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Alberto Forchielli
Muovete il culo!
Lettera ai giovani
perché facciano la rivoluzione
in un Paese di vecchi
Prima parte
Scusate
1. È tutta colpa nostra
Mia e della mia generazione: dalla Great
Generation ai parassiti di Stato, metamorfosi sociale
dal Dopoguerra a oggi dell’italiano «eroe per caso»,
oggi solo «per caso»
L’Italia è sempre più vecchia. A dirlo è la rilevazione Istat del 2017. Sono
13,5 milioni i residenti sopra i sessantacinque anni di età, ossia il 22,3%
dell’intera popolazione. Gli ultraottantenni sono addirittura 4,1 milioni
(6,8%)! Poi ci sono 727mila over novantenni e 17mila centenari. Mentre la
popolazione è invecchiata di due mesi dal 2015, con l’età media che oggi si
attesta a 44 anni e 9 mesi. Per giunta siamo al minimo storico come numero
di figli: i bambini nati nel 2017 sono stati soltanto 464mila, un 2% in meno
dei 474mila del 2016, il record precedente. Insomma, mai così pochi nati
nella storia d’Italia.
C’è poco da fare, l’Italia è questo: un Paese per vecchi, inevitabilmente
guidato da vecchi. Per un’abitudine che nel corso del tempo è diventata una
regola non scritta, come l’attitudine tipicamente nostrana di affidarci a
ducetti, da quello originale fino a Berlusconi, senza dimenticare Renzi. E per
certi versi anche Grillo e Salvini.
Salvini propone bestialità tipo i dazi, l’uscita dall’euro e voler rimpatriare
seicentomila immigrati. Però politicamente è stato bravo – ma non
bravissimo. Perché da un lato ha ascoltato e rilanciato le lamentele di tanti
italiani facendoci poi gli slogan della sua campagna elettorale. Su tutti il
problema dell’immigrazione, che gli italiani vogliono decisamente
ridimensionare mentre la sinistra ce l’ha addossata, sottovalutando
volutamente anche i relativi aspetti di sicurezza. Ma non è stato bravissimo
perché se fosse stato più moderato avrebbe preso ancora più voti sia
dall’elettorato di destra che di sinistra. E sempre in merito a Salvini mi
aggancio a una questione ben più seria per portata continentale. Mi si accusa
di ipocrisia in quanto avverto della minaccia cinese (strisciante e a medio-
lungo periodo) ma non di quella russa (evidente e a breve periodo). Allora
chiarisco la mia posizione. I putiniani mi fanno vomitare e questa è la
maggiore riserva che ho, appunto, nei confronti di Salvini, ultra-
simpatizzante di Putin. Senza entrare nella dinamica della politica russa,
certamente auspico un atteggiamento prudente ma fermo dell’Unione
Europea, comunque rivolto al miglioramento delle nostre relazioni con loro
perché quello russo è un grande popolo. Moralmente però non posso
esimermi dal condannare la strategia russa volta a influenzare la politica del
Vecchio Continente cercando di creare divisioni al suo interno. Tutti i politici
che accettano finanziamenti russi sono dei traditori che andrebbero
processati. Inoltre gli omicidi di persone in Inghilterra fanno parte di un
atteggiamento intimidatorio che dobbiamo respingere con decisione. I soldi
russi compromettono le coscienze. I soldi degli oligarchi fanno gola a tanti e
non sono certo che questa Europa miserabile e corrotta possa resistere.
Londra è il paradiso degli oligarchi e in questo senso è un pessimo esempio
per tutti. La capacità di ergersi a difesa del vivere civile e rifiutare le lusinghe
del Dio denaro e della propaganda russa è una delle prove più importanti che
la nostra società dovrà affrontare nei prossimi anni. Battaglia che sarà
difficile vincere.
