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Sul concetto di giudeo-cristianesimo

Article · January 2003

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Mauro Pesce
University of Bologna
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Mauro Pesce

Sul concetto di giudeo cristianesimo

[articolo in forma precedente a quello pubblicato in: M. Pesce, “Sul concetto di giudeo-

cristianesimo”, Ricerche Storico-Bibliche 15 (2003) 21-44]

1. Le ricerche recenti sul giudeo-cristianesimo

Le ricerche sul giudeo-cristianesimo1 hanno avuto in passato il grande merito di allargare la

visione del cristianesimo primitivo attirando l’attenzione su fonti e gruppi cristiani per lo più

trascurati dall’esegesi e dalla storiografia, concentrate prevalentemente sugli scritti neotestamentari.

Quegli studi hanno anche contribuito a mettere in luce le origini giudaiche del cristianesimo,

trascurate da un’esegesi e da una storiografia abituate ad opporre il cristianesimo nascente sia al

giudaismo sia alle culture e alle religioni greco-romane (il cosiddetto “paganesimo”). J.Daniélou,

ad esempio, sulla base delle sue ricerche, sintetizzate nel celebre volume La teologia del Giudeo-

cristianesimo2, perveniva così nella prima sezione della sua storia del cristianesimo antico (Nuova

Storia della Chiesa. I. Da Paolo a Gregorio Magno, Marietti, Torino, 1970) a riscrivere una storia

del cristianesimo primitivo che non seguiva lo schema degli Atti degli Apostoli, un’opera che –

come è noto – mette in luce solo alcuni aspetti dei primi decenni cristiani. Ciononostante, bisogna

dire che la maggior parte dei neotestamentaristi e degli storici del cristianesimo antico ha continuato

ad ignorare le fonti e i gruppi messi in luce dagli studiosi del giudeocristianesimo, senza proseguire

nella linea indicata ad esempio da Daniélou. Cosi V.Fusco, Le prime comunità cristiane. Tradizioni

e tendenze nel cristianesimo delle origini, Bologna EDB, 1997 conserva un impianto

essenzialmente dedicato agli scritti canonici del Nuovo Testamento e alle comunità che sembrano

stagliarsi dietro ad essi. Le pagine 155-176 sono dedicate ad un netto rifiuto di prendere in

considerazione altri scritti (nonostante l’ampio dibattito che egli dedica, nelle pagine 13-29, alla

tematica del giudeo-cristianesimo). Così G.Jossa nel suo Il cristianesimo antico. Dalle origini al

concilio di Nicea, Roma NIS, 1997, trascura quasi del tutto il giudeo-cristianesimo. Io stesso,

nonostante i miei studi sull’Ascensione di Isaia, ho poi finito per studiare solo testi canonici in due

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libri recenti scritti in collaborazione con A.Destro (Antropologia delle origini cristiane, Bari-Roma.

Laterza, 19972 e Come nasce una religione. Antropologia ed esegesi del Vangelo di Giovanni,

Bari-Roma, Laterza 2000).

Siamo tuttavia di fronte, in questi anni, ad una seconda ondata di studi sul giudeo-

cristianesimo, come ci dimostra sia una serie di importanti convegni (quello di Gerusalemme,
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quello di Torino, questo stesso di cui si pubblicano qui gli atti) sia un numero interessante di

monografie e di articoli4. Ma questi lavori non possono essere isolati da un movimento più vasto

che possiamo definire una ridiscussione radicale della storia della nascita del cristianesimo: penso

ad esempio ai lavori di J.D.Crossan, P.Geoltrain, Nodet-Taylor, M.Sachot, S.C.Mimouni e al nostro

volume Come nasce una religione (sebbene dedicato solo al Vangelo di Giovanni, ma con una

apertura su una ridiscussione su come impostare la ricostruzione del cristianesimo nascente). Si

tratta di una vasta letteratura sviluppatasi negli ultimi dieci anni circa.5 Da questi studi sulla nascita

del cristianesimo i lavori recenti sul giudeo-cristianesimo non debbono essere isolati, altrimenti si

rischia di non comprenderne la portata. Tra la prima fase di studi sul giudeo-cristianesimo e la

seconda fase attuale esiste una connessione importante. La prima fase aveva avuto il merito di

suscitare una vasta mole di lavori analitici su singole opere e fonti che sono state da allora edite con

nuovi approfonditi criteri filologici e storici e poi commentate e messe in relazione fra loro

producendo lentamente il bisogno e la proposta di nuove visioni storiografiche. Un esempio italiano

di questo studio analitico di singole opere è il gruppo di ricerca sull’Ascensione di Isaia suscitato

nel 1977 a Bologna e che ha prodotto da allora una ventina di studi analitici e infine, a cura di

E.Norelli, una edizione e commento in due volumi nel Corpus Christianorum.6 E. Norelli ha

analiticamente mostrato l’esistenza di tradizioni pre-sinottiche in questo importante scritto che ci

trasmette momenti e concezioni di gruppi che ebbero rilevanza nel primissimo cristianesimo. Ma

potrei anche ricordare la pubblicazione della nuova edizione e commento della Didachè ad opera di

Giuseppe Visonà (Paoline, 2000) che restituisce a questa opera il valore di una testimonianza,

indipendente dai Sinottici, su tradizioni relative a Gesù e ad alcune primissime comunità dei seguaci

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di Gesù di estrema antichità che Visonà definisce giudeo-cristiane.7 Di questo nuovo panorama

degli studi sugli scritti protocristiani offre un’accurata introduzione il primo volume della Storia

della letteratura cristiana antica greca e latina di E.Norelli e C.Moreschini, un’opera di alto livello

che si potrà ora consultare nell’edizione francese riveduta e corretta.8 Queste ricerche sui singoli

testi dell’area cosiddetta giudeo-cristiana stimolano però ora una nuova visione anche perché negli

ultimi venti anni si è sviluppata una nuova ricerca sul Gesù storico che ha spinto a riconsiderare la

storia della redazione di molti scritti protocristiani, mettendo così in luce momenti e gruppi diversi

e antecedenti e indipendenti dagli scritti riuniti oggi nel Nuovo Testamento. Basti ricordare due

importanti opere di H.Koester e l’appendici riassuntiva della stratigrafia e classificazione degli

scritti protocristiani in appendice a The Historical Jesus (1991) di J.D.Crossan. Ad essi bisogna

aggiungere due importanti strumenti come i New Gospel Parallels di Robert Funk (1985) in due

volumi e i Q Parallels di Kloppenburg (1988).9

2. Relatività e uso dei concetti storiografici

Mi è stato chiesto di tentare un chiarimento sulla definizione del giudeo-cristianesimo. Negli

anni recenti diversi specialisti lo hanno già fatto, si pensi ad esempio a Joan Taylor, S.C.Mimouni,

F.Blanchetière, ma ancor prima F.Manns, L.Cirillo, E.Norelli. Vorrei però affermare fin dall’inizio

che l’utilità di un chiarimento dei concetti storiografici è solo funzionale ad una migliore

utilizzazione delle fonti da parte dello storico e ad una più felice ricostruzione della varietà dei

fenomeni religiosi. Non c’è ricerca storica e filologica senza definizione dell’oggetto di indagine,

ma ciò che conta è l’esito dell’indagine. Cosicché anche una ricerca che muova da concetti

storiografici imprecisi o inadeguati ha una qualche validità, nella misura in cui sia in grado di

comunque di far vedere meglio un testo o una corrente. Si può abbandonare il concetto storiografico

impreciso, ma non si deve abbandonare l’oggetto dell’indagine. Io sosterrò ad esempio che è

necessario abbandonare il concetto di giudeo-cristianesimo per la prima fase della storia del

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cristianesimo, ma solo per poter meglio valorizzare le fonti e le tendenze che la ricerca passata sul

giudeo-cristianesimo ha messo in luce.

Per definire in modo corretto i giudeo-cristiani sono necessarie due cose: 1) che sia chiaro il

concetto di “giudeo-cristianesimo” che si usa e 2) che sia ben individuato il gruppo religioso o il

fenomeno religioso che si vuol definire (il che implica una individuazione di fonti storiche precise).

Se ci si limita solo ad una definizione concettuale si rimane nell’astratto, come ha anche

recentemente sottolineato Mimouni.10

Un chiarimento teorico sulla natura dei concetti storiografici è necessario, ma deve essere in

questa sede necessariamente molto breve. Siamo oggi, molto più che in passato, coscienti che i

concetti storiografici hanno sempre una storia: nascono, si trasformano e muoiono. I concetti

storiografici non sono realtà naturali, bensì prodotti di determinate tendenze culturali. Viviamo oggi

in un’epoca in cui è iniziata una sistematica considerazione critica dei concetti storiografici usati

dalle scienze umane per definire fenomeni religiosi del passato (si pensi ai concetti di rito, sacro,

sacrificio, profetismo, messianismo, apocalittica, ecc.). Molti dei concetti che usiamo per definire

realtà appartenenti al mondo antico sono stati, infatti, forgiati negli ultimi 150 anni ed erano

sconosciuti precedentemente. E anche il concetto di giudeo-cristianesimo è un prodotto recente

sconosciuto all’antichità cristiana.11

Inoltre, si è oggi consapevoli del fatto che i concetti storiografici costruiscono o, se si

preferisce, condizionano la delimitazione della realtà che si vuole definire. Ciò, che è ormai

un’ovvietà nella scienza della letteratura o nella sociologia della letteratura. Se ad esempio si

definisce il concetto di giudaismo da un punto di vista non etnico, ma culturale, saranno giudeo-

cristiani tutti i testi cristiani che si esprimono all’interno della cultura giudaica. Ovviamente per

potere considerare appartenenti alla cultura giudaica certi testi sarà necessario definire prima cosa si

ritiene imprescindibile e sufficiente perché si possa dire che ci si muove all’interno della cultura

giudaica (è sufficiente il monoteismo? O anche l’osservanza della Torah? O anche la circoncisione,

o l’idea di risurrezione, il profetismo, certi tipi di esperienza religiosa e di ritualità?). Dovremo

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considerare giudaica anche la cultura giudaico ellenistica? E’ in base ad un criterio come questo che

J.Daniélou poteva considerare giudeo-cristiani tutti gli scritti che si esprimevano nei termini della

cultura giudaica. Oppure dovremo considerare giudeo-cristiani gli scritti e i gruppi che si situano

all’interno non della cultura giudaica solo, ma del giudaismo come religione e del popolo ebraico

come realtà etnica? E come definiremo giudaismo e popolo ebraico?

