente quali suoi discepoli, insegnando loro persino a pregare. — Luca 11:1.
Riguardo al precursore del Messia, l’apostolo Giovanni scrisse: “Quest’uomo venne per una
testimonianza, per rendere testimonianza riguardo alla luce, affinché persone di ogni sorta credessero
per mezzo di lui”. (Giovanni 1:7) Fu così che persone di ogni sorta andavano da Giovanni il Battezzatore
mentre ‘predicava pubblicamente a tutto il popolo d’Israele il battesimo in simbolo di pentimento’. (Atti
13:24) Avvertiva gli esattori di tasse di non estorcere denaro. Esortava i soldati a non angariare e a non
accusare falsamente nessuno. E diceva agli ipocriti farisei e sadducei dall’aria pia: “Progenie di vipere,
chi vi ha mostrato come sfuggire all’ira avvenire? Producete dunque frutto degno di pentimento; e non
presumete di dire a voi stessi: ‘Per padre abbiamo Abraamo’. Poiché vi dico che Dio può suscitare figli ad
Abraamo da queste pietre”. — Matteo 3:7-9; Luca 3:7-14.
Come classe i capi religiosi dei giorni di Giovanni rifiutarono di credere in lui e lo accusarono di essere
indemoniato. Rigettarono la via della giustizia che conduce alla vita eterna. Invece peccatori come gli
esattori di tasse e le meretrici che credettero alla testimonianza di Giovanni si pentirono e furono
battezzati. A tempo debito accettarono Gesù Cristo come Messia. — Matteo 21:25-32; Luca 7:31-33.
Presentato il Messia
Per sei mesi — dalla primavera all’autunno del 29 E.V. — Giovanni, quale fedele testimone di Dio,
richiamò l’attenzione degli ebrei sul Messia che stava per venire. Era giunto il tempo che facesse la sua
comparsa il Re messianico. Ma quando questi arrivò, scese fino a quelle stesse acque del Giordano e
chiese di essere battezzato. Dapprima Giovanni protestò, ma poi accondiscese. Immaginate la sua gioia
quando lo spirito santo scese su Gesù e si udì la voce di Geova che diceva di aver approvato suo Figlio!
— Matteo 3:13-17; Marco 1:9-11.
Giovanni fu il primo a riconoscere Gesù come Messia, l’Unto, e lo presentò ai propri discepoli. “Ecco”,
disse Giovanni, “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!” E dichiarò: “Questi è colui del quale ho
detto: Dopo di me viene un uomo che è andato davanti a me, perché esisteva prima di me. Nemmeno io
lo conoscevo, ma la ragione per cui sono venuto a battezzare in acqua è perché egli fosse reso
manifesto a Israele”. — Giovanni 1:29-37.
L’opera di Giovanni proseguì parallelamente al ministero di Gesù per circa sei mesi. Ciascuno comprese
l’opera che l’altro stava compiendo. Giovanni si considerava l’amico dello Sposo e si rallegrava vedendo
l’opera di Cristo crescere mentre la propria diminuiva. — Giovanni 3:22-30.
Gesù identificò Giovanni come il suo precursore, prefigurato da Elia. (Matteo 11:12-15; 17:12) Una volta
Gesù disse: “La Legge e i Profeti sono stati fino a Giovanni. Da allora in poi il regno di Dio è dichiarato
come buona notizia, e ogni sorta di persona si spinge verso di esso”. — Luca 16:16.
Fedele sino alla fine
Giovanni fu arrestato e imprigionato per aver dichiarato intrepidamente la verità. Non si era trattenuto
nemmeno dallo smascherare il peccato del re Erode. Violando la legge di Dio, il re viveva in adulterio con
Erodiade, moglie di suo fratello. Giovanni parlò in modo esplicito affinché il re potesse pentirsi e valersi
della misericordia di Dio.
Giovanni fu un vero esempio di fede e di amore. A prezzo della propria libertà dimostrò la sua fedeltà a
Geova Dio e il suo amore per gli esseri umani. Dopo un anno di detenzione, fu decapitato a seguito di un
piano diabolico escogitato dalla perfida Erodiade, che “nutriva rancore contro di lui”. (Marco 6:16-19;
Matteo 14:3-12) Ma il precursore del Messia mantenne la propria integrità verso Geova e presto sarà
risuscitato dai morti e otterrà la vita nel giusto nuovo mondo di Dio. — Giovanni 5:28, 29; 2 Pietro 3:13.

Giovanni (n. 3) — Tema: Siate leali a Dio e amate i fratelli SALMO 18:25; 1°GIOVANNI 4:11

it-1 1143 Giovanni


GIOVANNI
[dall’ebr. Yehohchanàn, “Geova ha mostrato favore; Geova è stato benigno”].
3. L’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo e di Salome (cfr. Mt 27:55, 56; Mr 15:40) e fratello dell’apostolo
Giacomo. Poiché questi di solito viene nominato per primo quando sono menzionati entrambi, Giovanni
probabilmente era il minore. (Mt 10:2; Mr 3:14, 16, 17; Lu 6:14; 8:51; 9:28; At 1:13) Zebedeo aveva
sposato Salome della casa di Davide, forse sorella carnale di Maria madre di Gesù.
Situazione familiare. Sembra che la famiglia di Giovanni fosse piuttosto benestante. Suo padre Zebedeo
aveva uomini salariati nella sua impresa di pesca, di cui era socio insieme a Simone. (Mr 1:19, 20; Lu 5:9,
10) Salome moglie di Zebedeo era una delle donne che accompagnavano e servivano Gesù quando era
in Galilea (cfr. Mt 27:55, 56; Mr 15:40, 41), e provvide anche a portare aromi per preparare il corpo di
Gesù per la sepoltura. (Mr 16:1) Giovanni evidentemente aveva casa propria. — Gv 19:26, 27.
Zebedeo e Salome erano ebrei fedeli, ed è evidente che avevano allevato Giovanni nell’insegnamento
delle Scritture. Generalmente si ritiene che egli fosse il discepolo di Giovanni il Battezzatore che era
insieme ad Andrea quando Giovanni annunciò: “Ecco l’Agnello di Dio!” Il fatto che abbia riconosciuto
prontamente che Gesù era il Cristo rivela che conosceva le Scritture Ebraiche. (Gv 1:35, 36, 40-42)
Anche se non viene mai detto che Zebedeo fosse diventato discepolo di Giovanni il Battezzatore o di
Cristo, sembra che non si opponesse al fatto che i suoi due figli diventassero predicatori a tempo pieno
insieme a Gesù.
Giovanni e Pietro furono considerati “uomini illetterati e comuni” dalle autorità ebraiche davanti alle quali
furono portati. Questo però non voleva dire che non avessero alcuna istruzione o che non fossero in
grado di leggere e scrivere, ma piuttosto che non avevano frequentato le scuole rabbiniche. Anzi viene
dichiarato che le autorità “riconoscevano a loro riguardo che erano stati con Gesù”. — At 4:13.
Diventa discepolo di Cristo. Dopo essere stato presentato a Gesù Cristo nell’autunno del 29 E.V.,
Giovanni senza dubbio lo seguì in Galilea e fu testimone oculare del Suo primo miracolo, quello compiuto
a Cana. (Gv 2:1-11) Può darsi che abbia accompagnato Gesù dalla Galilea a Gerusalemme, e anche al
suo ritorno in Galilea passando per la Samaria; infatti la vivacità della sua narrazione fa pensare che sia
dovuta alla penna di un testimone oculare, anche se la Bibbia non lo dice. (Gv 2–5) Ad ogni modo, dopo
aver conosciuto Gesù, Giovanni per qualche tempo non lasciò la sua impresa di pesca. L’anno dopo,
Gesù camminava lungo il Mar di Galilea mentre Giacomo e Giovanni stavano riparando le reti nella barca
insieme al loro padre Zebedeo. Gesù li invitò a diventare “pescatori di uomini” a tempo pieno, e Luca ci
informa che “riportarono le barche a terra e, abbandonato tutto, lo seguirono”. (Mt 4:18-22; Lu 5:10, 11;
Mr 1:19, 20) In seguito furono scelti per essere apostoli del Signore Gesù Cristo. — Mt 10:2-4.
Giovanni fu uno dei tre più intimi compagni di Gesù. Pietro, Giacomo e Giovanni salirono sul monte della
trasfigurazione. (Mt 17:1, 2; Mr 9:2; Lu 9:28, 29) Fra gli apostoli solo loro poterono entrare in casa di Iairo
insieme a Gesù. (Mr 5:37; Lu 8:51) Solo loro ebbero il privilegio di addentrarsi ulteriormente con Gesù nel
giardino di Getsemani la notte del suo tradimento, anche se allora non compresero pienamente il
significato della circostanza e per tre volte caddero addormentati e furono risvegliati da Gesù. (Mt 26:37,
40-45; Mr 14:33, 37-41) Giovanni prese posto vicino a Gesù durante la sua ultima Pasqua e l’istituzione
del Pasto Serale del Signore. (Gv 13:23) E fu il discepolo al quale Gesù, in punto di morte, diede il
grande onore di prendersi cura di sua madre. — Gv 21:7, 20; 19:26, 27.
Riconoscibile nel suo Vangelo. Nel suo Vangelo Giovanni non si identifica mai per nome, ma si
definisce uno dei figli di Zebedeo o il discepolo che Gesù amava. Quando parla di Giovanni il
Battezzatore, a differenza degli altri scrittori dei Vangeli, lo chiama solo “Giovanni”. Questo sarebbe
naturale da parte di un omonimo, poiché nessuno avrebbe frainteso di chi stava parlando. Altri avrebbero
usato un soprannome, un titolo o qualche termine descrittivo per far capire di chi parlavano, come fa
Giovanni stesso quando parla di una delle donne di nome Maria. — Gv 11:1, 2; 19:25; 20:1.
Considerando gli scritti di Giovanni sotto questa luce, è evidente che lui stesso era l’innominato
compagno di Andrea a cui Giovanni il Battezzatore presentò Gesù Cristo. (Gv 1:35-40) Dopo la
risurrezione di Gesù, Giovanni superò Pietro mentre correvano alla tomba per verificare la notizia che
Gesù era risorto. (Gv 20:2-8) Ebbe il privilegio di vedere il risuscitato Gesù quella sera stessa (Gv 20:19;
Lu 24:36) e di nuovo la settimana dopo. (Gv 20:26) Fu uno dei sette che erano andati nuovamente a
pescare e ai quali apparve Gesù. (Gv 21:1-14) Giovanni era anche presente presso il monte della Galilea
dopo che Gesù era risorto dai morti, e udì personalmente il comando: “Fate discepoli di persone di tutte
le nazioni”. — Mt 28:16-20.
Avvenimenti successivi. Dopo l’ascensione di Gesù, Giovanni era a Gerusalemme fra i circa 120
discepoli radunati quando Mattia fu scelto a sorte e incluso fra gli altri undici apostoli. (At 1:12-26) Era
presente quando venne versato lo spirito il giorno di Pentecoste e vide 3.000 aggiungersi quel giorno alla
congregazione. (At 2:1-13, 41) Egli, insieme a Pietro, affermò davanti alle autorità ebraiche il principio
seguito dalla congregazione del popolo di Dio: “Se è giusto dinanzi a Dio ascoltare voi anziché Dio,
giudicatelo voi stessi. Ma in quanto a noi, non possiamo smettere di parlare delle cose che abbiamo visto
e udito”. (At 4:19, 20) Un’altra volta si unì agli altri apostoli nel dire al sinedrio: “Dobbiamo ubbidire a Dio
come governante anziché agli uomini”. — At 5:27-32.
Dopo che gli ebrei infuriati ebbero messo a morte Stefano, ci fu una grande persecuzione contro la
congregazione di Gerusalemme e i discepoli furono dispersi. Ma Giovanni, con gli altri apostoli, rimase a
Gerusalemme. Quando la predicazione del missionario Filippo a Samaria indusse molti ad accettare la
parola di Dio, il corpo direttivo mandò Pietro e Giovanni ad aiutare quei nuovi discepoli onde ricevessero
lo spirito santo. (At 8:1-5, 14-17) Paolo disse che a Gerusalemme Giovanni era tra “quelli che
sembravano essere colonne” della congregazione. Giovanni, in qualità di membro del corpo direttivo,
diede a Paolo e Barnaba “la destra di comune partecipazione” quando vennero mandati in missione a
predicare alle nazioni (gentili). (Gal 2:9) Verso il 49 E.V. Giovanni era presente alla riunione del corpo
direttivo in cui fu discusso il problema della circoncisione dei convertiti gentili. — At 15:5, 6, 28, 29.
Mentre era ancora sulla terra, Gesù Cristo aveva detto che Giovanni sarebbe sopravvissuto agli altri
apostoli. (Gv 21:20-22) E in effetti Giovanni servì fedelmente Geova per circa 70 anni. Verso la fine della
sua vita venne esiliato nell’isola di Patmos “per aver parlato di Dio e aver reso testimonianza a Gesù”. (Ri
1:9) Questo dimostra che era molto attivo nel predicare la buona notizia, anche in tarda età (verso il 96
E.V.).
A Patmos Giovanni ebbe la meravigliosa visione di Rivelazione, che mise fedelmente per iscritto. (Ri 1:1,
2) Generalmente si ritiene che sia stato esiliato dall’imperatore Domiziano e rilasciato dal suo
successore, l’imperatore Nerva (96-98 E.V.). Secondo la tradizione andò poi a Efeso dove, verso il 98
E.V., scrisse il suo Vangelo e le tre lettere chiamate Prima, Seconda e Terza di Giovanni. La tradizione
vuole che sia morto a Efeso verso il 100 E.V. all’epoca dell’imperatore Traiano.
La sua personalità. Gli studiosi hanno in genere concluso che Giovanni fosse una persona poco attiva,
sentimentale e introversa, come dice un commentatore: “Giovanni, con la sua mente contemplativa,
nobile, idealistica, visse come un angelo”. (J. P. Lange, Theologisch-homiletisches Bibelwerk, Das
Evangelium nach Johannes, 1859, p. 4) Essi basano la loro valutazione della personalità di Giovanni sul
fatto che egli parla così tanto di amore, e che negli Atti degli Apostoli non sembra avere una parte così
importante come Pietro e Paolo. Inoltre fanno notare che Giovanni sembra lasciasse a Pietro l’iniziativa
nel parlare quando erano insieme.
È vero che quando Pietro e Giovanni erano insieme Pietro era sempre il primo a parlare. Ma la Bibbia
non dice che Giovanni stesse in silenzio. Di fronte ai governanti e agli anziani sia Pietro che Giovanni
parlarono senza timore. (At 4:13, 19) Inoltre Giovanni parlò intrepidamente davanti al sinedrio come gli
altri apostoli, anche se solo Pietro viene menzionato per nome. (At 5:29) E in quanto a essere un tipo
attivo ed energico, non superò Pietro nell’ansia di raggiungere la tomba di Gesù? — Gv 20:2-8.
All’inizio del loro ministero quali apostoli, Gesù diede il soprannome di Boanerges (Figli del Tuono) a
Giovanni e a suo fratello Giacomo. (Mr 3:17) Questo certo non denota debole sentimentalismo o
mancanza di vigore, ma piuttosto una personalità dinamica. Quando un villaggio samaritano rifiutò di
accogliere Gesù, questi “Figli del Tuono” avrebbero voluto invocare fuoco dal cielo per annientarne gli
abitanti. In precedenza Giovanni aveva cercato di impedire a un uomo di espellere demoni nel nome di
Gesù. In entrambi i casi Gesù impartì riprensione e correzione. — Lu 9:49-56.
In quelle occasioni i due fratelli erano in errore e mancavano totalmente dell’equilibrio e dello spirito
misericordioso e amorevole che acquistarono in seguito. Tuttavia manifestarono uno spirito di lealtà e
una personalità decisa e vigorosa che, ben indirizzata, fece di loro dei testimoni fedeli, energici e vigorosi.
Giacomo subì il martirio per mano di Erode Agrippa I (At 12:1, 2), e Giovanni, l’apostolo che morì per
ultimo, perseverò saldo come una colonna ‘nella tribolazione e nel regno e nella perseveranza in
compagnia di Gesù’. — Ri 1:9.
Quando Giacomo e Giovanni persuasero a quanto pare la madre a chiedere che potessero sedere vicino
a Cristo nel suo Regno, manifestarono uno spirito ambizioso che fece indignare gli altri apostoli. Ma
questo diede a Gesù l’opportunità di spiegare che il più grande fra loro sarebbe stato chi serviva gli altri, e
che lui stesso era venuto per servire e per dare la sua vita come riscatto per molti. (Mt 20:20-28; Mr
10:35-45) Per quanto il loro desiderio fosse egoistico, l’episodio rivela la loro fede nella realtà del Regno.
Certo se Giovanni fosse stato come lo dipingono i commentatori religiosi — debole, privo di senso pratico
e di energia, introverso — Gesù Cristo non gli avrebbe fatto scrivere il vigoroso e stimolante libro di
Rivelazione, in cui Cristo ripetutamente incoraggia i cristiani a vincere il mondo, parla della buona notizia
da predicare ovunque e annuncia i tonanti giudizi di Dio.
È vero che Giovanni parla di amore più degli altri scrittori dei Vangeli. Ma questo non rivela un debole
sentimentalismo. Al contrario, l’amore è una qualità forte. Sull’amore si basano l’intera Legge e i Profeti.
(Mt 22:36-40) “L’amore non viene mai meno”. (1Co 13:8) L’amore “è un perfetto vincolo d’unione”. (Col
3:14) L’amore di cui era fautore Giovanni si attiene ai princìpi ed è in grado di impartire forte riprensione,
correzione, disciplina, come anche di mostrare benignità e misericordia.
Ogni volta che compare nei tre Vangeli sinottici, e anche in tutti i suoi stessi scritti, Giovanni manifesta
sempre forte amore e lealtà verso Gesù Cristo e il Padre suo Geova. La sua lealtà e l’odio per il male
sono indicati dal fatto che egli mette in luce gli aspetti o i motivi sbagliati delle azioni altrui. Solo Giovanni
rivela che fu Giuda a trovare da ridire perché Maria aveva usato un costoso unguento per ungere i piedi
di Gesù e indica quale era la ragione delle sue lagnanze: Giuda teneva la cassa ed era ladro. (Gv 12:4-6)
Osserva che Nicodemo andò da Gesù “di notte”. (Gv 3:2) Puntualizza il grave difetto di Giuseppe di
Arimatea, che era “discepolo di Gesù ma segreto per timore dei giudei”. (Gv 19:38) Giovanni non
ammetteva che qualcuno professasse di essere discepolo del Maestro eppure se ne vergognasse.
Quando scrisse il suo Vangelo e le lettere, Giovanni aveva coltivato i frutti dello spirito in misura molto
maggiore di quando era giovane e da poco seguiva Gesù. Certo non era la stessa persona che aveva
chiesto un posto speciale nel Regno. E nei suoi scritti possiamo trovare prova della sua maturità e buoni
consigli che ci aiutano a imitarne la condotta fedele, leale ed energica.

w97 15/8 13 Vivete per il presente o per un futuro eterno?


6 Possiamo imparare una lezione analoga dall’apostolo Giovanni, che era presente quando Gesù
pronunciò la vigorosa esortazione: “Siate vigilanti”. (Matteo 25:13; Marco 13:37; Luca 21:34-36) Giovanni
la prese a cuore e prestò servizio con entusiasmo per molti decenni. Sembra infatti che sia stato l’ultimo
degli apostoli a morire. Ripensando nell’età avanzata ai decenni di fedele attività, Giovanni pensò forse di
aver sbagliato, di aver sprecato la sua vita o di essere stato poco equilibrato? No di certo! Attendeva
ancora ansiosamente il futuro. Quando il risuscitato Gesù disse: “Sì; vengo presto”, Giovanni
immediatamente rispose: “Amen! Vieni, Signore Gesù”. (Rivelazione [Apocalisse] 22:20) Giovanni non
viveva certo per il presente, sognando una ‘vita normale’, tranquilla e beata. Era determinato a continuare
a servire con tutta la sua vita e le sue forze, indipendentemente da quando sarebbe venuto il Signore.
Che dire di noi?

W59 P.333-334
Giuda, I (n. 1) — Tema: Qualità che Geova benedice RIVELAZIONE 5:5

it-1 1154-5 Giuda, I


GIUDA, I
[lodato; [oggetto di] lode].
1. Quarto figlio di Giacobbe dalla moglie Lea. (Ge 29:35; 1Cr 2:1) Quando Giuda aveva circa nove anni
tutta la famiglia di Giacobbe da Haran in Paddan-Aram si trasferì in Canaan. (Cfr. Ge 29:4, 5, 32-35;
30:9-12, 16-28; 31:17, 18, 41). In seguito egli rimase con suo padre a Succot e poi a Sichem. Dopo che
sua sorella Dina fu violentata dal figlio di Emor, e Simeone e Levi l’ebbero vendicata uccidendo tutti gli
uomini di Sichem, Giuda evidentemente prese parte al saccheggio della città. — Ge 33:17, 18; 34:1, 2,
25-29.
Rapporti con Giuseppe. Col tempo Giuda e gli altri fratellastri cominciarono a odiare Giuseppe perché
era il favorito di Giacobbe. Il loro odio si intensificò dopo che Giuseppe ebbe raccontato due sogni
secondo i quali sarebbe diventato superiore a loro. Perciò, quando Giacobbe mandò Giuseppe a vedere
come stavano i suoi fratellastri che badavano ai greggi, questi, scorgendolo da lontano, complottarono di
ucciderlo, ma, dietro suggerimento di Ruben, che voleva salvargli la vita, lo gettarono in una cisterna
asciutta. — Ge 37:2-24.
Poco dopo, vedendo avvicinarsi una carovana di ismaeliti, Giuda, forse in assenza di Ruben, convinse gli
altri che invece di uccidere Giuseppe era meglio venderlo ai mercanti di passaggio. (Ge 37:25-27)
Nonostante le invocazioni di Giuseppe, lo vendettero per 20 pezzi d’argento (se si trattava di sicli, poco
meno di 70.000 lire). (Ge 37:28; 42:21) Anche se la principale preoccupazione di Giuda era quella di
salvare la vita a Giuseppe, e l’averlo venduto si dimostrò poi una benedizione per tutti, Giuda, come gli
altri, si rese colpevole di un grave peccato che gli pesò a lungo sulla coscienza. (Ge 42:21, 22; 44:16;
45:4, 5; 50:15-21) (Sotto la Legge mosaica data in seguito agli israeliti, questo reato avrebbe comportato
la pena di morte; Eso 21:16). Giuda si unì poi agli altri anche nel far credere a Giacobbe che Giuseppe
fosse stato ucciso da una bestia feroce. (Ge 37:31-33) In quel tempo Giuda aveva circa 20 anni.
La famiglia di Giuda. Sembra che dopo questo episodio Giuda si sia separato dai fratelli. Quindi si
attendò vicino a Hira l’adullamita, e fra i due si stabilirono pare rapporti amichevoli. In quel tempo Giuda
sposò la figlia del cananeo Sua, dalla quale ebbe tre figli: Er, Onan e Sela. Sela, il minore, nacque ad
Aczib. — Ge 38:1-5.
In seguito Giuda scelse Tamar per darla in moglie al figlio primogenito Er. Ma a motivo della sua
malvagità, Er fu messo a morte da Geova. Giuda allora ordinò al suo secondogenito, Onan, di contrarre il
matrimonio del cognato. Ma Onan, pur avendo rapporti sessuali con Tamar, “sciupava il suo seme per
terra per non dare progenie a suo fratello”. Per questo Geova mise a morte anche lui. Giuda allora
raccomandò a Tamar di tornare a casa di suo padre in attesa che Sela crescesse. Ma anche dopo che
Sela era diventato adulto, Giuda, forse temendo che pure il figlio minore potesse morire, non lo diede in
matrimonio a Tamar. — Ge 38:6-11, 14.
Perciò dopo che Giuda era rimasto vedovo, Tamar, saputo che suo suocero era diretto a Timna, finse di
essere una prostituta e si mise a sedere all’entrata di Enaim sulla strada che Giuda avrebbe percorso.
Questi non riconobbe la nuora e, pensando che fosse una prostituta, ebbe rapporti con lei. Quando si
seppe che Tamar era incinta, Giuda chiese che fosse bruciata come una meretrice. Ma di fronte alle
prove che era stato proprio lui a renderla incinta, esclamò: “Essa è più giusta di me, per la ragione che io
non la diedi a Sela mio figlio”. Così, inconsapevolmente, Giuda aveva preso il posto di Sela generando
una progenie legittima. Circa sei mesi più tardi Tamar diede alla luce i gemelli Perez e Zera. Giuda non
ebbe più rapporti con lei. — Ge 38:12-30.
In Egitto per acquistare viveri. Qualche tempo dopo nel paese di Canaan colpito dalla carestia giunse
la notizia che in Egitto non mancavano i viveri. Quindi, per ordine di Giacobbe, dieci suoi figli, fra cui
Giuda, vi si recarono in cerca di viveri. In quel tempo il loro fratellastro Giuseppe era amministratore
annonario d’Egitto. Giuseppe li riconobbe immediatamente, mentre essi non lo riconobbero. Giuseppe li
accusò di essere spie e li avvertì di non tornare senza Beniamino, che essi avevano menzionato nel
negare di essere spie. Inoltre fece legare e tenere in ostaggio uno dei fratellastri, Simeone. — Ge 42:1-
25.
Era comprensibile che Giacobbe, pensando di aver perso sia Giuseppe che Simeone, non volesse
lasciare andare Beniamino in Egitto con gli altri figli. Forse perché Ruben si era dimostrato poco fidato
violentando la concubina del padre, le sue parole cariche di emotività, secondo le quali Giacobbe
avrebbe potuto mettere a morte i due figli di Ruben se questi non avesse riportato Beniamino, non ebbero
abbastanza peso. (Ge 35:22) Infine Giuda riuscì a ottenere il consenso del padre rendendosi garante per
Beniamino. — Ge 42:36-38; 43:8-14.
Mentre erano diretti a casa dopo avere acquistato cereali in Egitto, i figli di Giacobbe furono raggiunti
dall’economo di Giuseppe e accusati di furto (in realtà uno stratagemma di Giuseppe). Quando i presunti
oggetti rubati furono rinvenuti nel sacco di Beniamino, gli uomini tornarono a casa di Giuseppe. Fu Giuda
che rispose all’accusa e intercedé con eloquenza e ardore a favore di Beniamino e per amore del padre,
chiedendo di essere reso schiavo al posto di Beniamino. Giuseppe fu così commosso dalla sincera
supplica di Giuda che non poté più frenare i suoi sentimenti e, rimasto solo con i suoi fratelli, si fece
riconoscere. Giuseppe, dopo avere perdonato ai suoi fratellastri di averlo venduto schiavo, ordinò loro di
andare a prendere Giacobbe e di ritornare in Egitto, poiché la carestia sarebbe continuata per altri cinque
anni. — Ge 44:1–45:13.
In seguito Giacobbe, quando stava per giungere in Egitto con tutta la famiglia, “mandò Giuda avanti a sé
da Giuseppe per dare informazioni prima di lui in Gosen”. — Ge 46:28.
Migliore dei suoi fratelli. Giuda, con la sua preoccupazione per il padre anziano e con il nobile tentativo
di salvaguardare la libertà di Beniamino a costo della propria, dimostrò di essere migliore dei suoi fratelli.
(1Cr 5:2) Non era più lo stesso Giuda che in gioventù aveva preso parte al saccheggio di Sichem e agito
male nei confronti del fratellastro Giuseppe, ingannando poi il suo stesso padre. Per le ottime capacità
direttive Giuda, capo di una delle dodici tribù di Israele, ricevette una superiore benedizione profetica dal
padre morente. (Ge 49:8-12) Per l’adempimento vedi GIUDA, II n. 1.

W62 P.461-464
Giuda, I (n. 12) — Tema: Le persone possono cambiare EBREI 4:12

it-1 1156 Giuda, I


GIUDA, I
[lodato; [oggetto di] lode].
12. Uno dei quattro fratellastri di Gesù. (Mt 13:55; Mr 6:3) Ben poco si sa della sua vita. Evidentemente
all’inizio del ministero di Gesù era a Cana insieme ai suoi tre fratelli e alla madre, Maria, quando Gesù
fece un miracolo; poi si recò per breve tempo a Capernaum con Gesù e i discepoli. (Gv 2:1-12) Più di un
anno dopo insieme a Maria e ai suoi fratelli forse andò a cercare Gesù. (Mt 12:46) Comunque, nel 32
E.V., i fratelli di Gesù, incluso Giuda, “non esercitavano fede in lui”. (Gv 7:5) Infatti, poco prima di morire,
Gesù affidò la madre credente all’apostolo Giovanni; questo fa pensare che senz’altro Giuda e i suoi
fratelli non erano ancora diventati discepoli. (Gv 19:26, 27) Forse fu la risurrezione di Cristo a convincere
Giuda, perché era fra gli apostoli e gli altri che nel tempo intercorso tra l’ascensione di Gesù e la
Pentecoste del 33 E.V. si radunavano insieme e perseveravano nella preghiera. (At 1:13-15)
Logicamente quindi Giuda sarà stato fra i primi credenti che ricevettero lo spirito santo. Evidentemente fu
lui che verso il 65 E.V. scrisse il libro biblico che porta il suo nome. — Vedi GIUDA, LETTERA DI.

w77 1/5 283-4 Giuda mette in guardia contro l'infiltrazione di uomini malvagi
Giuda mette in guardia contro l’infiltrazione di uomini malvagi
“ODIATE ciò che è male”. “Aborrite ciò che è malvagio”. Perché la Parola di Dio ci dà questi avvertimenti?
Perché ciò che è male o malvagio, pur promettendoci spesso piaceri o vantaggi mondani, può
allontanarci dalle giuste norme di Geova. — Sal. 97:10; Rom. 12:9.
In tutta la storia biblica i fedeli portavoce di Dio hanno espresso forte odio per ciò che è cattivo, malvagio.
Un eccellente esempio di ciò si trova nel breve libro biblico di Giuda.
Chi era Giuda? Egli parla di sé come del fratello di Giacomo; questo Giacomo poteva essere solo il ben
noto Giacomo (di cui si fa menzione nell’ultima parte del libro di Atti), che era fratellastro di Gesù. È vero
che Giuda non dice di essere fratellastro di Gesù, come non lo dice Giacomo, e indubbiamente per la
stessa ragione, per modestia. Inoltre Giuda poté pensare che non fosse appropriato vantare la propria
parentela carnale, ora che il suo fratellastro Gesù era una persona spirituale nei cieli.
La lettera di Giuda è indirizzata ai cristiani che sono chiamati da Dio e che hanno un’amorevole relazione
con lui. Molto probabilmente Giuda scrisse la sua lettera in Gerusalemme e prima della distruzione del 70
E.V., poiché non accenna minimamente che sia già avvenuta. Inoltre, poiché evidentemente cita la
seconda lettera di Pietro, sembra che debba aver scritto la sua lettera verso il 65 E.V.
Giuda è molto indignato perché certi uomini malvagi si sono infiltrati nella congregazione cristiana,
“uomini empi, che mutano l’immeritata benignità del nostro Dio in una scusa per condotta dissoluta e
[così] si mostrano falsi [a] . . . Gesù Cristo”. (Giuda 4) Egli cita poi esempi ammonitori: gli Israeliti che
morirono nel deserto per la loro mancanza di fede; gli angeli che presero forma umana per coabitare con
le donne, per cui ‘Dio li ha riservati con legami sempiterni sotto dense tenebre per il giorno del giudizio’; e
gli abitanti di Sodoma e Gomorra che similmente praticarono grande immoralità e furono distrutti.
Questi uomini che si sono insinuati nelle congregazioni cristiane non solo sono molto immorali, ma anche
orgogliosi e ribelli. Essi trascurano la signoria e parlano ingiuriosamente dei gloriosi nella congregazione
cristiana. Perfino l’arcangelo Michele non osò parlare in termini ingiuriosi quando disputava col Diavolo
per il corpo di Mosè, ma disse: “Ti rimproveri Geova”. — Giuda 9.
Quindi Giuda li paragona a Caino, che assassinò il suo fratello che era giusto, a Balaam che avidamente
cercò il guadagno egoistico, e a Cora che si ribellò contro Mosè nel deserto, solo per essere consumato
dal fuoco.
Con crescente indignazione Giuda li descrive come infidi scogli, nascosti sott’acqua; come nubi che
promettono pioggia ma sono senz’acqua e come alberi sradicati perché non portavano frutto. Sono come
impetuose onde del mare, schiumanti di sudiciume e sono pure come stelle vaganti, da cui nessun
marinaio oserebbe lasciarsi guidare. Egli inoltre definisce o stigmatizza questi malcontenti come
mormoratori, lamentatori, che sono guidati da desideri egoistici, dicono grandi parole gonfie, ammirano le
personalità per guadagno egoistico, essendo animaleschi, privi di spiritualità. Non vi è dubbio che Giuda
odia ciò che è male, e rende un buon servizio a tutti i cristiani mettendoli in guardia contro tali uomini
malvagi. — Giuda 11-13, 16.
Dopo aver completamente smascherato questi malvagi e messo in guardia contro di loro, Giuda consiglia
ai fedeli cristiani di rimanere nell’amore di Dio. In che modo? Rafforzandosi nella fede, con la preghiera e
l’aiuto dello spirito santo di Dio. Inoltre consiglia ai cristiani di aiutare quelli che potrebbero avere dubbi,
onde strapparli per così dire dal fuoco, e anche di aiutare quelli la cui condotta è stata impura, ma di farlo
con timore, per non lasciarsi trascinare nella via errata. — Giuda 17-23.
Giuda menziona alcuni avvenimenti di cui non si parla nelle Scritture Ebraiche, come la disputa di
Michele col Diavolo per il corpo di Mosè e la profezia di Enoc. Egli poteva esser venuto a conoscenza di
questi fatti per ispirazione diretta oppure è possibile che avesse a disposizione fonti fidate, diverse dalle
Sacre Scritture, che contenevano la profezia di Enoc. Si può trovare un parallelo nel riferimento di Paolo
a certuni che contrastarono Mosè, persone che non sono menzionate in Esodo, e a certe parole di Gesù
che non si trovano in alcuno dei Vangeli. — Atti 20:35; 2 Tim. 3:8.
Si potrebbe ben dire che le severe condanne di Giuda non sono mai state più appropriate di ora quando
la malvagità abbonda e l’amore di molti si è raffreddato. Per non aver compreso questi fatti, non pochi
hanno trasformato l’immeritata benignità di Dio in una scusa per condotta sfrenata, o si sono lasciati
prendere da uno spirito di ribellione. Davvero questi esempi dovrebbero essere per tutti i dedicati cristiani
un incentivo a fare il possibile per rimanere nell’amore di Dio e stare in guardia contro gli uomini empi che
potrebbero infiltrarsi nella congregazione cristiana.

w97 1/9 15-18 Guardatevi dai falsi maestri!


9 L’apostolo Paolo condannò un’opinione errata sulla misericordia di Dio chiedendo: “Rimarremo nel
peccato, affinché abbondi l’immeritata benignità?” Domandò pure: “Commetteremo peccato perché non
siamo sotto la legge ma sotto l’immeritata benignità?” A ciascuna domanda Paolo rispose con un
energico: “Non sia mai!” (Romani 6:1, 2, 15) È evidente, come osserva Giuda, che certuni ‘mutavano
l’immeritata benignità del nostro Dio in una scusa per condotta dissoluta’. Tuttavia Pietro indica che per
costoro la “distruzione non sonnecchia”. — Giuda 4; 2 Pietro 2:3.
Esempi ammonitori
10 Per dare risalto al fatto che Dio interverrà contro i trasgressori intenzionali, Pietro menziona tre esempi
ammonitori tratti dalle Scritture. Primo: “Dio non si trattenne dal punire gli angeli che peccarono”. Questi,
dice Giuda, “non mantennero la loro posizione originale ma abbandonarono il proprio luogo di dimora” in
cielo. Vennero sulla terra prima del Diluvio e assunsero corpi carnali per avere rapporti sessuali con le
figlie degli uomini. Come punizione per la loro condotta errata, innaturale, vennero gettati nel “Tartaro”, o,
come dice Giuda, furono “riservati al giudizio del gran giorno con legami sempiterni, sotto dense tenebre”.
— 2 Pietro 2:4; Giuda 6; Genesi 6:1-3.
11 Poi Pietro accenna alle persone dei giorni di Noè. (Genesi 7:17-24) Dice che, al tempo di Noè, Dio
“non si trattenne dal punire il mondo antico . . . quando portò il diluvio su un mondo di empi”. Infine Pietro
scrive che Dio ‘pose per gli empi un modello di cose avvenire riducendo in cenere le città di Sodoma e
Gomorra’. Giuda fornisce l’ulteriore informazione che quegli individui ‘avevano commesso fornicazione in
eccesso ed erano andati dietro alla carne per uso non naturale’. (2 Pietro 2:5, 6; Giuda 7) Gli uomini non
solo avevano rapporti sessuali illeciti con le donne, ma concupivano la carne di altri uomini, e forse
bramavano addirittura quella delle bestie. — Genesi 19:4, 5; Levitico 18:22-25.
12 Al tempo stesso, però, Pietro osserva che Geova ricompensa quelli che lo servono fedelmente. Per
esempio narra come Dio “conservò Noè, predicatore di giustizia, con sette altri” quando portò il Diluvio.
Dice pure che al tempo di Sodoma, Geova “liberò il giusto Lot”, e conclude: “Geova sa liberare le persone
di santa devozione dalla prova, ma riservare gli ingiusti al giorno del giudizio perché siano stroncati”. — 2
Pietro 2:5, 7-9.
Opere che meritano la punizione
13 Pietro indica specificamente alcuni che in modo particolare sono riservati al giudizio di Dio, e cioè
“quelli che vanno dietro alla carne col desiderio di contaminarla e che disprezzano la signoria”. Possiamo
quasi sentire l’indignazione di Pietro mentre dice: “Audaci, caparbi, non tremano davanti ai gloriosi ma
parlano ingiuriosamente”. Giuda scrive che “questi uomini, indulgendo nei sogni, contaminano la carne e .
. . parlano ingiuriosamente dei gloriosi”. (2 Pietro 2:10; Giuda 8) I loro sogni potrebbero riguardare impure
fantasie erotiche che li spingono a cercare di soddisfare i loro desideri immorali. Ma in che senso
“disprezzano la signoria” e “parlano ingiuriosamente dei gloriosi”?
14 Fanno questo in quanto disprezzano l’autorità divinamente costituita. Gli anziani cristiani
rappresentano i gloriosi Geova Dio e suo Figlio e pertanto è conferita loro una certa gloria. È vero che,
come Pietro stesso, commettono errori, ma le Scritture esortano i componenti della congregazione a
essere sottomessi a tali gloriosi. (Ebrei 13:17) Le loro mancanze non sono un motivo valido per parlare
ingiuriosamente di loro. Pietro dice che gli angeli “non recano contro [i falsi maestri] alcuna accusa in
termini ingiuriosi”, anche se in effetti se lo meriterebbero. “Ma questi uomini”, prosegue Pietro, “come
animali irragionevoli nati secondo natura per essere presi e distrutti, subiranno pure, nelle cose delle quali
sono ignoranti e parlano ingiuriosamente, la distruzione”. — 2 Pietro 2:10-13.
“Mentre festeggiano insieme a voi”
15 Questi uomini corrotti, che “considerano un piacere la vita lussuriosa durante il giorno” e “sono
macchie e sozzure”, sono anche subdoli. Agiscono “quietamente”, usando “parole finte”, come Pietro ha
già detto. (2 Pietro 2:1, 3, 13) Può darsi quindi che non sfidino apertamente ciò che fanno gli anziani per
sostenere le norme morali di Dio né che cerchino di soddisfare le proprie brame sessuali alla luce del
sole. Piuttosto, Pietro dice che “si abbandonano con sfrenato diletto ai loro ingannevoli insegnamenti
mentre festeggiano insieme a voi”. E Giuda scrive: “Questi sono gli scogli nascosti sott’acqua nei vostri
conviti d’amore”. (Giuda 12) Sì, proprio come gli scogli frastagliati nascosti sott’acqua possono
danneggiare il fondo di un’imbarcazione, facendola affondare e provocando la morte dei marinai, così i
falsi insegnanti corrompevano gli ignari a cui mostravano ipocritamente amore durante i “conviti d’amore”.
16 Sembra che questi “conviti d’amore” fossero delle occasioni in cui i cristiani del I secolo si riunivano per
mangiare e stare in compagnia. Anche oggi i testimoni di Geova a volte si ritrovano per una festa nuziale,
per un picnic o per passare insieme una serata. In che modo individui corrotti potrebbero sfruttare queste
occasioni per adescare qualcuno? Pietro scrive: “Hanno occhi pieni di adulterio . . . e adescano anime
instabili”. Concentrano il loro “cuore addestrato alla concupiscenza” su persone spiritualmente instabili
che non hanno realmente fatto propria la verità. Perciò, memori di ciò che accadeva ai giorni di Pietro,
state in guardia! Non cedete a nessuna avance impura e non lasciatevi ingannare dal fascino o dalla
bellezza di una persona che fa proposte immorali! — 2 Pietro 2:14.
“Il sentiero di Balaam”
17 Questi individui “maledetti” conoscono la verità da qualche tempo. Forse sembrano ancora attivi nella
congregazione. Ma Pietro dice: “Abbandonando il sentiero diritto, sono stati sviati. Hanno seguito il
sentiero di Balaam, figlio di Beor, che amò il compenso dell’ingiustizia”. (2 Pietro 2:14, 15) Il sentiero del
profeta Balaam consisté nel consigliare una condotta immorale, di seduzione, per proprio tornaconto
egoistico. Disse al re moabita Balac che se si fosse riusciti a indurre gli israeliti a commettere
fornicazione, sarebbe stato Dio stesso a maledirli. Di conseguenza donne moabite sedussero molti del
popolo di Dio e 24.000 furono messi a morte per la loro condotta immorale. — Numeri 25:1-9; 31:15, 16;
Rivelazione (Apocalisse) 2:14.
18 Pietro osserva che, nonostante la resistenza oppostagli dalla sua stessa asina, Balaam “amò il
compenso dell’ingiustizia” a tal punto che non rinunciò alla sua “folle condotta” nemmeno davanti a quel
fatto straordinario. (2 Pietro 2:15, 16) Che malvagità! Guai a tutti coloro che, come Balaam, cercano di
corrompere i servitori di Dio tentandoli perché commettano immoralità! Per la sua empietà Balaam perse
la vita, a indicare ciò che accadrà a tutti coloro che seguono il suo sentiero. — Numeri 31:8.
Seduzioni diaboliche
19 Descrivendo quelli simili a Balaam, Pietro scrive: “Questi sono fonti [o pozzi] senz’acqua, nubi spinte
da violenta tempesta”. Per il viaggiatore assetato nel deserto, un pozzo asciutto può significare la morte.
Non sorprende che a quelli paragonati a queste cose sia stata “riservata l’oscurità delle tenebre”! Pietro
aggiunge: “Poiché pronunciano gonfie espressioni di nessun profitto, e adescano mediante i desideri
della carne e mediante abitudini dissolute quelli che stanno appena sfuggendo alle persone che si
conducono nell’errore”. Seducono gli inesperti ‘promettendo loro libertà’, dice Pietro, mentre “sono essi
stessi schiavi della corruzione”. — 2 Pietro 2:17-19; Galati 5:13.
20 Le seduzioni di tali maestri corrotti sono diaboliche. Per esempio, forse dicono: ‘Dio sa che siamo
deboli e che proviamo desideri passionali. Perciò se cediamo e soddisfacciamo i nostri desideri sessuali,
Dio sarà misericordioso. Se confessiamo il nostro peccato, ci perdonerà come ha fatto quando abbiamo
accettato la verità’. Ricordate che il Diavolo usò più o meno un metodo simile con Eva, assicurandole che
poteva peccare impunemente. Nel caso di Eva, egli asserì che peccando contro Dio avrebbe ottenuto
conoscenza e libertà. (Genesi 3:4, 5) Se nella congregazione dovessimo incontrare una persona corrotta,
abbiamo il dovere di proteggere noi stessi e gli altri informando i responsabili della congregazione
cristiana del comportamento di tale individuo. — Levitico 5:1.
Protetti dall’accurata conoscenza
21 Pietro conclude questa parte della lettera descrivendo le conseguenze cui si va incontro se non si
mette in pratica la conoscenza che, come ha già detto, è essenziale per “la vita e la santa devozione”. (2
Pietro 1:2, 3, 8) Egli scrive: “Certo, se, dopo essere sfuggiti alle contaminazioni del mondo mediante
l’accurata conoscenza del Signore e Salvatore Gesù Cristo, sono coinvolti di nuovo in queste cose e ne
sono sopraffatti, le loro condizioni finali son divenute peggiori delle prime”. (2 Pietro 2:20) Che squallore!
Ai giorni di Pietro tali individui avevano rinunciato alla preziosa speranza della vita immortale nei cieli in
cambio di pochi attimi di soddisfazione sessuale.
22 Perciò Pietro dice: “Sarebbe stato meglio per loro non avere accuratamente conosciuto il sentiero della
giustizia che, dopo averlo accuratamente conosciuto, allontanarsi dal santo comandamento loro
trasmesso. È accaduto loro il detto del verace proverbio: ‘Il cane è tornato al proprio vomito e la scrofa
lavata a rivoltolarsi nel fango’”. — 2 Pietro 2:21, 22; Proverbi 26:11.
23 A quanto pare un altro problema che aveva cominciato a manifestarsi fra i primi cristiani era simile a un
problema che hanno alcuni oggi. A quel tempo certuni evidentemente si lamentavano dell’apparente
ritardo della promessa presenza di Cristo. Esaminiamo in che modo Pietro affronta la questione.

w97 1/9 19-20 Tenete bene in mente il giorno di Geova


Calorosa esortazione a ricordare
4 L’affetto che Pietro aveva per i fratelli è evidente dal fatto che in questo capitolo si rivolge ripetutamente
loro chiamandoli “diletti”. Esortandoli calorosamente a non dimenticare ciò che era stato loro insegnato,
Pietro inizia dicendo: “Diletti, . . . desto le vostre chiare facoltà di pensare alla maniera di un
rammemoratore, affinché ricordiate le parole dette in precedenza dai santi profeti e il comandamento del
Signore e Salvatore per mezzo dei vostri apostoli”. — 2 Pietro 3:1, 2, 8, 14, 17; Giuda 17.
5 Quali cose “dette in precedenza dai santi profeti” Pietro esorta i lettori a ricordare? Proprio quelle
relative alla presenza di Cristo nel potere del Regno e al giudizio degli empi. Precedentemente Pietro
aveva richiamato l’attenzione su queste cose. (2 Pietro 1:16-19; 2:3-10) Giuda fa riferimento a Enoc, il
primo profeta di cui si abbia notizia che avvertì in merito all’avverso giudizio di Dio sugli empi. (Giuda 14,
15) Dopo Enoc ci furono altri profeti, e Pietro non vuole che dimentichiamo le cose che scrissero. — Isaia
66:15, 16; Sofonia 1:15-18; Zaccaria 14:6-9.
6 Inoltre Pietro dice ai lettori di ricordare “il comandamento del Signore e Salvatore”. Il comandamento di
Gesù include l’esortazione: “Prestate attenzione a voi stessi affinché i vostri cuori non siano aggravati . . .
e quel giorno non piombi all’improvviso su di voi come un laccio”. “Continuate a stare in guardia, siate
svegli, poiché non sapete quando è il tempo fissato”. (Luca 21:34-36; Marco 13:33) Pietro ci esorta a
prendere a cuore anche le parole degli apostoli. L’apostolo Paolo, ad esempio, scrisse: “Il giorno di
Geova viene esattamente come un ladro di notte. Così, dunque, non continuiamo a dormire come fanno
gli altri, ma stiamo svegli e siamo sobri”. — 1 Tessalonicesi 5:2, 6.
I desideri degli schernitori
7 Come abbiamo già detto, il motivo dell’ammonimento di Pietro è che alcuni avevano cominciato a
deridere tali avvertimenti, come gli israeliti dei tempi precedenti si erano fatti beffe dei profeti di Geova. (2
Cronache 36:16) Pietro spiega: “Poiché voi sapete questo prima di tutto, che negli ultimi giorni verranno
degli schernitori con i loro scherni, che procederanno secondo i propri desideri”. (2 Pietro 3:3) Giuda dice
che i desideri di questi schernitori vertono su “cose empie”. Li definisce “uomini animaleschi, che non
hanno spiritualità”. — Giuda 17-19.
8 I falsi maestri che Pietro disse “vanno dietro alla carne col desi derio di contaminarla” sono
probabilmente fra questi schernitori privi di spiritualità. (2 Pietro 2:1, 10, 14) In tono di scherno cedono ai
cristiani fedeli: “Dov’è questa sua promessa presenza? Infatti, dal giorno che i nostri antenati si
addormentarono nella morte, tutte le cose continuano esattamente come dal principio della creazione”. —
2 Pietro 3:4.
9 Perché questi scherni? Perché insinuare che la presenza di Cristo potrebbe non verificarsi mai, che Dio
non è mai intervenuto negli affari umani e mai lo farà? Ebbene, minando il senso di urgenza che permea
la Parola di Dio, questi schernitori animaleschi cercano di far cadere gli altri in uno stato di apatia
spirituale, in modo che siano facile preda di allettamenti egoistici. Che vigoroso incoraggiamento per noi
oggi a rimanere spiritualmente desti! Facciamo il possibile per tenere bene in mente il giorno di Geova e
ricordare sempre che i suoi occhi sono su di noi! Saremo così spinti a servire Geova con zelo e a
mantenerci moralmente puri. — Salmo 11:4; Isaia 29:15; Ezechiele 8:12; 12:27; Sofonia 1:12.
[Figura a pagina 23]
Tenete bene in mente il giorno di Geova . . .
[Figura a pagina 24]
. . . e il nuovo mondo che seguirà

W98 1-6 P.14-19


Giuda (parr. 2-4 della voce Giuda, Lettera di) — Tema: Siate modesti, non cercate la preminenza
MICHEA 6:8

it-1 1160 Giuda, Lettera di


GIUDA, LETTERA DI
“Giuda, schiavo di Gesù Cristo, ma fratello di Giacomo”. Così si presenta lo scrittore di questa lettera
ispirata. A quanto pare non si tratta di “Giuda il figlio di Giacomo”, uno degli undici fedeli apostoli di Gesù
Cristo. (Lu 6:16) Infatti egli si definisce uno “schiavo”, non un “apostolo”, di Gesù Cristo, e inoltre parla
degli apostoli in terza persona. — Gda 1, 17, 18.
Le Scritture Greche Cristiane menzionano altri personaggi di nome Giuda, perciò lo scrittore della lettera
si distingue menzionando il nome del proprio fratello. Da ciò si può desumere che suo fratello Giacomo
fosse ben noto ai cristiani. Solo una persona di nome Giacomo sembra avere avuto notevole preminenza;
l’apostolo Paolo ne parla come di una delle “colonne” della congregazione di Gerusalemme e come del
“fratello del Signore”. (Gal 1:19; 2:9; vedi anche At 12:17; 15:13-21). Perciò questo Giuda era
evidentemente un fratellastro di Gesù Cristo. (Mt 13:55; Mr 6:3) Eppure umilmente non cerca di
approfittare della sua parentela carnale con il Figlio di Dio, ma si definisce “schiavo di Gesù Cristo”.
Dopo la risurrezione, Gesù apparve al suo fratellastro Giacomo. (1Co 15:7) Senza dubbio ciò convinse
non solo Giacomo, ma anche Giuda e gli altri fratelli, che Gesù era senz’altro il Messia. Perciò, ancor
prima della Pentecoste del 33 E.V., essi insieme agli undici apostoli fedeli e ad altri perseveravano in
preghiera in una stanza al piano superiore di una casa a Gerusalemme. Sembra che fossero anche fra i
120 radunati quando venne scelto a sorte Mattia per prendere il posto dell’infedele Giuda Iscariota. (At
1:14-26) In questo caso avrebbero ricevuto anche loro lo spirito santo il giorno di Pentecoste. — At 2:1-4.

W98 1-6 P.14-19


(VEDI ‘GIUDA’, FRATELLASTRO DI GESÙ)
Giuda Iscariota — Tema: Non siamo predestinati ECCLESIASTE 9:11

it-1 1161-3 Giuda Iscariota


GIUDA ISCARIOTA
L’apostolo che tradì Gesù. Oltre al fatto che era figlio di Simone, la Bibbia dice ben poco della famiglia e
dei precedenti di Giuda. Sia lui che suo padre erano chiamati Iscariota. (Lu 6:16; Gv 6:71) In genere si
pensa che questo termine indichi che provenivano dal villaggio di Cheriot-Ezron in Giudea. In tal caso
Giuda sarebbe stato l’unico giudeo dei dodici apostoli, in quanto gli altri erano tutti galilei.
Giuda è menzionato per la prima volta nei Vangeli nell’elenco degli apostoli qualche tempo dopo la
Pasqua del 31 E.V., circa un anno e mezzo dopo l’inizio del ministero di Gesù. (Mr 3:19; Lu 6:16) È logico
concludere che Giuda fosse un discepolo già da qualche tempo prima di diventare un apostolo di Gesù.
Molti scrittori tracciano un quadro del tutto negativo di Giuda, ma evidentemente per qualche tempo era
stato un discepolo che aveva il favore di Dio e di Gesù; lo indica il fatto stesso che venne scelto per
diventare un apostolo. Inoltre a lui erano affidate le finanze comuni di Gesù e dei dodici. Questo depone a
favore della sua fidatezza e abilità o istruzione, specie se si considera che Matteo pur avendo esperienza
di denaro e numeri non ricevette questo incarico. (Gv 12:6; Mt 10:3) Tuttavia Giuda diventò
completamente e inescusabilmente corrotto. Senza dubbio per questa ragione è elencato per ultimo fra
gli apostoli, ed è menzionato come il Giuda “che poi lo tradì” e “che divenne traditore”. — Mt 10:4; Lu
6:16.
Diventò corrotto. Verso la Pasqua del 32 E.V. Giuda fu mandato a predicare insieme agli altri apostoli.
(Mt 10:1, 4, 5) Poco dopo il suo ritorno, e meno di un anno dopo essere diventato un apostolo, Giuda fu
pubblicamente denunciato da Cristo, che però non fece il suo nome. Anche se alcuni discepoli avevano
lasciato Gesù, scandalizzati da ciò che insegnava, Pietro disse che i dodici sarebbero rimasti con lui.
Gesù a sua volta confermò di avere scelto i dodici, ma aggiunse: “Uno di voi è un calunniatore [gr.
diàbolos, “diavolo” o “calunniatore”]”. Quindi viene spiegato che il calunniatore era Giuda, che “stava per
tradirlo, benché fosse uno dei dodici”. — Gv 6:66-71.
A proposito di questo episodio Giovanni dice: “Dal principio Gesù sapeva . . . chi era colui che lo avrebbe
tradito”. (Gv 6:64) Dalle profezie delle Scritture Ebraiche Cristo sapeva che sarebbe stato tradito da un
suo intimo collaboratore. (Sl 41:9; 109:8; Gv 13:18, 19) Grazie alla sua preconoscenza Dio aveva
previsto che un tale uomo sarebbe diventato traditore, ma è incompatibile con le qualità e le passate
azioni di Dio pensare che Giuda doveva necessariamente venir meno, perché predestinato. (Vedi
PRESCIENZA, PREORDINAZIONE). Piuttosto, come si è già detto, all’inizio del suo apostolato Giuda
era fedele a Dio e a Gesù. Quindi con l’espressione “dal principio” Giovanni deve aver voluto dire che da
quando Giuda cominciò a sviarsi, a cedere all’imperfezione e alle tendenze peccaminose, Gesù Cristo se
ne rese conto. (Gv 2:24, 25; Ri 1:1; 2:23) Giuda doveva sapere di essere il “calunniatore” menzionato da
Gesù, ma continuò a viaggiare con lui e gli apostoli fedeli senza nessun cambiamento apparente.
La Bibbia non entra nei particolari circa i motivi della condotta corrotta di Giuda, ma un episodio accaduto
il 9 nisan del 33 E.V., cinque giorni prima della morte di Gesù, fa luce sulla questione. A Betania in casa
di Simone il lebbroso, Maria, sorella di Lazzaro, unse Gesù con olio profumato che valeva 300 denari,
circa il salario di un anno per un operaio. (Mt 20:2) Giuda protestò dicendo che l’olio si poteva vendere e
il ricavato ‘dare ai poveri’. Evidentemente altri apostoli si limitarono ad assentire a quella che sembrava
un’obiezione valida; invece Gesù li rimproverò. La vera ragione per cui Giuda aveva obiettato era che si
occupava della cassa ed “era un ladro . . . e portava via il denaro che vi si metteva”. Giuda era dunque
avido, abituato a rubare. — Gv 12:2-7; Mt 26:6-12; Mr 14:3-8.
Prezzo del tradimento. Giuda fu senza dubbio irritato dal rimprovero di Gesù circa l’uso del denaro.
Allora “Satana entrò in Giuda”, probabilmente nel senso che l’apostolo traditore cedette alla sua volontà,
diventando lo strumento per attuare il disegno di Satana di fermare Cristo. Alcuni giorni dopo, il 12 nisan,
Giuda andò dai capi sacerdoti e dai capitani del tempio per vedere quanto gli avrebbero dato per tradire
Gesù, mostrando ancora una volta la sua avidità. (Mt 26:14-16; Mr 14:10, 11; Lu 22:3-6; Gv 13:2) I capi
sacerdoti quel giorno avevano tenuto una riunione con gli “anziani del popolo”, gli uomini influenti del
Sinedrio. (Mt 26:3) Può darsi che i capitani del tempio fossero presenti a motivo dell’influenza che
avevano e per dare una parvenza di legalità a un eventuale arresto di Gesù.
Perché i capi religiosi offrirono solo 30 pezzi d’argento per il tradimento di Gesù?
Il prezzo offerto fu di 30 pezzi d’argento (circa 100.000 lire se si trattava di sicli). (Mt 26:14, 15) La somma
stabilita dai capi religiosi sembra voler indicare il loro disprezzo per Gesù, che consideravano di poco
conto. Secondo Esodo 21:32 il prezzo di uno schiavo era di 30 sicli. Su questa base, per la sua opera di
pastore del popolo, Zaccaria ricevette “trenta pezzi d’argento”. Geova fu sdegnato dall’esiguità della
somma, poiché considerava il salario dato a Zaccaria una prova di quanto poco il popolo senza fede
valutava Dio stesso. (Zac 11:12, 13) Quindi offrendo solo 30 pezzi d’argento per Gesù, i capi religiosi
volevano dimostrare che non valeva nulla. Allo stesso tempo però adempivano Zaccaria 11:12,
disprezzando Geova con il trattamento riservato al Suo rappresentante mandato a pascere Israele. Il
corrotto Giuda “acconsentì [al prezzo], e cercava una buona opportunità per consegnarlo loro senza folla
intorno”. — Lu 22:6.
Ultima notte con Gesù. Nonostante si fosse messo contro Gesù, Giuda continuava a stare con lui. Il 14
nisan del 33 E.V. si radunò con Gesù e gli apostoli per celebrare la Pasqua. Durante il pasto pasquale
Gesù servì gli apostoli, lavando umilmente loro i piedi. L’ipocrita Giuda lo lasciò fare. Ma Gesù disse:
“Non tutti siete puri”. (Gv 13:2-5, 11) Inoltre dichiarò che uno degli apostoli che erano lì a tavola l’avrebbe
tradito. Forse per non apparire colpevole, Giuda chiese se era lui. Come ulteriore conferma Gesù gli
porse un boccone e gli disse di fare presto quello che intendeva fare. — Mt 26:21-25; Mr 14:18-21; Lu
22:21-23; Gv 13:21-30.
Immediatamente Giuda se ne andò. Confrontando Matteo 26:20-29 con Giovanni 13:21-30 si nota che
Giuda uscì prima che Gesù istituisse la celebrazione del Pasto Serale del Signore. La descrizione di Luca
evidentemente non è in stretto ordine cronologico, perché Giuda senz’altro se n’era già andato quando
Gesù lodò i presenti per avere perseverato con lui; questo non si poteva dire di Giuda, né egli poteva
avere parte nel “patto . . . per un regno”. — Lu 22:19-30.
Giuda trovò poi Gesù insieme agli apostoli fedeli nel giardino di Getsemani, luogo che il traditore
conosceva bene, poiché vi era stato con loro altre volte. Giuda venne con una folla numerosa che
includeva un comandante militare e alcuni soldati romani. La turba era armata di bastoni e spade, e
aveva torce e lampade nel caso che le nuvole avessero nascosto la luna piena o che Gesù fosse rimasto
nell’ombra. I romani probabilmente non avrebbero riconosciuto Gesù, perciò, come segnale prestabilito,
Giuda lo identificò salutandolo e per somma ipocrisia “lo baciò molto teneramente”. (Mt 26:47-49; Gv
18:2-12) Più tardi Giuda si rese conto dell’enormità della sua colpa. In mattinata tentò di restituire i 30
pezzi d’argento, ma i capi sacerdoti non vollero riprenderli. Infine gettò il denaro nel tempio. — Mt 27:1-5.
Morte. Secondo Matteo 27:5 Giuda si impiccò. Atti 1:18 dice invece: “Cadendo a capofitto, si squarciò
rumorosamente nel mezzo, e tutti i suoi intestini si sparsero”. Sembra che Matteo consideri in che modo
Giuda tentò il suicidio, mentre Atti ne descrive il risultato. Dai due resoconti risulta che Giuda cercò di
impiccarsi su una rupe, ma la fune o il ramo dell’albero si spezzò così che egli cadde a capofitto e si
sfracellò sulle rocce sottostanti. Data la topografia dei dintorni di Gerusalemme è plausibile che le cose
siano andate così.
Attinente alla sua morte è anche la questione di chi acquistò con i 30 pezzi d’argento il campo da adibire
a cimitero. Secondo Matteo 27:6, 7, i capi sacerdoti decisero che non potevano mettere il denaro nel
tesoro sacro e perciò essi lo usarono per acquistare il campo. Atti 1:18, 19, parlando di Giuda, dice:
“Questo stesso uomo, dunque, acquistò un campo col salario dell’ingiustizia”. Sembra che la risposta sia
che i sacerdoti comprarono il campo, ma dal momento che Giuda aveva provveduto il denaro, l’acquisto
poteva essere attribuito a lui. Alfred Edersheim osserva: “Non era lecito portare nel tesoro del tempio, per
l’acquisto di cose sacre, denaro guadagnato illecitamente. In casi del genere la Legge ebraica prevedeva
che il denaro venisse restituito al donatore e, se egli insisteva nel darlo, si doveva convincerlo a
spenderlo per qualcosa di pubblica utilità. . . . Mediante un espediente legale il denaro era considerato
ancora di Giuda, e impiegato da lui nell’acquisto del famoso ‘campo del vasaio’”. (The Life and Times of
Jesus the Messiah, 1906, vol. II, p. 575) Questo acquisto adempiva la profezia di Zaccaria 11:13.
La condotta intrapresa da Giuda era voluta, manifestava rancore, avidità, orgoglio, ipocrisia e
premeditazione. Egli provò poi rimorso sotto il peso della colpa, come un omicida volontario dopo avere
commesso il delitto. Eppure Giuda di propria spontanea volontà era venuto a patti con coloro che
secondo le parole di Gesù facevano proseliti soggetti alla Geenna più di loro stessi, che pure erano
destinati al “giudizio della Geenna”. (Mt 23:15, 33) L’ultima notte della sua vita terrena, Gesù disse a
proposito di Giuda: “Sarebbe stato meglio per quell’uomo se non fosse mai nato”. Più tardi lo chiamò “il
figlio della distruzione”. — Mr 14:21; Gv 17:12; Eb 10:26-29.
Sostituito. Fra l’ascensione di Gesù e il giorno di Pentecoste del 33 E.V., Pietro spiegò a un gruppo di
circa 120 discepoli radunati che, in armonia con la profezia del Salmo 109:8, era bene scegliere qualcuno
per sostituire Giuda. Furono proposti due candidati e Mattia fu scelto a sorte “per prendere il posto di
questo ministero e apostolato, dal quale Giuda deviò per andarsene al suo proprio posto”. — At 1:15, 16,
20-26.

w85 15/2 23-4 Vi fate prendere dall'avidità?


Avidità per il denaro e sue conseguenze
Un macroscopico esempio di avidità fu il traditore più infame della storia umana: Giuda Iscariota. Quando
fu scelto da Gesù quale apostolo, sarà stato senz’altro fedele fino ad allora e non avido. Infatti Gesù gli
affidò le finanze del gruppo. Ma col tempo Giuda si mise a rubare denaro. “Era ladro e aveva la cassa del
denaro e portava via il denaro che vi si metteva”. — Giovanni 12:6.
Chiaramente Giuda era divenuto un ladro abituale, un avido. Nell’imminenza della Pasqua cruciale del 33
E.V. Giuda, dopo essere stato rimproverato da Gesù, si accordò con i capi sacerdoti omicidi per tradire il
Signore in cambio di 30 pezzi d’argento. In seguito Giuda si rese conto dell’enorme gravità di quanto
aveva fatto e si suicidò. La micidiale morsa dell’avidità aveva fatto un’altra vittima. — Luca 22:3; Matteo
26:14-16.
Le conseguenze dannose dell’avidità sono numerosissime. Molti che sono all’avida ricerca di denaro ne
spendono gran parte per vivere in modo lussuoso. Possono disprezzare i cibi semplici per cercare
esclusivamente costosi cibi raffinati. Ma l’alimentazione troppo ricca che essi possono permettersi si
ritorce spesso su di loro, provocando indigestioni o problemi peggiori che possono portare a una morte
precoce. Uno specialista dice: “È un triste fatto ben risaputo nel mondo delle assicurazioni che negli
individui adulti gli eccessi alimentari e il sovrappeso contribuiscono a tutt’altro che allungare la durata
della vita”.
Ben più serio per chi è cristiano è il pericolo spirituale connesso con l’avidità. Il materialismo ha indotto
alcune donne cristiane i cui mariti guadagnavano ragionevolmente bene a cercare un lavoro, pur
dovendo poi trascurare i figli e avendo poche benedizioni nell’opera di predicazione. Ha spinto giovani
cristiani a cedere all’allettamento di lavori ben rimunerati senza nemmeno prendere in considerazione il
ministero continuo. Seguire la carne, si tratti di rapporti sessuali illeciti o di avidità per il denaro (e per i
piaceri e i beni materiali che con esso si ottengono), può portare a far commettere peccati gravi e
addirittura a perdere la vita eterna. “Poiché rivolgere la mente alla carne significa morte, . . . poiché se voi
vivete secondo la carne siete sicuri di morire”. — Romani 8:6, 13.
Come si può evitare o smettere di farsi prendere dall’avidità?
Quando l’avidità fa presa su una persona, è difficile liberarsene, per cui è meglio prevenire che curare. I
genitori devono reprimere le tendenze all’avidità prima in loro stessi e poi nei loro figli. Per lo più i bambini
tendono all’egoismo. Si dice che un giorno Abraham Lincoln stesse passeggiando con i suoi due piccoli e
che questi stessero piangendo. Un vicino chiese: “Che c’è che non va?” Lincoln rispose: “Quello che non
va in tutto il mondo. Ho tre noci e ognuno dei miei figli ne vuole due”.

w90 1/6 11 Geova è il nostro Governante!


7 Giuda Iscariota non aveva certo riconosciuto Geova come suo Governante: aveva tradito il Figlio di Dio
per 30 pezzi d’argento! Giuda restituì quel denaro ai capi sacerdoti, ma Pietro disse che il traditore
“acquistò un campo col salario dell’ingiustizia”. In che senso? Nel senso che provvide sia il denaro che il
motivo per acquistare il terreno che fu chiamato “Campo di Sangue”. Questo campo è stato identificato
con un appezzamento pianeggiante sul lato meridionale della valle di Innom. Dopo aver completamente
rovinato la propria relazione con il Governante celeste, Giuda “si impiccò”. (Matteo 27:3-10)
Probabilmente, però, la fune o il ramo dell’albero si spezzò, ed egli ‘cadde a capofitto’ sulle rocce
acuminate, ‘squarciandosi rumorosamente nel mezzo’. Auguriamoci che nessuno di noi divenga un falso
fratello!

w92 15/7 6 La Bibbia si contraddice?


⌡ Come morì Giuda Iscariota?
Matteo 27:5 dice che Giuda si impiccò, mentre Atti 1:18 dice che, “cadendo a capofitto, si squarciò
rumorosamente nel mezzo, e tutti i suoi intestini si sparsero”. Mentre Matteo sembra indicare la maniera
in cui avvenne il tentato suicidio, Atti ne descrive i risultati. A quanto pare Giuda legò una fune al ramo di
un albero, si mise il cappio al collo e tentò di impiccarsi saltando giù da una rupe. Sembra però che la
fune o il ramo si sia spezzato così che egli precipitò e si sfracellò sulle rocce sottostanti. La topografia dei
dintorni di Gerusalemme mostra che questa conclusione è ragionevole.
W62 P.285-286

Giuseppe (n. 1) — Tema: Manifestate le qualità dell’uomo spirituale 1°CORINTI 2:14-16

it-1 1170-6 Giuseppe


GIUSEPPE
[ebr. Yohsèf, forma abbreviata di Yohsifyàh, “Iah aggiunga (aumenti); Iah ha aggiunto (aumentato)”].
1. Primo dei due figli che Giacobbe ebbe dalla diletta moglie Rachele. (Ge 35:24) Alla nascita di questo
figlio, Rachele, poiché era stata sterile, esclamò: “Dio ha tolto il mio biasimo!” Quindi lo chiamò Giuseppe,
dicendo: “Geova mi aggiunge un altro figlio”, vale a dire un altro figlio oltre Dan e Neftali, che Rachele
aveva riconosciuto come figli suoi benché fossero stati partoriti dalla sua serva Bila. (Ge 30:3-8, 22-24)
All’epoca Giacobbe aveva 91 anni. — Cfr. Ge 41:46, 47, 53, 54; 45:11; 47:9.
Sei anni dopo Giacobbe con tutta la famiglia lasciò Paddan-Aram per fare ritorno al paese di Canaan.
(Ge 31:17, 18, 41) Saputo che suo fratello Esaù gli veniva incontro con 400 uomini, Giacobbe divise i figli,
le mogli e le concubine, mettendo Rachele e Giuseppe in coda, il posto più sicuro. (Ge 33:1-3) Giuseppe
e sua madre furono perciò gli ultimi a inchinarsi davanti a Esaù. — Ge 33:4-7.
Dopo ciò Giuseppe dimorò con la famiglia a Succot, a Sichem (Ge 33:17-19) e a Betel. (Ge 35:1, 5, 6)
Poi, durante il viaggio da Betel a Efrat (Betleem), sua madre Rachele morì nel dare alla luce Beniamino.
— Ge 35:16-19.
Odiato dai fratellastri. A 17 anni Giuseppe, insieme ai figli che Giacobbe aveva avuto da Bila e Zilpa,
badava alle pecore. Benché fosse il più giovane, non prendeva parte alle loro cattive azioni, anzi riferiva
fedelmente al padre quello che facevano. — Ge 37:2.
Giacobbe amava Giuseppe più di tutti gli altri figli, poiché era un figlio della sua vecchiaia. L’amore di
Giuseppe per la giustizia può avere pure contribuito a renderlo particolarmente caro a suo padre.
Giacobbe fece fare per lui una lunga veste a righe, forse simile a quelle indossate da persone di alto
rango. Per questo Giuseppe era odiato dai fratellastri. Quando poi raccontò un sogno che indicava che
egli avrebbe avuto preminenza su di loro, i fratelli si inasprirono ancora di più contro di lui. Un secondo
sogno indicò che non solo i suoi fratelli, ma anche suo padre e sua madre (evidentemente non Rachele,
allora già morta, ma forse la famiglia o la moglie principale di Giacobbe ancora in vita), si sarebbero
inchinati davanti a lui. Per aver raccontato questo sogno Giuseppe fu rimproverato dal padre, e la gelosia
dei fratelli aumentò. Il fatto che Giuseppe parlasse dei suoi sogni non significa che si sentisse superiore.
Semplicemente riferiva quello che Dio gli aveva rivelato. Può darsi che Giacobbe abbia riconosciuto la
natura profetica dei sogni, poiché “osservò la parola”. — Ge 37:3-11.
In un’altra occasione Giacobbe, allora a Ebron, volle che Giuseppe andasse a vedere se il gregge e i suoi
fratelli che si trovavano nelle vicinanze di Sichem stavano bene. Vista la loro animosità, questo non
dovette essere un incarico piacevole per Giuseppe. Eppure senza esitazione disse: “Eccomi!” Dal
bassopiano di Ebron s’incamminò alla volta di Sichem. Informato da un uomo che i suoi fratelli erano
partiti per Dotan, Giuseppe proseguì. Quando i fratelli lo scorsero da lontano, cominciarono a tramare
contro di lui dicendo: “Ecco, viene quel sognatore. E ora venite e uccidiamolo e gettiamolo in una delle
cisterne . . . Quindi vediamo che ne sarà dei suoi sogni”. (Ge 37:12-20) Ruben, il primogenito, cercò però
di sventare il complotto omicida e li esortò a non uccidere Giuseppe ma a gettarlo in una cisterna
asciutta. Quando Giuseppe arrivò lo spogliarono della lunga veste a righe e fecero come Ruben aveva
suggerito. Poi, avvistata una carovana di ismaeliti, Giuda in assenza di Ruben persuase gli altri che
invece di uccidere Giuseppe sarebbe stato meglio venderlo ai mercanti di passaggio. — Ge 37:21-27.
Venduto schiavo. Benché Giuseppe li supplicasse di avere compassione di lui, essi lo vendettero per 20
pezzi d’argento. (Ge 37:28; 42:21) Quindi ingannarono Giacobbe facendogli credere che Giuseppe fosse
stato ucciso da una bestia feroce. L’anziano Giacobbe fu così addolorato per la perdita del figlio che
rifiutava di lasciarsi confortare. — Ge 37:31-35.
I mercanti portarono Giuseppe in Egitto e lo vendettero a Potifar, capo della guardia del corpo del
faraone. (Ge 37:28, 36; 39:1) Un simile acquisto da parte di Potifar non era insolito, poiché antichi
documenti papiracei rivelano che gli schiavi siri (Giuseppe era per metà siro [Ge 29:10; 31:20]) erano
molto apprezzati in Egitto.
Come era stato diligente nel promuovere gli interessi di suo padre, così anche da schiavo Giuseppe si
dimostrò industrioso e fidato. Con la benedizione di Geova tutto quello che faceva aveva successo.
Perciò Potifar gli affidò tutti gli affari della sua famiglia. Sembra dunque che Giuseppe abbia avuto
l’incarico di sovrintendente, incarico menzionato da documenti egiziani in relazione alle grandi case di
egiziani influenti. — Ge 39:2-6.
Resiste alla tentazione. Nel frattempo Giuseppe era diventato un uomo molto bello. Di conseguenza la
moglie di Potifar s’invaghì di lui. Ripetutamente gli chiese di avere rapporti sessuali con lei. Ma Giuseppe,
addestrato nella via della giustizia, rifiutò dicendo: “Come potrei dunque commettere questo grande male
e peccare realmente contro Dio?” Questo però non pose fine alle sue difficoltà. Come risulta dagli scavi
archeologici, le case egiziane erano disposte in modo che per raggiungere la dispensa si doveva
attraversare il corpo principale dell’edificio. Se la casa di Potifar era disposta in tal modo, sarebbe stato
impossibile per Giuseppe evitare ogni contatto con la moglie di Potifar. — Ge 39:6-10.
Alla fine la moglie di Potifar approfittò di quella che secondo lei era una buona occasione. Mentre non
c’erano altri uomini in casa e Giuseppe si stava occupando degli affari domestici, gli afferrò la veste
dicendo: “Giaci con me!” Ma Giuseppe le lasciò la veste in mano e fuggì. Allora lei cominciò a gridare
facendo credere che Giuseppe le avesse fatto proposte immorali. Quando lo raccontò a Potifar suo
marito, questi adirato fece gettare Giuseppe nel carcere dove erano detenuti i prigionieri del re. — Ge
39:11-20.
In prigione. Sembra che inizialmente in prigione Giuseppe fosse trattato col massimo rigore. “Afflissero
con i ceppi i suoi piedi, la sua anima entrò nei ferri”. (Sl 105:17, 18) Ma in seguito il comandante della
prigione, vista la condotta esemplare di Giuseppe in circostanze avverse e la benedizione di Geova, gli
affidò la sorveglianza degli altri prigionieri. In tale incarico di fiducia Giuseppe, sebbene prigioniero,
dimostrò ancora una volta di essere un abile amministratore, disponendo che tutto il lavoro venisse fatto.
— Ge 39:21-23.
In seguito, quando due funzionari del faraone, il capo coppiere e il capo panettiere, furono messi nella
stessa prigione, Giuseppe fu incaricato di servirli. Col tempo questi uomini fecero entrambi dei sogni, che
Giuseppe, dopo averne attribuito l’interpretazione a Dio, spiegò loro. Il sogno del coppiere indicava che di
lì a tre giorni egli sarebbe stato riabilitato. Giuseppe gli chiese di ricordarsi di lui e di parlare al faraone
affinché potesse essere liberato di prigione. Spiegò che era stato rapito “dal paese degli ebrei” e che non
aveva fatto nulla per cui dovesse essere detenuto. Probabilmente per non mettere in cattiva luce la sua
famiglia, Giuseppe non identificò i rapitori. Poi interpretò il sogno del panettiere spiegando che di lì a tre
giorni egli sarebbe stato messo a morte. Entrambi i sogni si adempirono tre giorni dopo, in occasione del
compleanno del faraone. Questo senza dubbio convinse Giuseppe del sicuro adempimento dei suoi
stessi sogni e lo aiutò a perseverare. Erano ormai passati circa 11 anni da che era stato venduto dai
fratelli. — Ge 40:1-22; cfr. Ge 37:2; 41:1, 46.
Davanti al faraone. Una volta riabilitato, il coppiere si dimenticò di Giuseppe. (Ge 40:23) Ma, passati altri
due anni, il faraone fece due sogni che nessuno dei sacerdoti che praticavano la magia e nessuno dei
saggi d’Egitto riuscì a interpretare. Fu allora che il coppiere menzionò Giuseppe al faraone, che lo mandò
a chiamare immediatamente. Secondo la consuetudine egiziana, Giuseppe prima di presentarsi al
faraone si rase e si cambiò d’abito. Anche in questo caso non si attribuì alcun merito ma disse che
l’interpretazione apparteneva a Dio. Quindi spiegò che entrambi i sogni additavano sette anni di
abbondanza seguiti da sette anni di carestia. Inoltre suggerì le misure da adottare per alleviare la futura
carestia. — Ge 41:1-36.
Secondo governante d’Egitto. Il faraone riconobbe nel 30enne Giuseppe un uomo abbastanza saggio
da amministrare ogni cosa in tempo di abbondanza e in tempo di carestia. Perciò lo costituì secondo
governante d’Egitto, gli diede il proprio anello con sigillo, vesti di lino fine e una collana d’oro. (Ge 41:37-
44, 46; cfr. Sl 105:17, 20-22). Un’investitura del genere è conforme a quelle descritte da iscrizioni e
affreschi egiziani. Pure interessante è che da documenti dell’antico Egitto risulta che parecchi cananei
ebbero alti incarichi in Egitto, e anche il fatto che a Giuseppe fu dato un altro nome, Zafenat-Panea, non
è insolito. A Giuseppe inoltre venne data in moglie Asenat figlia di Potifera (da un termine egiziano che
significa “colui che Ra ha dato”), sacerdote di On. — Ge 41:45.
Dopo ciò Giuseppe fece un giro del paese d’Egitto e si preparò ad amministrare gli affari di stato,
immagazzinando grandi quantità di viveri durante gli anni di abbondanza. Prima che iniziasse la carestia
la moglie Asenat gli aveva dato due figli, Manasse ed Efraim. — Ge 41:46-52.
I fratellastri vengono a comprare viveri. Poi giunse la carestia. Poiché si estese ben oltre i confini
d’Egitto, molti vennero dai paesi circostanti per comprare viveri da Giuseppe. Alla fine arrivarono anche i
suoi dieci fratellastri che si prostrarono davanti a lui adempiendo in parte i due precedenti sogni di
Giuseppe. (Ge 41:53–42:7) Ma essi non lo riconobbero, perché indossava abiti regali e parlava loro per
mezzo di un interprete. (Ge 42:8, 23) Fingendo di non conoscerli, Giuseppe li accusò di essere spie; al
che essi dichiararono di essere dieci fratelli che avevano lasciato a casa il padre e il fratello minore, e che
un altro fratello non era più. Giuseppe tuttavia ribadì che erano spie e li fece arrestare. Il terzo giorno
disse loro: “Fate questo e continuate a vivere. Io temo il vero Dio. Se siete retti, uno dei vostri fratelli sia
tenuto legato nella vostra casa di custodia [evidentemente quella in cui tutti e dieci erano detenuti], ma
voi altri andate, prendete cereali per la carestia nelle vostre case. Quindi condurrete da me il vostro
fratello più giovane, perché le vostre parole siano trovate degne di fede; e non morirete”. — Ge 42:9-20.
A motivo di questi sviluppi i fratellastri di Giuseppe cominciarono a pensare che si trattava di una
punizione divina perché anni prima l’avevano venduto schiavo. Di fronte al fratello, che non avevano
ancora riconosciuto, parlarono della loro colpa. Sentendo le loro parole che manifestavano pentimento,
Giuseppe si commosse tanto che gli venne da piangere e dovette allontanarsi. Poi fece legare Simeone e
lo trattenne finché non fossero tornati con il fratello minore. — Ge 42:21-24.
I fratellastri ritornano con Beniamino. Quando i nove fratellastri di Giuseppe raccontarono a Giacobbe
cosa era accaduto in Egitto e poi scoprirono che il denaro era di nuovo nei loro sacchi, tutti si
spaventarono moltissimo, e il padre diede sfogo al suo dolore. Solo la gravità della carestia, insieme
all’assicurazione di Giuda che Beniamino sarebbe tornato sano e salvo, indussero Giacobbe a lasciare
che il figlio minore accompagnasse gli altri in Egitto. — Ge 42:29–43:14.
Al loro arrivo ritrovarono Simeone e, con grande sorpresa, furono tutti invitati a pranzare con
l’amministratore annonario. Quando Giuseppe entrò essi gli offrirono un dono, si prostrarono e, dopo aver
risposto alle sue domande circa il loro padre, s’inchinarono di nuovo davanti a lui. Vedendo suo fratello
Beniamino, Giuseppe rimase così turbato che se ne andò dalla loro presenza per dare libero sfogo alle
lacrime. Quando riuscì a dominarsi fece servire il pranzo. Gli 11 fratelli erano seduti al loro tavolo
secondo l’età, e a Beniamino furono date porzioni cinque volte maggiori che agli altri. Probabilmente
Giuseppe voleva vedere se i fratelli nutrivano ancora gelosia. Ma essi non si mostrarono gelosi. — Ge
43:15-34.
Come la volta precedente, Giuseppe fece rimettere il denaro di ciascuno nel suo sacco (Ge 42:25), e per
di più fece mettere il suo calice d’argento nel sacco di Beniamino. Dopo che si erano incamminati li fece
inseguire e li accusò di avere rubato il suo calice d’argento. Forse per convincerli del grande valore che
aveva per lui e della gravità del loro presunto reato, l’uomo preposto alla casa di Giuseppe fu incaricato di
dir loro: “Non è questa la cosa da cui il mio padrone beve e per mezzo di cui trae abilmente presagi?” (Ge
44:1-5) Naturalmente, poiché faceva tutto parte di uno stratagemma, non c’è ragione di ritenere che
Giuseppe usasse effettivamente il calice d’argento per trarre presagi. Giuseppe infatti voleva sostenere la
parte di amministratore di un paese in cui la vera adorazione era sconosciuta.
Quando il calice fu trovato nel sacco di Beniamino la costernazione dei fratelli dovette essere grande.
Con gli abiti strappati tornarono a casa di Giuseppe e si inchinarono davanti a lui. Giuseppe disse loro
che potevano partire tutti tranne Beniamino. Ma essi non vollero partire, dimostrando di non avere più lo
spirito invidioso che circa 22 anni prima li aveva indotti a vendere il fratello. Giuda perorò con eloquenza
la loro causa, offrendosi di prendere il posto di Beniamino affinché il loro padre non morisse dal dolore se
Beniamino non fosse tornato. — Ge 44:6-34.
Giuseppe rivela la sua identità. Giuseppe fu così commosso dalla supplica di Giuda che non poté più
trattenersi. Dopo avere ordinato a tutti gli estranei di uscire, si fece riconoscere dai suoi fratelli. Pur
essendo stato trattato duramente da loro, non covava rancore, e disse: “Ora non vi addolorate e non vi
adirate con voi stessi per avermi venduto qui; perché Dio mi ha mandato davanti a voi per la
conservazione della vita. Poiché questo è il secondo anno della carestia in mezzo alla terra, e ci saranno
altri cinque anni nei quali non ci sarà né aratura né mietitura. Di conseguenza Dio mi ha mandato davanti
a voi affinché abbiate sulla terra un rimanente e per mantenervi in vita mediante un grande scampo. Or
dunque non foste voi a mandarmi qui, ma fu il vero Dio”. (Ge 45:1-8) Il perdono di Giuseppe era sincero,
poiché pianse e li baciò tutti. — Ge 45:14, 15.
Quindi, secondo gli ordini del faraone, Giuseppe provvide ai suoi fratelli dei carri perché potessero
portare Giacobbe e l’intera famiglia in Egitto. Inoltre diede loro doni e provviste per il viaggio. E
nell’accomiatarsi li incoraggiò dicendo: “Non vi esasperate l’un l’altro per la via”. — Ge 45:16-24.
Il padre di Giuseppe in Egitto. Giacobbe, che aveva ormai 130 anni, in un primo tempo non poteva
credere che suo figlio Giuseppe fosse ancora vivo. Ma quando alla fine si convinse, esclamò: “Ah, fammi
andare a vederlo prima che io muoia!” Poi, a Beer-Seba, mentre era diretto in Egitto con l’intera famiglia,
Giacobbe ebbe l’assicurazione che Dio approvava il trasferimento e gli fu anche detto: “Giuseppe ti porrà
la mano sugli occhi”. Sarebbe stato Giuseppe dunque a chiudere gli occhi di Giacobbe dopo la sua
morte. Poiché abitualmente era il primogenito a farlo, Geova rivelò in questo modo che Giuseppe doveva
avere la primogenitura. — Ge 45:25–46:4.
Avvertito dell’arrivo del padre da Giuda, che era stato mandato avanti, Giuseppe fece preparare il suo
carro e andò incontro a Giacobbe a Gosen. Poi con cinque fratelli andò dal faraone. Secondo le istruzioni
di Giuseppe, i suoi fratelli si dichiararono pastori di pecore e chiesero di poter risiedere come stranieri nel
paese di Gosen. Il faraone accolse la loro richiesta, e Giuseppe, dopo avere presentato suo padre al
faraone, lo sistemò insieme alla sua famiglia nella parte migliore del paese. (Ge 46:28–47:11) In modo
amorevole e saggio Giuseppe approfittò così di un pregiudizio che gli egiziani avevano nei confronti dei
pastori. Questo servì a salvaguardare la famiglia di Giacobbe dalla corruttrice influenza egiziana ed
eliminò il pericolo che, contraendo matrimoni con loro, venissero completamente assorbiti dagli egiziani.
Da quel momento in poi Giacobbe e tutta la sua famiglia dipesero da Giuseppe. (Ge 47:12) In effetti, in
rimarchevole adempimento dei suoi sogni profetici, tutti si inchinavano a Giuseppe, primo ministro del
faraone.
Effetto della carestia sugli egiziani. Poiché la carestia continuava, gli egiziani a poco a poco diedero
tutto il denaro e il bestiame che avevano in cambio di viveri. Alla fine vendettero la loro terra e divennero
essi stessi schiavi del faraone. Allora Giuseppe li sistemò in città, senza dubbio per facilitare la
distribuzione dei cereali. Ma a quanto pare questo insediamento nelle città fu solo una misura
temporanea. Dovendo tornare ai loro campi per seminare, gli egiziani logicamente rioccuparono le loro
case di un tempo. Quando avrebbero avuto un nuovo raccolto, secondo il decreto di Giuseppe, gli
egiziani in cambio dell’uso della terra avrebbero dovuto dare un quinto del prodotto al faraone. I sacerdoti
però furono esentati. — Ge 47:13-26.
Giacobbe benedice i figli di Giuseppe. Circa 12 anni dopo la fine della carestia Giuseppe portò da
Giacobbe i suoi due figli, Manasse ed Efraim. Allora Giacobbe indicò che la primogenitura spettava a
Giuseppe, essendo Efraim e Manasse considerati pari ai figli diretti di Giacobbe. Perciò da Giuseppe
sarebbero sorte due tribù distinte, con due diverse eredità tribali. Nel benedire Efraim e Manasse,
Giacobbe pose la destra sul più giovane, Efraim, anche se questo dispiacque a Giuseppe. Dando la
preferenza a Efraim, Giacobbe indicò profeticamente che il più giovane sarebbe diventato il più grande.
— Ge 47:28, 29; 48:1-22; vedi anche De 21:17; Gsè 14:4; 1Cr 5:1.
Benedetti Giuseppe e gli altri figli. Poi, in punto di morte, Giacobbe chiamò a sé tutti i suoi figli e li
benedisse uno per uno. Paragonò Giuseppe al “germoglio di un albero fruttifero”. L’“albero fruttifero” era il
patriarca Giacobbe stesso, e Giuseppe diventò uno dei rami principali. (Ge 49:22) Benché angariato da
arcieri e oggetto di animosità, l’arco di Giuseppe “dimorava in luogo permanente, e la forza delle sue
mani era agile”. (Ge 49:23, 24) Questo si poteva dire personalmente di Giuseppe. I suoi fratellastri
avevano covato animosità e figurativamente l’avevano colpito per eliminarlo. Eppure Giuseppe li ripagò
con misericordia e amorevole benignità, qualità simili a frecce che uccisero la loro animosità. Gli arcieri
nemici non riuscirono a uccidere Giuseppe né a indebolire la sua devozione alla giustizia e il suo affetto
fraterno.
Tuttavia profeticamente le parole di Giacobbe potevano applicarsi alle tribù che avrebbero avuto origine
dai due figli di Giuseppe, Efraim e Manasse, e alle loro future battaglie. (Cfr. De 33:13, 17; Gdc 1:23-25,
35). È interessante che Giosuè (Oshea), successore di Mosè e condottiero nella lotta contro i cananei,
era della tribù di Efraim. (Nu 13:8, 16; Gsè 1:1-6) Un altro discendente di Giuseppe, Gedeone della tribù
di Manasse, con l’aiuto di Geova sconfisse i madianiti. (Gdc 6:13-15; 8:22) E Iefte, evidentemente anche
lui della tribù di Manasse, soggiogò gli ammoniti. — Gdc 11:1, 32, 33; cfr. Gdc 12:4; Nu 26:29.
Altri aspetti della benedizione profetica di Giacobbe pure trovano un parallelo nelle esperienze di
Giuseppe. Il fatto che Giuseppe, anziché vendicarsi, provvide per l’intera famiglia di Giacobbe o Israele,
rivela che fu un pastore e una pietra di sostegno per Israele. Poiché Geova aveva diretto le cose in modo
che potesse divenire tale, Giuseppe era venuto dalle mani del “Potente di Giacobbe”. Essendo da Dio,
Giuseppe ebbe il Suo aiuto. Ed era con l’Onnipotente in quanto era dalla parte di Geova e perciò oggetto
della sua benedizione. — Ge 49:24, 25.
Anche le tribù che sarebbero discese da Giuseppe per mezzo di Efraim e Manasse avrebbero avuto la
benedizione di Geova. Giacobbe aveva detto: “[L’Onnipotente] ti benedirà con le benedizioni dei cieli di
sopra, con le benedizioni delle acque dell’abisso che giacciono di sotto, con le benedizioni delle
mammelle e del seno”. (Ge 49:25) Questo assicurava ai discendenti di Giuseppe che avrebbero avuto
l’acqua necessaria dai cieli e dal sottosuolo, e anche una numerosa popolazione. — Cfr. De 33:13-16;
Gsè 17:14-18.
Le benedizioni che Giacobbe pronunciò sul diletto figlio Giuseppe sarebbero state come un ornamento
per le due tribù discese da lui. Queste benedizioni sarebbero state un ornamento superiore alle
benedizioni delle foreste e delle sorgenti che adornano i monti eterni e i colli di durata indefinita.
Sarebbero state una benedizione sempre presente sul capo di Giuseppe e dei suoi discendenti,
permanente come permanenti erano i monti e i colli. — Ge 49:26; De 33:16.
Giuseppe fu “separato di fra i suoi fratelli” perché Dio lo scelse per svolgere un ruolo speciale. (Ge 49:26)
Egli si era distinto manifestando ottimo spirito e capacità di sorvegliare e organizzare. Era dunque
appropriato che speciali benedizioni si riversassero sulla sua testa.
Dopo che ebbe finito di benedire i suoi figli Giacobbe morì. Giuseppe allora cadde sulla faccia del padre e
lo baciò. In base al desiderio di Giacobbe di essere sepolto nella caverna di Macpela, Giuseppe ne fece
imbalsamare il corpo dai medici egiziani in preparazione del viaggio fino in Canaan. — Ge 49:29–50:13.
Atteggiamento nei confronti dei fratelli. Una volta tornati dall’avere seppellito Giacobbe, i fratellastri di
Giuseppe, che provavano ancora rimorsi di coscienza, temevano che Giuseppe potesse vendicarsi, e
implorarono perdono. Allora Giuseppe scoppiò in lacrime, e li confortò rassicurandoli che non avevano
ragione di temere: “Non abbiate timore, poiché sono io in luogo di Dio? In quanto a voi, pensaste del
male contro di me. Dio lo pensò per il bene allo scopo di agire come in questo giorno per conservare in
vita molta gente. Or dunque non abbiate timore. Io stesso continuerò a provvedere al sostentamento
vostro e dei vostri fanciulletti”. — Ge 50:14-21.
Morte. Giuseppe sopravvisse al padre di circa 54 anni, raggiungendo l’età di 110 anni. Ebbe il privilegio
di vedere nipoti fino alla terza generazione. Prima di morire, chiese con fede che le sue ossa fossero
portate in Canaan dagli israeliti al momento dell’Esodo. Alla morte di Giuseppe il suo corpo venne
imbalsamato e deposto in una bara. — Ge 50:22-26; Gsè 24:32; Eb 11:22.
Preminenza del nome di Giuseppe. Vista la preminenza di Giuseppe tra i figli di Giacobbe, era del tutto
appropriato che il suo nome fosse usato a volte per indicare tutte le tribù di Israele (Sl 80:1) o quelle che
furono poi incluse nel regno settentrionale. (Sl 78:67; Am 5:6, 15; 6:6) Il suo nome figura anche nelle
profezie della Bibbia. Nella visione profetica di Ezechiele l’eredità di Giuseppe è doppia (Ez 47:13), una
delle porte della città chiamata “Geova stesso è lì” porta il nome di Giuseppe (Ez 48:32, 35) e, a proposito
della riunificazione del popolo di Geova, Giuseppe è chiamato capo di una parte della nazione e Giuda
capo dell’altra. (Ez 37:15-26) La profezia di Abdia indicava che “la casa di Giuseppe” avrebbe avuto una
parte nel distruggere “la casa di Esaù” (Abd 18), e la profezia di Zaccaria indicava che Geova avrebbe
salvato “la casa di Giuseppe”. (Zac 10:6) Giuseppe compare come una delle tribù dell’Israele spirituale al
posto di Efraim. — Ri 7:8.
Il fatto che Giuseppe sia menzionato in Rivelazione 7:8 fa pensare che la profezia di Giacobbe in punto di
morte doveva avere un’applicazione sull’Israele spirituale. È perciò degno di nota che il Potente di
Giacobbe, Geova Dio, abbia provveduto Cristo Gesù quale pastore eccellente che depose la sua vita per
“le pecore”. (Gv 10:11-16) Cristo Gesù è pure la pietra angolare di fondamento su cui poggia il tempio di
Dio composto di israeliti spirituali. (Ef 2:20-22; 1Pt 2:4-6) Inoltre questo Pastore e questa Pietra è con
l’Onnipotente Dio. — Gv 1:1-3; At 7:56; Eb 10:12; cfr. Ge 49:24, 25.
Paralleli fra Giuseppe e Cristo. Fra la vita di Giuseppe e la vita di Cristo Gesù si possono notare
numerosi paralleli. Come Giuseppe in particolare era stato oggetto dell’affetto paterno, così lo fu Gesù.
(Cfr. Mt 3:17; Eb 1:1-6). I fratellastri furono ostili a Giuseppe. Similmente Gesù fu respinto dai suoi, dagli
ebrei (Gv 1:11), e i suoi fratellastri carnali in un primo momento non ebbero fede in lui. (Gv 7:5) La pronta
ubbidienza di Giuseppe nel sottomettersi alla volontà del padre andando a vedere come stavano i
fratellastri ha un parallelo nella prontezza con cui Gesù venne sulla terra. (Flp 2:5-8) Le amare
esperienze che Giuseppe ebbe in seguito a quella missione sono paragonabili a quelle avute da Gesù,
specie quando fu maltrattato e infine messo a morte su un palo di tortura. (Mt 27:27-46) Come i fratellastri
vendettero Giuseppe alla carovana di madianiti-ismaeliti, così gli ebrei consegnarono Gesù all’autorità
romana perché fosse messo a morte. (Gv 18:35) Sia Giuseppe che Gesù furono affinati e preparati
attraverso la sofferenza per il loro ruolo salvifico. (Sl 105:17-19; Eb 5:7-10) Il fatto che Giuseppe fu
elevato alla posizione di amministratore annonario d’Egitto, e perciò poté salvare delle vite, trova un
parallelo nell’esaltazione di Gesù e nel suo ruolo di Salvatore sia degli ebrei che dei non ebrei. (Gv 3:16,
17; At 5:31) Le macchinazioni dei fratelli ai danni di Giuseppe furono il mezzo con cui Dio li salvò dal
morire di fame. Similmente la morte di Gesù provvide la base per la salvezza. — Gv 6:51; 1Co 1:18.

w87 1/5 10-14 Una mortifera carestia in un tempo di abbondanza


Una mortifera carestia in un tempo di abbondanza
“I miei propri servitori mangeranno, ma voi stessi avrete fame”. — ISAIA 65:13.
LO SPETTRO della carestia incombe sul mondo intero! Parlando della critica situazione esistente, un
editoriale del Boston Globe dichiarava: “Un mondo in cui quasi un miliardo di persone vive ai limiti della
sussistenza deve trovare i modi per aiutare le nazioni più povere a godere qualcosa che si avvicini
all’opulenza delle nazioni più ricche”. Tuttavia, neppure le cosiddette nazioni tecnologicamente progredite
possono dirsi totalmente libere dal problema della scarsità di viveri. Non sono riuscite neppure loro a
preparare programmi con i quali assicurare cibo a tutti i cittadini. Coloro che si occupano di problemi
umanitari lottano contro il crescente problema. Esiste una soluzione?
2 Il succitato editoriale ammetteva: “L’aspetto più scoraggiante della denutrizione . . . è il fatto che il
mondo ha chiaramente la capacità di dar da mangiare a tutti”. Eppure il flagello della carestia e della
fame continua ad avanzare. Come mai? Il nostro amorevole Creatore ha provveduto copiosamente per
tutti i miliardi di persone che pullulano sulla terra. Nel preparare la terra come dimora dell’uomo, egli la
fece in modo che essa potesse produrre in abbondanza, più che a sufficienza per tutti. (Salmo 72:16-19;
104:15, 16, 24) Anche in questi tempi difficili ci viene assicurato che il nostro grande Provveditore fornirà
sufficiente cibo a chi si rivolge alla Fonte giusta. Tramite Colui che ha nominato grande Amministratore
annonario, egli ci dice: “Continuate . . . a cercare prima il regno e la . . . giustizia [di Dio], e tutte queste
altre cose [materiali necessarie per vivere] vi saranno aggiunte”. — Matteo 6:33; 1 Giovanni 4:14.
Una mortifera carestia
3 Oggi sulla terra la deplorevole carestia spirituale è quella più grave di tutte. Essa è direttamente
collegata con la mancanza di pace. L’umanità si muove alla cieca, cercando freneticamente una
soluzione. Molti secoli fa l’onnipotente Dio fece scrivere al suo profeta queste parole a proposito
dell’attuale situazione: “‘Ecco, vengono i giorni’, è l’espressione del Sovrano Signore Geova, ‘e senz’altro
manderò la carestia nel paese, una carestia, non di pane, e una sete, non d’acqua, ma di udire le parole
di Geova. E di sicuro vagheranno da mare fino a mare, e dal nord fino al levante. Continueranno a
girovagare in cerca della parola di Geova, ma non la troveranno’”. — Amos 8:11, 12.
4 Ma c’è modo di uscire da questo vicolo cieco? L’apostolo Paolo dice di sì, incoraggiandoci con le
parole: “L’Iddio che ha fatto il mondo . . . ha decretato i tempi fissati e i limiti stabiliti della dimora degli
uomini, perché cerchino Dio, se possono andare come a tastoni e realmente trovarlo, benché, in effetti,
non sia lontano da ciascuno di noi”. — Atti 17:24-27.
5 Se Dio ‘non è lontano da ciascuno di noi’, perché allora tanti lo cercano senza trovarlo? Perché lo
cercano nei posti sbagliati. Quanti di coloro che si definiscono cristiani consultano di persona il libro di
testo fondamentale del cristianesimo, la Sacra Bibbia? Quanti cosiddetti “pastori” usano la Parola di Dio
per insegnare alle “pecore”? (Confronta Ezechiele 34:10). Gesù disse agli orgogliosi capi religiosi del suo
tempo che essi non conoscevano “né le Scritture né la potenza di Dio”. (Matteo 22:29; Giovanni 5:44).
Gesù, invece, conosceva le Scritture e le insegnava alle persone, per le quali provava pietà “perché
erano mal ridotte e disperse come pecore senza pastore”. — Matteo 9:36.
In che senso un tempo di abbondanza?
6 Geova rassicura e incoraggia chi cerca sinceramente di conoscerlo. Riprendendo i falsi pastori religiosi,
dice tramite il suo profeta Isaia: “Ecco, i miei propri servitori mangeranno, ma voi stessi avrete fame.
Ecco, i miei propri servitori berranno, ma voi stessi avrete sete. Ecco, i miei propri servitori si
rallegreranno, ma voi stessi proverete vergogna”. (Isaia 65:13, 14) Ma in che modo Dio provvede
abbondanza ai suoi servitori? Cosa dobbiamo fare per provare la gioia di usufruire dei provvedimenti che
ha preso per conservare in vita nonostante l’attuale carestia spirituale?
7 Poiché la sopravvivenza dipende completamente dal conoscere le esigenze di Dio e dall’agire in base
ad esse con fede, dovremmo essere lieti di esaminare la Parola di Dio per cercare di sapere cosa egli
vuole da noi e di discernere il suo modo di agire nei nostri confronti. (Giovanni 17:3) A questo fine,
prenderemo ora in esame un dramma biblico che presenta delle analogie con quanto sta accadendo
oggi. Il personaggio principale di questo dramma è il patriarca Giuseppe. Esattamente come prese saggi
provvedimenti per il Suo popolo tramite Giuseppe, così oggi Geova guida amorevolmente coloro che Lo
cercano. — Confronta Romani 15:4; 1 Corinti 10:11, NW nota (*); Galati 4:24.
Giuseppe, colui che conserva in vita
8 Il figlio di Giacobbe, Giuseppe, colui che conservò in vita, ebbe un ruolo davvero straordinario. Questo
rappresentava qualcosa per il futuro? Ebbene, pensate a come Giuseppe sopportò l’immeritato
trattamento che gli riservarono i suoi fratelli, a come affrontò prove e difficoltà in un paese straniero, alla
sua incrollabile fede, al fatto che mantenne l’integrità e a come fu elevato alla posizione di saggio
amministratore durante una catastrofica carestia. (Genesi 39:1-3, 7-9; 41:38-41) Non troviamo forse un
parallelo nella vita di Gesù?
9 Sopportando le avversità, Gesù divenne il Pane della vita in un mondo che languisce per quanto
riguarda l’“udire le parole di Geova”. (Amos 8:11; Ebrei 5:8, 9; Giovanni 6:35) Sia Giacobbe che Faraone,
nella relazione che ognuno di loro aveva con Giuseppe, ci fanno pensare a Geova e a ciò che egli
compie tramite il Figlio suo. (Giovanni 3:17, 34; 20:17; Romani 8:15, 16; Luca 4:18) C’erano anche altri
personaggi che presero parte allo svolgimento di questo dramma veramente accaduto, e sarà
interessante prenderne in considerazione il ruolo. Ci farà senz’altro ricordare quanto dipendiamo dal più
grande Giuseppe, Cristo Gesù. Come siamo grati che egli ci preservi dalla mortifera carestia di questi
“ultimi giorni” che peggiorano sempre più! — 2 Timoteo 3:1, 13.
Lo svolgimento del dramma
10 Al tempo di Giuseppe nessun uomo avrebbe potuto sapere in anticipo cosa Geova aveva in serbo per
il Suo popolo. Ma quando invitò Giuseppe ad assolvere il suo ruolo di vitale importanza, Geova lo aveva
già addestrato e ne aveva già perfezionato le qualità. Parlando della sua giovinezza, il racconto dice:
“Giuseppe, quando aveva diciassette anni, badava alle pecore con i suoi fratelli fra il gregge, e, non
essendo che un ragazzo, era con i figli di Bila e con i figli di Zilpa, le mogli di suo padre. Giuseppe portò
dunque al loro padre una cattiva notizia sul loro conto”. (Genesi 37:2) Si mostrò leale agli interessi di suo
padre, proprio come Gesù fu irremovibilmente leale nel badare al gregge del Padre suo in mezzo a una
“generazione infedele e storta”. — Matteo 17:17, 22, 23.
11 Israele, suo padre, finì con l’amare lui più di tutti i suoi fratelli e gli mostrò il suo favore facendogli fare
una lunga veste a righe simile a una camicia. Per questo motivo i fratellastri di Giuseppe “lo odiavano e
non gli potevano parlare in maniera pacifica”. Trovarono ulteriori motivi per odiarlo allorché lui ebbe due
sogni che, secondo la loro interpretazione, volevano dire che lui avrebbe dominato su di loro. In modo
simile, i capi degli ebrei finirono con l’odiare Gesù per via della sua lealtà, del suo persuasivo modo di
insegnare e dell’evidente benedizione concessagli da Geova. — Genesi 37:3-11; Giovanni 7:46; 8:40.
12 In un’occasione i fratelli di Giuseppe stavano badando alle pecore nei pressi di Sichem. Il padre di
Giuseppe era giustamente preoccupato perché era stato proprio lì che Sichem aveva contaminato Dina,
così che poi Simeone e Levi, insieme ai loro fratelli, avevano ucciso gli uomini di quella città. Giacobbe
chiese a Giuseppe di andare a vedere come stavano per tornare poi a riferirglielo. Nonostante la loro
animosità nei suoi confronti, Giuseppe andò immediatamente a cercare i suoi fratelli. Allo stesso modo,
Gesù fu lieto di accettare l’incarico affidatogli da Geova qui sulla terra, anche se questo avrebbe
significato soffrire moltissimo durante il periodo in cui lui fu perfezionato quale principale Agente della
salvezza. Che ottimo modello Gesù ha lasciato a tutti noi con la sua perseveranza! — Genesi 34:25-27;
37:12-17; Ebrei 2:10; 12:1, 2.
13 I dieci fratellastri scorsero Giuseppe da lontano. Subito si accesero d’ira contro di lui e prepararono un
piano per sbarazzarsene. In un primo momento pensarono di ucciderlo, ma Ruben, preoccupato per la
sua responsabilità quale primogenito, li convinse a gettare Giuseppe in una cisterna vuota,
riproponendosi di tornare più tardi a liberarlo. Nel frattempo, però, Giuda persuase i suoi fratelli a
venderlo come schiavo a una carovana ismaelita di passaggio. I fratelli presero poi la lunga veste di
Giuseppe, la intinsero nel sangue di un capro e la mandarono al padre loro. Dopo averla esaminata,
Giacobbe esclamò: “È la lunga veste di mio figlio! Una feroce bestia selvaggia deve averlo divorato!
Giuseppe è stato sicuramente sbranato!” Geova deve aver provato un dolore analogo per le sofferenze
patite da Gesù nell’assolvere il suo incarico sulla terra. — Genesi 37:18-35; 1 Giovanni 4:9, 10.
Giuseppe in Egitto
14 Non dobbiamo pensare che l’adempimento degli avvenimenti riguardanti Giuseppe abbia avuto luogo
nella stessa identica successione cronologica. Piuttosto, da quell’antico dramma ricaviamo una serie di
modelli che servono a istruire e incoraggiare noi oggi. L’apostolo Paolo afferma: “Tutte le cose che furono
scritte anteriormente furono scritte per nostra istruzione, affinché per mezzo della nostra perseveranza e
per mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza. Ora l’Iddio che dà perseveranza e conforto vi
conceda di avere fra voi la medesima attitudine mentale che ebbe Cristo Gesù, affinché di comune
accordo glorifichiate con una sola bocca l’Iddio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo”. — Romani 15:4-
6.
15 Giuseppe fu portato in Egitto e lì venne venduto a un egiziano di nome Potifar, capo della guardia del
corpo di Faraone. Geova mostrò d’essere con Giuseppe, il quale continuava a vivere in armonia con gli
ottimi princìpi instillatigli dal padre, sebbene fosse distante da casa. Giuseppe non abbandonò
l’adorazione di Geova. Col tempo il suo padrone, Potifar, si rese conto delle eccezionali qualità di
Giuseppe e gli affidò la sorveglianza di tutta la sua casa. Geova continuò a benedire la casa di Potifar a
motivo di Giuseppe. — Genesi 37:36; 39:1-6.
16 Fu lì che la moglie di Potifar cercò di sedurre Giuseppe. Lui continuò a respingerla. Un giorno lei gli
afferrò la veste, ma lui fuggì, lasciandole la veste in mano. Davanti a Potifar la donna accusò Giuseppe di
averle fatto proposte immorali e Potifar lo fece gettare in prigione. Per un certo tempo fu messo in ceppi
di ferro. Ma, nonostante tutte le difficoltà del periodo che trascorse in prigione, Giuseppe continuò a
dimostrarsi un uomo di integrità. Perciò il custode della prigione gli affidò la sorveglianza di tutti i
prigionieri. — Genesi 39:7-23; Salmo 105:17, 18.
17 Col passar del tempo il capo dei coppieri e il capo dei panettieri di Faraone lo scontentarono e furono
messi in prigione. Giuseppe ebbe l’incarico di servirli. Di nuovo Geova guidò le cose. I due funzionari di
corte ebbero sogni che li lasciarono perplessi. Dopo aver sottolineato il fatto che “le interpretazioni . . .
appartengono a Dio”, Giuseppe spiegò loro il significato dei sogni. E, proprio come aveva indicato
Giuseppe, tre giorni più tardi (in occasione del compleanno di Faraone) il coppiere fu riabilitato, mentre il
capo dei panettieri fu appeso. — Genesi 40:1-22.
18 Sebbene Giuseppe avesse implorato il coppiere di parlare in suo favore a Faraone, passarono due
anni prima che quell’uomo si ricordasse di lui. E anche allora, se ne ricordò solo perché Faraone nella
stessa notte per ben due volte ebbe sogni che lo sconcertarono. Allorché nessuno dei sacerdoti del re
che praticavano la magia ne poté svelare il significato, il coppiere disse a Faraone che li avrebbe potuti
interpretare Giuseppe. Faraone mandò quindi a chiamare Giuseppe, il quale con umiltà indicò chi era la
Fonte delle vere interpretazioni, dicendo: “Dio annuncerà benessere a Faraone”. Il governante egiziano
raccontò poi a Giuseppe i sogni con queste parole:
“Ecco, stavo sulla sponda del fiume Nilo. Ed ecco, dal fiume Nilo salivano sette vacche grasse di carne e
belle di forma, e pascevano fra l’erba del Nilo. Ed ecco, dopo di esse salivano sette altre vacche, misere
e molto brutte di forma e magre di carne. Per bruttezza non ne ho viste di simili in tutto il paese d’Egitto. E
le vacche scarne e brutte divoravano le prime sette vacche grasse. Queste entrarono dunque nel loro
ventre, eppure non si poteva notare che erano entrate nel loro ventre, poiché il loro aspetto era brutto
proprio come all’inizio. . . .
“Dopo ciò vidi nel mio sogno, ed ecco, c’erano sette spighe che salivano su un solo stelo, piene e buone.
Ed ecco, c’erano sette spighe raggrinzite, sottili, bruciate dal vento orientale, che crescevano dopo di
esse. E le spighe sottili inghiottivano le sette spighe buone. L’ho dunque detto ai sacerdoti che praticano
la magia, ma non c’è stato nessuno che me lo dichiarasse”. — Genesi 40:23–41:24.
19 Che strani sogni! Chi avrebbe mai potuto spiegarli? Li spiegò Giuseppe, ma non per glorificare se
stesso. Egli disse: “Il sogno di Faraone non è che uno solo. . . . Il vero Dio ha fatto vedere a Faraone ciò
che sta per fare”. Poi Giuseppe proseguì rivelando il poderoso messaggio profetico contenuto in quei
sogni:
“Ecco, vengono sette anni di grande abbondanza in tutto il paese d’Egitto. Ma dopo di essi sorgeranno
certamente sette anni di carestia, e tutta l’abbondanza del paese d’Egitto sarà certamente dimenticata e
la carestia semplicemente consumerà il paese. . . . E il fatto che il sogno è stato ripetuto a Faraone due
volte significa che la cosa è fermamente stabilita da parte del vero Dio, e il vero Dio si affretterà a farla”.
— Genesi 41:25-32.
20 Cosa poteva fare Faraone in vista dell’incombente carestia? Giuseppe suggerì a Faraone di prendere
provvedimenti ponendo sul paese un uomo discreto e saggio che immagazzinasse l’eccedenza dei
raccolti ottenuti durante gli anni buoni. A questo punto Faraone si era reso conto delle straordinarie
qualità di Giuseppe. Togliendosi l’anello con sigillo e mettendolo alla mano di Giuseppe, Faraone lo pose
a capo di tutto il paese d’Egitto. — Genesi 41:33-46.
21 Al tempo in cui si trovava di fronte a Faraone, Giuseppe aveva 30 anni, la stessa età che aveva Gesù
allorché fu battezzato e cominciò il suo vivificante ministero. L’articolo seguente mostrerà come Giuseppe
fu impiegato da Geova per prefigurare il Suo “principale Agente e Salvatore” in un tempo di carestia
spirituale con particolare riferimento ai nostri giorni. — Atti 3:15; 5:31.
[Riquadro a pagina 13]
Un giornalista del Sunday Star (Toronto, 30 marzo 1986) ha detto a proposito delle cosiddette chiese
istituzionali: “La loro più grave carenza sta nel non rendersi conto della grave fame spirituale degli uomini,
delle donne e dei giovani d’oggi”

w87 1/5 15-20 Conservàti in vita in un tempo di carestia


Conservàti in vita in un tempo di carestia
SUBITO dopo essere stato nominato amministratore annonario, Giuseppe compì il giro del paese
d’Egitto. Fece in modo che tutto fosse organizzato prima che iniziassero gli anni di abbondanza. A quel
punto il paese si mise a produrre tantissimo! Giuseppe continuò a radunare i viveri prodotti dai campi
intorno a ciascuna città immagazzinandoli nella città stessa. Continuò “ad ammassare il grano in
grandissima quantità, come la sabbia del mare, finché in ultimo smisero di contarlo, perché era senza
numero”. — Genesi 41:46-49.
2 I sette anni di abbondanza ebbero termine e iniziò la carestia, come Geova aveva predetto; la carestia
colpì non solo l’Egitto, ma “tutta la superficie della terra”. Quando in Egitto il popolo affamato cominciò a
invocare Faraone per avere pane, questi disse: “Andate da Giuseppe. Qualunque cosa vi dica, dovete
farla”. Giuseppe vendette grano agli egiziani finché essi non finirono il denaro. Successivamente come
pagamento accettò il loro bestiame. Da ultimo, il popolo andò da Giuseppe, dicendo: “Acquista noi e la
nostra terra per del pane, e noi insieme alla nostra terra diverremo schiavi di Faraone”. Giuseppe in tal
modo acquistò dagli egiziani tutta la terra per conto di Faraone. — Genesi 41:53-57; 47:13-20.
Come viene provveduto il cibo spirituale
3 Proprio come il grano distribuito da Giuseppe significò vita per gli egiziani, così il vero cibo spirituale è
indispensabile per nutrire i cristiani che diventano schiavi di Geova dedicandosi a Lui tramite il più grande
Giuseppe, Gesù Cristo. Nel corso del suo ministero terreno Gesù predisse che i suoi unti seguaci
avrebbero avuto la responsabilità di dispensare questi provvedimenti. Fece questa domanda: “Chi è
realmente lo schiavo fedele e discreto che il suo signore ha costituito sopra i propri domestici per dar loro
il cibo a suo tempo? Felice quello schiavo se il suo signore, arrivando, lo troverà a fare così!” — Matteo
24:45, 46.
4 Oggi il fedele rimanente di questa classe dello ‘schiavo discreto’ fa tutto ciò che è scritturalmente
possibile perché i dedicati testimoni di Geova, come pure le persone del mondo che mostrano interesse,
ricevano vivificante cibo spirituale. Questo incarico viene considerato un sacro dovere ed è compiuto
come sacro servizio reso a Geova. Lo “schiavo” ha inoltre organizzato congregazioni e ha loro fornito una
tale quantità di pubblicazioni bibliche che esse hanno molto “seme” del Regno da diffondere in pubblico
nei campi loro affidati. Questo corrisponde a quanto accadeva ai giorni di Giuseppe, allorché egli raccolse
il popolo nelle città e fornì ad esso grano sia da mangiare che da seminare in vista di un raccolto futuro.
— Genesi 47:21-25; Marco 4:14, 20; Matteo 28:19, 20.
5 Persino quando l’opera di predicazione pubblica è proscritta e i testimoni di Geova sono perseguitati, lo
“schiavo fedele” considera proprio sacro dovere provvedere tale cibo spirituale. (Atti 5:29, 41, 42; 14:19-
22) In caso di disastri naturali — come uragani, inondazioni, e terremoti — lo “schiavo” fa in modo che
siano soddisfatti sia i bisogni fisici che quelli spirituali della casa di Dio. Anche coloro che si sono trovati in
campi di concentramento hanno ricevuto regolarmente informazioni stampate. I confini nazionali non
possono impedire al cibo spirituale di giungere fino a coloro che ne hanno bisogno. Per continuare a
provvederne occorre coraggio, fede in Geova e spesso notevole ingegnosità. In tutto il mondo, durante il
solo 1986, lo “schiavo” ha prodotto una sovrabbondanza di 43.958.303 Bibbie e libri rilegati, nonché
550.216.455 riviste: veramente una “grandissima quantità, come la sabbia del mare”.
Vendetta, punizione o misericordia?
6 Alla fine la carestia raggiunse il paese di Canaan. Giacobbe inviò i dieci fratellastri di Giuseppe a
comprare grano. Ma non mandò Beniamino, l’unico fratello germano di Giuseppe, perché temeva, come
disse lui, che ‘gli capitasse un incidente mortale’. Dato che era Giuseppe a fare la vendita, i suoi fratelli
andarono da lui e gli si prostrarono dinanzi. Essi non riconobbero il loro fratello, ma Giuseppe riconobbe
loro. — Genesi 42:1-7.
7 Giuseppe a questo punto ricordò i suoi precedenti sogni sul loro conto. Ma cosa doveva fare? Avrebbe
dovuto vendicarsi? Ora che avevano tanto bisogno, doveva perdonarli per come lo avevano trattato? E
che dire dello straziante dolore provato dal padre? Bisognava dimenticarsene? Cosa ne pensavano ora i
suoi fratelli del grande errore che avevano commesso? Anche per Giuseppe questa era una prova. Le
sue azioni avrebbero rispecchiato l’atteggiamento mostrato in seguito dal più grande Giuseppe, Gesù
Cristo? Di questi 1 Pietro 2:22, 23 dice: “Egli non commise peccato, né fu trovato inganno nella sua
bocca. Quando era oltraggiato, non rese oltraggio. Quando soffriva, non minacciò, ma continuò ad
affidarsi a colui che giudica giustamente”.
8 Dato che poteva vedere la mano di Geova nell’evolversi degli avvenimenti, Giuseppe stava attento ad
osservare le leggi e i princìpi di Dio. Allo stesso modo, Gesù fu sempre desideroso di ‘fare la volontà del
Padre suo’, mentre dispensava vita eterna a ‘chiunque esercitava fede in lui’. (Giovanni 6:37-40) In
qualità di “ambasciatori in sostituzione di Cristo”, anche i suoi unti discepoli assolvono il loro sacro dovere
‘continuando a dire al popolo tutte le parole di questa vita’. — 2 Corinti 5:20; Atti 5:20.
9 Ai suoi fratelli Giuseppe non disse subito chi era. Anzi, si rivolse loro con un tono aspro tramite un
interprete, dicendo: “Voi siete spie!” Poiché avevano parlato di un loro fratello più piccolo, Giuseppe
pretese che essi dimostrassero la loro buona fede portandolo in Egitto. Fra di loro Giuseppe li udì dire,
con un tono pentito, che questo volgere degli eventi doveva essere una punizione per aver venduto
schiavo lui, Giuseppe. Allontanatosi da loro, Giuseppe pianse. Ad ogni modo, tenne Simeone in ostaggio,
finché non tornarono con Beniamino. — Genesi 42:9-24.
10 Giuseppe non si stava vendicando per il male ricevuto. Voleva verificare se il loro pentimento era
sincero, se scaturiva dal profondo del cuore, in modo da poter mostrare loro misericordia. (Malachia 3:7;
Giacomo 4:8) Manifestando una compassione simile a quella che avrebbe poi mostrato Gesù, Giuseppe
non solo riempì i loro sacchi di grano, ma anche restituì loro il denaro, mettendolo nella bocca del sacco
di ciascuno. Inoltre diede loro provviste per il viaggio. — Genesi 42:25-35; confronta Matteo 11:28-30.
11 Col tempo essi terminarono i viveri acquistati in Egitto. Giacobbe chiese ai nove figli di tornare a
comprarne degli altri. In precedenza, riguardo a Beniamino aveva implorato: “Mio figlio non scenderà con
voi, perché suo fratello è morto ed egli è rimasto solo. Se gli capitasse un incidente mortale lungo la via
per la quale andreste, certamente fareste scendere con mestizia i miei capelli grigi nello Sceol”. Ma, dopo
una lunga opera di persuasione e dopo che Giuda si fece personalmente garante dell’incolumità di
Beniamino, Giacobbe, pur riluttante, lasciò che portassero con sé il ragazzo. — Genesi 42:36–43:14.
12 Quando Giuseppe vide che Beniamino era venuto assieme ai suoi fratelli, li invitò a casa sua, dove
preparò per loro un banchetto. A Beniamino diede porzioni cinque volte maggiori di quelle provvedute a
ciascuno degli altri. Giuseppe poi mise alla prova per un’ultima volta i suoi fratelli. Di nuovo restituì loro
tutto il denaro mettendolo nei rispettivi sacchi, ma nella bocca di quello di Beniamino mise un particolare
calice d’argento di sua proprietà. Dopo la loro partenza, Giuseppe mandò da loro il responsabile della sua
casa ad accusarli di furto e a perquisire i loro sacchi per ritrovare il suo calice. Quando esso fu trovato nel
sacco di Beniamino, i fratelli si strapparono i mantelli. Furono riportati dinanzi a Giuseppe. In modo
commovente Giuda implorò misericordia e si offrì di diventare schiavo al posto di Beniamino perché il
ragazzo potesse tornare dal padre. — Genesi 43:15–44:34.
13 A questo punto, convintosi del cambiamento di cuore dei fratelli, Giuseppe non riuscì più a dominare le
proprie emozioni. Dopo aver ordinato a tutti gli altri di andarsene dalla sua presenza, Giuseppe dichiarò:
“Io sono Giuseppe vostro fratello, che voi vendeste in Egitto. Ma ora non vi addolorate e non vi adirate
con voi stessi per avermi venduto qui; perché Dio mi ha mandato davanti a voi per la conservazione della
vita . . . affinché abbiate sulla terra un rimanente e per mantenervi in vita mediante un grande scampo”.
Disse poi ai suoi fratelli: “Salite presto da mio padre, e gli dovete dire: ‘. . . Scendi da me. Non tardare. E
dovrai dimorare nel paese di Gosen, e . . . là di certo ti provvederò il sostentamento, poiché ci saranno
altri cinque anni di carestia; affinché tu e la tua casa e tutto ciò che hai non siate ridotti in povertà’”. —
Genesi 45:4-15.
14 Quando Faraone venne a sapere dei fratelli di Giuseppe, disse a quest’ultimo di mandare dal paese
d’Egitto dei carri per portare suo padre e tutta la sua famiglia in Egitto, poiché sarebbe stata data loro la
parte migliore del paese. Allorché udì tutto ciò che era accaduto, Giacobbe si rinfrancò ed esclamò:
“Basta! Giuseppe mio figlio è ancora vivo! Ah, fammi andare a vederlo prima che io muoia!” — Genesi
45:16-28.
Cibo spirituale in abbondanza
15 Cosa significa tutto ciò per noi oggi? Sempre consci del nostro bisogno spirituale, noi ci rivolgiamo a
Colui che è molto più grande del benigno Faraone del tempo di Giuseppe. È il Sovrano Signore Geova a
provvedere sostentamento e guida in mezzo ai giorni cupi che sta attraversando questo mondo affamato
di verità biblica. Ci siamo dati da fare negli interessi del suo Regno, portando le nostre decime, per così
dire, nel suo deposito. Con quanta generosità egli ci ha aperto “le cateratte dei cieli” versando una
benedizione “finché non ci sia più bisogno”! — Malachia 3:10.
16 Alla destra di Geova sta il suo Amministratore annonario, il glorificato Gesù che ora è intronizzato
come Re. (Atti 2:34-36) Proprio come il popolo dovette vendersi in schiavitù per continuare a vivere, così
tutti coloro che oggi vogliono continuare a vivere devono rivolgersi a Gesù, diventando suoi seguaci
dedicati a Dio. (Luca 9:23, 24) Come Giacobbe mandò i suoi figli da Giuseppe per ottenere del cibo, così
Geova indirizza gli esseri umani pentiti verso il suo diletto Figlio, Gesù Cristo. (Giovanni 6:44, 48-51)
Gesù raduna i suoi seguaci in congregazioni paragonabili a città — attualmente oltre 52.000 in tutto il
mondo — dove vengono nutriti con abbondante cibo spirituale e dove viene loro fornita una
sovrabbondanza di “grano” quale “seme” da seminare nel campo. (Genesi 47:23, 24; Matteo 13:4-9, 18-
23) Che operai volenterosi sono i testimoni di Geova! Sono in continuo aumento fra loro quelli che si
rendono disponibili per compiere il servizio di pioniere a tempo pieno: durante un solo mese dell’anno
scorso un massimo di 595.896 Testimoni hanno preso parte a questa privilegiata opera. Questo significa,
in media, più di 11 pionieri per congregazione!
17 Va notato che tutt’e dieci i fratellastri di Giuseppe, ora pentiti degli atteggiamenti e delle azioni
precedenti, si riunirono a lui in Egitto, che, con Sodoma, simboleggia il mondo in cui Gesù fu messo al
palo. (Rivelazione 11:8) Questo ci fa ripensare al passo di Zaccaria 8:20-23, che culmina con la
descrizione di “dieci uomini” che dicono: “Certamente verremo con voi”, vale a dire con l’unto popolo di
Geova, un rimanente del quale presta ancora servizio qui sulla terra.
18 Ma che dire dell’unico fratello germano di Giuseppe, Beniamino, la cui difficoltosa nascita costò la vita
alla moglie prediletta di Giacobbe, Rachele? Beniamino fu particolarmente favorito da Giuseppe, il quale
senza dubbio si sentiva più intimamente legato a lui che era figlio della sua stessa madre. Con tutta
probabilità fu per questo motivo che Beniamino ricevette una porzione cinque volte maggiore, quando
tutt’e 12 i fratelli si riunirono per la prima volta al banchetto tenuto a casa di Giuseppe. Non è forse vero
che Beniamino ben raffigura l’odierno rimanente dei Testimoni unti, i cui componenti ancora in vita sono
stati quasi tutti radunati dalla parte del Signore a partire dal 1919? I componenti di questa classe di
“Beniamino” hanno davvero ricevuto da Geova una porzione speciale, in quanto il Suo ‘spirito rende
testimonianza col loro spirito’. (Romani 8:16) Anch’essi sono stati messi alla prova in relazione alla loro
integrità mentre le “pecore” del Signore li hanno serviti. — Matteo 25:34-40.
19 Va notato che, quando Faraone dispose di far trasferire Giacobbe e tutta la sua casa in Egitto, tutte le
“anime” maschili che vi andarono a risiedere erano 70, un multiplo di 7 e di 10. (Genesi 46:26, 27) Nelle
Scritture questi due numeri vengono usati in modo significativo: “7” spesso denota la completezza celeste
e “10” quella terrena. (Rivelazione 1:4, 12, 16; 2:10; 17:12) Questo corrisponde alla situazione esistente
oggi, quando possiamo aspettarci che Geova raduni nel suo “paese” — il paradiso spirituale del quale ora
ci rallegriamo — anche l’ultimo componente della sua famiglia di Testimoni. (Confronta Efesini 1:10).
“Geova conosce quelli che gli appartengono” e fin d’ora egli li fa risiedere “nel meglio del paese”, come lo
era l’antica Gosen nel territorio dominato da Faraone. — Genesi 47:5, 6; 2 Timoteo 2:19.
20 Ai giorni di Giuseppe gli anni di carestia seguirono gli anni di abbondanza. Oggi i due periodi sono
contemporanei. In contrasto con la carestia spirituale esistente nel paese che non gode del Suo favore,
nel luogo in cui Geova viene adorato c’è abbondanza di cibo spirituale. (Isaia 25:6-9; Rivelazione 7:16,
17) Sì, anche se nella cristianità esiste, come predisse Amos, una carestia di udire le parole di Geova,
dalla Gerusalemme celeste esce la parola di Geova. Come ne siamo felici! — Amos 8:11; Isaia 2:2, 3;
65:17, 18.
21 Oggi, sotto la guida del più grande Giuseppe, Gesù Cristo, abbiamo il grande privilegio di essere
radunati in congregazioni paragonabili a città. Qui possiamo saziarci con abbondante e ricco cibo
spirituale, come pure seminare i semi della verità e far conoscere la buona notizia secondo cui è possibile
ottenere cibo spirituale. Lo facciamo per il bene di tutti quelli che accettano le condizioni e i provvedimenti
amorevolmente stabiliti dal Governante sovrano, Geova. Come siamo grati al nostro Dio per averci
donato il Figlio suo, il più grande Giuseppe, Colui che amministra saggiamente il cibo spirituale! Egli ha
ricevuto da Geova l’incarico di essere Colui che conserva in vita durante questo tempo di carestia
spirituale. Possa ognuno di noi mostrarsi diligente nel prestare sacro servizio seguendo il suo esempio e
sotto la sua guida!
[Figure alle pagine 16 e 17]
In un mondo colpito dalla carestia spirituale, il più grande Giuseppe dà in abbondanza a tutti coloro che si
rivolgono a lui con fede
Così come i dieci fratellastri mostrarono sottomissione a Giuseppe, una grande folla ora riconosce Cristo
A somiglianza delle 70 anime della casa di Giacobbe, tutte quante le “pecore” di Geova giungono in un
buon “paese”, il nostro attuale paradiso spirituale
[Figura a pagina 18]
La moderna classe di Beniamino è stata particolarmente favorita da Cristo, ricevendo in abbondanza
“cibo a suo tempo”

w86 1/11 19-20 Giovani: il vostro ruolo in una famiglia felice e unita
Imparate a ‘portare il giogo durante la giovinezza’
13 Quando ricevette il suo incarico da Geova, il profeta Geremia esclamò: “Effettivamente io non so
parlare, poiché non sono che un ragazzo”! Ma Geova lo rassicurò e lo rafforzò. A motivo delle sofferenze,
dei timori e dello scoraggiamento, a volte Geremia provò il desiderio di smettere, e in un’occasione disse:
“Maledetto sia il giorno in cui nacqui!” (Geremia 1:6, 19; 20:7-9, 11, 14) In seguito, scrisse: “È bene che
l’uomo robusto porti il giogo durante la sua giovinezza”. (Lamentazioni 3:27) Ma in che senso può essere
utile portare un giogo di afflizioni? La vicenda di Giuseppe ce lo fa capire molto bene.
14 A 17 anni Giuseppe ricevette in sogno la promessa divina secondo la quale lui avrebbe occupato una
posizione importante. Ma purtroppo i fratelli, gelosi, lo vendettero in schiavitù. Finì in Egitto e
successivamente fu gettato in catene in una prigione sotterranea dietro la falsa accusa di tentata violenza
carnale. (Genesi 37:2, 4-11, 28; 39:20) Questo giovane esemplare, erede di una straordinaria promessa,
era ora rinchiuso tra le squallide pareti di una segreta! Poiché si trovava in terra straniera, non aveva
neppure un amico che si preoccupasse del suo caso o intercedesse per lui.
15 “Afflissero con i ceppi i suoi piedi [di Giuseppe], la sua anima venne entro i ferri; fino al tempo che
venne la sua parola, il detto di Geova stesso lo raffinò”. (Salmo 105:17-19) Giuseppe soffrì come schiavo
e prigioniero per 13 anni prima che si avverasse la promessa di Geova. Questa esperienza lo raffinò.
Geova permise queste difficoltà per uno scopo, anche se non fu lui a provocarle. Avrebbe Giuseppe
continuato a riporre la propria speranza nel “detto di Geova” pur se sottoposto a questa durissima prova?
Sarebbe riuscito a far maturare le sue buone qualità e a conseguire la pazienza, l’umiltà, la forza
spirituale e la determinazione necessarie per superare questa difficile situazione? Ebbene, Giuseppe uscì
da quella prova come l’oro dopo che è stato raffinato dal fuoco: più puro e ancor più prezioso agli occhi di
Dio, che lo avrebbe poi usato in maniera meravigliosa. — Genesi 41:14, 38-41, 46; 42:6, 9.
16 Sia Giuseppe che Geremia non soffrirono per colpa loro. Avevano già coltivato delle qualità sante. Ma
si raffinarono ancora di più man mano che fronteggiarono le avversità. Quanto più hanno bisogno di
essere raffinati quei giovani che hanno sbagliato! Se lasciate che essa vi addestri, la disciplina — a volte
molto difficile da accettare — produrrà giustizia. (Ebrei 12:5-7, 11) Questo addestramento può produrre
una forza interiore simile a quella dell’acciaio temperato. Così come “Geova continuò ad essere con
Giuseppe e gli mostrava amorevole benignità”, egli vi darà forza oltre ciò che è normale e vi
ricompenserà riccamente per la vostra perseveranza. — Genesi 39:21; II Corinti 4:7.
17 Per esempio, una ragazza pensò di andarsene di casa perché le sembrava che il suo nuovo patrigno
fosse troppo rigido e non capisse come lei si sentiva dopo la morte del suo amatissimo padre.
Rendendosi conto però che questo non avrebbe fatto altro che aggravare i problemi, rimase a casa e
perseverò. Ora, quasi 13 anni dopo, dice: “La disciplina del mio patrigno mi ha reso una persona migliore.
Quando vivevo sola con mia madre, ero viziata e ribelle. Volevo sempre fare le cose a modo mio. Ho
imparato a tener conto degli altri. Geova ha esaudito le mie molte preghiere per avere la forza di
abituarmi alla morte di mio padre e di avvicinarmi di più al mio patrigno”. Certo, se imparerete a vivere
con le avversità, vi avvicinerete di più a Geova. Egli potrà così divenire vostro Amico, ‘la vostra fiducia
dalla giovinezza’. — Salmo 71:5.
18 Non dimenticate mai che non è l’ambiente familiare da solo a determinare quanto valete come
persona, né quale sarà il vostro futuro. Ma “mediante le sue pratiche il ragazzo [o la ragazza] fa
riconoscere se la sua attività è pura e retta”. (Proverbi 20:11) Le vostre pratiche rette vi renderanno cari a
Dio e daranno un senso e un significato alla vostra vita. Nessuna famiglia è perfetta, ma cercate le qualità
positive che esistono in casa vostra. Pensate ai sacrifici che i vostri genitori hanno fatto per fornirvi cibo,
vestiario, un tetto, cure mediche, e cose del genere. Anziché ripagarli con l’ingratitudine, ‘onorate vostro
padre e vostra madre’. Teneteli in gran conto, considerateli preziosi. — Efesini 6:1-3; Proverbi 16:20;
17:13.
19 Se avrete un buon dialogo con i genitori, li amerete di più. Ubbidirete così di cuore. “Figlio mio [o figlia
mia], non dimenticare la mia legge, e il tuo cuore osservi i miei comandamenti”, esorta il padre saggio,
che specifica poi quali ricompense ci saranno, “perché ti saranno aggiunti lunghezza di giorni e anni di
vita e pace”. — Proverbi 3:1, 2.
[Nota in calce]
Lo studioso A. Cohen commenta così questo versetto: “Nel cuore del nostro amico vediamo riflesso il
nostro stesso carattere. . . . È grazie a un aperto e cordiale rapporto di amicizia che impariamo a
conoscere noi stessi e a capire cosa abbiamo dentro”. (Proverbi, Soncino Press) La versione biblica di W.
F. Beck dice in parte: “Così puoi vedere te stesso riflesso nel cuore di un altro uomo”.
[Figura a pagina 18]
Come il giogo delle difficoltà raffinò la personalità di Giuseppe, così la vostra personalità sarà raffinata se
sopporterete le difficoltà mentre siete giovani

w89 15/6 25-7 "Prima della gloria c'è l'umiltà"


“Prima della gloria c’è l’umiltà”
UN GIOVANE si trovava in una prigione egiziana dietro falsa accusa. Aveva subìto molte umiliazioni e
sembrava che ogni speranza di riottenere la libertà fosse svanita. Poi gli arrivò l’ordine di comparire
davanti a Faraone. Le guardie lo fecero subito uscire. Si rase, si cambiò i mantelli e quindi comparì di
fronte al sovrano.
Per Giuseppe era in serbo una sorpresa. Con l’aiuto di Geova egli interpretò correttamente due sogni di
Faraone e quest’ultimo disse: “Vedi, davvero ti pongo sopra tutto il paese d’Egitto”. (Genesi 41:41) Che
esperienza incredibile: dalla prigione al palazzo di corte in un sol giorno! L’esperienza di Giuseppe illustra
bene ciò che in seguito fu ispirato a scrivere il re Salomone: “Poiché è uscito dalla stessa casa di
prigionia per divenire re”. Appropriatamente, Salomone scrisse due volte: “Prima della gloria c’è l’umiltà”.
— Ecclesiaste 4:14; Proverbi 15:33; 18:12.
Se volete trarre beneficio da questa verità biblica, chiedetevi: Cosa diede a Giuseppe la forza di
sopportare le umiliazioni inflittegli? Come fece questo fedele servitore di Geova a sopportare la prigione
sapendo di essere lì dietro falsa accusa? Quale gloria aveva in mente Geova per Giuseppe? Quale gloria
attende coloro che nel corso dei secoli hanno subìto con fedeltà e coraggio persecuzione e umiliazioni? E
soprattutto, cosa ci aiuta a non perdere l’equilibrio quando soffriamo umiliazioni?
Giuseppe deve aver meditato spesso sui due sogni profetici che aveva avuto in precedenza, secondo i
quali i suoi fratelli e anche i suoi genitori si sarebbero ‘inchinati’ davanti a lui. In effetti i suoi fratelli, udito il
primo sogno, chiesero: ‘Regnerai su di noi?’ — Genesi 37:8-10.
I fratelli di Giuseppe, per gelosia, per poco non lo uccisero! Ma sotto la guida di Geova il ragazzo, che
allora aveva 17 anni, fu venduto a dei mercanti che viaggiavano e questi, a loro volta, lo vendettero a
Potifar, capo della guardia del corpo di Faraone.
In seguito Giuseppe divenne l’economo della casa di Potifar, e la moglie di questi tentò di sedurlo,
essendo egli un giovane di bell’aspetto. Ma Giuseppe si mostrò leale a Geova e scappò. Mentendo,
l’astuta moglie accusò Giuseppe di aver cercato di violentarla e Potifar le credette, così che il poveretto
finì in prigione.
Ad ogni modo, Giuseppe rimase leale a Geova, e Geova, come abbiamo visto, fece sì che venisse
portato da Faraone per interpretare dei sogni. In seguito Faraone assegnò a Giuseppe l’importante
privilegio di organizzare le scorte alimentari dell’Egitto. Quando una carestia colpì anche Canaan, ecco
che i fratelli di Giuseppe si inchinarono dinanzi a lui per procurarsi cibo per la famiglia.
Questo è un periodo di prove per il popolo di Geova. È quasi come se fossimo forestieri in un paese
straniero. Il baratro che separa la vera adorazione da quella falsa si allarga sempre più. Tutti noi subiamo
qualche forma di umiliazione. Ma proprio come Gesù trasse conforto e forza dalla gioia che gli era posta
dinanzi, così anche noi possiamo superare le prove ricordando quale sarà l’esito finale.
La Bibbia ci consiglia: “Umiliatevi agli occhi di Geova, ed egli vi esalterà”. (Giacomo 4:10) Ogni volta che
dovete affrontare una prova difficile, ricordate queste parole: “Prima della gloria c’è l’umiltà”. E ricordate
anche che Geova non può venir meno!

su 76-81 10 "Non avranno più fame"


“ANDATE DA GIUSEPPE”
5 Dio diede a Giuseppe, pronipote di Abraamo, dei sogni secondo i quali Giuseppe avrebbe avuto una
posizione importante nella vita. Per questo fatto, come pure perché il padre lo amava in maniera
particolare, i dieci fratellastri di Giuseppe lo odiavano. Complottarono di ucciderlo, ma infine lo vendettero
in schiavitù e Giuseppe fu portato in Egitto. Come si sarebbe adempiuto a quel punto il proposito di Dio
riguardo a lui? — Genesi 37:3-11, 28.
6 Quando Giuseppe aveva 30 anni, Geova fece sì che Faraone, il governante dell’Egitto, avesse due
sogni che lo turbarono. Nel primo, Faraone vide sette vacche “di bell’aspetto e grasse” e sette vacche “di
brutto aspetto e magre”. Le vacche magre mangiarono le grasse. In un altro sogno Faraone vide sette
spighe di grano su un unico stelo, “grasse e buone”, e sette spighe “sottili e bruciate dal vento orientale”.
Anche in questo caso le sottili inghiottirono le grasse. Cosa significava tutto questo? Nessuno dei saggi
d’Egitto fu in grado di interpretare i sogni. Ma il coppiere di Faraone si ricordò che, quand’era in prigione,
un altro detenuto, Giuseppe, aveva interpretato correttamente dei sogni. Subito Faraone convocò
Giuseppe. — Genesi 41:1-15.
7 Senza attribuirsi alcun merito, Giuseppe disse a Faraone: “Il sogno di Faraone non è che uno solo. Il
vero Dio ha fatto sapere a Faraone ciò che sta per fare”. (Genesi 41:16, 25) Giuseppe spiegò che il
significato del secondo sogno era uguale a quello del primo e ne ribadiva la certezza. A sette anni di
abbondanza avrebbero fatto seguito in Egitto sette anni di carestia. Consigliò a Faraone di affidare a un
uomo capace il compito di ammassare grano negli anni di abbondanza, in vista della carestia.
Riconoscendo che evidentemente era stato Dio stesso a rivelare tutte queste cose a Giuseppe, Faraone
costituì Giuseppe come amministratore annonario, dandogli in Egitto un’autorità seconda solo alla sua.
Proprio come predetto, arrivarono i sette anni di straordinaria abbondanza, e Giuseppe fece ammassare
enormi quantità di viveri. Poi la predetta carestia serrò il paese in una morsa. Quando il popolo supplicò
Faraone per avere pane, questi rispose: “Andate da Giuseppe. Qualunque cosa vi dica, dovete farla”.
Così Giuseppe vendette loro grano, inizialmente in cambio di denaro, poi del loro bestiame e infine di loro
stessi e delle loro terre. Per continuare a vivere, dovettero mettersi completamente al servizio del
Faraone. — Genesi 41:26-49, 53-56; 47:13-26.
8 La carestia colpì anche i paesi vicini all’Egitto. A un certo punto arrivarono da Canaan anche i fratellastri
di Giuseppe. Erano passati più di vent’anni da quando lo avevano venduto in schiavitù e non lo
riconobbero. Si chinarono dinanzi a lui, come era stato predetto molto tempo prima nei sogni di
Giuseppe, e chiesero di acquistare dei viveri. (Genesi 37:6, 7; 42:5-7) Abilmente Giuseppe li mise alla
prova ed ebbe una convincente dimostrazione che il loro atteggiamento nei confronti suoi e del padre era
veramente cambiato. Alla fine si fece riconoscere e spiegò che in effetti Dio lo aveva mandato in Egitto
prima di loro “per la conservazione della vita”. Dietro sue istruzioni, si trasferirono col padre e le rispettive
famiglie in Egitto. (Genesi 45:1-11) Tutto questo fu messo per iscritto per nostro beneficio, e il suo
significato profetico riguarda avvenimenti dei nostri giorni. — Romani 15:4.
COME SFAMARCI E DISSETARCI ORA
9 Una delle cause basilari dei problemi dell’umanità è la carestia spirituale. Avendo le persone
abbandonato Geova, egli non concede loro l’intendimento della sua Parola, e, di conseguenza, esse
soffrono per “una carestia, non di pane, e una sete, non d’acqua, ma di udire le parole di Geova”. (Amos
8:11) Persone spiritualmente affamate vanno disperatamente in cerca di risposte a domande
fondamentali come queste: Qual è il significato della vita? Perché si muore? C’è qualche vera speranza
per il futuro? In preda alla fame spirituale, spesso queste persone fanno del male a se stesse e ad altri
intraprendendo una condotta immorale o criminosa per soddisfare le proprie brame.
10 In contrasto con ciò, Geova ha dato abbondanza spirituale ai suoi servitori, e fra loro regna il vero
amore. Egli ha concesso loro di comprendere a sazietà le verità spirituali della sua Parola ispirata e ha
dato loro un’opera da compiere in qualità di suoi Testimoni. Sono lieti di condividere queste verità con
altri che sono spiritualmente affamati e che desiderano vivere in buoni rapporti con Dio. (Isaia 65:13, 14;
Luca 6:21) Nell’antico Egitto i sette anni di carestia seguirono i sette di abbondanza. Ma nei nostri giorni i
periodi di carestia e di abbondanza spirituale sono contemporanei.
11 Oggi il governante non è Faraone. Geova Dio, il più grande Faraone, è il Sovrano universale. Egli ha
concesso a Gesù Cristo un’autorità seconda solo alla sua. In qualità di più grande Giuseppe, Gesù è
Colui al quale Geova ha affidato la responsabilità di dispensare il vivificante cibo spirituale. Le filosofie
religiose e secolari del mondo hanno lasciato l’umanità in preda a una struggente fame spirituale. Le
persone possono essere nutrite solo rivolgendosi a Gesù Cristo e procurandosi il cibo spirituale nel modo
da lui indicato. Milioni d’esse, prefigurate dagli egiziani colpiti dalla carestia, lo stanno facendo. Mediante
Gesù Cristo si dedicano completamente a Geova per sempre, e vengono così incluse nella grande folla
di probabili superstiti dell’imminente giorno dell’ira di Dio.
12 Ma Gesù è in cielo. In che modo provvede cibo spirituale a noi che siamo sulla terra? Egli predisse che
l’avrebbe fatto tramite il suo “schiavo fedele e discreto”. (Matteo 24:45-47) Questo è uno “schiavo”
composito, costituito dalla sua congregazione di unti dallo spirito mentre sono ancora sulla terra.
(Confronta Isaia 43:10). Un rimanente di questi è ancora sulla scena terrestre. Questa vera
congregazione cristiana si riconosce facilmente confrontandone gli insegnamenti e le azioni con la Bibbia.
Essa insegna veramente ciò che Gesù comandò. Non si immischia quindi negli affari politici del mondo,
ma tutti i suoi componenti sono pubblici proclamatori del Regno di Dio. Non sono divisi fra le varie sette
della cristianità. Sono uniti, come Gesù disse che sarebbero stati: sono tutti testimoni di Geova a
imitazione del loro Signore. (Vedi Giovanni 17:16, 20, 21; Matteo 24:14; 28:19, 20; Rivelazione 1:5).
Godono di un’abbondanza spirituale e sono molto felici di condividerla con altri.
13 Molte persone scherniscono questi unti cristiani, dicendo: ‘Pensate di essere migliori di noi? Pensate di
essere i soli ad aver ragione?’ Ma col tempo alcuni riconoscono umilmente che Geova ha davvero dei
Testimoni sulla terra e che questi proclamano realmente la Sua parola. Comprendono che, come dice la
Bibbia, doveva esserci una sola vera congregazione cristiana e che i suoi membri sarebbero stati uniti.
(Efesini 4:5; Romani 12:5) Esaminando onestamente e con umiltà i fatti, riconoscono questa
organizzazione. I dieci fratellastri di Giuseppe prefigurarono queste persone che in precedenza
perseguitavano gli unti seguaci di Gesù o sostenevano moralmente i persecutori, ma che ora dimostrano
un vero cambiamento di cuore. (Giovanni 13:20) Con riconoscenza accettano il cibo spirituale provveduto
da Gesù Cristo tramite la classe del suo “schiavo fedele”. Acquistano forza spirituale nutrendosi delle
verità bibliche spiegate nelle pubblicazioni della Società Torre di Guardia (Watch Tower Society),
frequentando le adunanze dei testimoni di Geova e compiendo attivamente l’opera di Dio. Siete fra
queste persone umili? — Ebrei 10:23-25; confronta Giovanni 4:34.
14 Tutti quelli che in questo modo mettono amorevolmente la loro vita a disposizione del Creatore tramite
Gesù Cristo trovano felicità e ristoro. Spiritualmente parlando, “non avranno più fame né sete, . . . perché
l’Agnello [Gesù Cristo], che è in mezzo al trono, li pascerà e li guiderà alle fonti delle acque della vita”. —
Rivelazione 7:16, 17; Isaia 25:6-9.

W99 1-1 P.30-31

Giuseppe (n. 8) — Tema: Siate ubbidienti e giusti MATTEO 1:18; ESODO 24:7b

it-1 1176-7 Giuseppe


GIUSEPPE
[ebr. Yohsèf, forma abbreviata di Yohsifyàh, “Iah aggiunga (aumenti); Iah ha aggiunto (aumentato)”].
8. Figlio di un certo Giacobbe; padre adottivo di Cristo Gesù e marito di Maria, dalla quale in seguito ebbe
almeno quattro figli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda, e anche delle figlie. (Mt 1:16; 13:55, 56; Lu
4:22; Gv 1:45; 6:42) Giuseppe era chiamato anche figlio di Eli (Lu 3:23), essendo questo evidentemente il
nome di suo suocero. Sempre ubbidiente ai comandi di Dio, il giusto Giuseppe era ligio alla Legge
mosaica e sottomesso ai decreti di Cesare.
Di mestiere falegname e residente a Nazaret, Giuseppe era piuttosto limitato in quanto a risorse
finanziarie. (Mt 13:55; Lu 2:4; cfr. Lu 2:24 con Le 12:8). Era fidanzato con Maria, una ragazza vergine (Lu
1:26, 27), ma prima che si unissero in matrimonio essa rimase incinta per opera dello spirito santo. Non
volendo farne un pubblico spettacolo, Giuseppe intendeva divorziare segretamente da lei. (Vedi
DIVORZIO). Ma, avendo ricevuto in sogno una spiegazione da un angelo di Geova, Giuseppe portò
Maria a casa come sua legittima sposa. Tuttavia non ebbe rapporti con lei fin dopo la nascita del figlio
concepito miracolosamente. — Mt 1:18-21, 24, 25.
In ottemperanza al decreto di Cesare Augusto di farsi registrare nella propria città, Giuseppe,
discendente del re Davide, si recò con Maria a Betleem di Giudea. Là Maria diede alla luce Gesù e lo
depose in una mangiatoia, perché non c’erano altri alloggi disponibili. Quella notte alcuni pastori,
informati della nascita da un angelo, vennero a vedere il neonato. Circa 40 giorni dopo, com’era richiesto
dalla Legge mosaica, Giuseppe e Maria presentarono Gesù al tempio di Gerusalemme insieme a
un’offerta. Sia Giuseppe che Maria si meravigliarono udendo le parole profetiche dell’anziano Simeone
circa le grandi cose che Gesù avrebbe fatto. — Lu 2:1-33; cfr. Le 12:2-4, 6-8.
Qualche tempo dopo, mentre abitavano in una casa a Betleem, Maria e il suo figlioletto furono visitati da
alcuni astrologi orientali. (Anche se Luca 2:39 potrebbe far pensare che Giuseppe e Maria siano tornati a
Nazaret subito dopo aver presentato Gesù al tempio, si deve ricordare che questo versetto fa parte di
una descrizione molto riassuntiva). L’intervento divino impedì che la visita degli astrologi provocasse la
morte di Gesù. Avvertito in sogno che Erode cercava il bambino per sopprimerlo, Giuseppe seguì le
istruzioni divine e fuggì con la famiglia in Egitto. — Mt 2:1-15.
Dopo la morte di Erode, l’angelo di Dio apparve di nuovo in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi il
bambino e sua madre e vattene nel paese d’Israele”. Ma saputo che Archelao figlio di Erode regnava al
posto del padre, Giuseppe ebbe paura di tornare in Giudea e, “avendo ricevuto in sogno divino
avvertimento, si ritirò nel territorio della Galilea, e venne ad abitare in una città detta Nazaret”. — Mt 2:19-
23.
Ogni anno Giuseppe assisteva con tutta la famiglia alla celebrazione della Pasqua a Gerusalemme. Una
volta stavano ritornando a Nazaret quando, dopo un giorno di viaggio da Gerusalemme, si accorsero che
il 12enne Gesù non era con loro. Lo cercarono con diligenza e infine lo trovarono a Gerusalemme nel
tempio, intento ad ascoltare e interrogare i maestri. — Lu 2:41-50.
Le Scritture non dicono in che cosa consistesse l’addestramento che Giuseppe impartì a Gesù. Ma senza
dubbio contribuì al fatto che “Gesù progrediva in sapienza”. (Lu 2:51, 52) Giuseppe gli insegnò anche il
mestiere di falegname, poiché Gesù era conosciuto sia come “il figlio del falegname” (Mt 13:55) che
come “il falegname”. — Mr 6:3.
Nelle Scritture non è precisato quando sia morto Giuseppe, ma sembra che non sia sopravvissuto a
Gesù. Se fosse stato ancora in vita all’epoca della Pasqua del 33 E.V., è improbabile che Gesù al palo
avrebbe affidato Maria all’apostolo Giovanni. — Gv 19:26, 27.

w95 15/1 29-31 Accettò la guida divina


Accettò la guida divina
SUPPONIAMO che un bambino perfetto fosse affidato alle vostre cure e ci si aspettasse che lo allevaste
bene. Che impresa! Una persona imperfetta come potrebbe riuscirci? Solo accettando e seguendo la
guida divina nella vita di ogni giorno.
Questo è ciò che fece Giuseppe, il padre adottivo di Gesù. A differenza delle dettagliate tradizioni
apocrife su Giuseppe, la Bibbia dice poco del suo umile ruolo nei primi anni della vita di Gesù. Sappiamo
che Giuseppe e sua moglie Maria allevarono Gesù, altri quattro figli, e anche delle figlie. — Marco 6:3.
Giuseppe discendeva dal re Davide d’Israele attraverso la linea di Salomone. Era figlio di Giacobbe e
genero di Eli. (Matteo 1:16; Luca 3:23) Giuseppe faceva il falegname nella città di Nazaret di Galilea e le
sue risorse finanziarie erano limitate. (Matteo 13:55; Luca 2:4, 24; confronta Levitico 12:8). Ma era
spiritualmente ricco. (Proverbi 10:22) Questo senz’altro perché accettò la guida divina.
Senza dubbio Giuseppe era un ebreo umile e mansueto che aveva fede in Dio e desiderava fare ciò che
era giusto. I pochi episodi della sua vita narrati nelle Scritture mostrano che ubbidì sempre ai comandi di
Geova, sia che fossero contenuti nella Legge o che li ricevesse personalmente attraverso angeli.
Un uomo giusto che aveva dei problemi
Cosa dovrebbe fare una persona devota trovandosi davanti a un grosso problema? Dovrebbe ‘gettare il
suo peso su Geova’ e seguire la guida divina! (Salmo 55:22) Questo è ciò che fece Giuseppe. Mentre era
fidanzato con Maria, lei “fu trovata incinta per opera dello spirito santo, prima che si unissero”. Poiché
Giuseppe ‘era giusto e non voleva farne un pubblico spettacolo, intendeva divorziare segretamente da
lei’. Dopo che Giuseppe ebbe riflettuto sulla cosa, l’angelo di Geova gli apparve in sogno e disse:
“Giuseppe, figlio di Davide, non aver timore di condurre a casa tua moglie Maria, poiché ciò che è stato
generato in lei è dallo spirito santo. Essa partorirà un figlio, e tu gli dovrai mettere nome Gesù, poiché egli
salverà il suo popolo dai loro peccati”. Al suo risveglio, Giuseppe “fece come l’angelo di Geova gli aveva
prescritto, conducendo a casa sua moglie. Ma non ebbe rapporti con lei finché partorì un figlio; e gli mise
nome Gesù”. (Matteo 1:18-25) Giuseppe accettò la guida divina.
Cesare Augusto decretò che la popolazione andasse a farsi registrare, ciascuno nella propria città.
Ubbidendo al decreto, Giuseppe e Maria andarono a Betleem di Giudea. Lì Maria partorì Gesù e lo mise
a giacere in una mangiatoia perché non c’erano altri alloggi disponibili. Quella notte i pastori che avevano
udito l’annuncio angelico di questa nascita speciale andarono a vedere il bambino. Circa 40 giorni dopo,
Giuseppe e Maria si conformarono alla Legge presentando Gesù al tempio di Gerusalemme insieme a
un’offerta. Entrambi si meravigliarono udendo le parole profetiche di Simeone circa le grandi cose che
Gesù avrebbe fatto. — Luca 2:1-33; confronta Levitico 12:2-4, 6-8.
Sebbene Luca 2:39 possa far pensare che Giuseppe e Maria andassero a Nazaret subito dopo aver
presentato Gesù al tempio, questo versetto fa parte di un racconto condensato. A quanto pare parecchio
tempo dopo la presentazione al tempio, degli astrologi orientali (i magi) andarono a far visita a Maria e
Gesù in una casa a Betleem. L’intervento divino impedì che questa visita causasse la morte di Gesù.
Dopo che i magi se ne erano andati, l’angelo di Geova apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Erode
sta per cercare il bambino per distruggerlo”. Come sempre Giuseppe diede ascolto alla guida divina e
portò la sua famiglia in Egitto. — Matteo 2:1-14.
Dopo la morte di Erode, un angelo apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e disse: “Alzati, prendi il
bambino e sua madre e vattene nel paese d’Israele”. Udito che in Giudea regnava Archelao invece di suo
padre Erode, Giuseppe ebbe timore di tornarvi. Dando ascolto all’avvertimento divino ricevuto in sogno,
andò nel territorio della Galilea e si stabilì nella città di Nazaret. — Matteo 2:15-23.
Un uomo spirituale
Giuseppe fece in modo che la sua famiglia ubbidisse alla legge divina e che fosse spiritualmente nutrita.
Ogni anno portava tutta la famiglia con sé alla celebrazione della Pasqua a Gerusalemme. In una di
queste occasioni Giuseppe e Maria stavano tornando a Nazaret e avevano percorso un giorno di
cammino da Gerusalemme quando si accorsero che il dodicenne Gesù non c’era. Tornati a
Gerusalemme lo cercarono con diligenza e infine lo trovarono nel tempio, che ascoltava e interrogava i
maestri. — Luca 2:41-50.
A quanto pare Giuseppe lasciava che sua moglie prendesse l’iniziativa in certe cose. Per esempio,
quando tornarono a Gerusalemme e trovarono Gesù nel tempio, fu Maria a parlare con il giovane figlio
della cosa. (Luca 2:48, 49) Mentre cresceva come “figlio del falegname”, Gesù riceveva istruzione
spirituale. Giuseppe gli insegnò anche il mestiere di falegname, poiché Gesù era chiamato “il falegname,
il figlio di Maria”. (Matteo 13:55; Marco 6:3) Oggi i genitori timorati di Dio dovrebbero avvalersi
pienamente di analoghe opportunità di ammaestrare i figli, e in particolar modo di educarli nelle cose
spirituali. — Efesini 6:4; 2 Timoteo 1:5; 3:14-16.
Le prospettive di Giuseppe
Le Scritture tacciono sulla morte di Giuseppe. Ma è interessante che Marco 6:3 chiami Gesù “il figlio di
Maria”, non di Giuseppe. Ciò fa pensare che allora Giuseppe fosse morto. Inoltre, se Giuseppe fosse
stato ancora in vita nel 33 E.V., è improbabile che Gesù sul palo avrebbe affidato Maria all’apostolo
Giovanni. — Giovanni 19:26, 27.
Quindi Giuseppe sarà fra i morti che udranno la voce del Figlio dell’uomo e verranno fuori alla
risurrezione. (Giovanni 5:28, 29) Quando verrà a conoscenza del provvedimento di Geova per la vita
eterna, senz’altro Giuseppe sarà felice di avvalersene e sarà un suddito ubbidiente del grande Re
celeste, Gesù Cristo, proprio come diede ascolto alla direttiva divina oltre 1.900 anni fa.
[Figura a pagina 31]
Giuseppe impartì istruzione spirituale a Gesù e gli insegnò anche il mestiere di falegname

Giuseppe (n. 9) — Tema: Non rinunciate alla speranza che i vostri parenti accettino la verità
1°CORINTI 13:7

it-1 1177 Giuseppe


GIUSEPPE
[ebr. Yohsèf, forma abbreviata di Yohsifyàh, “Iah aggiunga (aumenti); Iah ha aggiunto (aumentato)”].
9. Fratellastro di Gesù Cristo. (Mt 13:55; Mr 6:3) Come gli altri fratelli, Giuseppe in un primo tempo non
aveva fede in Gesù. (Gv 7:5) Comunque in seguito i fratellastri di Gesù, compreso senza dubbio
Giuseppe, diventarono credenti. Sono menzionati insieme agli apostoli e ad altri dopo l’ascensione di
Gesù al cielo, per cui probabilmente erano fra i circa 120 discepoli radunati in una stanza al piano
superiore di una casa di Gerusalemme quando venne scelto a sorte Mattia per sostituire l’infedele Giuda
Iscariota. Sembra che questo stesso gruppo di circa 120 abbia poi ricevuto lo spirito di Dio il giorno di
Pentecoste del 33 E.V. — At 1:9–2:4.

W59 P.334, 335


Giuseppe (n. 10) — Tema: Siate coraggiosi e vincete il timore PROVERBI 29:25

it-1 1177 Giuseppe


GIUSEPPE
[ebr. Yohsèf, forma abbreviata di Yohsifyàh, “Iah aggiunga (aumenti); Iah ha aggiunto (aumentato)”].
10. Uomo facoltoso della città giudea di Arimatea e stimato membro del Sinedrio. Per quanto fosse un
uomo buono e giusto che aspettava il Regno di Dio, Giuseppe, per timore degli ebrei increduli, non si
dichiarò apertamente discepolo di Gesù Cristo. Comunque non votò a favore dell’ingiusta azione del
Sinedrio contro Cristo Gesù. In seguito chiese coraggiosamente a Pilato il corpo di Gesù e, insieme a
Nicodemo, lo preparò per la sepoltura e lo depose in una tomba nuova scavata nella roccia. Quella
tomba si trovava in un giardino nei pressi del luogo in cui Gesù fu messo al palo e apparteneva a
Giuseppe di Arimatea. — Mt 27:57-60; Mr 15:43-46; Lu 23:50-53; Gv 19:38-42.
Golia — Tema: Confidate in Geova, non nella vostra forza PROVERBI 3:5, 6; 29:25;
1°CORINTI 4:10-12
it-1 1184 Golia
GOLIA
Gigante della città di Gat, campione dell’esercito filisteo, che fu ucciso da Davide. Golia dominava tutti
con la sua straordinaria statura di ben sei cubiti e una spanna (2,9 m). La sua cotta di maglia di rame
pesava 5.000 sicli (57 kg) e la lama di ferro della sua lancia 600 sicli (6,8 kg). (1Sa 17:4, 5, 7) Golia era
uno dei refaim; forse era un soldato mercenario nell’esercito filisteo. — 1Cr 20:5, 8; vedi REFAIM.
Non molto tempo dopo che Davide era stato unto da Samuele e che lo spirito di Geova aveva
abbandonato il re Saul (1Sa 16:13, 14), i filistei si radunarono a Soco per muovere guerra a Israele e poi
si accamparono a Efes-Dammim. Poiché lo schieramento filisteo e l’esercito di Saul si fronteggiavano dai
lati opposti della valle, il gigantesco guerriero Golia emerse dall’accampamento filisteo e sfidò a gran
voce Israele a trovare un uomo disposto a cimentarsi con lui in duello, per determinare quale esercito
dovesse essere asservito dall’altro. Mattina e sera, per 40 giorni, l’esercito di Israele, atterrito, subì questi
scherni. Nessun soldato israelita aveva il coraggio di accettare la sfida. — 1Sa 17:1-11, 16.
Schernendo gli eserciti di Geova, l’Iddio vivente, Golia segnò la propria condanna. Il giovane pastore
Davide, su cui era lo spirito di Dio, raccolse la sfida. Golia, preceduto dal suo scudiero che portava un
grande scudo, avanzò invocando il male su Davide nel nome dei suoi dèi. Al che Davide rispose: “Tu
vieni a me con una spada e con una lancia e con un giavellotto, ma io vengo a te nel nome di Geova
degli eserciti, l’Iddio delle linee di battaglia d’Israele, che tu hai biasimato”. (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, ⇒it-
1 ⇐p. 745) Davide lanciò una pietra con la fionda e Golia cadde a terra, con la pietra conficcata nella
fronte. Davide gli fu sopra e gli tagliò la testa con la sua stessa spada. A questo fece immediatamente
seguito una clamorosa sconfitta e strage dei filistei. — 1Sa 17:26, 41-53.
“Davide prese quindi la testa del filisteo e la portò a Gerusalemme, e le sue armi le mise nella propria
tenda”. (1Sa 17:54) È vero che la fortezza di Sion fu conquistata solo più tardi da Davide (2Sa 5:7),
tuttavia la città di Gerusalemme era da tempo abitata da israeliti, insieme a gebusei. (Gsè 15:63; Gdc 1:8)
In seguito Davide consegnò evidentemente la spada di Golia al santuario, com’è indicato dal fatto che se
la fece ridare dal sacerdote Ahimelec durante la fuga per sottrarsi a Saul. — 1Sa 21:8, 9.
Un brano che è stato fonte di qualche difficoltà è quello di 2 Samuele 21:19, dove si legge: “Elanan figlio
di Iaare-Oreghim il betleemita abbatteva Golia il gattita, l’asta della cui lancia era come il subbio dei
lavoratori al telaio”. L’analoga descrizione in 1 Cronache 20:5 dice: “Elanan figlio di Iair abbatteva Lami
fratello di Golia il gattita, l’asta della cui lancia era come il subbio dei lavoratori al telaio”.
Diverse ipotesi sono state avanzate per risolvere il problema. Il Targum conserva una tradizione secondo
la quale Elanan va identificato con Davide. Un’opera di consultazione (Soncino Books of the Bible, a cura
di A. Cohen, Londra, 1951, 1952) afferma che non è difficile presumere che ci fossero due Golia, e
osserva inoltre che Golia poteva essere un titolo descrittivo come “Faraone”, “Rabsache”, “Sultano”. Il
fatto che un versetto menzioni “Iaare-Oreghim” e l’altro “Iair”, e che solo in 2 Samuele ci sia il termine
“betleemita [ebr. behth hallachmì]”, mentre in Cronache compare solo “Lami [´eth-Lachmì]”, è attribuito
dalla maggioranza dei commentatori a un errore di copiatura. — Vedi IAARE-OREGHIM; LAMI.

g77 8/10 22-3 La fionda, un'arma antica ma efficace


La fionda, un’arma antica ma efficace
Dal corrispondente di “Svegliatevi!” nella Repubblica Sudafricana
“QUINDI Davide mise la mano nella sua borsa e vi prese una pietra e la frombolò, così che colpì il Filisteo
sulla fronte e la pietra gli affondò nella fronte, ed egli cadde con la faccia a terra”. (1 Sam. 17:49) Questa
famosa impresa, uno degli episodi più drammatici narrati nella Bibbia, descrive bene la potenza della
fionda. Con una pietra, il giovane Davide abbatté il gigante Golia, possente campione dei Filistei.
Il successo di quel famoso combattimento non dipese dalla superiorità o dall’abilità nell’uso delle armi,
ma da Geova Dio, che sostenne il giovane Davide. Prima dello scontro, Davide disse: “Io vengo a te nel
nome di Geova degli eserciti, . . . che tu hai biasimato. . . . E tutta questa congregazione conoscerà che
né con la spada né con la lancia Geova salva, perché la battaglia appartiene a Geova”. Indubbiamente la
pietra lanciata dalla fionda di Davide fu diretta da Dio ricevendone insolito impeto. Si conficcò nella fronte
di Golia, abbattendo il gigante. In seguito, Davide “definitamente lo mise a morte” con la stessa spada di
Golia. — 1 Sam. 17:45-51.
Benché Davide avesse l’aiuto di Dio in questo conflitto, la fionda certo ebbe una parte importante. Perché
fu così efficace? Che cos’è esattamente una fionda? E come si usa?
La fionda e il suo uso
Tra gli antichi colonizzatori dell’Africa meridionale, il lancio di pietre con la fionda era uno sport
competitivo. La fionda serviva anche per cacciare selvaggina minuta, sia nel Transvaal che in Rhodesia.
Era un’arma semplice, facile da fare. La parte centrale (o “cavo della fionda” [1 Sam. 25:29]) consisteva
di un pezzo di cuoio lungo una ventina di centimetri e largo al centro otto o nove centimetri, che si
restringeva alle estremità. Strisce di cuoio erano attaccate alle estremità della parte centrale. Oppure,
tutta la fionda poteva essere tagliata da uno stesso pezzo di cuoio.
Come si usava la fionda? Chi usava abitualmente la destra allacciava l’estremità di una delle strisce a un
dito della mano destra, o la legava al polso destro, facendo passare la striscia sul palmo della mano.
L’estremità dell’altra striscia veniva ripiegata e tenuta nella stessa mano.
Il fromboliere metteva una pietra nella parte centrale della fionda. Con la sinistra protesa in avanti, teneva
a posto la pietra. Quindi, lasciando la presa con la mano sinistra, rotava la destra verso il basso in senso
antiorario. Quando la fionda era alta dietro di lui, la faceva roteare in avanti orizzontalmente, sempre in
senso antiorario, facendo un intero giro sopra la testa. Al momento giusto, lasciava andare la striscia che
teneva in mano, e così la pietra era scagliata in avanti. Alcuni frombolieri spesso non facevano roteare la
fionda sopra la testa, ma effettuavano il lancio semplicemente con una poderosa rotazione del braccio
verso il basso.
Grande forza e portata
Con lo slancio prodotto dalla lunghezza del braccio del fromboliere e delle strisce, la pietra può essere
scagliata con grandissima forza. Infatti, una pietra scagliata con la fionda può penetrare nella portiera di
un’automobile! Ma ci vuole molta pratica e perfetta sincronizzazione per usare bene la fionda.
Come proiettili si usano di solito pietre lisce. Davide scelse pietre di questo genere quando andò ad
affrontare Golia. (1 Sam. 17:40) Pietre del diametro di sei centimetri circa sono le più adatte. Ma la
grandezza può variare considerevolmente.
Essendo un’arma così semplice e con munizioni sempre disponibili, non sorprende che la fionda abbia
continuato a essere in uso sin dai tempi più antichi. L’Encyclopædia Britannica (Undicesima edizione,
Vol. 25, pag. 242) dice: “La fionda come arma è probabilmente il congegno più antico noto al genere
umano con cui si aumenta la forza e la portata del braccio del lanciatore”.
Per esempio, l’autore di un articolo pubblicato nel Scientific American dell’ottobre 1973 disse: “Chiesi ad
alcuni giovani della Turchia orientale di lanciare con la fionda dei sassi comuni. Su 11 tentativi, cinque
volte i sassi colpirono oltre il segno posto a 200 metri di distanza, e i tre lanci migliori colpirono tra i 230 e
i 240 metri. Nessuno dei giovani era un esperto fromboliere; per lo meno nessuno a quel tempo
possedeva una fionda. Inoltre, i proiettili erano sassi scelti a caso e non proiettili di pietra, argilla o piombo
con una forma speciale come quelli lanciati dai frombolieri al tempo dei Greci e dei Romani. Secondo
Senofonte sembra probabile che un fromboliere che lanciava proiettili di piombo potesse raggiungere una
distanza di oltre 400 metri”.
Poiché la fionda era un’arma di tale portata e forza, veniva usata in guerra dagli antichi Egizi, Assiri,
Babilonesi, Persiani, Greci, Romani e altri. Anche negli eserciti di Israele e di Giuda vi erano frombolieri.
(2 Re 3:25; 2 Cron. 26:14) Parlando di una compagnia di settecento Beniaminiti mancini, la Bibbia dice:
“Ognuno di questi era fromboliere di pietre che poteva colpire un filo di capello senza mancare il colpo”.
(Giud. 20:15, 16) Secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio, frombolieri combatterono negli eserciti ebrei
contro Roma ancora nel primo secolo dell’Èra Volgare.
Oggi, naturalmente, gli uomini possiedono armi infinitamente più potenti e micidiali. Ma come è
confortante sapere che presto, sotto il regno del Principe della pace, tutte le armi, siano fionde o missili
balistici, saranno cose del passato e gli abitanti della terra non impareranno più la guerra! — Isa. 2:4; 9:6.

w89 1/1 18-23 "La battaglia appartiene a Geova"


“La battaglia appartiene a Geova”
“Io vengo a te nel nome di Geova degli eserciti, l’Iddio delle linee di battaglia d’Israele, che tu hai
biasimato”. — 1 SAMUELE 17:45.
DUE potenti eserciti si fronteggiano nel bassopiano di Ela, a sud-ovest di Gerusalemme. Da una parte c’è
l’esercito d’Israele, al comando dell’impaurito re Saul. Dall’altra l’esercito filisteo, con il suo gigantesco
campione, Golia. Probabilmente il nome “Golia” significa “cospicuo”. Egli è alto circa 2 metri e 90 ed è
armato sino ai denti. Golia sta lanciando una sfida blasfema a Israele. — 1 Samuele 17:1-11.
2 Chi raccoglierà la sfida di Golia? “In quanto a tutti gli uomini d’Israele, visto l’uomo, ebbene, fuggivano a
causa di lui e avevano molto timore”. Ma ecco, entra in scena un semplice giovinetto! Si chiama Davide,
che significa “diletto”. Egli dimostrò di essere “diletto” anche agli occhi di Geova a motivo della sua
coraggiosa dedizione alla giustizia. Samuele ha già unto Davide perché sia il futuro re d’Israele, e lo
spirito di Geova sta operando potentemente su di lui. — 1 Samuele 16:12, 13, 18-21; 17:24; Salmo 11:7;
108:6.
3 Avendo udito Golia “biasimare le linee di battaglia dell’Iddio vivente”, Davide si offre di andare a
combattere il gigante. Quando Saul acconsente, Davide va all’attacco, ma non con l’armatura e le armi
tradizionali che Saul gli offriva. Con sé ha solo un bastone, una fionda e cinque pietre lisce, a differenza
di Golia, che porta una lancia la cui punta pesa circa sette chili e indossa una cotta di maglia di rame del
peso di 57 chili! Mentre il possente Golia e colui che gli porta lo scudo avanzano, ‘il filisteo invoca il male
su Davide per i suoi dèi’. — 1 Samuele 17:12-44.
4 Come risponde Davide? Replica subito alla sfida del gigante, gridando: “Tu vieni a me con una spada e
con una lancia e con un giavellotto, ma io vengo a te nel nome di Geova degli eserciti, l’Iddio delle linee
di battaglia d’Israele, che tu hai biasimato. In questo giorno Geova ti cederà nella mia mano, e io
certamente ti abbatterò e ti staccherò la testa; e in questo giorno certamente darò i cadaveri del campo
dei filistei ai volatili dei cieli e alle bestie selvagge della terra; e la gente di tutta la terra saprà che esiste
un Dio che appartiene a Israele. E tutta questa congregazione saprà che né con la spada né con la lancia
Geova salva, perché LA BATTAGLIA APPARTIENE A GEOVA, ed egli vi deve dare nella nostra mano”.
— 1 Samuele 17:45-47.
5 Davide avanza intrepido verso lo scontro. Con la fionda egli scaglia una pietra che colpisce nel segno, e
Golia stramazza a terra. Sì, Geova ha ricompensato la fede e il coraggio di Davide dirigendo quel piccolo
proiettile con precisione micidiale dritto nella fronte del gigante! Davide corre, sfodera la stessa spada di
Golia e stronca la testa di quel prepotente. I filistei si danno confusamente alla fuga. Era proprio il caso di
dire: “LA BATTAGLIA APPARTIENE A GEOVA”! — 1 Samuele 17:47-51.
6 Perché Geova ha preservato questo dettagliato racconto di guerra nella sua Parola, nonostante tale
battaglia sia avvenuta circa 3.000 anni fa? Ce lo dice l’apostolo Paolo: “Tutte le cose che furono scritte
anteriormente furono scritte per nostra istruzione, affinché per mezzo della nostra perseveranza e per
mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza”. (Romani 15:4) Oggi molti fedeli servitori di Dio
devono affrontare biasimo e aperta opposizione da parte di nemici paragonabili a Golia. Man mano che le
pressioni a noi ostili aumentano, abbiamo tutti bisogno della confortante assicurazione che “LA
BATTAGLIA APPARTIENE A GEOVA”.
La contesa della sovranità
7 Golia avanzava a grandi passi sfidando l’Iddio d’Israele. In maniera analoga, nel nostro secolo il
sistema governativo totalitario è venuto alla ribalta sfidando la sovranità di Geova e tentando di intimidire i
suoi servitori perché si sottomettessero allo Stato adorandolo. Questa contesa interessa i servitori di Dio
in tutte le nazioni. Perché? Perché i profetici tempi dei Gentili, o “tempi fissati delle nazioni”, finirono nel
1914, introducendo l’attuale era di “angoscia di popoli in ansia”. (Luca 21:24-26; NM, CEI) I tempi dei
Gentili ebbero inizio quando le nazioni cominciarono a calpestare la Gerusalemme terrena nel 607 a.E.V.,
e si estesero per tutti i successivi 2.520 anni fino al 1914, data in cui Dio intronizzò Gesù come suo Re
messianico nella Gerusalemme celeste. — Ebrei 12:22, 28; Rivelazione 11:15, 17.
8 Nel 1914 ebbe luogo un grande cambiamento. Le nazioni gentili non potevano più governare senza
alcuna interferenza divina. Ma “i re” che allora erano al potere ubbidirono forse al comando profetico di
‘servire Geova con timore’, riconoscendo il suo Re appena insediato? No! Al contrario, ‘si ammassarono
come un sol uomo contro Geova e contro il suo unto’, Gesù. Perseguendo i loro propri obiettivi, si
trovarono “in tumulto” nella Grande Guerra del 1914-18. (Salmo 2:1-6, 10-12) Fino ad oggi, il dominio
mondiale è una contesa scottante per l’umanità. Il mondo di Satana continua a produrre campioni politici,
paragonabili ai parenti di Golia, i refaim. Questi domini dittatoriali biasimano Geova e cercano di intimidire
i suoi testimoni così da sottometterli, ma come sempre la battaglia e la vittoria appartengono a Geova. —
2 Samuele 21:15-22.
Un “Saul” moderno
9 Che ruolo ricopre il re Saul in questo contesto? In precedenza, a motivo della sua ribellione, Geova
aveva deciso di ‘strappare da lui il governo reale d’Israele’. (1 Samuele 15:22, 28) Ora Saul aveva
mancato di sostenere la sovranità di Geova di fronte alla sfida di Golia. Non solo, ma iniziò a perseguitare
Davide, che aveva vinto Golia e che Geova aveva unto per sostituire la linea di discendenza reale di
Saul. Questo modo di agire è ben imitato dagli ecclesiastici della cristianità! Essi si sono ribellati alla
verità della Bibbia, facendo parte della grande apostasia che ‘non ubbidisce alla buona notizia’ intorno al
nostro Signore Gesù e al suo veniente Regno. Hanno mancato completamente di sostenere la sovranità
universale di Geova e hanno perseguitato aspramente gli unti testimoni di Geova e i loro compagni, la
grande folla. Geova spazzerà via quegli apostati ‘nel suo furore’. — 2 Tessalonicesi 1:6-9; 2:3; Osea
13:11.
10 Durante la prima guerra mondiale divenne molto evidente come il clero della cristianità era pronto al
compromesso. Era chiaro che si stava adempiendo la profezia di Gesù riportata nei capitoli 24 e 25 di
Matteo e nel capitolo 21 di Luca. Infatti, nel 1918 un gruppo di eminenti ecclesiastici, in rappresentanza
delle chiese battista, congregazionalista, presbiteriana, episcopaliana e metodista, pubblicarono a Londra
un manifesto in cui si affermava: “La presente crisi indica la fine del tempo dei Gentili”. Ma essi non
agirono coerentemente a quella dichiarazione. Il clero della cristianità era già profondamente coinvolto
nel sostenere entrambe le parti in gioco nella prima guerra mondiale. Anziché riconoscere la presenza di
Gesù nel potere regale, esso cedette al pensiero delle nazioni del mondo, secondo cui i popoli
dovrebbero continuare ad essere dominati da divisive potenze politiche gentili, persino da tiranni come
Golia, anziché unirsi sotto il Regno di Dio. — Matteo 25:31-33.
Nessun compromesso!
11 I devoti servitori di Dio fanno forse compromesso riguardo a questa contesa della sovranità? Niente
affatto, come il racconto biblico dimostra chiaramente! (Daniele 3:28; 6:25-27; Ebrei 11:32-38;
Rivelazione 2:2, 3, 13, 19) Oggi i cristiani leali sostengono la sovranità e il Regno di Geova nonostante
tutti i crudeli biasimi e le persecuzioni che il prepotente Golia moderno procura loro. Così facendo
seguono le orme di Gesù, “il Figlio di Davide”, che combatté intrepidamente una guerra spirituale a favore
della sovranità di Geova, mantenendosi allo stesso tempo strettamente neutrale nei confronti della
politica e dei conflitti del mondo. Rivolgendosi in preghiera al Padre suo, Gesù affermò che anche i suoi
seguaci, i veri cristiani, “non fanno parte del mondo”. — Matteo 4:8-10, 17; 21:9; Giovanni 6:15; 17:14,
16; 18:36, 37; 1 Pietro 2:21.
12 L’odierno rimanente dei cristiani unti, simile a Davide, ha abbattuto il moderno Golia. In che modo?
Dimostrandosi inequivocabilmente dalla parte di Geova nella controversia sul dominio mondiale.
L’esempio lo stabilì la “RISOLUZIONE (Adottata dalla International Bible Students Association al
Congresso di Cedar Point, Ohio, la domenica del 10 settembre 1922)”. Tra le altre cose essa diceva:
“10. Riteniamo inoltre ed attestiamo che questo è il giorno della vendetta di Dio contro l’imperio di Satana,
visibile ed invisibile;
“11. Che il ristabilimento del vecchio mondo o ordine di cose è impossibile, e che è giunta l’ora in cui
dev’essere stabilito il Regno di Dio mediante Cristo Gesù; e che tutti i poteri e le organizzazioni che non
si sottomettono volontariamente al giusto Regno del Signore saranno distrutti”.
“Il Figlio di Davide”, come Capo della congregazione cristiana, ha senz’altro diretto il lancio di quella
“pietra” di verità del Regno. (Matteo 12:23; Giovanni 16:33; Colossesi 1:18) Le risoluzioni adottate alle
assemblee annuali dal 1922 al 1928 sottolinearono questa posizione. Dal punto di vista del popolo di
Geova “Golia” giaceva morto, decapitato. Il dominio dittatoriale umano non è stato in grado di indurre i
coraggiosi sostenitori della sovranità di Geova a fare compromesso. — Confronta Rivelazione 20:4.
13 Un notevole esempio moderno di tattiche intimidatorie da parte di governi politici simili a Golia si ebbe
nella Germania di Hitler. Le religioni principali, sia la cattolica che la protestante, fecero compromesso in
maniera meschina rendendo omaggio al nazismo, idoleggiando il führer, salutando la sua bandiera con la
svastica e benedicendo le sue truppe che partivano per andare a massacrare loro compagni di fede in
nazioni vicine. Sedicenti cristiani di tutte le confessioni, ma non testimoni di Geova, si accesero di fervore
patriottico. In un libro (Mothers in the Fatherland) viene detto: “Fra il 1933 e il 1945 [i testimoni di Geova]
furono mandati nei campi di concentramento, un migliaio vennero giustiziati e un altro migliaio persero la
vita. . . . Cattolici e protestanti vennero esortati dai rispettivi ecclesiastici a collaborare con Hitler. Se si
rifiutavano, lo facevano contravvenendo agli ordini sia della chiesa che dello stato”. Come si macchiarono
di sangue sia la Chiesa che lo Stato! — Geremia 2:34.
14 Proprio come predisse Gesù, i testimoni di Geova continuano tuttora ad essere crudelmente oppressi
in molti paesi. Ma in qualsiasi circostanza si trovino, questi cristiani continuano con zelo a predicare
“questa buona notizia del regno”. (Matteo 24:9, 13, 14) Paradossalmente, nella maggioranza dei paesi i
Testimoni sono ben noti come cittadini onesti, irreprensibili, esemplari nel rispettare la legge e l’ordine.
(Romani 13:1-7) Eppure spesso sono oggetto di persecuzione. Perché? Dato che l’adorazione appartiene
esclusivamente a Geova, essi si rifiutano di inchinarsi o rendere omaggio a simboli dello Stato.
(Deuteronomio 4:23, 24; 5:8-10; 6:13-15) Essi adorano Geova, “lui solo”, senza compromessi, facendo di
Geova il Sovrano Signore della loro vita. (Matteo 4:8-10; Salmo 71:5; 73:28) Non facendo “parte del
mondo”, mantengono la loro neutralità cristiana nei confronti della politica e dei conflitti del mondo. —
Giovanni 15:18-21; 16:33.
15 Spesso capita che il Golia moderno minacci queste persone integre che adorano Geova anziché darsi
a pratiche idolatriche. (Confronta Rivelazione 13:16, 17). Ma i Testimoni, giovani e vecchi, possono
seguire l’esempio di Davide rispondendo intrepidamente alla sfida. In un paese dell’America Latina, una
bambina cristiana di sei anni era stata allevata molto bene sin dall’infanzia. (Confronta Efesini 6:4; 2
Timoteo 3:14, 15). Questo aveva contribuito a renderla la scolara più brillante della classe. Ma la sua
coscienza addestrata con la Bibbia la induceva ad astenersi da cerimonie idolatriche che si facevano in
classe. Quando essa spiegò la propria posizione, l’insegnante esclamò che una bambina della sua età
era troppo giovane per avere una coscienza! La bambina di sei anni dimostrò che l’insegnante era in
errore dando testimonianza in un modo che stupì tutti i presenti.
16 Si spera che tutti i genitori cristiani addestreranno i loro piccoli così che possano seguire l’esempio del
giovane Davide prendendo posizione quando l’autorità secolare simile a Golia li minaccia. Sia loro
concesso di essere come i tre giovani ebrei fedeli, come Daniele e come molti altri che la Bibbia
menziona come esempi di coraggio nel ‘mantenere una buona coscienza’ in armonia con i princìpi biblici.
— 1 Pietro 2:19; 3:16; Daniele 3:16-18.
Ciò che dicono gli storici
17 Il noto storico inglese Arnold Toynbee avvertì del profilarsi nei nostri giorni della “sinistra forma di
adorazione pagana degli stati nazionali sovrani”, descrivendo tale fenomeno anche come “un fermento
acido del vino nuovo della democrazia messo nelle vecchie bottiglie del tribalismo”. Coloro che
sostengono che la propria nazione sia superiore a tutte le altre, fino al punto di adorare lo Stato, sono
stati manipolati e irreggimentati dai governanti così da eseguire i loro dettami politici, buoni o cattivi che
siano. Come risultato, è sorta la classe di Golia per mettere alla prova la lealtà dei servitori di Dio, i quali
amano la propria terra natia ma si rifiutano di adorare lo Stato e i suoi simboli.
18 Come succedeva nella Germania nazista, anche oggi ci sono domande scrutatrici a cui i cristiani
coscienziosi devono rispondere: Dovrei credere che la nazione in cui vivo sia favorita da Dio più di
qualsiasi altra? Specialmente oggi, in questo periodo che è il più pericoloso della storia umana, è logico e
ragionevole considerare una piccola parte della terra come superiore a tutte le altre? O considerare una
frazione della famiglia umana come superiore a tutte le altre frazioni?
19 Consideriamo il punto di vista dello Storico più grande di tutti, Geova Dio, l’Autore della Bibbia.
L’apostolo Pietro ci dice: “Per certo comprendo che Dio non è parziale, ma in ogni nazione l’uomo che lo
teme e opera giustizia gli è accetto”. E non dovremmo forse agire sempre in armonia con la dichiarazione
ispirata dell’apostolo Paolo secondo cui Dio “ha fatto da un solo uomo ogni nazione degli uomini, perché
dimorino sull’intera superficie della terra”? Perché una nazione umana dovrebbe pensare e comportarsi
come se fosse superiore a qualsiasi altra nazione? Parlando di tutti gli uomini, Paolo disse: “Siamo la
progenie di Dio”. — Atti 10:34, 35; 17:26, 29.
20 Nel nuovo sistema di Geova, gli amanti della giustizia non dovranno più affrontare i sistemi politici
totalitari simili a Golia, in quanto l’orgoglio e l’odio di parte saranno cose del passato. (Salmo 11:5-7) In
qualsiasi luogo della terra vivano, i servitori di Dio hanno già abbandonato tale nazionalismo, ubbidendo
al comando di Gesù di ‘amarsi gli uni gli altri come li ha amati lui’. (Giovanni 13:34, 35; Isaia 2:4) Il nostro
prossimo studio mostrerà di che genere di amore si tratta!
[Note in calce]
Per una trattazione dettagliata di questa cronologia biblica si vedano le ⇒kc ⇐pagine 129-38 del libro
“Venga il tuo Regno”, pubblicato dalla Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania.
Toccanti esempi di integrità da parte di testimoni di Geova, giovani e vecchi, in risposta alla sfida del
“Golia” nazista si possono trovare nell’Annuario dei testimoni di Geova del 1975, ⇒yb75 ⇐pagine 118-
21, 164-70.
Hiram (re di Tiro) — Tema: I vicini amichevoli possono essere utili GALATI 6:10

it-1 1223 Hiram


HIRAM
(Hìram) [forse forma abbreviata di Airam, che significa “mio fratello è alto (esaltato)”].
Nel testo masoretico ricorre in certi brani con grafia diversa: “Hirom” (1Re 5:10, 18; 7:40a) e “Huram”,
(2Cr 2:3).
1. Re di Tiro dell’XI secolo a.E.V., contemporaneo e amico di Davide e Salomone.
Quando Davide, conquistata la roccaforte di Sion, si accingeva a costruirvi un palazzo, Hiram mandò
messaggeri per stipulare un trattato commerciale con Davide. Hiram fornì poi a Davide legname di cedro
proveniente dai pendii occidentali del Libano, e anche artigiani abili nel lavorare il legno e la pietra. —
2Sa 5:11; 1Cr 14:1.
Saputo che Davide era morto e che Salomone regnava in sua vece, Hiram mandò i suoi servitori a
rinnovare il patto d’amicizia. (1Re 5:1) Salomone chiese allora l’aiuto di Hiram per procurarsi il materiale e
parte della manodopera necessaria per la costruzione del grande tempio, impegnandosi nello stesso
tempo a pagare gli operai di Hiram con grandi quantità di grano, orzo, vino e olio. (1Re 5:2-6; 2Cr 2:3-10)
A sua volta Hiram benedisse Geova e fra le due nazioni fu concluso un patto d’amicizia. — 1Re 5:7-12;
2Cr 2:11-16.
Alla fine del suo programma edilizio ventennale, Salomone diede a Hiram 20 città, ma Hiram non ne fu
per niente soddisfatto. (1Re 9:10-13; vedi CABUL n. 2). Non è certo se Hiram abbia restituito queste
stesse città o ne abbia date altre a Salomone. (2Cr 8:1, 2) Non si sa nemmeno se i 120 talenti d’oro
(65.664.000.000 di lire) che Hiram diede a Salomone fossero conseguenti all’aver ricevuto le città in dono
o se in qualche modo fossero inclusi nello scambio. — 1Re 9:14.
Hiram partecipò con Salomone anche a un’altra impresa: la costruzione da parte di quest’ultimo di una
flotta di navi a Ezion-Gheber nel golfo di `Aqaba. Hiram fornì abili marinai che si imbarcarono insieme ai
servitori di Salomone. Oltre a queste navi che solcavano i mari al largo della costa orientale dell’Africa,
Hiram e Salomone avevano altre navi che facevano vela fino in Tarsis, pare all’estremità occidentale del
Mediterraneo. Nel complesso l’intensa attività marittima fruttò ricchezze in gran quantità: oro, argento,
avorio, pietre preziose, legni pregiati e animali rari, come scimmie e pavoni. — 1Re 9:26-28; 10:11, 12,
22; 2Cr 8:18; 9:10, 21; vedi EZION-GHEBER.