Ma tornando a noi e alla nostra politica, la sinistra ha colpe tremende
perché ha cercato goffamente di farci credere che il Paese andava bene con
l’1,5% di crescita – in realtà ridicola – senza invece venire in contro alle
problematiche dei cittadini che stanno sempre peggio. E cavalcando questo,
Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle hanno conquistato il ruolo di primo
partito. Il problema è che sono una specie di setta troppo opportunistica e
camaleontica nelle sue strategie e soprattutto troppo incompetente e con un
animo tragicamente alla Robespierre. Francamente non mi spaventano ma li
trovo inadeguati come peraltro tutte le altre realtà partitiche d’Italia. La colpa
è anche nostra che non sappiamo scegliere, ci innamoriamo del personaggio
eccessivo che sa promettere alla grande quello che scientificamente, ancora
più in grande, non manterrà.
Lo mettiamo nella poltrona del comando, poi, in un perverso rapporto di
odio e amore, iniziamo a lamentarcene senza però far nulla per cambiare lo
status quo.
Con la classe dirigente è lo stesso. E siccome il Paese, da decenni, è del
tutto disabituato a ogni criterio meritocratico, l’unica leva che viene utilizzata
per la selezione della classe dirigente è quella della «capacità relazionale»
(tra virgolette perché spesso l’essere un grande comunicatore con i propri
simili in questo caso specifico sfocia in doti sfacciatamente criminali), con la
precisa conseguenza che si punta a mettere in una determinata poltrona
l’uomo che poi ricambierà il favore elargendo tanti favori.
Ecco perché la regola che accomuna tutti i Paesi civili – ossia quella di
attivare nelle posizioni di comando un naturale turn over tale da non generare
dei mostri incontrollabili e il loro inevitabile delirio di onnipotenza – da noi è
volutamente disattesa in ogni ordine e grado del settore pubblico e molto
spesso anche di quello – più o meno – privato.
Con dei veri e propri casi da primato, che il mio caro amico Michele
Mengoli – il mio adorato «Herpes», fenomenale giornalista e scrittore, che mi
ha «costretto» a scrivere Il potere è noioso (Baldini+Castoldi, 2016) –
dovrebbe immortalare in uno dei suoi prossimi romanzi così sapientemente
infarciti del meglio e del peggio del nostro tempo.
Inevitabilmente, non posso non approfondire il discorso su due personaggi
«straordinari» già citati in Il potere è noioso.
Il primo, Ercole Incalza, il «principe» dei lavori pubblici, è la summa
ineguagliabile dell’inamovibilità dei funzionari di Stato (peraltro va detto con
competenze specifiche che oggi non esistono più). Nato nel 1944, dal 2001 al
dicembre 2014, a capo della struttura tecnica di missione del ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti, è stato capace di resistere a sette governi e ben
cinque ministri! E in generale è stato il deus ex machina dei lavori pubblici
dagli anni Ottanta al marzo 2015, quando è stato coinvolto nell’inchiesta
«Sistema» della Procura di Firenze sugli appalti delle grandi opere. A dire il
vero, come ha detto lui stesso ai giornali, nella sua vita è stato inquisito 16
volte e tutte e 16 scagionato senza essere arrivato nemmeno a processo.
Ora, dico io, a parte i costi di queste sedici indagini, oltre al fatto che
bloccano i cantieri o arrivano anni dopo la conclusione e sono altri costi di
burocrazia, la follia è concedere a un funzionario solo un potere simile, per
un tempo così lungo, in una giungla di regole in cui come ti muovi sbagli.
Tutto ciò ha un costo enorme e tra le democrazie evolute – dài, facciamo finta
di esserci, tra le democrazie evolute intendo, diamoci un tono – capita solo in
Italia.
Mentre il secondo personaggio si chiama Antonio Azzollini ed è stato
ininterrottamente (o quasi) presidente della Commissione Bilancio al Senato
della Repubblica per quindici anni, oltre ad essere stato senatore per cinque
legislature, con militanza in tutti i partiti politici da sinistra a destra, andata e
ritorno (Partito di Unità Proletaria, Verdi, Pci, Pds, Ppi, Forza Italia e Nuovo
Centrodestra). Per un certo periodo, mentre presiedeva la commissione del
Senato è stato anche sindaco di Molfetta, fino al 2012, e in quegli anni
partiva la costruzione del grande porto commerciale della cittadina, da cui
sarebbe scaturita un’inchiesta per maxi tangenti, il cui processo ancora oggi,
a distanza di dieci anni dai fatti, è in corso. Avete fatto fatica a leggere la
frase? L’ho fatto apposta, per farvi capire quanto sono incasinate le storie
all’italiana, mentre non ci dimentichiamo che qui, che stiamo parlando di un
Paese guidato dai vecchi, la domanda da farsi è: ma l’altissimo ruolo
istituzionale alla Commissione Bilancio del Senato non sarebbe più tutelato
se ci fosse un turn over prefissato come per altri prestigiosi incarichi di Stato?