Secondo una distinzione che avuto alterne fortune negli studi antropologici, i concetti

possono distinguersi in “-emici” ed “–etici”, una terminologia che nasce dalla distinzione tra “fon-

emico” e “fon-etico” e che vuole indicare che esistono concetti usati all’interno della fonte studiata

(quelli “emici”) e concetti usati dallo studioso che analizza quella fonte (quelli “etici”). Non si può

a fare a meno di concetti etici. Molte volte si legge ancora da parte di alcuni esegeti la critica rivolta

a scienziati della letteratura o a specialisti di scienze sociali, critica secondo la quale essi

applicherebbero alle fonti antiche concetti che in quelle fonti non esistono.Ciò è una ingenuità

epistemologica, perché non esiste studioso che non applichi alle fonti concetti che provengono dalla

sua cultura.Il processo della conoscenza inizia proprio quando, in base a concetti del nostro tempo,

incominciamo ad indagare il passato e si compie solo quando i nostri concetti, ai quali non

possiamo rinunciare altrimenti usciremmo da ogni possibile atto conoscitivo, si dialettizzano e si

trasformano a contatto con i concetti usati dalle fonti, in un processo dialettico senza fine e che non

può arrivare mai ad una totale adeguazione del soggetto all’oggetto. Questo problema della

dialettica tra concetti delle scienze attuali e concetti dei nativi o degli antichi è ampiamente

analizzato nella lettura antropologica12 ed è noto negli studi di storia delle religioni. Basti qui

rimandare alle pagine introduttorie di U.Fabietti13 o, per un caso concreto, al vasto di battito sul

concetto di sacrificio14. L’antropologia nasce e si sviluppa proprio per riuscire a comprendere le

culture diverse dalla nostra e il mondo antico in cui il cristianesimo è parte integrante appartiene ad

una cultura diversa dalla nostra. “Comprendere l’alterità” è un espressione che riassume i due poli

del problema: siamo noi con la nostra cultura e i concetti nostri che dobbiamo “comprendere”, ma

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ciò che dobbiamo comprendere con i nostri concetti è fuori dalla nostra cultura e appartiene ad un

mondo che usa concetti “altri”.

Il concetto di giudeo-cristianesimo presuppone che esistano due realtà religiose considerate

autonome: il cristianesimo e il giudaismo. Presuppone, cioè, che esista il cristianesimo e che esista

il giudaismo, altrimenti non si potrebbe parlare di un cristianesimo giudaico, in qualsiasi modo lo si

intenda. Ciò significa che si può parlare di giudeo-cristianesimo solo a partire dal momento in cui il

cristianesimo esiste. Ma, come è noto, questa è questione storica difficile e comunque oggi

ampiamente dibattuta. Da un certo punto di vista, “Cristianesimo” e “giudaismo”, così come li

usiamo oggi, sono due concetti “etici” e non “emici”, almeno nel senso che i concetti di

cristianesimo e giudaismo usati nel XX e XXI secolo sono diversi da quelli usati nel II e III secolo.

Sono concetti forgiati da noi, dalla nostra cultura e dalla nostra teologia e non dalle fonti. Gran parte

dei problemi della definizione del giudeo-cristianesimo sta nella necessaria dialettica tra una

definizione usata negli studi dell’ultimo secolo e l’autodefinizione dei gruppi e dei testi religiosi che

si vorrebbero comprendere sotto il concetto di cristianesimo, giudaismo e giudeo-cristianesmo.

3. Da quando si può parlare di “cristianesimo”?

Per chiarire il concetto di giudeo-cristianesimo va perciò chiarita preventivamente tutta una

serie di questioni legate al concetto di “cristianesimo”. Siccome il cristianesimo nasce all’interno

del giudaismo, sarà anzitutto necessario chiarire quando e dove (cioè in quali aree geografico-

ecclesiastiche) si può dire che esista un fenomeno religioso autonomo dal giudaismo che possiamo

chiamare cristianesimo. E’ legittimo, infatti, ipotizzare che non in ogni situazione si sia verificata

nello stesso tempo questa autonomizzazione che permette di parlare del cristianesimo come

fenomeno religioso distinto dal giudaismo. In secondo luogo, sarà necessario chiarire accuratamente

il contenuto di questo fenomeno religioso da definire “cristianesimo”. Bisognerà quindi precisare in

modo accurato la fisionomia religiosa di questi cristianesimi che si sono autonomizzati dal

giudaismo (o meglio da una particolare forma di giudaismo, visto che di giudaismi, nel I secolo, ce

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ne erano diversi). E, nel precisare il contenuto di questi gruppi che si sono autonomizzati dal

giudaismo, bisognerà guardarsi dal proiettare su di essi le realtà istituzionali, dogmatiche etiche e

liturgiche proprie del cristianesimo successivo.

Partiamo da questo secondo punto. Qui non bisogna creare una confusione che deriva dal

fatto di usare la stessa parola “cristianesimo” per definire realtà storico-religiose differenti. Se per

cristianesimo si intende una precisa realtà istituzionale, dogmatica, etica e liturgica che esiste solo a

partire dalla fine del II secolo, non si dovrà poi pensare che il cristianesimo così definito esista già

quando gli Atti degli apostoli ci dicono che per la prima volta ad Antiochia i discepoli furono

chiamati christianoi. Il fatto che ad Antiochia in un periodo di tempo difficile da determinare alcuni

dall’esterno abbiamo definito “christianoi” (messianici?, seguaci di Cristo?) un determinato gruppo

di persone oppure, al contrario, che i membri di questo gruppo si siano, dall’interno, autodefiniti

come christianoi15 è un fatto che non va sopravvalutato. Infatti, l’esistenza dell’appellativo

christianoi non ci trasmette informazioni precise sulle concezioni, la prassi etica e liturgica, le

istituzioni del gruppo di Antiochia che alcuni chiamavano christianoi. Inoltre, non si dovrebbe

trascurare che non sappiamo se avrebbero chiamato con lo stesso appellativo gruppi di seguaci di

Gesù di altri luoghi che presentassero caratteristiche diverse. Neppure è dimostrato che altri gruppi

di seguaci di Gesù si definissero in quel medesimo periodo christianoi. In ogni caso, la definizione

storico-religiosa dei membri di questo gruppo che qualcuno chiamava o che essi stessi si

chiamavano christianoi dovrà essere fatta sulla base delle credenze, delle pratiche e della

configurazione sociale di quel gruppo senza attribuire ad esso(qui è il punto) concezioni, pratiche e

confini sociali che sono tipici solo di gruppi religiosi successivi. Richiamarsi perciò a quella frase

degli Atti per risolvere il problema delle origini del cristianesimo è una ingenuità storiografica.

I problemi più importanti da risolvere per un uso corretto del concetto “etico” di

Cristianesimo sono – lo ribadisco- perciò due: quando e dove i gruppi dei seguaci di Gesù si

autonomizzano dal giudaismo; quale fisionomia storico-religiosa essi possedevano, una fisionomia

che non va confusa con quella del cristianesimo successivo, né letta alla luce di esso.

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Partiamo dal primo e cioè dall’autonomia dal giudaismo come elemento assolutamente

necessario per poter parlare di cristianesimo. La prima esigenza, da questo punto di vista, è un

chiarimento sul significato dei termini “giudaico”, “gentile”16 e “cristiano”. Questi termini possono

avere ciascuno tre significati diversi: etnico, religioso e culturale. Alcune delle confusioni da evitare

derivano dal fatto che uno dei tre concetti, preso in uno dei suoi tre significati, viene confrontato

con un altro dei tre concetti, preso però in un significato diverso. L’elemento etnico, ad esempio,

non può essere semplicemente sullo stesso piano di quello religioso e culturale.

Su queste distinzioni diversi studiosi hanno attirato l’attenzione, da B.Malina a

F.Blanchtière a S. Mimouni, ma non mi sembra che si sia pervenuti ad una considerazione

sistematica adeguata.

4. Significato culturale, etnico, e religioso dei termini giudaico, gentile, cristiano

“Giudeo” o “giudaico” può significare tre cose diverse. In un primo caso, “giudeo“ definisce

l'appartenenza ad un gruppo etnico in seguito a nascita o adesione ufficiale tramite riti. In un

secondo caso, definisce, invece, modi di vita, concezioni, istituzioni, meccanismi di adesione a

gruppi. In sostanza, nel primo caso, “giudaico” si riferisce ad un ethnos e ai suoi singoli membri;

nel secondo, ad una cultura e ai singoli aspetti di essa. Esiste però anche un terzo significato,

quando “giudaico” si riferisce più strettamente e ciò che potremmo provvisoriamente chiamare

“religione”.La possibilità di distinguere all’interno della cultura giudaica gli elementi strettamente

religiosi non è una ipotesi astratta, ma si basa sui dati che emergono dai testi che ci trasmettono la

cultura giudaica dell’età in cui il cristianesimo di forma. Lucio Troiani ha mostrato, ad esempio, che

Svetonio distingueva fra i Giudei «quanti cercavano d’eludere la tassa, non dichiarando la vita

giudaica (in pratica dichiarando di non essere praticanti) da quanti sconfessavano addirittura

l’appartenenza alla costituzione d’Israele: Praeter ceteros Iudaicus fiscus acerbissime actus est; ad

quem deferebantur, qui velut improfessi Iudaicam viverent vitam vel dissimulata origine imposta

genti tributa non pependissent. Interfuisse me adulescentulum memini, cum a procuratore

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frequentissimoque consilio inspiceretur nonagenarius senex an circumsectus esset» («La tassa sui

Giudei fu riscossa con un rigore tutto particolare: vi si sottoponevano sia i proseliti che vivevano

come i Giudei, senza averlo dichiarato, sia coloro che, dissimulandone l'origine, si erano sottratti ai

tributi imposti a questa nazione. Mi ricordo di aver visto, quando ero appena adolescente, un agente

del fisco, accompagnato da un numeroso seguito, esaminare un vecchio di novant'anni per stabilire

se era circonciso»).17

Più avanti Troiani scrive «un’identità giudaica comportava differenti sfumature e gradi di

adesione, Giovenale, che vive all’incirca fra il 60 e il 130 d.C., parlando dell’influenza, a suo

giudizio nefasta, che i vizi dei genitori avrebbero sulla prole, descrive il comportamento di quei figli

che “avendo ricevuto in sorte un padre che teme il sabato, non adorano che le nubi e il nume del

cielo e non ritengono che la carne di maiale differisca da quella umana”. Tutto questo ancora sulle

orme della consuetudine paterna. Essi poi aggiungerebbero di proprio la circoncisione». Abbiamo

quindi anche una posizione di affermazione di identità ebraica religiosa molto chiara.18 Conclude

Troiani.«Abituati a collocare il giudaismo greco-romano come sopra un piedistallo, fuori delle

tentazioni e delle mode della civiltà profana e secolare dei cosiddetti classici, abituati a

caratterizzarlo come contemplativo e assorto nella severa speculazione della Torah, finiamo per

sottovalutare ed oscurare la sua “laica” presenza, costante ed assidua per secoli, nella vita

cittadina».19

Quando parliamo di “gentili“, ci riferiamo di solito almeno a tre cose socialmente diverse.