2. Esperto artigiano che fece molti degli arredi del tempio di Salomone. Suo padre era di Tiro, mentre sua
madre era una vedova “della tribù di Neftali” (1Re 7:13, 14), “dei figli di Dan”. (2Cr 2:13, 14) Questa
apparente discrepanza si risolve se si suppone, come fanno alcuni studiosi, che essa fosse per nascita
della tribù di Dan e che, rimasta vedova di un primo marito della tribù di Neftali, si fosse quindi risposata
con uno di Tiro.
Hiram, il re di Tiro (n. 1), mandò questo Hiram a sorvegliare i lavori di costruzione di Salomone a motivo
della sua abilità ed esperienza nel lavorare materiali come oro, argento, rame, ferro, pietra e legno. Hiram
era inoltre insolitamente abile nella tintura, nell’incisione e nel fare progetti di ogni sorta. Sin dall’infanzia
doveva aver fatto esperienza tecnica nelle arti decorative dell’epoca lavorando col padre originario di
Tiro, egli stesso esperto nel lavorare il rame. — 1Re 7:13-45; 2Cr 2:13, 14; 4:11-16.
Il re di Tiro chiama evidentemente quest’uomo Hiram-Abi, appellativo che alla lettera significa “Hiram mio
padre”. (2Cr 2:13) Con questo il re non voleva dire che Hiram fosse letteralmente suo padre, ma forse
che era il “consigliere” o l’“artefice” del re. Sembra che anche l’espressione Hiram-Abiv (lett. “Hiram suo
padre”) voglia dire ‘Hiram è il suo artefice’, cioè l’artefice del re. — 2Cr 4:16.

w76 1/12 732-4 Tiro, una perfida città


Tiro, una perfida città
POCHE città del mondo antico furono perfide come Tiro. Le città dei vicini d’Israele non pretendevano di
avere amichevoli relazioni con quelli che adoravano Geova Dio. Almeno per un certo tempo, Tiro fu
comunque molto diversa.
Hiram re di Tiro, per esempio, ebbe relazioni amichevoli con i re giudei Davide e Salomone. Egli fornì a
Salomone materiali e mano d’opera per la costruzione del magnifico tempio di Geova a Gerusalemme. (1
Re 5:2-6; 2 Cron. 2:3-10) Più tardi, Hiram e Salomone parteciparono a una vasta impresa marittima. A
Ezion-Gheber nel Golfo di Aqaba, Salomone aveva costruito una flotta di navi. Queste navi avevano
equipaggi costituiti da servitori di Salomone e da esperti marinai mandati da Hiram. — 1 Re 9:26-28.
Ma le relazioni amichevoli fra Tiro e Israele, popolo del patto di Dio, non durarono. Perfidamente, Tiro si
alleò infine con i nemici d’Israele. L’ispirato salmista scrisse: “Contro il . . . popolo [di Dio] fanno con
astuzia discorsi confidenziali; e cospirano contro quelli che tu nascondi. Han detto: ‘Venite e spazziamoli
via dall’essere una nazione, affinché il nome d’Israele non sia più ricordato’. Poiché col cuore si sono
unitamente scambiato consiglio; contro di te concludevano perfino un patto, le tende di Edom e gli
Ismaeliti, Moab e gli Agareni, Ghebal e Ammon e Amalec, la Filistea insieme agli abitanti di Tiro”. — Sal.
83:3-7.
La perfidia di Tiro giunse al punto che il suo mercato di schiavi vendeva Israeliti a Greci ed Edomiti.
Poiché nelle Scritture non c’è nessun riferimento a qualche guerra diretta fra Tiro e Israele, quelli venduti
poterono esser stati catturati da altri popoli, per poi cadere in mano di commercianti di schiavi di Tiro.
Oppure, può darsi che gli abitanti di Tiro facessero schiavi Israeliti fuggiaschi che cercavano rifugio a Tiro
e nelle sue vicinanze.
A causa della perfidia di Tiro, Geova, per mezzo dei suoi profeti, dichiarò la calamità della città e dei suoi
abitanti. Leggiamo: “Ripagherò il vostro trattamento sulle vostre teste. Perché . . . avete venduto i figli di
Giuda e i figli di Gerusalemme ai figli dei Greci”. (Gioe. 3:4-6) “Geova ha detto questo: ‘A motivo di tre
rivolte di Tiro, e a motivo di quattro, non lo revocherò, a motivo del loro cedere un completo corpo di
esiliati a Edom, e perché non si ricordarono del patto dei fratelli. E per certo manderò un fuoco alle mura
di Tiro, e deve divorare le sue torri di dimora’”. (Amos 1:9, 10) Queste parole profetiche furono
progressivamente adempiute col passar dei secoli.
ASSEDIO DI NABUCODONOSOR
Il re babilonese Nabucodonosor cominciò ad assediare Tiro qualche tempo dopo aver distrutto
Gerusalemme e il suo glorioso tempio. Secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio del primo secolo,
l’assedio si protrasse per tredici anni. Durante il lungo, estenuante assedio, la testa dei soldati fu “resa
calva” per la frizione dell’elmo e le loro spalle furono ‘scorticate’ per il trasporto di materiali per la
costruzione di opere d’assedio. Tuttavia, nonostante tutti questi sforzi, Ezechiele 29:18 riferisce: “In
quanto ai salari, da Tiro non ce ne fu alcuno per [Nabucodonosor] e per le sue forze militari, per il servizio
che aveva compiuto contro di lei”.
La storia secolare non dà nessuna indicazione di quanto l’assedio babilonese risultasse completo o
efficace. Dalla descrizione profetica contenuta nel libro di Ezechiele apprendiamo comunque che i Tiri
subirono una grande perdita di vite e proprietà. (Ezec. 26:7-12) Evidentemente i Babilonesi non
ricevettero quindi nessun ‘salario’ per gli strenui sforzi compiuti poiché non ottennero ciò che avevano
sperato di ricevere. Se riuscirono a prendere spoglie dovettero essere assai inferiori alle loro aspettative.
Questo poté avvenire perché solo la città continentale subì la disfatta, mentre la città insulare, a breve
distanza dalla costa, riuscì a sfuggire alla cattura.
Ci sono indicazioni che Tiro si riprese dal colpo infertole dai Babilonesi. Quando gli Israeliti tornarono in
Giuda e a Gerusalemme dall’esilio babilonese, i Tiri fornirono legno di cedro dal Libano per la
ricostruzione del tempio di Geova a Gerusalemme. (Esd. 3:7) Anni dopo, al tempo di Neemia,
commercianti tiri abitavano a Gerusalemme e vendevano nella città pesce e grande varietà di altra
merce. — Nee. 13:16.
ASSEDIO DI ALESSANDRO MAGNO
Ma la parola profetica diretta contro Tiro non aveva perduto efficacia. La città doveva ancora essere
spogliata di tutta la sua gloria. Dando risalto al fatto che Tiro non aveva subìto l’adempimento finale delle
profezie dirette contro di lei, Geova Dio indusse il suo profeta Zaccaria a dichiarare: “Geova stesso la
spodesterà [Tiro], e per certo ne getterà nel mare le forze militari; ed essa stessa sarà divorata dal fuoco”.
(Zacc. 9:4) Questa e precedenti profezie ebbero un sorprendente adempimento nell’anno 332 a.E.V.
Fu allora che Alessandro Magno di Macedonia, invadendo il Medio Oriente, chiese che le città della
Fenicia, compresa Tiro, gli si sottomettessero. Mentre le altre città si arresero ad Alessandro, Tiro si
rifiutò di aprirgli le sue porte. In quel tempo la città era situata su un’isola a circa 800 metri (mezzo miglio)
dalla costa ed era protetta da massicce fortificazioni. La parte delle mura verso il continente raggiungeva
l’altezza di ben 46 metri (150 piedi).
Di fronte all’ostinato rifiuto di Tiro di arrendersi, Alessandro pose l’assedio alla città. Non avendo una
flotta, ordinò che l’antica Tiro continentale fosse demolita e le macerie fossero usate per costruire un
molo o strada rialzata fino alla città insulare. All’estremità della strada rialzata, che era larga circa 61
metri (200 piedi), eresse macchine da guerra e torri. Usando navi incendiarie, i Tiri cercarono di
distruggere queste torri e di danneggiare anche il molo. Imperterrito, Alessandro fece ricostruire le torri e
allargare il molo. Avendo compreso di non poter conseguire il successo senza le navi, Alessandro radunò
un’enorme flotta da Sidone, Rodi, Mallo, Soli, Licia, Macedonia e Cipro. Così gli abitanti di Tiro persero il
libero accesso al mare. La caduta della città fu sicura.
Non volendo protrarre l’assedio, Alessandro ordinò la costruzione di macchine d’assedio galleggianti sulle
quali furono montati arieti. Le sue forze avanzarono quindi verso i due porti di Tiro e ne scalarono le
fortificazioni.
Dopo un assedio di sette mesi, Tiro cadde. Poiché incontrarono una disperata resistenza anche dopo che
avevano preso la città, gli uomini di Alessandro diedero Tiro alle fiamme. Oltre agli 8.000 Tiri massacrati
in battaglia, 2.000 furono uccisi poi come rappresaglia e 30.000 furono venduti come schiavi.
FINE DELLA GLORIA DI TIRO
Nonostante che in seguito Tiro si riprendesse più volte, tuttavia la profezia biblica si adempì su di lei.
Oggi l’antica gloria di Tiro non esiste più. Il luogo è caratterizzato da rovine e da un piccolo porto di mare
chiamato Souro. Riguardo a tale luogo, l’Encyclopædia Britannica (1971) nota che esso “non ha
particolare importanza; si calcolava che nel 1961 avesse una popolazione di 16.483 abitanti”. (Vol. 22,
pag. 452) Così la storia di Tiro attesta fino a questo giorno la correttezza delle parole profetiche:
“[Io, Geova, sono] contro di te, o Tiro, e per certo farò salire contro di te molte nazioni, proprio come il
mare fa salire le sue onde. E dovranno ridurre in rovina le mura di Tiro e ne demoliranno le torri, e per
certo ne raschierò via da lei la polvere e ne farò una splendente, nuda superficie di rupe. Essa diverrà un
luogo per asciugare le reti a strascico in mezzo al mare”. — Ezec. 26:3-5.
La sorte di Tiro dimostra chiaramente che Geova Dio non considera con leggerezza l’azione perfida.
Questo dovrebbe farci capire l’importanza di conoscere la volontà di Dio e di attenerci lealmente a lui.
Come non lascerà impunita la perfidia, così non mancherà di ricompensare i suoi servitori leali. “Dio non
è ingiusto”, scrisse l’apostolo Paolo ai conservi credenti, “da dimenticare la vostra opera e l’amore che
avete mostrato per il suo nome”. — Ebr. 6:10.
Husai — Tema: Un amico leale agisce intrepidamente SALMO 18:25

it-1 1225 Husai


HUSAI
(Husài) [forse, forma abbreviata di Asabia, che significa “Geova ha stimato (considerato)”].
Leale archita amico di Davide che contribuì a sedare la ribellione di Absalom. (1Cr 27:33) Husai, con
l’abito strappato e polvere sul capo, andò incontro sul Monte degli Ulivi al re che fuggiva. Poi, seguendo il
suggerimento di Davide, tornò in città e si finse leale ad Absalom, nel tentativo di frustrare il consiglio di
Ahitofel e allo scopo di tenere informato Davide per mezzo dei sacerdoti Zadoc e Abiatar. (2Sa 15:30, 32-
37) Dapprima Absalom si mostrò sospettoso, ma poi Husai riuscì a conquistare la sua fiducia. (2Sa
16:16-19) Quando Absalom gli chiese quale fosse secondo lui la migliore strategia militare, Husai
espresse parere contrario a quello di Ahitofel e raccomandò una tattica che avrebbe dato a Davide il
tempo di organizzarsi. Husai presentò la sua idea in modo tale che Absalom e il suo seguito la ritennero
migliore del consiglio di Ahitofel, che invece premeva per un attacco immediato. Quindi Husai ne informò i
sacerdoti. (2Sa 17:1-16) Il consiglio di Husai frustrò quello di Ahitofel, proprio come Davide aveva chiesto
a Dio, e così ‘Geova fece ricadere la calamità su Absalom’. — 2Sa 15:31; 17:14; vedi AMICO (Amico
[compagno] del re).

yy 59-61 8 Che specie di amici vuoi?


7 Puoi inoltre leggere di un altro amico di Davide chiamato Usai, che fu uno degli intimi amici di Davide
durante il suo regno. È avvincente il racconto di come Usai rischiò la propria vita per sventare la
proditoria cospirazione di Absalom, uno dei figli di Davide. — Si veda 2 Samuele 15:10-37; 16:16–17:16.
8 Forse tu hai amici come questi. Se no, come puoi trovarli? Ci vorrà vero sforzo, ma ne varrà certo la
pena.
CERCA AMICI DEGNI
9 C’è molta verità nel detto che ‘l’unico modo di avere un amico è quello di esserlo’. A volte alcuni si
risentono vivamente quando sono ‘esclusi’ da ciò che fanno altri giovani che forse ammirano. O possono
aver avuto amici solo per perderli. Si sentono molto male. Può darsi che non comprendano che l’amicizia
è una strada a doppio senso.
10 Facciamo dunque bene a chiederci: Che cosa faccio per essere amichevole con altri? Quanto
interesse sincero e altruistico mostro ad altri, e che cosa faccio per contribuire alla loro felicità e al loro
benessere? Quali qualità coltivo che farebbero pensare ad altri di volermi veramente avere come amico?
11 La specie di amici che trovi dipende per lo più dal modo in cui cerchi di trovarli. Alcuni cercano di farsi
amici spendendo per loro denaro, o invitandoli a condividere beni materiali, come un apparecchio
stereofonico e dischi o attrezzi sportivi. È vero che questo può attirare a te alcuni. I Proverbi dicono: “Molti
sono gli amici del ricco”, e “chiunque è compagno dell’uomo che fa doni”. Sì, molti sono amichevoli
quando una persona spende liberalmente il proprio denaro. Ma quando il denaro finisce, finiscono anche
gli “amici”. — Proverbi 14:20; 19:6.
12 Gli amici degni non si possono “comprare” né mediante beni materiali, né con l’adulazione o cedendo
sempre a quello che vogliono. Qualsiasi amico si possa comprare non è mai degno del prezzo, per
quanto grande esso sia. I veri amici sono attratti da ciò che tu sei, dalle tue qualità, non da ciò che
possono ottenere da te.
13 Quindi, quantunque sia bene avere una disposizione amichevole, se vuoi veri amici devi essere
selettivo riguardo a quelli che scegli come compagni intimi e confidenziali. Davide lo fu. Egli dice:
“Chiunque è di occhi superbi e di cuore arrogante, non lo posso sopportare. I miei occhi sono sui fedeli
della terra, affinché dimorino con me. . . . Entro la mia casa non dimorerà nessun operatore d’inganno”.
(Salmo 101:5-7) Perché è così importante che oggi i giovani siano selettivi in quanto agli intimi
compagni?

g95 8/9 21 Cosa possiamo fare perché le nostre preghiere vengano esaudite
Agite!
Anche se è vero che la sua relazione con Dio ebbe un ruolo essenziale, Davide riconobbe che non
poteva starsene passivamente a osservare i risultati della sua preghiera. Al contrario, Davide assunse un
ruolo attivo come è evidente dal modo saggio in cui agì dopo aver pregato.
Fra i leali amici di Davide c’era un archita di nome Husai. Husai incontrò il re fuggiasco sul Monte degli
Ulivi. Anche se desiderava andare in esilio insieme a lui, Husai ubbidì all’esortazione di Davide e rimase
in città. Doveva fingere lealtà ad Absalom, cercare di frustrare il consiglio del traditore Ahitofel e tenere
informato Davide. (2 Samuele 15:32-37) Come sperato, Husai riuscì a guadagnarsi la fiducia di Absalom.
Ora sarebbe intervenuto Geova.
Ahitofel, uomo ingegnoso anche se infido, propose un ottimo piano. Esortò Absalom a dargli 12.000
uomini per attaccare Davide quella notte stessa mentre era in fuga, disorganizzato e vulnerabile: sarebbe
stato il colpo di grazia che avrebbe suggellato il successo della ribellione! Tuttavia, con sorpresa di molti,
Absalom chiese consiglio a Husai. Questi lo esortò a prendersi il tempo di radunare un esercito molto
numeroso, di cui lui stesso, Absalom, avrebbe assunto il comando. Grazie alla guida di Geova, il
consiglio di Husai venne accettato. Ahitofel, evidentemente comprendendo che seguire il consiglio di
Husai significava andare incontro a una sicura sconfitta, tornò a casa e si suicidò. — 2 Samuele 17:1-14,
23.
Non c’era dubbio che Geova aveva esaudito la preghiera di Davide, proprio come egli aveva chiesto.
L’esempio di Davide in quanto all’agire in armonia con ciò per cui si prega costituisce una preziosa
lezione per tutti quelli che chiedono aiuto a Dio in preghiera.
Iael — Tema: Un’azione coraggiosa e decisa adempie una profezia GIUDICI 4:9, 21, 22

it-1 1229 Iael


IAEL
(Iàel) [capra di montagna].
Moglie di Heber il chenita, quindi una donna non israelita, che uccise Sisera, comandante dell’esercito
cananeo.
Insieme al marito, Iael si attendò vicino a Chedes. Fra Heber e gli oppressori cananei c’era pace. (Gdc
4:10, 11, 17, 21; vedi CHEDES n. 3). Sconfitto da Israele, Sisera fuggì nell’accampamento neutrale di
Heber, dove Iael lo invitò a entrare nella sua tenda e lo coprì con una coperta. Quando egli le chiese un
po’ d’acqua, Iael gli diede da bere latte cagliato in una grande scodella da banchetto. Dopo di che lo coprì
di nuovo, ed egli le chiese di fare la guardia all’ingresso della tenda. Credendosi al sicuro presso di lei,
Sisera, stanco e affaticato, cadde subito in un sonno profondo. Allora Iael, che abitando in tende era
senz’altro abituata a piantare pioli in terra, gli si avvicinò in silenzio armata di un martello e di un piolo col
quale gli trapassò la testa conficcandolo in terra. Quando giunse l’inseguitore Barac, essa gli mostrò il
comandante dell’esercito, morto ‘per mano di una donna’, come aveva predetto Debora. (Gdc 4:9, 17-22)
La coraggiosa azione di Iael contro il nemico di Geova è esaltata nel cantico di vittoria di Debora e Barac,
in cui Iael viene pure chiamata “la più benedetta fra le donne”. — Gdc 5:6, 24-27.
w79 1/3 22-3 La coraggiosa Iael
La coraggiosa Iael
“NELLA via per la quale vai la bellezza non sarà tua, poiché Geova venderà Sisera nelle mani di una
donna”. (Giud. 4:9) Così la profetessa Debora parlò a Barac, il giudice israelita che condusse la lotta
contro l’esercito del re cananeo Iabin, crudele oppressore d’Israele. (Giud. 4:2, 3) L’adempimento delle
parole di Debora richiese notevole coraggio da parte di una donna. Perché? Perché il Sisera menzionato
da Debora era il comandante dell’esercito di Iabin. Sisera, un valente guerriero, era tornato a casa più
volte vincitore, con abbondanti spoglie e numerosi prigionieri di guerra. (Giud. 5:28-30) Per questo poteva
sembrare molto improbabile che Sisera cadesse nelle mani di una donna.
Tuttavia questo era quanto Geova aveva dichiarato mediante la profetessa Debora e quindi non poteva
che avverarsi. Ma per partecipare all’adempimento della profezia la donna che avrebbe avuto questo
privilegio sarebbe stata messa alla prova. Avrebbe dovuto essere abbastanza coraggiosa da agire contro
un guerriero e avere anche la viva consapevolezza che era giusto eseguire il giudizio su un acerrimo
nemico del popolo di Dio.
La donna che superò con successo la prova e adempì la profezia non era israelita. Fu Iael, moglie di
Heber il chenita. I cheniti erano discendenti di Obab, cognato di Mosè. Essi avevano scelto come
residenza il deserto di Giuda a sud di Arad, nella Terra Promessa. In un periodo posteriore, tuttavia,
Heber si separò dagli altri cheniti e si spostò verso nord. Piantò la sua tenda a Chedes in Neftali, circa 5
chilometri a nord-ovest di quella che ora è chiamata Piana di Hula. — Num. 10:29-32; Giud. 1:16; 4:11.
Fu nelle vicinanze di Chedes in Neftali che Barac radunò un esercito di 10.000 uomini per combattere
contro Sisera, dopo di che Barac e il suo esercito si attestarono sul monte Tabor. In tal modo Sisera, i
suoi carri e il suo esercito ben equipaggiato furono attirati al fiume Chison. Ma Sisera non aveva la più
pallida idea che il suo esercito ben equipaggiato e di gran lunga superiore non sarebbe servito a nulla,
poiché Geova avrebbe combattuto per il suo popolo. Evidentemente ci fu una pioggia torrenziale che
trasformò la terra in fango e il Chison in un impetuoso torrente, immobilizzando la macchina bellica di
Sisera. Così gli israeliti poterono ottenere una vittoria decisiva. In quanto a Sisera, fuggì a piedi, diretto a
Chedes, dov’era accampato Heber il chenita. Non essendoci guerra fra Heber e il re Iabin, Sisera cercò
scampo lì. — Giud. 4:10-17.
In quei giorni non era comune che un uomo entrasse nella tenda di una donna sposata. Ma quando Iael
moglie di Heber si disse disposta ad accogliere Sisera, egli non esitò a rifugiarsi lì. Esausto, si sdraiò, e
Iael lo coprì con una coperta. Più tardi egli chiese dell’acqua da bere, ed essa gli diede del latte. Si
trattava senz’altro di latte inacidito agitandolo in un otre non lavato, e quindi mischiato con latte vecchio
ancora attaccato all’interno dell’otre. Quando Sisera ebbe bevuto il latte, Iael lo coprì di nuovo. (Giud.
4:18, 19; 5:25) Allora egli le comandò: “Sta all’ingresso della tenda, e deve accadere che se qualcuno
viene e in effetti ti domanda e dice: ‘C’è un uomo qui?’ tu devi dire: ‘No!’” — Giud. 4:20.
L’ospitalità di Iael dovette far sentire Sisera al sicuro e subito egli cadde profondamente addormentato. In
tal modo questo comandante militare si era messo alla mercé di Iael. Ma si sarebbe essa schierata con
lui contro il popolo di Dio? O sarebbe stata colei che avrebbe agito contro Sisera?
Iael compì un atto di coraggio, cogliendo l’occasione di unire la sua sorte a quella degli israeliti.
Dimorando in tende, era abituata a piantare pioli in terra con un martello. Quindi, con un piolo in una
mano e un martello nell’altra, Iael si avvicinò furtivamente a Sisera, profondamente addormentato su un
fianco. Scelta la parte più debole del cranio, vi appoggiò il piolo e glielo conficcò in testa. In seguito,
quando comparve sulla scena Barac, Iael gli mostrò cosa aveva fatto. Davanti a lui giaceva Sisera,
morto, con il piolo conficcato nelle tempie. La coraggiosa Iael aveva partecipato all’adempimento della
parola dichiarata da Geova per mezzo di Debora. Quando in seguito la vittoria fu commemorata con
musica, Debora e Barac cantarono: “Iael moglie di Heber il Chenita sarà la più benedetta fra le donne, fra
le donne nella tenda sarà la più benedetta”. — Giud. 4:21, 22; 5:24-27.
Sì, il nome di Iael è ricordato nel racconto biblico per il coraggioso atto che compì contro un acerrimo
nemico del popolo di Dio. Sebbene i servitori di Dio dell’odierna “grande folla” non siano chiamati a
combattere una guerra fisica, spesso devono avere simile coraggio per agire in modo concreto a fianco
del cristiano “Israele di Dio” nella battaglia spirituale contro i nemici di Geova. (Efes. 6:11-13; Gal. 6:16) E
la fiducia in Geova e nel fatto che è giusto sostenere ciò che egli approva, permetterà alle donne, nonché
agli uomini fedeli d’oggi d’essere coraggiosi come Iael.

su 127-8 16 Cosa farete personalmente?


13 Circa 180 anni dopo che Obab ebbe deciso di andare con Israele, uno dei suoi discendenti, un uomo di
nome Heber, viveva con la moglie Iael non lontano da Meghiddo. Heber si era separato dal resto dei
cheniti e aveva allacciato rapporti pacifici con Iabin, un re cananeo che opprimeva duramente Israele.
Quando Geova suscitò Barac perché liberasse Israele, il capo dell’esercito di Iabin, Sisera, radunò il suo
esercito con novecento carri da guerra dotati di falci di ferro fissate alle ruote. Ma Geova combatté per il
suo popolo, mettendo il campo nemico in confusione e facendo impantanare i carri con un’improvvisa
inondazione. Sisera stesso abbandonò il suo carro e fuggì a piedi verso la tenda di Iael, la moglie di
Heber. Come Sisera aveva sperato, Iael lo invitò a entrare nella tenda. — Giudici 4:4-17; 5:20, 21.
14 Iael fu così messa alla prova. Cosa avrebbe fatto a questo nemico del popolo di Geova? Coprì Sisera
con una coperta, ne placò la sete con del latte cagliato e aspettò che si addormentasse. A quel punto
‘prese un piolo della tenda e si mise in mano il martello. Quindi andò furtivamente da lui e gli conficcò il
piolo nelle tempie e lo fece entrare in terra, mentre egli era profondamente addormentato e stanco.
Dunque egli morì’. Il gesto di Iael richiese coraggio e amore per Geova e per il suo popolo. Dovette anche
compiere un’azione positiva e sforzarsi. — Giudici 4:18-22; 5:24-27, 31.
15 Come molti altri adoratori di Geova non israeliti, Iael prefigura le “altre pecore” che fanno del bene ai
fratelli spirituali di Cristo. Indipendentemente dai legami che i loro familiari possono avere col mondo e
con i suoi governanti, le “altre pecore” non approvano l’oppressione del popolo di Geova da parte dei
governanti del mondo. Sono leali al più grande Barac, il Signore Gesù Cristo, e ai suoi veri seguaci. I
componenti della classe di Iael non levano personalmente la mano contro i governanti del mondo, ma si
servono di qualsiasi mezzo a loro disposizione per neutralizzare i tentativi di opprimere i servitori di
Geova. Non si trattengono dal far sapere che sono pienamente d’accordo col proposito di Geova di
distruggere tutti i suoi nemici.
16 Non c’è tempo da perdere. Se veramente avete fede in Geova e nel suo Regno messianico e avete
messo la vostra vita in armonia con le esigenze della Bibbia, allora, senza indugio, manifestatelo
apertamente. Mostrate di avere lo spirito dell’eunuco etiope di cui si parla in Atti capitolo 8. Appena
comprese cosa si richiedeva da lui, chiese a Filippo che gli aveva spiegato la buona notizia intorno a
Gesù: “Che cosa m’impedisce d’esser battezzato?” E fu subito immerso in acqua.
17 Dopo questo buon inizio, rafforzate ogni giorno la vostra relazione con Geova, cercate i modi per
mettere più pienamente in pratica la sua Parola nella vostra vita e partecipate il più possibile alla
proclamazione del Regno, l’opera di vitale importanza che si sta compiendo negli ultimi giorni di questo
sistema di cose.

Iafet — Tema: Agire in modo rispettoso reca benedizioni PROVERBI 10:22

it-1 1229-30 Iafet


IAFET
(Iàfet) [conceda egli ampio spazio].
Figlio di Noè e fratello di Sem e di Cam. Anche se di solito è menzionato per ultimo, sembra che Iafet
fosse il maggiore dei tre figli. Infatti il testo ebraico di Genesi 10:21 ha “Iafet il maggiore”. (NM; Lu; ATE,
nt.) Quasi tutte le traduzioni italiane però ritengono che il testo ebraico si riferisca a Sem come “fratello
maggiore di Iafet”. (CEI; VR e altre) Se Iafet era il figlio maggiore di Noè, la sua nascita dovrebbe essere
avvenuta verso il 2470 a.E.V. — Ge 5:32.
Iafet e sua moglie furono fra gli otto che sopravvissero al Diluvio nell’arca. (Ge 7:13; 1Pt 3:20) Rimasti
senza figli fin dopo il Diluvio, in seguito ebbero sette maschi: Gomer, Magog, Madai, Iavan, Tubal, Mesec
e Tiras. (Ge 10:1, 2; 1Cr 1:5) Da questi figli e anche da alcuni nipoti “la popolazione delle isole [“regioni
marittime”, Mar] delle nazioni si sparse nei loro paesi, ciascuno secondo la sua lingua, secondo le loro
famiglie, nelle loro nazioni”. (Ge 10:3-5; 1Cr 1:6, 7) Storicamente Iafet fu il progenitore del ramo ario o
indoeuropeo (indogermanico) della famiglia umana. I nomi dei suoi figli e nipoti compaiono in antichi
documenti storici riguardanti popoli e tribù che occupavano in prevalenza regioni a N e a O della
Mezzaluna Fertile. Sembra che dalle regioni del Caucaso si siano spinti a E fino all’Asia centrale e a O
attraverso l’Asia Minore nelle isole e nelle regioni costiere d’Europa, forse fino in Spagna. Tradizioni
arabe sostengono che uno dei figli di Iafet fu anche il progenitore dei cinesi. — Vedi CARTINA e
TAVOLA, vol. 1, ⇒it-1 ⇐p. 329.
In seguito al rispettoso intervento compiuto insieme a suo fratello Sem quando il padre si era ubriacato,
Iafet ricevette la benedizione paterna. (Ge 9:20-27) Nella sua benedizione Noè chiese a Dio di
‘concedere ampio spazio [ebr. yàft]’ a Iafet. Questa espressione ebraica deriva evidentemente dalla
stessa radice da cui deriva il nome Iafet (ebr. Yèfeth o Yàfeth) e sembra indicare che il significato del suo
nome si sarebbe adempiuto in senso letterale e che i suoi discendenti si sarebbero stabiliti in una vasta
zona. Il fatto di ‘risiedere nelle tende di Sem’ indicherebbe secondo alcuni i pacifici rapporti che sarebbero
esistiti fra iafetidi e semiti. Tuttavia, dal momento che la storia non presenta un quadro particolarmente
pacifico, poteva invece riferirsi profeticamente alla successiva promessa fatta da Dio ad Abraamo, Isacco
e Giacobbe, discendenti di Sem, che nel loro “seme” si sarebbero benedette tutte le famiglie della terra
(inclusi i discendenti di Iafet). (Ge 22:15-18; 26:3, 4; 28:10, 13, 14; cfr. At 10:34-36; Gal 3:28, 29) Il fatto
che Canaan sarebbe ‘divenuto schiavo’ degli iafetidi trova adempimento nella dominazione del paese di
Canaan da parte dell’impero medo-persiano (una potenza iafetica) e nelle successive conquiste dei greci
e dei romani, inclusa la conquista delle roccheforti cananee di Tiro e Sidone.

g82 8/7 13-15 Qual è l'origine delle razze?


A cosa è dovuta la varietà nelle razze?
Quando lo spermatozoo dell’uomo si unisce alla cellula uovo della donna, è concepita una nuova vita
umana anche se i genitori sono di razza diversa. Eppure in quella piccolissima cellula ci sono migliaia di
geni, che trasmettono i caratteri ereditari. Questi caratteri riflettono tratti evidenti nei genitori o in altri
antenati.
La struttura genetica del primo uomo Adamo era tale che si poteva sviluppare fra i suoi discendenti
un’ampia varietà in quanto a colore della pelle, colore e forma dei capelli, corporatura e caratteristiche
facciali. La varietà fu accresciuta dalle differenze linguistiche e geografiche.
Riguardo all’isolamento geografico l’Encyclopedia Americana spiega: “Quando terre abitate da due o più
popolazioni sono separate da mari, catene montuose, deserti o altre cose che ostacolano i viaggi, i
rappresentanti di queste popolazioni sono per forza confinati nei rispettivi territori. . . . le razze saranno
separate da vuoti nella frequenza genetica corrispondenti ai confini geografici. . . . una condizione del
genere si osserva in Africa dove il deserto del Sahara costituisce un confine tra la razza europea (bianca)
e quella africana (negra). Il Sahara ha una popolazione molto sparsa ed è difficile per l’uomo
attraversarlo; costituisce un agente di isolamento di lunga data”.
In tal modo genetica, lingue e barriere geografiche spiegano in parte perché compaiono gruppi razziali
distinti in tutte le parti della terra.
Colore della pelle
Secondo la Bibbia tutti gli uomini discendono da Noè, attraverso i suoi tre figli Sem, Cam e Iafet. Il
decimo capitolo di Genesi elenca 70 discendenti di Noè e dice: “Da queste [famiglie] le nazioni si
sparsero per la terra”. (Genesi 10:32) Uno dei numerosi modi in cui queste nazioni sono state classificate
ha relazione con il colore della pelle. Nella pelle di tutte le creature umane normali c’è un pigmento bruno
scuro detto melanina.
Noè e i suoi tre figli avevano tutti una certa quantità di questo pigmento scuro. Da Sem vennero i
babilonesi, gli assiri, gli ebrei e gli arabi la cui pelle varia dal chiaro al bruno. I discendenti di Iafet, che
comprendono le razze indoeuropee, hanno la pelle di colore variabile dal chiaro al bruno scuro. In quanto
a Cam (che significa di colorito scuro o bruciato dal sole), alcuni suoi discendenti, ma non tutti, avevano
la pelle scura. Gli egiziani, che hanno la pelle leggermente scura, discendono da Mizraim figlio di Cam.
Un altro figlio di Cam, Canaan, maledetto da Dio per la sua cattiva condotta, fu l’antenato dei cananei
dalla pelle chiara.
In armonia con ciò il dott. Hughes, professore di antropologia presso l’Università di Toronto, ha detto: “Su
ogni continente, e in ogni razza geograficamente definita, c’è un’ampia varietà nella . . . pigmentazione
della pelle, . . . i tamil dell’India meridionale sono considerati da molti antropologi membri della principale
razza europoide [indoeuropea bianca], ma per quanto riguarda la pigmentazione della pelle sono più
scuri di molti negri africani”.
Tutto questo mostra quanto è sciocco interpretare la maledizione di Dio su Canaan come un riferimento a
un popolo dalla pelle scura. Tutte le suddivisioni dell’umanità hanno un pigmento scuro nella pelle, alcune
in misura minore, altre in misura maggiore.
Esistono razze superiori o inferiori?
Recentemente negli U.S.A. è stato effettuato uno studio su bambini negri adottati da 101 famiglie bianche
di istruzione superiore alla media. La rivista Psychology Today dice in un servizio che negli esami del Q.I.
i bambini negri hanno “registrato un punteggio superiore alla media nazionale sia dei negri che dei
bianchi, specie se erano stati adottati nella prima infanzia”.
Ad ogni modo, in base a quali criteri si deve misurare la superiorità o l’inferiorità di una razza? In base ai
criteri della civiltà occidentale con il suo allarmante aumento di disturbi cardiaci, cancro e altre malattie,
con il suo spaventoso aumento di perversioni e violenze sessuali? O in base ai criteri di qualche tribù
cosiddetta primitiva, come gli yamana, i chenchu o i pigmei del Congo? Notate come un esperto, il
defunto prof. Kern, ha descritto un rappresentante tipico di queste tribù:
“Prova sempre diletto a stare coi bambini, e conosce e ama anche le più piccole creature viventi che
abitano il suo territorio. . . . È . . . tenero e paziente con gli invalidi e coi vecchi . . . ed è contento della sua
vita e del suo lavoro all’aperto. . . . non vi è civiltà in cui l’esistenza sia più felice. Qui il suicidio è più raro
che in qualsiasi altro luogo”.
È sufficiente considerare questi fatti per capire come il Creatore dell’umanità consideri le diverse razze.
Sotto ispirazione dello spirito santo di Dio l’apostolo Pietro, egli stesso ebreo, disse: “Io riconosco che Dio
non ha preferenze di persona, ma gli è accetto colui che lo teme e osserva la giustizia, di qualunque
nazione [“razza”, Today’s English Version] egli sia”. — Atti 10:34, Nardoni.
Le chiese della cristianità hanno sempre mostrato di non avere “preferenze di persona”? Considerate
come le chiese cattolica e luterana sostennero il progetto di Hitler di creare una “razza superiore”. E per
secoli la Chiesa Cattolica ha insegnato che i negri erano una razza maledetta. John F. Maxwell, nel suo
libro Slavery and the Catholic Church (Lo schiavismo e la chiesa cattolica), dichiara che questa idea
“sopravvisse evidentemente fino al 1873 quando papa Pio IX concesse l’indulgenza a chi recitava una
preghiera a favore degli ‘sventurati etiopi dell’Africa centrale affinché l’Onnipotente Dio togliesse infine la
maledizione di Cam dai loro cuori’”. (Il corsivo è nostro) E ancor oggi alcune organizzazioni religiose
praticano apertamente la discriminazione razziale.
Qualunque sia il modo in cui uomini politici e religiosi vedono la cosa, la Bibbia e la scienza indicano che
tutte le razze sono uguali e hanno una comune origine. Fatto degno di nota, The Great Soviet
Encyclopedia del 1970, Vol. 2, pag. 149, accenna al “concetto scientifico dell’uguaglianza delle razze” e
ammette la “validità scientifica” di un’unica origine dell’umanità.
La soluzione dei problemi razziali
Grazie al fatto che mettono in pratica i principi biblici, i testimoni di Geova, fra cui ci sono persone di ogni
razza, sono uniti nell’adorazione. Oltre alle regolari adunanze settimanali, tengono annualmente grandi
congressi in tutta la terra. In mezzo a queste felici moltitudini si possono vedere persone di molte razze
che adorano Dio, prendono pasti e conversano insieme. Lo scrittore cattolico William J. Whalen osserva
in U.S. Catholic: “Credo che una delle più attraenti caratteristiche di questo culto sia la sua tradizionale
norma di uguaglianza razziale. I negri che diventano testimoni di Geova sanno d’essere accettati come
veri esseri umani”.
È vero che alcuni singoli individui sono cambiati, ma l’umanità in generale soffre a causa delle
accresciute violenze e guerre a sfondo razziale. In quanto alla soluzione del problema, Phillip Mason,
direttore dell’Istituto per le Relazioni fra le Razze con sede a Londra, ha detto quanto segue: “L’unica
speranza per il nostro futuro . . . sta in . . . un governo mondiale. . . . Dovremmo attendere vivamente il
giorno in cui le sovranità nazionali saranno per gradi rimesse a un governo mondiale”. Questo è
esattamente ciò che l’Onnipotente Dio si è proposto. Ad ogni modo, le nazioni sono troppo superbe per
‘rimettere’ la sovranità al governo di Dio, il regno celeste. Nel prossimo futuro invece il regno di Dio
annienterà tutti i governi umani e porterà l’armonia e la pace sulla terra dove vivranno persone ubbidienti
di tutte le razze. — Daniele 2:44; Salmo 37:29.
[Diagramma/Figura a pagina 13]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
Tutti i discendenti dei figli di Noè abbracciano varie gradazioni di colore della pelle
CAM SEM IAFET
Dal cananeo chiaro Dall’ebreo chiaro Dall’europeo bianco
al negro all’arabo più scuro all’indiano scuro

[Figura a pagina 14]


‘È accetto a Dio colui che lo teme e osserva la giustizia, di qualunque razza egli sia’
[Figura a pagina 15]
Lo scrittore cattolico William Whalen ha detto: ‘Una delle più attraenti caratteristiche dei testimoni di
Geova è la loro tradizionale norma di uguaglianza razziale’
Iairo — Tema: Esercitate fede in Gesù Cristo GIOVANNI 3:16; 11:25

it-1 1231-2 Iairo


IAIRO
(Iàiro).
Presidente della sinagoga (probabilmente di Capernaum) la cui figlia unica fu risuscitata da Gesù. — Mt
9:18; Mr 5:22; Lu 8:41, 42.
Quando, verso la fine del 31 o l’inizio del 32 E.V., la figlia dodicenne di Iairo si ammalò così gravemente
che si temeva morisse, il padre andò a cercare Gesù, cadde ai suoi piedi e lo implorò di venire a sanarla
prima che fosse troppo tardi. Mentre accompagnava Gesù verso casa sua, Iairo dovette senz’altro essere
molto incoraggiato vedendo Gesù guarire una donna soggetta da 12 anni a una perdita di sangue. Ma
che dolore dovette provare quando ricevette dai messaggeri la notizia che la sua figlioletta era già morta!
Tuttavia Gesù esortò Iairo a non temere, ma ad avere fede. Passando in mezzo a coloro che facevano
rumorosamente cordoglio — i quali schernirono sprezzanti Gesù quando affermò che la fanciulla dormiva
soltanto — Iairo, sua moglie e tre apostoli entrarono in casa insieme a Gesù che riportò in vita la
fanciulla. Come ci si poteva aspettare, Iairo e sua moglie “furono presi da grande estasi”. — Mr 5:21-43;
Mt 9:18-26; Lu 8:41-56.

w95 15/7 15-16 Le donne cristiane meritano onore e rispetto


Come Gesù trattava le donne
3 La tenera compassione di Gesù per la gente si rispecchiava nel modo in cui trattava le donne. Una volta
una donna che da 12 anni soffriva per un flusso di sangue cercò Gesù in mezzo alla folla. La sua
condizione la rendeva cerimonialmente impura, per cui non avrebbe dovuto trovarsi in mezzo alla gente.
(Levitico 15:25-27) Ma era così disperata che arrivò fin dietro a Gesù. Quando gli toccò il mantello, fu
istantaneamente guarita! Benché si stesse recando alla casa di Iairo, la cui figlia era gravemente malata,
Gesù si fermò. Avendo sentito che della potenza era uscita da lui, si guardò intorno per vedere chi lo
aveva toccato. Infine la donna si fece avanti e cadde tremante davanti a lui. Gesù la rimproverò forse
perché si era mescolata alla folla o perché gli aveva toccato il mantello senza il suo permesso? Al
contrario, si dimostrò molto affettuoso e benigno. “Figlia”, disse, “la tua fede ti ha sanata”. Quella fu
l’unica volta in cui Gesù si rivolse direttamente a una donna chiamandola “figlia”. Come dovette sentirsi
confortata da quella parola! — Matteo 9:18-22; Marco 5:21-34.

w84 1/4 12-13 Milioni di persone ora viventi continueranno a vivere sulla terra per sempre
20 Quei milioni di superstiti ricorderanno che Gesù, subito dopo aver risuscitato il caro amico Lazzaro
dalla tomba situata a Betania, vicino a Gerusalemme, comandò ai testimoni di quel miracolo di sciogliere
Lazzaro dalle sue bende funebri. Similmente, quando Gesù risuscitò la figlia del governante ebreo Iairo,
“ordinò che le si desse qualche cosa da mangiare”. (Luca 8:55; Giovanni 11:44) Senz’altro ai superstiti
saranno date istruzioni dal cielo perché facciano i dovuti preparativi per il ritorno dei miliardi di morti
umani.
21 Ci sarà anche una grande opera educativa da compiere. Questo è in armonia col proposito divino
secondo cui i morti umani torneranno per valersi pienamente del sacrificio di riscatto di Gesù Cristo. Solo
facendo la sua volontà saranno autorizzati a continuare a vivere su una terra edenica nella perfezione
umana. Già i componenti della “grande folla” di probabili superstiti della “grande tribolazione” si preparano
a partecipare a quello splendido programma di istruzione. Essi si sono personalmente valsi dei benefìci
della morte sacrificale dell’“Agnello di Dio”, Gesù Cristo. (Giovanni 1:29) Questo è quanto viene indicato
in Rivelazione 7:9-14, dove, fra l’altro, è detto di loro: “Questi sono quelli che vengono dalla grande
tribolazione, e hanno lavato le loro lunghe vesti e le han rese bianche nel sangue dell’Agnello”. Avendo
ricevuto i benefìci del riscatto di Cristo, sono descritti come “vestiti di lunghe vesti bianche”.

Iedutun (musicista levita) — Tema: Lodate Geova con la musica EFESINI 5:19; COLOSSESI 3:16

it-1 1244 Iedutun


IEDUTUN
(Ièdutun) [forse da un termine che significa “lode”].
1. Musicista levita. Forse in precedenza era chiamato Etan, dato che, prima dell’arrivo dell’Arca a
Gerusalemme, “Etan” è menzionato insieme agli altri musicisti, Eman e Asaf, mentre poi insieme a questi
viene menzionato “Iedutun”. (1Cr 15:17, 19; 25:1) Non si fa cenno degli antenati di Iedutun, ma di quelli di
Etan sì. (1Cr 6:44-47) E non si ha notizia dei discendenti di Etan, ma di quelli di Iedutun sì. (1Cr 9:16) Il
cambiamento del nome da Etan [che significa “durevole; perenne”] a Iedutun [forse da un termine che
significa “lode”] era certo in armonia con l’incarico che aveva ricevuto. — 1Cr 16:41; vedi ETAN n. 3.
Iedutun e la sua famiglia, tutti musicisti, parteciparono a diverse celebrazioni nelle quali si doveva
“ringraziare e lodare Geova” (1Cr 25:3), ad esempio quando l’arca del patto fu portata a Gerusalemme.
(1Cr 16:1, 41, 42) Delle 24 divisioni in cui Davide riorganizzò i musicisti del santuario, la 2a, la 4a, l’8a, la
10a, la 12a e la 14a toccarono a sorte ai sei figli di Iedutun, che operavano tutti sotto la guida del padre.
(1Cr 25:1, 3, 6, 7, 9, 11, 15, 17, 19, 21) Il fatto che questi compiti fossero affidati a Iedutun, Asaf ed Eman
significava che ciascuno dei tre principali rami dei leviti (rispettivamente Merari, Ghersom e Cheat) erano
rappresentati fra i musicisti del tempio. (1Cr 6:31-47) Tutti e tre i gruppi lodarono Geova con musica
quando Salomone inaugurò il tempio. (2Cr 5:12, 13) I discendenti di Iedutun sono menzionati durante il
regno di Ezechia e anche fra i reduci dall’esilio in Babilonia. — 2Cr 29:1, 12, 14, 15; Ne 11:17.
Iedutun è menzionato nella soprascritta di tre salmi⇒ Sl 39:0; 62:0; 77:0⇐. In due (Sl 39, 62) si legge: “Al
direttore di Iedutun” (“per [il coro di] Iedutun”, Con); nel terzo (Sl 77) invece si legge: “Al direttore su
Iedutun”. (NM; CEI) In ciascun caso la composizione del salmo è attribuita ad altri: i primi due a Davide e
il terzo ad Asaf; quindi non c’è nessuna indicazione che fossero stati composti da Iedutun, anche se
altrove questi è chiamato “il visionario del re” e viene detto che “profetizzava con l’arpa”. (2Cr 35:15; 1Cr
25:1, 3) Perciò le soprascritte di questi tre salmi devono essere istruzioni per l’esecuzione, forse per
indicare uno stile o anche uno strumento musicale che in qualche modo aveva a che fare con Iedutun, o
che lui o i suoi figli avevano inventato, introdotto, perfezionato o reso di uso comune.

w79 15/4 13 Sopportiamo il peso dell'ingiustizia


3 Alcuni servitori di Dio sono così turbati vedendo l’ingiustizia da dubitare seriamente del valore di una
vita retta. Questo è ciò che accadde ad Asaf, un valente musicista levita vissuto durante il regno del re
Davide. Egli scrisse composizioni usate per molti secoli nell’adorazione pubblica. (2 Cron. 29:30) Insieme
a Eman e Iedutun, Asaf ‘profetizzò con le arpe, con gli strumenti a corda e coi cembali’. (1 Cron. 25:1)
Evidentemente, l’attività di profetizzare consisteva nel rendere lode e grazie a Dio con
l’accompagnamento di musica strumentale. Probabilmente Asaf, Eman e Iedutun facevano questo con il
sentimento e l’intensità caratteristica dei profeti. Inoltre, le loro espressioni musicate comunicavano agli
israeliti messaggi importanti. Veramente Asaf fu molto privilegiato. Tuttavia, durante un certo periodo
della sua vita, si trovò in grave pericolo spirituale. In uno dei suoi salmi ispirati, il Salmo 73, Asaf
ammette: “I miei piedi si erano quasi storpiati, poco mancò che si facessero scivolare i miei passi”. —
Vers. Sal. 73:2.

w97 1/2 24-5 Il ruolo della musica nell'adorazione odierna


Il ruolo della musica nell’adorazione odierna
IL CANTO è un dono di Dio. Levare la voce nel canto può recare piacere a noi e al nostro Creatore. Col
canto possiamo esprimere i nostri sentimenti, di gioia e di dolore. Cosa ancora più importante, possiamo
esprimere il nostro amore, la nostra adorazione e la nostra lode all’Inventore del canto, Geova.
La maggioranza dei circa 300 riferimenti biblici alla musica riguardano l’adorazione di Geova. Il canto è
anche messo in relazione con la gioia, non solo di chi canta, ma anche di Geova. Il salmista scrisse: “Gli
innalzino melodie. Poiché Geova si compiace del suo popolo”. — Salmo 149:3, 4.
Ma che importanza ha oggi il canto nell’adorazione? Come possono gli odierni servitori di Geova fargli
piacere levando la voce nel canto? Che ruolo dovrebbe avere la musica nella vera adorazione? Saremo
aiutati a rispondere a queste domande esaminando la storia della musica nell’adorazione.
Il ruolo storico della musica nell’adorazione
Il primo riferimento biblico alla musica non è specificamente collegato con l’adorazione di Geova. In
Genesi 4:21 si attribuisce a Iubal la possibile invenzione dei primi strumenti musicali o forse l’istituzione di
qualche genere di professione musicale. Tuttavia la musica faceva parte dell’adorazione di Geova ancor
prima della creazione degli esseri umani. Alcune traduzioni bibliche descrivono gli angeli nell’atto di
cantare. Giobbe 38:7 dice che gli angeli gridavano gioiosamente ed “emettevano urla di applauso”. C’è
dunque una ragione scritturale per credere che il canto fosse usato nell’adorazione di Geova molto prima
che venisse all’esistenza l’uomo.
Alcuni storici hanno ipotizzato che la musica ebraica antica fosse solo melodia, senza armonia. Tuttavia
sull’arpa, strumento menzionato spesso nella Bibbia, si poteva suonare contemporaneamente più di una
nota. Gli arpisti si saranno pure accorti che la combinazione di certe note produceva un suono armonico.
Lungi dall’essere primitiva, la loro musica era sicuramente molto evoluta. E a giudicare dalla poesia e
dalla prosa contenute nelle Scritture Ebraiche, possiamo concludere che la musica israelita era di alta
qualità. Di sicuro i motivi a cui si ispiravano le composizioni musicali ebraiche erano più nobili di quelli a
cui si ispiravano le composizioni delle nazioni vicine che non conoscevano Geova.
La struttura organizzativa dell’antico tempio prevedeva elaborati complessi strumentali e corali per
l’adorazione. (2 Cronache 29:27, 28) C’erano “direttori”, “esperti”, ‘allievi’ e “capi dei cantori”. (1 Cronache
15:21; 25:7, 8; Neemia 12:46) Riguardo alle loro elevate doti musicali, lo storico Curt Sachs scrive: “I cori
e le orchestre che avevano relazione con il tempio di Gerusalemme rivelano un alto livello di educazione,
tecnica e conoscenza musicale. . . . Anche se non sappiamo com’era quella musica antica, abbiamo
prove sufficienti della sua forza, della sua dignità e della sua professionalità”. (The Rise of Music in the
Ancient World: East and West, 1943, pagine 48, 101-2) Il Cantico dei Cantici è un esempio della
creatività e della qualità dei componimenti ebraici. È un poema composto per il canto, come il libretto di
un’opera. Nel testo ebraico è chiamato “Il Cantico dei Cantici”, cioè il cantico per eccellenza. Per gli
antichi ebrei, il canto era parte integrante dell’adorazione. E permetteva loro di esprimere intensamente i
loro sentimenti di lode a Geova.
Il canto fra i cristiani del I secolo
La musica continuò a essere usata regolarmente nell’adorazione fra i primi cristiani. Oltre ad avere i
Salmi ispirati, sembra che componessero musiche e testi originali per l’adorazione, stabilendo un
precedente per la composizione di cantici cristiani oggi. (Efesini 5:19) Un libro di storia della musica
spiega: “I primi cristiani erano soliti cantare nell’adorazione sia pubblica che privata. Per gli ebrei
convertiti era il perpetuarsi della consuetudine seguita nelle sinagoghe . . . Oltre ai Salmi ebraici . . ., la
nuova fede tendeva a produrre continuamente nuovi inni, dapprima sembra sotto forma di rapsodie”. —
The History of Music, a cura di Waldo Selden Pratt.
A indicare l’importanza del canto, quando Gesù istituì il Pasto Serale del Signore probabilmente lui e gli
apostoli cantarono i Salmi dell’Hallel. (Matteo 26:26-30) Questi erano cantici di lode a Geova contenuti
nei Salmi e cantati in occasione della Pasqua. — Salmi 113-118.
L’influsso della falsa adorazione
Nel Medioevo la musica religiosa si era ormai ridotta a tristi cantilene. Verso il 200 E.V. Clemente
Alessandrino aveva scritto: “Ci basta un solo strumento: la voce pacata dell’adorazione: non servono né
arpe né tamburi né flauti né trombe”. Furono imposte delle restrizioni, limitando la musica ecclesiastica
alle sole voci. Questo tipo di canto finì per essere conosciuto come canto liturgico. “Meno di quarant’anni
dopo l’elevazione di Costantinopoli [a capitale], il Concilio di Laodicea (367 d.C.) proibì la partecipazione
sia degli strumenti che dei fedeli alla liturgia. La musica ortodossa è sempre stata unicamente vocale”,
dice un libro (Our Musical Heritage; il corsivo è nostro). Queste limitazioni non hanno riscontro nel
cristianesimo primitivo.
Nel Medioevo la Bibbia fu preclusa alla gente comune. I cristiani che osavano possedere la Bibbia o
leggerla venivano perseguitati e perfino uccisi. Non sorprende quindi che in quei secoli bui la
consuetudine di cantare lodi a Dio scomparisse in gran parte. Dopo tutto, se il popolo non aveva accesso
alle Scritture, come poteva sapere che un decimo dell’intera Bibbia consiste di cantici? Chi avrebbe detto
loro che Geova Dio aveva comandato ai suoi servitori di ‘cantargli un nuovo canto, la sua lode nella
congregazione dei leali’? — Salmo 149:1.
Restituito alla musica il giusto posto nell’adorazione
L’organizzazione di Geova ha fatto molto per restituire alla musica e al canto il giusto posto
nell’adorazione. Per esempio, il numero della Torre di Guardia di Sion del 1° febbraio 1896 consisteva
interamente di cantici. Era intitolato “Zion’s Glad Songs of the Morning” (Cantici lieti del mattino di Sion).
Nel 1938 il canto alle adunanze di congregazione fu in gran parte abbandonato. Tuttavia ben presto la
saggezza di seguire l’esempio e la guida apostolica prevalse. All’assemblea di distretto del 1944
Frederick W. Franz pronunciò il discorso “Canto del servizio del Regno”. Spiegò che, molto prima che
venisse creato l’uomo, le creature celesti innalzavano cantici di lode a Geova, e disse: “È appropriato e
gradito a Dio che i suoi servitori terreni levino la voce nel canto letterale”. Dopo aver trattato l’argomento
del canto nell’adorazione, presentò il Kingdom Service Song Book (Libretto dei cantici per il servizio del
Regno) da usare nelle settimanali adunanze di servizio. Poi nel dicembre 1944 l’Informatore (l’attuale
Ministero del Regno) annunciò che anche altre adunanze si sarebbero iniziate e concluse con un cantico.
Il canto era tornato a far parte dell’adorazione di Geova.
‘Cantiamo nei nostri cuori a Geova’
L’importanza di cantare con tutto il cuore è illustrata dai nostri fratelli dell’Europa orientale e dell’Africa
che hanno sopportato anni di avversità e persecuzione. Lothar Wagner trascorse sette anni in
segregazione cellulare. Come riuscì a perseverare? Egli dice: “Per parecchie settimane mi concentrai in
modo da completare il mio deposito di cantici del Regno. Quando non sapevo con esattezza il testo
semplicemente facevo una strofa o due. . . . Quale abbondanza di pensieri incoraggianti ed edificanti
contengono i nostri cantici del Regno!” — Annuario dei testimoni di Geova del 1975, ⇒yb75 ⇐pagine
228-30.
Tenuto per cinque anni in isolamento in carcere a motivo della sua fede, Harold King trovò conforto
componendo e cantando cantici di lode a Geova. Diversi dei cantici che compose vengono ora usati dai
testimoni di Geova nell’adorazione. La gioia che deriva dal canto fortifica. Ma non dobbiamo aspettare la
persecuzione per convincerci dell’importanza di cantare lodi a Dio.
Tutti i servitori di Geova possono provare gioia nel canto. Anche chi trova difficile esprimersi a parole,
quando canta può esprimere liberamente ciò che prova per Geova. L’apostolo Paolo indicò come
possiamo provare gioia cantando lodi quando esortò i cristiani a ‘parlare a se stessi con salmi e lodi a Dio
e cantici spirituali, cantando e accompagnandosi con musica nel loro cuore a Geova’. (Efesini 5:19) Se il
nostro cuore trabocca di cose spirituali, possiamo vigorosamente esprimere i nostri sentimenti col canto.
Perciò il segreto per migliorare la qualità del canto sta nella giusta disposizione di cuore.
Anche una buona relazione con Geova infonde uno spirito gioioso, facendoci pronunciare, cantare e
gridare le lodi di Geova. (Salmo 146:2, 5) Cantiamo di cuore per le cose che ci piacciono. E se ci piace il
cantico o i sentimenti che esprime, molto probabilmente lo canteremo con sentimento.
Per cantare con sentimento non è necessario urlare. Cantare ad alta voce non è necessariamente
sinonimo di bel canto; altrettanto dicasi del cantare con voce flebile. Certe voci dotate di risonanza
naturale possono risaltare anche se la persona canta dolcemente. Cantare bene in gruppo dipende in
parte dal saper fondere la propria voce con quella degli altri. Sia che cantiate a più voci o all’unisono, se
cantate con lo stesso volume di chi vi sta vicino il canto risulterà piacevole e armonico. La modestia
cristiana e l’orecchio attento aiutano a trovare l’equilibrio fra il cantare con entusiasmo e il non coprire le
voci degli altri con la propria. Comunque, non si dovrebbero mai scoraggiare coloro che sanno cantare
bene o che hanno una voce particolarmente bella dal cantare a piena voce. Una bella voce può essere di
valido sostegno per la congregazione quando si cantano le lodi di Geova.
Volendo, alle nostre adunanze i cantici si potrebbero anche cantare a più voci. Quelli che hanno
l’orecchio esercitato o che sanno leggere e cantare le note dell’armonia che compaiono nel libretto dei
cantici sono incoraggiati a unire le loro voci al canto per accrescerne la bellezza.
Alcuni dicono: ‘Non sono intonato’, oppure: ‘Ho una voce orribile: prendo certe stecche negli acuti!’ Per
questo cantano timidamente, anche nella Sala del Regno. La verità è che nessuna voce che si levi nel
canto a Geova è “orribile” dal suo punto di vista. Come nel parlare la qualità della voce può essere
migliorata con la pratica e seguendo gli utili suggerimenti che vengono dati alla Scuola di Ministero
Teocratico, così anche nel canto si può migliorare. Alcuni hanno migliorato la propria voce canticchiando
mentre sbrigano le faccende. Canticchiando si perfeziona il tono della voce. E in momenti opportuni,
quando siete soli o lavorate in un luogo in cui non disturbate altri, cantare le melodie del Regno è un
ottimo esercizio per la voce e un mezzo per assumere una disposizione mentale allegra e rilassata.
Possiamo incoraggiare a cantare alcuni cantici del Regno anche nelle riunioni a scopo di svago.
Cantandoli con l’accompagnamento della chitarra, del pianoforte o delle registrazioni della Società
eseguite col pianoforte, si conferisce un tono spirituale alle riunioni. È anche utile per imparare i cantici e
cantarli meglio alle adunanze di congregazione.
Per aiutare le congregazioni a cantare con entusiasmo alle adunanze, la Società ha provveduto incisioni
con l’accompagnamento musicale. Quando le si usa, l’addetto all’acustica dovrebbe stare attento al
volume. Se la musica è troppo bassa, la congregazione può esitare a cantare a piena voce. Cantando
insieme alla congregazione, il fratello addetto all’acustica sarà in grado di determinare se il volume della
musica è adeguato o no.
Cantate melodie a Geova
Il canto ci dà l’opportunità di esprimere i sentimenti che proviamo per il nostro Creatore. (Salmo 149:1, 3)
Non è un semplice sfogo emotivo, ma un’espressione di lode gioiosa, ragionevole e controllata. Cantare
con tutto il cuore ci aiuta ad assumere la giusta disposizione di mente e di cuore per il programma che
segue e può spronarci a un maggior impegno nell’adorazione di Geova. Anche se il canto ha un impatto
emotivo, le parole sono pure istruttive. Levando la voce all’unisono o cantando a più voci, i mansueti
preparano umilmente il loro cuore per farsi ammaestrare come popolo congregato. — Confronta Salmo
10:17.
Il canto farà sempre parte dell’adorazione di Geova. Abbiamo quindi la prospettiva di nutrire per l’eternità
i sentimenti del salmista, che disse: “Certamente loderò Geova durante il tempo della mia vita.
Certamente innalzerò melodie al mio Dio finché sarò”. — Salmo 146:2.
[Note in calce]
La rapsodia è un componimento musicale in cui più temi si susseguono in forma libera. Spesso le
rapsodie celebrano epopee o personaggi eroici.
Primo Corinti 14:15 sembra indicare che il canto era un aspetto regolare dell’adorazione cristiana.
Alcuni cantici del nostro attuale libretto, Cantate lodi a Geova, conservano la notazione a quattro voci a
beneficio di coloro che amano il canto polifonico. Tuttavia molti cantici hanno la partitura per pianoforte e
sono stati resi musicalmente in modo da preservare l’origine internazionale delle rispettive melodie.
Improvvisare l’accompagnamento armonico per i cantici sprovvisti della partitura a quattro voci può
accrescere la bellezza del canto alle nostre adunanze.
[Riquadro a pagina 27]
SUGGERIMENTI PER CANTARE MEGLIO
1. Quando cantate, tenete sollevato il libretto dei cantici. Vi aiuterà a respirare in modo più naturale.
2. Inspirate bene all’inizio di ogni frase.
3. Aprire la bocca un po’ di più di quanto vi verrebbe naturale accrescerà il volume e migliorerà la
risonanza della voce.
4. Soprattutto, tenete presenti i sentimenti espressi nel cantico che si sta cantando.
Iefte — Tema: I voti vanno presi seriamente ECCLESIASTE 5:4-6
(VEDI DIZIONARIO DEAGOSTINI “VOTO”)

it-1 1244-7 Iefte


IEFTE
[[Dio] apra; [Dio] ha aperto].
Giudice d’Israele, della tribù di Manasse. (Nu 26:29; Gdc 11:1) Per sei anni amministrò la giustizia nel
territorio di Galaad, forse all’epoca del sacerdote Eli e nei primi anni della vita di Samuele. (Gdc 12:7) Il
fatto che Iefte accenni ai “trecento anni” di dominazione israelita a E del Giordano sembrerebbe porre
l’inizio dei suoi sei anni di attività come giudice verso il 1173 a.E.V. — Gdc 11:26.
Figlio legittimo. Sua madre era una “prostituta”, ma questo non vuol dire che Iefte fosse un figlio
illegittimo o nato dalla prostituzione. La madre era stata una prostituta prima di sposare Galaad come
moglie secondaria, così come Raab era stata una prostituta ma poi aveva sposato Salmon. (Gdc 11:1;
Gsè 2:1; Mt 1:5) Che Iefte non fosse un figlio illegittimo è dimostrato dal fatto che i fratellastri, figli della
moglie effettiva di Galaad, lo scacciarono perché non ricevesse parte dell’eredità. (Gdc 11:2) Per di più
Iefte diventò in seguito il riconosciuto condottiero degli uomini di Galaad (fra cui i fratellastri di Iefte
sembravano primeggiare). (Gdc 11:11) Inoltre egli offrì un sacrificio a Dio presso il tabernacolo. (Gdc
11:30, 31) Un figlio illegittimo non avrebbe potuto fare nessuna di queste cose, poiché la Legge diceva
espressamente: “Nessun figlio illegittimo potrà entrare nella congregazione di Geova. Fino alla decima
generazione nessuno dei suoi potrà entrare nella congregazione di Geova”. — De 23:2.
Iefte era evidentemente il primogenito di Galaad. Di regola quindi avrebbe ereditato due parti della
proprietà di suo padre Galaad (che doveva essere già morto quando i fratellastri scacciarono Iefte) e
sarebbe pure diventato il capofamiglia. Solo allontanandolo illegalmente i fratellastri potevano privarlo
dell’eredità che gli spettava, perché il primogenito, anche se figlio di una moglie secondaria o meno
favorita, aveva comunque diritto all’eredità. — De 21:15-17.
“Uomini oziosi” si uniscono a Iefte. Quando fu scacciato dai fratellastri, Iefte si stabilì nel paese di Tob,
regione a E di Galaad, probabilmente fuori dei confini di Israele. Iefte si trovava dunque alla frontiera,
esposto agli attacchi dei nemici stranieri di Israele, in particolare di Ammon. “Uomini oziosi”, cioè uomini
che probabilmente erano oziosi o disoccupati a motivo delle angherie ammonite, e in rivolta contro
l’asservimento ad Ammon, si unirono a Iefte mettendosi ai suoi ordini. (Gdc 11:3) Gli abitanti di Galaad a
E del Giordano (le tribù di Ruben e Gad e mezza tribù di Manasse) erano per lo più allevatori di bestiame,
e le scorrerie dei predoni ammoniti (che a volte si spingevano anche oltre il Giordano) a quanto pare
avevano privato molti di loro dei possedimenti e dei mezzi di sussistenza. — Gdc 10:6-10.
Gli ammoniti minacciano guerra. L’oppressione da parte degli ammoniti si era protratta per 18 anni. Dio
l’aveva permessa perché gli israeliti infedeli si erano volti a servire gli dèi delle nazioni circostanti. Ma ora
i figli d’Israele erano tornati in sé, si erano pentiti della loro follia e avevano chiesto aiuto a Geova.
Avevano cominciato a eliminare gli idoli e a servire Geova. A questo punto Ammon si era radunato in
Galaad per un attacco su vasta scala. (Gdc 10:7-17; 11:4) Questo indica che in realtà era il grande
nemico invisibile di Dio, Satana il Diavolo, a istigare le nazioni pagane contro Israele, e che la vera
questione in gioco era l’adorazione del vero Dio. — Cfr. Ri 12:9; Sl 96:5; 1Co 10:20.
Israele concentrò le sue forze a Mizpa. I fratellastri di Iefte dovevano avere un ruolo preminente fra gli
anziani di Galaad. (Gdc 10:17; 11:7) Essi riconobbero la necessità che qualcuno prendesse la direttiva e
il comando. (Gdc 10:18) Si rendevano conto che per sconfiggere Ammon dovevano essere guidati da un
uomo scelto da Dio. (Gdc 11:5, 6, 10) Senza dubbio Iefte e i suoi uomini avevano compiuto azioni
coraggiose a Tob, tali da far ritenere che fosse lui l’uomo designato da Dio. (Gdc 11:1) Gli uomini di
Galaad decisero di andare da Iefte, che avevano disprezzato, per chiedergli di diventare il loro capo.
Iefte diventa il capo di Galaad. Iefte acconsentì a guidarli nel combattimento contro Ammon a una
condizione: se Geova gli avesse dato la vittoria, una volta tornato dal combattimento avrebbe continuato
a essere il loro capo. Questa non era una richiesta egoistica. Iefte si era dimostrato desideroso di lottare
per il nome di Dio e per il suo popolo. Se ora avesse sconfitto Ammon, ciò avrebbe dimostrato che Dio
era con lui. Iefte voleva assicurarsi che il dominio di Dio non venisse ancora una volta dimenticato non
appena la crisi fosse passata. Inoltre, se era davvero il figlio primogenito di Galaad, stava solo
affermando il suo diritto legale di capo della casa di Galaad. Il patto fu dunque concluso davanti a Geova
a Mizpa, dove Iefte dimostrò nuovamente che per lui Geova era l’Iddio e il Re di Israele e anche il vero
Liberatore. — Gdc 11:8-11.
Iefte, uomo d’azione, non perse tempo e assunse con vigore il comando. Mandò un messaggio al re di
Ammon, in cui denunciava la sua invasione del paese d’Israele. Il re replicò che si trattava di terre che
Israele aveva sottratto ad Ammon. (Gdc 11:12, 13) Iefte dimostrò di non essere un rozzo guerriero
ignorante, ma di conoscere bene la storia e in particolare ciò che Dio aveva fatto per il suo popolo. Infatti
confutò l’argomento degli ammoniti dimostrando che (1) Israele non aveva molestato Ammon, Moab o
Edom (Gdc 11:14-18; De 2:9, 19, 37; 2Cr 20:10, 11); (2) all’epoca della conquista israelita Ammon non
occupava il territorio in questione, perché era nelle mani dei cananei amorrei il cui re, Sihon, e la sua
terra Dio aveva dato nelle mani di Israele; (3) Ammon non aveva contestato l’occupazione israelita negli
ultimi 300 anni; che ragione aveva dunque di farlo ora? — Gdc 11:19-27.
Iefte andò al nocciolo della questione spiegando che essa verteva sull’adorazione. Dichiarò che Geova
Dio aveva dato il paese a Israele e che per questa ragione non ne avrebbero ceduto neanche un palmo
agli adoratori di un falso dio. Chiamò Chemos il dio di Ammon. Alcuni ritengono si tratti di un errore. Ma
anche se Ammon adorava il dio Milcom e Chemos era una divinità moabita, queste nazioni imparentate
fra loro adoravano molti dèi. Salomone, a causa delle sue mogli straniere, introdusse la falsa adorazione
di Chemos addirittura in Israele. (Gdc 11:24; 1Re 11:1, 7, 8, 33; 2Re 23:13) Inoltre, secondo alcuni
studiosi, “Chemos” potrebbe significare “soggiogatore, conquistatore”. (Vedi Gesenius’s Hebrew and
Chaldee Lexicon, trad. inglese di S. P. Tregelles, 1901, p. 401). Può darsi che Iefte volesse richiamare
l’attenzione sul fatto che gli ammoniti ascrivevano a questo dio il merito di aver ‘soggiogato’ altri e
‘conquistato’ delle terre.
Il voto di Iefte. Iefte si rendeva ormai conto che un combattimento con Ammon era volere di Dio.
Rafforzato dallo spirito di Dio, egli guidò l’esercito al combattimento. Come Giacobbe circa 600 anni
prima, anche Iefte fece un voto, manifestando il sincero desiderio di essere guidato da Geova e
attribuendo a Lui l’eventuale successo. (Gdc 11:30, 31; Ge 28:20-22) Geova udì con favore il voto, e gli
ammoniti furono sconfitti. — Gdc 11:32, 33.
Quando fece voto di offrire in olocausto la prima persona che gli fosse venuta incontro uscendo
da casa sua, Iefte aveva in mente un sacrificio umano?
Alcuni critici e studiosi hanno condannato il voto di Iefte, nella convinzione che avesse seguìto l’usanza di
altre nazioni immolando la figlia come olocausto umano. Ma non è quello che avvenne. Un letterale
sacrificio umano sarebbe stato un insulto a Geova, un’azione disgustante in aperta violazione della sua
legge. Egli aveva dato a Israele questo comando: “Non devi imparare a fare secondo le cose detestabili
di quelle nazioni. Non si deve trovare in te alcuno che faccia passare suo figlio o sua figlia attraverso il
fuoco . . . Poiché chiunque fa queste cose è detestabile a Geova, e a causa di queste cose detestabili
Geova tuo Dio li caccia d’innanzi a te”. (De 18:9-12) Geova non avrebbe benedetto una persona del
genere: l’avrebbe maledetta. Gli stessi ammoniti che Iefte combatteva facevano sacrifici umani al loro dio
Molec. — Cfr. 2Re 17:17; 21:6; 23:10; Ger 7:31, 32; 19:5, 6.
Quando aveva detto “deve anche avvenire che chi esce, chi mi esce incontro dalle porte della mia casa .
. . deve anche divenire di Geova”, Iefte aveva in mente una persona, non un animale, dal momento che
gli animali usati per i sacrifici non venivano di norma tenuti in casa dagli israeliti, né erano liberi di
scorrazzarvi. Inoltre l’offerta di un animale non sarebbe stata un segno di particolare devozione a Dio.
Iefte sapeva che poteva benissimo essere la figlia a venirgli incontro. Si deve ricordare che in quel
momento lo spirito di Geova era su Iefte; questo avrebbe impedito che facesse un voto sconsiderato. In
che modo dunque la persona che fosse uscita incontro a Iefte per congratularsi con lui della vittoria
doveva “divenire di Geova” ed essere offerta in “olocausto”? — Gdc 11:31.
Esseri umani potevano venir dedicati all’esclusivo servizio di Geova in relazione al santuario. Questo era
un diritto che i genitori potevano esercitare. Samuele fu infatti promesso prima della nascita al servizio del
tabernacolo da un voto della madre Anna. Questo voto ebbe l’approvazione di suo marito, Elcana. Non
appena Samuele fu svezzato, Anna lo offrì al santuario. Con lui, Anna portò un sacrificio animale. (1Sa
1:11, 22-28; 2:11) Sansone fu un altro figlio specialmente dedicato al servizio di Dio come nazireo. —
Gdc 13:2-5, 11-14; cfr. Nu 30:3-5, 16 circa l’autorità paterna su una figlia.
Quando Iefte portò sua figlia al santuario, che in quel tempo si trovava a Silo, senza dubbio ne
accompagnò la presentazione con un olocausto animale. Secondo la Legge, l’animale offerto in
olocausto veniva ucciso, scuoiato e tagliato a pezzi; gli intestini e le gambe venivano lavati; poi il corpo, la
testa e tutto il resto veniva bruciato sull’altare. (Le 1:3-9) L’offerta dell’intero animale rappresentava la
piena, incondizionata e sincera dedicazione a Geova e, quando accompagnava un’altra offerta (ad
esempio quando l’olocausto accompagnava l’offerta per il peccato nel giorno di espiazione), costituiva
una richiesta a Geova perché accogliesse l’altra offerta. — Le 16:3, 5, 6, 11, 15, 24.
Fu un vero sacrificio sia da parte di Iefte che di sua figlia, poiché egli non aveva altri figli. (Gdc 11:34)
Perciò non avrebbe avuto un discendente che perpetuasse il suo nome e la sua eredità in Israele. A
questo riguardo la figlia era l’unica speranza di Iefte. Essa pianse non la propria morte, ma la propria
“verginità”, poiché era desiderio di ogni uomo e donna israelita avere figli e tener vivi il nome e l’eredità
della famiglia. (Gdc 11:37, 38) La sterilità era una disgrazia. Ma la figlia di Iefte “non ebbe mai relazione
con uomo”. Se queste parole si fossero riferite solo al tempo precedente l’adempimento del voto,
sarebbero state superflue, dato che è precisato che era vergine. Che questa dichiarazione vada riferita
all’adempimento del voto è dimostrato dal fatto che essa viene dopo la frase: “Egli adempì il voto che
aveva fatto verso di lei”. In effetti il testo fa notare che essa rimase vergine anche dopo che il voto fu
adempiuto. — Gdc 11:39; cfr. KJ; Dy; Yg.
Inoltre la figlia di Iefte veniva visitata “di anno in anno” dalle compagne che ‘la lodavano’. (Gdc 11:40) Il
termine ebraico tanàh, qui usato, ricorre anche in Giudici 5:11, dove è tradotto ‘raccontare’ [NM],
‘celebrare’ [ATE; Ga], ‘proclamare’ [CEI], ‘enumerare’ [KJ]. In A Hebrew and Chaldee Lexicon (a cura di
B. Davies, 1957, p. 693) il termine viene definito “ripetere, raccontare”. In Giudici 11:40 la “Bibbia del re
Giacomo” (KJ) rende questo termine “lamentare”, ma in margine ha “parlare insieme”. Mentre la figlia di
Iefte prestava servizio presso il santuario, senza dubbio come altri netinei (“dati”, dediti al servizio del
santuario), c’era molto che poteva fare. Queste persone raccoglievano legna, attingevano acqua,
eseguivano riparazioni e indubbiamente facevano molte altre cose come aiutanti dei sacerdoti e dei leviti.
— Gsè 9:21, 23, 27; Esd 7:24; 8:20; Ne 3:26.
Gli efraimiti si oppongono a Iefte. Gli efraimiti, che si consideravano la tribù principale dell’Israele
settentrionale (che includeva Galaad), rifiutarono orgogliosamente di riconoscere Iefte e cercarono di
giustificare il loro atteggiamento. Ricorsero a una falsa accusa come pretesto per attaccar briga con lui.
Anni prima, all’epoca del giudice Gedeone, avevano manifestato un atteggiamento simile. (Gdc 8:1)
Accusarono Iefte di non averli chiamati per combattere contro Ammon, e minacciarono di incendiargli la
casa. — Gdc 12:1.
Iefte replicò che li aveva chiamati, ma che loro si erano rifiutati di accettare il suo invito. “Geova me li
diede in mano [gli ammoniti]. Perché siete dunque saliti in questo giorno contro di me a combattermi?”
(Gdc 12:2, 3) Gli efraimiti trovarono da ridire sull’esercito di Iefte: “Voi siete uomini scampati da Efraim, o
Galaad, dentro Efraim, dentro Manasse”. (Gdc 12:4) Con questo volevano forse mettere in cattiva luce
Iefte accennando al fatto che era stato scacciato e che “uomini oziosi”, disoccupati, si erano uniti a lui
come fuggiaschi. — Gdc 11:3.
Nel combattimento che ne seguì, gli efraimiti furono sconfitti e messi in rotta. Gli uomini di Iefte li
fermarono ai guadi del Giordano. Quando gli efraimiti in fuga cercarono di nascondere la propria identità,
furono traditi dalla loro pronuncia. Per metterli alla prova fu chiesto loro di pronunciare la parola
“Scibbolet”, ma, non essendo in grado di pronunciare il suono “sc”, dicevano “Sibbolet”. Per essersi
ribellati contro colui che Geova aveva costituito per la loro salvezza, 42.000 efraimiti persero la vita. —
Gdc 12:5, 6.
Approvato da Dio. In 1 Samuele 12:11 viene menzionato che Iefte era stato mandato da Geova come
liberatore, e in Ebrei 11:32 egli è elencato nel “nuvolo di testimoni” fedeli. — Eb 12:1.

W67 P.186-190

Ieoiada (sommo sacerdote) — Tema: Promuovete la vera adorazione con saggezza e coraggio
ESODO 20:4, 5

it-1 1249 Ieoiada


IEOIADA
(Ieòiada) [Geova conosca].
3. Sommo sacerdote all’epoca di Ieoram, Acazia, Atalia e Ioas. Ieoiada aveva sposato Ieoseba figlia del
re Ieoram, chiamata anche Ieosabeat (l’unico caso conosciuto di un sommo sacerdote imparentato con la
famiglia reale). Ieoiada è noto soprattutto per aver deposto Atalia e risollevato le sorti della vera
adorazione in Giuda. Atalia, dopo la morte del figlio, il re Acazia, fece uccidere tutta la discendenza reale
e assunse personalmente il potere. Tuttavia Ieoseba, sorella di Acazia ma non necessariamente figlia di
Atalia, prese il piccolo Ioas figlio di Acazia e lo tenne nascosto per sei anni. Nel settimo anno Ieoiada si
assicurò l’appoggio dei leviti, dei comandanti della guardia caria e dei corrieri, e dei capi delle case
paterne di Israele. Quindi presentò Ioas che fu acclamato re. Ieoiada allora ordinò che Atalia fosse
portata fuori dell’area del tempio e uccisa. — 2Re 11:1-16; 2Cr 22:10–23:15.
Ieoiada si diede da fare per promuovere l’adorazione di Geova. Rinnovò la relazione di patto fra Geova e
Israele, al che il popolo abbatté la casa di Baal e ne eliminò gli altari, le immagini e il sacerdozio. Quindi
Ieoiada ripristinò integralmente i servizi del tempio. Esercitò una forte influenza benefica sulla vita di Ioas.
Insieme al re riparò il tempio e fece vari utensili per la casa di Geova. Quando, a 130 anni, infine morì, gli
venne tributato l’eccezionale onore di essere sepolto coi re “perché aveva fatto del bene in Israele e
verso il vero Dio e la Sua casa”. Purtroppo la sua buona influenza finì insieme a lui, in quanto da allora in
poi Ioas diede ascolto ai principi di Giuda e si allontanò da Geova, al punto di ordinare l’uccisione di
Zaccaria figlio di Ieoiada, che aveva rimproverato il popolo infedele. — 2Re 11:17–12:16; 2Cr 23:16–
24:22.

w91 1/2 31 "Il diadema e la Testimonianza"


“Il diadema e la Testimonianza”
“QUINDI [Ieoiada il sacerdote] fece uscire il figlio del re e mise su di lui il diadema e la Testimonianza; e
così lo fecero re e lo unsero”. (2 Re 11:12) Così il libro dei Re descrive l’incoronamento del re Ioas. Avete
notato che oltre al “diadema”, o copricapo reale, Ieoiada mise sul giovane re anche “la Testimonianza”?
Che cos’era la Testimonianza? E perché era inclusa in questa cerimonia di incoronazione?
La parola ebraica qui tradotta “Testimonianza” di solito si riferisce ai Dieci Comandamenti o alla Legge di
Dio in generale. (Esodo 31:18; Salmo 78:5, CEI) In armonia con ciò, il racconto parallelo di 2 Cronache
23:11 dice, secondo la Jerusalem Bible (1966): “Quindi Ieoiada fece uscire il figlio del re, lo incoronò e
impose la Legge su di lui”. Tuttavia, in 2 Re 11:12 questa traduzione sostituisce “Testimonianza” con la
parola “braccialetti”, anche se in entrambi i versetti ricorre la stessa parola ebraica. Perché?
Un famoso commentario biblico tedesco, Herders Bibelkommentar, spiega che alcuni traduttori non
riescono a concepire che il re portasse la Legge sulla testa o sul braccio. Visto che 2 Samuele 1:10,
parlando del re Saul, menziona un braccialetto insieme al diadema che indossava, essi ritengono che in
origine il testo di 2 Re 11:12 dovesse leggere “il diadema e i braccialetti”. Ma questa è una pura illazione.
Sostituire “Testimonianza” con “braccialetti” significa operare un radicale cambiamento testuale.
Pertanto, la New Jerusalem Bible (1985) torna a parlare della Legge, o del patto della Legge, traducendo
la frase: “E gli diede una copia del patto”. Ma forse che Ieoiada diede a Ioas “la Testimonianza”? È vero
che la parola ebraica tradotta “mettere” si può tradurre anche “dare”. Ma sia nel libro dei Re che in quello
di Cronache, essa ricorre solo una volta e si riferisce sia al diadema che alla Testimonianza. Oltre a ciò, è
seguita immediatamente dalla parola ebraica “sopra”. Perciò, la traduzione corretta dev’essere “mettere
su”. Tanto il diadema che la Testimonianza furono ‘messi sul’ giovane re Ioas, come indica la Traduzione
del Nuovo Mondo.
Dunque perché, e in che modo, il sommo sacerdote “mise” la Testimonianza sul giovane re? Notate
questo commento di uno studioso tedesco: “La Legge, un libro in cui erano riportati i decreti mosaici.
Esso veniva simbolicamente tenuto sopra la testa del re dopo che egli era stato adornato col diadema”.
(Otto Thenius, Die Bücher der Könige) In maniera analoga, un altro studioso osserva: “L’imposizione
della Legge [sopra il re] aveva senz’altro un significato simbolico, [indicando] che il re aveva l’obbligo di
governare in conformità ad essa”. — Ernst Bertheau, Die Bücher der Chronik.
Dio comandò che quando il re si insediava sul trono doveva scrivere per sé una copia della Legge,
studiarla e metterla in pratica per tutta la vita. (Deuteronomio 17:18-20) Mettere “la Testimonianza” sul
nuovo re poteva essere un piccolo gesto simbolico che illustrava che, anche se ora era re, non era al di
sopra della Legge di Geova. Purtroppo, dopo la morte del sommo sacerdote Ieoiada Ioas dimenticò
quest’importantissima lezione e un po’ alla volta abbandonò l’adorazione di Geova, e infine morì
assassinato. — 2 Cronache 24:17-25.

w87 15/1 19 Il mondo non era degno di loro


14 “Furono lapidati”, disse Paolo. Uno di questi uomini fedeli fu Zaccaria, figlio del sacerdote Ieoiada.
Avvolto dallo spirito di Dio, Zaccaria denunciò gli apostati di Giuda. Con quale risultato? Per ordine del re
Ioas, alcuni cospiratori lo lapidarono nel cortile della casa di Geova. (2 Cronache 24:20-22; Matteo 23:33-
35) Paolo aggiunse: “Furono provati, furono segati a pezzi”. Forse tra coloro che “furono provati” Paolo
pensava al profeta Micaia; un’incerta tradizione ebraica, poi, vuole che Isaia sia stato segato in due
durante il regno di Manasse. — 1 Re 22:24-28.

w80 15/6 29-30 Atalia, un'idolatra assetata di potere


Atalia era così assetata di potere che uccise i propri nipoti. Se non che il bimbo Ioas sfuggì alla morte
grazie all’intervento della zia, Ieosabeat. Circa sei anni dopo, il marito di Ieosabeat, il sommo sacerdote
Ieoiada, fece proclamare re Ioas. Vedendo questo, “Atalia si strappò le vesti e gridò: ‘Cospirazione!
Cospirazione!’” Ma non poté fare altro. Ieoiada ordinò che fosse messa a morte. Così l’ultimo
componente sopravvissuto della casa di Acab finì ingloriosamente. — II Cron. 22:10-12; 23:11-15.

w80 15/8 30-1 Un re che si mostrò ingrato


Un re che si mostrò ingrato
IOAS era un bimbo indifeso quando sua nonna Atalia cercò di impossessarsi del trono del regno di
Giuda. Ella non provava alcun affetto per lui. Questa donna ambiziosa desiderava uccidere tutti i nipoti,
che costituivano un ostacolo alla sua smania di diventare regina. Se non fosse stato per il pronto
intervento di Ieosabeat, moglie del sommo sacerdote Ieoiada, Ioas sarebbe stato assassinato insieme a
tutti gli altri maschi della progenie reale.
Ieosabeat sottrasse il bambino dal gruppo dei ragazzi che dovevano essere messi a morte. Per sei anni
lei e il marito tennero Ioas nascosto entro i recinti del tempio. Per tutto questo tempo Atalia governò come
regina. Poi, nel settimo anno, Ieoiada unse come re questo legittimo erede al trono e fece mettere a
morte l’usurpatrice Atalia. Ioas aveva davvero buone ragioni per essere profondamente grato ai suoi zii.
Avevano contribuito a salvargli la vita e a preparargli la via al trono. — II Cron. 22:10-12; 23:11-15.
REGNA BENE SOTTO LA GUIDA DI IEOIADA
Sotto la guida di Ieoiada il regno del giovane prosperò. Una delle maggiori opere intraprese durante il suo
regno furono i restauri del tempio di Geova. A quel tempo la costruzione aveva più di 150 anni ed era
caduta in uno stato di grande abbandono durante il governo del marito di Atalia, Ieoram, e di suo figlio
Acazia, come pure durante il regno di lei. La sua malvagità aveva evidentemente influenzato a tal punto i
suoi figli che essi irruppero nel tempio, senza dubbio per saccheggiarlo. — II Cron. 24:7.
Tenendo conto delle condizioni in cui si trovava il tempio, ci voleva molto denaro per finanziare i lavori di
restauro. Dapprima i tentativi di raccolta dei fondi non ebbero successo. I leviti a cui era stato affidato
l’incarico non vi si impegnavano con tutto il cuore. Ma quando fu fatta una modifica nel sistema di raccolta
e di amministrazione dei fondi il popolo cooperò e l’opera andò avanti. — II Re 12:4-6; II Cron. 24:5, 6, 8-
14.
INGRATITUDINE
Dopo la morte di Ieoiada, Ioas non rimase fedele a Geova Dio. Si lasciò influenzare da principi idolatri.
Come risultato, il culto di Baal, che era stato soppresso con l’aiuto di Ieoiada, riprese piede. Geova
continuò a mandare profeti per richiamare il popolo al dovere, incoraggiandolo a pentirsi. Ma né il re né i
principi prestarono alcuna attenzione. — II Cron. 24:17-19.
Zaccaria, il figlio di Ieoiada, fu ispirato da Dio ad annunciare: “Il vero Dio ha detto questo: ‘Perché
trasgredite i comandamenti di Geova, così che non potete avere successo? Perché avete lasciato Geova,
egli, a sua volta, lascerà voi’”. — II Cron. 24:20.
Ioas reagì positivamente alla parola di Geova annunciatagli dal cugino? Al contrario, non tenne nemmeno
conto della benignità ricevuta da Ieoiada, il padre di suo cugino. Ioas diede ordine che Zaccaria fosse
lapidato nel cortile del tempio. In punto di morte Zaccaria gridò: ‘Geova lo veda e ne chieda conto’. — II
Cron. 24:21, 22.
Secoli dopo, Gesù Cristo si riferì evidentemente a quel fatto quando disse: “La sapienza di Dio ha anche
detto: ‘Manderò loro profeti e apostoli, e ne uccideranno e perseguiteranno alcuni, onde il sangue versato
da tutti i profeti dalla fondazione del mondo sia ridomandato a questa generazione, dal sangue di Abele al
sangue di Zaccaria, ucciso fra l’altare e la casa’”. — Luca 11:49-51.
La resa dei conti raggiunse Ioas come in seguito raggiunse l’infedele generazione degli ebrei del I secolo
E.V. Geova Dio ritrasse la sua benedizione e la sua protezione dal re ingrato. Una piccola forza militare
siriana al comando di Azael invase vittoriosamente Giuda, costringendo Ioas a consegnare i tesori del
santuario. Quando l’esercito siro si ritirò, il re era un uomo malato e finito. Infine due dei suoi stessi
servitori lo assassinarono. — II Re 12:17-21; II Cron. 24:23-27.
Che vita diversa avrebbe potuto fare Ioas se fosse rimasto un riconoscente servitore di Geova e avesse
continuato a godere del favore e della protezione divina! La vita può essere diversa anche per noi se
conserviamo l’apprezzamento per le giuste esigenze di Dio. Uno spirito ingrato non può che recare
rovina, come nel caso di Ioas. Cerchiamo quindi di mantenere vivo il nostro apprezzamento per la guida
divina.

w79 15/5 28 Il successo dipende dalla fedeltà a Dio


Quando divenne re Acazia, figlio minore di Ieoram, il cattivo dominio continuò, poiché anch’egli era sotto
l’influenza di Atalia. Andato a trovare il re israelita Ieoram, rimasto ferito, Acazia fu coinvolto nell’azione
punitiva di Ieu contro la casa di Acab e fu ucciso. Dopo di che Atalia, assassinata la progenie reale,
usurpò il trono. Tuttavia, Ioas figlio di Acazia era stato nascosto dalla moglie del sacerdote Ieoiada. In
seguito Ieoiada fece proclamare re Ioas e ordinò l’esecuzione di Atalia.
Sotto la guida di Ieoiada, Ioas governò bene e dispose di rinnovare il tempio. Ma morto Ieoiada, Ioas si
allontanò dalla vera adorazione e comandò persino di lapidare Zaccaria figlio di Ieoiada che lo aveva
rimproverato per la sua infedeltà. Geova permise allora ai siri di infliggere un’umiliante sconfitta al regno
di Giuda. Ioas si ammalò e fu infine assassinato dai suoi stessi servitori. — 22:11–24:27.

w77 1/7 404 Siete disposti ad ascoltare?


Ascoltare la persona sbagliata può causare la morte, o anche provocare la sconfitta di una nazione. Il re
Ioas di Giuda agì bene finché ascoltò il saggio e fedele sommo sacerdote Ieoiada, ma dopo la morte di
Ieoiada, Ioas, invece di seguire quei buoni consigli, si rivolse ai principi di Giuda, che erano idolatri.
Ascoltando i loro cattivi consigli, contrari alla parola di Dio, Ioas divenne responsabile di assassinio,
provocò l’ignominiosa sconfitta della nazione di Giuda e, infine, anch’egli si ammalò e fu assassinato. —
2 Cron. 24:17-25.

W59 P.402-403
Ieoram (figlio di Acab) — Tema: Chi è senza fede non può aspettarsi la benedizione di Dio EBREI 11:6

it-1 1249-50 Ieoram


IEORAM
(Ieòram) [Geova è alto (esaltato)].
Ioram è una forma abbreviata dello stesso nome.
2. Figlio di Acab e di Izebel. Verso il 917 a.E.V. succedette al fratello maggiore Acazia diventando il
decimo re del regno settentrionale di Israele. Regnò 12 anni. (2Re 1:17, 18; 3:1; 9:22) Questo re di
Israele non va confuso con l’omonimo re di Giuda, che era suo cognato. (Vedi n. 3) Anche se rimosse la
colonna sacra di Baal eretta dal padre, Ieoram continuò a fare “ciò che era male agli occhi di Geova”,
attenendosi all’adorazione dei vitelli istituita da Geroboamo. — 1Re 12:26-29; 16:33; 2Re 3:2, 3.
Giosafat re di Giuda e il re di Edom si unirono a Ieoram in un attacco contro Moab che ebbe successo
perché Geova trasse in inganno il nemico con un’illusione ottica. Eliseo, profeta di Dio, disse a quelli del
campo di Israele di scavare fossi in cui raccogliere l’acqua di cui avevano disperato bisogno e che fu
provveduta da Dio. L’indomani mattina il riflesso della luce del sole sull’acqua fece credere ai moabiti che
l’acqua fosse sangue. Pensando che gli eserciti dei tre re alleati si fossero massacrati a vicenda, i moabiti
si avvicinarono per prendere il bottino e furono uccisi in gran numero. — 2Re 3:4-27.
Naaman, comandante dell’esercito siro, andò da Ieoram per essere guarito dalla lebbra, portando una
lettera del re di Siria con tale richiesta. Ieoram, pensando che il sovrano siro volesse attaccar lite,
esclamò: ‘Sono io Dio, da mettere a morte e conservare in vita e guarire dalla lebbra?’ Eliseo però chiese
a Ieoram di mandargli Naaman, affinché il comandante dell’esercito siro sapesse che il vero Dio aveva
nel paese un profeta, in grado di compiere simili guarigioni. — 2Re 5:1-8.
Inoltre il profeta di Geova, Eliseo, informò in anticipo Ieoram delle manovre militari dei siri. (2Re 6:8-12)
Alcuni attacchi dei siri contro Israele durante il regno di Ieoram furono sventati con l’aiuto di Dio. — 2Re
6:13–7:20.
Ma nonostante tali manifestazioni di amorevole benignità da parte di Dio, Ieoram, fino al giorno della sua
morte, non si pentì né tornò a Geova con tutto il cuore. La morte lo colse all’improvviso e in modo
inaspettato. Ieoram si trovava a Izreel per rimettersi dalle ferite riportate in combattimento contro i siri,
quando un giorno uscì incontro a Ieu e gli chiese: “C’è pace, Ieu?” La risposta negativa lo indusse a darsi
alla fuga, ma Ieu gli tirò una freccia che gli trapassò il cuore. Così “questo figlio di un assassino” (2Re
6:32) fu giustiziato e il suo cadavere venne gettato nel campo di Nabot. — 2Re 9:14-26.

w91 15/9 13-14 Esercitate la fede basata sulla verità


Perché analizzare la nostra fede?
18 Poco dopo che gli israeliti furono liberati dalla schiavitù egiziana, dodici uomini furono inviati a
esplorare il paese di Canaan. Dieci di loro, però, non ebbero fede e dubitarono che Geova potesse
mantenere la sua promessa di dare il paese a Israele. Essi agirono in base a ciò che videro, in base ad
aspetti tangibili. Di tutti e dodici, solo Giosuè e Caleb mostrarono di camminare per fede, non per visione.
(Confronta 2 Corinti 5:7). Avendo esercitato fede, solo loro di quegli uomini sopravvissero ed entrarono
nella Terra Promessa. — Numeri 13:1-33; 14:35-38.
19 Oggi noi siamo alle soglie del giusto nuovo mondo di Dio. Se vogliamo entrarci, è indispensabile avere
fede. Possiamo essere contenti che il fondamento di verità su cui basare la fede è più solido che mai.
Abbiamo l’intera Parola di Dio, l’esempio di Gesù Cristo e dei suoi unti seguaci, il sostegno di milioni di
fratelli e sorelle spirituali e l’aiuto dello spirito santo di Dio in misura senza precedenti. Tuttavia, facciamo
bene ad analizzare la nostra fede e ad agire per rafforzarla finché ne abbiamo la possibilità.
20 ‘Oh, ma io sono sicuro che questa è la verità’, potreste dire. Ma quanto è forte la vostra fede?
Chiedetevi: ‘Il Regno celeste di Geova è per me tanto reale quanto lo è un governo umano? Riconosco e
sostengo pienamente l’organizzazione visibile di Geova e il suo Corpo Direttivo? Con gli occhi della fede,
riesco a vedere che le nazioni attualmente vengono manovrate così che alla fine saranno schierate per
Armaghedon? Com’è la mia fede in paragone a quella del “gran nuvolo di testimoni” menzionato in Ebrei
capitolo 11?’ — Ebrei 12:1; Rivelazione 16:14-16.
21 Coloro che hanno una fede basata sulla verità sono spinti ad agire. Come nel caso del sacrificio
accettevole offerto da Abele, Dio si compiace dei loro sacrifici di lode. (Ebrei 13:15, 16) Come Noè, un
predicatore di giustizia che ubbidì a Dio, essi perseguono la giustizia quali predicatori del Regno. (Ebrei
11:7; 2 Pietro 2:5) Come Abraamo, coloro che hanno una fede basata sulla verità ubbidiscono a Geova
anche quando questo è scomodo, e persino nelle circostanze più difficili. (Ebrei 11:17-19) Come i fedeli
servitori di Geova dell’antichità, coloro che oggi hanno fede sono riccamente benedetti dal loro amorevole
Padre celeste, che ha cura di loro. — Matteo 6:25-34; 1 Timoteo 6:6-10.
22 Se siete un servitore di Geova ma riscontrate che la vostra fede è debole in qualche aspetto, cosa
potete fare? Rafforzatela studiando in maniera diligente la Parola di Dio e lasciando che dalla vostra
bocca sgorghino le acque di verità di cui è pieno il vostro cuore. (Proverbi 18:4) Se non è regolarmente
rafforzata, la vostra fede può indebolirsi, diventare inattiva e persino morire. (1 Timoteo 1:19; Giacomo
2:20, 26) Siate decisi a non permettere che questo accada mai alla vostra fede. Implorate l’aiuto di
Geova, pregando: “Aiutami dove ho bisogno di fede!” — Marco 9:24.

[Riquadro a pagina 13]


CHI HA FEDE...
 parla di Geova. — 2 Corinti 4:13.
 compie opere come quelle di Gesù. — Giovanni 14:12.
 incoraggia gli altri. — Romani 1:8, 11, 12.
 vince il mondo. — 1 Giovanni 5:5.
 non ha motivo di temere. — Isaia 28:16.
 ha la prospettiva della vita eterna. — Giovanni 3:16.

w97 15/9 18 Chi sopravvivrà al "giorno di Geova"?


9 Gli uomini di Ieu riconobbero la validità della sua unzione e lo acclamarono nuovo re di Israele. Agendo
con decisione, Ieu si diresse velocemente verso Izreel per iniziare la sua opera di giustiziere contro gli
apostati promotori del culto di Baal. Il primo a essere colpito dalla micidiale freccia di Ieu fu il re Ieoram,
figlio di Acab. Era uscito col suo carro dalla città per chiedere a Ieu se era lì per una missione di pace.
“Che pace ci potrebbe essere finché ci sono le fornicazioni di Izebel tua madre e le sue molte
stregonerie?”, rispose Ieu. A ciò la freccia di Ieu trapassò il cuore di Ieoram. — 2 Re 9:22-24.

w89 15/9 28 Chi può essere amico di Dio?


“Ai suoi occhi lo spregevole è certamente rigettato”
Sperando egoisticamente di guadagnarci qualcosa, alcuni stanno in compagnia di persone ricche o
importanti anche se sono corrotte. (Confronta Giuda 16). Ma non possiamo essere amici di Geova se
stiamo in compagnia di chi è malvagio. Dobbiamo odiare il male al punto di non voler stare in compagnia
di chi lo pratica. (Romani 12:9) Ieoram, un re d’Israele, era talmente malvagio che il profeta Eliseo gli
disse: “Come vive Geova degli eserciti dinanzi al quale in effetti io sto, se non fosse per la faccia di
Giosafat re di Giuda per cui ho considerazione, non ti guarderei né ti vedrei”. (2 Re 3:14) Per essere
amici di Dio dobbiamo prestare ascolto all’avvertimento di Paolo: “Le cattive compagnie corrompono le
utili abitudini”. — 1 Corinti 15:33.
Se quindi ci teniamo all’amicizia di Geova ci rifiuteremo di stare in compagnia dei trasgressori. Con loro
avremo solo i contatti strettamente necessari. I nostri amici li sceglieremo in base alla loro buona
relazione con Dio, non in base alla loro posizione nel mondo. Se abbiamo timore reverenziale di Dio
sceglieremo con saggezza le nostre amicizie. A questo proposito, notate il settimo requisito che gli ospiti
di Geova devono soddisfare.

w80 15/6 29 Atalia, un'idolatra assetata di potere


Atalia, un’idolatra assetata di potere
IL DETTO ‘tale madre tale figlia’ può senz’altro applicarsi ad Atalia, figlia di Izebel e del re israelita Acab.
Izebel non si trattenne dallo spargere sangue innocente per raggiungere i propri fini, e lo stesso può dirsi
di Atalia. Entrambe erano radicate nell’idolatria.
Il fedele re Giosafat fece davvero un tragico errore quando stipulò un’alleanza matrimoniale col re Acab,
prendendo Atalia come moglie per suo figlio Ieoram. Quell’alleanza costò quasi la vita a Giosafat, quando
si unì al re Acab in un’impresa militare contro i siri. Sebbene Geova Dio intervenisse in suo aiuto,
Giosafat fu ripreso con queste parole: “Si deve dare aiuto al malvagio, e dovresti provare amore per quelli
che odiano Geova?” — II Cron. 18:1-3, 30, 31; 19:1, 2.
Dopo la morte di Giosafat, la discendenza reale di Giuda rischiò lo sterminio come conseguenza di quel
matrimonio. La perniciosa influenza di Atalia portò Ieoram a seguire la pessima condotta della casa reale
di Acab. Per rafforzare la propria posizione, egli uccise i suoi fratelli e alcuni principi. Abbandonato da
Geova per la sua infedeltà, Ieoram dovette affrontare problemi interni ed esterni. Gli arabi e i filistei
invasero il regno di Giuda e, ad eccezione del figlio più giovane, Acazia (Ioacaz), fecero prigionieri tutti i
figli di Ieoram. Poi la banda di predoni venuta con gli arabi uccise tutti i figli maggiori. Infine Ieoram morì
di una malattia ripugnante, nel corso della quale “gli vennero fuori gli intestini”. — II Re 8:16-19; II Cron.
21:4, 16-19; 22:1.

w79 15/5 27-8 Il successo dipende dalla fedeltà a Dio


UNA BUONA REPUTAZIONE ROVINATA DA UNA CATTIVA ALLEANZA
Giosafat, figlio di Asa, fu un buon re e perciò ebbe l’aiuto e la protezione di Geova. Si sforzò di far sparire
l’idolatria, dispose che fosse insegnata al popolo la legge di Geova e migliorò il sistema giudiziario.
Avendo confidato in Geova, ricevette una grande salvezza quando le forze nemiche alleate di Ammon,
Moab e monte Seir si annientarono fra loro. Tuttavia, Giosafat stipulò con l’idolatra re israelita Acab
un’alleanza matrimoniale poco saggia. Atalia, figlia di Acab e di sua moglie, la regina Izebel adoratrice di
Baal, sposò Ieoram figlio di Giosafat. Come conseguenza Giosafat fu coinvolto in una disastrosa impresa
militare insieme al re Acab. Tornato a Gerusalemme, Giosafat fu accolto con il rimprovero: “Si deve dare
aiuto al malvagio, e dovresti provare amore per quelli che odiano Geova?” In seguito, comunque,
Giosafat venne meno di nuovo sotto questo aspetto associandosi al re Acazia, successore di Acab, nella
costruzione di navi. In adempimento della profezia, le navi fecero naufragio. — 17:1–20:37.
Ieoram, il successivo re di Giuda, sotto l’influenza di sua moglie Atalia, seguì la cattiva condotta della
casa di Acab. Per rafforzare il suo regno, assassinò tutti i suoi fratelli e alcuni principi. Senza la
benedizione di Geova, il suo regno fu un fallimento. Fu tormentato da rivolte degli edomiti e della città di
Libna. Nei suoi ultimi due anni di vita, soffrì per una malattia intestinale. — 21:1-20.
Quando divenne re Acazia, figlio minore di Ieoram, il cattivo dominio continuò, poiché anch’egli era sotto
l’influenza di Atalia. Andato a trovare il re israelita Ieoram, rimasto ferito, Acazia fu coinvolto nell’azione
punitiva di Ieu contro la casa di Acab e fu ucciso. Dopo di che Atalia, assassinata la progenie reale,
usurpò il trono. Tuttavia, Ioas figlio di Acazia era stato nascosto dalla moglie del sacerdote Ieoiada. In
seguito Ieoiada fece proclamare re Ioas e ordinò l’esecuzione di Atalia.
Sotto la guida di Ieoiada, Ioas governò bene e dispose di rinnovare il tempio. Ma morto Ieoiada, Ioas si
allontanò dalla vera adorazione e comandò persino di lapidare Zaccaria figlio di Ieoiada che lo aveva
rimproverato per la sua infedeltà. Geova permise allora ai siri di infliggere un’umiliante sconfitta al regno
di Giuda. Ioas si ammalò e fu infine assassinato dai suoi stessi servitori. — 22:11–24:27.

w79 15/6 14 Continuate a 'star fermi nella fede'


11 Nei tempi precristiani l’idolatra Izebel, moglie del re Acab d’Israele, fu tristemente nota per la sua
immoralità. Quando suo figlio Ieoram chiese all’unto re Ieu se c’era pace con la casa di Acab, egli
rispose: “Che pace ci potrebbe essere finché ci sono le fornicazioni di Izebel tua madre e le sue molte
stregonerie?” E dopo aver tolto di mezzo i re Ieoram e Acazia (di Giuda), Ieu giustiziò Izebel, 70 figli di
Acab e tutti gli altri che rimanevano della sua casa, oltre a quelli che praticavano la religione immorale di
Baal. (2 Re 9:22–10:28) Diamo ascolto a questo esempio ammonitore per non uscire dalla via della
giustizia al fine di indagare nelle “cose profonde di Satana”. — Riv. 2:24.

Iesse — Tema: Collaborate e abbiate uno spirito generoso 2°CORINTI 9:7

it-1 1253-4 Iesse


IESSE
(Ièsse) [forma abbreviata di Issia, che significa “Geova fa dimenticare”, o, forse, di Abisai].
Padre del re Davide della tribù di Giuda; nipote di Rut e di Boaz e uno degli anelli della linea genealogica
che va da Abraamo a Gesù. (Ru 4:17, 22; Mt 1:5, 6; Lu 3:31, 32) Iesse ebbe otto figli, uno dei quali
probabilmente morì senza aver avuto figli, il che potrebbe spiegare l’omissione del suo nome dalle
genealogie di Cronache. (1Sa 16:10, 11; 17:12; 1Cr 2:12-15) Le due sorelle di Davide, Abigail e Zeruia,
non sono mai chiamate figlie di Iesse, ma una è chiamata “figlia di Naas”. (1Cr 2:16, 17; 2Sa 17:25) Può
darsi che Naas fosse il primo marito della moglie di Iesse, e le sue figlie fossero quindi sorellastre dei figli
di Iesse, oppure Naas potrebbe essere un altro nome di Iesse, o anche il nome di sua moglie, secondo
l’ipotesi avanzata da alcuni.
Iesse era un proprietario di pecore di Betleem. Dopo che il re Saul si fu allontanato dalla vera adorazione,
Geova mandò Samuele a casa di Iesse per ungere re uno dei suoi figli. Iesse presentò i sette figli
maggiori, ma siccome Geova non scelse nessuno di loro, fu costretto a chiamare il figlio minore Davide
che era andato a pascolare le pecore; la scelta di Geova cadde su di lui. — 1Sa 16:1-13.
Quando Saul fece venire Davide a suonare l’arpa per calmarlo, l’anziano Iesse mandò anche un
generoso dono e poi diede a Davide il permesso di rimanere per qualche tempo alla corte di Saul. (1Sa
16:17-23; 17:12) In seguito, quando Davide a quanto sembra era tornato a badare alle pecore, Iesse lo
mandò con le provviste dai tre figli maggiori che prestavano servizio nell’esercito di Saul. (1Sa 17:13, 15,
17, 18, 20) Successivamente, per tutto il tempo in cui Davide fu considerato un fuorilegge da Saul, Iesse
e sua moglie trovarono asilo in Moab. — 1Sa 22:3, 4.
Spesso Davide è chiamato “il figlio di Iesse”, in tono denigratorio, da personaggi come Saul, Doeg, Nabal
e Seba (1Sa 20:27, 30, 31; 22:7-9, 13; 25:10; 2Sa 20:1; 1Re 12:16; 2Cr 10:16), ma in altri casi
l’espressione non ha questa sfumatura: per esempio quando è usata da Davide stesso, da Esdra o da
Geova Dio. — 1Sa 16:18; 17:58; 2Sa 23:1; 1Cr 10:14; 12:18; 29:26; Sl 72:20; Lu 3:32; At 13:22.
La promessa profetica che la “radice di Iesse” sarebbe stata “eretta come segnale per i popoli” e avrebbe
giudicato con giustizia trova adempimento in Cristo Gesù, il quale, essendo immortale, mantiene viva la
linea genealogica di Iesse. — Isa 11:1-5, 10; Ro 15:8, 12.

w81 1/12 30 "Rallegratevi, o nazioni, col suo popolo"


16 L’apostolo Paolo cita una quarta testimonianza a sostegno del suo argomento: “E di nuovo Isaia dice:
‘Vi sarà la radice di Iesse, e uno che sorgerà per governare le nazioni; in lui le nazioni riporranno la loro
speranza’”. (Rom. 15:12; Isa. 11:10) Iesse di Betleem era il padre di Davide, cioè di colui che Geova
aveva costituito re sulle dodici tribù d’Israele. Davide non poteva essere “radice” di vita per suo padre.
Perciò la vera “radice di Iesse” doveva essere Gesù Cristo, che nacque a Betleem dalla tribù reale di
Giuda, la stessa tribù di Iesse. Gesù diverrà una “radice” vivificante per il suo antenato terreno Iesse
risuscitando dai morti sia lui che suo figlio Davide durante il suo regno millenario. — Riv. 22:16.

Iesua (n. 4) — Tema: Sostenete pienamente la pura adorazione GIOVANNI 2:17

it-1 1254 Iesua


IESUA
(Ièsua) [dall’ebr. Yeshùa`, forse, forma abbreviata di Yehohshùa`, che significa “Geova è salvezza”].
4. Sommo sacerdote (chiamato Giosuè nei libri di Aggeo e Zaccaria), figlio di Iozadac e nipote di Seraia
(Esd 3:8; Ne 12:26; 1Cr 6:14), della casa di Eleazaro. — Per la genealogia da Eleazaro a Seraia, vedi
Esd 7:1-5.
Quando distrusse Gerusalemme, Nabucodonosor mise a morte Seraia, che allora era sommo sacerdote,
e portò prigioniero a Babilonia Iozadac. (2Re 25:18-21; 1Cr 6:14, 15; Ne 7:7) Nel 537 a.E.V. Iesua tornò
da Babilonia insieme a Zorobabele e prestò servizio come sommo sacerdote per il rimanente ebraico
rimpatriato. (Esd 2:2; 5:2; Ag 1:1) La discendenza dei sommi sacerdoti fu dunque preservata da Geova
affinché, dalla restaurazione fino alla venuta del Messia, Israele non fosse privato dei servizi di un sommo
sacerdote. Iesua, insieme a Zorobabele, prese l’iniziativa nell’erigere l’altare e poi nel ricostruire il tempio,
incoraggiato dai profeti Aggeo e Zaccaria. (Esd 3:2; 5:1, 2) Sostenne Zorobabele nell’opporsi a coloro
che ostacolavano la ricostruzione del tempio. — Esd 4:1-3.
Alcuni dei più anziani fra gli israeliti rimpatriati avevano visto la gloria del tempio di Salomone, e secondo
loro il tempio ricostruito non era nulla in confronto. Il profeta Aggeo fu mandato a dire a Zorobabele e a
Giosuè (Iesua) che la gloria della seconda casa sarebbe stata maggiore di quella della casa precedente.
Geova avrebbe fatto questo radunando “le cose desiderabili di tutte le nazioni”. — Ag 2:1-4, 7, 9.
In una visione il profeta Zaccaria vide il sommo sacerdote Giosuè (Iesua) in piedi davanti all’angelo di
Geova, e Satana alla sua destra per resistergli. A “Giosuè” furono tolte le vesti sporche e furono fatte
indossare vesti sontuose e un turbante pulito. Poi gli fu menzionato il servitore di Dio, Germoglio. — Zac
3:1-8.
Un’altra volta Geova disse a Zaccaria di mettere una corona sulla testa di Giosuè (Iesua) e di dirgli: “Ecco
l’uomo il cui nome è Germoglio. . . . Ed egli stesso edificherà il tempio di Geova, . . . e deve divenire
sacerdote sul suo trono”. Questa profezia si riferiva senz’altro a un personaggio futuro perché, sotto la
Legge, sacerdozio e regno erano nettamente separati, e il sommo sacerdote Giosuè non divenne mai re
di Israele. — Zac 6:11-13.

Ietro — Tema: Non siate troppo orgogliosi per ascoltare i suggerimenti PROVERBI 19:20

it-1 1255-6 Ietro


IETRO
(Iètro) [da un termine che significa “più che abbastanza; sovrabbondanza”].
Chenita, suocero di Mosè. (Eso 3:1; Gdc 1:16) È chiamato anche Reuel. (Nu 10:29) Ietro poteva essere
un titolo, mentre Reuel era un nome proprio. Tuttavia non era insolito che un capo arabo avesse due o
più nomi, com’è confermato da molte iscrizioni. In Esodo 4:18, nel testo masoretico, Ietro è scritto “Ieter”.
Ietro era “il sacerdote di Madian”. Essendo capo di una famiglia numerosa con almeno sette figlie e un
figlio menzionato per nome (Eso 2:15, 16; Nu 10:29), e avendo la responsabilità non solo di provvedere
materialmente per la sua famiglia, ma anche di guidarla nell’adorazione, egli è giustamente chiamato “il
sacerdote [o capo principale] di Madian”. Questo non indica necessariamente che adorasse Geova Dio,
anche se negli antenati di Ietro poteva essere stata inculcata la vera adorazione, in parte ancora
osservata dalla famiglia. Il suo comportamento indica per lo meno un profondo rispetto per il Dio di Mosè
e di Israele. — Eso 18:10-12.
Ietro conobbe Mosè, suo futuro genero, poco dopo che questi era fuggito dall’Egitto nel 1553 a.E.V. Mosè
aveva aiutato le figlie di Ietro ad abbeverare il gregge paterno, e quando esse lo riferirono al padre, egli a
sua volta offrì ospitalità a Mosè. Allora Mosè si stabilì in casa di Ietro e in seguito sposò sua figlia
Zippora. Dopo aver pascolato per circa 40 anni il gregge di Ietro nei pressi del monte Horeb (Sinai), Mosè
fu invitato da Geova a tornare in Egitto, e vi andò con la benedizione del suocero. — Eso 2:15-22; 3:1;
4:18; At 7:29, 30.
In seguito Ietro ebbe notizia della grande vittoria di Geova sugli egiziani, e immediatamente andò da
Mosè in Horeb, portando con sé Zippora e i due figli di Mosè. Quello fu certamente un incontro molto
caloroso. Dopo che Mosè gli ebbe riferito i potenti atti salvifici di Geova, Ietro rispose benedicendo Dio e
confessando: “Ora davvero so che Geova è più grande di tutti gli altri dèi”. Quindi offrì sacrifici al vero
Dio. (Eso 18:1-12) L’indomani Ietro osservò Mosè che ascoltava i problemi degli israeliti “dalla mattina
fino alla sera”. Notando come ciò fosse estenuante sia per Mosè che per il popolo, Ietro gli suggerì di
delegare parte dell’autorità. ‘Addestra altri uomini capaci e fidati come capi di decine, di centinaia e di
migliaia per risolvere i vari problemi, e tu giudica solo quelli che loro non possono risolvere’. Mosè
acconsentì, e in seguito Ietro se ne tornò al suo paese. — Eso 18:13-27.
A Obab, figlio di Ietro, Mosè chiese di fare da guida. Sembra che Mosè abbia dovuto insistere un po’, ma
che poi Obab abbia accettato, e alcuni del suo popolo entrarono nella Terra Promessa insieme a Israele.
(Nu 10:29-33) In Giudici 4:11 Obab è chiamato suocero di Mosè anziché cognato, e questo ha causato
qualche incomprensione. Tuttavia l’espressione ebraica resa normalmente “suocero” può indicare in
senso lato qualsiasi parente acquisito di sesso maschile, e quindi si potrebbe intendere anche nel senso
di “cognato”. Dire che Obab e non Ietro era suocero di Mosè non sarebbe in armonia con altri versetti. Se
Obab, come sostengono alcuni, fosse un altro nome di Ietro, ci sarebbero due uomini, padre e figlio,
entrambi di nome Obab. Viceversa può darsi che Obab, per la preminenza che ebbe nella successiva
generazione di cheniti, sia menzionato in questo versetto quale rappresentante del padre. — Vedi OBAB.

w83 1/12 24 Esodo: Dalla tirannia all'ordine teocratico


“Schiavi sotto la tirannia”
⌠ 3:1 — Che tipo di sacerdote era Ietro, suocero di Mosè?
A quanto pare, Ietro era il capo patriarcale di una tribù di madianiti, e aveva la responsabilità di
ammaestrarli e guidarli in questioni secolari e religiose. Essendo i madianiti discendenti di Abraamo
tramite Chetura, avevano alcune reminiscenze dell’adorazione di Geova, che Abraamo aveva sempre
fatto praticare alla sua famiglia. Non possiamo sapere con certezza quale fosse il grado di purezza della
religione di questa tribù ai giorni di Mosè. Ma Ietro mostrò notevole apprezzamento per Geova, pur non
avendo ricevuto da Dio alcuna nomina diretta. — Esodo 18:1-24.

w97 15/5 13 Quando Gesù viene nella gloria del Regno


16 Quando Mosè fuggì per sottrarsi all’ira del faraone, trovò rifugio nella casa di un non israelita, Reuel,
chiamato anche Ietro. In seguito Mosè ricevette preziosi consigli in campo organizzativo da Reuel, il cui
figlio Obab fece da guida a Israele nel deserto. (Esodo 2:15-22; 18:5-27; Numeri 10:29) I componenti
dell’Israele di Dio sono stati similmente aiutati da persone che non fanno parte dell’unto Israele di Dio?
Sì, sono sostenuti dalla “grande folla” di “altre pecore”, che ha fatto la sua comparsa in questi ultimi
giorni. (Rivelazione 7:9; Giovanni 10:16; Isaia 61:5) Predicendo il caloroso e amorevole sostegno che
queste “pecore” avrebbero dato ai suoi unti fratelli, Gesù disse loro profeticamente: “Ebbi fame e mi deste
da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere. Fui estraneo e mi accoglieste in modo ospitale; nudo, e mi
vestiste. Mi ammalai e aveste cura di me. Fui in prigione e veniste da me. . . . Veramente vi dico: In
quanto l’avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”. — Matteo 25:35-40.

w95 1/12 12-13 Non arrendetevi!


Quando si richiede molto da noi
15 “A chiunque è stato dato molto”, disse Gesù, “sarà richiesto molto”. (Luca 12:48) Certo ‘si richiede
molto’ da quelli che prestano servizio come anziani di congregazione. Come Paolo, si prodigano a favore
della congregazione. (2 Corinti 12:15) Devono preparare discorsi, fare visite pastorali, trattare casi
giudiziari, il tutto senza trascurare la famiglia. (1 Timoteo 3:4, 5) Alcuni anziani sono pure impegnati nella
costruzione di Sale del Regno, nei Comitati di assistenza sanitaria e come volontari alle assemblee di
circoscrizione e di distretto. Come possono questi uomini devoti, che lavorano duramente, evitare di
esaurirsi sotto il peso di tali responsabilità?
16 Quando Mosè, uomo modesto e umile, rischiava di esaurirsi per risolvere i problemi degli altri, il
suocero, Ietro, gli diede un consiglio pratico, quello di condividere la responsabilità con altri uomini
qualificati. (Esodo 18:17-26; Numeri 12:3) “La sapienza è con i modesti”, dice Proverbi 11:2. Essere
modesti significa riconoscere e accettare i propri limiti. Chi è modesto non è riluttante a delegare certi
compiti, né teme che condividendo appropriatamente con altri uomini qualificati determinate
responsabilità perderà in qualche modo il controllo della situazione. (Numeri 11:16, 17, 26-29) Al
contrario, è desideroso di aiutarli a fare progresso. — 1 Timoteo 4:15.
17 I componenti della congregazione possono far molto per alleggerire il carico degli anziani.
Comprendendo che gli anziani devono anche prendersi cura della loro famiglia, gli altri non
pretenderanno che dedichino loro tempo e attenzione in misura esagerata. Non prenderanno per scontati
i sacrifici che le mogli degli anziani fanno rinunciando spontaneamente e in modo altruistico al tempo che
i mariti invece di dedicare a loro dedicano alla congregazione. La moglie di un anziano con tre figli ha
detto: “Una cosa di cui non mi sono mai lamentata è il carico aggiuntivo che porto di buon grado in
famiglia affinché mio marito possa prestare servizio come anziano. So che Geova benedice riccamente la
nostra famiglia a motivo del suo servizio e non voglio lesinare il tempo e le energie che egli dà. Tuttavia,
realisticamente parlando, spesso devo faticare per raccogliere foglie in giardino e disciplinare i miei figli
più di quanto non farei se mio marito non fosse così impegnato”. Purtroppo questa sorella riferisce che
alcuni, invece di apprezzare la sua disponibilità a sobbarcarsi il lavoro extra, se ne uscivano con
osservazioni prive di tatto, del tipo: “Perché non fai la pioniera?” (Proverbi 12:18) Quanto è meglio lodare
gli altri per quello che fanno anziché criticarli per quello che non riescono a fare! — Proverbi 16:24; 25:11.

w94 15/1 11 Geova domina, mediante la teocrazia


Autorità sotto la teocrazia
6 Quelli che avevano incarichi di responsabilità in Israele avevano un grande privilegio, ma era una sfida
per loro mantenere l’equilibrio. Dovevano stare sempre attenti che il loro io non diventasse più importante
della santificazione del nome di Geova. La dichiarazione ispirata secondo cui “non appartiene all’uomo
che cammina nemmeno di dirigere il suo passo” valeva sia per gli israeliti che per il resto del genere
umano. Israele prosperava solo quando gli anziani ricordavano che la nazione era una teocrazia e che
dovevano fare la volontà di Geova, non la propria. Poco dopo la nascita della nazione di Israele, Ietro,
suocero di Mosè, ben descrisse che genere di uomini dovevano essere: “Uomini capaci, che temono Dio,
uomini fidati, che odiano il profitto ingiusto”. — Esodo 18:21.
7 Il primo a esercitare notevole autorità in Israele fu Mosè. Fu un ottimo esempio in quanto a esercitare
l’autorità nell’ambito della disposizione teocratica. È vero che in un’occasione dimostrò debolezza umana,
ma confidò sempre in Geova. Quando si presentavano questioni per le quali non esisteva un precedente,
egli cercava la guida di Geova. (Confronta Numeri 15:32-36). Cosa permise a Mosè di resistere alla
tentazione di servirsi della sua elevata posizione per glorificare se stesso? Ebbene, pur essendo a capo
di una nazione di milioni di persone, egli era “di gran lunga il più mansueto di tutti gli uomini che erano
sulla superficie del suolo”. (Numeri 12:3) Non aveva ambizioni personali, ma si interessava di dare gloria
a Dio. (Esodo 32:7-14) Mosè inoltre aveva una forte fede. Parlando di lui prima che divenisse il
condottiero della nazione, l’apostolo Paolo disse: “Rimase saldo come vedendo Colui che è invisibile”.
(Ebrei 11:27) Chiaramente Mosè non dimenticò mai che Geova era il vero Governante della nazione.
(Salmo 90:1, 2) Che eccellente esempio per noi oggi!

w86 15/8 14 Non abusate del vostro potere


Gli anziani cristiani
4 Prendiamo in esame in primo luogo gli anziani, i sorveglianti della congregazione cristiana. Quando
riflettiamo sui loro requisiti, possiamo ricordare i suggerimenti che Ietro diede a Mosè su come scegliere
coloro che sarebbero stati a capo di migliaia, centinaia, cinquantine e decine: “Tu stesso dovresti
scegliere da tutto il popolo uomini capaci, che temono Dio, uomini fidati, che odiano il profitto ingiusto”.
(Esodo 18:21) Uomini di questo tipo potevano essere incaricati di sorvegliare altri. Non avrebbero
abusato dei vantaggi che derivavano loro da una posizione di sorveglianza, perché temere Dio significa
odiare il male. Questi uomini avrebbero effettivamente ‘odiato il profitto ingiusto’, anziché amarlo o
andarne in cerca.

w84 15/2 17 'Scegli uomini capaci, che temano Dio'


Requisiti degli anziani d’Israele
4 Una volta che gli israeliti si trovarono nel deserto, liberi dai loro oppressori egiziani, la responsabilità di
Mosè come giudice della nazione si fece schiacciante. Suo suocero Ietro, che era andato a trovarlo, se
ne accorse subito, e gli diede un suggerimento pratico che evidentemente aveva l’approvazione di
Geova: “Come fai non va bene. Sicuramente ti consumerai, tu e questo popolo che è con te, perché
questa cosa è un peso troppo grave per te. Non la puoi fare da solo. Ora ascolta la mia voce. Io ti
consiglierò, e Dio mostrerà d’essere con te. Tu stesso servi come rappresentante del popolo dinanzi al
vero Dio . . . Ma tu stesso dovresti scegliere da tutto il popolo uomini capaci, che temono Dio, uomini
fidati, che odiano il profitto ingiusto . . . ed essi devono portare il peso con te”. (Esodo 18:17-23) Questo
nuovo ordinamento giudiziario in Israele servì a suddividere il peso fra vari uomini capaci. La
congregazione d’Israele aveva ora un corpo organizzato di anziani qualificati per risolvere questioni
giudiziarie e dispute.
5 Che differenza con l’attuale sistema mondiale, dove così pochi apprezzano veramente i nobili princìpi,
dove la corruzione contagia governanti e governati! Nell’antico Israele gli uomini che dovevano prestare
servizio con Mosè nell’amministrare la giustizia dovevano essere cercati con scrupolosità. Come disse
Ietro, “tu stesso devi cercare fra tutto il popolo uomini capaci, timorati di Dio, onesti e incorruttibili, e
costituirli sul popolo”. (Esodo 18:21, The New English Bible) Non si trattava di scegliere semplici uomini
d’età avanzata. Mosè doveva “cercare” uomini capaci, qualificati, incorruttibili. Che norma meravigliosa
per quelli che devono aver cura degli interessi del popolo di Geova oggi!

w84 15/2 18 'Scegli uomini capaci, che temano Dio'


È sufficiente avere i capelli grigi?
9 Quanto detto sopra significa forse che in Israele qualsiasi uomo anziano fosse automaticamente un
“anziano” con un incarico giudiziario o amministrativo? Il fatto di superare una determinata età faceva di
un israelita un “anziano” in questo senso? No, non sarebbe ragionevole pensarlo. Eliu espresse
chiaramente la questione dicendo: “Non sono quelli che semplicemente abbondano nei giorni a mostrarsi
saggi, né quelli che sono soltanto vecchi a comprendere il giudizio”. E il saggio congregatore scrisse: “I
capelli grigi sono una corona di bellezza quando si trovano nella via della giustizia”. (Giobbe 32:6, 9;
Proverbi 16:31; Ecclesiaste 12:9, 10) Le Scritture Ebraiche mostrano chiaramente che nell’“anziano”
qualificato l’età avanzata e l’esperienza dovevano essere accompagnate dalla saggezza e da una giusta
condotta.
10 Comunque, l’età e l’esperienza sono molto preziose. Onde essere idonei per ricevere privilegi di
servizio, gli anziani devono accettare la guida dello spirito di Dio e acquistare intendimento della sua
Parola. Non basta saper citare scritture. Per un “anziano” è indispensabile saperle applicare
saggiamente. — Proverbi 4:7-9; Tito 1:9.

w79 1/6 16 Uomini saggi, discreti ed esperti per guidare il popolo di Dio
Uomini saggi, discreti ed esperti per guidare il popolo di Dio
“E di sicuro vi darò pastori secondo il mio cuore, ed essi per certo vi pasceranno con conoscenza e
perspicacia”. — Ger. 3:15.
IL POPOLO d’Israele era sulle pianure di Moab, pronto per attraversare il Giordano ed entrare nel paese
di Canaan. Nel loro interesse, Mosè narrò ciò che Dio aveva fatto per loro nei 40 anni che erano stati nel
deserto del Sinai. La prima parte di quel periodo era stata turbolenta, particolarmente per Mosè, a causa
degli errati atteggiamenti prevalenti nella nazione. Quindi Mosè rammentò loro che, non essendo in grado
di continuare a portare da solo il peso di un popolo litigioso, aveva seguito il consiglio di Ietro e aveva
detto al popolo: “Prendete uomini saggi e discreti ed esperti delle vostre tribù, affinché io li ponga come
capi su di voi”. — Deut. 1:3, 12, 13; Eso. 18:17-26.

w77 1/7 403 Siete disposti ad ascoltare?


Chi ha responsabilità di sorveglianza dovrebbe rendersi conto che “c’è salvezza nella moltitudine dei
consiglieri”. (Prov. 11:14) Questo spesso può impedire di fare gravi errori. Geova Dio il Creatore è l’unico
che non ha bisogno dei consigli di nessuno. (Isa. 40:13, 14, Rom. 11:33-36) Come sorvegliante puoi
essere molto aiutato da una conversazione con qualcun altro. Puoi farti idee nuove. Inoltre puoi
mantenere i contatti con ciò che avviene e con i sentimenti di quelli che lavorano con te. Ascoltando una
richiesta o un problema, considerandolo attentamente sotto ogni aspetto, forse sarai in grado di evitare
problemi molto più gravi in seguito.
Mosè era stato posto da Dio al comando di circa tre milioni di persone. Eppure non considerò umiliante
ascoltare il suocero Ietro. Per suggerimento di Ietro, Mosè incaricò alcuni uomini al fine di non dover
avere su di sé l’intera responsabilità di prendere tutte le decisioni e risolvere tutte le dispute. — Eso.
18:13-26.

W66 P.31, 32
W69 P.751-752

Ieu (n. 3) — Tema: Lo zelo può essere rovinato dal permissivismo ESDRA 4:22

it-1 1256-8 Ieu


IEU
(Ièu) [forse, Geova è egli].
3. Figlio di Giosafat (non il Giosafat re di Giuda) e nipote di Nimsi. (2Re 9:14) Ieu fu re di Israele dal 904
circa fino all’877 a.E.V. Durante il regno di Acab re di Israele, il profeta Elia era fuggito al monte Horeb
per non essere messo a morte da Izebel moglie di Acab. Dio ordinò a Elia di tornare indietro e ungere tre
uomini: Eliseo quale successore dello stesso Elia, Azael quale re di Siria e Ieu quale re di Israele. (1Re
19:15, 16) Elia unse (o nominò; vedi UNTO, UNZIONE) Eliseo. All’unzione di Ieu provvide invece Eliseo,
successore di Elia.
Il fatto che Ieu venisse unto da Eliseo significava forse che Elia avesse temporeggiato? No. Qualche
tempo dopo aver dato il comando a Elia, Geova gli disse che la calamità sulla casa di Acab (per mano di
Ieu) non si sarebbe abbattuta ai giorni di Acab, bensì ai giorni di suo figlio. (1Re 21:27-29) È dunque
evidente che l’indugio era voluto da Geova e non era dovuto a negligenza da parte di Elia. Geova fece
ungere Ieu proprio al momento giusto, quando i tempi erano ormai maturi perché entrasse subito in
azione come effetto della sua unzione. E, in armonia con la sua personalità decisa e dinamica, Ieu non
perse tempo, ma agì immediatamente.
Giunse il momento opportuno. C’era una guerra. Acab era morto e regnava suo figlio Ieoram. L’esercito
di Israele era ammassato a Ramot-Galaad, pronto a respingere gli attacchi di Azael re di Siria. Ieu era
uno dei comandanti. (2Re 8:28; 9:14) Lui e il suo aiutante Bidcar, che militavano nell’esercito di Acab,
erano presenti quando Elia aveva denunciato Acab, profetizzando che Geova ‘l’avrebbe ripagato nel
tratto di terra appartenente a Nabot’. Acab si era impossessato di quella terra dopo che sua moglie Izebel
aveva fatto uccidere Nabot. — 1Re 21:11-19; 2Re 9:24-26.
Mentre l’esercito di Israele stava sulla difensiva a Ramot-Galaad, Ieoram re d’Israele era a Izreel per
rimettersi dalle ferite inflittegli dai siri a Rama. C’era anche Acazia, re di Giuda, che era nipote di Ieoram
d’Israele, poiché sua madre Atalia era sorella di Ieoram d’Israele e figlia di Acab e di Izebel. Il re Acazia
era andato a Izreel a trovare lo zio malato, Ieoram. — 2Re 8:25, 26, 28, 29.
L’unzione di Ieu. Eliseo chiamò uno dei figli dei profeti, suo servitore, e gli disse di prendere una fiasca
d’olio, andare all’accampamento di Israele presso Ramot-Galaad, ungervi Ieu e fuggire. Il servitore di
Eliseo ubbidì: chiamò in disparte Ieu, che era con altri ufficiali, lo fece entrare in una casa, lo unse e
annunciò che lui, Ieu, aveva l’incarico di abbattere l’intera casa di Acab. Poi il servitore fuggì, come aveva
ordinato Eliseo. — 2Re 9:1-10.
Uscendo dalla casa Ieu cercò di non dare importanza alla cosa, come se il profeta non avesse detto nulla
di rilevante. Ma gli uomini si accorsero dal suo aspetto e dal suo comportamento che era avvenuto
qualcosa di molto importante. Messo alle strette, Ieu rivelò di essere stato unto re di Israele; a quel
sensazionale annuncio l’esercito immediatamente lo acclamò re. — 2Re 9:11-14.
Annientata la casa di Acab. Dopo aver ordinato che la cosa non si risapesse a Izreel, Ieu cavalcò a
briglia sciolta verso la città. (2Re 9:15, 16) I messaggeri di Ieoram mandati da Izreel a chiedere “C’è
pace?” furono inviati alla retroguardia degli uomini di Ieu. All’avvicinarsi dell’“ondeggiante massa” della
cavalleria e dei carri da guerra di Ieu, la sentinella sulla torre lo riconobbe dal suo modo di guidare il carro
“come un pazzo”. Ieoram re d’Israele e figlio di Acab si insospettì, uscì con il suo carro da guerra e
raggiunse Ieu presso il tratto di terra di Nabot. Ieu lo colpì con una freccia e, ricordandosi della profezia di
Elia, comandò al suo aiutante Bidcar di gettarne il corpo nel campo di Nabot. Poi Ieu proseguì fino alla
città di Izreel. A quanto pare, Acazia nipote di Acab, che era uscito dalla città insieme a Ieoram, cercò di
raggiungere la propria capitale, Gerusalemme, ma arrivò solo fino a Samaria, dove si nascose. In seguito
fu catturato e portato da Ieu presso il villaggio di Ibleam, non lontano da Izreel. Ieu ordinò ai suoi uomini
di ucciderlo sul suo stesso carro da guerra. Essi lo ferirono mortalmente lungo la via che saliva a Gur,
presso Ibleam, ma egli riuscì a rifugiarsi a Meghiddo dove morì. Poi fu portato a Gerusalemme, e lì venne
sepolto. — 2Re 9:17-28; 2Cr 22:6-9.
Quando Ieu arrivò a Izreel, Izebel, la vedova di Acab, gridò: “È andato tutto bene a Zimri l’uccisore del
suo signore?” (Vedi 1Re 16:8-20). Ma Ieu, insensibile alla velata minaccia, disse ai funzionari di corte di
buttarla dalla finestra. Essi ubbidirono. Il suo sangue imbrattò il muro, e Ieu la calpestò sotto gli zoccoli
dei cavalli. Forse si può avere un’idea più chiara del carattere di Ieu dalle concise parole che seguono:
“Dopo ciò entrò e mangiò e bevve”, quindi ordinò che fosse sepolta. Nel frattempo Izebel era stata
mangiata dai cani, circostanza che rammentò a Ieu l’espressione profetica di Elia circa la morte che le
sarebbe toccata. — 2Re 9:30-37; 1Re 21:23.
Ieu si affrettò a portare a termine la sua missione. Sfidò gli uomini di Samaria a mettere sul trono uno dei
70 figli di Acab e a combattere. Ma per paura essi si dichiararono leali a Ieu. Questi mise arditamente alla
prova la loro lealtà dicendo: “Se appartenete a me, . . . prendete le teste degli uomini che sono figli del
vostro signore e domani a quest’ora venite da me a Izreel”. L’indomani si presentarono dei messaggeri
che portavano in canestri le 70 teste; Ieu ordinò di metterle in due mucchi alla porta di Izreel e lasciarvele
fino al mattino. Dopo di che Ieu uccise tutti i notabili, i conoscenti e i sacerdoti di Acab. Fece poi uccidere
altri 42 uomini, i fratelli di Acazia re di Giuda, nipote di Acab. Così abbatté anche i figli di Ieoram di Giuda,
marito di Atalia, figlia della malvagia Izebel. — 2Re 10:1-14.
Erano stati fatti grandi passi avanti per eliminare l’adorazione di Baal in Israele, ma Ieu aveva ancora
molto da fare, e si mise all’opera con la prontezza e lo zelo che gli erano propri. Mentre cavalcava alla
volta di Samaria incontrò Gionadab, discendente di Recab. Va ricordato che in seguito Geova, per mezzo
del profeta Geremia, lodò i discendenti di quest’uomo per la loro fedeltà. (Ger 35:1-16) Gionadab dichiarò
di essere dalla parte di Ieu nella lotta contro il baalismo, e si unì a lui per dargli man forte. Chiunque fosse
rimasto di coloro che avevano avuto a che fare con Acab o erano imparentati con lui, fu messo a morte.
— 2Re 10:15-17.
Sterminati gli adoratori di Baal. A questo punto, con lo stratagemma di un grande raduno per adorare
Baal, Ieu fece convenire nella casa di Baal tutti gli adoratori di Baal che si trovavano in Israele. Dopo
essersi assicurato che fra i presenti non ci fosse nessun adoratore di Geova, Ieu comandò ai suoi uomini
di mettere a morte tutti quelli che erano nella casa. Dopo di che distrussero le colonne sacre di Baal e
abbatterono la casa, trasformandola in latrine, uso a cui era destinata ancora all’epoca di Geremia, che
descrisse l’accaduto nel libro dei Re. “Così Ieu annientò Baal da Israele”. (2Re 10:18-28) In seguito però
l’adorazione di Baal causò nuovamente problemi sia in Israele che in Giuda. — 2Re 17:16; 2Cr 28:2; Ger
32:29.
Probabilmente per tenere il regno delle dieci tribù di Israele separato dal regno di Giuda, nella cui capitale
Gerusalemme si trovava il tempio di Geova, il re Ieu lasciò sussistere in Israele l’adorazione dei vitelli nei
centri di Dan e Betel. “E Ieu stesso non ebbe cura di camminare nella legge di Geova l’Iddio d’Israele con
tutto il suo cuore. Non si scostò dai peccati di Geroboamo con i quali egli aveva fatto peccare Israele”. —
2Re 10:29, 31.
Tuttavia per lo zelo e l’impegno manifestati da Ieu nell’estirpare il baalismo e nell’eseguire i giudizi di
Geova sulla casa di Acab, Geova gli promise che per quattro generazioni i suoi figli si sarebbero seduti
sul trono di Israele. Questo si adempì sui suoi discendenti Ioacaz, Ioas, Geroboamo II e Zaccaria, il cui
regno terminò con il suo assassinio verso il 791 a.E.V. La dinastia di Ieu regnò dunque su Israele per
circa 114 anni. — 2Re 10:30; 13:1, 10; 14:23; 15:8-12.
Perché Geova Dio ritenne la casa di Ieu responsabile di spargimento di sangue quando egli
stesso aveva nominato Ieu suo giustiziere?
Dopo i giorni di Ieu, per mezzo del profeta Osea, Geova disse: “Ancora un poco e devo chiedere conto
degli atti di spargimento di sangue di Izreel alla casa di Ieu, e devo far cessare il governo reale della casa
d’Israele”. (Os 1:4) La casa di Ieu non poteva essere colpevole di spargimento di sangue per aver assolto
l’incarico di annientare la casa di Acab, poiché Dio l’aveva lodato per questo. E neanche poteva esserlo
per aver messo a morte Acazia re di Giuda e i suoi fratelli. Infatti in seguito al matrimonio di Ieoram di
Giuda, figlio del re Giosafat, con Atalia, figlia di Acab e di Izebel, la famiglia reale di Giuda si era
imparentata con la malvagia casa di Omri e ne era stata contaminata.
Sembra piuttosto che la spiegazione sia da ricercarsi nella dichiarazione che Ieu lasciò sussistere in
Israele l’adorazione dei vitelli e non camminò nella legge di Geova con tutto il cuore. Probabilmente Ieu si
convinse che l’indipendenza da Giuda si sarebbe potuta mantenere solo attraverso una separazione
religiosa. Come altri re d’Israele, cercò di rafforzare la sua posizione perpetuando l’adorazione dei vitelli.
Questo in effetti significava mancare di fede in Geova, che aveva permesso a Ieu di divenire re. È quindi
possibile che, a parte la legittima esecuzione del giudizio di Geova contro la casa di Acab, le motivazioni
errate che indussero Ieu a lasciar sussistere l’adorazione dei vitelli lo abbiano anche spinto a spargere
sangue.
La vera potenza del regno di Israele fu spezzata quando cadde la casa di Ieu: difatti il regno durò ancora
solo per 50 anni circa. Soltanto Menaem, che abbatté Sallum l’assassino di Zaccaria, ebbe un figlio che
gli succedette al trono. Questo figlio, Pecachia, fu assassinato, e così pure il suo assassino e successore
Peca. Oshea, ultimo re d’Israele, fu preso prigioniero dal re d’Assiria. — 2Re 15:10, 13-30; 17:4.
Il principale peccato di Israele fu sempre l’adorazione dei vitelli. Questo provocò l’allontanamento da
Geova e la conseguente corruzione della nazione. Quindi la colpa per lo “spargimento di sangue di
Izreel”, insieme a omicidio, furto, adulterio e altri reati, fu una delle cose attribuibili alla falsa adorazione
che i sovrani permisero al popolo di praticare. Infine Dio dovette “far cessare il governo reale della casa
d’Israele”. — Os 1:4; 4:2.
Siria e Assiria attaccano Israele. Per non essersi volto pienamente a Geova e non aver camminato
nelle sue vie, Ieu, per tutta la durata del suo regno, ebbe difficoltà con Azael, re di Siria. A poco a poco
Azael conquistò il territorio di Israele dall’altra parte del Giordano. (2Re 10:32, 33; Am 1:3, 4) Allo stesso
tempo l’Assiria minacciava sempre più l’esistenza di Israele.
Ieu menzionato in iscrizioni assire. Come riportano alcune iscrizioni, Salmaneser III re d’Assiria
afferma di aver ricevuto un tributo da Ieu. Un’iscrizione dice: “Il tributo di Ieu (Ia-ú-a), figlio di Omri (Hu-
um-ri); ricevetti da lui argento, oro, una coppa d’oro da saplu, un vaso d’oro dal fondo a punta, bicchieri
d’oro, secchi d’oro, stagno, uno scettro, (e) un puruhtu [termine di cui si ignora il significato] di legno”.
(Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, p. 281) (In realtà Ieu non era figlio di Omri.
Ma sin dall’epoca di Omri l’espressione era a volte usata per designare i re di Israele, senza dubbio a
motivo del valore di Omri e del fatto che costruì Samaria, capitale di Israele fino alla conquista del regno
delle dieci tribù da parte dell’Assiria).
Oltre a questa iscrizione, sul famoso Obelisco nero c’è un bassorilievo che rappresenta probabilmente un
inviato di Ieu che si inchina davanti a Salmaneser e gli offre un tributo. Secondo alcuni commentatori
questo, per quanto è dato di sapere, sarebbe il primo ritratto di un israelita. Comunque non si può avere
l’assoluta certezza che l’affermazione di Salmaneser risponda a verità. Né si può essere certi che la
figura che compare nel bassorilievo ritragga esattamente un israelita, perché è possibile che le nazioni di
allora attribuissero ai nemici un aspetto sgradevole, come al giorno d’oggi gli appartenenti a una nazione
nemica sono raffigurati in modo meschino, grottesco o odioso in disegni o caricature.

w97 15/9 18-19 Chi sopravvivrà al "giorno di Geova"?


“Chi è per me? Chi?”
8 Coloro che sperano di sopravvivere al “giorno di Geova” devono anche essere decisi nel fare la volontà
divina. Elia predisse intrepidamente la distruzione della famiglia di Acab, costituita da assassini e
adoratori di Baal. (1 Re 21:17-26) Comunque, prima che questa sentenza fosse eseguita, Eliseo,
successore di Elia, dovette portare a termine una certa opera rimasta incompiuta. (1 Re 19:15-17)
Quando arrivò il tempo stabilito da Geova, Eliseo ordinò a un servitore di andare a ungere Ieu, capo
dell’esercito, come nuovo re d’Israele. Dopo avergli versato dell’olio sulla testa, il messaggero disse a
Ieu: “Geova l’Iddio d’Israele ha detto questo: ‘In effetti ti ungo come re sul popolo di Geova, cioè su
Israele. E devi abbattere la casa di Acab tuo signore, e io devo vendicare il sangue dei miei servitori i
profeti e il sangue di tutti i servitori di Geova dalla mano di Izebel. E l’intera casa di Acab deve perire’”. La
malvagia regina Izebel sarebbe stata gettata in pasto ai cani e non avrebbe ricevuto una degna sepoltura.
— 2 Re 9:1-10.
9 Gli uomini di Ieu riconobbero la validità della sua unzione e lo acclamarono nuovo re di Israele. Agendo
con decisione, Ieu si diresse velocemente verso Izreel per iniziare la sua opera di giustiziere contro gli
apostati promotori del culto di Baal. Il primo a essere colpito dalla micidiale freccia di Ieu fu il re Ieoram,
figlio di Acab. Era uscito col suo carro dalla città per chiedere a Ieu se era lì per una missione di pace.
“Che pace ci potrebbe essere finché ci sono le fornicazioni di Izebel tua madre e le sue molte
stregonerie?”, rispose Ieu. A ciò la freccia di Ieu trapassò il cuore di Ieoram. — 2 Re 9:22-24.
10 Le donne devote evitano di comportarsi come Izebel o come chiunque mostri caratteristiche simili.
(Rivelazione 2:18-23) Quando Ieu raggiunse Izreel, Izebel cercò di farsi bella. Guardando giù dalla
finestra, lo salutò con una velata minaccia. Ieu chiese ai servitori di Izebel: “Chi è per me? Chi?”
Immediatamente due o tre funzionari di corte guardarono giù. Erano dalla parte di Ieu? “Fatela cadere!”,
gridò. Al che essi agirono con decisione, scaraventando la perfida Izebel giù dalla finestra, dove venne
calpestata, presumibilmente dagli zoccoli dei cavalli. Quando andarono per seppellirla, ‘non trovarono
altro che il suo teschio, i piedi e le palme delle mani’. Che drammatico adempimento delle parole di Elia:
“I cani mangeranno la carne di Izebel”! — 2 Re 9:30-37.
Sostenere di cuore la vera adorazione
11 Quelli che sperano di sopravvivere al “giorno di Geova” e di vivere per sempre sulla terra devono
sostenere con tutto il cuore la vera adorazione. Devono essere come Gionadab, un adoratore di Geova
non israelita. Mentre Ieu continuava ad adempiere con zelo il suo incarico, Gionadab volle dimostrargli il
suo consenso e dargli il suo sostegno. Così andò incontro al nuovo re d’Israele, che era diretto a Samaria
per mettere a morte i membri superstiti della casa di Acab. Vedendo Gionadab, Ieu chiese: “È il tuo cuore
retto verso di me, come il mio proprio cuore lo è verso il tuo cuore?” Udita la risposta positiva di
Gionadab, Ieu gli tese la mano e lo invitò a salire sul suo carro da guerra, dicendo: “Vieni con me e
guarda come non tollero nessuna rivalità verso Geova”. Senza indugio Gionadab accettò il privilegio di
sostenere l’unto giustiziere di Geova. — 2 Re 10:15-17.
12 È sicuramente appropriato sostenere di cuore la vera adorazione, perché Geova è il Creatore e il
Sovrano universale, che giustamente esige e merita la nostra esclusiva devozione. Agli israeliti comandò:
“Non devi farti immagine scolpita né forma simile ad alcuna cosa che è nei cieli di sopra o che è sulla
terra di sotto o che è nelle acque sotto la terra. Non devi inchinarti davanti a loro né essere indotto a
servirle, perché io, Geova tuo Dio, sono un Dio che esige esclusiva devozione”. (Esodo 20:4, 5) Quelli
che sperano di sopravvivere al “giorno di Geova” devono rendergli esclusiva adorazione, e farlo “con
spirito e verità”. (Giovanni 4:23, 24) Devono essere saldi nel sostenere la vera adorazione, come lo
furono Elia, Eliseo e Gionadab.
13 Dopo aver sterminato la casa di Acab, il re Ieu compì altri passi per individuare gli adoratori di Baal ed
eliminare quella falsa religione da Israele. (2 Re 10:18-28) Oggi il celeste Re Gesù Cristo è stato
incaricato di mettere a morte i nemici di Geova e di rivendicare la Sua sovranità. Come il cuore di
Gionadab fu con Ieu, così oggi la “grande folla” di “altre pecore” riconosce di tutto cuore Gesù Cristo
quale Re messianico e collabora con i suoi fratelli spirituali sulla terra. (Rivelazione 7:9, 10; Giovanni
10:16) Lo dimostra praticando la vera religione e partecipando con zelo al ministero cristiano, avvertendo
così i nemici di Dio del “giorno di Geova” che si avvicina a grandi passi. — Matteo 10:32, 33; Romani
10:9, 10.
Eventi drammatici a breve scadenza!
14 Ieu agì per porre fine all’adorazione di Baal in Israele. Oggi, tramite il più grande Ieu, Gesù Cristo, Dio
distruggerà Babilonia la Grande, l’impero mondiale della falsa religione. Presto vedremo adempiersi le
parole che l’angelo rivolse all’apostolo Giovanni: “Le dieci corna che hai visto, e la bestia selvaggia,
queste odieranno la meretrice [Babilonia la Grande] e la renderanno devastata e nuda, e mangeranno le
sue carni e la bruceranno completamente col fuoco. Poiché Dio ha messo nei loro cuori di eseguire il suo
pensiero, e di eseguire il loro unico pensiero di dare il loro regno alla bestia selvaggia, finché le parole di
Dio non siano compiute”. (Rivelazione 17:16, 17; 18:2-5) “Le dieci corna” rappresentano le potenze
politiche militarizzate che dominano la terra. Sebbene ora, spiritualmente parlando, Babilonia la Grande
abbia con esse una relazione adulterina, il tempo che le rimane è breve. Gli elementi politici di questo
mondo distruggeranno la falsa religione, e “la bestia selvaggia” — l’ONU — avrà con “le dieci corna” un
ruolo di primo piano nel devastarla. Che occasione sarà quella per lodare Geova! — Rivelazione 19:1-6.
15 Dopo l’attacco di Ieu contro l’adorazione di Baal, la sua casa reale rivolse l’attenzione ai nemici politici
di Israele. Il Re Gesù Cristo compirà un’azione simile. Dopo la distruzione della falsa religione
paragonabile al baalismo, rimarranno ancora le potenze politiche. Sotto l’influsso di Satana il Diavolo,
questi nemici della sovranità di Geova sferreranno un attacco a oltranza nel tentativo di distruggere
l’organizzazione di Dio sulla terra. (Ezechiele 38:14-16) Ma Geova li farà sgominare dal re Gesù Cristo,
che li annienterà ad Har-Maghedon, la “guerra del gran giorno dell’Iddio Onnipotente”, rivendicando così
in modo completo la sovranità di Geova. — Rivelazione 16:14, 16; 19:11-21; Ezechiele 38:18-23.

su 89-92 12 Identificati per la distruzione o per la sopravvivenza?


Capitolo 12
Identificati per la distruzione o per la sopravvivenza?
LA SITUAZIONE religiosa oggi esistente ci spinge a rivelare cosa abbiamo realmente nel cuore. Amiamo
sul serio Geova e le sue vie? Siamo come suo Figlio, Gesù Cristo, al quale fu detto: “Hai amato la
giustizia e hai odiato l’illegalità”? (Ebrei 1:9) Siamo disposti a manifestarlo apertamente affinché gli altri
sappiano da che parte stiamo? Il racconto biblico in merito a Ieu e a Gionadab, figlio di Recab, ci aiuta a
esaminare la nostra posizione.
2 Nel X secolo a.E.V. Ieu fu unto per divenire re sul regno delle dieci tribù d’Israele, che aveva per
capitale Samaria. Egli fu incaricato di distruggere tutti coloro che appartenevano alla malvagia casa del re
Acab, inclusa la regina Izebel, che aveva promosso in Israele l’adorazione di Baal e aveva cercato di
eliminare l’adorazione di Geova. Gionadab, un chenita (quindi un non israelita), quando andò incontro a
Ieu era senza dubbio al corrente del suo compito di giustiziere. Ma quanto era forte l’amore di Gionadab
per Geova? Avrebbe apertamente manifestato la sua ferma convinzione che si doveva adorare solo
Geova, il vero Dio?
“È IL TUO CUORE RETTO VERSO DI ME?”
3 Dopo essersi scambiati il saluto, Ieu invitò Gionadab a chiarire la propria posizione. “È il tuo cuore retto
verso di me”, chiese Ieu, “come il mio proprio cuore lo è verso il tuo cuore?” Senza esitazione Gionadab
rispose: “Lo è”. “Se lo è, dammi in effetti la mano”, replicò Ieu. Così fece salire Gionadab sul suo carro e
gli disse: “Vieni con me e guarda come non tollero nessuna rivalità verso Geova”. Gionadab non si
ritrasse timorosamente. — II Re 10:15, 16; vedi Deuteronomio 6:13-15.
4 Arrivati a Samaria, Ieu prese provvedimenti affinché tutti gli adoratori di Baal si rendessero riconoscibili.
I profeti, i sacerdoti e tutti gli adoratori di Baal furono convocati per un grande sacrificio nella casa di Baal.
Furono informati che chiunque non fosse stato presente non sarebbe sopravvissuto. Ieu comandò che
fossero date delle vesti a tutti gli adoratori di Baal affinché potessero essere chiaramente identificati. Così
chiunque avesse asserito di adorare anche Geova sarebbe stato costretto a rivelare chi serviva in realtà.
Sembrava prospettarsi un gran giorno per Baal e per Satana il Diavolo, il falso dio che in effetti Baal
rappresentava.
5 Quello non era certo un posto adatto per i veri adoratori di Geova. Fu fatta una ricerca per essere sicuri
che fossero presenti solo gli adoratori di Baal. Poi iniziò la cerimonia. Nel frattempo, all’esterno, gli uomini
di Ieu si prepararono, e al suo segnale entrarono in azione. “Abbatteteli! Non ne esca nemmeno uno”,
comandò. Tutti gli adoratori di Baal furono sterminati. La casa di Baal fu abbattuta. “Così Ieu annientò
Baal da Israele”. Gionadab era al fianco di Ieu come testimone di quegli avvenimenti. (II Re 10:18-28)
Come reagite personalmente a ciò che ebbe luogo? È vero che nessuno di noi prova piacere nella morte
di altri, nemmeno dei malvagi, ma comprendiamo perché ciò fu necessario e perché fu scritto nella Bibbia
così che oggi possiamo leggerlo? — Confronta Ezechiele 33:11.
6 Il racconto non intende autorizzarci a distruggere edifici di proprietà di gruppi religiosi o persone dedite
alla falsa adorazione. Per eseguire i Suoi giusti giudizi, Geova non ha incaricato i suoi Testimoni moderni,
ma il glorificato Gesù Cristo, in qualità di più grande Ieu. Permettendo alle potenze politiche di esprimere
congiuntamente il loro odio per Babilonia la Grande, il Re celeste provvederà ad annientare l’impero
mondiale della falsa religione. (Rivelazione 6:2; 17:16; 19:1, 2) Quand’era sulla terra, Gesù rifiutò di
compiere anche un solo atto di adorazione in onore del Diavolo. Condannò la tendenza a mettere da
parte la Parola di Geova per seguire tradizioni umane e a speculare sull’adorazione di Dio a scopo di
lucro. Non tollerò nessuna rivalità verso Geova. — Luca 4:5-8; Matteo 15:3-9; 21:12, 13.
7 Perché Cristo, che ora regna in mezzo ai suoi nemici, permette dunque l’apparente prosperità del
moderno baalismo? Perché lascia che coloro che onorano l’iddio di questo sistema di cose disprezzando
le esigenze di Geova la facciano apparentemente franca? Perché ne tollera il comportamento, come se
Dio non avesse nulla da ridire sulla loro immoralità sessuale, il loro materialistico modo di vivere, le
pratiche spiritiche che compiono pur dicendosi cristiani, e le dottrine babiloniche che insegnano
spacciandole per la Parola di Dio? Questo antico dramma mostra che tutto ciò serve a mettere alla prova
le persone, affinché mostrino apertamente chi adorano, e se meritano pertanto la salvezza o la
distruzione.
8 Quale via avete scelto? Avete abbandonato ogni pratica che potrebbe farvi identificare come seguace
del baalismo moderno? Vi siete separati dal mondo prendendo posizione come veri adoratori di Geova?
— II Corinti 6:17.
9 Gionadab, in qualità di adoratore non israelita di Geova, prefigurò le “altre pecore” che vengono
attualmente radunate con la speranza della vita eterna sulla terra. Rispecchiate lo spirito di Gionadab?
Siete disposti a mostrare pubblicamente di essere dalla parte del più grande Ieu e dei suoi unti seguaci
sulla terra che proclamano il veniente “giorno di vendetta da parte del nostro Dio”? Partecipate con loro a
questa urgente opera? (Isaia 61:1, 2; Luca 9:26; Zaccaria 8:23) Rendete a Geova esclusiva devozione,
non lasciando che alcuna cosa prenda il posto che gli spetta nel vostro cuore? (Matteo 6:24; I Giovanni
2:15-17) La vostra vita dimostra che la vostra relazione con lui è il vostro bene più prezioso, e che tutto il
resto è imperniato su di essa? — Salmo 37:4; Proverbi 3:1-6.

W69 P.5-8
W98 1-1 P.12-17
Imeneo — Tema: Guardatevi dagli apostati! GIOBBE 36:13; PROVERBI 11:9

it-1 1272 Imeneo


IMENEO
(Imenèo) [da Imene, dio greco del matrimonio].
Cristiano del I secolo che divenne apostata e fu definito da Paolo un bestemmiatore pieno di “discorsi
vuoti che violano ciò che è santo”. Sviatosi dalla verità, Imeneo, insieme a un certo Fileto, si mise a
insegnare false dottrine, sovvertendo la fede di alcuni. Uno dei loro insegnamenti errati era che a
quell’epoca ‘la risurrezione fosse già avvenuta’. Il loro insegnamento doveva essere questo: la
risurrezione era soltanto spirituale, simbolica, e i cristiani dedicati avevano già avuto la loro risurrezione;
questo era tutto e non c’era altra risurrezione futura sotto il messianico Regno di Dio. — 2Tm 2:18; cfr.
1Co 15:12-23.
Nella prima lettera di Paolo a Timoteo, il nome di Imeneo è menzionato insieme a quello di un altro
apostata, Alessandro. L’apostolo dice di aver consegnato Imeneo e Alessandro “a Satana”, riferendosi
evidentemente alla loro espulsione o disassociazione dalla congregazione. — 1Tm 1:18-20; 2Tm 2:16,
17.

w82 1/10 17-19 Risurrezione, Giorno del Giudizio e apostasia


Risurrezione e apostasia
Tutte le summenzionate invenzioni dei teologi sorsero perché la Chiesa Cattolica Romana, seguita sotto
certi aspetti fondamentali dalle chiese ortodossa e protestante, non si attenne ai chiari insegnamenti
biblici riguardanti la risurrezione e argomenti attinenti come la morte, l’anima umana e il giudizio finale.
A questo riguardo l’apostasia iniziò molto presto nella storia del cristianesimo. Solo una ventina d’anni, o
poco più, dopo la morte e la risurrezione di Cristo, l’apostolo Paolo scrisse da Efeso alla giovane
congregazione cristiana di Corinto, in Grecia: “Se ora si predica che Cristo è stato destato dai morti,
come mai alcuni fra voi [cristiani unti] dicono che non vi è risurrezione dai morti?” — I Corinti 15:12.
Può darsi che alcuni dei cristiani di Corinto ai quali Paolo scriveva fossero ancora sotto l’influenza della
filosofia greca. Pochi anni prima Paolo aveva dichiarato la “buona notizia di Gesù e la risurrezione” ai
filosofi greci di Atene. Ma, “avendo udito della risurrezione dei morti, alcuni se ne facevano beffe”. (Atti
17:18, 32) Epicurei e stoici avevano le loro teorie su quello che succedeva all’anima dopo la morte. Altri
filosofi greci, seguaci di Socrate e di Platone, credevano nell’immortalità dell’anima. Nessuno di loro
credeva nella risurrezione così come la insegnava la Bibbia.
Può anche darsi che alcuni cristiani di Corinto seguissero già, per quanto concerne la risurrezione, le idee
apostate che l’apostolo Paolo condannò dieci anni dopo. Scrivendo a Timoteo, che all’epoca si trovava
probabilmente ad Efeso, Paolo lo avvertì, dicendo: “Evita i discorsi vuoti che violano ciò che è santo;
poiché essi progrediranno sempre più in empietà, e la loro parola si spargerà come cancrena. Imeneo e
Fileto sono di tale numero. Questi stessi uomini han deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione sia
già avvenuta; e sovvertono la fede di alcuni”. — II Timoteo 2:16-18.
Dicendo che ‘la risurrezione era già avvenuta’, quegli apostati non intendevano dire che i cristiani
deceduti fossero già stati destati dai morti. A quanto pare credevano che i cristiani viventi fossero già stati
risuscitati in senso puramente simbolico, spirituale. Negavano l’esistenza di una futura risurrezione dai
morti. Queste idee ‘sovvertivano la fede di alcuni’, per cui l’apostolo Paolo mise energicamente in guardia
contro quegli insegnanti apostati.
L’apostasia ‘si sparge come cancrena’
Questo Imeneo era indubbiamente lo stesso menzionato da Paolo nella sua prima lettera a Timoteo. Era
stato disassociato dalla congregazione cristiana, insieme a un certo Alessandro, perché ‘avevano fatto
naufragio riguardo alla loro fede’. Paolo consigliò a Timoteo di ‘continuare a combattere l’eccellente
guerra’ contro tali apostati. — I Timoteo 1:18-20.
Mentre erano ancora in vita, gli apostoli avevano dato l’esempio nel combattere l’apostasia. Ma quando
non furono più presenti per ‘agire da restrizione’, i timori di Paolo si avverarono, e la “parola” degli
apostati ‘si sparse come cancrena’. — II Tessalonicesi 2:3-12; Atti 20:29, 30.
Idee su una risurrezione puramente simbolica, come quelle insegnate da Imeneo e Fileto a Efeso, furono
in seguito sviluppate dagli gnostici. Nel II secolo E.V. e all’inizio del III, gli gnostici (dal termine greco
gnosis, “conoscenza”) fusero il cristianesimo apostata con la filosofia greca e il misticismo orientale.
Sostenevano che tutta la materia fosse male e asserivano che la salvezza era raggiungibile tramite la
“conoscenza” mistica (gnosis) e non mediante la fede in Cristo quale redentore.
Ma lo gnosticismo non fu l’unica forma di apostasia che ‘si sparse come cancrena’. Nel IV secolo il vero
cristianesimo insegnato da Cristo e dai suoi fedeli apostoli e discepoli era ormai diventato corrotto per
opera di altri che avevano “deviato dalla verità”. Un autorevole dizionario teologico ammette che “nel
corso della storia della Chiesa molte rappresentazioni, idee e motivi extrabiblici entrarono a far parte del
concetto di paradiso”. Questo dizionario biblico prosegue parlando del “fatto che la dottrina
dell’immortalità dell’anima prese il posto dell’escatologia [l’indagine sugli stadi finali dell’uomo e del
mondo] neotestamentaria con la sua speranza della risurrezione dei morti”. — The New International
Dictionary of New Testament Theology.
Come abbiamo già visto sopra e nel precedente articolo, il rifiuto della realtà della morte e l’accettazione
dell’idea pagana della sopravvivenza automatica di un’anima immortale allontanarono sempre più le
chiese cattolica e ortodossa dai chiari insegnamenti biblici relativi alla risurrezione e al giudizio. Si giunse
al dogma — diffamatorio nei riguardi di Dio — dell’inferno e del purgatorio, e all’assurda idea dei corpi
carnali risuscitati per andare a fluttuare qua e là in cielo o per essere tormentati in eterno nell’“inferno”.
La “cancrena” non si fermò qui. Nei secoli successivi i riformatori protestanti aggiunsero le loro teorie non
bibliche circa la morte, la risurrezione e il giudizio finale. In gran parte seguirono il dogma cattolico
dell’immortalità innata dell’anima, che li obbligò ad accettare anche la dottrina della “risurrezione del
corpo”. Molte chiese protestanti insegnano anche l’inferno di fuoco. Pure i teologi protestanti hanno dato
prova della loro inventiva formulando altre dottrine che non esistono nella Bibbia. Alcune chiese calviniste
riformate, per esempio, insegnano che Dio predestina certe anime alla salvezza e altre alla dannazione
eterna. Altri protestanti credono nella salvezza universale, cioè nella salvezza finale di tutte le anime,
comprese quelle dei malvagi.
Attenetevi alla verità biblica
Dopo aver messo in guardia contro l’apostasia di Imeneo e Fileto in merito alla risurrezione, Paolo
aggiunse: “Per tutto questo, il solido fondamento di Dio rimane in piedi, avendo questo suggello: ‘Geova
conosce quelli che gli appartengono’”. — II Timoteo 2:19.
Dopo aver visto lo sviluppo storico dei concetti apostati riguardanti l’anima, la morte, la risurrezione e il
giudizio finale, e aver notato la confusione esistente su questi importanti soggetti, cosa farete? Il cristiano
sincero sarà più convinto che mai del bisogno di attenersi in queste cose al “solido fondamento di Dio”,
esposto nella Sua Parola, la Bibbia.
Comunque, pur accettando il chiaro insegnamento biblico circa l’anima umana, la morte e la risurrezione,
alcuni cristiani possono, per ragioni emotive, avere delle idee riguardo al giudizio finale che
apparentemente esaltano l’amorevole benignità di Geova, ma che, in realtà, metterebbero in dubbio la
sua giustizia e il suo diritto di distruggere i malvagi. Allo scopo di chiarire questi argomenti, i seguenti
articoli prenderanno in esame ciò che dice la Bibbia circa la vera speranza della risurrezione in relazione
al regno di Dio e al divino giorno del giudizio. Vi invitiamo a leggerli.

w94 1/7 8-13 A quale tavola vi cibate?