Il problema non sono solo le ruberie, di piccolo o medio cabotaggio, ma lo
spregio totale delle regole che in maniera trasversale passa dalla sanità, agli
appalti al mondo finanziario. Quest’ultimo dopo gli scandali della seconda
metà degli anni Duemila è screditato su scala planetaria e le banche italiane
non fanno eccezione. Quello industriale non è da meno, con troppi
imprenditori che ciucciano dall’azienda, indebitandola, portano i soldi fuori e
poi quando è in difficoltà, piuttosto che rimetterci i soldi dentro, fanno
ingegneria finanziaria. Con un ulteriore, gigantesco problema legato ai figli
scemi. Una delle piaghe sociali dell’Italia sono stati proprio i figli in azienda,
intendo i figli dei genitori appartenenti alla Great Generation, che, subentrati
ai fondatori, hanno distrutto le aziende oppure le hanno vendute per godersi
la vita. D’altronde sono pochi i campioni che hanno fatto figli altrettanto
campioni, ed è un esempio che vale tanto per lo sport quanto per il mondo
delle imprese. Con la colpa dei genitori – anche appartenenti alla Great
Generation – di pensare che l’azienda sia un bene di famiglia prezioso e
immutabile nel tempo, come un anello di diamanti, da lasciare ai figli. Mentre
l’azienda, se è (anche) un bene di famiglia, di sicuro, per restare in salute,
deve essere la più dinamica possibile.
Insomma, per chiudere questo capitolo – dedicato a danno e beffa, e alla
guida disastrosa dei vecchi – non possiamo non ammettere che ancora
paghiamo le conseguenze di una certa classe imprenditoriale che ha gestito
gli asset industriali del Paese per decenni con l’aiuto di Stato, ovvero grazie a
leggi ad hoc e contributi vari, sotto forma di soldi, tangenti e posti di favore.
Tutto ciò ha blindato il mercato nazionale, reso i nostri player poco
competitivi nel mondo, fatto schizzare alle stelle il debito pubblico negli
ultimi quarant’anni, e lasciato la generazione di oggi nella merda.
Senza dimenticare altri due aspetti decisivi e correlati dell’imprenditoria
italiana. Il primo è l’estrema difficoltà di fare impresa a causa del mix
micidiale di fiscalità elevata, burocrazia kafkiana e disservizi da terzo mondo
che da decenni costellano il quotidiano delle nostre aziende. Difatti se i nostri
imprenditori sopravvivono o addirittura eccellono in una tale piscina di
merda, poi quando nuotano nelle acque cristalline oltre confine vanno più
forte di Michael Phelps.
Il secondo aspetto, correlato al primo perché risulta indirettamente un’altra
criticità per le imprese, è il sindacato. Dagli anni Sessanta fino ai primi anni
Novanta – ossia fino a quando il sistema industriale ha retto – ha sempre
avuto un atteggiamento ostativo verso ogni tipo di novità. Con posizioni
sempre contrarie che hanno travalicato il giusto ruolo che per esempio il
sindacato ha in Germania, dove il rapporto con le proprietà è molto
collaborativo. Paradossalmente, il risultato di questo atteggiamento è stato un
ulteriore ostacolo al benessere aziendale e quindi un danno arrecato agli stessi
lavoratori. E adesso che l’industria italiana è in pesante sofferenza, il
sindacato non ha saputo interpretare i cambiamenti nel mondo del lavoro, ha
abbandonato assieme alla politica i precari e si è attaccato dove poteva: ai
dipendenti e ai vecchi pensionati (egoisti con tutti tranne che coi propri
nipotini). Tutte le sue carte le gioca con loro, d’altro canto non siamo un
Paese per vecchi? Con una beffa tremenda: così non ci sono soldi per i
giovani.