Per “gentile” possiamo intendere una persona che per nascita è non-giudea e che giudea non è

diventata. In realtà, anche da questo punto di vista non è corretto contrapporre giudei e gentili intesi

come non-giudei, perché il concetto di “gentile” applicato ai non-giudei, non li definisce per

caratteristiche loro proprie (sottolineo questo punto), ma per il fatto di non condividere

l'appartenenza all'ethnos giudaico. Sarebbe molto meglio confrontare Giudei con Romani, o con

Illirici, Egiziani, ecc. perché così si confronterebbero gruppi etnici e cioè classi comparabili da un

punto di vista comune, l’appartenenza, appunto, ad un ethnos. In questo primo senso “gentile”

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significa chi appartiene a gruppi etnici diversi da quello ebraico. In un secondo senso, “gentile” si

riferisce invece alle religioni (sottolineo il sostantivo religioni) tradizionali non-ebraiche del mondo

greco-romano e definisce perciò non una cultura, ma un elemento della cultura, la religione.Il

concetto di religione dei gentili o religione “pagana” è ovviamente un concetto moderno e

potremmo domandarci fino a che punto il nostro concetto di religione corrisponda a ciò che

indichiamo come “religione” nel mondo antico. Infine, “gentile” può indicare le antiche culture

greco-romane. Ma della cultura greco-romana del I secolo facevano parte anche i Giudei. Cosicché,

da questo punto di vista, non si può opporre “giudaico” a “gentile”, perché, ripeto, da questo terzo

punto di vista, i Giudei sono sempre anche “gentili” come cultura. Questo è un fatto che viene

troppo trascurato.

In conclusione, “giudaico” e “gentile”, nei primi due secoli della storia cristiana, assumono

tutte e tre queste valenze. Il termine cristiano, invece, assume solo una valenza religiosa. I gruppi

dei seguaci di Gesù nei primi due secoli non hanno ancora prodotto una “cultura”. Se di

cristianesimo si potesse parlare dovremmo dire che il cristianesimo non è ancora una cultura. Ciò

perché la società nei suoi elementi culturali fondamentali: il modo di occupare lo spazio pubblico e

domestico, il modo di organizzare il tempo, la visione complessiva del mondo, le pratiche sociali

dell’intera società non sono in alcun modo “cristiane”, nel senso che non dipendono dagli

insegnamenti di Gesù o dagli insegnamenti delle autorità delle singole chiese. I gruppi dei seguaci

di Gesù non sono ancora pervenuti a trasformare il modo di calcolare il tempo o di occupare lo

spazio di un’intera società in senso cristiano. I seguaci di Gesù non hanno alcuna intenzione di

trasformare lo spazio pubblico. Un’architettura cristiana non esiste ancora e le comunità stanno

soltanto lentamente trasformando dall’interno gli spazi abitativi delle case normali per renderli più

funzionali ai bisogni comunitari e liturgici.20 Essi si occupano di emanare norme per i propri

membri soltanto e non per l’intera società. Perché si possa parlare di una morale “cristiana”, inoltre,

ci vorrà molto tempo.21 Anche di famiglia “cristiana” non si può ancora parlare.22 Infine i seguaci di

Gesù si presentano non come un ethnos, ma come un insieme di associazioni volontarie.23 Il fatto

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che le associazioni dei seguaci di Gesù si presentassero all’interno di culture diverse è anche

significativo dal nostro punto di vista perché conferma che esse non si caratterizzassero attraverso

l’identificazione con una cultura particolare.

Se vogliamo parlare perciò di nascita del cristianesimo intendendo con ciò l’autonomia del

cristianesimo dal giudaismo, dovremo parlare di autonomia non primariamente dal punto di vista

culturale ed etnico, ma dal punto di vista religioso.

Ciò richiede un ulteriore chiarimento su cosa si intenda per “religione”. Credo che dopo la

distinzione operata da M.Sachot che ha cercato di spiegare che il concetto di religio è

semplicemente uno dei sistemi concettuali possibili con cui una determinata cultura, quella latina e

a partire da Tertulliano,24 ha compreso il cristianesimo, si dovrebbe essere più cauti nell’uso di

questo concetto così abusato e impreciso di “religione”. Del resto una critica al concetto di

“religione” è oggi diffusa (anche senza arrivare alle astrattezze teologiche di quanti vorrebbero che

il cristianesimo non fosse una religione). In questo articolo, al concetto di “religione” preferisco

quello di “sistema religioso”. I tre elementi essenziali e imprescindibili di un sistema religioso sono

un gruppo sociale, un insieme coerente di prassi religiose e un complesso di concezioni culturali o

visioni del mondo, condivise dal medesimo gruppo sociale.25 Il punto fondamentale è che una

religione non è un insieme di idee, ma implica persone coinvolte nella totalità della propria vita (o

in buona parte di essa) investendo i più diversi aspetti della vita individuale e collettiva.

Il concetto di “sistema religioso” permette di affrontare in modo più concreto il problema

della transizione da una religione all'altra. Credo che si possa dire che un movimento, corrente o

comunità non è più “giudaico” quando si distacca nettamente dal giudaismo nei tre elementi

costitutivi di ogni sistema religioso: le pratiche, le concezioni, i modi di adesione al gruppo. A

questo proposito, richiamo osservazioni che ho scritto in collaborazione con A.Destro: «Quando si

può dire [...] che un gruppo, nato all'interno del monoteismo ebraico, se ne distacchi in modo tale da

configurare un nuovo sistema religioso? E quando invece si può pensare che costituisca

semplicemente un movimento all'interno del monoteismo ebraico? Riteniamo che si dia un nuovo

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sistema religioso quando per aderirvi non è considerata condizione necessaria l'essere ebrei; quando

le sue concezioni si presentano come effetto di una rivelazione diretta di Dio e con accentuati

caratteri di diversità rispetto alla rivelazione precedente; quando la prassi rituale è diversa ed

autonoma. Riteniamo, invece, che una nuova formazione sia semplicemente un movimento interno

all'ebraismo quando il gruppo che lo costituisce continua ad essere composto da soli ebrei; quando

le concezioni nuove consistono in reinterpretazioni della tradizione data e la sua prassi rituale non è

indipendente».26

A conclusione di queste riflessioni sui diversi significati dei termini, giudaico, gentile e

cristiano, possiamo dire che il concetto di giudeo-cristianesimo si rivela inadeguato perché

confronta il termine “cristiano”, che nei primi due secoli ha solo significato religioso, con un

termine “giudaico” che ha significato etnico, culturale e religioso.

5. Non più “giudaico”, ma non ancora “cristiano”

In base a questo modo di impostare la questione noi arriviamo alla conclusione che il

sistema religioso supposto dal Vangelo di Giovanni non sia più giudaico, ma non sia ancora

“cristiano”. Mi sia permesso riportare quando in passato scrivevamo al proposito: «La comunità

giovannista è ormai staccata dal giudaismo perché autonoma negli elementi fondamentali che

caratterizzano un sistema religioso. Anzitutto, è membro della comunità chiunque creda in Gesù e

lo confessi apertamente distaccandosi dal gruppo di provenienza ebraico o non ebraico. Ciò

contrasta con un presupposto religioso primario dei sistemi giudaici, ai quali si appartiene se si è

ebreo o lo si diventa. Gli aderenti o componenti della comunità giovannista, poi, possiedono ormai

una propria visione del mondo. Parte essenziale della concezione che li definisce come gruppo è la

convinzione di essere posseduti o impregnati dallo spirito. È proprio grazie alla presenza dello

spirito, che il disegno divino, che si è compiuto nei discepoli storici, si è trasferito nella comunità

giovannista. Essa è nata nel momento stesso in cui Gesù ha completato l'iniziazione dei suoi con la

trasmissione fisica del soffio vitale di Dio. Se i discepoli vivevano della guida e dell'insegnamento

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del maestro, la comunità giovannista vive sotto l'influenza costante dell'ispirazione soprannaturale.

Il giovannismo mantiene le sacre scritture ebraiche perché contengono alcune delle basi

fondamentali della propria visione religiosa del mondo. Ritiene, però, grazie all'assistenza dello

spirito, di possederne un’interpretazione più vera e in ciò appare distanziato e contrapposto rispetto

al gruppo di quelli che Giovanni chiama i «Giudei». La comunità giovannista presenta, poi, la

propria singolarità anche nel modo in cui concepisce la propria fondazione e il proprio scopo. Essa

ritiene di essere stata fondata in modo extra-umano e di avere ricevuto un comando divino a

predicare la verità nel mondo.

Anche sul piano delle norme e della prassi religiosa il giovannismo è autonomo, soprattutto

perché ritiene di possedere la forma vera del culto, l'adorazione. Si tratta di un atto che Giovanni

immagina esterno all'organizzazione templare e privo di altri supporti sacrali legati a determinazioni

spazio-temporali. Esso consiste nell'incontro con la divinità, dentro e attraverso il proprio corpo,

indipendentemente dal luogo in cui ci si trova. Negando radicalmente la necessità del tempio di

Gerusalemme, il giovannismo si autonomizza dal sistema sacrificale sia in teoria sia nei fatti,

soprattutto grazie ad un nuovo sistema di remissione dei peccati, posseduto e utilizzato

esclusivamente dalla comunità. Ciò costituisce un fatto strepitoso per un ambiente che sul sacrificio

ha costruito gran parte del sistema di mediazione fra umano e sovrumano, nonostante che ciò,

sebbene in forme diverse, si verifichi anche nel giudaismo rabbinico pressappoco coevo a Giovanni.