A quale tavola vi cibate?
“Non potete partecipare alla ‘tavola di Geova’ e alla tavola dei demoni”. — 1 CORINTI 10:21.
QUESTE ispirate parole dell’apostolo Paolo mostrano che dinanzi all’umanità si trovano due simboliche
tavole apparecchiate. Ciascuna è riconoscibile dal tipo di cibo simbolico che vi è posto sopra, e tutti noi
mangiamo o all’una o all’altra. Comunque, se vogliamo piacere a Dio non possiamo cibarci alla sua
tavola e nello stesso tempo mangiucchiare alla tavola dei demoni. L’apostolo Paolo avvertì: “Le cose che
le nazioni sacrificano le sacrificano ai demoni, e non a Dio; e io non voglio che diveniate partecipi con i
demoni. Voi non potete bere il calice di Geova e il calice dei demoni; non potete partecipare alla ‘tavola di
Geova’ e alla tavola dei demoni”. — 1 Corinti 10:20, 21.
2 Le parole di Paolo ci rammentano i sacrifici di comunione che gli antichi israeliti offrivano sotto la Legge
di Geova. L’altare di Dio era considerato una tavola e si diceva che colui che portava l’animale da
sacrificare era in comunione con Geova e con i sacerdoti. In che modo? Primo, Geova partecipava al
sacrificio perché il sangue veniva spruzzato sul suo altare e il grasso veniva consumato dalle fiamme
sottostanti. Secondo, il sacerdote vi partecipava in quanto lui (e la sua famiglia) mangiavano il petto e la
zampa destra arrostiti dell’animale sacrificato. E, terzo, l’offerente vi partecipava mangiando il resto.
(Levitico 7:11-36) Oggi partecipare alla tavola di Geova significa rendergli il tipo di adorazione che egli
richiede, secondo l’esempio lasciatoci da Gesù e dagli apostoli. A questo fine dobbiamo cibarci
spiritualmente di ciò che Geova provvede tramite la sua Parola e la sua organizzazione. Agli israeliti, che
godevano di una speciale comunione con Geova alla sua tavola, era vietato offrire sacrifici ai demoni alla
loro tavola. Lo stesso divieto vale per gli israeliti spirituali e per i loro compagni delle “altre pecore”. —
Giovanni 10:16.
3 In che modo oggi si potrebbe essere colpevoli di partecipare alla tavola dei demoni? Promuovendo
qualunque cosa che si opponga a Geova. La tavola dei demoni include tutta la propaganda demonica,
che ha lo scopo di sviarci e allontanarci da Geova. Chi vorrebbe nutrire il cuore e la mente di tale veleno?
I veri cristiani rifiutano di partecipare ai sacrifici che oggi la maggioranza delle persone offre agli dèi della
guerra e della ricchezza. — Matteo 6:24.
Evitiamo la “tavola dei demoni”
4 La domanda che ognuno di noi dovrebbe farsi è: A quale tavola mi sto cibando? Siamo inevitabilmente
costretti a mangiare all’una o all’altra delle due tavole. (Confronta Matteo 12:30). Non vorremmo
partecipare consapevolmente alla tavola dei demoni. Se lo facessimo, perderemmo il favore dell’unico
vivente e vero Dio, Geova. Cibarsi solo alla tavola di Geova, invece, porta alla vita eterna nella felicità!
(Giovanni 17:3) Un detto afferma che siamo quello che mangiamo. Perciò, chiunque voglia mantenersi in
buona salute fisica e mentale deve badare alla sua alimentazione. Come i cibi scadenti e ricchi di grassi,
benché saporiti per via degli additivi chimici, non ci aiutano a mantenerci in buona salute fisica, così la
propaganda di questo mondo condita con idee demoniche è simbolicamente cibo scadente, cattivo, e
corromperà la nostra mente.
5 L’apostolo Paolo predisse che negli ultimi giorni gli uomini sarebbero stati sviati da “insegnamenti di
demoni”. (1 Timoteo 4:1) Questi insegnamenti demonici non si trovano solo nelle false credenze religiose,
ma vengono ampiamente divulgati anche in altri modi. Per esempio, dobbiamo analizzare e valutare quali
libri e riviste noi e i nostri figli leggiamo, quali programmi televisivi guardiamo, quali spettacoli teatrali e
cinematografici vediamo. (Proverbi 14:15) Se leggiamo romanzi a scopo di svago, descrivono forse
violenza gratuita, rapporti sessuali illeciti o pratiche occulte? Se leggiamo altri libri per istruirci, espongono
forse filosofie o modi di vivere “non secondo Cristo”? (Colossesi 2:8) Trattano vane congetture o esortano
a impegnarsi in campagne sociali di questo mondo? Incoraggiano la determinazione di arricchire? (1
Timoteo 6:9) Presentano subdolamente insegnamenti divisivi contrari allo spirito del cristianesimo? Se la
risposta è sì e continuiamo a leggere o a guardare queste cose, rischiamo di cibarci alla tavola dei
demoni. Oggi ci sono centinaia di migliaia di pubblicazioni che promuovono filosofie mondane
apparentemente illuminate e attuali. (Ecclesiaste 12:12) In realtà in questa propaganda non c’è nulla di
nuovo; né essa opera per il bene e il miglioramento dell’individuo, come ciò che Satana disse
astutamente a Eva non ne migliorò la situazione. — 2 Corinti 11:3.
6 Perciò, quando Satana ci invita ad assaggiare il suo cibo demonico, come dovremmo reagire? Come
fece Gesù quando Satana lo tentò invitandolo a trasformare le pietre in pane. Gesù replicò: “È scritto:
‘L’uomo non deve vivere di solo pane, ma di ogni espressione che esce dalla bocca di Geova’”. E quando
il Diavolo gli offrì “tutti i regni del mondo e la loro gloria” se solo si fosse prostrato e gli avesse fatto un
atto di adorazione, Gesù rispose: “Va via, Satana! Poiché è scritto: ‘Devi adorare Geova il tuo Dio, e a lui
solo devi rendere sacro servizio’”. — Matteo 4:3, 4, 8-10.
7 La tavola di Geova e la tavola imbandita dai suoi avversari demonici sono assolutamente inconciliabili!
È vero che c’è stato chi ha cercato di conciliarle. Ricordate gli antichi israeliti dei giorni del profeta Elia. Il
popolo asseriva di adorare Geova, ma credeva che altri dèi, come Baal, potessero dare la prosperità. Elia
si accostò al popolo e disse: “Fino a quando zoppicherete su due differenti opinioni? Se il vero Dio è
Geova, seguitelo; ma se è Baal, seguite lui”. Innegabilmente gli israeliti zoppicavano, stando un po’ di
qua e un po’ di là. (1 Re 18:21) Elia sfidò i sacerdoti di Baal a dimostrare che il loro dio era veramente
tale. Il Dio che avesse fatto scendere fuoco dal cielo su un sacrificio avrebbe dimostrato di essere il vero
Dio. Nonostante tutti i loro sforzi, i sacerdoti di Baal non riuscirono nell’intento. Allora Elia pregò
semplicemente Geova dicendo: “O Geova, rispondimi, affinché questo popolo conosca che tu, Geova, sei
il vero Dio”. Immediatamente scese fuoco dal cielo, da Geova, e consumò il sacrificio animale inzuppato
d’acqua. Stimolato dalla convincente dimostrazione della divinità di Geova, il popolo ubbidì a Elia e mise
a morte tutti i 450 profeti di Baal. (1 Re 18:24-40) Oggi quindi dobbiamo riconoscere Geova quale vero
Dio ed essere decisi a cibarci solo alla sua tavola, se ancora non lo abbiamo fatto.
“Lo schiavo fedele” serve alla tavola di Geova
8 Il Signore Gesù Cristo predisse che durante la sua presenza uno “schiavo fedele e discreto” avrebbe
provveduto cibo spirituale ai suoi discepoli: “Felice quello schiavo se il suo signore, arrivando, lo troverà a
fare così! Veramente vi dico: Lo costituirà sopra tutti i suoi averi”. (Matteo 24:45-47) Questo schiavo non
è un singolo individuo, ma la classe dei dedicati cristiani unti. Questa classe ha messo a disposizione
dell’unto rimanente e della “grande folla” sulla tavola di Geova il miglior cibo spirituale. La grande folla,
che ora conta più di quattro milioni di persone, si è schierata con l’unto rimanente a favore della sovranità
universale di Geova Dio e del suo Regno, mediante il quale egli santificherà il suo eccelso nome. —
Rivelazione (Apocalisse) 7:9-17.
9 La classe dello schiavo fedele impiega la Watch Tower Bible and Tract Society per provvedere cibo
spirituale a tutti i testimoni di Geova. Mentre la cristianità e il resto del sistema di cose attuale patiscono la
fame per mancanza di cibo spirituale vivificante, i servitori di Geova banchettano. (Amos 8:11) Questo
adempie la profezia di Isaia 25:6: “Geova degli eserciti certamente farà per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di piatti ben oliati, un banchetto di vini chiariti, di piatti ben oliati pieni di midollo, di vini
chiariti, filtrati”. Come mostrano i versetti 7 e 8⇒ di Isaia 25⇐, questo banchetto continuerà per sempre.
Che benedizione è ora per tutti quelli che fanno parte della visibile organizzazione di Geova, e che
benedizione sarà anche nel futuro!
State attenti al cibo venefico che è sulla tavola dei demoni
10 Il cibo sulla tavola dei demoni è avvelenato. Considerate, ad esempio, il cibo dispensato dalla classe
dello schiavo malvagio e dagli apostati. Non nutre e non edifica; non è sano. Non può esserlo, perché gli
apostati hanno smesso di cibarsi alla tavola di Geova. Come risultato, qualunque tratto della nuova
personalità avessero sviluppato è scomparso. Non sono spinti dallo spirito santo, ma da cieco livore.
Sono ossessionati da un unico desiderio: percuotere i loro ex compagni di schiavitù, come predisse
Gesù. — Matteo 24:48, 49.
11 Per esempio, nel lontano 1909 l’allora presidente della Watch Tower Society, C. T. Russell, scrisse
riguardo a coloro che si erano allontanati dalla tavola di Geova e avevano cominciato a maltrattare i loro
ex compagni di schiavitù. La Torre di Guardia inglese del 1° ottobre 1909 diceva: “Tutti quelli che si
separano dalla Società e dalla sua opera, invece di prosperare o di edificare altri nella fede e nelle grazie
dello spirito, fanno a quanto pare il contrario: cercano di danneggiare la Causa che un tempo servivano e,
con più o meno rumore, sprofondano gradualmente nell’oblio, danneggiando solo se stessi e altri che
hanno il medesimo spirito polemico. . . . Se alcuni pensano di poter mangiare altrettanto bene o meglio
ad altre tavole, o di poter produrre altrettanto bene o meglio da soli, facciano pure. . . . Ma mentre noi
desideriamo che gli altri vadano dove meglio credono per trovare cibo e luce di loro gradimento, strano a
dirsi quelli che diventano nostri oppositori agiscono in modo ben diverso. Invece di dire con
l’atteggiamento virile del mondo: ‘Ho trovato qualcosa che preferisco; me ne vado e tanti saluti!’, costoro
manifestano ira, malanimo, odio, ostilità, ‘opere della carne e del diavolo’ come non abbiamo mai visto
fare da persone del mondo. Sembrano dei forsennati, come se fosse stato inoculato in loro il virus
dell’idrofobia satanica. Alcuni di loro ci percuotono e poi asseriscono che siamo stati noi a colpirli. Sono
pronti a dire e a scrivere vergognose falsità e ad abbassarsi a compiere le peggiori indegnità”.
12 Sì, le pubblicazioni degli apostati travisano i fatti, ricorrono a mezze verità e a vere e proprie
menzogne. Alcuni arrivano al punto di picchettare i luoghi di assemblea dei Testimoni, cercando di
accalappiare gli ignari. Sarebbe quindi pericoloso lasciare che la curiosità ci spingesse a cibarci dei loro
scritti o ad ascoltare i loro discorsi oltraggiosi! Anche se pensiamo di non correre personalmente nessun
rischio, il pericolo c’è sempre. Perché? Innanzi tutto alcune pubblicazioni degli apostati presentano falsità
con “discorso blando” e “parole finte”. (Romani 16:17, 18; 2 Pietro 2:3) Cosa vi aspettereste dalla tavola
dei demoni? E sebbene gli apostati a volte presentino certi fatti, di solito questi sono estrapolati dal
contesto allo scopo di allontanare altri dalla tavola di Geova. In tutti i loro scritti non fanno che criticare e
abbattere! Non c’è nulla di edificante.
13 Gesù disse: “Li riconoscerete dai loro frutti”. (Matteo 7:16) Ebbene, quali sono i frutti degli apostati e
delle loro pubblicazioni? Quattro cose contraddistinguono la loro propaganda. (1) Scaltrezza. Efesini 4:14
parla di “astuzia nell’artificio dell’errore”. (2) Altezzosa intelligenza. (3) Mancanza di amore. (4) Disonestà
manifestata in varie forme. Questi sono gli ingredienti di base del cibo imbandito sulla tavola dei demoni,
dove ogni pietanza è preparata allo scopo di minare la fede dei servitori di Geova.
14 C’è poi un altro aspetto da considerare. A cosa sono tornati gli apostati? In molti casi sono tornati nelle
tenebre della cristianità e delle sue dottrine, come la credenza che tutti i cristiani vadano in cielo. Inoltre,
la maggioranza di loro non assume più una ferma posizione scritturale in questioni come il sangue, la
neutralità e la necessità di dare testimonianza riguardo al Regno di Dio. Noi invece siamo fuggiti dalle
tenebre di Babilonia la Grande e non abbiamo nessuna intenzione di tornarci. (Rivelazione 18:2, 4) In
qualità di leali servitori di Geova, perché mai dovremmo voler dare anche solo una sbirciatina alla
propaganda di chi ha rigettato la tavola di Geova e ora percuote verbalmente coloro che ci aiutano a
nutrirci delle “sane parole”? — 2 Timoteo 1:13.
15 Qualcuno potrebbe essere curioso di conoscere le accuse fatte dagli apostati. Ma dovremmo prendere
a cuore il principio di Deuteronomio 12:30, 31. Qui Geova, tramite Mosè, disse agli israeliti cosa
dovevano fare dopo aver spodestato gli abitanti pagani della Terra Promessa. “Guardati dall’essere
intrappolato dietro a loro, dopo che sono state annientate d’innanzi a te, e dal ricercare i loro dèi, dicendo:
‘Come servivano queste nazioni i loro dèi? E io, sì, io, di sicuro farò nello stesso modo’. Non devi fare in
questo modo a Geova tuo Dio”. Sì, Geova Dio sa come agisce la curiosità umana. Ricordate Eva, e
anche la moglie di Lot! (Luca 17:32; 1 Timoteo 2:14) Non prestiamo mai orecchio a ciò che dicono o
fanno gli apostati. Impegniamoci invece per edificare altri e cibiamoci lealmente alla tavola di Geova!
La tavola di Geova sarà l’unica a rimanere
16 Fra breve, all’improvviso, scoppierà la grande tribolazione, che culminerà rapidamente nella “guerra
del gran giorno dell’Iddio Onnipotente”. (Rivelazione 16:14, 16) Andrà crescendo d’intensità man mano
che Geova distruggerà questo sistema di cose e la simbolica tavola alla quale si sono cibate le nazioni
del mondo. Geova annienterà anche l’intera organizzazione invisibile di Satana il Diavolo con le sue orde
demoniche. Coloro che avranno continuato a cibarsi spiritualmente alla tavola di Satana, alla tavola dei
demoni, saranno costretti a prendere parte a un pasto letterale, no, non nel ruolo di commensali, ma in
quello di portata principale, a loro distruzione! — Vedi Ezechiele 39:4; Rivelazione 19:17, 18.
17 La tavola di Geova sarà l’unica a rimanere. Quelli che si cibano con gratitudine a questa tavola
sopravvivranno e avranno il privilegio di continuare a mangiarvi per sempre. Non saranno mai più
minacciati da alcun genere di penuria alimentare. (Salmo 67:6; 72:16) In perfetta salute serviranno Geova
Dio nel Paradiso! Finalmente si adempiranno in modo splendido le elettrizzanti parole di Rivelazione
21:4: “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e la morte non ci sarà più, né ci sarà più cordoglio né
grido né dolore. Le cose precedenti sono passate”. L’opposizione sarà una cosa del passato, e la
sovranità universale di Geova Dio trionferà per sempre incontrastata, mentre il suo favore si riverserà
copioso sull’umanità redenta che vivrà sulla terra paradisiaca. Per ottenere questa ricompensa,
prendiamo tutti la determinazione di partecipare esclusivamente alla tavola di Geova, che è imbandita
con cibo spirituale della migliore qualità!
[Foto a pagina 10]
La tavola di Geova è imbandita con cibo spirituale della migliore qualità

Ioanan (n. 5) — Tema: Seguite il consiglio di Geova PROVERBI 19:21

it-2 34 Ioanan
IOANAN
(Iòanan) [forma abbreviata di Ieoanan, che significa “Geova ha mostrato favore; Geova è stato benigno”].
5. Uno dei capi delle forze militari che rimasero in Giuda dopo la grande deportazione in Babilonia
nell’estate del 607 a.E.V. Questo figlio di Carea appoggiò prontamente la nomina di Ghedalia e, venuto a
conoscenza del complotto di Ismaele per assassinare il governatore, chiese invano a Ghedalia il
permesso di uccidere di nascosto Ismaele. (Ger 40:7, 8, 13-16) Ghedalia fu assassinato, Ioanan e i suoi
soldati mossero contro Ismaele per vendicarlo e liberarono alcuni prigionieri; l’assassino però riuscì a
fuggire nel paese di Ammon. (Ger 41:11-16) Temendo rappresaglie da parte dei babilonesi, Ioanan e gli
altri chiesero al profeta Geremia cosa fosse meglio fare, ma, invece di seguire il consiglio di Geova di
rimanere nel paese, fuggirono in Egitto, portando con sé Geremia. — Ger 42:1–43:7; 2Re 25:23-26.

w80 15/8 15-16 Dove andare dopo la distruzione della religione organizzata?
L’ASSASSINO COLPISCE!
10 Che miserevole condizione religiosa si presentava alla vista di quei “poveri del paese” lasciati rimanere
nel territorio di Giuda! (Ger. 40:7, Diodati [Di]) Non c’era più il tempio di Gerusalemme verso il quale
rivolgere le preghiere a Geova! Ad eccezione di Geremia, non c’era più alcun sacerdote, alcun levita!
Nessun altare su cui offrire sacrifici! Sì, nessuna “arca del patto” sormontata dalle due figure angeliche,
verso la quale il sommo sacerdote potesse spruzzare il sangue dei sacrifici nel Giorno di Espiazione, il 10
tishri. Era sparita finendo in un luogo tuttora sconosciuto. — Osea 3:4.
11 A questo punto entra in scena uno scellerato! Si tratta di Ismaele figlio di Netania. Probabilmente il re
degli ammoniti, Baalis, presso il quale Ismaele si era rifugiato per non cadere in mano ai babilonesi,
ritenne che Ismaele fosse la persona adatta da assoldare per assassinare Ghedalia, governatore della
provincia di Giuda nominato da Nabucodonosor. Perché la persona adatta? Perché Ismaele era “della
progenie reale”. Perciò Ismaele, tramite il nonno Elisama, era imparentato con la casa reale ed era uno
degli “uomini principali del re”. (Ger. 41:1) Come parente del deposto re Sedechia, egli poteva perciò
essersi risentito del fatto che Ghedalia fosse stato nominato governatore pur non essendo “della progenie
reale”. Perciò il re ammonita Baalis, che si era rallegrato della distruzione di Gerusalemme, si servì di
Ismaele come di una pedina per togliere di mezzo Ghedalia. — Sal. 83:7, 8; Ger. 40:14.
12 Benché Ioanan figlio di Carea lo avesse avvertito, Ghedalia ospitò Ismaele e dieci dei suoi uomini a un
pranzo nella nuova città governativa di Mizpa, alcuni chilometri a nord delle rovine di Gerusalemme.
Nonostante fossero presenti alcuni soldati babilonesi, Ismaele e la sua banda colsero di sorpresa tutti i
commensali e quelli che si trovavano nelle vicinanze e li uccisero tutti a tradimento. (Ger. 41:2, 3) Altri
ancora caddero vittime di Ismaele e della sua perfida schiera. Questo avvenne nel 7° mese lunare, tish ri,
il mese che era normalmente caratterizzato dalla festa delle capanne per sette giorni. Gli abitanti di Mizpa
si videro costretti a seguire l’usurpatore come prigionieri. Ma quando sopraggiunse Ioanan figlio di Carea
e si oppose a Ismaele, allora Ismaele e otto dei suoi uomini fuggirono nel paese di Ammon, non ancora
soggiogato dal re babilonese Nabucodonosor. — Ger. 41:10-15; 49:1-5.
13 A causa di ciò che era accaduto al governo provvisorio istituito dai babilonesi, Ioanan e il popolo
pensarono di avere buone ragioni per temere la nuova potenza mondiale babilonese, che Geova Dio
stava impiegando come esecutrice dei suoi giudizi in Medio Oriente. Dove avrebbero dovuto andare ora?
Ioanan e i suoi subalterni interpellarono formalmente Geremia, che aveva così accuratamente
profetizzato la rovina di Gerusalemme. Gli promisero che, sia che il messaggio di Geova tramite Geremia
fosse stato di loro gradimento o no, lo avrebbero seguito. Dieci giorni dopo che avevano consultato
Geremia, questi ricevette il messaggio da Geova. Non avrebbero dovuto cedere al timore ma rimanere
nel paese sottomessi ai babilonesi. Se invece per mancanza di fede si fossero trasferiti in Egitto,
sarebbero stati raggiunti dalla vittoriosa spada del re di Babilonia e dalla carestia e dalla pestilenza. Salvo
un piccolo rimanente, sarebbero periti nel condannato paese d’Egitto. Non sarebbero tornati in pace nella
provincia di Giuda dopo il rovesciamento dell’impero babilonese. Ioanan e i suoi seguaci prestarono forse
ascolto a questo messaggio divino? Niente affatto! Lo definirono una falsità. Dissero che Geremia era un
bugiardo. — Ger. 42:1–43:3.
14 Ma chi era il bugiardo se non ciascuno di loro, dal momento che avevano fatto voto di ubbidire al
messaggio trasmesso loro da Geremia anche se non fosse stato di loro gradimento? Erano già in viaggio
verso sud, diretti in Egitto, e ora erano decisi a continuare ad andare avanti fino al paese del Nilo. Non
volevano sottomettersi al dominio della Terza Potenza Mondiale, l’impero babilonese. Tempo addietro
l’Egitto era stato loro alleato contro l’espansionismo della potenza mondiale di Babilonia. Ora che il paese
di Giuda si trovava sotto la dominazione babilonese, erano decisi a non lasciare nessuno nel paese, onde
non si sottomettesse ai babilonesi. I sostenitori della necessità di sottomettersi a Babilonia, cioè Geremia
e il suo segretario Baruc, non furono lasciati rimanere. Questi servitori di Geova furono trascinati insieme
agli altri. Senza farlo apposta, ma proprio verso il tempo in cui il paese di Giuda avrebbe dovuto celebrare
con allegrezza la festa della raccolta o delle capanne dal 15 al 21 tishri del 607 a.E.V., quei ribelli contro
la volontà di Geova lasciarono il paese nella condizione da lui predetta, desolato, senza uomo né animale
domestico. — Ger. 43:4-7.
15 È impossibile opporsi con successo alla volontà dell’Iddio Onnipotente. È impossibile che la sua parola
profetica si mostri inesatta. Con l’abbandono del paese di Giuda da parte dei giudei ribelli, iniziarono i
predetti 70 anni di desolazione del paese senza residente israelita o animale domestico. Allora
cominciarono anche i 2.520 anni dei simbolici “sette tempi”, circa i quali il re Nabucodonosor ebbe un
sogno da Geova, sogno che venne interpretato dal profeta Daniele. (Dan. 4:13-27; Luca 21:24) Non fu
quindi un caso che nel 1914 E.V. scoppiasse in un mondo pacifico la prima guerra mondiale, per
contrassegnare la fine di quei “sette tempi” nel mese lunare di tishri. C’è perciò un nesso fra gli
avvenimenti del tempo di Geremia e quelli dei nostri giorni. Il significato di quegli avvenimenti ci interessa
da vicino!
16 Dopo il crollo, avvenuto nel 607 a.E.V., della religione organizzata a Gerusalemme dai giudei violatori
della Legge, quei giudei che fuggirono in Egitto riuscirono forse ad evitare ciò che temevano? Scelsero la
via migliore, la via giusta? Difficilmente, visto che divennero un terrificante esempio di ciò che accade alle
persone religiose che rifiutano di ubbidire alla Parola di Geova. Geremia, sebbene costretto ad abitare in
Egitto, non smise di profetizzare. Lo spirito di Geova continuò a spingere Geremia a profetizzare proprio
agli increduli profughi giudei e contro il paese in cui avevano scelto di risiedere. I suoi scritti ispirati sono
giunti fino ai giorni critici in cui viviamo. Servono di monito alle moderne controparti di quei giudei ribelli
del tempo di Geremia. Tenendo conto di questo, cosa c’è da aspettarsi nell’immediato futuro?
Ioas (re di Giuda) — Tema: Rispettate tutti i fedeli servitori di Geova MATTEO 26:52

it-2 34-5 Ioas


IOAS
(Iòas) [ebr. Yehoh´àsh].
1. Re di Giuda per 40 anni, dall’898 all’859 a.E.V. Era il figlio minore di Acazia re di Giuda; sua madre era
Sibia di Beer-Seba. (2Re 12:1; 1Cr 3:11) Nel testo masoretico il nome ricorre spesso nella forma
abbreviata Yoh´àsh. — Cfr. NM, ntt. a 2Re 12:19; 1Cr 3:11; 2Cr 24:1, 2.
La morte di Acazia diede alla malvagia Atalia, nonna di Ioas, un pretesto per proclamarsi regina. Ma per
impedire che qualcuno in futuro le rimproverasse di aver usurpato il trono, essa fece uccidere tutti i figli di
Acazia. Solo il piccolo Ioas, che allora non aveva neanche un anno, sfuggì al massacro perché la zia
Ieoseba, moglie del sommo sacerdote Ieoiada, prese il piccino e la sua nutrice e li tenne nascosti nel
tempio per sei anni. — 2Re 11:1-3; 2Cr 22:10-12.
Il bambino aveva sette anni quando Ieoiada si confidò con cinque capi principali, ai quali mostrò per la
prima volta il legittimo erede al trono. Poi con armi e scudi presi dal tempio armò 500 uomini al comando
di quei capi e ordinò loro di fare la guardia intorno a Ioas durante la cerimonia di incoronazione nel cortile
del tempio. Chiunque avesse cercato di interferire avrebbe dovuto essere ucciso. (2Re 11:4-12, 21; 2Cr
23:1-11) Udite le grida del popolo Atalia accorse gridando: “Cospirazione! Cospirazione!” Fattala
prontamente uscire, la misero a morte all’ingresso della porta dei cavalli. Ieoiada stipulò quindi un patto di
fedeltà fra Geova, il re appena insediato e il popolo, dopo di che abbatterono la casa di Baal, ne
distrussero gli altari e le immagini e uccisero Mattan, il sacerdote di Baal. — 2Re 11:13-20; 2Cr 23:12-21.
Da quel momento, finché visse il sommo sacerdote Ieoiada che fece da padre e consigliere a Ioas, il
giovane monarca prosperò. Già sposato a 21 anni, ebbe due mogli, una delle quali si chiamava
Ieoaddan, ed esse gli diedero figli e figlie. In tal modo fu nuovamente rafforzata la stirpe davidica che
doveva portare al Messia e che aveva rischiato di estinguersi. — 2Re 12:1-3; 2Cr 24:1-3; 25:1.
La casa di Geova aveva estremo bisogno di essere riparata, non solo a causa del tempo (era stata
costruita più di 150 anni prima), ma anche a motivo dell’incuria e dei saccheggi avvenuti durante il regno
di Atalia. Perciò Ioas esortò i leviti ad andare di città in città in tutto Giuda per raccogliere il denaro per i
restauri, ma i leviti non si impegnarono con tutto il cuore, e i lavori non procedevano. (2Re 12:4-8; 2Cr
24:4-7) Col tempo furono modificate le disposizioni per la raccolta e per l’amministrazione dei fondi. La
reazione del popolo fu positiva e i lavori furono portati a termine. — 2Re 12:9-16; 2Cr 24:8-14.
Dopo la morte del fedele sommo sacerdote Ieoiada all’età di 130 anni, i principi di Giuda un po’ alla volta
allontanarono il re Ioas e il popolo da Geova, inducendoli ad adorare idoli e “pali sacri” di natura fallica. E
quando Geova suscitò profeti per ammonirli, essi rifiutarono di prestare ascolto. (2Cr 24:15-19) Ioas
arrivò al punto di uccidere Zaccaria, figlio di Ieoiada, perché per mezzo suo Dio gli aveva chiesto in tono
di rimprovero: “Perché trasgredite i comandamenti di Geova?” In punto di morte Zaccaria disse: “Geova
lo veda e ne chieda conto”. — 2Cr 24:20-22.
Il meritato castigo non tardò. Ora che i giudei non avevano più la protezione di Geova, un piccolo
contingente di siri guidati da Azael riuscì a invadere il territorio di Giuda, costringendo Ioas a consegnare
l’oro e i tesori del santuario, nonché i suoi possedimenti, lasciandolo povero e infermo. (2Re 12:17, 18;
2Cr 24:23-25) Non molto tempo dopo due suoi servitori cospirarono contro di lui e lo misero a morte
all’età relativamente giovane di 47 anni. Ioas fu sepolto con i suoi antenati nella Città di Davide; gli
succedette il figlio Amazia. — 2Re 12:19-21; 2Cr 24:25-27.

w80 15/8 30-1 Un re che si mostrò ingrato


Un re che si mostrò ingrato
IOAS era un bimbo indifeso quando sua nonna Atalia cercò di impossessarsi del trono del regno di
Giuda. Ella non provava alcun affetto per lui. Questa donna ambiziosa desiderava uccidere tutti i nipoti,
che costituivano un ostacolo alla sua smania di diventare regina. Se non fosse stato per il pronto
intervento di Ieosabeat, moglie del sommo sacerdote Ieoiada, Ioas sarebbe stato assassinato insieme a
tutti gli altri maschi della progenie reale.
Ieosabeat sottrasse il bambino dal gruppo dei ragazzi che dovevano essere messi a morte. Per sei anni
lei e il marito tennero Ioas nascosto entro i recinti del tempio. Per tutto questo tempo Atalia governò come
regina. Poi, nel settimo anno, Ieoiada unse come re questo legittimo erede al trono e fece mettere a
morte l’usurpatrice Atalia. Ioas aveva davvero buone ragioni per essere profondamente grato ai suoi zii.
Avevano contribuito a salvargli la vita e a preparargli la via al trono. — II Cron. 22:10-12; 23:11-15.
REGNA BENE SOTTO LA GUIDA DI IEOIADA
Sotto la guida di Ieoiada il regno del giovane prosperò. Una delle maggiori opere intraprese durante il suo
regno furono i restauri del tempio di Geova. A quel tempo la costruzione aveva più di 150 anni ed era
caduta in uno stato di grande abbandono durante il governo del marito di Atalia, Ieoram, e di suo figlio
Acazia, come pure durante il regno di lei. La sua malvagità aveva evidentemente influenzato a tal punto i
suoi figli che essi irruppero nel tempio, senza dubbio per saccheggiarlo. — II Cron. 24:7.
Tenendo conto delle condizioni in cui si trovava il tempio, ci voleva molto denaro per finanziare i lavori di
restauro. Dapprima i tentativi di raccolta dei fondi non ebbero successo. I leviti a cui era stato affidato
l’incarico non vi si impegnavano con tutto il cuore. Ma quando fu fatta una modifica nel sistema di raccolta
e di amministrazione dei fondi il popolo cooperò e l’opera andò avanti. — II Re 12:4-6; II Cron. 24:5, 6, 8-
14.
INGRATITUDINE
Dopo la morte di Ieoiada, Ioas non rimase fedele a Geova Dio. Si lasciò influenzare da principi idolatri.
Come risultato, il culto di Baal, che era stato soppresso con l’aiuto di Ieoiada, riprese piede. Geova
continuò a mandare profeti per richiamare il popolo al dovere, incoraggiandolo a pentirsi. Ma né il re né i
principi prestarono alcuna attenzione. — II Cron. 24:17-19.
Zaccaria, il figlio di Ieoiada, fu ispirato da Dio ad annunciare: “Il vero Dio ha detto questo: ‘Perché
trasgredite i comandamenti di Geova, così che non potete avere successo? Perché avete lasciato Geova,
egli, a sua volta, lascerà voi’”. — II Cron. 24:20.
Ioas reagì positivamente alla parola di Geova annunciatagli dal cugino? Al contrario, non tenne nemmeno
conto della benignità ricevuta da Ieoiada, il padre di suo cugino. Ioas diede ordine che Zaccaria fosse
lapidato nel cortile del tempio. In punto di morte Zaccaria gridò: ‘Geova lo veda e ne chieda conto’. — II
Cron. 24:21, 22.
Secoli dopo, Gesù Cristo si riferì evidentemente a quel fatto quando disse: “La sapienza di Dio ha anche
detto: ‘Manderò loro profeti e apostoli, e ne uccideranno e perseguiteranno alcuni, onde il sangue versato
da tutti i profeti dalla fondazione del mondo sia ridomandato a questa generazione, dal sangue di Abele al
sangue di Zaccaria, ucciso fra l’altare e la casa’”. — Luca 11:49-51.
La resa dei conti raggiunse Ioas come in seguito raggiunse l’infedele generazione degli ebrei del I secolo
E.V. Geova Dio ritrasse la sua benedizione e la sua protezione dal re ingrato. Una piccola forza militare
siriana al comando di Azael invase vittoriosamente Giuda, costringendo Ioas a consegnare i tesori del
santuario. Quando l’esercito siro si ritirò, il re era un uomo malato e finito. Infine due dei suoi stessi
servitori lo assassinarono. — II Re 12:17-21; II Cron. 24:23-27.
Che vita diversa avrebbe potuto fare Ioas se fosse rimasto un riconoscente servitore di Geova e avesse
continuato a godere del favore e della protezione divina! La vita può essere diversa anche per noi se
conserviamo l’apprezzamento per le giuste esigenze di Dio. Uno spirito ingrato non può che recare
rovina, come nel caso di Ioas. Cerchiamo quindi di mantenere vivo il nostro apprezzamento per la guida
divina.

w91 1/2 31 "Il diadema e la Testimonianza"


“Il diadema e la Testimonianza”
“QUINDI [Ieoiada il sacerdote] fece uscire il figlio del re e mise su di lui il diadema e la Testimonianza; e
così lo fecero re e lo unsero”. (2 Re 11:12) Così il libro dei Re descrive l’incoronamento del re Ioas. Avete
notato che oltre al “diadema”, o copricapo reale, Ieoiada mise sul giovane re anche “la Testimonianza”?
Che cos’era la Testimonianza? E perché era inclusa in questa cerimonia di incoronazione?
La parola ebraica qui tradotta “Testimonianza” di solito si riferisce ai Dieci Comandamenti o alla Legge di
Dio in generale. (Esodo 31:18; Salmo 78:5, CEI) In armonia con ciò, il racconto parallelo di 2 Cronache
23:11 dice, secondo la Jerusalem Bible (1966): “Quindi Ieoiada fece uscire il figlio del re, lo incoronò e
impose la Legge su di lui”. Tuttavia, in 2 Re 11:12 questa traduzione sostituisce “Testimonianza” con la
parola “braccialetti”, anche se in entrambi i versetti ricorre la stessa parola ebraica. Perché?
Un famoso commentario biblico tedesco, Herders Bibelkommentar, spiega che alcuni traduttori non
riescono a concepire che il re portasse la Legge sulla testa o sul braccio. Visto che 2 Samuele 1:10,
parlando del re Saul, menziona un braccialetto insieme al diadema che indossava, essi ritengono che in
origine il testo di 2 Re 11:12 dovesse leggere “il diadema e i braccialetti”. Ma questa è una pura illazione.
Sostituire “Testimonianza” con “braccialetti” significa operare un radicale cambiamento testuale.
Pertanto, la New Jerusalem Bible (1985) torna a parlare della Legge, o del patto della Legge, traducendo
la frase: “E gli diede una copia del patto”. Ma forse che Ieoiada diede a Ioas “la Testimonianza”? È vero
che la parola ebraica tradotta “mettere” si può tradurre anche “dare”. Ma sia nel libro dei Re che in quello
di Cronache, essa ricorre solo una volta e si riferisce sia al diadema che alla Testimonianza. Oltre a ciò, è
seguita immediatamente dalla parola ebraica “sopra”. Perciò, la traduzione corretta dev’essere “mettere
su”. Tanto il diadema che la Testimonianza furono ‘messi sul’ giovane re Ioas, come indica la Traduzione
del Nuovo Mondo.
Dunque perché, e in che modo, il sommo sacerdote “mise” la Testimonianza sul giovane re? Notate
questo commento di uno studioso tedesco: “La Legge, un libro in cui erano riportati i decreti mosaici.
Esso veniva simbolicamente tenuto sopra la testa del re dopo che egli era stato adornato col diadema”.
(Otto Thenius, Die Bücher der Könige) In maniera analoga, un altro studioso osserva: “L’imposizione
della Legge [sopra il re] aveva senz’altro un significato simbolico, [indicando] che il re aveva l’obbligo di
governare in conformità ad essa”. — Ernst Bertheau, Die Bücher der Chronik.
Dio comandò che quando il re si insediava sul trono doveva scrivere per sé una copia della Legge,
studiarla e metterla in pratica per tutta la vita. (Deuteronomio 17:18-20) Mettere “la Testimonianza” sul
nuovo re poteva essere un piccolo gesto simbolico che illustrava che, anche se ora era re, non era al di
sopra della Legge di Geova. Purtroppo, dopo la morte del sommo sacerdote Ieoiada Ioas dimenticò
quest’importantissima lezione e un po’ alla volta abbandonò l’adorazione di Geova, e infine morì
assassinato. — 2 Cronache 24:17-25.
W59 P.402-403
Ioas (re di Israele) — Tema: Geova non benedice chi agisce con scarsa convinzione
PROVERBI 11:25

it-2 35 Ioas
IOAS
(Iòas) [ebr. Yehoh´àsh].
2. Re di Israele, figlio di Ioacaz e nipote di Ieu. Nel testo masoretico il suo nome compare anche nella
forma abbreviata Yoh´àsh (reso “Joas” in Os 1:1 e Am 1:1). Questo Ioas (figlio di Ioacaz) regnò per 16
anni, verso la metà del IX secolo a.E.V. Nei primi anni del suo governo sul regno settentrionale di Israele,
Ioas figlio di Acazia era re del regno meridionale di Giuda. — 2Re 13:10.
Per lo più Ioas fece ciò che era male agli occhi di Geova e permise che l’adorazione dei vitelli
continuasse in tutto il paese. Tuttavia, quando il profeta Eliseo si ammalò e stava per morire, Ioas andò a
trovarlo e piangendo disse: “Padre mio, padre mio, carro da guerra d’Israele e suoi cavalieri!” (2Re 13:11,
14) In risposta alla richiesta del profeta, Ioas tirò una freccia dalla finestra verso la Siria, e poi colpì la
terra con le sue frecce. Ma la colpì solo tre volte. Eliseo si indignò per questo perché, disse, se avesse
continuato a colpire la terra cinque o sei volte Ioas avrebbe riportato una completa vittoria sui siri; ma,
dichiarò il profeta, così avrebbe avuto solo tre vittorie parziali. (2Re 13:15-19) Nelle tre campagne contro i
siri Ioas ebbe un certo successo e riconquistò alcune città del regno settentrionale d’Israele che Azael
padre di Ben-Adad aveva conquistato. — 2Re 13:24, 25.
Centomila uomini dell’esercito di Ioas furono assoldati dal re di Giuda per combattere gli edomiti.
Tuttavia, dietro consiglio di un “uomo del vero Dio” furono rimandati a casa e, benché fossero stati pagati
in anticipo cento talenti d’argento (1.026.000.000 di lire), si adirarono, probabilmente perché non
avrebbero avuto la sperata parte di bottino. Perciò dopo essere tornati a N saccheggiarono alcune città
del regno meridionale, da Samaria (forse la base delle loro operazioni) fino a Bet-Oron. — 2Cr 25:6-10,
13.
Probabilmente per vendicarsi di questo il re di Giuda incitò Ioas a combattere. Nella battaglia che seguì,
Amazia re di Giuda fu catturato a Bet-Semes, dopo di che le truppe di Ioas aprirono una breccia nelle
mura di Gerusalemme, presero l’oro e l’argento del tempio e della casa del re e portarono ostaggi a
Samaria. (2Re 14:8-14; 2Cr 25:17-24) Infine Ioas morì e fu sepolto a Samaria; gli succedette il figlio
Geroboamo II. — 2Re 13:12, 13; 14:15, 16.

w97 15/9 19-20 Chi sopravvivrà al "giorno di Geova"?


Serviamo con lo zelo di Eliseo
16 Finché “il giorno di Geova” non porrà fine all’intero malvagio sistema di cose di Satana, i servitori di Dio
devono essere coraggiosi e zelanti come Eliseo. Oltre all’attività che svolse quale servitore di Elia, Eliseo
prestò servizio da solo come profeta di Geova per oltre 50 anni! E rimase zelante sino alla fine della sua
lunga vita. Poco prima di morire ricevette la visita del re Ioas, nipote di Ieu. Eliseo gli disse di tirare una
freccia dalla finestra. La freccia raggiunse il bersaglio ed Eliseo esclamò: “Freccia di salvezza di Geova,
sì, freccia di salvezza contro la Siria! E certamente abbatterai la Siria ad Afec fino al punto di finirla”.
Dietro richiesta di Eliseo, Ioas tirò delle frecce a terra. Ma lo fece senza zelo, colpendola solo tre volte.
Allora Eliseo disse che allo stesso modo Ioas avrebbe riportato solo tre vittorie sulla Siria, come infatti
accadde. (2 Re 13:14-19, 25) Il re Ioas non abbatté la Siria completamente, “fino al punto di finirla”.
17 Con uno zelo simile a quello di Eliseo, l’unto rimanente prosegue invece l’offensiva contro la falsa
adorazione. I suoi compagni con la speranza terrena fanno altrettanto. Inoltre tutti quelli che sperano di
sopravvivere al “giorno di Geova” fanno bene a ricordare le parole dello zelante Eliseo circa il colpire la
terra. Prendiamo le frecce della verità e colpiamo con zelo, ripetutamente, finché Geova non dica che la
nostra opera con esse è stata completata.

W69 P.44-46

Iochebed — Tema: Fate del vostro meglio e confidate in Geova PROVERBI 3:5, 6

it-2 36 Iochebed
IOCHEBED
(Iòchebed) [forse, Geova è gloria].
Figlia di Levi, moglie di Amram della stessa tribù, e madre di Miriam, Aaronne e Mosè. (Eso 6:20; Nu
26:59) Iochebed era una donna di fede; confidava in Geova suo Dio. Sfidando il decreto del faraone si
rifiutò di uccidere il piccino, che fu poi chiamato Mosè, e tre mesi dopo, quando non poté più tenerlo
nascosto in casa, lo depose in un’arca di papiro che mise fra le canne lungo la riva del Nilo. La figlia del
faraone trovò il piccino e lo volle per sé, ma in seguito fu chiesto proprio alla madre di Mosè di allattarlo.
Mentre il bambino cresceva, Iochebed e il marito furono molto diligenti nell’insegnare ai figli i princìpi della
pura adorazione, come fu evidente in seguito nella loro vita. — Eso 2:1-10.
Secondo il testo masoretico, Iochebed era sorella di Cheat padre di Amram; in tal caso Amram avrebbe
sposato una zia, cosa a quel tempo lecita. (Eso 6:18, 20) Tuttavia alcuni studiosi ritengono che Iochebed
fosse cugina di Amram e non sua zia, come si legge nella Settanta greca; lo stesso concetto si trova
anche nella Pescitta siriaca e nelle tradizioni ebraiche. Nella Settanta Esodo 6:20 dice in parte: “Iochebed
figlia del fratello di suo padre”. (LXX, ed. Bagster) La versione a cura del Pontificio Istituto Biblico, pur
avendo “zia” nel testo, osserva nella nota in calce: “LXX e Volg. però traducono ‘cugina’”. Questa è infatti
l’idea espressa dalle traduzioni della Vulgata latina: “Amram prese per moglie Jochabed, figliuola di suo
zio paterno”. (Ma) “Amram prese in moglie Iocabed sua cugina”. (Ri) “Amram prese in moglie Iocabed,
figlia del suo zio paterno”. (Ti) In una nota all’espressione “sorella di suo padre”, il traduttore biblico
Rotherham scrive: “Prob. solo un componente di sesso femminile della famiglia di suo padre”. Nelle sue
Explanatory Notes (1832) Thomas Scott dice: “Secondo la Settanta e le tradizioni ebraiche, Iochebed era
cugina, non zia, di Amram”. “I migliori critici ritengono che Iochebed fosse cugina di primo grado di
Amram e non sua zia”. (Clarke, Commentary) Quando Numeri 26:59 afferma che Iochebed era “figlia di
Levi”, può anche voler dire “nipote”, come avviene in tanti altri passi delle Scritture dove “figlio” sta per
“nipote”. Nella sua traduzione, Ferrar Fenton osserva che l’espressione ‘nata a Levi’, “propria dell’ebraico,
non significa a Levi personalmente, ma solo discendente della Tribù. Il fattore tempo rende impossibile
che fosse figlia di Levi in persona”.
Se viceversa il testo masoretico di Esodo 6:20 è esatto, Iochebed era davvero zia di Amram e non sua
cugina. Quindi, ammesso che Levi potesse essere padre di Iochebed, la madre doveva essere una
donna più giovane della madre di Cheat. In tal caso Iochebed, benché solo sorellastra di Cheat, sarebbe
stata zia di Amram.

W98 15-1 P.11, 12

Ioiachim — Tema: Nulla può impedire l’adempimento della parola di Dio ISAIA 55:11; EBREI 6:18

it-2 37-8 Ioiachim


IOIACHIM
(Ioiachìm) [forse, Geova innalza].
1. Uno degli ultimi re di Giuda, figlio di Giosia e di Zebida, chiamato in origine Eliachim. (2Re 23:34, 36;
1Cr 3:15) Per circa 11 anni (628-618 a.E.V.) il suo malgoverno fu contrassegnato da ingiustizie,
oppressione e assassinii. (2Cr 36:5; Ger 22:17; 52:2) Durante il suo regno Giuda fu molestato anche da
bande di predoni caldei, siri, moabiti e ammoniti. — 2Re 24:2.
Dopo la morte del re Giosia, la popolazione di Giuda per qualche motivo fece re Ioacaz, fratello minore di
Eliachim. Circa tre mesi dopo il faraone Neco fece prigioniero Ioacaz e mise sul trono il 25enne Eliachim,
a cui diede il nome di Ioiachim. Neco impose inoltre un pesante tributo al regno di Giuda. Il re Ioiachim si
procurò l’argento e l’oro per il tributo tassando i sudditi. (2Re 23:34-36; 2Cr 36:3-5) Nonostante gli oneri
finanziari già imposti alla popolazione, Ioiachim decise di costruire un nuovo, lussuoso palazzo.
Probabilmente per ridurre le spese, trattenne dispoticamente la paga degli operai. Perciò Geova per
mezzo di Geremia annunciò guai a quel sovrano malvagio, predicendo che avrebbe avuto la sepoltura di
un asino. — Ger 22:13-19.
All’inizio del regno di Ioiachim, Geremia aveva annunciato che se il popolo non si fosse pentito,
Gerusalemme e il tempio sarebbero stati distrutti. Per aver detto questo, il profeta fu minacciato di morte.
Tuttavia Aicam, uomo preminente, prese le parti di Geremia e lo protesse. In precedenza una simile
profezia da parte di Urija aveva fatto adirare Ioiachim al punto che aveva deciso di ucciderlo. Urija,
spaventato, fuggì in Egitto, ma non scampò all’ira del re. Ioiachim mandò a prendere Urija e poi lo passò
a fil di spada. — Ger 26:1-24.
Nel quarto anno del regno di Ioiachim (625 a.E.V.) Nabucodonosor sconfisse il faraone Neco in una
battaglia per il dominio della Siria e della Palestina. Lo scontro ebbe luogo a Carchemis presso l’Eufrate,
più di 600 km a N di Gerusalemme. (Ger 46:1, 2) Quell’anno Geremia cominciò a dettare al suo
segretario Baruc le parole rivolte da Geova contro Israele, Giuda e tutte le nazioni, mettendo per iscritto
messaggi pronunciati dal 13° anno del regno di Gios ia (quando Ioiachim aveva circa sei anni) in poi.
Quasi un anno dopo, nel nono mese lunare (chislev, novembre-dicembre), il rotolo che conteneva il
messaggio dettato venne letto al re Ioiachim. Non appena Ieudi ne ebbe letto tre o quattro colonne, quella
parte fu tagliata di netto e gettata nel fuoco che ardeva nel braciere della residenza invernale del re. Così
un pezzo alla volta l’intero rotolo venne dato alle fiamme. Ioiachim ignorò le parole di tre dei suoi principi
che lo supplicavano di non bruciare il rotolo. Era particolarmente contrariato dalle parole profetiche che
additavano la desolazione di Giuda per mano del re di Babilonia. Questo fa pensare che Nabucodonosor
non avesse ancora mosso contro Gerusalemme per rendere Ioiachim suo vassallo. — Ger 36:1-4, 21-29.
In 2 Re 24:1 si legge che Nabucodonosor fece pressione sul re di Giuda “e Ioiachim divenne dunque suo
servitore [o vassallo] per tre anni. Comunque, [Ioiachim] si rivoltò e si ribellò contro di lui
[Nabucodonosor]”. È a questo terzo anno di Ioiachim come re vassallo di Babilonia che evidentemente
Daniele si riferisce in Daniele 1:1. Non poteva trattarsi del terzo degli 11 anni di regno di Ioiachim su
Giuda, poiché in quel tempo Ioiachim non era vassallo di Babilonia, ma di Neco, faraone d’Egitto. Solo
nel quarto anno del regno di Ioiachim su Giuda Nabucodonosor infranse l’egemonia egiziana sulla Siria e
sulla Palestina con la vittoria di Carchemis (625 a.E.V. [a quanto pare dopo il mese di nisan]). (Ger 46:2)
Poiché la rivolta di Ioiachim contro Babilonia provocò la sua caduta dopo circa 11 anni di regno, i tre anni
di vassallaggio a Babilonia devono aver avuto inizio verso la fine del suo ottavo anno di regno, cioè agli
inizi del 620 a.E.V.
Il libro di Daniele (1:1, 2) dichiara che Nabucodonosor mosse contro Gerusalemme e la cinse d’assedio,
e che Ioiachim, insieme a parte degli utensili del tempio, fu dato nelle mani del re di Babilonia. Tuttavia 2
Re 24:10-15 descrive l’assedio di Gerusalemme da parte dei babilonesi e spiega che colui che infine
capitolò e si arrese ai babilonesi fu il figlio di Ioiachim, Ioiachin, il cui regno durò solo tre mesi e dieci
giorni. Questo fa ritenere che Ioiachim sia morto durante l’assedio della città, forse all’inizio. La profezia di
Geova per mezzo di Geremia (22:18, 19; 36:30) indicava che Ioiachim non avrebbe avuto una degna
sepoltura: il suo cadavere sarebbe rimasto insepolto fuori delle mura di Gerusalemme, esposto al calore
del sole di giorno e al gelo di notte. Non è rivelato in che modo Ioiachim sia stato ‘dato in mano a
Nabucodonosor’. (Da 1:2) Forse va inteso nel senso che egli morì durante l’assedio e suo figlio andò in
esilio, così che la discendenza di Ioiachim perse il regno per mano di Nabucodonosor. Non è possibile
confermare la tradizione ebraica (menzionata da Giuseppe Flavio) secondo la quale Nabucodonosor
uccise Ioiachim e ordinò che il suo cadavere fosse gettato fuori delle mura di Gerusalemme. (Antichità
giudaiche, X, 97 [vi, 3]) Comunque sia avvenuta la morte di Ioiachim, sembra che i ceppi di rame che
Nabucodonosor aveva portato con sé per legare Ioiachim non siano stati usati secondo il previsto. — 2Cr
36:6.
Dopo l’assedio di Gerusalemme durante il “terzo anno” di Ioiachim (come re vassallo), Daniele e altri
abitanti di Giuda, fra cui nobili e componenti della famiglia reale, furono portati in esilio a Babilonia.
Poiché non si ha notizia di un esilio precedente in Babilonia, ciò dovrebbe essere avvenuto durante il
breve regno di Ioiachin, successore di Ioiachim. — 2Re 24:12-16; Ger 52:28.
Dopo la resa di Ioiachin figlio di Ioiachim, Nabucodonosor elevò al trono di Giuda Sedechia, zio di
Ioiachin. (2Cr 36:9, 10) Si adempì così la profezia di Geremia secondo la quale nessun discendente di
Ioiachim sarebbe salito sul trono di Davide. (Ger 36:30) Suo figlio Ioiachin regnò per soli tre mesi e dieci
giorni.

w77 1/7 389-90 Geova ama la giustizia


Geova ama la giustizia
L’ALTISSIMO ama la giustizia e la rettitudine. (Sal. 33:5) Eliu, suo servitore, dichiarò: “In quanto
all’Onnipotente non lo abbiamo trovato; egli è esaltato in potenza, e non sminuirà il diritto e l’abbondanza
di giustizia”. — Giob. 37:23.
Avendo la più alta considerazione per la giustizia, Geova Dio non tollera l’oppressione. Gli oppressori non
possono evitare il risultato dell’immutabile legge di Dio: “Qualunque cosa l’uomo semini, questa pure
mieterà”. (Gal. 6:7) A volte Geova ha guidato gli avvenimenti in modo che coloro che praticavano
l’ingiustizia fossero colpiti dalla calamità. Affinché sapessero con certezza che il giudizio proveniva da lui,
l’Altissimo lo annunciava in anticipo mediante i suoi profeti.
Questo avvenne a Eliachim nel settimo secolo a.E.V. Suo padre, il re Giosia, era morto in battaglia nel
tentativo di impedire agli eserciti egiziani al comando del Faraone Neco di attraversare Samaria mentre
andavano a combattere contro il conquistatore babilonese dell’Assiria. Il popolo di Giuda fece allora re
Ioacaz, fratello minore di Eliachim. Circa tre mesi dopo il Faraone Neco portò prigioniero in Egitto Ioacaz
e fece re il venticinquenne Eliachim, cambiando il suo nome in Ioiachim. Inoltre, Neco impose un forte
tributo al regno di Giuda. Ioiachim lo riscosse dai suoi sudditi mediante tassazione. — 2 Re 23:34-36; 2
Cron. 36:1-5.
Invece di avere almeno un po’ di considerazione per il grave fardello sotto cui penavano i suoi sudditi,
Ioiachim progettò di costruire un nuovo, lussuoso palazzo. Indubbiamente per limitare la spesa, trattenne
tirannicamente la paga dei lavoratori. L’azione arbitraria di Ioiachim non passò inosservata a Geova Dio.
Egli mandò il profeta Geremia alla casa del re. Il racconto di ciò si trova in Geremia capitolo 22.
Benché Ioiachim meritasse la punizione, misericordiosamente Geova Dio diede al re l’opportunità di
correggere la situazione. Geremia ebbe istruzione di dire: “Geova ha detto questo: ‘Praticate diritto e
giustizia, e liberate il derubato dalla mano del frodatore; e non maltrattate nessun residente forestiero,
ragazzo senza padre o vedova. Non fate loro violenza. E non spargete in questo luogo sangue innocente.
Poiché se in ogni modo eseguirete questa parola, per certo entreranno per le porte di questa casa anche
i re che siedono per Davide sul suo trono, montati su carri e su cavalli, egli con i suoi servitori e il suo
popolo’”. (Ger. 22:3, 4) Quindi, modificando la sua condotta, Ioiachim avrebbe potuto contribuire alla
continuità del dominio da parte di uomini della casa reale di Davide.
“Ma”, continuava la parola profetica rivolta a Ioiachim, “‘se non ubbidirete a queste parole, in effetti giuro
per me stesso’, è l’espressione di Geova, ‘che questa casa diverrà un semplice luogo devastato’. Poiché
questo è ciò che Geova ha detto riguardo alla casa del re di Giuda: ‘Tu mi sei come Galaad, il capo del
Libano. Di sicuro ti renderò un deserto; in quanto alle città, nessuna sarà abitata’”. — Ger. 22:5, 6.
Tenendo una condotta disubbidiente, Ioiachim avrebbe recato certo la rovina su se stesso e anche sul
suo regno. Dinanzi a Geova Dio, la “casa del re di Giuda”, evidentemente il complesso residenziale, era
“come Galaad, il capo del Libano”. Situato su un’altura, il palazzo aveva una posizione elevata e
splendida. Era come il montuoso Libano, con i suoi superbi cedri. Inoltre, legno di cedro fu usato
estesamente nella costruzione degli edifici regali. (1 Re 7:2-12) Ioiachim stesso impiegò pannelli di cedro
per il suo palazzo. Quindi l’area del palazzo era come una magnifica foresta di edifici di cedro, simile alla
boscosa Galaad e al Libano. Eppure quel meraviglioso palazzo doveva esser ridotto a nulla. Infatti, tutte
le città di Giuda dovevano divenire un deserto desolato. Accadde questo? Subì Ioiachim le conseguenze
delle sue ingiustizie?
Sì, i Caldei vennero contro Gerusalemme. In quanto a Ioiachim, la parola profetica fu: “Sarà sepolto con
la sepoltura di un asino, essendo trascinato e gettato via, fuori delle porte di Gerusalemme”. (Ger. 22:19)
L’antica tradizione (messa per iscritto da Giuseppe Flavio, storico ebreo del primo secolo) dice che
Nabucodonosor, re di Babilonia, uccise Ioiachim e comandò che il suo cadavere fosse gettato fuori delle
mura di Gerusalemme. Che questa tradizione sia corretta o meno, Ioiachim non sopravvisse all’assedio
babilonese. Non ricevette una sepoltura decente. Il suo cadavere fu abbandonato fuori delle porte di
Gerusalemme, esposto al calore del giorno e ai rigori della notte. Suo figlio Ioiachin governò per circa tre
mesi dopo la sua morte; infine capitolò all’assedio e fu egli stesso portato in esilio a Babilonia. — 2 Re
24:11, 12.
In seguito lo zio di Ioiachin, Sedechia, governò da Gerusalemme come vassallo del re babilonese
Nabucodonosor. Infine Sedechia si ribellò, e gli eserciti babilonesi ritornarono a Gerusalemme. (2 Re
24:20; 25:1) Come era stato predetto, Gerusalemme e l’intero paese di Giuda furono desolati. Reperti
archeologici confermano l’adempimento della parola profetica pronunciata da Geremia. W. F. Albright in
The Bible After Twenty Years of Archaeology dice: “Gli scavi e le esplorazioni di superficie in Giuda
hanno dimostrato che le città di Giuda non solo furono completamente distrutte nelle due invasioni dei
Caldei, ma non furono riabitate per generazioni, spesso mai più nella storia”. — Pag. 546.
Quindi la vergognosa serie di ingiustizie si ritorse contro Ioiachim e i suoi sudditi. Furono adempiute le
parole: “O tu che dimori nel Libano [intendendo Gerusalemme, con la sua posizione elevata e gli edifici di
legno di cedro], essendo annidata nei cedri, come per certo gemerai quando ti verranno i dolori, le doglie
come quelle d’una donna che partorisce!” (Ger. 22:23) Da una posizione molto elevata gli abitanti di
Gerusalemme scesero veramente in basso. La loro bella capitale fu distrutta e molti dei superstiti furono
portati in esilio a Babilonia.
Davvero Geova Dio non tollerò le ingiustizie che erano state commesse nel regno di Giuda. Essendo un
Dio di immutabili norme morali, possiamo esser certi che non tollererà all’infinito l’illegalità d’oggi. Infatti la
profezia biblica addita il nostro tempo come gli “ultimi giorni” del mondo empio. (2 Tim. 3:1-5) Dobbiamo
dunque stare attenti a non seguire le pratiche di questo mondo per non essere disapprovati dal punto di
vista di Geova, l’Iddio che ama la giustizia.

w80 15/7 17-22 L'odierna distruzione di Bibbie non ha successo


L’odierna distruzione di Bibbie non ha successo
“Egli lo strappava col coltello del segretario, gettandolo pure nel fuoco che era nel braciere finché tutto il
rotolo finì nel fuoco ch’era nel braciere”. — Ger. 36:23.
CHE qualcuno bruci la Sacra Bibbia o parti d’essa non è una novità. Il primo caso documentato si verificò
più di 2.600 anni fa, ai giorni del terzultimo re della nazione alla quale in origine era stata affidata la
Bibbia.
2 Era inverno. A Gerusalemme il re Ioiachim era seduto accanto a un braciere in cui ardeva un fuoco per
riscaldare la sala del trono. Il racconto spiega come avvenne che una parte essenziale della Sacra Bibbia
fu data alle fiamme. Citiamo direttamente dal racconto:
Or avvenne nel quarto anno di Ioiachim figlio di Giosia, re di Giuda, che questa parola fu da Geova rivolta
a Geremia, dicendo: “Prenditi il rotolo di un libro, e vi devi scrivere tutte le parole che ti ho proferite contro
Israele e contro Giuda e contro tutte le nazioni, dal giorno che ti parlai, dai giorni di Giosia, fino a questo
giorno. Forse quelli della casa di Giuda ascolteranno tutta la calamità che io penso di far loro, acciocché
tornino, ciascuno dalla sua cattiva via, e affinché io effettivamente perdoni il loro errore e il loro peccato”.
(Ger. 36:1-3)
Se leggiamo i precedenti 35 capitoli del libro di Geremia, possiamo capire la sicura impopolarità cui il suo
messaggio scritto sarebbe andato incontro.
3 Il messaggio che oggi corrisponde a quello che Geremia doveva scrivere nel “rotolo di un libro” si rivela
altrettanto impopolare. Comunque, lo scopo del messaggio non è quello di irritare le persone, di
infastidirle, di tormentarle con previsioni calamitose. I cristiani che oggi corrispondono al profeta Geremia
non hanno nessuna intenzione di essere dei seccatori. No, essi svolgono un pubblico servizio avvertendo
tutte le persone dell’imminente catastrofe internazionale. Questo può indurre alcuni a pentirsi e a
convertirsi mentre Geova è ancora favorevolmente disposto. Così facendo potranno essere risparmiati
durante la veniente calamità mondiale. Ai giorni di Geremia, solo 18 anni separavano la nazione di Giuda
dalla distruzione della città santa di Gerusalemme per mano dei babilonesi. Oggi, dopo 60 anni di attività
svolta dalla moderna classe di Geremia, quanto tempo rimane ancora alla cristianità, controparte di
Gerusalemme, prima che la sua calamitosa distruzione dia inizio alla “grande tribolazione” del mondo
intero? — Matt. 24:21, 22.
ANNUNCIATO IL MESSAGGIO DI CONDANNA
4 Ubbidendo, Geremia dettò il messaggio al suo segretario, Baruc figlio di Neria. Il risultante manoscritto
conteneva tutte le parole rivolte da Geova a Geremia dal tredicesimo anno del regno di Giosia in poi,
anno in cui Geova aveva suscitato come profeta il giovane Geremia, futuro sacerdote. Completato il
manoscritto, Geremia si sentì impossibilitato ad andare a Gerusalemme, distante solo 5 chilometri dalla
sua città natale levita di Anatot, per leggere ad alta voce il rotolo nei cortili del tempio. Vi mandò quindi il
suo segretario Baruc, aggiungendo: “Forse la loro richiesta di favore cadrà dinanzi a Geova ed essi
torneranno, ciascuno dalla sua cattiva via, poiché grande è l’ira e il furore che Geova ha proferito contro
questo popolo”. — Ger. 36:4-7.
5 A chi sarebbe piaciuto leggere udibilmente un testo simile in un luogo di pubblico passaggio? Ci volle
coraggio da parte di Baruc. Ma con la forza datagli da Dio, egli lo fece! Dobbiamo tener presente che ci
volle del tempo perché Baruc potesse scrivere tutto ciò che Geremia gli dettava. (Ger. 36:17, 18) Poiché
il manoscritto conteneva l’energico messaggio di Geova contro tutte le nazioni, incluse Israele e Giuda,
un avvenimento pubblico sarebbe stato il tempo adatto per leggere ad alta voce il manoscritto. Un giorno
di digiuno nazionale, per esempio! Allora il tempio di Gerusalemme sarebbe stato gremito da tutti quelli
che digiunavano. Bisognava aspettare l’occasione adatta!
6 Perciò Baruc non diede pubblica lettura al manoscritto nel quarto anno del regno di Ioiachim, durante il
quale Nabucodonosor re di Babilonia sconfisse le forze militari del faraone egiziano Neco e divenne il
nuovo dominatore del mondo. Nabucodonosor era il dominatore gentile che secondo la profezia di
Geremia avrebbe rovesciato Giuda e Gerusalemme, dopo di che il paese sarebbe rimasto desolato
senza uomo o animale domestico per 70 anni. — Ger. 36:6; 25:1-11.
7 Siamo ora nel quinto anno di Ioiachim re di Giuda, che coincide col secondo anno di dominio mondiale
di Nabucodonosor. Il racconto di Geremia 36:9, 10 lo rende certo. Vi si legge:
Or avvenne nel quinto anno [624-623 a.E.V.] di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda, nel nono mese
[chislev, corrispondente a novembre-dicembre], che tutto il popolo di Gerusalemme e tutto il popolo che
dalle città di Giuda era venuto in Gerusalemme proclamarono un digiuno dinanzi a Geova. E Baruc
leggeva ad alta voce dal libro delle parole di Geremia nella casa di Geova, nella stanza da pranzo di
Ghemaria figlio di Safan il copista, nel cortile superiore, all’ingresso della nuova porta della casa di
Geova, agli orecchi di tutto il popolo.
8 I regni dei re di Giuda venivano calcolati dal mese primaverile di abib, o nisan. Il nono mese del loro
anno lunare, mese chiamato poi chislev, cadeva nel periodo invernale. Includeva parte del nostro mese di
dicembre (dal nome latino che significa decimo mese). Dal tempo dei Maccabei si cominciò a tenere il 25
chislev la “festa della dedicazione” del tempio di Gerusalemme, e vien detto che si teneva d’“inverno”.
(Giov. 10:22) Nonostante la temperatura invernale del mese di chislev, Baruc, segretario di Geremia,
eseguì gli ordini del profeta.
9 Le parole di Geremia che Baruc lesse ad alta voce al popolo nel tempio interessavano l’intera nazione.
Perciò i principi di Giuda mandarono a chiamare Baruc perché leggesse loro il messaggio profetico. (Ger.
36:11-15) Se ricordiamo ciò che i precedenti capitoli della profezia di Geremia dicevano riguardo al
condannato regno di Giuda, possiamo capire perché i principi provarono terrore sentendo ciò che Baruc
leggeva. Il loro spirito nazionalistico li fece sentire in obbligo di riferire la cosa al re Ioiachim. Presero il
manoscritto di Baruc, ma, per benignità verso l’autore e il copista, dissero a Baruc di andare a
nascondersi assieme a Geremia. E fu un bene. — Ger. 36:16-20.
BRUCIATA PER LA PRIMA VOLTA UNA PARTE DELLA BIBBIA
10 I principi andarono alla residenza invernale del re Ioiachim per narrargli l’accaduto. Egli voleva mettere
le mani sul rotolo della profezia di Geremia. Perciò mandò un funzionario di corte chiamato Ieudi a
prendere nel tempio il manoscritto che vi era stato lasciato. Cosa avvenne mentre Ieudi, srotolato il
manoscritto, leggeva ad alta voce una colonna dopo l’altra? “Avvenne quindi che appena Ieudi ebbe letto
tre o quattro colonne di pagina, egli [il re Ioiachim] lo strappava col coltello del segretario, gettandolo pure
nel fuoco che era nel braciere finché tutto il rotolo finì nel fuoco ch’era nel braciere. Ed essi non
provarono terrore; né il re e tutti i suoi servitori, che ascoltavano tutte queste parole, si strapparono le
vesti”. — Ger. 36:21-24.
11 Che mancanza di rispetto per l’ispirata parola di Dio! Che differenza fra quest’azione del re Ioiachim e
la condotta di suo padre Giosia! Quando, durante i lavori di restauro del tempio profanato, era stato
ritrovato il rotolo del libro di Deuteronomio, scritto dal profeta Mosè, Giosia se l’era fatto leggere da un
segretario. Prendendone a cuore il messaggio, Giosia si era strappato le vesti. Aveva poi convinto il
popolo a fare uno speciale patto con Geova, di ubbidirgli e praticarne la pura adorazione. (II Cron. 34:14-
33) Quello stesso codice della legge comandava che tutti i futuri re d’Israele scrivessero una copia esatta
della legge, la leggessero regolarmente e la osservassero. (Deut. 17:18-20) C’è qualche motivo di
credere che il re Ioiachim osservasse questo comando? No, egli fu un pessimo esempio!
12 Ci sono oggi persone che assomigliano a Ioiachim? Sì, almeno per quanto riguarda il bruciare copie
delle Sacre Scritture. E proprio nel reame della cristianità! Ricorderete quel sacerdote cattolico che nel
1961, a Ejutla (Oaxaca, Messico), istigò una folla a invadere e saccheggiare un’abitazione dove si
tenevano regolarmente riunioni culturali. La folla si impossessò di tutte le Bibbie che riuscì a trovare per
poi bruciarle nella pubblica piazza. Il giornale locale riferì che lo avevano fatto come “un atto di fede”. Nel
febbraio del 1962 in Portogallo fu emanato un decreto che vietava la diffusione della letteratura dei
testimoni di Geova per posta. Sebbene nessun decreto ufficiale del governo portoghese avesse
dichiarato illegali i testimoni di Geova, grandi quantità della loro letteratura religiosa, Bibbie comprese,
furono sequestrate e bruciate.
13 Nel 1976 in Argentina i testimoni di Geova furono messi al bando, e solo due anni fa, nella loro sede
centrale di Buenos Aires, furono confiscate grandi quantità di letteratura, incluse 250 copie della
Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture in spagnolo. Il tutto fu venduto come carta da macero.
Per di più, alcuni testimoni di Geova, riconosciuti mentre passavano il confine dall’Uruguay in Argentina,
si videro sequestrare le loro Bibbie, che vennero quindi bruciate. Si potrebbero citare tanti altri casi di
Bibbie distrutte o date alle fiamme. Ma tutto ciò suscita una domanda.
14 Cos’è che fa sembrare la Bibbia un pericoloso strumento nelle mani dei testimoni di Geova, al punto
che anche nei paesi cosiddetti cristiani viene ingiustamente confiscata e distrutta? È forse perché i
nazionalisti considerano i testimoni di Geova come il re Ioiachim considerava Geremia e Baruc, cioè dei
sovversivi, pericolosi per la sicurezza dello stato, ostacoli alle misure difensive del paese? Questo è ciò
che i capi religiosi della cristianità vorrebbero far credere ai politici e agli altri funzionari dello stato! Ma il
vero motivo per cui funzionari governativi ed ecclesiastici vogliono porre fine all’attività cristiana dei
testimoni di Geova è che i testimoni di Geova servono lo stesso Dio di Geremia e di Baruc, e traggono
dalle Scritture Ebraiche un messaggio divino simile a quello del profeta Geremia. Quindi, come Geremia,
ubbidiscono al comando di Geova esposto in quelle ispirate Scritture e proclamano il messaggio di Dio
contro il presente sistema di cose malvagio, che include la cristianità e tutti gli elementi del mondo con cui
essa è in intimi rapporti e da cui riceve attivo sostegno. Secondo loro, i testimoni di Geova devono essere
messi a tacere perché smascherano la cristianità!
15 Ci sono stati e ci sono ancora alcuni funzionari governativi subalterni che non sono d’accordo con i loro
superiori su questa indegna persecuzione dei testimoni di Geova. Protestano per un senso di giustizia e
per rispetto verso l’Iddio di cui questi maltrattati cristiani sono testimoni, ma invano! La stessa cosa
accadde nel VII secolo a.E.V., nel caso che stiamo esaminando: “E pure Elnatan e Delaia e Ghemaria
stessi supplicarono il re di non bruciare il rotolo, ma egli non li ascoltò. Inoltre, il re comandò a Ierameel
figlio del re e a Seraia figlio di Azriel e a Selemia figlio di Abdiel di prendere Baruc il segretario e Geremia
il profeta. Ma Geova li tenne nascosti”. — Ger. 36:25, 26.
16 Il re Ioiachim non inviò l’erede al trono, Ioiachin, ma suo “figlio” Ierameel, insieme con altri due
funzionari, per scovare Geremia e il suo segretario. Chiaramente le intenzioni del re erano malvage. Ma
Geova non lasciò che essi scoprissero il luogo in cui si nascondevano i due, a Gerusalemme o nella
vicina Anatot. All’inizio della sua carriera profetica, Geremia aveva ricevuto da Geova questa
assicurazione: “‘Per certo combatteranno contro di te, ma non prevarranno contro di te, poiché “io sono
con te”, è l’espressione di Geova, “per liberarti”’”. — Ger. 1:19.
17 Nel secolo precedente a Geremia, il profeta Isaia aveva scritto: “In quanto alla parola del nostro Dio,
sussisterà a tempo indefinito”. (Isa. 40:8; I Piet. 1:25) Perciò Dio avrebbe fatto in modo che lo scopo per
cui il re Ioiachim aveva bruciato il rotolo di Geremia fallisse. Fece in modo che l’intera profezia di Geremia
giungesse fino a noi, più di 2.500 anni dopo. In che modo? Ce lo spiega Geremia stesso mentre, insieme
a Baruc, è tenuto nascosto da Geova.
18 “La parola di Geova fu ancora rivolta a Geremia dopo che il re aveva bruciato il rotolo delle parole
scritte da Baruc per bocca di Geremia, dicendo: ‘Prenditi di nuovo un rotolo, un altro, e scrivici tutte le
prime parole che erano nel primo rotolo, che Ioiachim re di Giuda ha bruciato. E contro Ioiachim re di
Giuda dovresti dire: “Geova ha detto questo: ‘Tu stesso hai bruciato questo rotolo, dicendo: “Perché vi hai
scritto, dicendo: ‘Il re di Babilonia verrà senza fallo e per certo ridurrà questo paese in rovina e farà
cessare da esso uomo e bestia’?” Perciò questo è ciò che ha detto Geova contro Ioiachim re di Giuda:
“Egli non avrà nessuno che sieda sul trono di Davide, e il suo proprio corpo morto diverrà qualche cosa
gettata al caldo di giorno e al gelo di notte. E per certo chiederò conto a lui e alla sua progenie e ai suoi
servitori del loro errore, e farò venire su di loro e sugli abitanti di Gerusalemme e sugli uomini di Giuda
tutta la calamità che ho pronunciata contro di loro, ed essi non hanno ascoltato”’”’”. — Ger. 36:27-31.
19 Per ubbidire al comando di Dio, il profeta e il suo segretario avrebbero dovuto operare
clandestinamente. Ubbidì Geremia? “Geremia stesso prese un altro rotolo e lo diede quindi a Baruc figlio
di Neria il segretario, che vi scriveva per bocca di Geremia tutte le parole del libro che Ioiachim re di
Giuda aveva bruciato nel fuoco; e vi furono aggiunte molte altre parole simili a quelle”. — Ger. 36:32.
20 Ioiachim fece una brutta morte e non fu sepolto nelle tombe dei re a Gerusalemme, ma fu trattato
come un asino. (Ger. 22:18, 19) Suo figlio Ioiachin (o Conia) regnò a Gerusalemme solo tre mesi e dieci
giorni, dopo di che si arrese ai babilonesi e fu deportato a Babilonia, da cui non fece ritorno. (Ger. 22:24-
30; 37:1) Fino a quando i romani distrussero nel 70 E.V. la Gerusalemme ricostruita, nessun discendente
di Ioiachin, figlio di Ioiachim re di Giuda, salì più sul trono di Gerusalemme. Le profetiche parole di
Geremia scritte nel suo nascondiglio non mancarono di adempiersi!
21 Oggigiorno i testimoni di Geova sono stati costretti ad agire clandestinamente in molti paesi. Cosa
fanno quando le loro Bibbie vengono confiscate e bruciate? Semplicemente ne stampano delle altre o si
procurano altre traduzioni della Bibbia. Continuano a proclamare, se necessario anche clandestinamente,
il messaggio di condanna contro il mondo blasfemo, un messaggio simile a quello proclamato da
Geremia. La distruzione di Bibbie per mettere a tacere gli odierni testimoni di Geova non ha avuto
successo. Non è riuscita a spaventarli perché non distribuissero letteratura biblica e non riuscirà a
impedire alla Parola di Geova di avverarsi con tutto il suo vigore negli infuocati tempi avvenire! Gli
oppositori non fanno che mostrarsi degni di distruzione eterna!
[Figura a pagina 17]
Ioiachim brucia la parola di Dio: un esempio seguito nei tempi moderni

W65 P.182-184

Ioiachin — Tema: La parola di Geova non viene mai meno GIOSUÈ 24:15; 21:45

it-2 38-9 Ioiachin


IOIACHIN
(Ioiachìn) [prob., Geova ha stabilito fermamente].
Figlio di Ioiachim re di Giuda e di Neusta (2Re 24:6, 8; 2Cr 36:8), chiamato anche Ieconia (variante di
Ioiachin) e Conia (forma abbreviata di Ieconia). — Est 2:6; Ger 28:4; 37:1.
Ioiachin diventò re a 18 anni e continuò a fare il male come suo padre. (2Re 24:8, 9; 2Cr 36:9, nt.)
Ioiachim, padre di Ioiachin, si era assoggettato a Nabucodonosor re di Babilonia, ma nel terzo anno di
vassallaggio (618 a.E.V.) si era ribellato. (2Re 24:1) Come risultato Gerusalemme venne assediata. Può
darsi che l’espressione “durante quel tempo” (2Re 24:10) non si riferisca al breve regno di Ioiachin, bensì
all’intero periodo in questione, nel qual caso l’assedio può essere iniziato durante il regno di suo padre
Ioiachim, come sembra indicare Daniele 1:1, 2. A quanto pare Ioiachim morì durante l’assedio e Ioiachin
salì al trono di Giuda. Il suo regno però finì solo tre mesi e dieci giorni dopo, quando egli si arrese a
Nabucodonosor, nel 617 a.E.V. (nel mese di adar secondo una cronaca babilonese). (2Re 24:11, 12; 2Cr
36:9; A. K. Grayson, Assyrian and Babylonian Chronicles, 1975, p. 102) In adempimento della parola
pronunciata da Geova per mezzo di Geremia, Ioiachin fu portato in esilio a Babilonia. (Ger 22:24-27;
24:1; 27:19, 20; 29:1, 2) Furono deportati anche altri appartenenti alla casa reale, funzionari di corte,
artigiani e guerrieri. — 2Re 24:14-16; vedi NABUCODONOSOR.
In 2 Re 24:12-16 si legge che Nabucodonosor portò questi prigionieri in esilio, insieme a “tutti i tesori
della casa di Geova e i tesori della casa del re”. In Daniele 1:1, 2 viene detto invece che solo “parte degli
utensili” vennero portati a Babilonia. La spiegazione può essere che i tesori menzionati in 2 Re fossero in
particolare gli utensili d’oro, a cui si fa specifico riferimento, e che altri utensili non siano stati presi.
Un’altra possibilità è che “alcuni utensili della casa di Geova” siano stati portati a Babilonia quando
Gerusalemme si arrese all’assedio dei babilonesi (avvenuto in seguito alla ribellione di Ioiachim contro
Babilonia), e che altri “oggetti desiderabili della casa di Geova” siano stati portati via qualche tempo dopo,
quando Ioiachin stesso venne trasferito a Babilonia. Questa possibilità è indicata da 2 Cronache 36:6-10.
Dalla narrazione di Cronache sembra che Nabucodonosor, dopo aver conquistato Gerusalemme, se ne
sia andato ma poi abbia mandato a prendere Ioiachin per portarlo “a Babilonia con gli oggetti desiderabili
della casa di Geova”. In modo simile, dieci anni dopo, durante la definitiva conquista e distruzione di
Gerusalemme (607 a.E.V.), Nabucodonosor si ritirò a Ribla “nel paese di Amat”, lasciando che
Nebuzaradan, capo della guardia del corpo, si occupasse dei particolari del dopoconquista. — 2Re 25:8-
21.
A Babilonia Ioiachin ebbe sette figli. (1Cr 3:16-18) In questo modo fu preservata la discendenza reale che
avrebbe portato al Messia. (Mt 1:11, 12) Ma, come aveva indicato la profezia, nessuno dei discendenti di
Ioiachin regnò mai nella Gerusalemme terrena. Perciò fu come se Ioiachin non avesse avuto figli, e
nessun discendente che diventasse re dopo di lui. — Ger 22:28-30.
Nel quinto anno dell’esilio di Ioiachin cominciò l’opera profetica di Ezechiele. (Ez 1:2) Circa 32 anni dopo,
evidentemente nel 580 a.E.V., Ioiachin fu rimesso in libertà da Evil-Merodac (Awil-Marduk), successore di
Nabucodonosor, e ricevette una posizione di favore al di sopra di tutti gli altri re prigionieri. Da allora in
poi mangiò alla tavola di Evil-Merodac e ricevette una razione giornaliera. — 2Re 25:27-30; Ger 52:31-
34.
Sono stati rinvenuti documenti amministrativi babilonesi che elencano le razioni per Ioiachin e per cinque
suoi figli.

w84 15/11 30-1 Domande dai lettori


⌡ Il fatto che la sentenza pronunciata da Geova, riportata in Geremia 22:30, escludesse i
discendenti di Ioiachin (Ieconia o Conia) dalla possibilità di insediarsi sul trono di Davide non
annullerebbe qualsiasi diritto di Giuseppe di trasmettere a Gesù il diritto legale al regno?
La sentenza emanata da Geova nei confronti di Ioiachin (Conia) dice: “Iscrivete quest’uomo come senza
figli, come un uomo robusto che ai suoi giorni non avrà nessun successo; poiché dalla sua progenie
nemmeno uno avrà successo, sedendo sul trono di Davide e regnando ancora in Giuda”. Questa
sentenza precludeva a tutti i discendenti di Ioiachin la possibilità di governare sul trono di Davide in
Giuda. Ma non escludeva che la discendenza reale e i privilegi ereditari si potessero trasmettere da
Ioiachin attraverso i suoi discendenti a Giuseppe e quindi a Gesù. Non avrebbe impedito a Gesù di
adempiere un’altra sentenza che Geova emanò relativamente al potere regale di Davide: “Per certo non
diverrà di nessuno finché venga colui che ha il diritto legale, e a lui lo devo dare”. (Ezechiele 21:27)
Perché? Perché Gesù, al quale venne conferito “il diritto legale”, non avrebbe regnato da un trono in
Giuda, ma dai cieli!
Durante la sua prigionia in Babilonia Ioiachin divenne padre di sette figli, tra cui Sealtiel e Pedaia. Ma
dato che nessun discendente di Ioiachin si insediò mai sul trono di Davide in Giuda per esercitarvi il
governo, fu come se Ioiachin fosse stato considerato un uomo “senza figli”. Ma nel fare la genealogia di
Gesù, Matteo vi include, tra gli altri, Ieconia (Ioiachin), Sealtiel e Zorobabele. Non importava che a loro
personalmente fosse stato impedito di esercitare il governo su un trono terreno. Inoltre non rappresentò
un problema per Luca e per altri ebrei del primo secolo il fatto che anche la genealogia di Maria andasse
fatta risalire a Ioiachin attraverso Sealtiel. — Matteo 1:11, 12; Luca 3:27.
Per poter verificare le credenziali di chiunque avesse sostenuto di essere il Messia, o l’Unto di Geova, per
gli ebrei sarebbe stato molto importante riuscire a tracciare la genealogia attraverso la discendenza dei re
della casa di Davide. (Confronta Giovanni 7:40-42; Atti 2:30). La discendenza legale tramite Giuseppe
(redatta da Matteo) e quella naturale (redatta da Luca), che si possono far risalire per vie diverse
entrambe a Davide, servono tutt’e due ad avvalorare in modo chiaro che Gesù possiede le credenziali
genealogiche per essere il Messia, Colui che doveva ereditare il trono di Davide.
Luca ritenne importante menzionare il fatto che Maria fosse stata “promessa in matrimonio a un uomo di
nome Giuseppe della casa di Davide” e il fatto che Giuseppe fosse “membro della casa e della famiglia di
Davide”. (Luca 1:27; 2:4) È significativo pertanto che l’angelo di Geova, nel dare istruzioni a Giuseppe, si
rivolgesse a lui con le parole: “Giuseppe, figlio di Davide”. Circa il figlio che doveva nascere a Maria, gli fu
detto: “Dovrai mettergli nome Gesù”, a indicare che ci si attendeva che Giuseppe adottasse il bambino e
lo circoncidesse come suo figlio adottivo. (Matteo 1:20, 21) E circa Gesù, Gabriele disse a Maria: “Geova
Dio gli darà il trono di Davide suo padre, e regnerà sulla casa di Giacobbe per sempre e del suo regno
non vi sarà fine”. — Luca 1:32, 33.
Mentre era sulla terra, Gesù fu acclamato quale “Figlio di Davide”, ma non tentò di dare inizio al suo
governo mentre era sulla terra. (Matteo 9:27; 21:9, 15) Ereditò tutto ciò che la regalità terrena di Davide
aveva compreso in quanto a privilegi reali, sudditi e territorio, ma dal suo celeste Padre egli ereditò molto
di più. Il regno terreno di Davide fu soltanto un modello in piccole proporzioni di ciò che avrebbe fatto il
celeste regno di Gesù governando l’intera terra. (Daniele 2:44; 7:13, 14) Dopo la sua morte e
risurrezione, Gesù fu esaltato al trono di Geova nei cieli. E anche se la sua genealogia terrena, attraverso
sia Giuseppe che Maria, può essere fatta risalire a Ioiachin, il fatto che Gesù governi da un trono celeste
non rappresenta alcuna violazione della sentenza di Geova. Pietro lo confermò riferendosi a ciò che
Davide aveva scritto sotto ispirazione: “Perché [Davide] era profeta e sapeva che Dio gli aveva promesso
con giuramento che avrebbe posto uno del frutto dei suoi lombi sul suo trono, vide in anticipo e parlò
della risurrezione del Cristo . . . [il quale] è stato esaltato alla destra di Dio” dove, a tempo debito, avrebbe
cominciato a governare in mezzo ai suoi nemici. — Atti 2:30-36; Salmo 110:1, 2.

w81 1/10 13 Il timore dell'uomo: rovina del re Sedechia


PROBLEMI A MANTENERE LA PAROLA DATA
Sedechia, figlio del re Giosia e di sua moglie Amutal, si chiamava prima Mattania. Quando suo nipote, il
re Ioiachin, fu fatto prigioniero dai babilonesi, Mattania divenne vassallo di Nabucodonosor, re di
Babilonia. In quella circostanza Nabucodonosor gli cambiò nome, chiamandolo Sedechia, che significa
“Geova è giustizia”. A Sedechia fu chiesto di giurare nel nome di Geova che sarebbe rimasto leale a
Nabucodonosor. Avrebbe mantenuto quella promessa confermata da un giuramento? — II Re 24:12, 17,
18; II Cron. 36:13; Ger. 37:1.

Iotam (n. 3) — Tema: Imparate dagli errori altrui PROVERBI 22:3; 16:18

it-2 41-2 Iotam


IOTAM
(Iòtam) [Geova è perfetto; o, Geova completi].
3. Figlio di Uzzia (Azaria) re di Giuda e di Ierusa figlia di Zadoc. (2Re 15:32, 33; 1Cr 3:12; 2Cr 27:1; Mt
1:9) Quando Uzzia fu colpito dalla lebbra per essersi adirato con i sacerdoti che l’avevano ripreso perché
era entrato illegalmente nel tempio con l’intenzione di offrire incenso, Iotam cominciò ad assolvere i
doveri regali al posto del padre. Ma a quanto pare fu solo alla morte di Uzzia che ebbero inizio i 16 anni
del regno di Iotam, allora 25enne (777-762 a.E.V.). — 2Re 15:5, 7, 32; 2Cr 26:18-21, 23; 27:8.
All’epoca di Iotam prestavano servizio come profeti Isaia, Osea e Michea. (Isa 1:1; Os 1:1; Mic 1:1)
Anche se i suoi sudditi praticavano un’adorazione errata sugli alti luoghi, Iotam personalmente fece ciò
che era giusto agli occhi di Geova. — 2Re 15:35; 2Cr 27:2, 6.
Durante il regno di Iotam si costruì molto. Egli eresse la porta superiore del tempio, fece notevoli lavori
edili sulle mura di Ofel e costruì città nella regione montagnosa di Giuda, luoghi fortificati e torri nei
boschi. — 2Cr 27:3-7.
Tuttavia non ebbe un regno pacifico. Combatté gli ammoniti e alla fine ebbe la meglio su di loro. Il
risultato fu che per tre anni questi pagarono un tributo annuo di 100 talenti d’argento (1.026.000.000 di
lire) e 10.000 cor (2.200.000 l) sia di grano che di orzo. (2Cr 27:5) Durante il regno di Iotam il paese di
Giuda cominciò a subire attacchi militari da parte di Rezin re di Siria e di Peca re d’Israele. — 2Re 15:37.
Alla sua morte Iotam fu sepolto nella Città di Davide. Sul trono di Giuda gli succedette il figlio Acaz, che
quando Iotam era diventato re aveva circa quattro anni. — 2Cr 27:7–28:1.
Poiché Iotam regnò solo 16 anni, il “ventesimo anno di Iotam” menzionato in 2 Re 15:30 deve
evidentemente intendersi come il 20° anno da quando egli divenne re, cioè il quarto anno del regno di
Acaz. Può darsi che a questo punto lo scrittore di 2 Re abbia preferito non menzionare Acaz successore
di Iotam perché doveva ancora fornire alcuni particolari relativi al regno di Iotam.
[Foto a pagina 41]
Anello con sigillo recante il nome Iotam

W98 1-11 P.15 §8

Isacco — Tema: L’ubbidienza rivela la qualità della fede ROMANI 16:26

it-2 47-9 Isacco


ISACCO
[risata].
L’unico figlio che Abraamo ebbe da sua moglie Sara, quindi importante anello della discendenza che
avrebbe portato a Cristo. (1Cr 1:28, 34; Mt 1:1, 2; Lu 3:34) Isacco fu svezzato quando aveva circa 5 anni,
fu sul punto di essere immolato forse a 25 anni, si sposò a 40, diventò padre di due gemelli a 60, e morì
all’età di 180 anni. — Ge 21:2-8; 22:2; 25:20, 26; 35:28.
La nascita di Isacco avvenne in circostanze assai insolite. Sia il padre che la madre erano molto anziani;
la madre da tempo aveva smesso di avere le mestruazioni. (Ge 18:11) Perciò quando Dio disse ad
Abraamo che Sara avrebbe avuto un figlio, egli rise a tale prospettiva, dicendo: “Nascerà un figlio a un
uomo di cento anni, e Sara, sì, una donna di novant’anni, partorirà?” (Ge 17:17) Saputo cosa doveva
accadere, anche Sara rise. (Vedi RIDERE). Ma l’anno dopo, “al tempo fissato”, il figlio nacque davvero,
dimostrando che non c’è nulla di “troppo straordinario per Geova”. (Ge 18:9-15) Allora Sara esclamò: “Dio
ha preparato per me di che ridere”, e aggiunse: “Chiunque lo udrà riderà di me”. Perciò, come aveva
detto Geova, il bambino fu giustamente chiamato Isacco, che significa “risata”. — Ge 21:1-7; 17:19.
Facendo parte della casa di Abraamo ed essendo erede delle promesse, l’ottavo giorno Isacco fu
circonciso. — Ge 17:9-14, 19; 21:4; At 7:8; Gal 4:28.
Che età aveva Isacco quando fu svezzato?
Il giorno in cui Isacco venne svezzato Abraamo preparò un gran convito. Fu a quanto pare in
quell’occasione che Sara notò che Ismaele “si prendeva gioco” del fratellastro minore Isacco. (Ge 21:8, 9)
Alcune traduzioni (ATE, Mar) dicono che Ismaele semplicemente “giocava” con Isacco, nel senso di un
gioco da bambini. Ma il termine ebraico tsachàq può avere anche un significato offensivo. Infatti in altri
versetti in cui ricorre lo stesso termine (Ge 19:14; 39:14, 17) queste stesse versioni lo traducono
‘scherzare’, “farsi beffe”, o ‘offendere’.
In Genesi 21:9 certi Targumim, come pure la Pescitta siriaca, attribuiscono alle espressioni di Ismaele il
senso di “deridere”. Riguardo a tsachàq, nel suo commentario Cook afferma: “In questo passo, secondo
l’opinione comune, ha probabilmente il senso di ‘risata di scherno’. Mentre per Isacco Abraamo aveva
riso di gioia e Sara di incredulità, ora Ismaele ride in segno di scherno, probabilmente manifestando uno
spirito persecutorio e dispotico”. A dissipare qualsiasi dubbio, l’apostolo Paolo spiega chiaramente e sotto
ispirazione che il comportamento di Ismaele nei confronti di Isacco non era un gioco da bambini ma una
vera e propria afflizione o persecuzione. (Gal 4:29) Alcuni commentatori pensano che l’insistenza di Sara
— “il figlio di questa schiava non sarà erede con mio figlio, con Isacco!” (Ge 21:10) — indichi che Ismaele
(di quattordici anni maggiore di Isacco) si lagnava e scherniva Isacco forse riguardo all’eredità.
Geova aveva detto ad Abraamo che come residente forestiero il suo seme sarebbe stato afflitto per 400
anni, afflizione che terminò con la liberazione di Israele dall’Egitto nel 1513 a.E.V. (Ge 15:13; At 7:6)
L’afflizione doveva quindi essere iniziata quattrocento anni prima, vale a dire nel 1913 a.E.V. Di
conseguenza il 1913 fu anche l’anno in cui Isacco fu svezzato, dal momento che la Bibbia mette in stretta
relazione i due avvenimenti, cioè il suo svezzamento e il maltrattamento da parte di Ismaele. Questo
significa che Isacco quando fu svezzato aveva circa cinque anni, essendo nato nel 1918 a.E.V. Fra
parentesi, la sua nascita segnò l’inizio dei 450 anni menzionati in Atti 13:17-20, che terminarono verso il
1467 a.E.V. quando si concluse la campagna di Giosuè in Canaan e il paese fu suddiviso fra le varie
tribù.
Oggi che tante donne nel mondo occidentale rifiutano di allattare i propri bambini, o li allattano solo per
un periodo che varia da sei a nove mesi, cinque anni possono sembrare un periodo incredibilmente
lungo. Tuttavia il dottor D. B. Jelliffe spiega che in molte parti del mondo i bambini vengono allattati fino a
un anno e mezzo o due anni, e in Arabia è normale che una madre allatti per un periodo che va dai 13 ai
32 mesi. In effetti, da un punto di vista medico, l’allattamento potrebbe continuare normalmente fino ai
primi mesi della gravidanza successiva. — Infant Nutrition in the Subtropics and Tropics, Ginevra, 1968,
p. 38.
Nel Medioevo in Europa l’età media per lo svezzamento era due anni, e all’epoca dei Maccabei (I e II
secolo a.E.V.) le donne allattavano i figli per tre anni. (2 Maccabei 7:27) Quattromila anni fa la vita aveva
un ritmo molto più tranquillo e non c’era l’attuale urgenza o necessità di fare tante cose in pochi anni di
vita, per cui è facile capire perché Sara può aver allattato Isacco per cinque anni. Inoltre era il suo unico
figlio dopo molti anni di sterilità.
Pronto a farsi sacrificare. Dopo il suo svezzamento, non viene più detto nulla dell’infanzia di Isacco. Si
parla di nuovo di lui quando Dio dice a suo padre Abraamo: “Prendi, suvvia, tuo figlio, il tuo figlio unico
che ami tanto, Isacco, e fa un viaggio nel paese di Moria e là offrilo come olocausto”. (Ge 22:1, 2) Dopo
tre giorni di viaggio essi giunsero nel luogo designato da Dio. Isacco portava la legna, suo padre il fuoco
e il coltello per scannare. “Ma dov’è la pecora per l’olocausto?”, chiese Isacco. “Dio si provvederà la
pecora”, fu la risposta. — Ge 22:3-8, 14.
Giunti sul posto, costruirono un altare e sistemarono la legna. Poi Isacco fu legato mani e piedi e deposto
sopra la legna. Come Abraamo alzò il coltello, l’angelo di Geova gli fermò la mano. La fede di Abraamo
non era stata malriposta; Geova provvide un montone, rimasto impigliato nel folto della macchia, che poté
essere offerto in olocausto al posto di Isacco. (Ge 22:9-14) Quindi Abraamo, riconoscendo “che Dio
poteva destarlo anche dai morti”, ricevette Isacco dai morti “in modo illustrativo”. — Eb 11:17-19.
Questo episodio drammatico dimostrò la fede e l’ubbidienza non solo di Abraamo, ma anche di suo figlio
Isacco. Secondo una tradizione ebraica, tramandata da Giuseppe Flavio, Isacco a quel tempo aveva 25
anni. Ad ogni modo era abbastanza grande e abbastanza forte da portare su una montagna una
considerevole quantità di legna. Perciò se avesse voluto ribellarsi ai comandamenti di Geova, quando
venne il momento di essere legato avrebbe potuto resistere al padre, che aveva 125 anni. (Antichità
giudaiche, I, 227 [xiii, 2]) Invece Isacco lasciò docilmente che il padre si accingesse a sacrificarlo
secondo la volontà di Dio. Per questa manifestazione di fede da parte di Abraamo, Geova ripeté e ampliò
il patto stipulato con lui, e poi lo ripeté personalmente a Isacco dopo la morte del padre. — Ge 22:15-18;
26:1-5; Ro 9:7; Gc 2:21.
Cosa ancor più importante, quello fu un grande quadro profetico, che indicava come Cristo Gesù, il più
grande Isacco, a suo tempo avrebbe deposto volontariamente la sua vita umana quale Agnello di Dio per
la salvezza del genere umano. — Gv 1:29, 36; 3:16.
Matrimonio e famiglia di Isacco. Dopo la morte di Sara Abraamo concluse che era tempo che suo figlio
Isacco si sposasse. Però egli era deciso: Isacco non doveva sposare una cananea pagana. Perciò,
secondo l’usanza patriarcale, mandò un servitore fidato dai suoi parenti in Mesopotamia a cercare una
donna d’origine semitica che adorasse Geova l’Iddio di Abraamo. — Ge 24:1-9.
La missione non poteva che avere successo, poiché fin dall’inizio la scelta fu interamente messa nelle
mani di Geova. Rebecca, cugina di Isacco, mostrò di essere la donna prescelta da Dio e lasciò
volontariamente la famiglia e i parenti per unirsi alla carovana che tornava nel Negheb dove risiedeva
Isacco. La Bibbia descrive il primo incontro dei due e aggiunge: “Dopo ciò Isacco la condusse nella tenda
di Sara sua madre. Prese così Rebecca ed essa divenne sua moglie; e si innamorò di lei, e Isacco trovò
conforto dopo la perdita di sua madre”. (Ge 24:10-67) Poiché Isacco quando si sposò aveva 40 anni, il
matrimonio ebbe luogo nel 1878 a.E.V. — Ge 25:20.
Dalla storia di Isacco apprendiamo che Rebecca rimase sterile per 20 anni. Questo permise a Isacco di
dimostrare se anche lui, come suo padre, aveva fede nella promessa di Geova di benedire tutte le
famiglie della terra per mezzo di un seme non ancora nato, ed egli lo dimostrò continuando a implorare
Geova di dargli un figlio. (Ge 25:19-21) Come era avvenuto nel suo caso, ancora una volta fu evidente
che il seme della promessa non sarebbe venuto seguendo il normale corso degli avvenimenti, ma solo
grazie al potente intervento di Geova. (Gsè 24:3, 4) Finalmente, nel 1858 a.E.V. Isacco, all’età di 60 anni,
fu doppiamente benedetto con la nascita dei gemelli Esaù e Giacobbe. — Ge 25:22-26.
A motivo di una carestia, Isacco trasferì la famiglia a Gherar in territorio filisteo, poiché Dio gli aveva detto
di non andare in Egitto. In quell’occasione Geova confermò il suo proposito di adempiere la promessa
abraamica per mezzo di Isacco, ripetendola: “Moltiplicherò il tuo seme come le stelle dei cieli e darò al
tuo seme tutti questi paesi; e per mezzo del tuo seme tutte le nazioni della terra certamente si
benediranno”. — Ge 26:1-6; Sl 105:8, 9.
In quel paese filisteo non troppo amichevole, Isacco, come suo padre Abraamo, usò strategia dichiarando
che la moglie era sua sorella. Dopo un po’ la benedizione di Geova su Isacco suscitò l’invidia dei filistei,
costringendolo a trasferirsi, prima nella valle del torrente di Gherar, e poi a Beer-Seba, al limitare
dell’arida regione del Negheb. Mentre Isacco era lì, i filistei un tempo ostili vennero per fare “un
giuramento di obbligo” o un trattato di pace con lui, riconoscendo che era “il benedetto di Geova”. In quel
luogo gli uomini di Isacco trovarono l’acqua, ed egli lo chiamò Siba. “Per questo il nome della città è Beer-
Seba [che significa “pozzo del giuramento; o, pozzo di sette”], fino a questo giorno”. — Ge 26:7-33; vedi
BEER-SEBA.
Isacco aveva sempre voluto bene a Esaù, perché questi amava la vita all’aria aperta, era un cacciatore e
un uomo dei campi che gli procurava cacciagione. (Ge 25:28) Quindi, poiché gli si indeboliva la vista e
sentiva che non gli rimaneva molto da vivere, Isacco si accinse a impartire a Esaù la benedizione del
primogenito. (Ge 27:1-4) Non sappiamo se ignorasse il fatto che Esaù aveva venduto la primogenitura a
suo fratello Giacobbe, e se non ricordasse che alla nascita dei due bambini Dio aveva decretato che ‘il
maggiore avrebbe servito il minore’. (Ge 25:23, 29-34) Comunque Geova se ne ricordava, e anche
Rebecca, che prontamente dispose le cose in modo che fosse Giacobbe a ricevere la benedizione.
Quando Isacco seppe dello stratagemma a cui erano ricorsi, rifiutò di cambiare ciò che senza dubbio era
avvenuto per volontà di Geova. Isacco inoltre profetizzò che Esaù e i suoi discendenti si sarebbero
stabiliti lontano dai campi fertili, sarebbero vissuti della loro spada, e infine si sarebbero sottratti al giogo
di servitù a Giacobbe. — Ge 27:5-40; Ro 9:10-13; vedi ESAÙ.
Poi Isacco mandò Giacobbe in Paddan-Aram per assicurarsi che non sposasse una cananea, come
aveva fatto invece suo fratello Esaù con grande dispiacere dei genitori. Quando Giacobbe tornò parecchi
anni dopo, Isacco risiedeva a Chiriat-Arba, vale a dire Ebron, sulle colline. Là, nel 1738 a.E.V., l’anno
prima che suo nipote Giuseppe diventasse primo ministro d’Egitto, Isacco morì all’età di 180 anni,
“vecchio e sazio di giorni”. Fu sepolto nella caverna di Macpela dove erano stati sepolti i suoi genitori e la
moglie, e dove in seguito fu sepolto anche Giacobbe. — Ge 26:34, 35; 27:46; 28:1-5; 35:27-29; 49:29-32.
Altri importanti riferimenti a Isacco. In tutta la Bibbia Isacco è menzionato decine di volte nella nota
espressione ‘Abraamo, Isacco e Giacobbe’, a volte per sottolineare che Geova era l’Iddio che quei
patriarchi adoravano e servivano. (Eso 3:6, 16; 4:5; Mt 22:32; At 3:13) Altre volte il riferimento è al patto
che Geova aveva fatto con loro. (Eso 2:24; De 29:13; 2Re 13:23) Gesù usò questa espressione in senso
illustrativo. (Mt 8:11) In un parallelismo il patriarca Isacco è menzionato insieme ai suoi discendenti, la
nazione d’Israele. — Am 7:9, 16.
Essendo il seme di Abraamo, Isacco fu una figura di Cristo, per mezzo del quale si hanno benedizioni
eterne. Infatti è scritto: “Ora le promesse furono dichiarate ad Abraamo e al suo seme. Non dice: ‘E ai
semi’, come nel caso di molti, ma come nel caso di uno solo: ‘E al tuo seme’, che è Cristo”. E in senso
lato Isacco fu anche una figura di quelli che ‘appartengono a Cristo’, i quali sono “realmente seme di
Abraamo, eredi secondo la promessa”. (Gal 3:16, 29) Inoltre i due ragazzi, Isacco e Ismaele, insieme alle
rispettive madri, rappresentavano “un dramma simbolico”. Mentre l’Israele naturale (come Ismaele) “fu
effettivamente generato secondo la carne”, quelli che costituiscono l’Israele spirituale sono “figli
appartenenti alla promessa, come lo fu Isacco”. — Gal 4:21-31.
Isacco è pure incluso nel “così gran nuvolo di testimoni che ci circondano”, poiché anch’egli “aspettava la
città che ha reali fondamenta, il cui edificatore e costruttore è Dio”. — Eb 12:1; 11:9, 10, 13-16, 20.

w89 1/7 25-8 Un matrimonio da cui traggono beneficio milioni di persone ora in vita
Dio sceglie una sposa per Isacco
5 Il racconto inizia con Abraamo che dà istruzioni al servitore che amministrava la sua casa,
evidentemente Eliezer. (Genesi 15:2; 24:2) “Devo farti giurare per Geova”, disse Abraamo, “che non
prenderai una moglie per mio figlio dalle figlie dei cananei fra i quali dimoro, ma andrai al mio paese e dai
miei parenti, e certamente prenderai una moglie per mio figlio, per Isacco”. — Genesi 24:3, 4.
6 Perché Abraamo insistette tanto che suo figlio non sposasse una cananea? Perché i cananei
discendevano da Canaan, che fu maledetto da Noè. (Genesi 9:25) Inoltre, i cananei erano noti per le loro
pratiche depravate, e soprattutto non adoravano Geova. (Genesi 13:13; Levitico 18:3, 17-28)
Comprensibilmente, Abraamo voleva che suo figlio sposasse una donna che apparteneva alla sua stessa
famiglia, una discendente di Sem, il quale aveva ricevuto l’ispirata benedizione di Noè. (Genesi 9:26) Che
ottimo esempio per i cristiani che oggi decidono di sposarsi! — Deuteronomio 7:3, 4.
7 Così Eliezer intraprese un viaggio di oltre 800 chilometri fino in Mesopotamia. Andò ben equipaggiato,
con dieci cammelli carichi di doni. (Genesi 24:10) In aggiunta, poteva meditare su queste incoraggianti
parole del suo padrone: “Geova, l’Iddio dei cieli, . . . manderà il suo angelo davanti a te, e certamente di
là prenderai una moglie per mio figlio”. — Genesi 24:7.
8 Alla fine giunse alla città di Nahor, nella Mesopotamia settentrionale. Eliezer lasciò che gli stanchi
cammelli si inginocchiassero per riposare a un pozzo fuori della città. Era l’ora in cui le donne andavano
ad attingere l’acqua: davvero un’ottima occasione perché Eliezer cercasse una possibile moglie! Ma che
tipo di donna doveva essere? La più attraente? No. Ad Eliezer interessava soprattutto una donna dalla
personalità devota. Lo si capisce dall’umile preghiera di fede che a questo punto egli pronunciò: “Geova,
Dio del mio padrone Abraamo, fallo avvenire, ti prego, davanti a me quest’oggi e usa amorevole benignità
al mio padrone Abraamo. Ecco, sto fermo presso una fonte d’acqua e le figlie degli uomini della città
escono ad attingere acqua. Ciò che deve avvenire è che la giovane alla quale dirò: ‘Abbassa la tua giara
d’acqua, ti prego, perché io beva’, e che veramente dirà: ‘Bevi, e darò da bere anche ai tuoi cammelli’,
questa è quella che devi assegnare al tuo servitore, a Isacco; e da questo fammi sapere che hai usato
amore leale col mio padrone”. — Genesi 24:11-14.
9 Era senz’altro una buona prova. Secondo un’enciclopedia (The New Encyclopædia Britannica), un
cammello molto assetato può bere 95 litri d’acqua in dieci minuti. Può darsi che i cammelli di Abraamo
non avessero tanta sete, ma le donne di quel tempo conoscevano senz’altro quanta acqua potevano bere
tali animali. Di certo una donna doveva essere molto gentile, altruista e laboriosa per offrirsi di attingere
acqua per dieci cammelli stanchi di proprietà di un estraneo.
10 La preghiera di Eliezer fu esaudita ancor prima che egli l’avesse completata, in quanto il racconto dice:
“Ecco, usciva Rebecca . . . Ora la giovane era di aspetto molto attraente, vergine, e nessun uomo aveva
avuto rapporti sessuali con lei; e scese alla fonte e riempiva la sua giara per l’acqua e quindi salì. Subito il
servitore le corse incontro e disse: ‘Dammi, ti prego, un piccolo sorso d’acqua della tua giara’. A sua volta
essa disse: ‘Bevi, mio signore’. Allora abbassò prontamente la sua giara sulla mano e gli diede da bere.
Quando ebbe finito di dargli da bere, disse: ‘Attingerò acqua anche per i tuoi cammelli finché abbiano
bevuto abbastanza’. Così vuotò prontamente la sua giara nell’abbeveratoio e corse ripetute volte al pozzo
ad attingere acqua, e ne attingeva per tutti i suoi cammelli”. — Genesi 24:15-20.
11 Eliezer “la fissava con meraviglia”, osservando questa miracolosa risposta alla sua preghiera. Quando
la lodevole vergine ebbe finito, la ricompensò con un anello da naso e due braccialetti d’oro e le chiese di
chi era figlia. Scoprendo che era pronipote di Abraamo, Eliezer si inchinò a Geova in riverente
adorazione, dicendo: “Benedetto sia Geova, l’Iddio del mio padrone Abraamo, che non ha lasciato la sua
amorevole benignità e la sua fidatezza verso il mio padrone. Essendo io per via, Geova mi ha guidato alla
casa dei fratelli del mio padrone”. — Genesi 24:21-27.
12 Eccitata, Rebecca corse a casa a raccontare l’accaduto alla sua famiglia. In seguito, quando il padre e
il fratello di Rebecca udirono dalla bocca stessa di Eliezer lo scopo del suo viaggio e come Geova aveva
risposto alla sua preghiera, acconsentirono senza esitazione a che Rebecca andasse in moglie a Isacco.
“E avvenne che quando il servitore di Abraamo ebbe udito le loro parole, si prostrò subito a terra davanti
a Geova. E il servitore tirava fuori oggetti d’argento e oggetti d’oro e vesti e li dava a Rebecca; e diede
cose scelte al fratello e alla madre di lei”. — Genesi 24:52, 53.
La risposta della sposa e delle sue serve
13 Come considerava Rebecca il privilegio di essere stata scelta da Dio come sposa di Isacco? Il giorno
seguente accadde qualcosa che rivelò i suoi veri sentimenti. Avendo raggiunto lo scopo del suo viaggio,
Eliezer desiderava tornare dal suo padrone senza indugio. Ma la famiglia di Rebecca voleva che la sposa
restasse con loro almeno dieci giorni. Perciò si lasciò decidere a Rebecca se era pronta a partire
immediatamente. “Sono disposta ad andare”, disse. Accettando di lasciare immediatamente la famiglia
per andare in un paese lontano a sposare un uomo che non aveva mai visto Rebecca dimostrò di avere
grande fede nella guida di Geova. Questo confermava che lei era la persona giusta. — Genesi 24:54-58.
14 Rebecca non fece il viaggio da sola. Il racconto ci spiega: “Rebecca e le sue serve si levarono e
montavano sui cammelli”. (Genesi 24:61) Così la carovana di cammelli intraprese un viaggio pericoloso di
oltre 800 chilometri in territorio straniero. “La velocità media dei cammelli carichi”, afferma un libro (The
Living World of Animals), “è di circa [4 km/h]”. Se i cammelli di Abraamo viaggiarono a tale velocità per
otto ore al giorno, avranno impiegato più di 25 giorni per raggiungere la loro destinazione nel Negheb.
15 Sia Eliezer che Rebecca e le sue serve confidavano pienamente nella guida di Geova: un ottimo
esempio per i cristiani odierni! (Proverbi 3:5, 6) Inoltre, questo racconto è un dramma profetico che
rafforza la fede. Come abbiamo visto, Abraamo rappresenta Geova Dio, che offrì il suo diletto Figlio, il più
grande Isacco, affinché gli uomini peccatori potessero ottenere la vita eterna. (Giovanni 3:16) I preparativi
per il matrimonio di Isacco furono fatti qualche tempo dopo che egli era stato risparmiato dalla morte
sull’altare per il sacrificio. Questi preparativi raffiguravano profeticamente quelli per il matrimonio celeste,
che ebbero inizio in piena misura dopo la risurrezione di Gesù.
Il matrimonio del più grande Isacco
16 Il nome Eliezer significa “Il mio Dio è un soccorritore”. Sia col nome che con le azioni, Eliezer
rappresenta in maniera appropriata lo spirito santo del più grande Abraamo, Geova Dio, che egli mandò a
questo paese distante, la terra, per scegliere una sposa adatta per il più grande Isacco, Gesù Cristo.
(Giovanni 14:26; 15:26) La classe della sposa è “la congregazione”, composta di discepoli di Gesù
generati dallo spirito santo come figli spirituali di Dio. (Efesini 5:25-27; Romani 8:15-17) Proprio come
Rebecca ricevette costosi doni, così i primi membri della congregazione cristiana, alla Pentecoste del 33
E.V., ricevettero doni miracolosi come prova della loro chiamata divina. (Atti 2:1-4) Come Rebecca, sono
stati disposti ad abbandonare tutto ciò che li legava al mondo e alla carne per essere infine uniti al loro
Sposo celeste. I singoli membri della classe della sposa devono custodire la loro verginità spirituale da
quando vengono chiamati fino alla morte, mentre viaggiano attraverso il pericoloso e seducente mondo di
Satana. (Giovanni 15:18, 19; 2 Corinti 11:3; Giacomo 4:4) Piena di spirito santo, la classe della sposa
invita fedelmente altri a valersi dei provvedimenti di Geova per la salvezza. (Rivelazione 22:17) Seguite il
suo esempio accettando anche voi la guida dello spirito?
17 La classe della sposa dà grande valore a ciò che è raffigurato dai dieci cammelli. Nella Bibbia il
numero dieci è usato per indicare perfezione o completezza riguardo a cose terrene. I dieci cammelli si
possono paragonare alla completa e perfetta Parola di Dio, attraverso la quale la classe della sposa
riceve sostentamento spirituale e doni spirituali. (Giovanni 17:17; Efesini 1:13, 14; 1 Giovanni 2:5)
Commentando l’abbeveraggio dei cammelli da parte di Rebecca, La Torre di Guardia del 15 giugno 1949
fece questa applicazione a quelli della classe della sposa: “Riguardano con amore la Parola di Dio che
reca loro molto del suo spirito. Prendono interesse alla sua Parola scritta, servendola e rianimandola con
la loro assistenza, e manifestano un sincero interessamento per il suo messaggio e il suo proposito,
cercando di credervi”. Che le cose stiano così lo si può notare ad esempio dal fatto che il rimanente della
classe della sposa ha amorevolmente reso disponibile a milioni di persone la moderna e aggiornata
Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture. Sia che questa ottima traduzione sia disponibile nella
vostra lingua o no, mostrate apprezzamento esaminando regolarmente la Bibbia insieme agli strumenti di
studio provveduti dalla classe della sposa? — 2 Timoteo 3:16.
Il matrimonio dell’Agnello si avvicina
18 In questi ultimi giorni del mondo di Satana, al rimanente della classe della sposa si è aggiunta “una
grande folla”, paragonabile alle “serve” di Rebecca. Come nel caso di Rebecca, questa è molto più
numerosa della classe della sposa, il cui numero completo è di 144.000 membri. È la “grande folla” delle
“altre pecore” di Gesù Cristo. (Rivelazione 7:4, 9; Giovanni 10:16) Come leali serve della sposa, anche i
membri di questa folla devono evitare di essere contaminati dal malvagio mondo di Satana. Anch’essi
devono accettare le direttive dello spirito di Geova e della sua Parola come viene loro spiegata dalla
classe della sposa. Ma la loro ricompensa è diversa. Se persevereranno nel sostenere lealmente la
sposa di Cristo, sopravvivranno alla fine del mondo di Satana e avranno la meravigliosa opportunità di
vivere per sempre su una terra paradisiaca. — Rivelazione 21:3, 4.
19 Riuscirono Rebecca e le sue “serve” a raggiungere la loro meta? Sì. La Bibbia riferisce: “E Isacco era
fuori a passeggiare, per meditare nel campo sul far della sera. Quando alzò gli occhi e guardò, ebbene,
ecco, venivano dei cammelli! Quando Rebecca alzò gli occhi, scorse Isacco e si lasciò scivolare dal
cammello”. Dopo che Eliezer ebbe spiegato come era riuscito a portare a termine il suo incarico, Isacco
accettò in moglie Rebecca e “si innamorò di lei”. — Genesi 24:63-67.
20 Similmente, il proposito di Geova riguardo alla sposa di Cristo non può fallire. (Isaia 55:11) Fra poco,
dopo che Babilonia la Grande sarà giudicata e distrutta, gli ultimi componenti del rimanente della sposa
completeranno il loro viaggio. Sarà giunto per loro il momento di essere separati dalle loro serve
compagne per essere uniti in matrimonio, in cielo, con il più grande Isacco. Che grandiosa occasione di
gioia universale sarà quella! — Rivelazione 19:6-8.
21 Nel frattempo, milioni di persone si stanno benedicendo accettando il ministero del sempre più esiguo
rimanente della sposa. Prima che tutti questi finiscano la loro vita terrena con la morte, la devastazione
dell’impero mondiale della falsa religione simile a una prostituta segnerà l’inizio della “grande tribolazione
come non è accaduta dal principio del mondo fino ad ora”. Rimane poco tempo. Se volete sopravvivere, è
essenziale ubbidire ai comandi divini! (Matteo 24:14, 21; Marco 13:10; Luca 21:15; Giovanni 13:34) Tali
comandi valgono in special modo nei nostri tempi difficili. Perciò, che facciate parte del rimanente della
sposa o della sua “grande folla” di serve, continuate ad ubbidire a Geova, a sua gloria e a vostra felicità
eterna. Che prospettiva grandiosa sarà per i membri della grande folla, già considerati amici di Dio,
continuare a vivere mentre Geova ‘farà ogni cosa nuova’ e benefìci eterni saranno estesi a milioni di
persone in una terra paradisiaca! — Rivelazione 21:5; 22:1, 2, 17.

w97 1/1 30 Trovata una moglie per Isacco


Fecero la volontà di Geova
Trovata una moglie per Isacco
L’UOMO anziano seduto presso il pozzo era esausto. Lui e i suoi servitori con i loro dieci cammelli
avevano fatto un lungo viaggio: partiti dalle vicinanze di Beer-Seba erano giunti nella Mesopotamia
settentrionale, percorrendo una distanza di oltre 800 chilometri. Ma poiché erano arrivati a destinazione, il
viaggiatore stanco si fermò a riflettere sulla sua ardua missione. Chi era quest’uomo e perché aveva
intrapreso questo viaggio difficoltoso?
Era il servitore di Abraamo, “il più vecchio della sua casa”. (Genesi 24:2) Pur non essendo menzionato
per nome nel racconto, sembra che quest’uomo fosse Eliezer, che in un’occasione Abraamo definì ‘un
figlio della sua casa’ e del quale disse che doveva ‘succedergli come erede’. (Genesi 15:2, 3) Questo,
naturalmente, quando Abraamo e Sara erano senza figli. Adesso il loro figlio Isacco aveva 40 anni, e
benché Eliezer non fosse più il principale erede di Abraamo, era ancora suo servitore. Perciò acconsentì
alla difficile richiesta di Abraamo. Qual era questa richiesta?
Una missione difficile
Ai giorni di Abraamo un matrimonio influiva non solo sulla famiglia ma anche sull’intera tribù o comunità
patriarcale. Perciò c’era l’usanza che fossero i genitori a scegliere il coniuge per i figli. Nel cercare una
moglie per suo figlio Isacco, però, Abraamo si trovò davanti a un dilemma. A causa delle empie pratiche
dei cananei del posto, il matrimonio con una cananea era fuori questione. (Deuteronomio 18:9-12) E
anche se la consuetudine era che un uomo si sposasse nella cerchia della sua tribù, i parenti di Abraamo
vivevano nella Mesopotamia settentrionale, distante centinaia di chilometri. Non poteva semplicemente
far trasferire Isacco lì, poiché Geova gli aveva promesso: “Al tuo seme darò questo paese”, il paese di
Canaan. (Genesi 24:7) Quindi Abraamo disse ad Eliezer: “Andrai al mio paese e dai miei parenti, e
certamente prenderai una moglie per mio figlio, per Isacco”. — Genesi 24:4.
Al termine del lungo viaggio Eliezer si riposò presso il pozzo mentre rifletteva sulla sua missione. Si
rendeva conto che presto le donne sarebbero andate al pozzo ad attingere la provvista d’acqua per la
notte. Così implorò Geova: “La giovane alla quale dirò: ‘Abbassa la tua giara d’acqua, ti prego, perché io
beva’, e che veramente dirà: ‘Bevi, e darò da bere anche ai tuoi cammelli’, questa è quella che devi
assegnare al tuo servitore, a Isacco; e da questo fammi sapere che hai usato amore leale col mio
padrone”. — Genesi 24:14.
Mentre egli stava ancora pregando, si avvicinò una giovane attraente di nome Rebecca. “Dammi, ti
prego, un piccolo sorso d’acqua della tua giara”, le disse Eliezer. Rebecca glielo diede e poi disse:
“Attingerò acqua anche per i tuoi cammelli finché abbiano bevuto abbastanza”. Una cosa non da poco,
visto che un cammello assetato può bere fin quasi 100 litri d’acqua in appena dieci minuti! Che i cammelli
di Eliezer avessero tanta sete o no, Rebecca doveva sapere che il lavoro che si era offerta di fare
sarebbe stato faticoso. Infatti “vuotò prontamente la sua giara nell’abbeveratoio e corse ripetute volte al
pozzo ad attingere acqua, e ne attingeva per tutti i suoi cammelli”. — Genesi 24:15-20.
Rendendosi conto che Geova guidava le cose, Eliezer diede a Rebecca un anello d’oro da naso e due
braccialetti d’oro, del valore attuale di circa 2 milioni di lire. Quando Rebecca gli disse che era la nipote di
Nahor, fratello di Abraamo, Eliezer rivolse a Dio una preghiera di ringraziamento. “Geova mi ha guidato
alla casa dei fratelli del mio padrone”, disse. (Genesi 24:22-27) Rebecca condusse Eliezer dalla sua
famiglia. Col tempo Rebecca sposò Isacco ed ebbe il privilegio di divenire un’antenata del Messia, Gesù.
Lezioni per noi
Geova benedisse il devoto sforzo di Eliezer di trovare una compagna timorata di Dio per Isacco. Si
ricordi, però, che il matrimonio di Isacco aveva a che fare direttamente con il proposito di Dio di produrre
un seme attraverso Abraamo. Perciò questo racconto non dovrebbe farci concludere che tutti quelli che
pregano per trovare un coniuge lo troveranno in modo miracoloso. Tuttavia, se ci atteniamo ai suoi
princìpi, Geova ci darà la forza di sopportare le difficoltà che accompagnano qualsiasi situazione nella
vita, sia che ci si sposi o che si rimanga soli. — 1 Corinti 7:8, 9, 28; confronta Filippesi 4:11-13.
Eliezer dovette impegnarsi notevolmente per fare le cose come voleva Geova. Anche noi potremmo
riscontrare che non è sempre facile conformarsi alle norme di Geova. Per esempio, può essere difficile
trovare un lavoro che non ostacoli l’attività teocratica, un coniuge timorato di Dio, colleghi che edifichino,
svaghi non degradanti. (Matteo 6:33; 1 Corinti 7:39; 15:33; Efesini 4:17-19) Tuttavia Geova può
sostenere quelli che rifiutano di venir meno ai princìpi biblici. La Bibbia promette: “Confida in Geova con
tutto il tuo cuore e non ti appoggiare al tuo proprio intendimento. In tutte le tue vie riconoscilo, ed egli
stesso renderà diritti i tuoi sentieri”. — Proverbi 3:5, 6.
[Nota in calce]
Considerata la velocità media di un cammello, possono esserci voluti più di 25 giorni per il viaggio.
Isaia — Tema: “Manda me”, uno spirito da coltivare ISAIA 6:8

it-2 50-1 Isaia


ISAIA
[salvezza di Geova].
Profeta, figlio di Amoz. Isaia prestò servizio in Giuda e a Gerusalemme all’epoca di Uzzia, Iotam, Acaz ed
Ezechia, re di Giuda. (Isa 1:1) Durante la sua attività profetica, nel regno settentrionale di Israele
(abbattuto nel 740 a.E.V.) regnarono Peca e Oshea. Profeti contemporanei furono Michea, Osea e Oded.
A quanto pare Isaia cominciò a profetizzare dopo Osea ma prima di Michea. — 2Cr 28:9; Os 1:1; Mic 1:1.
Durante l’attività profetica di Isaia in Giuda, specialmente ai giorni del re Acaz, il regno versava in
pessime condizioni sotto il profilo morale. Dilagava la ribellione da parte sia dei principi che del popolo, e
agli occhi di Geova la nazione aveva la testa e il cuore malati. I governanti furono definiti “dittatori di
Sodoma” e il popolo fu paragonato al “popolo di Gomorra”. (Isa 1:2-10) A Isaia fu detto in anticipo che i
loro orecchi sarebbero stati sordi. Geova dichiarò che quella situazione si sarebbe protratta finché la
nazione non fosse stata distrutta, e che solo “un decimo”, un “santo seme”, sarebbe stato lasciato come il
ceppo di un albero massiccio. L’opera profetica di Isaia dovette confortare questi pochi e rafforzare la loro
fede, anche se il resto della nazione rifiutò di prestare ascolto. — Isa 6:1-13.
Pur rivolgendosi soprattutto a Giuda, Isaia pronunciò anche profezie riguardanti Israele e le nazioni
circostanti, poiché avevano a che fare con la situazione e la storia di Giuda. Egli svolse per molto tempo
l’incarico di profeta: iniziò verso il 778 a.E.V. (anno in cui morì il re Uzzia), o anche prima, e continuò fin
dopo il 14° anno del regno di Ezechia (732 a.E.V.). — Isa 36:1, 2; 37:37, 38.
La famiglia di Isaia. Isaia era sposato. Sua moglie è chiamata “profetessa” (Isa 8:3), il che sembra
indicare qualcosa di più che semplice moglie di un profeta. Evidentemente, come Debora all’epoca dei
Giudici o Ulda durante il regno di Giosia, essa ebbe da Geova un incarico profetico. — Gdc 4:4; 2Re
22:14.
La Bibbia menziona per nome due figli di Isaia, che gli furono dati “come segni e come miracoli in
Israele”. (Isa 8:18) Ai giorni di Acaz, Sear-Iasub era abbastanza grande da accompagnare il padre
quando Isaia portò un messaggio a questo re. Il nome Sear-Iasub significa “un semplice rimanente
tornerà (i rimasti torneranno)”. Questo nome era profetico in quanto, come era sicuro che tale era il nome
di un figlio di Isaia, così era certo che a suo tempo il regno di Giuda sarebbe stato abbattuto e solo un
semplice rimanente sarebbe ritornato dopo un periodo di esilio. (Isa 7:3; 10:20-23) Un piccolo rimanente
tornò nel 537 a.E.V. quando Ciro re di Persia emanò un decreto per rimetterli in libertà dopo 70 anni di
esilio in Babilonia. — 2Cr 36:22, 23; Esd 1:1; 2:1, 2.
A un altro figlio di Isaia fu dato il nome prima del concepimento, e il nome fu scritto su una tavoletta e
attestato da testimoni degni di fiducia. A quanto pare la cosa fu tenuta segreta fin dopo la nascita del
figlio, quando i testimoni poterono farsi avanti e attestare che il profeta ne aveva predetto la nascita,
dimostrando così che la cosa aveva rilevanza profetica. Il nome dato al bambino per comando di Dio era
Maher-Shalal-Hash-Baz, che significa “affrettati, o [o, affrettandosi al] bottino! Egli è pronto al
saccheggio”. Era stato detto che, prima che il bambino fosse stato in grado di chiamare “Padre mio!” e
“Madre mia!”, la minaccia per Giuda costituita dall’alleanza fra la Siria e il regno delle dieci tribù di Israele
sarebbe stata sventata. — Isa 8:1-4.
La profezia indicava che Giuda avrebbe presto ricevuto soccorso, il che avvenne quando l’Assiria si
intromise nella campagna contro Giuda condotta da Rezin re di Siria e Peca re di Israele. Gli assiri
conquistarono Damasco e, più tardi, nel 740 a.E.V., saccheggiarono e distrussero il regno di Israele,
adempiendo appieno il significato profetico del nome del ragazzo. (2Re 16:5-9; 17:1-6) Invece di
confidare in Geova, però, il re Acaz cercò di allontanare la minaccia costituita da Siria e Israele
mandando regali al re d’Assiria per avere la sua protezione. Per questo Geova permise che l’Assiria
diventasse una grave minaccia per Giuda e addirittura invadesse il paese fino a Gerusalemme stessa,
come aveva avvertito Isaia. — Isa 7:17-20.
Isaia parlò molte volte di “segni” che Geova avrebbe dato, fra cui i suoi due figli e, in un’occasione, Isaia
stesso. Geova gli aveva ordinato di andare in giro nudo e scalzo per tre anni come segno e portento
contro l’Egitto e contro l’Etiopia, a indicare che quelle nazioni sarebbero state portate in cattività dal re
d’Assiria. — Isa 20:1-6; cfr. Isa 7:11, 14; 19:20; 37:30; 38:7, 22; 55:13; 66:19.
Predetti l’esilio e la restaurazione. Isaia ebbe anche il privilegio di predire che a spodestare i re di
Giuda e distruggere Gerusalemme non sarebbe stata l’Assiria ma Babilonia. (Isa 39:6, 7) Quando
l’Assiria sommerse Giuda “fino al collo”, Isaia portò al re Ezechia la confortante assicurazione che le forze
assire non sarebbero riuscite a penetrare nella città. (Isa 8:7, 8) Geova confermò la Sua parola
mandando un angelo a uccidere 185.000 uomini potenti e condottieri dell’esercito assiro, liberando così
Gerusalemme. — 2Cr 32:21.
Senza dubbio Isaia provò la gioia più grande per il privilegio concessogli da Geova di pronunciare e
scrivere molte profezie sulla restaurazione della sua diletta Gerusalemme. Geova Dio avrebbe permesso
che il popolo venisse portato in esilio a Babilonia a motivo della rivolta e della ribellione contro di lui, ma a
suo tempo avrebbe giudicato Babilonia per aver agito con malizia e aver voluto tenere prigioniero per
sempre il Suo popolo. Diverse profezie di Isaia riguardano il giudizio di Dio su Babilonia e la desolazione
di quella città, che non sarebbe mai più stata ricostruita. — Isa 45:1, 2; capp. 13, 14, 46-48.
Le profezie sulla restaurazione che si trovano nell’intero libro di Isaia esaltano l’immeritata benignità e la
misericordia di Geova nei confronti del suo popolo e di tutta l’umanità. Predicono il tempo in cui
Gerusalemme sarebbe stata elevata a una nuova posizione presso Geova, a una gloria evidente a tutte
le nazioni, e sarebbe diventata una benedizione per tutte le nazioni. Gerusalemme fu effettivamente
restaurata e ricostruita, e fu benedetta dalla presenza del Messia, che “ha fatto luce sulla vita e
sull’incorruzione per mezzo della buona notizia”. (2Tm 1:10) La restaurazione di Gerusalemme doveva
avere anche un adempimento maggiore e più grandioso in avvenire. — Ro 15:4; 1Co 10:11; Gal 4:25, 26.
Risultati dell’opera di Isaia. Isaia non scrisse solo il libro biblico che porta il suo nome, ma almeno un
altro libro storico, i fatti del re Uzzia, incluso senza dubbio fra i documenti ufficiali della nazione. (2Cr
26:22) Adempiendo fedelmente l’opera profetica affidatagli da Geova, egli ebbe una grande influenza
sulla storia della nazione, specie grazie ai consigli e alla guida che diede al giusto re Ezechia. Molte
profezie di Isaia trovano anche un adempimento maggiore nel Messia e nel suo Regno. Il libro di Isaia
viene citato e menzionato molte volte nelle Scritture Greche Cristiane. In molti casi gli scrittori cristiani
applicano le profezie di Isaia a Gesù Cristo, o ne indicano un adempimento ai loro giorni.

w80 1/11 28-9 Spirito volenteroso


Spirito volenteroso
QUANDO c’è un compito da svolgere, non è un piacere lavorare con persone pronte a prodigarsi? Anche
il nostro Creatore, Geova Dio, apprezza lo spirito volenteroso dei suoi servitori. Nella sua Parola egli
espresse la fiducia che il suo popolo ‘si sarebbe offerto volenterosamente’ per servirlo. — Sal. 110:3.
Quest’ottimo spirito fu manifestato anche da Isaia, profeta di Dio. Egli ebbe una splendida visione della
gloria di Dio nel bel tempio di Gerusalemme. Nella gloriosa rappresentazione si vedeva un trono molto
alto, e il tempio stesso era occupato dai lembi delle vesti di colui che sedeva sul trono, mentre dei serafini
aleggiavano sopra di esse. Queste creature angeliche avevano sei ali, due delle quali erano usate per
volare o librarsi. Alla sacra presenza, i serafini si coprivano umilmente il volto e i piedi. Un serafino ne
chiamò un altro, dicendo: “Santo, santo, santo è Geova degli eserciti. La pienezza di tutta la terra è la sua
gloria”. — Isa. 6:1-3.
Isaia si sentì impuro. “Guai a me!” esclamò. “Poiché sono come ridotto al silenzio [nella morte], perché
sono un uomo impuro di labbra, e dimoro fra un popolo impuro di labbra; poiché i miei occhi han visto il
Re stesso, Geova degli eserciti!” — Isa. 6:5.
Uno dei serafini venne in aiuto di Isaia. Con un carbone ardente preso dall’altare degli olocausti, il
serafino toccò le labbra di Isaia purificandole. — Isa. 6:6, 7.
Quindi Isaia sentì la potente voce di Geova che diceva: “Chi manderò, e chi andrà per noi?” Senza
esitare Isaia rispose: “Eccomi! Manda me”. Non chiese cosa gli sarebbe stato richiesto o cosa avrebbe
potuto guadagnare accettando l’incarico. Aveva indubbiamente uno spirito volenteroso. Così a Isaia fu
dato l’incarico di essere profeta al suo stesso popolo. Non era un compito facile. Isaia avrebbe incontrato
estrema indifferenza, una situazione che sarebbe continuata finché il paese non sarebbe caduto in rovina
e la popolazione non sarebbe stata portata in esilio. — Isa. 6:8-12.
Come Isaia, così anche i discepoli di Gesù Cristo hanno un messaggio da proclamare. Il Figlio di Dio
dichiarò che ‘questa buona notizia del regno sarebbe stata predicata in tutta la terra abitata’. (Matt. 24:14)
Ti sei prontamente offerto per compiere quest’opera? Come Isaia, rispetti fedelmente l’impegno preso,
nonostante l’indifferenza di molti?

w87 15/10 11 Mettete le cose a posto fra voi e Dio


3 La parola ebraica tradotta “discutiamo” significa basilarmente “decidere, aggiudicare, dimostrare”. Ha
una sfumatura di carattere legale, indicando qualcosa di più di due persone che si limitano a discutere
insieme. Vi è implicata una decisione. (Genesi 31:37, 42; Giobbe 9:33; Salmo 50:21; Isaia 2:4) Un
commentario (Wilson’s Old Testament Word Studies) dà questa definizione: “Aver ragione; ragionare,
dimostrare ciò che è giusto e vero”. Dio stava ordinando: “Venite, ora, e mettiamo le cose a posto”.
4 Geova Dio si servì del profeta Isaia per trasmettere questo vigoroso messaggio. Chi era Isaia e perché
il suo messaggio era adatto al suo tempo? Inoltre, come possiamo trarne beneficio noi?
5 Sentendo la parola “profeta”, oggi molti pensano a un giovane asceta che proclama il suo distorto modo
di intendere la realtà. Altri possono pensare a qualche vecchio eccentrico che si erge a giudice delle
condizioni esistenti. Com’era diverso da tutto ciò Isaia, l’uomo equilibrato e razionale che Geova Dio
impiegò per scrivere il libro biblico che porta il suo nome!
6 “Isaia figlio di Amoz” visse in Giuda e servì attivamente Geova “ai giorni di Uzzia, Iotam, Acaz ed
Ezechia, re di Giuda”, per oltre quarant’anni. Essendo modesto, Isaia non fornì molte informazioni su di
sé. La tradizione lo vuole imparentato con la famiglia reale di Giuda. Sappiamo per certo che era un
padre di famiglia, la cui moglie gli partorì due figli. Forse in seguito alla morte della moglie egli si risposò,
generando un altro figlio, profeticamente chiamato Emmanuele. — Isaia 1:1; 7:3, 14; 8:3, 18.
7 Ci sono delle analogie fra i giorni di Isaia e i nostri. Viviamo in un’epoca di tensione internazionale, di
guerre e minacce di guerra. Capi religiosi e politici che asseriscono di adorare Dio si propongono come
esempi da imitare, ma regolarmente la stampa dà notizia dei loro scandali finanziari e morali. Cosa pensa
Dio di questi personaggi, specialmente di quelli legati alla cristianità? Cosa è in serbo per loro e per quelli
che li seguono? Nel libro di Isaia troviamo dichiarazioni divine che ben si adattano alla situazione attuale.
Troviamo anche lezioni che saranno utili a ciascuno di noi mentre ci sforziamo personalmente di servire
Dio.
Profeta a una nazione colpevole
8 Leggendo il libro di Isaia troverete messaggi relativi alla colpevolezza di Giuda e Gerusalemme,
particolari storici su invasioni nemiche, solenni dichiarazioni di desolazione per le nazioni circostanti e
incoraggianti predizioni di restaurazione e salvezza per Israele. Tutto ciò è scritto in uno stile vivido e
avvincente. Il dott. I. Slotki afferma: “Gli studiosi si levano il cappello davanti alla brillante immaginazione
di Isaia e alle sue pittoresche e incisive descrizioni, al suo magistrale impiego della metafora,
dell’allitterazione e dell’assonanza, come pure davanti all’ottimo equilibrio e al ritmico susseguirsi delle
sue frasi”. Esaminiamo in particolare il messaggio introduttivo contenuto nel primo capitolo di Isaia.

w87 15/10 17-20 Direte: "Eccomi! Manda me"?


10 La colpa era del popolo. Nonostante Isaia desse loro l’opportunità di ‘udire più volte’, essi non avevano
intenzione di acquistare conoscenza o intendimento. Dio dichiarò in anticipo che i più, a causa del loro
atteggiamento ostinato e non spirituale, non avrebbero accolto favorevolmente il messaggio. Forse una
minoranza l’avrebbe fatto, ma la maggioranza sarebbe stata cieca come se, per così dire, i loro occhi
fossero stati incollati con la colla più tenace. Per quanto tempo sarebbe andata avanti questa triste
situazione? Fu questo, e non quanti anni avrebbe dovuto prestare servizio, che Isaia chiese con le
parole: “Fino a quando, o Geova?” Al che Dio rispose: “Finché le città realmente crollino in rovina, per
essere senza abitante”. E così avvenne, anche se Isaia morì prima. I babilonesi portarono via gli uomini
terreni, lasciando Giuda “rovinato nella desolazione”. — Isaia 6:11, 12; 2 Re 25:1-26.
11 Tuttavia Geova assicurò infine a Isaia che la situazione non era disperata. “[Nel paese] ci sarà ancora
un decimo”. Sì, era ‘come un albero massiccio in cui, quando è abbattuto, ci sia un ceppo, un santo
seme’. (Isaia 6:13) Dopo settant’anni di esilio babilonese un seme, o rimanente, tornò nel paese, come se
un nuovo germoglio fosse spuntato dal ceppo di un albero massiccio. (2 Cronache 36:22, 23; Esdra 1:1-
4; confronta Giobbe 14:7-9; Daniele 4:10, 13-15, 26). Quindi, pur essendo fosco, il messaggio di Isaia
conteneva un elemento di consolazione. Ci sono comunque ragioni scritturali per considerare Isaia come
un modello di avvenimenti futuri. In che senso?
Adempimenti maggiori
12 Secoli dopo la morte di Isaia venne qualcuno che potremmo definire il più grande Isaia, Gesù Cristo.
Nella sua esistenza preumana si era offerto volontariamente per essere inviato dal Padre sulla terra,
dove nella sua predicazione avrebbe incluso cose che erano state scritte da Isaia. (Proverbi 8:30, 31;
Giovanni 3:17, 34; 5:36-38; 7:28; 8:42; Luca 4:16-19; Isaia 61:1) Più precisamente Gesù fece riferimento
al capitolo 6 di Isaia quando spiegò perché insegnava in un certo modo. (Matteo 13:10-15; Marco 4:10-
12; Luca 8:9, 10) Questo era appropriato, perché la maggioranza dei giudei che seguivano Gesù non
erano disposti ad accettarne il messaggio e ad agire di conseguenza, così come non lo erano stati quelli
che avevano udito il profeta Isaia. (Giovanni 12:36-43) Inoltre nel 70 E.V. i giudei che si erano resi ‘ciechi
e sordi’ al messaggio di Gesù andarono incontro a una distruzione simile a quella del 607 a.E.V. Per
Gerusalemme quell’avvenimento del I secolo fu una tribolazione ‘come non era accaduta dal principio del
mondo, né sarebbe accaduta più’. (Matteo 24:21) Tuttavia, come profetizzato da Isaia, un rimanente o
“santo seme” esercitò fede. Questi furono organizzati in una nazione spirituale, l’unto “Israele di Dio”. —
Galati 6:16.
13 Questo ci porta a un altro adempimento biblico di Isaia capitolo 6. Per capirlo, esaminiamo le parole
che l’apostolo Paolo pronunciò verso l’anno 60 E.V. Egli spiegò perché molti giudei che lo udivano a
Roma non avrebbero accettato la sua “testimonianza riguardo al regno di Dio”. La ragione era che Isaia
6:9, 10 si stava di nuovo adempiendo. (Atti 28:17-27) Significa questo che dopo che Gesù ebbe lasciato
la scena terrestre i suoi unti discepoli dovevano adempiere un incarico simile a quello di Isaia? Senz’altro!
14 Prima di ascendere al cielo, il più grande Isaia disse che i suoi discepoli avrebbero ricevuto spirito
santo e gli sarebbero stati quindi “testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea e la Samaria e fino alla
più distante parte della terra”. (Atti 1:8) Proprio come l’altare dei sacrifici fornì il necessario per
allontanare l’errore di Isaia, così per i discepoli di Gesù il suo sacrificio fu la base perché il loro ‘peccato
stesso fosse espiato’. (Levitico 6:12, 13; Ebrei 10:5-10; 13:10-15) Dio poteva quindi ungerli con spirito
santo, che avrebbe dato loro potenza anche per divenire ‘testimoni fino alla più distante parte della terra’.
Sia il profeta Isaia che il più grande Isaia erano stati inviati a proclamare il messaggio di Dio. Similmente
gli unti seguaci di Gesù sono stati “mandati da Dio . . . in compagnia di Cristo”. — 2 Corinti 2:17.
15 Nei tempi moderni, particolarmente dalla fine della prima guerra mondiale, gli unti cristiani hanno
compreso la necessità di dichiarare il messaggio di Dio. Questo include il significativo fatto che “il giorno
di vendetta da parte del nostro Dio” è vicino. (Isaia 61:2) La sua azione devastatrice sarà un colpo
specialmente per la cristianità, che da molto tempo professa di essere il popolo di Dio, come l’antico
Israele. Nonostante decenni di leale predicazione da parte degli unti testimoni di Dio, la maggioranza
degli aderenti alla cristianità ‘hanno reso ottuso il loro cuore e insensibili i loro orecchi; i loro occhi sono
incollati’. La profezia di Isaia indica che questa situazione continuerà “finché le città realmente crollino in
rovina, per essere senza abitante, e le case siano senza uomo terreno, e il suolo stesso sia rovinato nella
desolazione”. Questo segnerà la fine dell’attuale sistema di cose malvagio. — Isaia 6:10-12.

“Manda me”
16 Oggi ci sono milioni di cristiani devoti che nutrono la speranza biblica di vivere eternamente sulla terra.
In base al sangue versato in sacrificio da Gesù, i peccati di questa “grande folla” possono essere
perdonati nella misura oggi necessaria. Questi cristiani ricevono inoltre potenza e sostegno tramite lo
spirito di Dio mentre si uniscono al rimanente degli unti cristiani nel dire: “Eccomi! Manda me”. Mandarli a
fare che cosa? In Romani 10:13-15 Paolo dice: “‘Chiunque invoca il nome di Geova sarà salvato’.
Comunque, come invocheranno colui nel quale non hanno riposto fede? Come, a loro volta, riporranno
fede in colui del quale non hanno udito parlare? Come, a loro volta, udranno senza qualcuno che
predichi? Come, a loro volta, predicheranno se non sono stati mandati? Come è scritto [in Isaia 52:7]:
‘Come sono piacevoli i piedi di quelli che dichiarano la buona notizia di cose buone!’” — Rivelazione 7:9-
15.
17 Ricordate che Isaia disse “Eccomi! Manda me” prima ancora di conoscere l’intero contenuto del
messaggio. Al contrario, noi sappiamo ciò che Dio vuole venga ora dichiarato da quelli che accolgono il
suo invito: “Chi manderò, e chi andrà per noi?” Vi è incluso l’avvertimento circa “il giorno di vendetta da
parte del nostro Dio”. Il messaggio però include anche “la buona notizia di cose buone”. Per esempio,
quelli che sono “mandati” partecipano alla proclamazione della “libertà a quelli che sono in schiavitù e la
completa apertura degli occhi anche ai prigionieri”. Non dovrebbe essere fonte di grandi soddisfazioni
farlo? — Isaia 61:1, 2.
18 Se già state dichiarando “la buona notizia di cose buone”, questo esame di Isaia capitolo 6 potrebbe
indurvi a chiedere: Come posso manifestare più pienamente lo spirito di Isaia 6:8? Come nel caso della
coppia menzionata all’inizio, centinaia di persone hanno partecipato a un tale programma internazionale
di costruzione. Molti altri, che non sono esperti nel campo edilizio, si sono trasferiti in paesi dove c’è più
bisogno di proclamatori del Regno. Prima di farlo è meglio chiedere consiglio alla filiale della Società
(Watch Tower). Ovviamente è indispensabile fare i piani in anticipo, perché in un paese straniero ci può
essere grande diversità di lingua, tenore di vita, prospettive di lavoro e altro. Tuttavia non escludete a
priori questa possibilità solo perché potrebbe richiedere notevoli adattamenti. Molti che hanno lo spirito
dell’“Eccomi! Manda me” si sono trasferiti a questo scopo e sono stati riccamente benedetti da Dio per
averlo fatto. — Confronta Proverbi 24:27; Luca 14:28-30.
19 Altri ancora — fratelli o sorelle non sposati, coppie di sposi, persino famiglie intere — si sono trasferiti
all’interno del proprio paese o della propria zona per andare dove c’era più bisogno di predicatori del
Regno o di sorveglianti cristiani. (Atti 16:9, 10) Questo può aver richiesto dei sacrifici, come procurarsi un
lavoro secolare diverso, forse meno retribuito. Altri hanno ottenuto il pensionamento anticipato con una
pensione limitata e hanno trovato un lavoro a mezza giornata per poter avere più tempo da dedicare al
ministero. Com’è rallegrante vedere famiglie intere dire: ‘Eccoci! Manda noi’. Anche questo ricalca la
situazione di Isaia. Sua moglie ebbe una parte attiva nel compiere la volontà di Dio come profetessa, e i
suoi figli furono impiegati in messaggi profetici. — Isaia 7:3, 14-17; 8:3, 4.
20 Anche se le vostre attuali circostanze non vi permettono di fare grandi cambiamenti come questi,
potete chiedervi: ‘Sto facendo tutto il possibile, imitando la prontezza di Isaia?’ Impegnatevi strenuamente
nel dichiarare il messaggio di Dio, anche se il tempo è inclemente o le persone sono indifferenti;
certamente Isaia fece la stessa cosa. Siate zelanti nel parlare ad altri della “buona notizia di cose buone”!
Geova ha detto: “Chi manderò?” Dimostrate che, come Isaia nell’antichità, anche voi rispondete: “Eccomi!
Manda me” a proclamare il messaggio divino.
[Figura a pagina 17]
Isaia fu purificato e mandato a predicare
[Foto a pagina 18]
Molti hanno risposto: “Eccomi! Manda me”

w94 15/9 17 Prendete a modello i profeti di Dio


Esercitarono pazienza
6 I profeti di Dio esercitarono pazienza. Isaia, ad esempio, che servì come profeta di Geova nell’VIII
secolo a.E.V., manifestò pazienza. Dio gli disse: “Va, e devi dire a questo popolo: ‘Udite più volte, ma non
capite; e vedete più volte, ma non ottenete alcuna conoscenza’. Rendi ottuso il cuore di questo popolo, e
rendi insensibili i loro medesimi orecchi, e incolla i loro medesimi occhi, affinché non vedano con i loro
occhi e non odano con i loro orecchi, e affinché il loro proprio cuore non capisca e affinché effettivamente
non si convertano e non siano sanati”. (Isaia 6:9, 10) Il popolo reagì proprio in quel modo. Ma questo
scoraggiò forse Isaia? No. Con pazienza e zelo dichiarò i messaggi di avvertimento di Geova. In ebraico
il modo in cui sono formulate le parole divine appena citate dà l’idea di “lunga durata” della proclamazione
del profeta, che la gente udì “più volte”. — Gesenius’ Hebrew Grammar.
7 Oggi molti reagiscono alla buona notizia proprio come reagì il popolo alle parole di Geova pronunciate
da Isaia. Come quel fedele profeta, comunque, noi ripetiamo il messaggio del Regno “più volte”. Lo
facciamo con zelo, pazienza e tenacia perché è la volontà di Geova.

Is-Boset — Tema: Un uomo timoroso ma giusto 2°SAMUELE 4:11

it-2 55 Is-Boset
IS-BOSET
(Is-Bòset) [uomo di vergogna].
Il minore dei quattro figli di Saul e suo successore al trono. Dalle genealogie risulta che si chiamava
anche Esbaal, che significa “uomo di Baal”. (1Cr 8:33; 9:39) Ma altrove, per esempio in 2 Samuele, è
chiamato Is-Boset, nome in cui “baal” è sostituito da “Boset”. (2Sa 2:10) Il termine ebraico bòsheth ricorre
in Geremia 3:24 dove è reso “cosa vergognosa” (Di, NM), “vergogna” (Ga, VR). In altri due casi bà`al e
bòsheth vengono accostati in un parallelismo, in cui un termine spiega e identifica l’altro. (Ger 11:13; Os
9:10) Altre volte in certi nomi propri di persona bòsheth, o una forma derivata, sostituisce bà`al, ad
esempio “Ierubbeset” per “Ierubbaal” (2Sa 11:21; Gdc 6:32) e “Mefiboset” per “Merib-Baal”, quest’ultimo
nipote di Is-Boset. — 2Sa 4:4; 1Cr 8:34; 9:40.
Non si conosce la ragione di queste sostituzioni o doppi nomi. Secondo una teoria proposta da alcuni
studiosi, i doppi nomi si spiegherebbero con un’alterazione fatta quando il nome comune “baal”
(proprietario; signore) cominciò a identificarsi quasi esclusivamente con l’abominevole dio cananeo della
fertilità, Baal. Tuttavia, nello stesso libro biblico di 2 Samuele in cui si trova la storia di Is-Boset, si legge
che Davide, in onore del Signore Geova, dà a un luogo di battaglia il nome Baal-Perazim (che significa
“proprietario di brecce”), poiché, dice, “Geova ha fatto irruzione fra i miei nemici”. (2Sa 5:20) Un’altra
ipotesi è che il nome Is-Boset potesse essere profetico dell’ingloriosa morte di quell’uomo e della tragica
fine della dinastia di Saul.
Dopo la morte di Saul e degli altri suoi figli sul campo di battaglia di Ghilboa, Abner, parente di Saul e
comandante del suo esercito, portò Is-Boset a Maanaim, oltre il Giordano, dove fu acclamato re di tutte le
tribù tranne Giuda, che aveva riconosciuto Davide come re. In quel tempo Is-Boset aveva 40 anni, e
viene detto che regnò per due anni. Poiché la Bibbia non dice esattamente dove collocare questi due
anni nei sette anni e mezzo durante i quali Davide regnò a Ebron, non c’è modo di risolvere le divergenze
d’opinione che esistono fra gli studiosi a questo riguardo. Tuttavia sembra più ragionevole pensare che
Is-Boset sia stato fatto re poco dopo la morte del padre (piuttosto che cinque anni dopo), nel qual caso ci
sarebbe stato un intervallo di circa cinque anni fra il suo assassinio e l’insediamento di Davide quale re su
tutto Israele. — 2Sa 2:8-11; 4:7; 5:4, 5.
Il breve regno di Is-Boset fu contrassegnato da difficoltà sia all’interno che all’esterno. La guerra fra la sua
casa e quella di Davide “si protrasse a lungo”; in uno scontro egli perse 360 uomini e Davide solo 20.
(2Sa 2:12-31; 3:1) Nel frattempo Abner, parente di Is-Boset, continuava a rafforzarsi a sue spese, al
punto di avere rapporti con una delle concubine di Saul, cosa che, secondo l’usanza orientale, equivaleva
a un tradimento. Rimproverato per questo da Is-Boset, Abner gli tolse il suo appoggio e fece un patto con
Davide, che prevedeva fra l’altro la restituzione della moglie di Davide, Mical, sorella dello stesso Is-
Boset. (2Sa 3:6-21) La morte di Abner, ucciso da Gioab, indebolì ulteriormente la posizione di Is-Boset,
che poco dopo fu assassinato da due dei suoi stessi capitani mentre prendeva il suo riposo pomeridiano.
(2Sa 3:22-27; 4:1, 2, 5-7) Quando però i due assassini portarono a Davide la testa di Is-Boset per avere
una ricompensa, egli li fece mettere a morte e ordinò che la testa fosse deposta nella tomba di Abner a
Ebron. — 2Sa 4:8-12.
Così la dinastia di Saul, che sarebbe potuta durare “a tempo indefinito”, ebbe una fine repentina e
ingloriosa, non per i peccati di Is-Boset, ma per quelli di suo padre. (1Sa 13:13; 15:26-29) Benché Is-
Boset fosse un sovrano debole, che ottenne e conservò il trono principalmente grazie all’appoggio di
Abner, Davide nonostante tutto lo considerò “un uomo giusto”. — 2Sa 4:11.

w85 1/1 29 Ha inizio il regno in Israele: I due libri di Samuele


A suo tempo Saul morì e Davide cominciò a governare. Ma in un primo momento soltanto la sua tribù,
Giuda, lo riconobbe. Le altre tribù continuarono a seguire Is-Boset, un figlio di Saul ancora in vita. Davide,
però, non si mostrò vendicativo nei confronti del suo rivale. Quando alla fine Is-Boset fu assassinato,
Davide giustiziò gli assassini. E quando fu trucidato Abner, generale di Is-Boset, ordinò che si osservasse
il lutto nazionale. (II Samuele 3:31-34; 4:9-12) Umiltà, pazienza, indulgenza e fiducia in Geova come
queste sono necessarie ai servitori di Geova di qualsiasi epoca.

w83 15/8 17 'Accorriamo in linea di battaglia'


La scelta di un regno: in passato e oggi
6 Considerate la situazione al tempo del re Davide, scelto da Dio quale re di tutto Israele. Dopo la morte
di Saul, gli uomini di Giuda furono i primi a riconoscere che Dio aveva scelto Davide come loro re. Le
altre tribù scelsero come re Is-Boset figlio di Saul e questo provocò continue lotte. (II Samuele 2:1-11;
3:1) Con l’assassinio di Is-Boset, avvenuto circa due anni dopo, fu preparata la via per far unire a Giuda
le altre tribù. A suo tempo Davide fu debitamente unto re di tutto Israele. (II Samuele 4:5-12; 5:1-3) Nel
frattempo però molti dovettero decidere personalmente chi volevano servire. Dovettero esaminare le
credenziali di questo giovane, Davide. Era veramente l’unto di Geova? Avrebbe avuto la benedizione di
Geova anziché la disapprovazione divina come Saul? Avrebbe Davide guidato gli eserciti d’Israele alla
vittoria contro i nemici circostanti?

km 4/93 5 Ripetizione della Scuola di Ministero Teocratico


9. La predizione della medium di En-Dor non si avverò affatto. (1 Sam. 28:19) [lettura biblica settimanale;
vedi w79 15/8 p. 6]. Falsa. Anche se Is-Boset, figlio di Saul, non morì quel giorno, per il resto la
predizione si avverò.

po 122 10 Patto per un Regno stipulato con Davide


11 Davide venne alla luce della ribalta quando di tutti gli Israeliti fu l’unico a offrirsi volontario per andare
incontro nel campo di battaglia allo sfidante gigante filisteo Golia e lo uccise con una pietra di fionda che
colpì Golia alla fronte. (1 Samuele da 16:1 ⇒fino ⇐a 17:58) Davide fu preso nell’esercito del re Saul, e la
sua popolarità crebbe presso il popolo più di quella del re. Questo rese molto geloso Saul, che cercò di
uccidere Davide e d’impedirgli così di soppiantare uno dei suoi propri figli sul trono d’Israele. Dopo aver
riportato una ferita mortale in battaglia, egli si gettò infine sulla propria spada per affrettare la propria
morte, e così terminò il regno di Saul. Is-Boset, superstite figlio di Saul, fu fatto re da quelli che aderivano
alla linea di discendenza della famiglia di Saul, ma solo su undici tribù d’Israele. A Ebron nel territorio di
Giuda, gli uomini della tribù di Giuda unsero Davide re su di loro. Questo avvenne nell’anno 1077 a.E.V.
— 2 Samuele 2:1-11; Atti 13:21, 22.
12 Is-Boset figlio di Saul sedette sul trono d’Israele forse sette anni e sei mesi e poi fu assassinato dai
suoi sudditi. (2 Samuele da 2:11 ⇒fino ⇐a 4:8) Tutte le tribù riconobbero ora Davide come l’eletto di
Geova e unsero Davide re su tutto Israele, a Ebron. Ciò avvenne l’anno 1070 a.E.V. (2 Samuele da 4:9
fino a 5:5) Così, in armonia con la profezia pronunciata da Giacobbe sul suo letto di morte com’è riportata
in Genesi 49:10, lo “scettro” e il “bastone del comandante” eran venuti nella tribù di Giuda. In base a che
cosa, ora, quegli emblemi di regalità non si sarebbero allontanati “da Giuda . . . finché venga Silo”?

W65 P.255
W56 P.298

Ismaele (figlio di Abraamo) — Tema: Benedetto da Dio, ma non come erede di Abraamo
PROVERBI 10:22

it-2 56-7 Ismaele


ISMAELE
(Ismaèle) [Dio ode (ascolta)].
1. Figlio di Abraamo e di Agar, schiava egiziana di Sara; nato nel 1932 a.E.V, quando suo padre aveva
86 anni. — Ge 16:1-4, 11-16.
Quando venne informato che anche Sara avrebbe avuto un figlio dal quale sarebbero venuti “re di
popoli”, Abraamo supplicò Dio per il suo primogenito: “Oh, viva dinanzi a te Ismaele!” Dopo aver
dichiarato che il futuro figlio Isacco sarebbe stato l’erede del patto, Dio disse: “Riguardo a Ismaele ti ho
udito. Ecco, certamente lo benedirò e lo renderò fecondo e lo moltiplicherò moltissimo. Certamente
produrrà dodici capi principali e davvero lo farò divenire una grande nazione”. (Ge 17:16, 18-20) Ismaele
fu quindi circonciso, all’età di 13 anni, insieme a suo padre e ai servitori del padre. — Ge 17:23-27.
Un anno dopo nacque Isacco; Ismaele aveva allora 14 anni. (Ge 16:16; 21:5) Cinque anni più tardi, nel
1913 a.E.V., il giorno in cui Isacco fu svezzato, Ismaele fu sorpreso mentre “si prendeva gioco” del
fratellastro minore. (Ge 21:8, 9) Non era un innocente gioco da bambini, ma, come fa intendere il versetto
successivo Ge 21:10, Ismaele forse scherniva Isacco riguardo all’eredità. L’apostolo Paolo dice che
quegli avvenimenti erano “un dramma simbolico” e spiega che il maltrattamento di Isacco da parte di
Ismaele (che era mezzo egiziano) era una vera e propria persecuzione. Quello fu quindi l’inizio dei
predetti 400 anni di afflizione di Israele, che terminarono con la liberazione dalla schiavitù d’Egitto nel
1513 a.E.V. — Gal 4:22-31; Ge 15:13; At 7:6; vedi ISACCO.
Il disprezzo che Ismaele manifestò nei confronti di Isacco portò all’espulsione sua e della madre dalla
casa di Abraamo; ad essi fu comunque provveduto il necessario per il viaggio. Abraamo “prese del pane
e un otre d’acqua e lo diede ad Agar, ponendolo sulla sua spalla, e il fanciullo, e quindi la congedò”. (Ge
21:14) Secondo alcuni questo vorrebbe dire che anche Ismaele, che aveva ormai 19 anni, fu caricato
sulle spalle di Agar, e così parrebbe secondo qualche traduzione. (Ga; LXX, ed. Bagster) Stando però ad
alcuni linguisti, la frase “ponendolo sulla sua spalla” sarebbe solo parentetica, inserita per spiegare in che
modo Agar portava il pane e l’acqua; se infatti si pone questa frase tra parentesi o fra due virgole, la
difficoltà scompare. C. F. Keil e F. Delitzsch affermano che l’espressione “e il fanciullo” dipende dal verbo
principale “prese” e non da “diede” o da “ponendolo”. “Il fanciullo” è collegato a “prese” dalla congiunzione
“e”. L’idea è dunque questa: Abraamo prese pane e acqua e li diede ad Agar (mettendoglieli sulla spalla)
e prese anche il ragazzo e glielo diede. — Commentary on the Old Testament, 1973, vol. I, Il Primo Libro
di Mosè, pp. 244, 245.
Agar a quanto pare smarrì la strada nel deserto di Beer-Seba, e quando l’acqua finì e Ismaele si sentì
esausto, “essa gettò il fanciullo sotto uno dei cespugli”. (Ge 21:14, 15) L’espressione “gettò il fanciullo”
non significa che Ismaele fosse un bambino portato in braccio. La parola ebraica yèledh (fanciullo) non
indica necessariamente un neonato, ma spesso si riferisce a un adolescente o a un uomo giovane. Del
giovane Giuseppe (all’epoca 17enne) è detto che fu venduto in schiavitù dopo che Ruben aveva
implorato: “Non peccate contro il fanciullo [yèledh]”. Anche Lamec parlò di “un giovane [yèledh]” che lo
aveva ferito. — Ge 42:22; 4:23; vedi anche 2Cr 10:8.
Nemmeno il gesto di Agar di ‘gettare’ giù il fanciullo implica che lo portasse in braccio e sulle spalle,
anche se evidentemente sorreggeva il figlio stanco. È probabile che abbia smesso di sorreggerlo
all’improvviso, come fecero quelli che portarono zoppi e infermi a Gesù e “li gettarono praticamente ai
suoi piedi”. — Mt 15:30.
In armonia col significato del suo nome, “Dio udì” l’invocazione d’aiuto di Ismaele, provvide l’acqua
necessaria e gli concesse di vivere e diventare un arciere. Ismaele visse da nomade nel deserto di
Paran, adempiendo così la profezia che diceva di lui: “Diverrà una zebra d’uomo. La sua mano sarà
contro tutti, e la mano di tutti sarà contro di lui; e risiederà davanti alla faccia di tutti i suoi fratelli”. (Ge
21:17-21; 16:12) Agar trovò una moglie egiziana per suo figlio che col tempo ebbe 12 figli, capi principali
e capifamiglia della promessa “grande nazione” degli ismaeliti. Ismaele ebbe anche almeno una figlia,
Maalat, che sposò Esaù. — Ge 17:20; 21:21; 25:13-16; 28:9; vedi ISMAELITI.
All’età di 89 anni Ismaele aiutò Isacco a seppellire il loro padre Abraamo. Dopo di che visse ancora 48
anni; morì nel 1795 a.E.V. all’età di 137 anni. (Ge 25:9, 10, 17) Non si ha notizia che Ismaele sia stato
seppellito nella caverna di Macpela dove furono sepolti Abraamo e Isacco, con le rispettive mogli. — Ge
49:29-31.

w81 1/5 8-9 Perseguitato da bambino


La Parola di Dio è vivente
Perseguitato da bambino
SE SEI un giovane, riscontrerai probabilmente che oggi è difficile essere veri cristiani. Forse sei deriso
perché non fumi o non ti droghi. O forse sei perseguitato perché non partecipi a cerimonie o celebrazioni
che contrastano con i princìpi biblici. Questo ci fa ricordare la persecuzione di Isacco, il piccolo figlio di
Abraamo e della sua diletta moglie Sara.
Per Isacco i guai raggiunsero il punto critico durante un convito dato da Abraamo il giorno in cui Isacco fu
svezzato. A quel tempo Isacco aveva circa cinque anni. Allora le madri allattavano i figli molto più a
lungo. Durante il convito, Ismaele, figlio adolescente di Abraamo e della sua schiava egiziana Agar,
cominciò a prendersi gioco del piccolo fratellastro e a schernirlo. Non era una semplice lite tra ragazzi.
C’era malizia negli scherni rivolti al bambino. La Bibbia dice che Ismaele in effetti “perseguitava” Isacco.
— Gal. 4:29.
Sara se ne accorse e la cosa non le piacque affatto. Evidentemente gli scherni che Ismaele rivolgeva a
Isacco avevano a che fare con la questione di chi avrebbe ereditato ciò che era stato dato ad Abraamo.
Perciò Sara andò da Abraamo e gli disse: ‘Di’ ad Agar e a suo figlio di andarsene. Egli non avrà parte
dell’eredità che appartiene a mio figlio, Isacco’.
Questo turbò Abraamo. Non voleva mandar via Ismaele, perché anch’egli era suo figlio. Ma Dio disse ad
Abraamo di ascoltare sua moglie Sara. Perciò Abraamo diede ad Agar e a Ismaele le provviste
necessarie per il viaggio e li mandò via. — Gen. 21:8-14.
Chi è perseguitato può trarre conforto da questo racconto biblico riguardo a Isacco. Perché? Perché a
tempo debito gli scherni di Ismaele furono fatti cessare. Geova Dio fece in modo che Abraamo agisse per
eliminare dalla sua famiglia la causa del problema. In modo analogo oggi Dio non permetterà mai che tu
soffra più di quanto puoi sopportare. Ti darà la forza di resistere o farà in modo che a un certo punto la
causa del problema sia eliminata. — I Cor. 10:13.

w81 1/10 26 L'adempimento della parola di Dio è certo


L’adempimento della parola di Dio è certo
Geova Dio disse ad Abraamo: “Riguardo a Ismaele ti ho udito. Ecco, di sicuro io lo benedirò e lo renderò
fecondo e lo moltiplicherò assai, assai. Egli produrrà per certo dodici capitribù e davvero lo farò divenire
una grande nazione”. (Gen. 17:20) All’epoca Ismaele, figlio di Abraamo, aveva circa tredici anni. (Gen.
16:16; 17:1) Nessun uomo avrebbe potuto predire che quel ragazzo un giorno sarebbe diventato padre di
dodici capitribù. Ma l’onnisapiente Creatore lo predisse. Due racconti storici additano l’adempimento della
promessa divina, elencando i seguenti dodici capitribù: Nebaiot, Chedar, Adbeel, Mibsam, Misma, Duma,
Massa, Adad, Tema, Ietur, Nafis e Chedema. (Gen. 25:13-15; I Cron. 1:29-31) Un esempio davvero
chiaro che la profetica parola di Dio si adempie con certezza!

Ittai — Tema: Siate leali a quelli che prendono la direttiva EBREI 13:17

it-2 76 Ittai
ITTAI
(Ittài) [forma di Itiel].
1. Guerriero gattita, presumibilmente della città filistea di Gat, molto leale a Davide. Quando Davide e la
sua corte fuggirono da Gerusalemme a motivo della ribellione di Absalom, 600 gattiti, incluso Ittai, lo
seguirono. Davide tentò di dissuadere Ittai dall’abbandonare la città, ma egli espresse la sua grande
devozione in questi termini: “Come Geova vive e come vive il mio signore il re, nel luogo dove sarà il mio
signore il re, sia per la morte che per la vita, lì sarà il tuo servitore!” Allora Davide permise a Ittai di
proseguire con lui. — 2Sa 15:18-22.
Dopo aver fatto il censimento delle sue forze armate, Davide nominò questo non israelita, Ittai, insieme a
Gioab e Abisai, comandanti ciascuno di un terzo dell’esercito. — 2Sa 18:2, 5, 12.
dx86-96 Davide
lealtà di Ittai a Davide: it-2 76

Izebel (n. 1) — Tema: I malvagi non sfuggiranno al giudizio di Geova ISAIA 57:20, 21

it-2 80-1 Izebel


IZEBEL
(Ìzebel) [da un nome fenicio che forse significa “Dov’è il sublime (cioè il principe)?”].
1. Moglie di Acab, re di Israele nella seconda metà del X secolo a.E.V. Fu una regina dispotica, fervente
sostenitrice del baalismo a spese dell’adorazione di Geova. In questo assomigliava a suo padre Etbaal, il
re di Sidone identificato dall’antico storico Menandro (secondo Giuseppe Flavio, Contro Apione, I, 116,
123 [18]) con un sacerdote di Astarte (Astoret) che conquistò il trono assassinando il suo stesso re. —
1Re 16:30, 31.
Molto probabilmente il matrimonio di Acab con la principessa pagana Izebel fu fatto per ragioni politiche,
senza tener conto delle disastrose conseguenze religiose. E dopo aver stretto una simile alleanza era
solo logico che il passo successivo per piacere alla moglie, devota adoratrice di Baal, fosse quello di
costruire un tempio e un altare a Baal, erigere un “palo sacro” fallico e partecipare con lei all’adorazione
idolatrica. In tutto questo Acab offese Geova più di tutti gli altri re di Israele prima di lui. — 1Re 16:32, 33.
Izebel, non soddisfatta che l’adorazione di Baal fosse ufficialmente approvata dalla Corona, cercò di
eliminare l’adorazione di Geova dal paese. Perciò ordinò che fossero uccisi tutti i profeti di Geova, ma Dio
avvertì Elia di fuggire al di là del Giordano, e Abdia, amministratore del palazzo reale, nascose altri cento
profeti in caverne. (1Re 17:1-3; 18:4, 13) Qualche tempo dopo Elia fuggì di nuovo per mettersi in salvo
quando Izebel gli fece sapere per mezzo di un messaggero di aver fatto voto di ucciderlo. — 1Re 19:1-4,
14.
C’erano 450 profeti di Baal e 400 profeti del palo sacro, tutti protetti da Izebel e cibati alla sua tavola a
spese dello stato. (1Re 18:19) Ma nonostante i suoi fanatici tentativi di eliminare l’adorazione di Geova,
alla fine ‘tutte le ginocchia che non si erano piegate a Baal, e ogni bocca che non l’aveva baciato’
ammontavano, come rivelò Geova, a 7.000 persone. — 1Re 19:18.
Quello che Izebel fece a Nabot ci dà pure un’idea della malvagità di questa donna, estremamente
egoista, senza scrupoli, arrogante, crudele. Quando Acab cominciò a fare il broncio e a essere di
malumore perché Nabot non voleva vendergli la vigna che aveva avuto in eredità, questa donna senza
scrupoli scavalcò impudentemente l’autorità del marito e dichiarò con arroganza: “Io stessa ti darò la
vigna di Nabot”. (1Re 21:1-7) Essa scrisse lettere che firmò e sigillò a nome di Acab, ordinando agli
anziani e ai nobili del paese di Nabot di disporre che uomini buoni a nulla lo accusassero falsamente di
aver maledetto Dio e il re, e che quindi Nabot fosse trascinato fuori e lapidato. In tal modo, calpestando la
giustizia, Nabot fu messo a morte. Acab allora s’impadronì della vigna e si accinse a trasformarla in orto.
— 1Re 21:8-16.
A motivo di tale sfacciato disprezzo per la giustizia, Geova decretò che Acab e i suoi discendenti fossero
tolti di mezzo. “Senza eccezione nessuno ha mostrato d’essere come Acab, che si è venduto per fare ciò
che è male agli occhi di Geova, che Izebel sua moglie ha istigato”. Il giudizio di Geova contro Izebel fu: “I
medesimi cani mangeranno Izebel”. — 1Re 21:17-26.
A suo tempo Acab morì e gli succedette prima il figlio Acazia, avuto da Izebel, che regnò per due anni,
poi un altro figlio di lei, Ieoram, che regnò per altri 12 anni prima che la dinastia di Acab avesse
finalmente termine. (1Re 22:40, 51-53; 2Re 1:17; 3:1) Durante il regno dei figli, Izebel, ora in veste di
regina madre, continuò a corrompere il paese con le sue fornicazioni e stregonerie. (2Re 9:22) La sua
influenza si fece sentire anche in Giuda, nel regno meridionale, dove la sua malvagia figlia Atalia, che
aveva sposato il re di Giuda, dopo la morte della madre ne perpetuò per altri sei anni lo spirito. — 2Re
8:16-18, 25-27; 2Cr 22:2, 3; 24:7.
Quando seppe che Ieu aveva ucciso suo figlio, il re Ieoram, e che era diretto a Izreel, Izebel astutamente
si truccò gli occhi, si acconciò i capelli e si affacciò a una finestra superiore del palazzo che dava sulla
piazza. Di là salutò l’ingresso trionfale del vincitore dicendo: “È andato tutto bene a Zimri l’uccisore del
suo signore?” Quel sarcastico saluto era probabilmente una velata minaccia, poiché Zimri, dopo aver
ucciso il suo re e averne usurpato il trono, sentendosi minacciato si era suicidato sette giorni dopo. —
2Re 9:30, 31; 1Re 16:10, 15, 18.
La risposta di Ieu a quell’accoglienza ostile fu: “Chi è per me? Chi?” Due o tre cortigiani si affacciarono,
ed egli ordinò: “Fatela cadere!” Per la violenta caduta, il sangue di Izebel imbrattò il muro e i cavalli, ed
essa fu calpestata, presumibilmente dai cavalli. Poco dopo, quando alcuni uomini vennero per seppellirla
poiché era “figlia di un re”, trovarono che i cani randagi l’avevano divorata, proprio come “la parola di
Geova che egli pronunciò per mezzo del suo servitore Elia” aveva predetto, lasciando solo il teschio, i
piedi e le palme delle mani a riprova che tutto ciò che Geova dice si avvera. — 2Re 9:32-37.

w97 15/9 18 Chi sopravvivrà al "giorno di Geova"?


“Chi è per me? Chi?”
8 Coloro che sperano di sopravvivere al “giorno di Geova” devono anche essere decisi nel fare la volontà
divina. Elia predisse intrepidamente la distruzione della famiglia di Acab, costituita da assassini e
adoratori di Baal. (1 Re 21:17-26) Comunque, prima che questa sentenza fosse eseguita, Eliseo,
successore di Elia, dovette portare a termine una certa opera rimasta incompiuta. (1 Re 19:15-17)
Quando arrivò il tempo stabilito da Geova, Eliseo ordinò a un servitore di andare a ungere Ieu, capo
dell’esercito, come nuovo re d’Israele. Dopo avergli versato dell’olio sulla testa, il messaggero disse a
Ieu: “Geova l’Iddio d’Israele ha detto questo: ‘In effetti ti ungo come re sul popolo di Geova, cioè su
Israele. E devi abbattere la casa di Acab tuo signore, e io devo vendicare il sangue dei miei servitori i
profeti e il sangue di tutti i servitori di Geova dalla mano di Izebel. E l’intera casa di Acab deve perire’”. La
malvagia regina Izebel sarebbe stata gettata in pasto ai cani e non avrebbe ricevuto una degna sepoltura.
— 2 Re 9:1-10.
9 Gli uomini di Ieu riconobbero la validità della sua unzione e lo acclamarono nuovo re di Israele. Agendo
con decisione, Ieu si diresse velocemente verso Izreel per iniziare la sua opera di giustiziere contro gli
apostati promotori del culto di Baal. Il primo a essere colpito dalla micidiale freccia di Ieu fu il re Ieoram,
figlio di Acab. Era uscito col suo carro dalla città per chiedere a Ieu se era lì per una missione di pace.
“Che pace ci potrebbe essere finché ci sono le fornicazioni di Izebel tua madre e le sue molte
stregonerie?”, rispose Ieu. A ciò la freccia di Ieu trapassò il cuore di Ieoram. — 2 Re 9:22-24.
10 Le donne devote evitano di comportarsi come Izebel o come chiunque mostri caratteristiche simili.
(Rivelazione 2:18-23) Quando Ieu raggiunse Izreel, Izebel cercò di farsi bella. Guardando giù dalla
finestra, lo salutò con una velata minaccia. Ieu chiese ai servitori di Izebel: “Chi è per me? Chi?”
Immediatamente due o tre funzionari di corte guardarono giù. Erano dalla parte di Ieu? “Fatela cadere!”,
gridò. Al che essi agirono con decisione, scaraventando la perfida Izebel giù dalla finestra, dove venne
calpestata, presumibilmente dagli zoccoli dei cavalli. Quando andarono per seppellirla, ‘non trovarono
altro che il suo teschio, i piedi e le palme delle mani’. Che drammatico adempimento delle parole di Elia:
“I cani mangeranno la carne di Izebel”! — 2 Re 9:30-37.

w95 1/7 16-17 L'"Israele di Dio" e la "grande folla"


Dopo la morte di Salomone, il popolo di Dio si divise dando vita alla nazione di Israele a nord, sotto il re
Geroboamo, e alla nazione di Giuda a sud, sotto il re Roboamo. Poiché il tempio, il centro della pura
adorazione, si trovava nel territorio di Giuda, Geroboamo istituì un’illecita forma di adorazione erigendo
immagini di vitelli nel territorio della sua nazione. Inoltre “faceva una casa di alti luoghi e faceva sacerdoti
dal popolo in genere, che non erano dei figli di Levi”. (1 Re 12:31) La nazione settentrionale sprofondò
ancora di più nella falsa adorazione quando il re Acab permise alla moglie Izebel, una straniera, di
istituire il culto di Baal nel paese. Infine Geova emanò un giudizio contro il regno ribelle. Tramite Osea
disse: “Il mio popolo sarà certamente ridotto al silenzio, perché non c’è conoscenza. Poiché la
conoscenza è ciò che tu stesso hai rigettato, anch’io ti rigetterò dal farmi da sacerdote”. (Osea 4:6) Poco
dopo gli assiri spazzarono via il regno settentrionale di Israele.

w90 1/4 30 "Quella donna, Izebel"


“Quella donna, Izebel”
“HO QUESTO contro di te, che tolleri quella donna, Izebel, che si dice profetessa, e insegna e svia i miei
schiavi a commettere fornicazione e a mangiare cose sacrificate agli idoli”. (Rivelazione 2:20) Così disse
Gesù agli anziani cristiani di Tiatira. La congregazione era molto attiva e aveva manifestato amore, fede e
perseveranza. Tuttavia, aveva tollerato l’influenza corruttrice di Izebel. Perché? E potrebbe una tal cosa
accadere oggi? — Rivelazione 2:19.
Probabilmente, a Tiatira nessuno si chiamava Izebel. Gesù usò tale nome per rammentarci la storica
regina Izebel, moglie del re Acab. Quella donna energica corruppe completamente il popolo di Dio
quando introdusse in Israele l’immorale culto di Baal, lanciando una determinata campagna per
sopprimere la pura adorazione. — 1 Re 16:31-33; 21:1-7.
La Izebel di Tiatira — una donna o un gruppo di donne — incoraggiava similmente l’immoralità e
l’idolatria fra il popolo di Dio. Alcuni nella congregazione l’ascoltarono, poiché Gesù parla dei “suoi figli”,
riferendosi probabilmente a suoi seguaci. (Rivelazione 2:22, 23) La sua influenza minacciava di rendere
la congregazione di Tiatira tanto corrotta quanto lo fu Israele ai giorni di Acab.
Perché la Izebel di Tiatira era così influente? Guardando il parallelo della Izebel dell’antichità, alcuni
hanno pensato che fosse la moglie dell’anziano che prendeva la direttiva a Tiatira. Comunque, la Bibbia
non lo dice. È più probabile che la sua forte personalità e il fatto che asseriva d’essere profetessa le
facessero godere di un certo credito nella congregazione.
È stato suggerito che le pratiche errate da lei promosse avessero a che fare con le corporazioni di arti e
mestieri. Secondo il dott. W. M. Ramsay, “si conoscono più corporazioni di arti e mestieri a Tiatira che in
qualsiasi altra città dell’Asia”. Di queste, The Interpreter’s Dictionary of the Bible dice: “Ciascuna di tali
corporazioni aveva il suo dio patrono, le sue feste, le sue occasioni sociali che potevano a volte
trasformarsi in gozzoviglie immorali. ‘Izebel’ può aver argomentato che . . . queste gozzoviglie non
fossero da condannare poiché, per guadagnarsi da vivere, ogni lavoratore doveva appartenere a una
corporazione”. The Expositor’s Greek Testament è d’accordo con questo, suggerendo che i seguaci di
Izebel “andavano orgogliosi del loro illuminato liberalismo”.
Infatti, l’insegnamento che Izebel promuoveva a Tiatira assomigliava all’“insegnamento di Balaam” che
veniva impartito a Pergamo. (Rivelazione 2:14) La congregazione di Pergamo aveva sopportato molta
persecuzione, ma lì alcuni imitavano il Balaam dell’antichità promuovendo fornicazione e idolatria. È stata
avanzata l’ipotesi che a Pergamo l’influenza di Balaam incoraggiasse a fare compromesso in modo da
evitare l’aspra persecuzione, mentre a Tiatira Izebel incoraggiasse a fare compromesso per ragioni
economiche. Sia nell’uno che nell’altro caso, quegli insegnamenti non erano che mortifera apostasia.
Potrebbe oggi esistere un’influenza paragonabile a quella di Izebel o di Balaam? Sì, certamente. Molti
capi della cristianità imitano Izebel tollerando nelle loro congregazioni omosessualità, fornicazione,
adulterio, aborto e cose simili che Dio condanna. Perfino all’interno della congregazione cristiana alcuni
individui hanno promosso una “liberalizzazione” della vera adorazione, incoraggiando i cristiani a non
aderire rigidamente alle norme della Bibbia e promuovendo addirittura l’immoralità.
Tutti quelli che vogliono piacere a Geova dovrebbero evitare tali idee, anche se sono presentate da
individui — uomini o donne — dalla personalità vivace o vigorosa. Oggi questo modo di pensare è
altrettanto mortifero quanto lo era nel I secolo. — Rivelazione 2:22, 23.

w89 1/4 13 Udite ciò che lo spirito dice alle congregazioni


12 Gesù mise in guardia la congregazione di Pergamo anche contro quelli “che si attengono
all’insegnamento di Balaam”. (Rivelazione 2:14) Che insegnamento era questo? A Pergamo qualcuno
stava corrompendo i cristiani allo stesso modo in cui Balaam corruppe gli israeliti nel deserto:
incoraggiandoli “a mangiare cose sacrificate agli idoli e a commettere fornicazione”. (Numeri 25:1-5; 31:8)
Gesù mise in guardia la congregazione di Tiatira contro “quella donna Izebel”. Anche questa donna
insegnava ai cristiani “a commettere fornicazione e a mangiare cose sacrificate agli idoli”. (Rivelazione
2:20) Satana ha cercato forse di introdurre un’influenza simile a quella di Balaam o di Izebel nell’odierna
congregazione cristiana? Sì, lo ha fatto, tanto che ogni anno vengono disassociate quasi 40.000 persone,
per lo più a causa di immoralità. Che tragedia! Sia uomini simili a Balaam che donne simili a Izebel si
sono ribellati agli anziani cercando di corrompere la congregazione. Ci sia dato di resistere con tutte le
nostre forze a tali influenze impure! — 1 Corinti 6:18; 1 Giovanni 5:21.

w86 15/9 16 Consigli che sono 'conditi con sale'


L’esempio del “Consigliere meraviglioso”
4 Esaminate l’esempio di Gesù, il “Consigliere meraviglioso”. (Isaia 9:6) Alla fine del I secolo, Gesù fece
mandare a sette congregazioni della provincia dell’Asia delle lettere che contenevano consigli. Queste
lettere possono rappresentare un ottimo modello per gli anziani che devono dare consigli alle rispettive
congregazioni; gli stessi princìpi inoltre valgono anche se si devono dare consigli a livello personale. I
problemi presi in considerazione da Gesù erano molto seri: apostasia, l’influenza di una donna che era
simile all’antica Izebel, indifferenza e materialismo, tra le altre cose. (Rivelazione 2:4, 14, 15, 20-23; 3:1,
14-18) Perciò Gesù trattò questi problemi in modo esplicito. Non c’erano dubbi su ciò che voleva dire alle
singole congregazioni. Oggi, quando gli anziani cristiani danno consigli alle congregazioni dovrebbero
‘condirli’ con umiltà e gentilezza, come faceva Gesù. (Filippesi 2:3-8; Matteo 11:29) D’altra parte, sempre
a imitazione di Gesù, devono essere espliciti. I loro consigli non dovrebbero essere così vaghi e così
generici che la congregazione non capisce il punto.

w84 15/4 26 Rigettate i desideri mondani!