Seconda parte
Non fraintendetemi, terminata la prima parte sui vecchi, forse vale la pena
rilevarlo in modo definitivo: questo libro non è un inno alla loro
rottamazione. O meglio, in realtà, lo è, ma non dei vecchi in quanto tali
anagraficamente. È un inno alla rottamazione dei vecchi italiani –
indicativamente quelli della mia generazione, un po’ più anziani e più giovani
– in quanto incapaci e/o in malafede. E che a causa di queste infernali
caratteristiche hanno schiantato il Paese.
D’altro canto, riporre speranze sui giovani in generale è altrettanto campato
per aria, visto che il politico più giovane e di rilievo che abbiamo avuto nel
recente passato, Matteo Renzi, ha consumato un anno e mezzo di attività
parlamentare per la riforma del Senato, facendo un enorme errore di calcolo
politico e inoltre ha spaccato il Pd, l’unico grande partito italiano definibile
come «normale» su parametri internazionali (portandolo in pochi anni dal 40
a meno del 20%: un record!).
Perciò questo libro conta soprattutto sui giovani che ancora non sono scesi
in politica. Partendo da alcune considerazioni imprescindibili. Che l’Italia,
per esempio, è un posto meraviglioso, pieno di gente perbene, generosa e
accogliente. No, non scherzo, dico proprio sul serio.
Per quanto mi riguarda Imola e Bologna sono casa mia ancora oggi, dopo
quarant’anni trascorsi in giro per il mondo, tra Europa, Stati Uniti d’America
e Asia. Amo Boston, Washington, Monaco di Baviera, Singapore, Hong
Kong, Shanghai, Bangkok e Santiago del Cile, ci vivo con piacere e ci torno
sempre volentieri quando manco da un po’, ma sono fiero delle mie origini.
Essere italiano, e poi emiliano-romagnolo, nonostante tutto, resta per me un
grande vanto. E difatti, con ironica tenacia, continuo a intercalare il mio
inglese con il termine «socmel», puro slang bolognese, e se mi capita, quando
sono a Bologna, vado sempre volentieri allo stadio a tifare per «lo squadrone
che tremare il mondo fa»; in questo senso, da tifoso, oltre alla gratitudine nei
confronti dell’attuale presidente Joey Saputo, il mio ringraziamento va anche
a quel gentiluomo di Giuseppe Gazzoni Frascara, che ha cercato di
trasmettere la sua signorilità al mondo (banditesco) del calcio
professionistico, dando lustro a Bologna. Un lustro che invece non vedo in
Fico, la Fabbrica italiana contadina, immaginata da Oscar Farinetti, sempre a
Bologna, con i soldi dei principali enti previdenziali italiani (Cassa Forense,
Enpam, Enpav, Epap, Enpab, Enpaia, Inarcassa ed Eppi) e un altro 30% da
investitori professionali, tra i quali: banche, fondazioni bancarie, Camera di
Commercio di Bologna, Coop Reno, Coop Alleanza 3.0, Eataly e Prelios Sgr.
Anzi, a dirla tutta, trovo Fico la perfetta vetrina della stupidità e del
giullarismo nazionale. Perché rappresenta l’incapacità del sistema di allocare
risorse in modo corretto senza l’inquinamento della politica. Difatti il forte
investimento non ha visto un test adeguato – meno irragionevole sarebbe
stato svilupparlo con fasi incrementali. Non si tratta di un parco di
divertimenti né di un outlet ma i prezzi sono «premium». Gli azionisti sono
inesperti e non possono guidare, frenare o indirizzare. Gli stranieri
preferiscono il calore di un centro storico a quello di un capannone di
periferia e Walt Disney stravinse con Disneyland perché fu pianificata a
lungo, sviluppata incrementalmente e aveva alle spalle decenni di esposizione
mediatica e in ogni caso Walt Disney non era Farinetti, che peraltro in Fico ci
ha messo due spiccioli a differenza degli altri azionisti, quindi i loro interessi
non sono allineati. Badate bene, non è soltanto la mia opinione ma quella dei
fondi professionali internazionali specializzati. Mentre Bologna, da decenni,
ha bisogno di una tangenziale adeguata e di uno stadio nuovo, che sia volano
di mille attività, non solo calcistiche.