L'autonomia della comunità giovannista si manifesta, infine, nei riti di ammissione (che

richiedono una esplicita confessione di fede in Gesù) e soprattutto in un processo iniziatico che

introduce i suoi membri alla esperienza fondamentale. È il condividere la ritualità iniziatica,

dalle forme più semplici della cena fino all'alitazione dello spirito, che cementa il gruppo dei

discepoli storici e lo proietta verso il futuro. Anzi, ne garantisce la durata a lungo termine.

L'avere sperimentato insieme le diverse azioni iniziatiche crea un ineliminabile legame, che

costituisce la base di aggregazione trasmissibile ad ogni altra futura comunità. Nella misura in

cui il rito iniziatico dei discepoli, in particolare l'alitazione, diventa - esperienzialmente più che

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intellettualmente - il nucleo forte della visione che sostiene la comunità, esso costituisce un

evento cardine per la memoria degli iniziati e per quella di chi verrà dopo. In altri termini, i

discepoli di Gesù riemergono dallo stato incerto e liminale e assumono fisionomia storica per sé

e per la comunità successiva. Il tempo nuovo, quello stesso del giovannismo, inizia tutto a

partire da questa loro riemersione, dalla loro esperienza vissuta per intervento di forze

sovrumane e che dovrebbe essere spesa nel «mondo».27

Tuttavia noi concludevamo dicendo che il giovannismo, pur essendo autonomo dal

giudaismo non era un cristianesimo perché non preventiva le caratteristiche tipiche del

cristianesimo della seconda metà del II secolo. Si questo si può discutere.Ma ciò che qui voglio

sottolineare è che non si può parlare di giudeocristianesimo finché il cristianesimo non esiste.

Ritenendo che di cristianesimo non si possa parlare se non a partire dagli inizi del II secolo

(e qui i pareri divergono sulla data di inizio), diversi studiosi negano che si possa parlare di giudeo-

cristianesimo per tutto il I secolo semplicemente perché il cristianesimo non esisteva e tutti i gruppi

dei seguaci di Gesù si muovevano all’interno del giudaismo. Prendiamo ad esempio il caso di S.C.

Mimouni che ha pubblicato nel 1998 una raccolta di saggi storici su Le Judeo-Christianisme

Ancien. La definizione di Mimouni è la seguente: «Il giudeo-cristianesimo è una formulazione

recente che designa dei cristiani di origine giudaica che hanno riconosciuto la messianicità di Gesù,

i quali hanno riconosciuto oppure non hanno riconosciuto la divinità del Cristo, ma che tutti

continuano ad osservare la Torah».28 Mimouni ritiene quindi fondamentale, per determinare chi sia

“giudeo-cristiano”, che si possa parlare da un lato di «cristiani» e perciò di «cristianesimo» e,

dall'altro, di riconoscimento della messianicità e di «osservanza della Torah». Per Mimouni è

fondamentale affermare che: «per il periodo che va fino al 135 [...] non sembra necessario occuparsi

della definizione del giudeo-cristianesimo perché il cristianesimo non è ancora se non una corrente

all'interno del giudaismo».29 Sul fatto che non si possa parlare di “cristianesimo” almeno per buona

parte del I secolo sono d'accordo molti studiosi. Ad esempio, J.D.Crossan: «Quando la maggioranza

della gente vede il termine Cristianesimo pensa ad una religione del tutto separata dal Giudaismo.

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Questa è una rappresentazione esatta della realtà di oggi, ma è disperatamente errata per la prima

metà del primo secolo. Io potrei parlare del movimento del regno di Dio, o del movimento di Gesù,

o usare qualche altra espressione storicamente corretta che ci impedisca di pensare ad una religione

separata dal giudaismo. Ogni volta che uso i termini cristiano o cristianesimo in questo libro -

prosegue Crossan - intendo una setta all'interno del Giudaismo. Io parlo di Giudaismo cristiano

(Christian Judaism) nello stesso senso in cui parlo di Giudaismo farisaico, di Giudaismo sadduceo,

di Giudaismo esseno, di Giudaismo apocalittico o di una qualsiasi delle molte sette e fazioni della

Terra degli Ebrei nel Primo secolo [...]».30 Personalmente, preferisco evitare l'aggettivo “cristiano”

anche in questo caso, perché esso è, a mio avviso, legato ad una forma religiosa che si afferma solo

dopo la metà del II secolo. Secondo Raymond E. Brown,31 prima del 70 i cristiani non sono che una

corrente interna al giudaismo. Il cristianesimo non può perciò essere definito né giudeo-cristiano, né

pagano-cristiano, ma piuttosto “giudeo-pagano”. Concordo con S.C.Mimouni che la prima

osservazione è da sottoscrivere, la seconda da rifiutare. Mimouni scrive. «le christianisme d’avant

70 n’est ni judéo-chrétien ni pagano-chrétien, car tout simplement, doit-on ajouter, il est juif tant

pour les autorités religieuses juives que pour les autoritès politiques romaines».32 Solo «après 70, le

christianisme va sortir progressivament du judaïsme». Secondo Mimouni, «ce n’est qu’avec la

rédaction de l’Evangile selon Matthieu que s’ouvre un debat réel entre le christianisme – dans une

de ses branches judéo-chrétiennes – et le judaïsme».33 Io credo che questo dibattito sia testimoniato

anche dalle fasi giudaiche delle comunità palestinesi giovanniste.34 Mimouni conclude: «D’un point

de vue historique, avant cette date, il est donc difficile de considérer le christianisme comme une

religion à part entière, il est “une sensibilité”, parmi d’autres, au sein du judaïsme».35 «Avant 70 -

continua Mimouni – et dans une certaine mesure jusque’aux environs de l’an 100, il est donc

possibile de considérer qu’il y a, parmi d’autres, des juif chrétiens, come il y a des juifs sadducèens,

des juifs pharisiens, des juifs esséniens».

Il problema non è solo terminologico o concettualmente astratto. Se non è lecito parlare di

cristianesimo nel I secolo e se non esiste nel I secolo un cristianesimo normativo, il ricorso al

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concetto di giudeo-cristianesimo per definire concezioni o gruppi cristiani del I secolo si rivelerà

nella sua natura essenzialmente confessionale, e cioè come uno strumento per individuare,

all’interno delle fonti e delle realtà storiche cosiddette cristiane del I secolo, correnti e concezioni

normative che verranno definite semplicemente “cristiane”, da correnti devianti o marginali definite

“giudeo-cristiane”. Il criterio di valutazione sarà tratto da una sola delle fonti o delle correnti (ad

esempio le lettere di Paolo o gli Atti degli Apostoli) oppure dagli assetti cristiani dogmatici ed

istituzionali successivi.

6. Proposta di un periodo di formazione in tre fasi

Se si può parlare di Giudeo-cristianesimo solo dopo che esiste il cristianesimo e solo dopo

che il cristianesimo è una realtà distinta dal giudaismo, mi sembra opportuno distinguere tre periodi

storici. Il primo va da Gesù al momento in cui alcuni gruppi di seguaci di Gesù escono dal

giudaismo (un periodo che va dagli inizi degli anni 30 e che finisce in epoche diverse a seconda dei

gruppi e delle aree geografico-religiose. Questo termine ad quem, abbastanza vario per le diverse

aree, potrebbe andare da 70 circa fino agli inizi del II secolo. Il secondo va da quando alcuni gruppi

di seguaci di Gesù escono dal giudaismo a quando si forma il cristianesimo (un periodo che va

perciò dal 70-100 circa al secondo decennio circa del II secolo).Questo periodo intermedio

normalmente non viene mai preso in considerazione, ma è secondo il mio parere di estrema

importanza. Il fatto che i gruppi di seguaci di Gesù escano dal giudaismo non significa che nasca

una nuova religione chiamata cristianesimo. Esiste un periodo intermedio in cui i gruppi di seguaci

di Gesù non appartengono più al giudaismo, ma non appartengono neppure al cristianesimo che

ancora non esiste. Il terzo va da quando si forma il cristianesimo a quando si forma un cristianesimo

normativo.

Per il primo periodo non dobbiamo usare il termine “cristianesimo”, ma semplicemente,

come concetto “etico”, “gruppi o comunità di seguaci di Gesù” e, come concetto “emico”, se

disponibile, l’autodefinizione di ciascuno. In questo primo periodo, i seguaci di Gesù dapprima

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vivono all'interno del giudaismo e poi, più o meno lentamente e in diversi modi e in relazione a

eventi diversi, si distaccano dalle istituzioni, dalle pratiche, dalle concezioni e dai modi di costituire

comunità (o entrare in esse) che si possono definire giudaici. Solo alla fine di questo periodo si può

parlare di cristianesimi al plurale ma non ancora di un cristianesimo normativo, riconosciuto come

tale, almeno in alcuni punti, dalla maggioranza delle correnti e un'organizzazione comunitaria

sostanzialmente uniforme almeno in certe aree.36

Agli inizi, i gruppi dei seguaci di Gesù facevano certamente parte del Giudaismo nei quattro

aspetti che ho sopra elencato (istituzioni, pratiche, concezioni, modi di entrare in comunità o

costituirle). Se essi non possono essere definiti cristiani, come definirli allora? Quelli di loro che

erano giudei di nascita possono definirsi certamente “giudei”. Quelli invece che erano non-giudei di

nascita, e cioè i cosiddetti “gentili”, in alcuni casi furono circoncisi e perciò entrarono a far parte del

popolo giudaico e possono anch'essi definirsi “giudei”. Gli altri non-giudei che non furono

circoncisi, e che però erano seguaci di Gesù, adottavano pratiche, concezioni giudaiche, ed erano

sottomessi ad istituzioni e facevano parte di comunità o gruppi che si possono definire giudaici.

Un esempio di questa situazione iniziale si ha, a mio parere, nelle fasi giudaiche del

giovannismo così come sono testimoniate nel Vangelo di Giovanni. Ricostruendo le diverse fasi di

formazione del Vangelo di Giovanni, è possibile vedere che le comunità giovanniste, prima di

staccarsi da quelle giudaiche, condividevano l’organizzazione del tempo tipico della cultura

religiosa ebraica secondo il calendario delle feste annuali37 e la vita sinagogale giudaica;38 che

queste comunità giudaiche giovanniste credevano in Gesù come messia; che l’espulsione dalle

sinagoghe si verificò in un determinato periodo politico religioso della Giudea e fu motivato solo

dalla credenza messianica e non da adesione ad una cristologia cosiddetta alta. 39 E’ ipotizzabile,

infine,che i temi di frizione e dibattito tra i giudei giovannisti e gli altri giudei fossero quattro: il

problema del come doveva avvenire la purificazione; il problema di come si possa raggiungere la

propria identità; la natura degli atti di culto a Dio; il sabato.40 Il giovannismo che si materializza nel

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Vangelo di Giovanni è una fase successiva che testimonia già l’uscita dal giudaismo e ha ormai

criticato e abbandonato la fase giudaica delle comunità giovanniste dei seguaci di Gesù.