18 Per quanto riguarda l’ornamento femminile, l’atteggiamento dell’immodesta, mondana Izebel era ben
diverso da quello della modesta, devota, sia pure ben vestita Ester! (II Re 9:30; Ester 2:7; 5:1)
Ovviamente le donne cristiane desiderano somigliare a Ester. Quindi si adornano “con veste
convenevole, con modestia e sanità di mente”. Il loro principale ornamento è la “persona segreta del
cuore nella veste incorruttibile dello spirito quieto e mite, che è di grande valore agli occhi di Dio”. — I
Timoteo 2:9; I Pietro 3:3-5.

W99 15-2 P.20 §9 ,10

Labano (n. 1) — Tema: Siate onesti nei rapporti con gli altri EBREI 13:5, 17

it-2 84-5 Labano


LABANO
(Làbano) [bianco].
1. Nipote di Nahor fratello di Abraamo. Era figlio di Betuel, fratello di Rebecca (Ge 24:15, 29; 28:5) e
padre di Lea e Rachele. (Ge 29:16) Risiedeva nella città di Haran in Paddan-Aram, una regione della
Mesopotamia. — Ge 24:10; 27:43; 28:6; 29:4, 5.
Labano è chiamato “figlio di Betuel il siro [lett. “l’arameo”]”, e anche “Labano il siro”. (Ge 28:5; 25:20;
31:20, 24) Quest’ultimo appellativo è appropriato dal momento che egli risiedeva in Paddan-Aram, che
significa “pianura di Aram (Siria)”. Labano era semita e viveva in una regione la cui popolazione parlava
aramaico, una lingua semitica.
L’anziano Abraamo mandò il suo servitore a cercare moglie per Isacco in quella regione. (Ge 24:1-4, 10)
Quando Rebecca descrisse a Labano il suo incontro col servitore di Abraamo e gli fece vedere i doni che
aveva ricevuto, egli corse dal servitore chiamandolo benedetto da Geova, e offrendogli ospitalità. (Ge
24:28-32) In seguito Labano ebbe una parte importante nelle trattative relative al matrimonio di Rebecca,
poiché l’approvazione del matrimonio dipendeva sia da lui che dal padre, Betuel. — Ge 24:50-61.
Anni dopo, per sfuggire alla vendetta di Esaù e per trovare moglie, Giacobbe si recò ad Haran in casa di
suo zio Labano. (Ge 27:41–28:5) In quel tempo Labano aveva due figlie, Lea e Rachele (Ge 29:16), e
forse anche dei figli. (Ge 31:1) Labano pattuì con Giacobbe di dargli in moglie la figlia minore, Rachele, in
cambio di sette anni di lavoro. Tuttavia, la notte delle nozze, Labano ingannò Giacobbe dandogli la figlia
maggiore Lea invece di Rachele; ignorò poi le sue proteste con la scusa dell’usanza locale, e gli offrì
Rachele come seconda moglie, in cambio di altri sette anni di lavoro. — Ge 29:13-28.
Quando alla fine Giacobbe voleva andarsene, Labano lo invitò a rimanere e a continuare a servirlo per un
salario. (Ge 30:25-28) Fu convenuto che Giacobbe poteva tenere per sé tutte le pecore variegate e
macchiate, le pecore marrone scuro fra i giovani montoni e tutte le capre variegate e macchiate. (Ge
30:31-34) Ma le parole che in seguito Giacobbe rivolse a Lea e Rachele e anche a Labano (Ge 31:4-9,
41) indicano che negli anni successivi, quando fu evidente che i greggi di Giacobbe aumentavano
notevolmente, Labano alterò più volte l’accordo originale. L’atteggiamento di Labano nei confronti di
Giacobbe non era più lo stesso e, per comando di Geova, Giacobbe decise di tornarsene al suo paese
con la famiglia e i greggi. — Ge 31:1-5, 13, 17, 18.
Informato il terzo giorno della partenza segreta di Giacobbe, Labano lo inseguì e lo raggiunse nella
regione montagnosa di Galaad. Ma un avvertimento di Dio trattenne Labano dal fare del male a
Giacobbe. (Ge 31:19-24) Quando si incontrarono, Labano e Giacobbe litigarono. Giacobbe ricordò a
Labano i 20 anni di fedele servizio e di duro lavoro e gli fece notare che non era stato leale con lui,
avendo cambiato dieci volte il suo salario. — Ge 31:36-42.
Labano era molto ansioso di ricuperare i terafim, gli idoli domestici che Rachele, all’insaputa di Giacobbe,
aveva portato via, ma non riuscì a trovarli perché Rachele li teneva nascosti. Labano poteva essere stato
influenzato dalle idee religiose degli adoratori della luna fra cui viveva, come si può dedurre dal fatto che
ricercava presagi e possedeva i terafim. Tuttavia si noti che probabilmente c’erano altre ragioni oltre
quelle religiose che potevano renderlo così ansioso di trovare e ricuperare i terafim. Una delle tavolette
rinvenute a Nuzi presso Kirkuk, in Iraq, rivela che secondo le leggi patriarcali del luogo il possesso degli
idoli domestici da parte del marito di una donna poteva dargli il diritto di presentarsi in giudizio e
reclamare la proprietà del suocero defunto. Perciò può darsi che Labano abbia pensato che Giacobbe
stesso avesse rubato i terafim per spodestare poi i suoi figli. Questo può spiegare perché, non trovando
gli dèi familiari, Labano fosse ansioso di concludere un accordo con Giacobbe per assicurarsi che questi
non sarebbe tornato dopo la sua morte con gli dèi familiari per privare i suoi figli dell’eredità. — Ge 31:30-
35, 41-52.
Labano e Giacobbe fecero un patto di pace e a ricordo di ciò eressero una colonna di pietra e un mucchio
di pietre. Giacobbe chiamò il mucchio Galeed, che in ebraico significa “mucchio di testimonianza”.
Labano lo chiamò Iegar-Saaduta, espressione aramaica o siriaca che vuol dire la stessa cosa. Fu
chiamato anche “La Torre di Guardia”. (Ge 31:43-53) Dopo aver salutato i nipoti e le figlie, Labano tornò
a casa, e nella Bibbia non si fa più menzione di lui. — Ge 31:54, 55.

W61 P.345, 346

Lamec (n. 1) — Tema: La violenza genera violenza ROMANI 12:17-19

it-2 88 Lamec
LAMEC
(Làmec).
1. Figlio di Metusael e discendente di Caino. (Ge 4:17, 18) Lamec nacque mentre Adamo era ancora in
vita. Lamec ebbe contemporaneamente due mogli, Ada e Zilla, ed è il primo poligamo menzionato nella
Bibbia. (Ge 4:19) Da Ada ebbe i figli Iabal, “fondatore di quelli che dimorano in tende e hanno bestiame”,
e Iubal, “fondatore di tutti quelli che maneggiano l’arpa e il flauto”. (Ge 4:20, 21) Da Zilla ebbe Tubal-Cain,
“forgiatore di ogni sorta di arnese di rame e di ferro”, e una figlia di nome Naama. — Ge 4:22.
La poesia che Lamec compose per le mogli (Ge 4:23, 24) riflette lo spirito violento dell’epoca: “Udite la
mia voce, mogli di Lamec; prestate orecchio al mio dire: ho ucciso un uomo perché mi ha ferito, sì, un
giovane perché mi ha dato un colpo. Se Caino dev’essere vendicato sette volte, allora Lamec settanta
volte e sette”. Lamec evidentemente sosteneva che il suo era stato un caso di legittima difesa e si
giustificava dicendo che non era stato un omicidio volontario come quello di Caino. Affermava che, nel
difendersi, aveva ucciso l’uomo che l’aveva colpito e ferito. Perciò nella sua poesia chiedeva protezione
da chiunque desiderasse vendicarsi su di lui perché aveva ucciso il suo assalitore.
A quanto pare nessuno dei discendenti di Caino, compresa la progenie di Lamec, sopravvisse al Diluvio.

W60 P.233

Lazzaro (n. 1) — Tema: L’ospitalità reca benedizioni ROMANI 12:13

it-2 101-2 Lazzaro


LAZZARO
[prob., forma greca del nome ebraico Eleazaro, che significa “Dio ha aiutato”].
1. Fratello di Marta e Maria; la sua risurrezione fu uno dei più notevoli miracoli di Gesù Cristo. (Gv 11:1,
2) Gesù amava profondamente questa famiglia che abitava a Betania, sulla strada per Gerico a “circa tre
chilometri” da Gerusalemme (Gv 11:5, 18, nt.), ed era stato loro ospite, forse di frequente. — Lu 10:38-
42.
Le due sorelle mandarono a dire a Gesù, che in quei giorni si trovava oltre il Giordano, che il loro fratello
Lazzaro era molto malato. Senza dubbio nutrivano la speranza che Gesù l’avrebbe guarito. (Gv 11:3, 21,
32) Tuttavia, invece di recarsi immediatamente a Betania, o di guarire Lazzaro da lontano, come era
avvenuto nel caso del servo di un ufficiale dell’esercito (Mt 8:5-13), Gesù rimase dov’era per altri due
giorni. Quando giunse nelle vicinanze di Betania gli andarono incontro prima Marta e poi Maria. Lazzaro
ormai era morto già da quattro giorni. — Gv 11:6, 17, 20, 30-32.
Parlando con Marta, Gesù colse l’occasione per dare risalto alla risurrezione. (Gv 11:23-27) Presto le sue
parole avrebbero assunto maggior significato. Giunto alla tomba o caverna dove Lazzaro era sepolto,
Cristo ordinò che fosse tolta la pietra che ne chiudeva l’entrata. Poi, con la preghiera che rivolse al Padre
celeste, dimostrò che un motivo per cui avveniva tutto ciò era quello di far capire alla folla presente che
egli era stato mandato da Dio. (Gv 11:38-42) Quindi gridò al defunto Lazzaro di uscire dalla tomba, ed
egli uscì, senza dubbio tra lo stupore e la gioia dei presenti. — Gv 11:43, 44.
Questo miracolo indusse molti a riporre fede in Gesù, ma spinse i capi sacerdoti e i farisei a tramare la
sua morte. La collera dei capi sacerdoti aumentò quando una gran folla di ebrei venne a vedere non solo
Gesù, ma anche il risuscitato Lazzaro. A motivo di Lazzaro molti ebrei riponevano fede in Gesù, e perciò i
capi sacerdoti tennero consiglio per uccidere anche lui. (Gv 11:45-53; 12:1-11) Tuttavia non c’è alcuna
prova biblica che i nemici religiosi abbiano attuato il loro malvagio piano contro Lazzaro.
La descrizione che fa Giovanni della risurrezione di Lazzaro è stata contestata da alcuni critici della
Bibbia. Essi fanno notare che gli altri Vangeli non menzionano l’episodio. Un esame di questi rivela però
che neanche gli scrittori dei Vangeli sinottici riferirono ogni azione compiuta da Gesù. Per esempio, solo
Luca parla della risurrezione del figlio della vedova di Nain. (Lu 7:11-15) Giovanni non era solito ripetere
quello che avevano scritto altri. La risurrezione di Lazzaro ne è un notevole esempio.
Il miracolo della risurrezione di Lazzaro fu un aspetto importante del ministero di Gesù: servì sia per
illustrare il potere del Figlio di Dio sia per accrescere la fede in lui e nella risurrezione. (Gv 11:4, 41, 42)
Evidentemente si verificò all’inizio del 33 E.V. Le Scritture non forniscono informazioni per quanto
riguarda le circostanze, il luogo e la data della morte di Lazzaro dopo la risurrezione. — Vedi
RISURREZIONE (Risurrezioni anteriori al riscatto).
Non c’è alcuna indicazione biblica né alcuna ragione per collegare questo personaggio storico col
mendicante della parabola di Gesù del ricco e di Lazzaro.

w81 1/7 24-5 Che accade alla morte?


La Parola di Dio è vivente
Che accade alla morte?
LAZZARO, un caro amico di Gesù, è morto. Gesù però dice ai discepoli: “Lazzaro, il nostro amico, è
andato a riposare, ma io vado a svegliarlo dal sonno”.
“Signore, se è andato a riposare, sarà sanato”, rispondono i discepoli.
Allora Gesù dice chiaramente loro: “Lazzaro è morto”.
Perché Gesù ha detto che Lazzaro dormiva, se in effetti è morto? Che accade alla morte? Saremo aiutati
a rispondere a queste domande riflettendo su ciò che avvenne quando Gesù si recò da Lazzaro.
Quando Marta, sorella di Lazzaro, sente che Gesù sta per arrivare, gli corre incontro. Poco dopo vengono
ad incontrare Gesù anche Maria, l’altra sorella, e tutti gli amici. Quando Gesù vede il loro dolore, piange e
chiede: “Dove l’avete posto?”
Giunti alla tomba commemorativa — è una grotta, contro cui è posta una pietra — Gesù dice: “Togliete la
pietra”. A questo punto, come potete vedere, Marta protesta, dicendo: “Signore, ormai deve puzzare”.
Dalla morte di Lazzaro sono passati quattro giorni. Ma, secondo l’esortazione di Gesù, la pietra viene
tolta.
Dopo aver pregato Dio, Gesù grida: “Lazzaro, vieni fuori!” Ed egli ubbidisce! Viene fuori vivo, ancora
avvolto nei panni funebri. “Scioglietelo e lasciatelo andare”, dice Gesù. — Giov. 11:11-44.
Ora riflettete: In che condizione era stato Lazzaro durante quei quattro giorni? Era andato in cielo? Egli
era un uomo buono. Eppure non disse affatto di essere stato in cielo, cosa che avrebbe senz’altro fatto
se ci fosse stato. No, Lazzaro era proprio morto, come aveva detto Gesù. Perché allora all’inizio Gesù
disse ai discepoli che Lazzaro stava solo dormendo?
Ebbene, Gesù sapeva che, essendo morto, Lazzaro era inconscio, come dice la Bibbia: ‘I morti non sono
consci di nulla’. (Eccl. 9:5) Ma come una persona viva può essere svegliata da un profondo sonno, così
Gesù stava per dimostrare che, grazie al potere datogli da Dio, era in grado di risuscitare l’amico
Lazzaro.
Come la persona immersa in un sonno molto profondo non ricorda nulla finché è addormentata, così è
per i morti. Non provano alcuna sensazione. Non esistono più. Ma al tempo stabilito da Dio, i morti da lui
riscattati saranno riportati in vita. Questo dovrebbe senz’altro spingerci a voler ricevere il favore di Dio
così da beneficiare del suo provvedimento della risurrezione ed essere riportati in vita. — Giov. 5:28, 29;
Atti 24:15.
Lea — Tema: Un punto di vista scritturale riguardo all’odio GENESI 29:31; LEVITICO 19:17

it-2 102-3 Lea


LEA
[forse da un termine accadico che significa “vacca” o da un termine arabo che significa “vacca selvatica”].
Figlia maggiore di Labano pronipote di Abraamo. Labano era fratello di Rebecca, madre di Giacobbe, per
cui Lea era cugina di Giacobbe. (Ge 22:20-23; 24:24, 29; 29:16) Lea non era bella come la sorella minore
Rachele; viene notato in particolare che i suoi occhi non brillavano, o erano offuscati (deboli). (Ge 29:17)
In special modo per le donne orientali, avere occhi luminosi o brillanti è segno di bellezza. — Cfr. Ca
1:15; 4:9; 7:4.
Lea diventò la prima moglie di Giacobbe perché di notte Labano lo ingannò dandogliela in moglie invece
di Rachele, che Giacobbe amava. Questi protestò di essere stato truffato, ma Labano ribatté che
secondo l’usanza locale non si doveva dare in moglie la figlia minore prima della primogenita. Lea
probabilmente era velata, in osservanza dell’antico uso orientale che imponeva a una futura sposa di
portare un pesante velo, e questo senza dubbio contribuì al successo dell’inganno. Giacobbe aveva
lavorato sette anni pensando a Rachele, e invece gli fu data Lea. Rachele gli venne concessa dopo che
ebbe celebrato per un periodo di sette giorni il matrimonio con Lea, ma in cambio egli dovette lavorare
altri sette anni. — Ge 29:18-28.
La Bibbia ci dice che Lea era “odiata”. (Ge 29:31, 33) Ma riferisce pure che Giacobbe, dopo aver
finalmente sposato Rachele, “espresse amore a Rachele più che a Lea”. (Ge 29:30) Senza dubbio
Giacobbe non provava rancore per Lea, ma era più affettuoso con Rachele, la moglie prediletta. Continuò
tuttavia a prendersi cura di Lea e ad avere rapporti sessuali con lei. Il fatto che Lea fosse “odiata”
significava solo che Giacobbe l’amava meno di Rachele. — Vedi ODIO.
Lea fu la madre di sette dei figli di Giacobbe: sei maschi, Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issacar e
Zabulon, e una femmina, Dina. (Ge 29:32-35; 30:16-21) Perciò in Rut 4:11 Lea è menzionata insieme a
Rachele poiché “edificarono entrambe la casa d’Israele”. Lea ebbe l’onore di essere la madre di Levi, il
capostipite della tribù sacerdotale di Israele, e di Giuda, padre della tribù reale della nazione.
Lea e i suoi figli accompagnarono Giacobbe quando partì da Paddan-Aram per tornare in Canaan, suo
paese nativo. (Ge 31:11-18) Prima di incontrare Esaù per via, Giacobbe suddivise prudentemente i figli di
Lea, di Rachele e delle loro serve, mettendo queste con i loro figli davanti, poi Lea e i suoi figli, e infine
Rachele con Giuseppe. (Ge 33:1-7) I figli di Lea andarono con Giacobbe in Egitto, ma la Bibbia non dice
che ci sia andata anche lei. (Ge 46:15) La data, il luogo e le circostanze della sua morte non sono
indicati, ma può darsi che sia morta in Canaan. Comunque il patriarca fece deporre il corpo della moglie
nella tomba di famiglia, la caverna del campo di Macpela. Le istruzioni di Giacobbe per la propria
sepoltura indicano che desiderava essere sepolto dove erano stati sepolti Abraamo e Sara, Isacco e
Rebecca, e anche Lea. — Ge 49:29-32.

W61 P.340, 341, 345,


W62 P.714

Levi (n. 1) — Tema: L’ira violenta procura biasimo ROMANI 12:17-19; PROVERBI 22:24

it-2 129-30 Levi


LEVI
[attaccamento; unito].
1. Terzo figlio di Giacobbe e di Lea, nato in Paddan-Aram. (Ge 35:23, 26) Alla sua nascita Lea disse:
“Ora, questa volta, mio marito si unirà a me, perché gli ho partorito tre figli”. Il bambino fu perciò chiamato
Levi, nome il cui significato era evidentemente collegato alla speranza di Lea che fra lei e Giacobbe
nascesse un nuovo legame affettivo. (Ge 29:34) Levi generò Gherson (Ghersom), Cheat e Merari,
fondatori delle tre principali famiglie levitiche. — Ge 46:11; 1Cr 6:1, 16.
Levi, insieme al fratello Simeone, compì un’azione drastica contro coloro che avevano contaminato la loro
sorella Dina. (Ge 34:25, 26, 31) Quell’espressione di ira violenta fu maledetta da Giacobbe, il quale
predisse che i discendenti di Levi sarebbero stati dispersi in Israele. La profezia si adempì quando i leviti
furono davvero dispersi nelle 48 città levitiche sparse nei territori assegnati alle varie tribù di Israele nel
paese di Canaan. (Ge 49:7; Gsè 21:41) Levi accompagnò Giacobbe in Egitto, dove morì all’età di 137
anni. — Eso 1:1, 2; 6:16; vedi LEVITI.

w70 1/3 140-1 Non rendete a nessuno male per male


11 Mentre studiamo la Bibbia, possiamo imparare le ragioni per cui questo è un buon consiglio per i giorni
malvagi. Per esempio, c’è il caso di Dina narrato in Genesi capitolo 34. Molto stoltamente questa figlia di
Giacobbe cominciò ad associarsi con coloro che non adoravano Geova Dio né osservavano la legge di
Dio. A causa di ciò fu sessualmente assalita da un giovane di nome Sichem. Così fu fatto del male a
Dina. Suo padre Giacobbe non mostrò lo spirito di vendetta, ma i suoi figli si adirarono grandemente e
progettarono di vendicarsi sul popolo di Sichem. Simeone e Levi uccisero tutti gli uomini della città dove
la loro sorella Dina era stata violentata e i loro fratelli si unirono ad essi nel saccheggiare la città.
Particolarmente Simeone e Levi attirarono su di sé la colpa del sangue, ciò che recò dispiacere al loro
padre. In seguito, quando Giacobbe era moribondo e giunse il tempo di impartire benedizioni ai suoi figli,
Giacobbe disse questo riguardo a loro: “Simeone e Levi sono fratelli. Le loro armi per scannare sono
strumenti di violenza. Nel loro gruppo intimo non entrare, o anima mia. Non ti unire alla loro
congregazione, o mia disposizione, perché nella loro ira uccisero uomini, e nel loro arbitrio tagliarono i
garretti ai tori. Maledetta sia la loro ira, perché è crudele, e la loro furia, perché opera severamente.
Fammeli spartire in Giacobbe, e fammeli disperdere in Israele”. (Gen. 49:5-7) Nel caso di Simeone e
Levi, il peccato di rendere male per male non recò nessun bene.

W62 P.720-724

Lidia — Tema: L’ospitalità sincera è apprezzata ROMANI 12:13

it-2 140 Lidia


LIDIA
Questa donna e la sua famiglia furono fra i primi in Europa ad abbracciare il cristianesimo, grazie
all’attività svolta da Paolo a Filippi verso il 50 E.V. Lidia era originaria di Tiatira, città dell’Asia Minore nota
per le sue tintorie. A Filippi, in Macedonia, Lidia vendeva porpora: la sostanza colorante o indumenti e
stoffa di quel colore. Sembra che Lidia avesse la responsabilità della sua casa (che poteva includere
schiavi e servitori), per cui forse era vedova o nubile. — At 16:14, 15.
Lidia, “adoratrice di Dio”, era probabilmente una proselita. Può darsi che a Filippi ci fossero pochi ebrei e
non ci fosse una sinagoga, perciò il sabato lei e altre donne devote si radunavano presso un fiume fuori
della città. Quando l’apostolo Paolo predicò a quelle donne, Lidia ascoltò attentamente. Dopo essere
stata battezzata insieme alla sua famiglia, supplicò Paolo e i suoi compagni di rimanere da lei: “Se mi
avete giudicata fedele a Geova, entrate nella mia casa”. Un’ospitalità così sincera non poteva essere
rifiutata. Lo scrittore di Atti, Luca, compagno di viaggio di Paolo, aggiunge: “E ci costrinse ad accettare”.
— At 16:11-15.
In seguito, dopo essere stati liberati dalla prigione, Paolo e Sila andarono un’altra volta a casa di Lidia,
dove incoraggiarono i fratelli prima di partire da Filippi. — At 16:36-40.
Forse almeno in parte per l’ospitalità di Lidia, Paolo scrisse ai filippesi: “Ringrazio sempre il mio Dio tutte
le volte che mi ricordo di voi in ogni mia supplicazione per tutti voi, offrendo la mia supplicazione con
gioia, a motivo del contributo che voi avete reso alla buona notizia dal primo giorno fino a questo
momento”. — Flp 1:3-5.

w90 15/6 15-16 La parola di Geova prevale!


5 In Macedonia, la parola di Geova prevalse. (16:11-15) A Filippi, colonia abitata in prevalenza da
cittadini romani, evidentemente gli ebrei erano pochi e non c’era nessuna sinagoga. Perciò i fratelli
andarono a un “luogo di preghiera” in riva al fiume, fuori della città. Tra coloro che vi trovarono c’era Lidia,
forse una proselita ebrea di Tiatira, città dell’Asia Minore nota per l’industria tintoria, la quale vendeva
porpora oppure stoffe e vesti tinte di porpora. Dopo essere stata battezzata, lei e la sua casa, Lidia offrì
ospitalità con tale premura che Luca scrisse: “Ci costrinse ad accettare”. Oggi siamo grati di avere sorelle
di questo genere.

w96 15/9 26-8 Lidia, ospitale adoratrice di Dio


Lidia, ospitale adoratrice di Dio
SIN dai tempi antichi i servitori del vero Dio si sono distinti per la loro ospitalità. (Genesi 18:1-8; 19:1-3)
Definita “amore, affetto o benignità verso gli estranei”, l’ospitalità che scaturisce da un cuore sincero è
anche oggi un segno del vero cristianesimo. Infatti è un requisito per chiunque voglia adorare Dio nel
modo che gli è gradito. — Ebrei 13:2; 1 Pietro 4:9.
Una persona che manifestò ospitalità in modo esemplare fu Lidia. Essa “costrinse” i missionari cristiani in
visita a Filippi a stare in casa sua. (Atti 16:15) Anche se è menzionata solo brevemente nelle Scritture,
quel poco che viene detto di lei può essere incoraggiante per noi. In che modo? Chi era Lidia? Cosa
sappiamo di lei?
“Venditrice di porpora”
Lidia viveva a Filippi, la principale città della Macedonia. Comunque era di Tiatira, città della Lidia,
regione dell’Asia Minore occidentale. Alcuni perciò ritengono che “Lidia” fosse un soprannome datole a
Filippi. In altre parole, era “la lidia”, come la donna a cui Gesù Cristo diede testimonianza poteva essere
chiamata ‘la samaritana’. (Giovanni 4:9) Lidia vendeva “porpora” o articoli tinti con questa sostanza
colorante. (Atti 16:12, 14) L’esistenza di tintori sia a Tiatira che a Filippi è attestata da iscrizioni rinvenute
dagli archeologi nelle due città. È possibile che Lidia si fosse trasferita per motivi di lavoro, per fare affari
in proprio o come rappresentante di una corporazione di tintori di Tiatira.
La porpora poteva provenire da varie fonti. Quella più pregiata si estraeva da certi tipi di molluschi marini.
Secondo Marziale, poeta romano del I secolo, un mantello della migliore porpora di Tiro (altro centro
dove si produceva questa sostanza) poteva costare persino 10.000 sesterzi, o 2.500 denari, l’equivalente
della paga di un operaio per 2.500 giorni lavorativi. Chiaramente, abiti del genere erano capi di lusso che
solo pochi potevano permettersi. Pare, infatti, che Lidia stesse bene economicamente. Ad ogni modo
poté ospitare Paolo e i suoi compagni, Luca, Sila, Timoteo e forse altri.
La predicazione di Paolo a Filippi
Verso il 50 E.V. Paolo mise per la prima volta piede in Europa e cominciò a predicare a Filippi. Quando
arrivava in una nuova città, Paolo era solito recarsi nella sinagoga per predicare prima di tutto agli ebrei e
ai proseliti che vi si radunavano. (Confronta Atti 13:4, 5, 13, 14; 14:1). Ma a detta di alcuni, a Filippi la
legge romana vietava agli ebrei di praticare la loro religione entro i “sacri confini” della città. Perciò, dopo
avervi trascorso “alcuni giorni”, il sabato i missionari trovarono un posto lungo un fiume fuori della città
dove ‘pensavano ci fosse un luogo di preghiera’. (Atti 16:12, 13) Si trattava probabilmente del fiume
Gangites. I missionari vi trovarono solo delle donne, fra cui Lidia.

“Adoratrice di Dio”
Lidia era “adoratrice di Dio”, ma probabilmente era una proselita del giudaismo alla ricerca della verità
religiosa. Nonostante avesse un buon lavoro, Lidia non era materialista. Anzi riservava del tempo per le
cose spirituali. “Geova le aprì pienamente il cuore affinché prestasse attenzione alle cose che erano dette
da Paolo”, e Lidia accettò la verità. Infatti sia lei che “la sua casa” si battezzarono. — Atti 16:14, 15.
La Bibbia non specifica chi fossero gli altri componenti della famiglia di Lidia. Non si parla del marito, per
cui poteva essere nubile o vedova. Può darsi che “la sua casa” fosse formata da parenti, ma potevano
esservi inclusi anche schiavi o servitori. In ogni caso, Lidia parlò con zelo di ciò che aveva imparato con
coloro che vivevano con lei. E che gioia dovette provare quando essi pure credettero e abbracciarono la
vera fede!
“Ci costrinse ad accettare”
Prima di conoscere Lidia, forse i missionari avevano dovuto accontentarsi di un alloggio a proprie spese.
Ma Lidia fu ben felice di poter offrire un’altra sistemazione. Il fatto che dovette insistere, però, implica che
Paolo e i suoi compagni fecero una certa resistenza. Perché? Paolo voleva ‘fornire la buona notizia
senza costo, al fine di non abusare della sua autorità’ e non diventare un peso per nessuno. (1 Corinti
9:18; 2 Corinti 12:14) Ma Luca aggiunge: “Ora essendo stata battezzata, lei e la sua casa, supplicò
dicendo: ‘Se mi avete giudicata fedele a Geova, entrate nella mia casa e restate’. E ci costrinse ad
accettare”. (Atti 16:15) Lidia si preoccupava soprattutto di essere fedele a Geova e offrire ospitalità era
una manifestazione della sua fede. (Confronta 1 Pietro 4:9). Quale ottimo esempio! Usiamo anche noi i
nostri averi per promuovere gli interessi della buona notizia?
I fratelli di Filippi
Quando furono liberati dalla prigione dopo l’episodio della serva indemoniata, Paolo e Sila tornarono a
casa di Lidia, dove trovarono alcuni fratelli. (Atti 16:40) I credenti della nascente congregazione di Filippi
forse avevano usato la casa di Lidia come regolare luogo di adunanza. È logico pensare che la sua casa
rimanesse un centro di attività teocratiche della città.
L’iniziale calorosa ospitalità di Lidia si dimostrò una caratteristica dell’intera congregazione. Nonostante la
loro povertà, diverse volte i filippesi mandarono a Paolo le cose di cui aveva bisogno, e l’apostolo ne fu
riconoscente. — 2 Corinti 8:1, 2; 11:9; Filippesi 4:10, 15, 16.
Lidia non è menzionata nella lettera inviata da Paolo ai filippesi verso il 60-61 E.V. Le Scritture non
rivelano cosa le successe dopo gli eventi descritti in Atti capitolo 16. Comunque la breve menzione di
questa donna dinamica ci spinge a voler ‘seguire il corso dell’ospitalità’. (Romani 12:13) Come siamo
grati di avere fra noi cristiani come Lidia! Il loro spirito contribuisce a rendere calorose e amorevoli le
nostre congregazioni, alla gloria di Geova Dio.
[Nota in calce]
Tra le più importanti città della Macedonia, Filippi era una colonia militare relativamente prospera retta
dallo ius italicum (diritto italico). Questa legislazione garantiva ai filippesi privilegi pressoché uguali a
quelli dei cittadini romani. — Atti 16:9, 12, 21.

[Riquadro a pagina 28]


Gli ebrei di Filippi
La vita a Filippi non doveva essere facile per gli ebrei e i proseliti. Ci doveva essere un certo
antisemitismo poiché, poco prima dell’arrivo di Paolo, l’imperatore Claudio aveva espulso gli ebrei da
Roma. — Confronta Atti 18:2.
È significativo che Paolo e Sila furono trascinati davanti ai magistrati dopo che avevano sanato la
schiava che aveva uno spirito di divinazione. I suoi proprietari, privati di una redditizia fonte di guadagno,
sfruttarono i pregiudizi dei loro concittadini asserendo: “Questi uomini disturbano moltissimo la nostra
città, essendo giudei, e proclamano usanze che non ci è lecito accettare né praticare, visto che siamo
romani”. Di conseguenza Paolo e Sila vennero battuti con le verghe e gettati in prigione. (Atti 16:16-24) In
un clima del genere, ci voleva coraggio per adorare apertamente Geova, il Dio degli ebrei. Ma
evidentemente a Lidia non dispiaceva essere diversa.
[Foto a pagina 27]
Filippi, rovine

km 2/78 2 Adunanze di servizio


Min. 20: Cantico 26. Annunci e relazione dei conti. “Donne che ebbero timore di Geova”. (Dopo una
breve introduzione l’oratore fa le domande e considera le scritture citate. Usare il materiale che il tempo
consente).
Mentre gli uomini di solito hanno incarichi che li mettono più in evidenza dinanzi alla congregazione, le
donne possono essere altrettanto amate, agli occhi di Dio e Cristo, se prestano un buon servizio nei modi
stabiliti da Dio. Sono offerte loro molte opportunità.
C’era poi Lidia di Filippi. (Atti 16:13-15) Quali furono i tratti più notevoli di Lidia? Invita l’uditorio a fare
commenti sulla personalità di Lidia e sul suo zelo per la vera adorazione, l’umiltà, la prontezza e il
desiderio di imparare; cosa fece per promuovere la divulgazione della buona notizia con la sua ospitalità
verso coloro che la proclamavano.

Loide — Tema: Condividete la vostra fede con i familiari PROVERBI 17:6

it-2 151 Loide


LOIDE
Nonna di Timoteo, a quanto pare madre di sua madre Eunice. Che non fosse la nonna paterna di
Timoteo è indicato dalla versione siriaca che traduce “madre di tua madre”. Questa donna cristiana viene
lodata da Paolo per la sua ‘fede senza ipocrisia’. (2Tm 1:5) La famiglia abitava a Listra. (At 16:1, 2) Un
confronto fra 2 Timoteo 1:5 e 2 Timoteo 3:15 fa pensare che sia Loide che Eunice avessero insegnato le
Scritture a Timoteo.

w81 1/5 10-11 Ricompense dell'addestrare i figli come vuole Dio


UN ANTICO ESEMPIO
È degno di nota che donne credenti dell’antichità diedero ai figli un’educazione scritturale. Timoteo, per
esempio, conobbe gli “scritti sacri” dall’infanzia grazie agli sforzi della madre Eunice e probabilmente
anche della nonna Loide. La Bibbia non dice se il padre di Timoteo, un greco non credente, fosse
d’accordo che Eunice educasse in tal modo il figlio o se si opponesse. Indipendentemente da ciò, Eunice
assolse lodevolmente la sua responsabilità. I suoi sforzi portarono buoni risultati. Di Timoteo “parlavano
bene i fratelli di Listra e di Iconio”. (Atti 16:1, 2; II Tim. 1:5; 3:15) Riferendosi a Timoteo, l’apostolo Paolo
scrisse: “Non ho nessun altro dalla disposizione simile alla sua che abbia genuinamente cura delle cose
che vi riguardano. Poiché tutti gli altri cercano i propri interessi, non quelli di Cristo Gesù. Ma voi
conoscete la prova che egli diede di se stesso, che come un figlio col padre ha fatto lo schiavo con me
per promuovere la buona notizia”. (Filip. 2:20-22) Eunice dovette provare una grande felicità vedendo il
figlio impiegato da Dio per servire le congregazioni del suo popolo. Che eccellente ricompensa per il suo
duro lavoro di madre!

W98 15-5 P.7-9

Lot — Tema: Nel mondo, ma senza farne parte GIACOMO 4:4

it-2 154-5 Lot


LOT
Nipote di Tera e figlio di Haran, fratello di Abraamo (Abramo); Abraamo era dunque suo zio. — Ge 11:27.
Haran, il padre di Lot, era morto a Ur dei caldei, e quindi Lot con Tera, Abramo e Sarai si trasferì da Ur ad
Haran, dove suo nonno Tera morì. (Ge 11:28, 31, 32) Lot giunse poi in Canaan con Abramo e Sarai,
insieme ai quali in seguito andò in Egitto e ritornò. (Ge 12:4, 5; 13:1) Poiché i possedimenti di Lot e
Abramo si erano moltiplicati, quando tornarono in Canaan il paese non era più in grado di sostenerli tutti
insieme. Inoltre erano sorte liti fra i loro mandriani. (Ge 13:5-7) Abramo, non volendo perpetuare quello
stato di cose, suggerì di separarsi, lasciando la scelta del paese al nipote. Lot scelse una zona ricca di
acqua, l’intero distretto del Giordano inferiore. Si trasferì a E e infine si accampò vicino a Sodoma. (Ge
13:8-12) Lot non diventò tuttavia come i sodomiti. Dimostrò di essere un uomo “giusto” che, “a causa di
ciò che vedeva e udiva mentre dimorava fra loro, si tormentava di giorno in giorno l’anima giusta a causa
delle loro opere illegali”. — 2Pt 2:8.
Quando quattro re alleati invasori sconfissero cinque re locali, incluso il re di Sodoma, i vincitori
saccheggiarono la città e presero prigioniero Lot. Informato dell’accaduto, Abramo radunò 318 schiavi,
sconfisse gli invasori, ricuperò tutto il bottino e liberò Lot. — Ge 14:1-16.
Visitato dagli angeli. In seguito, quando fu visitato da due angeli in occasione dell’imminente distruzione
di Sodoma, Lot li accolse in modo ospitale. Ma gli uomini della città circondarono la casa esigendo che i
visitatori fossero consegnati loro per scopi immorali. Lot cercò di proteggere gli ospiti fino al punto di
offrire alla turba le sue due figlie vergini. La turba infuriata premeva con violenza, al che i visitatori
angelici tirarono dentro Lot e accecarono i malvagi sodomiti. — Ge 19:1-11.
Liberato da Sodoma. Gli angeli informarono Lot che il grido contro gli abitanti di Sodoma era diventato
sempre più forte dinanzi a Geova ed essi erano stati mandati a distruggere la città. Come gli fu ordinato,
Lot avvertì i suoi futuri generi, che evidentemente intendevano prendere in moglie le sue figlie ma non
l’avevano ancora fatto. (Cfr. Ge 19:8, 14). Tuttavia i generi non prestarono ascolto alle sue parole. (Ge
19:12-14) All’alba i due angeli sollecitarono l’immediata partenza, e l’affrettarono prendendo per mano
Lot, sua moglie e le sue due figlie. Gli angeli permisero a Lot, dietro sua richiesta, di fuggire nella vicina
città di Zoar. Dopo che Lot vi era giunto, Geova fece distruggere Sodoma e Gomorra dal fuoco. Tuttavia
la moglie di Lot (che non è menzionata per nome nelle Scritture), disubbidendo, “guardava intorno da
dietro a lui”, forse perché rimpiangeva quello che aveva lasciato. Perciò “divenne una colonna di sale”. —
Ge 19:15-26.
Lot se ne andò poi da Zoar e prese dimora in una caverna fra i monti. I futuri generi erano evidentemente
morti a Sodoma, e le due figlie erano quindi senza marito. Esse, per preservare la discendenza paterna,
fecero sì che il padre avesse inconsapevolmente rapporti sessuali con loro mentre era sotto l’effetto del
vino. Il risultato fu che ebbero ciascuna un figlio, da cui discesero i moabiti e gli ammoniti. — Ge 19:30-
38, nt.; De 2:9, 19.
Esempio ammonitore. L’autenticità di ciò che le Scritture dicono di Lot è confermata da Gesù Cristo.
Egli spiegò che “ai giorni del Figlio dell’uomo”, cioè durante la sua presenza, ci sarebbero state
circostanze analoghe a quelle dei giorni di Lot quando le persone continuavano indifferenti a mangiare,
bere, comprare, vendere, piantare e costruire finché piovve dal cielo fuoco e zolfo e le distrusse tutte.
Cristo spiegò che in quel tempo futuro nessuno avrebbe dovuto tornare alle cose lasciate indietro, e fece
un esempio molto chiaro delle terribili conseguenze di un comportamento del genere, dicendo: “Ricordate
la moglie di Lot”. — Lu 17:26-32.

w81 1/3 12-13 L'apparenza inganna


La Parola di Dio è vivente
L’apparenza inganna
Abraamo e suo nipote Lot avevano un problema. Tutti e due avevano accumulato greggi e mandrie così
numerose che fra i rispettivi mandriani scoppiavano delle dispute. Per amor di pace, Abraamo suggerì
che lui e Lot si separassero. Diede a Lot la possibilità di scegliere. ‘Se tu andrai a sinistra’, disse
Abraamo, ‘io andrò a destra. Ma se tu andrai a destra, allora io andrò a sinistra’.
Lot guardò dall’altura su cui si trovavano e, indicando la bella e ben irrigata regione vicino alle città di
Sodoma e Gomorra, scelse quella. La zona sembrava buona. Ma lo era veramente? Gli abitanti di quella
regione erano moralmente degradati, e questo fu fonte di guai. — Gen. 13:5-13.
A suo tempo Lot e la sua famiglia si trasferirono proprio a Sodoma. Questo li mise in una situazione
pericolosa. Il re Chedorlaomer e i suoi alleati sconfissero il re di Sodoma e, come potete vedere, fecero
prigionieri Lot e la sua famiglia. Poco dopo, però, Abraamo e i suoi uomini li liberarono tutti, ricuperando
ogni cosa. Lot e la sua famiglia tornarono a vivere a Sodoma. — Gen. 14:4-16.
Forse alla moglie di Lot piacevano molto certi aspetti della vita a Sodoma. Ma l’apparenza era veramente
ingannevole. In realtà la perversione sessuale e un’assoluta mancanza di rispetto per le norme morali
caratterizzavano sia Sodoma che Gomorra. Infine Geova Dio decise di distruggere quelle città a causa
della loro malvagità. Ma nella sua misericordia inviò due angeli che presero per mano Lot, sua moglie e le
due figlie e li condussero fuori della città. Poi uno degli angeli disse: ‘Correte e mettete in salvo la vostra
vita. E non guardate indietro’.
Lot e le figlie ubbidirono. Fuggirono da Sodoma senza voltarsi. Ma la moglie di Lot non ascoltò il
comando angelico, si voltò, forse rimpiangendo le cose materiali abbandonate a Sodoma, e divenne una
statua di sale. — Gen. 19:1-26; II Piet. 2:7, 8.
Questo ci insegna una lezione. Come Sodoma, il vecchio sistema di cose che c’è oggi sulla terra può
sembrare attraente. Ma l’apparenza inganna. In effetti questo sistema è moralmente corrotto e la sua
distruzione è certa, proprio come l’infuocato giudizio di Dio si abbatté sull’antica Sodoma. — Luca 17:28-
30.

w84 1/10 8-10 Perché esitare? Ascoltate e ubbidite!


Perché esitare? Ascoltate e ubbidite!
“L’INDECISIONE può essere fatale”, si suol dire. Questo è senz’altro vero quando si tratta di fare ciò che
il nostro Creatore, Geova Dio, vuole che facciamo.
La Bibbia contiene molti espliciti esempi di alcuni che esitarono a ubbidire a Dio, o che scelsero un modo
di agire indipendente da lui. Le lezioni che se ne traggono sono essenziali per noi oggi.
Lot e sua moglie
Un esempio pertinente è quello di Lot e sua moglie, vissuti circa 3.900 anni fa. Sia Lot che Abraamo, suo
zio, erano stranieri nomadi nel paese di Canaan. Un pascolo sovraffollato era stato causa di contrasti tra i
rispettivi mandriani. Per evitare ulteriori problemi Abraamo e Lot convennero di dividere le loro strade.
Altruisticamente Abraamo fece scegliere il territorio per primo a Lot. Suo nipote scelse una regione ricca
d’acqua, quella del Giordano inferiore e del Mar Morto. Si accampò poi nelle vicinanze di Sodoma e
Gomorra. Dal punto di vista materiale sembrava una scelta saggia. Dal punto di vista spirituale invece
difficilmente ce ne sarebbe potuta essere stata una peggiore.
I vicini di Lot a Sodoma “erano grandi peccatori contro Geova”. Erano omosessuali depravati, “dai ragazzi
ai vecchi”. (Genesi 13:13; 19:4) Come considerava Lot quella situazione? L’apostolo Pietro risponde:
“Quel giusto, per ciò che vedeva e udiva mentre dimorava fra loro, si tormentava di giorno in giorno
l’anima giusta a causa delle loro opere illegali”. Ma la loro depravazione non sarebbe rimasta impunita. Il
racconto biblico spiega: “Di conseguenza Geova disse: ‘Il grido di lamento circa Sodoma e Gomorra, sì, è
alto, e il loro peccato, sì, è molto grave’”. Tanto grave che Geova decise di distruggere quelle città con i
loro depravati abitanti. La regione ricca d’acqua scelta da Lot non offriva più prospettive tanto rosee. — II
Pietro 2:6-8; Genesi 18:20, 21.
In che modo Lot e la sua famiglia sarebbero sfuggiti all’incombente distruzione? Gli stessi angeli che
dovevano distruggere gli abitanti delle città vennero inviati a dare istruzioni a Lot per fargli aver salva la
vita. Cosa dovevano fare lui e la sua famiglia? Abbandonare senza indugio la città!
Non conviene essere indecisi
Come reagirono Lot e la sua famiglia a quelle precise istruzioni? Dopo che i suoi generi, che ritenevano
la minaccia di una distruzione uno scherzo, le ebbero respinte seccamente, Lot tardava a partire. Anziché
ubbidire immediatamente al comando divino di fuggire, indugiava. Non gli angeli però. Questi ubbidivano
alle istruzioni ricevute. “Nella compassione di Geova verso di lui, gli uomini [gli angeli materializzati]
afferrarono la sua mano e la mano di sua moglie e le mani delle sue due figlie e lo facevano uscire e lo
mettevano fuori della città”. — Genesi 19:15, 16.
Lot e la sua famiglia fuggirono poi alla regione montuosa secondo le istruzioni? Non subito. Se sua
moglie abbia influito su di lui o meno non lo sappiamo, ma egli implorò l’angelo di Geova di permettergli di
rifugiarsi in una città vicina. Ricevuto il permesso, fuggirono a Zoar. (Genesi 19:18-22) Come reagì la
moglie di Lot dovendo cambiare dimora in modo così definitivo e improvviso? A quanto pare non si fidava
della decisione di Geova al riguardo. Anche lei, come suo marito, era indecisa, con la differenza però che
alla fine lui ubbidì, lei no. La moglie di Lot “di dietro a lui guardava intorno, ed ella divenne una colonna di
sale”. (Genesi 19:26) Esitò e le fu fatale.
Ubbidirono i primi cristiani?
Come a Lot e alla sua famiglia fu detto di fuggir via senza indugio dai loro vicini malvagi, così Gesù diede
un avvertimento simile a quelli della sua generazione. Disse loro che Gerusalemme sarebbe stata
circondata da eserciti accampati e che la sola via di scampo sarebbe stata la fuga ai monti. (Luca 21:20,
21) Mise in guardia contro il pericolo di esitare o indugiare: “Chi è sulla terrazza non scenda a prendere i
beni della sua casa; e chi è nel campo non torni a casa per prendere il mantello”. — Matteo 24:17, 18.
Nel 66 E.V., quando gli eserciti romani tolsero temporaneamente l’assedio a Gerusalemme, i cristiani
accorti rammentarono le istruzioni di Gesù. Ascoltarono e ubbidirono. Lasciarono senza indugio la
Giudea e fuggirono sui monti a est del Giordano. I giudei increduli e gli eventuali cristiani che nutrivano
dubbi rimasero in quella che sembrava una santa città protetta da Dio. Quattro anni più tardi i romani
tornarono per vendicarsi e sterminarono più di un milione di persone che dimoravano a Gerusalemme.
Devastarono completamente la città. Come si sentirono felici e sollevati lassù sui monti quegli ubbidienti
cristiani alla notizia che Gerusalemme era stata distrutta! La loro risoluta ubbidienza era stata benedetta.
C’è un’applicazione moderna?
Cosa possiamo imparare dalle precise descrizioni sia della distruzione di Sodoma e Gomorra che di
quella di Gerusalemme? Gesù Cristo si servì dell’annientamento di quelle due città per paragonarlo al
tempo “in cui il Figlio dell’uomo sarà rivelato”. (Luca 17:28-30; 21:5-36) Per gli zelanti studenti della
Bibbia ciò che è accaduto dal 1914 è un’indicazione del fatto che ci stiamo avvicinando rapidamente a
quel tempo in cui verrà eseguito il giudizio. Presto Geova e Cristo entreranno in azione per liberare la
terra da tutti i grandi peccatori. — Rivelazione 19:11-21.
Che effetto dovrebbe avere su di voi sapere questo? Per esempio, se state pensando al battesimo
cristiano in acqua, dovreste esitare a fare questo passo essenziale? Una decisione simile dovrebbe
sembrarvi una montagna? No, se ascoltate il comando di Gesù e ubbidite a lui. (Matteo 28:19, 20) Dopo
aver acquistato conoscenza di Geova e del Regno, facendovi battezzare in acqua potete dar prova di
tenere in gran conto la vostra relazione con Geova mediante Cristo. Sarebbe una dichiarazione pubblica
della vostra esplicita dedicazione a Dio. — Matteo 10:32, 33.
Anche i cristiani già battezzati dovrebbero analizzare la loro situazione. In che modo? Riflettendo
sull’atteggiamento della moglie di Lot. Questa venne meno perché non si fidava pienamente di Dio. Non
andò avanti con fiducia. (Luca 17:31, 32) Nel nostro giorno alcuni forse si trattengono dal prendere parte
più pienamente al servizio cristiano anche se le loro circostanze glielo permettono. Potrebbero essere in
grado, per esempio, di fare i pionieri ausiliari o regolari. Pensate alle benedizioni che potrebbero
derivarne! Oggi molti che si sono impegnati secondo le loro possibilità stanno rendendo con gioia servizio
in qualità di missionari di Galaad o prestano servizio alla Betel, o sono pionieri speciali, sorveglianti di
circoscrizione o di distretto. Sono contenti di essere entrati per questa porta aperta di servizio. —
Rivelazione 3:8.
Oggi non è tempo di esitare per i cristiani. Questo corrotto sistema di cose è condannato. Quindi, perché
volgersi dubbiosamente indietro? Siate sempre pronti ad ascoltare e ubbidire. Guardate avanti e
confidate in Geova. Siate come Abraamo, che ubbidì senza esitare, proprio come dice l’apostolo Paolo:
“A causa della promessa di Dio non vacillò per mancanza di fede, bensì divenne potente mediante la sua
fede, dando gloria a Dio ed essendo pienamente convinto che ciò che egli aveva promesso era anche in
grado di fare”. — Romani 4:20, 21.

su 171 22 Non rimpiangete ciò che avete lasciato!


8 Più di 400 anni prima, quella stessa lezione era stata messa in risalto in una circostanza diversa. Lot,
nipote di Abraamo, era andato a vivere a Sodoma, una città materialmente prospera ma moralmente
corrotta. L’immoralità di Sodoma e del suo distretto era talmente sfacciata che Geova decise di
distruggere quella città perché non fosse mai più ricostruita. Degli angeli furono mandati a liberare Lot e
la sua famiglia. Quando Lot avvertì i suoi futuri generi, ai loro occhi “sembrò come un uomo che
scherzasse”. Ma non era uno scherzo. Al sorgere dell’aurora, gli angeli sollecitarono Lot e la sua famiglia
perché uscissero dalla città, e dissero loro di fuggire senza guardare indietro. La loro vita dipendeva
dall’ubbidienza. Lot e le sue due figlie fecero come era stato detto loro e furono risparmiati. Ma
evidentemente la moglie di Lot era restia a separarsi dalle cose materiali che aveva lasciato. Essendosi
voltata, perse la vita, divenendo una colonna di sale. Abbiamo personalmente preso a cuore ciò che
questo significa? Affinché non ci sfuggisse il punto, Gesù lo incluse in un avvertimento sull’urgenza di
fuggire dal vecchio sistema attuale. Nel mettere in guardia dal rischio di preoccuparsi troppo delle cose
materiali, disse chiaramente: “Ricordate la moglie di Lot”. (Genesi 19:12-26; Luca 17:31, 32) Cosa può
proteggerci dalle trappole in cui caddero gli israeliti e la moglie di Lot?

w90 15/4 16-21 Preparatevi per essere liberati ed entrare nel nuovo mondo
Preparatevi per essere liberati ed entrare nel nuovo mondo
“Ricordate la moglie di Lot”. — LUCA 17:32.
DOPO aver parlato della meravigliosa liberazione che Geova compì a favore di Noè e della sua famiglia,
l’apostolo Pietro citò un altro esempio storico. Richiamò l’attenzione su come fu conservato in vita il
giusto Lot al tempo in cui Sodoma e Gomorra furono ridotte in cenere, come leggiamo in 2 Pietro 2:6-8. I
particolari di quell’avvenimento sono stati preservati per nostro beneficio. (Romani 15:4) Prendere a
cuore ciò che accadde in occasione di quella liberazione ci sarà d’aiuto per poter sperare di essere
salvati ed entrare nel nuovo mondo di Dio.
L’effetto che ha su di noi lo stile di vita del mondo
2 Perché quelle città e i loro abitanti furono distrutti? L’apostolo Pietro menziona la loro “condotta
dissoluta”. (2 Pietro 2:7) Come indica l’uso del termine greco così tradotto, gli abitanti di Sodoma e
Gomorra praticavano il male in maniera sfacciata, rivelando mancanza di rispetto, addirittura disprezzo,
per la legge e l’autorità. Giuda 7 dice che ‘commisero fornicazione in eccesso e andarono dietro alla
carne per uso non naturale’. La gravità della loro condotta fu evidente quando “gli uomini di Sodoma, . . .
dal ragazzo al vecchio, tutto il popolo in una turba”, circondarono la casa di Lot chiedendo a gran voce
che egli consegnasse loro i suoi ospiti per poter soddisfare le loro brame pervertite. E quando Lot si
oppose alle loro depravate richieste, gli gridarono minacce. — Genesi 13:13; 19:4, 5, 9.
3 Inizialmente Lot si era trasferito nei dintorni di Sodoma perché la zona offriva buone prospettive di
benessere materiale. In seguito andò ad abitare nella città stessa. (Genesi 13:8-12; 14:12; 19:1) Ma egli
non approvava le vergognose pratiche degli uomini di Sodoma, ed essi non lo consideravano uno di loro,
evidentemente perché Lot e la sua famiglia non partecipavano alla loro vita sociale. Come dice 2 Pietro
2:7, 8, “Lot . . . era grandemente afflitto dalla condotta dissoluta delle persone che sfidavano la legge . . .
poiché quel giusto, a causa di ciò che vedeva e udiva mentre dimorava fra loro, si tormentava di giorno in
giorno l’anima giusta a causa delle loro opere illegali”. Quelle condizioni costituivano una dura prova per
Lot, perché, essendo un uomo giusto, egli aborriva tale condotta.
4 Anche ai nostri giorni il livello morale della società umana è molto basso. In molti paesi sempre più
persone hanno rapporti prematrimoniali o extraconiugali. Persino molti giovani a scuola sono
profondamente coinvolti in questo modo di vivere e scherniscono quelli che non agiscono come loro.
Omosessuali si vantano di essere tali e percorrono le vie delle grandi città chiedendo a gran voce di
essere accettati. Anche il clero fa la sua parte. Ufficialmente non sono molte le chiese che ordinano come
ministri religiosi omosessuali e fornicatori dichiarati. Ma in realtà, come si apprende spesso dai mezzi
d’informazione, non è affatto difficile trovare omosessuali, fornicatori e adulteri nelle file del clero. Alcuni
esponenti religiosi sono stati trasferiti o addirittura costretti a dimettersi in seguito a scandali di natura
sessuale. Coloro che amano la giustizia non solidarizzano con tale malvagità; ‘aborriscono ciò che è
malvagio’. (Romani 12:9) Sono specialmente angustiati quando la condotta di individui che asseriscono di
servire Dio reca biasimo sul suo nome e induce persone disinformate ad allontanarsi disgustate da ogni
forma di religione. — Romani 2:24.
5 La situazione peggiora di anno in anno. Ci sarà mai una fine? Sì, ci sarà! Ciò che Geova fece alle
antiche Sodoma e Gomorra mostra chiaramente che, al tempo da lui stabilito, egli eseguirà il giudizio.
Distruggerà completamente i malvagi, ma libererà i suoi leali servitori.
Chi o che cosa ha il primo posto nella vita?
6 Solo quelli che avranno manifestato vera santa devozione saranno risparmiati. A questo riguardo,
considerate ciò che gli angeli di Geova dissero a Lot prima della distruzione di Sodoma e Gomorra. “Hai
qualcun altro qui? Fa uscire dal luogo il genero e i tuoi figli e le tue figlie e tutti quelli che sono tuoi nella
città! Poiché stiamo per ridurre in rovina questo luogo”. Lot andò quindi a parlare ai giovani che dovevano
sposare le sue figlie. Li esortò ripetutamente: “Levatevi! Uscite da questo luogo, perché Geova sta per
ridurre in rovina la città!” Grazie ai rapporti che avevano con la famiglia di Lot, veniva offerta loro una
speciale opportunità di salvezza, ma dovevano agire personalmente. Dovevano dare prova tangibile di
ubbidienza a Geova. Invece, ai loro occhi Lot “sembrò come un uomo che scherzasse”. (Genesi 19:12-
14) Potete immaginare cosa provarono le figlie di Lot quando vennero a saperlo. La loro lealtà a Dio fu
messa alla prova.
7 La mattina dopo, all’alba, gli angeli sollecitarono Lot, dicendogli: “Levati! Prendi tua moglie e le tue due
figlie che si trovano qui, affinché tu non sia spazzato via nell’errore della città!” Ma ‘egli indugiava’.
(Genesi 19:15, 16) Perché? Cosa lo tratteneva? Erano forse gli interessi materiali che aveva a Sodoma,
proprio ciò che lo aveva indotto inizialmente a trasferirsi in quel luogo? Se non si fosse staccato da essi
sarebbe stato distrutto insieme a Sodoma.
8 Mostrando compassione, gli angeli afferrarono per mano i componenti della famiglia di Lot e li
condussero in fretta fuori della città. Raggiunta la periferia, l’angelo di Geova comandò: “Scampa per la
tua anima! Non guardare indietro e non fermarti in tutto il Distretto! Scampa nella regione montagnosa
affinché tu non sia spazzato via!” Lot esitava ancora. Infine, quando gli fu concesso di recarsi in una
località non troppo lontana, lui e la famiglia fuggirono. (Genesi 19:17-22) Non era possibile indugiare
ulteriormente; era indispensabile ubbidire.
9 La liberazione però non era ancora completa quando essi si allontanarono da Sodoma. Genesi 19:23-
25 dice: “Il sole si era levato sul paese quando Lot arrivò a Zoar. Quindi Geova fece piovere zolfo e fuoco
da Geova, dai cieli, su Sodoma e Gomorra. Egli rovesciò dunque queste città, sì, l’intero Distretto e tutti
gli abitanti delle città e le piante del suolo”. Ma dov’era la moglie di Lot?
10 Era fuggita insieme al marito. Ma era pienamente d’accordo con ciò che egli stava facendo? Non c’è
nulla che indichi che essa approvasse in alcun modo l’immoralità di Sodoma. Ma il suo amore per Dio era
più forte del suo attaccamento per la casa e i beni materiali che aveva lì? (Confronta Luca 17:31, 32).
Sotto pressione, ciò che aveva nel cuore divenne manifesto. Dovevano essere già nei pressi di Zoar,
forse in procinto di entrare nella città, quando lei disubbidì, voltandosi e guardando indietro. Il racconto
biblico dice che “divenne una colonna di sale”. (Genesi 19:26) Ora a Lot e alle sue figlie si presentava
un’ulteriore prova di lealtà. L’attaccamento di Lot per la moglie deceduta, o quello delle figlie per la
madre, era più forte del loro amore per Geova, che aveva preso tale drastica misura? Avrebbero
continuato a ubbidire a Dio anche se qualcuno così vicino a loro gli si era mostrato sleale? Confidando
pienamente in Geova essi non guardarono indietro.
11 Geova sa dunque come liberare le persone di santa devozione dalla prova. Sa come liberare intere
famiglie che sono unite nella pura adorazione; sa anche come liberare singoli individui. Mostra grande
considerazione per coloro che veramente lo amano. “Egli stesso conosce bene come siamo formati,
ricordando che siamo polvere”. (Salmo 103:13, 14) Ma egli libera solo le persone di santa devozione,
quelle la cui devozione è sincera, la cui ubbidienza è un’espressione di lealtà.
Preparativi amorevoli per una liberazione più grande
12 Con ciò che fece ai giorni di Noè e di Lot, Geova non eliminò per sempre tutti i malvagi. Come dice la
scrittura, stabilì semplicemente un modello di cose avvenire. Prima del sopraggiungere di queste cose,
Geova intendeva fare dell’altro per il bene di quelli che lo amano. Avrebbe mandato sulla terra il suo
unigenito Figlio Gesù Cristo. Qui Gesù avrebbe cancellato il biasimo dal nome di Dio mostrando il tipo di
devozione che Adamo, come uomo perfetto, avrebbe dovuto e potuto rendere a Dio, con la differenza
che Gesù l’avrebbe manifestata in condizioni molto più difficili. Gesù avrebbe deposto in sacrificio la sua
perfetta vita umana affinché i discendenti di Adamo che avrebbero esercitato fede ricevessero ciò che
Adamo aveva perso. Poi un “piccolo gregge” di esseri umani leali sarebbe stato scelto da Dio per
partecipare con Cristo al Regno celeste, e “una grande folla” sarebbe stata radunata da tutte le nazioni
come fondamento di una nuova società umana. (Luca 12:32; Rivelazione 7:9) Una volta fatto questo, Dio
avrebbe compiuto la grandiosa liberazione prefigurata dagli avvenimenti relativi al Diluvio e alla
distruzione di Sodoma e Gomorra.
Perché è urgente agire ora
13 Coloro che studiano la Parola di Dio sanno che Geova intervenne per liberare il suo popolo in
numerose occasioni. Tuttavia, nella maggioranza dei casi la Bibbia non dice: ‘Come fu a quel tempo, così
sarà la presenza del Figlio dell’uomo’. Perché l’apostolo Pietro, ispirato dallo spirito santo, isolò solo due
esempi? Cosa c’era di diverso in ciò che accadde ai giorni di Lot e ai giorni di Noè?
14 Una precisa indicazione la troviamo in Giuda 7, dove leggiamo che “Sodoma e Gomorra e le città
vicine . . . ci son poste davanti come esempio ammonitore, subendo la punizione giudiziaria del fuoco
eterno”. Sì, la distruzione degli incalliti peccatori di quelle città fu eterna, come lo sarà la distruzione dei
malvagi alla fine dell’attuale sistema di cose. (Matteo 25:46) Anche del Diluvio dei giorni di Noè si parla in
contesti che hanno a che fare con giudizi eterni. (2 Pietro 2:4, 5, 9-12; 3:5-7) Perciò, mediante la
distruzione degli empi ai giorni di Lot e ai giorni di Noè, Geova dimostrò che libererà i suoi servitori
distruggendo per sempre coloro che praticano l’ingiustizia. — 2 Tessalonicesi 1:6-10.
15 La distruzione dei malvagi non reca piacere né a Geova né ai suoi servitori. Mediante i suoi Testimoni
Geova esorta: “Volgetevi, volgetevi dalle vostre cattive vie, poiché per quale ragione dovreste morire?”
(Ezechiele 33:11) Nondimeno, quando le persone non mostrano alcun desiderio di dare ascolto a questo
amorevole appello, ma persistono nel loro egoistico modo di vivere, Geova, per rispetto verso il suo santo
nome e per amore dei suoi leali servitori che soffrono per mano degli empi, è costretto a fare giustizia.
16 Il tempo stabilito da Dio per portare la liberazione è molto vicino! Gli atteggiamenti e gli avvenimenti
predetti da Gesù come segno della sua presenza e del termine del sistema di cose sono chiaramente
evidenti. Gli aspetti di questo segno cominciarono a manifestarsi più di 75 anni fa, e Gesù disse che
“questa generazione” non sarebbe passata affatto prima che Dio eseguisse il giudizio su questo mondo
empio. Quando Geova deciderà che il messaggio del Regno sarà stato proclamato a sufficienza in tutta
la terra abitata in testimonianza a tutte le nazioni, allora verrà la fine di questo mondo malvagio e con
essa la liberazione per le persone di santa devozione. (Matteo 24:3-34; Luca 21:28-33) Liberazione da
che cosa? Dalle prove che avranno dovuto subire per mano dei malvagi, e dalle situazioni che ogni
giorno hanno causato loro afflizione, visto che amavano la giustizia. Sarà anche la liberazione che
permetterà di entrare in un nuovo mondo in cui le malattie e la morte saranno cose del passato.
Aiuto divino in vista della liberazione
17 Ciò che dobbiamo individualmente chiederci è: ‘Sono pronto per questo atto di Dio?’ Se confidiamo in
noi stessi o nel nostro proprio concetto di giustizia, vuol dire che non siamo pronti. Ma se, come Noè,
nutriamo “santo timore”, allora stiamo ubbidendo con fede alla guida che Geova ci dà, e questo porterà
alla nostra liberazione. — Ebrei 11:7.
18 Descrivendo in maniera molto bella quelli che godono della protezione che Geova offre fin d’ora,
Salmo 91:1, 2 dice: “Chiunque dimora nel luogo segreto dell’Altissimo si procurerà albergo sotto la
medesima ombra dell’Onnipotente. Certamente dirò a Geova: ‘Sei il mio rifugio e la mia fortezza, il mio
Dio in cui di sicuro confiderò’”. C’è quindi un gruppo di persone che sono protette da Dio come piccoli
uccelli sotto le poderose ali della madre. Esse ripongono piena fiducia in Geova. Riconoscono in lui
l’Altissimo, l’Onnipotente. Di conseguenza rispettano l’autorità teocratica e si sottomettono ad essa, sia
che venga esercitata dai genitori o dallo “schiavo fedele e discreto”. (Matteo 24:45-47) Può dirsi questo di
noi individualmente? Come Noè, stiamo imparando a fare ‘tutto ciò che Geova ci comanda’ e a farlo
come vuole lui? (Genesi 6:22) In caso affermativo, stiamo reagendo positivamente alla preparazione cui
Geova ci sottopone per liberarci e introdurci nel suo giusto nuovo mondo.
19 Questa preparazione include anche il prestare attenzione al nostro cuore simbolico. “Geova è
l’esaminatore dei cuori”. (Proverbi 17:3) Egli ci aiuta a comprendere che quello che conta non è ciò che
sembriamo esteriormente, bensì ciò che siamo interiormente, ciò che abbiamo nel cuore. Pur non
prendendo parte alla violenza e all’immoralità del mondo che ci circonda, dobbiamo stare in guardia per
non essere noi stessi allettati o attratti da queste cose. Come Lot, dovremmo sentirci angustiati per il fatto
stesso che queste opere illegali esistono. Quelli che odiano ciò che è male non cercheranno i modi per
compierlo; al contrario, coloro che non odiano il male potrebbero trattenersi dal commetterlo
materialmente, ma desiderare mentalmente di farlo. “O voi che amate Geova, odiate ciò che è male”. —
Salmo 97:10.
20 Geova ci sta amorevolmente educando a rifuggire non solo dalla condotta immorale, ma anche da un
modo di vivere materialistico. ‘Accontentatevi di avere di che nutrirvi e di che coprirvi’, consiglia la sua
Parola. (1 Timoteo 6:8) Quando entrarono nell’arca, Noè e i suoi figli dovettero abbandonare le loro case.
Anche Lot e la sua famiglia dovettero abbandonare la casa e i beni per mettersi in salvo. Dove sono
riposti i nostri affetti? “Ricordate la moglie di Lot”. (Luca 17:32) Gesù esortò: “Continuate dunque a
cercare prima il regno e la Sua giustizia”. (Matteo 6:33) Lo stiamo facendo? Se ci facciamo guidare dalle
giuste norme di Geova e se la proclamazione della buona notizia del suo Regno è al primo posto nella
nostra vita, allora stiamo davvero reagendo positivamente a ciò che egli fa per preparare un popolo da
liberare e introdurre nel suo nuovo mondo.
21 Alle persone di santa devozione che avrebbero visto adempiersi il segno della sua presenza nel potere
del Regno, Gesù disse: “Alzatevi e levate in alto la testa, perché la vostra liberazione si avvicina”. (Luca
21:28) Avete visto questo segno avverarsi nei minimi particolari? Allora abbiate fiducia che la liberazione
promessa da Geova è veramente prossima! Siate pur certi che “Geova sa liberare le persone di santa
devozione dalla prova”! — 2 Pietro 2:9.
[Figura a pagina 18]
Il popolo di Dio è protetto da lui come piccoli uccelli sotto le poderose ali della madre

w94 15/2 22-5 State alla larga dal pericolo


State alla larga dal pericolo
POCHE persone sono così sensibili al pericolo come i marinai. Essi devono tenere d’occhio il tempo, la
marea e la distanza dell’imbarcazione dalla costa. Quando sia la marea che il vento spingono
l’imbarcazione verso la costa, i marinai si trovano in pericolo e devono darsi da fare per scongiurarlo.
In condizioni del genere, cioè con la costa sottovento, il marinaio deve tenere la barca a una
considerevole distanza dalla costa, specialmente se può contare solo sulle vele. Un manuale di nautica
spiega che ‘essere colto da una burrasca con la costa sottovento è una delle situazioni peggiori’ in cui
possa trovarsi un marinaio. La soluzione raccomandata? ‘Evitate nel modo più assoluto che la vostra
imbarcazione si trovi in una situazione del genere’. Il modo più sicuro per evitare di incagliarsi in un banco
di sabbia o di finire contro una costa rocciosa è quello di tenersi a debita distanza dal pericolo.
I cristiani devono stare attenti ai pericoli che possono far naufragare la loro fede. (1 Timoteo 1:19) Oggi le
condizioni non sono affatto ideali per tenere una rotta sicura. Come una barca può finire fuori rotta a
causa di venti e maree, così la nostra vita dedicata può perdere di vista la meta a causa delle continue
pressioni della carne imperfetta e dell’inarrestabile spinta dello spirito del mondo, che ormai ha quasi
raggiunto la forza di una burrasca.
Un uomo che visse pericolosamente
Com’è facile avventurarsi senza accorgersene in acque spiritualmente pericolose!
Ne è un esempio ciò che avvenne in prossimità di uno specchio d’acqua circondato dalla terraferma, il
Mar Morto. Ci riferiamo all’esempio di Lot. La decisione di vivere a Sodoma gli procurò molti guai e non
poco dolore. Dopo una lite fra i rispettivi mandriani, Abraamo e Lot decisero di andare a vivere in posti
diversi. Lot, ci viene detto, scelse il Distretto del Giordano e piantò la sua tenda fra le città del Distretto. In
seguito decise di andare a vivere a Sodoma, benché il modo di vivere dei sodomiti lo angustiasse. —
Genesi 13:5-13; 2 Pietro 2:8.
Perché Lot continuò a vivere in una città notoriamente immorale che offendeva profondamente Geova e
causava addirittura un grido di lamento da parte della gente dei dintorni? Sodoma era prospera, e senza
meno alla moglie di Lot piacevano i vantaggi materiali che la vita di città offriva. (Ezechiele 16:49, 50)
Forse anche Lot era attratto dalla fiorente economia di Sodoma. Qualunque fosse la ragione per cui
aveva deciso di vivere lì, avrebbe dovuto andarsene senza indugiare troppo. Solo la pressante insistenza
degli angeli di Geova convinse finalmente la famiglia di Lot ad abbandonare la zona di pericolo.
Il racconto di Genesi dice: “Quando ascese l’aurora, gli angeli sollecitarono Lot, dicendo: ‘Levati! Prendi
tua moglie e le tue due figlie che si trovano qui, affinché tu non sia spazzato via nell’errore della città!’”
Ma nonostante quell’urgente avvertimento, Lot “si indugiava”. Alla fine gli angeli “afferrarono la sua mano
e la mano di sua moglie e le mani delle sue due figlie e lo facevano uscire e lo ponevano fuori della città”.
— Genesi 19:15, 16.
Giunti alla periferia della città, gli angeli diedero alla famiglia di Lot le ultime istruzioni: ‘Scampate per la
vostra anima! Non guardate indietro e non fermatevi in tutto il Distretto! Scampate nella regione
montagnosa affinché non siate spazzati via!’ (Genesi 19:17) Persino in quella circostanza Lot supplicò
che gli fosse concesso di recarsi nella vicina città di Zoar anziché abbandonare del tutto la regione.
(Genesi 19:18-22) È chiaro che Lot era restio a fuggire il più lontano possibile dal pericolo.
Mentre erano diretti a Zoar, la moglie di Lot guardò indietro verso Sodoma, provando evidentemente
nostalgia per le cose che si era lasciata dietro. Non avendo seguito le istruzioni degli angeli, perse la vita.
Lot, uomo giusto, sopravvisse con le sue due figlie alla distruzione della città. Ma che prezzo dovette
pagare per aver scelto di vivere troppo vicino al pericolo! — Genesi 19:18-26; 2 Pietro 2:7.
State il più possibile lontani dal pericolo
L’amara esperienza di Lot mostra cosa può succedere se ci si avvicina troppo a una situazione
pericolosa o si indugia in essa. La saggezza dovrebbe indurci, come bravi marinai, a evitare del tutto di
trovarci in una situazione del genere. Quali sono alcune zone di pericolo dalle quali dovremmo stare alla
larga? Alcuni cristiani si sono sviati impegnandosi troppo in attività commerciali, coltivando intime
amicizie con persone del mondo o legandosi sentimentalmente a una persona dell’altro sesso pur non
essendo liberi di sposarsi.
In ciascun caso la condotta saggia è quella di stare alla larga dal pericolo. Per esempio, nel campo degli
affari, siamo desti ai pericoli spirituali che le cosiddette “occasioni d’oro” possono comportare? Alcuni
fratelli si sono gettati a capofitto in imprese commerciali, sacrificando la famiglia, la salute e le
responsabilità teocratiche. A volte l’esca è costituita dal tenore di vita più alto che il denaro può offrire.
Altre volte consiste nella tentazione di dimostrare che si ha il bernoccolo degli affari. Alcuni potrebbero
ragionare che il motivo che li spinge è il desiderio di dare lavoro ad altri fratelli o di contribuire più
generosamente per l’opera mondiale. Forse pensano che quando ingraneranno bene negli affari avranno
più tempo da dedicare agli interessi del Regno.
Quali sono alcune trappole? La situazione economica incerta e “l’avvenimento imprevisto” possono far
naufragare anche l’attività commerciale meglio programmata. (Ecclesiaste 9:11) Un gravoso debito può
essere causa di angoscia e può soffocare le attività spirituali. E anche quando gli affari vanno a gonfie
vele è probabile che assorbano molto tempo ed energie mentali, oltre a richiedere di stare spesso con
compagnie del mondo.
In Spagna un anziano cristiano aveva seri problemi economici quando una compagnia di assicurazioni gli
fece un’offerta allettante. Anche se avrebbe potuto guadagnare molto lavorando in proprio come agente
assicurativo, alla fine declinò l’offerta. “Non è stata una decisione facile, ma sono felice di aver detto di
no”, spiega. “Innanzi tutto non mi andava di guadagnare — nemmeno indirettamente — sfruttando i miei
contatti teocratici. E anche se l’idea di lavorare in proprio mi piaceva, avrei dovuto viaggiare molto e
dedicare molto tempo al lavoro. Mi avrebbe inevitabilmente portato a trascurare la famiglia e la
congregazione. Soprattutto, sono convinto che se avessi accettato l’offerta non sarei stato più padrone
della mia vita”.
Nessun cristiano può permettersi di perdere il controllo della propria vita. Gesù mostrò i tragici risultati a
cui questo porta narrando l’illustrazione di un uomo che accumulava di continuo ricchezze per potersi un
giorno ritirare e godersi la vita. Ma la notte stessa in cui decise che finalmente aveva abbastanza morì.
“Così sarà dell’uomo che accumula tesori per se stesso ma non è ricco verso Dio”, avvertì Gesù. — Luca
12:16-21; confronta Giacomo 4:13-17.
Dobbiamo anche guardarci dallo stare troppo in compagnia di persone del mondo. Può trattarsi di un
vicino, di un amico di scuola, di un collega di lavoro o di un socio in affari. Potremmo ragionare: ‘È una
persona che rispetta i Testimoni, ha sani princìpi morali e a volte parliamo anche di verità’. Ma
l’esperienza dimostra che col tempo potremmo addirittura trovarci a preferire tale compagnia a quella di
un fratello o di una sorella spirituale. Quali sono alcuni pericoli di simili amicizie?
Potremmo cominciare a sottovalutare l’urgenza dei tempi in cui viviamo o a interessarci sempre di più
delle cose materiali anziché di quelle spirituali. Per timore di dispiacere al nostro amico del mondo,
potremmo anche desiderare di essere accettati dal mondo. (Confronta 1 Pietro 4:3-7). Il salmista Davide,
da parte sua, preferiva frequentare persone che amavano Geova. “Sicuramente dichiarerò il tuo nome ai
miei fratelli; in mezzo alla congregazione ti loderò”, scrisse. (Salmo 22:22) Saremo protetti se imiteremo
l’esempio di Davide, cercando amicizie che possano edificarci spiritualmente.
Un’altra condotta pericolosa è quella di legarsi sentimentalmente a una persona dell’altro sesso quando
non si è liberi di sposarsi. Il pericolo può sorgere quando si nutre simpatia per una persona attraente, che
sa conversare e che forse è in sintonia col nostro modo di vedere le cose o col nostro senso
dell’umorismo. Ci può piacere la sua compagnia e forse ragioniamo: ‘So fin dove posso arrivare. Siamo
soltanto amici’. Tuttavia è facile che i sentimenti prendano il sopravvento e sfuggano al controllo.
Maria, una giovane sorella sposata, stava volentieri in compagnia di Michele. Lui era un bravo fratello, ma
aveva difficoltà a trovare amici. I due avevano molte cose in comune e scherzavano volentieri fra loro.
Maria era lusingata che un fratello celibe si confidasse con lei. Dopo non molto quella che sembrava
un’innocente amicizia si trasformò in un forte legame sentimentale. Passavano sempre più tempo
insieme, finché in ultimo commisero immoralità. “Avrei dovuto accorgermi del pericolo fin dall’inizio”,
sospira Maria. “Una volta fiorita, quell’amicizia divenne come sabbie mobili che ci risucchiavano sempre
più”.
Non dobbiamo mai dimenticare l’avvertimento biblico: “Il cuore è più ingannevole di qualunque altra cosa
ed è difficile da correggere. Chi lo può conoscere?” (Geremia 17:9) Il nostro cuore ingannevole, come le
onde che spingono la barca a vela contro gli scogli, può spingerci in un legame sentimentale disastroso.
La soluzione? Se vi sentite attratti da qualcuno che non siete liberi di sposare, fate uno sforzo cosciente
per mantenere le distanze dal punto di vista sentimentale. — Proverbi 10:23.
Liberatevi e state alla larga dal pericolo
Che dire se ci troviamo già spiritualmente in pericolo? I marinai, quando il vento e la marea li spingono
verso una scogliera, cercano disperatamente di riportare l’imbarcazione in mare aperto, o di riprendere il
largo quanto basta per raggiungere acque più sicure. In modo analogo dobbiamo lottare per liberarci.
Dando ascolto ai consigli scritturali, pregando fervidamente Geova e chiedendo aiuto a fratelli cristiani
maturi, possiamo tornare su una rotta sicura. Saremo di nuovo benedetti con la pace di mente e di cuore.
— 1 Tessalonicesi 5:17.
Qualunque sia la nostra situazione, teniamoci saggiamente lontani dalle ‘cose che appartengono al
mondo’. (Galati 4:3) Al contrario di Lot, Abraamo scelse di vivere lontano dai mondani cananei, anche se
dovette dimorare in tende per molti anni. Forse non ebbe certe comodità materiali, ma il suo stile di vita
semplice lo protesse spiritualmente. Invece di subire il naufragio della sua fede, divenne “il padre di tutti
quelli che hanno fede”. — Romani 4:11.
Circondati come siamo da un mondo dedito ai piaceri, il cui “spirito” si fa sempre più forte, abbiamo
bisogno di seguire l’esempio di Abraamo. (Efesini 2:2) Se ci lasciamo guidare da Geova in ogni cosa,
saremo benedetti e proveremo di persona la sua amorevole protezione. Ci sentiremo come Davide, che
disse: “Ristora la mia anima. Mi guida nei sentieri battuti della giustizia per amore del suo nome. Di sicuro
la bontà e l’amorevole benignità stesse mi inseguiranno per tutti i giorni della mia vita; e certamente
dimorerò nella casa di Geova per la lunghezza dei giorni”. Non ci sono dubbi: se anziché scegliere rotte
pericolose seguiremo i “sentieri battuti della giustizia”, otterremo benedizioni eterne. — Salmo 23:3, 6.
[Nota in calce]
I nomi sono stati cambiati.
[Foto a pagina 24]
Se vi sentite attratti da qualcuno che non siete liberi di sposare, mantenete le distanze dal punto di vista
sentimentale

g97 8/9 12 Cosa significa 'non far parte del mondo'?


Il punto di vista biblico
Cosa significa ‘non far parte del mondo’?
NEL IV secolo E.V. migliaia di sedicenti cristiani abbandonarono beni, parenti e abitudini per vivere isolati
nei deserti dell’Egitto. Vennero chiamati anacoreti, dal greco anachorèo, che significa “mi ritiro”. Uno
storico dice che mantenevano le distanze nei confronti dei loro contemporanei. Gli anacoreti pensavano
che appartandosi dalla società umana ubbidivano al comando dato ai cristiani di ‘non far parte del
mondo’. — Giovanni 15:19.
In effetti la Bibbia esorta i cristiani a “mantenersi senza macchia dal mondo”. (Giacomo 1:27) Le Scritture
avvertono chiaramente: “Adultere, non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia con Dio? Chi perciò
vuol essere amico del mondo si costituisce nemico di Dio”. (Giacomo 4:4) Ma questo vuol forse dire che
ci si aspetta che i cristiani divengano degli anacoreti, vivendo appartati dagli altri in senso letterale?
Dovrebbero mantenere le distanze nei confronti di quelli che non hanno le stesse credenze religiose?

G68 22-6 P.28-30

Luca — Tema: Siate collaboratori fedeli 1°CORINTI 3:9

it-2 155 Luca


LUCA
Medico e fedele compagno dell’apostolo Paolo. Scrittore del Vangelo di Luca e degli Atti degli Apostoli.
Dai suoi scritti è evidente che Luca era un uomo colto. E la sua esperienza di dottore si nota dall’uso di
termini medici. — Lu 4:38; At 28:8.
Luca non dice di essere stato testimone oculare degli avvenimenti della vita di Cristo descritti nel suo
Vangelo. (Lu 1:2) Perciò evidentemente divenne credente dopo la Pentecoste del 33 E.V.
Nel libro di Atti l’uso dei pronomi “noi” e “ci” è un riferimento indiretto a Luca. (At 16:10-17; 20:5–21:18;
27:1–28:16) Egli era con Paolo a Troas durante il secondo viaggio missionario dell’apostolo e di là andò
con lui a Filippi, dove forse rimase fino al ritorno di Paolo durante il terzo viaggio missionario. Alla fine di
questo viaggio missionario Luca seguì Paolo in Giudea (At 21:7, 8, 15) e, mentre l’apostolo per circa due
anni rimase in prigione a Cesarea, Luca probabilmente scrisse il suo Vangelo (ca. 56-58 E.V.). Egli
accompagnò Paolo nel suo viaggio a Roma per il processo. (At 27:1; 28:16) Dal momento che il libro di
Atti tratta avvenimenti accaduti dal 33 E.V. fino al secondo anno della detenzione di Paolo a Roma, ma
non menziona il risultato dell’appello di Paolo a Cesare, probabilmente Luca finì di scriverlo verso il 61
E.V.
Luca si unì a Paolo nell’inviare saluti ai cristiani di Colosse a cui Paolo scrisse da Roma (ca. 60-61 E.V.)
e da lui fu chiamato “il diletto medico”. (Col 4:14) Scrivendo a Filemone da Roma (verso il 60-61 E.V.),
Paolo incluse i saluti di Luca, uno dei suoi “compagni d’opera”. (Flm 24) Che Luca sia rimasto vicino a
Paolo e lo fosse ancora poco prima del martirio dell’apostolo è evidente dalle sue parole: “Solo Luca è
con me”. — 2Tm 4:11.
Alcuni sostengono che Luca fosse un gentile, soprattutto in base a Colossesi 4:11, 14. Dato che Paolo
menziona prima “quelli circoncisi” (Col 4:11) e poi Luca (Col 4:14), essi concludono che Luca non fosse
circonciso e quindi non fosse ebreo. Ma questo non è affatto sicuro. Romani 3:1, 2 dice che Dio affidò i
suoi detti ispirati agli ebrei, e Luca è uno di coloro a cui furono affidati tali detti ispirati.
Le Scritture non forniscono alcuna base neanche per identificare Luca con il Lucio di Atti 13:1 o con
l’omonimo ‘parente’ di Paolo menzionato in Romani 16:21.

w87 15/8 11-13 Giovani, come impiegherete la vostra vita?


Quali consigli seguire
9 La vostra vita è plasmata non solo da quelli di cui avete stima, ma spesso anche da parenti e amici che,
per usare le loro parole, ‘desiderano il meglio per voi’. ‘Devi guadagnarti da vivere’, dicono. Potrebbero
quindi consigliarvi di andare all’università per prepararvi a svolgere una professione ben rimunerata. ‘Lo
scrittore biblico Luca era un medico’, potrebbero dire, ‘e l’apostolo Paolo fu istruito da Gamaliele, maestro
della Legge’. (Colossesi 4:14; Atti 5:34; 22:3) Ma analizzate attentamente questo consiglio.
10 Il medico Luca non incoraggiò mai i cristiani a seguire l’esempio della sua precedente carriera
divenendo medici; al contrario, additò la vita di Gesù e dei suoi apostoli come quella da imitare.
Evidentemente Luca divenne medico prima di conoscere il messaggio di Cristo, ma in seguito mise al
primo posto nella vita il ministero cristiano. Lo stesso può dirsi di Paolo. Anziché incoraggiare altri a
imitarlo come lui aveva imitato Gamaliele, Paolo scrisse: “Divenite miei imitatori, come anch’io lo sono di
Cristo”. Paolo stimava a tal punto la conoscenza di Cristo da dire che, in paragone, considerava le sue
precedenti attività “come tanti rifiuti”. — 1 Corinti 11:1; Filippesi 3:8.
11 Ricordate che i sentimenti possono indurre anche quelli che vi amano a consigliarvi male. Per
esempio, quando Gesù parlò di ciò che lo attendeva nel suo ministero a Gerusalemme, l’apostolo Pietro
replicò: “Sii benigno con te stesso, Signore; tu non avrai affatto questo destino”. Pietro amava Gesù e
non voleva che soffrisse. Gesù tuttavia rimproverò Pietro sapendo che per compiere la volontà di Dio
sarebbe stato necessario non solo soffrire, ma anche essere messo a morte dagli oppositori. — Matteo
16:21-23.
12 Similmente, alcuni genitori o amici possono scoraggiarvi dall’intraprendere una vita di sacrificio. Spinti
dai sentimenti, che possono essere cattivi consiglieri, forse esitano a incoraggiarvi a intraprendere il
ministero continuo come pionieri, a prestare servizio come missionari o a lavorare come volontari in una
filiale dei testimoni di Geova. Forse dicono: ‘Perché invece non ti sposi e non ti sistemi qui vicino a noi?’
Oppure: ‘Sai, il lavoro alla Betel è duro. Forse è meglio che tu rimanga con noi’. In altre parole, per usare
l’espressione di Pietro, “sii benigno con te stesso”.
13 A volte anche i servitori di Geova hanno bisogno di correggere il loro modo di pensare. Pietro dovette
farlo, e, mostrando di aver corretto il suo punto di vista, scrisse: “Infatti, a questa condotta foste chiamati,
perché anche Cristo soffrì per voi, lasciandovi un modello, affinché seguiate attentamente le sue orme”.
(1 Pietro 2:21) Vivere da veri cristiani richiede uno spirito di sacrificio, e a volte comporta delle sofferenze.
Non è una vita facile, ma è quella alla quale siamo stati chiamati come cristiani. Accettarla significa
‘vivere non più per noi stessi, ma per colui che è morto per noi’. (2 Corinti 5:15) Tenendo presenti sani
modelli di comportamento saremo aiutati a impiegare la nostra vita con questo spirito di sacrificio.

W62 P.489-492
Mala (n. 1) — Tema: Geova è giusto DEUTERONOMIO 32:4; SALMO 37:28

it-2 177 Mala


MALA
[da una radice che significa “indebolirsi; ammalarsi].
1. Una delle figlie di Zelofead della tribù di Manasse. Mala e le sorelle chiesero l’eredità del padre, che
non aveva avuto figli maschi ma solo cinque femmine. Mosè interrogò Geova, il quale stabilì che le figlie
di Zelofead dovevano ricevere l’eredità. (Nu 26:28-33; 27:1-11) Un successivo ordine dato da Geova per
mezzo di Mosè stabilì che Mala e le altre figlie di Zelofead sposassero uomini della tribù di Manasse, per
impedire che l’eredità passasse a un’altra tribù. Per cui Mala e le sue sorelle “divennero mogli dei figli dei
fratelli del loro padre”. (Nu 36:1-6, 10-12) Questa decisione giudiziaria costituì un precedente riguardo
all’eredità. (Nu 36:7-9) In seguito esse si presentarono davanti al sacerdote Eleazaro e a Giosuè, citarono
il comando di Geova e ricevettero “un’eredità in mezzo ai fratelli del loro padre”. — Gsè 17:3, 4.

Manasse (n. 4) — Tema: La misericordia di Geova è grande PROVERBI 28:13

it-2 193 Manasse


MANASSE
(Manàsse) [uno che rende dimentichi; uno che fa dimenticare].
4. Re di Giuda, figlio e successore del re Ezechia. (2Re 20:21; 2Cr 32:33) Sua madre si chiamava Efziba.
Manasse, 14° re di Giuda dopo Davide, salì al trono quando aveva 12 anni e regnò per 55 anni (716-662
a.E.V.) a Gerusalemme. (2Re 21:1) Fece ciò che era male agli occhi di Geova, in quanto ricostruì gli alti
luoghi che suo padre aveva abbattuto, eresse altari a Baal, adorò “tutto l’esercito dei cieli” e costruì altari
per la falsa religione in due cortili del tempio. Manasse fece passare i suoi figli attraverso il fuoco, praticò
la magia, ricorse alla divinazione e promosse pratiche spiritiche. Inoltre mise nella casa di Geova
l’immagine scolpita del palo sacro che aveva fatto. Indusse Giuda e Gerusalemme a “fare ciò che era
male più delle nazioni che Geova aveva annientato d’innanzi ai figli d’Israele”. (2Re 21:2-9; 2Cr 33:2-9)
Geova inviò dei profeti che non furono però ascoltati. Manasse fu pure colpevole di spargere sangue
innocente in gran quantità (2Re 21:10-16), incluso, secondo scritti rabbinici, quello di Isaia che, sempre
secondo questi scritti, fu segato a pezzi per ordine di Manasse. — Cfr. Eb 11:37.
Manasse fu punito per non avere prestato ascolto al messaggio di Geova. Infatti il re d’Assiria lo portò
prigioniero a Babilonia, una delle città in cui risiedeva. (2Cr 33:10, 11) ‘Manasse di Giuda’ è menzionato
in un elenco di 22 “re di Hatti, la spiaggia e le isole” che pagavano un tributo a Esar-Addon re d’Assiria. Il
nome di Manasse compare anche in un elenco di re che pagavano un tributo ad Assurbanipal. — Ancient
Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, pp. 291, 294.
Mentre era in cattività, Manasse si pentì, si umiliò e pregò Geova. Dio esaudì la sua implorazione e lo
rimise sul trono a Gerusalemme. (2Cr 33:12, 13) Dopo di che Manasse “edificò un muro esterno per la
Città di Davide”, stabilì comandanti militari nelle città fortificate di Giuda ed eliminò gli dèi stranieri e
l’immagine idolatrica dalla casa di Geova, come pure gli altari che aveva eretto “sul monte della casa di
Geova e a Gerusalemme”. Manasse preparò l’altare di Geova e cominciò a immolare sacrifici su di esso,
incoraggiando anche altri a servire Geova. Comunque la popolazione faceva ancora sacrifici sugli alti
luoghi, sebbene a Geova. (2Cr 33:14-17) Alla morte di Manasse, salì al trono suo figlio Amon. — 2Cr
33:20.

w75 1/7 390-3 Siete troppo cattivi per essere perdonati da Dio?
IN TUTTO il mondo milioni di persone, di ogni condizione, odono la buona notizia del regno di Dio.
Vengono a conoscenza delle benedizioni che esso recherà: Morte, dolore e pena saranno eliminati; e
ogni uomo sederà sotto la sua vite e sotto il suo fico, senza che alcuno lo spaventi. Tutte queste
promesse sono offerte a chi cerca umilmente Geova e la sua giustizia. — Isa. 2:4; Sof. 2:3; Riv. 21:4.
Pur avendo udito anche voi questa buona notizia, forse pensate che queste promesse non siano per voi
a causa della vostra condotta passata. Se aveste conosciuto prima Dio e le benedizioni del suo regno, la
vostra vita avrebbe potuto essere diversa, ma non è stato così. Forse voi, vedendo condizioni ingiuste, vi
sentiste giustificati a farvi giustizia da soli, ricorrendo perfino alla disonestà o alla violenza. E può anche
darsi che, come molti altri, foste allevati in un cattivo ambiente, essendo così indotti a compiere azioni
scorrette di vario genere, e può anche darsi che seguiste tale condotta per vari anni. Come dice la Bibbia:
“Le cattive compagnie corrompono le utili abitudini”. — 1 Cor. 15:33.
Forse ripensandoci vi rendete conto di esservi fatti una cattiva reputazione. Vorreste poter cambiare, ma
può darsi pensiate che sia inutile, che Dio non potrebbe perdonare una persona come voi. Tuttavia, la
Bibbia mostra che Geova, pur non approvando la trasgressione e i trasgressori, non è un Dio vendicativo,
che chieda pienamente conto a ognuno di tutti gli errori commessi.
No, Dio non è affatto così. Come disse molto tempo fa il salmista: “Se tu guardassi gli errori, o Iah, o
Geova, chi starebbe?” Invece egli ci assicura che, se realmente lasciamo le nostre vie cattive e dannose
e ci volgiamo a lui, “egli perdonerà in larga misura”. — Sal. 130:3; Isa. 55:7.
Potete esserne certi perché la Bibbia ci dà notevoli esempi che Dio perdonò anche certuni che avevano
gravemente peccato ma che si erano veramente pentiti. Fra questi ci fu il re Manasse di Giuda. Fu uno
dei re più malvagi che regnassero in Gerusalemme. Per la sua grande malvagità Dio permise che fosse
portato prigioniero in Assiria. Ma quando Manasse si pentì, si umiliò e Lo pregò con fervore, Geova udì le
sue preghiere e lo ristabilì nel favore divino e nel suo regno. — 2 Re 21:2-16; 2 Cron. 33:2-13.
E l’esempio e l’insegnamento di Gesù e dei suoi apostoli vi danno un simile incoraggiamento. Gesù offrì
la speranza del perdono anche alle prostitute e agli esattori di tasse (considerati nel suo giorno fra i più
ignobili peccatori) che comprendevano d’aver bisogno di lui e si pentivano della loro precedente linea di
condotta. Come disse ai suoi critici: “I sani non hanno bisogno del medico, ma quelli che si sentono male
sì. . . . Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. In un’altra occasione disse: “Vi dico che così
ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si pente anziché per novantanove giusti che non hanno
bisogno di pentirsi”. — Matt. 9:11-13; Luca 15:7.
In particolare la bella parabola del figlio prodigo narrata da Gesù dovrebbe rassicurarvi. Il minore di due
figli chiese a suo padre la parte dell’eredità di famiglia che gli spettava e poi andò all’estero e “sperperò la
sua proprietà, vivendo una vita dissoluta”. In seguito, tornato in sé, si pentì e tornò umilmente a casa da
suo padre che, lungi dal respingerlo, lo accolse a braccia aperte. — Luca 15:11-32.
Un altro motivo di conforto e speranza sono le parole dell’apostolo Paolo in I Corinti 6:9-11. Poiché lì,
dopo aver ammonito i Corinti dei gravi peccati che avrebbero impedito loro di ereditare il regno di Geova
Dio, egli prosegue dicendo: “E questo eravate alcuni di voi. Ma siete stati lavati”.
SONO PERDONABILI TUTTI I PECCATI?
Vuol dire questo che si può essere perdonati indipendentemente dai peccati commessi? No, non è così.
Gesù lo rese chiaro nei commenti che rivolse ai suoi ipocriti oppositori, dicendo: “Vi dico: Ogni peccato e
ogni bestemmia saranno perdonati agli uomini, ma la bestemmia contro lo spirito non sarà perdonata. Per
esempio, a chiunque dica una parola contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma a chiunque parli
contro lo spirito santo non sarà perdonato, no, né in questo sistema di cose né in quello avvenire”. —
Matt. 12:31, 32.
Che cosa spinse Gesù a fare questi commenti? Il contesto mostra che quegli ipocriti religiosi videro
compiere da Gesù, il Figlio di Dio, ogni sorta di miracoli, incluso quello di espellere i demoni, per mezzo
del potere dello spirito santo di Dio, eppure attribuirono ostinatamente e malignamente questo potere a
Satana il Diavolo.
Altri i cui peccati non saranno perdonati sono quelli che una volta vennero alla conoscenza della verità
intorno a Geova Dio, esercitarono fede nel sangue sparso di Cristo e poi la ripudiarono o tornarono a
praticare la malvagità. Ma supponete di pensare d’aver commesso tale peccato: è necessariamente
così? Non se avete il sincero desiderio di pentirvi e di fare ciò ch’è giusto, poiché questo indica che forse
non siete andati troppo lontano, come mostra pure l’esempio del re Manasse. — Ebr. 6:4-6; 10:26, 27.
La concessione del perdono nonostante la condotta passata si basa su due fattori rassicuranti e
confortanti. Uno è la misericordia di Geova. Egli prova diletto a essere generoso, clemente, come ci
assicura la sua Parola: “Chi è Dio come te, che perdoni l’errore e passi sopra alla trasgressione . . .? Ci
mostrerà di nuovo misericordia; assoggetterà i nostri errori. E getterai nella profondità del mare tutti i loro
peccati”. — Mic. 7:18, 19.
L’altro fatto è dato dalle circostanze attenuanti. Il re Davide, benché peccasse gravemente contro Geova
riguardo a Betsabea, moglie di Uria, fu perdonato, ma non senza severo castigo. Perché? Perché era
nato nel peccato. Inoltre, ammise prontamente la sua trasgressione ed ebbe un pentimento sincero,
come leggiamo in Salmo 51. (2 Sam. 12:1-23) Accadde la stessa cosa all’apostolo Paolo. Un tempo
aveva perseguitato mortalmente i cristiani, ragione per cui si definisce il “principale” dei peccatori. Ma,
com’egli stesso dice: “Tuttavia, mi fu mostrata misericordia, perché ero nell’ignoranza e agivo per
mancanza di fede”. Sì, fu onesto e sincero nella sua opposizione al cristianesimo, benché fosse
grandemente in errore. Gli fu anche mostrata misericordia affinché, com’egli dice ancora, “per mezzo di
me quale caso principale Cristo Gesù dimostrasse tutta la sua longanimità a modello di coloro che
riporranno la loro fede in lui per la vita eterna”. — 1 Tim. 1:13-16; Atti 26:9-18.
ESEMPI MODERNI
Oggi, come nei tempi biblici, alcuni che sono stati grandissimi peccatori possono pentirsi ed essere
perdonati. I fatti lo mostrano. Ci fu pertanto un uomo che per la natura dei suoi reati fu condannato a
scontare la sua pena in una prigione dello Stato di New York dove c’erano massime misure di sicurezza
per impedire l’evasione. In seguito alla predicazione occasionale di un istruttore della prigione, un
testimone di Geova, la sua coscienza cominciò a rimordergli. La sua vita di un tempo lo affliggeva
grandemente. Si chiedeva se Dio potesse mai perdonarlo dei molti errori e gravi reati da lui commessi.
Ma gli fu assicurato che se si pentiva sinceramente poteva essere perdonato. Questo egli fece. Cambiò
del tutto la sua condotta errata, dedicò la sua vita a Geova Dio e fu battezzato. Ora è un cristiano molto
gioioso con la coscienza pura.
Considerate pure il caso dell’uomo che era un pericolosissimo componente della mafia siciliana.
Arrestato, fu condannato all’ergastolo. In prigione venne a contatto con un testimone di Geova che gli
parlò del solo vero Dio, della pura adorazione e delle meravigliose benedizioni che Dio ha in serbo per
l’umanità. Quando faceva parte della mafia era un “buon” cattolico eppure non vedeva nessuna
contraddizione fra i due ruoli che svolgeva. Ma convintosi della veracità del messaggio biblico che il
Testimone gli recava, si pentì sinceramente, si convertì e si dedicò a fare la volontà di Geova Dio. Il
cambiamento che operò nella sua vita fu così notevole che egli venne intervistato dalla televisione
italiana.
Sì, potete sperare di ottenere il perdono, una coscienza pura e l’approvazione di Dio anche se in passato
avete commesso gravi errori. Ma dovete fare dell’altro oltre a dire solo che vi rammaricate della vostra
condotta passata. Dovete acquistare conoscenza di Geova Dio e apprendere quali sono le sue giuste
esigenze. I cristiani testimoni di Geova del vostro quartiere sono pronti ad aiutarvi conducendo uno studio
biblico personale in casa vostra e mediante le adunanze nelle loro Sale del Regno.
Mentre studierete con loro potrete provare a voi stessi qual è per voi la giusta e santa volontà di Dio.
(Rom. 12:2) Sarete aiutati a nutrire odio per ciò che è male e sincero amore per la giusta volontà di Dio.
(Sal. 97:10) Non solo imparerete ad astenervi da ciò che è male, ma sarete aiutati ad apprendere come
fare ciò che è giusto agli occhi di Dio. Ed esercitando fede nel valore espiatorio del sacrificio di Cristo,
potrete fare queste cose con la coscienza pura, poiché “il sangue di Gesù, suo Figlio [di Dio], ci purifica
da ogni peccato”. — 1 Giov. 1:7.
È vero che mentre cominciate a rinnovare la vostra vita in armonia con le giuste esigenze di Dio, è molto
probabile che ogni tanto veniate meno. Ma questo non è un motivo per scoraggiarsi, poiché il salmista
Davide scrisse in modo confortante: “Quanto il levante dista dal ponente, tanto distanti da noi [Dio] ha
posto le nostre trasgressioni. Poiché egli stesso conosce bene come siamo formati, ricordando che siamo
polvere”. (Sal. 103:12, 14) Quest’assicurazione vi rafforzi per perseverare nella via giusta.
La Parola di Dio è veramente piena di confortanti assicurazioni per quelli che desiderano sinceramente
fare ciò ch’è giusto, qualunque sia stata in passato la loro condotta!

w78 1/5 24-6 Come si riconosce il pentimento sincero?


12 Un altro aspetto essenziale del pentimento è illustrato dal caso del re Manasse di Giuda. Riguardo al
suo peccato, la Bibbia ci dice: “Fece in grandi proporzioni ciò che era male agli occhi di Geova, per
offenderlo”. (2 Re 21:6) Infine, come espressione del giudizio di Geova, Manasse fu portato prigioniero a
Babilonia. Lì si pentì. Le Scritture narrano: “Placò la faccia di Geova suo Dio e si umiliava grandemente a
causa dell’Iddio dei suoi antenati. E Lo pregava, così che Egli si lasciò supplicare da lui e udì la sua
richiesta di favore e lo restituì a Gerusalemme al suo regno”. (2 Cron. 33:12, 13) Dopo di che Manasse
fece il possibile per correggere i suoi errori, rimuovendo le pratiche idolatriche dal reame, sacrificando a
Geova e incoraggiando il popolo a servire l’Altissimo. (2 Cron. 33:15, 16) Ciò mostra che il vero
pentimento richiede sia di abbandonare la condotta errata che di compiere uno sforzo deciso per fare ciò
ch’è giusto.
13 Quindi, l’individuo veramente pentito dev’essere in grado di additare il “frutto degno di pentimento”.
(Matt. 3:8) Questo include che faccia sforzi ragionevoli per correggere la situazione nei limiti consentiti
dalle circostanze in cui si trova. Per esempio, la sua professione di pentimento avrebbe poco peso se egli
non si interessasse minimamente di dare un compenso nel caso che avesse derubato qualcuno. Inoltre,
se non prendesse la ferma determinazione di comportarsi bene, ci sarebbe da dubitare seriamente della
sincerità del suo pentimento.
14 Ma come si deve considerare la cosa se si tratta di un peccato veramente scandaloso che ha dato
luogo a molta cattiva pubblicità? Anche in questo caso, che il trasgressore sia espulso o no dalla
congregazione dipende dal suo sincero pentimento o dalla mancanza d’esso.
15 Quando i segni di sincero pentimento mancano, gli anziani devono badare di non farsi dominare dal
sentimentalismo. Non possono condonare la trasgressione, semplicemente ignorando o considerando di
poca importanza l’onta e le difficoltà che la condotta illegale di un impenitente ha recato alla
congregazione. Altrimenti, questo potrebbe avere un effetto nocivo sulla congregazione in generale.
Alcuni componenti della congregazione potrebbero essere incoraggiati a prendersi delle libertà e
trascurare il consiglio ispirato: “Siate come liberi, eppure mantenendo la vostra libertà non come un
manto per malizia morale, ma come schiavi di Dio”. (1 Piet. 2:16) Inoltre, il trasgressore stesso potrebbe
finire per considerare il suo peccato come cosa da poco, esercitare ancora minor freno in futuro e
coinvolgere altri in azioni illegali. Il saggio re Salomone osservò: “Perché la sentenza contro un’opera
cattiva non è stata eseguita rapidamente, per questo il cuore dei figli degli uomini s’è in loro pienamente
volto a fare il male”. (Eccl. 8:11) Quindi, se ci sono seri dubbi sulla sincerità del pentimento di un
trasgressore e c’è la chiara prova che egli potrebbe esercitare un’influenza corruttrice, gli anziani non
dovrebbero esitare a seguire l’esortazione: “Rimuovete l’uomo malvagio di fra voi”. — 1 Cor. 5:13.
TRASGRESSIONI COMMESSE DA ANZIANI O SERVITORI DI MINISTERO
16 Dato che gli anziani hanno una responsabilità così gravosa nella congregazione cristiana, la loro
condotta dev’essere senz’altro esemplare. Perciò, se un anziano commette un grave peccato, ha
l’obbligo morale di informarne il corpo degli anziani, anche se si è pentito del suo errore. Perché? Perché,
avendo cessato d’essere irreprensibile, è ora squalificato dal continuare a servire come sorvegliante. (1
Tim. 3:2) Non sarebbe conforme alla norma di santità di Dio che uomini con gravi pecche spirituali
prestassero servizio come anziani. — 1 Piet. 1:15, 16; confronta la legge in Levitico 21:17-23, che
proibiva a uomini della casa di Aaronne di assolvere i doveri sacerdotali se avevano un difetto fisico.
17 Naturalmente, come tutti gli altri membri della congregazione, capita ripetutamente che gli anziani non
riflettano alla perfezione l’immagine di Geova. A causa delle sue ripetute mancanze, un anziano può
convincersi di non soddisfare più le esigenze scritturali e può portare la cosa all’attenzione degli altri
anziani. Dopo avere esaminato la faccenda e aver preso in considerazione anche la coscienza della
congregazione in generale, gli altri anziani possono tuttavia concludere che il tipo di mancanza in
questione non mette in dubbio che l’uomo è qualificato per servire come sorvegliante. (Vedi Galati 2:11-
14, dove apprendiamo che Pietro fu ripreso; questo errore non lo squalificò dal continuare a servire come
anziano). Nondimeno, se questo anziano crede ancora in coscienza di non essere più irreprensibile, gli
altri anziani dovrebbero rispettare i suoi sentimenti ed esonerarlo dalle sue responsabilità.
18 D’altra parte, se c’è un’accusa valida contro un anziano o se egli confessa un grave peccato, gli altri
anziani dovrebbero assumersi la piena responsabilità di esonerarlo dall’incarico di anziano e riprenderlo
secondo le necessità del caso, imponendogli quelle restrizioni che siano opportune. Oppure, se il suo
spirito impenitente lo rende necessario, dovrebbero disassociarlo.
19 Come nel caso degli anziani, i servitori di ministero che si rendono colpevoli di gravi errori hanno la
responsabilità morale di informarne gli anziani. Solo gli uomini “liberi da accusa” sono qualificati per
prestare servizio in tale incarico. (1 Tim. 3:10) Perciò, i casi di trasgressione in cui sono implicati dei
servitori di ministero sono risolti come quelli inerenti agli anziani.
20 Se Dio richiede che ogni componente della congregazione cristiana cerchi coscienziosamente di
piacergli e di mantenersi puro per il suo servizio, gli anziani e i servitori di ministero non dovrebbero certo
essere meno esigenti riguardo alla propria condotta. In genere hanno più esperienza di vita cristiana e
sono ritenuti più responsabili da Dio, poiché sono esempi. (Confronta Luca 12:48; I Pietro 5:2, 3). Anche
se commettono un grave errore, possono essere d’esempio con il loro sincero pentimento, che
manifesteranno convertendosi dal peccato e portandolo all’attenzione del corpo degli anziani. Se altri
commettono un grave peccato, possono essere aiutati dal loro esempio a seguire una simile condotta di
pentimento. Lo zelo di purificarsi dinanzi a Dio, la premura, l’indignazione per i loro errori, lo sforzo di
correggere il torto, opereranno per la salvezza di tutti. Inoltre, servirà a mantenere la pace nella
congregazione, la pace con Dio e gli uni con gli altri. — 2 Cor. 7:11.
21 Il pentimento sincero è veramente essenziale! In realtà, essendo imperfetti, tutti i giorni manchiamo in
qualche modo di riflettere alla perfezione l’immagine di Geova Dio. Questa è una cosa di cui dovremmo
giustamente rammaricarci. Ma non dovremmo per questo tormentarci per ogni piccolo difetto o sbaglio.
Nondimeno, la consapevolezza che spesso sbagliamo nel parlare e nell’agire dovrebbe renderci umili e
aiutarci a essere misericordiosi quando altri peccano contro di noi. Quindi, allorché preghiamo Dio di
perdonare i nostri falli, possiamo aver fiducia che si compiacerà delle nostre preghiere. (Matt. 6:12, 14,
15) Così, mentre continueremo a sforzarci di compiere la sua volontà avremo la coscienza pura. Sì,
saremo veramente felici, sapendo che Geova ha perdonato i nostri peccati e che ci considera suoi puri
servitori con la prospettiva della vita eterna. — Sal. 32:1, 2; 103:10-13.
[Figura a pagina 24]
Pur avendo commesso gravi peccati, il re Manasse diede prova di pentimento sincero facendo sparire
con zelo gli idolatrici “pali sacri”

w96 1/7 3-4 Ogni tipo di adorazione è gradito a Dio?


Contaminata la pura adorazione
Molti israeliti non accettarono il punto di vista di Dio sulla pura adorazione. Lasciarono che nel paese si
continuasse a praticare l’adorazione di Baal. Ben presto gli israeliti furono adescati e cominciarono a
mischiare l’adorazione di Geova con quella di Baal. Dio accettò quel miscuglio religioso? Considerate ciò
che accadde durante il regno di Manasse. Questo re edificò altari a Baal, bruciò il proprio figlio in
sacrificio e praticò la magia. “Inoltre, mise l’immagine scolpita del palo sacro [´asheràh, in ebraico] che
aveva fatto nella casa della quale Geova aveva detto . . . : ‘[In essa] porrò il mio nome a tempo
indefinito’”. — 2 Re 21:3-7.
I sudditi di Manasse seguirono l’esempio del loro re. Infatti egli “li seduceva per fare ciò che era male più
delle nazioni che Geova aveva annientato d’innanzi ai figli d’Israele”. (2 Re 21:9) Invece di dare ascolto ai
ripetuti avvertimenti dei profeti di Dio, Manasse praticò l’assassinio fino al punto di riempire Gerusalemme
di sangue innocente. Anche se alla fine Manasse si ravvide, il suo successore e figlio, Amon, ripristinò
l’adorazione di Baal. — 2 Re 21:16, 19, 20.
Con l’andar del tempo dei prostituti cominciarono a frequentare il tempio. Come considerava Dio questa
espressione dell’adorazione di Baal? Tramite Mosè aveva avvertito: “Non devi portare nella casa di
Geova tuo Dio il compenso di una meretrice né il prezzo di un cane [probabilmente un pederasta] per
alcun voto, perché sono qualcosa di detestabile a Geova tuo Dio, sì, tutt’e due”. — Deuteronomio 23:17,
18, nota in calce.
Il re Giosia, nipote di Manasse, purificò il tempio dall’immorale adorazione di Baal. (2 Re 23:6, 7) Ma le
cose erano ormai andate troppo in là. Non molto tempo dopo la morte di Giosia, l’adorazione idolatrica
veniva di nuovo praticata nel tempio di Geova. (Ezechiele 8:3, 5-17) Così Geova fece sì che il re di
Babilonia distruggesse Gerusalemme e il suo tempio. Questo triste fatto storico dimostra che alcune
forme di adorazione non sono gradite a Dio. Che dire di oggi?
w94 15/10 23 Perdonate come perdona Geova?
L’idolatria di Manasse e l’adulterio di Davide
8 Un notevole esempio di come Geova perdona è il caso di Manasse, figlio del buon re Ezechia. Manasse
aveva 12 anni quando cominciò a regnare a Gerusalemme. Edificò alti luoghi, eresse altari ai Baal, fece
pali sacri, si inchinò alle stelle del cielo, praticò magia e stregoneria, costituì medium spiritici e divinatori,
mise un’immagine scolpita nel tempio di Geova e fece passare i suoi propri figli attraverso il fuoco nella
valle di Innom. “Fece in grandi proporzioni ciò che era male agli occhi di Geova” e “seduceva Giuda e gli
abitanti di Gerusalemme per fare peggio delle nazioni che Geova aveva annientato d’innanzi ai figli
d’Israele”. — 2 Cronache 33:1-9.
9 Alla fine Geova fece venire contro Giuda gli assiri, che catturarono Manasse e lo portarono a Babilonia.
“E appena ciò gli ebbe causato angustia, egli placò la faccia di Geova suo Dio e si umiliava grandemente
a causa dell’Iddio dei suoi antenati. E Lo pregava, così che Egli si lasciò supplicare da lui e udì la sua
richiesta di favore e lo restituì a Gerusalemme al suo regno”. (2 Cronache 33:11-13) Allora Manasse
eliminò gli dèi stranieri, gli idoli e gli altari e li fece gettare fuori della città. Cominciò a offrire sacrifici
sull’altare di Geova e incoraggiò Giuda a servire il vero Dio. Questo dimostra in maniera straordinaria che
Geova è disposto a perdonare quando umiltà, preghiera e azioni riparatrici producono frutti degni di
pentimento! — 2 Cronache 33:15, 16.
W98 1-11 P.16 §11
Manoa — Tema: Siate pronti a conformarvi alla volontà di Dio ROMANI 12:1, 2

it-2 200 Manoa


MANOA
(Manòa).
Danita della città di Zora nella Sefela (Gsè 15:33) e padre del giudice Sansone. Manoa era un devoto
adoratore di Geova.
Un giorno un angelo apparve alla moglie di Manoa, la quale era sterile, e le annunciò la nascita di un
figlio che sarebbe stato un nazireo di Dio. Informato di ciò, Manoa supplicò Geova di mandare di nuovo il
messaggero perché insegnasse loro come allevare il bambino. Geova esaudì la preghiera e inviò l’angelo
una seconda volta. Quando Manoa si offrì di preparare un pasto per il messaggero, gli fu detto di
presentare invece un olocausto a Geova, cosa che egli fece. Dopo che il messaggero era asceso nella
fiamma che saliva dall’altare, Manoa riconobbe che era un angelo di Geova. A motivo di questa
esperienza, Manoa temeva che lui e la moglie sarebbero morti. Ma quest’ultima dissipò il suo timore
dicendo: “Se Geova si fosse dilettato solo a farci morire, non avrebbe accettato l’olocausto e l’offerta di
cereali dalla nostra mano, e non ci avrebbe mostrato tutte queste cose, e non ci avrebbe fatto udire come
ora cosa simile a questa”. — Gdc 13:2-23.
Anni dopo Manoa e sua moglie si opposero al desiderio di Sansone di sposare una filistea di Timna, ‘non
sapendo che questo era da Geova’. (Gdc 14:1-4; cfr. De 7:3, 4). Poi Manoa e la moglie si recarono a
Timna insieme a Sansone, ma non lo accompagnarono fino alla casa della donna. Perciò non erano
presenti quando Sansone uccise un giovane leone con le sole mani. Un’altra volta Sansone, intendendo
portarsi a casa la donna filistea, tornò con i genitori a Timna. Fece una deviazione per esaminare la
carcassa del leone ucciso in precedenza e vi trovò uno sciame di api e del miele. Raggiunti i genitori, offrì
loro un po’ del miele che aveva estratto dalla carcassa del leone ed essi lo mangiarono. Dopo di che la
famiglia si rimise evidentemente in cammino, e senza dubbio entrambi i genitori erano presenti al
banchetto imbandito da Sansone a Timna. — Gdc 14:5-10.
Manoa morì prima del figlio, infatti Sansone venne seppellito nel sepolcro di Manoa fra Zora ed Estaol.
— Gdc 16:31.

w88 15/5 23 C'è qualcuno che ha visto Dio?

Nel sesto capitolo di Giudici abbiamo un altro esempio di un uomo che parlò a Dio tramite un
rappresentante angelico. Il versetto 11 ⇒di Giudici 6 ⇐chiama il latore del messaggio “l’angelo di
Geova”. Qui leggiamo: “In seguito l’angelo di Geova venne e sedette sotto il grosso albero che era a
Ofra, appartenente a Joas l’abiezerita, mentre Gedeone suo figlio batteva il frumento nello strettoio per
toglierlo presto alla vista di Madian”. Questo messaggero, “l’angelo di Geova”, viene poi descritto come
se fosse Geova Dio stesso. Ai versetti 14 e 15 ⇒di Giudici 6 ⇐si legge: “Allora Geova si voltò verso
[Gedeone] e disse: ‘Va con questa tua potenza, e certamente salverai Israele dalla palma della mano di
Madian. Non ti mando io?’ A sua volta egli gli disse: ‘Scusami, Geova. Con che cosa salverò Israele?’”
L’angelo materializzato che Gedeone vedeva e col quale parlava, perciò, viene descritto nel racconto
biblico come se fosse stato Dio stesso. Al versetto 22 ⇒di Giudici 6 ⇐Gedeone dice: “Ho visto l’angelo di
Geova faccia a faccia!” L’angelo riferì esattamente ciò che gli aveva detto Dio. Gedeone, pertanto, parlò
con Dio tramite questo portavoce angelico.
Prendete poi l’episodio di Manoa e sua moglie, i genitori di Sansone. Anche nella narrazione che li
riguarda il messaggero angelico viene definito “angelo di Geova” e “angelo del vero Dio”. (Giudici 13:2-
18) Come si legge al versetto 22⇒ di Giudici 13⇐, Manoa disse alla moglie: “Noi positivamente
moriremo, perché abbiamo visto Dio”. Anche se in effetti non avevano visto Geova Dio, i sentimenti di
Manoa erano dovuti al fatto che aveva visto il materializzato portavoce personale di Dio.

w86 1/8 30 Vostro figlio sta 'crescendo verso la salvezza'?


Bisogna pregare
Quando Manoa seppe che stava per diventare padre, invocò la guida di Geova per riuscire a educare ed
allevare suo figlio. Geova esaudì la sua preghiera. (Giudici 13:8, 12, 24) Anche oggi i genitori non
dovrebbero dimenticare di pregare Geova perché dia loro saggezza, mentre si sforzano di incamminare i
figli sulla via della vita. Samuele, profeta di Geova, riteneva che trascurare di pregare per il popolo di
Geova equivalesse a “peccare contro Geova”. (I Samuele 12:23; confronta Proverbi 1:24, 25). Dovremmo
provare il medesimo senso di responsabilità nei confronti dei nostri figli. Vogliamo che acquistino una
mentalità spirituale. È indispensabile pregare regolarmente per ricevere aiuto.

w76 1/1 19-20 Mettiamo in pratica la Parola di Dio nella famiglia


10 L’articolo cita un educatore che ha studiato i rapporti tra madre e figlio e afferma: “Il secondo anno può
formare o rovinare l’intelligenza del bambino”. Se il bambino è amato o respinto, incoraggiato o
scoraggiato, questo può influire notevolmente sulla sua disposizione e sul suo progresso intellettuale. Si
è pure notato che la persona più vicina al bambino, sia un genitore, un nonno o qualcun altro, può avere
la massima influenza sul suo processo mentale, poiché per natura i fanciulli si affezionano a quelli che
son loro più vicini e li imitano. Madri, dedicate quindi sufficiente tempo ai vostri figli sin dall’infanzia?
Avete chiesto aiuto a Geova, come glielo chiese Manoa, perché vi guidi nell’impartire istruzione a vostro
figlio? — Giud. 13:8.
11 Oggi le donne non solo hanno molte faccende da sbrigare in casa, ma spesso devono dare una mano
per sostenere la famiglia. Per questo è specialmente importante che trovino il tempo da dedicare agli
interessi spirituali della famiglia, non lasciando che altre cose li facciano escludere. Che fosse difficile
stabilire un buon equilibrio fra le necessarie cose fisiche della vita e le cose spirituali fu indicato
nell’occasione in cui Gesù visitò la casa delle sorelle di Lazzaro. Marta era distratta dalle faccende
domestiche e voleva che sua sorella Maria l’aiutasse, ma Gesù disse: “Maria ha scelto la parte buona
[dedicandosi soprattutto alle cose spirituali], e non le sarà tolta”. (Luca 10:38-42) Che cosa considerate
più importante in casa vostra?

w74 1/3 146-7 Ammaestrate i vostri figli?


17 In modo simile, vorrete porre la mente di Dio nei vostri figli su molte altre cose, inculcando in loro, ad
esempio, le leggi di Dio riguardo all’esser veraci, benigni, pacifici, amorevoli, ecc. Ma se avete problemi
nell’ammaestrare i vostri figli, che cosa potete fare? Manoa, padre di Sansone, pregò Geova di guidarlo
nell’addestrare il suo ragazzo. (Giud. 13:8-14) Perché non seguite il suo esempio? La preghiera a Geova
può dare molti risultati. Un padre spiegò che certe volte, quando suo figlio era di malumore o depresso e
parlava poco, andava la sera nella sua camera da letto e, dopo aver bussato, entrava e diceva: “Figliolo,
non ho potuto fare a meno di notare che non eri te stesso nei giorni scorsi. C’è qualcosa che ti
preoccupa, qualcosa di cui possiamo parlare?” Di solito riuscivano a parlare, e il padre suggeriva di
chiedere l’aiuto di Geova, dicendo: “Ti dispiace se faccio questo per noi?” Dopo la preghiera, e quando
avevano discusso a fondo la cosa, di solito il figlio ne traeva molto giovamento. Quando sorgono
problemi, sarà utile pregare con i vostri figli, chiedere la guida di Geova, per allevarli secondo la “norma
mentale di Geova”.

fy 63 5 Addestrate i figli dall'infanzia


CHIEDETE LA GUIDA DIVINA
27 È vero, addestrare un figlio dall’infanzia è una sfida, ma i genitori credenti non devono affrontarla da
soli. Un uomo di nome Manoa vissuto ai giorni dei Giudici, quando apprese che stava per diventare
padre, chiese la guida di Geova per allevare il figlio. Geova esaudì le sue preghiere. — Giudici 13:8, 12,
24.
28 Similmente oggi, mentre allevano i figli, i genitori credenti possono pure parlarne a Geova in preghiera.
Essere genitori è un duro lavoro, ma ci sono grandi ricompense. Una coppia cristiana delle Hawaii dice:
“Hai 12 anni per portare a termine il tuo lavoro prima dei critici anni dell’adolescenza. Ma se hai lavorato
sodo per applicare i princìpi biblici, quando decidono di voler servire Geova di cuore quello è il tempo di
mietere gioia e pace”. (Proverbi 23:15, 16) Quando i vostri figli prenderanno questa decisione, anche voi
sarete spinti a esclamare: “I figli sono un’eredità da Geova”!

Marco — Tema: Non rivangate gli errori passati EFESINI 4:31

(VEDI DIZIONARIO ‘ZINGARELLI’ ALLA VOCE “RINVANGATE”)

it-2 209 Marco


MARCO
Soprannome romano del figlio di Maria di Gerusalemme. Il suo nome ebraico era Giovanni, che significa
“Geova ha mostrato favore; Geova è stato benigno”. (At 12:12, 25) Era cugino di Barnaba e compagno di
viaggio suo e di altri primi missionari cristiani, e fu ispirato a scrivere il Vangelo che porta il suo nome.
(Col 4:10) È il Giovanni Marco menzionato nel libro di Atti e il Giovanni di Atti 13:5, 13.
Fu evidentemente fra i primi che riposero fede in Cristo. Dato che la casa della madre di Marco era usata
come luogo di adorazione dalla primitiva congregazione cristiana, può darsi che sia lui che la madre
fossero diventati discepoli prima della morte di Gesù. (At 12:12) Poiché solo Marco menziona il ragazzo
che, sommariamente vestito, fuggì la notte del tradimento di Gesù, c’è ragione di ritenere che quel
ragazzo fosse lui. (Mr 14:51, 52) Sembra dunque probabile che Marco fosse presente quando lo spirito
santo fu versato sui circa 120 discepoli alla Pentecoste del 33 E.V. — At 1:13-15; 2:1-4.
Portata a termine l’opera di soccorso a Gerusalemme, Barnaba e Saulo (Paolo) ripartirono e “presero con
sé Giovanni, quello soprannominato Marco”. Sembra che Marco fosse una specie di servitore che
probabilmente si occupava delle loro necessità materiali durante il viaggio. (At 12:25; 13:5) Per qualche
ragione sconosciuta, quando giunsero a Perga in Panfilia, “Giovanni [Marco] si ritirò da loro e tornò a
Gerusalemme”. (At 13:13) Quindi in occasione del secondo viaggio missionario, benché Barnaba fosse
deciso a portare con sé Marco, l’apostolo Paolo “non pensava fosse conveniente condurre questi con
loro, dal momento che si era separato da loro in Panfilia e non era andato con loro nell’opera”. Ne seguì
“un’accesa esplosione d’ira” ed essi si separarono: Barnaba portò con sé Marco a Cipro e Paolo portò
con sé Sila in Siria e in Cilicia. — At 15:36-41.
Comunque, qualche tempo dopo, la frattura che poteva essersi creata fra Paolo, Barnaba e Marco si era
evidentemente sanata. Infatti Marco si trovava con Paolo a Roma e insieme a lui mandò saluti ai cristiani
di Colosse (ca. 60-61 E.V.). Paolo parla bene di lui: “Vi manda i saluti Aristarco, mio compagno di
prigionia, e Marco cugino di Barnaba, (circa il quale avete ricevuto comandi di accoglierlo se viene da
voi)”. (Col 4:10) L’apostolo Paolo menziona Marco fra coloro che inviavano saluti anche nella lettera che
scrisse a Filemone da Roma (pure verso il 60-61 E.V.). (Flm 23, 24) Poi (ca. 65 E.V.), quando era di
nuovo prigioniero a Roma, Paolo scrisse espressamente a Timoteo: “Prendi Marco e conducilo con te,
poiché mi è utile per il servizio”. — 2Tm 4:11.
Giovanni Marco andò anche a Babilonia con l’apostolo Pietro, poiché è menzionato nella sua prima
lettera (scritta verso il 62-64 E.V.) fra coloro che inviavano saluti. Pietro lo chiama “Marco, mio figlio”,
forse per indicare il forte vincolo d’affetto cristiano che esisteva tra loro. (1Pt 5:13; cfr. 1Gv 2:1, 7). Perciò
Marco, che un tempo aveva creato delle difficoltà, meritò la lode e la fiducia di preminenti servitori di Dio
ed ebbe il privilegio ancora più grande di essere ispirato a scrivere un resoconto del ministero di Gesù. —
Vedi GIOVANNI n. 4.

w78 1/11 6-7 Barnaba, leale sostenitore della vera adorazione


IL PRIMO VIAGGIO DI EVANGELIZZAZIONE CON PAOLO
Accompagnati da Marco, cugino di Barnaba, i due uomini tornarono ad Antiochia. Durante un’adunanza
della congregazione locale, lo spirito di Dio, che operava senz’altro per mezzo di uno dei profeti della
congregazione, indicò che Barnaba e Paolo dovevano essere appartati per un servizio speciale. Avendo
Marco per servitore, Barnaba e Paolo partirono per il loro primo viaggio di evangelizzazione, toccando
Cipro e certe città dell’Asia Minore. Alla prima tappa in Asia Minore, nella città di Perga, Marco decise di
lasciarli e tornare a Gerusalemme. Paolo pensò che Marco non avesse una valida ragione per farlo, ma
Barnaba giudicò meno severamente la partenza del cugino. Sembra che durante il viaggio fosse Paolo a
prendere la direttiva nel parlare. Entrambi gli uomini, comunque, furono perseguitati da turbe infuriate. A
Listra, Paolo fu persino lapidato e abbandonato per morto. Coraggiosamente, entrambi gli uomini
tornarono nelle città dove c’erano stati disordini e rafforzarono i credenti. Nominarono anche anziani nelle
congregazioni appena formate. — Atti 13:1–14:26.

W98 15-4 P.22, 23

Mardocheo (n.2) --- Tema: Le ricompense della lealtà SALMO 18:25

it-2 212-4 Mardocheo


2. “Figlio di Iair figlio di Simei figlio di Chis, beniaminita” (Est 2:5), anziano cugino e tutore di Ester. (Est
2:7) Di lui e della parte importante che ebbe nell’amministrazione dell’impero persiano all’inizio del V
secolo a.E.V. si parla unicamente nel libro biblico di Ester, scritto probabilmente dallo stesso Mardocheo.
Alcuni mettono in dubbio che il libro sia autentico o che Mardocheo sia stato un personaggio reale. La
loro obiezione — che Mardocheo doveva avere almeno 120 anni e una bella cugina di 100 anni più
giovane — si basa sulla tesi infondata che Ester 2:5, 6 indichi che Mardocheo fosse andato in esilio a
Babilonia insieme al re Ieconia. Tuttavia questi versetti biblici non intendono fare la storia di Mardocheo,
ma tracciarne la discendenza. Può darsi che Chis fosse il bisnonno di Mardocheo, o anche un antenato
più lontano che “era stato portato in esilio”. Un’altra tesi, che concorda con il linguaggio biblico, è che
Mardocheo, benché nato in esilio, fosse considerato incluso fra coloro che erano stati portati in esilio nel
617 a.E.V. nel senso che, non essendo ancora nato, era nei lombi dei suoi antenati. — Cfr. Eb 7:9, 10.
Leale servitore del re. Si legge che Mardocheo, benché fosse un esule ebreo, era un servitore del re.
Egli seppe che la regina Vasti era stata deposta da Assuero re di Persia e che tutte le vergini giovani e
belle dell’impero sarebbero state convocate per trovare fra loro chi potesse prendere il posto della regina.
Ester, cugina di Mardocheo, giovane “graziosa di forme e bella d’aspetto”, fu presentata fra le candidate
senza rivelare che era ebrea (Est 2:7, 8), e fu scelta come regina. Mardocheo, che continuava a svolgere
le sue mansioni e “sedeva alla porta del re”, venne a sapere che due funzionari di corte, Bigtan e Teres,
complottavano di mettere le mani sul re Assuero. Per mezzo di Ester egli avvertì il re, e il suo atto di
lealtà venne registrato nel “libro dei fatti dei giorni”. — Est 2:21-23.
Rifiuta di inchinarsi ad Aman. In seguito Aman l’agaghita fu nominato primo ministro da Assuero, il
quale ordinò che tutti coloro che si trovavano alla porta del re dovevano prostrarsi davanti ad Aman, a
motivo della sua posizione ora così elevata. Mardocheo rifiutò recisamente di farlo e addusse come
ragione il fatto di essere ebreo. (Est 3:1-4) Che Mardocheo spiegasse così la sua azione dimostra che
era dovuta alla sua relazione, quale ebreo dedicato, con Geova suo Dio. Egli si rendeva conto che
prostrarsi davanti ad Aman implicava più che inchinarsi fino a terra davanti a un personaggio di rilievo,
come alcuni israeliti avevano fatto in passato, riconoscendo semplicemente la superiorità di un regnante.
(2Sa 14:4; 18:28; 1Re 1:16) Nel caso di Aman c’era una buona ragione perché Mardocheo non si
inchinasse. Aman era probabilmente amalechita, e Geova aveva dichiarato di essere in guerra con
Amalec “di generazione in generazione”. (Eso 17:16; vedi AMAN). Per Mardocheo era una questione di
lealtà a Dio e non una questione politica.
Aman si infuriò, specie quando si rese conto che Mardocheo era ebreo. Il suo odio era così grande che
finché Mardocheo sedeva alla porta e rifiutava di inchinarsi davanti a lui non riusciva neanche a
rallegrarsi di tutta la potenza e i privilegi che aveva. Non limitando la sua sete di vendetta al solo
Mardocheo, Aman ottenne che il re decretasse lo sterminio di tutto il popolo di Mardocheo nel reame di
Persia. — Est 3:5-12.
Usato per liberare Israele. Di fronte all’editto di sterminare tutti gli ebrei dell’impero, Mardocheo
espresse la convinzione che Ester era stata insignita della dignità regale proprio in quel tempo per
liberare gli ebrei. Le spiegò la grave responsabilità che aveva e le ordinò di implorare il favore e l’aiuto del
re. A rischio della sua stessa vita, Ester acconsentì ad andare fino in fondo. — Est 4:7–5:2.
Nel momento più opportuno per Mardocheo e per gli ebrei (poiché era in gioco la lealtà stessa di
Mardocheo al re), durante una notte insonne l’attenzione del re Assuero fu provvidenzialmente rivolta alla
raccolta ufficiale dei documenti di stato. In tal modo fu ricordato al re che Mardocheo non era stato
ricompensato per il servizio reso rivelando il complotto sedizioso di Bigtan e Teres. Allora il re volle
rendere grandi onori a Mardocheo, con conseguente mortificazione di Aman che ebbe l’ordine di
predisporre e annunciare pubblicamente questi onori. — Est 6:1-12.
Ester riuscì a dimostrare che Aman era responsabile del grave travisamento dei fatti e delle calunnie nei
confronti degli ebrei e che inoltre agiva proditoriamente contro gli interessi stessi del re. Adirato, Assuero
ordinò che Aman venisse messo a morte. Il cadavere di Aman fu appeso al palo, alto più di 22 m, che lui
stesso aveva eretto per Mardocheo. — Est 7:1-10.
Mardocheo fu nominato primo ministro al posto di Aman e gli fu dato l’anello col sigillo del re per
suggellare i documenti di stato. Ester affidò a Mardocheo la casa di Aman che il re le aveva dato. Allora
Mardocheo, con l’autorizzazione del re, emanò un controdecreto che autorizzava gli ebrei a difendersi.
Per gli ebrei fu una luce di liberazione e gioia. Molti nell’impero persiano si schierarono dalla parte degli
ebrei, e, quando giunse il 13 adar, giorno in cui entravano in vigore le leggi, gli ebrei erano pronti. Grazie
all’alta posizione di Mardocheo, avevano l’appoggio delle autorità. A Susa i combattimenti si protrassero
per un altro giorno. In tutto l’impero persiano vennero uccisi più di 75.000 nemici degli ebrei, inclusi i dieci
figli di Aman. (Est 8:1–9:18) Con l’approvazione di Ester, Mardocheo comandò che ogni anno, il 14° e 1 5°
giorno di adar, i “giorni dei Purim”, si celebrasse una festa in cui gli ebrei si rallegravano, banchettavano,
si scambiavano doni e facevano regali ai poveri. Gli ebrei accettarono e tramandarono la festa ai loro
discendenti e a tutti quelli che si univano a loro. Secondo nell’impero, Mardocheo continuò a essere
rispettato dal dedicato popolo di Dio, gli ebrei, e a operare per il loro bene. — Est 9:19-22, 27-32; 10:2, 3.
Uomo di fede. Mardocheo fu un uomo di fede come quelli di cui parla l’apostolo Paolo in Ebrei capitolo
11, anche se non vi è menzionato per nome. Manifestò coraggio, risolutezza, integrità e lealtà a Dio e al
suo popolo e si attenne al principio espresso poi da Gesù: “Rendete dunque a Cesare le cose di Cesare,
ma a Dio le cose di Dio”. (Mt 22:21) Sia lui che Ester erano della tribù di Beniamino, di cui il patriarca
Giacobbe aveva profetizzato: “Beniamino continuerà a sbranare come un lupo. La mattina mangerà
l’animale afferrato e la sera dividerà le spoglie”. (Ge 49:27) L’attività di questi beniaminiti si svolse
durante il crepuscolo della nazione di Israele, quando gli israeliti non avevano più re sul trono ed erano
caduti sotto la dominazione dei gentili. Forse Mardocheo ed Ester ebbero il privilegio di sterminare gli
ultimi odiati amalechiti. L’interesse di Mardocheo per il bene dei suoi compatrioti indica che egli aveva
fede che dai figli di Israele sarebbe venuto il Seme di Abraamo per benedire tutte le famiglie della terra.
— Ge 12:2; 22:18.

w79 15/9 15-17 Una donna giudiziosa manifesta il suo altruismo


LEALE, MA SENZA COMPROMESSI
15 Ester è sempre in contatto con Mardocheo e continua a seguirne le istruzioni. Mentre egli siede alla
porta del re, Bigtan e Teres, funzionari di corte (che pare montassero la guardia alla porta
dell’appartamento privato del re), si indignano contro Assuero e cercano l’occasione per mettergli le mani
addosso. Appreso il complotto, Mardocheo ne informa immediatamente Ester, che parla al re in nome di
Mardocheo. Le sue dichiarazioni fanno aprire un’inchiesta. Presto i due traditori vengono giustiziati e i
loro cadaveri sono pubblicamente esposti su un palo in quanto colpevoli di lesa maestà. Sebbene
Mardocheo non venga ricompensato, il suo gesto di lealtà viene scritto nel libro dei fatti del giorno. — Est.
2:21-23.
16 Benché Mardocheo sia leale e abbia il dovuto riguardo per l’autorità governativa, non è disposto al
compromesso. Passa il tempo e per qualche ragione Assuero nomina primo ministro un certo ricco di
nome Aman. Inoltre, per ordine del re, tutti i servitori del sovrano che stanno alla porta del palazzo si
inchinano e si prostrano davanti ad Aman. Ma guardate Mardocheo! Continua a rifiutarsi decisamente di
prostrarsi dinanzi al nuovo primo ministro. Questo fatto manda Aman su tutte le furie. — Est. 3:1-5.
17 Perché Mardocheo ha assunto tale atteggiamento risoluto? Ebbene, Aman è un agaghita,
probabilmente un amalechita di discendenza reale. Geova aveva decretato lo sterminio finale degli
amalechiti perché avevano mostrato odio verso Dio e verso il suo popolo attaccando gli israeliti nel
deserto. (Eso. 17:8, 14-16; Deut. 25:17-19; 1 Sam. 15:1-33) Ecco perché il devoto Mardocheo è
irremovibile nel suo rifiuto di prostrarsi davanti ad Aman. L’inchinarsi sarebbe indice non solo di rispetto,
ma anche di pace e forse di omaggio verso questo amalechita. Mardocheo si mostra inflessibile perché si
tratta di mantenere l’integrità verso Dio.
18 L’adirato Aman comincia a cercare l’occasione propizia per annientare sia Mardocheo che il suo
popolo, i giudei di tutto l’impero. A tal fine, durante il mese di nisan, primo mese del dodicesimo anno di
Assuero, l’agaghita senza scrupoli ricorre alla divinazione. Davanti a lui ‘qualcuno [evidentemente un
astrologo] getta il Pur, cioè la Sorte’. Questo vien fatto allo scopo di determinare il giorno più propizio per
sterminare il popolo di Geova. — Est. 3:6, 7.
19 Ora Aman, parlando al re Assuero, mette in cattiva luce i giudei dipingendoli come gente indesiderabile
che viola le leggi. Aggiungendo un incentivo economico, l’agaghita dice: “Si scriva che siano distrutti; e io
pagherò diecimila talenti d’argento [un valore di miliardi di lire] nelle mani di quelli che fanno il lavoro
portandolo nel tesoro del re”. — Est. 3:8, 9.
20 Assuero dà peso alle false accuse? Sì, ci crede. Il re si sfila l’anello del sigillo, usato per autenticare i
documenti ufficiali, e lo dà ad Aman. “L’argento è dato a te, nonché il popolo, per farne ciò che è bene ai
tuoi propri occhi”, dice il governante persiano. Ben presto, sotto la guida di Aman, i segretari reali sono
impegnati a scrivere lettere contenenti un decreto che ordina la distruzione dei giudei. Il malvagio
agaghita usa l’anello del sigillo che reca l’emblema caratteristico del sovrano. Aman imprime l’anello nella
cera o in qualche altra sostanza soffice su questi documenti e così li autentica. — Est. 3:10-12.
21 Le lettere sono presto in mano ai corrieri, che impiegano veloci cavalli da posta. Il decreto, pubblicato
in varie lingue e diffuso in tutto l’impero, autorizza ad annientare i giudei e a saccheggiarne i beni.
Quando? Il tredicesimo giorno del mese invernale di adar (febbraio-marzo). È quindi comprensibile che
mentre Assuero e Aman siedono e bevono, la città di Susan, dove risiedono molti giudei, sia in
confusione. — Est. 3:13-15; 9:18.
TEMPO DI MOSTRARE CORAGGIO
22 Appena Mardocheo viene a sapere del piano di genocidio, si strappa le vesti, indossa un ruvido sacco
e si cosparge di ceneri in segno di lutto, e grida amaramente e ad alta voce. In maniera simile, la calamità
incombente induce i giudei di tutti i distretti giurisdizionali a fare gran lutto. Inoltre digiunano e senza
dubbio levano molte preghiere a Geova Dio. — Est. 4:1-3.
23 Anche Ester è profondamente addolorata. Manda degli abiti a Mardocheo perché si tolga il sacco, ma
egli non li accetta. In risposta a una domanda, egli manda alla regina una copia della legge appena
emanata e le ordina di andare davanti al re per implorare favore per il suo popolo. Cosa risponde Ester?
‘Tutti sanno che qualsiasi uomo o donna entri dal re senza essere stato chiamato viene messo a morte.
Solo se il re stende lo scettro d’oro la persona resta in vita. In quanto a me, sono ormai trenta giorni che
non vengo chiamata dinanzi a lui’. (Est. 4:4-11) Sì, Ester perderebbe la vita, a meno che il re Assuero
non ne approvi specificamente la presenza stendendo verso di lei il suo scettro, simbolo dell’autorità
reale. Richiede certo coraggio e fede in Geova andare dinanzi al sovrano senza essere stata invitata.
24 Ciò nondimeno, Mardocheo risponde: “Non pensare nella tua propria anima che la casa del re
scamperà più di tutti gli altri Giudei. Poiché se in questo tempo tu del tutto tacerai, sollievo e liberazione
stessi si leveranno per i Giudei da un altro luogo, ma in quanto a te e alla casa di tuo padre, perirete. E
chi sa se è per un tempo come questo che sei pervenuta alla dignità reale?”. (Est. 4:12-14) Mardocheo
ha fede che Ester è assurta alla dignità reale proprio in questo tempo per uno scopo speciale: la
liberazione del popolo di Dio. Ma in quanto a lei, mostrerà altruismo, fede e coraggio?
25 In risposta, Ester esorta Mardocheo a radunare tutti i giudei a Susan perché digiunino a suo favore.
‘Anch’io digiunerò’, dice, “e dopo ciò entrerò dal re, il che non è secondo la legge; e nel caso che io
debba perire, devo perire”. Ester sta per rischiare la sua stessa vita, ma questa donna giudiziosa è decisa
ad agire con coraggio e altruismo a favore del suo popolo. Ecco dunque che Ester, Mardocheo e i giudei
a Susan pregano e digiunano e confidano in Geova Dio per essere liberati. — Est. 4:15-17.
26 Anche nei tempi moderni i seguaci di Gesù Cristo unti con lo spirito, che sono giudei spirituali, e i loro
compagni devono coraggiosamente affrontare prove e nemici. (Rom. 2:28, 29) Il re dominante, Gesù
Cristo, può permettere ai nemici di giungere al limite dei loro tentativi di distruggere il popolo di Dio.
Com’è essenziale quindi che gli unti cristiani e i loro dedicati compagni agiscano con coraggio, pregando
per avere da Dio saggezza e manifestando fede vittoriosa! Ma in quanto a Geova, continuerà a sostenere
il suo popolo? Giudicatelo da voi, mentre continuiamo ad osservare il drammatico susseguirsi degli
avvenimenti del giorno di Ester.

w71 1/9 527-34


Cambiamento dal cordoglio a un buon giorno
I VERI cristiani sanno d’essere odiati da questo mondo, perché il mondo odiò anche Gesù, perfino
mettendolo crudelmente a morte. (Giov. 15:18-25) L’apostolo Pietro scrisse alla congregazione cristiana:
“Diletti, non siate perplessi per l’incendio [persecuzione] che vi è fra voi . . . Al contrario, continuate a
rallegrarvi, visto che siete partecipi delle sofferenze del Cristo [Messia], affinché vi rallegriate ed esultiate
anche durante la rivelazione della sua gloria”. — 1 Piet. 4:12, 13.
2 Questo privilegio di partecipare alla rivendicazione del nome di Dio mediante la perseveranza e
mediante la fiducia nella potenza di liberazione di Geova fu dimostrato sia da Mardocheo che da Ester
quando Aman complottò d’annientare tutti i Giudei. Uno scritto, che nomina il 13 Adar come il giorno
fatale, fu pubblicato in tutti i 127 distretti giurisdizionali dell’impero dei Persiani e dei Medi, incluso Susan
il castello reale. Mardocheo, appresolo, si vestì di sacco e si coprì di cenere, senza dubbio per supplicare
Geova, come avevan fatto altri servitori di Dio. (Dan. 9:3; Sal. 12:1) Quando Ester chiese la ragione della
sua profonda afflizione, egli le disse tutte le cose che erano accadute e le impose il comando di entrare
dal re e di fargli direttamente la richiesta del suo proprio popolo.
3 Vivamente commossa da questo comando di Mardocheo, Ester gli rammentò che secondo la legge dei
Medi e dei Persiani chiunque fosse entrato dal re senza essere invitato sarebbe stato messo a morte.
Solo nel caso che il re avesse teso verso di lui lo scettro d’oro sarebbe rimasto in vita. Inoltre, Ester
informò Mardocheo, ella non era stata invitata ad entrare dal re per trenta giorni. Fare ora ciò che
Mardocheo richiedeva, senza essere invitata dal re, poteva significare la sua morte. Mardocheo,
comunque, fu inflessibile e rispose a Ester: “Non pensare nella tua propria anima che la casa del re
scamperà più di tutti gli altri Giudei. Poiché se in questo tempo tu del tutto tacerai, sollievo e liberazione
stessi si leveranno per i Giudei da un altro luogo; ma in quanto a te e alla casa di tuo padre, perirete. E
chi sa se è per un tempo come questo che sei pervenuta alla dignità reale?” L’ubbidienza di Ester verso
Mardocheo e l’amore di lei verso il proprio popolo ebbero il sopravvento. Ella rispose: “Va, aduna tutti i
Giudei che si trovano in Susan e digiunate a mio favore e non mangiate né bevete per tre giorni, notte e
giorno. Io pure con le mie giovani, similmente digiunerò, e dopo ciò entrerò dal re, il che non è secondo la
legge; e nel caso che io debba perire, devo perire”. — Est. 4:1-17.
DISCERNIMENTO DINANZI AL PERICOLO
4 Ester non fece affidamento sulla sua relazione col re. Né Mardocheo confidò nella propria opera di
lealtà, che fino a questo punto non era stata ricompensata. (Est. 2:21-23) Entrambi confidarono
interamente in Geova e ne cercarono la guida nella condotta che avrebbero seguita per servire da
strumenti per preservare in vita il popolo di Dio. Ester, prese la propria vita nelle proprie mani, si vestì in
maniera reale e stette dinanzi al re. “Appena il re vide Ester la regina stare nel cortile, ella ottenne favore
ai suoi occhi, così che il re tese a Ester lo scettro d’oro che era nella sua mano”. (Est. 5:1, 2) Anche oggi,
la classe di Ester è nello stesso pericolo della classe di Mardocheo. Ma non si tirano indietro, mostrano
reale amore verso tutto il popolo di Dio e operano insieme alla classe di Mardocheo in completa unità,
cercando la preservazione di quelli che Dio chiama fuori di questo mondo perché lo rappresentino in
questo “tempo della fine”. (Matt. 12:30; Sal. 133:1) Che esempio è questo per quelli che si associano agli
unti di Geova, confidando nel risultato della loro fiducia nel più grande Assuero, Gesù Cristo.
5 Ester si rivolse al re ma chiese semplicemente che il re partecipasse a un banchetto che ella aveva
preparato per lui e per Aman. Il re prontamente accettò. (Est. 5:3-5) In apparenza, includendo Aman in
questa disposizione, Ester mostrava favore ad Aman, a differenza di Mardocheo. Questo è in armonia
con il fatto che nell’antitipo la classe di Ester, agendo secondo le istruzioni della classe di Mardocheo,
non cerca di distruggere con la violenza il sedicente clero cristiano della cristianità. Non cercano di
disfarne la stretta unione di Chiesa e Stato. (Efes. 6:12) Secondo la profezia biblica si deve manifestare
fino al suo massimo grado. La classe di Aman si smaschererà per ciò che realmente sono: nemici di Dio
in quanto sono amici del mondo. Deve divenire molto evidente che quelli raffigurati da Aman sono
l’“uomo dell’illegalità” verso Dio, assolutamente condannato alla distruzione. — 2 Tess. 2:3, 4, 8.
6 Ancora Ester non rivelò ciò che era nel suo cuore. Senza dubbio agendo sotto la guida di Geova, come
i successivi avvenimenti vigorosamente indicano, ella chiese al re di tornare a un secondo banchetto, a
cui avrebbe preso parte anche Aman. Aman uscì, “gioioso e allegro di cuore”. Ma visto Mardocheo alla
porta del re che non si inchinava né tremava a causa di lui, fu immediatamente pieno di furore.
Comunque, si controllò ed entrò nella sua casa dove si vantò della sua grandezza con sua moglie e i suoi
amici. Essi si rallegrarono con lui ma convennero quando Aman si lamentò che “tutto questo non mi fa
affatto piacere finché vedo Mardocheo il Giudeo sedere alla porta del re”. Quindi Zeres e tutti i suoi amici
gli consigliarono: “Facciano un palo alto cinquanta cubiti. Quindi la mattina di’ al re che vi appendano
Mardocheo. Va quindi gioioso al banchetto col re”. Questo piacque immensamente ad Aman. Egli
determinò che di buon’ora la mattina dopo sarebbe entrato dal re e gli avrebbe fatto pressione perché
approvasse questa richiesta. — Est. 5:6-14.
GEOVA DIRIGE GLI AVVENIMENTI
7 Ora gli avvenimenti presero una svolta inaspettata. Quella notte mentre Aman complottava di fare il
male a Mardocheo, il re Assuero andò a letto ma non poté dormire. Traendo la conclusione che aveva
omesso qualche cosa, che era colpevole di qualche mancanza, di qualche inadempienza, si fece portare
il libro delle memorie e chiese ai suoi servitori di leggerle. Essi scorsero l’elenco per vedere se avessero
mancato di fare qualche cosa. “Col passar del tempo si trovò scritto ciò che Mardocheo aveva rivelato
riguardo a Bigtana e a Teres, due funzionari di corte del re, portinai, che avevan cercato di mettere la
mano sul re Assuero. Quindi il re disse: ‘Quale onore e cosa grande è stata fatta per questo a
Mardocheo?’ A ciò i servitori del re, suoi ministri, dissero: ‘Non gli è stato fatto niente’”. Il re determinò
subito di onorare Mardocheo. — Est. 6:1-3.
8 Di buon’ora la mattina dopo, Aman venne a presentarsi al re e il re Assuero lo fece entrare. Ma prima
che potesse attuare quanto aveva deciso verso Mardocheo, il re espresse la sua domanda, prevenendo
in tal modo ciò che avrebbe potuto essere una piega degli avvenimenti del tutto diversa. Se fosse stato
prima consentito ad Aman di chiedere che Mardocheo fosse impiccato, il re, che cercava di onorare
Mardocheo, avrebbe ben potuto volgersi all’istante contro Aman senza l’intervento della regina Ester o di
Mardocheo. Così, il loro ruolo in questo dramma sarebbe stato anticipato e non sarebbero serviti a finire
la guerra di Geova contro gli Amalechiti. — Est. 6:4, 5.
9 Secondo il proposito di Geova, il re parlò per primo: “Che cosa si deve fare all’uomo nel cui onore il re
stesso ha preso diletto?” (Est. 6:6) Aman, con le sue millanterie della notte precedente ancora fresche
nella mente, non poté vedere nessun altro che se stesso nella più alta stima del re e concluse che egli
doveva essere colui che il re provava diletto di onorare. Pertanto diede consiglio al re secondo le sue
proprie ambizioni: ‘Portino fuori lo stesso cavallo del re con una corona sulla sua testa e l’uomo che
dev’essere onorato sieda sul cavallo e il principale funzionario del reame del re conduca il cavallo e lo
faccia cavalcare a quest’uomo favorito nella pubblica piazza della città e proclami ad alta voce davanti a
lui: “In questo modo si fa all’uomo nel cui onore il re stesso ha preso diletto”’. Con fiducia, Aman attese la
risposta del re, solo per udirlo dire: “Presto, prendi la veste e il cavallo, proprio come hai detto, e fa così a
Mardocheo il Giudeo che siede alla porta del re”. Aman fu completamente annichilito. Ma non poté fare
altro che ubbidire. Se non avesse ubbidito per certo sarebbe stato messo a morte. Così, quando fu più
necessario che Mardocheo fosse ricordato, Geova agì a suo favore per la sua protezione e per salvargli
la vita. Aman, in contrasto, fu obbligato ad ammettere che non lui, ma questo odiato, disprezzato giudeo
Mardocheo era colui nel cui onore il re provava diletto. — Est. 6:6-11.
UN COMPLETO CAPOVOLGIMENTO
10 Aman era un uomo orgoglioso. Proverbi 16:18 dice: “L’orgoglio è prima del crollo, e lo spirito superbo
prima dell’inciampo”. Secondo questo principio c’era per Aman una sola conseguenza. Ci doveva essere
la caduta. Oggi, ha luogo un esatto parallelo. Nei tempi passati il clero è stato esaltato alla più alta
posizione in questo sistema di cose. Sebbene pretenda di regnare per grazia di Dio e mediante il suo Re,
Gesù Cristo, il clero non ha presso Dio nessuna vera reputazione, fatto che diviene sempre più evidente
a tutti gli osservatori di mente aperta. (Matt. 7:15-23) La classe di Mardocheo, d’altra parte, acquista
sempre più favore presso Gesù Cristo, in particolar modo dal 1926 quando nel numero de La Torre di
Guardia del 1° gennaio di quell’anno, nell’articolo princi pale: “Chi onorerà Geova?” si dichiararono a
favore di Dio. Molti avvenimenti da quel tempo hanno dato risalto a questi fatti. Dal 1922 al 1928 i
testimoni di Geova fecero una serie di proclamazioni, molte delle quali mirarono direttamente a
smascherare il clero. Nel 1930, furono pubblicati due libri chiamati “Luce”, che spiegavano Rivelazione, e
anche questi smascheravano il clero della cristianità mentre esaltavano nello stesso tempo il regno di Dio
retto dal Signore Gesù Cristo. Tutte queste proclamazioni e denunce ferirono il clero della cristianità di
umiliazione. Tuttavia, anche al sommo della loro potenza non poterono impedire che queste e altre
pubblicazioni fossero distribuite in tutto il mondo a milioni di copie. Questo fatto ancora sussiste, e alla
luce degli avvenimenti correnti risulta ancor più verace. Quelli che vogliono prendersi la cura di guardare
la storia possono vedere da sé che l’infedeltà del clero verso la Bibbia e la sua mancanza d’interesse
nell’edificazione delle norme morali del popolo non sono nuove ma sono proprio come è stato denunciato
dai testimoni di Geova da questo primo periodo in cui Dio mostrò il proprio favore ai suoi veri servitori, la
classe di Mardocheo, a spese del clero e a vergogna del clero. Quale ulteriore umiliazione li attende
prima della loro ignominiosa fine, sarà rivelato solo dal futuro.
11 Aman corse a casa dalla sua famiglia e dai suoi amici, ma non vi trovò nessun conforto. Al contrario, “i
suoi saggi e Zeres sua moglie gli dissero: ‘Se Mardocheo, dinanzi al quale hai cominciato a cadere, è dal
seme dei Giudei, non prevarrai contro di lui, ma senza fallo gli cadrai dinanzi’”. Queste parole di
condanna erano uscite appena dalla loro bocca che arrivarono i funzionari del re e conducevano Aman al
secondo banchetto che Ester aveva fatto per il re. — Est. 6:12-14.
IDENTIFICAZIONE E SMASCHERAMENTO
12 Ora, al termine del secondo banchetto, era giunto il tempo che Ester facesse al re la propria richiesta.
“Se ho trovato favore ai tuoi occhi, o re, e se al re in effetti sembra bene, mi sia data la mia propria anima
alla mia petizione e il mio popolo alla mia richiesta. Poiché siamo stati venduti, io e il mio popolo, per
essere annientati, uccisi e distrutti. Ora se fossimo stati venduti per semplici schiavi e per semplici serve,
avrei dovuto tacere. Ma l’angustia non conviene quando è di danno al re”. Il re fu grandemente scosso.
“‘Chi è costui, e dov’è mai colui che si è imbaldanzito da fare in tal modo?’ Quindi Ester disse: ‘L’uomo,
l’avversario e nemico, è questo malvagio Aman’”. Il re, non potendo contenere la sua furia, si ritirò nel
giardino del palazzo per riacquistare la padronanza di sé. Aman, atterrito a questo volgere di
avvenimenti, supplicò Ester di salvargli la vita, poiché sapeva che la faccia del re era volta contro di lui.
Le sue suppliche erano così intense che le cadde accanto sul divano proprio mentre il re tornava dal
giardino. Visto ciò, il re disse: “‘Si deve anche far violenza alla regina, presso di me nella casa?’ La parola
stessa uscì dalla bocca del re, e coprirono la faccia di Aman. Arbona, uno dei funzionari di corte dinanzi
al re, ora disse: ‘Inoltre, c’è un palo che Aman ha fatto per Mardocheo, che aveva proferito il bene
riguardo al re, eretto nella casa di Aman, alto cinquanta cubiti’. Allora il re disse: ‘Impiccatevelo’. E
impiccavano Aman al palo che egli aveva preparato per Mardocheo; e il furore del re si calmò”. — Est.
7:1-10.
13 Perché Ester smascherasse Aman come arcinemico era necessario che rivelasse la propria identità.
Quando nei tempi moderni si identificarono quelli della classe di Ester secondo il racconto storico? La
migliore evidenza è l’identificazione che ebbe luogo la domenica 26 luglio 1931, a un’assemblea del
popolo di Geova, a Columbus, nell’Ohio. In quell’occasione adottarono una risoluzione con la quale si
identificarono, abbracciando il nome “testimoni di Geova”. (Isa. 43:10, 12) Un opuscolo contenente
questa risoluzione fu pubblicato e divulgato estesamente. Questa identificazione operò pure per lo
smascheramento della classe del clero. L’odio già manifestato verso i veri servitori di Dio si rivelò ora in
un’azione ancor più vigorosa e la classe di Aman s’identificò ora ancor più positivamente come contro Dio
e decisa a distruggere i servitori di Dio. (Matt. 23:29-36) Il popolo di Geova corse all’opposizione come
non aveva mai fatto prima nella sua storia. L’adempimento dell’impiccagione di Aman al palo preparato
per Mardocheo non deve più aspettare la distruzione di Babilonia la Grande, poiché con queste azioni, da
questo tempo in poi, la classe di Aman è morta agli occhi di Dio e agli occhi delle persone di cuore onesto
di tutto il mondo. Per giunta, i dieci figli di Aman gli sopravvissero per portare il quadro a un ulteriore
adempimento.
14 Fu in quello stesso anno 1931 che fu pubblicato il primo volume di una serie di tre libri, vale a dire
Rivendicazione, e a quella stessa assemblea fu pronunciato un discorso che spiegò nei particolari il nono
capitolo di Ezechiele. In questo discorso l’uomo vestito di lino che portava il corno da scrivano fu
identificato nell’adempimento antitipico come pure quelli che sospiravano e gemevano i quali dovevano
essere segnati sulla fronte e i venticinque uomini di fronte al tempio che adoravano il sole invece di
Geova Dio. La classe di Mardocheo e la classe di Ester insieme compresero ora d’avere un’ulteriore
opera da fare per cui furono ritenute ancora sulla terra per un poco. Si trattava di trovare quelli che
sospiravano e gemevano a causa delle condizioni create da quelli che pervertivano la vera adorazione di
Dio, quelli raffigurati dai venticinque uomini che adoravano il sole, vale a dire la classe del clero.
Quest’opera di salvezza doveva aver luogo prima che la distruzione fosse recata su tutti quelli che non
avevan ricevuto il marchio sulle loro fronti. Quindi l’identificazione del popolo di Geova per mezzo del
significativo nome di testimoni di Geova venne in un tempo di grande necessità per il popolo di Dio e
simultaneamente all’inizio di una nuova e importante fase del proposito di Dio in questo “tempo della
fine”.
ORGANIZZATI PER LA DIFESA E PER L’OFFESA
15 Ora Mardocheo fu promosso e gli venne dato l’anello con sigillo del re, che era stato tolto dal dito di
Aman prima che fosse impiccato. L’adempimento è in armonia con la profezia di Gesù che disse: “Perciò
vi dico [cioè al clero del suo giorno]: Il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a una nazione che ne produca
i frutti”. (Matt. 21:43) Questo è stato invero un drammatico capovolgimento che ha avuto luogo nel nostro
giorno. Ma si doveva fare qualche altra cosa. Benché fosse stata salvata la vita personale di Mardocheo
ed egli fosse stato esaltato, i dieci figli di Aman erano ancora vivi e c’era ancora il decreto di sterminare
tutti i Giudei il 13 Adar in tutto l’impero. Mardocheo comprese che c’era un modo di venirne fuori per i
Giudei, un modo che il decreto di Aman non aveva previsto. Questa era l’autorità che il popolo di Geova
si adunasse e combattesse per la propria difesa. Ora i Giudei potevano prendere l’iniziativa contro quelli
che li volevano distruggere, distruggendo invece il malvagio nemico. Il re acconsentì che si prendesse
questo provvedimento e il decreto fu suggellato con il suo anello e copie ne furono inviate a tutti i 127
distretti giurisdizionali. — Est. 8:1-14.
16 Questo causò un grande cambiamento. Ora, invece d’esserci fra i Giudei grande cordoglio e digiuno e
gemiti, essi cominciarono a rallegrarsi e ad adunarsi e a unirsi per schierarsi contro i loro nemici. Per di
più, il timore dei Giudei cadde sui popoli del paese e molti si dichiaravano Giudei. (Est. 8:15-17) Questa
parte del dramma ebbe un drammatico adempimento durante il critico decennio degli anni trenta. Avendo
compreso che avevano diritto di prendere tutte le pacifiche, legali misure per proteggere la propria vita, i
servitori di Dio facevano appello ai tribunali e ai governi a favore dell’opera che Dio aveva loro data di
trovare quelli sinceramente disposti verso Geova e il suo popolo. Ulteriori passi di unificazione furono
compiuti e la struttura teocratica dell’organizzazione raggiunse la sua piena realizzazione nel 1938. Il
popolo di Dio era ora pienamente unito e pronto quando venne il tempo dell’adempimento del 13 Adar
antitipico.
17 Questo tempo giunse durante il periodo della seconda guerra mondiale. Ogni evidenza indica la
conclusione che i nemici del popolo di Dio determinarono di usare quella situazione bellica con il suo
patriottismo, il suo nazionalismo, le sue influenze, le sue false accuse di comunismo da una parte e di
nazismo dall’altra per prendere i testimoni di Geova e distruggerli. Si delineò un attacco mondiale che
parve potesse cancellare completamente la predicazione mondiale delle classi di Mardocheo e di Ester e
dei loro compagni che ora cominciavano a unirsi a loro. Avrebbe potuto davvero essere un giorno tetro,
un giorno di cordoglio, ma questi fedeli servitori di Dio non accolsero questa concertata azione
standosene inoperosi. Durante questo tempo rappresentato dal 13 Adar, i testimoni di Geova
combatterono come non avevano mai combattuto prima. Fecero una lotta spirituale per preservare la loro
vita spirituale in tutto il mondo, combattendo da una sede centrale, presentando un fronte organizzato
contro il nemico. Ci furono perdite, ma non ci fu nessun combattimento con armi carnali da parte del
popolo di Geova. (2 Cor. 10:3, 4) Anche nei campi di concentramento Geova benedisse questa
dimostrazione di coraggio dei suoi testimoni, e il risultato di questa lotta ha fatto una durevole
impressione a quelli che soffrivano e gemevano nella cristianità perché il clero si era smascherato più che
mai come contro Dio e contro il regno di Cristo. (2 Tess. 1:4, 5) Questa continua morte spirituale del clero
agli occhi delle persone di cuore onesto è ben rappresentato dalla morte dei dieci figli di Aman uccisi il 13
Adar. Insieme a loro, 500 nemici di Dio furono uccisi a Susan e 75.000 in tutto il resto del reame. Il 14
Adar il combattimento continuò a Susan il castello e 300 altri nemici dei Giudei furon messi a morte,
mentre nei distretti periferici i Giudei celebravano la loro vittoria. — Est. 9:1-19.
DAL CORDOGLIO ALL’ALLEGREZZA
18 Questo giorno, che com’era stato complottato doveva essere un giorno di cordoglio, divenne un buon
giorno, un giorno di vittoria, di rivendicazione e di allegrezza! Così pure nei tempi moderni! Quando
cominciò la seconda guerra mondiale nel 1939, c’erano 71.509 del popolo di Geova uniti in difesa della
vera adorazione. Ma al tempo in cui questa guerra finì fra le nazioni del mondo, lungi dall’essere
annientati, la fedele schiera di attivi testimoni si era raddoppiata, e nel 1945 vide 141.606 d’essi compiere
la loro guerra spirituale contro i nemici di Dio. Ma la nostra guerra spirituale di autodifesa non è finita.
Essa continua fino a questo giorno come fu raffigurato dalla celebrazione annuale dei “Purim” imposta da
Mardocheo a tutto il popolo, cioè “di celebrare regolarmente il quattordicesimo giorno del mese di Adar e
il quindicesimo giorno d’esso ogni anno, secondo i giorni nei quali i Giudei si erano riposati dai loro nemici
e il mese che si era cambiato per loro da mestizia in allegrezza e da lutto in un buon giorno”. (Est. 9:20-
32) Quest’anno (1971) i Giudei ortodossi han celebrato la loro “festa di Ester” il 10 marzo, e la loro festa
dei Purim l’11 e il 12 marzo.
19 Con la piena prova della liberazione di Geova già parte del racconto storico sia dei tempi antichi che di
quelli moderni, guarderemo ancora con fiducia e viva attesa la “grande tribolazione” che sta per
abbattersi nella quale tutti quelli della classe di Aman e i loro sostenitori raccoglieranno letteralmente ciò
che hanno seminato, esattamente come il re Assuero dichiarò su Aman: “Il malvagio disegno che egli ha
tramato contro i Giudei ricada sulla sua propria testa”. (Est. 9:25; Matt. 24:21, 22) Quando quel tempo
verrà, il più grande Assuero porrà letteralmente fine a tutti i suoi nemici ed esalterà le classi di Mardocheo
e di Ester al posto loro riservato nel regno messianico. — 2 Tess. 1:6-10.
20 Frattanto la finale preparazione dei sudditi del Re deve compiersi secondo il proposito di Geova per
questo “tempo della fine”. Questo è indicato da Ester 10:1: “E il re Assuero imponeva lavori forzati al
paese e alle isole del mare”. Quale benedetto privilegio è oggi che quelle “altre pecore” del Messia
adempiano con tutto il cuore e con lealtà il moderno mandato di servizio! Fanno questo cooperando per il
loro beneficio eterno con quelli che prendono la direttiva in questa “vigorosa opera” com’è promossa da
quegli unti cristiani prefigurati da Mardocheo. “Poiché Mardocheo il Giudeo fu secondo al re Assuero e fu
grande fra i Giudei e approvato dalla moltitudine dei suoi fratelli, operando per il bene del suo popolo e
parlando per la pace a tutta la sua progenie”. — Est. 10:2, 3.

Marta — Tema: L’amorevole ospitalità è apprezzata EBREI 13:2

it-2 225-6 Marta


MARTA
Ebrea di Betania, sorella di Lazzaro e di Maria. (Gv 11:1, 2) Evidentemente Cristo si recava spesso da
loro quando si trovava nelle vicinanze di Gerusalemme. Fra lui e questi tre esistevano vincoli d’affetto;
infatti viene detto: “Ora Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro”. — Gv 11:5.
Luca riferisce che quando Gesù giunse “in un villaggio”, “una certa donna di nome Marta lo ricevette
come ospite nella casa”. (Lu 10:38) In base a Matteo 26:6, Marco 14:3 e Giovanni 12:1-3, è stata
avanzata l’ipotesi che Marta fosse la moglie, o la vedova, o anche la figlia di Simone il lebbroso. Tuttavia
queste ipotesi non trovano alcuna conferma specifica nelle Scritture.
Durante una visita di Gesù in casa di Lazzaro, Maria e Marta, Maria “si mise a sedere ai piedi del
Signore, ascoltando la sua parola”, mentre Marta “era distratta, accudendo a molte faccende”. Marta, che
voleva avere l’aiuto di Maria, disse: “Signore, non t’importa che mia sorella mi abbia lasciata sola ad
accudire alle faccende? Dille, dunque, d’aiutarmi”. Certo Marta si preoccupava di soddisfare le necessità
materiali di Gesù Cristo. Ma egli diede risalto alla superiorità delle cose spirituali e la riprese
benevolmente: “Marta, Marta, tu sei ansiosa e ti preoccupi di molte cose. Ma solo alcune cose sono
necessarie, o una sola. Dal canto suo, Maria ha scelto la parte buona, e non le sarà tolta”. (Lu 10:38-42)
Cristo si sarebbe accontentato di mangiare una cosa sola, se ciò avesse permesso anche a Marta di
trarre maggior profitto dal suo insegnamento.
Per quanto possa sembrare che Marta si preoccupasse troppo delle cose materiali, non si dovrebbe
concludere che mancasse di interesse per le cose spirituali. Dopo la morte di Lazzaro fu Marta che andò
incontro a Gesù in viaggio per Betania, mentre Maria, in un primo momento, rimase a casa (forse per il
dolore o a motivo dei molti amici in visita). Marta mostrò fede in Cristo Gesù dicendo che Lazzaro non
sarebbe morto se lui fosse stato presente. Inoltre mostrò di credere nella risurrezione, poiché affermò:
“So che sorgerà nella risurrezione, nell’ultimo giorno”. Durante la conversazione Gesù spiegò che egli era
“la risurrezione e la vita”, facendo notare che chi avesse esercitato fede in lui anche se fosse morto
sarebbe tornato in vita. Quando chiese a Marta: “Credi tu questo?”, essa manifestò chiaramente la
propria fede rispondendo: “Sì, Signore; io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, Colui che viene
nel mondo”. (Gv 11:19-27) Ciò naturalmente non esclude che potesse avere qualche dubbio su quello
che Gesù avrebbe ora potuto fare per il fratello morto. (Cfr. l’atteggiamento degli apostoli descritto in Lu
24:5-11). Presso la tomba di Lazzaro, quando Cristo ordinò che si togliesse la pietra, Marta disse:
“Signore, ormai deve puzzare, poiché è il quarto giorno”. Ma in risposta Gesù chiese: “Non ti ho detto che
se credi vedrai la gloria di Dio?” Ed essa la vide quando suo fratello fu risuscitato. — Gv 11:39-44.
Dopo la risurrezione di Lazzaro, Cristo ripartì. In seguito tornò a Betania e si trovò insieme ad altri, fra cui
Marta, Maria e Lazzaro, in casa di Simone il lebbroso. Era stato imbandito un pasto serale e ancora una
volta “Marta serviva”. Lazzaro era a tavola e in quell’occasione Maria unse Gesù con costoso olio
profumato. (Gv 12:1-8; Mt 26:6-13; Mr 14:3-9) Le Scritture non parlano più della vita di Marta né di
quando e in quali circostanze sia morta.