Dicevo che quando posso torno allo stadio a tifare. Sia chiaro, senza
eccessi, perché considero la quasi totalità degli ultrà di tutto il mondo una
massa di coglioni assoluti, che vanno a formare una delle categorie sociali più
imbecilli e demenziali della società contemporanea. Una categoria – gli ultrà
italiani – in totale contrapposizione con la migliore Italia, quella di ieri,
sobria, umile e lavoratrice, che (r)esiste ormai solo in piccole nicchie
nascoste del nostro tessuto sociale.
E ancora, la riviera romagnola, nonostante una certa mancanza di
modernizzazione in atto anche lì (come ovunque), è uno dei luoghi nel
pianeta con il rapporto più equilibrato tra costi e qualità della vita e gente che
sa sorriderti in maniera sincera e, cosa non scontata, se te lo meriti, sa anche
quando mandarti a fare le pugnette. La provincia italiana, in generale, è
magnifica, soprattutto i piccoli borghi, che ovunque ci invidiano. Come
magnifico è gran parte del sud, isole comprese. Ovunque il cibo è
straordinario. Il Belpaese è l’unica nazione, a livello globale, dove in quasi
tutte le case si mangia meglio che nella maggior parte dei ristoranti mondiali.
E poi ci sono le donne italiane… semplicemente ineguagliabili.
Ovviamente c’è un però.
E cioè che il futuro, nel mondo della conoscenza e dell’innovazione
tecnologica in cui viviamo, non è dato dalla bella vita nella provincia e dalle
lasagne della mamma. E quindi? Guardiamo il World University Rankings,
cioè il report annuale sulle performance di centinaia di atenei di tutto il
mondo stilato dalla QS – acronimo di Quacquarelli-Symonds, azienda che si
occupa di studiare i sistemi di formazione in tutto il mondo. è una delle
classifiche specifiche più seguite per la valutazione del sistema universitario
internazionale visto che tiene conto dei giudizi di 305mila accademici,
194mila datori di lavoro e analizza 43 milioni di «paper» di ricerca e 185
milioni di citazioni.
Il report 2017 non riserva sorprese. Nelle prime cinque posizioni per
numero di presenze nelle top ten delle singole discipline si confermano le
università di Cambridge (per l’appunto con 36 discipline nella top ten),
Berkeley (34), Oxford e la mia Harvard (33), poi c’è Stanford (32).
Distanziate, in alcuni casi anche per la loro maggiore specializzazione,
troviamo il Massachusetts Institute of Technology (21), Ucla (14), la London
School of Economics (13) e Yale (12). L’Eidgenössische Technische
Hochschule (il Politecnico Federale) di Zurigo e Princeton chiudono la
classifica delle prime dieci posizioni mondiali (con 10 singole discipline nella
top ten).
Ma gli atenei italiani, direte? Chiaramente non vi è traccia e li scorgiamo in
posizioni dignitose solo nelle singole discipline. Il Politecnico di Milano è
settimo in «arte e design» e quattordicesimo in «ingegneria civile e
strutturale». La Bocconi è undicesima in «business e management» e
sedicesima in «economia ed econometria». La Sapienza è quattordicesima in
«archeologia». Basta. Nient’altro di rilevante all’orizzonte.
Va detto che questi non sono semplici dati, magari un po’ astrusi, da
commentare con un’alzata di spalle e che possono assomigliare alle
classifiche annuali sulla qualità della vita nelle città italiane, con parametri
che ci riguardano più o meno da vicino a seconda dei nostri interessi
personali; tanto per capirci, se io non frequento librerie, musei e cinema
multisala, si tratta fuor di dubbio di un mio problema a livello culturale ma
non della mia specifica qualità della vita in una cittadina priva di questi plus.
Mentre questa classifica sulle eccellenze universitarie certifica la reale
arretratezza socio-economico-imprenditoriale dell’Italia contro il resto del
mondo che corre veloce.