F.Blanchetière ha ipotizzato due gruppi fondamentali di gruppi di seguaci di Gesù, l’uno

radicato piuttosto tra gli “ellenisti”, da cui poi deriverebbe il cristianesimo, e l’altro radicato

piuttosto tra gli “ebrei” che egli chiama “nazareismo” distinguendo in esso una prima fase definita

proto-nazareismo. Credo che vada valutato molto positivamente il tentativo di trovare concetti

nuovi per definire le diverse correnti dei primi seguaci di Gesù. Blanchetière introduce il concetto di

proto-nazareismo. Esso è delimitato cronologicamente con il terminus ad quem del 135 quando il

vescovo della chiesa di Gerusalemme cessa di essere un ebreo. Non si tratta di un movimento

uniforme: «à l’origine et pendant des décennies il n’y a certainement pas eu uniformité de pensée au

sein des communautés des disciples du Nazaréen».41 Posto poi che i primi discepoli di Gesù furono

ebrei e che il nazareismo si diffuse in ambienti ebraici, il contesto socioculturale sarebbe quello dei

«grandi centri giudaici dell’inizio della nostra era».42 Le fonti che, secondo Blanchertière,

apparterrebbero al nazareismo sarebbero le seguenti: tra i “documenti informali” gli agrapha, i

testimonia; Q; la tradizione dei presbiteri; midrashim, pesharim e targumim.43Tra i documenti

formalmente redatti («documents dument constitués»), Blanchetière e numera il Vangelo di Matteo

e gli Atti degli Apostoli (ma solo come fonti per la ricostruzione del nazareismo).

Anche per il secondo periodo non potremo parlare di cristianesimo, ma dovremo usare come

concetto “emico” l’autodefinizione di ciascun gruppo (ad esempio, per il giovannismo: forse “veri

adoratori”), e come concetto “etico” dovremo elaborare dei concetti adatti. Ad esempio, per le

comunità che stanno dietro l’ultima redazione del Vangelo di Giovanni abbiamo coniato il termine

giovannismo o comunità giovannista.

Per il terzo periodo, potremo usare una molteplicità di concetti “emici” tra cui anche quello

di “cristianesimo”, ma come autodesignazione di un solo gruppo. Così fa, ad esempio,

Blanchetière.44 Solo alla fine di questo periodo emerge un cristianesimo normativo, ma non

bisognerà mai confondere il contenuto di questo termine con il contenuto che a questo termine gli

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attribuisce un teologo appartenente ad una determinata chiesa di oggi. Sappiamo bene che Calvino,

Bernardino Ochino e Bellarmino attribuivano contenuti ben diversi al termine cristianesimo. E così

pure i teologi e le autorità ecclesiastiche delle diverse chiese di oggi.

7. Giustino: mancanza del termine “giudeo-cristiano” e limiti del concetto di “cristianesimo”

Intorno alla metà del II secolo, il problema di quale nome dare ai gruppi che oggi si

chiamano giudeo-cristiani mi sembra che si poneva di fatto. Scritto intorno al 160, il Dialogo con

Trifone di Giustino dimostra nel suo paragrafo 47 che non esisteva il termine “giudeo-cristiani”. In

questo paragrafo Giustino parla di alcuni Giudei che credono in Gesù Cristo e che sono descritti da

lui con cinque caratteristiche. 1. Sono «della vostra stirpe» (oiJ ajpo; tou' gevnou" tou' uJmetevrou,

47.3) dice Giustino rivolgendosi al Giudeo Trifone. 2. Credono che Gesù sia il Cristo e gli

obbediscono. 3. Vivono osservando integralmente la legge mosaica (ejk panto;" kata; to;n dia;

Mwusevw" diatacqevnta novmon […] zh'n). L’osservanza della legge mosaica è poi precisata in

tre punti: circoncidersi, osservare il riposo sabbatico, osservare i precetti (peritevmnesqai,

sabbativzein, o{sa toiau'tav threi'n, 47,2). 4. Essi non costringono quelli che sono Gentili e credono

in Cristo (tou;" a[llou" ajnqrwvpou", levgw dh; tou;" ajpo; tw'n ejqnw'n dia; tou' Cristou' ajpo; th'"

plavnh" peritmhqevnta") ad osservare la legge mosaica integralmente e ritengono che anche senza

l’osservanza della legge mosaica integrale quelli si salvino. 5. Infine, essi accettano di vivere

insieme (koinwnei'n) ai «cristiani e ai fedeli» (bouvlwntai kai; aiJrw'ntai suzh'n toi'" Cristianoi'").

Quelli che hanno queste caratteristiche sono accettati da Giustino alla koinonia (kai;

proslambavnesqai kai; koinwnei'n aJpavntwn, wJ" oJmosplavgcnoi" kai; ajdelfoi'", dei'n

ajpofaivnomai). Ma altri cristiani non accettano questa koinonia (eijsivn, ajpekrinavmhn, w\

Truvfwn, kai; mhde; koinwnei'n oJmiliva" h] eJstiva" toi'" toiouvtoi" tolmw'nte": oi|" ejgw; ouj

suvnainov" eijmi). Mi sembra chiaro che ai tempi di Giustino non esistevano regole ufficiali, una

direttiva unitaria e “normativa” sulla questione. Giustino, infatti, dice che egli «ritiene» che vadano

accettati alla koinonia, mentre, al contrario, altri pensano il contrario. Giustino non esita a dire che

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non è affatto d’accordo con loro. Questi “cristiani” rifiutano di convivere (koinwnei'n) con gli ebrei

che credono in Cristo (mhde; koinwnei'n oJmiliva" h] eJstiva" toi'" toiouvtoi" tolmw'nte"). Il rifiuto

di koinonia si caratterizza per due aspetti: il parlare insieme; il mangiare insieme.

Non esiste, quindi, una norma superiore cui ambedue le posizioni “cristiane” (quelli che

accettano e quelli che rifiutano la koinonia) debbano adeguarsi. I cristianesimi del 160 non

sembrano avere una posizione unitaria su questa questione. Di cristianesimo normativo, o di grande

chiesa, da questo punto di vista non si può parlare.

Vorrei sottolineare che Giustino non ha un nome speciale per definire questo gruppo di

Giudei che credono in Gesù, ma non li chiama “cristiani”. I “cristiani” sono coloro che credono in

Gesù Cristo e sono Gentili. E’ chiaro che il termine “cristiani” definisce un gruppo in cui non sono

normalmente inclusi gli ebrei che abbiano le cinque caratteristiche appena ricordate. Ciò significa

che il termine “cristiano” non è un termine capace di abbracciare tutti coloro che credono in Gesù

Cristo, ma definisce un solo settore di essi. In qualche modo, sottolinea una divisione piuttosto che

una unione. Giustino, del resto, sembra avere una difficoltà ad usare il termine “cristiani” e ciò per

due motivi: da un lato lo precisa con il termine pistoi, dall’altro quando deve definire il criterio di

identità ultima usa un concetto non religioso: la comunanza che si ha con coloro che nascono dalle

stesse viscere. Il termine “cristiani”è perciò anche per lui un termine in qualche misura equivoco e

insufficiente.

Per Giustino esiste però anche una terza categoria di seguaci di Gesù diversa dai “cristiani” e

dagli ebrei che credono in Gesù e accettano la koinonia con i “cristiani”. Si tratta di Giudei definiti

dalle seguenti cinque caratteristiche: 1. sono Giudei; 2. credono che Gesù sia il Cristo; 3. osservano

integralmente la legge mosaica; 4. vogliono costringere «quelli dalle genti che credono in Cristo»

ad osservare integralmente la legge (ajnagkavzousi zh'n tou;" ejx ejqnw'n pisteuvonta" ejpi; tou'ton

to;n Cristo;n h] mh; koinwnei'n aujtoi'"); 5. infine, non vogliono avere comunione con gli altri (h]

mh; koinwnei'n aujtoi'"). Probabilmente, secondo loro, l’osservanza della legge impedisce una

convivenza con i non-giudei. Secondo Giustino, questo gruppo è da condannare.

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Giustino poi individua un’ulteriore categoria, quarta categoria, così definita: coloro 1. che

hanno creduto in Gesù come Cristo; 2. che successivamente sono passati all’osservanza della legge

mosaica e hanno poi negato che Gesù sia il Cristo e non si sono pentiti prima di morire.

Infine un’ultima categoria di Giudei è così definita. Si tratta di: 1. discendenti di Abramo; 2.

che osservano integralmente la legge mosaica; 3. che non credono che Gesù sia il Cristo; 4. che

nelle sinagoghe condannano chi crede in Cristo.

Esistono quindi secondo Giustino sei categorie di persone da questo punto di vista: 1. Una

prima categoria senza nome composta da Giudei che credono in Cristo e accettano di convivere con

i “cristiani” senza costringergli ad osservare la legge; 2. dei “cristiani” che rifiutano di convivere

con la categoria 1; 3. dei “cristiani” che accettano di convivere con la categoria 1 (ma non

sappiamo chi altri ne faccia parte oltre Giustino); 4. Giudei che credono in Cristo e osservano la

legge mosaica, ma non convivono con i credenti gentili o li vogliono costringere ad osservare la

legge mosaica; 5. antichi credenti in Cristo che diventano Giudei e cessano di credere in Gesù come

Messia; 6. Giudei che osservano la legge e condannano i cristiani. E’ evidente che il criterio

sociologico di maggioranza è dato dai credenti in Cristo che provengono dai gentili. Sono essi che

dettano le norme di convivenza generali.Ma è un dato culturale fattuale che obbliga le minoranze a

comportarsi in base al criterio della maggioranza. I problemi principali che sono oggetto di frizione

e divisione sembrano essere due: quello della salvezza (si salva chi crede e obbedisce a Cristo, o chi

osserva la legge?); e quello della convivenza tra gruppi che hanno pratiche religiose in parte

diverse. Non sembra che sia centrale o prevalente l’uso di testi. Non sono i testi ad essere

considerati da questo punto di vista.