Maria (n. 1) — Tema: Fede e devozione recano ricompense GALATI 5:22, 23; 2°PIETRO 1:6

it-2 218-20 Maria


MARIA
[dall’ebr. Miryàm, che forse significa “ribelle”].
Nella Bibbia sono menzionate sei Marie.
1. Maria madre di Gesù. Figlia di Eli, anche se nella genealogia di Luca come “figlio di Eli” figura il marito
di Maria, Giuseppe. Un’enciclopedia (M’Clintock e Strong, Cyclopædia, 1881, vol. III, p. 774) dice: “Nel
compilare le loro tavole genealogiche è risaputo che gli ebrei includevano esclusivamente i maschi,
senza indicare il nome della figlia stessa, dove la discendenza del nonno passava al nipote per mezzo di
una figlia, e considerando il marito della figlia come figlio del nonno materno (Num. xxvi, 33; xxvii, 4-7)”.
Senza dubbio per questa ragione lo storico Luca dice che Giuseppe era “figlio di Eli”. — Lu 3:23.
Maria era della tribù di Giuda e discendente di Davide. Quindi si poteva ben dire che suo figlio Gesù
“secondo la carne sorse dal seme di Davide”. (Ro 1:3) Da parte del padre adottivo Giuseppe,
discendente di Davide, Gesù ricevette il diritto legale al trono di Davide, e da parte della madre, quale
“progenie”, “seme” e “radice” di Davide, il diritto naturale ereditario al “trono di Davide suo padre”. — Mt
1:1-16; Lu 1:32; At 13:22, 23; 2Tm 2:8; Ri 5:5; 22:16.
Se la tradizione è corretta, la moglie di Eli, madre di Maria, era Anna, la cui sorella aveva una figlia di
nome Elisabetta, madre di Giovanni il Battezzatore. Secondo questa tradizione, Elisabetta sarebbe stata
cugina di Maria. Le Scritture stesse affermano che Maria era parente di Elisabetta, la quale era “delle
figlie di Aaronne” della tribù di Levi. (Lu 1:5, 36) Alcuni ritengono che Salome, moglie di Zebedeo, i cui
due figli, Giacomo e Giovanni, erano inclusi fra gli apostoli di Gesù, fosse sorella di Maria. — Mt 27:55,
56; Mr 15:40; 16:1; Gv 19:25.
Visita dell’angelo. Verso la fine del 3 a.E.V. Dio inviò l’angelo Gabriele dalla vergine Maria nel villaggio
di Nazaret. “Buon giorno, altamente favorita, Geova è con te”, fu il saluto veramente inconsueto
dell’angelo. Quando le disse che avrebbe concepito e partorito un figlio di nome Gesù, Maria, che in quel
tempo era solo fidanzata con Giuseppe, chiese: “Come avverrà questo, dato che non ho rapporti con un
uomo?” “Lo spirito santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Per questa
ragione dunque quello che nascerà sarà chiamato santo, Figlio di Dio”, spiegò l’angelo. Emozionata da
tale prospettiva, ma sempre umile e modesta, Maria rispose: “Ecco, la schiava di Geova! Mi avvenga
secondo la tua dichiarazione”. — Lu 1:26-38.
Per rafforzare maggiormente la sua fede in vista di questa straordinaria esperienza, fu detto a Maria che
la sua parente Elisabetta, nella sua vecchiaia, era già incinta da sei mesi, poiché la miracolosa potenza di
Geova aveva eliminato la sua sterilità. Maria fece visita a Elisabetta e, quando entrò nella casa, il bimbo
nel grembo di Elisabetta saltò per la gioia e lei si congratulò con Maria: “Benedetta sei tu fra le donne e
benedetto è il frutto del tuo seno!” (Lu 1:36, 37, 39-45) Allora Maria proruppe in parole ispirate
magnificando Geova per la sua bontà. — Lu 1:46-55.
Dopo essere rimasta per circa tre mesi con Elisabetta sulle colline della Giudea, Maria fece ritorno a
Nazaret. (Lu 1:56) Quando Giuseppe venne a sapere (probabilmente da Maria stessa) che era incinta,
intendeva divorziare segretamente da lei per non esporla a pubblica infamia. (I fidanzati erano considerati
come sposati, e per sciogliere il fidanzamento ci voleva un divorzio). Ma un angelo di Geova apparve a
Giuseppe e gli rivelò che Maria aveva concepito per opera dello spirito santo. Allora egli si assoggettò al
volere di Dio e prese in moglie Maria, “ma non ebbe rapporti con lei finché partorì un figlio; e gli mise
nome Gesù”. — Mt 1:18-25.
Gesù nasce a Betleem. Mentre si svolgevano questi avvenimenti, il decreto di Cesare Augusto, che
imponeva a tutti di registrarsi nel proprio paese d’origine, giunse provvidenziale, perché si doveva
adempiere la profezia relativa al luogo di nascita di Gesù. (Mic 5:2) Perciò Giuseppe intraprese insieme a
Maria, che era già avanti nella gravidanza, il faticoso viaggio di circa 150 km da casa loro, che si trovava
a Nazaret al N, fino a Betleem al S. Siccome nella locanda non c’era posto per loro, il bambino nacque
nelle condizioni più umili e fu deposto in una mangiatoia. Ciò avvenne probabilmente verso il 1° ottob re
del 2 a.E.V. — Lu 2:1-7; vedi ILLUSTRAZIONI, vol. 2, ⇒it-2 ⇐p. 537; GESÙ CRISTO.
Udendo l’angelo dire “vi è nato oggi un Salvatore, che è Cristo il Signore, nella città di Davide”, i pastori si
affrettarono ad andare a Betleem dove trovarono il segno: il bambino di Maria “avvolto in fasce e a
giacere in una mangiatoia”. Essi riferirono alla famiglia felice ciò che aveva cantato il grande coro
angelico: “Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e sulla terra pace fra gli uomini di buona volontà”. Perciò Maria
“custodiva tutte queste parole, traendone conclusioni nel suo cuore”. — Lu 2:8-20.
L’ottavo giorno Maria fece circoncidere il figlio in ottemperanza alla legge di Geova. Il 40° giorno l ei e il
marito portarono il bambino al tempio a Gerusalemme per fare l’offerta prescritta. La Legge richiedeva il
sacrificio di un giovane montone e di un piccione o una tortora. Se la famiglia non poteva permettersi la
pecora, venivano offerte due tortore o due piccioni. Che Giuseppe fosse piuttosto povero è indicato dal
fatto che Maria offrì “un paio di tortore o due giovani piccioni”. (Lu 2:21-24; Le 12:1-4, 6, 8) Simeone,
uomo giusto, vedendo il bambino, rese lode a Geova per aver potuto vedere il Salvatore prima di morire
nella sua vecchiaia. Le parole che rivolse a Maria, “sì, a te stessa una lunga spada trafiggerà l’anima”,
non significano che sarebbe stata trafitta da una spada letterale, ma indicano il dolore e la sofferenza che
avrebbe provato per la predetta morte del figlio su un palo di tortura. — Lu 2:25-35.
Ritorno a Nazaret. Qualche tempo dopo un angelo avvertì Giuseppe che Erode il Grande intendeva
uccidere il bambino, e gli ordinò di fuggire in Egitto con Gesù. (Mt 2:1-18) Dopo la morte di Erode la
famiglia tornò a stabilirsi a Nazaret dove, negli anni successivi, Maria ebbe altri figli, almeno quattro
maschi e alcune femmine. — Mt 2:19-23; 13:55, 56; Mr 6:3.
Anche se la Legge non esigeva che le donne fossero presenti, Maria aveva l’abitudine di accompagnare
ogni anno Giuseppe nel faticoso viaggio di circa 150 km fino a Gerusalemme per l’annuale celebrazione
della Pasqua. (Eso 23:17; 34:23) Durante uno di questi viaggi, verso il 12 E.V., stavano tornando a casa
quando, dopo un giorno di cammino da Gerusalemme, si accorsero che Gesù non era con loro. I genitori
tornarono immediatamente a Gerusalemme per cercare il fanciullo. Dopo tre giorni lo trovarono nel
tempio intento ad ascoltare e interrogare i maestri. Maria esclamò: “Figlio, perché ci hai trattato così?
Ecco, tuo padre ed io ti abbiamo cercato con angoscia”. Gesù rispose: “Perché dovevate andare in cerca
di me? Non sapevate che io devo essere nella casa del Padre mio?” Certo era logico che il Figlio di Dio si
trovasse nel tempio, dove poteva ricevere istruzione scritturale. Maria “riteneva accuratamente tutte
queste parole nel suo cuore”. — Lu 2:41-51.
Il dodicenne Gesù manifestò una brillante conoscenza per la sua età: “Tutti quelli che lo ascoltavano si
meravigliavano di continuo del suo intendimento e delle sue risposte”. (Lu 2:47) L’intendimento e la
conoscenza che aveva delle Scritture riflettevano l’ottimo addestramento impartitogli dai genitori. Maria
come pure Giuseppe dovevano essere stati molto diligenti nell’insegnare al bambino e nell’ammaestrarlo,
allevandolo nella “disciplina e nella norma mentale di Geova”, e inculcandogli l’abitudine di andare ogni
sabato alla sinagoga. — Lu 4:16; Ef 6:4.
Rispettata e amata da Gesù. Dopo il battesimo Gesù non mostrò speciale favore a Maria; non la
chiamava “madre”, ma semplicemente “donna”. (Gv 2:4; 19:26) Questo non era affatto un appellativo
poco rispettoso, come potrebbe sembrare dall’uso moderno della parola. Maria era madre di Gesù
secondo la carne; ma essendo stato generato dallo spirito al momento del battesimo, egli era prima di
tutto un figlio spirituale di Dio, e sua “madre” era “la Gerusalemme di sopra”. (Gal 4:26) Gesù mise in
risalto questo fatto in un’occasione in cui Maria e gli altri suoi figli lo interruppero mentre insegnava
chiedendogli di venire da loro. Gesù spiegò che in realtà sua madre e suoi stretti parenti erano quelli che
facevano parte della sua famiglia spirituale, e che le cose spirituali avevano la precedenza sugli interessi
carnali. — Mt 12:46-50; Mr 3:31-35; Lu 8:19-21.
Quando a uno sposalizio a Cana di Galilea finì il vino e Maria lo disse a Gesù, egli rispose: “Che ho a che
fare con te, donna? La mia ora non è ancora venuta”. (Gv 2:1-4) Qui Gesù usò un’antica forma
interrogativa che ricorre otto volte nelle Scritture Ebraiche (Gsè 22:24; Gdc 11:12; 2Sa 16:10; 19:22; 1Re
17:18; 2Re 3:13; 2Cr 35:21; Os 14:8) e sei volte nelle Scritture Greche (Mt 8:29; Mr 1:24; 5:7; Lu 4:34;
8:28; Gv 2:4). La traduzione letterale sarebbe: “Che cosa a me e a te?” Vale a dire: “Cosa c’è in comune
fra me e te?” o “Cosa abbiamo in comune io e te?” o “Che cosa ho a che fare con te?” In ogni caso
questa espressione indica un’obiezione alla cosa suggerita, proposta o sospettata. Quindi Gesù espresse
amorevolmente in questa forma la sua benevola riprensione, indicando alla madre che non prendeva
ordini da lei ma dalla Suprema Autorità che l’aveva mandato. (1Co 11:3) Maria, sensibile e umile per
natura, capì subito e accettò la correzione. Tirandosi indietro e lasciando che Gesù prendesse l’iniziativa,
essa disse a quelli che servivano: “Qualunque cosa vi dica, fatela”. — Gv 2:5.
Maria era presente quando Gesù fu messo al palo. Per lei Gesù era più che un figlio diletto, era il Messia,
il suo Signore e Salvatore, il Figlio di Dio. Maria evidentemente era ormai vedova. Perciò Gesù, quale
primogenito della famiglia di Giuseppe, assolse la sua responsabilità chiedendo all’apostolo Giovanni,
probabilmente suo cugino, di portare a casa sua Maria e di avere cura di lei come se fosse sua madre.
(Gv 19:26, 27) Perché Gesù non la affidò a uno dei suoi fratellastri? Non è detto che qualcuno di loro
fosse presente. Inoltre non erano ancora credenti, e per Gesù la relazione spirituale era più importante di
quella carnale. — Gv 7:5; Mt 12:46-50.
Fedele discepola. L’ultima volta che parla di Maria, la Bibbia rivela che era una donna fedele e devota,
intimamente legata agli altri fedeli anche dopo l’ascensione di Gesù. Gli undici apostoli, Maria e altri
erano radunati in una camera superiore, e “di comune accordo tutti questi perseveravano nella
preghiera”. — At 1:13, 14.

w75 1/11 647-9 Maria, benedetta fra le donne


Maria, benedetta fra le donne
ERA un onore per una donna essere nella linea di discendenza che avrebbe condotto al Messia. Come
sarebbe stata dunque altamente favorita la donna che fosse in effetti divenuta madre del Messia! Come
mostra la Bibbia, Maria, una vergine della reale casa di Davide, fu così benedetta fra le donne.
Fu l’angelo Gabriele a dire a Maria ciò che Dio aveva in mente per lei. Secondo la versione de La Bibbia
di Gerusalemme cattolica, Gabriele salutò Maria, dicendole: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con
te”. (Luca 1:28) In base a queste parole, molti hanno concluso che Gabriele attribuisse a Maria uno
speciale grado di santità.
Ma le parole di Gabriele richiamano forse l’attenzione sulla “santità” di Maria? No. Si noti come la New
American Bible cattolica traduce il saluto di Gabriele: “Rallegrati, o figlia altamente favorita! Il Signore è
con te”. L’edizione inglese de La Bibbia di Gerusalemme dice pressappoco la stessa cosa, e in una nota
in calce troviamo questa spiegazione: “‘Così altamente favorita’, [cioè] da divenire la madre del Messia”.
Naturalmente, che l’Altissimo favorisse Maria con l’onore di divenire la madre di suo Figlio sulla terra
indica che era una fedele e umile servitrice di Dio. — Luca 1:38, 46-50.
Ma fu Maria più che un’umile servitrice di Dio la quale ricevette l’incomparabile privilegio di partorire il
Figlio di Dio? Per esempio, rimase ella in uno stato speciale di “santità” essendo sempre vergine?
Molti cristiani professanti credono che Maria rimanesse vergine per tutta la vita. Additano come prova la
dichiarazione che Maria fece all’angelo Gabriele. Appreso che avrebbe concepito e partorito un figlio,
Maria disse: “Ma come può avvenire questo, giacché sono vergine?” (Luca 1:34, La Bibbia di
Gerusalemme, ediz. inglese) Una nota in calce dell’edizione inglese de La Bibbia di Gerusalemme dice di
questa versione: “[Letteralmente] ‘giacché non conosco uomo’; questa frase significa che Maria è
effettivamente vergine e forse esprime anche la sua intenzione di rimaner tale”.
Per stabilire se Maria aveva forse deciso di rimaner vergine prima che l’angelo Gabriele la visitasse,
dobbiamo guardare le cose dal punto di vista del tempo in cui viveva. A quel tempo era considerato un
biasimo per una donna essere senza figli. Pertanto, quando Elisabetta rimase incinta del suo primo e
unico figlio, Giovanni, ella disse: “Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato
di togliere la mia vergogna tra gli uomini”. — Luca 1:25, La Bibbia di Gerusalemme.
Perciò, se Maria si fosse fidanzata a Giuseppe con l’intenzione di rimanere vergine si sarebbe resa
oggetto di biasimo. Come poteva Giuseppe acconsentire a un’intesa che avrebbe reso sua moglie
soggetta al biasimo della sterilità? Perché avrebbe egli rinunciato deliberatamente all’opportunità d’avere
un erede che tramandasse il suo nome? Le Scritture Ebraiche che lui e Maria conoscevano non
raccomandavano affatto una tal cosa. Esse indicavano che era desiderabile avere figli. Per esempio, in
Salmo 127:3 leggiamo: “Dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo”. (La Bibbia di
Gerusalemme) La sola disposizione nota agli Israeliti in cui un uomo o una donna poteva rimanere
vergine era quella di rimanere senza sposarsi. — Si paragoni Geremia 16:1-4.
Anni dopo sia Gesù Cristo che l’apostolo Paolo raccomandarono il celibato volontario come condotta
migliore per quelli che cercano di dedicarsi più pienamente agli interessi spirituali. (Matt. 19:12; 1 Cor.
7:28-38) Comunque, in nessun punto la Bibbia incoraggia i matrimoni con totale astensione dai rapporti
sessuali né attribuisce loro speciale santità. Avviene il contrario. L’ispirato apostolo Paolo disse agli
sposati: “Il marito renda alla moglie il debito coniugale e la moglie faccia altrettanto col marito”. — 1 Cor.
7:3, versione a cura di mons. S. Garofalo.
Se dunque Maria e Giuseppe avessero avuto l’intenzione di contrarre un matrimonio in cui si fossero
astenuti dai rapporti sessuali, avrebbero fatto qualcosa per cui non c’era nessun precedente biblico. Anzi,
avrebbero agito contrariamente al proposito di Dio rispetto al matrimonio. Non è dunque assai più
ragionevole concludere che non avessero minimamente pensato di convivere senza avere rapporti
sessuali e che non si comportassero così per tutto il tempo del loro matrimonio?
Naturalmente, prima della nascita di Gesù, Giuseppe non aveva avuto rapporti sessuali con sua moglie.
In Matteo 1:25, la New American Bible dice: “Egli non ebbe relazione con lei in nessun tempo prima che
partorisse un figlio, a cui mise nome Gesù”. Come indica una nota in calce dell’edizione inglese de La
Bibbia di Gerusalemme, la versione letterale è: “Egli non la conobbe fino al giorno che ella partorì”.
Direste che lo si debba comprendere come se volesse dire che poi Giuseppe non ebbe relazione con sua
moglie? O non ammette piuttosto non solo la possibilità, ma in effetti la probabilità che avesse relazione
con Maria dopo la nascita di Gesù?
Se si potesse stabilire con le Scritture che Gesù ebbe fratelli e sorelle, si eliminerebbe ogni dubbio sul
fatto che Maria restasse vergine. Certo gli abitanti della città di Gesù, Nazaret, dovevano conoscere i fatti.
Che cosa dissero? In Marco 6:2, 3, leggiamo che furono sbalorditi da Gesù e dissero: “Non è costui il
carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non
stanno qui da noi?” — La Bibbia di Gerusalemme.
Queste parole furono scritte originariamente in greco. Per cui sorge la domanda: Le persone di lingua
greca come avrebbero compreso i termini originali resi lì “fratello” e “sorelle”? La New Catholic
Encyclopedia (Vol. 9, pag. 337) ammette: “Le parole greche . . . impiegate per indicare la parentela fra
Gesù e questi congiunti significa un fratello e una sorella consanguinei nel mondo di lingua greca del
tempo dell’Evangelista e naturalmente il lettore greco l’avrebbe preso in questo senso”.
In considerazione di ciò che dice la Bibbia del matrimonio, non dovremmo accettare il significato naturale
dei termini “fratello” e “sorella” anziché asserire che i fratelli e le sorelle di Gesù fossero solo suoi
congiunti, forse cugini? Quando accettiamo questo significato naturale, comprendiamo che Maria visse
come un’umile servitrice di Dio in armonia con il suo proposito rispetto al matrimonio.
La veduta scritturale delle cose si contrappone a qualsiasi idea contorta circa i rapporti sessuali nel
matrimonio. Le giuste relazioni sessuali non sono in se stesse contaminatrici. Non le relazioni sessuali fra
coniugi, ma i matrimoni senza relazioni sessuali sono contrari allo spirito della Parola di Dio.
L’insegnamento che Maria fosse sempre vergine presenta dunque sotto falsa luce il proposito di Dio
rispetto al matrimonio, facendo apparire “santi” gli innaturali matrimoni senza relazioni sessuali. Il fatto
che Maria ebbe altri figli non sminuisce in alcun modo che fosse benedetta fra le donne per avere
ricevuto l’incomparabile favore di partorire il Figlio umano di Dio.

g80 22/12 16-19 La devozione a Maria torna in auge


La devozione a Maria torna in auge
“SI RINNOVA la venerazione di Maria: il papa risveglia l’interesse per la madre di Gesù”. Questo è il titolo
su quattro colonne di un articolo pubblicato dallo Star di Toronto sul risveglio della “devozione alla
Vergine Maria”, uno di tanti simili pubblicati in tutto il mondo. “Il papa ha profonda devozione per la
Vergine”, scriveva il New York Times, aggiungendo, come prova, che Giovanni Paolo II ha recentemente
visitato santuari mariani in Messico, Polonia, Italia e Irlanda. Infatti, secondo il quotidiano parigino Le
Monde, la visita in Irlanda ha avuto come nota fondamentale “Maria Regina della pace”.
Il Concilio Vaticano II (1962-1965) riaffermò i tradizionali dogmi cattolici su Maria, ma in genere si
ammette che il Vaticano II fece diminuire la devozione a Maria fra i cattolici di molti paesi. Già nel 1974
papa Paolo VI ritenne opportuno pubblicare un’“esortazione apostolica” di 30.000 parole, intitolata
Marialis Cultus (devozione o culto mariano), invitando ad accrescere la devozione a “Maria Vergine”.
È ovvio che Giovanni Paolo II ritiene si debba prestare più attenzione alle devozioni mariane. Per cui
sostiene con tutto il peso della sua autorità papale la campagna per riportare in auge la devozione a
Maria. Ma che effetto avrà probabilmente la sua posizione su questo dogma?
Il culto di Maria si sviluppò lentamente
Le opere di consultazione cattoliche ammettono chiaramente che il culto di Maria non risale ai tempi
apostolici. The Catholic Encyclopedia dichiara:
“In ultima analisi la devozione alla Madonna dev’essere considerata un’applicazione pratica della dottrina
della Comunione dei Santi. Dato che questa dottrina non è contenuta, almeno non in modo esplicito, nelle
forme primitive del Credo degli apostoli, non c’è forse nessun motivo di sorprendersi se nei primi secoli
cristiani non si trova nessuna chiara traccia del culto della Beata Vergine”.
L’originario Credo niceno (325 E.V.) non menziona la “Vergine Maria”. Solo al tempo del Concilio di
Efeso, tenuto nel 431 E.V., Maria fu definita nel dogma cattolico “madre di Dio” (greco: theotokos,
letteralmente “genitrice di Dio”). Anche allora, questo si fece più per sostenere la trinità (per combattere
Nestorio, il quale negava che Gesù fosse stato generato Dio-Uomo) che per incoraggiare la devozione a
Maria. Perché questa mancanza di interesse per la devozione a Maria?
Perché tale pratica si basa non sulla Bibbia, ma su letteratura apocrifa, come il cosiddetto “Vangelo di S.
Giacomo” e gli “oracoli sibillini”. Secondo The Catholic Encyclopedia, solo nell’avanzato medioevo, dopo
l’anno 1000, “il profondo sentimento di amore e fiducia per la Beata Vergine, che fino a quel momento si
era espresso in modo vago e secondo i suggerimenti della devozione individuale, cominciò ad assumere
una forma precisa in un gran numero di pratiche devote”. Fu a quell’epoca che vennero costruite e
dedicate a Notre Dame (nostra Signora) molte delle cattedrali gotiche medievali che troviamo in tutta la
Francia.
Per quanto riguarda la “salutazione angelica” (Ave Maria), A Catholic Dictionary ci informa che “la prima e
la seconda parte sembra siano diventate d’uso comune come formula di devozione verso la fine del
dodicesimo secolo; . . . si crede che il resto sia stato usato dapprima verso la metà del quindicesimo
secolo”. Davvero molto tardi!
La dottrina dell’“Immacolata Concezione”, secondo cui Maria fu immune dal peccato originale sin dal
primo momento della sua concezione, non divenne un articolo di fede cattolica che nel 1854. Perché? La
stessa opera di consultazione cattolica ci dice che già nel XII secolo c’erano controversie su questa
dottrina in seno alla Chiesa Cattolica e che alcuni “vescovi molto eminenti” ritenevano questo dogma
privo di sufficiente fondamento nella “Scrittura o nella Tradizione per diventare un articolo di fede”.
La devozione a Maria ricevette ulteriore impulso nel 1950, quando papa Pio XII definì “l’assunzione
corporea della Beata Vergine” (ossia che il suo corpo non si decompose, ma fu portato in cielo) come
articolo di fede, cioè come credo obbligatorio per i cattolici. Non è piuttosto strano che dogmi
fondamentali relativi a tale devozione siano stati formulati così tardi se Dio voleva che i cristiani
adorassero Maria?
Maria ebbe altri figli?
Nessun cristiano che crede nella Bibbia dubita del fatto che Maria era vergine quando concepì e partorì
Gesù. (Matt. 1:18-23; Luca 1:34, 35) Il dogma che separa i cattolici dai protestanti e che ora divide
perfino i cattolici è la verginità perpetua di Maria. Due libri pubblicati di recente, entrambi di autori cattolici,
considerano il problema della devozione a Maria sotto un nuovo aspetto.
Uno di questi libri, scritto in inglese da un gruppo di eruditi cattolici, luterani, riformati e anglicani, si intitola
“Maria nel Nuovo Testamento”. Spiegando la ragione per cui l’hanno scritto, il coautore Joseph A.
Fitzmyer, dell’Università Cattolica d’America, ha detto:
“I cattolici moderni sono portati a pensare che nella nostra religiosità del XX secolo tutto provenga dal
Nuovo Testamento, ma molto spesso ciò a cui siamo abituati non è quello che lo scrittore della Bibbia
aveva in mente, ma sono piuttosto le riflessioni dei credenti nei secoli successivi”.
Facendo commenti su questo libro, Tom Harpur, redattore religioso dello Star di Toronto, scrive:
“Nel gruppo non erano tutti d’accordo se i fatti indichino che Maria abbia avuto altri figli dopo Gesù o no....
“Il libro, però, fa notare che un commento dell’erudito cattolico tedesco del 1976, Rudolph Pesch, dice
semplicemente che questi parenti erano proprio fratelli naturali.
“In quanto alle due dottrine più recenti — che Maria sia stata concepita senza peccato e in seguito sia
ascesa al cielo col corpo — gli studiosi hanno poco da dire per il fatto che il Nuovo Testamento non dice
nulla né dell’una né dell’altra credenza”.
L’altro libro, scritto in francese dall’autore cattolico Jean Gilles, si intitola Les “frères et sœurs” de Jesus (I
“fratelli e le sorelle” di Gesù). Esso ha suscitato molte controversie fra i cattolici francesi. E non è strano,
poiché lo scrittore dichiara in conclusione:
“Usando un linguaggio conciso e ponderato, e per lealtà alla Chiesa [cattolica], credo di poter riassumere
il mio esame così. . . . I QUATTRO Vangeli CANONICI offrono prove concordi che Gesù ebbe veramente
fratelli e sorelle nella sua famiglia. . . . Davanti a questa serie di prove logiche, la posizione tradizionale
[della Chiesa Cattolica Romana] appare vulnerabile e fragile”.
Pericoli della devozione a Maria
Riconoscendo i pericoli della devozione a Maria, The Catholic Encyclopedia dichiara: “È impossibile
negare che la popolare devozione alla Beata Vergine è stata spesso accompagnata da stravaganze e
abusi”. Alla fine del lontano quarto secolo, il “santo” cattolico Epifanio condannò l’offerta di torte a Maria,
dicendo: “Nessuno veneri Maria”. La stessa enciclopedia ci dice: “Già nel 540 troviamo un mosaico in cui
[Maria] è intronizzata come Regina del cielo al centro della sommità della cattedrale di Parenzo”.
Non fu proprio questo tipo di adorazione pagana che al tempo d’Israele offese Dio? La Bibbia narra: “I
figli raccolgono la legna, i padri accendono il fuoco e le donne impastano la farina per preparare focacce
alla Regina del cielo; poi si compiono libazioni ad altri dèi per offendermi”: — Ger. 7:18; 44:15-30.
Questo pericolo esiste ancora. Daniel L. Migliore, professore aggregato di teologia al Seminario di
Princeton, ha scritto recentemente: “Le nostre trasgressioni in merito a Maria sono numerose. . . . Ne
abbiamo fatto la Regina del cielo”. L’arcivescovo cattolico di Toronto, Carter, spiegando la ragione per cui
il Vaticano II cercò di attenuare la venerazione di Maria, disse: “Il Concilio pensava agli abusi osservati,
per esempio, in alcuni paesi dell’America Latina dove a volte Maria aveva la precedenza su tutto il resto”.
Gli “abusi” a cui la venerazione di Maria può portare sono molto evidenti in luoghi di pellegrinaggio
mariano come Lourdes, in Francia, e Fatima, in Portogallo.
Oltre al pericolo per i cattolici, la mariolatria è indubbiamente una cosa che crea divisioni in seno alla
cristianità, dato che quasi tutti i protestanti rifiutano la devozione a Maria, considerandola idolatria. E le
suddette informazioni mostrano che non tutti i cattolici sono d’accordo che i dogmi mariani siano
scritturali.
Pertanto è chiaro che riportando in auge la venerazione di Maria, papa Giovanni Paolo II non contribuisce
certo a unire i cattolici fra loro o ad avvicinarli maggiormente alle altre religioni della cristianità. Peggio
ancora, non contribuisce a riportare in vita il vero cristianesimo praticato dagli apostoli e dai primi
discepoli di Cristo.
Vediamo Maria nella giusta luce
Lo scopo di questo articolo non è certo quello di offendere i cattolici sinceri, specie quelle cattoliche che
vedono Maria come una donna amorosa e sensibile, che capisce le sofferenze delle donne e che può
quindi intercedere per loro. La Bibbia ci consente di rispettare e di amare Maria, che fu una fedele
discepola di Gesù. (Atti 1:14) Le scritture mostrano chiaramente che Maria, un’unta cristiana, sarebbe
risorta con un “corpo spirituale”, per “ereditare il regno di Dio”, insieme ai dodici apostoli e ad altri fedeli
cristiani del primo secolo. — I Cor. 15:42-54; I Tess. 4:13-16.
Tuttavia, in nessun punto della Bibbia siamo autorizzati ad adorare Maria o a pregare che interceda per
noi. Le preghiere devono essere rivolte a Dio mediante Cristo. (Giov. 14:6, 13; Atti 4:12) Le donne
cattoliche, e anche gli uomini, non devono pensare di trovare meno comprensione e compassione
pregando Dio nel nome di Cristo di quando pregavano Maria.
Riguardo a Dio leggiamo: “Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo
temono. Perché egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere”. (Sal. 103:13, 14) E di
Cristo è scritto: “Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità,
essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato”. — Ebr. 4:15; si veda anche
Filippesi 4:6, 7.
I cattolici sinceri che aprono il loro cuore a Maria sono invitati a imparare dalla Bibbia come pregare
altrettanto intimamente Dio mediante Cristo. Cominciate leggendo le suddette scritture, prese da versioni
cattoliche della Bibbia. Poi ottenete ulteriori informazioni scrivendo agli editori di Svegliatevi!
[Nota in calce]
Salvo diversa indicazione, tutti i versetti citati in questo articolo sono presi dalla versione cattolica della
CEI.

[Riquadro a pagina 19]


LASCIAMO PARLARE LA BIBBIA
Maria è stata la madre di Dio?
“Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio [non Dio]”. — Luca 1:35.
Maria nacque senza peccato?
“Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; . . .
Quando i giorni della sua purificazione . . . saranno compiuti, porterà al sacerdote all’ingresso della tenda
del convegno un agnello . . . Se non ha mezzi da offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi:
uno per l’olocausto e l’altro per il sacrificio espiatorio. Il sacerdote farà il rito espiatorio per lei ed essa
sarà monda”. (Lev. 12:2, 6, 8) “Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè,
[Giuseppe e Maria] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per offrirlo al Signore . . . e per offrire in
sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi [una come olocausto, l’altra come offerta espiatoria
per Maria”. — Luca 2:22, 24.
Maria rimase vergine dopo la nascita di Gesù?
“[Giuseppe,] presa con sé la sua sposa, non la conobbe [“non ebbe relazione con lei”, Jerusalem Bible,
versione cattolica] finché ella diede alla luce il figlio suo primogenito, a cui pose nome Gesù”. — Matt.
1:24, 25, versione annotata da G. Ricciotti.
Maria ebbe altri figli dopo la nascita di Gesù?
“Diede alla luce il suo figlio primogenito [e] lo avvolse in fasce”. (Luca 2:7) “Non è egli forse il figlio del
carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli [greco: adelphoi, “fratelli”, non syngenes,
“parenti” o “cugini”] Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi?” —
Matt. 13:55, 56.
Con “fratelli” non potrebbe riferirsi la Bibbia ai discepoli di Gesù, ai suoi fratelli spirituali?
“Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli”. (Giov. 2:12)
“I suoi fratelli gli dissero: ‘Parti di qui e va’ nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che
tu fai’. Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui”. — Giov. 7:3, 5.
Maria fu assunta in cielo col corpo fisico?
“Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina un corpo
animale, risorge un corpo spirituale. Questo vi dico, fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il
regno di Dio”. — I Cor. 15:42, 44, 50.
Si devono rivolgere preghiere a Maria?
“Gli disse Gesù: ‘Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio’”. — Giov. 14:6,
13.

w94 15/11 29-31 Fu altamente favorita da Geova


Fu altamente favorita da Geova
“BUON GIORNO, altamente favorita, Geova è con te”. Che saluto! Chi parla è addirittura l’angelo
Gabriele. Il saluto è rivolto a una giovane dal cuore umile, Maria, figlia di un uomo di nome Eli. L’anno è il
3 a.E.V. e il luogo la città di Nazaret. — Luca 1:26-28.
Maria è promessa in matrimonio a Giuseppe, un falegname. Secondo la legge e le usanze giudaiche, è
considerata già sua sposa. (Matteo 1:18) Come lei, anche Giuseppe è di condizione sociale umile.
Perché allora l’angelo la saluta come una persona altamente favorita?
Il suo meraviglioso privilegio
Gabriele aggiunge: “Non aver timore, Maria, poiché hai trovato favore presso Dio; ed ecco, concepirai nel
tuo seno e partorirai un figlio, e dovrai mettergli nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio
dell’Altissimo; e Geova Dio gli darà il trono di Davide suo padre, ed egli regnerà sulla casa di Giacobbe
per sempre e del suo regno non ci sarà fine”. — Luca 1:29-33.
Meravigliata e perplessa, Maria chiede: “Come avverrà questo, dato che non ho rapporti con un uomo?”
Gabriele risponde: “Lo spirito santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra.
Per questa ragione dunque quello che nascerà sarà chiamato santo, Figlio di Dio”. Per dissipare qualsiasi
dubbio, l’angelo aggiunge: “Ecco, Elisabetta tua parente ha anch’essa concepito un figlio, nella sua
vecchiaia, e questo è il sesto mese per lei, che era chiamata sterile; perché presso Dio nessuna
dichiarazione sarà un’impossibilità”. — Luca 1:34-37.
Immediatamente Maria accetta quel meraviglioso privilegio di servizio. Con prontezza, ma con umiltà,
risponde: “Ecco, la schiava di Geova! Mi avvenga secondo la tua dichiarazione”. A quel punto Gabriele se
ne va. Maria si reca in gran fretta in una città della regione montagnosa di Giuda. Arrivata a casa del
sacerdote Zaccaria e di sua moglie Elisabetta, trova esattamente la situazione descritta dall’angelo. Che
gioia prova Maria nel suo cuore! Le sue labbra prorompono in espressioni di lode a Geova. — Luca 1:38-
55.
Diventa la moglie di Giuseppe
C’è bisogno di una vergine per dare un corpo umano a Gesù, perché tale nascita è stata predetta. (Isaia
7:14; Matteo 1:22, 23) Ma perché proprio una vergine fidanzata? Per provvedere un padre adottivo che
possa trasmettere al figlio il diritto legale al trono di Davide. Sia Giuseppe che Maria sono della tribù di
Giuda e discendono dal re Davide. Così i diritti ereditari di Gesù sono doppiamente confermati. (Matteo
1:2-16; Luca 3:23-33) Per questo l’angelo in seguito rassicura Giuseppe dicendogli di non esitare a
prendere in moglie Maria, anche se è incinta. — Matteo 1:19-25.
Un decreto fiscale di Cesare Augusto obbliga Giuseppe e Maria ad andare a Betleem a farsi registrare.
Mentre sono lì, Maria dà alla luce il suo primogenito. Dei pastori vanno a trovare il neonato e lodano suo
Padre, Geova. Dopo i 40 giorni di purificazione prescritti dalla Legge mosaica, Maria si reca al tempio di
Gerusalemme per fare espiazione dei suoi peccati. (Levitico 12:1-8; Luca 2:22-24) Sì, dato che Maria non
è frutto di un’immacolata concezione e quindi non è immune dalla macchia del peccato, la sua
imperfezione ereditata dev’essere coperta da sacrifici di espiazione. — Salmo 51:5.
Mentre Maria e Giuseppe sono nel tempio, l’anziano Simeone e la profetessa Anna, anche lei avanti con
gli anni, hanno il privilegio di vedere il Figlio di Dio. Non è Maria al centro dell’attenzione. (Luca 2:25-38)
In seguito i magi rendono omaggio a Gesù, non a lei. — Matteo 2:1-12.
Dopo essere fuggiti in Egitto ed essere rimasti lì fino alla morte del malvagio Erode, i genitori di Gesù
ritornano e si stabiliscono nel villaggio di Nazaret. (Matteo 2:13-23; Luca 2:39) È qui che Giuseppe e
Maria allevano Gesù in una famiglia devota.
Maria ebbe altri figli
Col tempo Maria e Giuseppe danno a Gesù fratelli e sorelle naturali. Quando per il suo ministero Gesù si
reca a Nazaret, la sua città, quelli che lo conoscevano dall’infanzia lo riconoscono. “Non è questo il figlio
del falegname?”, chiedono. “Non si chiamano sua madre Maria e i suoi fratelli Giacomo e Giuseppe e
Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte con noi?” (Matteo 13:55, 56) I nazareni si riferiscono alla
famiglia letterale di Giuseppe e Maria, inclusi i figli e le figlie di lei che essi conoscono come veri fratelli e
sorelle di Gesù.
Questi fratelli e sorelle non sono cugini di Gesù. Non sono nemmeno suoi discepoli, fratelli e sorelle
spirituali, perché Giovanni 2:12 distingue chiaramente i due gruppi dicendo: “Egli [Gesù] e sua madre e i
suoi fratelli e i suoi discepoli scesero a Capernaum”. Anni dopo, a Gerusalemme, l’apostolo Paolo vide
Cefa, o Pietro, e aggiunse: “Non vidi nessuno degli altri apostoli, a eccezione di Giacomo, il fratello del
Signore”. (Galati 1:19, Parola del Signore [PS]) Per di più la dichiarazione secondo cui Giuseppe “non
ebbe rapporti con [Maria] finché partorì un figlio” indica che in seguito il padre adottivo di Gesù ebbe in
effetti rapporti con lei e generò gli altri figli. (Matteo 1:25) Di conseguenza Luca 2:7 chiama Gesù il
“primogenito” di Maria.
Una madre timorata di Dio
Come madre timorata di Dio, Maria collabora con Giuseppe nell’istruire i figli nella via della giustizia.
(Proverbi 22:6) Che Maria studi con fervore le Scritture è evidente dall’espressione spiritualmente ricca di
significato che pronuncia quando viene salutata da Elisabetta. In quell’occasione la madre di Gesù ripete
i sentimenti espressi nel cantico di Anna e mostra di conoscere i salmi, gli scritti storici e profetici e i libri
di Mosè. (Genesi 30:13; 1 Samuele 2:1-10; Proverbi 31:28; Malachia 3:12; Luca 1:46-55) Maria conosce
a memoria avvenimenti e detti profetici, li custodisce nel suo cuore e vi medita sopra. Perciò è ben
preparata per istruire, come madre, il piccolo Gesù. — Luca 2:19, 33.
All’età di 12 anni Gesù, ben istruito, rivela una conoscenza scritturale che sbalordisce i maestri del
tempio. Poiché durante quel periodo pasquale si era allontanato dai genitori, la madre gli dice: “Figlio,
perché ci hai trattato così? Ecco, tuo padre ed io ti abbiamo cercato con angoscia”. Gesù risponde:
“Perché dovevate andare in cerca di me? Non sapevate che io devo essere nella casa del Padre mio?”
Non riuscendo ad afferrare il significato di questa risposta, Maria la custodisce nel cuore. Tornato a
Nazaret, Gesù ‘continua a progredire in sapienza e crescita fisica e nel favore di Dio e degli uomini’. —
Luca 2:42-52.
Maria, discepola di Gesù
Com’è appropriato che Maria divenga col tempo una devota discepola di Gesù! È una persona mite e,
nonostante lo straordinario incarico affidatole da Dio, non ambisce mettersi in mostra. Maria conosce le
Scritture. Se fate una ricerca, non troverete mai che nelle Scritture Maria venga rappresentata con
l’aureola, seduta su un trono come “regina madre” e illuminata dalla gloria riflessa di Cristo. La troverete
in secondo piano, non al centro dell’attenzione. — Matteo 13:53-56; Giovanni 2:12.
Gesù stroncò sul nascere qualunque cosa potesse indurre i suoi seguaci a venerare Maria. Una volta,
mentre stava parlando, “una donna alzò la voce in mezzo alla folla e gli disse: ‘Beata la donna che ti ha
generato e allattato!’ Ma Gesù rispose: ‘Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono
in pratica’”. (Luca 11:27, 28, PS) A una festa nuziale Gesù disse a Maria: “Che ho a che fare con te,
donna? La mia ora non è ancora venuta”. (Giovanni 2:4) Altre traduzioni hanno: “Donna, che vuoi da me?
L’ora mia non è ancora giunta”. (PS) “Lascia che sia io a occuparmene”. (Weymouth) “Non cercare di
dirmi quello che devo fare”. (An American Translation) Sì, Gesù rispettava sua madre, ma non la pose su
un piedistallo.
Privilegi eterni
Che privilegi ebbe Maria! Diede alla luce Gesù. Poi lo allevò e lo educò. Infine esercitò fede, divenendo
discepola di Cristo e sua sorella spirituale. L’ultima volta che le Scritture parlano di lei, la troviamo in una
camera superiore a Gerusalemme. È lì con gli apostoli di Gesù, gli altri suoi figli e alcune donne fedeli,
tutti adoratori di Geova. — Atti 1:13, 14.
Col tempo Maria morì e il suo corpo tornò alla polvere. Come altri primi seguaci unti del suo caro figlio, si
addormentò nella morte fino al tempo stabilito da Dio per risuscitarla come creatura spirituale alla vita
immortale nei cieli. (1 Corinti 15:44, 50; 2 Timoteo 4:8) Che gioia deve provare questa donna “altamente
favorita” ora che è alla presenza di Geova Dio e di Gesù Cristo!
[Nota in calce]
Se Maria non fosse stata una vergine, chi mai avrebbe voluto sposarla? Per gli ebrei era fondamentale
che una ragazza fosse vergine. — Deuteronomio 22:13-19; confronta Genesi 38:24-26.
[Figura a pagina 31]
Maria fu altamente favorita quale madre di Gesù

G96 8-5 P.20-22

Maria (n. 2) — Tema: La spiritualità sia il vostro interesse principale 1°CORINTI 2:13,14

it-2 220-1 Maria


MARIA
[dall’ebr. Miryàm, che forse significa “ribelle”].
Nella Bibbia sono menzionate sei Marie.
2. Maria sorella di Marta e di Lazzaro. A Betania, che distava circa 2 miglia romane (2,8 km) dal Monte
del Tempio a Gerusalemme e si trovava sul pendio E del Monte degli Ulivi, Gesù fu ospite in casa di
questi amici per cui aveva speciale affetto. (Gv 11:18) Durante una visita di Gesù nel terzo anno del suo
ministero, Marta, decisa a essere una buona massaia, si preoccupava troppo del benessere fisico di
Gesù. Maria viceversa mostrò un altro tipo di ospitalità: “Si mise a sedere ai piedi del Signore, ascoltando
la sua parola”. Quando Marta si lamentò perché la sorella non l’aiutava, Gesù lodò Maria dicendo: “Dal
canto suo, Maria ha scelto la parte buona, e non le sarà tolta”. — Lu 10:38-42.
Vede risuscitare Lazzaro. Alcuni mesi dopo la summenzionata visita, Lazzaro si ammalò ed era in fin di
vita. Perciò Maria e Marta avvertirono Gesù, che probabilmente si trovava a E del Giordano in Perea. Ma
quando Gesù arrivò, Lazzaro era già morto da quattro giorni. Alla notizia dell’arrivo di Gesù, Marta gli
andò subito incontro, mentre Maria rimase “seduta a casa”. Solo dopo che Marta fu tornata dalla periferia
del villaggio ed ebbe sussurrato alla sorella affranta dal dolore “il Maestro è presente e ti chiama”, Maria
si affrettò ad andargli incontro. Caduta ai suoi piedi disse singhiozzando: “Signore, se tu fossi stato qui,
mio fratello non sarebbe morto”. Essa disse esattamente le stesse parole pronunciate da sua sorella
Marta quando era andata incontro a Gesù. Vedendo le lacrime di Maria e di quelli che erano con lei, il
Maestro si commosse e pianse. Dopo che Gesù ebbe compiuto lo stupendo miracolo di risuscitare
Lazzaro dai morti, “molti dei giudei che erano venuti da Maria [per confortarla] . . . riposero fede in lui”. —
Gv 11:1-45.
Unge Gesù con olio. Cinque giorni prima della sua ultima Pasqua, Gesù, insieme ai discepoli, era di
nuovo ospite a Betania, questa volta in casa di Simone il lebbroso, e c’erano anche Maria e la sua
famiglia. Marta serviva il pasto serale; Maria anche questa volta prestava attenzione al Figlio di Dio.
Mentre Gesù era reclino a tavola, Maria prese “una libbra d’olio profumato, nardo genuino, molto costoso”
(di valore pari al salario di un anno) e glielo versò sulla testa e sui piedi. Anche se in quel momento
nessuno se ne rese conto, quell’atto compiuto per amore e rispetto verso Gesù era in realtà la
preparazione per la sua morte e sepoltura ormai prossima. Come l’altra volta, l’espressione di amore di
Maria fu criticata da altri, mentre Gesù difese e apprezzò moltissimo il suo amore e la sua devozione:
“Dovunque questa buona notizia sarà predicata, in tutto il mondo”, egli dichiarò, “anche ciò che questa
donna ha fatto sarà detto in ricordo di lei”. — Mt 26:6-13; Mr 14:3-9; Gv 12:1-8.
Questo episodio, l’unzione di Gesù da parte di Maria, riportato da Matteo, Marco e Giovanni, non va
confuso con quello menzionato in Luca 7:36-50. I due avvenimenti presentano alcune analogie ma anche
delle differenze. Il primo in ordine di tempo, quello riferito da Luca, ebbe luogo al N in Galilea; il secondo
al S, a Betania in Giudea. Il primo in casa di un fariseo, il secondo in casa di Simone il lebbroso. La prima
volta a ungere Gesù fu una donna innominata, una nota “peccatrice”, probabilmente una prostituta; la
seconda volta fu Maria sorella di Marta. Inoltre fra i due episodi era trascorso più di un anno.
Alcuni critici affermano che Giovanni contraddica Matteo e Marco dicendo che il profumo fu versato sui
piedi di Gesù anziché sulla sua testa. (Mt 26:7; Mr 14:3; Gv 12:3) A questo proposito Albert Barnes dice:
“Non c’è comunque alcuna contraddizione. Essa probabilmente glielo versò sia sulla testa che sui piedi.
Poiché Matteo e Marco menzionano la testa, Giovanni, che scrisse il suo vangelo in parte per ricordare
avvenimenti omessi dagli altri, riferisce che l’unguento fu versato anche sui piedi del Salvatore. Era
comune versare l’unguento sulla testa. Versarlo sui piedi era un atto di particolare umiltà e affetto per il
Salvatore, e perciò meritava di essere ricordato”. — Barnes’ Notes on the New Testament, 1974.

w81 15/6 15-14 'Fatichiamo e sforziamoci'!


24 Forse stiamo dando tutto quello che possiamo, anche se può essere meno di ciò che le condizioni di
salute e le circostanze permettono a un altro di dare. Ma il fattore determinante non è la quantità.
Ricordate il favorevole commento di Gesù circa la povera vedova che aveva donato due monetine di
“pochissimo valore”. Quelle monete (leptà) valevano circa un sessantaquattresimo del salario di una
giornata. A quanto ammonterebbe nella vostra moneta locale? Gesù lodò quella donna, perché ‘aveva
gettato tutto quello che aveva, tutto il suo sostentamento’. (Mar. 12:41-44) Anche noi possiamo essere
certi di avere tale approvazione se stiamo dando tutto ciò che possiamo dare — faticando e sforzandoci
— nell’opera di testimonianza.
25 Possiamo anche ricordare quell’occasione in cui Maria, la sorella di Lazzaro, unse Gesù con costoso
olio profumato. Alcuni discepoli si lamentarono, perché quell’olio valeva 300 denari. Tenendo conto dei
sabati e delle feste, quella somma equivaleva al salario annuale di un operaio. Quanto guadagnate voi o
un vostro familiare in un anno? (Giov. 12:3-8; Matt. 20:2) Gesù disse riguardo allo sforzo compiuto da
Maria:
“Ella ha fatto verso di me un’opera eccellente. . . . Ha fatto ciò che poteva; si è impegnata a mettere in
anticipo olio profumato sul mio corpo in vista della sepoltura. Veramente vi dico: Ovunque la buona
notizia sarà predicata in tutto il mondo, ciò che questa donna ha fatto sarà pure detto a ricordo di lei”. —
Mar. 14:6-9.
26 Notate quelle parole: “Ha fatto ciò che poteva”. Non risulta che Maria avesse il potere di compiere
miracoli; non poté divenire un apostolo o un anziano quando fu formata la congregazione cristiana; e
forse non era in grado di viaggiare a lungo per diffondere la “buona notizia”. Ma ‘fece ciò che poteva’. In
che senso? In alcune lingue l’espressione “Fa quello che puoi” può essere intesa nel senso di ‘Non ti
stancare troppo; prenditela comoda’. Ma non era questo ciò che Gesù intendeva. Maria aveva compiuto
un vero sforzo. Ecco come alcuni traduttori della Bibbia hanno reso quelle parole: “Ella ha fatto tutto ciò
poteva”, o: “Ella ha fatto tutto ciò che era in suo potere fare”. — C. K. Williams; W. Barclay; vedi anche
versione a cura della CEI.
27 Maria non si prodigò solo in quell’occasione, ma di continuo. In precedenza aveva mostrato a cosa era
rivolto il suo cuore, mettendosi a sedere ai piedi di Gesù per ascoltarne gli insegnamenti. (Luca 10:38-42)
Ora continuava a sostenere quell’eccezionale predicatore che era Gesù. Ed è interessante che Gesù
collegò l’azione di Maria con l’opera di predicazione mondiale, dicendo che ovunque la “buona notizia”
sarebbe stata predicata ci si sarebbe ricordati di lei. Maria aveva a cuore l’opera di predicazione. Lo
stesso poté dirsi di Gesù, fino alla morte.
28 Assomigliamo a quelle due donne che diedero tutto ciò che avevano? Ci interessiamo vivamente
dell’opera di predicazione avviata da Gesù quand’era sulla terra e ora svolta in tutto il mondo dai
cristiani? Dovremmo interessarcene. Dio se ne interessa. Quando il cristianesimo ebbe inizio il giorno di
Pentecoste del 33 E.V., era una religione di testimonianza, e Dio la sostenne con il suo spirito. Questo è
ciò che egli continua a fare, poiché non è cambiato. È “l’Iddio vivente”, in quanto vive egli stesso e offre la
vita a tutti i veri adoratori. Perciò oggi il cristianesimo dovrebbe essere, e lo è, una religione di
testimonianza. E i cristiani hanno ogni ragione per lavorare con entusiasmo al servizio di Dio, “che è il
Salvatore d’ogni sorta di uomini, specialmente dei fedeli”. — I Tim. 4:10.
[Nota in calce]
Le potenti opere di Gesù spinsero molti a interessarsi di lui. Eppure c’è da notare che egli non divenne
famoso come “Taumaturgo” (operatore di miracoli) o qualcosa del genere. Fondamentalmente fu
conosciuto come “Maestro”. — Matt. 8:19; 19:16; 26:18; Mar. 4:38; Giov. 3:2.

w97 15/10 13-18 Geova apprezza il servizio reso con tutta l'anima
Geova apprezza il servizio reso con tutta l’anima
“Qualunque cosa facciate, fatela con tutta l’anima come a Geova, e non agli uomini”. — COLOSSESI
3:23.
SERVIRE Geova è il più grande privilegio che si possa avere. Giustamente questa rivista incoraggia da
tempo i cristiani a impegnarsi nel ministero, servendo anche “più pienamente” ogni volta che è possibile.
(1 Tessalonicesi 4:1) Non sempre però siamo in grado di fare nel servizio di Dio tutto ciò che il nostro
cuore desidera. “Le circostanze mi costringono a lavorare a tempo pieno”, spiega una sorella nubile che
si battezzò quasi 40 anni fa. “Non lavoro per farmi un guardaroba lussuoso o per fare una crociera, ma
per far fronte alle spese necessarie, comprese quelle mediche e dentistiche. Tuttavia mi sembra di dare a
Geova l’avanzo”.
2 L’amore per Dio ci spinge a voler fare tutto ciò che possiamo nell’opera di predicazione. Ma spesso le
circostanze della vita limitano quello che possiamo fare. Assolvere altre responsabilità scritturali, inclusi
gli obblighi familiari, può consumare gran parte del nostro tempo e delle nostre energie. (1 Timoteo 5:4,
8) In questi “tempi difficili” la vita presenta continuamente nuove sfide. (2 Timoteo 3:1) Quando non
riusciamo a fare nel ministero tutto ciò che vorremmo, possiamo sentirci turbati. Forse ci chiediamo se
Dio si compiace della nostra adorazione.
La bellezza del servizio reso con tutta l’anima
3 In Salmo 103:14 la Bibbia ci incoraggia assicurandoci che Geova “conosce bene come siamo formati,
ricordando che siamo polvere”. Egli comprende i nostri limiti meglio di chiunque altro. Non richiede da noi
più di quello che possiamo dare. Cosa si aspetta da noi? Qualcosa che tutti, indipendentemente dalla
nostra situazione nella vita, possiamo fare: “Qualunque cosa facciate, fatela con tutta l’anima come a
Geova, e non agli uomini”. (Colossesi 3:23) Sì, Geova si aspetta che noi — tutti noi — lo serviamo con
tutta l’anima.
4 Cosa significa servire Geova con tutta l’anima? Il termine greco reso “con tutta l’anima” significa alla
lettera “dall’anima”. L’“anima” è l’intera persona, con tutte le sue facoltà fisiche e mentali. Servire con tutta
l’anima significa quindi spendersi, usando tutte le proprie facoltà e impiegando le proprie energie nella
misura più piena possibile nel servizio di Dio. In parole semplici, significa fare tutto ciò che la nostra
anima può fare. — Marco 12:29, 30.
5 Servire con tutta l’anima significa forse che dobbiamo dedicare tutti la stessa quantità di tempo al
ministero? Difficilmente, perché le circostanze e le capacità cambiano da anima ad anima. Considerate i
fedeli apostoli di Gesù. Non tutti potevano fare le stesse cose. Per esempio, sappiamo pochissimo di
alcuni apostoli, come Simone il cananita e Giacomo il figlio di Alfeo. Forse le loro attività come apostoli
erano piuttosto limitate. (Matteo 10:2-4) Pietro invece fu in grado di accettare molte responsabilità
gravose: Gesù gli affidò addirittura “le chiavi del regno”! (Matteo 16:19) Ma Pietro non fu elevato al di
sopra degli altri. Quando Giovanni, nella Rivelazione (verso il 96 E.V.), ebbe la visione della Nuova
Gerusalemme, vide 12 pietre di fondamento sulle quali erano incisi “i dodici nomi dei dodici apostoli”.
(Rivelazione [Apocalisse] 21:14) Geova apprezzava il servizio di tutti gli apostoli, anche se evidentemente
alcuni erano in grado di fare più di altri.
6 Similmente Geova non pretende che dedichiamo tutti la stessa quantità di tempo alla predicazione.
Gesù lo indicò nell’illustrazione del seminatore, in cui paragonò l’opera di predicazione alla semina. Il
seme cadde su diversi tipi di terreno, che illustrano le varie condizioni di cuore manifestate da coloro che
odono il messaggio. “In quanto a quello seminato sul terreno eccellente”, spiegò Gesù, “questo è colui
che ode la parola e ne afferra il significato, il quale veramente porta frutto e produce, questo il cento,
quello il sessanta, l’altro il trenta”. (Matteo 13:3-8, 18-23) Cos’è questo frutto, e perché viene prodotto in
quantità diverse?
7 Dato che il seme che viene seminato è “la parola del regno”, portare frutto significa diffondere tale
parola, dichiararla ad altri. (Matteo 13:19) La quantità di frutto prodotta varia — dal trenta al cento —
perché le capacità individuali e le circostanze della vita cambiano da persona a persona. Una persona
energica e in buona salute può essere in grado di dedicare alla predicazione più tempo di chi ha poche
energie a causa di un problema di salute cronico o dell’età avanzata. Una persona giovane senza
responsabilità familiari può essere in grado di fare di più di chi deve lavorare a tempo pieno per
mantenere la famiglia. — Confronta Proverbi 20:29.
8 Agli occhi di Dio, la persona che serve con tutta l’anima e che produce il trenta è meno devota di quella
che produce il cento? Niente affatto! La quantità di frutto può variare, ma Geova se ne compiace purché il
servizio reso sia il meglio che la nostra anima può dare. Ricordate, le diverse quantità vengono tutte
prodotte da cuori che sono “terreno eccellente”. La parola greca (kalòs) resa “eccellente” descrive
qualcosa di “bello”, che “diletta il cuore ed è piacevole agli occhi”. Com’è confortante sapere che quando
facciamo del nostro meglio il nostro cuore è bello agli occhi di Dio!
Non fare paragoni
9 Il nostro cuore imperfetto, comunque, può vedere le cose in modo diverso. Può paragonare il nostro
servizio con quello di altri. Può fare questo ragionamento: ‘Nel ministero altri fanno molto di più di quello
che faccio io. Come può Geova compiacersi del mio servizio?’ — Confronta 1 Giovanni 3:19, 20.
10 I pensieri di Geova e le sue vie sono molto più alti dei nostri. (Isaia 55:9) Siamo aiutati a capire come
Geova considera i nostri sforzi individuali da 1 Corinti 12:14-26, dove la congregazione è paragonata a un
corpo con molte membra: occhi, mani, piedi, orecchi, ecc. Pensate per un attimo al corpo fisico. Come
sarebbe ridicolo paragonare gli occhi alle mani o i piedi agli orecchi! Ciascun membro svolge una
funzione diversa, ma tutte le membra sono utili e apprezzate. Similmente Geova apprezza il servizio che
gli rendete con tutta l’anima sia che altri facciano di più o di meno. — Galati 6:4.
11 A causa dei limiti imposti dalla salute cagionevole, dall’età o da altre circostanze, a volte alcuni di noi
possono pensare di essere “più deboli” o “meno onorevoli” di altri. Ma non è così che Geova vede le
cose. La Bibbia ci dice: “Le membra del corpo che sembrano essere più deboli sono necessarie, e le parti
. . . che pensiamo siano meno onorevoli, le circondiamo di più abbondante onore . . . Tuttavia, Dio
compose il corpo, dando più abbondante onore alla parte che ne mancava”. (1 Corinti 12:22-24) Perciò
ogni persona può essere preziosa agli occhi di Geova. Egli considera prezioso il servizio che gli rendiamo
tenendo conto dei nostri limiti. Non vi sentite spinti a fare di cuore tutto il possibile per servire un Dio così
amorevole e comprensivo?
12 Ciò che conta per Geova, quindi, non è che facciate quanto fa qualcun altro, ma che facciate ciò che
voi — la vostra anima — potete fare personalmente. Che Geova apprezzi i nostri sforzi individuali fu
dimostrato in maniera molto toccante da ciò che Gesù disse riguardo a due donne molto diverse negli
ultimi giorni della sua vita terrena.
Il dono “molto costoso” di una donna riconoscente
13 La sera del venerdì 8 nisan Gesù arrivò a Betania, un piccolo villaggio sul fianco orientale del Monte
degli Ulivi, a circa tre chilometri da Gerusalemme. In quel villaggio Gesù aveva degli amici intimi: Maria,
Marta e il loro fratello Lazzaro. Gesù era stato ospite a casa loro, forse di frequente. Ma il sabato sera
Gesù e i suoi amici cenarono a casa di Simone, un ex lebbroso che forse era stato guarito da Gesù.
Mentre Gesù giaceva a tavola, Maria compì un umile gesto che rivelò il suo profondo amore per l’uomo
che le aveva risuscitato il fratello. Aprì un’ampolla di olio profumato, “molto costoso”. Era davvero
costoso! Valeva 300 denari, pari a circa il salario di un anno. Versò l’olio profumato sulla testa e sui piedi
di Gesù. Addirittura gli asciugò i piedi con i capelli. — Marco 14:3; Luca 10:38-42; Giovanni 11:38-44;
12:1-3.
14 I discepoli erano indignati! ‘Perché questo spreco?’, chiesero. Giuda, nascondendo il suo intento
ladresco dietro un suggerimento caritatevole, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per
trecento denari e dato ai poveri?” Maria rimase in silenzio. Gesù però disse ai discepoli: “Lasciatela stare.
Perché cercate di darle fastidio? Essa ha fatto verso di me un’opera eccellente [kalòs]. . . . Essa ha fatto
ciò che poteva; si è impegnata a mettere in anticipo olio profumato sul mio corpo in vista della sepoltura.
Veramente vi dico: Dovunque la buona notizia sarà predicata, in tutto il mondo, anche ciò che questa
donna ha fatto sarà detto in ricordo di lei”. Che effetto rassicurante dovettero avere sul cuore di Maria le
affettuose parole di Gesù! — Marco 14:4-9; Giovanni 12:4-8.
15 Gesù era stato profondamente toccato dal gesto di Maria. A suo giudizio Maria aveva compiuto
un’azione davvero encomiabile. Per Gesù non contava tanto il valore materiale del dono quanto il fatto
che ‘essa aveva fatto ciò che poteva’. Aveva colto l’opportunità per dare ciò che poteva. Altre traduzioni
rendono così le sue parole: “Ha fatto tutto quello che poteva”, o: “Ha fatto ciò che era in suo potere”. (An
American Translation; CEI97) Maria fece quel dono con tutta l’anima perché diede il meglio che aveva.
Questo è ciò che significa servire con tutta l’anima.
Le “due monetine” della vedova
16 Un paio di giorni dopo, l’11 nisan, Gesù trascorse una lunga giornata nel tempio, dove la sua autorità
fu contestata ed egli dovette affrontare domande problematiche su tasse, risurrezione e altri argomenti.
Gesù condannò gli scribi e i farisei perché, fra l’altro, ‘divoravano le case delle vedove’. (Marco 12:40) Poi
si mise a sedere, evidentemente nel Cortile delle donne, dove, secondo la tradizione giudaica, c’erano 13
casse del tesoro. Rimase seduto per un po’, osservando attentamente la gente che metteva le
contribuzioni. Vennero molti ricchi, alcuni forse con l’aria di chi si sente giusto, o addirittura ostentando le
loro offerte. (Confronta Matteo 6:2). Gesù concentrò lo sguardo su una donna. Forse una persona
comune non avrebbe notato nulla di particolare in lei o nel suo dono. Ma Gesù, che poteva conoscere
cosa c’era nel cuore delle persone, sapeva che era “una povera vedova”. Sapeva pure l’esatto valore del
suo dono: ‘due monetine di minimo valore’. — Marco 12:41, 42.
17 Gesù chiamò a sé i discepoli, perché voleva che vedessero con i loro occhi la lezione che stava per
insegnare. La vedova, disse Gesù, “ha gettato più di tutti quelli che hanno gettato denaro nelle casse del
tesoro”. Secondo la sua valutazione, la donna aveva dato più di tutti gli altri messi insieme. Aveva dato
“tutto quello che aveva”, fino all’ultimo spicciolo. Così facendo si era messa nelle amorevoli mani di
Geova. Perciò la persona che venne additata come esempio di generosità verso Dio era una il cui dono
non aveva quasi nessun valore materiale. Ma agli occhi di Dio era di valore inestimabile! — Marco 12:43,
44; Giacomo 1:27.
Impariamo dal modo in cui Geova considera il servizio reso con tutta l’anima
18 Da ciò che Gesù disse riguardo a queste due donne possiamo imparare alcune lezioni incoraggianti
circa il modo in cui Geova considera il servizio reso con tutta l’anima. (Giovanni 5:19) Gesù non paragonò
la vedova con Maria. Apprezzò le due monetine della vedova tanto quanto l’olio “molto costoso” di Maria.
Avendo ciascuna donna dato il meglio che aveva, i loro doni furono entrambi di valore agli occhi di Dio.
Perciò qualora cominciaste a sentirvi inutili perché non siete in grado di fare nel servizio di Dio tutto ciò
che vorreste, non scoraggiatevi. Geova accetta volentieri il meglio che potete dare. Ricordate: Geova
“vede il cuore”, per cui conosce perfettamente i desideri del vostro cuore. — 1 Samuele 16:7.
19 Il modo in cui Geova considera il servizio reso con tutta l’anima dovrebbe influire sul modo in cui ci
consideriamo e ci trattiamo a vicenda. Sarebbe davvero poco amorevole criticare gli sforzi di altri o fare
paragoni fra il servizio di una persona e quello di un’altra! Purtroppo una cristiana ha scritto: “A volte ho
l’impressione che o fai la pioniera o non sei nessuno. Anche noi che lottiamo per continuare ad essere
‘semplici’ proclamatori regolari del Regno abbiamo bisogno di sentirci apprezzati”. Dobbiamo ricordare
che non siamo autorizzati a giudicare se un altro cristiano serve con tutta l’anima. (Romani 14:10-12)
Geova apprezza il servizio reso con tutta l’anima da ciascuno dei milioni di fedeli proclamatori del Regno,
e dovremmo apprezzarlo anche noi.
20 Che dire però se sembra che nel ministero qualcuno faccia meno di quello che può? Un calo
nell’attività di un compagno di fede può sicuramente indicare agli anziani premurosi che c’è bisogno di
aiuto o di incoraggiamento. Al tempo stesso non dobbiamo dimenticare che il servizio reso con tutta
l’anima da alcuni può assomigliare più alle monetine della vedova che all’olio costoso di Maria. Di solito è
meglio partire dal presupposto che i nostri fratelli e sorelle amano Geova e che tale amore li spinge a fare
tutto quello che possono, non meno. Di sicuro nessun coscienzioso servitore di Geova sceglie
intenzionalmente di fare nel servizio di Dio meno di quello che può! — 1 Corinti 13:4, 7.
21 Comunque, per molti servitori di Dio servire con tutta l’anima ha significato intraprendere una carriera
che dà straordinarie soddisfazioni, il ministero di pioniere. Quali benedizioni ricevono? E che dire di quelli
che finora non sono riusciti a fare i pionieri? Come possiamo mostrare di avere lo spirito di pioniere? Il
prossimo articolo risponderà a queste domande.
[Note in calce]
Dato che fu Mattia a sostituire Giuda come apostolo, dobbiamo ritenere che il suo nome — e non quello
di Paolo — figurasse fra quelli scritti sulle 12 pietre di fondamento. Paolo, pur essendo un apostolo, non
era uno dei dodici.
Ogni moneta era un lepton, la più piccola moneta ebraica in circolazione a quel tempo. Due lepton
equivalevano a 1/64 del salario di una giornata. Secondo Matteo 10:29, con una moneta da un asse (pari
a otto lepton), si potevano acquistare due passeri, che erano fra gli uccelli più economici che i poveri si
potevano permettere come alimento. Perciò questa vedova era davvero povera, perché aveva soltanto la
metà della somma necessaria per comprare un solo passero, a malapena sufficiente per un pasto.
[Figura a pagina 15]
Maria diede il meglio che aveva, profumando il corpo di Gesù con olio “molto costoso”
[Figura a pagina 16]
Le monetine della vedova: quasi prive di valore materiale, ma di valore inestimabile agli occhi di Geova

Maria (n. 3) — Tema: Apprezzate ciò che Geova e Gesù hanno fatto per voi
GIOVANNI 3:16; 15:13

it-2 221-2 Maria


MARIA
[dall’ebr. Miryàm, che forse significa “ribelle”].
Nella Bibbia sono menzionate sei Marie.
3. Maria Maddalena. Quest’ultimo appellativo (che significa “di Magdala”) deriva probabilmente dal
villaggio di Magdala (vedi MAGADAN) sulla riva O del Mar di Galilea, circa a metà strada fra Capernaum
e Tiberiade. Non si ha notizia che Gesù sia mai stato in questo villaggio, benché abbia trascorso molto
tempo nella zona. E non è neanche sicuro che fosse il paese nativo o il luogo di residenza di Maria. Dal
momento che Luca la chiama “Maria detta Maddalena”, alcuni ritengono che volesse indicare qualcosa di
speciale o particolare. — Lu 8:2.
Dato che Gesù aveva espulso da lei sette demoni, Maria Maddalena si convinse che egli era il Messia e
dimostrò la sua fede con straordinari atti di devozione e servizio. È menzionata per la prima volta a
proposito del secondo anno di predicazione di Gesù, quando egli, insieme agli apostoli, “viaggiava di città
in città e di villaggio in villaggio, predicando e dichiarando la buona notizia del regno di Dio”. Insieme a
Giovanna, moglie di un incaricato di Erode, a Susanna e ad altre donne, Maria Maddalena sopperiva ai
bisogni di Gesù e degli apostoli con i suoi stessi averi. — Lu 8:1-3.
La più significativa menzione di Maria Maddalena è in relazione alla morte e risurrezione di Gesù.
Quando Gesù, l’Agnello di Dio, stava per essere ucciso, essa era fra le donne “che avevano
accompagnato Gesù dalla Galilea per servirlo” e che “guardavano da lontano” mentre era sul palo di
tortura. Con lei c’erano Maria madre di Gesù e Salome, e anche “l’altra Maria” (n. 4). — Mt 27:55, 56, 61;
Mr 15:40; Gv 19:25.
Dopo la sepoltura di Gesù, Maria Maddalena e altre donne andarono a preparare aromi e olio profumato
prima che iniziasse il sabato al tramonto del sole. Il giorno successivo al sabato, il primo giorno della
settimana, all’alba, Maria e le altre donne portarono l’olio profumato alla tomba. (Mt 28:1; Mr 15:47; 16:1,
2; Lu 23:55, 56; 24:1) Vedendo la tomba aperta e a quanto pare vuota, Maria allarmata si precipitò a dare
la notizia a Pietro e Giovanni, che corsero alla tomba. (Gv 20:1-4) Quando Maria giunse nuovamente alla
tomba, Pietro e Giovanni se n’erano andati, e fu allora che essa guardò all’interno e rimase sbalordita alla
vista di due angeli vestiti di bianco. Poi si voltò e vide Gesù in piedi. Pensando che fosse l’ortolano,
chiese dove fosse la salma per prendersene cura. Quando egli le rispose “Maria!”, essa capì subito chi
era e impulsivamente lo abbracciò, esclamando: “Rabbòni!” Ma quello non era il momento di dare sfogo a
espressioni di affetto terreno. Gesù sarebbe rimasto con loro solo per poco. Maria doveva affrettarsi a
informare gli altri discepoli che Gesù era risorto e che stava per ascendere, come disse lui stesso, “al
Padre mio e Padre vostro e all’Iddio mio e Iddio vostro”. — Gv 20:11-18.

w95 15/7 16-19 Le donne cristiane meritano onore e rispetto


6 La mattina presto del primo giorno della settimana Maria Maddalena e altre donne andarono alla tomba
portando gli aromi da spalmare sul corpo di Gesù. Avendo trovato la tomba vuota, Maria corse a
informare Pietro e Giovanni. Le altre donne rimasero là. Subito apparve loro un angelo che disse che
Gesù era stato destato. ‘Andate prontamente a dirlo ai suoi discepoli’, comandò l’angelo. Mentre quelle
donne correvano a dare la notizia, Gesù stesso apparve loro. “Andate, portate la notizia ai miei fratelli”,
disse. (Matteo 28:1-10; Marco 16:1, 2; Giovanni 20:1, 2) Ignara della visita dell’angelo e affranta dal
dolore, Maria Maddalena tornò alla tomba vuota. Lì le apparve Gesù, che, riconosciuto infine da lei, le
disse: “Va dai miei fratelli e di’ loro: ‘Io ascendo al Padre mio e Padre vostro e all’Iddio mio e Iddio
vostro’”. — Giovanni 20:11-18; confronta Matteo 28:9, 10.
7 Gesù sarebbe potuto apparire prima a Pietro, a Giovanni o a qualche altro discepolo. Invece scelse di
mostrare favore a quelle donne facendo di loro i primi testimoni oculari della sua risurrezione e affidando
loro l’incarico di renderne testimonianza ai discepoli di sesso maschile. Come reagirono inizialmente gli
uomini? La Bibbia dice: “Queste parole parvero loro un’assurdità e non credevano alle donne”. (Luca
24:11) È possibile che trovassero difficile accettare la testimonianza perché veniva dalle donne? Se il
motivo era questo, in seguito ricevettero abbondanti prove che Gesù era stato destato dai morti. (Luca
24:13-46; 1 Corinti 15:3-8) Oggi gli uomini cristiani agiscono saggiamente quando tengono conto delle
osservazioni delle loro sorelle cristiane. — Confronta Genesi 21:12.
8 È davvero incoraggiante notare il modo in cui Gesù trattava le donne. Sempre compassionevole e
assolutamente equilibrato nei loro confronti, egli non le esaltò né le disprezzò. (Giovanni 2:3-5) Respinse
le tradizioni rabbiniche che svilivano la dignità femminile e rendevano la Parola di Dio senza valore.
(Confronta Matteo 15:3-9). Trattando le donne con onore e rispetto, Gesù rivelò chiaramente come
Geova Dio vuole che siano trattate. (Giovanni 5:19) Diede inoltre agli uomini cristiani uno splendido
esempio da imitare. — 1 Pietro 2:21.
Gli insegnamenti di Gesù relativi alle donne
9 Gesù confutò le tradizioni rabbiniche e rispettò la dignità delle donne non solo con quello che fece ma
anche con i suoi insegnamenti. Considerate, per esempio, ciò che insegnò in merito al divorzio e
all’adulterio.
10 Riguardo al divorzio, a Gesù fu posta questa domanda: “È lecito all’uomo divorziare da sua moglie per
ogni sorta di motivo?” Secondo il racconto di Marco, Gesù rispose: “Chiunque divorzia da sua moglie [se
non a causa di fornicazione] e ne sposa un’altra commette adulterio contro di lei, e se una donna, dopo
aver divorziato da suo marito, ne sposa un altro, commette adulterio”. (Marco 10:10-12; Matteo 19:3, 9)
Queste semplici parole mostravano rispetto per la dignità della donna. In che modo?
11 Innanzi tutto Gesù, con le parole “se non a causa di fornicazione” (riportate nel Vangelo di Matteo),
indicò che il vincolo coniugale non dev’essere preso alla leggera né sciolto con facilità. L’insegnamento
rabbinico prevalente consentiva di divorziare per inezie, ad esempio qualora la moglie avesse rovinato
una pietanza o parlato con un estraneo. Il divorzio era addirittura ammesso nel caso che un uomo avesse
trovato una donna che gli piaceva di più! Un erudito biblico osserva: “Parlando in quel modo Gesù stava .
. . spezzando una lancia a favore delle donne, cercando di restituire al matrimonio il posto che meritava”.
In effetti il matrimonio dev’essere un’unione stabile in cui la donna possa sentirsi sicura. — Marco 10:6-9.
12 Secondo, con l’espressione “commette adulterio contro di lei”, Gesù introduceva un concetto non
riconosciuto dai tribunali rabbinici: quello di un marito che commetteva adulterio contro sua moglie. Un
commentario biblico spiega: “Nel giudaismo rabbinico una donna infedele commetteva adulterio contro il
marito; e un uomo, avendo rapporti sessuali con la moglie di un altro, commetteva adulterio contro costui.
Ma un uomo, qualunque cosa facesse, non poteva mai commettere adulterio contro la propria moglie.
Gesù, imponendo al marito lo stesso obbligo morale della moglie, elevò la condizione e la dignità della
donna”. — The Expositor’s Bible Commentary.
13 Terzo, con la frase “dopo aver divorziato da suo marito”, Gesù riconosceva alla donna il diritto di
divorziare dal marito infedele, concetto a quanto pare noto ma inapplicato sotto la legge giudaica a quel
tempo. Si diceva che “era lecito divorziare dalla moglie sia che lei fosse d’accordo o no, mentre si poteva
divorziare dal marito solo se questi era consenziente”. Secondo Gesù, invece, sotto il sistema cristiano la
stessa norma valeva sia per gli uomini che per le donne.
14 Gli insegnamenti di Gesù rivelano chiaramente che il benessere delle donne gli stava molto a cuore.
Non è quindi difficile capire perché alcune donne amassero così tanto Gesù da provvedere alle sue
necessità con i loro averi. (Luca 8:1-3) “Ciò che io insegno non è mio”, disse Gesù, “ma appartiene a
colui che mi ha mandato”. (Giovanni 7:16) Gli insegnamenti di Gesù rispecchiavano la tenera
considerazione che Geova stesso ha per le donne.

Maria (n. 4) — Tema: Siate costanti nei vostri atti di devozione 2°CORINTI 9:7

it-2 222 Maria


MARIA
[dall’ebr. Miryàm, che forse significa “ribelle”].
Nella Bibbia sono menzionate sei Marie.
4. “L’altra Maria”. Moglie di Clopa (Alfeo) (vedi CLOPA) e madre di Giacomo il Minore e di Iose. (Mt
27:56, 61; Gv 19:25) La tradizione, priva però di qualsiasi base scritturale, vuole che Clopa e Giuseppe,
padre adottivo di Gesù, fossero fratelli. Se ciò fosse vero, questa Maria sarebbe zia di Gesù, e i figli di lei
suoi cugini.
Questa Maria non solo era una delle donne “che avevano accompagnato Gesù dalla Galilea per servirlo”,
ma era anche una di quelle che assisterono alla sua morte sul palo. (Mt 27:55; Mr 15:40, 41) Insieme a
Maria Maddalena, si trattenne fuori della tomba in quel triste pomeriggio del 14 nisan. (Mt 27:61) Il terzo
giorno, loro due insieme ad altre donne, andarono alla tomba con aromi e olio profumato per spalmare il
cadavere di Gesù e, con sgomento, trovarono la tomba aperta. Un angelo spiegò che Cristo era risorto
dai morti, quindi ordinò loro di ‘andare a dirlo ai discepoli’. (Mt 28:1-7; Mr 16:1-7; Lu 24:1-10) Mentre
erano per via, il risuscitato Gesù apparve a questa Maria e alle altre donne. — Mt 28:8, 9.

W59 P.334

Matteo –- Tema: Dio non è parziale ATTI 10:34,35

it-2 235
MATTEO
[prob., forma abbreviata di Mattitia, “dono di Geova”].
Ebreo, chiamato anche Levi, che diventò apostolo di Gesù Cristo e scrittore del Vangelo che porta il suo
nome. Era figlio di un certo Alfeo e prima di diventare discepolo di Gesù faceva l’esattore di tasse. (Mt
10:3; Mr 2:14; vedi ESATTORE DI TASSE). Le Scritture non rivelano se Levi si chiamasse Matteo anche
prima di diventare discepolo di Gesù, se tale nome gli sia stato dato allora o se glielo abbia dato Gesù nel
nominarlo apostolo.
All’inizio del ministero in Galilea (30 o inizio 31 E.V.) Gesù Cristo chiamò Matteo, che lavorava
nell’ufficio delle tasse situato a Capernaum o nei dintorni (Mt 9:1, 9; Mr 2:1, 13, 14), “ed egli, lasciandosi
dietro ogni cosa, si alzò e lo seguì”. (Lu 5:27, 28) Forse per festeggiare il fatto che era stato invitato a
seguire Cristo, Matteo ‘imbandì un grande banchetto’, a cui parteciparono Gesù e i discepoli e anche
molti esattori di tasse e peccatori. Ciò infastidì i farisei e gli scribi che protestarono perché Gesù
mangiava e beveva con esattori di tasse e peccatori. — Lu 5:29, 30; Mt 9:10, 11; Mr 2:15, 16.
Poi, dopo la Pasqua del 31 E.V., Gesù scelse i dodici apostoli, e Matteo era fra questi. (Mr 3:13-19; Lu
6:12-16) Anche se ci sono diversi riferimenti agli apostoli come gruppo, la Bibbia non menziona più per
nome Matteo fin dopo l’ascensione di Cristo al cielo. Matteo vide il risuscitato Gesù Cristo (1Co 15:3-6),
ricevette le sue ultime istruzioni e lo vide ascendere al cielo. Dopo di che lui e gli altri apostoli tornarono a
Gerusalemme. Là gli apostoli stavano in una stanza al piano superiore di una casa, e fra loro è
menzionato anche Matteo, il quale perciò doveva essere uno dei circa 120 discepoli che ricevettero lo
spirito santo il giorno di Pentecoste del 33 E.V. — At 1:4-15; 2:1-4.

w74 15/8 491-3


Com’erano considerati nel primo secolo gli esattori di tasse
L’ESATTORE di tasse non è mai stato un uomo benvisto. Questo avveniva specialmente nel primo
secolo E.V. fra i Giudei abitanti in Galilea e Giudea.
I Giudei erano tanto irritati per la tassazione da parte delle autorità romane che bastava la possibilità di
ulteriori tasse a fare scoppiare una ribellione. Una di queste insurrezioni è menzionata in Atti 5:37: “Sorse
Giuda il Galileo, ai giorni della registrazione, e si trasse dietro della gente”.
Una registrazione di questa natura suscitava più controversie che il semplice pagamento delle tasse:
‘Chi comandava ora nel paese? Ogni nuova richiesta non accresceva forse il giogo imposto da Roma?
Benché per mantenere la pace i Giudei avessero una certa autorità, non era ora di combattere contro
ulteriori violazioni dei loro diritti?’ Così la pensavano uomini come Giuda il Galileo. E, secondo lo storico
Giuseppe Flavio, essi istigavano i loro compatrioti a resistere, dicendo che ‘erano codardi se si
assoggettavano al pagamento delle tasse ai Romani’.
Ma, oltre al fatto che era un riconoscimento di sottomissione a una potenza straniera, c’era un’ulteriore
ragione dell’odio dei Giudei verso le tasse. Questo è chiaro quando si considera il modo in cui venivano
riscosse le tasse e gli abusi che ne risultavano.
SISTEMA ROMANO PER L’ESAZIONE DELLE TASSE
Testatico e imposte fondiarie erano riscossi da funzionari imperiali. Ma la facoltà di riscuotere le tasse
su merci esportate e importate e sui prodotti trasportati dai mercanti attraverso il paese si acquistava
all’asta pubblica. Il diritto di riscuotere tali tasse andava ai migliori offerenti. Quando riscuotevano le
tasse, traevano un profitto dagli introiti che superavano l’ammontare della loro offerta. Questi uomini, detti
pubblicani, davano in subappalto il diritto di riscuotere le tasse in certe parti del loro territorio. I
subappaltatori, a loro volta, avevano alle dipendenze altri uomini che riscuotevano personalmente le
tasse.
Zaccheo, ad esempio, pare fosse il capo degli esattori di tasse di Gerico e dintorni. (Luca 19:1, 2) E
Matteo, che Gesù chiamò perché fosse un apostolo, svolgeva l’effettivo lavoro di riscuotere le tasse.
Matteo, pure chiamato Levi, aveva a quanto sembra il suo ufficio delle tasse a Capernaum o nei dintorni.
— Matt. 10:3; Mar. 2:1, 14.
Un decreto sulle tariffe di Palmira risalente al 137 E.V. illustra alcuni abusi a cui era soggetto il sistema
fiscale. Il suo preambolo dichiara che in precedenza (nel primo secolo) l’aliquota della tassa non era
fissa. Veniva stabilita secondo l’usanza, spesso secondo il capriccio dell’esattore di tasse. Ciò dava
frequentemente luogo a dispute.
DISONESTÀ DEGLI ESATTORI DI TASSE
Al tempo del ministero terreno di Gesù gli esattori di tasse erano spesso speculatori e uomini di dubbie
qualità morali. Molti estorcevano denaro, attribuendo alle merci valori fittizi ai fini delle tasse e quindi
offrendosi di prestare denaro — ad alti tassi d’interesse — a quelli che non erano in grado di pagare. Col
bastone in mano, e la targa d’ottone ben visibile sul petto, fermavano le carovane ed esigevano che tutto
fosse rovesciato per terra a scopo d’ispezione. Dopo di che prendevano quello che volevano, portando
via spesso le grasse bestie da soma e sostituendole con altre scadenti.
Non sorprende, perciò, che gli esattori di tasse giudei fossero disprezzati. Essendo essi al servizio di
una potenza straniera, Roma, e a stretto contatto con i Gentili “impuri”, la loro presenza era causa
d’irritazione. Gli altri Giudei evitavano in genere di frequentarli volontariamente. (Matt. 18:17) Gli esattori
di tasse erano classificati con persone note per i loro peccati, incluse le meretrici. (Matt. 9:11; 11:19;
21:32; Mar. 2:15; Luca 5:30; 7:34) Fra i Giudei non si considerava peccato ingannare un esattore di
tasse. Il Talmud classificava gli esattori di tasse insieme agli assassini e al ladroni, e i loro guadagni
erano considerati frutto di inganno e violenza, e non erano ritenuti adatti neppure per essere accettati
come carità.
COME GESÙ CONSIDERÒ IL PAGAMENTO DELLE TASSE
Quindi, il pagamento delle tasse era un soggetto che dava luogo ad accesi e amari sentimenti. Sapendo
ciò, i nemici di Gesù cercarono di prenderlo in trappola in relazione al pagamento delle tasse. In
un’occasione certi seguaci del partito di Erode e alcuni discepoli dei Farisei chiesero a Gesù: “È lecito
pagare il tributo a Cesare o no?” — Matt. 22:17.
Poiché il “tributo” era riscosso dai funzionari imperiali, se Gesù avesse dato una risposta negativa
sarebbe stata sedizione contro Roma. D’altronde, i Giudei in genere si irritavano di dover ammettere che
erano sottomessi a Roma pagando questa tassa. Se avesse dato una risposta positiva Gesù sarebbe
stato pertanto guardato con disfavore dai Giudei in genere. Discernendo il motivo degli interroganti, Gesù
disse loro: “Perché mi mettete alla prova, ipocriti? Mostratemi la moneta del tributo”. Il racconto continua:
“Essi gli portarono un denaro. Ed egli disse loro: ‘Di chi è questa immagine e questa iscrizione?’ Dissero:
‘Di Cesare’. Quindi disse loro: ‘Rendete dunque a Cesare le cose di Cesare, ma a Dio le cose di Dio’”. —
Matt. 22:18-21.
Pertanto Gesù dichiarò un principio che i suoi ascoltatori dovevano applicare a sé. Se decidevano di
riconoscere che il denaro apparteneva a “Cesare” perché esso lo emetteva e gli attribuiva un particolare
valore, potevano capire che era corretto pagare le tasse. Inoltre, sapevano che lo stato romano forniva
numerosi servizi ai popoli soggetti. Si dovevano pagare le tasse in cambio di questi utili servizi.
ATTEGGIAMENTO DI GESÙ VERSO GLI ESATTORI DI TASSE
Naturalmente, Gesù Cristo non scusò la corruzione prevalente fra gli esattori di tasse. Ma fu sempre
pronto ad aiutarli spiritualmente. Per questa ragione i suoi nemici lo definirono “amico di esattori di tasse
e peccatori”. — Matt. 11:19.
Ciò nondimeno, nessun esattore di tasse divenne un vero “amico” di Gesù fin quando non cambiò la sua
condotta. Pertanto, in una delle sue illustrazioni, Gesù mostrò che l’esattore di tasse il quale riconobbe
umilmente d’essere un peccatore e si pentì era più giusto del Fariseo che superbamente si considerava
giusto. (Luca 18:9-14) Fra tali pentiti esattori di tasse vi furono Matteo e Zaccheo, che ebbero entrambi la
prospettiva di divenire membri del regno dei cieli. — Si paragoni Matteo 21:31, 32.
L’atteggiamento di Gesù verso gli esattori di tasse dovrebbe essere fonte di incoraggiamento per tutti
quelli che ritengono che la loro linea di condotta sia stata spregevole agli occhi di Geova Dio. Possono
avere la certezza che, dopo essersi pentiti e avere messo la loro vita in armonia con le esigenze divine
esposte nella Bibbia, otterranno il perdono di Dio e una coscienza pura. Il fatto che uomini come il ricco
esattore di tasse Zaccheo cambiarono le loro vie illustra che quelli che lo desiderano possono seguire
una condotta simile. — Isa. 55:7.

Mattia --- Tema: Dio richiede che i sorveglianti siano uomini spirituali 1°CORINTI 2:14-16

it-2 238
MATTIA
[prob., forma abbreviata di Mattitia, “dono di Geova”].
Discepolo scelto a sorte come apostolo per sostituire Giuda Iscariota. Dopo l’ascensione di Gesù al cielo,
Pietro, osservando che il salmista Davide non solo aveva predetto il tradimento di Giuda (Sl 41:9) ma
aveva anche scritto (Sl 109:8): “Prenda qualcun altro il suo incarico di sorveglianza”, propose ai circa 120
discepoli radunati di riassegnare l’incarico vacante. Furono suggeriti i nomi di Giuseppe Barsabba e di
Mattia; dopo una preghiera, si tirò a sorte e venne scelto Mattia. Questo è l’ultimo caso riportato dalla
Bibbia in cui si ricorse alla sorte per determinare la scelta di Geova su una determinata questione, e
questo solo pochi giorni prima che fosse versato lo spirito santo. — At 1:15-26.
Secondo le parole di Pietro (At 1:21, 22), Mattia era stato seguace di Cristo Gesù per tutti i tre anni e
mezzo del suo ministero, era intimo compagno degli apostoli, e molto probabilmente era uno dei 70
discepoli o evangelizzatori inviati da Gesù a predicare. (Lu 10:1) Dopo essere stato scelto, Mattia “fu
annoverato con gli undici apostoli” dalla congregazione (At 1:26), e quando in Atti immediatamente dopo
si parla degli “apostoli” o dei “dodici”, era incluso Mattia. — At 2:37, 43; 4:33, 36; 5:12, 29; 6:2, 6; 8:1, 14;
9:27; vedi PAOLO.

w90 1/6 11 Geova è il nostro Governante!


Geova fa una scelta
6 Ben presto gli apostoli erano di nuovo a Gerusalemme. (1:12-26) In una camera superiore (forse in
casa di Maria, madre di Marco), gli undici apostoli leali perseveravano nella preghiera insieme ai
fratellastri di Gesù, agli altri suoi discepoli e a sua madre Maria. (Marco 6:3; Giacomo 1:1) Ma chi
avrebbe ricevuto l’“incarico di sorveglianza” di Giuda? (Salmo 109:8) Alla presenza di circa centoventi
discepoli Dio scelse un uomo per rimpiazzare Giuda, che aveva tradito Gesù, riportando a dodici il
numero degli apostoli. La scelta doveva cadere su qualcuno che era stato un discepolo durante il
ministero di Gesù e un testimone della sua risurrezione. Naturalmente, egli doveva anche riconoscere
Geova come suo Governante. Dopo una preghiera, furono gettate le sorti su Mattia e Giuseppe
Barsabba. Dio fece sì che la scelta cadesse su Mattia. — Proverbi 16:33.

Mefibòset (n.2) --- Tema: L’amorevole benignità contraddistingue i veri servitori di Dio SALMO 23:6

it-2 246-7 Mefiboset


2. Figlio di Gionatan e nipote del re Saul. Quando da Izreel giunse la notizia della morte di Saul e di
Gionatan, la balia di Mefiboset prese in braccio il bambino, che allora aveva cinque anni, e si diede alla
fuga in preda al panico. In quell’occasione egli “cadde e divenne zoppo” da entrambi i piedi. (2Sa 4:4) Poi
per alcuni anni Mefiboset visse a Lo-Debar in casa di Machir figlio di Ammiel. Davide venne informato di
questo da Ziba, ex servitore nella casa di Saul. Ricordando senza dubbio il suo patto con Gionatan (1Sa
20:12-17, 42), Davide desiderava mostrare amorevole benignità a chiunque fosse ‘rimasto della casa di
Saul’. Mefiboset fu portato davanti a Davide e quando il re spiegò che era suo desiderio mostrargli
amorevole benignità restituendogli “tutto il campo di Saul” e facendogli ‘mangiare pane alla sua tavola di
continuo’, Mefiboset rispose umilmente: “Che cos’è il tuo servitore, che tu rivolga la faccia al cane morto
quale io sono?” Comunque, secondo la decisione di Davide, Ziba (che aveva 15 figli e 20 servitori) e tutti
quelli che dimoravano in casa sua diventarono servitori di Mefiboset, a cui fu restituita la proprietà di Saul.
Egli in seguito si stabilì a Gerusalemme dove “mangiava di continuo alla tavola del re”. — 2Sa 9.
Quando Davide fuggì da Gerusalemme a motivo della cospirazione di Absalom, Ziba gli venne incontro
portandogli delle provviste. In risposta a Davide che chiedeva dove fosse Mefiboset, Ziba disse: “Dimora
a Gerusalemme; poiché disse: ‘Oggi la casa d’Israele mi ridarà il governo reale di mio padre’”. Al che il re
disse a Ziba: “Ecco, ogni cosa che appartiene a Mefiboset è tua”. (2Sa 16:1-4) Quando il re Davide tornò
a Gerusalemme, Mefiboset gli andò incontro. Secondo la narrazione Mefiboset “non aveva avuto cura dei
propri piedi né aveva avuto cura dei baffi né si era lavate le vesti dal giorno che il re era andato via fino al
giorno che era venuto in pace”. Davide gli chiese perché non era andato con lui, e Mefiboset spiegò che il
suo servitore l’aveva ingannato e aggiunse: “Egli calunniò dunque il tuo servitore presso il mio signore il
re. Ma il mio signore il re è come un angelo del vero Dio” (vale a dire, avrebbe visto la cosa nella sua vera
luce). Davide evidentemente riconobbe l’innocenza di Mefiboset e modificò il precedente decreto
dicendo: “Tu e Ziba dovete condividere il campo”. A ciò Mefiboset rispose: “Prenda pure tutto, ora che il
mio signore il re è venuto in pace alla sua casa”. — 2Sa 19:24-30; cfr. Pr 18:17; 25:8-10.
Quando i gabaoniti chiesero che i discendenti del re Saul venissero messi a morte per espiare il male
che questi aveva fatto loro, Davide ebbe compassione di questo Mefiboset a motivo del giuramento di
Geova che c’era fra lui e Gionatan, e lo risparmiò. (2Sa 21:7, 8) Le Scritture non forniscono ulteriori
informazioni su di lui; comunque la famiglia di Saul continuò a esistere per altre generazioni tramite Mica
figlio di Mefiboset. (2Sa 9:12; 1Cr 9:39-44) Evidentemente Mefiboset era chiamato anche Merib-Baal,
come sembrano indicare 1 Cronache 8:34 e 9:40.

w80 1/4 29-31


Mefiboset, un uomo riconoscente
MEFIBOSET o Merib-Baal era figlio di Gionatan e nipote del re Saul. Ma l’appartenenza alla prima
famiglia reale di Israele non gli garantiva uno splendido futuro. Era nato dopo che suo nonno Saul aveva
perso il regno. Poi, quando Mefiboset aveva cinque anni, suo padre e suo nonno furono uccisi in
battaglia. Avutane notizia, la balia di Mefiboset fu presa dal panico e scappò, portandosi appresso il
bambino. Durante la fuga Mefiboset cadde, e rimase zoppo per il resto della sua vita, avendo perso l’uso
di entrambi i piedi. Circa sette anni più tardi, suo zio Is-Boset fu assassinato a sangue freddo. (II Sam.
4:4-8) Veramente Mefiboset fu colpito da molte disgrazie. Ma questo non lo amareggiò. Crescendo,
divenne un uomo d’indole riconoscente.
Mefiboset si sposò presto ed ebbe un figlio di nome Mica. Mefiboset e la famiglia andarono ad abitare
con Machir, uomo ricco e importante che risiedeva a Lo-Debar, una città di Galaad. — II Sam. 9:4, 12;
confronta II Samuele 17:27-29.
A suo tempo il re Davide rivolse favorevolmente la sua attenzione a questo figlio di Gionatan. Quando
Davide si fu assicurato fermamente il regno su tutto Israele per diversi anni, si diede da fare per
mantenere la promessa o il giuramento fatto al suo amico Gionatan. (I Sam. 20:42) Per amore di
Gionatan, Davide desiderava mostrare benignità a chiunque fosse restato della casa di Saul. Da Ziba,
servitore di Saul, Davide seppe di Mefiboset, il figlio di Gionatan, e senza indugio lo fece convocare.
Mefiboset si prostrò umilmente davanti a Davide. “Quindi Davide disse: ‘Mefiboset!’ al che egli disse:
‘Ecco il tuo servitore’”. Probabilmente la voce di Mefiboset tradiva un certo timore, perché Davide
immediatamente lo rassicurò: “Non aver timore, poiché senza fallo eserciterò amorevole benignità verso
di te per amore di Gionatan tuo padre; e ti devo ridare tutto il campo di Saul tuo nonno, e tu stesso
mangerai pane alla mia tavola di continuo”. — II Sam. 9:1-7.
Perché Mefiboset aveva timore? C’è da ricordare che suo zio Is-Boset aveva regnato come rivale di
Davide, e quindi si poteva pensare che Mefiboset avanzasse rivendicazioni sul regno. Dato che per i
governanti orientali era comune rendere sicura la propria posizione facendo uccidere tutti i possibili rivali,
Mefiboset forse temeva per la sua vita.
Mefiboset dovette essere davvero sorpreso dell’attenzione favorevole mostratagli dal re. Prima di tutto
c’era la questione della terra appartenuta a Saul. Può darsi che Davide, assunto il regno su tutto Israele,
fosse entrato in possesso di quel terreno. Oppure, dopo la morte di Saul, può darsi che altri se ne fossero
impossessati. Comunque Davide decise che la proprietà doveva essere restituita al legittimo erede,
Mefiboset. Ma non era tutto. Mefiboset avrebbe avuto un posto d’onore alla corte di Davide. Avrebbe
avuto il privilegio di mangiare regolarmente alla tavola del re. In genere questo privilegio veniva concesso
non a poveri storpi ma a uomini che si erano distinti per i loro atti di valore.
Profondamente grato, Mefiboset si prostrò davanti a Davide, dicendo: “Che cos’è il tuo servitore, che tu
hai volto la faccia al cane morto quale io sono?” (II Sam. 9:8) Era rimasto senza parole davanti alla
benignità di Davide. Mefiboset riteneva di esserne assolutamente indegno. Parlando di sé come di un
“cane morto” riconosceva di occupare la più umile delle posizioni.
Davide diede quindi disposizioni a Ziba perché coltivasse il campo che veniva restituito a Mefiboset. I
prodotti dovevano servire di sostentamento per la famiglia e i servitori di Mefiboset. L’appezzamento di
terreno doveva essere abbastanza vasto se richiedeva il lavoro di Ziba, dei suoi quindici figli e venti
servitori. — II Sam. 9:9, 10; 19:17.
Ziba eseguì gli ordini di Davide, ma evidentemente aspettava l’occasione per impossessarsi della
proprietà di Mefiboset. L’occasione gli si presentò durante la rivolta di Absalom, figlio di Davide. Mentre
Davide fuggiva da Gerusalemme, Ziba gli andò incontro portandogli i necessari rifornimenti. Rispondendo
a una domanda di Davide circa Mefiboset, Ziba ricorse alla calunnia e disse: “Ecco, dimora in
Gerusalemme; poiché disse: ‘Oggi la casa d’Israele mi ridarà il governo reale di mio padre’”. (II Sam.
16:3) Purtroppo Davide prese per buona la calunnia senza informarsi ulteriormente. Inseguito com’era dal
suo stesso figlio Absalom, evidentemente Davide era abbastanza confuso, tanto da credere che
Mefiboset era divenuto sleale. Allora Davide promise a Ziba di dargli la terra di Mefiboset.
Per tutto il tempo che Davide dovette stare lontano dalla capitale, Mefiboset trascurò il suo aspetto
personale in segno di dolore per la grave situazione in cui si trovava Davide. Quando la rivolta di
Absalom fu sedata, Mefiboset, nel suo evidente stato di cordoglio, incontrò Davide a Gerusalemme. Si
sentì chiedere: “Perché non venisti con me, Mefiboset?” (II Sam. 19:25) Tenendo conto di quel che aveva
detto Ziba, era naturale che Davide facesse questa domanda. Mefiboset rispose:
“Mio signore il re, fu il mio servitore a imbrogliarmi. Poiché il tuo servitore aveva detto: ‘Lascia che io mi
selli l’asina affinché monti su di essa e vada col re’, poiché il tuo servitore è zoppo. Egli calunniò dunque il
tuo servitore al mio signore il re. Ma il mio signore il re è [come] un angelo del vero Dio, e dunque fa ciò
che è bene ai tuoi occhi. Poiché tutta la casa di mio padre non sarebbe stata che condannata a morte
verso il mio signore il re, eppure tu ponesti il tuo servitore fra quelli che mangiavano alla tua tavola. Che
ho dunque più io quale giusta pretesa perfino di gridare ancora al re?” — II Sam. 19:26-28.
Sentendo questo, Davide dovette rendersi conto dell’errore commesso nel prendere per buone le parole
di Ziba, e questo fatto evidentemente lo irritò. Non volle più sapere nulla di quella questione e disse a
Mefiboset: “Perché continui ancora a pronunciare le tue parole? In effetti dico: Tu e Ziba dovreste
condividere il campo”. — II Sam. 19:29.
Mefiboset non si offese per il modo in cui Davide trattò la questione. Non si preoccupava della perdita
materiale. Per lui la cosa importante era che Davide fosse tornato sano e salvo a Gerusalemme. Quindi
Mefiboset disse: “[Ziba] prenda pure tutto ora che il mio signore il re è venuto in pace alla sua casa”. — II
Sam. 19:30.
Anche se avrebbe potuto provare risentimento per la sua sorte nella vita, Mefiboset apprezzava la vita in
sé. Date le circostanze dell’epoca, avrebbe potuto essere ucciso da Davide. Questo fatto lo rese
profondamente riconoscente del privilegio di poter mangiare alla tavola del re e si sottomise con umiltà e
lealtà alle decisioni del re Davide. Mefiboset è perciò un vero esempio di uomo che sapeva apprezzare
ciò che aveva e che non si lamentava per ciò che non aveva. Possa ognuno di noi avere lo stesso spirito
riconoscente di Mefiboset.
“Davvero, è un mezzo di grande guadagno, questa santa devozione con autosufficienza. Poiché non
abbiamo portato nulla nel mondo, e non ne possiamo portare fuori nulla. Quindi, avendo nutrimento e di
che coprirci, di queste cose saremo contenti”. — I Tim. 6:6-8.

Melchisedec –- Tema: Gesù Cristo, Sommo Sacerdote alla maniera di Melchisedec EBREI 6:20

it-2 249-51
MELCHISEDEC
(Melchìsedec) [re di giustizia].
Re dell’antica Salem e “sacerdote dell’Iddio Altissimo”, Geova. (Ge 14:18, 22) È il primo sacerdote
menzionato nelle Scritture e svolgeva questo incarico qualche tempo prima del 1933 a.E.V. Essendo re di
Salem, che significa “pace”, Melchisedec viene definito dall’apostolo Paolo “Re di pace” e, a motivo del
suo nome, “Re di giustizia”. (Eb 7:1, 2) Si pensa che l’antica Salem sia stata il nucleo della successiva
città di Gerusalemme, e il suo nome fu incorporato in quello di Gerusalemme, che a volte è chiamata
anche “Salem”. — Sl 76:2.
Dopo aver sconfitto Chedorlaomer e i re suoi alleati, il patriarca Abramo (Abraamo) giunse nel
Bassopiano di Save o “Bassopiano del Re”. Là Melchisedec “portò pane e vino” e benedisse Abraamo
dicendo: “Benedetto sia Abramo dall’Iddio Altissimo, che ha fatto il cielo e la terra; e benedetto sia l’Iddio
Altissimo, che ha consegnato i tuoi oppressori nella tua mano!” Allora Abraamo diede al re-sacerdote “un
decimo di ogni cosa”, cioè delle “spoglie principali” prese nel vittorioso combattimento contro i re alleati.
— Ge 14:17-20; Eb 7:4.
Tipo del sacerdozio di Cristo. In una notevole profezia messianica Geova giura al “Signore” di Davide:
“Tu sei sacerdote a tempo indefinito alla maniera di Melchisedec!” (Sl 110:1, 4) Questo salmo ispirato
diede agli ebrei ragione di aspettarsi che il promesso Messia sarebbe stato sia sacerdote che re.
L’apostolo Paolo, nella lettera agli Ebrei, elimina ogni dubbio circa l’identità di colui che era stato predetto,
parlando di “Gesù, che è divenuto sommo sacerdote alla maniera di Melchisedec per sempre”. — Eb
6:20; 5:10; vedi PATTO.
Nomina diretta. Melchisedec era stato evidentemente nominato sacerdote da Geova. Parlando della
posizione di Gesù, il grande Sommo Sacerdote, Paolo spiegò che un uomo non prende l’onore “da sé,
ma solo quando è chiamato da Dio, come lo fu anche Aaronne”. E aggiunse che “il Cristo non glorificò se
stesso divenendo sommo sacerdote, ma fu glorificato da colui che disse a suo riguardo: ‘Tu sei mio figlio;
io, oggi, ti ho generato’”, e quindi applicò a Gesù Cristo le parole profetiche di Salmo 110:4. — Eb 5:1, 4-
6.
‘Ricevette le decime da Levi’. Il sacerdozio di Melchisedec non aveva niente a che fare con il
sacerdozio di Israele e, come rilevano le Scritture, era superiore al sacerdozio aaronnico. Ciò è indicato
fra l’altro dalla deferenza di Abraamo — antenato dell’intera nazione d’Israele, inclusa la tribù sacerdotale
di Levi — verso Melchisedec. Abraamo, “amico di Geova”, diventò “il padre di tutti quelli che hanno fede”
(Gc 2:23; Ro 4:11), e diede un decimo, o la “decima”, a questo sacerdote dell’Iddio Altissimo. Paolo
spiega che i leviti riscuotevano le decime dai loro fratelli, anch’essi usciti dai lombi di Abraamo. Tuttavia
fa notare che Melchisedec pur non essendo “annoverato nella loro genealogia prese le decime da
Abraamo”, e “per mezzo di Abraamo anche Levi che riceve le decime ha pagato le decime, poiché era
ancora nei lombi del suo antenato quando Melchisedec lo incontrò”. Perciò, anche se i sacerdoti leviti
ricevevano le decime dal popolo d’Israele, essi, nella persona del loro antenato Abraamo, pagarono le
decime a Melchisedec. Inoltre la superiorità del sacerdozio di Melchisedec è dimostrata dal fatto che egli
benedisse Abraamo, e Paolo fa notare che “il minore è benedetto dal maggiore”. Questi sono alcuni
aspetti che rendono Melchisedec un appropriato tipo del grande Sommo Sacerdote, Gesù Cristo. — Eb
7:4-10.
Senza predecessori né successori. Paolo indica chiaramente che non si poteva raggiungere la
perfezione per mezzo del sacerdozio levitico, per cui era necessario l’intervento di un sacerdote “alla
maniera di Melchisedec”. Egli fa notare che Gesù Cristo era discendente di Giuda, tribù non sacerdotale,
ma, indicando l’analogia con Melchisedec, spiega che divenne sacerdote “non secondo la legge di un
comandamento che dipende dalla carne, ma secondo il potere di una vita indistruttibile”. Aaronne e i suoi
figli erano diventati sacerdoti senza giuramento, mentre il sacerdozio conferito a Cristo fu stabilito
mediante un giuramento di Geova. Inoltre, mentre i sacerdoti leviti morivano e dovevano avere
successori, il risuscitato Gesù Cristo, “siccome rimane vivente per sempre, ha il proprio sacerdozio senza
successori”, e perciò è in grado di “salvare completamente quelli che si accostano a Dio per mezzo suo,
perché è sempre vivente per intercedere a loro favore”. — Eb 7:11-25.
In che senso Melchisedec non ebbe “né principio di giorni né fine di vita”?
Riguardo a Melchisedec, Paolo mette in risalto un fatto degno di nota: “Essendo senza padre, senza
madre, senza genealogia, non avendo né principio di giorni né fine di vita, ma essendo stato reso simile
al Figlio di Dio, egli rimane sacerdote in perpetuo”. (Eb 7:3) Come gli altri esseri umani, Melchisedec
nacque e morì. Tuttavia non conosciamo il nome di suo padre e di sua madre, né la sua discendenza, né
la sua posterità, e le Scritture non forniscono alcuna informazione circa l’inizio dei suoi giorni o la fine
della sua vita. Perciò egli poté appropriatamente prefigurare Gesù Cristo, il cui sacerdozio non ha fine.
Come Melchisedec, che nel sacerdozio non ebbe nessun predecessore o successore conosciuto, così
anche Cristo non è stato preceduto da alcun sommo sacerdote simile a lui, e la Bibbia spiega che non
avrà successori. Inoltre, poiché per nascita Gesù apparteneva alla tribù di Giuda e alla discendenza
regale di Davide, i suoi antenati carnali non ebbero nulla a che fare con il suo sacerdozio, e non fu in virtù
di antenati umani che riunì in sé l’incarico sia di sacerdote che di re. Queste cose dipendevano dal
giuramento di Geova.
Un’idea presente nel Targum di Gerusalemme e in quello di Gionata, e che ha raccolto ampi consensi
fra gli ebrei e altri, è che Melchisedec fosse Sem figlio di Noè. Sem era ancora in vita e sopravvisse
anche a Sara moglie di Abraamo. Inoltre Noè benedisse Sem in modo particolare. (Ge 9:26, 27)
Comunque una simile identificazione non è stata confermata. Resta il fatto che la nazionalità, la
genealogia e la discendenza di Melchisedec non vengono rivelate nelle Scritture, e a ragione, poiché in
tal modo poteva essere un tipo di Gesù Cristo, che mediante il giuramento di Geova “è divenuto sommo
sacerdote alla maniera di Melchisedec per sempre”. — Eb 6:20.

w90 1/7 20-1 Si sta per scrivere l'ultimo capitolo del "libro delle Guerre di Geova"
Il più grande Melchisedec, un guerriero
12 Dopo che Abraamo sconfisse Chedorlaomer e i re suoi confederati, Melchisedec lo benedisse. Il re-
sacerdote Melchisedec raffigurava profeticamente Colui che sarebbe stato Sommo Sacerdote dell’Iddio
Altissimo e allo stesso tempo un potente guerriero che avrebbe avuto il sostegno dell’Iddio Supremo. Il
Salmo 110, composto sotto ispirazione dal re-guerriero Davide, si rivolge a Colui che è più grande di
Melchisedec di Salem quando dice: “La verga della tua forza Geova manderà da Sion, dicendo:
‘Sottoponi in mezzo ai tuoi nemici’. Geova ha giurato (e non si rammaricherà): ‘Tu sei sacerdote a tempo
indefinito alla maniera di Melchisedec!’ Geova stesso alla tua destra certamente farà a pezzi i re nel
giorno della sua ira”. — Salmo 110:2, 4, 5.
13 L’ispirato scrittore del libro di Ebrei rivelò l’identità di Colui al quale erano rivolte in realtà queste parole
dicendo: “Un precursore è entrato a nostro favore, Gesù, che è divenuto sommo sacerdote alla maniera
di Melchisedec per sempre”. (Ebrei 6:20) Nel successivo capitolo di Ebrei viene spiegata la grandezza
dell’antico Melchisedec. Tuttavia, Melchisedec prefigurava un Sacerdote ancora più grande: il risuscitato
e glorificato Gesù Cristo, che entrò alla santa presenza di Geova Dio stesso con il valore di un sacrificio
molto più grande di qualsiasi cosa il re-sacerdote Melchisedec di Salem abbia mai potuto offrire. — Ebrei
7:1–8:2.
14 Il re-sacerdote Melchisedec benedisse un guerriero, il vittorioso Abraamo. Ma che dire del più grande
Melchisedec, il Fondatore del vero cristianesimo? Il clero della cristianità pretende di rappresentare Gesù
Cristo quando benedice gli eserciti di nazioni cosiddette cristiane e prega per loro. Ma il Sommo
Sacerdote di Geova ha forse sostenuto dal cielo gli ecclesiastici della cristianità in queste azioni? Si è
forse assunto in questo modo la responsabilità di tutto il sangue che è stato versato durante la cosiddetta
era cristiana, compreso quello versato durante la prima e la seconda guerra mondiale? Assolutamente
no! Egli non ha mai autorizzato i suoi veri discepoli a far parte di questo mondo e a partecipare al suo
sanguinario militarismo.

w93 15/11 31 Domande dai lettori


Dato che Melchisedec, sacerdote dell’antichità, era realmente un uomo, perché la Bibbia dice che
era “senza genealogia”?
Questa affermazione si trova in Ebrei 7:3. Si noti il versetto nel suo contesto:
“Questo Melchisedec, re di Salem, sacerdote dell’Iddio Altissimo, che andò incontro ad Abraamo quando
tornava dalla strage dei re e lo benedisse e al quale Abraamo ripartì un decimo di ogni cosa, è prima di
tutto, per traduzione, ‘Re di giustizia’, ed è poi anche re di Salem, cioè ‘Re di pace’. Essendo senza
padre, senza madre, senza genealogia, non avendo né principio di giorni né fine di vita, ma essendo
stato reso simile al Figlio di Dio, egli rimane sacerdote in perpetuo”. — Ebrei 7:1-3.
Come si è detto, Melchisedec era veramente un uomo, proprio come lo era Abraamo, con cui ebbe
rapporti diretti. (Genesi 14:17-20; Ebrei 7:4-10) Stando così le cose, Melchisedec deve aver avuto dei
genitori, un padre e una madre, e forse anche dei figli. Pertanto come uomo aveva una genealogia, un
albero genealogico. La sua vita inoltre ebbe fine. Prima o poi Melchisedec morì, in armonia con quanto
dice l’apostolo Paolo in Romani 5:12, 14. Dal momento però che non sappiamo quando morì cessando
così di essere sacerdote, sotto questo aspetto Melchisedec prestò servizio senza che si sappia nulla
della sua fine.
In Ebrei, Paolo fece alcuni commenti su Melchisedec nel trattare il ruolo di Gesù Cristo come più alto
Sommo Sacerdote. Facendo riferimento a Melchisedec come tipo, o modello, di Gesù in questo ruolo
sacerdotale, Paolo disse: ‘Gesù è divenuto sommo sacerdote alla maniera di Melchisedec’. (Ebrei 6:20)
In che senso?
Evidentemente Paolo dovette rendersi conto che la Bibbia non fornisce particolari sulla discendenza di
Melchisedec, cioè sui suoi antenati o eventuali discendenti. Sono informazioni che semplicemente la
Bibbia non contiene. In base a ciò che Paolo conosceva, o che noi conosciamo, si poteva perciò
correttamente dire che Melchisedec era “senza genealogia”. La traduzione biblica Parola del Signore
rende così il versetto: “Nella Bibbia non si parla né di suo padre né di sua madre, né dei suoi antenati; né
della sua nascita né della sua morte”.
In che senso Gesù fu come lui? È vero che sappiamo che il Padre di Gesù era Geova Dio e che la sua
madre umana era Maria, della tribù di Giuda. Eppure c’è una somiglianza con Melchisedec. Quale? Gesù
non nacque dalla tribù di Levi, la tribù sacerdotale della nazione di Israele. No, Gesù non divenne
sacerdote a motivo di una genealogia umana. La stessa cosa poteva dirsi di Melchisedec, in quanto non
era divenuto sacerdote “secondo la legge di un comandamento che dipende dalla carne”, cioè non era
nato da una tribù o famiglia sacerdotale. (Ebrei 7:15, 16) Anziché diventare sacerdote grazie a un padre
umano che lo era stato prima di lui, Gesù fu “specificamente chiamato da Dio sommo sacerdote alla
maniera di Melchisedec”. — Ebrei 5:10.
Gesù inoltre non ebbe alcun discendente o successore nel sacerdozio. Anche in questo senso fu senza
genealogia. Egli continuerà in eterno a svolgere il suo servizio sacerdotale come insegnante
soccorrevole. A proposito di questo servizio perpetuo Paolo disse:
“[Gesù], siccome rimane vivente per sempre, ha il proprio sacerdozio senza successori. Di conseguenza
egli può anche salvare completamente quelli che si accostano a Dio per mezzo suo, perché è sempre
vivente per intercedere a loro favore”. — Ebrei 7:24, 25.
Questa trattazione delle parole di Paolo in Ebrei 7:3 non dovrebbe quindi essere solo archiviata nella
mente come una semplice informazione. Dovrebbe farci apprezzare di più l’amorevole provvedimento
preso da Geova Dio affinché otteniamo per sempre il perdono dei peccati e la maniera in cui ha disposto
che riceviamo aiuto e guida in perpetuo.

w89 1/2 16-17 Trarrete beneficio dai patti di Dio?


Il patto per un sacerdote celeste
6 Come abbiamo visto, nell’ambito del patto della Legge Dio pattuì con Davide che un suo discendente (o
seme) avrebbe regnato in maniera permanente su un reame terrestre. Ma Geova gli rivelò anche che
sarebbe venuto un sacerdote permanente. Davide scrisse: “Geova ha giurato (e non si rammaricherà):
‘Tu sei sacerdote a tempo indefinito alla maniera di Melchisedec!’” (Salmo 110:4) Cosa c’era dietro a
questo giuramento di Dio che equivaleva a un patto personale fra Geova e il futuro Sacerdote?
7 Melchisedec aveva regnato sull’antica Salem, che evidentemente sorgeva dove in seguito fu costruita la
città di Gerusalemme (nel cui nome figura anche “Salem”). Il racconto dei suoi rapporti con Abraamo
sottolinea che era un re che adorava “l’Iddio Altissimo”. (Genesi 14:17-20) Tuttavia, ciò che Dio disse in
Salmo 110:4 mostra che Melchisedec era anche un sacerdote, il che lo rendeva un personaggio unico.
Era sia re che sacerdote, e prestava servizio nel luogo in cui i re davidici e i sacerdoti levitici in seguito
avrebbero svolto le mansioni assegnate loro da Dio.
8 Paolo ci fornisce ulteriori dettagli riguardo a questo patto per un sacerdote simile a Melchisedec. Ad
esempio, dice che fu Gesù Cristo a essere “chiamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di
Melchisedec”. (Ebrei 5:4-10; 6:20; 7:17, 21, 22) Anche se ovviamente Melchisedec ebbe genitori umani,
non esiste nessuna registrazione della sua genealogia. Perciò, anziché ereditare il sacerdozio in base a
una linea di discendenza documentata che risale a Melchisedec, Gesù venne nominato sacerdote
direttamente da Dio. Il sacerdozio di Gesù non passerà a un successore, poiché “egli rimane sacerdote in
perpetuo”, visto che i benefìci del suo servizio sacerdotale saranno eterni. È una vera benedizione avere
un sacerdote che “può anche salvare completamente quelli che si accostano a Dio per mezzo suo”,
nonché istruire e guidare i fedeli eternamente. — Ebrei 7:1-3, 15-17, 23-25.
9 Un altro fatto significativo è che il ruolo di Gesù come Re-Sacerdote non si limita all’ambito terrestre.
Nello stesso contesto in cui menzionò questo patto per un sacerdote simile a Melchisedec, Davide
scrisse: “Espressione di Geova al mio Signore: ‘Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a
sgabello dei tuoi piedi’”. Da questo possiamo capire che Gesù, il Signore di Davide, doveva avere un
posto in cielo presso Geova, cosa che accadde alla sua ascensione. Dal cielo, Cristo può esercitare
l’autorità con suo Padre, per sottoporre i nemici ed eseguire giudizi. — Salmo 110:1, 2; Atti 2:33-36; Ebrei
1:3; 8:1; 12:2.
10 Di conseguenza, conoscendo questo quinto patto comprendiamo meglio la maniera ordinata e
sistematica in cui Geova adempirà il suo proposito. Esso dimostra che la parte principale del seme sarà
anche un sacerdote in cielo e che la sua autorità come Re-Sacerdote sarà estesa a tutto l’universo. — 1
Pietro 3:22.

Mesac --- Tema: Le ricompense del mantenere l’integrità da giovani GIOBBE 27:5 b

it-2 265-6
MESAC (Mèsac).
Nome babilonese che il capo dei funzionari di corte di Nabucodonosor diede a Misael, compagno di
Daniele. Il significato di questo nuovo nome è incerto, ma poteva contenere un riferimento ad Aku, dio
sumero.
Da giovane mantiene l’integrità. Nel 617 a.E.V. Mesac (Misael) fu portato prigioniero da Gerusalemme
a Babilonia insieme a Ioiachin e altri. Misael, Azaria, Hanania e Daniele furono sottoposti a un triennio di
addestramento dai reali babilonesi, al termine del quale si dimostrarono superiori anche ai consiglieri del
re. (2Re 24:1, 6, 8, 12-16; Da 1:1-7, 17-20) Per tutto questo tempo i quattro giovani rimasero saldi nella
loro devozione a Dio, rifiutando di contaminarsi persino con i cibi prelibati del re. — Da 1:8-16.
Ci sono tre probabili ragioni per cui ritenevano ‘contaminanti’ i cibi prelibati del re: (1) I babilonesi
mangiavano animali dichiarati impuri dalla Legge mosaica; (2) non si preoccupavano di assicurarsi che gli
animali fossero dovutamente dissanguati, e forse a volte questi venivano strangolati; (3) spesso i pagani
prima sacrificavano gli animali ai loro dèi, e il mangiarne la carne era considerato parte dell’adorazione
resa agli dèi. — Da 1:8; cfr. 1Co 10:18-20, 28.
In seguito, dopo che Daniele era stato promosso a un alto incarico governativo alla corte del re
Nabucodonosor, questi, su richiesta di Daniele, nominò Mesac, Sadrac e Abednego amministratori del
distretto giurisdizionale di Babilonia. — Da 2:48, 49.
Rifiuta di inchinarsi davanti all’immagine. Mesac e i suoi due compagni si fecero nuovamente notare
dal re Nabucodonosor perché rifiutarono, al cospetto di tutti gli altri funzionari governativi, di inchinarsi
davanti alla grande immagine che egli aveva eretto. Con piena fede in Geova dissero a Nabucodonosor
che non avrebbero servito i suoi dèi. Anche se il loro Dio non li avesse liberati dalla fornace, sarebbero
comunque rimasti fedeli a lui piuttosto che fare compromesso per essere liberati. (In Eb 11:34, 35 si fa
menzione di coloro che “resisterono alla forza del fuoco” e “non accettarono la liberazione mediante
qualche riscatto, per ottenere una risurrezione migliore”). Per la loro fede Geova li preservò mediante il
suo angelo. Infatti quando uscirono dalla fornace “su di loro non era venuto nemmeno l’odore del fuoco”.
Nabucodonosor, che si era adirato al punto di ordinare che la fornace venisse riscaldata sette volte più
del consueto prima che vi fossero gettati dentro i tre uomini, comandò allora che chiunque avesse detto
qualcosa di male contro il Dio di Mesac venisse smembrato e la sua casa trasformata in una latrina
pubblica. — Da 3:1-30.

w92 1/11 13-14 L'istruzione nei tempi biblici


Istruzione durante e dopo l’esilio
16 Circa dieci anni prima della distruzione di Gerusalemme, il re Ioiachin e un gruppo di principi e nobili
furono deportati a Babilonia dal re Nabucodonosor. (2 Re 24:15) Fra loro c’erano Daniele e altri tre
giovani nobili. (Daniele 1:3, 6) Nabucodonosor ordinò ai quattro di seguire uno speciale corso triennale di
addestramento ‘nella scrittura e nella lingua dei caldei’. Si doveva inoltre provvedere loro “una razione
giornaliera dai cibi prelibati del re e dal suo vino da bere”. (Daniele 1:4, 5) Questo costituiva un pericolo
potenziale per varie ragioni. Probabilmente il programma di istruzione non era solo un corso linguistico di
tre anni. Alcuni ritengono che in questo passo il termine “caldei” indichi “non i babilonesi come popolo, ma
la classe dotta”. (The Soncino Books of the Bible) Nel suo commentario a Daniele, C. F. Keil afferma:
“Daniele e i suoi compagni dovevano venire istruiti nella sapienza dei sacerdoti e dei dotti caldei,
insegnata nelle scuole di Babilonia”. Anche il cibo della tavola reale li esponeva al pericolo di violare le
norme dietetiche della Legge di Mosè. Cosa fecero dunque?
17 Parlando a nome di tutti e quattro i giovani nobili ebrei, Daniele mise subito in chiaro che non
avrebbero mangiato o bevuto nulla che andasse contro la loro coscienza. (Daniele 1:8, 11-13) Geova
benedisse la loro ferma presa di posizione e intenerì il cuore del funzionario babilonese addetto. (Daniele
1:9, 14-16) In quanto ai loro studi, avvenimenti successivi della vita di tutti e quattro i giovani ebrei
dimostrano al di là di ogni dubbio che il corso triennale obbligatorio di cultura babilonese non affievolì il
loro profondo attaccamento a Geova e alla pura adorazione. (Daniele, capitoli 3 e 6) Geova fece in modo
che uscissero indenni da quei tre anni di immersione forzata nell’istruzione superiore babilonese. “In
quanto a questi fanciulli, tutt’e quattro, il vero Dio diede loro conoscenza e perspicacia in ogni scrittura e
sapienza; e Daniele stesso aveva intendimento di ogni sorta di visioni e di sogni. E riguardo a ogni cosa
di sapienza e di intendimento su cui il re li interrogò, li trovò perfino dieci volte migliori di tutti i sacerdoti
che praticavano la magia e gli evocatori che erano in tutto il suo reame”. — Daniele 1:17, 20.

w88 1/12 15-19


Geova ricompensa la fede e il coraggio
“Il nostro Dio che serviamo ci può liberare. Egli ci libererà dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano,
o re”. — DANIELE 3:17.
GEOVA DIO, il Sovrano universale, ha impartito a governanti mondiali importanti lezioni sulla sua
supremazia. Nell’articolo precedente abbiamo visto alcuni episodi riportati nei primi sei capitoli⇒ 1–6⇐ di
Daniele che dimostrano questo fatto. Questi stessi racconti possono ora essere riesaminati per vedere
cosa possiamo imparare da essi, in armonia con le ispirate parole dell’apostolo Paolo: “Tutte le cose che
furono scritte anteriormente furono scritte per nostra istruzione, affinché per mezzo della nostra
perseveranza e per mezzo del conforto delle Scritture avessimo speranza”. — Romani 15:4.
2 Fu nel 617 a.E.V., durante il breve regno di Ioiachin, figlio del re Ioiachim, che Nabucodonosor fece
deportare a Babilonia alcuni dei migliori e più saggi giovani ebrei. Fra loro c’erano Daniele, Hanania,
Misael e Azaria. — Daniele 1:3, 4, 6.
3 A giudicare dal significato dei loro nomi, è evidente che, nonostante le malvage condizioni prevalenti in
Giuda a quel tempo, quei quattro giovani ebrei avevano genitori timorati di Dio. “Daniele” significa “Il mio
giudice è Dio”. “Hanania” significa “Geova ha mostrato favore; Geova è stato benigno”. “Misael” forse
significa “Chi è simile a Dio?” o “Chi appartiene a Dio?” E “Azaria” significa “Geova ha aiutato”. Senza
dubbio i loro stessi nomi furono per loro un incentivo a essere fedeli al solo vero Dio. Invece di usare
questi nomi, i caldei chiamarono i quattro giovani ebrei Baltassar, Sadrac, Mesac e Abednego.
Ovviamente, essendo schiavi in un paese straniero, essi non avevano nessuna voce in capitolo per
quanto riguardava i nomi con cui erano chiamati da coloro che li avevano fatti prigionieri. — Daniele 1:7.
Fede e coraggio messi alla prova
4 Non solo i loro genitori timorati di Dio diedero ai quattro ebrei un buon inizio nella vita dando loro quei
nomi, ma dovettero anche allevarli nella stretta osservanza della Legge di Mosè, comprese le sue norme
dietetiche. Geova Dio stesso considerava queste ultime così importanti che dopo aver elencato molte
proibizioni di tale genere dichiarò: “Vi dovete mostrare santi, perché io sono santo”. — Levitico 11:44, 45.
5 L’ottima educazione ricevuta da questi quattro giovani ebrei fu presto messa alla prova. Perché?
Perché fu assegnata loro “una razione giornaliera dai cibi prelibati del re e dal suo vino da bere”. (Daniele
1:5) Essi sapevano che fra le cose vietate dalla Legge di Mosè c’era la carne di maiale, di coniglio, le
ostriche e le anguille. Anche quelle carni che la Legge consentiva di mangiare costituivano un problema
alla corte di Babilonia, perché non c’era modo di sapere se erano state debitamente dissanguate. Per di
più, tali carni potevano anche essere state contaminate da riti pagani. — Levitico 3:16, 17.
6 Cosa potevano fare i quattro ebrei? Leggiamo che Daniele, come avranno fatto senza dubbio anche gli
altri tre, determinò in cuor suo di non contaminarsi con tali cibi. Perciò “continuò a fare richiesta” di
semplici verdure al posto dei cibi prelibati del re, e di acqua invece del suo vino. Essi non tennero conto
di quali cibi avessero un sapore migliore. Ci vollero di sicuro fede e coraggio per insistere su questo
punto. Ebbene, dato che Geova si interessava di questi quattro giovani, fece in modo che il principale
funzionario di corte si mostrasse favorevolmente disposto verso Daniele. Tuttavia questo funzionario
esitava a concedere a Daniele gli alimenti richiesti, temendo che questa dieta potesse influire
negativamente sulla salute del giovane. Allora Daniele chiese che venisse permesso loro di provare
questa dieta per dieci giorni. Egli aveva forte fede che ubbidendo alla Legge di Dio non solo avrebbe
avuto la coscienza a posto, ma ne avrebbe anche tratto giovamento sotto l’aspetto della salute. Come
conseguenza della loro presa di posizione, i quattro ebrei dovettero senz’altro subire molti scherni. —
Daniele 1:8-14; Isaia 48:17, 18.
7 I quattro ebrei dovettero mostrare fede e coraggio per fare una questione della loro alimentazione. Ma
furono ricompensati, perché alla fine dei dieci giorni erano di aspetto migliore e più sani di tutti gli altri!
Geova stava dando loro conoscenza, perspicacia e sapienza, così che quando comparvero dinanzi al re
alla fine del loro addestramento triennale, egli li trovò “dieci volte migliori di tutti i sacerdoti che
praticavano la magia e gli evocatori che erano in tutto il suo reame”. — Daniele 1:20.
8 Tutti gli odierni servitori di Geova Dio possono trarre una lezione da questo. Quei giovani ebrei
avrebbero potuto pensare che le norme dietetiche della Legge mosaica non fossero poi così importanti,
almeno in paragone con i Dieci Comandamenti o con le leggi relative ai sacrifici o alle feste annuali.
Invece no: i leali ebrei desideravano vivere in armonia con tutti gli aspetti della Legge di Dio. Questo ci
ricorda il principio espresso da Gesù in Luca 16:10: “Chi è fedele nel minimo è anche fedele nel molto, e
chi è ingiusto nel minimo è anche ingiusto nel molto”. — Confronta Matteo 23:23.
9 Molte volte i testimoni di Geova mostrano fede e coraggio simili, ad esempio quando si tratta di
chiedere al datore di lavoro un permesso per assistere a un’assemblea di distretto. Molte volte viene fatta
un’eccezione per loro. Testimoni che desideravano intraprendere il servizio di pioniere o fare i pionieri
ausiliari hanno lottato per ottenere un lavoro a mezza giornata e spesso sono stati accontentati.
10 Che ottima lezione gli odierni genitori timorati di Dio possono imparare dall’addestramento che i quattro
giovani ebrei avevano evidentemente ricevuto! Quando i genitori cristiani hanno veramente a cuore gli
interessi spirituali dei loro figli, li metteranno al primo posto nella loro stessa vita, in armonia con Matteo
6:33. Allora potranno aspettarsi che i loro figli siano in grado di resistere alle tentazioni e alle pressioni
esercitate da compagni e insegnanti a scuola perché celebrino compleanni o festività, o violino in altri
modi i princìpi scritturali. Così facendo questi genitori timorati di Dio confermeranno la veracità di Proverbi
22:6.
Coraggio nell’interpretare i sogni di Nabucodonosor
11 Il secondo capitolo di Daniele ci fornisce un altro esempio di fede e di coraggio. Quando Daniele seppe
dell’editto del re che condannava a morte tutti i saggi di Babilonia perché non erano stati in grado di
narrargli il sogno e il suo significato, Daniele e i suoi tre compagni si fecero forse prendere dal panico?
Per nulla! Piuttosto, con assoluta fiducia che Geova gli avrebbe dato le informazioni desiderate dal re,
Daniele apparve dinanzi al monarca e gli chiese del tempo per dargli la risposta. La richiesta fu esaudita.
Allora Daniele e i suoi tre amici pregarono fervidamente al riguardo. Geova ricompensò la loro fede
dando loro le informazioni necessarie, dopo di che Daniele elevò a Geova una sentita preghiera di
ringraziamento. (Daniele 2:23) E interpretare il sogno del capitolo 4 ⇒di Daniele ⇐significò per Daniele
dover dire a Nabucodonosor che avrebbe trascorso sette anni vivendo come una bestia insieme agli
animali selvatici. Questo richiese fede e coraggio come quelli che i servitori di Dio devono mostrare oggi
per proclamare il vigoroso messaggio della vendetta divina contro il mondo di Satana.
“Resisterono alla forza del fuoco”
12 Il capitolo 3 di Daniele descrive uno dei più straordinari avvenimenti menzionati nella Bibbia,
mostrando come Geova ricompensò la fede e il coraggio manifestati da tre servitori ebrei. Immaginate la
scena. Tutti i dignitari di Babilonia sono radunati nella pianura di Dura. Davanti a loro si erge un’immagine
d’oro alta circa 27 metri e larga 2 metri e 70 centimetri. Per far leva sulle emozioni, il re ha voluto che
fosse presente un’orchestra. Al suono della musica, i convenuti devono ‘prostrarsi e adorare l’immagine
d’oro che Nabucodonosor il re ha eretto. E chiunque non si prostri e non adori sarà gettato nello stesso
momento nella fornace di fuoco ardente’. — Daniele 3:5, 6.
13 Non ci sono dubbi: rifiutarsi di ubbidire a quell’ordine richiedeva grande fede e coraggio. Ma l’essere
stati ‘fedeli nel minimo’ li aveva preparati ad essere ‘fedeli nel molto’. Il fatto che la loro presa di posizione
potesse mettere in pericolo altri ebrei non era la cosa determinante. Essi non si sarebbero prostrati e non
avrebbero adorato l’immagine. Il loro evidente rifiuto fu notato da alcuni dignitari invidiosi, i quali non
persero tempo ad informarne il re.
14 Con “ira e furore”, Nabucodonosor ordinò che i tre ebrei venissero condotti dinanzi a lui. La sua
domanda — “È realmente così?” — mostra che per lui era inconcepibile che si rifiutassero di prostrarsi e
di adorare l’immagine d’oro. Egli era disposto a dar loro un’altra possibilità, ma se avessero persistito nel
rifiuto sarebbero stati gettati nella fornace di fuoco ardente. “E chi è quel dio”, aggiunse l’altezzoso
monarca, “che vi può liberare dalle mie mani?” Con vero coraggio e fede in Geova, i tre ebrei risposero
rispettosamente al re: “A questo riguardo non abbiamo bisogno di risponderti parola. Se dev’essere, il
nostro Dio che serviamo ci può liberare. Egli ci libererà dalla fornace di fuoco ardente . . . , o re. Ma se no
ti sia noto, o re, che i tuoi dèi non sono quelli che noi serviamo, e certamente non adoreremo l’immagine
d’oro che hai eretto”. — Daniele 3:13-18.
15 Se prima Nabucodonosor era adirato, ora era furioso, perché leggiamo che “la medesima espressione
della sua faccia si cambiò verso” i tre ebrei. (Daniele 3:19) Un’indicazione del suo furore fu il comando di
riscaldare la fornace sette volte più del solito. Poi certi uomini robusti del suo esercito afferrarono i tre
ebrei e li gettarono nella fornace ardente. Le fiamme erano talmente alte che questi stessi uomini
rimasero uccisi.
16 Ma che sorpresa fu per il re vedere non tre ma quattro uomini camminare assolutamente indenni in
mezzo al fuoco! Quando il re chiamò i tre ebrei perché venissero fuori, si accorse che nemmeno un
capello della loro testa era stato bruciato e che le loro vesti non avevano nemmeno l’odore del fumo.
Geova aveva ricompensato la loro fede e il loro coraggio in maniera davvero meravigliosa! Senza dubbio
l’apostolo Paolo si riferiva a loro quando elencò fra il gran nuvolo di testimoni quelli che “resisterono alla
forza del fuoco”. (Ebrei 11:34) Che eccellente esempio essi sono stati per tutti i servitori di Geova da
allora in poi!
17 Oggi i servitori di Geova non devono affrontare la minaccia di una fornace ardente letterale. Ma
l’integrità di molti è stata messa seriamente alla prova in relazione al rendere omaggio idolatrico ai
simboli nazionali. L’integrità di altri è stata messa alla prova in relazione all’acquistare tessere di partito o
a prestare servizio militare. Geova ha sostenuto tutti questi, permettendo loro di superare la sfida e di
rimanere integri, dimostrando così che il Diavolo è un bugiardo e che Geova è il vero Dio.

Micaia (n.2) --- Tema: Predicate con coraggio 1°TESSALONICESI 2:2

it-2 275 Micaia


(Micaìa) [chi è simile a Geova?].
2. Figlio di Imla e profeta di Geova per il regno settentrionale d’Israele durante il regno di Acab. (1Re
22:8) Mentre Giosafat re di Giuda gli faceva visita, Acab re d’Israele lo invitò a unirsi a lui in una
campagna militare contro i siri per riconquistare Ramot-Galaad. Prima di accettare, Giosafat volle che si
ricercasse la parola di Geova. Acab convocò dunque 400 profeti e chiese loro: “Andrò in guerra contro
Ramot-Galaad, o mi tratterrò?” Essi risposero affermativamente, dicendo che Geova avrebbe dato la città
nella mano del re. Ma dato che Giosafat voleva qualche altra garanzia, Acab mandò controvoglia a
chiamare Micaia, il profeta che gli aveva sempre profetizzato il male. Il messaggero esortò Micaia a
pronunciare ad Acab parole simili a quelle degli altri profeti. Dapprima Micaia fece così, ma poi, siccome
Acab gli impose sotto giuramento di dire “la verità nel nome di Geova”, disse: “Certamente vedo tutti gli
israeliti dispersi sui monti, come pecore che non hanno pastore”. — 1Re 22:1-17; 2Cr 18:1-16.
Micaia riferì quindi una visione in cui Geova era seduto sul Suo trono celeste e chiedeva alle creature
spirituali radunate: “Chi ingannerà Acab, perché salga e cada a Ramot-Galaad?” Uno spirito si offrì di
andare e diventare “uno spirito ingannevole” nella bocca di tutti i profeti di Acab. Geova rispose: “Lo
ingannerai, e, per di più, vincerai. Esci e fa così”. Micaia allora disse ad Acab che Dio aveva messo uno
spirito ingannevole nella bocca di tutti i suoi profeti, “ma Geova stesso ha proferito riguardo a te la
calamità”. Al che il falso profeta Sedechia colpì Micaia sulla guancia chiedendogli con scherno:
“Esattamente per quale via lo spirito di Geova è da me passato per parlare con te?” Micaia rispose
intrepidamente: “Ecco, vedrai per quale via quel giorno in cui entrerai nella camera più interna per
nasconderti”. Quindi il re Acab ordinò che Micaia fosse messo nella casa di detenzione, dove avrebbe
ricevuto una razione ridotta di pane e acqua finché egli non fosse tornato in pace. Ma Acab non ritornò;
infatti durante il combattimento a Ramot-Galaad “ci fu un uomo che nella sua innocenza tese l’arco” e
colpì con una freccia il re d’Israele, che gradualmente morì. Le ultime parole di Micaia ad Acab erano
state: “Se in alcun modo tu tornerai in pace, Geova non ha parlato con me”. La morte del re fu la prova
che Micaia era effettivamente profeta di Geova. — 1Re 22:18-37;
2Cr 18:17-34.

w77 1/6 344-5 L'opera dello spirito versato dall'alto


DIFESA CONTRO LE “ESPRESSIONI ISPIRATE DA DEMONI”
11 Oggi il rimanente e la “grande folla” affrontano uniti il diabolico “dragone”, la “bestia selvaggia” dotata di
armi nucleari e il “falso profeta” politico. Rivelazione 12:17 spiega che il “dragone”, Satana il Diavolo, fa
guerra all’unto rimanente. Per far ciò si serve qui sulla terra della “bestia selvaggia” politica e del “falso
profeta” anglo-americano. Quindi le espressioni simili a rane ispirate dai demoni che escono dalla loro
bocca parlano di adorazione dello Stato, di sovranità nazionale, di materialismo, di pace e sicurezza
mondiale mediante le Nazioni Unite. Ciò nonostante, i Testimoni di Geova hanno fatto risuonare in tutto il
mondo la buona notizia del messianico regno di Dio. Questo messaggio del Regno è penetrato in oltre
duecento paesi e isole del mare. È ovvio che il gracidante dragone, la bestia selvaggia e il falso profeta
vorrebbero far tacere il messaggio del Regno. La religiosa Babilonia la Grande, specialmente la
cristianità, vorrebbe far questo, poiché la cristianità pretende di parlare essa sola per conto di Dio.
12 La situazione è simile a quella di Micaia, profeta di Geova, e dei falsi profeti di Acab, re d’Israele, verso
il 920 a.E.V. I falsi profeti avevano predetto la vittoria militare del re Acab. Ma Micaia gli aveva predetto la
calamità. Egli spiegò che, col permesso di Geova, Acab sarebbe stato ingannato a sua propria rovina da
un’ingannevole espressione ispirata nella bocca dei falsi profeti. Uno dei falsi profeti, di nome Sedechia,
fece obiezione. Per citare I Re 22:24, egli “ora si accostò e colpì Micaia sulla guancia e disse: ‘Davvero
per quale via lo spirito di Geova è da me passato per parlare con te?’” Ma Geova aveva veramente
parlato per mezzo di Micaia, poiché il re Acab non tornò vivo dalla guerra. — 1 Re 22:20-38.
13 Quell’avvenimento ha un parallelo moderno, specie dall’anno 1919, quando i vittoriosi alleati militari
della prima guerra mondiale adottarono la proposta di una Lega delle Nazioni per salvaguardare la pace
e la sicurezza mondiale. L’unto rimanente degli Israeliti spirituali è stato come il profeta Micaia. Spirito
santo era stato versato su di loro dall’alto, e, com’era predetto, l’effetto fu che profetizzarono, dichiarando
le profezie della Bibbia ispirata da Dio. (Gioe. 2:28, 29) Intrepidamente predissero secondo le profezie
bibliche che la Lega delle Nazioni avrebbe fallito. Inoltre, hanno annunciato un messaggio ammonitore
contro i re o i capi politici della cristianità, che corrispondono al re Acab dell’apostata Israele.
14 Il rimanente ha dichiarato che alla prossima “guerra del gran giorno dell’Iddio Onnipotente” ad Har-
Maghedon quei sedicenti capi “cristiani” saranno sconfitti e distrutti all’esecuzione del giudizio di Dio
contro di loro. Questo avverrà nonostante il fatto che il clero della cristianità, come Sedechia e la sua
schiera di falsi profeti, abbia benedetto i governi e le forze militari dei capi della cristianità. Il clero
pretende l’esclusivo diritto di parlare per conto di Dio e di avere il Suo spirito. Perciò sono irritati dal
calamitoso messaggio che l’unto rimanente ha proclamato riguardo ai capi politici e agli eserciti sui quali il
clero ha invocato la benedizione divina. Hanno cercato di sopprimere la predicazione compiuta dall’unto
rimanente, come se non fosse stata autorizzata da Dio e non fosse compiuta per mezzo dello spirito di
Geova. Hanno istigato la violenta persecuzione contro l’unto rimanente, proprio come la regina Izebel,
moglie di Acab, perseguitò Elia e gli altri cento profeti di Geova. — 1 Re 18:13.
15 Così, in effetti, il clero della cristianità ha colpito l’unto rimanente sulla faccia, dicendo: “Davvero per
quale via lo spirito di Geova è da me passato per parlare con te?” (1 Re 22:24) Fra non molto il clero
vedrà chiaramente se ha mai avuto lo spirito di Geova. Non vedrà mai la vittoria dei capi e degli eserciti
della cristianità. Infatti, non vivranno abbastanza per vedere la distruzione dei loro amici politici e militari
nella “guerra del gran giorno dell’Iddio Onnipotente”. Perché no? Perché prima che abbia inizio la guerra
di Har-Maghedon, quegli elementi politici ancora amichevoli, che oggi sono parte attiva
dell’organizzazione delle Nazioni Unite, odieranno il clero della cristianità e gli altri capi religiosi di
Babilonia la Grande e li annienteranno. — Riv. 16:14, 16; 17:3-18.
16 Ma che dire dell’unto rimanente, su cui Geova ha versato il suo spirito dall’alto? È sopravvissuto al
colpo inflittogli sulla guancia dal clero della cristianità. Vedrà avverarsi il messaggio che lo spirito di Dio
ha impartito dalla Bibbia. Sì, vedrà veramente la distruzione dei capi mondiali trascinati ad Har-Maghedon
dalla gracidante propaganda vomitata dal dragone, dalla bestia selvaggia e dal falso profeta.

Michea --- Tema: Il potere delle illustrazioni MATTEO 13:34, 35 MARCO 4:2a MARCO 4:33,34

it-2 276
MICHEA [forma abbreviata di Michele o di Micaia].
Scrittore del libro biblico che porta il suo nome e profeta di Geova all’epoca dei re di Giuda Iotam, Acaz
ed Ezechia (777-717 a.E.V.). Contemporaneo dei profeti Osea e Isaia. Non si conosce la durata esatta
della sua attività profetica. A quanto pare Michea smise di profetizzare alla fine del regno di Ezechia,
quando fu ultimata la stesura del suo libro profetico. — Mic 1:1; Os 1:1; Isa 1:1.
Michea era nativo del villaggio di Moreset, a SO di Gerusalemme. (Ger 26:18) Poiché abitava nella
fertile Sefela, il profeta conosceva bene la vita rurale, da cui fu ispirato a trarre notevoli illustrazioni. (Mic
2:12; 4:12, 13; 7:1, 4, 14) Michea profetizzò in tempi assai turbolenti, quando la falsa adorazione e la
corruzione morale prevalevano in Israele e in Giuda, e anche quando il re Ezechia diede corso alle
riforme religiose. (2Re 15:32–20:21; 2Cr 27–32) A ragione “la parola di Geova che fu rivolta a Michea”
avvertiva che Dio avrebbe fatto di Samaria “un mucchio di rovine del campo”, e prediceva inoltre: “Sion
sarà arata come un semplice campo, e Gerusalemme stessa diverrà semplici mucchi di rovine”. (Mic 1:1,
6; 3:12) Anche se la devastazione di Giuda e di Gerusalemme sarebbe avvenuta molti anni dopo, nel 607
a.E.V., probabilmente Michea era ancora in vita quando fu distrutta Samaria nel 740 a.E.V. — 2Re 25:1-
21; 17:5, 6.

w94 15/9 19-20 Prendete a modello i profeti di Dio


Avere zelo e continuare ad aspettare
16 Degno di nota per la sua pazienza fu Michea, che profetizzò nell’VIII secolo a.E.V. “In quanto a me”,
scrisse, “starò di vedetta per Geova. Sarò certamente in aspettazione dell’Iddio della mia salvezza. Il mio
Dio mi udrà”. (Michea 7:7) La fiducia di Michea era radicata nella sua forte fede. Come il profeta Isaia,
Michea sapeva che ciò che Geova si propone, immancabilmente fa. Anche noi lo sappiamo. (Isaia 55:11)
Continuiamo quindi ad aspettare l’adempimento delle promesse di Dio. E predichiamo la buona notizia
con zelo, anche laddove le persone mostrano scarso interesse per il messaggio del Regno. — Tito 2:14;
Giacomo 5:7-10.
Esercitare pazienza oggi
17 Alcuni profeti di Geova svolsero con pazienza e perseveranza i loro incarichi per anni, ma non videro
l’adempimento delle loro profezie. Eppure la loro paziente perseveranza, spesso accompagnata da
maltrattamenti, ci aiuta a capire che anche noi possiamo compiere il nostro ministero. Possiamo anche
trarre beneficio dall’esempio dei fedeli unti dei primi decenni del XX secolo. Benché le loro speranze
celesti non si fossero realizzate con la rapidità che pensavano, non lasciarono che la delusione per un
apparente ritardo soffocasse il loro zelo nel fare la volontà di Dio man mano che egli la rivelava loro.
18 Per anni molti di quei cristiani distribuirono regolarmente La Torre di Guardia e la sua compagna
Svegliatevi! (un tempo chiamata L’Età d’oro e poi Consolazione). Offrivano con zelo questi preziosi
periodici per le strade e nelle case in quelli che oggi chiamiamo itinerari delle riviste. Quando un’anziana
sorella terminò la sua vita terrena, la sua assenza fu presto notata dai passanti, abituati a vederla dare
testimonianza per la strada. Che testimonianza aveva dato nei suoi numerosi anni di fedele servizio,
come indicavano le espressioni di apprezzamento di coloro che avevano osservato il suo ministero
pubblico! Voi proclamatori del Regno offrite regolarmente La Torre di Guardia e Svegliatevi! a coloro che
incontrate nel ministero?
19 Considerate inoltre la pazienza e il fedele servizio dei fratelli che servono come membri del Corpo
Direttivo dei Testimoni di Geova. Diversi di loro hanno ormai passato l’ottantina e la novantina, ma sono
ancora proclamatori del Regno che assolvono con zelo i compiti loro assegnati. (Ebrei 13:7) E che dire di
altri fratelli d’età avanzata che hanno la speranza celeste e anche di alcuni appartenenti alle “altre
pecore” che stanno cominciando ad invecchiare? (Giovanni 10:16) Possono essere certi che Dio non è
ingiusto da dimenticare la loro opera e l’amore che mostrano per il suo nome. Insieme ai compagni di
fede più giovani, possano i testimoni di Geova d’età avanzata perseverare facendo quello che sono in
grado di compiere, esercitando fede e mostrando pazienza nel servizio di Dio. (Ebrei 6:10-12) A tempo
debito, o tramite la risurrezione come i profeti dell’antichità o sopravvivendo alla veniente “grande
tribolazione”, mieteranno la ricca ricompensa della vita eterna. — Matteo 24:21.
20 Che eccellente modello ci hanno lasciato i profeti di Dio! Sopportarono sofferenze, esercitarono
pazienza e manifestarono altre sante qualità: per questo ebbero il privilegio di parlare nel nome di Geova.
A noi, suoi odierni Testimoni, sia consentito di essere come loro e di mostrarci risoluti come il profeta
Abacuc, che dichiarò: “Certamente continuerò a stare al mio posto di guardia, e di sicuro mi manterrò sul
baluardo; e vigilerò, per vedere che cosa [Dio] proferirà mediante me”. (Abacuc 2:1) Mostriamo anche noi
la stessa determinazione, continuando a esercitare pazienza e a fare con gioia pubblica dichiarazione
dell’illustre nome del nostro grande Creatore, Geova! — Neemia 8:10; Romani 10:10.

Miriam (n.1) --- Tema: Guardatevi dal mormorare 1°CORINTI 10:10

it-2 292-3
MIRIAM (Mìriam) [forse, ribelle].
1. Figlia di Amram e di sua moglie Iochebed, entrambi della tribù di Levi; sorella di Mosè e di Aaronne.
(Nu 26:59; 1Cr 6:1-3) Anche se non è menzionata per nome, era senza dubbio la “sorella di lui” che stava
a vedere cosa sarebbe successo al piccolo Mosè deposto in un’arca di papiro fra i canneti del Nilo. (Eso
2:3, 4) Scoperto il piccino, la figlia del faraone “provò compassione” per lui e riconobbe che si trattava di
“uno dei piccoli degli ebrei”; allora Miriam chiese se doveva chiamare una donna ebrea per allattare il
bambino. Per ordine della figlia del faraone, “la fanciulla andò e chiamò la madre del piccolo”. Iochebed
ebbe l’incarico di occuparsi di Mosè finché non fosse cresciuto. — Eso 2:5-10.
Dirige il canto delle donne d’Israele. Molti anni dopo, avendo assistito al trionfo di Geova sulle forze
militari del faraone al Mar Rosso e udendo il cantico di Mosè e degli uomini d’Israele, “Miriam, la
profetessa”, guidò le donne d’Israele che suonavano gioiosamente il tamburello e danzavano. In risposta
al cantico diretto da Mosè, Miriam cantò: “Cantate a Geova, poiché si è altamente esaltato. Ha lanciato in
mare il cavallo e il suo cavaliere”. — Eso 15:1, 20, 21.
Protesta contro Mosè. Mentre gli israeliti erano nel deserto, Miriam e Aaronne cominciarono a parlare
contro Mosè a motivo della moglie cusita. L’importanza e la fama di cui godeva Mosè presso il popolo
potevano aver creato in Miriam e Aaronne il desiderio egoistico di avere più autorità, tanto che
continuavano a ripetere: “Forse Geova ha parlato solo mediante Mosè? Non ha parlato anche mediante
noi?” Ma Geova ascoltava e ordinò immediatamente a Mosè, Miriam e Aaronne di recarsi alla tenda di
adunanza. Là Dio ricordò ai mormoratori che Mosè loro fratello era Suo servitore, e che a lui Dio non
parlava indirettamente, ma “bocca a bocca”. Quindi Geova chiese a Miriam e ad Aaronne: “Perché,
dunque, non avete temuto di parlare contro il mio servitore, contro Mosè?” L’ira di Dio divampò contro di
loro e, mentre la nuvola sopra la tenda si allontanava, “Miriam era colpita da lebbra bianca come la neve”.
Aaronne implorò misericordia, Mosè intercedette per lei, e Geova permise a Miriam di tornare
all’accampamento dopo un’umiliante settimana di isolamento. — Nu 12:1-15.
Il fatto che solo Miriam sia stata colpita dalla lebbra può far pensare che in quell’occasione sia stata lei
l’istigatrice della condotta sbagliata. (Vedi AARONNE). Il suo peccato nel mormorare contro Mosè può
essere stato più grave di quello di Aaronne, trattandosi forse di gelosia nei confronti di un’altra donna
(dato che cominciarono a parlare contro Mosè a motivo della moglie cusita); da parte sua Aaronne
avrebbe preso le parti della sorella anziché quelle della cognata. Poiché era considerata una profetessa,
Miriam poteva aver avuto un ruolo di primo piano in Israele. Perciò forse temeva che la moglie di Mosè
potesse eclissare il suo prestigio. Ma indipendentemente da ciò, e benché fosse del tutto fuori luogo che
sia Miriam che Aaronne mormorassero contro Mosè, per Miriam fu particolarmente sbagliato farlo a
motivo del ruolo di sottomissione all’uomo assegnato da Dio alla donna. (1Co 11:3; 1Tm 2:11-14) La
condotta peccaminosa di Miriam fu in seguito usata come esempio ammonitore, e infatti alla fine della
peregrinazione nel deserto Mosè disse al popolo di seguire le istruzioni dei sacerdoti relative alla lebbra e
lo esortò a ricordare ciò che Geova aveva fatto a Miriam mentre uscivano dall’Egitto. — De 24:8, 9.
Miriam morì e fu sepolta a Cades, nel deserto di Zin, poco prima della morte di Aaronne. (Nu 20:1, 28)
Secoli dopo, per mezzo del profeta Michea, Geova ricordò il privilegio che Miriam aveva avuto insieme ai
suoi fratelli quando Israele era uscito dall’Egitto: “Poiché ti feci salire dal paese d’Egitto, e ti redensi dalla
casa degli schiavi; e mandavo davanti a te Mosè, Aaronne e Miriam”. — Mic 6:4.

w79 15/7 23-6


Perché non si deve mormorare?
“SEMBRA che alcuni non siano mai soddisfatti”. Quante volte avete udito queste parole? È vero che in
questi tempi difficili molti sono inclini a mormorare. Hanno dubbi e sospetti quasi su tutto. Ma il cristiano
fa bene a lasciar sviluppare in sé tale modo di pensare? Evidentemente l’apostolo Paolo pensava di no,
poiché scrivendo alla congregazione di Filippi disse: “Continuate a fare ogni cosa senza mormorii e
discussioni, affinché siate irriprovevoli e innocenti, figli di Dio senza macchia”. — Filip. 2:14, 15.
Queste parole di Paolo suscitano alcune domande. Quanto può diventare serio il mormorio? Può influire
sulla mia relazione con altri? Con la congregazione? Cosa pensa Geova di me se ho la tendenza a
mormorare? Cosa posso fare per evitare questo spirito?
ESEMPI DELL’ANTICHITÀ
Che mormorare sia una cosa grave si capisce da ciò che disse Paolo nella sua prima lettera ai compagni
di fede di Corinto. L’apostolo disse: “Né siate mormoratori, come alcuni d’essi [gli israeliti] mormorarono,
solo per perire ad opera del distruttore”. (1 Cor. 10:10) Considerate ad esempio l’occasione in cui Mosè
mandò 12 uomini, uno per ciascuna tribù d’Israele, a esplorare il paese che Geova aveva promesso loro
in eredità. Gli israeliti avevano lasciato da poco tempo l’Egitto e si trovavano nel deserto. Quando queste
12 spie tornarono nel campo israelita, solo due, Giosuè e Caleb, fecero un buon rapporto, esortando il
popolo ad agire con coraggio e a entrare nel paese. Le altre 10 fecero una descrizione scoraggiante.
Definirono la regione “un paese che consuma i suoi abitanti”, e dissero: “Tutto il popolo che abbiamo visto
in mezzo ad esso sono uomini di statura straordinaria”. — Num. 13:32.
A ciò gli israeliti privi di fede “mormoravano contro Mosè e Aaronne, e tutta l’assemblea diceva contro di
loro: ‘Fossimo morti nel paese d’Egitto, o fossimo morti in questo deserto! E perché Geova ci conduce in
quel paese per cadere di spada?’” Sì, mormoravano contro Geova! Per questo motivo tutti gli uomini dai
20 anni in su, a eccezione di Giosuè, Caleb e i leviti, perirono nel deserto. Non fu mai permesso loro di
entrare nella Terra Promessa. (Num. 14:2, 3, 26-30) Come pagarono cari i loro mormorii!
Questo illustra cosa può accadere a un’intera nazione che si lamenta. Altri esempi mostrano che è
altrettanto grave quando singole persone mormorano contro Geova. Considerate il caso di Miriam, sorella
di Mosè. Una volta, insieme a suo fratello Aaronne, mormorò, chiedendo: “Ha Geova parlato solo
mediante Mosè? Non ha parlato anche mediante noi?” È interessante che il racconto aggiunge: “E Geova
ascoltava”. (Num. 12:1, 2) Quale fu il risultato? Miriam, che evidentemente era stata la prima a
mormorare, fu umiliata da Dio. Come? Essendo colpita dalla lebbra e dovendo restare fuori del campo
per sette giorni finché fu purificata. — Num. 12:9-15.
DOVE PORTANO I MORMORII?
Possiamo imparare molto da questi esempi. Ma forse vi chiedete perché mormorare sia una cosa così
grave. Mormorare non vuol dire solo lamentarsi per qualcosa che non va. È un’espressione di
insoddisfazione o di malcontento e spesso si mormora perché si dà troppa importanza a sé stessi. Chi si
lamenta in questo modo attribuisce troppa importanza ai propri sentimenti o alla propria posizione,
richiamando l’attenzione su di sé anziché su Dio. Ciò causa dissenso tra i fratelli spirituali e, se non vi si
pone un freno, provoca divisioni nella congregazione. — 1 Cor. 1:10-13.
Questo avviene perché il mormoratore non tiene mai per sé le sue lamentele. Coinvolge invariabilmente
altri. Perché? Senz’altro perché spera che divengano anch’essi insoddisfatti e condividano i suoi
sentimenti.
È molto facile che questo accada. Supponete, ad esempio, che un cristiano cominci a lamentarsi con voi
di un certo anziano nominato nella congregazione. Critica il modo in cui l’anziano o sorvegliante svolge le
parti dal podio, o il modo in cui assolve certi compiti nella congregazione. Se ascoltate il lamentatore,
potete cominciare a ragionare come lui. Quindi, osservando l’anziano, potreste dire fra voi: ‘Ora che ci
penso, quello che il mio amico dice di questo anziano è vero. Non avevo mai visto la cosa sotto questo
aspetto’. Questo è proprio ciò che il mormoratore vuole che pensiate. Fino a quando il seme del
malcontento non era stato piantato nella vostra mente, le attività di quell’anziano non vi davano fastidio.
Ma ora vi danno fastidio. Alla fine nulla di quello che fa è giusto per voi! Così anche voi cominciate ad
avere uno spirito lamentatore. È ovvio che questo non si addice a una congregazione del popolo di
Geova.
Ma c’è un’altra cosa da considerare. Chi continua a mormorare sviluppa spesso altre caratteristiche
poco piacevoli, come quelle di calunniare e oltraggiare, che possono compromettere seriamente la
propria relazione con Geova. (1 Cor. 6:10) Quando gli israeliti mormorarono contro Mosè, come
considerò Dio la cosa? Geova chiese esplicitamente: “Fino a quando questa empia assemblea avrà
questo mormorio che fanno contro di me?” (Num. 14:27) Geova la considerava una lamentela sediziosa
contro la sua guida divina! Era una cosa seria!
Il discepolo Giuda scrisse in merito ad alcuni mormoratori che si erano infiltrati nella congregazione
cristiana. Questi ‘trascuravano la signoria e parlavano ingiuriosamente dei gloriosi’ o uomini responsabili
della congregazione. Certo questi mormoratori non avevano l’approvazione divina e il cristiano fedele
d’oggi evita saggiamente la loro malvagia condotta. — Giuda 8, 16.
LE LAMENTELE SONO SEMPRE INGIUSTIFICATE?
Chi desidera l’approvazione di Geova eviterà senz’altro di avere uno spirito critico e di esprimere
continuamente lamentele infondate. Ma vuol dire questo che tutte le lamentele siano ingiustificate,
deplorevoli e disapprovate da Dio?
No. Secondo le Scritture, “Geova disse: ‘Il grido di lamento circa Sodoma e Gomorra, sì, è alto, e il loro
peccato, sì, è molto grave’”. Dio non ignorò quel “grido di lamento”. Esaminò invece la cosa, dicendo: “Io
ho fermamente deciso di scendere a vedere se agiscono del tutto secondo il grido che me n’è giunto, e,
se no, lo potrò sapere”. (Gen. 18:20, 21) Geova scoprì che l’alto “grido di lamento” era giustificato, e
distrusse perciò le malvage città di Sodoma e Gomorra. — Gen. 19:24, 25.
Sì, a volte le lamentele sono legittime. Quindi gli anziani cristiani nominati non dovrebbero considerare
ingiustificate e deplorevoli tutte le lamentele. Gli apostoli di Gesù non la pensarono così. A Gerusalemme,
poco dopo la Pentecoste del 33 E.V., “sorse un mormorio da parte dei Giudei di lingua greca contro i
Giudei di lingua ebraica, perché le loro vedove erano trascurate nella distribuzione di ogni giorno”. Perciò,
“i dodici” esaminarono la faccenda e posero rimedio alla situazione nominando ‘sette uomini attestati’ su
quella “faccenda necessaria” della distribuzione del cibo. — Atti 6:1-6.
Oggi gli anziani devono rendersi conto che ingiustizie o altri torti possono dar luogo a qualche legittima
lagnanza. Farebbero male a pensare che tutto quello che fanno sia giusto e che nulla dovrebbe mai dare
adito a critiche. Proverbi 21:13 dice appropriatamente: “In quanto a chiunque chiude l’orecchio al grido di
lamento del misero, anche egli stesso chiamerà e non gli sarà risposto”.
Gli anziani nominati stessi devono evitar d’avere uno spirito lamentatore nei riguardi dei compagni di
fede. Anziché criticarli e non esser mai contenti di quello che fanno le sorelle e i fratelli cristiani, i
sorveglianti devono incoraggiare, edificare. (1 Cor. 8:1) Questo sarà molto utile per combattere qualsiasi
eventuale spirito di lamentela nella congregazione. — Confronta II Timoteo 4:22.
MOSTRATE AMORE IMITANDO CRISTO
È importante eliminare qualsiasi spirito di lamentela poiché tale atteggiamento può solo condurre alla
rovina. Anziché diventare mormoratori, quanto è meglio manifestare la qualità dell’amore! Chi mormora e
si lamenta non può nello stesso tempo ubbidire al comando di amare il prossimo. (Matt. 22:39) Chi
mormora fa male a se stesso e a colui contro il quale mormora. L’amore fa bene a tutti. (1 Cor. 8:1; 13:4-
8) Perché non seguire dunque la ‘legge regale dell’amore’? — Giac. 2:8.
Anziché ascoltare quelli che brontolano e si lamentano, facciamo bene a ricordare l’umile atteggiamento
di Cristo Gesù. “Benché esistesse nella forma di Dio, [Gesù] non la considerò una cosa da afferrare, cioè
che dovesse essere uguale a Dio”. Invece, “umiliò se stesso e divenne ubbidiente fino alla morte, sì, la
morte su un palo di tortura”. Che eccellente esempio da seguire! Non si ribellò al modo in cui si facevano
le cose! — Filip. 2:5-8.
Al contrario, Gesù manifestò profonda lealtà verso il Padre celeste. Mostrò anche grande
preoccupazione quando altri inciamparono. In un’occasione, Gesù disse ai discepoli: “È inevitabile che
vengano cause d’inciampo. Tuttavia, guai a colui mediante cui vengono! Sarebbe più vantaggioso per lui
se gli si appendesse al collo una macina da mulino e fosse gettato nel mare anziché far inciampare uno
di questi piccoli”. (Luca 17:1, 2) Potete immaginare Gesù che ha tale compassione per altri e nello stesso
tempo mormora?
Gesù fu grandemente ricompensato per la leale ubbidienza al Padre suo nonché per l’amorevole
interesse che mostrò ad altri. Con la risurrezione e ascensione al cielo, Cristo fu innalzato al di sopra di
qualsiasi altra creatura. (Filip. 2:9-11) Quando fu sulla terra poté capire le debolezze e i problemi
dell’uomo decaduto. Ora, nella sua posizione elevata, Gesù è in grado di “compatire le nostre debolezze”
e venire in nostro aiuto. (Ebr. 2:18; 4:15) Anche noi possiamo essere certi che riceveremo molte
benedizioni continuando a mostrare amorevole interesse per altri, non lamentandoci di loro.
Cosa dobbiamo dunque concludere? Che lo spirito critico e lamentatore causa insoddisfazione e
malcontento. Può portare anche a ribellarsi contro Dio. Volete che vi accada questo? O desiderate vivere
una vita piena e soddisfacente, sapendo di avere la benedizione e l’approvazione del celeste Creatore?
Certo desiderate il suo favore. Allora, “continuate a fare ogni cosa senza mormorii e discussioni, affinché
siate irriprovevoli e innocenti, figli di Dio senza macchia in mezzo a una generazione perversa e storta,
fra la quale risplendete come illuminatori nel mondo”. — Filip. 2:14, 15.

w80 1/5 29
Miriam, privilegiata in gioventù e nella vecchiaia
MIRIAM, la figlia del levita Amram e della sua moglie levita Iochebed, ebbe un ruolo importante nella
storia dell’antico Israele. Il modo in cui Geova Dio impiegò Miriam diede prova del suo interesse per la
nazione. Tramite il profeta Michea, l’Onnipotente dichiarò: “Ti trassi fuori del paese d’Egitto, e ti redensi
dalla casa degli schiavi; e mandavo dinanzi a te Mosè, Aaronne e Miriam”. — Mic. 6:4.
IN GIOVENTÙ
Sin da bambina Miriam ebbe il privilegio di partecipare allo svolgimento del proposito di Geova riguardo
a suo fratello Mosè. Il Faraone d’Egitto aveva decretato che ogni maschio nato fra gli ebrei doveva
essere gettato nel Nilo. Non temendo l’ordine del re, Iochebed tenne il bambino nascosto per tre mesi.
Ma quando non fu più in grado di tenerlo nascosto, fece un’arca di papiro e la impermeabilizzò con
bitume e pece. Mise poi l’arca, con dentro il piccino, fra i canneti lungo la sponda del Nilo. Dopo di che
Miriam rimase nei pressi per vedere cosa sarebbe successo. — Eso. 2:1-4; 6:20; Ebr. 11:23.
Quando la figlia di Faraone, accompagnata dalle sue servitrici, venne a bagnarsi nel fiume, vide l’arca e
chiese che le fosse portata. Alla vista del bimbo che piangeva fu mossa a compassione. Miriam agì con
prontezza. Rivolgendosi alla figlia di Faraone, chiese: “Andrò a chiamarti specialmente una nutrice fra le
donne ebree affinché ti allatti il piccino?” Grazie alle parole di Miriam quella nutrice poté essere la madre
stessa. Che gioia e gratitudine dovette provare Iochebed nel suo cuore! Così Mosè fu salvato dalla morte
e allevato onde divenisse colui per mezzo del quale gli israeliti furono condotti fuori dell’Egitto fino ai
confini della Terra promessa. Certo poche fanciulle hanno preso parte in modo così diretto come Miriam
all’attuazione della divina provvidenza. — Eso. 2:5-10.
NELLA VECCHIAIA
Ottant’anni dopo, gli israeliti lasciarono l’Egitto come popolo libero al comando di Mosè. Quando
Faraone e le sue forze militari si lanciarono all’inseguimento, Geova Dio compì uno spettacolare
miracolo, aprendo il Mar Rosso e permettendo che il Suo popolo l’attraversasse. Gli inseguitori egiziani
invece furono tutti distrutti, perché immediatamente il passaggio fu inondato dalle acque. Dall’altra parte
del mare, Miriam condusse le donne israelite nel canto e nella danza, glorificando Geova per averli
liberati. A quel tempo aveva circa 90 anni e serviva come profetessa in Israele. — Eso. 15:20, 21.
Tuttavia l’anno seguente la posizione privilegiata di Miriam le divenne causa d’inciampo. Cominciò a
parlare pubblicamente contro suo fratello Mosè e convinse Aaronne a unirsi a lei nelle lagnanze. Oggetto
della critica era la moglie cusita di Mosè, e questo fu preso quale spunto per sfidare il suo particolare
incarico. Il racconto biblico ci dice: “E dicevano: ‘Ha Geova parlato solo mediante Mosè? Non ha parlato
anche mediante noi?’” Queste domande insinuavano che Mosè mostrava poco riguardo per il fratello e la
sorella maggiori e si innalzava come unico portavoce di Dio. — Num. 12:1-3.
La lamentela non aveva assolutamente alcun fondamento, e l’Altissimo disse ad Aaronne e Miriam:
“Udite le mie parole, suvvia. Se ci fu un profeta dei vostri per Geova, mi facevo conoscere a lui in una
visione. Gli parlavo in un sogno. Non così il mio servitore Mosè! A lui è affidata tutta la mia casa. Gli parlo
a bocca a bocca, così mostrandogli, e non mediante enigmi; ed egli vede l’apparenza di Geova. Perché,
dunque, non avete temuto di parlare contro il mio servitore, contro Mosè?” (Num. 12:6-8) Sì, Mosè non
aveva usurpato una posizione superiore ad Aaronne o a qualsiasi altro membro della nazione d’Israele.
Era stato nominato direttamente da Geova. Ecco perché sia Aaronne che Miriam erano colpevoli di aver
parlato contro l’Altissimo.
Nel caso di Miriam, il suo mormorio fu forse suscitato dalla gelosia per la sua reputazione di profetessa.
Forse temeva che la cognata ricevesse maggiore preminenza nella nazione. Evidentemente l’orgoglio di
Miriam le fece perdere di vista la vera questione, l’importanza dell’umile sottomissione alle disposizioni di
Geova.
Per non aver mantenuto il posto assegnatole da Dio e per aver mosso ingiustificate critiche contro suo
fratello, Miriam fu colpita dalla lebbra. Che terribile segno del disfavore divino! Aaronne invocò
misericordia, e Mosè implorò ardentemente Geova a favore della sorella, dicendo: “O Dio, ti prego!
Sanala, ti prego!” Miriam fu sanata, ma dovette sottomettersi all’umiliazione di una quarantena di sette
giorni fuori del campo di Israele. (Num. 12:9-15) Comunque, nell’anno in cui gli israeliti entrarono in
Canaan, Miriam morì nel favore di Geova. — Num. 20:1.
Tutti i servitori dell’Altissimo possono trarre un’importante lezione dall’esperienza di Miriam. Anche se
una persona gode di molte benedizioni, di per sé questo non la rende immune da gravi errori. Abbiamo
veramente bisogno di lottare per mantenerci umili davanti al nostro Dio, non permettendo all’orgoglio di
dominarci. Teniamo sempre presenti le ispirate parole: “Dio si oppone ai superbi, ma dà immeritata
benignità agli umili”. — Giac. 4:6.
[Nota in calce]
Miriam non è menzionata per nome nel racconto, che parla semplicemente della “sorella di Mosè”.
Tuttavia, dato che non vi è alcuna indicazione che Mosè e Aaronne avessero altre sorelle, dobbiamo
ritenere che si tratti di Miriam. — Num. 26:59.

Mosè --- Tema: Apprezzate l’addestramento provveduto da Geova 1° TIMOTEO 4:8

it-2 340-6
MOSÈ [tratto fuori [cioè, salvato dall’acqua]].
“Uomo del vero Dio”, condottiero della nazione d’Israele, mediatore del patto della Legge, profeta,
giudice, comandante, storico e scrittore. (Esd 3:2) Mosè, figlio di Amram, nipote di Cheat e pronipote di
Levi, nacque in Egitto nel 1593 a.E.V. Sua madre Iochebed era sorella di Cheat. Mosè aveva tre anni
meno di suo fratello Aaronne. Miriam loro sorella aveva qualche anno di più. — Eso 6:16, 18, 20; 2:7.
Primi anni di vita in Egitto. Mosè, bambino “divinamente bello”, fu sottratto al genocidio decretato dal
faraone che aveva ordinato di uccidere ogni maschio ebreo appena nato. La madre, dopo averlo tenuto
nascosto per tre mesi, lo depose in un’arca di papiro fra le canne lungo la riva del Nilo, dove la figlia del
faraone lo trovò. Grazie alla saggezza della madre e della sorella, Mosè fu allattato e allevato dalla
propria madre al servizio della figlia del faraone, la quale lo adottò come figlio suo. Facendo parte della
famiglia del faraone, Mosè fu “istruito in tutta la sapienza degli egiziani” e diventò “potente in parole e in
opere”, poiché senza dubbio aveva notevoli doti fisiche e mentali. — Eso 2:1-10; At 7:20-22.
Nonostante la posizione privilegiata e le opportunità offerte a Mosè in Egitto, il suo cuore era con il
popolo di Dio reso schiavo. Infatti egli sperava di essere usato da Dio per liberarlo. All’età di quarant’anni,
mentre osservava i carichi che gli ebrei suoi fratelli portavano, vide un egiziano colpire un ebreo. Per
difendere l’israelita uccise l’egiziano e lo seppellì nella sabbia. A questo punto Mosè prese la decisione
più importante della sua vita: “Per fede Mosè, quando fu cresciuto, rifiutò di esser chiamato figlio della
figlia di Faraone, scegliendo di essere maltrattato col popolo di Dio piuttosto che avere il temporaneo
godimento del peccato”. In tal modo rinunciò all’onore e alla ricchezza che avrebbe potuto avere quale
componente della famiglia del potente faraone. — Eb 11:24, 25.
In realtà Mosè aveva pensato che fosse venuto il momento di intervenire per salvare gli ebrei. Ma essi
non apprezzarono i suoi sforzi e, quando il faraone seppe dell’uccisione dell’egiziano, Mosè fu costretto a
fuggire dall’Egitto. — Eso 2:11-15; At 7:23-29.
Quarant’anni in Madian. Dopo un lungo viaggio nel deserto, Mosè cercò rifugio in Madian. Là, presso un
pozzo, furono di nuovo evidenti il suo coraggio e la sua prontezza ad agire risolutamente per aiutare
quelli che subivano ingiustizie. Quando dei pastori scacciarono le sette figlie di Ietro e il loro gregge,
Mosè aiutò le donne e abbeverò per loro il gregge. Perciò fu invitato in casa di Ietro, fu assunto come
pastore del suo gregge e infine sposò una delle sue figlie, Zippora, che gli diede due figli, Ghersom ed
Eliezer. — Eso 2:16-22; 18:2-4.
Addestrato per il servizio futuro. Benché fosse proposito di Dio liberare gli ebrei per mano di Mosè,
non era ancora arrivato il momento da Lui stabilito; e Mosè non era ancora qualificato per essere
preposto al popolo di Dio. Doveva sottoporsi ad altri 40 anni di addestramento. Perché fosse idoneo per
guidare il popolo di Dio, in lui si dovevano sviluppare maggiormente le qualità di pazienza, mansuetudine,
umiltà, longanimità, mitezza, padronanza di sé, e la capacità di saper aspettare Geova. Doveva essere
addestrato e preparato a sopportare lo scoraggiamento, le delusioni e le difficoltà che avrebbe incontrato,
e a risolvere con amorevole benignità, calma e vigore i numerosi problemi che una grande nazione
avrebbe presentato. Mosè era molto colto, e la sua educazione quale componente della famiglia del
faraone gli aveva senza dubbio conferito dignità, fiducia ed equilibrio e aveva accentuato le sue doti di
organizzatore e comandante. Ma l’umile lavoro di pastore in Madian provvide l’addestramento necessario
a sviluppare ottime qualità ancora più importanti per svolgere il compito che lo attendeva. Similmente
Davide fu sottoposto a un rigoroso addestramento, anche dopo essere stato unto da Samuele, e Gesù
Cristo venne messo alla prova per essere perfezionato come Re e Sommo Sacerdote per sempre.
“[Cristo] imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì; e dopo essere stato reso perfetto divenne per tutti
quelli che gli ubbidiscono responsabile di salvezza eterna”. — Eb 5:8, 9.
Nominato liberatore. Verso la fine dei 40 anni trascorsi in Madian, Mosè stava pascolando il gregge di
Ietro presso il monte Horeb quando rimase sbalordito alla vista di un roveto in fiamme che non veniva
però consumato dal fuoco. Come si avvicinò per osservare questo grande fenomeno, l’angelo di Geova
parlò dalla fiamma, rivelando che era giunto il tempo stabilito da Dio per liberare Israele dalla schiavitù, e
dando a Mosè l’incarico di presentarsi nel memorabile nome di Dio, Geova. (Eso 3:1-15) Così Dio nominò
Mosè suo profeta e rappresentante, e ora Mosè poteva giustamente essere definito unto, o messia, o
“Cristo” come in Ebrei 11:26. Geova, per mezzo dell’angelo, provvide le credenziali che Mosè avrebbe
potuto presentare agli anziani d’Israele: come segno Mosè avrebbe compiuto tre miracoli. Questa è la
prima volta che le Scritture parlano di un essere umano che ricevette il potere di compiere miracoli. —
Eso 4:1-9.
Non viene squalificato per la sua riluttanza. Mosè comunque si mostrò restio ad accettare, adducendo
la scusa che era incapace di parlare correntemente. Era cambiato, era molto diverso dal Mosè che, di
propria iniziativa, si era offerto di liberare Israele 40 anni prima. Continuò a muovere obiezioni a Geova,
chiedendogli infine di dispensarlo dall’impresa. Anche se questo suscitò la Sua ira, Dio non rigettò Mosè
ma gli diede suo fratello Aaronne come portavoce. Così, essendo il rappresentante di Dio, Mosè diventò
come “Dio” per Aaronne, che parlava in vece sua. Durante i successivi incontri con gli anziani d’Israele e
con il faraone, sembra che Dio desse le istruzioni e i comandi a Mosè, e questi a sua volta li riferisse ad
Aaronne; quindi in effetti fu Aaronne a parlare davanti al faraone (un successore del faraone a cui Mosè
era sfuggito 40 anni prima). (Eso 2:23; 4:10-17) Successivamente Geova disse che Aaronne era “profeta”
di Mosè, nel senso che, come Mosè era profeta di Dio, guidato da Lui, così Aaronne doveva essere
guidato da Mosè. Inoltre a Mosè fu detto che veniva costituito “Dio per Faraone”, cioè gli era data
potenza e autorità divina sul faraone, e quindi non c’era nessun motivo di averne paura. — Eso 7:1, 2.
Dio riprese Mosè per la sua riluttanza ad assumere l’arduo compito di liberatore d’Israele, ma non gli
tolse l’incarico. Mosè non aveva esitato a motivo della vecchiaia, anche se aveva 80 anni. Quarant’anni
dopo, all’età di 120 anni, Mosè era ancora pieno di vigore e vitalità. (De 34:7) Durante i 40 anni trascorsi
in Madian aveva avuto molto tempo per meditare, e aveva capito l’errore che aveva fatto cercando di
liberare gli ebrei di propria iniziativa. Ora si rendeva conto della propria inadeguatezza. E, dopo tutto il
tempo trascorso lontano dagli affari pubblici, fu senza dubbio uno shock ricevere improvvisamente questo
incarico.
In seguito la Bibbia dice: “L’uomo Mosè era di gran lunga il più mansueto di tutti gli uomini che erano
sulla superficie del suolo”. (Nu 12:3) Essendo mansueto, riconobbe di non essere che un uomo, con
difetti e debolezze. Non si spinse avanti come invincibile condottiero d’Israele. Dimostrò non di avere
paura del faraone, ma di essere ben consapevole delle proprie limitazioni.
Davanti al faraone d’Egitto. Mosè e Aaronne erano ora figure chiave in una ‘battaglia degli dèi’. Per
mezzo dei sacerdoti che praticavano la magia, i cui capi a quanto pare si chiamavano Ianne e Iambre
(2Tm 3:8), il faraone fece appello alla potenza di tutti gli dèi d’Egitto per contrastare la potenza di Geova.
Il primo miracolo che Aaronne compì per ordine di Mosè davanti al faraone dimostrò la supremazia di
Geova sugli dèi d’Egitto; il faraone comunque diventò ancora più ostinato. (Eso 7:8-13) Poi, quando ci fu
la terza piaga, gli stessi sacerdoti furono costretti ad ammettere: “È il dito di Dio!” E furono colpiti così
gravemente dalla piaga dei foruncoli da non essere neanche in grado di comparire davanti al faraone per
opporsi a Mosè durante quella piaga. — Eso 8:16-19; 9:10-12.
Effetto delle piaghe. Mosè e Aaronne annunciarono ciascuna delle dieci piaghe. Le piaghe vennero
come annunciato, a riprova che Mosè era il rappresentante di Geova. Il nome di Geova era proclamato e
se ne parlava molto in Egitto, e questo ebbe sia un effetto positivo che un effetto negativo: positivo sugli
israeliti e su alcuni egiziani, negativo sul faraone e sui suoi consiglieri e sostenitori. (Eso 9:16; 11:10;
12:29-39) Gli egiziani non pensavano di essere incorsi nell’ira dei loro dèi: sapevano che Geova stava
giudicando i loro dèi. Dopo la nona piaga anche Mosè era diventato “molto grande nel paese d’Egitto, agli
occhi dei servitori di Faraone e agli occhi del popolo”. — Eso 11:3.
C’era stato un netto cambiamento anche negli uomini di Israele. In un primo momento essi avevano
accettato le credenziali di Mosè ma, visto che per ordine del faraone il loro lavoro era diventato più duro,
si erano lamentati contro Mosè al punto che questi, scoraggiato, si era rivolto a Geova. (Eso 4:29-31;
5:19-23) L’Altissimo allora l’aveva rafforzato rivelandogli che stava per adempiere quello che Abraamo,
Isacco e Giacobbe avevano atteso, cioè la piena rivelazione del significato del suo nome, Geova,
liberando Israele e facendone una grande nazione nel paese della promessa. (Eso 6:1-8) Neanche allora
gli uomini di Israele avevano dato ascolto a Mosè. Ma poi, dopo la nona piaga, furono tutti solidali con lui,
pronti a collaborare, così che, dopo la decima piaga, egli poté organizzarli e condurli via in modo
ordinato, “in formazione di battaglia”. — Eso 13:18.
Coraggio e fede per affrontare il faraone. Solo con la forza di Geova e grazie al suo spirito che
operava su di loro Mosè e Aaronne furono all’altezza del compito che li attendeva. Immaginate la corte
del faraone, il re dell’incontrastata potenza mondiale dell’epoca. Lo sfarzo era senza pari, e il superbo
faraone, ritenuto lui stesso un dio, era circondato da consiglieri, comandanti militari, guardie e schiavi. E
poi c’erano i capi religiosi, i sacerdoti che praticavano la magia, i principali oppositori di Mosè. Costoro,
dopo il faraone stesso, erano gli uomini più potenti del reame. Tutto questo solenne schieramento aveva
lo scopo di sostenere il faraone a difesa degli dèi d’Egitto. Inoltre Mosè e Aaronne si presentarono al
faraone non una ma molte volte, e ogni volta il cuore del faraone s’indurì, perché egli era deciso a tenere
in suo potere i preziosi schiavi ebrei. Infatti, dopo l’annuncio dell’ottava piaga, Mosè e Aaronne furono
scacciati dalla presenza del faraone, e dopo la nona piaga ricevettero l’ordine di non cercare più di
vedere la sua faccia pena la morte. — Eso 10:11, 28.
Ciò premesso, si capisce benissimo perché Mosè supplicasse ripetutamente Geova di rassicurarlo e
rafforzarlo. Ma va notato che non mancò mai di eseguire alla lettera quello che Geova aveva comandato.
Mosè non tralasciò una parola di ciò che Geova lo incaricò di dire al faraone, e, grazie alla sua guida, al
tempo della decima piaga “tutti i figli d’Israele fecero dunque proprio come Geova aveva comandato a
Mosè e ad Aaronne. Fecero proprio così”. (Eso 12:50) Mosè è additato ai cristiani quale esempio di
straordinaria fede. L’apostolo Paolo dice di lui: “Per fede lasciò l’Egitto, ma non temendo l’ira del re,
poiché rimase saldo come vedendo Colui che è invisibile”. — Eb 11:27.
Prima della decima piaga, Mosè ebbe il privilegio di istituire la Pasqua. (Eso 12:1-16) Presso il Mar
Rosso dovette affrontare nuove lamentele del popolo, che pensava di essere intrappolato e sul punto di
venire massacrato. Ma, sotto la potente mano di Geova, Mosè espresse la fede di un vero condottiero,
rassicurando Israele che Geova avrebbe annientato l’esercito egiziano inseguitore. In quel momento
critico evidentemente invocò a gran voce Geova Dio, che gli disse: “Perché continui a gridare a me?”
Quindi Dio gli comandò di alzare la verga, stendere la mano sul mare e dividere le acque. (Eso 14:10-18)
Secoli dopo l’apostolo Paolo disse a proposito del passaggio di Israele attraverso il Mar Rosso: “I nostri
antenati furono tutti sotto la nube e tutti passarono attraverso il mare e tutti furono battezzati in Mosè
mediante la nube e il mare”. (1Co 10:1, 2) Fu Geova a battezzarli. Per essere liberati dagli spietati
inseguitori, quegli antenati ebrei dovettero unirsi a Mosè loro capo e seguire la sua direttiva mentre egli li
guidava attraverso il mare. L’intera congregazione di Israele fu così in effetti immersa in Mosè, loro
liberatore e condottiero.
Mediatore del patto della Legge. Nel terzo mese dopo l’esodo dall’Egitto, Geova dimostrò di fronte a
tutto Israele la grandezza dell’autorità e della responsabilità che aveva affidato al suo servitore Mosè, e
l’intima posizione di cui egli godeva presso Dio. Davanti a tutto Israele, radunato ai piedi del monte
Horeb, Geova invitò Mosè a salire sul monte e, per mezzo di un angelo, gli parlò. In un’occasione Mosè
ebbe il privilegio di avere quella che probabilmente fu l’esperienza più straordinaria che qualsiasi uomo
abbia mai avuto prima della venuta di Gesù Cristo. Sul monte, Geova diede a Mosè, mentre era solo, una
visione della sua gloria, mettendo su di lui la sua “palma” per fargli schermo, consentendogli di vederlo “di
dietro”, evidentemente di vedere il riflesso di quella divina manifestazione di gloria. Poi, per così dire,
parlò personalmente a Mosè. — Eso 19:1-3; 33:18-23; 34:4-6.
Geova disse a Mosè: “Tu non puoi vedere la mia faccia, perché nessun uomo può vedermi e vivere”.
(Eso 33:20) E secoli dopo l’apostolo Giovanni scrisse: “Nessun uomo ha mai visto Dio”. (Gv 1:18) Il
martire cristiano Stefano disse agli ebrei: “[Mosè] è colui che fu tra la congregazione nel deserto, con
l’angelo che gli parlò sul monte Sinai”. (At 7:38) Sul monte, Geova era dunque rappresentato da un
angelo. Tuttavia la gloria di Geova manifestata dal suo rappresentante angelico era tale che la pelle del
volto di Mosè emetteva raggi e i figli d’Israele non potevano sostenerne la vista. — Eso 34:29-35; 2Co
3:7, 13.
Dio costituì Mosè mediatore del patto della Legge stipulato con Israele, posizione di grande fiducia che
nessun uomo ha mai avuto davanti a Dio, tranne Gesù Cristo, il Mediatore del nuovo patto. Mosè asperse
con il sangue dei sacrifici animali sia il libro del patto, che rappresentava un contraente, Geova, sia il
popolo (senza dubbio gli anziani che lo rappresentavano), l’altro contraente. Lesse il libro del patto al
popolo, che rispose: “Siamo disposti a fare tutto ciò che Geova ha proferito e a ubbidire”. (Eso 24:3-8; Eb
9:19) In qualità di mediatore Mosè ebbe il privilegio di sovrintendere all’erezione del tabernacolo e alla
fabbricazione dei suoi utensili, di cui Dio gli fornì il modello, e di insediare il sacerdozio, ungendo il
tabernacolo e il sommo sacerdote Aaronne con olio speciale. Quindi presiedette alle prime funzioni
ufficiali del sacerdozio appena consacrato. — Eso capp. 25–29; Le capp. 8, 9.
Mediatore idoneo. Mosè salì più volte sul monte Horeb, e in due occasioni vi rimase 40 giorni e 40 notti.
(Eso 24:18; 34:28) La prima volta ritornò con due tavolette di pietra, “scritte col dito di Dio”, che
contenevano le “Dieci Parole” o Dieci Comandamenti, le fondamentali leggi del patto della Legge. (Eso
31:18; De 4:13) In quella prima occasione Mosè dimostrò di essere idoneo quale mediatore fra Geova e
Israele e quale condottiero di quella grande nazione composta forse di tre milioni di persone o più. Mentre
Mosè era sul monte, Geova lo informò che il popolo si era volto all’idolatria, e disse: “Or dunque, lasciami
stare, affinché la mia ira divampi contro di loro e io li stermini, e lascia che io faccia di te una grande
nazione”. L’immediata risposta di Mosè rivelò che la santificazione del nome di Geova aveva per lui la
massima importanza, che era assolutamente altruista e che non andava in cerca di fama. Mosè non
chiese nulla per sé, ma piuttosto si preoccupava per il nome di Geova che Egli stesso aveva poco prima
esaltato col miracolo del Mar Rosso, e aveva a cuore la promessa che Dio aveva fatto ad Abraamo,
Isacco e Giacobbe. Geova, accogliendo la supplica di Mosè, risparmiò il popolo. Evidentemente Geova
riteneva che Mosè stesse assolvendo in modo soddisfacente il ruolo di mediatore, e rispettava la
disposizione che aveva preso affidandogli tale incarico. Infatti Geova “provava rammarico del male che
aveva proferito di fare al suo popolo”, cioè, a motivo delle mutate circostanze, decise di non fare loro del
male. — Eso 32:7-14.
Quando scese dal monte, Mosè manifestò il suo zelo per la vera adorazione schierandosi dalla parte di
Dio. Alla vista degli idolatri che gozzovigliavano gettò per terra le tavolette, spezzandole, e chiamò a sé
quelli che volevano stare dalla parte di Geova. La tribù di Levi si unì a Mosè ed egli comandò loro di
mettere a morte quelli che erano caduti nella falsa adorazione, con il risultato che furono uccisi circa
3.000 uomini. Poi tornò da Geova, riconoscendo il grave peccato del popolo, e lo supplicò: “Ma ora, se
perdoni il loro peccato . . . e se no, cancellami, ti prego, dal tuo libro che hai scritto”. L’intercessione
supplichevole di Mosè non dispiacque a Dio, che anzi rispose: “Chi ha peccato contro di me, quello
cancellerò dal mio libro”. — Eso 32:19-33.
In molte occasioni Mosè rappresentò la parte di Geova nel patto, prendendo la direttiva nella vera, pura
adorazione ed eseguendo il giudizio sui disubbidienti. Più di una volta si interpose affinché la nazione o i
singoli individui non fossero distrutti per mano di Geova. — Nu cap. 12; 14:11-21; 16:20-22, 43-50; 21:7;
De 9:18-20.
Altruismo, umiltà, mansuetudine. I principali interessi di Mosè erano il nome di Geova e il Suo popolo.
Perciò non cercava gloria o preminenza. Quando lo spirito di Geova scese su certi uomini
nell’accampamento ed essi cominciarono a comportarsi come profeti, Giosuè, aiutante di Mosè, voleva
trattenerli, evidentemente pensando che sminuissero la gloria e l’autorità di Mosè. Ma Mosè replicò:
“Provi gelosia per me? No, io vorrei che tutto il popolo di Geova fossero profeti, perché Geova porrebbe
su di loro il suo spirito!” — Nu 11:24-29.
Pur essendo il condottiero nominato da Geova della grande nazione d’Israele, Mosè era pronto ad
accettare consigli, specie quando potevano essere utili per la nazione. Poco dopo che gli israeliti avevano
lasciato l’Egitto, Ietro, accompagnato dalla moglie e dai figli di Mosè, gli fece visita. Osservò come fosse
duro il lavoro di Mosè che si consumava per risolvere i problemi di chiunque venisse da lui. Saggiamente
gli suggerì di delegare una certa autorità ad altri per alleggerire il proprio carico. Mosè accettò e seguì il
consiglio di Ietro: organizzò il popolo in gruppi di mille, di cento, di cinquanta e di dieci, costituendo un
capo o giudice per ciascun gruppo. Solo i casi difficili venivano sottoposti a Mosè. Va inoltre notato che
Mosè, spiegando a Ietro ciò che faceva, disse: “Allorché sorge fra loro una causa, essa deve venire a me
e io devo giudicare fra una parte e l’altra, e devo far conoscere le decisioni del vero Dio e le sue leggi”.
Così dimostrò di riconoscere che aveva il dovere di giudicare non secondo le proprie idee, ma secondo le
decisioni di Geova e, soprattutto, che aveva la responsabilità di aiutare il popolo a conoscere e a
rispettare le leggi di Dio. — Eso 18:5-7, 13-27.
Mosè ripetutamente indicò che il vero Condottiero era Geova e non lui. Quando il popolo cominciò a
lamentarsi per il cibo, Mosè disse: “I vostri mormorii non sono contro di noi [Mosè e Aaronne], ma contro
Geova”. (Eso 16:3, 6-8) Forse perché Miriam pensava che la sua importanza potesse essere eclissata
dalla presenza della moglie di Mosè, sia lei che Aaronne per gelosia e per mancanza di rispetto
cominciarono a parlare contro Mosè e contro la sua autorità. Il fatto che proprio a questo punto la Bibbia
dica che “l’uomo Mosè era di gran lunga il più mansueto di tutti gli uomini che erano sulla superficie del
suolo”, rende ancora più indegne le loro parole. A quanto pare Mosè esitò a imporsi, sopportando con
mansuetudine l’offesa. Ma Geova si indignò perché in realtà questo era un affronto fatto a Lui. Si occupò
lui stesso della cosa e punì severamente Miriam. L’amore per la sorella spinse Mosè a intercedere per
lei, gridando: “O Dio, ti prego! Sanala, ti prego!” — Nu 12:1-15.
Ubbidienza e sottomissione a Geova. Mosè serviva Geova. Anche se è chiamato legislatore d’Israele,
riconobbe che le leggi non avevano avuto origine da lui. Non agiva in modo arbitrario, decidendo in base
alla propria conoscenza. Nei casi giudiziari, quando non c’era un precedente o non riusciva a capire
esattamente come applicare la legge, presentava la cosa a Geova affinché emanasse un giudizio. (Le
24:10-16, 23; Nu 15:32-36; 27:1-11) Seguiva con cura le istruzioni. Nel complesso lavoro per costruire il
tabernacolo e fare i relativi utensili e gli abiti sacerdotali, Mosè esercitò scrupolosa sorveglianza. La
Bibbia dice: “E Mosè faceva secondo tutto ciò che Geova gli aveva comandato. Fece proprio così”. (Eso
40:16; cfr. Nu 17:11). Più volte troviamo ripetuto che ogni cosa veniva fatta “proprio come Geova aveva
comandato a Mosè”. (Eso 39:1, 5, 21, 29, 31, 42; 40:19, 21, 23, 25, 27, 29) Questo è un ottimo esempio
per i cristiani; infatti l’apostolo Paolo fa notare che queste cose erano “un’ombra” e una figura di cose
celesti. — Eb 8:5.
Mosè sbaglia. Mentre gli israeliti erano accampati a Cades, probabilmente nel 40° anno della loro
peregrinazione, Mosè commise un grave errore. Un esame dell’episodio dà risalto al fatto che Mosè non
solo aveva una posizione di grande prestigio, ma quale condottiero e mediatore per la nazione aveva
anche una grave responsabilità di fronte a Geova. A motivo della mancanza di acqua il popolo cominciò a
litigare aspramente con Mosè, incolpandolo di averli condotti fuori dell’Egitto in un deserto desolato.
Mosè, che aveva mostrato molta pazienza sopportando la caparbietà e l’insubordinazione degli israeliti,
condividendone le privazioni e intercedendo per loro quando peccavano, qui perse momentaneamente la
sua mansuetudine e mitezza. Esasperati e amareggiati, Mosè e Aaronne si posero davanti al popolo
come Geova aveva comandato. Ma invece di richiamare l’attenzione sul fatto che era Geova a
provvedere l’acqua, parlarono duramente al popolo e richiamarono l’attenzione su di sé. Infatti Mosè
disse: “Udite, ora, ribelli! Vi faremo uscire acqua da questa rupe?” Al che colpì la rupe e Geova fece
scaturire acqua sufficiente per la moltitudine e per i loro greggi. Dio comunque si dispiacque del
comportamento di Mosè e Aaronne, perché erano venuti meno alla loro principale responsabilità, quella
di magnificare il Suo nome. Avevano ‘agito indebitamente’ nei confronti di Geova, e Mosè aveva ‘parlato
aspramente con le sue labbra’. In seguito Geova decretò: “Poiché non avete mostrato fede in me per
santificarmi davanti agli occhi dei figli d’Israele, non introdurrete questa congregazione nel paese che
certamente darò loro”. — Nu 20:1-13; De 32:50-52; Sl 106:32, 33.
Scrittore. Mosè scrisse il Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e
Deuteronomio. In ogni epoca gli ebrei l’hanno riconosciuto come lo scrittore di questa parte della Bibbia
che chiamano la Torà o Legge. Gesù e gli scrittori cristiani attribuiscono spesso la Legge a Mosè.
Generalmente Mosè è ritenuto lo scrittore del libro di Giobbe e anche del Salmo 90 e forse del 91. — Mt
8:4; Lu 16:29; 24:27; Ro 10:5; 1Co 9:9; 2Co 3:15; Eb 10:28.
Morte e sepoltura. Aaronne, fratello di Mosè, morì all’età di 123 anni mentre Israele era accampato
presso il monte Hor, alla frontiera di Edom, nel quinto mese del 40° anno del loro viaggio. Mosè
accompagnò Aaronne sul monte, gli tolse gli abiti sacerdotali e con questi rivestì Eleazaro, il maggiore dei
figli di Aaronne rimasti in vita e suo successore. (Nu 20:22-29; 33:37-39) Circa sei mesi più tardi Israele
giunse nelle pianure di Moab. Là Mosè con una serie di discorsi spiegò la Legge alla nazione radunata,
soffermandosi sugli aggiustamenti che sarebbero stati necessari quando Israele sarebbe passato dalla
vita nomade dell’accampamento a una vita stabile nel proprio paese. Nel 12° mese del 40° anno (nella
primavera del 1473 a.E.V.), Mosè annunciò al popolo che, per volere di Geova, Giosuè avrebbe preso il
suo posto di condottiero. Giosuè ricevette quindi l’incarico e fu esortato a essere coraggioso. (De 31:1-3,
23) Infine, dopo aver pronunciato un cantico e aver benedetto il popolo, Mosè salì sul monte Nebo
secondo il comando di Geova; là poté ammirare il panorama della Terra Promessa e poi morì. — De
32:48-51; 34:1-6.
Mosè aveva 120 anni quando morì. La Bibbia attesta che era ancora forte, precisando: “Il suo occhio
non si era indebolito, e la sua forza vitale non l’aveva abbandonato”. Fu sepolto da Geova in un luogo
rimasto sconosciuto. (De 34:5-7) Questo probabilmente per impedire che gli israeliti cadessero nel laccio
della falsa adorazione venerando la sua tomba. Evidentemente il Diavolo desiderava servirsi del corpo di
Mosè per uno scopo del genere, poiché Giuda, discepolo cristiano e fratellastro di Gesù Cristo, scrisse:
“Quando l’arcangelo Michele ebbe una controversia col Diavolo e disputava intorno al corpo di Mosè, non
osò portare un giudizio contro di lui in termini ingiuriosi, ma disse: ‘Ti rimproveri Geova’”. (Gda 9) Prima di
entrare in Canaan sotto la guida di Giosuè, Israele osservò 30 giorni di lutto per Mosè. — De 34:8.
Profeta che Dio conobbe “faccia a faccia”. Quando Miriam e Aaronne misero in dubbio l’autorità di
Mosè, Geova disse loro: “Se ci fosse un vostro profeta per Geova, mi farei conoscere a lui in una visione.
Gli parlerei in un sogno. Non così il mio servitore Mosè! A lui è affidata tutta la mia casa. Gli parlo bocca a
bocca, così mostrandogli, e non mediante enigmi; ed egli vede l’apparenza di Geova. Perché, dunque,
non avete temuto di parlare contro il mio servitore, contro Mosè?” (Nu 12:6-8) Gli ultimi versetti del libro di
Deuteronomio descrivono la privilegiata posizione di cui Mosè godeva presso Geova: “Ma non è più sorto
in Israele un profeta come Mosè, che Geova conobbe faccia a faccia, in quanto a tutti i segni e i miracoli
che Geova lo mandò a fare nel paese d’Egitto a Faraone e a tutti i suoi servitori e a tutto il suo paese, e
riguardo a tutta la mano forte e a tutto il grande terrore che Mosè esercitò davanti agli occhi di tutto
Israele”. — De 34:10-12.
Secondo le parole di Geova, Mosè, anche se non vide mai letteralmente la persona stessa di Geova,
come si è già detto, ebbe con lui un rapporto più diretto, costante e intimo di qualsiasi profeta vissuto
prima di Gesù Cristo. Dicendo “gli parlo bocca a bocca”, Geova rivelò che Mosè comunicava
personalmente con lui (per mezzo di angeli, i quali hanno accesso alla presenza stessa di Dio; Mt 18:10).
(Nu 12:8) Quale mediatore di Israele, Mosè poteva sempre comunicare con Dio. In qualunque momento
poteva presentare a Dio problemi d’importanza nazionale e ricevere la sua risposta. Geova affidò a Mosè
‘tutta la sua casa’, servendosi di lui come suo stretto rappresentante nell’organizzare la nazione. (Nu
12:7; Eb 3:2, 5) I profeti successivi continuarono semplicemente a edificare sul fondamento posto per
mezzo di Mosè.
Il modo in cui Geova comunicava con Mosè produceva una tale impressione che era come se Mosè
avesse visto effettivamente Dio con i propri occhi, invece di avere una semplice visione mentale o un
sogno in cui udiva parlare Dio, modo questo in cui Dio comunicava normalmente con i suoi profeti. I
rapporti di Geova con Mosè erano così reali che Mosè reagiva come se avesse visto “Colui che è
invisibile”. (Eb 11:27) L’impressione fatta su Mosè dovette essere simile all’effetto che secoli più tardi la
visione della trasfigurazione ebbe su Pietro. Per Pietro la visione era così reale che cominciò a
immedesimarvisi, parlando ma senza rendersi conto di ciò che diceva. (Lu 9:28-36) E anche l’apostolo
Paolo ebbe una visione così reale che in seguito disse di sé: “Se nel corpo non lo so, o fuori del corpo
non lo so; Dio lo sa”. — 2Co 12:1-4.
Senza dubbio lo straordinario successo che Giosuè ebbe nell’introdurre Israele nella Terra Promessa
dipese, in certa misura, dalle ottime qualità inculcate in lui dall’insegnamento e dall’esempio di Mosè.
Giosuè era stato ministro di Mosè “dalla sua giovinezza”. (Nu 11:28) Evidentemente era stato
comandante dell’esercito sotto Mosè (Eso 17:9, 10) ed era stato vicino a Mosè come suo servitore in
molte occasioni. — Eso 24:13; 33:11; De 3:21.
Prefigurò Gesù Cristo. Gesù Cristo spiegò chiaramente che Mosè aveva scritto di lui; infatti in
un’occasione disse agli oppositori: “Se credeste a Mosè credereste a me, poiché egli ha scritto di me”.
(Gv 5:46) “Cominciando da Mosè e da tutti i Profeti”, Gesù, quando era con i discepoli, “interpretò loro le
cose che lo concernevano in tutte le Scritture”. — Lu 24:27, 44; vedi anche Gv 1:45.
Fra le cose che Mosè scrisse di Cristo Gesù ci sono queste parole di Geova: “Susciterò per loro di
mezzo ai loro fratelli un profeta come te; e in realtà metterò le mie parole nella sua bocca, ed egli
certamente pronuncerà loro tutto ciò che io gli comanderò”. (De 18:18, 19) Nel citare questa profezia
l’apostolo Pietro non lasciò dubbi che si riferisse a Gesù Cristo. — At 3:19-23.
Nella trasfigurazione, Pietro, Giacomo e Giovanni, che ebbero il privilegio di assistervi, videro Mosè ed
Elia parlare con Gesù. Per i tre apostoli Mosè rappresentava il patto della Legge, la disposizione
teocratica della congregazione, la liberazione della nazione e il suo sicuro trasferimento nella Terra
Promessa. Quindi la visione indicava che Gesù Cristo avrebbe compiuto un’opera simile a quella di
Mosè, ma più grande; inoltre la presenza di Elia nella visione mostrava che Gesù Cristo avrebbe
compiuto un’opera simile a quella di Elia, ma su scala maggiore. Quindi era chiaro che il Figlio di Dio era
davvero il ‘profeta più grande di Mosè’ e meritava il titolo di Messia. — Mt 17:1-3; vedi
TRASFIGURAZIONE.
Sotto molti aspetti ci fu una marcata corrispondenza fra questi due grandi profeti, Mosè e Gesù Cristo.
Entrambi nell’infanzia sfuggirono a una strage ordinata dai rispettivi sovrani del tempo. (Eso 1:22; 2:1-10;
Mt 2:13-18) Mosè fu chiamato dall’Egitto insieme al “primogenito” di Geova, la nazione d’Israele, di cui
era il condottiero. Gesù fu chiamato dall’Egitto quale Figlio primogenito di Dio. (Eso 4:22, 23; Os 11:1; Mt
2:15, 19-21) Entrambi digiunarono per 40 giorni in luoghi desertici. (Eso 34:28; Mt 4:1, 2) Entrambi
vennero nel nome di Geova, e il nome stesso di Gesù significa “Geova è salvezza”. (Eso 3:13-16; Mt
1:21; Gv 5:43) Gesù, come Mosè, ‘dichiarò il nome di Geova’. (De 32:3; Gv 17:6, 26) Entrambi erano di
una mansuetudine e di un’umiltà eccezionali. (Nu 12:3; Mt 11:28-30) Entrambi avevano le credenziali più
convincenti per dimostrare che erano stati mandati da Dio: straordinari miracoli di ogni genere, in cui
Gesù Cristo superò Mosè riportando in vita persone morte. — Eso 14:21-31; Sl 78:12-54; Mt 11:5; Mr
5:38-43; Lu 7:11-15, 18-23.
Mosè fu il mediatore del patto della Legge fra Dio e la nazione d’Israele. Gesù fu il Mediatore del nuovo
patto fra Dio e la “nazione santa”, lo spirituale “Israele di Dio”. (1Pt 2:9; Gal 6:16; Eso 19:3-9; Lu 22:20;
Eb 8:6; 9:15) Entrambi furono giudici, legislatori e condottieri. (Eso 18:13; 32:34; Da 9:25; Mal 4:4; Mt
23:10; Gv 5:22, 23; 13:34; 15:10) Mosè fu fedele economo della ‘casa di Dio’, cioè la nazione, o
congregazione, d’Israele. Gesù mostrò similmente fedeltà nel presiedere la casa di Dio che, in qualità di
Figlio di Dio, edificò, cioè la nazione, o congregazione, dell’Israele spirituale. (Nu 12:7; Eb 3:2-6) E anche
nella morte ci fu un parallelo: Dio eliminò sia il corpo di Mosè che quello di Gesù. — De 34:5, 6; At 2:31;
Gda 9.
Verso la fine dei 40 anni che Mosè trascorse nel deserto, mentre pascolava il gregge di suo suocero,
l’angelo di Dio gli si manifestò miracolosamente in un roveto ardente ai piedi del monte Horeb. Là Geova
lo incaricò di liberare il Suo popolo dall’Egitto. (Eso 3:1-15) Quindi Dio lo nominò Suo profeta e
rappresentante, per cui Mosè poté giustamente essere definito un unto, o “Cristo”. Per poter avere tale
privilegio Mosè aveva dovuto rinunciare ai “tesori d’Egitto” ed essere “maltrattato col popolo di Dio” e
quindi biasimato. Ma per Mosè “il biasimo del Cristo” era ricchezza maggiore di tutta la ricchezza d’Egitto.
— Eb 11:24-26.
Questo trova un parallelo in Gesù Cristo. Come aveva annunciato l’angelo alla sua nascita avvenuta a
Betleem, Gesù doveva diventare “un Salvatore, che è Cristo il Signore”. Diventò il Cristo o l’“Unto” dopo
che il profeta Giovanni l’ebbe battezzato nel Giordano. (Lu 2:10, 11; 3:21-23; 4:16-21) Successivamente
egli dichiarò di essere “il Cristo” o il Messia. (Mt 16:16, 17; Mr 14:61, 62; Gv 4:25, 26) Gesù Cristo non
perse mai di vista il premio e, come aveva fatto Mosè, disprezzò la vergogna che gli uomini gli
addossarono. (Flp 2:8, 9; Eb 12:2) La congregazione cristiana è battezzata in questo più grande Mosè, in
Gesù Cristo, il Profeta, Liberatore e Condottiero promesso. — 1Co 10:1, 2.