In, conclusione, intorno alla metà del II secolo il problema di come definire i gruppi che

oggi molti studiosi chiamano “giudeo-cristiani” si poneva ma non esisteva un termine per

identificarli e il termine “cristiani” erano incapaci di includerli, rivelandosi con ciò stesso un

concetto capace di definire solo una parte dei seguaci di Gesù. Dovremmo quindi sempre

distinguere tra concetti “emici” ed “etici”, cioè tra concetti elaborati dagli studiosi di oggi e concetti

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elaborati dai gruppi di allora. E se, nel conflitto allora esistente, nessuno dei due gruppi riconosceva

un’istanza superiore comune, lo storico non dovrà assumere la funzione di difensore della

maggioranza facendosi vassallo dei vincitori e nemmeno paladino degli sconfitti. Dovrà conservare

la sua professionalità ed assegnare un nome rispettoso sia delle autodefinizioni di allora, sia delle

categorie di comprensione delle scienze umane odierne.

8. Un cristianesimo normativo?

A differenza di quanto ho finora affermato, alcuni sostengono che esistesse un punto di

riferimento normativo di carattere istituzionale, teologico etico e liturgico fin dalle origini di quel

fenomeno religioso che sarebbe poi diventato il cristianesimo e che questo costituisse l’identità

differenziante del gruppo. Non si può negare, a mio parere, che alcuni testi anche antichissimi,

come le lettere autentiche di Paolo, presentino la pretesa che ciò che Paolo sostiene in teoria e in

pratica non è normativo solo perché basato sull’autorità di Paolo in quanto apostolo, ma anche

perché comune a tutti gli apostoli (1Cor 15,2.11; Gal 1,6-9.11-12: 2,2; 1Cor 4,17; 14,33b). Tuttavia,

questo è ciò che pretendeva Paolo, ma che altri gruppi post-gesuani si guardavano bene dal

riconoscere e che anche gruppi interni alle chiese da lui fondate contestavano (1Cor 1,10-4,21;

9,1ss; 14,37-38; Gal 1,6-9; 2,12-13; 3,1ss; 4,9; 5,7.11; 2Cor 2,5,17.11,4.13-15; 11,22-23;12,12).

Tuttavia, bisogna anche sottolineare che quand’anche fosse esistito quel punto di riferimento

normativo, rimarrebbe del tutto irrisolta la questione se quel nucleo possa o no essere definito

“cristiano” nel senso di una realtà religiosa ormai autonoma dal giudaismo.

Molto più convincente a mio avviso è la tesi storiografica di coloro che sostengono che

esistessero diversi “cristianesimi” e non un cristianesimo normativo. Ma l’espressione

“cristianesimi” al plurale, se è convincente per il plurale sostituito al singolare, non lo è per il

sostantivo che continua ad usare, perché lascia irrisolta la questione: quando si può cominciare a

parlare di cristianesimo come realtà religiosa autonoma dal giudaismo?

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Vorrei essere chiaro su questo punto. Normalmente, i tentativi di spiegare le origini del

cristianesimo si propongono di ricostruire la preistoria di una nascita mostrando i fattori storici,

economici, culturali, psico-sociali che hanno contributo al suo diffondersi nel mondo antico e alla

sua espansione vittoriosa nei confronti del giudaismo e delle altre religioni. Oppure vogliono

rintracciare il formarsi della teologia, del dogma e delle strutture ecclesiastiche. Così facendo, essi

assumono come punto di riferimento un cristianesimo unitario come si configura in un certo

momento storico e in una determinata area geografico-ecclesiastica. Ne ricostruiscono poi a ritroso

le fasi di formazione. In queste sintesi, i diversi cristianesimi originari appaiono come se fossero

fasi o tappe della configurazione successiva e, di conseguenza, vi figurano solo per singoli brandelli

staccati dal loro contesto. Tutto ciò che non è parte di quel presunto processo formativo, viene

tralasciato. Alcune di queste sintesi finiscono così per cancellare addirittura la fisionomia delle

origini cristiane.45 L’importante è evitare che una caratteristica e un fatto storico di una certa epoca

sia proiettato sul passato. Il fatto che certi settori delle chiese cristiane abbiano ritenuto eretici in

una certa epoca certi gruppi che alcuni chiamano “giudeo cristiani”, non significa che esistesse una

norma universalmente accettata tra i seguaci di Gesù dei I e dei II secolo secondo la quale potessero

essere definiti “eretici”.

Qui sono fondamentali le osservazioni di F. Blanchetière: «par rapport a quoi peuvent-ils être

déclarés “hétérodoxes”?.Qui en décide et en fonction de quels critères?N’est-on pas en danger

d’anachronisme, c’est-à-dire de projeter dans l’histoire des origines, une évolution postérieure du

dogme?». 46 Secondo Blanchetière bisogna evitare di cadere nel «fameux dilemme de l’antériotité

ou de la postérioritè de l’erreur sur la Vérité».47 Mimouni ha affrontato con una certa ampiezza la

questione delineando quattro tesi fondametali: quella classica secondo la quale l’ortodossia precede

l’eterodossia; quella di W.Bauer che afferma il contrario, quella di H.E.W.Turner del 1954 che vede

somiglianze e differenze tra ortodossia ed eterodossia e infine quella di A. Le Boulluec che propone

di parlare di «rappresentazioni eresiologiche», ma che tuttavia di fatto ritorna alla tesi della priorità

anche cronologica dell’ortodossia sull’eterodossia.48 Secondo Mimouni, questa impostazione è

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corretta «quand on examione les notices transmises par les hérésiologues chrétiens», lo è meno

quando si studiano i gruppi «dall’interno».49 Mi sembra più corretto riconoscere che i concetti di

ortodossia ed eterodossia sono ambedue tardi rispetto alle prime origini cristiane in cui i diversi

gruppi convivevano senza che esistesse una norma ricoosciuta universalmente o da una

maggioranza di chiese. Rimando ad esempio a quando scriveva P.Lampe a proposito della comunità

di Roma: «Second-Century Rome saw: Christian groups following Valentinian, Marcionite,

Carpocratian, Theodotian, Modalistic, Montanist, or Quartodecimanian teachings; Cerdo-followers;

house churches of (what was only later called) ‘orthodox’ faith; a Jewish Christian circle which still

observed the Torah; groups with a logos-theology that was too complicated for less educated

Christians; circles which believed in the millennium and others which did not».50

In conclusione, il termine “giudeo-cristianesimo” presuppone l’esistenza del cristianesimo, il

quale, tuttavia, nel senso che gli attribuiamo oggi, non comincia ad esistere se non verso la fine del

II secolo. Il termine “giudeo-cristianesimo” è perciò da evitare per i primi due secoli.In questo

periodo, per definire i diversi gruppi di seguaci di Gesù, bisognerà cercare anzitutto

l’autodefinizione di ciascuno di essi e in secondo luogo bisognerà elaborare dei concetti

storiografici più adeguati. Anche dal punto di vista del significato plurimo dei termini giudaico,

gentile e cristiano il concetto di “giudeo-cristianesimo”è da evitare perché confronta fatti

primariamente religiosi con fatti etnici, culturali e religiosi. Anche l’esistenza di un periodo

intermedio in cui alcuni gruppi di seguaci di Gesù non furono più “giudaici”, pur non essendo

ancora “cristiani, induce a sospettare dell’uso del termine “giudeo-cristianesimo” che suppone

categorie storiografiche e teologiche inadeguate alla consapevolezza attuale della ricerca. Infine.

Sembra implicito nel concetto di “giudeo-cristianesimo” l’accettazione del punto di vista delle

chiese dei periodi successivi al I e II secolo con tutti i pericoli insiti nel presupporre il concetto di

cristianesimo normativo, di ortodossia ed eterodossia, e quello della distinzione tra due religioni

(cristianesimo e giudaismo).

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Ciò non significa che siano da trascurare le approfondite ricerche del secolo XX sul giudeo-

cristianesimo, perché il semplice uso di un concetto non è da confondere con l’oggetto della ricerca.

Esse non perdono nulla del loro valore. Chiedere di chiamare in modo diverso i molteplici gruppi

che queste ricerche hanno aiutato ad individuare non fa altro che valorizzarne l’apporto. Del resto,

purché la sostanza dei problemi storiografici sia chiara, si può continuare ad usare i vecchi concetti

tra virgolette, in attesa di un rinnovato consenso storiografico.

1
Per la prima ricerca sul giudeo-cristianesimo cfr. F.J.A.HORT, Judaistic Christianity, Cambridge 1894; G.HOENNICKE,

Das Judenchristentum im ersten und zweiten Jahrhundert, Berlin, 1908; G.STRECKER, «Zum Problem des

Judenchristentum», in W.BAUER, Rechtgläubigkeit und Ketzerei im ältesten Christentum, Tübingen 1934 (Nachtrag),

243-314; H.J.SCHOEPS, Theologie und Geschichte des Judenchristentums, Tübingen 1949; M.SIMON, Verus Israel.

Etudes sur les relations entre chretiens et juifs dans l’empire romain (135-425), Paris 1948, 1964 (seconda edizione);

M.SIMON, «Problèmes du judéo-christianisme», in Aspects du judéo-christianisme. Colloque de Strasbourg 23-25 avril

1964, Paris 1965, 1-17; R.N.LONGENECKER, The Christology of Early Jewish Christianity, London, 1970; F.J.KLIJN,

«The Study of Jewish Christianity», NTS 20 (1973), 419-431; R.A.KRAFT, «In Search of Jewish Christianity and its

Theology. Problems of Definition and Methodology», Recherches de science religieuse 60 (1972), 81-92; R.MURRAY,

«Defining Judaeo-Christianity», The Heithrop Journal 15 (1974), 303-310; M.SIMON, «Réflexions sur le judéo-

christianisme», in Christianity, Judaism, and Other Greco-Roman Cults.II, Leiden, Brill, 1975, 53-76; B.J.MALINA,

«Jewish Christianity or Christian Judaism: Toward a Hypothetical Definition», Journal of the Study of Judaism in the

Persian, Hellenistic and Roman Period 7 (1976), 46-57; S.K.RIEGEL, «Jewish Christianity: Definitions and

Terminology», New Testament Studies 24 (1978), 410-415; F.MANNS, Bibliographie du judéo-christianisme,

Franciscan Printing Press, Jerusalem, 1979; J.JERVELL, «The Mighty Minority», Studia Theologica 34 (1980), 13-38 (su

questo articolo cfr. D.HELLHOLM – H.MOXNES – T.K.SEIM (eds.), Mighty Minorities? Minorities in Early Christianity.

Positions and Strategies. Essays in Honour of Jacob Jervell, Scandinavian University Press, Oslo 1995; I.GRIEGO, I

giudeo-cristiani nel IV secolo. Reazione-influssi, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1982; R.MURRAY, «Jews,

Hebrews and Christians: Some Needed Distinctions», Novum Testamentum 24 (1982), 194-208; L.CIRILLO, «Il

problema del giudeo-.cristianesimo» in J.DANIÉLOU, La teologia del giudeo-cristianesimo, Il Mulino, Bologna 1983,

VII-LXV; R.E.BROWN, «Not Jewish Christianity and Gentile Christianity but Types of Jewish/Gentile Christianity»,

Catholic Biblical Quarterly 45 (1983) 71-93; C.COLPE, «Das deutsche Wort’Judenchristen’ und ihm entsprechende

historische Sachverhalte» in S.SHAKED, D.SHULMAN, G.G.STRUMSA (eds.), Gilgul, Leiden 1987. 50-68.

25
26

2
Théologie du judéo-christianisme, Tournai-Paris, 1958, 19912; cfr. anche «Une vision nouvelle des origines

chrétiennes. Le judéo-christianisme», Etudes (1967), 595-608.


3
Le Judéo-christianisme dans tous ses états. Actes du Coloque der Jèrusalem 6-10 Juillet 1998.Publiés sous la direction

de SIMON C.MIMOUNI en collaboration avec F.STANLEY JONES, Cerf, Paris, 2001; G.FILORAMO-C.GIANOTTO (a cura

di), Verus Israel. Nuove prospettive sul giudeocristianesimo. Atti del Colloquio di Torino (4-5 novembre 1999), Paideia,

Brescia 2001.
4
R.A. PRITZ, Nazarene Jewish Christianity. From the End of the New Testament Period until its Disappearance in the

Fourth Century, Jerusalem-Leiden 1988; B.PIXNER, Wege des Messias und Stätten der Urkirche. Jesus und das

Judenchristentum im Licht neuer archäologischer Erkenntnisse. Herausgegeben von Rainer Riesner, Giessen-Bâle,

1991; S.C.MIMOUNI, Le Judéo-christianisme ancien. Essais historiques, Cerf, Paris, 1998; F.BLANCHETIÈRE, Enquête

sur les racines juives du mouvement chrétien (30-135), Cerf, Paris, 2001; J.E.TAYLOR, «The Phenomenon of Early

Jewish Christianity: Reality or Scholarly Invention?», Vigiliae Christianae 44 (1990), 313-343; J.E.TAYLOR, Christians

and the Holy Places. The Myth of Jewish-Christian Origins, Oxford University Press, Oxford 1993; J.-D.KAESTLI, «Où

en est le débat sur le judèo-christianisme?» in: D.MARGUERAT (ed.), Le déchirement. Juifs et chrétiens au premier

siècle, Genève 1996, 243-272; F. MANNS, Essais sur le judéo-christinisme, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1977;

F. MANNS, Bibliographie du Judéo-christianisme, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1979; F. MANNS, L’Israele di

Dio. Sinagoga e Chiesa alle origini cristiane, Edizioni Dehoniane, Bologna 1998; il capitolo primo su “La Chiesa

giudeo-cristiana di Gerusalemme” del secondo volume del libro di R.PENNA, I ritratti originali di Gesù Cristo. Inizi e

sviluppi della cristologia neotestamentaria.II. Gli sviluppi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 7-88.
5
Segnalo i seguenti volumi usciti nell’ultimo decennio: C.GRAPPE, D’un temple à l’autre. Pierre et l’Eglise primitive

de Jérusalem, Presses Universitaires de France, Paris 1992; R. TREVIJANO, Orígenes del Cristianismo. El trasfondo

judío del cristianismo primitivo, Publicaciones Universitad Pontificia de Salamanca, Salamanca 1994; M. SIMONETTI,

Ortodossia ed Eresia tra I e II secolo, Rubettino, Soveria Mannelli 1994; E.W.STEGEMANN – W.STEGEMANN,

Urchristliche Sozialgeschichte. Die Anfänge im Judentum und die Christusgemeinde in der Mediterranen Welt,

Kohlhammer, Stuttgart 1995 (tr.it. Storia sociale del cristianesimo primitivo. Gli inizi nel giudaismo e le comunità

cristiane nel mondo mediterraneo, EDB, Bologna 1998); D.HELLHOLM – H.MOXNES – T.K.SEIM (eds.), Mighty

Minorities? Minorities in Early Christianity. Positions and Strategies. Essays in Honour of Jacob Jervell, Scandinavian

University Press, Oslo 1995; R.STARK, The Rise of Christianity. How the Obscure, Marginal Jesus Movement Became

the Dominant Religious Force in the Western World in a Few Centuries, Harper, San Francisco 1996; F.VOUGA, Les

premiers pas du Christianisme. Les écrits, les acteurs, les débats, Labor et Fides, Genève 1997 (tr.it. Il cristianesmo

26
27

delle origini. Scritti, protagonisti, dibattiti, Claudiana, Torino 2001); G.JOSSA, Il cristianesimo antico. Dalle origini al

concilio di Nicea, NIS, Roma, 1997; R.AGUIRRE, Del movimento de Jesús a la Iglesia cristiana. Ensayo de exégesis

sociológica del cristianismo primitivo, Editorial Verbo Divino, Estella (Navarra) 1998; J.D.CROSSAN, The Birth of

Christianity. Discovering what Happenend in the Years Immediately after the Execution of Jesus, Harper, San Francisco

1998; S.C.MIMOUNI, Le Judéo-christianisme ancien. Essais historiques, Cerf, Paris, 1998; M.SACHOT, L’invention du

Christ. Genèse d’une religion, Editions Odile Jacob, Paris, 1998 (tr.it. La predicazione del Cristo. Genesi di una

religione, Einaudi, Torino 1999; E.NODET, Baptême et résurrection. Le témoignage de Josèphe, Cerf, Paris 1999; P.

GEOLTRAIN (a cura di), Aux origines du christianisme, Gallimard, Paris 2000; A.DESTRO – M.PESCE, Come nasce una

religione. Antropologia ed esegesi del Vangelo di Giovanni, Laterza ,Bari-Roma 2000; E.NODET – J.TAYLOR, Essai sur

les origines du Christianisme, Cerf, Paris 1998; F.BLANCHETIÈRE, Enquête sur les racines juives du mouvement

chrétien (30-135), Cerf, Paris 2001; C.GRAPPE, Le Royaume de Dieu. Avant, avec et après Jésus, Labor et Fides,

Genève 2001; J.TAYLOR, D’ou vient le christianisme?, Cerf, Paris 2003. Segnalo anche la nascita del gruppo

G.E.R.I.C.O. (Gruppo Europeo di Ricerche Interdisciplinari sul Cristianesmo delle Origini) diretto da R. Aguirre,

Adriana Destro, S.Guijarro, S.C.Mimouni, M.Pesce, W.Stegemann, che ha tenuto il suo primo incontro a Bologna il 24-

26 giugno 2002 e si riunirà a Parigi il 10-12 giugno 2003 e poi in Germania e in Spagna rispettivamente del 2004 e

2005.
6
A. ACERBI, «La ‘Visione di Isaia’ nelle vicende dottrinali del catarismo lombardo e provenzale», Cristianesimo nella

Storia 1(1980), 75-122; P.C.BORI, «L'estasi del profeta: «Ascensio Isaiae» 6 e l'antico profetismo cristiano»,

Cristianesimo nella storia 1(1980), 367-389; C.LEONARDI, «lI testo dell'Ascensione di Isaia» nel Vat. Lat. 5750»,

Cristianesimo nella Storia 1(1980), 59-74; E.NORELLI, «Il Martirio di Isaia come «testimonium» antigiudaico?»

Henoch 2(1980), 37-56; Id., «La resurrezione di Gesù nell'Ascensione di Isaia», Cristianesimo nella storia 1(1980),

315-365; M. PESCE, «L'uso della Bibbia e il genere letteraio dell'Ascensione di Isaia» (inedito); A. ACERBI, «Antonio de

Fantis, editore della Visio Isaiae», Aevum 57(1983), 396-415; P.C. BORI, «L'esperienza profetica nell'Ascensione di

Isaia», in PESCE (ed.) 1983, 133-145, ora ripubblicato in: L'estasi del profeta ed altri saggi tra ebraismo e cristianesimo

dalle origini sino al «Mosé» di Freud, Il Mulino Bologna, 1989, 17-30; A. KOSSOVA, «Osservazioni sulla tradizione

paleoslava della Visione di Isaia: coincidenze e divergenze con la tradizione testuale dell'Ascensione di Isaia», in La

Cultura Bulgara nel medioevo balcanico. Tra Oriente e Occidente Europeo. Atti dell'VIII congresso internazionale di

studi sull'alto medioevo. Spoleto 3-6 novembre 1981, Spoleto 1983, 167-186; E. NORELLI, «Sulla pneumatologia

dell'Ascensione di Isaia», in PESCE, ed. 1983, 211-274; L.PERRONE, «Note critiche (e autocritiche) sull'edizione del

testo etiopico dell'Ascensione di Isaia», in PESCE, ed. 1983, pp. 77-93; M.PESCE (Ed.), Isaia, il Diletto e la chiesa.

27
28

Visione ed esegesi profetica cristiano-primitiva nell'Ascensione di Isaia. Atti del Convegno di Roma, 9-10 aprile 1981,

editi a cura di M.PESCE, Brescia, Paideia1983; M.PESCE, “Presupposti per l'utilizzazione storica dell'Ascensione di

Isaia. Formazione e tradizione del testo; genere letterario, cosmologia angelica”, in Isaia, il Diletto e la chiesa (a cura di

M.Pesce), Brescia 1983, 13-76; A. ACERBI, Serra Lignea. Studi sulla fortuna della «Visio Isaiae», Editrice Ancora,

Roma 1984; L. PERRONE, Ascensione di Isaia. Nuova edizione critica della versione etiopica 'Ergata Isâyeyâs nabiy,

Bologna 1984; M. PESCE, lI 'Martirio" di Isaia non esiste. L'Ascensione di Isaia e le tradizioni giudaiche sull'uccisione

del profeta, Bologna 1984; A. ACERBI, L'Ascensione di Isaia. Cristologia e profetismo in Siria nei primi decenni del II

secolo (Studia Patristica Mediolanensia 17), Vita e Pensiero, Milano 1989; E.NORELLI, L’Ascensione di Isaia. Studi su

un apocrifo al crocevia dei cristianesimi (Origini, Nuova Serie 2), EDB, Bologna 1995; Ascensio Isaiae a cura di

P.BETTIOLO, A.KOSSOVA, C.LEONARDI, E.NORELLI, L.PERRONE, 2 voll. (CCSA, 7-8), Brepols, Turnhout 1995.
7
M.DEL VERME ha dedicato diversi studi al giudeo-cristianesimo della Didachè: Vetera Christianorum 28 (1991), 253-

265; 32 (1995), 293-320; 38 (2001), 5-39 e 223-245 (per una bibliorafia completa di Del Verme su questo argomento

cfr. Vetera Christianorum 38 (2001), 232. Sulla Didaché e le origini cristiane cfr. ora anche H. VAN DE SANDT AND

D.FLUSSER, The Didache. Its Jewish Sources and its Place in Early Judaism and Christianity, Royal Van Gorcum –

Fortress Press, Assen – Minneapolis 2002.