W 66 pag.729-33

w93 15/7 26 Abbiate tenera cura delle preziose pecore di Geova


Cosa imparò Mosè facendo il pastore
Mosè, dice la Bibbia, era “di gran lunga il più mansueto di tutti gli uomini che erano sulla superficie del
suolo”. (Numeri 12:3) La Bibbia però indica che non era sempre stato così. Da giovane Mosè aveva
ucciso un egiziano perché aveva colpito un altro israelita. (Esodo 2:11, 12) Non era certo un
comportamento da persona mite! Eppure Dio intendeva usare in seguito Mosè per guidare una nazione di
milioni di persone attraverso il deserto fino alla Terra Promessa. Chiaramente Mosè aveva bisogno di
ulteriore addestramento.
Quantunque avesse già ricevuto istruzione secolare “in tutta la sapienza degli egiziani”, Mosè aveva
bisogno di altre qualità per pascere il gregge di Geova. (Atti 7:22) Che forma avrebbe potuto assumere
questo ulteriore addestramento? Ebbene, Dio lasciò che Mosè svolgesse per 40 anni l’umile mestiere di
pastore nel paese di Madian. Mentre badava ai greggi di suo suocero Ietro, Mosè sviluppò ottime qualità
come pazienza, mansuetudine, umiltà, longanimità, mitezza di temperamento e padronanza di sé. Imparò
pure ad aspettare Geova. Sì, pascendo un gregge letterale Mosè divenne idoneo come efficace pastore
della nazione di Israele. — Esodo 2:15–3:1; Atti 7:29, 30.
Non sono queste proprio le qualità di cui oggi un anziano ha bisogno per aver cura del popolo di Dio?
Sì, perché Paolo ricordò a Timoteo che ‘lo schiavo del Signore ha bisogno di essere gentile verso tutti,
qualificato per insegnare, mantenendosi a freno nel male, istruendo con mitezza quelli che non sono
favorevolmente disposti’. — 2 Timoteo 2:24, 25.
A volte un anziano può sentirsi frustrato perché non riesce a sviluppare pienamente queste qualità. Ma
non dovrebbe arrendersi. Come nel caso di Mosè, può volerci molto tempo per sviluppare appieno le
qualità necessarie per essere un buon pastore. Col tempo, però, questo premuroso sforzo sarà
ricompensato. — Confronta 1 Pietro 5:10.
Come anziano, forse non sei impiegato tanto quanto altri. Non potrebbe darsi che, come nel caso di
Mosè, Geova ti stia permettendo di sviluppare di più certe importanti qualità? Non dimenticare mai che
Geova ‘ha cura di te’. Occorre però tenere presente anche la necessità di ‘cingersi di modestia di mente
gli uni verso gli altri, perché Dio si oppone ai superbi, ma dà immeritata benignità agli umili’. (1 Pietro 5:5-
7) Se ti applichi e accetti l’addestramento che Geova ti permette di ricevere, potrai essergli più utile,
proprio come avvenne nel caso di Mosè.

Naaman (n.2) --- Tema: L’umiltà reca ricche benedizioni PROVERBI 22:4

it-2 352-3
NAAMAN (Naàman) [da una radice che significa “essere piacevole”].
2. Comandante dell’esercito siro nel X secolo a.E.V., durante i regni di Ieoram in Israele e di Ben-Adad II
in Siria. Per mezzo di Naaman, ‘uomo grande, potente, valoroso e stimato’, “Geova aveva dato salvezza
alla Siria”. (2Re 5:1) La Bibbia non fornisce particolari su come o perché Naaman fosse stato lo
strumento per recare questa salvezza alla Siria. Una possibilità è che comandasse le truppe sire che
riuscirono a sventare i tentativi di Salmaneser III re d’Assiria di invadere la Siria. Dato che, rimanendo
libera, la Siria costituiva uno stato cuscinetto fra Israele e l’Assiria, ciò servì forse a rallentare la spinta
aggressiva dell’Assiria verso O fino al tempo stabilito da Geova perché il regno settentrionale fosse
portato in esilio.
Guarito dalla lebbra. Naaman era lebbroso, e anche se i siri non mettevano in isolamento i lebbrosi
come richiedeva invece la legge di Geova in Israele, venire a sapere che poteva essere guarito da quella
malattia ripugnante era senz’altro una notizia piacevole. Questa notizia gli giunse tramite una ragazzina
israelita, schiava di sua moglie, che parlava di un profeta di Samaria in grado di guarire la lebbra.
Naaman partì immediatamente alla volta di Samaria con una lettera di presentazione di Ben-Adad II.
Ieoram re di Israele, dopo averlo accolto con freddezza e sospetto, lo mandò da Eliseo. Questi non andò
incontro a Naaman di persona, ma gli fece dire dal suo servitore di bagnarsi sette volte nel Giordano.
Ferito nel suo orgoglio e pensando evidentemente di essere stato trattato con scarso riguardo e di essere
stato costretto a correre inutilmente da una parte all’altra, Naaman se ne andò infuriato. Se i suoi servitori
non avessero ragionato con lui e non gli avessero fatto notare la ragionevolezza delle istruzioni, Naaman
se ne sarebbe tornato al suo paese ancora lebbroso. Invece si bagnò sette volte nel Giordano e fu
miracolosamente purificato. Fu l’unico lebbroso guarito per mezzo di Eliseo. — 2Re 5:1-14; Lu 4:27.
Diventa adoratore di Geova. Pieno di gratitudine e di umile riconoscenza, il comandante dell’esercito
siro tornò allora da Eliseo, percorrendo forse 50 km, e gli offrì un munifico dono, che il profeta rifiutò
categoricamente. Naaman chiese quindi un po’ di terra di Israele, “il carico di un paio di muli”, da portare
a casa, per poter offrire sacrifici a Geova su suolo di Israele, facendo voto che da allora in poi non
avrebbe più adorato nessun altro dio. Forse Naaman intendeva offrire sacrifici a Geova su un altare di
terra. — 2Re 5:15-17; cfr. Eso 20:24, 25.
Naaman chiese poi che Geova lo perdonasse quando, nell’adempimento dei suoi doveri civili, si
sarebbe inchinato davanti al dio Rimmon insieme al re, che evidentemente era vecchio e infermo e si
appoggiava a Naaman. Se le cose stavano così, il suo inchino sarebbe stato un gesto puramente
meccanico, non avendo egli altro scopo che quello di sostenere il re, com’era suo dovere, e non di
compiere un atto personale di adorazione. Eliseo credette alla sincerità della richiesta di Naaman e
rispose: “Va in pace”. — 2Re 5:18, 19.
Dopo essersene andato, Naaman venne raggiunto da Gheazi, avido servitore di Eliseo, il quale,
mentendo, gli diede a intendere che Eliseo avesse cambiato idea e che, dopo tutto, avrebbe accettato
qualche dono. Naaman fu lieto di dargli in dono argento e abiti. Ma per la sua avidità e per aver mentito
nel tentativo di trarre profitto dall’operato dello spirito di Geova, abusando dell’incarico di servitore di
Eliseo, Gheazi fu punito da Geova, che rese lebbroso lui e la sua progenie a tempo indefinito. — 2Re
5:20-27.

w85 15/2 8-9


Un uomo orgoglioso si umilia ‘La Parola di Dio è vivente’
ECCO l’orgoglioso comandante militare siro Naaman che, accompagnato dai suoi servitori, si sta recando
in Israele dove spera di essere guarito dalla lebbra. Dalla giovane servitrice israelita della moglie Naaman
ha sentito parlare dei miracoli meravigliosi compiuti in Israele da un profeta di Geova.
Naaman ha con sé una lettera di presentazione da parte del re di Siria per il re d’Israele. Con la lettera
si richiede che Naaman venga guarito dalla lebbra. Giunto in Israele Naaman presenta la lettera al re
Ieoram, il quale, poiché non può guarire quest’uomo, ne viene profondamente turbato. ‘Il re di Siria sta
solo cercando di attaccar lite con me’, esclama Ieoram. Quando lo viene a sapere, Eliseo, il profeta di
Geova, chiede che Naaman sia inviato da lui.
Naaman pertanto, con i suoi cavalli e i suoi carri da guerra, va alla casa di Eliseo. Ma Eliseo non gli
esce nemmeno incontro. Semplicemente manda un messaggero a dire a Naaman: ‘Per guarire devi
andarti a bagnare sette volte nel Giordano’.
L’orgoglioso Naaman si offende e se ne va tutto infuriato. ‘Pensavo che come minimo mi sarebbe
venuto incontro’, dice, ‘e avrebbe invocato Geova e agitato la sua mano sopra la parte malata. Se è per
questo, mi sarei potuto anche bagnare nei fiumi di Siria’. Ma uno dei suoi servitori calma Naaman
facendo questo ragionamento: ‘Signore, se il profeta ti avesse detto di compiere una cosa difficile,
l’avresti fatta. Allora perché ora non ti puoi bagnare come ti ha detto e guarire?’
Naaman ascolta il suo servitore. Va a immergersi nelle acque del Giordano. E, in modo miracoloso,
dopo averlo fatto per la settima volta, la sua lebbra svanisce! Spinto dalla gratitudine, Naaman si rimette
in cammino per andare a ringraziare Eliseo, compiendo forse un viaggio di quasi 50 chilometri.
Naaman offre regali costosissimi a Eliseo e quindi gli chiede: ‘Permettimi di prendere il carico di un paio
di muli di terra da portare a casa’. A quale scopo? Per poter offrire sacrifici a Geova sul suolo di Israele.
Naaman, infatti, si impegna da allora in avanti a non offrire sacrifici o olocausti ad altro dio che a Geova.
— II Re 5:5-17.
Che eccezionale cambiamento fece Naaman! È davvero un ottimo esempio su cui riflettere. Ma da
questo episodio possiamo apprendere un’altra lezione, che esamineremo in un prossimo numero di
questa rivista.

su 132-3 17 Un concetto diverso dell'ubbidienza


PERCHÉ UBBIDIRE PUÒ NON ESSERE FACILE
8 Per molti è difficile imparare a essere ubbidienti. Sono cresciuti in un mondo dove ognuno fa di testa
propria. Ciò che imparano circa la vita sotto il Regno di Dio può piacere loro. Ma se l’orgoglio ne offusca
la facoltà di ragionare, possono tirarsi indietro di fronte a certe esigenze di Dio o trovar da ridire sul modo
in cui vengono loro trasmesse. (Proverbi 8:13; 16:18) Questo era il problema di Naaman, capo
dell’esercito siro ai giorni del profeta Eliseo.
9 Naaman aveva la lebbra. Ma poiché una giovane prigioniera israelita aveva espresso coraggiosamente
la sua fede che Naaman sarebbe stato guarito se solo fosse andato da Eliseo, profeta di Geova, Naaman
si recò in Israele. Con cavalli e carri da guerra giunse fino alla casa di Eliseo. Essendo una persona
importante, Naaman si aspettava che Eliseo gli uscisse incontro ed eseguisse una qualche cerimonia,
invocando Geova e muovendo la mano avanti e indietro sulla carne malata finché non fosse guarita.
Invece Eliseo gli mandò semplicemente un messaggero per dirgli di recarsi al fiume Giordano e
bagnarvisi sette volte. — II Re 5:1-12.
10 L’orgoglio di Naaman fu ferito. Se ne andò adirato. Ma dopo che i suoi servitori ebbero ragionato con
lui, Naaman si umiliò con fede. “Allora scese e si tuffava nel Giordano sette volte secondo la parola
dell’uomo del vero Dio; dopo di che la sua carne tornò come la carne di un ragazzino e divenne puro”.
Naaman si convinse che Geova era l’unico vero Dio, e capì che, nonostante la sua reazione iniziale, le
istruzioni di Eliseo venivano in realtà da Dio. — II Re 5:13-15.
11 Riscontrate forse in voi stessi alcuni tratti della personalità di Naaman? Come altri non israeliti che
esercitarono fede, Naaman è impiegato nelle Scritture come figura delle “altre pecore” che si uniscono
nel praticare la vera adorazione. Tutte queste persone, essendo nate nel peccato, un tempo erano
spiritualmente malate. Tutte hanno dovuto chiedere aiuto all’unta classe del servitore di Geova e agire
quindi con ubbidienza in base a ciò che questo “schiavo” ha insegnato loro dalla Parola di Dio. (Matteo
24:45) È capitato a volte che alcuni non apprezzassero tutti i consigli scritturali dati loro, per esempio sul
bisogno di frequentare regolarmente le adunanze di congregazione, sull’importanza di separarsi dal
mondo o sulla necessità del battesimo cristiano in acqua. Forse si sono trattenuti dal dedicarsi e
battezzarsi in acqua perché il loro cuore si opponeva alla necessità di ‘rinnegare se stessi’ per divenire
seguaci di Cristo. In certi casi hanno trovato da ridire sul modo in cui alcuni responsabili della
congregazione hanno dato loro consigli. Ma col tempo tutti coloro che vogliono veramente far parte delle
“altre pecore” del Signore devono imparare l’importanza dell’umiltà e dell’amorevole ubbidienza. —
Giacomo 4:6; Matteo 16:24.

w74 15/12 752-4


“Cingetevi di modestia di mente”
“Voi tutti cingetevi di modestia di mente gli uni verso gli altri, perché Dio si oppone ai superbi, ma dà
immeritata benignità agli umili”. — 1 Piet. 5:5.
CONOSCETE alcuni che sono superbi, altezzosi, vanitosi, egotisti e presuntuosi? La maggioranza di noi
ne conosce. Ma quanto è preferibile frequentare chi è umile, modesto di mente, mansueto, alla buona!
Infatti, tutti i cristiani sono incoraggiati ad acquistare le qualità dell’umiltà e della modestia di mente. In
un’occasione Gesù sapeva che i suoi discepoli avevano discusso fra loro su chi era il più grande, e disse
loro: “Se alcuno vuole esser primo, dev’essere l’ultimo di tutti e ministro di tutti”. Quindi proseguì
mostrando che non c’era posto per l’uomo di mente altera, spiegando che se accettavano quelli che
erano simili a fanciullini in base al suo nome era come accettare lui e il Padre suo Geova. Pertanto
incoraggiò certamente i suoi discepoli a essere modesti di mente. (Mar. 9:33-37) Anni dopo Pietro
scrisse: “Voi tutti cingetevi di modestia di mente”, e proseguì spiegandone il perché e disse: “Perché Dio
si oppone ai superbi, ma dà immeritata benignità agli umili”. (1 Piet. 5:5) Quindi, non solo riscontriamo
che la modestia di mente è una qualità desiderabile, ma anche Dio la considera tale, e la ricompensa con
immeritata benignità.
2 Vogliamo avere l’approvazione di Dio, per cui facciamo bene a considerare seriamente il soggetto
dell’umiltà. Giacché la Bibbia dice che le cose scritte in essa “furono scritte per nostra istruzione”,
possiamo trovare nelle Scritture un racconto che ci dia una lezione di umiltà? (Rom. 15:4) Un racconto
degno di nota a questo riguardo si trova in Secondo Re, capitolo cinque. Da esso apprendiamo di un
uomo dei tempi antichi che acquistò umiltà, e leggendo ed esaminando il racconto possiamo
personalmente trarne profitto mentre ognuno di noi cerca di cingersi di modestia di mente.

NAAMAN IMPARA L’UMILTÀ


3 Nel decimo secolo a.E.V., la Siria, situata a nord d’Israele, aveva un capo dell’esercito di nome
Naaman, che condusse i Siri alla vittoria. Benché a quel tempo Naaman non lo sapesse, era stato Geova
che per mezzo di lui aveva dato la salvezza alla Siria. Naaman “era divenuto un uomo grande dinanzi al
suo signore e tenuto in stima, . . . e l’uomo stesso aveva mostrato d’essere un potente uomo di valore”. (2
Re 5:1) Senz’altro a motivo della sua posizione e delle sue gesta militari, Naaman era superbo, ma aveva
contratto la lebbra. Questa detestabile malattia non gli impediva di occupare la posizione di capo
dell’esercito in Siria come sarebbe avvenuto in Israele, ma, col tempo, servì a umiliarlo e gli recò
beneficio in un modo molto insolito. — Lev. 13:46.
4 Bande di predoni siri avevano preso prigioniera dal paese d’Israele una ragazzina e questa ragazza era
divenuta serva della moglie di Naaman. Questa ragazza (il cui nome non è menzionato nella Bibbia) era
a conoscenza del profeta di Geova chiamato Eliseo e dei miracoli da lui compiuti. Ella aveva fede in
Geova, Dio di Eliseo, e rese testimonianza alla sua fede. Parlando in un’occasione alla moglie di
Naaman, sua padrona, disse: “Se solo il mio signore fosse dinanzi al profeta che è in Samaria! In tal caso
lo guarirebbe dalla sua lebbra”. La testimonianza della ragazza israelita giunse col tempo agli orecchi del
re di Siria. — 2 Re 5:2-4.
5 Il re siro, che era evidentemente Ben-Adad II, scrisse una lettera a Ieoram, re d’Israele, e la fece
consegnare dal capo del suo esercito Naaman, a una distanza di circa centosessanta chilometri. Insieme
a Naaman mandò doni preziosi. Ieoram ricevette la lettera e lesse: “E ora nello stesso tempo che questa
lettera viene a te, ecco, ti mando in effetti Naaman mio servitore, affinché tu lo guarisca dalla sua lebbra”.
Ieoram fu sgomentato dalla lettera e temette che il re siro ‘cercasse una lite’ con lui. Eliseo, profeta del
vero Dio, lo seppe e mandò a dire al re Ieoram: “[Lascia] venire [Naaman] da me, ti prego, affinché egli
sappia che esiste un profeta in Israele”. Ah, Naaman avrebbe infine ricevuto attenzione personale
dall’uomo che la ragazzina israelita aveva detto poteva guarirlo! — 2 Re 5:5-8.
6 “Naaman venne dunque coi suoi cavalli e coi suoi carri da guerra e stette all’ingresso della casa di
Eliseo”. Come avrebbe agito Eliseo alla presenza di un tale dignitario? Avrebbe fatto qualche speciale
cerimonia per questo famoso capo dell’esercito? Il racconto continua: “Comunque, Eliseo mandò da lui
un messaggero, dicendo: ‘Andandovi, ti devi bagnare sette volte nel Giordano affinché la tua carne ti
torni; e sii puro’”. No, Eliseo non cercava di guadagnarsi con le lusinghe il favore di qualcuno d’alto rango.
Egli desiderava continuare ad avere il favore di Geova e fare in modo che la Sua volontà fosse compiuta.
— 2 Re 5:9, 10.
7 Fu lieto Naaman di apprendere con quanta facilità poteva guarire dalla sua lebbra? No; piuttosto, il
racconto continua dicendo: “A ciò Naaman si indignò e se ne andava e diceva: ‘Ecco, avevo detto fra me:
“Mi uscirà incontro e per certo si fermerà e invocherà il nome di Geova suo Dio e muoverà la mano da
una parte all’altra sul luogo ed effettivamente guarirà il lebbroso”. Non sono l’Abana e il Farpar, i fiumi di
Damasco, migliori di tutte le acque d’Israele? Non mi posso bagnare in essi e per certo esser puro?’
Allora si volse e andò via con furore”. — 2 Re 5:11, 12.
8 Sembrò che l’orgoglio di Naaman gli impedisse di ottenere la guarigione. Non si compiacque della
povera accoglienza ricevuta né di un rimedio così semplice. A quanto pare, che la pompa e la cerimonia
accompagnassero la cura gli interessava più della cura stessa. L’orgoglio stava per impedirgli di ubbidire
alle istruzioni del profeta di Dio. Ma i servitori di Naaman lo aiutarono a vedere le cose nella loro giusta
luce. Gli dissero: “Se il profeta stesso ti avesse proferito una cosa grande, non la faresti? Quanto più,
quindi, giacché ti ha detto: ‘Bagnati e sii puro’?” (2 Re 5:13) Essi avevano la giusta veduta.
Riconoscevano che per Naaman la cosa principale era di guarire dalla sua malattia, e la conversazione
che fecero con il loro signore diede risultati.
9 “Allora scese e si tuffava nel Giordano sette volte secondo la parola dell’uomo del vero Dio”. Sì,
cominciò a mostrare modestia di mente; si cinse di umiltà e fece quanto gli era stato raccomandato. Andò
al Giordano e si tuffò nell’acqua, una volta, due volte, fino a sei volte, ma non si vedeva nessuna
guarigione. Poi si tuffò la settima volta, e il risultato? “La sua carne tornò come la carne di un ragazzino e
divenne puro”. Era guarito! — 2 Re 5:14.
10 Ma quanto fu umiliante questo per Naaman? Sarebbe ora tornato a casa, orgoglioso d’essere stato
purificato ma privo di apprezzamento per quanto era stato fatto? Il racconto prosegue mostrando che
tornò dall’uomo del vero Dio, percorrendo una distanza di forse quaranta chilometri o più, insieme ai suoi
cavalli e carri da guerra. Questa volta Eliseo apparve dinanzi a lui, e Naaman disse: “Ecco, ora, per certo
so che non c’è nessun Dio in alcun luogo sulla terra salvo in Israele”. Che confessione di fede!
Riconoscente offrì a Eliseo un dono di benedizione. Eliseo, comunque, non voleva trarre profitto dal
servizio di Geova, per cui disse: “Come vive Geova dinanzi al quale in effetti io sto, di sicuro non
l’accetterò”. Nonostante le insistenze di Naaman, Eliseo “rifiutava” di accettare qualsiasi dono, poiché
comprendeva che era stato Geova a dare la guarigione ed egli non cercava di trarre profitto dall’incarico
affidatogli da Geova. — 2 Re 5:15, 16.
11 Infine Naaman disse: “Se no, ti prego, sia dato al tuo servitore del terreno, il carico di un paio di muli;
perché il tuo servitore non offrirà più olocausto né sacrificio ad alcun altro dio ma a Geova”. Naaman
espresse umilmente il suo desiderio di adorare il Dio di Eliseo, ma volle farlo sul suolo israelita benché
dovesse tornare al servizio del re di Siria. — 2 Re 5:17.
12 Com’era divenuto modesto di mente Naaman, non interessandosi di fare dell’ostentazione o di mettere
in risalto se stesso, ma, piuttosto, volendo piacere a Geova, colui che ora riconosceva come vero Dio!
Egli proseguì dicendo a Eliseo: “In questa cosa perdoni Geova il tuo servitore: Quando il mio Signore
entra nella casa di Rimmon [il falso dio adorato dal re di Siria] per inchinarvisi, ed egli si appoggia alla mia
mano, e io mi devo inchinare nella casa di Rimmon, quando mi inchino nella casa di Rimmon perdoni
Geova, ti prego, il tuo servitore a questo riguardo”. Naaman non avrebbe più adorato questo idolo di
Rimmon, ma si sarebbe inchinato solo meccanicamente per aiutare il suo re a inchinarsi. Eliseo credette
alla sincerità di Naaman, per cui gli disse: “Va in pace”. — 2 Re 5:18, 19.
13 Non è interessante vedere come, in un tempo relativamente breve, Naaman imparò a ‘cingersi di
modestia di mente’ e come risultato divenne adoratore di Geova e ottenne il Suo favore e la Sua
benedizione? Ma in questo stesso tempo, qualcun altro stava diventando egocentrico, di mente altera.
Chi?

w74 15/12 758 "Cingetevi di modestia di mente" ***


26 La classe di Eliseo non desidera sfruttare la “grande folla” per il fatto che l’assiste a ottenere la
guarigione spirituale dalla piaga del peccato. Rifiuta qualsiasi paga per l’assistenza che dà alle persone
onde ottengano la guarigione spirituale, come Eliseo rifiutò qualsiasi dono, pecuniario o materiale, da
parte di Naaman. Impiega gratuitamente il suo tempo per assistere altri che vogliono studiare la Parola di
Dio. E se alcuni di quelli che sono associati alla congregazione del popolo di Dio sulla terra cercano di
trarre un guadagno materiale a spese della “grande folla”, costoro sono smascherati come avidi, colpevoli
di idolatrare se stessi. Sono rimossi dall’organizzazione, in armonia con il trattamento che Eliseo inflisse a
Gheazi per la sua concupiscenza e avidità. Ciò è conforme alla regola: “Né fornicatori . . . né avidi, . . . né
rapaci erediteranno il regno di Dio”. — 1 Cor. 6:9, 10.
27 Anche i componenti della “grande folla” che si associano agli unti servitori di Dio devono cingersi di
modestia di mente. In 1 Pietro 5:5 si legge: “E voi tutti dovete indossare il grembiule dell’umiltà, per
servirvi gli uni gli altri; poiché la scrittura dice: ‘Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili’”. (Today’s
English Version of the Bible). Un grembiule ci fa pensare a qualcuno che serve, che ha cura degli
interessi altrui, che prepara da mangiare per altri. Per indossare il “grembiule dell’umiltà” è dunque
necessario essere umili, modesti di mente, interessati a servire altri.
28 Sei disposto a ‘cingerti di modestia di mente’, a “indossare il grembiule dell’umiltà”? Sei disposto ad
accettare la via di Geova per ottenere la salvezza? In questo ventesimo secolo abbiamo un esempio di
umiltà, di modestia di mente, che si trova in tutto il mondo. È nell’organizzazione dei testimoni di Geova.
Perché non continui a leggere per vedere come si sono umilmente conformati alla via di Geova per la
salvezza?

w96 15/5 8-9


Una ragazzina che parlò con coraggio ‘Fecero la volontà di Geova’
DURANTE il X secolo a.E.V. le relazioni fra Israele e Siria erano tese. I combattimenti erano così comuni
che quando passarono tre anni senza episodi di violenza la cosa venne menzionata nelle registrazioni
storiche. — 1 Re 22:1.
Particolarmente minacciose in quei tempi erano le bande di predoni siri, alcune delle quali erano formate
da centinaia di uomini armati. Questi guerrieri facevano scorrerie fra gli israeliti e li depredavano, rapendo
e facendo schiavi molti, anche bambini.
Durante un’incursione, una “ragazzina” fu strappata senza pietà alla famiglia timorata di Dio. (2 Re 5:2)
Portata in Siria, fu costretta a vivere fra gente che forse trovava strana e che le incuteva paura, un popolo
che adorava il sole, la luna, le stelle, gli alberi, le piante e perfino le pietre. Com’erano diversi dalla sua
famiglia e dai suoi amici, che adoravano il solo vero Dio, Geova! Anche in quell’ambiente sconosciuto,
però, questa ragazzina manifestò notevole coraggio riguardo all’adorazione di Geova. Come risultato,
essa cambiò la vita di un importante funzionario che era al servizio del re di Siria. Vediamo come.
Il coraggio di parlare
La Bibbia non menziona il nome di questa ragazzina che divenne servitrice della moglie di Naaman, un
valoroso capo dell’esercito del re Ben-Adad II. (2 Re 5:1) Naaman era una persona tenuta in grande
stima, ma aveva una malattia ripugnante, la lebbra.
Forse i modi rispettosi della ragazzina spinsero la moglie di Naaman a confidarsi con lei. La donna può
averle chiesto: ‘Cosa fanno per i lebbrosi in Israele?’ Questa servitrice israelita, anziché vergognarsi,
disse intrepidamente: “Se solo il mio signore fosse davanti al profeta che è in Samaria! In tal caso lo
guarirebbe dalla sua lebbra”. — 2 Re 5:3.
Le parole di questa ragazzina non vennero sottovalutate come se fossero frutto della fantasia infantile.
Al contrario, furono riferite al re Ben-Adad, che fece fare a Naaman e ad altri un viaggio di 150 chilometri
per andare a Samaria a cercare questo profeta. — 2 Re 5:4, 5.
La guarigione di Naaman
Naaman e i suoi uomini andarono dal re Ieoram d’Israele, portando una lettera di presentazione di Ben-
Adad e un sostanzioso dono in denaro. Non sorprende che il re Ieoram, un adoratore dei vitelli, non
manifestasse la fede nel profeta di Dio dimostrata dalla ragazzina. Pensò che Naaman fosse venuto a
cercar lite. Quando Eliseo, il profeta di Dio, seppe della preoccupazione di Ieoram, inviò subito un
messaggio al re chiedendogli di mandare Naaman a casa sua. — 2 Re 5:6-8.
Quando Naaman arrivò a casa di Eliseo, il profeta gli mandò incontro un messaggero che gli disse: “Ti
devi bagnare sette volte nel Giordano perché la tua carne ti ritorni; e sii puro”. (2 Re 5:9, 10) Naaman si
infuriò. Aspettandosi qualcosa di spettacolare e miracoloso, rispose: “Non sono l’Abana e il Farpar, i fiumi
di Damasco, migliori di tutte le acque d’Israele? Non mi posso bagnare in essi e certamente essere
puro?” Naaman andò via dalla casa di Eliseo arrabbiato. Ma i servitori di Naaman ragionarono con lui e
finalmente egli acconsentì. Dopo essersi tuffato sette volte nel Giordano, “la sua carne tornò come la
carne di un ragazzino e divenne puro”. — 2 Re 5:11-14.
Tornato da Eliseo, Naaman disse: “Ecco, ora certamente so che non c’è nessun Dio in nessun luogo
sulla terra eccetto in Israele”. Naaman fece voto di non offrire “più olocausto o sacrificio a nessun altro
dio, ma solo a Geova”. — 2 Re 5:15-17.

Cosa possiamo imparare


Naaman non sarebbe andato dal profeta Eliseo se la giovane servitrice non avesse parlato
coraggiosamente. Oggi molti giovani agiscono in modo simile. A scuola possono essere circondati da
studenti che non si interessano minimamente di servire Dio. Nondimeno essi parlano di quello in cui
credono. Alcuni cominciano a farlo in tenerissima età.
Prendete Alexandra, una bambina australiana di cinque anni. Quando cominciò ad andare a scuola, sua
madre prese un appuntamento per spiegare all’insegnante le credenze dei testimoni di Geova. Ma la
madre di Alexandra ebbe una sorpresa. “Conosco già bene alcune vostre credenze, e ciò che Alexandra
farà o non farà a scuola”, disse l’insegnante. La madre di Alexandra rimase sbalordita, dato che in quella
scuola non c’erano altri figli di Testimoni. “Alexandra ci ha messo al corrente”, spiegò l’insegnante. Sì,
questa bambina aveva già parlato con tatto all’insegnante.
Questi giovani parlano con coraggio. Agiscono pertanto in armonia con Salmo 148:12, 13: “Giovani e
anche vergini, vecchi insieme a ragazzi. Lodino il nome di Geova, poiché il suo nome solo è
irraggiungibilmente alto. La sua dignità è al di sopra della terra e del cielo”.

Nabal --- Tema: Non ripagate il bene col male ROMANI 12:21

it-2 354
NABAL (Nàbal) [insensato; stupido].
Ricco proprietario di pecore di Maon che faceva pascolare e tosare i suoi greggi a Carmelo in Giuda.
Nabal era pure chiamato calebita, cioè discendente di Caleb. Pochi personaggi biblici sono descritti con
tanto disprezzo quanto Nabal: “Era aspro e cattivo nelle sue pratiche”, “troppo un buono a nulla [figlio di
Belial] per parlargli”, ‘ripagava col male in cambio del bene’ e ‘presso di lui era l’insensatezza’. — 1Sa
25:2, 3, 17, 21, 25.
Gli uomini di Davide avevano protetto da bande di predoni i greggi di Nabal, che contavano 3.000
pecore e 1.000 capre. Avendo mostrato tale benignità e non essendo colpevole di alcuna appropriazione
indebita, Davide chiese a Nabal di provvedere un po’ di aiuto materiale a lui e ai suoi uomini al tempo
della tosatura, tempo in cui era consuetudine festeggiare e mostrare ospitalità. Ma Nabal ‘gridò parole di
rimprovero’ ai messaggeri di Davide e li mandò via a mani vuote. Gli stessi uomini di Nabal temevano la
reazione di Davide, ma non osavano parlarne. Uno di loro lo disse però ad Abigail, moglie di Nabal.
Mentre Davide si avvicinava con l’intenzione di uccidere Nabal, essa gli andò incontro con abbondanti
cibi e bevande e lo persuase a non macchiarsi della colpa di spargimento di sangue. Tornata a casa,
trovò Nabal “ubriaco fradicio”, per cui attese l’indomani mattina per parlargli del suo incontro con Davide e
di come per causa sua avevano tutti rischiato di essere uccisi. Allora ‘il cuore di Nabal divenne morto
dentro di lui, ed egli stesso divenne come una pietra’; questa espressione forse indica una specie di
paralisi oppure l’effetto prodotto sulle più intime emozioni di Nabal. (Cfr. De 28:28; Sl 102:4; 143:4). Una
decina di giorni dopo Nabal fu colpito a morte da Geova. (1Sa 25:2-38) Davide allora prese in moglie la
saggia e coraggiosa Abigail. — 1Sa 25:39-42; 27:3; 30:5; 2Sa 2:2; 3:3.
w80 15/12 28-30
Abigail, una donna davvero giudiziosa ‘La Parola di Dio è vivente’
NELLA persona di Abigail, la bellezza fisica o la discrezione trovavano un piacevole equilibrio. Questa
donna giudiziosa di Carmel divenne moglie di un ricco della vicina Maon. Il marito era un uomo brusco,
irragionevole, degno del nome “Nabal”, che significa “stolto” o “Insensato”. — I Sam. 25:2, 3, “Diodati”.
La saggezza di Abigail si può notare nel suo intervento decisivo in una situazione in cui fu implicato
Davide. La situazione era così grave che avrebbe potuto rendere Davide colpevole di spargimento di
sangue davanti a Dio e avrebbe potuto significare la morte di ogni uomo della casa di Nabal.
Nel periodo in cui fu dichiarato fuorilegge dal re Saul, Davide continuò ad aver cura degli interessi dei
suoi compagni israeliti. Per esempio, egli e i suoi uomini protessero i pastori e i greggi di Nabal da bande
di predoni. Per questo motivo Davide pensò che fosse giusto dare a Nabal l’opportunità di esprimere la
sua gratitudine per tutto ciò che era stato fatto a suo favore. Il tempo della tosatura delle pecore sarebbe
stato per Nabal l’occasione ideale per mostrare la sua riconoscenza. La tosatura era considerata quasi
alla stessa stregua della mietitura, ed era accompagnata da festeggiamenti. — I Sam. 25:4-8.
Quindi, dal deserto di Giuda, Davide inviò una delegazione di dieci uomini a Carmel, al confine del
deserto. Era lì che Nabal dirigeva la tosatura delle pecore. Invece di ricevere benignamente gli uomini,
Nabal si mise a inveire contro di loro. Venuto a conoscenza della sua accoglienza ostile, Davide, con
circa 400 dei suoi uomini, armati di spada, decise di uccidere Nabal e tutti gli uomini della sua casa. — I
Sam. 25:9-13.
I pastori di Nabal capirono che il modo spietato in cui il loro padrone aveva trattato gli uomini di Davide
non poteva che procurar loro guai. Ecco perché uno dei servitori raccontò l’accaduto ad Abigail.
Immediatamente la donna capì quale pericolo correvano tutti per colpa di Nabal. Sapendo che sarebbe
stato inutile cercare di far ragionare il marito, Abigail prese l’iniziativa per risolvere appropriatamente la
questione. Per lei, rispettare un giusto principio era più importante che far piacere a un uomo che aveva
mostrato disprezzo per la legge di Dio ripagando il bene col male. Dalle abbondanti scorte per il
banchetto del marito, Abigail prese duecento pani, due grosse giare di vino, cinque pecore preparate, uno
staio di grano arrostito, cento masse d’uva secca e duecento pani di fichi pressati. Caricato il tutto su
asini, i servi portarono la roba a Davide. Abigail li seguì. — I Sam. 25:14-19.
Incontrato Davide, la donna si inchinò e lo supplicò di non vendicarsi. La sua supplica si basava sui
seguenti punti: Nabal era uno stolto, un “uomo buono a nulla”. Quindi egli era disapprovato da Dio, per
cui Geova avrebbe agito contro di lui. Tramite queste spiegazioni, Davide era trattenuto da Geova
“dall’entrare nella colpa del sangue”. Abigail lo pregò quindi di accettare le provviste per i suoi uomini. — I
Sam. 25:23-27.
Poi, con piena fede nel fatto che Geova si serviva di Davide, Abigail proseguì dicendo: “Geova farà
senza fallo una casa durevole per il mio signore, perché il mio signore combatterà le guerre di Geova; e
in quanto alla malizia, non si troverà in te per tutti i tuoi giorni. Quando l’uomo si leva per inseguirti e per
cercare la tua anima, l’anima del mio signore sarà per certo avvolta nella borsa della vita presso Geova
tuo Dio; ma in quanto all’anima dei tuoi nemici, egli la frombolerà come dal cavo della fionda. E deve
accadere che, siccome Geova farà al mio signore il bene verso di te secondo tutto ciò che egli ha
proferito, per certo ti costituirà quale condottiero su Israele. E non ti sia questo causa di esitazione né
pietra d’inciampo al cuore del mio signore, con lo spargimento di sangue senza causa e facendo venire la
stessa mano del mio signore alla sua salvezza. E Geova per certo farà del bene al mio Signore, e tu ti
devi ricordare della tua schiava”. — I Sam. 25:28-31.
In base alla reputazione che Davide si era fatta come valente guerriero, Abigail riconobbe che era l’unto
di Geova. Le sue parole assunsero toni profetici, additando il giorno in cui vi sarebbe stata una casa
reale, una dinastia, di Davide. Abigail aveva fiducia che Geova lo avrebbe protetto, ne avrebbe custodito
la vita o anima come in una “borsa” in cui si avvolge qualcosa di valore. Ma questo si sarebbe avverato
solo se Davide non avesse cercato di procurarsi salvezza o liberazione con le sue stesse mani,
indipendentemente dall’aiuto di Dio. Davide reagì positivamente. — I Sam. 25:32-35.
Quando Abigail tornò a casa, trovò Nabal ubriaco. La mattina dopo, quando il marito era sobrio, Abigail
gli raccontò tutto. “Il suo cuore divenne morto dentro di lui”, evidentemente nel senso che, venendo a
conoscenza dell’intera situazione, gli prese un colpo. Circa dieci giorni dopo pare che Nabal avesse un
altro attacco di cuore, questa volta fatale. — I Sam. 25:36-38.
Dopo di ciò, Davide chiese ad Abigail di sposarlo. Accettando, Abigail disse umilmente: “Ecco, la tua
schiava come serva per lavare i piedi dei servitori del mio signore”. Si dichiarò quindi disposta a svolgere
il più umile dei compiti. Con cinque donne di servizio cominciò a condividere la vita movimentata di un
uomo costretto a vivere come fuorilegge per colpa del re Saul. Per qualche tempo visse nella città filistea
di Gat e in seguito a Ziclag. Fra le difficoltà che dovette sopportare vi fu quella d’essere presa prigioniera
da una banda di amalechiti. Felicemente, però, fu liberata indenne. — I Sam. 25:39-42; 30:1-19.
La vita di Abigail dimostra chiaramente ciò che rende una persona retta agli occhi di Dio. Abigail fu umile
e mise la lealtà a Dio al di sopra della lealtà a un uomo. Fu la sua sottomissione alla guida divina a
renderla una donna saggia.
w96 15/9 23-4 È davvero necessario chiedere scusa?
Chiedere scusa vuol dire molto nel matrimonio
Il matrimonio fra due persone imperfette offre inevitabilmente occasioni per chiedere scusa. E se marito e
moglie hanno i medesimi sentimenti, ciò li spingerà a chiedere scusa se per caso hanno parlato o agito
sconsideratamente. Proverbi 12:18 rileva: “C’è chi parla sconsideratamente come con i colpi di una
spada, ma la lingua dei saggi è salute”. I ‘colpi sconsiderati’ non si possono annullare, ma si possono
sanare con scuse sincere. Naturalmente ciò richiede attenzione e sforzo continui.
Parlando del suo matrimonio, Susanna dice: “Giacomo ed io siamo sposati da 24 anni, ma ognuno di
noi impara ancora cose nuove sul conto dell’altro. Purtroppo qualche tempo fa ci separammo e vivemmo
lontani alcune settimane. Però seguimmo i consigli scritturali degli anziani e ritornammo insieme. Ora ci
rendiamo conto che, poiché abbiamo personalità molto diverse, è probabile che avvengano degli scontri.
Quando ciò accade, chiediamo subito scusa e ce la mettiamo tutta per capire il punto di vista dell’altro.
Sono felice di dire che il nostro matrimonio è migliorato considerevolmente”. Giacomo aggiunge:
“Abbiamo anche imparato a riconoscere i momenti in cui siamo più inclini a litigare. In quelle occasioni ci
trattiamo con maggiore sensibilità”. — Proverbi 16:23.
Ci si dovrebbe scusare se si pensa di non essere in colpa? Quando sono in gioco sentimenti profondi, è
difficile essere obiettivi e capire di chi è la colpa. Ma la cosa importante è la pace del matrimonio.
Considerate Abigail, un’israelita il cui marito aveva trattato male Davide. Benché non avesse colpa della
stupidità del marito, essa chiese scusa. “Perdona, ti prego, la trasgressione della tua schiava”, supplicò.
Davide rispose trattandola in modo riguardoso, ammettendo umilmente che, se non fosse stato per lei,
avrebbe sparso sangue innocente. — 1 Samuele 25:24-28, 32-35.
Similmente una cristiana di nome June, sposata da 45 anni, pensa che per avere un matrimonio felice
bisogna essere pronti a chiedere scusa. Essa afferma: “Dico a me stessa che il nostro matrimonio è più
importante dei miei sentimenti personali. Perciò quando chiedo scusa, sento che contribuisco a rafforzare
il matrimonio”. Un uomo d’età avanzata di nome Jim afferma: “Chiedo scusa a mia moglie anche per cose
da nulla. Da quando ha subìto una grave operazione, si offende facilmente. Perciò di solito la abbraccio e
dico: ‘Mi dispiace, cara. Non intendevo offenderti’. Come una pianta che viene innaffiata, lei
immediatamente si sente sollevata”.
Se abbiamo ferito la persona che amiamo di più, è molto efficace chiedere prontamente scusa. Milagros
ne conviene di cuore, dicendo: “Per carattere sono insicura e una parola secca di mio marito mi snerva.
Ma quando lui chiede scusa, mi sento subito meglio”. Appropriatamente le Scritture ci dicono: “I detti
piacevoli sono un favo di miele, dolci all’anima e salute alle ossa”. — Proverbi 16:24.
L’arte di chiedere scusa
Se prendiamo l’abitudine di chiedere scusa quando è necessario, probabilmente riscontreremo che la
gente reagisce in modo positivo. E magari si scuserà a sua volta. Quando sospettiamo di aver turbato
qualcuno, perché non prendere l’abitudine di chiedere scusa anziché fare di tutto per evitare di
ammettere qualsiasi colpa? Il mondo può pensare che chiedere scusa sia segno di debolezza, ma in
realtà dà prova di maturità cristiana. Certo non vogliamo essere come chi ammette un errore ma
minimizza la propria responsabilità. Per esempio, ci capita di non essere sinceri nel dire che ci dispiace?
Se arriviamo in ritardo e ci profondiamo in scuse, decidiamo di essere più puntuali?
Allora, è necessario chiedere scusa? Sì. Lo dobbiamo a noi stessi e agli altri. Chiedere scusa può
alleviare la pena causata dall’imperfezione e può appianare rapporti tesi. Ogni volta che chiediamo scusa è
una lezione di umiltà e impariamo a essere più sensibili ai sentimenti altrui. Di conseguenza, i compagni di fede, il
nostro coniuge e altri ci considereranno persone che meritano il loro affetto e la loro fiducia. Avremo pace mentale e
Geova Dio ci benedirà.
Nabucodonosor --- Tema: Geova umilia quelli che camminano nell’orgoglio PROVERBI 16:18
GIACOMO 4:16,17

it-2 357-9
NABUCODONOSOR
(Nabucodònosor), o anche Nabucodorosor (Nabucodòrosor) [da un nome accadico che significa “O
Nebo, proteggi l’erede!”].
Secondo sovrano dell’impero neobabilonese; figlio di Nabopolassar e padre di Awil-Marduk (Evil-
Merodac), che gli succedette al trono. Nabucodonosor regnò 43 anni (624-582 a.E.V.), periodo che
include i “sette tempi” durante i quali mangiò vegetazione come un toro. (Da 4:31-33) Per distinguere
questo monarca da un omonimo sovrano babilonese d’epoca molto precedente (dinastia di Isin), gli
storici lo chiamano Nabucodonosor II.
Cenni storici su Nabucodonosor desunti da iscrizioni cuneiformi giunte fino a noi integrano la storia
biblica. Esse affermano che nel 19° anno di regno N abopolassar radunò il suo esercito, e lo stesso fece
suo figlio Nabucodonosor, allora principe ereditario. I due eserciti erano indipendenti l’uno dall’altro e,
dopo che Nabopolassar, tempo un mese, ebbe fatto ritorno a Babilonia, Nabucodonosor riportò alcune
vittorie in una zona montuosa, tornando poi a Babilonia con un ingente bottino. Nel 21° anno del regno di
Nabopolassar, Nabucodonosor marciò con l’esercito babilonese su Carchemis, dove combatté
vittoriosamente contro gli egiziani. Ciò ebbe luogo nel quarto anno del regno di Ioiachim re di Giuda (625
a.E.V.). — Ger 46:2.
Le iscrizioni indicano inoltre che avendo avuto notizia della morte del padre, Nabucodonosor tornò a
Babilonia e, il 1° elul (agosto-settembre), salì al trono. Durante questo suo anno di ascesa al trono egli
tornò in Hattu e, “nel mese di shebat [gennaio-febbraio del 624 a.E.V.], portò a Babilonia il vasto bottino
di Hattu”. (A. K. Grayson, Assyrian and Babylonian Chronicles, 1975, p. 100) Nel 624 a.E.V., primo anno
ufficiale di regno, Nabucodonosor alla testa del suo esercito penetrò nuovamente in Hattu; conquistò e
saccheggiò la città filistea di Ascalon. (Vedi ASCALON). Durante il secondo, terzo e quarto anno di regno
intraprese altre campagne in Hattu, e a quanto pare nel quarto anno rese suo vassallo Ioiachim re di
Giuda. (2Re 24:1) Sempre nel quarto anno Nabucodonosor si spinse con il suo esercito in Egitto e nel
conflitto che seguì entrambe le parti subirono pesanti perdite.
Conquista di Gerusalemme. In seguito alla ribellione di Ioiachim re di Giuda contro Nabucodonosor i
babilonesi cinsero d’assedio Gerusalemme. Sembra che Ioiachim sia morto durante questo assedio; sul
trono di Giuda salì suo figlio Ioiachin. Ma solo tre mesi e dieci giorni dopo, il regno del nuovo re ebbe fine
con la resa di Ioiachin a Nabucodonosor (nel mese di adar [febbraio-marzo] durante il settimo anno di
regno di Nabucodonosor [che terminò nel nisan 617 a.E.V.], secondo le Cronache babilonesi).
Un’iscrizione cuneiforme (British Museum 21946) afferma: “Il settimo anno: Nel mese di chislev il re di
Akkad radunò il suo esercito e marciò verso Hattu. Si accampò contro la città di Giuda e il secondo giorno
del mese di adar catturò la città (e ne) afferrò il re [Ioiachin]. Costituì nella città un re di sua scelta
[Sedechia] (e) prendendo il grosso tributo lo portò in Babilonia”. (Assyrian and Babylonian Chronicles, cit.,
p. 102; ILLUSTRAZIONE, vol. 2, it-2 p. 326) Insieme a Ioiachin, Nabucodonosor portò in esilio a
Babilonia altri componenti della famiglia reale, funzionari di corte, artigiani e guerrieri, e costituì re di
Giuda Mattania, zio di Ioiachin, a cui diede nome Sedechia. — 2Re 24:11-17; 2Cr 36:5-10; vedi
CRONOLOGIA; IOIACHIM; IOIACHIN.
Dopo qualche tempo Sedechia si ribellò a Nabucodonosor, alleandosi con l’Egitto per avere protezione
militare. (Ez 17:15; cfr. Ger 27:11-14). Questo provocò il ritorno dei babilonesi e, il 10 tebet (dicembre-
gennaio) del nono anno del regno di Sedechia, Nabucodonosor assediò Gerusalemme. (2Re 24:20; 25:1;
2Cr 36:13) Tuttavia, la notizia che un esercito del faraone era in marcia dall’Egitto indusse i babilonesi a
togliere temporaneamente l’assedio. (Ger 37:5) Le truppe del faraone furono poi costrette a tornare in
Egitto e i babilonesi cinsero nuovamente d’assedio Gerusalemme. (Ger 37:7-10) Infine, nel 607 a.E.V., il
9 tammuz (giugno-luglio) dell’11° anno del regno di Sedechia (19° anno di Nabucodonosor contando dal
suo anno di ascesa al trono o suo 18° anno di regno ), fu aperta una breccia nelle mura di Gerusalemme.
Sedechia e i suoi uomini fuggirono ma furono raggiunti nella pianura desertica di Gerico. Poiché
Nabucodonosor si era ritirato a Ribla “nel paese di Amat”, Sedechia fu portato lì davanti a lui.
Nabucodonosor fece trucidare tutti i figli di Sedechia, poi fece accecare e incatenare Sedechia e lo portò
prigioniero a Babilonia. Dei particolari successivi alla conquista, inclusi l’incendio del tempio e delle case
di Gerusalemme, la confisca degli utensili del tempio e i prigionieri, si occupò Nebuzaradan, capo della
guardia del corpo. Ghedalia fu nominato da Nabucodonosor governatore di quelli che non erano stati
presi prigionieri. — 2Re 25:1-22; 2Cr 36:17-20; Ger 52:1-27, 29.
Il sogno di un’immensa statua. Il libro di Daniele precisa che Nabucodonosor sognò una statua con la
testa d’oro nel “secondo anno” del suo regno (probabilmente contando dalla distruzione di Gerusalemme
nel 607 a.E.V. e quindi in realtà nel suo 20° anno di regno). (Da 2:1) I sacerdoti che praticavano la magia,
gli evocatori e i caldei non furono in grado di interpretare il sogno, ma il profeta ebreo Daniele sì. Questo
spinse Nabucodonosor a riconoscere che il Dio di Daniele era “un Dio di dèi e un Signore di re e un
Rivelatore di segreti”. Quindi costituì Daniele “governante su tutto il distretto giurisdizionale di Babilonia e
prefetto principale su tutti i saggi di Babilonia”. Inoltre affidò cariche amministrative anche ai tre compagni
di Daniele: Sadrac, Mesac e Abednego. — Da 2.
Ebrei esiliati in seguito. Circa tre anni dopo, nel 23° anno del regno di Nab ucodonosor, altri ebrei furono
portati in esilio. (Ger 52:30) Si trattava probabilmente di ebrei che erano fuggiti in paesi conquistati in
seguito dai babilonesi. Questa conclusione è avvalorata dalla seguente dichiarazione di Giuseppe Flavio:
“Nel quinto anno dopo la distruzione di Gerusalemme, che era il ventitreesimo del suo regno,
Nabucodonosor fece una spedizione contro la Celesiria; e quando se ne fu impadronito, mosse guerra
contro gli ammoniti e i moabiti; e quando ebbe assoggettato tutte queste nazioni, attaccò l’Egitto, per
soggiogarlo”. — Antichità giudaiche, X, 181, 182 (ix, 7).
Conquistata Tiro. Qualche tempo dopo la caduta di Gerusalemme nel 607 a.E.V., Nabucodonosor iniziò
l’assedio di Tiro. Durante quell’assedio la testa dei suoi soldati fu “resa calva” a motivo dello sfregamento
degli elmi, e le loro spalle furono ‘scorticate’ a forza di portare materiali per costruire opere d’assedio.
Poiché Nabucodonosor non ricevette nessun “salario” per aver servito come strumento di Dio
nell’eseguire il giudizio contro Tiro, Geova promise di dargli la ricchezza dell’Egitto. (Ez 26:7-11; 29:17-
20; vedi TIRO). Un frammento di un testo babilonese, datato al 37° anno di Nabucodonosor (588 a.E.V.),
menziona infatti una campagna contro l’Egitto. (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard,
1974, p. 308) Non si può tuttavia stabilire se si tratti della conquista originale o di una successiva azione
militare.
Opere architettoniche. Oltre a conseguire numerose vittorie militari e a estendere l’impero babilonese in
adempimento della profezia (cfr. Ger 47–49), Nabucodonosor intraprese una notevole attività edilizia. Si
dice che Nabucodonosor abbia costruito i giardini pensili, considerati una delle sette meraviglie del
mondo antico, per accontentare la regina, che aveva nostalgia della Media. Molte delle iscrizioni
cuneiformi di Nabucodonosor giunte fino ai nostri giorni parlano delle sue opere architettoniche, fra cui la
costruzione di templi, palazzi e mura. Una di queste iscrizioni fra l’altro dice:
“Sono Nabucodonosor, re di Babilonia, restauratore dell’Esagila e dell’Ezida, figlio di Nabopolassar. A
protezione dell’Esagila, affinché nessun potente nemico e distruttore potesse prendere Babilonia, e la
linea di battaglia non si avvicinasse a Imgur-Bel, [edificai] le mura di Babilonia, ciò che nessun re
precedente aveva fatto; come recinzione per Babilonia feci un robusto muro di cinta sul lato orientale.
Scavai un fossato, raggiunsi il livello dell’acqua. Quindi vidi che il muro eretto da mio padre era troppo
piccolo in quanto a costruzione. Edificai con bitume e mattoni un possente muro che, come una
montagna, non si poteva spostare e lo collegai con il muro di mio padre; ne posi le fondamenta sul seno
del mondo sotterraneo; ne elevai la sommità come un monte. Lungo questo muro, per rafforzarlo, ne
costruii un terzo e alla base di un muro di protezione posi un fondamento di mattoni e lo costruii sul seno
del mondo sotterraneo e ne posi le fondamenta. Consolidai le fortificazioni dell’Esagila e di Babilonia e
stabilii il nome del mio regno per sempre”. — G. A. Barton, Archaeology and the Bible, 1949, pp. 478,
479.
Quanto precede è in armonia con la vanteria manifestata da Nabucodonosor poco prima di perdere
l’uso della ragione, allorché disse: “Non è questa Babilonia la Grande, che io stesso ho edificato per la
casa reale con la forza del mio potere e per la dignità della mia maestà?” (Da 4:30) Ma quando, in
adempimento del sogno di origine divina circa l’albero reciso, riacquistò l’uso della ragione,
Nabucodonosor dovette riconoscere che Geova sa umiliare quelli che camminano nell’orgoglio. — Da
4:37; vedi PAZZIA.
Molto religioso. Sembra che Nabucodonosor fosse estremamente religioso. Infatti eresse o abbellì i
templi di numerose divinità babilonesi. Era particolarmente devoto a Marduk, il principale dio di Babilonia.
A lui Nabucodonosor attribuiva il merito delle sue vittorie militari. Trofei di guerra, fra cui i sacri vasi del
tempio di Geova, sembra venissero deposti nel tempio di Marduk (Merodac). (Esd 1:7; 5:14) In
un’iscrizione di Nabucodonosor si legge: “A tua gloria, o eccelso MERODAC, ho eretto una casa. . . .
Possa accogliere al suo interno l’abbondante tributo dei re di nazioni e di tutti i popoli!” — Records of the
Past: Assyrian and Egyptian Monuments, Londra, 1875, vol. V, p. 135.
L’immagine d’oro eretta da Nabucodonosor nella pianura di Dura era forse dedicata a Marduk e
destinata a promuovere l’unità religiosa dell’impero. Infuriato perché Sadrac, Mesac e Abednego si erano
rifiutati di adorare l’immagine anche dopo aver ricevuto una seconda opportunità, Nabucodonosor ordinò
che fossero gettati in una fornace ardente riscaldata sette volte più del solito. Ma quando i tre ebrei
furono liberati dall’angelo di Geova, Nabucodonosor fu costretto a riconoscere: “Non esiste un altro dio
che possa liberare come questo”. — Da 3.
Sembra inoltre che Nabucodonosor facesse molto affidamento sulla divinazione nel decidere le sue
mosse strategiche. La profezia di Ezechiele, per esempio, diceva che il re di Babilonia avrebbe fatto
ricorso alla divinazione per decidere se muovere contro Rabba di Ammon o contro Gerusalemme. — Ez
21:18-23.

w86 15/4 13-15 Geova: il Dio di tempi e stagioni


18 Ci fu poi Nabucodonosor, re di Babilonia, il quale prese a vantarsi della sua potenza e delle sue
imprese, come se fosse un dio. Ma Daniele 4:31 dice che, “mentre la parola era ancora nella bocca del
re, una voce venne giù dai cieli: ‘Ti si dice, o Nabucodonosor il re: “Il regno stesso si è dipartito da te”’”.
Geova gli disse che sarebbe stato umiliato come una bestia del campo, finché non avesse capito, dice il
versetto 32 di Daniele 4, “che l’Altissimo domina sul regno del genere umano, e che egli lo dà a chi
vuole”. Ciò è esattamente quanto accadde al tempo stabilito da Geova.
19 L’ultimo re che governò Babilonia fu Baldassarre. Fu allora che giunse il tempo stabilito da Geova
perché quel colossale impero cadesse. Perché? Perché i babilonesi tenevano schiavo il popolo di Geova
e bestemmiavano Geova. Il quinto capitolo di Daniele spiega che Baldassarre fece un grande convito per
mille suoi funzionari. Poi Baldassarre “disse di portare i vasi d’oro e d’argento che Nabucodonosor suo
padre aveva portato via dal tempio [di Geova] che era in Gerusalemme, affinché vi bevessero il re e i suoi
grandi, le sue concubine e le sue mogli secondarie”. (Daniele 5:2, 3) Notate cosa fecero poi: “Bevvero
vino, e lodarono gli dèi d’oro e d’argento, di rame, di ferro, di legno e di pietra”. (Daniele 5:4) Bevendo dai
sacri utensili un tempo usati per l’adorazione di Geova, schernivano e bestemmiavano Geova. Adorando i
loro falsi dèi, adoravano Satana.
20 Comunque, in quel preciso istante si verificò un fatto straordinario. Apparvero le dita di una mano che
cominciarono a scrivere sul muro del palazzo! Il re ne fu talmente scosso che “il colore della sua
medesima faccia si cambiò in lui, e i suoi propri pensieri lo spaventavano, e le giunture dei suoi fianchi si
sciolsero e i suoi medesimi ginocchi battevano l’uno contro l’altro”. (Daniele 5:6) Neppure uno dei
consiglieri religiosi di Baldassarre poté spiegare lo scritto, per cui fu chiamato Daniele, servitore di Geova,
a interpretarlo. Daniele spiegò al re che il messaggio proveniva da Geova e che diceva questo: “Dio ha
contato i giorni del tuo regno e vi ha posto fine. . . . Sei stato pesato nella bilancia e sei stato trovato
mancante. . . . Il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani”. — Daniele 5:26-28.
21 Quella stessa notte gli eserciti medo-persiani invadevano la città entrando per le porte lasciate
sbadatamente aperte. Daniele 5:30 conclude dicendo: “In quella medesima notte Baldassarre . . . fu
ucciso”. La caduta di Babilonia permise al popolo di Geova di tornare in patria esattamente 70 anni dopo
l’inizio della cattività. Tutto ciò era in perfetta sincronia con la “tabella di marcia” di Geova, come predetto
in Geremia 29:10.
22 Nel I secolo, il re Erode Agrippa I fu l’ultimo governante della Palestina, diventata provincia romana.
Erode fece imprigionare l’apostolo Pietro e perseguitò altri cristiani. Fece persino uccidere l’apostolo
Giacomo. (Atti 12:1, 2) Inoltre organizzò sanguinari combattimenti fra gladiatori e altri spettacoli pagani.
Tutto questo smentiva la sua pretesa di essere un adoratore di Dio.
23 Poi, però, giunse il tempo stabilito da Dio per mettere a morte questo oppositore. Atti 12:21-23 ci dice:
“In un dato giorno Erode rivestì la veste reale e si mise a sedere sul tribunale e pronunciava loro un
discorso pubblico. A sua volta il popolo riunito gridava: ‘Voce di un dio e non d’un uomo!’” Che accadde
poi? La Bibbia dice: “Istantaneamente l’angelo di Geova lo colpì, perché non diede la gloria a Dio; ed
essendo roso dai vermi, spirò”. Ecco un altro esempio di come Geova “rimuove i re”, secondo quanto era
stato detto in Daniele 2:21.
24 Questi avvenimenti storici dimostrano che Geova ha stabilito tempi e stagioni per adempiere i suoi
propositi. Dimostrano anche che Lui ha indubbiamente la capacità e il potere di portare a compimento il
suo proposito di rendere questa terra un paradiso in cui “dimorerà la giustizia”. — II Pietro 3:13.

w88 1/12 11-13 Quando Geova impartì delle lezioni a certi re


Nabucodonosor impara chi è il vero Dio
6 Come mostra il profeta Isaia, i re di Babilonia erano uomini molto orgogliosi. (Isaia 14:4-23)
Nabucodonosor era anche un uomo molto religioso. Nei suoi scritti parlò dei “suoi progetti edili e della
sua attenzione per gli dèi di Babilonia”. Senza dubbio il fatto di aver conquistato Gerusalemme e tutto
Giuda dopo il tentativo disastrosamente fallito di Sennacherib dovette dargli alla testa.
7 Dopo che Daniele e i suoi tre compagni ebrei erano apparsi davanti a Nabucodonosor, egli aveva
sicuramente motivo di rispettare il loro Dio, perché “riguardo a ogni cosa di sapienza e di intendimento su
cui il re li interrogò, li trovò perfino dieci volte migliori di tutti i sacerdoti che praticavano la magia e gli
evocatori che erano in tutto il suo reame”. Sì, i saggi che avevano Geova come loro Dio eccellevano
straordinariamente su tutti quelli che adoravano altri dèi. Nabucodonosor non poté fare a meno di notarlo.
— Daniele 1:20.
8 Geova aveva dell’altro da insegnare al re Nabucodonosor. La lezione successiva è riportata nel
secondo capitolo di Daniele. Dio fece in modo che il re avesse un sogno terrificante e lo dimenticasse.
Questo sogno lasciò in grande agitazione il monarca babilonese, che convocò tutti i suoi saggi perché
glielo narrassero e glielo interpretassero. Naturalmente essi non furono in grado di rivelargli il sogno e
tanto meno la sua interpretazione, ammettendo dunque tacitamente di non possedere nessuna speciale
conoscenza. Il re si infuriò a tal punto che ordinò che fossero tutti messi a morte. Quando Daniele e i suoi
compagni furono informati del decreto del re, Daniele chiese e ottenne che gli fosse concesso del tempo.
Quindi lui e i suoi tre compagni pregarono fervidamente al riguardo, col risultato che Geova rivelò a
Daniele il sogno e il suo significato. — Daniele 2:16-20.
9 Quando Daniele fu condotto dinanzi al re, Nabucodonosor gli chiese: “Sei abbastanza competente da
farmi conoscere il sogno che ho visto, e la sua interpretazione?” Dopo aver ricordato al superbo monarca
che i suoi saggi non erano stati in grado di narrargli il segreto del suo sogno e della sua interpretazione,
Daniele disse: “Tuttavia, esiste un Dio nei cieli che è il Rivelatore dei segreti, ed egli ha fatto conoscere al
re Nabucodonosor ciò che deve avvenire nella parte finale dei giorni”. Proseguendo, Daniele parlò al re
della gigantesca immagine che egli aveva sognato e gliene spiegò il significato. Il re rimase così colpito
che dichiarò: “Veramente il vostro Dio è un Dio di dèi e un Signore di re e un Rivelatore di segreti, perché
hai potuto rivelare questo segreto”. Così Geova insegnò a Nabucodonosor che Egli è il solo vero Dio. —
Daniele 2:26, 28, 47.
10 Sebbene Nabucodonosor rimanesse senza dubbio colpito dalla conoscenza e dalla sapienza dell’Iddio
degli ebrei, aveva ancora molto da imparare. Nel suo orgoglio, fece erigere nella pianura di Dura una
grande immagine d’oro. L’immagine era alta 60 cubiti e larga 6, cosa che ci fa venire in mente il numero
666 che contrassegna la “bestia selvaggia” di Satana menzionata in Rivelazione 13:18. (Dato che un
cubito equivaleva a quasi mezzo metro, l’immagine era alta circa 27 metri e larga circa 2 metri e 70
centimetri). Il re ordinò a tutti i funzionari del suo reame di venire “all’inaugurazione dell’immagine” e
comandò che al suono di un’orchestra tutti si prostrassero e adorassero l’immagine. Alcuni funzionari
caldei invidiosi, notando che i tre ebrei presenti non partecipavano alla cerimonia, li denunciarono al re.
— Daniele 3:1, 2.
11 Questa era una questione molto seria per Nabucodonosor, il quale una volta si era vantato di essere
“colui che aveva messo in bocca al popolo la riverenza per i grandi dèi”. Perciò questo costituiva
un’offesa sia per la maestà imperiale di Nabucodonosor che per il suo fervore religioso. Reagendo con ira
e furore, l’altezzoso monarca diede ai tre ebrei un’altra opportunità, ma con questo ultimatum: “Se non
adorerete, in quello stesso momento sarete gettati nella fornace di fuoco ardente. E chi è quel dio che vi
può liberare dalle mie mani?” Ebbene, Nabucodonosor doveva scoprire che il loro Dio era realmente in
grado di liberare i Suoi servitori dalla mano di un semplice monarca, e che non esiste un altro dio che
abbia la capacità di liberare come l’Iddio degli ebrei. — Daniele 3:15.
Il sogno dell’albero
12 Che effetto avrebbe avuto su di voi imparare queste lezioni? A quanto pare queste tre lezioni non
furono sufficienti per far capire a Nabucodonosor il bisogno di essere umile. Così Geova dovette
impartirgli un’altra lezione ancora. Anche questa volta si trattò di un sogno, e di nuovo nessuno dei saggi
di Babilonia fu in grado di interpretarlo. Infine fu convocato Daniele, che fu in grado di spiegare al re il
significato del sogno, e cioè che per sette anni egli sarebbe vissuto come “le bestie della campagna”,
dopo di che avrebbe riacquistato l’uso della ragione. — Daniele 4:1-37.
13 Da ciò che accadde in seguito, è abbastanza evidente che il sogno non ebbe su Nabucodonosor
l’effetto sperato. Infatti, circa un anno dopo, mentre il re passeggiava nel suo palazzo, si vantò dicendo
con orgoglio: “Non è questa Babilonia la Grande, che io stesso ho edificato per la casa reale con la forza
del mio potere e per la dignità della mia maestà?” Che presunzione! Fu così che in quello stesso istante
si udì una voce dal cielo che diceva al superbo governante che il suo regno gli sarebbe stato tolto e che
lui avrebbe dimorato con le bestie della campagna per sette tempi, “finché tu conosca che l’Altissimo
domina sul regno del genere umano”. — Daniele 4:30-32.
14 Dopo che Nabucodonosor ebbe vissuto come un animale per quei sette tempi, o anni, Geova gli
restituì il lume della ragione ed egli dovette ammettere che ‘non esiste nessuno che possa fermare la
mano dell’Altissimo o che gli possa dire: “Che cosa hai fatto?”’ Oltre a questo, il governante babilonese
mostrò di aver imparato meglio la lezione, dicendo: “Ora io, Nabucodonosor, lodo ed esalto e glorifico il
Re dei cieli, perché tutte le sue opere sono verità e le sue vie sono giustizia, e perché può umiliare quelli
che camminano nell’orgoglio”, come il re aveva fatto. Tutte queste testimonianze di come Geova risolse
ripetutamente la questione della sovranità non sono esse stesse prove indirette che questi racconti non
sono frutto dell’immaginazione di qualcuno, ma l’opera di uno scrittore ispirato da Dio che mise per
iscritto storia vera? — Daniele 4:35, 37.

Nadab (n.1) --- Tema: Chi abusa dei privilegi incorre nel disfavore di Geova ECCLESIASTE 5:8

it-2 360
NADAB (Nàdab) [volenteroso; nobile; generoso].
1. Figlio primogenito di Aaronne ed Eliseba. (Eso 6:23; 1Cr 6:3) Nadab nacque in Egitto e partecipò con
Israele al grande Esodo. Insieme ad Abiu, suo fratello più giovane, e ad altri 70 israeliti, fu invitato a salire
con Aaronne e Mosè sul Sinai, dove ebbe una visione di Geova. (Eso 24:1, 9-11) Nadab e i suoi tre
fratelli furono insediati come sacerdoti insieme al padre. (Eso 28:1; 40:12-16) Tuttavia non passò un
mese che Nadab e Abiu abusarono del loro incarico offrendo fuoco illegittimo. Non è detto cosa avesse
reso illegittimo quel fuoco, ma probabilmente non si era trattato di un semplice stato di ubriachezza
(come potrebbe indicare l’immediato divieto imposto ai sacerdoti di bere vino o altri alcolici mentre
svolgevano le loro mansioni). L’ebbrezza però può aver contribuito alla loro trasgressione. A motivo di
questa furono uccisi da fuoco mandato da Geova, e i loro cadaveri furono portati fuori
dell’accampamento. (Le 10:1-11; Nu 26:60, 61) Nadab e Abiu morirono senza figli, lasciando i loro fratelli
Eleazaro e Itamar come capostipiti delle due case sacerdotali. — Nu 3:2, 4; 1Cr 24:1, 2.

g70 8/9 27-9


Nadab e Abiu: Esempi ammonitori “La tua parola è verità”
I NOMI di Nadab e Abiu non sono tra i nomi biblici meglio conosciuti. A parte il fatto che sono elencati
nelle genealogie delle Scritture, essi sono menzionati solo in relazione a tre brevi episodi. Ma questi
pochi episodi sono sufficienti a rendere significativo il loro racconto scritturale per tutti quelli che si
interessano di piacere a Geova Dio e ottenere la vita eterna.
Nadab e Abiu, insieme a Eleazaro e Itamar, erano figli del primo sommo sacerdote d’Israele, Aaronne
fratello del profeta Mosè. Come figli di Aaronne condivisero il suo onore, poiché erano suoi assistenti
sacerdotali. E Nadab, il primogenito, era il prossimo nella linea di successione quale sommo sacerdote
dopo la morte di suo padre. — Eso. 28:1.
Tanto per cominciare, Nadab e Abiu furono specialmente favoriti conoscendo Geova Dio in modo
incomparabile al principio del viaggio d’Israele nel deserto. Furono inclusi quando Dio invitò Mosè,
Aaronne e settanta “anziani” d’Israele a incontrarlo sul monte Sinai. Quindi questi “uomini distinti . . .
ebbero una visione del vero Dio e mangiarono e bevvero”. Lì Nadab e Abiu ebbero dunque l’onore
d’essere fra i molto più anziani “uomini distinti” d’Israele. — Eso. 24:1-11.
L’anno seguente Aaronne e i suoi quattro figli furono insediati quali sacerdoti, in un’imponente cerimonia
a cui assistette tutto Israele. Questo fece di nuovo avere a Nadab e Abiu, nonché ai loro fratelli e al loro
padre, insolita preminenza. Quindi tutt’e cinque dovettero rimanere all’ingresso della tenda di adunanza
per sette giorni. L’ottavo giorno essi cominciarono ad agire come sacerdoti, offrendo sacrifici a favore
d’Israele. — Lev. 8:1–9:24.
Evidentemente prima che quell’ottavo giorno fosse finito Nadab e Abiu agirono di loro propria iniziativa.
Consideravano essi alla leggera queste solenni attività, o tutta questa importanza era loro andata alla
testa, facendoli agire con superbia e ambizione? Presuntuosamente “Nadab e Abiu . . . presero e
portarono ciascuno il suo portafuoco e vi misero del fuoco e vi posero sopra dell’incenso, e offrivano
dinanzi a Geova fuoco illegittimo, che egli non aveva loro prescritto. A ciò un fuoco uscì d’innanzi a
Geova e li consumò”. — Lev. 10:1, 2.
Che prezzo pagarono per non aver apprezzato la loro posizione! Evidentemente si sentirono come tanti
giovani d’oggi, che pensano di sapere più dei padri e di non avere quindi bisogno di rivolgersi a loro per
avere guida e istruzione e ricevere direttiva. Ovviamente Nadab e Abiu furono anche privi d’amore e di
rispetto per il loro padre, altrimenti avrebbero notato la sua riverenza per l’adorazione di Geova e non
avrebbero mai nemmeno pensato di offrire incenso che Dio non aveva loro prescritto.
Può darsi benissimo che alla loro mancanza di rispetto per i seri aspetti del loro servizio sacerdotale
contribuisse il bere vino o altra bevanda simile in quel tempo. Questo poté farli sentire leggeri e indurli a
fare qualche cosa di così presuntuoso e avventato come l’offerta di fuoco illegittimo. Almeno questo pare
sia implicito nelle istruzioni che Geova diede ad Aaronne poco dopo questo episodio: “Non bere vino né
bevanda inebriante, tu e i tuoi figli con te, quando entrate nella tenda di adunanza, affinché non moriate.
È uno statuto a tempo indefinito per le vostre generazioni, sia per fare una distinzione fra la cosa santa e
la profana e fra la cosa impura e la pura, sia per insegnare ai figli d’Israele tutti i regolamenti che Geova
ha proferito loro per mezzo di Mosè”. — Lev. 10:8-11.
Giacché l’apostolo Paolo ci assicura che “queste cose accadevano loro come esempi, e furono scritte
per avvertimento a noi sui quali sono arrivati i termini dei sistemi di cose”, che cosa possiamo imparare
dalla condotta di Abiu? — 1 Cor. 10:11.
Parecchie cose. Anzitutto, si potrebbe dire ci sia l’implicito avvertimento per tutti i figli primogeniti di non
stimarsi troppo. È molto probabile che Nadab il primogenito prendesse l’iniziativa a questo riguardo. Tra
altri figli primogeniti che non finirono bene ci furono Caino, primogenito di Adamo; Esaù, primogenito
d’Isacco; Ruben, primogenito di Giacobbe e Amnon, primogenito del re Davide.
In questo racconto c’è anche una lezione per tutti i giovani di mostrare rispetto ai loro anziani, di
rivolgersi loro per avere guida, specialmente se tali genitori temono Dio. I giovani dovrebbero badare che
non sorga fra loro e i genitori e altri anziani il “divario delle generazioni”, poiché questo divario
contribuisce a farli agire male. La Parola di Dio consiglia chiaramente: “Onora tuo padre e tua madre”.
“Osserva, o figlio mio, il comandamento di tuo padre, e non abbandonare la legge di tua madre”. Certo se
Nadab e Abiu avessero avuto questa attitudine mentale riguardo al loro padre non sarebbero finiti in
rovina. — Eso. 20:12; Prov. 6:20.
In questo racconto è contenuto un avvertimento anche contro la presunzione, poiché illustra il principio:
“È venuta la presunzione? Quindi verrà il disonore”. (Prov. 11:2) Se siamo favoriti con speciali privilegi o
riceviamo insolita preminenza, non dobbiamo lasciare che questo ci dia un’opinione troppo alta di noi
stessi. Spesso tali persone vogliono dire ai loro superiori quello che dovrebbero fare invece di apprezzare
modestamente il bisogno di guida.
E infine c’è l’avvertimento del pericolo d’essere indebitamente influenzati dalle bevande alcoliche. È
vero, la Bibbia ci dice che un dono di Dio è il vino che “fa rallegrare il cuore dell’uomo mortale”, e che
dobbiamo dare “vino a quelli che hanno l’animo amaro”. Ci è pure detto che un po’ di vino fa bene per i
disturbi di stomaco e altri mali. — Sal. 104:15; Prov. 31:6; 1 Tim. 5:23.
Ma è saggio prendere vino o qualche altra bevanda alcolica quando si hanno seri compiti da svolgere,
quando c’è bisogno di pensare chiaramente e d’avere fermo dominio di tutte le proprie facoltà fisiche e
mentali? Il dott. M. A. Block, esperto sull’effetto dell’alcool sul corpo, dice che “l’alcool toglie da uno stato
di realtà per mettere in uno stato di mente più piacevole e desiderabile”, e che “con l’alcool nel sangue
l’automobilista può pensare di far meglio quando in effetti fa peggio”. — Vital Speeches of the Day, 15
settembre 1969.
Sì, le bevande alcoliche stimolano le emozioni e indeboliscono i processi mentali. Non senza buona
ragione il saggio re Salomone osservò: “Il vino [usato in eccesso] è schernitore, la bevanda inebriante è
tumultuosa, e chiunque ne è sviato non è saggio”. Perciò i cristiani devono stare attenti sia all’occasione
che alla quantità di tali bevande che prendono. E sarebbe prudente non prendere tali bevande poco
prima di impegnarsi nel ministero o nel corso d’esso, evitando così inutile trasgressione. — Prov. 20:1.
In realtà c’è molto da imparare dagli esempi ammonitori di Nadab e Abiu contenuti nella Parola di Dio, la
Bibbia.

w84 1/4 25 Levitico: un invito a praticare la santa adorazione di Geova


⌠ 10:1, 2 — In che cosa poté consistere questo peccato?
Quando Nadab e Abiu si presero queste indebite libertà, può darsi che fossero sotto l’effetto dell’alcool.
Ciò è probabile, dal momento che subito dopo Geova vietò ai sacerdoti di bere vino o bevanda inebriante
quando prestavano servizio nel tabernacolo. Ma il vero motivo della morte di Nadab e Abiu fu il fatto che
avevano offerto “fuoco illegittimo, che [Geova] non aveva loro prescritto”. (Levitico 10:1-11) Questo
episodio mostra che oggi i servitori responsabili di Geova devono conformarsi alle esigenze divine e che
non possono assolvere i doveri affidati loro da Dio mentre sono sotto l’effetto di bevande alcoliche.

Natan (n.2) --- Tema: Non trattenetevi dal correggere chi ne ha bisogno GALATI 6:1

it-2 362-3
NATAN (Nàtan) [[Dio] ha dato].
2. Profeta di Geova durante il regno di Davide; forse della tribù di Levi. Quando il re parlò al profeta Natan
del suo desiderio di costruire un tempio per l’adorazione di Geova, egli rispose: “Tutto ciò che è nel tuo
cuore, va, fallo”. (2Sa 7:1-3; 1Cr 17:1, 2) Ma quella notte Geova informò Natan che anziché essere
Davide a costruire un tempio, sarebbe stato Geova a edificare per Davide una casa durevole, e che in
seguito un discendente di Davide avrebbe costruito la casa di Geova. Così, per mezzo di Natan, Geova
annunciò a Davide un patto per un regno “a tempo indefinito” nella sua discendenza. — 2Sa 7:4-17; 1Cr
17:3-15.
Successivamente Natan fu inviato da Geova a mettere in evidenza sia l’enormità del peccato commesso
da Davide contro Uria l’ittita riguardo a Betsabea sia la relativa punizione divina. Egli lo fece con tatto ma
vigorosamente, mediante un’illustrazione. In tal modo Davide fu spinto a esprimere inconsapevolmente e
senza preconcetti il suo giudizio personale su un’azione del genere. Quindi Natan gli disse: “Tu stesso sei
l’uomo!” Poi espresse il giudizio di Geova su Davide e sulla sua casa. — 2Sa 12:1-18; vedi anche Sl
51:sopr.
Col tempo a Davide e Betsabea nacque un secondo figlio, che fu chiamato Salomone. Geova amava
quel bambino; perciò mandò il profeta Natan che, “per amore di Geova”, chiamò il bambino Iedidia, che
significa “diletto di Iah”. (2Sa 12:24, 25) Negli ultimi giorni della vita di Davide, quando Adonia tentò di
usurpare il trono, Natan fece i passi necessari per portare la cosa all’attenzione di Davide, dopo di che
prese parte all’unzione e all’insediamento di Salomone quale re. — 1Re 1:5-40.
Sembra che Natan, insieme a Gad, abbia consigliato a Davide come collocare opportunamente gli
strumenti musicali impiegati in relazione al santuario. (2Cr 29:25) Natan e Gad furono evidentemente
coloro che misero per iscritto le informazioni contenute negli ultimi capitoli di 1 Samuele e in tutto 2
Samuele. (1Cr 29:29) “Fra le parole di Natan il profeta” è inclusa anche la narrazione “dei fatti di
Salomone”. — 2Cr 9:29.
Questo Natan potrebbe essere il padre di Azaria e Zabud, che ebbero posizioni importanti durante il
regno di Salomone. Azaria era un principe preposto ai delegati, mentre Zabud prestava servizio come
sacerdote e consigliere del re, di cui era intimo amico. — 1Re 4:1, 5.

W 69 pag. 697-8

Natanaele --- Tema: Mantenetevi liberi da inganno 1°PIETRO 2:1

it-2 363-4
NATANAELE (Natanaèle) [da un nome ebraico che significa “Dio ha dato”].
Nome, si presume, di Bartolomeo, uno dei dodici apostoli di Gesù. Bartolomeo, che significa “figlio di
Tolmai”, era un patronimico (cioè un nome derivato da quello del padre). L’apostolo Giovanni usa il nome
Natanaele, mentre Matteo, Marco e Luca lo chiamano Bartolomeo. Essi menzionano Filippo e
Bartolomeo insieme, proprio come fa Giovanni parlando di Filippo e di Natanaele. (Mt 10:3; Mr 3:18; Lu
6:14; Gv 1:45, 46) Non era insolito essere conosciuti con più nomi. Per esempio “Simone, il figlio di
Giovanni”, era chiamato anche Cefa e Pietro. (Gv 1:42) Non era dunque strano che Natanaele fosse
chiamato Bartolomeo, o “figlio di Tolmai”, così come un altro era chiamato semplicemente Bartimeo, cioè
“figlio di Timeo”. (Mr 10:46) I due nomi, Natanaele e Bartolomeo, sono usati scambievolmente da scrittori
cristiani dei secoli successivi.
Natanaele era originario di Cana di Galilea. (Gv 21:2) Cominciò a seguire Gesù all’inizio del suo
ministero. Filippo, dopo aver accettato l’invito di Gesù, “Sii mio seguace”, cercò immediatamente il suo
amico Natanaele e gli disse: “Vieni e vedi” il Messia. Natanaele chiese: “Può qualcosa di buono venire da
Nazaret?” Tuttavia accolse l’invito. Gesù, vedendolo avvicinarsi, osservò: “Ecco per certo un israelita, in
cui non c’è inganno”. Natanaele doveva essere un uomo eccezionale se Gesù fece una dichiarazione del
genere. Poiché Gesù disse questo e affermò di averlo visto sotto il fico prima che Filippo lo chiamasse,
Natanaele confessò che Gesù era senz’altro “il Figlio di Dio, . . . il Re d’Israele”. Gesù gli assicurò che
avrebbe visto “cose più grandi di queste”. — Gv 1:43-51.
Essendo uno dei dodici, Natanaele rimase sempre insieme a Gesù durante tutto il suo ministero, e fu
addestrato per il servizio futuro. (Mt 11:1; 19:25-28; 20:17-19, 24-28; Mr 4:10; 11:11; Gv 6:48-67) Dopo la
morte e la risurrezione di Gesù, Natanaele e altri apostoli tornarono a dedicarsi alla pesca, e una mattina,
mentre si avvicinavano con la barca alla riva, Gesù li chiamò. Natanaele, a differenza di Pietro, rimase
nella barca finché giunse a riva, e poi fece colazione con gli altri e assisté all’importante conversazione
fra Gesù e Pietro. (Gv 21:1-23) Era presente insieme agli altri apostoli anche quando si radunavano per
pregare e il giorno di Pentecoste. — At 1:13, 14; 2:42.

w80 15/1 24-5 Natanaele, un uomo senza inganno


SAREBBE stato senz’altro un grande onore per un uomo essere definito un vero israelita in cui non è
nessun inganno. Sarebbe stato un onore ancor maggiore se queste parole di encomio fossero state
pronunciate da qualcuno il cui giudizio era ritenuto di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altro
uomo. Natanaele, chiamato anche Bartolomeo, fu altamente onorato proprio in questo modo. Fu
addirittura il Figlio di Dio a dire di lui: “Ecco di certo un israelita, in cui non è nessun inganno”. — Giov.
1:47.
Gesù Cristo disse queste parole prima che Natanaele divenisse uno dei dodici apostoli. Secondo il
racconto scritto dall’apostolo Giovanni, Gesù aveva invitato Filippo a essere suo seguace. A sua volta
Filippo cercò l’amico Natanaele, annunciandogli la gioiosa notizia: “Abbiamo trovato colui del quale
scrissero Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret”. — Giov. 1:45.
A Natanaele sembrava incredibile. Egli rispose: “Può qualche cosa di buono venire da Nazaret?” (Giov.
1:46a) Senza dubbio conosceva le seguenti parole della profezia di Michea: “Tu, o Betleem Efrata, quella
troppo piccola per essere fra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che deve divenire il dominatore in
Israele, la cui origine è dai primi tempi, dai giorni del tempo indefinito”. (Mic. 5:2) Perciò non gli sarebbe
stato facile accettare immediatamente il fatto che il Messia fosse collegato con la vicina Nazaret di
Galilea. Con la sua domanda Natanaele voleva dire che quella città non aveva nulla di speciale per
ritenerla un luogo da cui aspettarsi qualcosa di veramente buono. Pertanto Nazaret non poteva certo
essere la città da cui sarebbe venuto colui del quale parlavano la Legge e i Profeti.
Filippo non si mise a discutere con Natanaele su questo punto, ma gli disse: “Vieni e vedi”.
Lodevolmente, Natanaele non lasciò che il suo pregiudizio gli impedisse di accertarsene con mente
aperta, ma accettò l’invito dell’amico. Non appena vide Natanaele, Gesù disse: “Ecco di certo un Israelita,
in cui non è nessun inganno”. (Giov. 1:46b, 47) Sebbene tutti i discendenti di Giacobbe siano israeliti, non
tutti gli israeliti sono tali nel vero senso della parola. Il nome “Israele” significa “colui che contende
[persiste] con Dio”, e venne dato a Giacobbe dopo che ebbe lottato con un angelo per ottenerne una
benedizione. A differenza del fratello Esaù, Giacobbe apprezzava le cose sacre, ed era disposto a
sforzarsi vigorosamente per ottenere il favore di Dio. (Gen. 32:22-28; Ebr. 12:16) Da vero israelita, quindi,
Natanaele aveva fede e apprezzamento per le promesse divine. Era israelita non semplicemente per
nascita, ma di fatto, veramente, manifestando lo stesso attaccamento alla volontà di Dio del suo antenato
Giacobbe. In Natanaele non c’era nulla di ingannevole, insincero o ambiguo. Agli occhi di Gesù Cristo era
un uomo retto.
Come reagì Natanaele? Replicò con una domanda: “Come fai a conoscermi?” Sì, che motivo aveva
Gesù per fare un’affermazione del genere? Ecco la risposta del Figlio di Dio: “Prima che Filippo ti
chiamasse, mentre eri sotto il fico, io ti vidi”. (Giov. 1:48) Immediatamente Natanaele capì. Doveva
esserci qualcosa nel motivo per cui si trovava sotto il fico che provava che egli era un vero israelita senza
inganno. Le parole di Gesù costituivano perciò una testimonianza personale rivolta a lui, a conferma che
chi parlava era dotato di conoscenza miracolosa. Non sappiamo se Natanaele fosse occupato nella
meditazione privata o nella preghiera sotto i rami di quell’albero. Tuttavia la circostanza del fico doveva
essere tale che, nella mente di Natanaele, forniva una valida ragione per quello che gli aveva detto il
Figlio di Dio.
La profondità delle parole di Gesù fugò ogni dubbio dalla mente e dal cuore di Natanaele. Con piena
fede dichiarò: “Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d’Israele”. — Giov. 1:49.
Da quel momento in poi Natanaele vide adempiersi le successive parole di Gesù Cristo: “Perché ti ho
detto che ti vidi sotto il fico, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste”. (Giov. 1:50) A una festa nuziale
nella sua città natale, Cana di Galilea, Natanaele fu testimone del primo miracolo di Gesù, quando questi
mutò l’acqua in ottimo vino. (Giov. 2:1-11; 21:2) Insieme agli altri undici in seguito costituiti apostoli,
Natanaele vide Gesù guarire malati, espellere demòni e persino destare morti. Come gli altri apostoli,
Natanaele ricevette il potere di compiere miracoli e di partecipare alla proclamazione dell’elettrizzante
notizia: “Il regno dei cieli si è avvicinato”! (Matt. 10:1-8) Inoltre Natanaele trasse beneficio
dall’insegnamento e dall’addestramento impartiti da Gesù Cristo nel corso del suo ministero terreno.
Come lesse il cuore di Natanaele, così il Figlio di Dio conosce i veri motivi di tutti quelli che oggi si
professano suoi discepoli. (Riv. 2:23) Sforziamoci quindi di essere persone senza inganno e così, come
Natanaele, potremo vedere cose più grandi di quelle che vedemmo quando per la prima volta
confessammo la nostra fede in Geova Dio e nel suo Figlio.

Nebuzaradan --- Tema: La parola di Geova non viene mai meno GIOSUÈ 23:14

it-2 374
NEBUZARADAN (Nebuzaradàn) [da un nome babilonese che significa “Nebo ha dato progenie”].
Capo della guardia del corpo e figura di primo piano dell’esercito di Nabucodonosor durante l’effettiva
distruzione di Gerusalemme nel 607 a.E.V. Sembra che Nebuzaradan non fosse presente all’assedio
iniziale di Gerusalemme, dato che “venne a Gerusalemme” circa un mese più tardi, dopo che il re
Sedechia era stato condotto alla presenza di Nabucodonosor e accecato. — 2Re 25:2-8; Ger 39:2, 3;
52:6-11.
Dall’esterno Nebuzaradan diresse le operazioni di demolizione della città, che iniziarono “il settimo
giorno del mese” (il quinto mese, ab); in quell’occasione i tesori del tempio furono portati via, le mura
abbattute, i prigionieri condotti in esilio: furono lasciati rimanere solo alcuni dei più miseri. (2Re 25:8-20;
Ger 39:8-10; 43:5, 6; 52:12-26) Tre giorni dopo, il decimo giorno del mese, Nebuzaradan a quanto pare
“entrò a Gerusalemme” e, dopo un’ispezione, appiccò il fuoco alla casa di Geova e ridusse la città in
cenere. (Ger 52:12, 13) Giuseppe Flavio osserva che nello stesso giorno, il decimo giorno del quinto
mese, in cui era stato incendiato il tempio di Salomone, nel 70 E.V. venne incendiato anche il tempio
ricostruito da Erode. — Guerra giudaica, VI, 250 (iv, 5); VI, 268 (iv, 8); vedi AB.
Nebuzaradan, per ordine di Nabucodonosor, rimise in libertà Geremia, gli parlò in tono amichevole
lasciandogli scegliere cosa voleva fare, si offrì di occuparsi di lui e gli diede delle provviste. Nebuzaradan
rappresentò il re di Babilonia anche nella nomina di Ghedalia a governatore dei superstiti. (2Re 25:22;
Ger 39:11-14; 40:1-7; 41:10) Circa cinque anni dopo, nel 602 a.E.V., Nebuzaradan portò in esilio altri
ebrei, probabilmente quelli che erano fuggiti nei paesi circostanti. — Ger 52:30.

W 65 pag: 223-4

Neemia (n.3) --- Tema: Siate esempi per il gregge 1° PIETRO 5:1, 3

it-2 375-7
NEEMIA (Neemìa) [Iah conforta].
3. Figlio di Acalia e fratello di Hanani; coppiere del re persiano Artaserse (Longimano) e poi governatore
degli ebrei: fu lui a dirigere la ricostruzione delle mura di Gerusalemme e a scrivere il libro biblico che
porta il suo nome. — Ne 1:1, 2, 11; 2:1; 5:14, 16.
Durante il 20° anno di Artaserse, nel mese di chi slev (novembre-dicembre), Neemia, che si trovava nel
castello di Susa, ricevette la visita di suo fratello Hanani e di altri uomini giunti da Giuda, i quali, da lui
interrogati, gli riferirono la triste situazione degli ebrei e gli dissero che le mura e le porte di Gerusalemme
erano ancora in rovina. Neemia si commosse fino alle lacrime. Per giorni fece cordoglio, digiunando e
pregando di continuo. Confessò il peccato di Israele e, in base alle parole che Dio aveva detto a Mosè
(De 30:1-4), supplicò Geova di ‘renderlo oggetto di pietà’ davanti al re Artaserse, affinché il suo piano di
ricostruire le mura di Gerusalemme potesse avere successo. — Ne 1.
In seguito, nel mese di nisan (marzo-aprile), le preghiere di Neemia furono esaudite. Il re notò che il suo
volto era abbattuto e gliene chiese la ragione. Neemia allora lo informò della triste situazione esistente a
Gerusalemme. Quando gli fu chiesto cosa cercasse di ottenere, Neemia, rivoltosi immediatamente in
preghiera a Dio, chiese al re il permesso di tornare a Gerusalemme per ricostruire la città. La richiesta fu
accolta. Inoltre Neemia ricevette dal re lettere che gli consentivano di attraversare liberamente i territori
sotto la giurisdizione dei governatori a O dell’Eufrate e anche di procurarsi il legname necessario per la
costruzione. Partì per Gerusalemme accompagnato da comandanti militari e cavalieri. — Ne 2:1-9.
Ricostruite le mura di Gerusalemme. Neemia, che da tre giorni si trovava a Gerusalemme all’insaputa
di tutti tranne dei pochi che erano con lui, ispezionò nottetempo la città. Mentre gli altri erano a piedi, egli
cavalcava forse un cavallo o un asino. Arrivato in un punto in cui le rovine ostruivano il passaggio,
Neemia scese e proseguì a piedi. — Ne 2:11-16.
Completata l’ispezione, Neemia rivelò il suo piano agli ebrei, facendo notare loro che nella faccenda
c’era la mano di Geova. Incoraggiati, essi risposero: “Leviamoci, e dobbiamo edificare”. Nonostante le
parole di scherno dell’oronita Sanballat, dell’ammonita Tobia e dell’arabo Ghesem, i lavori di ricostruzione
iniziarono verso il 4 ab (luglio-agosto). — Ne 2:17-20; cfr. Ne 6:15.
Mentre il lavoro procedeva, Sanballat e Tobia continuavano a deridere e a schernire gli sforzi degli ebrei
per ricostruire le mura di Gerusalemme. Neemia menzionò questo fatto in preghiera, “e il popolo continuò
ad avere a cuore il lavoro”. Quando le mura raggiunsero metà dell’altezza prevista, Sanballat, Tobia e i
popoli vicini intensificarono l’opposizione al punto di coalizzarsi per combattere contro Gerusalemme.
Neemia ne fu ripetutamente informato dagli ebrei che abitavano nei pressi della città. Ancora una volta
Neemia manifestò in preghiera la sua fiducia in Geova. Per affrontare la critica situazione armò gli operai,
dispose che altri uomini facessero la guardia e organizzò un sistema di allarme. Neemia non si svestiva
neanche di notte, evidentemente per essere pronto a combattere nel caso che la guardia desse l’allarme.
— Ne 4.
Per quanto la situazione fosse pressante, Neemia non era talmente occupato da non tener conto delle
proteste degli ebrei. Sentendo che si lamentavano a motivo dei gravosi interessi che erano costretti a
pagare, egli rimproverò i nobili e i governanti delegati, tenne una grande assemblea e, dopo aver
denunciato questa grave situazione, ordinò che vi si ponesse rimedio. — Ne 5:1-13.
I nemici tentarono poi di fermare i lavori di ricostruzione. Quattro volte cercarono di distogliere Neemia
dall’impresa, ma egli li informò che non poteva assentarsi da quella grande opera. Allora Sanballat inviò
una lettera aperta che conteneva false accuse e invitava Neemia a incontrarsi con loro. Neemia rispose:
“Cose come quelle che tu dici non sono state compiute, ma le inventi dal tuo proprio cuore”. Ricorrendo a
un altro stratagemma ancora, Tobia e Sanballat assoldarono un ebreo per spaventare Neemia e fargli
commettere l’errore di nascondersi nel tempio. Ma Neemia non cedette alla paura, e l’opera di
ricostruzione fu portata a termine con successo il 25° giorno di elul (agosto-settembre), in soli 52 g iorni.
Comunque Tobia continuò a inviare a Neemia lettere intimidatorie. — Ne 6.
Completate le mura, Neemia si accinse a organizzare il servizio del tempio. Poi affidò il comando della
città a due uomini, uno dei quali era suo fratello Hanani. Neemia diede pure disposizioni relative
all’apertura, alla chiusura e alla sorveglianza delle porte della città. — Ne 7:1-3.
Registrazione genealogica. A quel tempo la popolazione di Gerusalemme era abbastanza esigua.
Sembra che questa fosse la ragione per cui Dio mise in cuore a Neemia di radunare i nobili, i governanti
delegati e il popolo affinché si iscrivessero nei registri genealogici, in quanto quelle informazioni
avrebbero potuto essere usate per incrementare la popolazione di Gerusalemme. Pare che proprio
mentre era intento a soprintendere a quella registrazione genealogica, Neemia abbia trovato il registro
degli esiliati che erano tornati da Babilonia con Zorobabele. — Ne 7:4-7.
Ripristinata l’osservanza della Legge. Probabilmente per ordine di Neemia si tenne un’assemblea nella
pubblica piazza presso la Porta delle Acque. Anche se fu soprattutto il sacerdote Esdra a insegnare la
Legge, Neemia pure vi prese parte. (Ne 8:1-12) Poi fu tenuta per otto giorni la festa delle capanne. Due
giorni dopo gli israeliti si radunarono nuovamente. Durante questa assemblea fu fatta una confessione
generale dei peccati di Israele, e fu redatto un documento con la confessione scritta. Questo documento,
o “disposizione degna di fede”, fu autenticato dai principi, dai leviti e dai sacerdoti. Neemia, il “Tirsata
[governatore]”, fu il primo ad autenticarlo imprimendovi il sigillo. (Ne 8:13–10:1) Tutto il popolo si impegnò
a non contrarre matrimoni misti con stranieri, a osservare i sabati e a sostenere il servizio del tempio.
Quindi venne scelta a sorte una persona su dieci perché risiedesse a Gerusalemme in modo
permanente. — Ne 10:28–11:1.
Vennero poi inaugurate le mura di Gerusalemme. Per l’occasione Neemia dispose che due grandi cori
di rendimento di grazie e processioni facessero il giro delle mura in direzioni opposte. Così avvenne e
tutti si incontrarono presso il tempio per offrire sacrifici. Alcuni uomini inoltre furono incaricati di occuparsi
delle contribuzioni per i sacerdoti e i leviti. — Ne 12:27-47.
Circa 12 anni dopo, nel 32° anno di Artaserse, Ne emia lasciò Gerusalemme. Al suo ritorno trovò fra gli
ebrei condizioni deplorevoli. Il sommo sacerdote Eliasib aveva costruito nel cortile del tempio una sala da
pranzo per Tobia, l’uomo che un tempo si era perfidamente opposto all’opera di Neemia. Neemia
intervenne senza indugio. Scaraventò tutti i mobili di Tobia fuori della sala da pranzo e diede ordine che
questa venisse purificata.
Inoltre Neemia prese provvedimenti per assicurare le contribuzioni per i leviti e far osservare
rigorosamente il sabato. Adottò pure misure disciplinari nei confronti di coloro che avevano preso mogli
straniere e i cui figli, avuti da queste donne, non erano neanche in grado di parlare la lingua dei giudei. “E
trovavo da ridire su di loro e invocavo su di loro il male e ne colpivo alcuni e strappavo loro i capelli e li
facevo giurare dinanzi a Dio: ‘Non dovreste dare le vostre figlie ai loro figli, e non dovreste accettare
alcuna delle loro figlie per i vostri figli o per voi stessi’”.
Il fatto che Neemia ‘trovasse da ridire’ su quegli uomini significa senza dubbio che li riprese e li
rimproverò mediante la legge di Dio, denunciando il loro errore. Costoro attiravano il disfavore di Dio sulla
nazione ristabilita, dopo che Dio li aveva benignamente fatti tornare da Babilonia per ripristinare la vera
adorazione a Gerusalemme. Neemia ‘invocò su di loro il male’ nel senso che pronunciò i giudizi della
legge di Dio contro quei trasgressori. Li ‘colpì’, probabilmente non di persona, ma ordinando che
venissero fustigati nel corso di un’azione giudiziaria ufficiale. ‘Strappò loro [parte dei] capelli’, in segno di
indignazione morale e ignominia di fronte al popolo. (Cfr. Esd 9:3). Neemia poi scacciò il nipote del
sommo sacerdote Eliasib, che era diventato genero dell’oronita Sanballat. — Ne 13:1-28.
Il notevole esempio di Neemia. Neemia è uno straordinario esempio di fedeltà e devozione. Fu altruista
poiché abbandonò l’importante posizione di coppiere alla corte di Artaserse per intraprendere la
ricostruzione delle mura di Gerusalemme. Nonostante i molti nemici, Neemia non esitò a esporsi al
pericolo per difendere il suo popolo e la vera adorazione. Non solo diresse i lavori di ricostruzione delle
mura di Gerusalemme, ma vi prese parte personalmente. Non perse tempo, fu coraggioso e intrepido,
confidò pienamente in Geova e agì sempre con avvedutezza. Zelante per la vera adorazione, Neemia
conosceva la legge di Dio e la applicava. Si preoccupò di rafforzare la fede degli altri israeliti. Dimostrò di
avere giusto timore di Geova Dio. Pur facendo rispettare con zelo la legge di Dio non tiranneggiava
egoisticamente gli altri, ma si occupava degli oppressi. Non chiese mai il pane che spettava al
governatore, anzi provvide a proprie spese viveri per un buon numero di persone. (Ne 5:14-19)
Giustamente Neemia poté pregare: “Ricordati di me, sì, o mio Dio, in bene”. — Ne 13:31.

W 98 15-10 pag. 17-24

Nicodemo --- Tema: Tremare davanti agli uomini è ciò che tende un laccio PROVERBI 29:25

it-2 388
NICODEMO (Nicodèmo) [conquistatore del popolo].
Fariseo e maestro di Israele, “governante dei giudei” (cioè membro del Sinedrio), menzionato solo nel
Vangelo di Giovanni. Nicodemo rimase colpito dai segni che Gesù compì a Gerusalemme nel periodo
della Pasqua del 30 E.V. Perciò una sera andò da Gesù e riconobbe che doveva essere venuto da Dio.
(Probabilmente per timore degli ebrei preferì fare quella prima visita col favore delle tenebre). A
Nicodemo Gesù disse che per vedere il Regno di Dio bisognava “nascere di nuovo”, e che nessun uomo
era asceso al cielo; parlò dell’amore che Dio aveva manifestato mandando il Figlio sulla terra, e della
necessità di esercitare fede. — Gv 2:23; 3:1-21.
Circa due anni e mezzo più tardi, alla festa delle capanne, i farisei inviarono degli ufficiali ad arrestare
Gesù. Quando questi tornarono a mani vuote, i farisei li disprezzarono perché avevano parlato bene di
Gesù, al che Nicodemo disse: “La nostra legge non giudica un uomo se prima non ha udito da lui e non è
venuta a sapere ciò che fa, non è così?” Per questo gli altri lo schernirono. (Gv 7:45-52) Dopo la morte di
Gesù, Nicodemo venne insieme a Giuseppe d’Arimatea (il discepolo timoroso) a portare un costoso
rotolo di mirra e aloe del peso di circa 100 libbre (33 kg), con cui preparare il corpo di Gesù per la
sepoltura. (Gv 19:38-40) Non ci sono prove scritturali a favore o contro le tradizioni secondo cui in seguito
Nicodemo diventò un discepolo, fu espulso dal Sinedrio e da Gerusalemme, morì martire e via dicendo.

W 62 pag. 523
w92 15/11 4-6
Perché alcuni nascono di nuovo
“A MENO che uno non nasca di nuovo, non può vedere il regno di Dio”. (Giovanni 3:3) Queste parole, da
che Gesù Cristo le pronunciò più di 1.900 anni fa, hanno entusiasmato e allo stesso tempo lasciato
perplessi molti.
Per capire correttamente le affermazioni di Gesù circa il nascere di nuovo dobbiamo prima rispondere a
queste domande: Qual è il proposito di Dio per il genere umano? Cosa accade all’anima dopo la morte?
Cosa dovrà fare il Regno di Dio?
Il proposito di Dio per il genere umano
Il primo uomo, Adamo, fu creato come perfetto figlio umano di Dio. (Luca 3:38) Geova Dio non si era mai
proposto che Adamo morisse. Adamo e sua moglie, Eva, avevano la prospettiva di generare una famiglia
umana senza peccato che sarebbe vissuta per sempre e avrebbe riempito una terra paradisiaca. (Genesi
1:28) La morte non faceva parte del proposito originale di Dio per l’uomo e la donna. Fece la sua
comparsa sulla scena umana solo come conseguenza della ribellione alla legge divina. — Genesi 2:15-
17; 3:17-19.
Questa ribellione sollevò questioni morali di enorme importanza, come la legittimità della sovranità di
Dio e la capacità degli uomini di rimanere fedeli alle sue leggi. Ci sarebbe voluto del tempo per risolvere
tali questioni. Ma il proposito di Geova Dio per il genere umano non cambiò; quando egli si accinge a fare
una cosa non può non riuscire a portarla a termine. Dio ha ogni intenzione di riempire la terra di una
famiglia umana perfetta che otterrà la vita eterna nel Paradiso. (Salmo 37:29; 104:5; Isaia 45:18; Luca
23:43) Dobbiamo tenere presente questa verità fondamentale quando consideriamo le parole di Gesù
circa il nascere di nuovo.
Cosa accade all’anima quando si muore?
Non conoscendo ciò che lo spirito santo di Dio aveva rivelato agli scrittori biblici, i filosofi greci si
arrovellarono il cervello nel tentativo di scoprire il significato della vita. Non potevano credere che l’uomo
fosse stato fatto solo per vivere pochi anni, spesso in condizioni misere, e poi cessare di esistere. In
questo avevano ragione. Ma nelle loro conclusioni sulle prospettive dell’uomo dopo la morte avevano
torto. Conclusero che dopo la morte l’esistenza umana continuasse in qualche altra forma, che ogni
uomo avesse dentro di sé un’anima immortale.
Ebrei e sedicenti cristiani subirono l’influsso di tali idee. In un libro si legge: “Ovunque gli ebrei della
Diaspora incontrassero gli intellettuali greci, affiorava l’idea di un’anima immortale”. (Heaven—A History)
Il libro aggiunge: “Le dottrine greche sull’anima lasciarono un’impronta profonda sulle credenze giudaiche
e poi su quelle cristiane. . . . Riunendo in una sintesi singolare filosofia platonica e tradizione biblica,
Filone [filosofo ebreo alessandrino del I secolo] preparò il terreno ai pensatori cristiani d’epoca
posteriore”.
Cosa credeva Filone? Lo stesso libro prosegue dicendo: “Per lui la morte riporta l’anima al suo stato
originale, prenatale. Dato che l’anima appartiene al mondo spirituale, la vita nel corpo non è altro che una
breve e spesso triste parentesi”. Tuttavia lo ‘stato prenatale’ di Adamo era l’inesistenza. Secondo la
Bibbia, Dio non si propose mai che alla morte avvenisse un trasferimento automatico in qualche altro
reame, come se la terra fosse solo un passaggio obbligato per raggiungere un’esistenza superiore o
inferiore.
L’ispirata Parola di Dio, la Bibbia, non insegna la dottrina dell’immortalità dell’anima umana.
L’espressione “anima immortale” non vi ricorre nemmeno una volta. La Bibbia dice che Adamo fu creato
come anima, non con un’anima. Genesi 2:7 dice: “Geova Dio formava l’uomo dalla polvere del suolo e gli
soffiava nelle narici l’alito della vita, e l’uomo divenne un’anima vivente”. All’umanità non fu mai offerta la
prospettiva di vivere eternamente in cielo o di subire il tormento eterno all’inferno. La Bibbia mostra che,
una volta morta, l’anima, la persona, non ha nessuna esistenza cosciente. (Salmo 146:3, 4; Ecclesiaste
9:5, 10; Ezechiele 18:4) Di conseguenza le idee dei filosofi sull’anima sono antiscritturali. Dobbiamo
guardarci da idee fuorvianti che potrebbero impedirci di comprendere le parole di Gesù circa il nascere di
nuovo.
Nati di nuovo per essere re
Gesù disse a Nicodemo che quelli che ‘nascono di nuovo entrano nel regno di Dio’. (Giovanni 3:3-5)
Cos’è questo Regno? Agli albori della storia umana, usando un linguaggio simbolico, Geova Dio rese
noto il suo proposito di servirsi di un “seme” particolare — un futuro governante — per schiacciare la
testa all’originale Serpente, Satana il Diavolo. (Genesi 3:15; Rivelazione 12:9) Come fu progressivamente
rivelato nelle Scritture, questo “seme” è Gesù Cristo, che regna insieme ad altri in una incomparabile
espressione della sovranità di Dio, il Regno messianico. (Salmo 2:8, 9; Isaia 9:6, 7; Daniele 2:44; 7:13,
14) Questo è il Regno dei cieli, un governo celeste che rivendicherà la sovranità di Geova e libererà il
genere umano dalla schiavitù del peccato e della morte. — Matteo 6:9, 10.
Con Gesù regnano 144.000 persone comprate di fra il genere umano. (Rivelazione 5:9, 10; 14:1-4) Dio
ha infatti scelto alcuni componenti dell’imperfetta famiglia di Adamo perché divengano i “santi del
Supremo” e governino con Cristo nel Regno messianico. (Daniele 7:27; 1 Corinti 6:2; Rivelazione 3:21;
20:6) Questi uomini e donne ripongono fede in Gesù Cristo, il quale disse che sarebbero ‘nati di nuovo’.
(Giovanni 3:5-7) Come e perché ha luogo questa nascita?
Queste persone sono state battezzate in acqua come seguaci di Cristo. Dio ha perdonato i loro peccati
in virtù del sacrificio di riscatto di Gesù, li ha dichiarati giusti e li ha adottati quali figli spirituali. (Romani
3:23-26; 5:12-21; Colossesi 1:13, 14) A loro l’apostolo Paolo dice: “Avete ricevuto uno spirito di adozione
come figli, mediante il quale spirito gridiamo: ‘Abba, Padre!’ Lo spirito stesso rende testimonianza col
nostro spirito che siamo figli di Dio. Se, dunque, siamo figli, siamo anche eredi: eredi in realtà di Dio, ma
coeredi di Cristo, purché soffriamo insieme per essere insieme anche glorificati”. — Romani 8:15-17.
Come seguaci di Cristo, questi hanno ricevuto una nuova nascita, un nuovo inizio nella vita. Ciò ha
prodotto in loro la convinzione che condivideranno l’eredità celeste di Gesù. (Luca 12:32; 22:28-30; 1
Pietro 1:23) L’apostolo Pietro descrisse la rinascita in questo modo: “Secondo la sua grande misericordia
[Dio] ci ha dato una nuova nascita per una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai
morti, per un’eredità incorruttibile e incontaminata e durevole. Essa è riservata nei cieli per voi”. (1 Pietro
1:3, 4) Questa nuova vita in cielo diviene possibile per queste persone perché Dio le risuscita come
risuscitò Gesù. — 1 Corinti 15:42-49.
Che dire della terra?
Questo non significa che alla fine tutta l’umanità ubbidiente nascerà di nuovo per lasciare la terra e
andare in cielo. Questa idea errata è simile a quella di filosofi come Filone, il quale pensava che “la vita
nel corpo non è altro che una breve e spesso triste parentesi”. Ma nell’originale creazione terrestre di
Geova Dio non c’era nulla di errato. — Genesi 1:31; Deuteronomio 32:4.
La vita umana non doveva essere affatto un’esperienza breve e dolorosa. Gesù Cristo e quelli nati di
nuovo per servire come re e sacerdoti con lui in cielo elimineranno ogni conseguenza dannosa della
ribellione di Satana. (Efesini 1:8-10) Mediante loro quale promesso “seme di Abraamo” “tutte le nazioni
della terra certamente si benediranno”. (Galati 3:29; Genesi 22:18) Per l’umanità ubbidiente ciò
significherà vivere su una terra paradisiaca, ben diversa dall’attuale breve esistenza carica di pene. —
Salmo 37:11, 29; Rivelazione 21:1-4.
Chi ne trarrà beneficio?
Fra coloro che beneficeranno del provvedimento di Dio per la benedizione del genere umano ci saranno
i morti risuscitati che eserciteranno fede nel sacrificio di riscatto di Gesù. (Giovanni 5:28, 29; Atti 24:15)
La maggioranza d’essi non ha mai conosciuto davvero Dio e Cristo e quindi non ha potuto esercitare fede
in Gesù. Fra i risuscitati ci saranno pure uomini e donne fedeli come Giovanni il Battezzatore, che morì
prima che la morte di Gesù aprisse la via alla vita in cielo. (Matteo 11:11) Oltre a questi, ‘una grande folla
di persone di tutte le nazioni hanno lavato le loro lunghe vesti e le hanno rese bianche nel sangue
dell’Agnello’, Gesù Cristo. Costoro rispondono favorevolmente all’opera di predicazione del Regno che
viene oggi promossa dai “fratelli” di Gesù nati di nuovo e sopravvivranno alla guerra divina di
Armaghedon per vivere su una terra purificata. (Rivelazione 7:9-14; 16:14-16; Matteo 24:14; 25:31-46)
Secondo la disposizione di Dio, quindi, milioni di persone, pur non essendo nate di nuovo per regnare
con Cristo nei cieli, saranno salvate. — 1 Giovanni 2:1, 2.
Sarete fra coloro che erediteranno la vita su una terra paradisiaca? Potrete esserci se esercitate fede
nel sacrificio di Gesù Cristo e vi unite attivamente alla vera congregazione cristiana. Essa non è stata
corrotta da filosofie ma è rimasta “colonna e sostegno della verità”. (1 Timoteo 3:15; confronta Giovanni
4:24; 8:31, 32). Potrete così guardare avanti verso un futuro meraviglioso in cui i figli di Dio nati di nuovo
governeranno dal cielo e tutti i figli terreni di Dio saranno riportati alla perfezione su una meravigliosa
terra paradisiaca. Non fatevi quindi sfuggire l’opportunità di vivere in quel nuovo mondo con le sue
benedizioni eterne! — Romani 8:19-21; 2 Pietro 3:13.
[Figura a pagina 6] Adamo non fu mai posto davanti all’alternativa di vivere in cielo o di subire il
tormento eterno all’inferno
Noè --- Tema: L’ubbidienza è essenziale per vivere EBREI 11:7

it-2 397-9
NOÈ [ebr. Nòach; prob., riposo, consolazione].
Figlio di Lamec e decimo nella discendenza di Adamo tramite Set; nacque verso il 2970 a.E.V., 126 anni
dopo la morte di Adamo. Nel mettergli nome Noè, suo padre Lamec disse: “Questi ci recherà conforto dal
nostro lavoro e dal dolore delle nostre mani derivante dal suolo che Geova ha maledetto”. — Ge 5:28-31.
Senza difetto fra i suoi contemporanei. Il mondo in cui visse Noè era degenerato. In quel periodo gli
angeli che avevano abbandonato la loro posizione originale e il loro legittimo luogo di dimora avevano
sposato delle donne e generato una progenie, “uomini famosi”, che avevano fatto aumentare la violenza
sulla terra (Ge 6:1-4; Gda 6), al punto che ‘ogni inclinazione dei pensieri del cuore dell’uomo era solo
cattiva in ogni tempo’ e la terra “era rovinata, perché ogni carne aveva rovinato la sua via sulla terra”. (Ge
6:5, 11, 12) Ma Noè non si lasciò corrompere, e la Parola di Dio dice di lui: “Noè fu uomo giusto. Si
mostrò senza difetto fra i suoi contemporanei. Noè camminò con il vero Dio”. (Ge 6:8, 9) Poté essere
definito “senza difetto” perché, a differenza di quel mondo empio, fu pienamente all’altezza di ciò che Dio
richiedeva da lui. — Cfr. Ge 6:22; vedi PERFEZIONE.
Geova decide di distruggere quel mondo. Geova Dio stabilì un limite di tempo per l’esistenza di quel
mondo empio, dicendo: “Il mio spirito non agirà certo indefinitamente verso l’uomo, in quanto egli è anche
carne. Pertanto i suoi giorni dovranno ammontare a centoventi anni”. (Ge 6:3) Questo era un decreto
giudiziario di Dio. Circa 20 anni dopo (2470 a.E.V.) nacque il primo figlio di Noè (probabilmente Iafet), e
dalla narrazione si desume che un altro figlio, Sem, nacque due anni più tardi. L’epoca della nascita di
Cam non è precisata, ma i tre figli erano adulti e sposati quando Noè ricevette da Dio l’ordine di costruire
un’arca. È quindi probabile che allora mancassero solo 40 o 50 anni al Diluvio. (Ge 6:13-18) Ora che
Geova aveva fatto un patto con lui (Ge 6:18), e con l’aiuto della famiglia, Noè si mise all’opera come
costruttore e “predicatore di giustizia”, avvertendo quella generazione malvagia dell’incombente
distruzione. — 2Pt 2:5.
Noè sopravvive al Diluvio. La gente non credeva che Dio sarebbe intervenuto per distruggere quel
mondo malvagio. Fu dunque per la sua forte fede che Noè, con assoluta ubbidienza, fece “secondo tutto
ciò che Dio gli aveva comandato. Fece proprio così”. (Ge 6:22) Per la sua incrollabile fede in Geova, Noè
fu incluso dallo scrittore cristiano della lettera agli Ebrei in quel “così gran nuvolo di testimoni”: “Per fede
Noè, dopo aver ricevuto divino avvertimento di cose non ancora viste, mostrò santo timore e costruì
un’arca per la salvezza della sua casa; e per mezzo di questa fede condannò il mondo e divenne erede
della giustizia che è secondo la fede”. — Eb 11:7; 12:1.
Sette giorni prima che cominciassero a cadere le acque del Diluvio, Geova ordinò a Noè di radunare gli
animali nell’arca. Il settimo giorno di quella settimana “entrò dunque Noè, e i suoi figli e sua moglie e le
mogli dei suoi figli con lui, nell’arca davanti alle acque del diluvio. . . . Poi Geova chiuse la porta dietro di
lui”. Quello stesso giorno “venne il diluvio e li distrusse tutti”. — Ge 7:1-16; Lu 17:27.
Con gli abitanti dell’arca fu assicurata la continuità della vita umana e animale. Sopravvisse anche la
vera adorazione, e per mezzo di Noè e della sua famiglia Dio preservò la storia della creazione — come
pure una cronologia che permette di risalire fino alla creazione dell’uomo — e la lingua originale
(chiamata poi ebraico). Mentre era nell’arca Noè prese accuratamente nota di tutti gli avvenimenti
importanti. — Ge 7:11, 12, 24; 8:2-6, 10, 12-14.
Benedizione e patto dell’arcobaleno. Trascorso circa un anno nell’arca, Noè e la sua famiglia uscirono
su una terra completamente ripulita. L’arca si era fermata sulla catena montuosa dell’Ararat.
Riconoscente per l’amorevole benignità, la misericordia e la protezione di Geova, Noè costruì un altare e
immolò in sacrificio a Geova “alcune di tutte le bestie pure e di tutte le creature volatili pure”. Geova Dio
ne fu compiaciuto e rivelò a Noè che mai più la terra sarebbe stata maledetta e che egli non avrebbe mai
più distrutto ogni cosa come aveva fatto. Ci sarebbero sempre stati “semina e raccolta, e freddo e caldo,
ed estate e inverno, e giorno e notte”. — Ge 8:18-22.
Geova benedisse i superstiti del Diluvio ordinando loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la
terra”. Quindi emanò nuovi decreti per il loro bene: (1) permise benignamente loro di aggiungere la carne
animale alla loro dieta; (2) poiché l’anima è nel sangue, decretò che non si doveva mangiare sangue; (3)
istituì la pena capitale per mano dell’autorità debitamente costituita. Queste leggi dovevano essere
rispettate da tutto il genere umano, poiché tutti sarebbero discesi dai tre figli di Noè. — Ge 1:28; 9:1-7;
10:32.
Dopo aver dato questi comandi, Geova proseguì: “E in quanto a me, ecco, stabilisco il mio patto con voi
e con la vostra progenie dopo di voi, e con ogni anima vivente che è con voi, fra i volatili, fra le bestie e
fra tutte le creature viventi della terra con voi . . . Sì, veramente stabilisco il mio patto con voi: Ogni carne
non sarà più stroncata dalle acque di un diluvio, e non accadrà più un diluvio per ridurre in rovina la
terra”. L’arcobaleno è tuttora un “segno”, o rammemoratore, di questo patto. — Ge 9:8-17; Isa 54:9.
Noè si ubriaca. Dopo il Diluvio Noè visse 350 anni. La Bibbia, con candore e onestà, riferisce: “Ora Noè
cominciò come agricoltore e piantava una vigna. E beveva del vino e s’inebriò, e quindi si scoprì nel
mezzo della sua tenda”. (Ge 9:20, 21) Questo non vuol dire che Noè avesse l’abitudine di ubriacarsi.
L’episodio viene riportato per spiegare l’incidente che seguì, dati gli importanti risvolti per la storia
mondiale. Prima del Diluvio Noè non indulgeva nel ‘bere’ come la società malvagia di quel tempo, che
senza dubbio andava agli estremi nel gozzovigliare. Cose del genere intorpidirono la loro sensibilità e
senz’altro contribuirono a far ignorare loro l’avvertimento di Dio, dato che non si avvidero di nulla “finché
venne il diluvio e li spazzò via tutti”. — Mt 24:38, 39; Lu 17:27.
Mentre Noè dormiva nella sua tenda, Cam, forse insieme a suo figlio Canaan, in qualche modo gli
mancò di rispetto. Il racconto dice: “Infine Noè si svegliò dal suo vino e seppe ciò che gli aveva fatto il suo
figlio più giovane”. Comunemente si pensa che per “figlio più giovane” qui si intenda Cam. Nella Bibbia
però l’espressione si riferisce a volte a un nipote, che in questo caso sarebbe stato Canaan. Comunque
si siano svolte le cose, Cam padre di Canaan andò a raccontare il fatto ai suoi due fratelli invece di
coprire egli stesso Noè come poi fecero loro. Venuto a conoscenza dell’episodio, Noè maledisse Canaan
e benedisse Geova, l’Iddio di Sem. — Ge 9:20-27.
La ribellione di Nimrod. Noè fu il primo patriarca della società postdiluviana. (Ge 10:1-32) Tuttavia
durante la sua vita la falsa religione si affermò di nuovo fra coloro che seguivano Nimrod, come risulta dal
ribelle tentativo di costruire “una torre con la sua cima nei cieli” per non essere dispersi “su tutta la
superficie della terra”. Questo era in aperto contrasto col comando di Dio di ‘riempire la terra’, ed era
anche una ribellione contro Noè quale profeta di Dio. Noè morì circa due anni prima della nascita di
Abraamo. Perciò vide il giudizio di Geova sui costruttori della torre di Babele, e la dispersione di quei
ribelli sulla faccia della terra. Noè e Sem non ebbero nulla a che fare con la costruzione della torre e di
conseguenza la loro lingua non dovette essere confusa: essi continuarono a parlare la lingua originale
dell’uomo, quella che Dio aveva dato ad Adamo. — Ge 9:1, 28, 29; 11:1-9.
Modello profetico. I profeti Isaia ed Ezechiele, Gesù Cristo e gli apostoli Pietro e Paolo parlarono tutti di
Noè, servitore di Dio. Gesù e Pietro spiegarono che i giorni di Noè erano un modello profetico della
“presenza del Figlio dell’uomo” e di un futuro “giorno del giudizio e della distruzione degli uomini empi”.
Risparmiando Noè e la sua famiglia quando distrusse quel mondo empio, Geova stabilì “per gli empi un
modello di cose avvenire”. — 2Pt 3:5-7; 2:5, 6; Isa 54:9; Ez 14:14, 20; Mt 24:37-39; Eb 11:7; 1Pt 3:20, 21.

w95 15/12 11-12


“Fecero proprio così”
“Questo è ciò che significa l’amore di Dio, che osserviamo i suoi comandamenti”. — 1 GIOVANNI 5:3.
“DIO È AMORE”. Tutti quelli che imparano a conoscere Dio e ubbidiscono ai suoi comandamenti provano
profonda gratitudine per il suo straordinario amore. “L’amore è in questo, non che noi abbiamo amato
Dio, ma che lui amò noi e mandò il Figlio suo come sacrificio propiziatorio per i nostri peccati”.
Esercitando fede nel prezioso sacrificio di riscatto di Gesù ‘rimaniamo nell’amore di Dio’. (1 Giovanni 4:8-
10, 16) Così possiamo ricevere ricche benedizioni spirituali ora, e nel sistema di cose avvenire la vita
eterna. — Giovanni 17:3; 1 Giovanni 2:15, 17.
2 La Bibbia contiene moltissimi esempi di persone che osservarono i comandamenti di Dio e quindi
furono riccamente benedette. Fra loro ci sono i testimoni precristiani, riguardo ad alcuni dei quali
l’apostolo Paolo scrisse: “Nella fede morirono tutti questi, benché non ottenessero l’adempimento delle
promesse, ma le videro da lontano e le salutarono e dichiararono pubblicamente di essere estranei e
residenti temporanei nel paese”. (Ebrei 11:13) In seguito devoti servitori cristiani di Dio beneficiarono
dell’‘immeritata benignità e della verità venute per mezzo di Gesù Cristo’. (Giovanni 1:17) Nel corso di
circa 6.000 anni di storia umana, Geova ha ricompensato i testimoni fedeli che hanno ubbidito ai suoi
comandamenti, i quali in effetti “non sono gravosi”. — 1 Giovanni 5:2, 3.
Ai giorni di Noè
3 La Bibbia dice: “Per fede Noè, dopo aver ricevuto divino avvertimento di cose non ancora viste, mostrò
santo timore e costruì un’arca per la salvezza della sua casa; e per mezzo di questa fede condannò il
mondo e divenne erede della giustizia che è secondo la fede”. Quale “predicatore di giustizia” Noè ubbidì
a Dio senza riserve, avvertendo il violento mondo antidiluviano dell’incombente giudizio di Dio. (Ebrei
11:7; 2 Pietro 2:5) Nel costruire l’arca seguì attentamente il progetto datogli da Dio. Poi vi introdusse gli
animali designati e i viveri. “Noè faceva secondo tutto ciò che Dio gli aveva comandato. Fece proprio
così”. — Genesi 6:22.
4 Noè e la sua famiglia dovettero lottare contro la malefica influenza degli angeli disubbidienti. Dopo
essersi materializzati, quei figli di Dio si erano uniti a delle donne, generando un’ibrida progenie
sovrumana che tiranneggiava l’umanità. “La terra si rovinò alla vista del vero Dio e la terra si riempì di
violenza”. Geova mandò il Diluvio per spazzare via quella malvagia generazione. (Genesi 6:4, 11-17; 7:1)
Dai giorni di Noè non è stato più permesso agli angeli demonici di materializzarsi e di assumere forma
umana. Nondimeno ‘tutto il mondo continua a giacere nel potere del malvagio’, Satana il Diavolo. (1
Giovanni 5:19; Rivelazione [Apocalisse] 12:9) Profeticamente Gesù paragonò quella ribelle generazione
dei giorni di Noè alla generazione dell’umanità che lo ha rigettato da quando si cominciò a vedere il
segno della sua “presenza” a partire dal 1914. — Matteo 24:3, 34, 37-39; Luca 17:26, 27.
5 Oggi, come ai giorni di Noè, Satana cerca di portare il genere umano e il nostro pianeta alla rovina.
(Rivelazione 11:15-18) È quindi urgente che diamo ascolto al comando ispirato: “Rivestitevi della
completa armatura di Dio affinché possiate star fermi contro le astuzie del Diavolo”. (Efesini 6:11, nota in
calce) A tal fine ci rafforziamo studiando la Parola di Dio e mettendola in pratica nella nostra vita.
Possiamo contare inoltre sulla premurosa organizzazione di Geova, con il suo unto “schiavo fedele e
discreto” e i suoi anziani amorevoli, che ci pascono con pazienza nella via che dovremmo seguire.
Abbiamo una mondiale opera di predicazione da compiere. (Matteo 24:14, 45-47) Come Noè, che seguì
così scrupolosamente le istruzioni divine, anche noi vogliamo sempre fare “proprio così”.
w90 15/4 12-15 È vicina la liberazione per le persone di santa devozione!
La condotta che portò alla liberazione
9 In quanto a Noè, egli “trovò favore agli occhi di Geova. . . . Noè fu uomo giusto. Si mostrò senza difetto
fra i suoi contemporanei. Noè camminò con il vero Dio”. (Genesi 6:8, 9) Così Geova avvertì Noè che
avrebbe portato un diluvio universale e gli comandò di costruire un’arca. Tutto il genere umano, all’infuori
di Noè e della sua famiglia, sarebbe stato spazzato via dalla superficie della terra. Persino la creazione
animale sarebbe stata distrutta, ad eccezione di pochi esemplari di ciascuna specie fondamentale che
Noè avrebbe dovuto portare nell’arca. — Genesi 6:13, 14, 17.
10 Questa conoscenza anticipata comportava per Noè un’onerosa responsabilità. Bisognava costruire
l’arca, che doveva avere la forma di un’enorme cassa, con un volume totale di circa 40.000 metri cubi.
Noè doveva riempirla di viveri e quindi radunare animali e uccelli, “ogni sorta di carne”, perché fossero
preservati. Era un progetto che richiedeva anni di lavoro. Come rispose Noè? Egli “faceva secondo tutto
ciò che Dio gli aveva comandato. Fece proprio così”. — Genesi 6:14-16, 19-22; Ebrei 11:7.
11 Mentre compiva quest’opera, Noè doveva anche dedicare del tempo all’edificazione spirituale dei
componenti della sua famiglia. Doveva proteggerli perché non adottassero lo spirito violento e
provocatorio delle persone che li circondavano. Era importante che non divenissero troppo assorti nelle
faccende della vita quotidiana. Dio aveva un’opera da far compiere loro, ed era essenziale che
edificassero la loro vita attorno ad essa. Sappiamo che la famiglia di Noè seguì le sue istruzioni e ne
condivise la fede perché Noè, la moglie, i loro tre figli e le rispettive mogli — otto persone in tutto — sono
menzionati con approvazione nelle Scritture. — Genesi 6:18; 1 Pietro 3:20.
12 Noè aveva anche un’altra responsabilità da assolvere: quella di avvertire le persone dell’imminente
Diluvio e far capire loro perché esso sarebbe venuto. Risulta che egli assolse fedelmente questa
responsabilità, perché nella Parola di Dio egli è definito un “predicatore di giustizia”. — 2 Pietro 2:5.
13 Pensate per un attimo alle circostanze in cui Noè svolse il suo incarico. Mettetevi nei suoi panni. Se
foste stati al suo posto o in quello di un suo familiare, sareste stati circondati dalle violenze dei nefilim e
degli uomini empi. Vi sareste trovati a tu per tu con l’influenza degli angeli ribelli. Mentre lavoravate alla
costruzione dell’arca, sareste stati oggetto di scherni. E mentre anno dopo anno avvertivate le persone
dell’incombente Diluvio, avreste riscontrato che erano così assorte nelle loro faccende quotidiane da ‘non
avvedersi di nulla’, finché “venne il diluvio e li spazzò via tutti”. — Matteo 24:39; Luca 17:26, 27.
Cosa significa per voi l’esperienza di Noè?
14 La maggioranza dei nostri lettori non ha eccessive difficoltà a immaginare una situazione del genere.
Perché? Perché le condizioni attuali sono molto simili a quelle dei giorni di Noè. Gesù Cristo disse che ci
sarebbe stato da aspettarselo. Nella sua grande profezia circa la sua presenza al termine del sistema di
cose, Gesù predisse: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la presenza del Figlio dell’uomo”. — Matteo
24:37.
15 È stato così? Il mondo d’oggi è pieno di violenza? Sì! Più di cento milioni di persone hanno perso la
vita nelle guerre di questo secolo. Alcuni nostri lettori ne hanno sentito gli effetti di persona. Un maggior
numero d’essi è stato minacciato da delinquenti decisi a impossessarsi del loro denaro o di altri beni. E i
giovani sono esposti alla violenza nelle scuole.
16 Comunque i servitori di Geova non risentono solo delle devastazioni belliche o della violenza criminale
in generale. Sono soggetti a subire violenze anche perché non fanno parte del mondo ma si sforzano di
essere persone di santa devozione. (2 Timoteo 3:10-12) A volte questa violenza assume semplicemente
la forma di spintoni o schiaffi; altre volte comporta la distruzione di beni, percosse e addirittura uccisioni.
— Matteo 24:9.
17 Nel commettere tali violenze uomini empi hanno a volte dichiarato con tracotanza il loro disprezzo per
Dio. In una zona dell’Africa alcuni funzionari di polizia dichiararono: “Il governo è nostro. Andate pure da
Dio, se esiste, e chiedetegli di venire ad aiutarvi”. In prigioni e campi di concentramento i testimoni di
Geova si sono trovati davanti uomini come il Baranowsky di Sachsenhausen, in Germania, che in tono di
sfida disse: “Ho impegnato un combattimento con Geova. Vedremo chi è più forte, io o Geova”. Poco
tempo dopo Baranowsky si ammalò e morì; ma altri continuano a manifestare un atteggiamento simile. I
funzionari impegnati in crociate persecutorie non sono gli unici a sfidare Dio. In tutto il mondo i servitori di
Dio odono e vedono cose indicanti che chi le pratica non ha alcun timore di Dio.
18 In questi giorni così simili a quelli di Noè anche noi assistiamo all’interferenza degli spiriti malvagi.
(Rivelazione 12:7-9) Questi demoni sono gli stessi angeli che si materializzarono assumendo forma
umana e sposarono donne ai giorni di Noè. Quando venne il Diluvio le loro mogli e i loro figli furono
distrutti, ma quegli angeli disubbidienti furono costretti a tornare nel reame spirituale. Non ebbero più un
posto nella santa organizzazione di Geova ma furono consegnati al Tartaro, una condizione di dense
tenebre, tagliati fuori dalla luce divina. (2 Pietro 2:4, 5) Operando agli ordini di Satana, essi hanno
continuato a mantenere stretti contatti con gli uomini e, pur non potendo più materializzarsi, hanno
cercato di dominare uomini, donne e persino bambini. A questo scopo si servono in parte delle pratiche
occulte. Inoltre istigano gli uomini a compiere atti contrari a ogni ragione umana per distruggersi gli uni gli
altri. Ma non è tutto.
19 La Bibbia rivela che i demoni fanno guerra contro quelli “che osservano i comandamenti di Dio e hanno
il compito di rendere testimonianza a Gesù”. (Rivelazione 12:12, 17) Questi spiriti malvagi sono i
principali istigatori della persecuzione dei servitori di Geova. (Efesini 6:10-13) Si servono di ogni mezzo
concepibile per costringere o allettare uomini fedeli a infrangere la loro integrità verso Geova e a smettere
di proclamare il Regno di Geova retto da Gesù quale Re messianico.
20 I demoni cercano di ostacolare le persone che desiderano ardentemente essere liberate dalla loro
oppressiva influenza. Un’ex spiritista brasiliana narra che quando i Testimoni bussarono a casa sua, voci
demoniche le ordinarono di non aprire la porta; ma lei la aprì, e conobbe la verità. In molte zone i demoni
impiegano direttamente individui che praticano la stregoneria nel tentativo di fermare l’opera dei testimoni
di Geova. Per esempio, in un villaggio del Suriname oppositori dei testimoni di Geova assoldarono uno
spiritista conosciuto per la sua capacità di far morire le persone all’istante semplicemente puntando
contro di loro la sua bacchetta magica. Accompagnato da uno stuolo di danzatori e suonatori di tamburo,
lo spiritista indemoniato affrontò i testimoni di Geova. Pronunciò le sue formule magiche e puntò contro di
loro la sua bacchetta. Gli abitanti del villaggio si aspettavano che i Testimoni cadessero a terra morti, ma
fu lo spiritista a svenire e a dover essere portato via in tutta fretta dai suoi imbarazzati sostenitori.
21 Persino in zone in cui la stregoneria e la magia non vengono praticate così apertamente, ogni
testimone di Geova ha sperimentato di persona cosa significa cercare di predicare a persone così prese
dalle faccende della vita quotidiana da non voler essere disturbate. Come ai giorni di Noè, la stragrande
maggioranza d’esse ‘non si avvede di nulla’. (Matteo 24:37-39) Alcuni forse ammirano la nostra unità e
ciò che riusciamo a compiere. Ma la nostra opera di edificazione spirituale — che richiede ore di studio
personale, la regolare frequenza alle adunanze e il servizio di campo — è per loro una vera e propria
stoltezza. Scherniscono la nostra fiducia nella Parola di Dio, perché la loro vita è imperniata sui beni
materiali e i piaceri sensuali che possono procurarsi ora.
22 I leali servitori di Geova dovranno subire per sempre gli abusi di quelli che non amano Dio? Niente
affatto! Cosa accadde ai giorni di Noè? Dietro comando di Dio, Noè e la sua famiglia entrarono nell’arca
completata. Poi, al tempo stabilito da Dio, “tutte le sorgenti delle vaste acque dell’abisso si ruppero e le
cateratte dei cieli si aprirono”. Il Diluvio continuò finché anche i monti furono coperti. (Genesi 7:11, 17-20)
Gli angeli che avevano abbandonato il proprio luogo di dimora furono costretti ad abbandonare i loro
corpi umani materializzati e a tornare nel reame spirituale. I nefilim e tutto il resto di quel mondo di empi,
inclusi quelli che si erano mostrati troppo indifferenti per prendere a cuore l’avvertimento di Noè, furono
distrutti. Da parte loro Noè, la moglie, i tre figli e le rispettive mogli si salvarono. Così Geova liberò Noè e
la sua famiglia dalla prova che avevano lealmente sopportato per tanti anni.
23 Farà Geova altrettanto per le odierne persone di santa devozione? Non c’è alcun dubbio in merito. Lo
ha promesso, ed egli non può mentire. — Tito 1:2; 2 Pietro 3:5-7.

Obab — Tema: Prendiamo la decisione di servire Geova GIOSUÈ 24:14-18;


DEUTERONOMIO 30:19, 20 2°CRONACHE 13:10;
it-2 414 Obab
OBAB
(Òbab) [forse, prediletto].
Cognato di Mosè; figlio di Reuel (Ietro) e madianita della tribù dei cheniti. (Nu 10:29; Eso 3:1; Gdc 1:16)
Quando giunse per gli israeliti il momento di partire dalla regione del Sinai per la Terra Promessa, Mosè
chiese a Obab di accompagnarli per “servire da occhi”, cioè come guida, alla nazione, dato che
conosceva molto bene la zona. Anche se in un primo momento rifiutò, Obab evidentemente accompagnò
gli israeliti, in quanto i suoi discendenti, i cheniti, si stabilirono nel deserto di Giuda a S di Arad, e viene
detto che vivevano ancora lì all’epoca di Saul e di Davide. — Nu 10:29-32; Gdc 1:16; 1Sa 15:6; 27:10;
30:26, 29.
In Giudici 4:11, però, il testo masoretico menziona Obab come suocero di Mosè. (NM, ATE, CEI, VR)
Quindi Obab poteva essere il nome di due persone diverse, cioè sia del suocero che del cognato di
Mosè. La cosa non è impossibile visto che anche il suocero di Mosè aveva più nomi. — Cfr. Eso 2:16-22;
3:1.
Se invece solo il figlio di Reuel si chiamava Obab e quindi questo era soltanto il nome del cognato di
Mosè, il riferimento a Obab come suocero di Mosè deve significare che egli era considerato il
rappresentante di suo padre Reuel, il quale, in tal caso, probabilmente era già morto. — Vedi CHENITI;
IETRO.

su 125-7 16 Cosa farete personalmente?


PRESERO LA DECISIONE GIUSTA
10 Tutti quelli che sono divenuti adoratori di Geova come seguaci di Gesù Cristo hanno preso una
decisione personale in tal senso. Così è stato per tutti gli eredi del Regno celeste. Ora si presenta ad altri
la meravigliosa opportunità di fare la propria scelta con la prospettiva di sopravvivere alla grande
tribolazione e vivere nella perfezione sulla terra. Sotto questo aspetto Obab è un esempio da imitare.
11 Obab era il cognato di Mosè. Non era israelita ma apparteneva a una tribù chenita che abitava in
territorio madianita. Dopo che Israele ebbe ricevuto la Legge tramite Mosè e costruito il sacro tabernacolo
per l’adorazione di Geova, giunse per gli israeliti il tempo di dirigersi a nord verso la Terra Promessa. La
colonna di nuvola che rappresentava la presenza di Geova li avrebbe preceduti, per indicare la strada e
dove accamparsi. Ma sarebbe stato utile avere con sé qualcuno che conoscesse il territorio e dove
trovare il necessario per l’accampamento. Mosè invitò Obab ad andare con loro, ma in un primo
momento Obab declinò l’invito, pensando che sarebbe stato meglio vivere con i parenti nel luogo in cui
era nato. Mosè tuttavia lo esortò a riconsiderare la cosa e ad andare con loro per “servire da occhi” a
Israele e ricevere a suo tempo le benedizioni che Geova avrebbe elargito al suo popolo. Saggiamente
Obab acconsentì, come si nota da Giudici 1:16. — Numeri 10:29-32.
12 Oggi ci sono persone che furono prefigurate da Obab. Pur non essendo israeliti spirituali, scelgono di
condividerne la sorte mentre questi viaggiano verso il nuovo ordine di Dio. Per far questo devono recidere
i legami con i parenti mondani e i governi umani. Sotto la direttiva del più grande Mosè, Gesù Cristo,
prestano lietamente servizio col rimanente dei “fratelli” di Cristo, spesso esplorando nuovi territori per la
predicazione della buona notizia. Molti di loro si sono trasferiti in zone dove il bisogno di proclamatori del
Regno era particolarmente grande, spesso in qualità di pionieri o missionari, dedicando tutto il loro tempo
alla proclamazione del Regno di Dio come unica vera speranza dell’umanità. Ci sono ancora molte
opportunità di prendere parte a questo sacro servizio. Quelli che sono idonei sono invitati a rendersi
disponibili e ricevere in tal modo le benedizioni che accompagnano questo accresciuto servizio. Potete
farlo?

Ofni — Tema: Ricoprire un incarico importante non autorizza ad agire empiamente


EZECHIELE 34:8, 10
it-2 424 Ofni
OFNI
1. [Da una parola egiziana che significa “girino”]. Uno dei figli del sommo sacerdote Eli. Ofni e suo fratello
Fineas erano “uomini buoni a nulla”, colpevoli di condotta sacrilega e di grave immoralità. (1Sa 1:3; 2:12-
17, 22-25) Per tale infedeltà manifestata da Ofni mentre prestava servizio come sacerdote nel Suo
santuario, Geova lo condannò a morte. Ofni morì quando i filistei catturarono la sacra Arca. — 1Sa 2:34;
4:4, 11, 17; vedi FINEAS n. 2.

w96 15/9 13 Tutti devono rendere conto a Dio


14 La responsabilità individuale davanti a Dio è pure illustrata dal caso di Eli, sommo sacerdote di Israele.
I suoi figli, Ofni e Fineas, prestavano servizio come sacerdoti officianti, ma, dice lo storico Giuseppe
Flavio, “erano colpevoli di ingiustizia nei confronti degli uomini e di empietà nei riguardi di Dio, e non si
astenevano da nessuna sorta di malvagità”. Quegli “uomini buoni a nulla” non riconoscevano Geova,
tenevano un comportamento sacrilego ed erano colpevoli di grave immoralità. (1 Samuele 1:3; 2:12-17,
22-25) Essendo loro padre e sommo sacerdote di Israele, Eli aveva il dovere di disciplinarli, ma si limitò a
deboli rimproveri. Eli ‘continuava a onorare i suoi figli più di Geova’. (1 Samuele 2:29) Sulla casa di Eli si
abbatté la meritata punizione. Entrambi i figli morirono lo stesso giorno in cui morì il padre e la loro linea
di discendenza sacerdotale venne infine stroncata completamente. Così il conto fu saldato. — 1 Samuele
3:13, 14; 4:11, 17, 18.

w91 15/7 13-14 Mostriamo benignità così da piacere a Geova


8 Il sommo sacerdote israelita Eli fu negligente in quanto a disciplinare i figli, Ofni e Fineas, che
prestavano servizio come sacerdoti officianti presso il tabernacolo. Non accontentandosi della porzione
del sacrificio assegnata loro dalla Legge di Dio, essi pretendevano che un servitore prendesse la carne
cruda dall’offerente prima che si facesse fumare il grasso dell’offerta sull’altare. I figli di Eli avevano
anche rapporti immorali con donne che prestavano servizio all’ingresso del tabernacolo. Eli, da parte sua,
anziché rimuovere Ofni e Fineas dall’incarico si limitò a rimproverarli debolmente, onorando i suoi figli più
di Geova. (1 Samuele 2:12-29) Non c’è da meravigliarsi se “la parola di Geova era divenuta rara in quei
giorni”! (1 Samuele 3:1) Gli anziani cristiani non devono perciò cedere a ragionamenti ingannevoli o
mostrare benignità a sproposito rischiando di mettere in pericolo la spiritualità della congregazione. La
vera benignità non è cieca alle parole e alle azioni malvage che violano le norme di Dio.
9 Se non vogliamo mostrare benignità a sproposito, dobbiamo pregare Dio perché ci aiuti ad avere la
stessa forza che traspare da queste parole del salmista: “Andatevene via da me, malfattori, affinché io
osservi i comandamenti del mio Dio”. (Salmo 119:115) Dobbiamo anche seguire l’esempio di Gesù
Cristo, che non peccò mai mostrando benignità a sproposito. Anzi, Gesù fu la personificazione stessa
della vera benignità. Ad esempio, ‘aveva tenero affetto per le persone perché erano mal ridotte e
disperse come pecore senza pastore’. Pertanto, le persone di cuore onesto si sentivano libere di
avvicinare Gesù, sino al punto di condurgli i loro bambini. E immaginate quanta benignità e compassione
Gesù mostrò quando ‘prese i bambini fra le braccia e li benedisse’! (Matteo 9:36; Marco 10:13-16) Pur
essendo benigno, Gesù mostrò nondimeno fermezza in relazione a ciò che era giusto agli occhi del suo
Padre celeste e non condonò mai il male; Dio gli diede la forza di denunciare gli ipocriti capi religiosi. In
Matteo 23:13-26 Gesù esclamò più volte: “Guai a voi, scribi e farisei, ipocriti!”, indicando ogni volta un
motivo per cui avrebbero ricevuto il giudizio divino.

w87 15/12 16-17 Onoriamo l'Iddio che dà speranza


8 Uno di questi era Eli. Egli servì Dio per quarant’anni nell’esclusivo incarico di sommo sacerdote, ed
ebbe anche il privilegio di giudicare Israele. (1 Samuele 1:3-9; 4:18) Tuttavia col tempo si mostrò debole
nei confronti dei suoi figli Ofni e Fineas. Pur essendo sacerdoti, questi abusavano del loro incarico
rubando parte dei sacrifici e praticando l’immoralità sessuale. Quando il loro padre si limitò a criticarli
debolmente, Dio dichiarò che Eli ‘continuava a onorare i suoi figli più di Lui’. Geova aveva garantito la
continuità del sacerdozio aaronnico, ma avrebbe stroncato la casa di Eli dall’incarico sacerdotale.
Perché? Dio spiegò: “Onorerò quelli che mi onorano, e quelli che mi disprezzano saranno di poco conto”.
— 1 Samuele 2:12-17, 29-36; 3:12-14.

*** w85 15/7 18 'Correte in modo tale da conseguire il premio' ***


11 Rammentate Eli, l’anziano sommo sacerdote di Israele? Ofni e Fineas, i suoi figli, erano “uomini buoni
a nulla”, i quali “non riconoscevano Geova”. Mostravano una sfacciata mancanza di rispetto per i sacrifici
fatti a Geova e commettevano immoralità sessuale “con le donne che servivano all’ingresso della tenda di
adunanza”. Eppure Eli si limitò a protestare nella maniera più blanda (“Perché continuate a fare cose
come queste?”), non facendo alcun tentativo di toglierli dal loro incarico privilegiato. In effetti ‘onorava i
suoi figli più di Geova’, cosa che provocò la sua e la loro morte! — I Samuele 2:12-17, 22, 23, 29-34;
4:18.
12 Una lealtà mal riposta potrebbe pertanto ostacolarvi nella corsa della vita. Gesù disse ai suoi discepoli:
“Chi ha più affetto per padre o madre che per me non è degno di me; e chi ha più affetto per figlio o figlia
che per me non è degno di me”. (Matteo 10:37; Luca 14:26) Ma che dire se un vostro caro lasciasse la
verità o fosse disassociato? Vi atterreste al detto mondano secondo cui “il sangue non è acqua” e
seguireste quel vostro parente nella distruzione? O riporreste fede nelle parole del Salmo 27:10: “Nel
caso che il mio proprio padre e la mia propria madre mi lasciassero, pure Geova stesso mi
accoglierebbe”?

w80 15/2 13 Eli, un sacerdote che venne meno alla sua responsabilità di padre
La legge provvedeva al mantenimento del sacerdozio in questo modo: nelle offerte di comunione, quando
l’adoratore presentava il suo sacrificio dalla mandria o dal gregge, ai sacerdoti spettava il petto
dell’animale. Il sacerdote officiante riceveva come sua porzione la zampa destra. Ma Ofni e Fineas, i figli
di Eli, mandavano i loro servitori a prendere dalla pentola qualsiasi cosa il forchettone infilzasse,
mancando così di rispetto a Dio, violandone la disposizione, e maltrattando gli israeliti che portavano i
sacrifici. Quel ch’è peggio, derubavano Dio, prendendosi la porzione dell’offerta prima che le parti grasse
fossero offerte sull’altare, il che costituiva una violazione della legge. — I Sam. 2:15-17; Lev. 7:32-34;
3:3-5.
In aggiunta a tale peccato, questi uomini malvagi commettevano atti di immoralità con le donne che
prestavano servizio al tabernacolo, così che tutto Israele venne a saperlo. E la notizia della loro orribile
profanazione del santuario di Dio giunse agli orecchi di Eli. — I Sam. 2:22.
Qui sta la più grave mancanza di Eli. Come padre di Ofni e Fineas e, cosa più seria, come sommo
sacerdote d’Israele unto da Dio, egli avrebbe dovuto intraprendere immediatamente un’azione
disciplinare contro i due figli, rimuovendoli dall’incarico sacerdotale e impedendo loro di prestare servizio
nel santuario. Inoltre avrebbero dovuto essere puniti secondo la legge per i loro reati. Invece Eli si limitò
semplicemente a dire loro:
“Perché continuate a fare cose come queste? Poiché le cose che odo intorno a voi da tutto il popolo sono
cattive. No, figli miei, perché non è buona la notizia che odo, che il popolo di Geova fa circolare. Se un
uomo dovesse peccare contro un uomo, Dio farebbe da arbitro per lui; ma se un uomo dovesse peccare
contro Geova, chi pregherebbe per lui?” — I Sam. 2:23-25.

g97 22/1 9 Flessibili, ma decisi ad attenersi alle norme divine


La trappola dell’eccessiva tolleranza
Eli, sommo sacerdote dell’antica nazione d’Israele, fu un servitore di Dio che cadde nella trappola
dell’eccessiva tolleranza. Gli israeliti avevano stretto un patto con Dio, accettando di ubbidire alle sue
leggi. Ma i due figli di Eli, Ofni e Fineas, erano avidi e immorali, e mancavano sfacciatamente di rispetto
all’Onnipotente. Eli, pur conoscendo molto bene la Legge di Dio, si limitò a rimproverare blandamente i
figli e fu troppo indulgente nel disciplinarli. Commise l’errore di pensare che Dio avrebbe tollerato la
malvagità. Il Creatore fa distinzione tra debolezza e malvagità. Per aver violato volontariamente la Legge
di Dio, i malvagi figli di Eli furono puniti con severità, e a ragione. — 1 Samuele 2:12-17, 22-25; 3:11-14;
4:17.
Come sarebbe tragico se fossimo troppo tolleranti in famiglia e chiudessimo un occhio qualora i nostri figli
intraprendessero una condotta ostinatamente errata! Quanto è meglio “allevarli nella disciplina e nella
norma mentale di Geova”! Questo significa che dobbiamo attenerci noi stessi alle norme divine e
inculcarle nei nostri figli. — Efesini 6:4.
Analogamente, la congregazione cristiana non può tollerare la malvagità. Se un suo membro commette
un grave errore e non vuole pentirsi, deve essere allontanato. (1 Corinti 5:9-13) Tuttavia, al di fuori della
cerchia familiare e della congregazione, i veri cristiani non cercano di cambiare la società nel suo
insieme.

fy 80-1 7 C'è un ribelle in casa?


10 Eli, sommo sacerdote dell’antico Israele, era un padre di famiglia. Servì per 40 anni, essendo senza
dubbio ben versato nella Legge di Dio. Probabilmente svolse le normali mansioni sacerdotali molto
fedelmente e forse insegnò con cura la Legge di Dio ai figli, Ofni e Fineas. Tuttavia era troppo indulgente
con i figli. Ofni e Fineas servivano come sacerdoti officianti, ma erano “uomini buoni a nulla”, interessati
solo a soddisfare il proprio appetito e i propri desideri immorali. E quando commisero azioni vergognose
sul suolo sacro, Eli non ebbe il coraggio di destituirli. Si limitò a muovere loro un debole rimprovero. Con il
suo atteggiamento permissivo, Eli onorò i figli più di Dio. Di conseguenza questi si ribellarono alla pura
adorazione di Geova e la calamità si abbatté sull’intera casa di Eli. — 1 Samuele 2:12-17, 22-25, 29;
3:13, 14; 4:11-22.
11 I figli di Eli erano già adulti quando si svolsero questi avvenimenti, ma questa storia sottolinea il
pericolo di non impartire la disciplina. (Confronta Proverbi 29:21). Alcuni genitori potrebbero confondere
l’amore con il permissivismo, mancando di stabilire e far rispettare regole chiare, coerenti e ragionevoli.
Trascurano di impartire disciplina amorevole, anche quando vengono violati princìpi santi. A motivo di
questo atteggiamento permissivo, i figli possono finire per non prestare attenzione all’autorità dei genitori
né a qualsiasi altro tipo di autorità. — Confronta Ecclesiaste 8:11.
Onesimo --- Tema: Mantenete una buona coscienza 1PIETRO 3:16

it-2 433
ONESIMO (Onèsimo) [vantaggioso].
Schiavo fuggitivo che Paolo aiutò a diventare cristiano. Onesimo era stato servitore di Filemone, un
cristiano di Colosse, ma di là era fuggito a Roma. Può darsi che prima di fuggire avesse anche derubato il
padrone per pagarsi il viaggio. (Col 4:9; Flm 18) È possibilissimo che avesse conosciuto Paolo, o almeno
ne avesse sentito parlare, tramite Filemone; infatti, anche se non è specificato se Paolo durante i suoi
viaggi missionari si sia recato a Colosse, effettivamente era stato da quelle parti e conosceva Filemone.
(At 18:22, 23; Flm 5, 19, 22) Ad ogni modo, non si sa come, Onesimo venne in contatto con Paolo a
Roma e ben presto diventò cristiano. (Flm 10) Mentre in precedenza non era stato utile a Filemone come
schiavo, ora era utilissimo a Paolo come ministro, “fedele e diletto fratello” che Paolo chiama “miei propri
teneri affetti”. — Col 4:9; Flm 11, 12.
Tuttavia Onesimo era sempre uno schiavo fuggitivo e l’ordine sociale allora vigente imponeva a Paolo di
rimandarlo al suo proprietario, benché con riluttanza dal momento che era diventato un così valido
compagno. L’apostolo però non poteva costringerlo a tornare, per cui tutto dipendeva dalla buona volontà
di Onesimo. Nell’accomiatarsi da lui Paolo dispose che Tichico accompagnasse Onesimo e che i due
portassero una lettera e sue notizie a Colosse. (Col 4:7-9) Inoltre consegnò a Onesimo la sua lettera per
Filemone, anche se era quasi alla fine della detenzione e si aspettava di essere rimesso in libertà e di
poterlo visitare personalmente. (Flm 22) Quest’ultima lettera si potrebbe definire di ripresentazione e
raccomandazione per Onesimo: Paolo rassicurava Filemone circa il buon ministero cristiano e la nuova
personalità di Onesimo, e auspicava che la loro fosse la riunione di due cristiani più che di uno schiavo
col suo padrone. L’apostolo Paolo chiedeva che qualsiasi debito Onesimo avesse contratto con Filemone
fosse addebitato a lui. (Flm 12-22) Fra parentesi, nella lettera ai Colossesi di cui Onesimo e Tichico erano
latori, Paolo tratta i princìpi cristiani che regolano i rapporti tra schiavi e padroni. — Col 3:22–4:1.