8
E. NORELLI – C.MORESCHINI, Storia della letteratura cristiana antica greca e latina I. Da Paolo all’età

costantiniana, Morcelliana, Brescia 1995.


9
H.KOESTER, Synoptische Überlieferungen bei den apostolischen Vätern, Akademie Verlag, Berlin 1957; ID., Anciet

Christian Gospels, Their History and Development, SCM – Trinity Press International, London – Philadelphia 1990;

J.D.CROSSAN, The Historical Jesus. The Life of a Mediterranean Jewish Peasant, Harper and Row, San Francisco 1991,

425-466; New Gospel Parallels. 2 Volumes, Fortress Press, Philadelphia 1985; J.S.KLOPPENBORG, Q Parallels.

Synopsis. Critical Notes and Concordance, Polebridge Press, Sonoma California 1988.

10
«Il est difficile de retenir les définitions fondées sur un système de doctrines et sur un système de concepts» (Le

Judéo-christianisme ancien, 68).


11
Sulla storia recente delle definizione cfr. F.BLANCHTIÈRE, Enquête, 65-90. S.MIMOUNI ha segnalato il Commento a

Zaccaria III, 14, 9 di Girolamo in cui egli scrive: «Iudaei et christiani iudaizantes … ut non iudaei christiani sed

christiani iudaei fiant». Ora in questa frase Girolamo intende dire che è meglio che i Giudei divengano cristiani

piuttosto che il contrario.


12
Cfr. F. AFFERGAN, La pluralité des mondes: Vers un autre anthropologie, Albin Michel, Paris, 1997, 44.61.

28
29

13
U.Fabietti, Antropologia culturale. L’esperienza e l’interpretazione, Laterza, Bari-Roma 1999, 159-187. Secondo

C.Lévi-Strauss «modello dell’osservatore e modello dell’osservato si incontrano […] laddove le strutture dello spirito

umano si incontrano: nell’inconscio strutturale» (FABIETTI, 164). La posizione di Affergan è diversa: il processo di

conoscenza dell’altro è sempre un processo dialettico pendolare tra concetti dell’osservator e e concetti dell’osservato.
14
Cfr. C.GROTTANELLI, «Uccidere, donare, mangiare. Problematiche attuali del sacrificio antico», in C.GROTTANELLI e

N.F.PARISE (a cura di), Sacrificio e società nel mondo antico, Laterza, Bari-Roma 1988; M.PESCE, «Gesù e il sacrificio

ebraico», Annali di Storia dell’Esegesi 18 (2001), 129-168.


15
Cfr. Le due recenti discussioni del significato del termine christianoi in Atti e in 1 Pt in F.BLANCHTIÈRE, Enquête,

147-148 e J.H.ELLIOTT, I Peter. A New Translation with Introduction and Commentary, (The Anchor Bible),

Doubleday, New York, 2000, 789-794.


16
Escludo ovviamente il termine “pagano” che è anacronistico per il primo e il secondo secolo.
17
(GLAIJ vol. II, No.320 = Svetonio, Domiziano, 12,2) citato da L. TROIANI, Annali di Stpria dell’Esegesi 17 (2000),

350.
18
TROIANI, ib., 351-352. Il testo completo di Giovenale così suona: «quidam sortiti metuentem sabbata patrem /

nil praeter nubes et caeli numen adorant, / nec distare putant humana carne suillam, /qua pater abstinuit, mox et

praeputia ponunt; / Romanas autem soliti contemnere leges / Iudaicum ediscunt et seruant ac metuunt ius, / tradidit

arcano quodcumque uolumine Moyses: / non monstrare uias eadem nisi sacra colenti, / quaesitum ad fontem solos

deducere uerpos. / sed pater in causa, cui septima quaeque fuit lux / ignaua et partem uitae non attigit ullam» (Saturae

XIV 96-106) . Traduzione italiana: «Chi ha avuto in sorte un padre che onora il sabato, altro non adora che le nuvole e

la maestà del cielo, ritiene che la carne di maiale, da cui il padre si asteneva, non differisce da quella dell'uomo, e prima

che può si fa circoncidere; non tenendo in conto alcuno le nostre leggi, apprende e osserva norma dopo norma

devotamente quelle ebraiche, tramandate su tavole arcane da Mosè: mai a chi non segue il suo culto rivelerà la strada

e solo i circoncisi guiderà a cercare la fonte. Responsabile è il padre che, astenendosi da ogni occupazione,

rimaneva in ozio un giorno su sette».


19
TROIANI, ib., 352.
20
Cfr. L.M.WHITE, The Social Origins of Christian Architecture. Volume I. Building God’s House in the Roman World:

Architectural Adaptation Among Pagans, Jews, and Christians.Volume II. Texts and Monuments fotr the Christian

Domus Ecclesiae in its Environment, Trinity Press International, Valley Forge 1996 e 1997.
21
Cfr., ad esempio, W.A.MEEKS, La morale dei primi cristiani, Vita e Pensiero, Milano 1998.

29
30

22
Cfr. C.OSIEK-D.BALCH, Families in the New Testament World. Households and House Churches, Wenstminster John

Knox Press, Luisville Kentucky 1997.


23
Sul concetto di associazione volontaria cfr. J.S.KLOPPENBORG and S.G.WILSON (Eds.), Voluntary Associations in the

Graeco-Roman World, Routledge, London and New York 1996; A.DESTRO – M.PESCE, «Seguire un maestro. Caratteri

e itinerari del gruppo discepolare in Giovanni», in G. Filoramo (a cura di), Maestro e discepolo. Temi e problemi della

direzione spirituale tra VI secolo a.C. e VII secolo d.C., Brescia, Morcelliana 2002, 141-158.
24
M.SACHOT, L’invention du Christ. Genèse d’une religion, Editions Odile Jacob, Paris 1998 (tr.it. La predicazione del

Cristo. Genesi di una religione, Einaudi, Torino 1999.


25
Cf. A. DESTRO – M.PESCE, «The Gospel of John and the Community Rule of Qumran: A comparison of systems», in

A.J.AVERY-PECK, J.NEUSNER, B.CHILTON (Eds), The Judaism of Qumran: A Systemic Reading of the Dead Sea

Scrolls. Volume Two. World View, Comparing Judaism (Judaism in Late Antiquity. Part Five), Brill, Leiden 2001, 201-

229. In italiano: «Un confronto di sistemi. Il Vangelo di Giovanni e la Regola della Comunità di Qumran», in

L.PADOVESE (a cura di), Atti dell’ VIII Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo, Pontificio Ateneo Antoniano, Roma

2001, 81-107. Per il concetto di sistema religioso cf. C.GEERTZ, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna 1998,

111-159; J. NEUSNER, The Systemic Analysis of Judaism, Scholars Press, Atlanta 1988.
26
Cf. Come nasce una religione, X-XI.
27
Come nasce una religione, 137-139.
28
S.C.MIMOUNI, Le Christianisme ancien. Essais historiques, Cerf, Paris 1998, 15.
29
MIMOUNI, Le Judéo-christianisme, 40.
30
J.D.CROSSAN, The Birth of Christianity. Discovering What Happened in the Years Immediately After the Execution of

Jesus, Harper, San Francisco 1998, xxxiii.


31
R.E.BROWN, «Not Jewish Christianity and Gentile Christianity but Types of Jewish/Gentile Christianity», CBQ 45

(1983), 74-79; R.E.BROWN- J.P.MEYER, Antioche et Rome. Berceaux du Christianisme, Paris 1988, 19-28.
32
MIMOUNI, Le Judéo-christianisme, 18.
33
Ibid., p.19.
34
«Il Vangelo di Giovanni e le fasi giudaiche del giovannismo», in G.FILORAMO E C.GIANOTTO (a cura di), Verus

Israel. Nuove prospettive sul giudeocristianesimo,. Atti del Colloquio di Torino (4-5 novembre 1999), Paideia, Brescia

2001, 47-67.
35
MIMOUNI, Le Judéo-christianisme, 19.

30
31

36
Cf. M.SIMONETTI, Ortodossia ed eresia fra I e II secolo, Rubbettino, Catania 1994, 29-45. Che gli Atti degli apostoli

dicano che ad Antiochia i discepoli di Gesù cominciarono ad essere chiamati christianoi (11,26), non significa affatto

che allora iniziasse il cristianesimo perché quel termine non designa quella realtà istituzionale, dottrinale e di prassi

religiosa che intendiamo quando oggi parliamo di cristianesimo.


37
«Il Vangelo di Giovanni e le fasi giudaiche del giovannismo», 55-56.
38
Ibid., 56-57.
39
Ibid., 58.
40
Ibid., 59-65.
41
F.BLANCHETIÈRE, Enquête, 93.
42
Ibid., 92.
43
Ibid., 94-95.
44
Cf., ibid., lo schema a p.183.
45
Su questo problema metodologico, cfr. A.DESTRO – M.PESCE, Come nasce una religione, 7-8.
46
Enquête, 73.
47
Ibidem.
48
Le judéo-christianisme, 77-82.
49
Le judéo-christianisme, 90 nota 1.
50
P.LAMPE, An Early Christian Inscription in the Musei Capitolini, in: . D.HELLHOLM – H.MOXNES – T.K.SEIM (eds.),

Mighty Minorities? Minorities in Early Christianity. Positions and Strategies. Essays in Honour of Jacob Jervell,

Scandinavian University Press, Oslo 1995, 79-92, qui p. 90)

31

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