W 98 15-1, pag. 29-31

Paolo --- Tema: I nemici della verità possono cambiare MATTEO 5:44, 45 a

it-2 477-82
PAOLO [piccolo].
Israelita della tribù di Beniamino e apostolo di Gesù Cristo. (Ef 1:1; Flp 3:5) Può darsi che fin dall’infanzia
avesse sia il nome ebraico Saulo che quello romano Paolo (At 9:17; 2Pt 3:15), ma forse l’apostolo
preferiva farsi chiamare col nome romano, dato il suo incarico di annunciare la buona notizia ai non ebrei.
— At 9:15; Gal 2:7, 8.
Paolo era nato a Tarso, importante città della Cilicia. (At 21:39; 22:3) I suoi genitori erano ebrei e
aderivano evidentemente al farisaismo, un ramo del giudaismo. (At 23:6; Flp 3:5) Era cittadino romano
dalla nascita (At 22:28), avendo forse suo padre ottenuto la cittadinanza per servizi resi allo stato
romano. Paolo probabilmente imparò il mestiere di fabbricante di tende dal padre. (At 18:3) Ma a
Gerusalemme fu educato dal dotto fariseo Gamaliele, e questo fa pensare che fosse di una famiglia
importante. (At 22:3; 5:34) In quanto alle lingue, Paolo conosceva bene almeno il greco e l’ebraico. (At
21:37-40) Nel periodo in cui viaggiò come missionario non era sposato. (1Co 7:8) In quel periodo, se non
anche prima, aveva una sorella e un nipote a Gerusalemme. — At 23:16-22.
Con le sue lettere, l’apostolo Paolo ebbe il privilegio di contribuire più di chiunque altro alla stesura delle
Scritture Greche Cristiane. Ebbe visioni soprannaturali (2Co 12:1-5) e, mediante lo spirito santo, fu in
grado di parlare numerose lingue straniere. — 1Co 14:18.
Persecutore; conversione e ministero. La Bibbia presenta per la prima volta Saulo o Paolo come il
“giovane” ai cui piedi deposero i mantelli i falsi testimoni che lapidarono Stefano, discepolo di Cristo. (At
6:13; 7:58) Paolo approvava l’omicidio di Stefano e, per zelo mal riposto basato sulla tradizione, iniziò
una campagna di crudele persecuzione contro i seguaci di Cristo. Quando si trattava di condannarli a
morte, votava contro di loro. Durante i processi nelle sinagoghe cercava di costringerli ad abiurare.
Estese la persecuzione ad altre città oltre Gerusalemme, e si procurò perfino un’autorizzazione scritta del
sommo sacerdote per andare a scovare i discepoli di Cristo fino a Damasco in Siria, molto più a N, e
portarli in catene a Gerusalemme, probabilmente perché fossero processati dal Sinedrio. — At 8:1, 3; 9:1,
2; 26:10, 11; Gal 1:13, 14.
Mentre Paolo si avvicinava a Damasco, Cristo Gesù gli si rivelò in una luce sfolgorante e gli diede
l’incarico di essere servitore e testimone delle cose che aveva visto e di quelle che doveva ancora
vedere. Anche coloro che erano con Paolo caddero a terra a motivo di questa manifestazione e udirono
qualcuno parlare, ma solo Paolo capì le parole e rimase accecato, così che dovette essere
accompagnato per mano a Damasco. (At 9:3-8; 22:6-11; 26:12-18) Per tre giorni non mangiò né bevve.
Poi, mentre pregava in casa di un certo Giuda a Damasco, vide in visione Anania, discepolo di Cristo,
entrare e ridargli la vista. Quando la visione divenne realtà, Paolo fu battezzato, ricevette lo spirito santo,
mangiò e riacquistò le forze. — At 9:9-19.
Secondo Atti 9:20-25 Paolo rimase per un po’ con i discepoli di Damasco e “immediatamente” cominciò
a predicare nelle sinagoghe del posto. Continuò l’attività di predicazione finché dovette lasciare Damasco
a motivo di un complotto per ucciderlo. Nella lettera ai Galati, però, Paolo dice di essere andato in Arabia
dopo la conversione, e di essere poi tornato a Damasco. (Gal 1:15-17) Non è possibile stabilire quando
ebbe luogo il viaggio in Arabia nel corso degli avvenimenti.
Può darsi che Paolo sia andato in Arabia subito dopo la conversione per meditare su ciò che Dio voleva
da lui. In questo caso, l’uso del termine “immediatamente” da parte di Luca significherebbe che,
immediatamente dopo il suo ritorno a Damasco, Paolo cominciò a predicare insieme ai discepoli.
Tuttavia, in Galati 1:17 Paolo vuole evidentemente sottolineare che non salì immediatamente a
Gerusalemme; che l’unico luogo oltre Damasco dove andò in quel periodo era l’Arabia. Quindi non è
detto che il viaggio in Arabia sia avvenuto immediatamente dopo la conversione. Può darsi che prima
Paolo sia rimasto qualche giorno a Damasco e abbia subito ripudiato pubblicamente la sua precedente
condotta di oppositore, parlando della sua fede in Cristo nelle sinagoghe. Poi può aver fatto il viaggio in
Arabia (l’effettivo scopo del quale non è rivelato) e al suo ritorno può aver continuato a predicare a
Damasco, facendolo con tale vigore che i suoi oppositori cercarono di metterlo a morte. Le due versioni si
completano anziché contraddirsi, e l’unica incertezza riguarda il preciso ordine degli avvenimenti, che
semplicemente non è indicato.
Giunto a Gerusalemme (forse nel 36 E.V.; i tre anni menzionati in Galati 1:18 potrebbero essere parte di
tre anni), Paolo constatò che i fratelli di quella città non credevano che fosse un discepolo. Tuttavia,
“Barnaba venne in suo aiuto e lo condusse dagli apostoli”, evidentemente Pietro e “Giacomo il fratello del
Signore”. (Giacomo, anche se non era uno dei dodici, poteva essere chiamato apostolo essendo tale per
la congregazione di Gerusalemme). Per 15 giorni Paolo rimase con Cefa (Pietro). Mentre era a
Gerusalemme parlò con franchezza nel nome di Gesù. Quando i fratelli appresero che per questo gli
ebrei di lingua greca cercavano di uccidere Paolo, “lo condussero a Cesarea e lo mandarono a Tarso”. —
At 9:26-30; Gal 1:18-21.
A quanto pare Paolo (verso il 41 E.V.) ebbe il privilegio di avere una visione soprannaturale così reale
da non sapere se era stato rapito al “terzo cielo” corporalmente o no. Il “terzo cielo” sembra riferirsi al
grado superlativo dell’estasi nella quale egli ebbe la visione. — 2Co 12:1-4.
In seguito Barnaba condusse Saulo da Tarso ad Antiochia per promuovere l’opera fra la popolazione di
lingua greca. Verso il 46 E.V., dopo un anno di lavoro ad Antiochia, Paolo e Barnaba furono inviati dalla
congregazione a Gerusalemme per portare soccorsi ai fratelli di quella città. (At 11:22-30) Fecero ritorno
ad Antiochia insieme a Giovanni Marco. (At 12:25) Dopo ciò lo spirito santo ordinò che a Paolo e Barnaba
fosse affidata un’opera speciale. — At 13:1, 2.
Primo viaggio missionario. (CARTINA, vol. 2, it-2 p. 747) Seguendo la direttiva dello spirito, Paolo, in
compagnia di Barnaba, e con Giovanni Marco come servitore, iniziò il primo viaggio missionario (ca. 47-
48 E.V.). Imbarcatisi a Seleucia, porto di Antiochia, salparono per Cipro. Cominciarono a ‘proclamare la
parola di Dio’ nelle sinagoghe di Salamina, città sulla costa E di Cipro. Attraversata l’isola, giunsero a
Pafo sulla costa O. Là lo stregone Elima cercò di impedire che venisse data testimonianza al proconsole
Sergio Paolo. Allora Paolo fece sì che Elima fosse colpito temporaneamente da cecità. Stupito
dall’accaduto, Sergio Paolo diventò credente. — At 13:4-12.
Da Pafo, Paolo e i suoi compagni salparono per l’Asia Minore. Quando giunsero a Perga, nella provincia
romana della Panfilia, Giovanni Marco li lasciò e tornò a Gerusalemme. Paolo e Barnaba invece si
diressero a N verso Antiochia di Pisidia. Vi trovarono molto interesse, ma alla fine furono scacciati dalla
città dietro istigazione degli ebrei. (At 13:13-50) Impavidi, si diressero a SE verso Iconio, ma anche là gli
ebrei aizzarono la folla contro di loro. Saputo di un tentativo di lapidarli, Paolo e Barnaba fuggirono a
Listra nella Licaonia. Quando Paolo guarì un uomo zoppo dalla nascita, la popolazione di Listra pensò
che Paolo e Barnaba fossero dèi incarnati. Più tardi però ebrei di Iconio e di Antiochia di Pisidia
sobillarono la folla contro Paolo così che lo lapidarono e lo trascinarono fuori della città, credendolo
morto. Tuttavia, quando fu circondato dai conservi cristiani, Paolo si alzò e rientrò a Listra. L’indomani lui
e Barnaba partirono per Derbe. Dopo avervi fatto numerosi discepoli, tornarono a Listra, Iconio e
Antiochia (in Pisidia), per rafforzare e incoraggiare i fratelli, e per nominare anziani che prestassero
servizio nelle congregazioni stabilite in quelle località. In seguito predicarono a Perga, e poi si
imbarcarono nel porto di Attalia diretti ad Antiochia di Siria. — At 13:51–14:28.
Il problema della circoncisione. Certuni, giunti ad Antiochia dalla Giudea (verso il 49 E.V.),
sostenevano che per essere salvati i non ebrei dovessero farsi circoncidere in ottemperanza alla Legge
mosaica. Paolo e Barnaba non erano d’accordo. Ma Paolo, pur essendo un apostolo, non si assunse la
responsabilità di risolvere la cosa da solo. Accompagnato da Barnaba, Tito e altri, si recò a Gerusalemme
per esporre il problema agli apostoli e agli anziani di quella congregazione. La decisione fu che i credenti
gentili non erano tenuti a circoncidersi, ma dovevano astenersi dall’idolatria, dal mangiare e bere sangue
e dall’immoralità sessuale. Oltre a redigere una lettera per esporre questa decisione, i fratelli della
congregazione di Gerusalemme inviarono come loro rappresentanti Giuda e Sila per spiegare la cosa ad
Antiochia. Inoltre, in un incontro con Pietro (Cefa), Giovanni e il discepolo Giacomo, venne convenuto che
Paolo e Barnaba avrebbero continuato a predicare ai gentili incirconcisi. — At 15:1-29; Gal 2:1-10.
Qualche tempo dopo, Pietro si recò personalmente ad Antiochia di Siria e stava in compagnia dei
cristiani gentili. Ma quando arrivarono certi ebrei da Gerusalemme, egli, evidentemente per timore degli
uomini, si separò dai non ebrei, agendo così contrariamente alla direttiva dello spirito, dato che per Dio
non esistevano distinzioni carnali. Persino Barnaba fu sviato. Notando questo, Paolo con coraggio riprese
pubblicamente Pietro, poiché il suo comportamento nuoceva al progresso del cristianesimo. — Gal 2:11-
14.
Secondo viaggio missionario. (CARTINA, vol. 2, ⇒it-2 ⇐p. 747) In seguito Paolo e Barnaba
pensarono di rivisitare i fratelli nelle città in cui avevano predicato durante il primo viaggio missionario.
Una discussione sull’opportunità di portare con loro Giovanni Marco, visto che la prima volta li aveva
lasciati, provocò una frattura fra Paolo e Barnaba. Paolo allora scelse Sila (Silvano) e si recò in Siria e in
Asia Minore (ca. 49-52 E.V.). A Listra Paolo dispose che il giovane Timoteo lo accompagnasse, e lo
circoncise. (At 15:36–16:3) Benché la circoncisione non fosse un requisito cristiano, se Timoteo, che era
per metà ebreo, fosse rimasto incirconciso, questo avrebbe senza dubbio fatto sorgere pregiudizi fra gli
ebrei nei confronti della predicazione di Paolo. Perciò, per evitare questo possibile ostacolo, Paolo si
comportò in conformità a ciò che scrisse poi ai corinti: “Ai giudei divenni come un giudeo”. — 1Co 9:20.
Una sera, a Troas sul Mar Egeo, Paolo vide in visione un macedone, che lo supplicava: “Passa in
Macedonia e aiutaci”. Concludendo che questa era la volontà di Dio, Paolo e i suoi compagni missionari,
ai quali si era unito il medico Luca, si imbarcarono per la Macedonia, in Europa. A Filippi, la principale
città della Macedonia, Lidia e la sua famiglia divennero credenti. Per aver fatto perdere i poteri di
predizione a una ragazza espellendo da lei un demonio, Paolo fu arrestato insieme a Sila. Ma entrambi
furono liberati da un terremoto, e il carceriere e la sua famiglia diventarono cristiani. A motivo
dell’insistenza di Paolo, che disse di essere cittadino romano, i magistrati civili vennero personalmente a
liberare lui e Sila dalla prigione. Dopo aver incoraggiato i fratelli, Paolo e i suoi compagni passarono per
Anfipoli e Apollonia e giunsero a Tessalonica, dove fu formata una congregazione. Ma ebrei invidiosi
istigarono un tumulto contro Paolo. Per questa ragione i fratelli mandarono lui e Sila a Berea. Anche qui
molti divennero credenti; tuttavia difficoltà causate dagli ebrei di Tessalonica costrinsero Paolo ad
andarsene. — At 16:8–17:14.
I fratelli accompagnarono l’apostolo ad Atene. Qui, in seguito alla predicazione nella piazza del mercato,
venne condotto all’Areopago. La sua difesa indusse Dionisio, uno dei giudici della corte che vi teneva le
udienze, e altri ad abbracciare il cristianesimo. (At 17:15-34) Paolo si recò poi a Corinto, dove trovò
alloggio presso una coppia di ebrei, Aquila e Priscilla, con i quali lavorò parte del tempo come fabbricante
di tende. Da Corinto a quanto pare Paolo scrisse le due lettere ai Tessalonicesi. Dopo aver insegnato a
Corinto per un anno e mezzo e avervi stabilito una congregazione, fu accusato dagli ebrei davanti a
Gallione. Ma questi dichiarò il non luogo a procedere. (At 18:1-17) In seguito Paolo si imbarcò per
Cesarea, fermandosi prima a Efeso, dove predicò. Da Cesarea l’apostolo “salì e salutò la
congregazione”, senza dubbio quella di Gerusalemme; quindi proseguì per Antiochia di Siria. (At 18:18-
22) Forse in precedenza da Corinto o forse a questo punto da Antiochia di Siria scrisse la lettera ai
Galati.
Terzo viaggio missionario. (CARTINA, vol. 2, ⇒it-2 ⇐p. 747) Durante il terzo viaggio missionario (ca.
52-56 E.V.) Paolo tornò a Efeso e vi rimase per tre anni circa. Da Efeso scrisse la prima lettera ai Corinti
e, pare, inviò Tito ad aiutare i cristiani di quella città. Dopo un tumulto contro di lui fomentato
dall’argentiere Demetrio, Paolo partì da Efeso diretto in Macedonia. Ricevute notizie da Corinto per
mezzo di Tito, Paolo, dalla Macedonia, scrisse la seconda lettera ai Corinti. Prima di lasciare l’Europa con
una contribuzione dei fratelli della Macedonia e dell’Acaia per i cristiani bisognosi di Gerusalemme, e con
tutta probabilità mentre si trovava a Corinto, scrisse la lettera ai Romani. — At 19:1–20:4; Ro 15:25, 26;
2Co 2:12, 13; 7:5-7.
Durante il viaggio a Gerusalemme, Paolo tenne un discorso a Troas e ridiede la vita a Eutico, perito
accidentalmente. Si fermò anche a Mileto, dove incontrò i sorveglianti della congregazione di Efeso, parlò
del ministero che aveva svolto nel distretto dell’Asia e li incoraggiò a imitare il suo esempio. — At 20:6-
38.
Arresto. Mentre Paolo proseguiva il suo viaggio, alcuni profeti cristiani predissero che a Gerusalemme lo
aspettavano i legami della prigionia. (At 21:4-14; cfr. 20:22, 23). Le loro profezie si adempirono. Mentre
Paolo si trovava nel tempio per compiere la propria purificazione cerimoniale, ebrei dell’Asia incitarono la
folla contro di lui, ma i soldati romani lo trassero in salvo. (At 21:26-33) Mentre saliva le scale del
quartiere dei soldati, Paolo ottenne il permesso di parlare agli ebrei. Appena menzionò il suo incarico di
predicare ai gentili, ci fu una nuova esplosione di violenza. (At 21:34–22:22) Una volta nella caserma
Paolo venne disteso per essere fustigato nel tentativo di accertare la natura della sua colpa. L’apostolo si
oppose facendo notare che era cittadino romano. L’indomani il suo caso fu presentato al Sinedrio.
Rendendosi evidentemente conto che non sarebbe stato ascoltato con imparzialità, Paolo cercò di creare
una spaccatura tra farisei e sadducei basando il suo argomento sulla risurrezione. Poiché credeva nella
risurrezione ed era “figlio di farisei”, Paolo si dichiarò fariseo e così facendo riuscì a mettere i sadducei,
che non credevano nella risurrezione, e i farisei gli uni contro gli altri. — At 22:23–23:10.
Un complotto contro Paolo prigioniero rese necessario trasferirlo da Gerusalemme a Cesarea. Qualche
giorno dopo, il sommo sacerdote Anania, alcuni anziani degli ebrei e l’oratore Tertullo giunsero a Cesarea
per accusare Paolo davanti al procuratore Felice di aver fomentato un’insurrezione e cercato di profanare
il tempio. L’apostolo dimostrò che non esisteva una sola prova a sostegno delle accuse che gli venivano
mosse. Ma Felice, sperando in un regalo, tenne Paolo in prigione per due anni. Quando Felice fu
sostituito da Festo, gli ebrei rinnovarono le loro accuse. Il caso venne riaperto a Cesarea e Paolo, per
impedire il trasferimento del processo a Gerusalemme, si appellò a Cesare. Quindi, dopo aver esposto il
suo caso al re Erode Agrippa II, Paolo e altri prigionieri furono inviati a Roma, verso il 58 E.V. — At
23:12–27:1.
Prima e seconda detenzione a Roma. Durante il viaggio, Paolo e gli altri passeggeri fecero naufragio
sull’isola di Malta. Dopo aver svernato nell’isola, giunsero infine a Roma. (CARTINA, vol. 2, it-2 p. 750)
Paolo ebbe il permesso di stare in una casa da lui affittata, ma con un soldato di guardia. Poco dopo il
suo arrivo convocò gli ebrei più in vista; solo alcuni però credettero. Per due anni, dal 59 circa al 61 E.V.,
l’apostolo continuò a predicare a tutti quelli che andavano da lui. (At 27:2–28:31) Nel frattempo scrisse le
lettere agli Efesini (4:1; 6:20), ai Filippesi (1:7, 12-14), ai Colossesi (4:18), a Filemone (v. 9) e
probabilmente anche quella agli Ebrei. (ILLUSTRAZIONE, vol. 2, it-2 p. 750) Sembra che Nerone abbia
riconosciuto l’innocenza di Paolo e lo abbia rimesso in libertà. Paolo evidentemente riprese l’attività
missionaria, insieme a Timoteo e a Tito. Dopo aver lasciato Timoteo a Efeso e Tito a Creta, Paolo,
probabilmente dalla Macedonia, scrisse loro lettere relative ai loro incarichi. (1Tm 1:3; Tit 1:5) Non si sa
se l’apostolo abbia potuto estendere la sua attività alla Spagna prima dell’ultima detenzione a Roma. (Ro
15:24) Durante questa detenzione (ca. 65 E.V.), Paolo scrisse la seconda lettera a Timoteo, nella quale
accennò alla sua morte imminente. (2Tm 4:6-8) Probabilmente di lì a poco Paolo subì il martirio per mano
di Nerone.
Un esempio da imitare. Data la fedeltà con cui seguiva l’esempio di Cristo, l’apostolo Paolo poté dire:
“Divenite miei imitatori”. (1Co 4:16; 11:1; Flp 3:17) Era pronto a seguire la direttiva dello spirito di Dio. (At
13:2-5; 16:9, 10) Non era un venditore ambulante della Parola di Dio, ma parlava mosso da sincerità.
(2Co 2:17) Benché fosse colto, Paolo non cercava di impressionare altri con le sue parole (1Co 2:1-5) né
cercava il favore degli uomini. (Gal 1:10) Non insisteva nel fare ciò che aveva diritto di fare, ma si
adattava alle persone a cui predicava, badando di non fare inciampare altri. — 1Co 9:19-26; 2Co 6:3.
Nel corso del suo ministero Paolo s’impegnò con zelo, percorse migliaia di chilometri per mare e per
terra, stabilì molte congregazioni in Europa e in Asia Minore. Perciò non aveva bisogno di lettere di
raccomandazione scritte con inchiostro, ma poteva presentare lettere viventi: persone che erano
diventate credenti grazie ai suoi sforzi. (2Co 3:1-3) Eppure riconosceva umilmente di essere uno schiavo
(Flp 1:1), obbligato ad annunciare la buona notizia. (1Co 9:16) Non si attribuì merito alcuno, ma rese ogni
onore a Dio come a Colui che era responsabile della crescita (1Co 3:5-9) e che l’aveva reso
adeguatamente qualificato per il ministero. (2Co 3:5, 6) L’apostolo apprezzava molto il proprio ministero,
lo glorificava e lo riconosceva come un’espressione della misericordia di Dio e del Figlio suo. (Ro 11:13;
2Co 4:1; 1Tm 1:12, 13) A Timoteo scrisse: “Per questo mi fu mostrata misericordia, affinché per mezzo di
me quale caso principale Cristo Gesù dimostrasse tutta la sua longanimità a modello di coloro che
riporranno la loro fede in lui per la vita eterna”. — 1Tm 1:16.
Poiché aveva perseguitato i cristiani, Paolo non si riteneva degno di essere chiamato apostolo e
riconosceva di essere tale solo per immeritata benignità di Dio. Poiché non voleva che questa immeritata
benignità gli fosse stata manifestata invano, Paolo si diede da fare più degli altri apostoli. Eppure si
rendeva conto che solo per immeritata benignità di Dio era in grado di svolgere il suo ministero. (1Co
15:9, 10) “Per ogni cosa”, disse Paolo, “ho forza in virtù di colui che mi impartisce potenza”. (Flp 4:13)
Soffrì molto, ma non si lamentò. Paragonando le sue esperienze con quelle di altri, verso il 55 E.V.
scrisse: “In fatiche più abbondantemente, in prigioni più abbondantemente, in percosse all’eccesso, in
pericoli di morte spesso. Dai giudei ricevetti cinque volte quaranta colpi meno uno, tre volte fui battuto
con le verghe, una volta fui lapidato, tre volte subii naufragio, ho trascorso una notte e un giorno nel
profondo; in viaggi spesso, in pericoli di fiumi, in pericoli di banditi di strada, in pericoli da parte della mia
razza, in pericoli da parte delle nazioni, in pericoli nella città, in pericoli nel deserto, in pericoli nel mare, in
pericoli tra falsi fratelli, in fatica e lavoro penoso, in notti insonni spesso, nella fame e nella sete,
nell’astinenza dal cibo molte volte, nel freddo e nella nudità. Oltre a queste cose di fuori, vi è ciò che mi
assale di giorno in giorno, l’ansietà per tutte le congregazioni”. (2Co 11:23-28; 6:4-10; 7:5) Oltre a tutto
ciò e ad altre difficoltà che incontrò negli anni successivi, Paolo dovette lottare con una “spina nella
carne” (2Co 12:7), forse un disturbo agli occhi o d’altro genere. — Cfr. At 23:1-5; Gal 4:15; 6:11.
Essendo imperfetto, Paolo provava un continuo conflitto fra la mente e la carne peccaminosa. (Ro 7:21-
24) Ma non si arrese: “Tratto con durezza il mio corpo e lo conduco come uno schiavo”, disse, “affinché,
dopo aver predicato agli altri, io stesso non divenga in qualche modo disapprovato”. (1Co 9:27) Aveva
sempre davanti a sé il glorioso premio della vita immortale nei cieli. Considerava tutte le sofferenze come
nulla in paragone con la gloria che avrebbe ricevuto quale ricompensa della fedeltà. (Ro 8:18; Flp 3:6-14)
Perciò, evidentemente non molto prima di morire, Paolo poté scrivere: “Ho combattuto l’eccellente
combattimento, ho corso la corsa sino alla fine, ho osservato la fede. Da ora in poi mi è riservata la
corona della giustizia”. — 2Tm 4:7, 8.
Paolo, essendo un apostolo ispirato, aveva l’autorità di comandare e di impartire ordini, e la esercitava
(1Co 14:37; 16:1; Col 4:10; 1Ts 4:2, 11; cfr. 1Tm 4:11); preferiva però rivolgersi ai fratelli con amore,
supplicandoli “per le compassioni di Dio” e “per la mitezza e per la benignità del Cristo”. (Ro 12:1; 2Co
6:11-13; 8:8; 10:1; Flm 8, 9) Era gentile e manifestava loro tenero affetto, esortandoli e consolandoli
come un padre. (1Ts 2:7, 8, 11, 12) Pur avendo diritto di ricevere aiuto materiale dai fratelli, preferiva
lavorare con le sue mani per non essere finanziariamente di peso. (At 20:33-35; 1Co 9:18; 1Ts 2:6, 9)
Perciò fra Paolo e quelli che serviva esisteva uno stretto vincolo di affetto fraterno. I sorveglianti della
congregazione di Efeso furono molto addolorati e piansero quando seppero che forse non lo avrebbero
più rivisto. (At 20:37, 38) Paolo si preoccupava molto del benessere spirituale dei compagni di fede e
desiderava fare il possibile per aiutarli a rendere certa la loro chiamata celeste. (Ro 1:11; 15:15, 16; Col
2:1, 2) Li ricordava sempre nelle sue preghiere (Ro 1:8, 9; 2Co 13:7; Ef 3:14-19; Flp 1:3-5, 9-11; Col 1:3,
9-12; 1Ts 1:2, 3; 2Ts 1:3) e chiese che anch’essi pregassero per lui. (Ro 15:30-32; 2Co 1:11) Trasse
incoraggiamento dalla fede degli altri cristiani. (Ro 1:12) D’altra parte Paolo si atteneva con fermezza a
ciò che era giusto, non esitando a correggere un altro apostolo quando ciò era necessario per il
progresso della buona notizia. — 1Co 5:1-13; Gal 2:11-14.
Paolo era uno dei dodici apostoli?
Pur essendo fermamente convinto del proprio apostolato e avendone le prove, Paolo non si incluse mai
fra “i dodici”. Prima della Pentecoste, in seguito all’esortazione scritturale di Pietro, l’assemblea cristiana
aveva cercato un sostituto dell’infedele Giuda Iscariota. Due discepoli erano stati scelti come candidati,
forse mediante il voto dei componenti maschi dell’assemblea (Pietro si era rivolto a loro chiamandoli
“uomini, fratelli”; At 1:16). Poi avevano pregato Geova Dio (cfr. At 1:24 con 1Sa 16:7 e At 15:7, 8) affinché
fosse Lui a designare quale dei due aveva scelto per sostituire l’apostolo infedele. Dopo aver pregato
tirarono a sorte, e “la sorte cadde su Mattia”. — At 1:15-26; cfr. Pr 16:33.
Non c’è ragione di dubitare che Mattia fosse stato scelto da Dio, anche se è vero che, una volta
convertito, Paolo divenne un personaggio di spicco e le sue fatiche superarono quelle di tutti gli altri
apostoli. (1Co 15:9, 10) Tuttavia nulla indica che Paolo fosse personalmente predestinato a divenire un
apostolo così che in effetti Dio non avrebbe esaudito la preghiera dell’assemblea cristiana, ma avrebbe
tenuto vacante il posto di Giuda fino alla conversione di Paolo e reso pertanto la nomina di Mattia una
semplice decisione arbitraria dell’assemblea cristiana. Al contrario, ci sono validi motivi per ritenere che
Mattia venisse scelto da Dio come sostituto.
Alla Pentecoste il versamento dello spirito santo conferì agli apostoli poteri straordinari; essi sono gli
unici di cui si dica che potessero imporre le mani sui nuovi battezzati e trasmettere loro i miracolosi doni
dello spirito. (vedi APOSTOLO [Poteri miracolosi]). Se Mattia non fosse stato realmente scelto da Dio, la
sua incapacità di far questo sarebbe stata evidente a tutti. La Bibbia mostra che non fu così. Luca, lo
scrittore di Atti, fu compagno di viaggio di Paolo e partecipò con lui a certe missioni, per cui il libro di Atti
rispecchia senz’altro l’opinione di Paolo stesso. Il libro dice che “i dodici” nominarono i sette uomini
incaricati di risolvere il problema della distribuzione dei viveri. Questo avvenne dopo la Pentecoste del 33
E.V. ma prima della conversione di Paolo. Perciò qui Mattia viene incluso fra “i dodici”, e insieme agli altri
apostoli impose le mani sui sette prescelti. — At 6:1-6.
Quale nome appare dunque fra quelli scritti sulle “dodici pietre di fondamento” della Nuova
Gerusalemme vista in visione da Giovanni, quello di Mattia o quello di Paolo? (Ri 21:2, 14) Secondo una
certa logica, sembrerebbe che Paolo fosse il più probabile. Col suo ministero egli contribuì moltissimo al
progresso della congregazione cristiana, in particolare scrivendo gran parte delle Scritture Greche
Cristiane (sono 14 le lettere a lui attribuite). Sotto questo aspetto Paolo ‘eclisserebbe’ Mattia, che dopo il
capitolo 1 di Atti non viene più menzionato.
Ma se si considera bene la cosa bisogna dire che Paolo ‘eclissò’ anche molti dei dodici apostoli originali,
alcuni dei quali raramente vengono menzionati al di fuori dell’elenco degli apostoli. Quando Paolo si
convertì, la congregazione cristiana, l’Israele spirituale, era stata istituita o fondata forse già da un anno o
più, ed era già in fase di crescita. Inoltre la prima lettera canonica di Paolo non fu evidentemente scritta
se non verso il 50 E.V. (Vedi TESSALONICESI, LETTERE AI), ovvero ben 17 anni dopo la fondazione
della nuova nazione dell’Israele spirituale alla Pentecoste del 33 E.V. Questi fatti, oltre a quelli già trattati
in questa voce, chiariscono quindi la questione. Sembra perciò ragionevole concludere che Mattia, colui
che Dio scelse in origine come sostituto di Giuda fra i “dodici apostoli dell’Agnello”, sia rimasto saldo e
che la sua posizione non sia stata intaccata dal successivo apostolato di Paolo.
A che serviva dunque l’apostolato di Paolo? Gesù stesso gli disse che doveva servire a uno scopo
particolare, non per sostituire Giuda, ma affinché Paolo prestasse servizio come ‘apostolo [inviato] alle
nazioni’. (At 9:4-6, 15) Paolo riconobbe che questo era lo scopo del suo apostolato. (Gal 1:15, 16; 2:7, 8;
Ro 1:5; 1Tm 2:7) Stando così le cose, il suo apostolato non era necessario come fondamento quando
alla Pentecoste del 33 E.V. fu istituito l’Israele spirituale.

w81 1/12 16-17


Basta essere sinceri per piacere a Dio? ‘La Parola di Dio è vivente’
COSE terribili sono state compiute in nome della religione. Guardate qui Stefano, un discepolo di Gesù
Cristo. Lo stanno uccidendo!
Gli assassini di Stefano sono uomini molto religiosi. Uno di essi è l’uomo che bada ai mantelli, Saulo.
(Atti 7:58-60) In seguito egli disse: “Facevo nel Giudaismo più progresso di molti della mia stessa età”.
Saulo però disse che la sua religione, invece di renderlo migliore, lo aveva spinto a ‘perseguitare la
congregazione di Dio’. — Gal. 1:13, 14.
Saulo perseguitava i cristiani a Gerusalemme facendo irruzione nelle loro case, trascinandoli fuori e
mettendoli in prigione. (Atti 8:3) E non si fermò qui. Partì per Damasco per arrestare i cristiani che vi
risiedevano. — Atti 9:1, 2.
Ma ecco che strada facendo avviene un fatto sorprendente. Come si può vedere, dal cielo balena una
luce che fa cadere Saulo a terra. Una voce dice: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”
“Chi sei, Signore?” chiede Saulo.
“Io sono Gesù, che tu perseguiti”, è la risposta. (Atti 9:3-5) Gesù dice questo perché quando Saulo
perseguita i seguaci di Gesù è come se perseguitasse lui stesso. Presto Saulo entra a far parte della
congregazione cristiana e col tempo diviene noto come l’apostolo Paolo.
Da questo impariamo un’importante lezione. Saulo era sincero, convinto di far piacere a Dio
perseguitando i cristiani. (Atti 22:3, 4; Giov. 16:2) Ma questo non rendeva giusto il suo modo d’agire. Per
ricevere l’approvazione di Dio dovette cambiare religione. In seguito scrisse riguardo ad altri che erano
sinceri, ma che non facevano piacere a Dio. Perché?
Paolo spiega: “Io rendo loro testimonianza che hanno zelo verso Dio; ma non secondo accurata
conoscenza”. (Rom. 10:2) Sì, oltre alla sincerità è necessario avere accurata conoscenza della Parola di
Dio. Se non si conosce la verità, si possono compiere azioni terribili. È quindi importantissimo acquistare
una giusta conoscenza dei propositi di Dio! — I Tim. 1:13; Giov. 17:3.

w83 15/5 17-22


Possiamo 'perseverare sino alla fine'
“Chi persevera pazientemente sino alla fine sarà salvato”. — Matteo 24:13, The Emphatic Diaglott.
GESÙ CRISTO, nella grande profezia sulla sua “presenza”, fece questa rincorante dichiarazione: “Chi
avrà perseverato sino alla fine sarà salvato”. (Matteo 24:3, 13) Per noi individualmente, la “fine” può
essere il “termine del sistema di cose” oppure la nostra morte, forse dopo una lunga e dura prova.
Comunque sia, per avere infine la salvezza è indispensabile perseverare fedelmente. — I Pietro 1:8. 9.
2 Gesù ci lasciò un perfetto esempio di perseveranza. (Ebrei 12:1-3) Ma, benché imperfetti, anche noi
possiamo essere fedeli a Dio nonostante intense sofferenze e persecuzioni “a causa della giustizia”.
(Matteo 5:10) Sì, per immeritata benignità di Geova possiamo essere salvati e ottenere la vita eterna
mediante il sacrificio di riscatto del suo diletto Figlio Gesù Cristo. — Giovanni 3:16; I Giovanni 2:1, 2.
3 L’apostolo Paolo, pur essendo un uomo imperfetto, costituisce per noi un ottimo esempio di
perseveranza che conduce alla salvezza. Considerando parte della sua difesa riportata in II Corinti 11:23-
27, abbiamo visto che in fatiche e sofferenze fu “in maniera più preminente” ‘ministro di Cristo’ rispetto
agli “apostoli sopraffini” di Corinto. Come vedremo, li superò quale ‘ministro di Cristo’ anche in quanto a
viaggi, pericoli e difficoltà varie.
Viaggi pericolosi per promuovere la buona notizia
4 In viaggi spesso: Paolo fece frequenti viaggi per proclamare la buona notizia, superando di gran lunga
sotto questo aspetto i suoi oppositori corinti. (Versetti 23, 26⇒ di 2 Corinti 11⇐) Ovviamente dovette
affrontare i pericoli comuni ai viaggiatori nel mondo romano. Ma i suoi viaggi furono molto lunghi e
piuttosto estenuanti. Lo portarono in città come Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra, Derbe, Filippi,
Tessalonica, Berea, Atene e Corinto. — Atti 13:14–14:26; 16:11–18:17.
5 I viaggi dell’apostolo erano resi ancor più estenuanti e pericolosi dal fatto che egli era ‘oggetto di odio a
motivo del nome di Cristo’. (Matteo 10:22) Ciò nonostante Geova diede a Paolo la vitalità e il coraggio
necessari per i suoi faticosi viaggi. (Isaia 40:28-31) Operando strenuamente in qualità di ministro,
l’apostolo lasciò agli odierni testimoni di Geova uno splendido esempio in quanto a promuovere gli
interessi del Regno. — Matteo 6:33.
Sopportàti fedelmente vari pericoli
6 In pericoli di fiumi: Essendoci relativamente pochi ponti, Paolo dovette spesso trovarsi in pericolo nel
guadare fiumi in piena. Per esempio, durante il suo primo viaggio missionario e nel viaggio di ritorno, egli
attraversò la Pisidia, dove impetuosi torrenti di montagna rappresentavano un grave pericolo. (Atti 13:13,
14; 14:21, 24) I testimoni di Geova — in particolare i missionari e altri che compiono il loro ministero in
zone isolate — possono trarre incoraggiamento dalla perseveranza di Paolo in tali circostanze.
7 In pericoli di banditi da strada: La parabola di Gesù circa il buon samaritano mostra che un viaggiatore
del primo secolo poteva ‘cadere fra i ladroni, che lo spogliavano e gli infliggevano dei colpi, e se ne
andavano, lasciandolo mezzo morto’. (Luca 10:25-37) I banditi erano comuni in molte zone che Paolo
attraversò. Per esempio, quando con Barnaba si diresse a nord da Perga ad Antiochia di Pisidia,
attraversarono un territorio montuoso infestato dai banditi. (Atti 13:13, 14) Quei pericolosi criminali
tendevano imboscate alle vittime nei luoghi isolati e non esitavano a ricorrere alla violenza. Forse anche
Paolo fu aggredito dai banditi. Gli odierni testimoni di Geova possono correre pericoli simili, e devono
esercitare cautela. Come l’apostolo, però, possono perseverare fedelmente, non cedendo al timore ma
confidando nella protezione di Geova. — Confronta Salmo 56:4.
8 In pericoli da parte della mia razza: Paolo predicava un Messia messo al palo e risuscitato, rigettato dal
suo stesso popolo in generale. (I Corinti 1:22-24; 2:2) Inoltre insegnava che si poteva essere dichiarati
giusti non mediante le opere della legge mosaica, ma mediante la fede in Gesù Cristo. (Romani 3:20;
5:18-21; 6:14) Per questo gli altri ebrei consideravano Paolo un apostata, lo odiavano, lo percossero e
desideravano addirittura ucciderlo. (Atti 9:23-25) Sembra inoltre che alcuni suoi connazionali fossero
adirati perché egli convertiva al cristianesimo gentili che gli ebrei avevano invano cercato di rendere
proseliti della loro religione. — Matteo 23:15; Atti 17:1-10.
9 In pericoli da parte delle nazioni: Paolo fu perseguitato anche dai gentili, cioè da persone delle nazioni.
(Atti 19:11-41) A volte erano i suoi nemici giudei a istigare i gentili a compiere azioni violente contro
l’apostolo. (Atti 14:1-7, 19, 20) Ma questi pericoli causati da giudei e gentili non misero mai a tacere
quell’intrepido proclamatore del Regno. Similmente i cristiani testimoni di Geova che oggi sono
perseguitati predicano intrepidamente a persone della propria razza e ad altri. — Atti 17:30; confronta
Salmo 59:1-4.
10 In pericoli nella città: In un modo o nell’altro Paolo fu perseguitato in città come Damasco,
Gerusalemme, Listra ed Efeso. (Atti 9:23-30; 14:19; 19:29-31) A Filippi gli oppositori gentili dissero che
Paolo e Sila ‘disturbavano la loro città’. Di conseguenza gli evangelizzatori furono aggrediti da una turba
e subirono percosse e imprigionamento. (Atti 16:16-24) Ma questo non fermò quei proclamatori del
Regno, come violenze analoghe non hanno messo a tacere i testimoni di Geova di oggi.
11 In pericoli nel deserto: L’apostolo non limitò la sua attività e i suoi movimenti alle zone molto popolate e
alle strade frequentate. I suoi viaggi lo portarono anche in regioni scarsamente abitate, perfino “in zone
selvagge”. (Today’s English Version [TEV]) Lì la possibilità di morire di fame, di essere colti da una
tempesta, di perdersi, di essere aggrediti da bestie selvagge o di cadere in un’imboscata tesa da banditi
costituiva un pericolo potenziale che Paolo affrontò coraggiosamente.
12 In pericoli nel mare: Quando per divulgare la buona notizia o aiutare i conservi credenti si rendeva
necessario viaggiare “in alto mare” (TEV), c’era il pericolo di violente tempeste, come pure la possibilità di
fare naufragio. Ma Paolo non permise che tali pericoli lo scoraggiassero dall’adempiere il suo ministero,
così come oggi molti testimoni di Geova affrontano con coraggio pericoli simili quando devono viaggiare
per promuovere gli interessi del Regno.
“Falsi fratelli”
13 In pericoli tra falsi fratelli: Il pericolo maggiore e indubbiamente anche più doloroso per Paolo erano gli
ingannevoli “falsi fratelli” o “pseudo-fratelli”. (Traduzione interlineare del Regno delle Scritture Greche,
greco-inglese) Dal tempo del traditore Giuda Iscariota, fra i seguaci di Cristo si sono a volte trovate
persone del genere. Ai giorni di Paolo quei “falsi fratelli” includevano forse gli “apostoli sopraffini” di
Corinto. I “falsi fratelli” erano particolarmente insidiosi perché ingannevolmente si mostravano amici,
mentre in realtà erano sleali e traditori. Quegli uomini cercavano di trovare delle accuse contro Paolo. —
II Corinti 11:5, 12-14; confronta Daniele 6:4, 5.
14 Alcuni “pseudo-fratelli” operavano nelle ‘congregazioni della Galazia’. Ma Paolo non cedette mai a tali
uomini, “onde la verità della buona notizia rimanesse presso” i suoi conservi. (Galati 1:1, 2; 2:4, 5;
confronta Giuda 3, 4). Come aiutò Paolo, così Geova ha rafforzato spiritualmente i Suoi attuali testimoni
affinché “la verità della buona notizia” rimanesse presso di loro. Nelle ispirate lettere ai cristiani di Corinto
e della Galazia, essi trovano l’aiuto spirituale necessario per difendersi dai “falsi fratelli” che possono
infiltrarsi nelle congregazioni.
Difficoltà nel “sacro servizio”
15 In fatica e lavoro penoso: Successivamente Paolo menziona le difficoltà che lo rendevano “in maniera
più preminente” ‘ministro di Cristo’ rispetto ai suoi oppositori. (Versetti 23, 27⇒ di 2 Corinti 11⇐) ‘La
fatica e il lavoro penoso’ qui menzionati potrebbero in parte riferirsi all’estenuante lavoro manuale che
Paolo compiva per mantenersi nel ministero. (Atti 18:1-4; I Corinti 4:11, 12; II Tessalonicesi 3:7, 8) Ma
tutto ciò che l’apostolo faceva era imperniato sul servizio di Geova. Quindi questa “fatica e lavoro penoso”
includeva senza dubbio gli sforzi e la stanchezza dovuti ai viaggi faticosi, all’esposizione agli elementi,
alle privazioni e ad altre difficoltà sopportate nel “sacro servizio” che rendeva a Geova. — Romani 12:1.
16 In notti insonni spesso: Non volendo porre un peso economico su quelli ai quali predicava la buona
notizia, Paolo svolgeva lavori manuali “notte e giorno”, probabilmente con frequente e notevole perdita di
sonno. (I Tessalonicesi 2:9) Tutto ciò era naturalmente collegato con l’attività dell’apostolo quale ‘ministro
di Cristo’. Le sue “notti insonni” non erano dovute all’ansia per le necessità materiali, perché Geova fa in
modo che i suoi servitori abbiano il necessario. (Matteo 6:25-34) Ma alcune di quelle notti insonni erano
forse dedicate alla preghiera o trascorse con profonda preoccupazione per i suoi conservi. (Confronta
Luca 6:12-16; II Corinti 11:28, 29). Una volta egli ritenne necessario parlare ai fratelli radunati “fino a
mezzanotte”, anzi, per tutta la notte “fino all’alba”. (Atti 20:7-12) Inoltre molte di quelle notti insonni
dovettero essere causate da disagi, pericoli e altre difficoltà incontrate dall’apostolo nello svolgimento del
suo ministero.
17 Nella fame e nella sete: Paolo poté provare ‘fame e sete’ mentre viaggiava attraverso zone impervie o
calde zone desertiche. Forse a volte provò la fame e la sete dovendo dipendere da estranei o da ciò che
poteva procurarsi con il proprio lavoro in ambienti sconosciuti. Eppure Geova fece sempre in modo che
Paolo sopravvivesse, anche se a volte aveva ben poco a disposizione. “L’Iddio d’ogni conforto” provvede
anche oggi ai suoi servitori il necessario per sostenersi. — Salmo 37:25; Luca 11:2, 3.
18 Nell’astinenza dal cibo molte volte: Qui (al versetto 27⇒ di 2 Corinti 11⇐) Paolo vuol forse fare un
contrasto tra ‘fame e sete’ involontarie e la deliberata “astinenza dal cibo [letteralmente “digiuni”] molte
volte”. In certe occasioni può aver digiunato volontariamente, per esempio quando si dedicava alla
preghiera o doveva trattare questioni spirituali molto gravose. (Confronta Atti 13:3; 14:23). Se invece qui
egli stava elencando solo una serie di difficoltà, allora si riferiva al rimanere involontariamente senza cibo,
forse a causa di una malattia come la dissenteria o a privazioni incontrate nel ministero. (Confronta II
Corinti 6:5). Accingendosi a intraprendere certi viaggi per il ministero, Paolo poteva ovviamente rendersi
conto che cibo e acqua sarebbero scarseggiati o non sarebbero stati disponibili. Ma questo non lo
trattenne dal promuovere gli interessi cristiani. — Filippesi 4:12.
19 Nel freddo e nella nudità: L’apostolo sopportò anche le difficoltà dovute al freddo e a una relativa
nudità, o “esposizione” alle intemperie. (The New English Bible) Non andava ‘scarsamente vestito’ per
pigrizia. Paolo lavorava per soddisfare le sue necessità. (I Corinti 4:11, 12; confronta Atti 20:33, 34).
‘Freddo e nudità’ erano difficoltà che l’apostolo sopportava quando era vestito in modo inadeguato a
causa di persecuzione, quando incontrava tempo inclemente nei suoi viaggi o quando svolgeva il suo
ministero in condizioni difficili.
‘Perseverate sino alla fine’!
20 Dopo aver esaminato alcune delle fatiche, sofferenze, viaggi, pericoli e difficoltà dell’apostolo Paolo, si
potrebbe essere portati a considerarlo un uomo forte come una torre. Ma come ognuno di noi era un
uomo imperfetto. (Romani 7:21-25) Infatti i suoi oppositori di Corinto lo disprezzavano dicendo: “Le sue
lettere sono gravi e vigorose, ma la sua presenza personale è debole e la sua parola spregevole”. (II
Corinti 10:10) Per di più Paolo aveva una “spina nella carne”, forse un disturbo alla vista. — II Corinti
12:7; Atti 23:1-5; Galati 4:15; 6:11.
21 In modo simile noi testimoni di Geova moderni siamo imperfetti, anche se, come Paolo, ci sforziamo
sinceramente di piacere a Dio. (I Corinti 9:24-27) Il mondo ci disprezza, come alcuni disprezzavano
l’apostolo, anche se ci preoccupiamo vivamente del benessere spirituale del prossimo. (Matteo 22:39)
Come Paolo, molti di noi soffrono di qualche disturbo. Ma questo ci fa confidare ancora di più nella forza
di Dio, e, nella nostra debolezza, la sua potenza è resa specialmente manifesta fra quelli ai quali
predichiamo. — II Corinti 12:7-10.
22 Non c’è dubbio che fino alla sua morte quale imperfetto ma fedele testimone di Geova, Paolo fu
sostenuto dalla potenza dall’alto. (II Corinti 4:7; II Timoteo 4:6-8) In modo analogo è solo grazie alla forza
di Dio che potremo fedelmente ‘perseverare sino alla fine’ di questo malvagio sistema di cose o fino alla
nostra morte. (Salmo 29:11; Matteo 10:28; 24:3, 13; Marco 13:13) Se siamo chiamati a soffrire “a causa
della giustizia”, siamo grandemente confortati dallo spirito santo di Geova, dalle sue splendide promesse
e dalle sue risposte alle nostre preghiere. Queste cose ci rendono fiduciosi che “l’Iddio d’ogni conforto” è
con noi. Come l’apostolo Paolo, potremmo essere “perplessi, ma non assolutamente senza via d’uscita; .
. . perseguitati, ma non abbandonati; . . . abbattuti, ma non distrutti”. (II Corinti 4:8, 9) Il nostro Dio ci dà la
forza di proclamare intrepidamente la buona notizia nonostante persecuzioni e difficoltà. E con la forza di
Geova potremo senz’altro ‘perseverare sino alla fine’.
Sapreste rispondere a queste domande?
 Cosa significa ‘perseverare sino alla fine’?
 A quale tipo di viaggi si riferiva l’apostolo Paolo quando parlò di “viaggi spesso”?
 Com’era minacciato l’apostolo da “falsi fratelli”, e in che modo gli odierni testimoni di Geova sono stati
spiritualmente rafforzati per resistere a tali persone?
 In quali circostanze Paolo provò ‘fame e sete’, ‘freddo e nudità’?
 Pur essendo imperfetti, come lo era Paolo, cosa ci permetterà di ‘perseverare sino alla fine’?
[Domande sullo studio]
1. (a) Per noi individualmente, quale può essere la “fine” menzionata da Gesù in Matteo 24:13? (b) Cosa
è essenziale per la salvezza?
2, 3. (a) Perché possiamo aver fiducia di poter ottenere la salvezza nonostante la nostra imperfezione?
(b) Cosa considereremo ora?
4. A quali viaggi si riferiva l’apostolo Paolo con l’espressione “in viaggi spesso”?
5. Cosa rendeva particolarmente faticosi e pericolosi i viaggi di Paolo, e cosa gli permise di compierli?
6. A quali “pericoli di fiumi” poteva riferirsi l’apostolo?
7. (a) Quali “pericoli di banditi da strada” dovette affrontare Paolo? (b) Come possono incontrare pericoli
simili gli odierni Testimoni?
8. Perché gli altri ebrei odiavano Paolo, desiderando perfino ucciderlo?
9. Quali “pericoli da parte delle nazioni” dovette affrontare l’apostolo, ma servirono essi a metterlo a
tacere?
10. Quali pericoli corse Paolo ‘in città’?
11. Quali potevano essere i “pericoli nel deserto”?
12, Quali “pericoli nel mare” affrontò Paolo, e lo distolsero essi dal compiere il suo ministero?
13, 14. (a) Chi erano i “falsi fratelli”? (b) Perché i “falsi fratelli” erano particolarmente pericolosi? (c) Come
sono stati spiritualmente rafforzati i testimoni di Geova per difendersi dai “falsi fratelli” che potrebbero
insinuarsi nelle congregazioni?
15. A cosa si riferiva Paolo dicendo di essere “in maniera più preminente” ministro di Cristo “in fatica e
lavoro penoso”?
16. Quali potevano essere le cause delle frequenti “notti insonni” di Paolo?
17. In quali occasioni l’apostolo può aver provato ‘fame e sete’?
18. A cosa potrebbe riferirsi l’“astinenza dal cibo molte volte”?
19. In quali circostanze Paolo soffrì forse ‘freddo e nudità’?
20, 21. (a) Perché non si può dire che Paolo fosse un uomo forte come una torre? (b) Che paragoni si
possono fare fra gli odierni testimoni di Geova e l’apostolo Paolo?
22. (a) Se dovessimo soffrire “a causa della giustizia”, come saremmo confortati da Geova? (b) Solo
come possiamo ‘perseverare sino alla fine’?

[Figura a pagina 18]


Nei viaggi che compiva per il ministero Paolo era spesso esposto al pericolo di banditi da strada
[Figura a pagina 19]
Paolo era esposto a pericoli da parte delle nazioni, come avvenne a Listra

Pietro --- Tema: Siate coraggiosi ed energici nel sostenere la vera adorazione SALMO 31:24

it-2 589-92
PIETRO [frammento di roccia].
Apostolo di Gesù Cristo chiamato nelle Scritture in cinque maniere diverse: “Simeone”, “Simone”
(rispettivamente nome ebraico e greco derivati da una radice ebraica che significa “udire; ascoltare”),
“Pietro” (nome greco che solo lui ha nelle Scritture) e “Cefa”, l’equivalente semitico (forse analogo
all’ebraico kefìm [rocce] usato in Gb 30:6 e Ger 4:29), e anche “Simon Pietro”. — At 15:14; Mt 10:2;
16:16; Gv 1:42.
Pietro era figlio di Giovanni, o Giona. (Mt 16:17; Gv 1:42) Inizialmente risiedeva a Betsaida (Gv 1:44),
ma in seguito lo troviamo a Capernaum (Lu 4:31, 38), località che si trovavano entrambe sulla riva N del
Mar di Galilea. Pietro e suo fratello Andrea avevano un’impresa di pesca, evidentemente in società con
Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, “che erano soci di Simone” (CEI). (Lu 5:7, 10; Mt 4:18-22; Mr 1:16-
21) Pietro dunque non pescava da solo, ma faceva parte di una società piuttosto attiva. Anche se ebrei
autorevoli consideravano Pietro e Giovanni “uomini illetterati e comuni”, questo non vuol dire che fossero
analfabeti o impreparati. Del termine agràmmatos riferito a loro, un dizionario biblico (A Dictionary of the
Bible, a cura di J. Hastings, 1905, vol. III, p. 757) dice che per un ebreo “significava chi non aveva
ricevuto istruzione nello studio rabbinico della Scrittura”. — Cfr. Gv 7:14, 15; At 4:13.
Pietro era sposato e, almeno negli ultimi anni, sembra che la moglie lo accompagnasse nelle sue
missioni (per lo meno in alcune), come facevano le mogli di altri apostoli. (1Co 9:5) Sua suocera viveva
con lui, e nella stessa casa viveva anche il fratello Andrea. — Mr 1:29-31.
Ministero con Gesù. Pietro fu uno dei primissimi discepoli di Gesù, a cui fu presentato da Andrea,
discepolo di Giovanni il Battezzatore. (Gv 1:35-42) In quell’occasione Gesù lo soprannominò Cefa
(Pietro) (Gv 1:42; Mr 3:16), nome probabilmente profetico. Gesù, che fu in grado di discernere che
Natanaele era un uomo ‘in cui non c’era inganno’, poteva discernere anche la personalità di Pietro. Pietro
manifestò senz’altro qualità simili a quelle della roccia, specie dopo la morte e risurrezione di Gesù,
rafforzando i compagni di fede. — Gv 1:47, 48; 2:25; Lu 22:32.
Qualche tempo dopo, in Galilea, Pietro, suo fratello Andrea e i loro soci Giacomo e Giovanni ricevettero
da Gesù l’invito a diventare “pescatori di uomini”. (Gv 1:35-42; Mt 4:18-22; Mr 1:16-18) Gesù aveva scelto
la barca di Pietro per parlare alla folla radunata sulla riva. Dopo fece fare una pesca miracolosa, e ciò
indusse Pietro, che in un primo momento si era mostrato dubbioso, a cadere pieno di timore ai suoi piedi.
Quindi lui e i tre soci abbandonarono senza esitazione la pesca per seguire Gesù. (Lu 5:1-11) Dopo
essere stato discepolo per quasi un anno, Pietro fu incluso fra i dodici scelti come “apostoli” o ‘inviati’. —
Mr 3:13-19.
Fra gli apostoli, Gesù scelse più volte Pietro, Giacomo e Giovanni perché lo accompagnassero in
occasioni speciali, come nel caso della trasfigurazione (Mt 17:1, 2; Mr 9:2; Lu 9:28, 29), della risurrezione
della figlia di Iairo (Mr 5:22-24, 35-42) e della prova personale di Gesù nell’orto di Getsemani (Mt 26:36-
46; Mr 14:32-42). Furono questi tre in particolare, più Andrea, a interrogare Gesù circa la distruzione di
Gerusalemme, la sua futura presenza e il termine del sistema di cose. (Mr 13:1-3; Mt 24:3) Anche se
Pietro compare insieme a suo fratello Andrea negli elenchi degli apostoli, la descrizione degli avvenimenti
più spesso lo unisce a Giovanni, sia prima che dopo la morte e risurrezione di Gesù. (Lu 22:8; Gv 13:24;
20:2; 21:7; At 3:1; 8:14; cfr. At 1:13; Gal 2:9). Non è spiegato se ciò fosse dovuto ad amicizia e affinità
naturale o se Gesù li avesse incaricati di lavorare insieme. — Cfr. Mr 6:7.
Nei Vangeli Pietro è citato più spesso di qualunque altro degli undici. Egli aveva senz’altro un
temperamento dinamico, non era timido o esitante. Questo indubbiamente lo induceva a parlare per
primo o a esprimersi quando altri rimanevano in silenzio. Fece domande che spinsero Gesù a chiarire e
ampliare delle illustrazioni. (Mt 15:15; 18:21; 19:27-29; Lu 12:41; Gv 13:36-38; cfr. Mr 11:21-25). A volte
era impulsivo, anche impetuoso, nel parlare. Fu Pietro che ritenne di dover dire qualcosa vedendo la
visione della trasfigurazione. (Mr 9:1-6; Lu 9:33) Osservando con una certa eccitazione che valeva la
pena di essere là e offrendosi di erigere tre tende, sembra volesse dire che la visione (in cui Mosè ed Elia
stavano ora per separarsi da Gesù) non doveva terminare ma continuare. La sera dell’ultima Pasqua,
Pietro in un primo momento protestò vivacemente all’idea che Gesù gli lavasse i piedi, ma poi, essendo
stato ripreso, chiese a Gesù che gli lavasse anche la testa e le mani. (Gv 13:5-10) Come si può notare,
però, le espressioni di Pietro erano motivate da vivo interesse e riflessione, insieme a profondo
sentimento. Il fatto che le sue parole siano riportate nella Bibbia dimostra il loro valore, anche se a volte
rivelano certe debolezze umane.
Per esempio, quando molti discepoli inciamparono a motivo di ciò che Gesù insegnava e lo
abbandonarono, Pietro parlò a nome di tutti gli apostoli dichiarando che erano decisi a rimanere con il
loro Signore, Colui che aveva “parole di vita eterna . . . il Santo di Dio”. (Gv 6:66-69) Dopo che gli apostoli
in generale avevano risposto alla domanda di Gesù su ciò che la gente diceva di lui, ancora una volta fu
Pietro a esprimere la ferma convinzione: “Tu sei il Cristo, il Figlio dell’Iddio vivente”. Per questo Gesù
dichiarò Pietro “felice” o benedetto. — Mt 16:13-17.
Essendo il primo a parlare, Pietro fu anche più spesso corretto, ripreso o rimproverato. Benché fosse
spinto dalla compassione, ebbe l’ardire di prendere in disparte Gesù e addirittura di rimproverarlo per
aver predetto le proprie future sofferenze e la propria morte quale Messia. Gesù voltò le spalle a Pietro,
definendolo un oppositore, o Satana, che contrapponeva un ragionamento umano ai pensieri di Dio
contenuti nelle profezie. (Mt 16:21-23) Si noti però che nel far questo Gesù ‘guardò gli altri discepoli’,
probabilmente per indicare che sapeva che Pietro esprimeva sentimenti condivisi dagli altri. (Mr 8:32, 33)
Quando Pietro pensò di poter parlare a nome di Gesù circa il pagamento di una certa tassa, Gesù lo
aiutò con delicatezza a rendersi conto della necessità di riflettere di più prima di parlare. (Mt 17:24-27)
Pietro rivelò di essere troppo sicuro di sé e di provare un senso di superiorità nei confronti degli altri
undici quando affermò che, se anche loro avessero inciampato riguardo a Gesù, lui non l’avrebbe mai
fatto, poiché era pronto ad andare in prigione con Gesù o anche a morire con lui. È vero, tutti gli altri si
unirono nel fare tale affermazione, ma Pietro la fece per primo e “con più insistenza”. (Ga) Gesù allora
predisse che Pietro avrebbe rinnegato tre volte il suo Signore. — Mt 26:31-35; Mr 14:30, 31; Lu 22:33,
34.
Pietro non si limitava a parlare ma era anche un uomo d’azione; manifestò spirito d’iniziativa e coraggio,
e anche grande attaccamento per il suo Signore. Quando una volta, prima dell’alba, Gesù cercava un
posto solitario per pregare, Simone alla testa di un gruppo riuscì ben presto a rintracciarlo. (Mr 1:35-37) E
fu Pietro che chiese a Gesù di ordinargli di camminare sulle acque tempestose per andargli incontro,
facendo qualche passo prima di cedere al dubbio e cominciare ad affondare. — Mt 14:25-32.
Nell’orto di Getsemani, l’ultima notte della vita terrena di Gesù, Pietro, insieme a Giacomo e Giovanni,
ebbe il privilegio di accompagnare Gesù fino al luogo in cui si immerse in fervida preghiera. Pietro, come
gli altri apostoli, vinto dalla stanchezza e dal dolore, cedette al sonno. Senza dubbio per il fatto che Pietro
aveva con tanta insistenza espresso la determinazione di restare con Gesù, questi si rivolse a lui in
particolare quando chiese: “Non avete potuto vigilare con me nemmeno un’ora?” (Mt 26:36-45; Lu 22:39-
46) Pietro non aveva ‘pregato di continuo’ e ne subì le conseguenze.
I discepoli, vedendo che la folla stava per prendere Gesù, chiesero se dovevano combattere; ma Pietro,
senza aspettare la risposta, agì staccando con la spada l’orecchio a un uomo (intendendo probabilmente
infliggere un danno maggiore) e fu quindi ripreso da Gesù. (Mt 26:51, 52; Lu 22:49-51; Gv 18:10, 11)
Anche se, come gli altri discepoli, Pietro abbandonò Gesù, seguì poi “da lontano” la folla che l’aveva
arrestato, evidentemente combattuto fra la paura di rischiare la vita e la profonda preoccupazione per ciò
che sarebbe accaduto a Gesù. — Mt 26:57, 58.
Aiutato da un altro discepolo, che l’aveva seguito o accompagnato fino all’abitazione del sommo
sacerdote, Pietro entrò fin dentro il cortile. (Gv 18:15, 16) Non rimase tranquillo in disparte in un angolo
buio ma si fece avanti per scaldarsi al fuoco. La luce del fuoco permise ad altri di riconoscerlo come
compagno di Gesù, e il suo accento galileo confermò i loro sospetti. Accusato, Pietro negò tre volte
persino di conoscere Gesù e infine si mise a maledire, tanta era la veemenza con cui negava. Da
qualche parte in città un gallo cantò una seconda volta e Gesù, “voltatosi, guardò Pietro”. Pietro allora
uscì, si accasciò e pianse amaramente. (Mt 26:69-75; Mr 14:66-72; Lu 22:54-62; Gv 18:17, 18; vedi
CANTO DEL GALLO; GIURAMENTO). Tuttavia la precedente intercessione di Gesù a favore di Pietro fu
esaudita e la fede di Pietro non venne meno del tutto. — Lu 22:31, 32.
Dopo la morte e la risurrezione di Gesù, l’angelo disse alle donne che erano andate alla tomba di
portare un messaggio “ai suoi discepoli e a Pietro”. (Mr 16:1-7; Mt 28:1-10) Maria Maddalena portò il
messaggio a Pietro e a Giovanni, che si avviarono di corsa alla tomba. Pietro fu superato da Giovanni.
Mentre però Giovanni si fermò davanti alla tomba e si limitò a guardare dentro, Pietro vi entrò subito,
seguito poi da Giovanni. (Gv 20:1-8) Prima di apparire ai discepoli in gruppo, Gesù apparve a Pietro.
Questo, oltre al fatto che l’angelo lo aveva specificamente menzionato per nome, avrebbe dovuto
rassicurare il pentito Pietro che il Signore, benché da lui rinnegato tre volte, non l’aveva respinto per
sempre. — Lu 24:34; 1Co 15:5.
Prima che Gesù si manifestasse ai discepoli presso il Mar di Galilea (Tiberiade), l’energico Pietro aveva
detto che andava a pescare, e gli altri si erano uniti a lui. Quando più tardi Giovanni riconobbe Gesù sulla
spiaggia, Pietro impulsivamente raggiunse la riva a nuoto, lasciando che gli altri portassero a riva la
barca; e quando Gesù chiese del pesce fu Pietro che trasse a riva la rete. (Gv 21:1-13) In quell’occasione
Gesù interrogò tre volte Pietro (che tre volte aveva rinnegato il suo Signore) circa il suo amore per lui,
dandogli l’incarico di ‘pascere le sue pecore’. Gesù inoltre gli predisse come sarebbe morto, per cui
Pietro, scorto l’apostolo Giovanni, chiese: “Signore, che farà quest’uomo?” Ancora una volta Gesù
corresse il punto di vista di Pietro, sottolineando la necessità di ‘essere suo seguace’ senza preoccuparsi
di quello che avrebbero fatto gli altri. — Gv 21:15-22.
Ministero successivo. Pietro, “una volta tornato” dall’essere caduto nel laccio della paura a motivo
dell’eccessiva sicurezza di sé (cfr. Pr 29:25), doveva ‘rafforzare i suoi fratelli’ adempiendo l’esortazione di
Cristo (Lu 22:32) e svolgere opera pastorale fra le Sue pecore (Gv 21:15-17). In armonia con ciò vediamo
che Pietro ebbe una parte importante nell’attività svolta dai discepoli dopo l’ascensione di Gesù al cielo.
Prima della Pentecoste del 33 E.V. Pietro sollevò la questione della sostituzione dell’infedele Giuda,
presentando prove scritturali a sostegno di questa azione. L’assemblea seguì la sua raccomandazione.
(At 1:15-26) Di nuovo, alla Pentecoste, Pietro, guidato dallo spirito santo, prese la parola a nome degli
apostoli e usò la prima delle “chiavi” affidategli da Gesù, aprendo così la via perché gli ebrei potessero
entrare a far parte del Regno. — At 2:1-41; vedi CHIAVE.
La sua preminenza nella primitiva congregazione cristiana non terminò alla Pentecoste. Degli apostoli
originali, solo lui e Giovanni sono nominati in seguito nel libro di Atti, fatta eccezione per l’accenno
all’esecuzione capitale di “Giacomo fratello di Giovanni”, l’altro dei tre apostoli che erano stati più vicini a
Gesù. (At 12:2) Sembra che Pietro fosse particolarmente noto per i suoi miracoli. (At 3:1-26; 5:12-16; cfr.
Gal 2:8). Con l’aiuto dello spirito santo, egli si rivolse intrepidamente ai governanti ebrei che avevano fatto
arrestare lui e Giovanni (At 4:1-21); in un’altra occasione parlò a nome di tutti gli apostoli davanti al
Sinedrio, dichiarando con fermezza la loro determinazione di “ubbidire a Dio come governante” anziché
agli uomini che si opponevano alla volontà di Dio. (At 5:17-31) Pietro in particolare deve aver provato
grande soddisfazione nel manifestare un atteggiamento così diverso da quello della notte in cui aveva
rinnegato Gesù, e anche nel sopportare la fustigazione inflittagli dai governanti. (At 5:40-42) Prima di
questo arresto Pietro era stato ispirato a smascherare l’ipocrisia di Anania e Saffira e a pronunciare il
giudizio di Dio su di loro. — At 5:1-11.
Non molto tempo dopo il martirio di Stefano, avendo Filippo (l’evangelizzatore) aiutato e battezzato
diversi credenti a Samaria, Pietro e Giovanni andarono in quella città affinché quei credenti potessero
ricevere lo spirito santo. Lì Pietro usò la seconda ‘chiave del regno’. Quindi i due apostoli, durante il
viaggio di ritorno a Gerusalemme, ‘dichiararono la buona notizia in molti villaggi samaritani’. (At 8:5-25)
Pietro evidentemente partì di nuovo; durante questa missione, a Lidda, sanò Enea, paralizzato da otto
anni, e risuscitò una donna di Ioppe, Tabita. (At 9:32-43) A Ioppe Pietro ricevette istruzioni di usare
un’altra ‘chiave del regno’, recandosi a Cesarea per predicare a Cornelio e ai suoi amici e parenti, che
divennero i primi credenti gentili incirconcisi a ricevere lo spirito santo quali eredi del Regno. Al suo
ritorno a Gerusalemme, Pietro dovette affrontare coloro che non erano d’accordo con questa azione, ma
essi si acquietarono dopo che egli ebbe spiegato loro che aveva agito per ordine del cielo. — At 10:1–
11:18; cfr. Mt 16:19.
Fu forse verso lo stesso anno (36 E.V.) che Paolo si recò per la prima volta a Gerusalemme come
cristiano convertito e apostolo. Andò da “Cefa” (Pietro) e rimase con lui 15 giorni; vide anche Giacomo (il
fratellastro di Gesù), ma nessun altro degli apostoli originali. — Gal 1:18, 19; vedi APOSTOLO (Apostoli
delle congregazioni).
A quanto si sa, nel 44 E.V. Erode Agrippa I condannò a morte l’apostolo Giacomo e, visto che questo
faceva piacere alle autorità ebraiche, arrestò anche Pietro. (At 12:1-4) La congregazione ‘pregò
intensamente’ per Pietro, e un angelo di Geova lo liberò dalla prigione (e probabilmente dalla morte).
Dopo aver riferito la sua liberazione miracolosa a quanti si trovavano in casa di Giovanni Marco, Pietro
chiese che la notizia fosse comunicata “a Giacomo e ai fratelli”, dopo di che si recò “in un altro luogo”. —
At 12:5-17; cfr. Gv 7:1; 11:53, 54.
Pietro è menzionato di nuovo in Atti in occasione dell’assemblea tenuta a Gerusalemme, probabilmente
nel 49 E.V., “dagli apostoli e dagli anziani” per discutere la questione della circoncisione dei gentili
convertiti. Dopo che la discussione si era protratta per un po’, Pietro si alzò e diede testimonianza circa il
modo in cui Dio considerava i credenti gentili. Il fatto che “l’intera moltitudine tacque” dimostra la forza del
suo argomento e, probabilmente, anche il rispetto che avevano per lui. Pietro, come Paolo e Barnaba che
testimoniarono dopo di lui, si trovava in pratica ‘sul banco dei testimoni’ di fronte all’assemblea. (At 15:1-
29) Riferendosi evidentemente a quell’occasione Paolo parla di Pietro nonché di Giacomo e Giovanni
come di “uomini preminenti”, “che sembravano essere colonne” della congregazione. — Gal 2:1, 2, 6-9.
Dalle informazioni bibliche nell’insieme, è chiaro che Pietro, anche se era molto rispettato e aveva una
posizione preminente, non ebbe mai il primato sugli apostoli nel senso o in virtù di un grado o incarico
particolare. Infatti, quando l’opera svolta da Filippo a Samaria si dimostrò fruttuosa, la Bibbia dice che gli
apostoli, evidentemente come corpo, ‘inviarono Pietro e Giovanni’ in missione a Samaria. (At 8:14) Pietro
non rimase in permanenza a Gerusalemme come se la sua presenza fosse indispensabile per il buon
andamento della congregazione cristiana. (At 8:25; 9:32; 12:17; vedi anche ANZIANO;
SORVEGLIANTE). Pietro (Cefa) fu attivo ad Antiochia, in Siria, quando c’era anche Paolo, che una volta
ritenne necessario riprenderlo “faccia a faccia . . . davanti a tutti loro” perché si vergognava di mangiare e
anche di stare in compagnia dei cristiani gentili a motivo della presenza di certi cristiani ebrei che erano
venuti da parte di Giacomo da Gerusalemme. — Gal 2:11-14.
Ulteriori informazioni circa la posizione di Pietro nella congregazione cristiana si trovano alla voce
MASSO DI ROCCIA. L’idea che Pietro fosse a Roma e vi dirigesse la congregazione si basa solo su una
tradizione dubbia che non corrisponde alle indicazioni ricavabili dalle Scritture. Su questo argomento e a
proposito della permanenza di Pietro a Babilonia, da dove scrisse le sue due lettere, vedi PIETRO,
LETTERE DI.

w78 1/1 21-4


L’apostolo Pietro: Perché così amato da molti
“Diceva quello che pensava, con una franchezza che piace a moltissime persone. E bisogna dire che
spesso parlava a proposito”.
TRA le persone più privilegiate che mai fossero sulla terra si devono includere i dodici apostoli di Gesù
Cristo, il Figlio di Dio.
Che benedizioni ebbero i dodici apostoli accompagnando il loro Signore e Maestro! Lo udirono esporre i
giusti princìpi di Dio, come nel Sermone del Monte, lo ascoltarono spiegare le sue parabole e lo videro
confutare i suoi oppositori religiosi e rimproverarli per la loro bigotta ipocrisia. E che privilegio ebbero
osservando ogni giorno Gesù guarire i malati, sanare gli zoppi, ridare la vista ai ciechi e destare perfino i
morti!
Il racconto ispirato relativo a Gesù e agli apostoli non contiene nessuna biografia completa dei dodici. Di
loro conosciamo solo alcuni fatti o qualche rimarchevole caratteristica. Per esempio, Natanaele era
l’Israelita “in cui non [era] nessun inganno”. (Giov. 1:47) Matteo si distingue perché era esattore di tasse,
cosa che, fra parentesi, solo il suo racconto rivela. La caratteristica di Tommaso fece nascere
l’espressione “essere come Tommaso”. E Giovanni è famoso come l’apostolo per il quale Gesù ebbe
speciale affetto. Ma Pietro è l’eccezione. Nei racconti dei Vangeli, le sue parole, le sue azioni, la sua
personalità vengono portate ripetutamente alla nostra attenzione.
Tanto per cominciare, Pietro è menzionato per nome più che tutti gli altri messi insieme, oltre 180 volte.
Inoltre quando lui e gli altri sono nominati, il suo nome viene sempre prima; e questo sia che siano
nominati tutti, o solo tre, due o uno di essi.
Indubbiamente ce ne sono buone ragioni. I Vangeli indicano che Pietro fu molto più franco nel parlare di
tutti gli altri e che spesso fece anche da portavoce ai suoi compagni.
Nelle Scritture Pietro è chiamato in cinque modi diversi. Il nome “Pietro” (che ha solo lui) gli fu dato dal
Signore e significa “pietra, pezzo di roccia”. “Simeone” (ebraico), “Simone” (greco), significa “udito”. (Gen.
29:33) È chiamato pure “Cefa”, equivalente semitico di “Pietro”, e molte volte ricorre la combinazione
“Simon Pietro”.
Il padre di Pietro si chiamava Giovanni (Giona). Pietro veniva da Betsaida, villaggio o città di pescatori
che sorgeva sulla riva del mar di Galilea. Fu nella valle superiore del fiume Giordano che suo fratello
Andrea, discepolo di Giovanni il Battezzatore, presentò Pietro a Gesù, il Messia. Fu allora che Gesù
diede a Simone il nome di Pietro e da quel momento in poi fu un discepolo, un seguace di Gesù. — Giov.
1:35-42.
Alcuni mesi più tardi, sembra, Gesù chiamò Pietro e suo fratello, mentre pescavano, invitandoli ad
abbandonare le reti e seguirlo come ‘pescatori di uomini’. (Luca 5:1-11) Quindi, l’anno successivo, dopo
aver pregato per tutta la notte, Gesù scelse Pietro e undici altri come apostoli. — Luca 6:12-16.
PIETRO, L’APOSTOLO IMPULSIVO
Perché tanti nutrono speciale affetto per Pietro? Probabilmente per l’“umanità” di Pietro. Vi contribuisce
senz’altro il fatto che sappiamo molto di più su Pietro che su qualsiasi altro apostolo. La sua natura
calorosa e ardente ce lo rende caro. Era anche impulsivo, qualche volta perfino impetuoso. Era pronto a
tradurre in azioni i pensieri e i sentimenti, qualcosa che molti di noi sono portati a fare.
Infatti, quando Gesù fece prendere a Pietro e ai suoi compagni una gran quantità di pesci dopo che
avevano faticato invano per tutta la notte, Pietro fu così commosso che cadde ai piedi di Gesù e disse:
“Allontanati da me, Signore, perché sono un uomo peccatore”. (Luca 5:8) Quando Pietro vide Gesù
camminare sull’acqua, gli domandò di dare anche a lui la capacità di fare la stessa cosa, e Pietro ci riuscì
davvero, finché ebbe abbastanza fede. (Matt. 14:25-32) Quindi, allorché la turba andò ad arrestare il suo
Signore, alcuni apostoli chiesero: “Signore, colpiremo con la spada?” (Luca 22:49) Ma non Pietro. Egli
colpì immediatamente con la spada, ma con così poca precisione che staccò solo un orecchio allo
schiavo del sommo sacerdote. — Giov. 18:10.
Ci fu poi la volta in cui Gesù, dopo la risurrezione, si presentò come un estraneo ad alcuni apostoli
occupati a pescare. Di nuovo fece prendere loro un gran numero di pesci. Da ciò l’apostolo Giovanni lo
riconobbe e disse che era il Signore. Udendo ciò, Pietro non aspettò che la barca, carica di pesce, fosse
tirata a riva. Si tuffò subito in acqua e raggiunse la riva a nuoto per stare con il suo Signore. (Giov. 21:1-
8) Non c’è dubbio che tale impulsività è vista con simpatia da molti affezionati lettori della Bibbia.
FRANCHEZZA NEL PARLARE
Pietro era pronto a parlare come lo era ad agire. Diceva chiaramente quello che pensava, con una
franchezza che piace a moltissime persone. E bisogna dire che spesso parlava a proposito. Pietro non
sarà stato un uomo molto istruito, ma era un uomo intelligente, un pensatore. Un pensatore? Sì, perché
più volte fece domande interessanti, e per far questo è necessario saper pensare. In un’occasione, infatti,
dopo che Gesù ebbe narrato una parabola, Pietro gli chiese di spiegarla loro. (Matt. 15:15) E un’altra
volta, dopo che Gesù aveva dato un avvertimento relativo al suo ritorno, fu Pietro a chiedere: “Signore,
dici questa illustrazione a noi o anche a tutti?” (Luca 12:41) E fu Pietro a chiedere per sé e per i suoi
compagni: “Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che vi sarà effettivamente per
noi?” Gesù assicurò loro che Geova li avrebbe compensati riccamente sia allora che in futuro. — Matt.
19:27; Mar. 10:29, 30.
Con la sua franchezza Pietro rivelò anche di apprezzare vivamente il suo Signore. Dopo che Gesù
aveva maledetto un certo fico, fu Pietro a far notare l’efficacia della maledizione di Gesù: “Rabbi, vedi, il
fico che hai maledetto si è seccato”. (Mar. 11:21) Quando Gesù chiese agli apostoli chi credevano che
fosse, fu Pietro a fare questa rimarchevole e fiduciosa confessione: “Tu sei il Cristo, il Figlio dell’Iddio
vivente”. (Matt. 16:16) Di nuovo, allorché Gesù chiese agli apostoli se anch’essi volevano lasciarlo come
avevano fatto altri discepoli, fu Pietro a dire: “Signore, da chi ce ne andremo? Tu hai parole di vita eterna;
e noi abbiamo creduto e abbiam conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. (Giov. 6:68, 69) Certo, tutta questa
gratitudine e lealtà manifestate da Pietro ce lo rendono caro.

RICEVE RIPETUTE CORREZIONI


Tuttavia, in diverse occasioni, Pietro parlò anche a sproposito o in modo sconsiderato, per cui Gesù
dovette correggerlo. In tali casi Pietro non protestò mai, ma accettò umilmente la correzione, e tutto
questo ci fa ulteriormente sentire vicini a lui. Pertanto, quando Gesù disse agli apostoli quello che lo
attendeva, che avrebbe avuto molte sofferenze, sarebbe stato ucciso e il terzo giorno sarebbe stato
destato dai morti, Pietro, ben intenzionato, lo prese da parte e, rimproverandolo, disse: “Sii benigno con
te stesso, Signore; tu non avrai affatto questo destino”. Sì, le sue intenzioni erano buone, ma come si
sbagliava! Era tanto in errore che Gesù ritenne necessario dirgli: “Va dietro a me, Satana! Tu mi sei una
pietra d’inciampo, perché pensi non i pensieri di Dio, ma quelli degli uomini”. (Matt. 16:21-23) Quante
volte anche noi possiamo avere avuto buone intenzioni, solo per scoprire che era una gentilezza fuori
luogo!
Un’altra volta Pietro chiese quante volte dovesse perdonare il suo fratello. Doveva perdonarlo “fino a
sette volte?” Gesù lo corresse: “Io non ti dico: Fino a sette volte, ma: fino a settantasette volte”. Ci è facile
capire come dovette sentirsi Pietro, specie se qualcuno che ci è vicino viene meno ripetutamente nei
nostri riguardi! — Matt. 18:21, 22.
Una volta Gesù sentì che da lui usciva della potenza per mezzo della quale una certa donna fu guarita
grazie alla sua fede. Così Gesù chiese: “Chi mi ha toccato?” Pietro disse, in un implicito rimprovero a
Gesù: “Insegnante, le folle ti circondano e ti premono da vicino”. In altre parole: ‘Gesù, che domanda
sciocca!’ Ma Gesù corresse Pietro, dicendo in sostanza: ‘So di cosa parlo!’ Quindi la donna si fece avanti,
al che Gesù le disse: “Figlia, la tua fede ti ha sanata; vattene in pace”. Non fu Pietro come noi che a volte
facciamo un’obiezione perché non conosciamo bene tutti i fatti? — Luca 8:43-48.
Pietro parlò a sproposito anche quando Gesù, dopo avere celebrato l’ultima pasqua con gli apostoli, si
mise a lavar loro i piedi. Pietro aveva visto Gesù lavare e asciugare i piedi di alcuni apostoli. Così Pietro
disse a Gesù: “Certamente tu non laverai mai i miei piedi”. In quell’occasione Gesù dovette ammonirlo
due volte. Pietro aveva buone intenzioni, ma era in errore. — Giov. 13:5-10.
Quella stessa sera Pietro parlò di nuovo sconsideratamente. Gesù disse agli apostoli che quella notte
avrebbero tutti inciampato. Pietro era così sicuro della propria lealtà verso il Signore che non poteva
proprio sopportare l’idea che lui avrebbe abbandonato il Signore. Gli altri sì, ma non lui! Quando Gesù
aggiunse che Pietro lo avrebbe anche rinnegato tre volte, l’apostolo usò termini ancor più vigorosi:
“Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò affatto”. — Matt. 26:31-35.
Tuttavia Pietro avrebbe imparato dalla sua debolezza. Se lo avessero portato davanti a un giudice e lo
avessero interrogato in merito a Gesù, si sarebbe senz’altro comportato in modo eccellente. Ma quello
che accadde fu così improvviso. Nove apostoli erano fuggiti. Solo Giovanni e Pietro avevano seguito
Gesù nel cortile del sommo sacerdote, e lì una servitrice gli disse: “Anche tu eri con Gesù il Galileo”. A
loro volta, anche altri lo accusarono. Le circostanze, il momento, le persone che pronunciarono quelle
parole, e più probabilmente il modo in cui le dissero, tutto contribuì a prendere Pietro alla sprovvista, così
che non solo rinnegò tre volte il suo Signore, ma giurò addirittura: “Io non conosco quell’uomo!” Subito
dopo, il gallo cantò. Tutto era avvenuto come aveva predetto Gesù. Proprio in quell’istante, dice Luca, “il
Signore, voltatosi, guardò Pietro”. Pietro, “uscito fuori, pianse amaramente”. Non si giustificò, non inventò
delle scuse, ma manifestò un umile e sincero pentimento. Certo tutti coloro che hanno pianto
amaramente per avere commesso qualche grave trasgressione si sentono vicini a Pietro e possono
capire come si sentì in quel momento. — Luca 22:61, 62; Matt. 26:69-75.
FORZA UNITA ALLA DEBOLEZZA
È veramente interessante leggere la descrizione che la Bibbia fa di Pietro. La sua storia rivela in modo
meraviglioso la natura umana e ciò che lo spirito di Dio può fare per le creature umane imperfette. Per
quanto la sua trasgressione fosse grave, Pietro non permise che lo demoralizzasse fino al punto di
desistere. Si mantenne umile e continuò ad amare il suo Signore. Questo si vede anche da quanto
accadde dopo la risurrezione di Gesù e la sua apparizione a Pietro e ad alcuni altri sulla riva del mar di
Galilea. Pietro accettò umilmente il rimprovero implicito nel fatto che Gesù gli chiese tre volte se lo amava
e poi gli comandò di ‘pascere le sue pecorelle’. — Giov. 21:15-17.
In più occasioni Pietro aveva preso la direttiva fra i dodici. Pertanto, dopo l’ascensione di Gesù al cielo,
fu Pietro a prendere l’iniziativa di sostituire Giuda con Mattia. Il giorno di Pentecoste fu Pietro a parlare
per i dodici, usando in quel caso una delle “chiavi del regno” affidategli precedentemente da Gesù. In
seguito, usò di nuovo queste chiavi recando la buona notizia ai primi convertiti gentili incirconcisi,
Cornelio e la sua casa. — Atti 1:15-26; 2:14-40; 10:1-48; Matt. 16:19.
Troviamo Pietro che parla intrepidamente in relazione a un miracolo col quale egli e Giovanni avevano
sanato un uomo zoppo dalla nascita. (Atti 3:12-26) Condotti davanti ai governanti, Pietro e Giovanni
parlarono con tale franchezza che i governanti se ne meravigliarono. Quindi “riconoscevano a loro
riguardo che erano stati con Gesù”. (Atti 4:13) E Pietro e i suoi compagni rammentarono più volte ai
governanti che dovevano ubbidire prima a Dio. Infatti, nei primi undici capitoli del libro di Atti⇒ 1-11⇐
troviamo sei discorsi di Pietro. Non è strano che Erode Agrippa I lo facesse arrestare e volesse
eliminarlo! Ma Dio aveva in mente qualcos’altro per Pietro e così mandò un angelo a liberarlo. — Atti
12:3-17.
Pietro ebbe anche una parte importante nell’adunanza del corpo direttivo della congregazione cristiana
che si tenne per considerare se i Gentili dovessero circoncidersi. (Atti 15:7-11) Tuttavia, non molto tempo
dopo vediamo che, per timore di certi cristiani ebrei venuti da Gerusalemme, scende a compromessi e
smette di associarsi con i cristiani gentili. Questa debolezza spinse l’apostolo Paolo a dare a Pietro un
tagliente rimprovero, a quanto pare davanti all’intera congregazione dov’era accaduto il fatto. (Gal. 2:11-
14) Anche qui notiamo l’“umanità” di Pietro. Tutti quelli che una volta o l’altra hanno ceduto al timore
dell’uomo possono capire quanto accadde a Pietro e trarne conforto e beneficio.
Per concludere, non dobbiamo trascurare le due ottime lettere che Pietro scrisse e che contengono
tante preziose informazioni e incoraggianti esortazioni, specie per tutti quelli che soffrono per amore della
giustizia. Queste lettere ci fanno apprezzare Pietro ancora di più. L’apostolo Pietro fu veramente una
persona molto amabile, della quale il suo Dio e il suo Signore si servirono ampiamente, nonostante le sue
debolezze. Di che incoraggiamento è la sua vita per tutti quelli che si sforzano strenuamente di seguire il
loro Signore, come Pietro! — 1 Piet. 2:21.

W68 pag. 506-11

Pilato --- Tema: Cedere alla folla è una grave responsabilità ESODO 23:2

it-2 596-8
PILATO
Procuratore romano della Giudea durante il ministero terreno di Gesù. (Lu 3:1) Dopo la deposizione di
Archelao, figlio di Erode il Grande, re della Giudea, l’imperatore affidò il governo della provincia a
procuratori. Il quinto di questi fu Pilato, nominato da Tiberio nel 26 E.V., che rimase in carica per dieci
anni.
Si sa poco della storia personale di Ponzio Pilato. Il solo periodo della sua vita che abbia qualche
importanza storica è quello del suo mandato in Giudea. L’unica iscrizione conosciuta che porti il suo
nome è quella scoperta nel 1961 a Cesarea. In essa è menzionato anche il “Tiberieum”, un edificio
dedicato a Tiberio da Pilato.
Quale rappresentante dell’imperatore, il procuratore era la massima autorità della provincia e poteva
infliggere la pena di morte. Secondo quanti sostengono che il Sinedrio poteva condannare a morte, per
essere valida la condanna emessa dalla corte ebraica doveva essere ratificata dal procuratore. (Cfr. Mt
26:65, 66; Gv 18:31). Dato che Cesarea era la residenza ufficiale del procuratore romano (cfr. At 23:23,
24), vi era stanziato il grosso delle truppe romane, mentre un contingente più piccolo presidiava
Gerusalemme. Abitualmente però durante le feste (come la Pasqua) il procuratore si trasferiva a
Gerusalemme e portava con sé rinforzi militari. La moglie di Pilato era con lui in Giudea (Mt 27:19), cosa
possibile in virtù di un precedente mutamento della politica romana nei confronti dei procuratori che
risiedevano in zone pericolose.
Il mandato di Pilato non fu pacifico. Secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio, i suoi rapporti con i sudditi
ebrei erano iniziati male. Pilato aveva mandato di notte a Gerusalemme soldati romani che portavano
stendardi con l’effigie dell’imperatore. Questo provocò grande risentimento; una delegazione di ebrei si
recò a Cesarea per protestare contro la presenza degli stendardi e chiedere che venissero ritirati. Dopo
cinque giorni di discussione, Pilato cercò di spaventare i delegati minacciandoli di morte, ma la loro
determinazione lo indusse ad accogliere la loro richiesta. — Antichità giudaiche, XVIII, 55-59 (iii, 1).
Filone, scrittore ebreo di Alessandria d’Egitto del I secolo E.V., descrive un’analoga azione di Pilato che
suscitò proteste: questa volta si trattava di scudi d’oro con i nomi di Pilato e di Tiberio, che Pilato fece
portare nella sua residenza a Gerusalemme. Gli ebrei fecero ricorso all’imperatore a Roma, e Pilato
ricevette l’ordine di riportare gli scudi a Cesarea. — De legatione ad Caium, XXXVIII, 299-305.
Giuseppe Flavio cita ancora un altro incidente. Per costruire un acquedotto e portare l’acqua a
Gerusalemme da una distanza di circa 40 km, Pilato attinse denaro dal tesoro del tempio. Grandi folle
protestarono contro questa azione durante una visita di Pilato a Gerusalemme. Pilato aveva sparpagliato
in mezzo alla folla soldati in abiti civili. A un segnale convenuto essi attaccarono, facendo morti e feriti fra
gli ebrei. (Antichità giudaiche, XVIII, 60-62 [iii, 2]; Guerra giudaica, II, 175-177 [ix, 4]) L’impresa a quanto
pare fu portata a termine. Quest’ultimo incidente è stato spesso identificato con la circostanza in cui
Pilato ‘mescolò il sangue dei galilei con i loro sacrifici’, com’è riportato in Luca 13:1. Da questa
espressione sembra di capire che quei galilei vennero uccisi proprio nell’area del tempio. Non è possibile
stabilire se si tratta dello stesso incidente descritto da Giuseppe Flavio o di un’altra circostanza.
Comunque, dato che i galilei erano sudditi di Erode Antipa, tetrarca della Galilea, quell’eccidio può avere
almeno in parte contribuito all’inimicizia esistente fra Pilato ed Erode fino all’epoca del processo di Gesù.
— Lu 23:6-12.
Processo di Gesù. Il 14 nisan del 33 E.V., all’alba, le autorità ebraiche portarono Gesù da Pilato. Poiché
non potevano entrare in casa di un governante gentile, Pilato uscì fuori e chiese loro quale accusa
muovessero contro Gesù. Le accuse erano: attività sovversiva, incitamento a non pagare le tasse e il
fatto che Gesù si era dichiarato re, quindi rivale di Cesare. Quando fu detto loro di prendere Gesù e
giudicarlo essi stessi, gli accusatori risposero che la legge non consentiva loro di giustiziare qualcuno.
Pilato allora portò Gesù all’interno del palazzo e lo interrogò su queste accuse. (ILLUSTRAZIONE, vol. 2,
it-2 p. 741) Tornato dagli accusatori, Pilato annunciò di non aver trovato nessuna colpa nell’accusato. Le
accuse continuavano, e Pilato, saputo che Gesù era della Galilea, lo mandò da Erode Antipa. Erode,
contrariato del fatto che Gesù rifiutasse di compiere qualche segno, lo maltrattò, lo schernì e lo rimandò
da Pilato.
I capi degli ebrei e la popolazione furono nuovamente convocati e Pilato rinnovò i tentativi per evitare di
condannare a morte un innocente, chiedendo alla folla se volevano che Gesù fosse liberato secondo la
consuetudine di rimettere in libertà un prigioniero in occasione della Pasqua. La folla, invece, aizzata dai
capi religiosi, chiese a gran voce la liberazione di Barabba, ladro, assassino e sedizioso. I ripetuti tentativi
di Pilato per assolvere l’accusato non fecero che alimentare le grida che Gesù fosse messo al palo.
Temendo un tumulto e volendo placare la folla, Pilato cedette ai loro desideri, e si lavò le mani come per
purificarle dalla colpa di spargimento di sangue. Poco prima la moglie aveva avvertito Pilato di essere
rimasta turbata da un sogno relativo a “quel giusto”. — Mt 27:19.
Pilato allora fece flagellare Gesù e i soldati gli misero sul capo una corona di spine e gli fecero
indossare un manto regale. Ancora una volta Pilato si presentò alla folla, ripeté che non aveva trovato
nessuna colpa in Gesù e lo presentò loro con il manto e la corona di spine. Al grido di Pilato, “Ecco
l’uomo!”, i capi del popolo ripeterono la richiesta che fosse messo al palo, muovendogli ora per la prima
volta l’accusa di bestemmia. L’accenno al fatto che Gesù si dichiarava figlio di Dio accrebbe
l’apprensione di Pilato, che lo fece rientrare per interrogarlo di nuovo. L’ultimo tentativo per rimetterlo in
libertà provocò da parte degli oppositori ebrei la minaccia che Pilato avrebbe potuto essere accusato di
opporsi a Cesare. Udito ciò, Pilato condusse fuori Gesù e si sedette nel tribunale. Il grido di Pilato, “Ecco
il vostro re!”, non fece che accrescere il clamore perché Gesù venisse messo al palo e li indusse a
dichiarare: “Non abbiamo altro re che Cesare”. Pilato allora consegnò loro Gesù perché fosse messo al
palo. — Mt 27:1-31; Mr 15:1-15; Lu 23:1-25; Gv 18:28-40; 19:1-16.
Scrittori ebrei, come Filone, descrivono Pilato come un uomo inflessibile e ostinato. (De legatione ad
Caium, XXXVIII, 301) È possibile comunque che le misure repressive adottate dal procuratore contro gli
ebrei fossero in gran parte dovute alle loro stesse azioni. Ad ogni modo i Vangeli permettono di capire la
sua mentalità. Il suo modo di affrontare le cose era tipico delle autorità romane; le sue parole erano
brusche e concise. Pur manifestando esteriormente l’atteggiamento scettico del cinico — come quando
disse: “Che cos’è la verità?” — mostrò tuttavia timore, probabilmente un timore superstizioso, quando
seppe di avere a che fare con uno che affermava di essere figlio di Dio. Anche se non era certo un tipo
condiscendente, come uomo politico rivelò mancanza di integrità. Si preoccupò prima di tutto della sua
posizione, di quello che i suoi superiori avrebbero detto se avessero avuto notizia di nuove agitazioni
nella sua provincia, temendo di apparire troppo indulgente verso persone accusate di sedizione. Pilato
riconobbe l’innocenza di Gesù e l’invidia che spingeva gli accusatori. Ma cedette alla folla lasciando che
venisse ucciso un innocente piuttosto che rischiare di danneggiare la propria carriera politica.
Poiché faceva parte delle “autorità superiori”, Pilato esercitava il suo potere per divina tolleranza. (Ro
13:1) Fu responsabile della decisione presa, responsabilità che l’acqua non poteva lavare via. Il sogno
della moglie era evidentemente di origine divina, come lo furono il terremoto, l’insolita oscurità e la
lacerazione della cortina che avvennero quel giorno. (Mt 27:19, 45, 51-54; Lu 23:44, 45) Il sogno della
moglie avrebbe dovuto far capire a Pilato che non si trattava di un processo qualsiasi, di un accusato
comune. Tuttavia, come disse Gesù, chi l’aveva consegnato a Pilato ‘aveva commesso un peccato
maggiore’. (Gv 19:10, 11) Giuda, che aveva tradito inizialmente Gesù, fu definito “il figlio della
distruzione”. (Gv 17:12) I farisei che erano colpevoli di complicità nel complotto per mettere a morte Gesù
furono dichiarati meritevoli del “giudizio della Geenna”. (Mt 23:15, 33; cfr. Gv 8:37-44). E in modo
particolare il sommo sacerdote, quale capo del Sinedrio, era responsabile di fronte a Dio per aver
consegnato il Figlio di Dio a questo governante gentile affinché fosse messo a morte. (Mt 26:63-66) La
colpa di Pilato non fu pari alla loro; nondimeno la sua azione fu estremamente riprovevole.
L’avversione di Pilato per i promotori di questo crimine fu evidente dall’insegna che pose sul palo di
Gesù, identificandolo quale “Re dei giudei”, e anche dal suo secco rifiuto di modificarla, dicendo: “Quello
che ho scritto, ho scritto”. (Gv 19:19-22) Quando Giuseppe di Arimatea chiese la salma, Pilato, dopo aver
manifestato la meticolosità tipica di un funzionario romano nell’assicurarsi che Gesù fosse morto,
acconsentì alla richiesta. (Mr 15:43-45) La preoccupazione dei capi sacerdoti e dei farisei per
un’eventuale sottrazione del cadavere provocò la secca risposta: “Avete una guardia. Andate, rendetelo
sicuro come sapete”. — Mt 27:62-65.
Destituzione e morte. Giuseppe Flavio riferisce che Pilato fu poi destituito in seguito alle accuse
presentate dai samaritani al suo immediato superiore, Lucio Vitellio, legato di Siria. La protesta verteva
intorno all’uccisione da parte di Pilato di diversi samaritani, che un impostore aveva indotto a radunarsi
presso il monte Gherizim nella speranza di scoprire presunti tesori sacri nascostivi da Mosè. Vitellio
mandò Pilato a Roma per presentarsi a Tiberio e mise al suo posto Marcello. Tiberio morì nel 37 E.V.
mentre Pilato era in viaggio per Roma. (Antichità giudaiche, XVIII, 85-89 [iv, 1, 2]) La storia non fornisce
informazioni attendibili sul risultato definitivo del suo processo. Lo storico Eusebio, della fine del III e inizio
del IV secolo, sostiene che Pilato fu costretto a suicidarsi sotto Caligola, successore di Tiberio. — Storia
ecclesiastica, II, VII, 1.
[Foto a pagina 596]
Iscrizione rinvenuta nel 1961 a Cesarea in cui compare il nome di Ponzio Pilato

w77 1/4 195-6


Pilato: Il governante che giudicò il Signore
“IO NON trovo in lui nessun fallo”. Con queste parole Ponzio Pilato espresse il proprio giudizio che Gesù
era senza colpa. (Giov. 18:38; 19:4, 6) Eppure alla fine Pilato cedette alle richieste di una folla di
connazionali di Gesù e lo condannò a esser messo a morte su un palo. Chi era questo Pilato?
Lo stesso nome “Ponzio Pilato” può darci qualche idea dei suoi precedenti. Forse ebbe qualche
parentela con C. Ponzio Telesino, noto generale dei Sanniti, abitanti di una regione montuosa dell’Italia
meridionale. E il nome della famiglia, “Pilato”, se deriva dal latino Pilum (giavellotto), potrebbe indicare la
discendenza da un militare. D’altra parte, se il nome “Pilato” deriva dal latino pileus, poté essere un
liberto o il discendente di un liberto. Questo perché pileus era il berretto che di solito portavano gli schiavi
ai quali era stata concessa la libertà.
Nel 26 E.V. Tiberio Cesare nominò Pilato governatore della Giudea. Come governatore Pilato aveva il
completo controllo della provincia e poteva condannare a morte. La sua residenza ufficiale era Cesarea,
circa ottantacinque chilometri (54 miglia) a nord-nord-ovest di Gerusalemme. Lì era di stanza il principale
contingente di truppe romane. Ma nel periodo delle feste ebraiche, Pilato, con rinforzi militari romani,
stava di solito a Gerusalemme.
Il periodo del governatorato di Pilato fu turbato da difficoltà. Questo accadde principalmente perché
offese la sensibilità religiosa dei suoi sudditi.
In un’occasione, col favore delle tenebre, Pilato fece portare a Gerusalemme dai soldati romani gli
stendardi con l’effige dell’imperatore. Questi stendardi furono quindi alzati nella città. Scoperto questo,
una numerosa delegazione di Giudei andò a Cesarea per chiedere che fossero tolti. Nonostante i ripetuti
rifiuti, i Giudei persisterono nella loro richiesta. Infine Pilato decise di spaventare i richiedenti
minacciandoli di morte. Ma quando i Giudei si dichiararono pronti a morire, Pilato acconsentì alla loro
richiesta. — Antichità giudaiche, Libro XVIII, cap. III, par. 1.
Ci fu poi il tempo quando Pilato pose nel suo presidio a Gerusalemme scudi d’oro che portavano il suo
proprio nome e quello di Tiberio. I Giudei si appellarono all’imperatore, e Pilato ebbe ordine di togliere gli
scudi. — De Legatione ad Gaium, XXXVIII.
Un’altra volta ancora, Pilato usò denaro preso dal tesoro del tempio per costruire un acquedotto che
doveva portare l’acqua a Gerusalemme da una distanza di circa quaranta chilometri (25 miglia). Decine di
migliaia di Giudei protestarono contro ciò, quando Pilato fece una visita alla città. Alcuni lo biasimarono e
perfino gli lanciarono insulti. Quando rifiutarono di ubbidire al suo ordine di disperdersi, egli mandò soldati
travestiti in mezzo a loro. Al segnale convenuto, i soldati attaccarono. Molti Giudei caddero uccisi; altri
fuggirono feriti.
Forse fu in occasione di questo incidente che Pilato ‘mischiò il sangue dei Galilei con i loro sacrifici’,
come riferisce Luca 13:1. Poiché i Galilei erano sudditi di Erode Antipa, questo poté contribuire
all’inimicizia che esisté fra Pilato ed Erode fino al tempo del processo di Gesù. — Luca 23:6-12.
GIUDIZIO DI GESÙ
Di buon’ora il 14 Nisan 33 E.V., i capi giudei portarono Gesù da Pilato per il giudizio. Essendo una
profanazione per i Giudei entrare nei locali di un Gentile, Pilato uscì da loro e chiese quale accusa
facevano contro Gesù. Udite le loro dichiarazioni, egli disse loro di giudicarlo essi stessi. Quando fu
informato che consideravano Gesù meritevole di morte, condanna che essi non potevano legalmente
eseguire, Pilato introdusse Gesù nel suo palazzo per interrogarlo. (Giov. 18:28-37) Tornato dagli
accusatori, Pilato dichiarò: “Io non trovo in lui nessun fallo”. (Giov. 18:38) Non soddisfatti, i capi giudei
continuarono ad accusarlo. Saputo che Gesù era della Galilea, Pilato decise di mandarlo da Erode
Antipa. Questo gesto pose fine all’inimicizia che esisteva fra Erode e Pilato. Erode non poté provare le
accuse contro Gesù e, deluso dal suo rifiuto di compiere qualche segno, lo rimandò a Pilato. — Luca
23:5-12.
Pilato convocò di nuovo gli accusatori di Gesù e continuò i suoi tentativi per evitare di condannare a
morte un innocente. Cercò di far rilasciare Gesù in base alla consuetudine di liberare un prigioniero ogni
Pasqua. Ma per istigazione dei capi religiosi, la folla chiese a gran voce che venisse liberato Barabba,
ladro, assassino e sedizioso. I tentativi di Pilato di far liberare Gesù solo intensificarono le grida della folla
perché venisse messo al palo. — Matt. 27:15-23; Luca 23:13-23.
Invece di attenersi a ciò che sapeva esser giusto, Pilato cedette alla folla e cercò di esimersi dalla
responsabilità lavandosi le mani, come per purificarle dalla colpa del sangue. (Matt. 27:24-26) Egli ignorò
i precedenti avvertimenti di sua moglie di non aver nulla a che fare “con quel giusto”, poiché ella aveva
sofferto molto in un sogno (evidentemente di origine divina) a causa di lui. — Matt. 27:19.
In seguito Pilato fece flagellare Gesù. Di nuovo espresse la veduta che Gesù era innocente e, forse
perché ne avessero pietà, lo fece comparire dinanzi alla folla, vestito di abiti regali e con una corona di
spine sul capo. Rispondendo all’esclamazione di Pilato: “Ecco l’uomo!” la folla rinnovò la propria richiesta
di mettere al palo Gesù e portò all’attenzione di Pilato l’accusa di bestemmia. Riferendo che Gesù si era
dichiarato Figlio di Dio provocarono il superstizioso timore di Pilato. Quindi egli interrogò ancora Gesù. Gli
ultimi tentativi di Pilato per far rilasciare Gesù provocarono la minaccia della folla che egli poteva essere
accusato di opporsi a Cesare. Allora Pilato prese posto sul seggio del tribunale, da dove, rivolto alla folla,
esclamò: “Ecco, il vostro re!” Questo solo accrebbe il clamore perché fosse messo al palo. Così Pilato
lasciò che il Figlio di Dio fosse messo al palo. — Giov. 19:1-16.
La colpa di Pilato fu davvero grande. Egli conosceva molto bene l’innocenza di Gesù e poteva
discernere i cattivi moventi degli accusatori. (Matt. 27:18) Ma per non rischiare di mettere in pericolo la
sua posizione con notizie sfavorevoli di ulteriori disordini nella sua provincia, Pilato condannò a morte un
innocente.
Nonostante le sue azioni, Pilato non conservò a lungo la sua posizione. Solo alcuni anni dopo, il suo
immediato superiore, l’ufficiale romano Vitellio, lo rimosse dall’incarico e gli ordinò di presentarsi a Tiberio
per rispondere del massacro di alcuni Samaritani. Mentre Pilato era in viaggio verso Roma (nel 37 E.V.),
Tiberio morì. Non si sa cosa accadde esattamente a Pilato. La tradizione dice che si suicidò. Pilato si
fece davvero una reputazione poco raccomandabile.

w89 15/10 31 Gemme dal Vangelo di Marco


Mentre il suo ministero si avvicinava al termine, Gesù fu interrogato da Ponzio Pilato, il cui nome insieme
al titolo “prefetto” compaiono in un’iscrizione scoperta a Cesarea nel 1961. Nelle province periferiche
come la Giudea, un governatore (prefetto) aveva il controllo militare, era responsabile
dell’amministrazione finanziaria e prestava servizio come giudice nei processi. Pilato aveva l’autorità di
liberare Cristo, ma cedette ai nemici di Gesù e cercò di soddisfare la folla cedendolo perché fosse messo
al palo e liberando il sedizioso assassino Barabba. — 15:1-15.
Ci sono varie tradizioni riguardo alla successiva vita e alla morte di Pilato. Per esempio, lo storico Eusebio
scrisse: “Pilato, vissuto al tempo del Salvatore, fu colpito da tali disgrazie sotto Gaio . . . che si vide costretto ad
uccidersi e a divenire così punitore di se stesso: la giustizia divina, come conviene, non tardò a raggiungerlo”.
A prescindere da tale possibilità, comunque, la morte della massima importanza fu quella di Gesù. L’ufficiale
dell’esercito romano (un centurione) che vide morire Cristo e assistette agli straordinari avvenimenti che
accompagnarono tale morte disse effettivamente la verità quando dichiarò: “Certamente quest’uomo era il Figlio di
Dio”. — 15:33-39.

Raab (n.1) --- Tema: La fede senza opere è morta GIACOMO 2:17, 24-26

it-2 691-2
RAAB (Ràab).
1. [Ebr. Rachàv; forse, ampia; larga]. Prostituta di Gerico che diventò adoratrice di Geova. Nella
primavera del 1473 a.E.V. due spie israelite giunsero a Gerico e trovarono alloggio in casa di Raab. (Gsè
2:1) La durata della loro permanenza non è precisata, ma Gerico non era così grande da richiedere molto
tempo per spiarla.
Alcuni, specie fra gli ebrei tradizionalisti, negano che Raab fosse veramente una prostituta nel senso
comune della parola, ma la realtà non sembra sostenere questa tesi. Il termine ebraico zohnàh implica
sempre una relazione illecita, sia in campo sessuale che come figura di infedeltà spirituale, e quando si
riferisce a una donna immorale viene sempre tradotto prostituta. Non viene mai reso “ospite”, “locandiera”
o con termini simili. Inoltre presso i cananei la prostituzione non era un mestiere infamante.
I due ospiti di Raab furono riconosciuti come israeliti da altri, che riferirono la cosa al re. Tuttavia Raab
nascose prontamente gli uomini fra gli steli di lino messi ad asciugare sul tetto e quando gli inseguitori
vennero per catturarli poté indirizzarli altrove senza destare sospetti. In questo modo Raab mostrò
maggiore devozione al Dio di Israele che ai suoi concittadini condannati. — Gsè 2:2-7.
Non si sa in quale preciso momento Raab si sia resa conto dell’obiettivo delle spie e delle intenzioni di
Israele riguardo a Gerico. Ma a un certo punto confessò alle spie che la città era in preda a grande timore
e terrore a motivo delle notizie riguardanti gli atti salvifici compiuti da Geova a favore di Israele nei
precedenti 40 anni o più. Chiese loro di giurarle che sarebbe stata risparmiata la vita a lei e a tutta la sua
famiglia: padre, madre e tutti gli altri. Le spie acconsentirono, a patto che lei radunasse tutta la famiglia in
casa sua, calasse una corda scarlatta dalla finestra e non dicesse nulla della loro visita, tutte cose che
Raab promise di fare. Per proteggere ulteriormente le spie, le fece uscire da una finestra (la casa si
trovava sulle mura della città) e disse loro come potevano evitare gli inseguitori che si erano diretti verso i
guadi del Giordano. — Gsè 2:8-22.
Le spie riferirono a Giosuè tutto l’accaduto. (Gsè 2:23, 24) Quindi dopo la caduta delle mura di Gerico,
la casa di Raab, “su un lato delle mura”, non venne distrutta. (Gsè 2:15; 6:22) In base all’ordine di Giosuè
di risparmiare la famiglia di Raab, le stesse due spie la fecero uscire e mettere in salvo. Dopo un periodo
di esclusione dall’accampamento di Israele, Raab e la sua famiglia ebbero il permesso di dimorare fra gli
israeliti. (Gsè 6:17, 23, 25) Quella ex prostituta divenne quindi moglie di Salmon e madre di Boaz,
antenato del re Davide; essa è una delle quattro donne menzionate per nome nella genealogia di Gesù
riportata da Matteo. (Ru 4:20-22; Mt 1:5, 6) È anche un notevole esempio di persona non israelita che
mediante le opere dimostrò di avere piena fede in Geova. “Per fede”, spiega Paolo, “Raab la meretrice
non perì con quelli che agirono disubbidientemente, avendo ricevuto le spie in modo pacifico”. “Raab la
meretrice non fu forse dichiarata giusta per le opere, dopo che ebbe ricevuto i messaggeri con ospitalità e
li ebbe mandati fuori per un’altra via?” chiede Giacomo. — Eb 11:30, 31; Gc 2:25.

w79 1/2 24-6


La sua fede salvò delle vite
Le notizie si propagarono in fretta. Una nazione schiava era stata liberata. Il Mar Rosso si era diviso,
permettendo a questi ex schiavi di attraversarlo a piedi asciutti. Ma l’esercito egiziano, lanciatosi
all’inseguimento per riprenderli, era rimasto intrappolato sul fondo marino quando le acque si erano
richiuse. Le forze militari al completo erano perite.
Nei 40 anni successivi poco si udì riguardo a quella nazione che era stata liberata, Israele. Poi giunse in
Canaan la notizia che i forti regni amorrei a est del Giordano erano caduti davanti agli Israeliti. Come
reagirono i popoli a ovest del Giordano?
La Bibbia cita le parole che una donna di Gerico disse a due giovani spie israelite: “Lo spavento di voi è
caduto su di noi, e . . . tutti gli abitanti del paese si sono scoraggiati a causa di voi. Poiché abbiamo udito
come Geova asciugò le acque del mar Rosso d’innanzi a voi quando usciste dall’Egitto, e ciò che faceste
ai due re degli Amorrei che erano al di là del Giordano, cioè Sihon e Og, che votaste alla distruzione.
Quando lo udimmo, i nostri cuori si struggevano, e non è ancora sorto spirito in alcuno a causa di voi”. —
Gios. 2:9-11.
Sì, il timore riempì gli abitanti di Canaan. Essi provavano una terribile paura. Il coraggio venne loro
meno. Nessuno aveva l’animo di agire. Tuttavia questo non spinse i cananei ad avere un sano timore di
Geova. Privi di fede, indurirono i loro cuori contro di lui e lo rivelarono radunando gli eserciti per la
battaglia. La Bibbia riferisce: “Non ci fu città che facesse pace coi figli d’Israele salvo gli Ivvei che
abitavano a Gabaon. Tutte le altre le presero con la guerra. Poiché fu proposito di Geova lasciare che i
loro cuori divenissero ostinati in modo da dichiarar guerra a Israele”. — Gios. 11:19, 20.
RAAB FU DIVERSA
Ma che dire della donna di Gerico che parlò alle spie israelite? Chi era? Indurì anch’essa il suo cuore?
Quella donna era Raab, una meretrice la cui casa era situata in cima alle mura di Gerico. Quello che
aveva udito delle opere di Geova la spinse a riconoscere la superiorità del vero Dio. Raab disse alle spie:
“In effetti so che Geova vi darà certamente il paese. . . . Geova vostro Dio è Dio nei cieli di sopra e sulla
terra di sotto”. — Gios. 2:9-11.
La sua fede non fu una semplice espressione verbale. Raab aveva già agito in armonia con essa. In che
modo? Anzitutto, aveva accolto le spie nella sua casa, sapendo che erano israelite. In quei tempi, la casa
di una meretrice serviva anche da locanda, ma non per questo Raab aveva l’obbligo di ricevere le spie.
Sapendo molto bene che gli abitanti di Gerico odiavano gli israeliti, Raab dovette avere fede per
accogliere quegli uomini in casa sua.
In seguito, quando il re di Gerico seppe che le spie israelite erano andate a casa di Raab, vi mandò dei
messaggeri a chiedere: “Fa uscire gli uomini che son venuti da te, che sono entrati nella tua casa, poiché
son venuti a perlustrare il paese”. (Gios. 2:2, 3) Raab ebbe così l’opportunità di dimostrare la sua fede. In
quel momento le spie erano sulla terrazza, nascoste sotto steli di lino. (Gios. 2:6) Cosa avrebbe fatto ora
Raab? Avrebbe ubbidito all’ordine del re? O si sarebbe schierata col popolo di Geova?
Per proteggere le spie israelite, Raab usò un’arma che aveva a sua immediata disposizione, la lingua.
Sviò i messaggeri del re, dicendo: “Sì, gli uomini son venuti da me, e io non sapevo di dove fossero. Ed è
avvenuto alla chiusura della porta, a notte, che gli uomini son usciti. Non so proprio dove gli uomini siano
andati. Inseguiteli presto, poiché li raggiungerete”. (Gios. 2:4, 5) Così, oltre a sviare i messaggeri, Raab
finse completa ignoranza e non diede la minima idea di simpatizzare per gli israeliti. Il sotterfugio servì
evidentemente anche a scoraggiare un’eventuale perquisizione della casa. Certo per schierarsi contro il
re di Gerico Raab dovette avere ferma fede che Geova avrebbe dato la vittoria a Israele. Tale azione, se
fosse stata scoperta, sarebbe costata indubbiamente la vita a Raab.
LA PROMESSA DI CONSERVARLI IN VITA
Dopo la partenza dei messaggeri del re, Raab salì sulla terrazza a parlare con le spie israelite. Nessuno
in città l’avrebbe vista, poiché la terrazza aveva un alto parapetto. In quell’occasione, dopo aver
dimostrato la sua fede con le opere, Raab dichiarò quella fede alle due spie. Quindi, continuò: “Ora, vi
prego, giuratemi per Geova che, siccome io ho esercitato amorevole benignità verso di voi, anche voi
eserciterete per certo amorevole benignità verso la casa di mio padre, e mi dovete dare un segno
meritevole di fiducia. E dovete conservare in vita mio padre e mia madre e i miei fratelli e le mie sorelle e
tutti quelli che appartengono a loro, e dovete liberare le nostre anime dalla morte”. — Gios. 2:12, 13.
Così Raab chiese non solo la sua vita, ma la vita di tutti quelli che formavano la casa di suo padre. Per
assicurarsi che tutti sarebbero stati conservati in vita, chiese un “segno meritevole di fiducia”. Questo
segno fu un giuramento solenne, la garanzia che tutto quanto aveva chiesto le sarebbe stato concesso.
Le spie risposero: “Le nostre anime devono morire invece di voi!” (Gios. 2:14) Con queste parole
dicevano in effetti che, se non avessero risparmiato Raab e i suoi parenti dalla morte, Dio avrebbe punito
loro con la morte. In questo modo le spie offrirono la propria vita a garanzia della vita di Raab e della vita
di tutti quelli che formavano la casa di Raab.
La promessa confermata da giuramento, tuttavia, era a certe condizioni. Raab aveva l’obbligo di
continuare a tutelare gli interessi delle spie. Inoltre, doveva legare un filo scarlatto alla finestra da cui
aveva fatto scendere gli uomini. Essendo del colore del sangue vitale, questo filo poteva rappresentare
appropriatamente la disposizione mediante cui Raab e tutti quelli che si sarebbero rifugiati in casa sua
potevano essere conservati in vita. Una terza condizione fu che la sicurezza si sarebbe trovata solo nella
casa di Raab. Se al momento della conquista di Gerico qualche suo parente si fosse avventurato per le
strade, non avrebbe potuto attendersi d’essere risparmiato. — Gios. 2:14-20.
RICOMPENSATA LA FEDE DI RAAB
Giunse il tempo in cui, con un miracolo, le mura di Gerico caddero di piatto. Ma la sezione delle mura
dov’era la casa di Raab rimase in piedi. Sotto la direttiva di Giosuè, le due spie entrarono nella casa e ne
condussero fuori tutti quelli che c’erano. (Gios. 6:22, 23) Ulteriori benedizioni erano in serbo per Raab.
Essa contrasse poi un onorevole matrimonio con un giudeo, Salmon. Suo figlio Boaz divenne un anello
essenziale nella linea di discendenza che condusse a Davide e infine al Messia o Cristo, Gesù. — Rut
4:21, 22; Matt. 1:5-16.
La fede di Raab fu riccamente ricompensata. Il suo esempio è di incoraggiamento per i cristiani a vivere
la loro fede, dimostrandola con le opere. Questo è confermato da ciò che dicono di Raab le Scritture
Greche Cristiane. Nella lettera agli Ebrei leggiamo: “Per fede Raab la meretrice non perì con quelli che
agirono disubbidientemente, avendo ricevuto le spie in modo pacifico”. (Ebr. 11:31) Facendo notare ciò
che la sua fede e quella d’altri dovrebbero spingere i cristiani a fare, la lettera continua: “Poiché abbiamo
un così gran nuvolo di testimoni che ci circondano, deponiamo anche noi ogni peso e il peccato [la
perdita della fede] che facilmente ci avvince e corriamo con perseveranza la corsa che ci è posta
dinanzi”. (Ebr. 12:1) Il discepolo Giacomo, sottolineando l’importanza delle opere in armonia con la fede,
scrisse: “Non fu anche Raab la meretrice dichiarata giusta dalle opere dopo che ebbe ricevuto i
messaggeri con ospitalità e li ebbe mandati fuori per un’altra via? In realtà, come il corpo senza respiro è
morto, così anche la fede senza opere è morta”. — Giac. 2:25, 26.
Il racconto relativo a Raab mostra pure che un passato peccaminoso non impedisce a una persona di
cambiare il suo modo di vivere e ottenere l’approvazione di Dio. Anche Gesù Cristo disse ai capi religiosi
increduli del suo giorno: “Veramente vi dico che gli esattori di tasse e le meretrici vanno davanti a voi nel
regno di Dio. Poiché Giovanni [il Battezzatore] è venuto a voi nella via della giustizia, ma voi non gli avete
creduto. Comunque, gli esattori di tasse e le meretrici gli hanno creduto, e voi, benché abbiate visto
questo, non avete poi provato rimorso in modo da credergli”. — Matt. 21:31, 32.
Inoltre, come la fede di Raab salvò delle vite, così anche la nostra fede nel provvedimento divino per la
salvezza mediante Gesù Cristo può salvare la nostra vita e quella di tutti coloro che si avvalgono di tale
provvedimento.
Abbiamo senz’altro buone ragioni per dimostrare la nostra fede, come la dimostrò Raab. E come essa si
preoccupò della vita dei suoi parenti, mostriamo anche noi simile interesse facendo sforzi diligenti per
aiutare i nostri parenti, i conoscenti e altri a conoscere il mezzo stabilito da Dio per la salvezza.

w70 15/3 177-9 Un modello profetico per il nostro giorno


ZELANTE PER LA CAUSA DI GEOVA
4 Consideriamo qualche cosa dei precedenti di Giosuè. Circa quarant’anni prima, come mostra il racconto
biblico, si unì a Caleb nel sollecitare gli scontenti Israeliti a salire a prender possesso del “paese molto,
molto buono” promesso loro da Geova. A causa della loro mancanza di fede, quegli Israeliti perirono nel
deserto, ma Geova preservò Giosuè perché conducesse una nuova generazione di Israeliti nel paese
dove ‘scorreva latte e miele’, e questo alla buona vecchiaia di circa ottant’anni! In ciò Giosuè fu proprio
come molti fedeli pionieri in età avanzata d’oggi, che ancora prendono l’iniziativa nel servizio di Dio,
dando un buon esempio ad altri. — Num. 14:6-9; Deut. 31:7, 8.
5 Giosuè fu un combattente, e questo è ciò che noi dovremmo essere, guerrieri teocratici addestrati a
maneggiare la “spada dello spirito”, la Parola di Dio. (Efes. 6:11-18) Giosuè fu desto, intrepido e accurato
nell’adempiere i suoi incarichi, e noi pure possiamo esserlo. Poiché possiamo trarre forza dalla stessa
fonte a cui si rivolse Giosuè. Dovremmo prestare molta attenzione alle parole di Geova in Giosuè 1:7-9,
proprio come fece Giosuè:
“Solo sii coraggioso e molto forte per aver cura di fare secondo tutta la legge che Mosè mio servitore ti ha
comandata. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, onde tu agisca con saggezza ovunque tu
vada. Questo libro della legge non dovrebbe dipartirsi dalla tua bocca e vi devi leggere sottovoce giorno e
notte, per aver cura di fare secondo tutto ciò che vi è scritto; poiché allora avrai successo nella tua via e
allora agirai con saggezza. Non ti ho io comandato? Sii coraggioso e forte. Non ti sgomentare o non ti
atterrire, poiché Geova tuo Dio è con te ovunque tu vada”.
6 Giosuè aveva la legge di Dio in forma dei primi cinque libri della nostra moderna Bibbia e possibilmente
il libro di Giobbe. Oggi, abbiamo circa sessanta altri libri ispirati, tutti i profeti, i salmi e gli scritti degli
apostoli giudei di Gesù. Mentre ora guardiamo “nella legge perfetta che appartiene alla libertà”, possiamo
prepararci a fare opere assai più grandi di quelle che fece Giosuè. (Giac. 1:25; Giov. 14:12) Il nostro zelo
dovrebbe perfino superare quello di Giosuè. E per certo saremo sempre zelanti per la causa di Geova se
mediteremo giorno e notte sulla sua Parola, leggendo con diligenza e studiando con diligenza le ispirate
Scritture.
ORGANIZZAZIONE PER LA GUERRA TEOCRATICA
7 Geova aveva comandato di conquistare Canaan. La fede di Giosuè in Geova era incrollabile, e
similmente gli Israeliti riposero fede in Giosuè, dicendogli: “Tutto ciò che ci hai comandato faremo, e
ovunque tu ci mandi, andremo”. (Gios. 1:16) Dopo la prima guerra mondiale, il rimanente dell’Israele
spirituale, riorganizzandosi per testimoniare intorno al regno di Dio, espresse una simile lealtà e volontà,
e Geova li benedisse per mezzo del più grande Giosuè, Gesù Cristo. Com’è appropriato che “Gesù” sia
nella lingua greca l’equivalente della parola ebraica “Giosuè”, che significa “Geova è salvezza”.
8 Giosuè mandò ora due uomini a esplorare Canaan, dicendo loro: “Andate, date uno sguardo al paese e
a Gerico”. (Gios. 2:1) “Canaan” significa “umiliato”. Pare che raffiguri il paese dell’organizzazione di
Satana, il suo maledetto “seme” sulla terra. Come primizia della conquista, l’idolatra città di Gerico pare
raffiguri “Babilonia la Grande”, di cui la cristianità è una parte principale, e che dev’essere
‘completamente bruciata col fuoco’ quando Dio comincerà ad eseguire il giudizio sull’attuale sistema di
cose. — Riv. 17:5, 16, 18.
9 Segretamente, i due esploratori entrarono in Gerico e andarono diritto alla casa di Raab, dove
alloggiarono. Durante il percorso, furono ben in grado di misurare la situazione di Canaan e di Gerico. In
modo simile, allorché intrapresero la loro moderna guerra teocratica, i testimoni di Geova compresero
chiaramente dalla Parola profetica di Dio, che Satana aveva sulla terra una grande organizzazione, di cui
la falsa religione formava la parte più corrotta, e che tutto questo visibile “seme” di Satana era
condannato a una subita distruzione.
10 Ma chi raffigura Raab? Un significato del suo nome, oltre ad “ampio; largo”, è “in libertà”, indicando
così implicitamente, che era una che si era liberata dalla religione demonica di Canaan. Ella dovette pure
liberarsi della sua precedente attività di prostituta, altrimenti Geova non avrebbe indirizzato gli esploratori
alla sua casa. (Deut. 23:17, 18) Ella ben rappresenta una classe che è uscita dalla religione babilonica e
ne è disprezzata. Questa è la classe di quelle persone paragonate a pecore che adempiono la profezia di
Matteo 25:34-40 circa il mostrare benignità ai fratelli di Cristo. Questa è la “grande folla, che, come Raab,
viene a udire delle potenti opere di Geova e a riconoscere che egli è “Dio nei cieli di sopra e sulla terra di
sotto”. — Gios. 2:11; Riv. 7:9, 10.
11 Possiamo esser sicuri che gli esploratori non trascorsero il loro tempo con Raab in discorsi inutili.
Quale grande opportunità ebbero di istruirla intorno alla legge di Dio! Gli unti testimoni di Geova, oggi,
sono pure stati felici di trascorrere il tempo insegnando ai disprezzati della terra la via della salvezza di
Dio. In ciò, seguono l’esempio di Gesù. (Matt. 21:31; 11:19) Raab fu senza dubbio una lavoratrice
industriosa del lino, ma ora era ansiosa di provare la propria fede con un’altra specie di lavoro, così che
cercò un patto con gli Israeliti. Per questo, la Parola di Dio la loda, dicendo: “Voi vedete che l’uomo è
dichiarato giusto dalle opere e non dalla fede soltanto. Nella stessa maniera non fu anche Raab la
meretrice dichiarata giusta dalle opere, dopo che ebbe ricevuto i messaggeri con ospitalità e li ebbe
mandati fuori per un’altra via?” — Giac. 2:24, 25; Gios. 2:6, 12, 13.
12 In questi pericolosi “ultimi giorni”, la “grande folla” deve agire in cooperazione con l’unto rimanente dei
fratelli di Cristo e per la loro protezione. Per giunta, hanno l’urgente responsabilità d’insegnare ad altri
ancora. Questo è ben raffigurato dal fatto che Raab nascose gli esploratori e li mandò via in un sicuro
nascondiglio fra i monti, e anche dalla sua susseguente zelante azione a favore della propria famiglia. Ma
ci voleva un’altra cosa! Raab aveva calato gli esploratori dalla sua finestra con una fune. Questa “corda di
filo scarlatto” può essere stata la stessa corda che gli esploratori diedero istruzione a Raab di legare alla
sua finestra. Quelli radunati nella sua casa dovevano rimanere sotto la protezione di quel filo scarlatto,
senza uscire per non incorrere nella morte, essendo il loro sangue sulle loro proprie teste. Questo
rammenta che Dio protesse i primogeniti d’Israele nelle case segnate col sangue alla prima Pasqua, e
anche delle città di rifugio dove l’omicida involontario era liberato dall’esecuzione per la colpa del sangue.
La ‘corda scarlatta’ indica oggi il provvedimento di Dio per la salvezza della “grande folla”, il cui
provvedimento si accentra sul sacrificio di Gesù. (Ebr. 9:19, 28) Quelli che escono da Babilonia la Grande
devono continuare a stare sotto tale provvedimento.
13 Dopo la partenza degli esploratori, Raab dovette intensificare i suoi sforzi a favore della sua casa. In
qualità di non israelita, avrebbe dovuto fare una dedicazione personale a Geova, proprio come la “grande
folla” che coopera così zelantemente con l’Israele spirituale nell’odierna campagna di istruzione biblica in
tutta la terra. Probabilmente voi siete uno di questi, e potete anche aver avuto la rallegrante esperienza di
condurre qualcuno della vostra propria famiglia al sicuro, per mezzo di uno studio biblico a domicilio. O
potete avere studiato con altri che son divenuti vostri “fratelli e sorelle e madri e figli” in senso spirituale
con la speranza della vita eterna nel sistema di cose avvenire. (Mar. 10:30) Tutti voi che siete stati
radunati nella dedicazione a Geova per mezzo di Cristo, continuate ad esercitare fede sulla base del
sangue sparso di Gesù. Significherà la vostra salvezza, proprio come la ‘corda scarlatta’ significò la
salvezza di Raab e della sua casa! — Gios. 2:17-21; 1 Giov. 1:7.

w93 15/12 22-5


Raab, dichiarata giusta per le opere di fede
PENSATE un po’! Una meretrice dichiarata giusta dal punto di vista di Dio. “Assurdo!”, esclamerebbero
molti. Eppure questo è ciò che avvenne a Raab, prostituta di Gerico, antica città cananea.
Lo scrittore biblico Giacomo scrive: “L’uomo dev’essere dichiarato giusto per le opere e non per la fede
soltanto. Nella stessa maniera anche Raab la meretrice non fu forse dichiarata giusta per le opere, dopo
che ebbe ricevuto i messaggeri con ospitalità e li ebbe mandati fuori per un’altra via? In realtà, come il
corpo senza spirito è morto, così anche la fede senza opere è morta”. (Giacomo 2:24-26) Perché Raab fu
dichiarata giusta? Cosa fece per ricevere una posizione così privilegiata dinanzi a Dio?
Stanno arrivando gli israeliti!
Torniamo indietro all’anno 1473 a.E.V. Immaginate la scena. Gerico è protetta da solide fortificazioni. In
cima alle mura cittadine c’è la casa di Raab la meretrice. Da quella posizione elevata probabilmente
riesce a vedere a est il fiume Giordano in piena. (Giosuè 3:15) Sulla sponda orientale può osservare
l’accampamento israelita, forte di oltre 600.000 guerrieri. Sono solo a pochi chilometri di distanza!
Raab ha sentito parlare delle vittorie degli israeliti. Ha udito anche delle manifestazioni della potenza di
Geova, in particolare dell’apertura di un corridoio grazie al quale gli israeliti hanno attraversato il Mar
Rosso, mettendosi in salvo. Non sarà certo il Giordano in piena a fermarli. È un momento critico! Cosa
farà Raab?
Raab prende posizione
Presto Raab riceve due visitatori inaspettati: spie provenienti dall’accampamento israelita. Cercano un
posto in cui dormire e lei li accoglie in casa. Ma la notizia della loro presenza giunge agli orecchi del re di
Gerico, il quale invia prontamente degli uomini ad arrestarli. — Giosuè 2:1, 2.
Quando gli emissari del re arrivano, Raab ha già preso posizione a favore di Geova Dio. “Fa uscire gli
uomini che sono venuti da te”, ingiungono gli emissari del re. Raab, che ha nascosto le spie fra gli steli di
lino messi ad asciugare sul tetto, risponde: “Sì, certo, gli uomini sono venuti da me, e io non sapevo di
dove fossero. Ed è avvenuto alla chiusura della porta [della città], all’imbrunire, che gli uomini sono usciti.
Non so proprio dove gli uomini siano andati. Inseguiteli velocemente, poiché li raggiungerete”. (Giosuè
2:3-5) Gli uomini del re vanno all’inseguimento, ma inutilmente.
Raab ha messo i nemici fuori strada. Immediatamente compie altri passi che rivelano la sua fede in
Geova sostenuta dalle opere. Sale sul tetto e dice alle spie: “In effetti so che Geova vi darà certamente il
paese”. Raab riconosce che tutti gli abitanti del paese sono atterriti perché hanno udito come Dio 40 anni
prima “prosciugò le acque del Mar Rosso” d’innanzi agli israeliti. Il popolo sa pure che gli israeliti votarono
alla distruzione due re amorrei. “Quando lo udimmo”, dice Raab, “il nostro cuore si struggeva, e non è
ancora sorto spirito in alcuno a causa vostra, perché Geova vostro Dio è Dio nei cieli di sopra e sulla terra
di sotto”. — Giosuè 2:8-11.
Raab supplica: “Ora, vi prego, giuratemi per Geova che, siccome io ho esercitato amorevole benignità
verso di voi, anche voi certamente eserciterete amorevole benignità verso la casa di mio padre, e mi
dovete dare un segno degno di fede. E dovete conservare in vita mio padre e mia madre e i miei fratelli e
le mie sorelle e tutti quelli che appartengono a loro”. — Giosuè 2:12, 13.
Gli uomini acconsentono e dicono a Raab cosa fare. Deve appendere alla finestra la corda scarlatta che
ha usato per farli scendere all’esterno delle mura di Gerico. Deve radunare i familiari in casa sua, e lì
devono rimanere per essere protetti. Raab dà alle spie che stanno per andarsene informazioni utili sulla
configurazione del paese e dice loro come eludere gli inseguitori. Le spie seguono i suoi suggerimenti.
Raab, dopo aver esposto la corda scarlatta e aver radunato i familiari, attende ulteriori sviluppi. — Giosuè
2:14-24.
Cosa ha fatto Raab? Ebbene, ha dimostrato di riporre fede nell’Iddio Onnipotente, Geova! Intende
vivere secondo le Sue norme. Sì, e sarà dichiarata giusta per tali opere di fede.
Le mura crollano!
Passano alcune settimane. Accompagnati dai sacerdoti — alcuni dei quali portano corni di montone e
altri la sacra arca del patto — i guerrieri israeliti stanno marciando intorno a Gerico. Sono ormai sei giorni
che fanno un giro ogni giorno. Ora, il settimo giorno, hanno già fatto il giro della città sei volte. Ecco che
ripartono!
Completato il settimo giro, il prolungato suono dei corni riempie l’aria. Gli israeliti lanciano un possente
urlo. A ciò Geova fa crollare le mura difensive di Gerico con un gran boato. Rimane in piedi solo la parte
di mura su cui sorge la casa di Raab. Il resto della città e gli abitanti vengono distrutti. Grazie alla sua
fede sostenuta dalle opere, la prostituta pentita viene risparmiata insieme alla sua famiglia, e comincia a
dimorare fra il popolo di Geova. — Giosuè 6:1-25.
La personalità di Raab
Raab non era una donna pigra e viziata, perché sul tetto c’erano steli di lino messi ad asciugare al sole.
Le fibre di lino si tessevano. Raab aveva in casa anche una provvista di filo cremisi. (Giosuè 2:6, 18) È
possibile quindi che facesse tessuti di lino e che conoscesse l’arte della tintura. Sì, Raab era una donna
industriosa. Soprattutto, aveva sviluppato un timore reverenziale di Geova. — Confronta Proverbi 31:13,
19, 21, 22, 30.
Che dire dell’altro mestiere di Raab? Non era semplicemente la titolare di una locanda. No, le Scritture
la indicano con i termini ebraico e greco che significano prostituta. Per esempio, il termine ebraico
zohnàh ha sempre attinenza con una relazione illecita. Fra parentesi, per i cananei la prostituzione non
era un’attività riprensibile.
Il fatto che Geova si sia servito di una meretrice dimostra la sua grande misericordia. Le apparenze
possono ingannare noi, ma Dio “vede il cuore”. (1 Samuele 16:7) Perciò le prostitute di cuore retto che si
pentono del loro meretricio possono ricevere il perdono di Geova Dio. (Confronta Matteo 21:23, 31, 32).
Raab stessa lasciò la condotta peccaminosa e intraprese un modo di vivere giusto e approvato da Dio.
Le spie israelite vivevano secondo la Legge di Dio e quindi non andarono ad alloggiare in casa di Raab
per scopi immorali. Forse vi andarono perché la loro presenza nella casa di una meretrice avrebbe
destato meno sospetti. Inoltre, essendo la casa sulle mura della città, sarebbe stato più facile fuggire. È
evidente che Geova Dio li guidò da una peccatrice il cui cuore era stato così favorevolmente colpito dalle
notizie di ciò che egli aveva fatto per gli israeliti da indurla a pentirsi e a cambiare vita. La dichiarazione di
Dio secondo cui Israele doveva scacciare i cananei a causa delle loro pratiche immorali, e il fatto che egli
abbia benedetto Raab e la conquista di Gerico, sono una chiara indicazione che le spie non commisero
immoralità. — Levitico 18:24-30.
Che dire delle informazioni fuorvianti che Raab diede agli inseguitori? Dio approvò il suo operato.
(Confronta Romani 14:4). Raab fu disposta a correre dei rischi per proteggere i Suoi servitori,
dimostrando così la sua fede. Geova condanna chi mente con perfidia, ma non si è obbligati a dare
informazioni veritiere a chi non ha il diritto di conoscerle. Lo stesso Gesù Cristo non fornì tutti i particolari
e non diede risposte esplicite quando farlo avrebbe potuto essere inutilmente dannoso. (Matteo 7:6; 15:1-
6; 21:23-27; Giovanni 7:3-10) Evidentemente ciò che Raab fece per depistare i nemici va visto sotto
questa luce.
La ricompensa di Raab
Come fu ricompensata Raab per aver esercitato fede? Il fatto di essere conservata in vita durante la
distruzione di Gerico fu sicuramente una benedizione da parte di Geova. In seguito sposò Salmon
(Salma), figlio di Naasson della tribù di Giuda, uno dei capi principali all’epoca della peregrinazione nel
deserto. Come genitori del devoto Boaz, Salmon e Raab divennero un anello della linea di discendenza
che portò a Davide, re di Israele. (1 Cronache 2:3-15; Rut 4:20-22) Fatto ancor più significativo, l’ex
prostituta Raab è una delle sole quattro donne menzionate nella genealogia di Gesù Cristo riportata da
Matteo. (Matteo 1:5, 6) Che benedizione da parte di Geova!
Benché non fosse israelita e prima fosse una prostituta, Raab è un notevole esempio di donna che
dimostrò con le opere di avere piena fede in Geova. (Ebrei 11:30, 31) Come altre, alcune delle quali
hanno abbandonato una vita di prostituzione, riceverà un’ulteriore ricompensa: la risurrezione dai morti su
una terra paradisiaca. (Luca 23:43) A motivo della sua fede sostenuta dalle opere, Raab ottenne
l’approvazione del nostro amorevole e misericordioso Padre celeste. (Salmo 130:3, 4) E di sicuro il suo
eccellente esempio incoraggia tutti coloro che amano la giustizia a confidare in Geova Dio per ricevere la
vita eterna.
[Figura a pagina 23]
Raab fu dichiarata giusta perché le sue opere dimostrarono che aveva fede
[Foto a pagina 24]
Gli archeologi hanno scoperto i resti dell’antica Gerico, fra cui una piccola parte di un antico muro
[Referenza fotografica]
Pictorial Archive (Near Eastern History) Est.

Rabsache --- Tema: Dio non è da beffeggiare GALATI 6:7

it-2 694-5
RABSACHE (Rabsàche) [da un termine accadico che probabilmente significa “capo coppiere”].
Titolo di un alto funzionario assiro. (2Re 18:17) In un’iscrizione di Tiglat-Pileser III re d’Assiria rinvenuta
su un edificio si legge: “Ho inviato uno dei miei funzionari, il rabsaq, a Tiro”. E un’iscrizione del re
Assurbanipal su una tavoletta conservata al British Museum dice: “Ho ordinato di aggiungere alle mie
precedenti forze (militari in Egitto) il funzionario-rabsaq”. — Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B.
Pritchard, 1974, pp. 282, 296.
Mentre assediava la fortezza giudea di Lachis, Sennacherib re d’Assiria mandò un forte contingente
militare a Gerusalemme, affidandolo al comando del Tartan, comandante in capo, e di due alti funzionari,
il Rabsaris e il Rabsache. (2Re 18:17; l’intero episodio è riportato anche in Isa capp. 36 e 37). Di questi
tre ufficiali superiori assiri, Rabsache fu quello che prese l’iniziativa nel tentativo di costringere il re
Ezechia alla resa. (2Re 18:19-25) I tre si fermarono presso la conduttura della piscina superiore. Questo
Rabsache, il cui nome personale non è rivelato, parlava correntemente sia l’ebraico che il siriaco. Chiamò
in ebraico il re Ezechia, ma tre funzionari di Ezechia gli uscirono incontro e gli chiesero di parlare con loro
in siriaco anziché nella lingua degli ebrei dato che la gente sulle mura ascoltava. (2Re 18:26, 27) Ma
questo era proprio lo scopo propagandistico che Rabsache si era prefisso. Egli voleva che il popolo
ascoltasse, e si scoraggiasse. Con parole destinate a incutere terrore, con false promesse e menzogne,
schernendo e vituperando Geova, Rabsache parlò ancora più forte in ebraico, esortando in sostanza la
popolazione a tradire il re Ezechia e ad arrendersi all’esercito assiro. (2Re 18:28-35) Comunque la
popolazione di Gerusalemme rimase fedele a Ezechia. — 2Re 18:36.
Le parole di scherno di Rabsache furono riferite a Geova in preghiera da Ezechia, e una delegazione fu
inviata dal profeta Isaia per conoscere la risposta di Geova. (2Re 18:37; 19:1-7) Nel frattempo Rabsache
fu richiamato all’improvviso dalla notizia che il re d’Assiria si era ritirato da Lachis e stava combattendo
contro Libna. Continuando da lontano la sua campagna propagandistica contro Ezechia, Sennacherib
inviò messaggeri a Gerusalemme con lettere di scherno e gravi minacce per costringere Ezechia alla
resa. (2Re 19:8-13) Ezechia portò le lettere nel tempio di Gerusalemme e le spiegò dinanzi a Geova,
pregandolo nel contempo di intervenire con urgenza in suo aiuto. (2Re 19:14-19) Riferendosi al re
d’Assiria, Geova rispose tramite il profeta Isaia: “Non entrerà in questa città né vi tirerà una freccia né
l’affronterà con uno scudo né eleverà contro di essa un bastione d’assedio. Tornerà per la via per la
quale è venuto, e non entrerà in questa città, è l’espressione di Geova”. (2Re 19:32, 33) Quella notte
l’angelo di Geova colpì a morte 185.000 soldati assiri. Questa batosta inaspettata spinse Sennacherib re
d’Assiria a ritirarsi immediatamente e a tornare a Ninive, capitale dell’Assiria, dove qualche tempo dopo
fu assassinato. (2Re 19:35-37) Le minacce di Rabsache, blasfemo schernitore dell’Iddio vivente, Geova,
non ebbero nessun effetto.

w87 1/9 20-3 Guardatevi dalla "Pace e sicurezza" prospettata dalle nazioni
Confidate in Geova per avere pace e sicurezza
14 Prima del tempo di Isaia la nazione delle dodici tribù d’Israele si era divisa sulla questione del regno.
Questo avvenne dopo il glorioso regno del re Salomone. Le dieci tribù secessioniste del nord istituirono
quello che fu poi chiamato il regno d’Israele, con capitale Samaria. Le due restanti tribù, Giuda e
Beniamino, rimasero leali alla dinastia reale di Davide, che regnava a Gerusalemme. Il regno delle dieci
tribù d’Israele divenne ostile al regno di Giuda, formato dalle due tribù. Col tempo il regno d’Israele si
alleò con quello di Siria, la cui capitale era Damasco. L’idea era di rovesciare il regno di Giuda e
soggiogarlo. Avrebbe dunque il regno di Giuda dovuto allearsi con qualche altra nazione potente allo
scopo di resistere al furioso assalto della nazione d’Israele e del suo alleato pagano, la Siria? — Isaia
7:3-6.
15 Nel piccolo regno di Giuda c’erano quelli che avevano perso la fede nel Dio nazionale, Geova. Questi
erano favorevoli a un’alleanza, o cospirazione, con un potente regno pagano di questo mondo. Nel
promuovere una siffatta unione infedele tra il divino regno di Giuda e un regno del mondo empio, alcuni
dicevano agli indecisi nel regno di Giuda: “Cospirazione!” Tradivano così la loro mancanza di fede e
fiducia nell’Iddio il cui tempio si trovava a Gerusalemme. Il profeta Isaia fu ispirato a denunciare tale
cospirazione, dicendo nel capitolo 8, versetto 12⇒ di Isaia⇐: “Non dovete dire: ‘Cospirazione!’ rispetto a
tutto ciò di cui questo popolo continua a dire: ‘Cospirazione!’ e non dovete temere l’oggetto del loro
timore, e non dovete tremare davanti a esso”.
16 Il fatto di essere in una relazione di patto con Geova significava per il popolo pace e sicurezza. Se ne
ebbe una prova quando il monarca assiro Sennacherib inviò un comitato di tre alti ufficiali per intimare la
resa al re Ezechia e al popolo di Gerusalemme. L’ufficiale e portavoce assiro Rabsache si piazzò davanti
alle mura di Gerusalemme e schernì arrogantemente Geova Dio nell’intento di indebolire o distruggere la
fiducia dei giudei in Lui. Grandemente addolorato per questa offesa nei confronti del vivente e vero Dio
Geova, e giustamente consapevole del fatto che Gerusalemme era in pericolo davanti alla travolgente
orda assira, Ezechia si recò al tempio e mise la questione nelle mani di Geova Dio. Compiaciuto di
questa espressione di grande fede in lui e di questa invocazione perché desse prova della sua sovranità
universale, Geova rispose in maniera favorevole. Il suo profeta Isaia li rassicurò ulteriormente. Al
minaccioso assiro Rabsache non fu data nessuna risposta, proprio come aveva ordinato Ezechia. — 2
Re 18:17-36; 19:14-34.
17 Indubbiamente molto sorpreso da questo, Rabsache tornò all’accampamento di Sennacherib, che
stava allora combattendo contro Libna. (2 Re 19:8) Udito il rapporto di Rabsache, Sennacherib inviò a
Ezechia lettere di minaccia, avvertendolo: “Non ti inganni il tuo Dio in cui confidi, dicendo: ‘Gerusalemme
non sarà data in mano al re d’Assiria’”. (2 Re 19:9, 10) Calata la notte, Geova Dio provvide a rispondere a
modo suo al portavoce assiro Rabsache ed Egli stesso diede una risposta alle minacciose lettere di
Sennacherib, confermando la propria superiorità rispetto al dio imperiale dell’Assiria. La conclusione del
racconto di questo episodio, riportata in 2 Re 19:35, dice: “E avvenne quella notte che l’angelo di Geova
usciva e abbatteva centottantacinquemila nel campo degli assiri. Quando il popolo si alzò la mattina di
buon’ora, ebbene, ecco, erano tutti cadaveri, morti”. Quando all’alba gli assiri superstiti, incluso il re
Sennacherib e forse Rabsache, si svegliarono, videro tutt’intorno l’orrendo spettacolo delle vittime della
guerra contro Geova Dio.
18 Sconfitto nei suoi ambiziosi progetti contro l’organizzazione di Geova e tremendamente umiliato,
Sennacherib se ne tornò di corsa e “con la vergogna in faccia” nella capitale del suo paese, Ninive, solo
per esservi assassinato da due dei suoi figli. (2 Cronache 32:21; 2 Re 19:36, 37) L’impero assiro non
costituì mai più una minaccia per la visibile organizzazione di Geova. Quella fu una rivendicazione in
grande stile della sovranità universale dell’Iddio Altissimo. Inoltre, la protezione concessa a Gerusalemme
è un eccellente esempio che mostra in chi gli odierni testimoni di Geova dovrebbero riporre piena fiducia
per godere una continua e imperturbabile pace e sicurezza: non in una cospirazione politica, ma in
Geova Dio.

Rachele --- Tema: Accettate le avversità della vita senza provare gelosia o disperazione
GIACOMO 1:2, 3

it-2 697-8
RACHELE [pecora].
Figlia di Labano; sorella minore di Lea; cugina di Giacobbe e sua moglie prediletta. (Ge 29:10, 16, 30)
Nel 1781 a.E.V. Giacobbe fuggì perché suo fratello Esaù intendeva ucciderlo e giunse a Haran in
Paddan-Aram, “il paese degli orientali”. (Ge 28:5; 29:1) Rachele, ragazza “bella di forme e bella di viso”
che faceva la pastorella per il padre, incontrò Giacobbe presso un pozzo nelle vicinanze di Haran.
Giacobbe venne accolto in casa dello zio e un mese dopo accettò di servire Labano per sette anni onde
poter sposare Rachele, di cui si era innamorato. In quei sette anni il suo amore non si affievolì e infatti per
lui “furono come alcuni giorni”. Tuttavia la sera delle nozze lo zio gli diede, al posto di Rachele, la figlia
maggiore Lea, che evidentemente si prestò all’inganno. L’indomani mattina, accusato di frode da
Giacobbe, Labano fece appello alla consuetudine locale per giustificarsi. Giacobbe acconsentì a
celebrare per un’intera settimana il matrimonio con Lea prima di avere Rachele e poi di lavorare altri sette
anni per Labano. — Ge 29:4-28.
Rachele non deluse Giacobbe come moglie, e Giacobbe l’amava più di Lea. Geova allora benedisse
Lea, per la sua posizione svantaggiata, dandole quattro figli, mentre Rachele rimase sterile. (Ge 29:29-
35) Rachele era gelosa della sorella e anche disperata per la propria sterilità, considerata una grande
vergogna per una donna. La sua stizzosa impazienza fece adirare anche l’amorevole marito. Per
compensare la propria sterilità essa diede la propria serva a Giacobbe affinché avesse figli da lei (come
aveva già fatto Sara con la propria schiava Agar) e i due figli che nacquero furono considerati figli di
Rachele. La serva di Lea e Lea stessa ebbero complessivamente altri quattro figli prima che la speranza
di Rachele finalmente si realizzasse ed essa partorisse il suo primo figlio, Giuseppe. — Ge 30:1-24.
Giacobbe, ormai in procinto di lasciare Haran, fu convinto dal suocero a rimandare ancora la partenza, e
solo sei anni dopo, per ordine di Dio, Giacobbe partì. A motivo dei raggiri di Labano, Giacobbe non lo
avvertì della partenza, e in questo ebbe l’appoggio sia di Lea che di Rachele. Prima di andarsene,
Rachele rubò i “terafim” del padre, evidentemente qualche tipo di immagini idolatriche. Quando Labano in
seguito li raggiunse e menzionò il furto (la cosa che a quanto sembra lo preoccupava di più), Giacobbe,
ignaro della colpa di Rachele, espresse la sua disapprovazione per l’azione stessa, decretando che il
colpevole, se si fosse trovato fra il suo seguito, sarebbe stato messo a morte. La ricerca portò Labano
nella tenda di Rachele, la quale però riuscì a non farsi scoprire dichiarando di essere indisposta a motivo
delle mestruazioni, e rimanendo così seduta sulla sella che conteneva i terafim. — Ge 30:25-30; 31:4-35,
38.
In occasione del suo incontro con il fratello Esaù, Giacobbe dimostrò ancora la sua preferenza per
Rachele, mettendo lei e il suo unico figlio all’ultimo posto in ordine di marcia, posizione senza dubbio più
sicura in caso di attacco da parte di Esaù. (Ge 33:1-3, 7) Dopo essere rimasto per qualche tempo a
Succot, poi a Sichem e infine a Betel, Giacobbe si diresse ancora più a S. Tra Betel e Betleem, Rachele
diede alla luce il suo secondogenito, Beniamino, ma morì di parto e ivi fu sepolta. Giacobbe eresse un
cippo sulla sua tomba. — Ge 33:17, 18; 35:1, 16-20.
I pochi particolari menzionati possono dare solo un’idea frammentaria della personalità di Rachele. Era
un’adoratrice di Geova (Ge 30:22-24), ma aveva debolezze umane: il furto dei terafim e l’astuzia con cui
evitò di essere scoperta vanno forse attribuiti almeno in parte al suo ambiente familiare. Nonostante i suoi
difetti, fu teneramente amata da Giacobbe, che, anche in tarda età, la considerava la sua vera moglie e
voleva bene ai figli di lei più che a tutti gli altri. (Ge 44:20, 27-29) Le parole che Giacobbe rivolse a
Giuseppe poco prima di morire, benché semplici, rivelano il profondo affetto che aveva avuto per
Rachele. (Ge 48:1-7) Di lei e di Lea viene detto che “edificarono entrambe la casa d’Israele [Giacobbe]”.
— Ru 4:11.
Alcune scoperte archeologiche possono far luce sull’episodio dell’appropriazione dei “terafim” paterni da
parte di Rachele. (Ge 31:19) Una delle tavolette cuneiformi trovate a Nuzi, nella Mesopotamia
settentrionale, datate all’incirca alla metà del secondo millennio a.E.V., rivela che presso alcuni popoli
antichi il possesso delle divinità domestiche costituiva il titolo legale per ereditare i beni familiari. (Ancient
Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, pp. 219, 220) Alcuni avanzano l’ipotesi che Rachele
possa aver pensato che Giacobbe aveva diritto a una parte dell’eredità dei beni di Labano come un figlio
adottivo e che quindi possa aver preso i terafim a titolo di garanzia o anche per avvantaggiarsi rispetto ai
figli maschi di Labano. Oppure Rachele può aver pensato che il possesso dei terafim fosse un mezzo per
impedire qualsiasi tentativo legale del padre di reclamare parte delle ricchezze accumulate da Giacobbe
mentre era al suo servizio. (Cfr. Ge 30:43; 31:1, 2, 14-16). Queste possibilità dipendono naturalmente
dall’esistenza o no di tale usanza fra la gente di Labano e dal fatto se i terafim erano veramente
considerati divinità domestiche.
La tomba di Rachele “nel territorio di Beniamino a Zelza” era conosciuta ancora ai giorni di Samuele,
circa sei secoli dopo. (1Sa 10:2) Il sito tradizionale della tomba si trova circa 1,5 km a N di Betleem.
Questo però la porrebbe nel territorio di Giuda, non di Beniamino. Perciò altri ipotizzano una collocazione
più a N, benché oggi non si possa essere precisi al riguardo.

Perché la Bibbia, secoli dopo la morte di Rachele, disse che essa avrebbe pianto i suoi figli?
In Geremia 31:15 Rachele è descritta nell’atto di piangere i suoi figli che sono stati portati in un paese
nemico, e il suo lamento si ode a Rama (a N di Gerusalemme nel territorio di Beniamino). (Vedi RAMA n.
1). Poiché nel contesto (Ger 31:6, 9, 18, 20) viene menzionata diverse volte la tribù di Efraim, i cui
discendenti collettivamente sono spesso usati per rappresentare il regno settentrionale d’Israele, alcuni
studiosi ritengono che questa profezia si riferisca all’esilio in Assiria della popolazione del regno
settentrionale. (2Re 17:1-6; 18:9-11) D’altra parte si potrebbe riferire all’esilio sia degli abitanti di Israele
che di quelli di Giuda (questi ultimi a Babilonia). Nel primo caso, la figura di Rachele sarebbe molto
appropriata, dato che era l’antenata di Efraim (tramite Giuseppe), la tribù più importante del regno
settentrionale. Nel secondo caso, come madre non solo di Giuseppe ma anche di Beniamino, tribù che
faceva parte del regno meridionale di Giuda, Rachele sarebbe stata un appropriato simbolo delle madri di
tutto Israele, che ora sembrava avessero generato figli invano. La confortante promessa di Geova era
tuttavia che gli esiliati sarebbero certamente tornati “dal paese del nemico”. — Ger 31:16.
Questo versetto è citato da Matteo a proposito della strage dei bambini avvenuta a Betleem per ordine
di Erode. (Mt 2:16-18) Dato che la tomba di Rachele era relativamente vicina a Betleem (anche se, a
quanto pare, non si trovava nel luogo indicato dalla tradizione), la figura di Rachele che piange esprimeva
in modo appropriato il dolore delle madri dei bambini uccisi. Ma la citazione della profezia di Geremia era
ancor più appropriata data l’analogia della situazione. Gli israeliti erano soggetti a una potenza straniera. I
loro figli erano stati nuovamente portati via. Questa volta però il “paese del nemico” dove erano andati
non era un paese letterale come in precedenza. Era la tomba, il reame della ‘Morte’ (cfr. Sl 49:14; Ri 6:8),
morte che sarà distrutta come “ultimo nemico”. (Ro 5:14, 21; 1Co 15:26) Il ritorno da tale “esilio” comporta
naturalmente una risurrezione dai morti.

W 65 pag.553

Rebecca --- Tema: Tenete conto di Geova nella scelta del coniuge GENESI 24:63
PROVERBI 19:21 PROVERBI 28:24

it-2 713-4
REBECCA (Rebècca) [forse, vacca].
Figlia di Betuel figlio di Nahor, e dunque pronipote di Abraamo. Aveva un fratello di nome Labano. — Ge
22:20-23.
Nel 1878 a.E.V. Abraamo mandò il servitore che amministrava la sua casa, probabilmente Eliezer, a
cercare una moglie adatta per suo figlio Isacco (ormai quarantenne). Eliezer giunse alla “città di Nahor”
nell’alta Mesopotamia. Là, presso un pozzo, pregò Geova di indicargli la ragazza prescelta facendo in
modo che questa, alla sua richiesta, non solo desse da bere a lui ma si offrisse anche di abbeverare i
suoi dieci cammelli. (Ge 24:1-14) Mentre pregava, giunse al pozzo Rebecca con una giara per l’acqua.
Quando Eliezer le chiese un sorso d’acqua, gentilmente Rebecca gli diede da bere e quindi “vuotò
prontamente la sua giara nell’abbeveratoio e corse ripetute volte al pozzo ad attingere acqua, e ne
attingeva per tutti i suoi cammelli. Intanto l’uomo la fissava con meraviglia, tacendo per sapere se Geova
aveva fatto riuscire o no il suo viaggio”. Rebecca si dimostrò gentile, ospitale, modesta nei modi e
operosa; inoltre “la giovane era di aspetto molto attraente”. — Ge 24:14-21.
Il servitore di Abraamo, riconoscendo che la sua preghiera era stata esaudita, donò a Rebecca un
prezioso anello d’oro da naso e due bei braccialetti d’oro (del valore attuale di oltre 1.900.000 lire).
Rebecca li mostrò alla famiglia, a sua madre e al fratello Labano, il quale, a sua volta, offrì ospitalità nella
sua casa al visitatore e ai servitori che erano con lui. (Ge 24:22-32) Ma prima di mangiare, l’uomo rivelò
lo scopo della sua missione: Labano e suo padre Betuel diedero il consenso al matrimonio di Rebecca
con Isacco; a Rebecca e alla sua famiglia furono presentati doni consistenti in preziosi oggetti d’oro e
d’argento e abiti raffinati, dopo di che tutti mangiarono insieme. (Ge 24:33-54) Tutto questo costituì un
onorevole contratto matrimoniale, non fra Rebecca e Isacco, ma fra i loro genitori, secondo la
consuetudine dell’epoca. Rebecca fu così promessa sposa a Isacco e, da quel momento in poi, fu in
effetti sua moglie.
Con il consenso di Rebecca, la carovana partì l’indomani mattina per il lungo viaggio fino al Negheb, nei
pressi di Beer-Laai-Roi, dove in quel tempo risiedeva Isacco. Prima della partenza, la famiglia benedisse
Rebecca con queste parole: “Possa tu, sorella nostra, divenire migliaia di volte diecimila, e il tuo seme
prenda possesso della porta di quelli che lo odiano”. La accompagnarono la sua nutrice Debora e altre
ancelle, nessuna delle quali, pare, tornò mai nel proprio paese. — Ge 24:55-62; 35:8.
Giunti a destinazione, Rebecca si coprì il capo nel presentarsi al suo sposo, Isacco, e dopo che il
servitore di Abraamo ebbe riferito tutti gli sviluppi della sua missione, descrivendo come Geova aveva
guidato la scelta, Isacco portò Rebecca nella tenda di sua madre affinché divenisse sua moglie. Isacco
amava teneramente Rebecca, e in lei “trovò conforto dopo la perdita di sua madre” Sara, morta tre anni
prima. — Ge 24:63-67.
Come Sara, anche Rebecca per molto tempo rimase sterile. Dopo circa 19 anni, durante i quali Isacco
continuò a supplicare Geova, essa concepì e diede alla luce i gemelli Esaù e Giacobbe. La gravidanza fu
così penosa, dato che i due lottavano tra loro nel suo grembo, che Rebecca si chiese: “Perché mai vivo?”
In risposta Geova le assicurò che sarebbe diventata la madre di due grandi nazioni, e che ‘il figlio
maggiore avrebbe servito il minore’. (Ge 25:20-26) Questo, dice Paolo, per dimostrare che la scelta del
‘seme della promessa’ dipendeva interamente da Dio. — Ro 9:6-13.
Sempre come Sara, in un’occasione anche Rebecca nascose la propria identità, facendosi passare per
la sorella di suo marito. Questo accadde quando una carestia nel paese costrinse la sua famiglia a
stabilirsi per qualche tempo in territorio filisteo, dove regnava Abimelec. Rebecca doveva essere assai
avanti negli anni, eppure a motivo della grande bellezza della moglie, Isacco, erede designato del patto
abraamico, pensò che la sua vita sarebbe stata in pericolo se si fosse saputo che era il marito. — Ge
26:1-11.
Quando Isacco, divenuto vecchio, si accingeva a benedire Esaù suo primogenito, Rebecca intervenne
con prontezza affinché l’agognata benedizione andasse a Giacobbe. (Ge 25:28-34; 27:1-5) Non
sappiamo se Rebecca fosse a conoscenza del fatto che Giacobbe aveva acquistato il diritto legale alla
primogenitura, ma era ben consapevole di ciò che le aveva detto Geova, cioè che il figlio maggiore
avrebbe servito il minore. Agì quindi affinché Giacobbe si assicurasse la benedizione paterna. Il risultato
fu conforme al proposito di Geova. — Ge 27:6-29; vedi GIACOBBE.
In seguito, quando apprese che Esaù intendeva uccidere Giacobbe, Rebecca persuase Isacco a
mandare Giacobbe nel paese di lei per cercarsi moglie. Sia Rebecca che Isacco erano molto addolorati
che Esaù avesse preso due mogli fra gli odiati cananei. — Ge 26:34, 35; 27:41-46; 28:1-5; 29:10-12.
Non si sa quando Rebecca sia morta, ma forse morì prima del ritorno di Giacobbe dalla Mesopotamia.
(Ge 35:27) Fu sepolta nella tomba di famiglia, la caverna di Macpela, con Abraamo e Sara, dove più tardi
furono sepolti Isacco, Lea e Giacobbe. — Ge 49:29-31; 50:13.

w81 1/2 26-9


Rebecca, benedetta da Geova
GEOVA DIO guidò la scelta di Rebecca come moglie d’Isacco, figlio di Abraamo. Perché proprio
Rebecca? Evidentemente aveva delle eccellenti qualità dal punto di vista di Dio. Era adatta al Suo
proposito di costituirla madre di una nazione che avrebbe portato il nome di Geova.
È dopo la morte della diletta moglie Sara che Abraamo dispone di cercare una moglie per il figlio Isacco,
ormai quarantenne. Non volendo che il figlio sposi una donna che non adora Geova, Abraamo chiede
all’amministratore della famiglia, molto probabilmente il fedele servitore Eliezer, di fare il lungo viaggio
fino alla Mesopotamia superiore. Non dà al servitore istruzioni particolari. ‘Ci penserà l’angelo di Geova’,
afferma fiduciosamente Abraamo. È convinto che in qualche modo l’Altissimo sceglierà fra i suoi parenti
una moglie adatta per Isacco. — Gen. 24:1-9.
Il servitore di Abraamo prende dieci cammelli carichi di doni preziosi. Accompagnato da altri servi,
viaggia per giorni finché infine giunse nella città di Nahor, nella valle superiore della Mesopotamia.
Stanco e assetato, vi arriva verso sera, proprio quando le giovani della città si recano ad attingere acqua
dal pozzo. Quale opportunità di agire secondo gli ordini del suo signore! Ma come farà a sapere quale
ragazza scegliere? Egli si rivolge a Geova in preghiera chiedendo che la scelta venga indicata da un
segno: quando chiederà da bere, la ragazza giusta si offrirà di dar da bere anche ai suoi cammelli. —
Gen. 24:10-14.
GEOVA ESAUDISCE LA PREGHIERA
Prima che il servitore abbia finito di pregare, ecco uscire una ragazza molto attraente, con una brocca
sulla spalla. Egli non sa che è Rebecca, pronipote di Abraamo. Il servitore le rivolge la sua richiesta:
“Dammi, ti prego, un piccolo sorso d’acqua della tua brocca”. Sarà questa la giovane scelta da Geova?
Rebecca risponde con grazia: “Bevi, mio signore”. Abbassa subito la brocca e gli dà da bere. “Attingerò
acqua anche per i tuoi cammelli finché abbiano bevuto abbastanza”, dice. Subito vuota la brocca
nell’abbeveratoio e fa la spola da lì al pozzo finché ha dato da bere a tutt’e dieci i cammelli. Che lavoro!
Un cammello può bere oltre undici litri d’acqua al giorno. — Gen. 24:15-20.
Il servitore capisce che finora la sua preghiera è stata esaudita. La sua attenzione è stata attirata da una
giovane che ha le buone qualità di benignità, buona volontà e operosità. Dopo averle dato un costoso
anello d’oro da naso e due bei braccialetti d’oro, egli le chiede informazioni sulla sua famiglia e sulla
possibilità di trascorrere la notte a casa di suo padre. Prontamente la ragazza gli dice chi è e afferma: “Da
noi c’è sia paglia che molto foraggio, altresì un luogo per passarvi la notte”. Spinto dalla riconoscenza
verso Geova, il servitore si prostra e benedice l’Altissimo. — Gen. 24:21-27.
Rebecca non ha il minimo dubbio sulla necessità di dare ospitalità a quest’uomo. Corre a casa per fare i
preparativi per l’ospite inaspettato e narra l’accaduto alla famiglia. Ascoltatala, suo fratello Labano corre
al pozzo per dare il benvenuto allo straniero. Nella casa viene allestito un banchetto. Nessuno nella
famiglia di Rebecca ha fatto domande sull’identità e sulle intenzioni dello straniero. Sono tutti occupati a
estendere ospitalità a lui e ai suoi uomini e a dar da mangiare ai cammelli. — Gen. 24:28-32.
Il servitore di Abraamo, comunque, ha un solo obiettivo in mente, quello di assolvere fedelmente il suo
compito in armonia con la guida dell’angelo di Geova. Prima di accettare di consumare il pasto, il
servitore rivela la propria identità e le proprie intenzioni. Dice di aver chiesto un segno da Geova e che
Rebecca ha agito proprio secondo il segno. — Gen. 24:33-49.
GEOVA GUIDA LE COSE
Come reagirà la famiglia di Rebecca? Per il servitore è un momento di suspense! Pieni di meraviglia e di
rispetto, Labano e Betuel, il padre, capiscono che tutto ciò sta avvenendo per volontà di Geova, e
rispondono: “Rebecca è qui davanti a te. Prendila e va, e divenga una moglie del figlio del tuo padrone,
proprio come Geova ha parlato”. — Gen. 24:50, 51.
Nella casa c’è grande eccitazione. Il servitore tira fuori preziosi regali per Rebecca, sua madre e suo
fratello, dopo di che tutti consumano il pasto. Secondo l’usanza di quel tempo, tali attività a casa di
Rebecca costituiscono la stipulazione di un contratto matrimoniale. — Gen. 24:52-54a.
Ma poi la madre e il fratello di Rebecca chiedono che il viaggio sia rimandato di almeno dieci giorni. Il
servitore insiste per partire immediatamente. Infine lasciano decidere a Rebecca. La chiamano e le
chiedono: “Andrai tu con quest’uomo?” Per il servitore è senz’altro un momento di tensione. La ragazza
sarà disposta ad andarsene di casa così, su due piedi, da un marito che non ha mai visto? Cosa
risponderà Rebecca? Sarà disposta a conformarsi prontamente alla scelta di Geova? “Sono disposta ad
andare”, risponde Rebecca. Nessuna esitazione, nessun tentennamento, nessun dubbio, nessuna
condizione preliminare! Che ragazza eccezionale! (Gen. 24:8, 54b-58) Rebecca non solo è attraente,
benevola, pronta, operosa e ospitale; è anche risoluta, lungimirante e piena di fede. Vede nella cosa la
mano di Geova, e non esita ad agire in armonia con la Sua volontà. Sapendo che il prozio Abraamo ha
educato Isacco nel timore dell’Onnipotente, Rebecca non ha alcun motivo di preoccuparsi per il
trattamento che riceverà come moglie.
La giovane parte con le benedizioni della famiglia: “Possa tu, sorella nostra, divenire migliaia di volte
diecimila, e il tuo seme prenda possesso della porta di quelli che lo odiano”. La nutrice e le altre serve
l’accompagnano nel viaggio a dorso di cammello. — Gen. 24:59-61.
Giorni dopo, nel fresco della sera, Isacco intravede una carovana di cammelli che s’avvicina.
Contemporaneamente è notato da Rebecca. Con grazia la giovane si lascia scivolare giù dal cammello.
Quando le viene detto chi è quell’uomo, Rebecca si mette un velo, mostrando così sottomissione e
rispetto per lo sposo. La ragazza che, senza dubbi o domande, è stata disposta a seguire la direttiva di
Geova e ad affrontare un viaggio con un servitore verso un paese sconosciuto per incontrarvi uno sposo
altrettanto sconosciuto, è una donna che merita affetto. Il racconto biblico dice: ‘Isacco s’innamorò di lei e
trovò conforto dopo la perdita di sua madre’. — Gen. 24:62-67.
Rebecca mostra d’essere proprio la moglie di cui Isacco ha bisogno. Il suo spirito volenteroso, ardente,
attivo, intraprendente lo rende di nuovo felice. Rebecca riesce a riempire il vuoto lasciato nella vita di
Isacco dalla morte della madre. Molti anni dopo il matrimonio, Isacco continua ad amare la sua diletta
Rebecca. Ha paura di perderla. Quando una carestia lo costringe ad andare ad abitare fra i filistei, Isacco
pensa alla bellezza di Rebecca: teme per la propria vita, pensando che qualcuno potrebbe ucciderlo per
prenderla in moglie. Per non correre rischi, Isacco la fa passare per sua sorella. — Gen. 26:1-11.
REBECCA COME MADRE
Come Sara, Rebecca rimane a lungo sterile. Isacco continua a supplicare Geova per lei. Infine, dopo
vent’anni di matrimonio, dà alla luce i gemelli Esaù e Giacobbe. Prima del parto Rebecca sa che avrà due
gemelli. La gravidanza è estremamente difficile. “Se è così, perché mai vivo?” esclama quando sente i
bambini che lottano dentro di lei. Rebecca riceve da Dio la promessa che dalle sue parti interiori saranno
separati due gruppi nazionali, che uno sarà più forte dell’altro e che il più vecchio servirà il più giovane.
Ella non dimentica questa promessa. — Gen. 25:21-23.
Dopo la nascita dei due bambini, Rebecca accentra le sue speranze e i suoi affetti su Giacobbe, e col
tempo Esaù arriva a disprezzare il proprio diritto di primogenitura. (Gen. 25:28-34) Passano gli anni e
viene il giorno in cui Rebecca prende l’iniziativa per agire in armonia con la profetica promessa di Geova.
Sente il marito Isacco, ormai vecchio e cieco, che chiama il primogenito Esaù. Prima di morire, Isacco ha
in mente di scegliere e benedire il suo successore. Ma prima di dare la benedizione, Isacco manda Esaù
a caccia di selvaggina, e gli dice di preparargli un piatto gustoso. — Gen. 27:1-4.
Sapendo che Esaù non è colui che Geova ha scelto, Rebecca fa in modo che sia Giacobbe a ricevere la
benedizione desiderata. Mentre Esaù è a caccia, Rebecca dà istruzioni a Giacobbe su ciò che deve fare
per ottenere la benedizione che gli spetta di diritto. Giacobbe non è molto d’accordo, temendo che il
padre cieco lo riconosca al tatto e gli dia una maledizione. Ma Rebecca è più decisa che mai. “La
maledizione riservata a te ricada su di me, figlio mio”, dice con fiducia. “Solo ascolta la mia voce”. E
Giacobbe l’ascolta. — Gen. 27:5-14.
Rebecca fa quindi indossare a Giacobbe gli abiti di Esaù, che odorano di bosco, di campo e di terra.
Prende anche soffici e pelose pelli di capretto e le mette sulle lisce mani di Giacobbe e sul suo collo, di
modo che, tastandolo, Isacco lo scambi per Esaù. Giacobbe si presenta davanti a Isacco con un piatto
gustoso preparato dalla madre. Il piano di Rebecca riesce. Giacobbe riceve la benedizione paterna e
viene costituito erede legittimo di Isacco e Abraamo. — Gen. 27:15-29.
In seguito, sentendo che Esaù intende uccidere Giacobbe, Rebecca agisce di nuovo con risolutezza a
favore di Giacobbe. Incoraggiato da lei, Isacco manda lontano Giacobbe, inviandolo a cercare una moglie
nel paese della madre. Rebecca si rende conto dell’importanza che Giacobbe trovi una buona moglie. Sia
lei che Isacco hanno provato grande dolore per il fatto che Esaù ha preso due mogli di fra i malvagi
cananei. — Gen. 26:34, 35; 27:41-46; 28:1-5.
Rebecca dovette sentire molto la mancanza di Giacobbe dopo la sua partenza. Forse sperava che
tornasse presto. Ma Giacobbe restò via vent’anni. Nella Bibbia non è scritto che Rebecca abbia più rivisto
l’amato figlio. Se le cose andarono così, pensate alla gioia che avranno Rebecca e Giacobbe
nell’incontrarsi di nuovo alla risurrezione dei morti. Come sarà emozionante per Rebecca sapere del
grande privilegio di essere stata un anello nella linea di discendenza del promesso Messia o Cristo!
La bella, desta e risoluta Rebecca, che ottenne il favore di Geova, è veramente un buon esempio per le
ragazze, le mogli e le madri di oggi. La sua fede fu davvero lodevole.

w89 1/7 23-8


Un matrimonio da cui traggono beneficio milioni di persone ora in vita
“Geova il nostro Dio, l’Onnipotente, ha cominciato a regnare. . . . Diamo a lui la gloria, perché è arrivato il
matrimonio dell’Agnello e la sua moglie si è preparata”. — RIVELAZIONE 19:6, 7.
QUESTE entusiasmanti parole fanno parte di un profetico cantico di vittoria. Quando si comincerà a
cantarlo? Dopo la distruzione della nemica di vecchia data dell’adorazione di Geova, “Babilonia la
Grande”, la simbolica “grande meretrice” che rappresenta tutte le forme di falsa religione. Su di lei
dev’essere eseguito il giudizio a motivo del modo in cui ha mal rappresentato Dio. Come ha sviato
l’umanità con la sua ingerenza nella politica, la sua avidità materialistica e il suo odio omicida per i veri
adoratori di Geova! — Rivelazione 17:1-6; 18:23, 24; 19:1, 2; Giacomo 4:4.
2 Ben presto Geova Dio indurrà i capi politici del mondo a distruggerla. (Rivelazione 17:12, 16, 17) Ma
coloro che distruggeranno la falsa religione non si uniranno nel cantare il grande cantico di vittoria.
Piuttosto, sotto l’influenza di Satana, vale a dire Gog, attaccheranno coloro che praticano la vera
religione, che vivono in pace e si mantengono separati dalla malvagità di questo mondo. — Isaia 2:2-4;
Ezechiele 38:2, 8-12; Giovanni 17:14; Giacomo 1:27.
3 Questo attacco blasfemo da parte dei governanti politici scatenerà la battaglia di Armaghedon, che
eliminerà per sempre le nazioni antireligiose. Dopo ciò, la terra sarà liberata dalla malvagia influenza di
Satana e dei suoi demoni. (Rivelazione 16:14, 16; 19:11-21; 20:1, 2) Col cuore colmo di gratitudine, tutti
gli esseri umani che sopravvivranno si uniranno al coro celeste nell’esclamare: “Lodate Iah, perché
Geova il nostro Dio, l’Onnipotente, ha cominciato a regnare”. (Rivelazione 19:6) In effetti, tali avvenimenti
che scuoteranno il mondo segneranno l’inizio di una nuova epoca. Geova avrà rivendicato la sua
sovranità e tolto dalla faccia della terra tutti quelli che sfidano il suo dominio. Sarà finalmente arrivata l’ora
del matrimonio celeste. Come dice la continuazione del cantico profetico: “Rallegriamoci ed esultiamo, e
diamo a [Geova] la gloria, perché è arrivato il matrimonio dell’Agnello e la sua moglie si è preparata”. —
Rivelazione 19:7, 8.
4 L’Agnello non è altri che il glorificato Gesù Cristo, e la sua “moglie” sono tutti i suoi 144.000 unti seguaci
fedeli ora uniti a lui in cielo. Insieme, questi coniugi celesti compongono il numero completo dei membri
del Regno di Dio, che eleverà l’umanità, compresi i morti risuscitati, alla perfezione umana. (Rivelazione
5:8-10; 14:1-4; 20:4, 12, 13; 21:3-5, 9, 10; 22:1-3) Avranno successo gli avvenimenti che conducono a
tale matrimonio benedetto? Come potete trarre beneficio da questo matrimonio? Per trovare risposta a
tali domande, esaminiamo gli avvenimenti legati al matrimonio di Isacco, riportati nel capitolo 24 di
Genesi.
Dio sceglie una sposa per Isacco
5 Il racconto inizia con Abraamo che dà istruzioni al servitore che amministrava la sua casa,
evidentemente Eliezer. (Genesi 15:2; 24:2) “Devo farti giurare per Geova”, disse Abraamo, “che non
prenderai una moglie per mio figlio dalle figlie dei cananei fra i quali dimoro, ma andrai al mio paese e dai
miei parenti, e certamente prenderai una moglie per mio figlio, per Isacco”. — Genesi 24:3, 4.
6 Perché Abraamo insistette tanto che suo figlio non sposasse una cananea? Perché i cananei
discendevano da Canaan, che fu maledetto da Noè. (Genesi 9:25) Inoltre, i cananei erano noti per le loro
pratiche depravate, e soprattutto non adoravano Geova. (Genesi 13:13; Levitico 18:3, 17-28)
Comprensibilmente, Abraamo voleva che suo figlio sposasse una donna che apparteneva alla sua stessa
famiglia, una discendente di Sem, il quale aveva ricevuto l’ispirata benedizione di Noè. (Genesi 9:26) Che
ottimo esempio per i cristiani che oggi decidono di sposarsi! — Deuteronomio 7:3, 4.
7 Così Eliezer intraprese un viaggio di oltre 800 chilometri fino in Mesopotamia. Andò ben equipaggiato,
con dieci cammelli carichi di doni. (Genesi 24:10) In aggiunta, poteva meditare su queste incoraggianti
parole del suo padrone: “Geova, l’Iddio dei cieli, . . . manderà il suo angelo davanti a te, e certamente di
là prenderai una moglie per mio figlio”. — Genesi 24:7.
8 Alla fine giunse alla città di Nahor, nella Mesopotamia settentrionale. Eliezer lasciò che gli stanchi
cammelli si inginocchiassero per riposare a un pozzo fuori della città. Era l’ora in cui le donne andavano
ad attingere l’acqua: davvero un’ottima occasione perché Eliezer cercasse una possibile moglie! Ma che
tipo di donna doveva essere? La più attraente? No. Ad Eliezer interessava soprattutto una donna dalla
personalità devota. Lo si capisce dall’umile preghiera di fede che a questo punto egli pronunciò: “Geova,
Dio del mio padrone Abraamo, fallo avvenire, ti prego, davanti a me quest’oggi e usa amorevole benignità
al mio padrone Abraamo. Ecco, sto fermo presso una fonte d’acqua e le figlie degli uomini della città
escono ad attingere acqua. Ciò che deve avvenire è che la giovane alla quale dirò: ‘Abbassa la tua giara
d’acqua, ti prego, perché io beva’, e che veramente dirà: ‘Bevi, e darò da bere anche ai tuoi cammelli’,
questa è quella che devi assegnare al tuo servitore, a Isacco; e da questo fammi sapere che hai usato
amore leale col mio padrone”. — Genesi 24:11-14.
9 Era senz’altro una buona prova. Secondo un’enciclopedia (The New Encyclopædia Britannica), un
cammello molto assetato può bere 95 litri d’acqua in dieci minuti. Può darsi che i cammelli di Abraamo
non avessero tanta sete, ma le donne di quel tempo conoscevano senz’altro quanta acqua potevano bere
tali animali. Di certo una donna doveva essere molto gentile, altruista e laboriosa per offrirsi di attingere
acqua per dieci cammelli stanchi di proprietà di un estraneo.
10 La preghiera di Eliezer fu esaudita ancor prima che egli l’avesse completata, in quanto il racconto dice:
“Ecco, usciva Rebecca . . . Ora la giovane era di aspetto molto attraente, vergine, e nessun uomo aveva
avuto rapporti sessuali con lei; e scese alla fonte e riempiva la sua giara per l’acqua e quindi salì. Subito il
servitore le corse incontro e disse: ‘Dammi, ti prego, un piccolo sorso d’acqua della tua giara’. A sua volta
essa disse: ‘Bevi, mio signore’. Allora abbassò prontamente la sua giara sulla mano e gli diede da bere.
Quando ebbe finito di dargli da bere, disse: ‘Attingerò acqua anche per i tuoi cammelli finché abbiano
bevuto abbastanza’. Così vuotò prontamente la sua giara nell’abbeveratoio e corse ripetute volte al pozzo
ad attingere acqua, e ne attingeva per tutti i suoi cammelli”. — Genesi 24:15-20.
11 Eliezer “la fissava con meraviglia”, osservando questa miracolosa risposta alla sua preghiera. Quando
la lodevole vergine ebbe finito, la ricompensò con un anello da naso e due braccialetti d’oro e le chiese di
chi era figlia. Scoprendo che era pronipote di Abraamo, Eliezer si inchinò a Geova in riverente
adorazione, dicendo: “Benedetto sia Geova, l’Iddio del mio padrone Abraamo, che non ha lasciato la sua
amorevole benignità e la sua fidatezza verso il mio padrone. Essendo io per via, Geova mi ha guidato alla
casa dei fratelli del mio padrone”. — Genesi 24:21-27.
12 Eccitata, Rebecca corse a casa a raccontare l’accaduto alla sua famiglia. In seguito, quando il padre e
il fratello di Rebecca udirono dalla bocca stessa di Eliezer lo scopo del suo viaggio e come Geova aveva
risposto alla sua preghiera, acconsentirono senza esitazione a che Rebecca andasse in moglie a Isacco.
“E avvenne che quando il servitore di Abraamo ebbe udito le loro parole, si prostrò subito a terra davanti
a Geova. E il servitore tirava fuori oggetti d’argento e oggetti d’oro e vesti e li dava a Rebecca; e diede
cose scelte al fratello e alla madre di lei”. — Genesi 24:52, 53.
La risposta della sposa e delle sue serve
13 Come considerava Rebecca il privilegio di essere stata scelta da Dio come sposa di Isacco? Il giorno
seguente accadde qualcosa che rivelò i suoi veri sentimenti. Avendo raggiunto lo scopo del suo viaggio,
Eliezer desiderava tornare dal suo padrone senza indugio. Ma la famiglia di Rebecca voleva che la sposa
restasse con loro almeno dieci giorni. Perciò si lasciò decidere a Rebecca se era pronta a partire
immediatamente. “Sono disposta ad andare”, disse. Accettando di lasciare immediatamente la famiglia
per andare in un paese lontano a sposare un uomo che non aveva mai visto Rebecca dimostrò di avere
grande fede nella guida di Geova. Questo confermava che lei era la persona giusta. — Genesi 24:54-58.
14 Rebecca non fece il viaggio da sola. Il racconto ci spiega: “Rebecca e le sue serve si levarono e
montavano sui cammelli”. (Genesi 24:61) Così la carovana di cammelli intraprese un viaggio pericoloso di
oltre 800 chilometri in territorio straniero. “La velocità media dei cammelli carichi”, afferma un libro (The
Living World of Animals), “è di circa [4 km/h]”. Se i cammelli di Abraamo viaggiarono a tale velocità per
otto ore al giorno, avranno impiegato più di 25 giorni per raggiungere la loro destinazione nel Negheb.
15 Sia Eliezer che Rebecca e le sue serve confidavano pienamente nella guida di Geova: un ottimo
esempio per i cristiani odierni! (Proverbi 3:5, 6) Inoltre, questo racconto è un dramma profetico che
rafforza la fede. Come abbiamo visto, Abraamo rappresenta Geova Dio, che offrì il suo diletto Figlio, il più
grande Isacco, affinché gli uomini peccatori potessero ottenere la vita eterna. (Giovanni 3:16) I preparativi
per il matrimonio di Isacco furono fatti qualche tempo dopo che egli era stato risparmiato dalla morte
sull’altare per il sacrificio. Questi preparativi raffiguravano profeticamente quelli per il matrimonio celeste,
che ebbero inizio in piena misura dopo la risurrezione di Gesù.
Il matrimonio del più grande Isacco
16 Il nome Eliezer significa “Il mio Dio è un soccorritore”. Sia col nome che con le azioni, Eliezer
rappresenta in maniera appropriata lo spirito santo del più grande Abraamo, Geova Dio, che egli mandò a
questo paese distante, la terra, per scegliere una sposa adatta per il più grande Isacco, Gesù Cristo.
(Giovanni 14:26; 15:26) La classe della sposa è “la congregazione”, composta di discepoli di Gesù
generati dallo spirito santo come figli spirituali di Dio. (Efesini 5:25-27; Romani 8:15-17) Proprio come
Rebecca ricevette costosi doni, così i primi membri della congregazione cristiana, alla Pentecoste del 33
E.V., ricevettero doni miracolosi come prova della loro chiamata divina. (Atti 2:1-4) Come Rebecca, sono
stati disposti ad abbandonare tutto ciò che li legava al mondo e alla carne per essere infine uniti al loro
Sposo celeste. I singoli membri della classe della sposa devono custodire la loro verginità spirituale da
quando vengono chiamati fino alla morte, mentre viaggiano attraverso il pericoloso e seducente mondo di
Satana. (Giovanni 15:18, 19; 2 Corinti 11:3; Giacomo 4:4) Piena di spirito santo, la classe della sposa
invita fedelmente altri a valersi dei provvedimenti di Geova per la salvezza. (Rivelazione 22:17) Seguite il
suo esempio accettando anche voi la guida dello spirito?
17 La classe della sposa dà grande valore a ciò che è raffigurato dai dieci cammelli. Nella Bibbia il
numero dieci è usato per indicare perfezione o completezza riguardo a cose terrene. I dieci cammelli si
possono paragonare alla completa e perfetta Parola di Dio, attraverso la quale la classe della sposa
riceve sostentamento spirituale e doni spirituali. (Giovanni 17:17; Efesini 1:13, 14; 1 Giovanni 2:5)
Commentando l’abbeveraggio dei cammelli da parte di Rebecca, La Torre di Guardia del 15 giugno 1949
fece questa applicazione a quelli della classe della sposa: “Riguardano con amore la Parola di Dio che
reca loro molto del suo spirito. Prendono interesse alla sua Parola scritta, servendola e rianimandola con
la loro assistenza, e manifestano un sincero interessamento per il suo messaggio e il suo proposito,
cercando di credervi”. Che le cose stiano così lo si può notare ad esempio dal fatto che il rimanente della
classe della sposa ha amorevolmente reso disponibile a milioni di persone la moderna e aggiornata
Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture. Sia che questa ottima traduzione sia disponibile nella
vostra lingua o no, mostrate apprezzamento esaminando regolarmente la Bibbia insieme agli strumenti di
studio provveduti dalla classe della sposa? — 2 Timoteo 3:16.
Il matrimonio dell’Agnello si avvicina
18 In questi ultimi giorni del mondo di Satana, al rimanente della classe della sposa si è aggiunta “una
grande folla”, paragonabile alle “serve” di Rebecca. Come nel caso di Rebecca, questa è molto più
numerosa della classe della sposa, il cui numero completo è di 144.000 membri. È la “grande folla” delle
“altre pecore” di Gesù Cristo. (Rivelazione 7:4, 9; Giovanni 10:16) Come leali serve della sposa, anche i
membri di questa folla devono evitare di essere contaminati dal malvagio mondo di Satana. Anch’essi
devono accettare le direttive dello spirito di Geova e della sua Parola come viene loro spiegata dalla
classe della sposa. Ma la loro ricompensa è diversa. Se persevereranno nel sostenere lealmente la
sposa di Cristo, sopravvivranno alla fine del mondo di Satana e avranno la meravigliosa opportunità di
vivere per sempre su una terra paradisiaca. — Rivelazione 21:3, 4.
19 Riuscirono Rebecca e le sue “serve” a raggiungere la loro meta? Sì. La Bibbia riferisce: “E Isacco era
fuori a passeggiare, per meditare nel campo sul far della sera. Quando alzò gli occhi e guardò, ebbene,
ecco, venivano dei cammelli! Quando Rebecca alzò gli occhi, scorse Isacco e si lasciò scivolare dal
cammello”. Dopo che Eliezer ebbe spiegato come era riuscito a portare a termine il suo incarico, Isacco
accettò in moglie Rebecca e “si innamorò di lei”. — Genesi 24:63-67.
20 Similmente, il proposito di Geova riguardo alla sposa di Cristo non può fallire. (Isaia 55:11) Fra poco,
dopo che Babilonia la Grande sarà giudicata e distrutta, gli ultimi componenti del rimanente della sposa
completeranno il loro viaggio. Sarà giunto per loro il momento di essere separati dalle loro serve
compagne per essere uniti in matrimonio, in cielo, con il più grande Isacco. Che grandiosa occasione di
gioia universale sarà quella! — Rivelazione 19:6-8.
21 Nel frattempo, milioni di persone si stanno benedicendo accettando il ministero del sempre più esiguo
rimanente della sposa. Prima che tutti questi finiscano la loro vita terrena con la morte, la devastazione
dell’impero mondiale della falsa religione simile a una prostituta segnerà l’inizio della “grande tribolazione
come non è accaduta dal principio del mondo fino ad ora”. Rimane poco tempo. Se volete sopravvivere, è
essenziale ubbidire ai comandi divini! (Matteo 24:14, 21; Marco 13:10; Luca 21:15; Giovanni 13:34) Tali
comandi valgono in special modo nei nostri tempi difficili. Perciò, che facciate parte del rimanente della
sposa o della sua “grande folla” di serve, continuate ad ubbidire a Geova, a sua gloria e a vostra felicità
eterna. Che prospettiva grandiosa sarà per i membri della grande folla, già considerati amici di Dio,
continuare a vivere mentre Geova ‘farà ogni cosa nuova’ e benefìci eterni saranno estesi a milioni di
persone in una terra paradisiaca! — Rivelazione 21:5; 22:1, 2, 17.

Roboamo --- Tema: Non siate arroganti e respingete i cattivi consigli PROVERBI 29:19

it-2 793
ROBOAMO (Roboàmo) [allarga (rendi spazioso) il popolo].
Figlio che Salomone ebbe dalla moglie ammonita Naama. Nel 997 a.E.V., all’età di 41 anni, succedette al
padre sul trono e regnò per 17 anni. (1Re 14:21; 1Cr 3:10; 2Cr 9:31) Roboamo si distinse essendo
l’ultimo re della monarchia unita e il primo sovrano del regno meridionale delle due tribù di Giuda e
Beniamino; infatti, poco dopo la sua incoronazione a Sichem come re di tutto Israele, il regno unito di
Davide e Salomone si divise. Dieci tribù negarono il loro appoggio a Roboamo e fecero loro re
Geroboamo, proprio come Geova aveva predetto per mezzo del profeta Ahia. — 1Re 11:29-31; 12:1; 2Cr
10:1.
La secessione avvenne dopo che una delegazione del popolo, di cui Geroboamo era il portavoce,
supplicò Roboamo di revocare alcune misure oppressive imposte da Salomone. Roboamo chiese
consiglio in merito. Prima consultò gli anziani, che gli suggerirono di prestare ascolto al grido del popolo e
di ridurre i loro pesi, dimostrando così di essere un re saggio, che il popolo avrebbe amato. Ma Roboamo
respinse questo maturo consiglio e si rivolse ai giovani con i quali era cresciuto. Essi dissero al re che
avrebbe dovuto rendere il suo dito mignolo più grosso dei fianchi di suo padre, aumentando il peso del
loro giogo e castigandoli con flagelli anziché con fruste. — 1Re 12:2-15; 2Cr 10:3-15; 13:6, 7.
L’atteggiamento arrogante e tirannico assunto da Roboamo gli alienò completamente la maggioranza
della popolazione. Le uniche tribù che continuarono a sostenere la casa di Davide furono quelle di Giuda
e di Beniamino, nonché i sacerdoti e i leviti di entrambi i regni, oltre a singoli cittadini delle dieci tribù. —
1Re 12:16, 17; 2Cr 10:16, 17; 11:13, 14, 16.
In seguito, quando il re Roboamo e Adoram (Hadoram), soprintendente dei coscritti per i lavori forzati,
penetrarono nel territorio dei secessionisti, Adoram venne lapidato, e il re riuscì a malapena a mettersi in
salvo. (1Re 12:18; 2Cr 10:18) Allora Roboamo radunò un esercito di 180.000 uomini di Giuda e
Beniamino, deciso ad assoggettare con la forza le dieci tribù. Ma Geova Dio, per mezzo del profeta
Semaia, vietò loro di combattere contro i loro fratelli, dato che Egli stesso aveva decretato la divisione del
regno. Anche se così si evitò uno scontro aperto, le ostilità fra le due fazioni continuarono per tutti i giorni
di Roboamo. — 1Re 12:19-24; 15:6; 2Cr 10:19; 11:1-4.
Per qualche tempo Roboamo si attenne abbastanza fedelmente alle leggi di Geova, e all’inizio del suo
regno costruì e fortificò diverse città, in alcune delle quali immagazzinò riserve di viveri. (2Cr 11:5-12, 17)
Ma una volta che il suo regno fu saldamente stabilito, abbandonò l’adorazione di Geova e indusse Giuda
a praticare l’abominevole adorazione del sesso, forse a motivo dell’influenza ammonita della famiglia
materna. (1Re 14:22-24; 2Cr 12:1) Ciò provocò l’ira di Geova, che fece intervenire il re d’Egitto, Sisac, il
quale nel quinto anno del regno di Roboamo invase insieme ai suoi alleati il paese e conquistò diverse
città di Giuda. Se Roboamo e i suoi principi non si fossero umiliati in segno di pentimento, neanche
Gerusalemme si sarebbe salvata. Comunque i tesori del tempio e della casa del re, inclusi gli scudi d’oro
fatti da Salomone, furono presi da Sisac come bottino. Roboamo allora sostituì quegli scudi con altri di
rame. — 1Re 14:25-28; 2Cr 12:2-12.
Durante la sua vita Roboamo ebbe 18 mogli, fra cui Maalat nipote di Davide, e Maaca nipote di
Absalom, figlio di Davide. Maaca era la moglie favorita e la madre di Abia (Abiam), uno dei 28 figli di
Roboamo e il legittimo erede al trono. Della famiglia di Roboamo facevano parte anche 60 concubine e
60 figlie. — 2Cr 11:18-22.
Prima di morire all’età di 58 anni, e prima che Abia salisse al trono nel 980 a.E.V., Roboamo distribuì
molti doni fra gli altri suoi figli, forse per impedire che insorgessero contro Abia dopo la sua morte. (1Re
14:31; 2Cr 11:23; 12:16) Nel suo insieme, la vita di Roboamo si può meglio riassumere con questa
osservazione: “Egli fece ciò che era male, poiché non aveva stabilito fermamente il suo cuore per
ricercare Geova”. — 2Cr 12:14.

fy 81-2 7 C'è un ribelle in casa?


12 Roboamo costituisce l’estremo opposto nell’esercizio dell’autorità. Egli fu l’ultimo re del regno unito di
Israele, ma non fu un buon re. Roboamo aveva ereditato un paese i cui abitanti erano malcontenti a
motivo dei pesi imposti loro da suo padre, Salomone. Roboamo si mostrò comprensivo? No. Quando una
delegazione gli chiese di abolire alcune misure oppressive, egli non prestò ascolto al consiglio maturo dei
consiglieri più anziani e comandò che il giogo del popolo fosse reso più pesante. La sua arroganza
provocò la ribellione delle dieci tribù settentrionali, e il regno si spaccò in due. — 1 Re 12:1-21; 2
Cronache 10:19.
13 I genitori possono imparare importanti lezioni da ciò che la Bibbia dice di Roboamo. Devono ‘ricercare
Geova’ in preghiera ed esaminare alla luce dei princìpi biblici quali metodi seguono nell’allevare i figli.
(Salmo 105:4) “La semplice oppressione può far agire follemente il saggio”, dice Ecclesiaste 7:7. Norme
ben ponderate danno agli adolescenti spazio per crescere pur proteggendoli dai pericoli. Ma i figli non
dovrebbero vivere in un’atmosfera così rigida e oppressiva da impedire loro di sviluppare fiducia in se
stessi e sicurezza di sé in ragionevole misura. Quando i genitori si sforzano di trovare la via di mezzo fra
ampia libertà e limiti rigorosi e netti, in genere gli adolescenti sono meno inclini a ribellarsi.

Ruben (n.1) --- tema: Le azioni errate possono avere conseguenze permanenti GALATI 6:7, 8

it-2 803-4
RUBEN (Rùben) [Vedi, un figlio!].
1. Il primogenito dei dodici figli di Giacobbe. Sua madre Lea, la moglie meno amata da Giacobbe, gli
diede nome Ruben “perché”, come ebbe a dire lei stessa, “Geova ha guardato la mia sventura, in quanto
ora mio marito comincerà ad amarmi”. (Ge 29:30-32; 35:23; 46:8; Eso 1:1, 2; 1Cr 2:1) Grazie al continuo
favore di Geova su sua madre, Ruben e i suoi cinque fratelli (Simeone, Levi, Giuda, Issacar e Zabulon)
costituirono la metà degli originali capi delle tribù di Israele; gli altri sei (Giuseppe, Beniamino, Dan,
Neftali, Gad e Aser) erano suoi fratellastri. — Ge 35:23-26.
Ruben manifestò alcune delle sue buone qualità quando persuase i suoi nove fratelli a non uccidere
Giuseppe ma a gettarlo in una cisterna asciutta, con l’intenzione di tornare segretamente a liberarlo. (Ge
37:18-30) Più di 20 anni dopo, quando gli stessi fratelli pensarono che l’accusa di spionaggio mossa loro
in Egitto fosse la conseguenza del maltrattamento che avevano inflitto a Giuseppe, Ruben ricordò agli
altri che non aveva attentato con loro alla sua vita. (Ge 42:9-14, 21, 22) E anche quando Giacobbe rifiutò
di lasciare che Beniamino accompagnasse i fratelli la seconda volta che si recarono in Egitto, Ruben offrì
come garanzia i propri due figli, dicendo: ‘Puoi metterli a morte se non ti riconduco Beniamino’. — Ge
42:37.
Essendo il figlio primogenito di Giacobbe, Ruben naturalmente aveva i diritti riservati al primogenito.
Come tale gli spettavano due parti della proprietà lasciata dal padre. L’incognita, quando Giacobbe poco
prima di morire benedisse i suoi figli, era: Ruben sarebbe entrato in possesso dei diritti del primogenito? Il
patriarca Giacobbe, essendo il capo della famiglia, fungeva da sacerdote di Geova per tutta la famiglia,
per la quale aveva offerto sacrifici sull’altare, aveva pregato e impartito istruzione religiosa. Come padre
era anche il signore della famiglia e di tutti i servi e il bestiame e la proprietà. Queste responsabilità
sarebbero passate a Ruben?
Giacobbe si occupò di lui per primo, dicendo: “Ruben, tu sei il mio primogenito, il mio vigore e il principio
del mio potere generativo, l’eccellenza della dignità e l’eccellenza della forza. Con avventata sfrenatezza
simile ad acque, non eccellere, perché sei salito sul letto di tuo padre. In quel tempo profanasti il mio
giaciglio. Egli vi salì!” — Ge 49:3, 4.
Giacobbe ricordò un’azione che squalificava Ruben e influiva sui suoi privilegi futuri. Ruben aveva
disonorato suo padre. Si era reso colpevole di incesto con la concubina di suo padre, Bila, serva di
Rachele, la moglie prediletta di Giacobbe. Questo era accaduto poco dopo che Rachele era morta nel
dare alla luce Beniamino. La Bibbia non spiega se il primogenito Ruben violò la serva Bila per impedire
che prendesse il posto di Rachele nell’affetto di Giacobbe e divenisse così più favorita di sua madre, Lea,
oppure se agì per brama incontrollata. Dice semplicemente: “E avvenne mentre Israele risiedeva in quel
paese che una volta Ruben andò e giacque con Bila concubina di suo padre, e Israele lo venne a
sapere”. (Ge 35:22) La Settanta greca aggiunge: “E sembrò male ai suoi occhi”. — Ge 35:21, LXX, ed.
Thomson.
Ruben non venne ripudiato e scacciato per questo. Solo anni dopo, nel benedire i figli, Giacobbe sotto
ispirazione divina disse a Ruben: “Non eccellere”. Così Ruben fu privato dei privilegi che altrimenti
avrebbe avuto come figlio primogenito. Questo perché aveva agito “con avventata sfrenatezza simile ad
acque”. Si era dimostrato instabile come acque oppure turbolento e precipitoso come acque che
travolgono una diga o scendono impetuose nella valle di un torrente. Ruben avrebbe dovuto esercitare
padronanza di sé. Avrebbe dovuto mostrare rispetto filiale per la dignità di suo padre e per l’onore dei due
figli di Bila, concubina di suo padre.

W 62 pag: 717-722

Rut --- Tema: Il vero amore è leale RUT 1:8

it-2 809-10
RUT
Donna moabita che aveva sposato Malon, dopo la morte del padre di lui, Elimelec. Questo era avvenuto
mentre Malon, sua madre Naomi e suo fratello Chilion vivevano in Moab, a causa di una carestia che li
aveva indotti a lasciare la nativa Betleem di Giuda. Il cognato di Rut, Chilion, aveva sposato la moabita
Orpa. In seguito i due fratelli morirono, lasciando le vedove senza figli. Saputo che il favore di Geova era
di nuovo evidente in Israele, Naomi, accompagnata dalle due nuore, si accinse a tornare in Giuda. — Ru
1:1-7; 4:9, 10.
Manifesta amore leale. Mentre Orpa, cedendo all’insistenza di Naomi, alla fine tornò dal suo popolo, Rut
rimase con la suocera. Il profondo amore per Naomi e il sincero desiderio di servire Geova insieme al
Suo popolo permisero a Rut di lasciare i genitori e il paese nativo, pur avendo scarse probabilità di
trovare la sicurezza che il matrimonio poteva darle. (Ru 1:8-17; 2:11) Il suo amore per la suocera era tale
che in seguito altri poterono dire che per Naomi lei era meglio di sette figli. — Ru 4:15.
Giunta a Betleem all’inizio della mietitura dell’orzo, Rut uscì nei campi per procurare da mangiare per
Naomi e per sé. Per caso capitò nel campo di Boaz, un parente di Elimelec, e chiese al sorvegliante dei
mietitori il permesso di spigolare. La sua diligenza nello spigolare doveva essere veramente notevole,
dato che il sorvegliante ne parlò a Boaz. — Ru 1:22–2:7.
Quando Boaz le mostrò benignità, Rut rispose con gratitudine, riconoscendo di essere meno di una
delle sue serve. All’ora del pasto egli le provvide grano arrostito in tale quantità che ne rimase anche per
Naomi. (Ru 2:8-14, 18) Anche se Boaz aveva disposto le cose in modo da renderle più facile spigolare,
Rut non smise in anticipo ma continuò a spigolare fino a sera, “dopo di che batté ciò che aveva spigolato
e fu circa un’efa [22 l] d’orzo”. Su richiesta di Boaz, Rut continuò a spigolare nel suo campo durante il
resto della mietitura dell’orzo e quella del grano. — Ru 2:15-23.
Chiede a Boaz di agire da ricompratore. Desiderando trovare un “luogo di riposo” o una casa per la
nuora, Naomi suggerì a Rut di chiedere a Boaz di ricomprarla. Perciò Rut si recò nell’aia di Boaz. Dopo
che questi si era coricato, Rut si avvicinò di nascosto, gli scoprì i piedi e si coricò anche lei. A mezzanotte
Boaz si svegliò tremando e si chinò in avanti. Non riconoscendola nell’oscurità, chiese: “Chi sei?” “Sono
Rut la tua schiava”, fu la sua risposta, “e devi stendere il tuo lembo sulla tua schiava, poiché tu sei un
ricompratore”. — Ru 3:1-9.
L’azione di Rut, secondo le istruzioni di Naomi, doveva essere conforme alla consuetudine seguita dalle
donne che intendevano affermare il proprio diritto al matrimonio del cognato. A questo proposito un
commentatore biblico, Paulus Cassel, osservò: “Senza dubbio questo metodo simbolico di affermare il
più delicato di tutti i diritti presuppone modi di una semplicità e virtù patriarcale. La fiducia della donna si
basa sull’onore dell’uomo. Il metodo, tuttavia, non era di facile attuazione. Infatti qualsiasi anticipazione o
segno premonitore al riguardo avrebbe strappato il velo del silenzio e del riserbo nuocendo alla modestia
della richiedente. Ma una volta preso il via, la richiesta privilegiata non poteva essere negata senza
disonorare la donna o l’uomo. Quindi possiamo esser certi che Naomi non mandò la nuora con questa
ambasciata senza la massima fiducia che avrebbe avuto successo. Infatti è sicuro che nel caso in
questione a tutte le altre difficoltà si aggiungeva anche questa: cioè che Boaz, come Rut stessa dice, era
sì un goel [un ricompratore], ma non il goel. Anche la risposta di Boaz lascerebbe intendere che tale
richiesta non gli giungeva del tutto inaspettata. Non che egli si fosse messo d’accordo con Naomi e
avesse così fatto in modo di trovarsi da solo sull’aia, perché il fatto che egli fu colto di sorpresa nel sonno
mostra che non prevedeva affatto quella visita notturna. Tuttavia l’idea che prima o poi Rut gli facesse
presente il proprio diritto basato sui vincoli di sangue poteva essergli passata per la mente. Ma anche
questa congettura sulla possibilità o probabilità che ciò avvenisse non può essere usata per sollevare Rut
dall’onere di manifestare il proprio libero arbitrio seguendo questa procedura simbolica”. — J. P. Lange,
Theologisch-homiletisches Bibelwerk, Das Buch Ruth, 1865, p. 226.
Dalla sua reazione è evidente che Boaz considerò il gesto di Rut assolutamente virtuoso: “Sii benedetta
da Geova, figlia mia. Hai espresso la tua amorevole benignità meglio nell’ultimo caso che nel primo, non
andando dietro ai giovani, miseri o ricchi”. Rut scelse altruisticamente Boaz, un uomo molto più anziano,
perché era un ricompratore, al fine di suscitare un nome per il marito defunto e per la suocera. Poiché
sarebbe stato naturale per una giovane come Rut preferire un uomo più giovane, Boaz considerò il suo
gesto un’espressione di amorevole benignità addirittura superiore alla scelta di rimanere con l’anziana
suocera. — Ru 3:10.
Senza dubbio la voce di Rut dovette tradire una certa preoccupazione, dal momento che Boaz la
rassicurò: “Ora, figlia mia, non temere. Tutto ciò che dici lo farò per te, poiché alla porta del mio popolo
tutti si rendono conto che sei una donna eccellente”. Data l’ora tarda, Boaz disse a Rut di coricarsi.
Tuttavia entrambi si alzarono mentre era ancora buio, evidentemente per evitare qualsiasi insinuazione
che potesse nuocere al buon nome dell’uno o dell’altra. Boaz diede inoltre a Rut sei misure di orzo.
Questo poteva significare che, come sei giorni lavorativi erano seguiti da un giorno di riposo, così per Rut
era prossimo un giorno di riposo, poiché egli avrebbe fatto in modo che avesse un “luogo di riposo”. —
Ru 3:1, 11-15, 17, 18.
Al ritorno di Rut, Naomi, forse non riconoscendo nell’oscurità la donna che chiedeva di entrare,
domandò: “Chi sei tu, figlia mia?” Oppure può darsi che la domanda si riferisse all’eventuale nuova
identità di Rut in relazione al suo ricompratore. — Ru 3:16.
Più tardi, quando il parente più stretto rifiutò di contrarre il matrimonio del cognato, Boaz fu pronto a
prendere il suo posto. Così Rut divenne la madre di Obed figlio di Boaz e un’antenata sia del re Davide
che di Gesù Cristo. — Ru 4:1-21; Mt 1:5, 16.

w78 15/7 16-21


“Una donna eccellente” mostra amore leale
“Ognuno alla porta del mio popolo è consapevole che sei una donna eccellente”. — Rut 3:11.
SONO calate le tenebre della notte e su Betleem di Giuda e la campagna circostante è sceso un quieto
silenzio. In un’aia un uomo anziano dorme. Ma ecco che una giovane donna gli si avvicina furtivamente,
lo scopre appena, e si mette a giacere. Egli si sveglia, la trova ai suoi piedi e chiede: “Chi sei?” La
risposta di lei? “Sono Rut la tua schiava”. Essa è andata da lui per uno speciale e nobilissimo scopo.
Mentre la conversazione continua egli riconosce che è una donna virtuosa e dice: “Ognuno alla porta del
mio popolo è consapevole che sei una donna eccellente”. — Rut 3:9-11.
2 Cos’ha portato a questo insolito incontro di mezzanotte? Chi è in realtà questa donna? E qual è
l’identità dell’uomo anziano? Perché le dice che è conosciuta come “una donna eccellente”? Quali qualità
rivela? Queste e altre domande si affollano nella nostra mente allorché riflettiamo su questa straordinaria
scena notturna.
3 Il racconto divinamente ispirato che ci accingiamo a considerare, scritto probabilmente ai giorni di
Davide (verso il 1090 a.E.V.) dal profeta ebreo Samuele, è uno degli unici due libri biblici che portano un
nome femminile. (L’altro è quello di Ester). Sebbene alcuni considerino il libro di Rut una commovente
storia d’amore, è molto più di questo. Il racconto dà risalto al proposito di Geova Dio di produrre un erede
del Regno, il Messia da lungo tempo promesso. Inoltre, esalta l’amorevole benignità di Dio. — Gen. 3:15;
Rut 2:20; 4:17-22.
UNA FAMIGLIA COLPITA DALL’AVVERSITÀ
4 Gli avvenimenti narrati in questo racconto si verificarono “nei giorni in cui i giudici amministravano la
giustizia” in Israele. Dovette essere al principio di quel periodo, poiché l’uomo che abbiamo visto nell’aia
con Rut era Boaz, figlio di Raab contemporanea di Giosuè. (Rut 1:1; Gios. 2:1, 2; Matt. 1:5) Questi fatti
avvincenti abbracciano un periodo di circa 11 anni e si svolgono forse attorno al 1300 a.E.V.
5 Nel paese di Giuda è sorta una carestia e Betleem (o Efrata) ne sente gli effetti. L’avversità ha colpito
specialmente la famiglia di un certo Elimelec. Comprendendo la necessità di provvedere ai bisogni dei
suoi familiari, egli prende una decisione. Presto Elimelec, sua moglie Naomi e i loro due figli Malon e
Chilion attraversano il Giordano. Questi Efratei vanno a risiedere come forestieri in Moab, un paese su un
altipiano a est del mar Morto e a sud del fiume Arnon. — Rut 1:1, 2; confronta I Timoteo 5:8.
6 A suo tempo Elimelec muore, lasciando vedova Naomi, ormai avanti con gli anni. Successivamente i
loro due figli sposano delle Moabite. Malon sposa Rut mentre Chilion prende in moglie Orpa. (Rut 1:4, 5;
4:10) Passano circa 10 anni, e la calamità si abbatte di nuovo su questa famiglia. I figli di Naomi muoiono
entrambi e per di più senza progenie. Ora le tre donne sono sole, e il lutto e la vedovanza sono ben duri
da sopportare.
7 Specialmente Naomi è addolorata. Essa è giudea e conosce la speciale benedizione pronunciata in
punto di morte dal patriarca Giacobbe su suo figlio Giuda, con queste parole: “Lo scettro non si
allontanerà da Giuda, né il bastone del comandante di fra i suoi piedi, finché venga Silo; e a lui apparterrà
l’ubbidienza del popolo”. Questo Silo avrà lo scettro reale; infatti, sarà il Messia, il seme di Abraamo
mediante il quale tutte le famiglie della terra si benediranno. Donne di Giuda hanno la possibilità di
partorire figli che saranno antenati di quell’Unto! Ma i figli di Naomi sono morti senza progenie, ed essa
ha passato l’età d’avere figli. La possibilità che Naomi e la sua famiglia contribuiscano alla stirpe del
Messia è davvero remota. — Rut 1:3-5; Gen. 22:17, 18; 49:10, 33.
8 Tuttavia, c’è almeno un barlume di speranza che si stia preparando qualcosa di buono. Naomi ha
appreso, forse da qualche mercante ebreo di passaggio, che Geova ha “rivolto l’attenzione al suo popolo
dandogli pane”. Sì, la carestia è finita e, con la benedizione divina, c’è di nuovo pane in Giuda, buon pane
a Betleem, la “casa del pane”. Dopo non molto le tre vedove sono in cammino “nella strada per tornare al
paese di Giuda”. Non è un viaggio facile, perché devono attraversare regioni infestate di solito da ladroni
e uomini pronti a tutto. Ma la devozione di Naomi verso Geova Dio e il desiderio di ricongiungersi al suo
popolo la spingono a proseguire nonostante i pericoli del cammino. — Rut 1:6, 7.
TEMPO DI DECISIONE
9 Le giovani vedove compiranno un semplice atto di cortesia accompagnando la suocera attempata solo
fino al confine tra Moab e Israele? O proseguiranno? Vedremo. A un certo punto del cammino, Naomi
dice: “Andate, tornate, ciascuna alla casa di sua madre”. (Rut 1:8) Perché “di sua madre”, quando almeno
il padre di Rut è ancora vivo? (Rut 2:11) È naturale che una donna anziana faccia un commento simile a
delle giovani, e le loro madri avevano una casa ben fornita, a differenza della suocera indigente. Ad ogni
modo, l’affetto materno sarebbe stato di speciale conforto per una figlia addolorata.
10 Ascoltate mentre Naomi continua: “Geova eserciti amorevole benignità verso di voi, proprio come voi
l’avete esercitata verso gli uomini ora morti e verso di me. Geova vi faccia dono, e davvero trovate
ciascuna un luogo di riposo nella casa di suo marito”. (Rut 1:8, 9) Le due Moabite hanno mostrato
amorevole benignità, o amore leale, a Naomi e ai loro defunti mariti. Non sono state come le mogli ittite di
Esaù che furono “fonte di amarezza di spirito per Isacco e Rebecca”. (Gen. 26:34, 35) Priva essa stessa
di beni, Naomi può solo sperare che Dio ricompensi le sue nuore. Ed è disposta a congedarle con la
speranza che Geova darà a ciascuna di loro il riposo e il conforto che derivano dall’avere un marito e una
casa, ponendo fine così alla vedovanza e alle sue pene.
11 Ma Rut e Orpa non se ne vanno. Quando Naomi le bacia, esse si mettono a piangere ad alta voce.
Ovviamente è una suocera benigna e amorevole dalla quale è doloroso separarsi. (Rut 1:8-10; confronta
Atti 20:36-38). Ma Naomi insiste, ragionando: “Ho io ancora dei figli nelle mie parti interiori, e dovranno
essi divenire vostri mariti? Tornate, figlie mie, andate, poiché io mi son fatta troppo vecchia per
appartenere a un marito. Se avessi detto d’avere anche speranza che questa notte per certo apparterrei
a un marito e che anche partorirei per certo dei figli, continuereste ad aspettarli finché crescerebbero? Vi
terreste appartate per loro in modo da non divenire di un marito?” Sì, anche se i figli deceduti di Naomi
fossero stati sostituiti da altri figli ed essi fossero cresciuti, queste giovani donne si sarebbero astenute
nel frattempo dallo sposare qualcun altro? Era irragionevole pensarlo. E come donne moabite avevano
scarse prospettive di sposare un uomo in Giuda e poi allevare una famiglia. — Rut 1:11-13.
12 “No, figlie mie”, continua Naomi, “poiché a causa di voi mi è molto amaro, che la mano di Geova sia
uscita contro di me”. (Rut 1:13) Naomi non accusa Dio; qualunque cosa egli faccia o permetta dev’essere
giusta. (Prov. 19:3) Ma essa è addolorata per le sue nuore. Ed è giunto per loro il momento di decidere.
Proseguiranno altruisticamente con Naomi? I loro motivi e la loro lealtà sono messi alla prova.
13 Orpa prende la sua decisione. Piangendo bacia la suocera e se ne va. “Ecco”, dice Naomi a Rut. “La
tua cognata vedova è tornata al suo popolo e ai suoi dèi. Torna con la tua cognata vedova”. (Rut 1:14,
15) Sì, Orpa tornava al suo popolo e ai “suoi dèi”. Sia lei che Rut erano state allevate in mezzo al “popolo
di Chemos” e può darsi che avessero anche assistito agli orribili sacrifici di bambini nell’adorazione di
quel falso dio di Moab. Orpa torna a tutto ciò! — Num. 21:29; 2 Re 3:26, 27.
14 Ma non così Rut. “Non mi far premura di abbandonarti, di volgermi dall’accompagnarti”, dice, “poiché
dove andrai tu andrò io, e dove passerai la notte passerò la notte. Il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo
Dio il mio Dio. Dove tu morrai io morrò, e lì sarò sepolta”. Dopo di che la Moabita fa un giuramento
dinanzi a Dio, dicendo: “Geova mi faccia così e vi aggiunga se altro che la morte opererà una
separazione fra me e te”. Che commovente espressione di amore leale! Anzi, significa molto di più. Rut
ha scelto una vita di servizio a Geova, e il popolo di Naomi — che ha una relazione con il vero Dio in virtù
di un patto — sarà il suo popolo. La Moabita è decisa a servire Geova fedelmente. Quindi, Naomi
rinuncia a mandar via la giovane donna. — Rut 1:16-18.
15 Mentre l’anziana Giudea e la giovane Moabita riprendono l’arduo viaggio a fianco a fianco, abbiamo
l’occasione di riflettere sulle toccanti scene cui abbiamo assistito. L’interesse personale ha avuto il
sopravvento su Orpa. Il progresso che poteva aver fatto nella conoscenza di Geova non ha significato
abbastanza per lei da impedirle di tornare al suo popolo e ai “suoi dèi”. Se Rut avesse egoisticamente
desiderato il suo paese nativo avrebbe anch’essa potuto tornarvi. (Confronta Ebrei 11:15). Ma questa
giovane Moabita ha dimostrato amore leale non solo per l’attempata Naomi, ma specialmente per Geova.
Ha manifestato uno spirito di sacrificio e la determinazione di servire il vero Dio con fede. Osservando
queste contrastanti decisioni, noi pure siamo incoraggiati a non ‘tornare indietro alla distruzione’ ma ad
avere “fede per conservare in vita l’anima”. — Ebr. 10:38, 39.
BETLEEM È IN AGITAZIONE!
16 Infine, le due donne giungono a destinazione, Betleem. La loro presenza mette in agitazione l’intera
città. “È questa Naomi?” continuano a chiedere le donne. Gli anni hanno lasciato il segno. Certo le donne
notano gli effetti che il dolore e l’afflizione hanno prodotto su questa donna un tempo allegra. Anzi, la sua
stessa risposta indica la pena che ha nel cuore!
17 “Non mi chiamate Naomi [mia piacevolezza]”, dice. “Chiamatemi Mara [amara], poiché l’Onnipotente
me l’ha reso molto amaro. Quando andai ero piena [avendo marito e due figli], e Geova mi ha fatto
tornare a mani vuote. Perché dovreste chiamarmi Naomi, quando Geova mi ha umiliata e l’Onnipotente
mi ha causato calamità?” (Rut 1:19-21) Sì, Naomi è disposta ad accettare ciò che Geova permette, ma
evidentemente pensa che Geova sia contro di lei. (Rut 1:13; confronta I Samuele 3:18). Indubbiamente,
in un’epoca in cui il seno fecondo è considerato una benedizione divina e la sterilità una maledizione, è
umiliante per una donna non avere una progenie vivente. E che speranza può avere ora Naomi di
contribuire alla stirpe del Messia?
UN’UMILE SPIGOLATRICE TROVA FAVORE
18 Naomi e Rut sono venute a Betleem “all’inizio della mietitura dell’orzo”, al principio della primavera.
(Rut 1:22) Essendo operosa e disposta a servire, Rut, con il permesso di Naomi, va a spigolare dietro ai
mietitori nei campi. Sa che la spigolatura è il provvedimento di Geova per il povero e l’afflitto, il residente
forestiero, il ragazzo senza padre e la vedova. In Israele è loro permesso raccogliere o spigolare
qualsiasi parte di una messe che i mietitori hanno involontariamente o intenzionalmente lasciato dietro di
sé. (Lev. 19:9, 10; Deut. 24:19-21) Sebbene Rut ne abbia il diritto, umilmente chiede e ottiene il
permesso di spigolare in un certo campo. Ma evidentemente c’è la mano di Geova nella cosa poiché “per
caso” essa capita “nel tratto di campo che apparteneva a Boaz”. — Rut 2:3.
19 Ecco che Boaz si avvicina. È un “uomo potente per dovizia”, ed è figlio di Salmon e Raab. Sì, Boaz è
giudeo. Non solo Boaz è un padrone premuroso molto stimato dai suoi lavoratori, ma è un devoto
adoratore del vero Dio, poiché saluta i mietitori con le parole “Geova sia con voi”, ed essi rispondono:
“Geova ti benedica”. — Rut 2:1-4.
20 Dal giovane preposto ai mietitori, Boaz viene a sapere che Rut è la Moabita recentemente venuta a
Betleem con Naomi. Dopo averne ottenuto il permesso, essa ha spigolato assiduamente nel fresco della
mattina finché il sole è stato alto nel cielo, sopportando il caldo senza lamentarsi. Solo adesso si è seduta
momentaneamente nella casa, a quanto sembra una semplice capanna per i mietitori. Rut non è certo
una donna viziata! — Rut 2:5-7.
21 Successivamente Boaz esorta Rut a non spigolare in un altro campo, ma a stare presso le sue giovani,
che probabilmente seguivano i suoi mietitori e legavano i covoni. Boaz ha comandato ai giovani di non
toccarla, ed essa è libera di bere dai vasi che hanno riempito d’acqua. Profondamente grata, Rut cade
umilmente sulla sua faccia e si china a terra, chiedendo: “Come mai ho trovato favore ai tuoi occhi così
che sono notata, essendo io una straniera?” Ebbene, Boaz non sta cercando di conquistarsi il suo affetto
per appagare il capriccio di un vecchio. Piuttosto, ha udito che la Moabita ha lasciato suo padre, sua
madre e il suo paese, restando accanto all’anziana suocera. Ovviamente colpito dall’amore leale e
dall’umiltà di Rut, egli è spinto a dire: “Geova ricompensi il tuo modo di agire, e vi sia per te un perfetto
salario da Geova l’Iddio d’Israele, sotto le cui ali [protettive] ti sei venuta a rifugiare”. Certo, come
ammette Rut, Boaz l’ha confortata e le ha parlato in maniera rassicurante. — Rut 2:8-13; Sal. 91:2, 4.
22 Al tempo del pasto dei mietitori Boaz dice: “Accostati qui, e devi mangiare del pane e intingere il tuo
pezzo nell’aceto [“agretto”]”. Che condimento rinfrescante nella calura del giorno! Boaz porge a Rut grano
arrostito ed essa ne mangia a sazietà, e gliene avanza pure. — Rut 2:14; confronta la versione a cura del
Pontificio Istituto Biblico.
23 Poi si rimette al lavoro. Mosso da uno spirito di generosità, Boaz dice ai suoi giovani di lasciare
spigolare Rut “anche fra le spighe di grano tagliate”. Ingiunge loro anche di “sfilargliene alcune dai
manipoli di spighe”, lasciandole dietro affinché essa le raccolga. Giunge la sera, e Rut è ancora occupata
a ‘battere’ ciò che ha spigolato, a trebbiare. Battendo a mano l’orzo per terra con una verga o un
correggiato, lo si può separare dallo stelo e dalla pula. Quel giorno Rut ha spigolato una ventina di litri
d’orzo! Essa lo porta a casa a Betleem. Altruisticamente, Rut tira fuori anche il cibo che quel giorno le è
avanzato all’ora del pasto e lo dà alla suocera bisognosa. — Rut 2:14-18.
24 Rut mostra di nuovo amore leale a Naomi. Si aggiungano a ciò l’amore della giovane verso Geova, la
sua operosità e la sua umiltà; non è strano che la gente la consideri “una donna eccellente”. (Rut 3:11)
Certo Rut non mangia il “pane di pigrizia”, e per il suo duro lavoro ha qualcosa da condividere con chi è
nel bisogno. (Prov. 31:27, 31; Efes. 4:28) E assumendo la sua responsabilità verso l’anziana suocera
vedova, la Moabita deve provare la felicità che deriva dal dare. (Atti 20:35; 1 Tim. 5:3-8) Rut è davvero un
ottimo esempio per qualsiasi donna devota.

[Nota in calce]
Per la considerazione del significato profetico del libro di Rut, vedi La Torre di Guardia del 15 luglio 1972,
w72 pagg. 428-442, e il libro Preservation, pagg. 169-335, pubblicato nel 1932 dalla Watch Tower Bible
and Tract Society.
[Figura a pagina 17]
Rut implora Naomi: ‘Non mi far premura di abbandonarti, poiché dove andrai tu andrò io’

Sadrac --- Tema: Rimanete senza macchia in un mondo empio FILIPPESI 2:15

it-2 828-9
SADRAC (Sàdrac).
Nome babilonese di un esiliato ebreo elevato a un alto incarico nel governo di Babilonia. Sadrac, Mesac
e Abednego — i tre compagni di Daniele — sono sempre menzionati insieme, e Sadrac sempre per
primo, forse perché i corrispondenti nomi ebraici — Hanania, Misael e Azaria — compaiono sempre in
ordine alfabetico secondo le iniziali ebraiche. I nomi babilonesi furono dati loro dopo che erano stati
portati a Babilonia. Là ricevettero speciale istruzione, dato che si erano distinti come giovani intelligenti, di
bell’aspetto e senza difetti. Dopo tre anni di studio, Sadrac, Mesac e Abednego risultarono dieci volte
migliori dei saggi di Babilonia. Essi avevano la benedizione di Geova, senza dubbio in parte dovuta al
loro costante rifiuto di contaminarsi con i raffinati cibi babilonesi. (Da 1:3-20) In seguito ricevettero
incarichi nell’amministrazione del distretto giurisdizionale di Babilonia. (Da 2:49) Essi persero
temporaneamente il favore del re quando rifiutarono di inchinarsi davanti alla grande immagine che egli
aveva eretto, ma, dopo che Geova li fece uscire indenni dalla fornace ardente, furono reintegrati nei loro
incarichi. — Da 3:1-30.

w88 1/12 16-19 Geova ricompensa la fede e il coraggio


Fede e coraggio messi alla prova
4 Non solo i loro genitori timorati di Dio diedero ai quattro ebrei un buon inizio nella vita dando loro quei
nomi, ma dovettero anche allevarli nella stretta osservanza della Legge di Mosè, comprese le sue norme
dietetiche. Geova Dio stesso considerava queste ultime così importanti che dopo aver elencato molte
proibizioni di tale genere dichiarò: “Vi dovete mostrare santi, perché io sono santo”. — Levitico 11:44, 45.
5 L’ottima educazione ricevuta da questi quattro giovani ebrei fu presto messa alla prova. Perché?
Perché fu assegnata loro “una razione giornaliera dai cibi prelibati del re e dal suo vino da bere”. (Daniele
1:5) Essi sapevano che fra le cose vietate dalla Legge di Mosè c’era la carne di maiale, di coniglio, le
ostriche e le anguille. Anche quelle carni che la Legge consentiva di mangiare costituivano un problema
alla corte di Babilonia, perché non c’era modo di sapere se erano state debitamente dissanguate. Per di
più, tali carni potevano anche essere state contaminate da riti pagani. — Levitico 3:16, 17.
6 Cosa potevano fare i quattro ebrei? Leggiamo che Daniele, come avranno fatto senza dubbio anche gli
altri tre, determinò in cuor suo di non contaminarsi con tali cibi. Perciò “continuò a fare richiesta” di
semplici verdure al posto dei cibi prelibati del re, e di acqua invece del suo vino. Essi non tennero conto
di quali cibi avessero un sapore migliore. Ci vollero di sicuro fede e coraggio per insistere su questo
punto. Ebbene, dato che Geova si interessava di questi quattro giovani, fece in modo che il principale
funzionario di corte si mostrasse favorevolmente disposto verso Daniele. Tuttavia questo funzionario
esitava a concedere a Daniele gli alimenti richiesti, temendo che questa dieta potesse influire
negativamente sulla salute del giovane. Allora Daniele chiese che venisse permesso loro di provare
questa dieta per dieci giorni. Egli aveva forte fede che ubbidendo alla Legge di Dio non solo avrebbe
avuto la coscienza a posto, ma ne avrebbe anche tratto giovamento sotto l’aspetto della salute. Come
conseguenza della loro presa di posizione, i quattro ebrei dovettero senz’altro subire molti scherni. —
Daniele 1:8-14; Isaia 48:17, 18.
7 I quattro ebrei dovettero mostrare fede e coraggio per fare una questione della loro alimentazione. Ma
furono ricompensati, perché alla fine dei dieci giorni erano di aspetto migliore e più sani di tutti gli altri!
Geova stava dando loro conoscenza, perspicacia e sapienza, così che quando comparvero dinanzi al re
alla fine del loro addestramento triennale, egli li trovò “dieci volte migliori di tutti i sacerdoti che
praticavano la magia e gli evocatori che erano in tutto il suo reame”. — Daniele 1:20.
8 Tutti gli odierni servitori di Geova Dio possono trarre una lezione da questo. Quei giovani ebrei
avrebbero potuto pensare che le norme dietetiche della Legge mosaica non fossero poi così importanti,
almeno in paragone con i Dieci Comandamenti o con le leggi relative ai sacrifici o alle feste annuali.
Invece no: i leali ebrei desideravano vivere in armonia con tutti gli aspetti della Legge di Dio. Questo ci
ricorda il principio espresso da Gesù in Luca 16:10: “Chi è fedele nel minimo è anche fedele nel molto, e
chi è ingiusto nel minimo è anche ingiusto nel molto”. — Confronta Matteo 23:23.
9 Molte volte i testimoni di Geova mostrano fede e coraggio simili, ad esempio quando si tratta di
chiedere al datore di lavoro un permesso per assistere a un’assemblea di distretto. Molte volte viene fatta
un’eccezione per loro. Testimoni che desideravano intraprendere il servizio di pioniere o fare i pionieri
ausiliari hanno lottato per ottenere un lavoro a mezza giornata e spesso sono stati accontentati.
10 Che ottima lezione gli odierni genitori timorati di Dio possono imparare dall’addestramento che i quattro
giovani ebrei avevano evidentemente ricevuto! Quando i genitori cristiani hanno veramente a cuore gli
interessi spirituali dei loro figli, li metteranno al primo posto nella loro stessa vita, in armonia con Matteo
6:33. Allora potranno aspettarsi che i loro figli siano in grado di resistere alle tentazioni e alle pressioni
esercitate da compagni e insegnanti a scuola perché celebrino compleanni o festività, o violino in altri
modi i princìpi scritturali. Così facendo questi genitori timorati di Dio confermeranno la veracità di Proverbi
22:6.

Coraggio nell’interpretare i sogni di Nabucodonosor


11Il secondo capitolo di Daniele ci fornisce un altro esempio di fede e di coraggio. Quando Daniele seppe
dell’editto del re che condannava a morte tutti i saggi di Babilonia perché non erano stati in grado di
narrargli il sogno e il suo significato, Daniele e i suoi tre compagni si fecero forse prendere dal panico?
Per nulla! Piuttosto, con assoluta fiducia che Geova gli avrebbe dato le informazioni desiderate dal re,
Daniele apparve dinanzi al monarca e gli chiese del tempo per dargli la risposta. La richiesta fu esaudita.
Allora Daniele e i suoi tre amici pregarono fervidamente al riguardo. Geova ricompensò la loro fede
dando loro le informazioni necessarie, dopo di che Daniele elevò a Geova una sentita preghiera di
ringraziamento. (Daniele 2:23) E interpretare il sogno del capitolo 4 ⇒di Daniele ⇐significò per Daniele
dover dire a Nabucodonosor che avrebbe trascorso sette anni vivendo come una bestia insieme agli
animali selvatici. Questo richiese fede e coraggio come quelli che i servitori di Dio devono mostrare oggi
per proclamare il vigoroso messaggio della vendetta divina contro il mondo di Satana.
“Resisterono alla forza del fuoco”
12 Il capitolo 3 di Daniele descrive uno dei più straordinari avvenimenti menzionati nella Bibbia,
mostrando come Geova ricompensò la fede e il coraggio manifestati da tre servitori ebrei. Immaginate la
scena. Tutti i dignitari di Babilonia sono radunati nella pianura di Dura. Davanti a loro si erge un’immagine
d’oro alta circa 27 metri e larga 2 metri e 70 centimetri. Per far leva sulle emozioni, il re ha voluto che
fosse presente un’orchestra. Al suono della musica, i convenuti devono ‘prostrarsi e adorare l’immagine
d’oro che Nabucodonosor il re ha eretto. E chiunque non si prostri e non adori sarà gettato nello stesso
momento nella fornace di fuoco ardente’. — Daniele 3:5, 6.
13 Non ci sono dubbi: rifiutarsi di ubbidire a quell’ordine richiedeva grande fede e coraggio. Ma l’essere
stati ‘fedeli nel minimo’ li aveva preparati ad essere ‘fedeli nel molto’. Il fatto che la loro presa di posizione
potesse mettere in pericolo altri ebrei non era la cosa determinante. Essi non si sarebbero prostrati e non
avrebbero adorato l’immagine. Il loro evidente rifiuto fu notato da alcuni dignitari invidiosi, i quali non
persero tempo ad informarne il re.
14 Con “ira e furore”, Nabucodonosor ordinò che i tre ebrei venissero condotti dinanzi a lui. La sua
domanda — “È realmente così?” — mostra che per lui era inconcepibile che si rifiutassero di prostrarsi e
di adorare l’immagine d’oro. Egli era disposto a dar loro un’altra possibilità, ma se avessero persistito nel
rifiuto sarebbero stati gettati nella fornace di fuoco ardente. “E chi è quel dio”, aggiunse l’altezzoso
monarca, “che vi può liberare dalle mie mani?” Con vero coraggio e fede in Geova, i tre ebrei risposero
rispettosamente al re: “A questo riguardo non abbiamo bisogno di risponderti parola. Se dev’essere, il
nostro Dio che serviamo ci può liberare. Egli ci libererà dalla fornace di fuoco ardente . . . , o re. Ma se no
ti sia noto, o re, che i tuoi dèi non sono quelli che noi serviamo, e certamente non adoreremo l’immagine
d’oro che hai eretto”. — Daniele 3:13-18.
15 Se prima Nabucodonosor era adirato, ora era furioso, perché leggiamo che “la medesima espressione
della sua faccia si cambiò verso” i tre ebrei. (Daniele 3:19) Un’indicazione del suo furore fu il comando di
riscaldare la fornace sette volte più del solito. Poi certi uomini robusti del suo esercito afferrarono i tre
ebrei e li gettarono nella fornace ardente. Le fiamme erano talmente alte che questi stessi uomini
rimasero uccisi.
16 Ma che sorpresa fu per il re vedere non tre ma quattro uomini camminare assolutamente indenni in
mezzo al fuoco! Quando il re chiamò i tre ebrei perché venissero fuori, si accorse che nemmeno un
capello della loro testa era stato bruciato e che le loro vesti non avevano nemmeno l’odore del fumo.
Geova aveva ricompensato la loro fede e il loro coraggio in maniera davvero meravigliosa! Senza dubbio
l’apostolo Paolo si riferiva a loro quando elencò fra il gran nuvolo di testimoni quelli che “resisterono alla
forza del fuoco”. (Ebrei 11:34) Che eccellente esempio essi sono stati per tutti i servitori di Geova da
allora in poi!
17 Oggi i servitori di Geova non devono affrontare la minaccia di una fornace ardente letterale. Ma
l’integrità di molti è stata messa seriamente alla prova in relazione al rendere omaggio idolatrico ai
simboli nazionali. L’integrità di altri è stata messa alla prova in relazione all’acquistare tessere di partito o
a prestare servizio militare. Geova ha sostenuto tutti questi, permettendo loro di superare la sfida e di
rimanere integri, dimostrando così che il Diavolo è un bugiardo e che Geova è il vero Dio.

[Figura a pagina 17]


Daniele e i suoi tre compagni impararono a dire di no

Saffira --- Tema: Non agite con inganno SALMO 15:1, 2

it-2 829
SAFFIRA (Saffìra) [da un termine aramaico che significa “bella”].
Moglie di Anania. Insieme al marito architettò un inganno che fu la causa della loro morte. Essi
vendettero un campo di loro proprietà e ipocritamente asserirono di aver portato l’intero ricavato agli
apostoli, come avevano fatto altri cristiani di Gerusalemme per far fronte all’emergenza che era sorta
dopo la Pentecoste del 33 E.V.
Il peccato di Anania e Saffira non fu di non aver dato l’intera somma ricavata dalla vendita della
proprietà, ma di avere falsamente affermato di averlo fatto, evidentemente per avere il plauso degli
uomini anziché per onorare Dio e fare del bene alla sua congregazione. La loro disonestà fu smascherata
da Pietro, guidato dallo spirito santo, che disse: “Anania, perché Satana ti ha imbaldanzito da farti mentire
allo spirito santo, trattenendo segretamente parte del prezzo del campo? Finché rimaneva presso di te
non rimaneva tuo? e dopo che era stato venduto non rimaneva sotto il tuo controllo? Perché ti sei messo
in cuore di fare un’azione come questa? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio”. Udite le parole di
Pietro, Anania cadde a terra e spirò.
Circa tre ore dopo entrò Saffira che ripeté la menzogna. Pietro allora le chiese: “Perché vi siete messi
d’accordo fra voi due di mettere alla prova lo spirito di Geova?” Anche Saffira cadde a terra e spirò.
Questo episodio fu una lezione per la congregazione, inducendola ad avere grande timore, e senza
dubbio grande rispetto e apprezzamento per il fatto che Geova veramente dimorava nella congregazione
mediante lo spirito. — At 4:34, 35; 5:1-11; 1Co 3:16, 17; Ef 2:22; cfr. 1Tm 1:20.

w76 15/11 676 La generosità viene ricompensata


Quando si dà senza il giusto motivo e manca la fede, ci si può rendere colpevoli di un peccato molto
grave, come è illustrato dal caso di Anania e Saffira. Essi videro che altri vendevano spontaneamente i
propri beni e mettevano il ricavato a disposizione degli apostoli, così che fosse usato per aiutare i
compagni di fede bisognosi. Evidentemente Anania e Saffira desideravano essere lodati per la loro
generosità, ma non avevano fede che Dio avrebbe avuto cura di loro. Benché non vi fossero obbligati,
vendettero un campo e poi concordarono di offrire solo parte del denaro ricavato. Tuttavia con una
menzogna cercarono di apparire più generosi di quanto non fossero in realtà, fingendo di offrire l’intera
somma. Per mezzo dell’apostolo Pietro Dio smascherò il loro deliberato inganno e pronunciò su di loro il
giudizio di morte. — Atti 5:1-11.
Per essere guardate con favore da Geova le espressioni di generosità devono dunque essere sincere.
Geova ricompenserà chi è generoso, benedicendolo e rafforzandolo affinché superi i tempi difficili senza
perdere la propria spiritualità. Geova non abbandonerà i suoi servitori generosi lasciandoli in una
situazione disperata. Benché si possano trovare temporaneamente in difficoltà, e subiscano perfino una
serie di rovesci economici, non saranno vittime della disperazione. Un proverbio biblico dice: “Il giusto
può cadere pure sette volte, e per certo si leverà”. (Prov. 24:16) Il salmista espresse la sua fiducia con le
seguenti parole: “In Dio ho confidato; non avrò timore. Che mi può fare la carne?” — Sal. 56:4.
Inoltre quando si vede qualcuno che è realmente nel bisogno si è molto più inclini ad aiutare chi si è
mostrato molto generoso che non chi è stato tirchio. Riguardo alla congregazione cristiana, lo spirito di
Dio che agisce sulla mente e sul cuore di quelli che vi sono associati li spinge ad andare in aiuto dei
compagni di fede veramente bisognosi. Così, mediante i compagni di fede, Geova ricompensa gli atti di
generosità.

w95 1/1 27-8 Debolezza, malvagità e pentimento


Come valutare debolezza, malvagità e pentimento
Come fanno gli anziani a sapere se una persona è pentita? Non è una domanda semplice. Pensate al re
Davide. Egli commise adulterio e poi in effetti un omicidio. Eppure Geova lo lasciò in vita. (2 Samuele
11:2-24; 12:1-14) Pensate ora ad Anania e Saffira. Mentendo, cercarono di ingannare gli apostoli,
fingendo ipocritamente di essere stati più generosi di quanto in realtà non fossero stati. Una cosa grave?
Sì. Come l’omicidio e l’adulterio? Difficilmente! Eppure Anania e Saffira pagarono il loro peccato con la
vita.
— Atti 5:1-11.
Perché questa diversità di giudizio? Davide commise un grave peccato per la debolezza della carne.
Messo di fronte ai fatti, si pentì e Geova lo perdonò, anche se fu severamente disciplinato avendo
problemi nella sua famiglia. Anania e Saffira peccarono in quanto mentirono ipocritamente, cercando di
ingannare la congregazione cristiana, e quindi ‘mentirono allo spirito santo e a Dio’. Manifestarono così
un cuore malvagio. Per questo furono giudicati più severamente.
In entrambi i casi fu Geova a emettere il giudizio e il suo giudizio fu giusto perché egli può esaminare il
cuore. (Proverbi 17:3) Gli anziani, essendo uomini, non possono farlo. Come possono quindi discernere
se un grave peccato è indice di debolezza più che di malvagità?
In realtà ogni peccato è malvagio, ma non tutti i peccatori sono malvagi. Peccati analoghi possono
essere indice di debolezza in una persona e di malvagità in un’altra. Di solito un peccato implica sia un
certo grado di debolezza che un certo grado di malvagità da parte del peccatore. Un fattore determinante
è come considera il peccatore ciò che ha fatto e cosa intende fare al riguardo. Dimostra di essere
pentito? Gli anziani hanno bisogno di discernimento per capirlo. Come possono avere questo
discernimento? L’apostolo Paolo promise a Timoteo: “Presta costante attenzione a ciò che dico; il
Signore ti darà realmente discernimento in ogni cosa”. (2 Timoteo 2:7) Se gli anziani prestano umilmente
“costante attenzione” alle ispirate parole di Paolo e degli altri scrittori biblici, avranno il discernimento
necessario per valutare correttamente i componenti della congregazione che peccano. Allora le loro
decisioni rispecchieranno il pensiero di Geova, non il loro. — Proverbi 11:2; Matteo 18:18.
Come possono farlo? Un modo è quello di esaminare come descrive la Bibbia i malvagi e vedere se la
descrizione corrisponde alla persona in questione.

Salome (n.1) --- Tema: Servite Geova con modestia MICHEA 6:8

it-2 840-1
SALOME (Salòme) [probabilmente da un termine ebraico che significa “pace”].
1. Confrontando Matteo 27:56 con Marco 15:40 risulterebbe che Salome era la madre dei figli di
Zebedeo, Giacomo e Giovanni, apostoli di Gesù Cristo. Il primo versetto menziona due Marie, cioè Maria
Maddalena e Maria madre di Giacomo (il Minore) e di Iose; insieme a queste menziona anche la madre
dei figli di Zebedeo, anch’essa presente quando Gesù venne messo al palo. Il secondo versetto invece
chiama Salome la donna che si trovava insieme alle due Marie.
Facendo un ragionamento simile si giunge alla conclusione che Salome fosse anche sorella carnale di
Maria, madre di Gesù. Questa ipotesi è suggerita dal fatto che in Giovanni 19:25 sono menzionate le
stesse due Marie, cioè Maria Maddalena e “la moglie di Clopa” (ritenuta in genere la madre di Giacomo il
Minore e di Iose), e viene anche detto: “Presso il palo di tortura di Gesù stavano comunque sua madre e
la sorella di sua madre”. Se questo versetto (a parte la madre di Gesù) parla delle stesse tre donne
menzionate da Matteo e da Marco, Salome sarebbe la sorella della madre di Gesù. Comunque Matteo
27:55 e Marco 15:40, 41 dicono che erano presenti molte altre donne, le quali avevano accompagnato
Gesù, per cui Salome poteva essere una di loro.
Salome era discepola del Signore Gesù Cristo; era una delle donne che lo accompagnavano e lo
servivano con i loro averi, come indicano Matteo, Marco, e anche Luca (8:3).
Se si tratta veramente della madre dei figli di Zebedeo, fu lei che si rivolse a Gesù per chiedere che ai
suoi figli fosse concesso di sedere alla destra e alla sinistra di Gesù nel suo Regno. Matteo riferisce che
fu la madre a fare la richiesta, mentre Marco spiega che furono Giacomo e Giovanni. Questo a quanto
pare era il loro desiderio, ed essi convinsero la madre a fare la richiesta. Ciò è confermato dal fatto che
Matteo riferisce che, udendo la richiesta, gli altri discepoli non si indignarono con la madre, ma con i due
fratelli. — Mt 20:20-24; Mr 10:35-41.
All’alba del terzo giorno dopo la morte di Gesù, Salome era fra le donne che andarono alla tomba per
spalmare il corpo con aromi, ma che trovarono la pietra rotolata via e, all’interno della tomba, un angelo
che annunciò loro: “Egli è stato destato, non è qui. Vedete il luogo dove lo posero”. — Mr 16:1-8.

Samuele --- Tema: Servite Dio dalla giovinezza ECCLESIATE 12:1

it-2 853-5
SAMUELE [nome di Dio].
Noto profeta (At 3:24; 13:20), tradizionalmente ritenuto lo scrittore dei libri biblici di Giudici, Rut e di parte
di 1 Samuele. (Cfr. 1Sa 10:25; 1Cr 29:29). Suo padre Elcana era un levita della famiglia non sacerdotale
di Cheat. (1Cr 6:27, 28, 33-38) Samuele ebbe poi tre fratelli e due sorelle carnali. — 1Sa 2:21.
Prima del concepimento, la madre Anna promise di dedicarlo al servizio di Geova quale nazireo (1Sa
1:11), perciò Samuele fu portato al tabernacolo di Silo appena svezzato (forse all’età di almeno tre anni;
cfr. 2Cr 31:16) e affidato al sommo sacerdote Eli. (1Sa 1:24-28) Così Samuele, cinto di un efod di lino,
‘servì Geova’ fin da piccolo. Ogni anno sua madre andava a trovarlo e gli portava un manto senza
maniche nuovo. (1Sa 2:18, 19) Man mano che cresceva, Samuele diventava “sempre più gradito sia dal
punto di vista di Geova che da quello degli uomini”. — 1Sa 2:26.
Diventa profeta in giovane età. La notte Samuele dormiva “nel tempio di Geova, dov’era l’arca di Dio”, e
sembra che la mattina il suo primo compito fosse quello di aprire “le porte della casa di Geova”. (1Sa 3:3,
15) Evidentemente le parole “dov’era l’arca di Dio” si riferiscono all’area del tabernacolo e non vanno
intese nel senso che Samuele dormisse nel Santissimo. Essendo un levita cheatita e non un sacerdote
non aveva diritto di vedere l’Arca né alcun altro arredo sacro all’interno del santuario. (Nu 4:17-20)
L’unica parte della casa di Geova a cui Samuele aveva accesso era il cortile del tabernacolo. Perciò
doveva aprire le porte che immettevano nel cortile, ed era lì che doveva dormire. Durante il periodo in cui
il tabernacolo rimase stabile a Silo, probabilmente furono aggiunte varie costruzioni, e Samuele poteva
alloggiare in una di queste.
Una notte, dopo essersi coricato, Samuele udì una voce che lo chiamava per nome. Immaginando che a
parlare fosse stato il sommo sacerdote Eli, corse da lui; e questo per tre volte. Allora Eli comprese che
Samuele era stato chiamato da Geova e gli diede le istruzioni del caso. Geova rese quindi noto a
Samuele il suo giudizio contro la casa di Eli. Intimorito, Samuele non disse nulla della parola di Geova
finché Eli non glielo chiese. Così ebbe inizio l’opera profetica di Samuele, e tutto Israele finì per rendersi
conto che era davvero un profeta di Geova. — 1Sa 3:2-21.
Guida Israele nella vera adorazione. Più di 20 anni dopo, esortati da Samuele, gli israeliti
abbandonarono l’adorazione idolatrica e cominciarono a servire solo Geova. Successivamente Samuele
fece radunare gli israeliti a Mizpa. Approfittando della situazione, i filistei invasero il paese. Intimoriti, i figli
di Israele chiesero a Samuele di invocare l’aiuto di Geova. Egli lo fece e inoltre offrì in sacrificio un
agnello da latte. (1Sa 7:2-9) Naturalmente, essendo un levita cheatita, non un sacerdote, Samuele non
era autorizzato a officiare presso l’altare del santuario (Nu 18:2, 3, 6, 7), e non c’è alcuna indicazione che
l’abbia mai fatto. Tuttavia, quale rappresentante e profeta di Geova, poteva offrire sacrifici altrove
ubbidendo agli ordini di Dio, come Gedeone (Gdc 6:25-28) ed Elia. (1Re 18:36-38) Geova esaudì la
preghiera di Samuele gettando nella confusione i filistei e permettendo così agli israeliti di riportare una
vittoria decisiva. A ricordo di ciò, Samuele eresse una stele tra Mizpa e Iesana, e la chiamò Ebenezer
(pietra dell’aiuto). (1Sa 7:10-12) Senza dubbio dalle spoglie di questa e di altre guerre Samuele santificò
e mise da parte delle cose per mantenere il tabernacolo. — 1Cr 26:27, 28.
Ai giorni di Samuele i filistei subirono altre sconfitte (1Sa 7:13, 14), e furono tenute speciali celebrazioni
pasquali. (2Cr 35:18) Sembra inoltre che Samuele abbia preso delle disposizioni per i portinai leviti, le
quali forse furono la base per l’organizzazione attuata da Davide. (1Cr 9:22) Dalla sua città, Rama, nella
regione montagnosa di Efraim, Samuele ogni anno faceva un giro recandosi a Betel, Ghilgal e Mizpa, per
giudicare Israele in tutte quelle località. (1Sa 7:15-17) Non abusò mai della sua posizione e fu
irreprensibile nel suo servizio. (1Sa 12:2-5) Invece i suoi figli, Gioele e Abia, pervertivano la giustizia. —
1Sa 8:2, 3.
Unge Saul come re. L’infedeltà dei figli di Samuele e la minaccia di una guerra con gli ammoniti
indussero gli anziani di Israele a chiedere a Samuele di nominare su di loro un re. (1Sa 8:4, 5; 12:12)
Geova rispose alla preghiera di Samuele a questo proposito dicendogli di accogliere la richiesta del
popolo, sebbene questa mostrasse mancanza di fede nel Suo potere regale, di indicare quali sarebbero
stati i diritti del re. Benché informati da Samuele che la monarchia avrebbe comportato la perdita di certe
libertà, essi insisterono per avere un re. Dopo che Samuele ebbe congedato gli uomini di Israele, Geova
fece in modo che ungesse quale re il beniaminita Saul. (1Sa 8:6–10:1) Poi Samuele dispose che gli
israeliti si radunassero a Mizpa dove Saul fu designato re a sorte. (1Sa 10:17-24) Di nuovo Samuele
parlò dei diritti del regno, e ne fece anche un elenco scritto. — 1Sa 10:25.
Dopo la vittoria di Saul sugli ammoniti, Samuele ordinò agli israeliti di andare a Ghilgal per riconfermare
il regno. In quell’occasione Samuele riepilogò il proprio passato e anche la storia di Israele, e mostrò che
per continuare ad avere l’approvazione divina era necessario che sia il re che il popolo ubbidissero a
Geova. Per ribadire la gravità di avere rigettato Geova quale re, Samuele pregò che venisse un
temporale fuori stagione. Geova esaudì la richiesta e ciò spinse il popolo a riconoscere la gravità della
propria trasgressione. — 1Sa 11:14–12:25.
In seguito, due volte Samuele dovette riprendere Saul perché aveva disubbidito a un comando di Dio.
Nel primo caso Samuele annunciò che il regno di Saul non sarebbe durato perché egli presuntuosamente
non aveva esitato a fare un sacrificio invece di aspettare come gli era stato comandato. (1Sa 13:10-14) Il
secondo messaggio di condanna pronunciato da Samuele avvertì Saul che Geova l’aveva rigettato come
re perché aveva disubbidito lasciando in vita il re Agag e il meglio dei greggi e delle mandrie degli
amalechiti. In seguito alla richiesta di Saul, Samuele si presentò insieme a lui davanti agli anziani di
Israele e al popolo. Quindi Samuele ordinò che Agag fosse condotto da lui e ‘lo fece a pezzi dinanzi a
Geova a Ghilgal’. — 1Sa 15:10-33.
Unge Davide. Una volta che si furono separati, non ci furono più contatti tra i due. Samuele tuttavia fece
cordoglio per Saul. Ma Geova Dio lo interruppe, incaricandolo di andare a Betleem per ungere uno dei
figli di Iesse quale futuro re di Israele. Geova ordinò a Samuele di portare con sé una giovenca per fare
un sacrificio, onde evitare qualsiasi sospetto da parte di Saul, che avrebbe potuto costare la vita a
Samuele. Forse pensando che Samuele fosse venuto per rimproverare o punire qualche trasgressione,
gli anziani di Betleem tremavano per la paura. Ma egli li rassicurò che la sua venuta significava pace e
quindi dispose che Iesse e i suoi figli partecipassero a un pasto sacrificale. Colpito dall’aspetto di Eliab, il
primogenito di Iesse, Samuele pensò che quel figlio doveva certo essere stato scelto da Geova per il
regno. Ma né Eliab né alcun altro dei sei figli di Iesse presenti era stato scelto da Geova. Perciò, a motivo
dell’insistenza di Samuele, fu chiamato il figlio minore, Davide, che stava pascolando le pecore, e quindi
fu unto in mezzo ai suoi fratelli. — 1Sa 15:34–16:13.
In seguito, dopo che il re Saul aveva attentato più volte alla sua vita, Davide si rifugiò da Samuele a
Rama. I due si recarono poi a Naiot, e Davide vi rimase finché Saul non venne personalmente a cercarlo.
(1Sa 19:18–20:1) A motivo di Saul, Davide aveva ancora una libertà limitata quando “Samuele morì; e
tutto Israele si radunava e faceva lamento per lui e lo seppelliva nella sua casa a Rama”. (1Sa 25:1)
Quindi Samuele, approvato servitore di Geova Dio, morì dopo una vita di fedele servizio. (Sl 99:6; Ger
15:1; Eb 11:32) Egli aveva manifestato perseveranza nell’assolvere il suo incarico (1Sa 16:6, 11),
devozione per la vera adorazione (1Sa 7:3-6), onestà nei rapporti con gli altri (1Sa 12:3) e coraggio e
fermezza nell’annunciare e sostenere i giudizi e le decisioni di Geova (1Sa 10:24; 13:13; 15:32, 33).
Circa la richiesta di Saul che la medium di En-Dor gli evocasse Samuele, vedi SAUL.

w84 1/2 12-13


Imitate Anna, imitate suo figlio ‘La Parola di Dio è vivente’
SE SEI una giovane madre, è probabile che i tuoi figli vivano in casa con te. Ma guarda Anna e suo figlio
Samuele. Anna lo sta portando al tabernacolo di Geova in Silo. Qui vivono i sacerdoti che servono Dio.
Perché ha portato suo figlio a vivere qui? Non gli vuole bene?
Sì, Anna vuol bene a Samuele. Ma quando era sterile aveva pregato Geova di darle un figlio, e nella
sua preghiera aveva promesso: ‘Lo dovrò dare a Geova per tutti i giorni della sua vita’. (I Samuele 1:10,
11) Questo è ciò che Anna sta facendo. Ha portato Samuele al tabernacolo di Geova perché vi presti
servizio per il resto della sua vita.
Anna sentirà molto la mancanza di Samuele. Ma è pronta a lasciarlo andare perché ama Geova Dio e
sa che lì suo figlio potrà essere impiegato nel servizio di Geova. Se sei un genitore, sei disposto a
lasciare che i tuoi figli siano impiegati nel servizio di Geova?
Crescendo, Samuele ha bisogno di vestiti più grandi. Qui vediamo Anna che gli porta l’ultimo manto
senza maniche che gli ha fatto. E quando ogni anno va a trovarlo, di sicuro incoraggia Samuele a
continuare a servire fedelmente Geova nel suo tabernacolo. (I Samuele 2:18, 19) Quello di Anna che
incoraggia il figlio e lo aiuta a rimanere nel servizio continuo non è forse un ottimo esempio per i genitori
d’oggi?
Ma Samuele è un ottimo esempio per tutti noi. Fu pronto a essere impiegato nel servizio di Dio. Anche
se a volte avrà provato anche lui molta nostalgia di casa e avrà desiderato essere a casa col padre e la
madre, continuò a prestare ininterrottamente servizio nel tabernacolo. La fede di Samuele fu messa alla
prova anche in altri modi, più seri.
Guarda! I figli del sommo sacerdote Eli hanno preso queste ragazze che prestano servizio all’ingresso
del tabernacolo e hanno intenzione di commettere fornicazione con loro! Crescendo, Samuele vede
commettere azioni cattive di questo genere, ma continua a fare ciò che è giusto. (I Samuele 2:22-26)
Saremo senz’altro saggi se imiteremo il suo esempio e non seguiremo la condotta errata di alcuni che
forse sono intorno a noi.

w90 1/8 10-11


Giovani felici che servono Geova
“Anche il fanciullo dà a conoscere con i suoi atti se la sua condotta sarà pura e retta”. — PROVERBI
20:11, Versione Riveduta.
IL GIOVANE Samuele probabilmente non aveva che tre o al massimo cinque anni quando cominciò a
‘servire’ al tabernacolo di Geova a Silo. Uno dei suoi compiti era quello di aprire “le porte della casa di
Geova”. La Bibbia dice che “Samuele andava crescendo e facendosi sempre più gradito sia dal punto di
vista di Geova che da quello degli uomini”. Una volta cresciuto, egli riportò Israele alla vera adorazione.
Servì Dio “per tutti i giorni della sua vita”. Anche quando ‘era divenuto vecchio e aveva i capelli grigi’
continuò a esortare il popolo a ‘temere Geova e servirlo in verità’. Non sarebbe meraviglioso se si
potesse parlare bene di voi allo stesso modo in cui la Bibbia parla bene di Samuele? — 1 Samuele 1:24;
2:18, 26; 3:15; 7:2-4, 15; 12:2, 24.
2 Se siete testimoni di Geova o frequentate le loro adunanze cristiane, guardatevi intorno nella Sala del
Regno quando si studia questo articolo. Vedete persone di tutte le età. Probabilmente alcuni sono già
‘vecchi e con i capelli grigi’. Ci sono anche genitori, giovani, bambini e persino neonati. I più piccoli
imparano di già? Sì. Provate a chiedere a chi è stato portato a tali adunanze sin da piccolo, e vi dirà in
tutta sincerità che sin dai primi anni ha imparato a rispettare Dio, ad amare il suo popolo e ad apprezzare
il luogo in cui egli è adorato. Col tempo, i piccoli imparano verità meravigliose. Molti giovani, una volta
cresciuti in conoscenza e apprezzamento, diventano parte dei ‘giovani e vergini, vecchi e ragazzi’ che il
salmista esortò a ‘lodare il nome di Geova, poiché il suo nome solo è irraggiungibilmente alto’. — Salmo
148:12, 13.
3 Se sei un giovane e i tuoi genitori ti portano regolarmente a queste adunanze, sei particolarmente
benedetto. Molti altri giovani soffrono a causa dei problemi di questo mondo. Alcuni forse temono che
l’uomo distruggerà la terra. Tu sai che Dio non permetterà che questo accada, e non lascerà che gli
uomini continuino a rovinare questo meraviglioso pianeta. Al contrario, la Bibbia spiega che Dio ‘ridurrà in
rovina quelli che rovinano la terra’. Tu sai che la Bibbia promette che è vicino un futuro luminoso nel
giusto nuovo mondo di Dio. — Rivelazione 11:18; Salmo 37:29; 2 Pietro 3:13.

Sansone --- Tema: Salvaguardate la vostra preziosa relazione con Geova PROVERBI 3:5, 6

it-2 862-4
SANSONE [da un termine che significa “sole”].
Uno dei più noti giudici di Israele; figlio di Manoa, danita di Zora. Prima della nascita di Sansone un
angelo apparve a sua madre e le annunciò che avrebbe avuto un figlio che doveva essere nazireo dalla
nascita e doveva “prendere la direttiva per salvare Israele dalla mano dei filistei”. (Gdc 13:1-5, 24; 16:17)
Poiché sarebbe diventato una figura di primo piano nella lotta contro i filistei, Sansone si sarebbe
necessariamente trovato vicino ai cadaveri degli uccisi in battaglia. Perciò la natura stessa del suo
incarico indicava che non era soggetto alla legge che vietava ai nazirei di toccare corpi morti. (Nu 6:2-9)
Si noti inoltre che questa legge si applicava a coloro che facevano volontariamente voto di nazireato; nel
caso di Sansone invece i requisiti validi erano quelli specificamente indicati a sua madre dall’angelo di
Geova.
Appena raggiunta l’età di sposarsi, Sansone chiese ai genitori di prendergli in moglie una certa filistea di
Timna. Questo era in armonia con la direttiva dello spirito di Dio, poiché doveva offrire a Sansone
l’occasione per combattere contro i filistei. (Gdc 13:25–14:4) In seguito, nei pressi di Timna, Sansone
incontrò un leone. Reso potente dallo spirito di Dio, squarciò l’animale in due con le sole mani. Poi
proseguì per Timna, dove parlò con la ragazza filistea che voleva prendere in moglie. — Gdc 14:5-7.
Qualche tempo dopo, Sansone, accompagnato dai genitori, si recò a Timna per portare a casa la
fidanzata. Durante il tragitto lasciò la strada per dare un’occhiata alla carcassa del leone che aveva
ucciso in precedenza e vi trovò dentro uno sciame di api e del miele. Sansone mangiò un po’ del miele e,
raggiunti i genitori, ne offrì anche a loro. Durante il banchetto nuziale fece di questo episodio il soggetto di
un enigma che propose ai 30 filistei che assistevano alle nozze. Ulteriori sviluppi causati dall’enigma
offrirono a Sansone l’occasione di uccidere 30 filistei ad Ascalon. — Gdc 14:8-19.
Sansone ebbe un’altra opportunità ancora di intervenire contro i filistei quando il padre della sua
fidanzata diede la ragazza a un altro uomo e non permise a Sansone di vederla. Servendosi di 300 volpi,
diede fuoco ai campi di grano, alle vigne e agli oliveti dei filistei. Adirati i filistei bruciarono la ragazza e il
padre di lei, poiché le loro perdite erano la conseguenza del trattamento da lui riservato a Sansone. Con
questa azione i filistei diedero una volta di più a Sansone motivo di vendicarsi su di loro. Egli ne uccise
molti, “ammucchiando gambe su cosce”. — Gdc 14:20–15:8.
Per vendicarsi contro Sansone, i filistei si recarono a Lehi. Tremila uomini di Giuda, intimoriti da ciò,
ebbero la meglio su Sansone e lo costrinsero alla resa presso la rupe di Etam, quindi lo legarono con due
funi nuove e lo condussero dai filistei. Esultanti, questi si prepararono ad accogliere Sansone. Ma “lo
spirito di Geova divenne operante su di lui, e le funi che erano sulle sue braccia si fecero come fili di lino
che siano stati bruciati dal fuoco, così che i suoi ceppi si fusero dalle sue mani”. Presa una mascella
d’asino fresca Sansone abbatté mille uomini, poi attribuì questa vittoria a Geova. In quell’occasione
Geova, in risposta alla richiesta di Sansone, provvide miracolosamente acqua per dissetarlo. — Gdc
15:9-19.
Un’altra volta Sansone andò in casa di una prostituta nella città filistea di Gaza. Saputolo, i filistei gli
tesero un’imboscata, con l’intenzione di ucciderlo la mattina. Ma a mezzanotte Sansone si alzò e divelse
la porta della città, i pilastri laterali e la sbarra, e li portò “in cima al monte che è di fronte a Ebron”. (Gdc
16:1-3; vedi GAZA n. 1). Questa fu una grande umiliazione per i filistei, poiché lasciava Gaza indifesa e
alla mercé dei nemici. Il fatto che Sansone fosse in grado di compiere un’impresa così straordinaria
indica che aveva ancora lo spirito di Dio. Ciò dimostra che non era andato in casa della prostituta per
scopi immorali. A questo proposito il commentatore Paulus Cassel osservò: “Sansone non si recò a Gaza
per andare da una meretrice: infatti viene detto che ‘vi andò e lì vide una [prostituta]’. . . . Ma quando volle
trascorrere là [a Gaza] la notte, non c’era per lui, il nemico nazionale, altra alternativa che alloggiare
presso la [prostituta]. . . . La sua permanenza è descritta con un linguaggio non diverso da quello
impiegato a proposito della sosta delle spie in casa di Raab. Le parole, ‘egli la vide’, indicano solo che
quando vide una donna di quel genere, seppe dove poteva trovare riparo per la notte”. (J. P. Lange,
Theologisch-homiletisches Bibelwerk, Das Buch der Richter, 1865, p. 43) Inoltre, si noti, viene detto che
“Sansone continuò a giacere fino a mezzanotte” e non che ‘Sansone continuò a giacere con lei fino a
mezzanotte’.
Andando in territorio nemico, Sansone dimostrò la sua intrepidezza. Può darsi che fosse andato a Gaza
per ‘cercare un’opportunità contro i filistei’, come era avvenuto in precedenza quando aveva cercato
moglie fra loro. (Gdc 14:4) In tal caso, a quanto pare Sansone intendeva trasformare qualsiasi azione
rivolta contro di lui in un’occasione per colpire i filistei.
Tradito da Dalila. Dopo questo episodio Sansone si innamorò di Dalila. (Vedi DALILA). Per interesse
materiale essa cercò di scoprire il segreto della forza di Sansone. Tre volte egli le diede risposte
fuorvianti. Ma a motivo della fastidiosa insistenza di lei, alla fine cedette e le rivelò che la sua forza
derivava dal fatto che era nazireo dalla nascita. Dalila allora si mise in contatto con i filistei per
consegnarlo loro e ricevere la ricompensa. Mentre Sansone dormiva sulle sue ginocchia, Dalila gli fece
radere i capelli. Al suo risveglio, egli non aveva più lo spirito di Geova, poiché si era lasciato attirare in
una situazione che provocò l’interruzione del suo nazireato. La sua forza non dipendeva dai capelli stessi,
ma da ciò che rappresentavano, cioè la speciale relazione che Sansone aveva con Geova in qualità di
nazireo. Interrotta quella relazione, Sansone non era diverso da qualsiasi altro uomo. Perciò i filistei lo
poterono accecare, legare con ceppi di rame e costringere a far girare la macina nella prigione. — Gdc
16:4-21.
Mentre Sansone languiva in prigione i filistei disposero di tenere un grande sacrificio in onore del loro
dio Dagon, a cui attribuivano il merito di aver catturato Sansone. In gran numero, inclusi tutti i signori
dell’asse, si radunarono nella casa usata per l’adorazione di Dagon. Solo sul tetto c’erano 3.000 uomini e
donne. Gli allegri filistei fecero condurre fuori della prigione Sansone, i cui capelli nel frattempo erano
ricresciuti, perché contribuisse al loro divertimento. Giunto sul posto Sansone chiese al ragazzo che lo
accompagnava di lasciargli toccare le colonne che sostenevano l’edificio. Quindi pregò Geova: “Ricordati
di me, ti prego, e rafforzami, ti prego, solo questa volta, o tu, il vero Dio, e lascia che mi vendichi sui
filistei con la vendetta per uno dei miei due occhi”. (Gdc 16:22-28) Può darsi che abbia pregato per
vendicarsi di uno soltanto dei suoi occhi riconoscendo che la loro perdita era dovuta in parte al suo
stesso errore. O può darsi che ritenesse impossibile vendicarsi completamente quale rappresentante di
Geova.
Sansone si appoggiò alle due colonne di sostegno e “si curvò con potenza”, facendo crollare la casa.
Questo provocò la sua stessa morte e quella di più filistei di quanti egli non ne avesse uccisi in tutta la
sua vita. I parenti lo seppellirono “fra Zora ed Estaol nel luogo di sepoltura di Manoa suo padre”. Quindi
Sansone morì fedele a Geova dopo avere giudicato Israele per 20 anni. Perciò il suo nome viene
giustamente menzionato insieme a quello di uomini che, grazie alla fede, furono resi potenti. — Gdc
15:20; 16:29-31; Eb 11:32-34.

W 67 pag. 453 - 468

Sara --- Tema: La bellezza di una moglie timorata di Dio 1PIETRO 3:3-6

it-2 882-3
SARA [principessa], Sarai (Sarài) [forse, litigiosa].
Sorellastra e moglie di Abraamo e madre di Isacco. (Ge 11:29; 20:12; Isa 51:2) In origine si chiamava
Sarai. (Ge 17:15) Aveva dieci anni meno di Abraamo (Ge 17:17) e lo sposò quando vivevano nella città
caldea di Ur. (Ge 11:28, 29) Rimase sterile finché le sue facoltà procreative furono miracolosamente
ravvivate dopo che aveva già smesso di avere le mestruazioni. — Ge 18:11; Ro 4:19; Eb 11:11.
È possibile che Sara fosse sulla sessantina quando partì da Ur insieme ad Abraamo e si stabilirono ad
Haran. A 65 anni accompagnò il marito da Haran al paese di Canaan (Ge 12:4, 5), dove rimasero per
qualche tempo a Sichem, nella regione montagnosa a E di Betel e in varie altre località, prima che una
carestia li costringesse ad andare in Egitto. — Ge 12:6-10.
Benché avanti negli anni, Sara era molto bella. Perciò Abraamo in precedenza le aveva chiesto che,
qualora fosse stato necessario nel corso dei loro viaggi, dicesse che era suo fratello, affinché altri non lo
uccidessero per prendersi lei. (Ge 20:13) Per questo in Egitto Sara fu condotta nella casa del faraone
dietro raccomandazione dei suoi principi. Ma l’intervento di Dio impedì che il faraone la violasse. Egli
restituì quindi Sara ad Abraamo, ordinando loro di lasciare il paese. Inoltre provvide un salvacondotto per
Abraamo e per tutto ciò che aveva. — Ge 12:11-20.
Degno di nota è il fatto che un antico papiro menziona un faraone che ordinò ai suoi uomini di acciuffare
una donna attraente e uccidere suo marito. Quindi il timore di Abraamo di essere ucciso a motivo di Sara
non era infondato. Invece di mettere in pericolo la propria vita nel vano tentativo di salvare l’onore della
moglie in un paese straniero, Abraamo seguì quella che gli parve la condotta più sicura. Si ricordi che
Sara, in quanto moglie, era proprietà di Abraamo. Sara fu felice di servire Geova e Abraamo in questo
modo. Le Scritture non rimproverano mai questa azione ad Abraamo.
Dieci anni dopo essere giunti per la prima volta in Canaan, Sara, ormai 75enne, volle che Abraamo
avesse rapporti con la propria schiava egiziana Agar per avere figli da lei. (Ge 16:1-3) Le difficoltà che ne
derivarono dimostrarono che non era così che Geova intendeva adempiere la promessa del “seme” fatta
in precedenza ad Abraamo. (Ge 15:1-16) Resasi conto di essere incinta, Agar cominciò a disprezzare la
sua padrona. Quando Sara si lamentò, Abraamo concesse alla moglie piena autorità di trattare Agar
come sua schiava. Umiliata da Sara, Agar fuggì via dalla padrona; comunque ritornò ubbidendo al
comando di Dio, dopo di che diede alla luce Ismaele. — Ge 16:4-16.
Circa 13 anni dopo la nascita di Ismaele, quando Abraamo ricevette da Dio il comando di circoncidere
tutti i maschi della sua casa, gli venne detto anche di non chiamare più sua moglie “Sarai”, ma “Sara”,
che significa “principessa”. A proposito di Sara, Dio disse: “Certamente la benedirò e anche ti darò da lei
un figlio; e certamente la benedirò ed essa diverrà nazioni; re di popoli verranno da lei”. (Ge 17:9-27) Non
molto tempo dopo, a Mamre, uno dei tre visitatori angelici confermò che Sara avrebbe dato alla luce un
figlio. Udito ciò, “Sara rideva dentro di sé, dicendo: ‘Dopo essermi consumata, avrò realmente piacere,
essendo per di più vecchio il mio signore?’” Rimproverata per aver riso, Sara intimorita negò di averlo
fatto. (Ge 18:1-15; Ro 9:9) Dal momento che Sara è menzionata in Ebrei 11:11 come un esempio di fede,
evidentemente il suo ridere non era un’espressione di completa incredulità, ma indicava semplicemente
che l’idea di avere un figlio in tarda età a quanto pare le sembrava un po’ umoristica. Il fatto che Sara
riconosceva (dentro di sé) Abraamo quale suo signore era segno della sua ubbidienza e sottomissione al
proprio marito e capo, ed essa è un esempio per le mogli cristiane. — 1Pt 3:5, 6.
Sara e suo marito si trasferirono a Gherar. Come in precedenza, Abraamo presentò la moglie come sua
sorella. Quindi il re di Gherar, Abimelec, prese Sara. Ancora una volta l’intervento di Geova evitò che
fosse violata. Restituendo Sara ad Abraamo, Abimelec gli diede bestiame e servi e serve, forse come
compenso per averlo temporaneamente privato della moglie. Inoltre diede ad Abraamo mille pezzi
d’argento (ca. 3.420.000 lire). Questi pezzi d’argento dovevano dimostrare che Sara era una donna
virtuosa a cui non si poteva rimproverare nulla. — Ge 20.
A 90 anni Sara ebbe la gioia di dare alla luce Isacco. Allora esclamò: “Dio ha preparato per me di che
ridere: chiunque lo udrà riderà di me”. Questo ridere era evidentemente dovuto al piacere e alla sorpresa
per la nascita del bambino. Sara allattò il figlio per cinque anni circa. Quando alla fine Isacco fu svezzato,
Abraamo fece una gran festa. In quell’occasione Sara osservò che Ismaele, il figlio di Agar, che ormai
aveva circa 19 anni, “si prendeva gioco” di Isacco o scherzava con lui in modo insolente. Temendo, pare,
per il futuro di suo figlio Isacco, Sara chiese ad Abraamo di allontanare Agar e Ismaele. Abraamo lo fece,
dopo aver avuto l’approvazione di Dio. — Ge 21:1-14.
Circa 32 anni dopo Sara morì, all’età di 127 anni, e Abraamo la seppellì “nella caverna del campo di
Macpela”. — Ge 23:1, 19, 20.
Figura in un dramma simbolico. Scrivendo la lettera ai Galati, l’apostolo Paolo spiegò che Sara moglie
di Abraamo rappresentava la “Gerusalemme di sopra”, la madre dei cristiani unti dallo spirito, lo spirituale
“seme” di Abraamo. Come Sara, la “Gerusalemme di sopra”, la simbolica donna di Dio, non è mai stata in
schiavitù e perciò anche i suoi figli sono liberi. Per diventare un libero figlio della “Gerusalemme di sopra”,
e avere ‘la sua libertà’, uno dev’essere liberato dalla schiavitù del peccato dal Figlio di Dio. (Gal 4:22-31;
5:1, nt.). Cristo Gesù disse ai discendenti naturali di Abraamo: “Verissimamente vi dico: Chiunque opera il
peccato è schiavo del peccato. Inoltre, lo schiavo non rimane nella casa per sempre; il figlio rimane per
sempre. Se perciò il Figlio vi rende liberi, sarete realmente liberi”. — Gv 8:34-36; vedi AGAR; DONNA
LIBERA.
w95 1/10 12-13 Dio viene al primo posto nella vostra famiglia?
20 Anche le mogli devono considerare l’esempio di Gesù, che non dimenticò mai che “il capo del Cristo è
Dio”. Egli fu sempre sottomesso al suo Padre celeste. Similmente, le mogli non dovrebbero dimenticare
che “il capo della donna è l’uomo”, sì, che il marito è il loro capo. (1 Corinti 11:3; Efesini 5:23) L’apostolo
Pietro esortò le mogli cristiane a considerare l’esempio delle “sante donne” dell’antichità, specialmente
quello di Sara, che “ubbidiva ad Abraamo, chiamandolo ‘signore’”. — 1 Pietro 3:5, 6.
21 A quanto pare Sara rinunciò a una casa comoda in una città prospera per vivere in tende in un paese
straniero. Perché? Forse perché preferiva quel tipo di vita? Probabilmente no. O forse perché il marito le
aveva chiesto di andare là? Sicuramente questo fu uno dei fattori, dato che Sara amava Abraamo e lo
rispettava per le sue sante qualità. (Genesi 18:12) Ma la ragione principale per cui andò con il marito fu
l’amore per Geova e il sincero desiderio di seguire la guida divina. (Genesi 12:1) Provava diletto
nell’ubbidire a Dio. La moglie di Lot, invece, esitò a fare la volontà di Dio e così guardò indietro con
rimpianto alle cose che aveva lasciato a Sodoma, la sua città. (Genesi 19:15, 25, 26; Luca 17:32) Che
tragico epilogo ebbe quel matrimonio, tutto a causa della sua disubbidienza a Dio!
22 Perciò, sia che siate mariti o mogli, è essenziale che vi chiediate: ‘Dio viene al primo posto nella nostra
famiglia? Mi sforzo veramente di assolvere nella famiglia il ruolo che Dio mi ha affidato? Mi sforzo
sinceramente di amare il mio coniuge e di aiutarlo a stringere o a mantenere una buona relazione con
Geova?’ Nella maggioranza delle famiglie ci sono anche i figli. Nel prossimo articolo analizzeremo il ruolo
dei genitori e la necessità che sia loro che i figli mettano Dio al primo posto.

[Figura a pagina 10]


In che modo Sara contribuì alla riuscita del suo matrimonio?

Saul --- Tema: Il potere distruttivo dell’invidia e della presunzione PROVERBI 21:24

it-2 891-3
SAUL (Sàul) [chiesto [a Dio]].
Beniaminita discendente di Ieiel (presumibilmente chiamato anche Abiel) tramite Ner e Chis (1Cr 8:29-33;
9:35-39; vedi ABIEL n. 1); primo re di Israele scelto da Dio. (1Sa 9:15, 16; 10:1) Saul era di famiglia ricca.
Era un bell’uomo, dotato di grande forza fisica e agilità, e i suoi connazionali non gli arrivavano neanche
alla spalla. (1Sa 9:1, 2; 2Sa 1:23) Il nome di sua moglie era Ahinoam. Saul ebbe almeno sette figli:
Gionatan, Isvi, Malchi-Sua, Abinadab, Is-Boset (Esbaal), Armoni e Mefiboset, e due figlie, Merab e Mical.
Abner, evidentemente zio del re Saul (vedi ABNER), era comandante dell’esercito israelita. — 1Sa 14:49,
50; 2Sa 2:8; 21:8; 1Cr 8:33.
Saul crebbe in un’epoca turbolenta della storia d’Israele. L’oppressione filistea aveva ridotto la nazione
in uno stato di impotenza militare (1Sa 9:16; 13:19, 20), e gli ammoniti sotto il re Naas erano una
costante minaccia. (1Sa 12:12) A differenza di Samuele che aveva sempre giudicato fedelmente Israele, i
suoi figli pervertivano la giustizia. (1Sa 8:1-3) Considerando la situazione da un punto di vista umano e,
perciò, non tenendo conto della capacità di Geova di proteggere il suo popolo, gli anziani di Israele
rivolsero a Samuele la richiesta che nominasse su di loro un re. — 1Sa 8:4, 5.
Unto re. Allora Geova fece in modo che si presentasse l’occasione di ungere Saul quale re. Insieme al
suo servitore, Saul cercava le asine smarrite del padre. Poiché la ricerca risultò vana, egli decise di
tornare a casa. Ma il servitore suggerì di chiedere l’aiuto dell’“uomo di Dio”, che si trovava in una città
vicina. Questo portò all’incontro di Saul con Samuele. (1Sa 9:3-19) Nella sua prima conversazione con
Samuele, Saul mostrò di essere un uomo modesto. (1Sa 9:20, 21) Dopo aver consumato un pasto
sacrificale insieme a Saul, Samuele continuò a parlare con lui. L’indomani mattina Samuele unse Saul
quale re. A conferma del fatto che Dio era con Saul, Samuele gli diede tre segni profetici, che si
adempirono tutti quel giorno. — 1Sa 9:22–10:16.
In seguito, a Mizpa, quando venne scelto a sorte quale re (1Sa 10:20, 21, CEI, VR), Saul timidamente si
nascose fra il bagaglio. Trovato, fu presentato al popolo che espresse la sua approvazione gridando:
“Viva il re!” Scortato da uomini valorosi, Saul tornò a Ghibea. Per quanto uomini buoni a nulla parlassero
di lui in tono denigratorio e lo disprezzassero, Saul rimase in silenzio. — 1Sa 10:17-27.
Prime vittorie. Circa un mese dopo (secondo la lezione della Settanta greca e del Rotolo del Mar Morto
4QSama in 1Sa 10:27b) Naas re di Ammon chiese la resa di Iabes di Galaad. (Vedi NAAS n. 1). Quando
alcuni messaggeri portarono la notizia a Saul, lo spirito di Dio divenne operante su di lui. Saul radunò
subito un esercito di 330.000 uomini e lo guidò alla vittoria. Questo rafforzò la sua posizione di re, e il
popolo richiese che coloro che avevano parlato contro di lui fossero messi a morte. Ma Saul,
riconoscendo che era stato Geova a concedere la vittoria, non acconsentì. In seguito, a Ghilgal, il potere
regale di Saul fu nuovamente confermato. — 1Sa 11:1-15.
Quindi Saul si accinse a infrangere la dominazione filistea su Israele. Scelse 3.000 israeliti, 2.000
comandati da lui stesso e gli altri da suo figlio Gionatan. Agendo evidentemente sotto la direttiva del
padre, “Gionatan abbatté la guarnigione dei filistei che era a Gheba”. Per rappresaglia i filistei radunarono
un potente esercito e si accamparono a Micmas. — 1Sa 13:3, 5.
Pecca per presunzione. Frattanto Saul si era ritirato da Micmas a Ghilgal nella valle del Giordano. Là
attese per sette giorni Samuele. Ma Samuele non venne al tempo stabilito. Temendo che il nemico
potesse piombare su di lui mentre non si era assicurato l’aiuto di Geova e che un ulteriore ritardo gli
facesse perdere il suo esercito, Saul ‘si fece forza’ e offrì il sacrificio bruciato. Samuele al suo arrivo
condannò ‘l’azione stolta’ di Saul, un’azione peccaminosa. Evidentemente il peccato di Saul consisté
nell’offrire presuntuosamente il sacrificio senza ubbidire al comando di Geova, impartito per mezzo del
suo rappresentante, Samuele, di attendere che questi offrisse il sacrificio. (Cfr. 1Sa 10:8). A motivo di
questa azione il regno di Saul non sarebbe durato. — 1Sa 13:1-14.
Nel corso della campagna contro i filistei, Saul maledisse chiunque avesse preso cibo prima che fosse
stata fatta vendetta sul nemico. Quel giuramento sconsiderato ebbe terribili conseguenze. Gli israeliti si
stancarono e anche se ebbero la meglio sui filistei la loro vittoria non fu grande come avrebbe potuto
essere. Affamati, essi non attesero che il sangue degli animali scannati scolasse, violando così la legge
di Dio sulla santità del sangue. Non avendo udito il giuramento del padre, Gionatan mangiò del miele.
Saul perciò lo condannò a morte. Ma il popolo redense Gionatan, poiché per mezzo suo Israele aveva
riportato la vittoria. — 1Sa 14:1-45.
Rigettato da Dio. Tutto il regno di Saul fu contrassegnato da un susseguirsi di combattimenti contro i
filistei e altri popoli, fra cui moabiti, ammoniti, edomiti e amalechiti. (1Sa 14:47, 48, 52) Nella guerra
contro gli amalechiti Saul trasgredì al comando di Geova risparmiando il meglio dei loro greggi e delle
loro mandrie e anche il loro re, Agag. Quando gli fu chiesto perché non avesse ubbidito alla voce di
Geova, Saul si dichiarò innocente e incolpò il popolo. Solo dopo che Samuele ebbe sottolineato la gravità
del peccato ed ebbe detto che, a motivo di ciò, Geova lo rigettava come re, Saul riconobbe che il suo
errore era dovuto al fatto che aveva avuto timore del popolo. Avendo Saul supplicato Samuele di onorarlo
di fronte agli anziani e di fronte a Israele accompagnandolo, Samuele si presentò insieme a lui. Quindi
Samuele stesso mise a morte Agag. Dopo di che si separò da Saul ed essi non ebbero altri contatti. —
1Sa 15:1-35.
Dopo ciò e dopo l’unzione di Davide quale futuro re d’Israele lo spirito di Geova abbandonò Saul. Da
allora in poi “lo terrorizzò uno spirito cattivo da parte di Geova”. Avendo ritirato il suo spirito da Saul,
Geova rese possibile che un cattivo spirito si impossessasse di lui, privandolo della pace mentale ed
eccitando in modo sbagliato i suoi sentimenti, i suoi pensieri e la sua immaginazione. Non ubbidendo a
Geova, Saul mostrò una cattiva inclinazione di mente e di cuore, contro la quale lo spirito di Dio non gli
offriva alcuna protezione o forza di resistere. Ma dal momento che Geova aveva permesso che lo “spirito
cattivo” prendesse il posto del Suo spirito e terrorizzasse Saul, si poteva definirlo uno “spirito cattivo da
parte di Geova”, tanto che i servitori di Saul ne parlavano come dello “spirito cattivo di Dio”. Dietro
consiglio di uno dei suoi servitori, Saul chiese che Davide divenisse musicista di corte e lo calmasse
quando era turbato dallo “spirito cattivo”. — 1Sa 16:14-23; 17:15.
Contatti con Davide. Di nuovo i filistei minacciavano la sicurezza di Israele. Mentre questi erano
accampati da una parte del bassopiano di Ela e l’esercito del re Saul dalla parte opposta, Golia, per 40
giorni, mattina e sera, uscì dall’accampamento filisteo e sfidò Israele a trovare un uomo disposto a
cimentarsi con lui in duello. Il re Saul promise che avrebbe stretto un’alleanza matrimoniale con qualsiasi
israelita capace di abbattere Golia e che lo avrebbe anche reso ricco. Inoltre la casa del padre del
vincitore sarebbe stata ‘resa libera’, probabilmente esentata dal pagamento delle tasse e dal servizio
obbligatorio. (Cfr. 1Sa 8:11-17). Quando Davide arrivò sul posto con provviste di viveri per i suoi fratelli e
con certe porzioni per il capo di migliaia (forse il comandante agli ordini del quale prestavano servizio i
fratelli di Davide), le sue domande diedero a quanto pare l’impressione che volesse accettare la sfida.
Perciò fu condotto da Saul e in seguito riportò la vittoria su Golia. — 1Sa 17:1-58.
Diventa nemico di Davide. Allora Saul affidò a Davide il comando degli uomini di guerra, col risultato
che si inneggiò a Davide più che al re stesso. Perciò Saul cominciò a vedere Davide con sospetto e odio
alimentato dall’invidia. In un’occasione, mentre Davide suonava l’arpa, Saul ‘cominciò a comportarsi
come un profeta’. Non che cominciasse a pronunciare profezie, ma evidentemente manifestò una
particolare commozione e un turbamento fisico simile a quello di un profeta prima di profetizzare o nel
profetizzare. In preda a quell’insolito turbamento, Saul due volte scagliò una lancia contro Davide. Falliti i
suoi tentativi di inchiodarlo al muro, Saul acconsentì poi a dargli sua figlia Mical in sposa se gli avesse
portato i prepuzi di cento filistei. L’intento di Saul nel fare questa offerta era che Davide morisse per mano
loro. Il piano fallì perché Davide presentò non 100 ma 200 prepuzi per stringere un’alleanza matrimoniale
con Saul. Il timore e l’odio del re nei confronti di Davide si intensificarono. Con il figlio Gionatan e con tutti
i suoi servitori Saul parlava del suo desiderio di mettere a morte Davide. In seguito all’intercessione di
Gionatan, Saul promise di non uccidere Davide. Tuttavia questi fu costretto a fuggire per mettersi in
salvo, poiché Saul per la terza volta scagliò contro di lui una lancia. Saul fece persino sorvegliare la casa
di Davide da messaggeri e comandò che fosse messo a morte la mattina. — 1Sa 18:1–19:11.
Quella notte Davide fuggì da una finestra della sua casa e corse a Rama, dove risiedeva Samuele. Poi
insieme a Samuele si stabilì a Naiot. Quando ne ebbe notizia, Saul inviò messaggeri a prendere Davide.
Ma, una volta arrivati, essi “si comportavano da profeti”. Evidentemente lo spirito di Dio operava su di loro
in modo tale che dimenticarono completamente lo scopo della loro missione. Quando la stessa cosa
accadde anche ad altri due gruppi di messaggeri inviati da lui, Saul si recò personalmente a Rama. Egli
pure venne a trovarsi sotto il potere dello spirito di Dio, e ciò per parecchio tempo, cosa che
evidentemente diede a Davide la possibilità di fuggire. — 1Sa 19:12–20:1; vedi PROFETA (Nomina e
ispirazione).
Davide risparmia la vita a Saul, l’unto di Dio. Dopo questi vani tentativi di sopprimere Davide,
Gionatan per la seconda volta parlò in suo favore. Ma Saul si adirò al punto di scagliare una lancia contro
il proprio figlio. (1Sa 20:1-33) Da quel momento in poi Saul inseguì Davide senza posa. Saputo che il
sommo sacerdote Ahimelec aveva aiutato Davide, Saul ordinò che lui e gli altri sacerdoti fossero messi a
morte. (1Sa 22:6-19) Poi decise di attaccare la città giudea di Cheila perché Davide era là, ma rinunciò
all’impresa quando Davide fuggì. Saul continuò a dargli la caccia, inseguendolo nelle regioni desertiche.
Tuttavia un’incursione filistea interruppe l’inseguimento e permise a Davide di rifugiarsi nel deserto di En-
Ghedi. Due volte Saul venne a trovarsi in una situazione in cui Davide avrebbe potuto ucciderlo. Ma
Davide rifiutò di stendere la mano contro l’unto di Geova. La seconda volta Saul, saputo che Davide si
era trattenuto dall’ucciderlo, promise perfino di non fargli del male. Ma non era una promessa sincera,
perché abbandonò l’inseguimento solo quando seppe che Davide era fuggito nella città filistea di Gat. —
1Sa 23:10–24:22; 26:1–27:1, 4.
Saul ricorre allo spiritismo. Un anno o due dopo (1Sa 29:3) i filistei mossero contro Saul. Privo dello
spirito e della guida di Geova, e abbandonato in un disapprovato stato mentale, egli ricorse allo
spiritismo, trasgressione che prevedeva la condanna a morte. (Le 20:6) Saul, travestito, andò da una
medium a En-Dor e le chiese di evocargli il defunto Samuele. Dalla descrizione che la medium fece di ciò
che vedeva, Saul concluse che si trattasse di Samuele. Ma si noti che Geova non aveva risposto quando
Saul lo interrogava e ovviamente non lo fece mediante una pratica condannata dalla Sua legge, per la
quale era prevista la pena capitale. (Le 20:27) Perciò quello che la donna disse doveva avere origine
demonica. Il messaggio non recò alcun conforto a Saul, anzi lo riempì di timore. — 1Sa 28:4-25; vedi
SPIRITISMO.
Morte di Saul. Nel successivo conflitto con i filistei, Saul fu gravemente ferito sul monte Ghilboa e tre
suoi figli rimasero uccisi. Poiché il suo scudiero rifiutò di metterlo a morte, Saul si gettò sulla propria
spada. (1Sa 31:1-7) Circa tre giorni dopo un giovane amalechita andò da Davide vantandosi di aver
messo a morte il re ferito. Questa era una menzogna, che nelle sue intenzioni doveva servire a
procurargli il favore di Davide. Davide invece comandò che l’uomo fosse messo a morte in base alla sua
affermazione, perché Saul era stato l’unto di Geova. — 2Sa 1:1-15.
Intanto i filistei avevano fissato i cadaveri di Saul e dei suoi tre figli alle mura di Bet-San. Coraggiosi
uomini di Iabes-Galaad ricuperarono però i corpi, li bruciarono e poi seppellirono le ossa. — 1Sa 31:8-13.
Anni dopo, durante il regno di Davide, la colpa del sangue in cui erano incorsi Saul e la sua casa in
relazione ai gabaoniti fu vendicata con l’uccisione di sette suoi discendenti. — 2Sa 21:1-9.

w84 15/6 10-11


Guardatevi dalla presunzione!
CHI non vorrebbe evitare di commettere sbagli? Possono essere piuttosto imbarazzanti, spesso costosi e
davvero incresciosi! Vogliamo evitare di commettere deplorevoli errori? Allora dobbiamo stare attenti a
una caratteristica che facilmente porta a compierne. Dobbiamo guardarci dalla presunzione!
Cos’è la presunzione? È l’“opinione esagerata di chi pretende di sapere o fare quello che non sa e non
può fare”. A volte può riferirsi all’assumere senza autorizzazione certe prerogative o privilegi, o varcare
determinati limiti. La presunzione induce la persona ad agire di testa propria senza accettare consigli o
correzione.
Ma chi sono i presuntuosi? Sono solo quelli palesemente malvagi? Chi ha realmente bisogno di
guardarsi dalla presunzione?
Persecutori presuntuosi
Fra gli uomini più presuntuosi ci sono i persecutori del popolo di Dio. Pretendono che si ubbidisca a loro
anziché a Geova. Si potrebbe essere più presuntuosi?
Un’antica potenza mondiale, Babilonia, era colpevole di siffatta presunzione. Perciò, mediante i suoi
profeti, Dio sentenziò la disfatta di Babilonia. “Effettivamente farò cessare l’orgoglio dei presuntuosi, e
abbasserò la superbia dei tiranni”, dichiarò Dio. E leggiamo: “‘Ecco, io sono contro di te, o Presunzione’,
è l’espressione del Sovrano Signore, Geova degli eserciti, ‘poiché deve venire il tuo giorno, il tempo in cui
ti dovrò prestare attenzione’”. — Isaia 13:11; Geremia 50:31.
Nei tempi moderni, molti persecutori altrettanto presuntuosi si sono scagliati contro i testimoni di Geova.
Ma questi persecutori arroganti non l’hanno fatta franca. Dove sono oggi persecutori presuntuosi come il
nazista Adolf Hitler e il famigerato Duplessis del Canada?
Avvertimenti del passato
Ma, oltre ai persecutori del popolo di Dio, ci sono altri che caddero nel laccio della presunzione. Come fu
evidente questo nel caso di Saul, il primo re umano delle dodici tribù dell’antico Israele! All’inizio, quando
fu scelto, era un uomo modesto. Infatti, quando doveva essere presentato agli israeliti come loro re, andò
a nascondersi. (I Samuele 10:17-24) Col tempo, però, il grande onore di cui godeva portò Saul a
prendersi troppo sul serio. Il risultato? Commise un atto di presunzione dopo l’altro.
La prima volta fu durante la guerra contro i filistei. Il profeta Samuele aveva disposto di incontrare Saul
in un determinato tempo per offrire un sacrificio a Geova. Ma quando la situazione sembrò farsi
disperata, e Samuele non si vedeva, Saul stesso offrì presuntuosamente il sacrificio. Con quali
conseguenze? Ebbene gli fu detto che il suo atto di presunzione gli sarebbe costato il regno! — I
Samuele 13:5-14.
Qualche tempo dopo, Geova comandò a Saul di vendicare il vile attacco che gli amalechiti avevano
sferrato contro gli israeliti quando questi erano nel deserto. Saul doveva sterminare Amalec, ma per
avidità risparmiò il meglio dei greggi e delle mandrie degli amalechiti, asserendo poi che intendeva
riservare questi animali per fare sacrifici. Risparmiò anche il re amalechita Agag. A causa di questa
condotta presuntuosa, Samuele disse a Saul: “Giacché tu hai [presuntuosamente] rigettato la parola di
Geova, egli rigetta pertanto te dall’esser re”. (I Samuele 15:1-23) Che prezzo dovette pagare per la sua
presunzione!
Un altro esempio ammonitore è quello del presuntuoso re Uzzia, o Azaria. Egli cercò indebitamente di
offrire incenso nel tempio di Geova. Con quale risultato? Per il suo atto di presunzione, Uzzia fu colpito
dalla temibile lebbra! Sì, “Geova piagò il re, ed egli continuò ad esser lebbroso fino al giorno della sua
morte”. (II Re 15:5; II Cronache 26:16-23) Che avvertimento a guardarsi dalla presunzione!
Seguite i precetti scritturali
Nel passato, persecutori del popolo di Geova, e persino certi individui dedicati a Dio, sono caduti nel
laccio della presunzione. Ma che dire di noi oggi? Il pericolo di divenire presuntuosi esiste ancora. A
causa delle peccaminose tendenze ereditate, delle tentazioni di questo mondo malvagio e dei “disegni” di
Satana il Diavolo, dobbiamo tutti guardarci dall’agire presuntuosamente. — II Corinti 2:11; Salmo 51:5; I
Giovanni 2:15-17.
Mediante la sua Parola Geova Dio ci avverte amorevolmente circa i pericoli della presunzione. Per
esempio, si legge: “È venuta la presunzione? Quindi verrà il disonore; ma la sapienza è coi modesti”.
(Proverbi 11:2) Comprendendo quanto fosse dannosa la presunzione, il re Davide pregò saggiamente:
“Dagli atti presuntuosi trattieni il tuo servitore; non mi dominino. In tal caso . . . sarò rimasto innocente da
molta trasgressione”. — Salmo 19:13.

L’orgoglio alimenta la presunzione


Se vogliamo evitare la presunzione, dobbiamo tener lontano l’orgoglio. Ricorderete che all’inizio Saul,
quando fu scelto come re d’Israele, era modesto. Ma non rimase tale. Agì presuntuosamente in varie
occasioni. Comunque, in almeno una di esse fu l’orgoglio a fargli commettere un atto presuntuoso e
malvagio.
In un’occasione Saul udì le donne di Israele cantare: “Saul ha abbattuto le sue migliaia, e Davide le sue
decine di migliaia”. Questo ferì a tal punto l’orgoglio di Saul che egli cominciò a guardare Davide con
sospetto e invidia. Si mise addirittura a dar la caccia a Davide, con l’intenzione di ucciderlo. Preso
dall’orgoglio e dall’ira, Saul arrivò a sterminare ottantacinque sacerdoti e gli uomini, le donne e i bambini
di Nob, tutto perché uno di loro si era mostrato amico di Davide. — I Samuele 18:6-9; 21:1-10; 22:16-19.
Continuando a comportarsi con orgoglio e presunzione, Saul infine si suicidò. (I Samuele 31:4) Che
tragica fine per un uomo che un tempo era stato modesto!
Evitiamo la condotta presuntuosa di Saul e di Uzzia. Prendiamo a cuore i consigli scritturali e impariamo
dagli esempi ammonitori contenuti nella Parola di Dio. (Romani 15:4) Inoltre, coltiviamo saggiamente la
qualità della modestia, che sarà trattata negli articoli che seguono. Questa santa qualità ci aiuterà a
evitare quell’orgogliosa e peccaminosa caratteristica che è la presunzione.

W 99 1/2 pag. 3-7

Seba (n.1) Tema: Chi istiga altri a fare il male raccoglie ciò che semina GALATI 6:7
it-2 913-4
SEBA
1. Beniaminita figlio di Bicri che perse la vita in una rivolta contro Davide. (2Sa 20:1, 2) Mentre Davide
tornava a Gerusalemme dopo la ribellione di Absalom, Seba, “un uomo buono a nulla”, si rese conto
dell’animosità di dieci tribù nei confronti degli uomini di Giuda, la tribù di Davide. (2Sa 19:40-43) Seba
alimentò quell’ostilità, dicendo che le altre tribù non avevano “parte in Davide” e incalzando: “Ognuno ai
suoi dèi”! Gli uomini di Giuda rimasero fedeli al re, ma “tutti gli uomini d’Israele” abbandonarono Davide
per seguire Seba. Un motivo di questa ribellione poteva essere quello di ridare alla tribù di Beniamino
parte dell’importanza che aveva avuto sotto Saul.
Davide disse al suo generale, Amasa, di radunare entro tre giorni gli uomini di Giuda per combattere e
così soffocare l’insurrezione di Seba. Quando Amasa non si presentò in tempo, il re mandò Abisai a
inseguire Seba in fuga (sembra però che Gioab fratello di Abisai abbia assunto il comando durante
l’inseguimento). Seba e i suoi parenti che lo sostenevano fuggirono a N fino ad Abel-Bet-Maaca, città
fortificata di Neftali. Gli inseguitori cinsero d’assedio la città e cominciarono a scalzarne le mura. Allora
una donna saggia della città si rivolse a Gioab chiedendo la pace. Gioab replicò che l’esercito si sarebbe
ritirato se la città avesse consegnato il ribelle Seba. Udito ciò, gli abitanti della città tagliarono la testa a
Seba e la gettarono a Gioab dalle mura della città. — 2Sa 20:1-8, 13-22.

Sennacherib --- Tema: Geova libera il suo popolo SALMO 34:7 SALMO 34:19 SALMO 97:10
it-2 934-6
SENNACHERIB
(Sennàcherib) [da un termine accadico che significa “Sin (il dio-luna) ha preso per me il posto di fratelli”].
Figlio di Sargon II; re d’Assiria. Ereditò dal padre un impero potente, ma per quasi tutta la durata del suo
regno dovette sedare rivolte, specie nella città di Babilonia.
Durante il regno del padre, Sennacherib a quanto sembra era governatore o generale nel N dell’Assiria.
Dopo la sua ascesa al trono quella regione evidentemente gli diede poche preoccupazioni: le sue
difficoltà venivano più che altro da S e da O. Il caldeo Merodac-Baladan (Isa 39:1) abbandonò il suo
rifugio nell’Elam, dove Sargon, padre di Sennacherib, l’aveva relegato, e si proclamò re di Babilonia.
Sennacherib marciò contro di lui e contro i suoi alleati elamiti, sconfiggendoli a Kish. Merodac-Baladan
riuscì tuttavia a fuggire, e si diede alla macchia per altri tre anni. Sennacherib entrò in Babilonia e mise
sul trono come viceré Bel-ibni. Altre spedizioni punitive furono effettuate in seguito per tenere a bada le
popolazioni delle regioni collinari circostanti l’Assiria.
Poi, in quella che Sennacherib chiama la sua “terza campagna”, mosse contro “Hatti”, nome che in quel
tempo si riferiva evidentemente alla Fenicia e alla Palestina. (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B.
Pritchard, 1974, p. 287) La regione era in uno stato di generale rivolta contro il giogo assiro. Uno di quelli
che avevano rifiutato la sua dominazione era Ezechia re di Giuda (2Re 18:7), anche se non ci sono prove
che si fosse alleato con altri regni in rivolta.
Nel 14° anno del regno di Ezechia (732 a.E.V.) gl i eserciti di Sennacherib avanzarono verso O,
conquistando Sidone, Aczib, Acco e altre città della costa fenicia, e poi si diressero a S. Sono elencati
diversi regni, fra cui quelli di Moab, Edom e Asdod, che intimoriti mandarono un tributo in segno di
sottomissione. La recalcitrante Ascalon fu presa con la forza insieme alle vicine città di Ioppe e Bet-
Dagon. Un’iscrizione assira accusa la popolazione e i nobili della città filistea di Ecron di avere
consegnato il loro re, Padi, a Ezechia, il quale, secondo Sennacherib, “lo teneva in prigione,
illegalmente”. (Ancient Near Eastern Texts, cit., p. 287; cfr. 2Re 18:8). Viene menzionato il fatto che gli
abitanti di Ecron avevano chiesto aiuto all’Egitto e all’Etiopia per evitare o respingere l’attacco assiro.
Secondo la Bibbia fu più o meno a questo punto che Sennacherib attaccò Giuda, assediando ed
espugnando molte città fortificate e villaggi. Ezechia allora mandò un’ambasciata agli assiri a Lachis
offrendosi di pagare qualsiasi tributo Sennacherib avesse imposto. (2Re 18:13, 14) La conquista di
Lachis da parte di Sennacherib è rappresentata in un fregio in cui lo si vede seduto su un trono davanti
alla città vinta, nell’atto di ricevere le spoglie della città mentre alcuni prigionieri vengono torturati.
La Bibbia non dice se il re Padi, ammesso che sia veramente stato prigioniero di Ezechia, venne
rimesso in libertà, ma indica che Ezechia pagò effettivamente il tributo imposto da Sennacherib di 300
talenti d’argento (più di 3.000.000.000 di lire) e 30 talenti d’oro (oltre 16.400.000.000 di lire). (2Re 18:14-
16) A questo punto comunque Sennacherib mandò una delegazione composta da tre funzionari a
intimare al re e alla popolazione di Gerusalemme di arrendersi e quindi di consentire a farsi portare in
esilio. Il messaggio degli assiri era particolarmente sprezzante nei confronti di Ezechia per la fiducia che
questi aveva in Geova. Per mezzo del suo portavoce, Sennacherib si vantò che Geova si sarebbe
mostrato impotente come gli dèi dei paesi che erano già caduti davanti alla potenza assira. — 2Re 18:17-
35.
La delegazione assira era tornata da Sennacherib, che combatteva contro Libna, quando giunse la
notizia “circa Tiraca re d’Etiopia: ‘Ecco, è uscito a combattere contro di te’”. (2Re 19:8, 9) Le iscrizioni di
Sennacherib parlano di una battaglia combattuta a Elteche (ca. 15 km a NNO di Ecron) nella quale egli
afferma di avere sconfitto un contingente egiziano e l’esercito del “re d’Etiopia”. Quindi sono descritti la
conquista di Ecron e il ritorno al trono di Padi, liberato da Sennacherib. — Ancient Near Eastern Texts,
cit., pp. 287, 288.
Geova sconfigge l’esercito di Sennacherib. Benché Sennacherib avesse inviato lettere minacciose per
avvertire Ezechia che non aveva rinunciato al suo proposito di conquistare Gerusalemme, la capitale di
Giuda (Isa 37:9-20), la Bibbia indica che gli assiri ‘non tirarono neanche una freccia né elevarono un
bastione d’assedio contro di essa’. Geova, che Sennacherib aveva schernito, mandò un angelo il quale,
in una sola notte, abbatté “centottantacinquemila [uomini] nel campo degli assiri”, costringendo
Sennacherib a ritirarsi “con la vergogna in faccia al suo proprio paese”. — Isa 37:33-37; 2Cr 32:21.
Le iscrizioni di Sennacherib non fanno menzione della disfatta subita dal suo esercito. Ma, come
osserva Jack Finegan, “dato il tono vanesio che permea le iscrizioni del re assiro, c’è . . . da aspettarci
che Sennacherib non avrebbe raccontato una simile sconfitta”. (Luci del lontano passato, trad. di G.
Cambon, Milano, 1957, p. 182) Tuttavia è interessante notare la versione di Sennacherib, scritta su
quello che è noto come il Prisma di Sennacherib ora conservato nell’Istituto Orientale dell’Università di
Chicago. Egli dice in parte: “In quanto a Ezechia, il giudeo, che non si sottomise al mio giogo, io assediai
46 delle sue città forti, fortezze cinte da mura e innumerevoli villaggi dei dintorni, e (le) conquistai
mediante rampe (di terra) ben battute, e arieti portati (in tal modo) vicino (alle mura, e con) l’attacco di
soldati a piedi, (mediante) gallerie, brecce e anche impiego di genieri. Deportai (da queste) 200.150
persone, giovani e vecchi, maschi e femmine, innumerevoli cavalli, muli, asini, cammelli, bestiame grosso
e minuto, e (li) considerai bottino. Lui stesso [Ezechia] imprigionai a Gerusalemme, la sua residenza
reale, come un uccello in gabbia. . . . Le sue città che avevo saccheggiate, tolsi dal suo territorio e le diedi
a Mitinti, re di Asdod, a Padi, re di Ecron, e a Sillibel, re di Gaza. . . . Ezechia stesso, . . . mi inviò, poi, a
Ninive, mia sfarzosa città, insieme a 30 talenti d’oro, 800 talenti d’argento, pietre preziose, antimonio,
grossi tagli di pietra rossa, divani (intarsiati) d’avorio, sedili-nimedu (intarsiati) d’avorio, pelli di elefante,
ebano, bosso (e) ogni specie di tesori preziosi, le sue (stesse) figlie, concubine, musicisti uomini e donne.
Per pagare il tributo e per rendere omaggio come uno schiavo egli inviò il suo messaggero (personale)”.
— Ancient Near Eastern Texts, cit., p. 288.
Questa versione vanagloriosa gonfia il numero dei talenti d’argento inviati, facendoli salire da 300 a 800,
e senza dubbio fa la stessa cosa con altri particolari del tributo; ma sotto altri aspetti conferma in modo
notevole la narrazione biblica e mostra che Sennacherib non si attribuì la conquista di Gerusalemme. Va
però notato che Sennacherib presenta il pagamento del tributo da parte di Ezechia come se fosse
avvenuto dopo la minaccia assira di assediare Gerusalemme, mentre la Bibbia indica che fu pagato
prima. Un dizionario biblico fa questa osservazione circa la probabile ragione di questa inversione: “La
conclusione di questa campagna di [Sennacherib] è poco chiara. Quello che fece dopo la conquista di
Ecron . . . è ancora un mistero. Nei suoi annali [Sennacherib] colloca a questo punto la punizione da lui
inflitta a Ezechia, l’invasione del paese di Giuda, e il riassetto del territorio e delle città di Giuda.
Quest’ordine degli avvenimenti sembra voler nascondere qualche cosa che preferisce non menzionare”.
(Funk and Wagnalls New Standard Bible Dictionary, 1936, p. 829) La Bibbia spiega che Sennacherib,
dopo la disfatta delle sue truppe determinata da Dio, si affrettò a tornare a Ninive, e quindi il resoconto di
Sennacherib, invertendo l’ordine degli avvenimenti, convenientemente dice che il tributo di Ezechia gli fu
pagato a Ninive per mezzo di un messaggero speciale. È certo significativo il fatto che antichi documenti
e iscrizioni non menzionino altre campagne di Sennacherib in Palestina, benché gli storici sostengano
che regnò per altri 20 anni.
Giuseppe Flavio, storico ebreo del I secolo E.V., sostiene di citare il babilonese Beroso (vissuto, si
pensa, nel III secolo a.E.V.) che avrebbe riportato l’episodio come segue: “Quando Sennacherib tornò a
Gerusalemme dalla sua guerra con l’Egitto, vi trovò l’esercito sotto Rabsache in pericolo per una piaga,
poiché Dio aveva fatto abbattere una pestilenza sul suo esercito, e la prima notte dell’assedio
centottantacinquemila uomini erano periti con i loro comandanti e ufficiali”. (Antichità giudaiche, X, 21 [i,
5]) Alcuni commentatori cercano di spiegare la disfatta citando il resoconto scritto da Erodoto (II, 141) nel
V secolo a.E.V. nel quale egli afferma che “un gran numero di topi di campagna durante la notte
avventatisi contro di loro, ne rosicchiarono le faretre, gli archi e le cinghie degli scudi”, così che non
furono in grado di portare a termine l’invasione dell’Egitto. Questo documento naturalmente non coincide
con la storia biblica, e la descrizione di Erodoto della campagna assira non concorda neanche con le
iscrizioni assire. Comunque gli scritti di Beroso e di Erodoto in effetti ammettono che durante questa
campagna le forze di Sennacherib incontrarono un’improvvisa e calamitosa difficoltà.
I guai di Sennacherib non erano però finiti, e dopo il suo ritorno in Assiria dovette sedare un’altra rivolta
a Babilonia, provocata da Merodac-Baladan. Questa volta Sennacherib costituì il proprio figlio,
Assurnadin-sumi, re di Babilonia. Sei anni dopo Sennacherib si imbarcò in una campagna contro gli
elamiti, ma questi per rappresaglia invasero la Mesopotamia, catturarono Assurnadin-sumi e misero il
proprio re sul trono di Babilonia. Seguirono diversi anni di lotta per il dominio della regione, finché alla fine
Sennacherib adirato si vendicò su Babilonia radendola al suolo, azione senza precedenti visto il ruolo di
Babilonia, “città santa” di tutta la Mesopotamia. I restanti anni del regno di Sennacherib furono a quanto
pare privi di episodi di rilievo.
Sembra che Sennacherib sia morto circa 20 anni dopo la sua campagna contro Gerusalemme. Questa
data è desunta da documenti assiri e babilonesi di dubbia attendibilità. Ad ogni modo va notato che la
Bibbia non dice che Sennacherib sia morto immediatamente dopo il suo ritorno a Ninive. “In seguito entrò
nella casa del suo dio”, Nisroc, e i suoi figli, Adrammelec e Sarezer, “lo abbatterono con la spada”, e
fuggirono nel paese di Ararat. (2Cr 32:21; Isa 37:37, 38) Questo è confermato da un’iscrizione di Esar-
Addon, suo figlio e successore. — D. D. Luckenbill, Ancient Records of Assyria and Babylonia, 1927, vol.
II, pp. 200, 201; vedi ESAR-ADDON.
Opere architettoniche. L’impero assiro non ebbe dunque una particolare espansione sotto Sennacherib.
Egli tuttavia portò a termine ambiziose opere architettoniche a Ninive, alla quale aveva restituito il ruolo di
capitale. L’immenso palazzo da lui erettovi era un complesso di sale, cortili e locali da cerimonia con
un’area di 450 m per 210. Per portarvi l’acqua, costruì un acquedotto lungo 48 km, che passava sopra il
fiume Gomel e serviva sia per irrigare giardini e parchi che per rafforzare il sistema difensivo della città
alimentando il fossato che la circondava.

w76 1/7 399-405


Prossima la liberazione dalla “scure” antireligiosa
UNA cosa che molti fanno fatica a capire è che può esserci e c’è solo una vera religione. Perché si
ribellano a tale fatto? Perché ne consegue che tutte le altre religioni sono false, e ciò includerebbe la loro
religione. Quindi, tale fatto reale dovrà essere dimostrato loro con la forza. Ciò avverrà nel prossimo
futuro, poiché allora, nella più grande tribolazione del mondo, tutte le false religioni saranno spazzate via
e sopravvivrà solo la vera religione. Essa otterrà la liberazione dal più straordinario movimento
antireligioso di tutta la storia umana.
2 Secondo la Sacra Bibbia, chi è il Solo che tutta l’umanità deve adorare? È l’Altissimo e Onnipotente Dio,
di cui è fornito il nome, Geova. (Vedere Esodo 6:3; Salmo 83:18; Isaia 12:2⇒;⇐ e 26:4). Come c’è un
solo vivente e vero Dio, può esserci solo una religione giusta, la religione pura e incontaminata che Egli
ha rivelato nella Sacra Bibbia. (Vedere Giacomo 1:27). L’umanità cominciò con l’unica religione pura. È
venuto il tempo che l’Onnipotente Dio unisca tutta l’umanità nella sola corretta forma di adorazione di
Geova e bandisca così tutte le guerre religiose. — Sof. 3:8, 9; Efes. 1:9, 10; 4:4-6.
3 La distruzione di tutta la falsa religione fu prefigurata nell’ottavo secolo avanti la nostra Èra Volgare. A
quel tempo l’Impero Assiro, avente per capitale Ninive, era la potenza mondiale. Mentre questo impero si
espandeva, il Regno delle dieci tribù d’Israele, avente per capitale Samaria, fu distrutto e il limitrofo
Regno delle due tribù di Giuda, avente per capitale Gerusalemme, subì un tremendo attacco. Per
entrambi quei regni il tempo decisivo giunse durante il regno del re Ezechia di Gerusalemme, che
cominciò a regnare nel 745 a.E.V. Cinque anni dopo, nel 740 a.E.V., il Regno delle dieci tribù d’Israele fu
conquistato dagli aggressori assiri. Parve allora che il successivo a cadere sarebbe stato il vicino Regno
di Giuda, e presto! Tuttavia, passarono otto anni ed Ezechia era ancora sul trono di Gerusalemme. E
Sennacherib, figlio di Sargon II, era divenuto re dell’Impero Assiro in fase di espansione.
4 La linea dei re assiri che fu impegnata in questa conquista mondiale rivelò che gli dèi dei regni e delle
nazioni conquistate erano falsi, poiché mostrò che non erano dèi, che non esistevano, che erano “dèi
senza valore”. (Isa. 10:10, 11; 2 Re 18:33-35; Isa. 36:18-20⇒;⇐ e 37:12, 13) Tale degradazione degli dèi
delle nazioni del mondo giunse al culmine con la caduta di Samaria e dei falsi dèi che essa aveva adottati
al posto di Geova, l’Iddio dei loro antenati Abraamo, Isacco e Giacobbe. Tutti questi dèi non salvarono le
loro rispettive nazioni dalla possente mano della Potenza Mondiale Assira per il fatto che, come disse il re
Ezechia in preghiera a Geova, “non erano dèi, ma l’opera delle mani dell’uomo”. (Isa. 37:18-20) Con
tante vittorie militari sugli dèi delle nazioni, i quali “non erano dèi”, che campagna antireligiosa compì
indirettamente la Potenza Mondiale Assira!
IL MODERNO STRUMENTO ANTIRELIGIOSO
5 Senza che la Potenza Mondiale Assira se ne rendesse conto, Geova Dio dirigeva quella campagna
antireligiosa, particolarmente quando colpì l’apostata Regno d’Israele. Geova impiegava la Potenza
Mondiale Assira come sua “scure” o “verga” simbolica. (Isa. 10:5, 15) Tutto questo avveniva molto, molto
tempo fa, eppure ciò che prefigurava in modo profetico deve realizzarsi. Deve accadere nel prossimo
futuro, entro la nostra generazione. Qual è il mezzo, la “scure” o “verga” simbolica che Geova impiegherà
per ridurre in rovina tutta la falsa religione? Come nel lontano passato, il mezzo non fa parte della visibile
organizzazione di Geova, non è qualcuno che adora Lui come vivente e vero Dio. L’ultimo libro della
Bibbia lo descrive. Rivelazione, capitolo diciassette, lo raffigura come una “bestia selvaggia” di colore
scarlatto con sette teste e dieci corna, cavalcata da Babilonia la Grande, la meretrice religiosa
internazionale. In base a Rivelazione 17:7-12, questa “bestia selvaggia” dev’essere l’Ottava Potenza
Mondiale, l’organizzazione internazionale per la pace e la sicurezza del mondo, le Nazioni Unite.
6 Nel quadro di Rivelazione, la “bestia selvaggia” distrugge questa “donna” simbolica che la cavalca e
che, figurativamente parlando, ha avuto relazioni sessuali immorali con tutti i governanti politici del
mondo. Che cos’altro potrebbe raffigurare questa “donna” se non l’impero mondiale della falsa religione
babilonica? Questo impero religioso include la cristianità, la moderna controparte dell’antico, apostata,
rinnegato Regno d’Israele, con Samaria per capitale. Fino al nostro giorno la cristianità ha rifiutato di
ubbidire al comando divino di separarsi dall’impero mondiale della falsa religione babilonica: “Uscite da
essa, o popolo mio, se non volete partecipare con lei ai suoi peccati, e se non volete ricever parte delle
sue piaghe. Poiché i suoi peccati si sono ammassati fino al cielo, e Dio s’è rammentato dei suoi atti
d’ingiustizia”. (Riv. 18:4, 5) Quindi, la distruzione che si abbatterà sull’intera Babilonia la Grande includerà
la cristianità, così sicuramente come la distruzione si abbatté sull’apostata Regno d’Israele e sulla sua
capitale, Samaria.
7 Oggi abbiamo una visione anticipata di quello che la “bestia selvaggia” con dieci corna farà allora
all’impero mondiale della falsa religione considerando quello che l’angelo di Dio dice all’apostolo
Giovanni: “E le dieci corna che hai viste significano dieci re, che non hanno ancora ricevuto il regno, ma
ricevono autorità come re per un’ora con la bestia selvaggia [ora le Nazioni Unite]. . . . E le dieci corna
che hai viste, e la bestia selvaggia, queste odieranno la meretrice e la renderanno devastata e nuda, e
mangeranno le sue carni e la bruceranno completamente col fuoco”. — Riv. 17:12-16.
8 Senza che la “bestia selvaggia” delle Nazioni Unite se ne renda conto, Geova la impiegherà come sua
“scure” simbolica per distruggere Babilonia la Grande, sì, per distruggere l’ipocrita cristianità, la moderna
organizzazione corrispondente al Regno delle dieci tribù d’Israele e alla sua capitale, Samaria. Per tale
ragione il merito della distruzione di Babilonia la Grande è attribuito a Geova. Nel cielo echeggerà il grido:
“La salvezza e la gloria e la potenza appartengono al nostro Dio, perché i suoi giudizi sono veraci e giusti.
Poiché egli ha eseguito il giudizio contro la grande meretrice che corrompeva la terra con la sua
fornicazione, e ha vendicato il sangue dei suoi schiavi dalla mano di lei”. (Riv. 19:1, 2) L’esecuzione del
giudizio di Geova su Babilonia la Grande, la meretrice religiosa internazionale, dà il via alla predetta
“grande tribolazione”, che non ha uguale nella storia umana. (Matt. 24:21, 22) Questa “tribolazione” non
finisce con la distruzione della cristianità e di tutto il resto di Babilonia la Grande. Ci sarà ancora la “bestia
selvaggia” di colore scarlatto con sette teste e dieci corna, la simbolica “scure” che Geova Dio usa per
tagliare tutte le parti dell’impero mondiale della falsa religione babilonica.
9 In questo caso, come in quello dell’antica Assiria, possiamo fare la domanda: Essendo usata come
“scure” di Geova, la “bestia selvaggia” delle Nazioni Unite diventa forse parte della Sua visibile
organizzazione? Questa è una domanda appropriata. Perché? Perché nel dicembre del 1918
l’organizzazione che precedette le Nazioni Unite, cioè la Lega delle Nazioni, fu acclamata come
“espressione politica del regno di Dio sulla terra”. Da chi? Dal Consiglio Federale delle Chiese di Cristo in
America. La Lega delle Nazioni non riuscì a impedire la seconda guerra mondiale, per cui sorse la
necessità che fosse sostituita dall’attuale organizzazione mondiale, le Nazioni Unite. (Riv. 17:11) Il papa
di Roma l’ha definita “l’ultima speranza di pace del mondo”. Dobbiamo dunque dire che le Nazioni Unite
fanno parte della visibile organizzazione terrestre di Geova Dio? Per avere la risposta, non bisogna far
altro che chiederlo alla metà delle 144 nazioni membri che non si professa cristiana. Per quello che ne
sanno, non vogliono essere né divenire parte dell’organizzazione di Geova.
10 Dopo che la “bestia selvaggia” delle Nazioni Unite sarà stata impiegata da Geova come sua “scure”
per tagliare Babilonia la Grande, quale atteggiamento assumerà l’organizzazione di tale “bestia
selvaggia” verso Colui che impugna la scure? Sarà un atteggiamento favorevole a Geova Dio e al suo
Cristo o no? Per avere una risposta anticipata ci rivolgiamo alla profezia biblica. La profezia descrive a
tinte vivaci come le nazioni del mondo danno il loro incondizionato appoggio all’organizzazione
internazionale per la pace e la sicurezza del mondo. Presentano così un fronte unito contro il celeste
regno dell’unto Figlio di Geova, Gesù Cristo, “l’Agnello di Dio”. Rivelazione 17:13, 14 dice riguardo alla
“bestia selvaggia” e alle sue “dieci corna”: “Questi hanno un solo pensiero, e danno la loro potenza e la
loro autorità alla bestia selvaggia. Questi combatteranno con l’Agnello, ma, siccome egli è Signore dei
signori e Re dei re, l’Agnello li vincerà. E, quelli che son chiamati ed eletti e fedeli vinceranno con lui”. —
Vedere anche Rivelazione 19:19-21; Giovanni 1:29.
11 Ecco la risposta alla nostra domanda. Lì è raffigurato profeticamente l’atteggiamento assunto dalla
“scure” simbolica che Geova Dio impugna nell’eseguire il giudizio su Babilonia la Grande. La “scure” si
volge contro il Celeste che la brandisce e cerca di vantarsi su di Lui! Combattendo unitamente contro
l’unto Signore dei signori e Re dei re costituito da Geova, le nazioni combattono in modo organizzato
contro Geova Dio stesso. Perché? Per mantenere la loro sovranità nazionale sulla terra. Questo atto
corrisponde in modo sorprendente a quello compiuto dall’“Assiro” nell’ottavo secolo prima della nascita di
Gesù, “l’Agnello di Dio”, o ne è la ripetizione. Dopo avere rovesciato Samaria e deportato nei territori
assiri gli apostati Israeliti superstiti, la Potenza Mondiale Assira assunse un atteggiamento di insolente
vanto.
12 In quel tempo dell’antichità la “scure” simbolica attribuì solo a sé la gloria e il merito delle sue conquiste
e si volse contro Colui che l’aveva usata. Questa linea di condotta giunse al massimo dell’arroganza e
dell’insolenza ai giorni di Sennacherib imperatore d’Assiria. Con la sua possente macchina militare invase
il paese del Regno delle due tribù di Giuda. (2 Re 18:9-25) L’itinerario della sua invasione è tracciato in
modo realistico in Isaia 10:28-32, che dice come l’esercito di Sennacherib seminava il terrore man mano
che avanzava, di luogo in luogo, verso Gerusalemme sul monte Sion senza incontrare opposizione. Gli
abitanti di quella città dovettero tirare un respiro di sollievo quando l’esercito assiro oltrepassò
Gerusalemme, agitando solo minacciosamente la mano verso di essa.
13 Tuttavia, la principale mira di Sennacherib era quella di ridurre in rovina la città santa dove il re Ezechia
sedeva sul “trono di Geova”. (1 Cron. 29:23) Quindi, per spaventare gli abitanti di Gerusalemme e indurli
a rivoltarsi contro il re Ezechia e a consegnare la città a Sennacherib, una delegazione scortata da
considerevoli forze militari assire si fermò davanti alle mura di Gerusalemme. Un ufficiale assiro che
parlava ebraico asserì apertamente che Sennacherib ne aveva ricevuto l’incarico da Geova e che
avrebbe assoggettato Gerusalemme per conto di Geova. In modo da farsi udire dai Giudei che stavano
sulle mura di Gerusalemme, il portavoce di Sennacherib disse con presunzione:
14 “Ora è senza autorizzazione da Geova che io sono salito contro questo luogo per ridurlo in rovina?
Geova stesso mi ha detto: ‘Sali contro questo paese, e lo devi ridurre in rovina’”. — 2 Re 18:9-25.
15 Nella sua profezia contro l’Assiro, quindi, Geova aveva valide ragioni per smascherare l’intento
provocatorio del re d’Assiria contro di lui, e chiese: “Si vanterà la scure su colui che taglia con essa, o si
magnificherà la sega su colui che la muove avanti e indietro, come se il bastone muovesse avanti e
indietro quelli che lo alzano, come se la verga alzasse colui che non è legno?” (Isa. 10:15) In altre parole,
la “scure” simbolica, la Potenza Mondiale Assira, si servirà ora di Geova Dio come di un suo strumento,
lui che non è un’immagine scolpita di legno da usare nell’idolatria? La risposta è No! Tuttavia il re assiro
ebbe questa presunzione minacciando di lanciare un rovinoso attacco contro Gerusalemme e il suo
tempio.
16 Per dare al suo popolo l’assicurazione che la Potenza Mondiale Assira non sarebbe riuscita a vantarsi
su Geova, Colui che taglia con la scure simbolica, Egli proseguì dicendo: “Perciò il vero Signore, Geova
degli eserciti, continuerà a mandare sui suoi pingui [gli Assiri forti e robusti] un’infermità consumante, e
sotto la sua gloria [o abbondanza] un incendio continuerà a bruciare come l’incendio di un fuoco. E la
Luce d’Israele deve divenire un fuoco, e il suo Santo una fiamma; e deve divampare e divorare le sue
zizzanie e i suoi rovi in un solo giorno. Ed Egli porrà fine alla gloria della sua foresta e del suo frutteto,
pure dall’anima sino alla carne, e deve divenire come lo struggersi di uno che è infermo. E il resto degli
alberi della sua foresta, diverranno di tal numero che un semplice ragazzo li potrà scrivere”. — Isa. 10:16-
19.
17 Geova degli eserciti fu la “Luce d’Israele” e il “suo Santo”. Come avrebbe fatto a bruciare i soldati di
Sennacherib, numerosi come le zizzanie e i rovi, e a porre fine agli ufficiali militari assiri, simili agli alberi
diritti di una foresta o di un frutteto? Come avrebbe fatto Geova a ridurre il numero degli ufficiali
dell’esercito di Sennacherib, simili ad alberi, così che il numero di quelli che sarebbero rimasti sarebbe
stato così piccolo che un ragazzo avrebbe potuto scriverlo dopo averli contati con le dieci dita? Inoltre,
come farà Geova l’Iddio Onnipotente a realizzare nel prossimo futuro il parallelo moderno di tutto ciò?
Queste sono domande interessanti e meritano d’essere considerate.

L’ANTÌTIPO DI SENNACHERIB E QUELLO DI EZECHIA


18 Dato che quel dramma profetico dell’ottavo secolo a.E.V. ha un adempimento moderno, chi raffigurò
dunque il re Sennacherib e chi prefigurò il re Ezechia? L’articolo intitolato “Rivendicata la sovranità
universale di Geova”, pubblicato ne La Torre di Guardia (inglese) in data 1° aprile 1945, indicò chi erano
e questo intendimento è ancora valido. Nel primo paragrafo, a pagina 102, questo articolo disse: “Cristo
Gesù è il più grande Ezechia; ossia è il Re dominante prefigurato da Ezechia ma più grande di Ezechia.
Sennacherib, l’aggressivo avversario del re Ezechia, raffigurò Satana il Diavolo, che Sennacherib
adorava e serviva negli interessi del dominio mondiale di Satana”. Questo intendimento era in armonia
con quello di un precedente numero de La Torre di Guardia (inglese), quello del 1° settembre 1942.
Nell’articolo intitolato “La religione non riavrà la supremazia”, alle pagine 270, 271, considerando la
rimozione di Sebna e la nomina di Eliachim a economo reale del re Ezechia, il quartultimo paragrafo
diceva:
19 “Il cambiamento nell’amministrazione effettuato dal re Ezechia fu fatto per preparare all’imminente crisi
che doveva avere luogo al tempo dell’attacco di Sennacherib contro Gerusalemme. Sennacherib raffigura
il Diavolo che con la sua organizzazione lancia un attacco al popolo del patto di Geova dopo la venuta del
Signore nel tempio, quando rimuove i servitori infedeli ed elargisce il suo favore ai fedeli”. — Vedere Isaia
22:15-25.
20 Chi fu dunque raffigurato dagli abitanti di Gerusalemme quando la delegazione militare di Sennacherib
si fermò davanti alle mura di Gerusalemme e cercò di denigrare il re Ezechia e di ottenere la resa della
città senza assediarla? Poiché ciò avvenne circa otto anni dopo che gli eserciti assiri avevano distrutto il
Regno apostata delle dieci tribù d’Israele, i leali sudditi del re Ezechia abitanti a Gerusalemme
raffigurarono gli adoratori cristiani di Geova che sono usciti dalla moderna Babilonia la Grande, inclusa la
controparte moderna dell’apostata Israele. Essi si sono schierati dalla parte del messianico regno di
Geova retto dal suo più grande Ezechia, Gesù Cristo. — Riv. 18:4.
21 Nel moderno adempimento del dramma profetico questo raffigura un tempo preciso. Quel tempo è
durante il corso della “grande tribolazione” del mondo. Babilonia la Grande, l’impero mondiale della falsa
religione, inclusa la cristianità, sarà stata distrutta per mezzo della simbolica “scure” di Geova. Poiché
hanno ubbidito al comando divino e sono usciti da Babilonia la Grande (inclusa la controparte moderna
dell’apostata Regno delle dieci tribù d’Israele), i cristiani testimoni di Geova non partecipano ai peccati di
Babilonia la Grande e perciò non riceveranno alcuna parte delle sue “piaghe” durante la futura “grande
tribolazione”.
IL TENTATIVO DELLA “SCURE” ANTIRELIGIOSA
22 A questo riguardo, dobbiamo ricordare che fu il Dragone, Satana il Diavolo, a dare “potenza” e il “trono”
e “grande autorità” alla simbolica “bestia selvaggia”, di cui dal 1919 E.V. è stata fatta un’“immagine”
politica. Quindi il tempo in cui Sennacherib minacciò Gerusalemme raffigura il tempo in cui le nazioni che
formano “l’immagine” della bestia selvaggia cominciano a far guerra a favore di Satana il Diavolo e contro
“l’Agnello di Dio”, il Signore dei signori e il Re dei re. (Riv. 17:14; 19:19-21) È l’alba del “gran giorno
dell’Iddio Onnipotente” per la situazione mondiale detta Har-Maghedon. (Riv. 16:14-16) Che cosa
presagisce questo? Presagisce che gli avvenimenti del mondo sono arrivati al punto che Geova può di
nuovo fare giustamente la domanda posta per la prima volta nell’ottavo secolo a.E.V.: “Si vanterà la scure
su colui che taglia con essa, o si magnificherà la sega su colui che la muove avanti e indietro, come se il
bastone muovesse avanti e indietro quelli che lo alzano, come se la verga alzasse colui che non è
legno?” — Isa. 10:15.
23 A quel punto Geova Dio l’Onnipotente lascerà cadere la simbolica “scure” perché non Gli serve più.
Ora ha un’ulteriore ragione per distruggerla. (Isa. 10:16-19) Non fece mai parte della Sua organizzazione,
e il fatto che l’ha usata temporaneamente come “scure” simbolica non la rende parte della sua
organizzazione teocratica. Per tale vigorosa ragione i cristiani testimoni di Geova non coopereranno mai
con le violente orde del moderno “Assiro” nell’opera distruttiva contro l’impero mondiale della falsa
religione durante la “grande tribolazione” avvenire. Né vi coopererà la società religiosa che da tanto
tempo è associata ai testimoni di Geova, vale a dire la Watch Tower Bible and Tract Society of
Pennsylvania. Questa Società non vi coopererà, anche se, da che fu eretta in ente nel dicembre del
1884, essa ha inflessibilmente smascherato Babilonia la Grande e ne ha additato la distruzione per mano
di Dio.
24 Geova ha impiegato la Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania come suo strumento in
modo assai diverso da come impiega la moderna “scure” assira. Geova se ne è servito come di un
mezzo per rivelare scritturalmente la falsità della religione di Babilonia la Grande, inclusa la cristianità.
Geova ha impiegato questa Società per avvertire tutti i popoli (specialmente coloro che si professano
cristiani) di uscire da quell’impero mondiale della falsa religione prima che esegua il giudizio su di esso.
Le pubblicazioni della Watch Tower Society sono state distribuite a centinaia di milioni di copie in tutto il
mondo, ora in più di 160 lingue. In tutte le sue attività che svolge da oltre novant’anni questo strumento
nella mano di Geova non ha mai cercato di imitare l’antico “Assiro” e di ‘vantarsi’ su Colui che se ne
serve, vale a dire Colui che è irraggiungibilmente alto, il Sovrano Signore Geova. (Isa. 10:15) All’inizio
della “grande tribolazione” la Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania e le sue Filiali in tutta
la terra rifiuteranno di unirsi alla “bestia selvaggia” delle Nazioni Unite nelle sue violente gesta
antireligiose contro Babilonia la Grande.
25 Se sopravvivrà a quella violenta distruzione di Babilonia la Grande (inclusa la cristianità), la Società
rifiuterà nel modo più assoluto di vantarsi insieme alla moderna “scure” assira o di innalzarsi al di sopra di
Colui che taglia con la “scure”. Tale rifiuto spingerebbe senz’altro l’odierna “scure” assira ad agire in
modo drastico contro la Società e contro i cristiani testimoni di Geova che la Società rappresenta e serve.
Tale azione internazionale contro coloro che annunciano il regno di Geova retto da Cristo sarebbe il
modo in cui la “bestia selvaggia” delle Nazioni Unite combatterebbe contro l’“Agnello”, il Signore dei
signori e il Re dei re. (Riv. 17:14) La moderna “scure” assira cercherebbe in questo modo di vantarsi su
Colui che avrà tagliato con essa. Le autorità politiche antireligiose della terra potranno sciogliere le
società religiose legalizzate dalla precedente legge del paese, ma non potranno mai sciogliere il mondiale
vincolo di fratellanza, “l’intera associazione dei fratelli”, i cristiani testimoni di Geova, che non sono
costituiti in ente religioso dalla legge secolare. — 1 Piet. 2:17; 5:9.
LIBERAZIONE MEDIANTE LA GUERRA AD HAR-MAGHEDON
26 Poiché noi cristiani testimoni di Geova siamo raffigurati dagli abitanti di Gerusalemme sotto il re
Ezechia, rammentiamo le parole insolenti che la delegazione assira pronunciò nel 732 a.E.V. davanti alle
mura di Gerusalemme: “Chi fra tutti gli dèi dei paesi ha liberato il loro paese dalla mia mano, così che
Geova liberi Gerusalemme dalla mia mano?” (2 Re 18:35) Quando quell’antico dramma profetico si
adempirà nella seconda parte della sovrastante “grande tribolazione”, il fedele rimanente degli Israeliti
spirituali e la “grande folla” di loro leali compagni terreni udranno parole simili? In quel tempo decisivo,
anziché arrendersi al moderno Sennacherib, Satana il Diavolo, e ai suoi presuntuosi rappresentanti
terreni, noi che sosteniamo la sovranità universale di Geova rammenteremo le parole di incoraggiamento
che rivolse a Gerusalemme sul monte Sion:
27 “Non aver timore, o mio popolo che dimori in Sion, a causa dell’Assiro, che con la verga ti colpiva e che
alzava contro di te il suo proprio bastone come faceva l’Egitto. Poiché ancora pochissimo tempo, e la
denuncia [divina] sarà pervenuta alla fine, e la mia ira, alla loro consunzione. E Geova degli eserciti per
certo brandirà contro di lui una frusta come alla sconfitta di Madian presso la roccia di Oreb; e il suo
bastone sarà sul mare, e per certo lo alzerà come fece con l’Egitto”. — Isa. 10:24-26; Giud. da 7:12
⇒fino ⇐a 8:21; Eso. 14:1-31.
28 Mentre la “grande tribolazione” del mondo si avvicinerà al culmine e la situazione dei testimoni di
Geova apparirà più minacciosa che mai, cosa dovranno attendersi? Nel 732 a.E.V., Sennacherib schernì
Geova fino all’eccesso, come se Egli non fosse più potente dei falsi dèi delle nazioni idolatre. (2 Re
19:10-13) Allora il re Ezechia presentò la cosa a Geova nel suo tempio a Gerusalemme. Non solo Geova
rassicurò Ezechia per mezzo del profeta Isaia ma lanciò pure una sfida a Sennacherib, che allora si
trovava a Libna, distante alcuni chilometri da Gerusalemme. (2 Re 19:8, 14-34) Pertanto il blasfemo
Sennacherib fu avvisato della disastrosa sconfitta che poteva attendersi dall’Iddio che aveva sfidato. Poi
Geova agì per rivendicarsi come vero Dio!
29 Dopo avere ricevuto da Geova tale umiliante avviso per mezzo del profeta Isaia, come dormì
Sennacherib? Probabilmente, dopo tale mortificazione, egli decise che il giorno successivo glielo avrebbe
fatto vedere lui a questo Dio, Geova! Ci avrebbe pensato Sennacherib con il suo esercito di circa 200.000
soldati! Ma prima avrebbe dormito un po’! All’improvviso si avvertì uno strano silenzio. Esso scese sui
soldati assiri sparsi nella zona come zizzanie e rovi. Il loro sonno era anormale! Che cos’era accaduto?
30 “E avvenne quella notte che l’angelo di Geova usciva e abbatteva centottantacinquemila nel campo
degli Assiri. Quando il popolo si alzò la mattina di buon’ora, ebbene, ecco, eran tutti cadaveri. Perciò
Sennacherib re d’Assiria partì e andò e tornò, e prese a dimorare in Ninive. E avvenne che mentre si
inchinava nella casa di Nisroc suo dio, Adrammelec e Sarezer, suoi figli, l’abbatterono essi stessi con la
spada, ed essi stessi scamparono”. — 2 Re 19:35-37.
31 Aha! La “scure” assira non era riuscita a vantarsi su Colui che tagliava con essa! Avverrà la stessa
cosa durante la “grande tribolazione” avvenire quando la moderna controparte di Sennacherib e del suo
esercito cercherà di vantarsi sullo stesso Dio minacciando di spazzare via dalla terra i Suoi testimoni. Ciò
che avverrà poi in adempimento di quell’antico dramma profetico è spiegato ne La Torre di Guardia
(inglese) del 1° aprile 1945, alle pagine 108, 109:
. . . Allora i testimoni di Geova, al riparo nella sua organizzazione teocratica, saranno assediati e
apparentemente minacciati di sterminio dalle schiaccianti orde dell’antitipico Assiro, Satana il Diavolo. Ma
non siate ansiosi per un tale futuro: Geova combatterà la battaglia per il suo rimanente e i loro compagni.
Compirà il suo “atto strano” ad Armaghedon, come fece migliaia d’anni fa nel paese di Giuda, ‘per amor
suo e per amore del suo diletto Re’. Indubbiamente, sarà mediante quello stesso Figlio di Dio, il suo
dominante Re e Figlio, Cristo Gesù, l’angelo che distrusse 185.000 soldati dell’esercito di Sennacherib e
lo fece tornare barcollando incontro a morte violenta, che Geova Dio combatterà e ridurrà completamente
in rovina l’organizzazione mondiale del malvagio che lo aveva sfidato. Come Sennacherib, Satana il
Diavolo vedrà la sua organizzazione visibile sulla terra totalmente distrutta. Successivamente vedrà
annientare la sua invisibile organizzazione di demoni, e infine egli stesso subirà una morte violenta.
Nessuna potenza demonica potrà salvarlo.
32 Uno di questi giorni, nel prossimo futuro, noi fedeli testimoni di Geova vedremo il nostro Dio impugnare
con la sua onnipotente mano la “scure” antireligiosa contro Babilonia la Grande. Tremenda sarà la
distruzione che recherà sull’impero mondiale della falsa religione! Dovremo forse preoccuparci al tempo
in cui l’elemento politico del mondo diverrà antireligioso ed esprimerà odio per la grande “meretrice”
internazionale con cui esso aveva relazioni immorali? No! Già il mondo ci odia, ma Geova Dio e Gesù
Cristo non ci odiano. E quando Geova Dio comincerà a brandire la “scure” antireligiosa, non la userà
contro di noi suoi leali testimoni. Avremo il grande privilegio di veder tagliare Babilonia la Grande che
brucerà poi nell’infuocata distruzione! Ora sappiamo che, dopo quella distruzione, la “scure” antireligiosa
cercherà di vantarsi su Colui che la usa, Geova. Questo rappresenterà una spaventosa minaccia per la
nostra esistenza. Ma non dobbiamo cedere al timore degli uomini che odiano il nostro Dio. Allora
temeremo Geova!
33 In quel tempo terrificante le nazioni saranno pervenute in pieno assetto militare ad Har-Maghedon, il
campo della finale, decisiva battaglia fra gli uomini e Dio. (Riv. 16:14-16) Sarà arrivato il tempo
dell’esecuzione dell’avverso giudizio di Geova. Sarà eseguito su quella “scure” antireligiosa, che allora
Geova abbandonerà. Quella “scure” antireligiosa non potrà mai più muoversi efficacemente per
frantumarci. Geova degli eserciti manderà il suo più grande Angelo, l’Arcangelo Gesù Cristo, per
abbattere tutte le forze attaccanti del più grande Sennacherib, Satana il Diavolo, e le farà sprofondare in
un sonno da cui non si risveglieranno mai! Che liberazione sarà quella per noi dalla “scure” antireligiosa
al culmine della “grande tribolazione”! Ma, soprattutto, quale gloriosa rivendicazione sarà per il “vero
Signore, Geova degli eserciti”, mediante il suo strumento, Gesù Cristo, il più grande Ezechia, che gli è
sempre stato fedele!
34 Fatevi dunque coraggio, tutti voi zelanti testimoni di Geova! La vera religione, la forma scritturale di
adorazione che pratichiamo, non sarà mai spazzata via dalla faccia della terra. Con questa adorazione
del solo vivente e vero Dio, Geova, di cui siamo attivi testimoni, saremo protetti durante la fine violenta
dell’intero sistema di cose malvagio e introdotti nell’indistruttibile nuovo sistema di cose di Geova. Ivi la
pura adorazione fiorirà per sempre sotto il più grande Ezechia, il Re Gesù Cristo.
[Note in calce]
Si veda quale sorte subì Samaria com’è descritto in Ezechiele 23:1-10.
In contrasto con ciò, si noti ciò che dice II Re 18:23, 24.
La Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania fu originariamente costituita in ente il 13
dicembre 1884, secondo le leggi dello stato di Pennsylvania. Al presente è autorizzata per legge ad avere
un massimo di 500 membri, ma al momento in cui si scriveva questo articolo erano iscritti nell’elenco solo
397 membri. La Società ha un consiglio di sette direttori, per amministrare gli affari della Società.
Secondo lo statuto della Società, a ciascuna adunanza annuale i membri del Consiglio dei Direttori sono
eletti dai membri titolari della Società. Dopo tale elezione annuale il Consiglio dei Direttori elegge i propri
funzionari, come il presidente della Società, ecc. Secondo i termini dello Statuto la Società agisce quale
“organo amministrativo” per conto di tutti i cristiani testimoni di Geova della terra. La Società ha 96 sedi
filiali in varie parti del globo.

w87 1/9 20-3 Guardatevi dalla "Pace e sicurezza" prospettata dalle nazioni
Confidate in Geova per avere pace e sicurezza
14 Prima del tempo di Isaia la nazione delle dodici tribù d’Israele si era divisa sulla questione del regno.
Questo avvenne dopo il glorioso regno del re Salomone. Le dieci tribù secessioniste del nord istituirono
quello che fu poi chiamato il regno d’Israele, con capitale Samaria. Le due restanti tribù, Giuda e
Beniamino, rimasero leali alla dinastia reale di Davide, che regnava a Gerusalemme. Il regno delle dieci
tribù d’Israele divenne ostile al regno di Giuda, formato dalle due tribù. Col tempo il regno d’Israele si
alleò con quello di Siria, la cui capitale era Damasco. L’idea era di rovesciare il regno di Giuda e
soggiogarlo. Avrebbe dunque il regno di Giuda dovuto allearsi con qualche altra nazione potente allo
scopo di resistere al furioso assalto della nazione d’Israele e del suo alleato pagano, la Siria? — Isaia
7:3-6.
15 Nel piccolo regno di Giuda c’erano quelli che avevano perso la fede nel Dio nazionale, Geova. Questi
erano favorevoli a un’alleanza, o cospirazione, con un potente regno pagano di questo mondo. Nel
promuovere una siffatta unione infedele tra il divino regno di Giuda e un regno del mondo empio, alcuni
dicevano agli indecisi nel regno di Giuda: “Cospirazione!” Tradivano così la loro mancanza di fede e
fiducia nell’Iddio il cui tempio si trovava a Gerusalemme. Il profeta Isaia fu ispirato a denunciare tale
cospirazione, dicendo nel capitolo 8, versetto 12 di Isaia: “Non dovete dire: ‘Cospirazione!’ rispetto a tutto
ciò di cui questo popolo continua a dire: ‘Cospirazione!’ e non dovete temere l’oggetto del loro timore, e
non dovete tremare davanti a esso”.
16 Il fatto di essere in una relazione di patto con Geova significava per il popolo pace e sicurezza. Se ne
ebbe una prova quando il monarca assiro Sennacherib inviò un comitato di tre alti ufficiali per intimare la
resa al re Ezechia e al popolo di Gerusalemme. L’ufficiale e portavoce assiro Rabsache si piazzò davanti
alle mura di Gerusalemme e schernì arrogantemente Geova Dio nell’intento di indebolire o distruggere la
fiducia dei giudei in Lui. Grandemente addolorato per questa offesa nei confronti del vivente e vero Dio
Geova, e giustamente consapevole del fatto che Gerusalemme era in pericolo davanti alla travolgente
orda assira, Ezechia si recò al tempio e mise la questione nelle mani di Geova Dio. Compiaciuto di
questa espressione di grande fede in lui e di questa invocazione perché desse prova della sua sovranità
universale, Geova rispose in maniera favorevole. Il suo profeta Isaia li rassicurò ulteriormente. Al
minaccioso assiro Rabsache non fu data nessuna risposta, proprio come aveva ordinato Ezechia. — 2
Re 18:17-36; 19:14-34.
17 Indubbiamente molto sorpreso da questo, Rabsache tornò all’accampamento di Sennacherib, che
stava allora combattendo contro Libna. (2 Re 19:8) Udito il rapporto di Rabsache, Sennacherib inviò a
Ezechia lettere di minaccia, avvertendolo: “Non ti inganni il tuo Dio in cui confidi, dicendo: ‘Gerusalemme
non sarà data in mano al re d’Assiria’”. (2 Re 19:9, 10) Calata la notte, Geova Dio provvide a rispondere a
modo suo al portavoce assiro Rabsache ed Egli stesso diede una risposta alle minacciose lettere di
Sennacherib, confermando la propria superiorità rispetto al dio imperiale dell’Assiria. La conclusione del
racconto di questo episodio, riportata in 2 Re 19:35, dice: “E avvenne quella notte che l’angelo di Geova
usciva e abbatteva centottantacinquemila nel campo degli assiri. Quando il popolo si alzò la mattina di
buon’ora, ebbene, ecco, erano tutti cadaveri, morti”. Quando all’alba gli assiri superstiti, incluso il re
Sennacherib e forse Rabsache, si svegliarono, videro tutt’intorno l’orrendo spettacolo delle vittime della
guerra contro Geova Dio.
18 Sconfitto nei suoi ambiziosi progetti contro l’organizzazione di Geova e tremendamente umiliato,
Sennacherib se ne tornò di corsa e “con la vergogna in faccia” nella capitale del suo paese, Ninive, solo
per esservi assassinato da due dei suoi figli. (2 Cronache 32:21; 2 Re 19:36, 37) L’impero assiro non
costituì mai più una minaccia per la visibile organizzazione di Geova. Quella fu una rivendicazione in
grande stile della sovranità universale dell’Iddio Altissimo. Inoltre, la protezione concessa a Gerusalemme
è un eccellente esempio che mostra in chi gli odierni testimoni di Geova dovrebbero riporre piena fiducia
per godere una continua e imperturbabile pace e sicurezza: non in una cospirazione politica, ma in
Geova Dio.
State in guardia
19 Per aiutarvi a stare in guardia, la Società (Watch Tower) continuerà a stampare nelle sue pubblicazioni
opportuni avvertimenti per il pubblico dei lettori, affinché non siate colti impreparati dalla pretenziosa
proclamazione futura di “Pace e sicurezza” da parte delle nazioni di questo vecchio sistema di cose.
20 I dedicati testimoni di Geova non possono in alcun modo incoraggiare la fiducia nella “Pace e
sicurezza” che sarà ottimisticamente proclamata dalle nazioni del mondo; né possono congratularsi con
gli ideatori di tale “Pace e sicurezza” internazionale e rimanere nel contempo dalla parte di Geova Dio. Si
guardano bene dal far lega con le nazioni di questo vecchio sistema di cose. Non dimenticano che
nell’anno postbellico del 1919 venne all’esistenza una nuova “nazione”, separata e distinta dalla Lega
delle Nazioni. Questa nuova “nazione” continua a crescere e ad espandersi in tutta la terra, proprio come
fu predetto in Isaia 60:22: “Il piccolo stesso diverrà mille, e l’esiguo una nazione potente. Io stesso,
Geova, l’affretterò al suo proprio tempo”. Sì, ora è per tutti il tempo di guardarsi dall’imminente “Pace e
sicurezza” prospettata dalle nazioni.
Sichem (n.1) --- Tema: L’immoralità sessuale può avere conseguenze devastanti EBREI 13:4

it-2 970
SICHEM (Sìchem) [spalla [di terra]].
1. Figlio di Emor, capo principale ivveo. (Ge 33:19; Gsè 24:32) Dopo che Giacobbe si era stabilito nei
pressi della città di Sichem (vedi n. 4), sua figlia Dina cominciò a frequentare le ragazze della città.
Sichem, descritto come l’uomo “più onorevole dell’intera casa di suo padre”, vide Dina e “giacque con lei
e la violentò”. Poi, innamoratosi di lei, chiese di sposarla. Ma i figli di Giacobbe, adirati per tutta la
faccenda, “con inganno” dissero che potevano prendere accordi matrimoniali solo con uomini circoncisi.
Questo sembrò giusto a Sichem e a suo padre Emor, ed essi convinsero i sichemiti a farsi circoncidere.
Tuttavia, prima che gli uomini di Sichem potessero rimettersi dalla circoncisione, Simeone e Levi, figli di
Giacobbe, attaccarono la città e uccisero Emor, Sichem e tutti gli altri uomini. — Ge 34:1-31.

W 99 15/2 pag. 31 D.L.

W 62 pag. 721
Simei (n.12) --- Tema: L’ubbidienza può salvarvi la vita 1° SAMUELE 15:22

it-2 981
SIMEI (Simèi) [forse, forma abbreviata di Semaia, che significa “Geova ha udito (ascoltato)”].
12. Beniaminita del villaggio di Baurim. Simei, figlio di Ghera, di una famiglia della casa del re Saul, per
anni dopo la morte di Saul e la rimozione del potere regale dalla sua casa nutrì rancore nei confronti di
Davide. Simei colse l’opportunità di dar libero sfogo alla collera a lungo repressa quando Davide e quelli
con lui fuggivano da Gerusalemme a motivo della ribellione di Absalom. Appena a E del Monte degli Ulivi,
Simei prese a seguirli gettando pietre e polvere contro di loro e maledicendo Davide. Abisai chiese a
Davide il permesso di uccidere Simei, ma Davide rifiutò di darglielo, sperando che Geova trasformasse la
maledizione di Simei in una benedizione. — 2Sa 16:5-13.
Al ritorno di Davide, quando la situazione si era capovolta, Simei e altri mille beniaminiti furono i primi ad
andargli incontro, e Simei s’inchinò davanti a lui e dichiarò di essersi pentito dei propri peccati. Di nuovo
Abisai voleva ucciderlo, ma ancora una volta Davide non lo permise, e in questo caso giurò che non
avrebbe messo a morte Simei. (2Sa 19:15-23) Tuttavia prima di morire Davide disse a Salomone di “far
scendere i suoi capelli grigi nello Sceol col sangue”. — 1Re 2:8, 9.
All’inizio del suo regno Salomone chiamò Simei e gli ordinò di trasferirsi a Gerusalemme e di non
lasciare la città: se lo avesse fatto sarebbe stato messo a morte. Simei accettò queste condizioni, ma tre
anni dopo lasciò la città per ricuperare due schiavi che erano fuggiti a Gat. Informato di questa violazione,
Salomone chiese a Simei per quale ragione avesse infranto il giuramento fatto a Geova e ordinò a
Benaia di metterlo a morte. — 1Re 2:36-46.

g79 22/2 3-5 Come reagire a uno scatto d'ira


Come reagire a uno scatto d’ira
IL TRENO della metropolitana rallentò stridendo mentre entrava in stazione. Ci fu un breve diverbio fra
due passeggeri. Un terzo, di origine straniera, li interruppe dicendo: “Smettetela”. Uno di quelli che
stavano discutendo ribatté: “Tornatene nel tuo paese”. “Vuoi che ti faccia [smettere] io?” fu la minacciosa
risposta del 21enne turista straniero. Infuriato, l’uomo replicò: “Provaci, scemo”. Queste furono le sue
ultime parole, poiché il turista estrasse una pistola e, sotto gli occhi inorriditi di decine di passeggeri,
sparò quattro colpi, uccidendo l’uomo all’istante. “Ora starai zitto”, disse il giovane scendendo dalla
vettura, e fu arrestato.
Questo episodio illustra un modo di rispondere a qualcuno che è arrabbiato. Ma che tragici risultati per
entrambi gli uomini!
Non vi è mai capitato d’essere oggetto d’osservazioni pungenti, forse anche di una sequela di parole
pronunciate in uno scatto d’ira? Come avete reagito? Qual è il miglior modo di comportarsi in tale
situazione? È quello di rispondere al “fuoco col fuoco”? Alcuni la pensano come riportava un articolo di
fondo: “Perché è bene arrabbiarsi sul serio”.
Un episodio realmente accaduto a un re dell’antichità ci indica un altro modo di reagire agli scatti d’ira.
Ma dapprima potremmo chiederci se sia pratico in quest’èra di violenza.
Il re Davide d’Israele e il suo seguito si stavano mettendo in salvo perché il figlio del re aveva appena
usurpato il trono. All’improvviso si trovarono davanti Simei, un discendente del re Saul. Simei gridò:
“Esci, esci, uomo colpevole di sangue e uomo buono a nulla! Geova ha fatto ricadere su di te la colpa di
tutto il sangue della casa di Saul in luogo del quale hai regnato; e Geova dà il regno in mano ad Absalom
tuo figlio. Ed ecco, tu sei nella tua calamità, perché sei un uomo colpevole di sangue!” — 2 Sam. 16:7, 8.
Che odioso scatto d’ira! E proprio davanti al re! Come avrebbe dunque risposto Davide a queste parole
provocatorie? Il suo comandante militare lo implorò: ‘Fammi andare a spiccargli la testa’.
Come avreste reagito voi? Ricordate che Davide era alle strette. Il cuore del suo popolo gli era stato
rubato. Il figlio l’aveva tradito. I suoi consiglieri lo avevano abbandonato. Aveva perso il regno e ora era
schernito e maledetto! Esser chiamato “uomo buono a nulla” (“uomo di Belial” [versione di Fulvio
Nardoni], termine che fu infine applicato al Diavolo) era il peggiore insulto, perché si riferiva a una
persona della più bassa specie. Davide, comunque, rispose semplicemente:
“[Lasciate che] invochi così il male, perché Geova stesso gli ha detto: ‘Invoca il male su Davide!’ Chi
dunque direbbe: ‘Perché hai fatto in questo modo?’ . . . Lasciatelo stare . . . Forse Geova vedrà con i suoi
occhi, e Geova mi renderà bontà invece della sua maledizione in questo giorno”. — 2 Sam. 16:10-12.
Davide non volle rispondere con parole adirate, ma diede una risposta mite. I risultati? Anzitutto non ci
fu spargimento di sangue. Poi quando Davide fu tornato in possesso del suo regno, chi fu tra i primi a
salutarlo, a scusarsi e a supplicare il perdono? Sì, proprio Simei. — 2 Sam. 19:16-23.
‘Ma questo accadeva più di 3.000 anni fa’, affermerà qualcuno. ‘I tempi sono cambiati. Bisogna essere
aggressivi, altrimenti ti calpestano. Sarebbe bello rispondere con dolcezza, ma oggi non serve’.
Tuttavia non è questo che dicono i bene informati. Notate i seguenti consigli.
“Se persone egoiste tentano di approfittare di te, non le considerare più tue amiche, ma non cercare di
vendicarti. Quando cerchi di vendicarti, fai più male a te stesso che agli altri”. — Bollettino di un
commissariato di Milwaukee (Wisconsin, U.S.A.). [Il corsivo è nostro].
“L’espressione ‘Ero arrabbiato da morire’ ha un serio significato letterale, secondo [uno] psichiatra [che]
ritiene che ‘l’ira’ possa essere giustamente classificata come causa di morte in molti casi, particolarmente
fra i giovani”. — Family Health. [Il corsivo è nostro].
“Ai cardiologi è noto da anni che l’ira è una delle emozioni più letali. Attacchi cardiaci e colpi apoplettici
sono spesso preceduti da un episodio di forte tensione emotiva”. — Sunday News di New York. [Il corsivo
è nostro].
Pertanto si riconosce che Davide seguì una condotta pratica. Ma come potete seguirla voi? È facile
parlare di ‘risposta mite’ quando nulla vi irrita e tutto è tranquillo. Cosa si può fare in caso di scontro? —
Prov. 15:1.
Dicendo “Geova stesso gli ha detto: ‘Invoca il male’”, Davide riconobbe di aver peccato e di meritare tale
castigo. Tuttavia non era colpevole della falsa accusa di Simei (di avere sparso sangue rispetto alla casa
di Saul), poiché Davide aveva fatto tutto il possibile per evitar di uccidere Saul. (1 Sam. 24:1-7; 26:7-11)
Nondimeno, Davide aveva commesso un peccato che aveva portato conseguenze di questo genere e
ammetteva la sua colpa dinanzi a Dio. (2 Sam. 12:10, 11) Un commentatore della Bibbia dice a questo
riguardo: “Uno spirito umile e tenero trasformerà i biasimi in riprensioni e quindi ne trarrà beneficio, invece
di farsi provocare da essi”.
L’umiltà e il sapere che forse c’è un pizzico di verità nelle parole del nostro antagonista, insieme alla
sincera consapevolezza delle nostre mancanze, possono aiutarci a rimanere calmi. Se l’accusa è del
tutto infondata, come lo fu quella di Simei, rammentate che il modo in cui Dio ci considera è di gran lunga
più importante delle meschine opinioni degli altri.
A causa dell’imperfezione, a volte le osservazioni di qualcuno ci fanno adirare. Ma non disperate. Anche
certi sorveglianti cristiani del primo secolo ebbero una volta “un’accesa esplosione d’ira”. Tuttavia,
anziché covare risentimento, risolsero il problema agendo nel modo appropriato. (Atti 15:36-39) Così
potete fare voi. Certe volte l’attività fisica può essere d’aiuto immediato. No, non seguite il suggerimento
di uno scrittore: “Rompi le matite, va in bagno e prendi a calci le porte”. Fate invece una camminata, o
quattro tiri a palla, o andate a lavorare in giardino. — Giac. 3:2.
In Salmo 37:8 Davide dà questo consiglio: “Lascia stare l’ira e abbandona il furore; non ti mostrare
acceso solo per fare il male”. Ci sono oggi persone che si sforzano di seguire tali buoni consigli?
L’esperienza di un uomo delle isole Figi — il quale si opponeva con violenza alla moglie che studiava la
Bibbia con i testimoni di Geova — risponde in modo affermativo. Fece di tutto, dal picchiare la moglie e
gettarla in strada a interrompere un grande convegno di Testimoni. Per curiosità decise infine di assistere
a un’adunanza locale. Poi disse:
“Ero in grande trepidazione perché non sapevo che accoglienza mi avrebbero fatto i Testimoni dato il
modo vergognoso in cui li avevo trattati prima. Una cosa mi colpì: furono gentili e senza risentimento. . . .
il fratello che avevo trattato peggio di tutti si offrì di fare [uno studio personale della Bibbia] con me e
accettai. Ora capisco che Geova è stato grande a perdonarmi dei maltrattamenti che ho inflitti al suo
popolo e a mia moglie”.
Ora che è un testimone di Geova, quest’uomo coltiva il frutto dello spirito di Dio, che include pace,
longanimità, benignità, mitezza e padronanza di sé. (Gal. 5:22, 23) In effetti, il modo migliore per reagire
agli scatti d’ira è quello di coltivare simili qualità.
Simeone (n.1) --- Tema: L’ira incontrollata reca dolore e disonore GALATI 5:20

it-2 982-3
SIMEONE [da una radice ebraica che significa “udire; ascoltare”].
1. Il secondo dei dodici figli di Giacobbe; così chiamato perché, come disse sua madre Lea, “Geova ha
ascoltato, in quanto ero odiata ed egli mi ha dato anche questo”. — Ge 29:32, 33; 35:23-26; 48:5; Eso
1:1-4; 1Cr 2:1, 2.
Quando suo padre Giacobbe era accampato nei pressi di Sichem, Simeone, insieme al fratello minore
Levi, manifestò furore vendicativo, con irragionevole asprezza e crudeltà. In modo arbitrario, senza che il
padre ne fosse a conoscenza o acconsentisse, si accinsero a vendicare l’onore della loro sorella minore,
Dina, uccidendo i sichemiti, cosa che causò l’ostracismo dell’intera famiglia. — Ge 34:1-31.
In seguito Simeone commise un’altra trasgressione tramando insieme ai fratelli per uccidere Giuseppe.
(Ge 37:12-28, 36) Non è precisato se Simeone, il secondogenito, fosse o meno l’istigatore di questo
attentato alla vita di Giuseppe. Anni dopo, quando Giuseppe, amministratore annonario d’Egitto, mise alla
prova i fratelli, Simeone venne scelto da lui per essere legato e imprigionato finché gli altri fratelli non
avessero condotto Beniamino in Egitto. — Ge 42:14-24, 34-36; 43:15, 23.
Poco prima di morire, Giacobbe, nel benedire i figli, ricordò con disapprovazione la violenza con cui
Simeone e Levi avevano agito molti anni prima nei confronti dei sichemiti: “Le loro armi per scannare
sono strumenti di violenza. Nel loro intimo gruppo non entrare, o anima mia. Non ti unire alla loro
congregazione, o mia disposizione, perché nella loro ira uccisero uomini, e nel loro arbitrio tagliarono i
garretti ai tori. Maledetta sia la loro ira, perché è crudele, e il loro furore, perché opera aspramente.
Fammeli spartire in Giacobbe e fammeli disperdere in Israele”. (Ge 49:5-7) In tal modo Giacobbe eliminò
qualunque speranza Simeone potesse avere di ricevere la primogenitura persa dal fratello maggiore
Ruben. Simeone ebbe sei figli, uno dei quali da una cananea. Come era stato profetizzato, la parte
spettante alla tribù di Simeone non era unita a quella di Levi, anzi i due furono ‘dispersi’; anche
internamente la parte di Simeone era divisa, essendo costituita da città isolate entro il territorio di Giuda.
— Ge 46:10; Eso 6:15; 1Cr 4:24; Gsè 19:1.

W 62 pag. 720-722
Ulda — Tema: Geova ispira un’intrepida profetessa 2°RE 22:14, 15

it-2 1154-5 Ulda


ULDA
[femminile di Eled, che significa “durata di vita”; “sistema di cose”; o, forse, “talpa” (spalace)].
Moglie di Sallum; profetessa che durante il regno di Giosia, fedele re di Giuda, abitava a Gerusalemme.
Quando Giosia udì la lettura del “medesimo libro della legge”, rinvenuto dal sommo sacerdote Ilchia
durante i lavori di riparazione del tempio, mandò una delegazione a interrogare Geova. Questa andò da
Ulda che, a sua volta, riferì la parola di Geova, indicando che tutte le calamità dovute alla disubbidienza
descritte nel “libro” si sarebbero abbattute sulla nazione apostata. Ulda aggiunse che Giosia, poiché si
era umiliato davanti a Geova, non avrebbe visto la calamità, ma sarebbe stato raccolto presso i suoi
antenati e deposto nel suo cimitero in pace. — 2Re 22:8-20; 2Cr 34:14-28.
Alcuni ritengono che la profezia di Ulda fosse inesatta visto che Giosia morì in un’inutile battaglia. (2Re
23:28-30) Tuttavia la “pace” che Giosia avrebbe trovato nel suo cimitero è ovviamente contrapposta alla
“calamità” che doveva abbattersi su Giuda. (2Re 22:20; 2Cr 34:28) Giosia morì prima di quella calamità
verificatasi nel 609-607 a.E.V., quando i babilonesi assediarono e distrussero Gerusalemme. Inoltre
l’espressione ‘essere raccolto presso i propri antenati’ non esclude automaticamente la possibilità di
morire di morte violenta in guerra, com’è indicato dall’uso di un’espressione simile, ‘giacere con i propri
antenati’, riferita sia a una morte in combattimento che a una morte non violenta. — Cfr. De 31:16; 1Re
2:10; 22:34, 40.

w95 15/7 14 Il dignitoso ruolo delle donne fra gli antichi servitori di Dio
Secoli dopo, il re Giosia, per interrogare Geova, mandò dalla profetessa Ulda una delegazione di cui
faceva parte il sommo sacerdote. Ulda poté autorevolmente rispondere: “Geova l’Iddio d’Israele ha detto
questo”. (2 Re 22:11-15) In quell’occasione il re comandò alla delegazione di andare da una profetessa,
ma allo scopo di ricevere istruzioni da Geova. — Confronta Malachia 2:7.

w92 1/7 22 Ho risposto all'invito durante la mietitura


Ben presto conducevo uno studio Torre di Guardia al quale assistevano oltre 20 persone. Dovevo
confidare moltissimo in Geova, che mi diede la forza e la capacità necessarie per aver cura delle sue
pecore. Quando mi sentivo stanca o incapace, ricordavo i fedeli dell’antichità, specialmente donne come
Debora e Ulda, che assolsero intrepidamente gli incarichi ricevuti da Geova. — Giudici 4:4-7, 14-16; 2 Re
22:14-20.

w71 1/12 715-6 "Nessuno disprezzi la tua giovinezza"


9 Con questa immediata e positiva azione al fine di determinare qual era la volontà di Geova e come
doveva essere adempiuta dal popolo, Giosia mostrò il suo grande amore verso Geova e il suo desiderio
di fare la volontà di Geova. Egli volle interrogare Geova per avere le sue istruzioni al riguardo. Mandò i
suoi servitori a interrogare la profetessa di Geova, Ulda, su ciò che si doveva fare. Benché la parola di
Geova condannasse le azioni del popolo di Giuda perché aveva dimenticato la sua legge, Giosia eseguì
fedelmente le parole della legge e si accertò che fossero ripetute agli orecchi degli abitanti del paese. Il
racconto biblico dice:
10 “Quindi il re mandò e raccolsero a lui tutti gli anziani di Giuda e di Gerusalemme. Dopo ciò il re salì alla
casa di Geova, e anche tutti gli uomini di Giuda e tutti gli abitanti di Gerusalemme con lui, e anche i
sacerdoti e i profeti e tutto il popolo, dal piccolo al grande; ed egli leggeva ai loro orecchi tutte le parole
del libro del patto che era stato trovato nella casa di Geova. E il re stava presso la colonna e ora concluse
il patto dinanzi a Geova, di camminare dietro a Geova e di osservare i suoi comandamenti e le sue
testimonianze e i suoi statuti con tutto il cuore e con tutta l’anima, eseguendo le parole di questo patto
ch’erano scritte in questo libro. Tutto il popolo stette pertanto al patto”. — 2 Re 23:1-3.
11 Questo giovane re di venticinque anni aveva davvero a cuore gli interessi di Geova e, per la sua
condotta, il suo amore per la giustizia e le parole di santa sapienza che pronunciò ebbe la benedizione di
Geova. Il racconto di II Re prosegue narrando alcuni suoi atti in armonia con le parole della Legge. Egli
rese non idoneo all’adorazione Tofet, che era nella valle dei figli di Innom, affinché nessun figlio fosse
fatto passare per il fuoco in sacrificio a Molec. Egli abbatté gli alti luoghi di pagana adorazione di fronte a
Gerusalemme ed eliminò i medium spiritici, quelli che predicevano gli avvenimenti per mestiere, i terafim
e gli idoli di letame e tutte le cose disgustanti che erano in Giuda e in Gerusalemme. Pertanto fu detto di
lui: “E come lui non ci fu prima di lui un re che si rivolgesse a Geova con tutto il cuore e con tutta l’anima
e con tutta la forza vitale, secondo tutta la legge di Mosè; né dopo di lui ne è sorto uno simile a lui”. (2 Re
23:4-25) Veramente, nessun uomo poteva disprezzare la giovinezza di questo giovane re.

Potrebbero piacerti anche