Mi spiego meglio. È intorno alle università davvero eccellenti – non a
parole e non per storia millenaria (quindi con buona pace della mia amata
Alma Mater bolognese) ma magari per numero di docenti premi Nobel che vi
insegnano – che si è generato il grande business degli ultimi decenni e che
noi italiani abbiamo perso del tutto. L’industria informatica della Silicon
Valley nasce intorno all’area metropolitana di San Francisco, tra Palo Alto,
ovvero l’Università di Stanford, e Berkeley, dove c’è la University of
California. Il comparto biotecnologico, che nei prossimi anni sarà
rivoluzionario come internet nel recente passato, ruota intorno allo
straordinario polo universitario di Boston, Mit e Harvard su tutti. Oxford,
Cambridge e la London School of Economics sono il bacino che rende la città
di Londra a se stante, chiaramente in senso positivo, rispetto al resto della
Gran Bretagna.
In sintesi, sono i grandi ecosistemi innovativi – composti dai poli
universitari appena menzionati e dai relativi distretti imprenditoriali a loro
connessi – il vero motore dello sviluppo mondiale. E anche se non
compaiono nella classifica, i distretti cinesi, universitari e d’impresa, di
Shenzhen e Pechino sono già quasi e per certi aspetti oltre al livello delle
eccellenze sopra citate.
E l’Italia, in questo senso, negli ultimi decenni, cosa è riuscita a proporre di
rilevante? Inteso con una forza tale da uscire dai nostri confini e conquistare
il mondo?
È drammatico dirlo. E anche se vi strapperà un sorriso amaro, non è una
battuta.
Il business criminale.
Il polo siciliano ha dato la Mafia al mondo.
Il sistema napoletano ha esportato la Camorra.
I distretti calabro-pugliesi la ’Ndrangheta e la Sacra corona unita.
Ecco dove siamo tuttora eccellenza.
Muovete il culo!
7. O scappi
All’estero (come, dove, quando?)
Da domani
9. Manifesto (per il vostro bene)
Decalogo sulle cose da fare per i giovani italiani
Aspetta editore, non ho mica finito! È come nei film della Marvel. Sui titoli
di coda, arriva l’ultimissima scena. Aspetta che devo aggiungere un paio di
cosette.
Come ho detto nell’intervista all’Ansa del 20 febbraio 2018 sul tema della
reindustrializzazione e sul caso specifico della Embraco, la controllata del
gruppo Whirlpool che nello stabilimento di Riva di Chieri vuole licenziare
500 dipendenti, anche se il governo italiano ha puntato i piedi ed è riuscito a
rinviare i licenziamenti. «È una storia triste ma se in Italia hai alti costi, alte
tasse, devi essere tu a migliorarti anziché pensare di forzare un cambiamento
negli altri Paesi chiedendogli di diventare meno competitivi» perché: «le fonti
di svantaggio competitivo in Italia sono enormi, costo del lavoro, tasse sul
lavoro, Irpeg e indirettamente Irpef elevate». Per non parlare dell’idea di
reindustrializzare l’Italia, obiettivo populista e demagogico della politica
nostrana. Difatti: «Non esiste nessun indicatore positivo in tal senso. Nei fatti
non c’è alcun dato che stia a indicare una ripresa dell’industria nei Paesi
avanzati. E non è vero che l’industria stia tornando indietro: si sta spostando
geograficamente all’interno dell’Asia, verso Vietnam, Cambogia,
Bangladesh, Myanmar».
E a questo punto vale la pena di fare un’analisi su presente e futuro in Italia
e nel mondo, tornando poi a noi. Tutti i macro-indicatori ci dicono che il
trend per l’Italia del prossimo futuro non cambia… Molte imprese non
saranno in grado di pagare le tasse, i contributi e i costi del lavoro, e
scivoleranno nel nero con imprenditori e lavoratori stranieri. La criminalità
organizzata si allargherà. Le imprese moderne esportatrici si asserraglieranno
in distretti, dove saranno circondate da sofisticati sistemi di sicurezza. La
sfida non sarà una crescita del Pil misurato con parametri canonici (che non
funzionano), ma la ricerca di un equilibrio tra queste tre forze per evitare che
l’illegalità si mangi tutto e ci riduca in una terra di nessuno. In Messico
questa sfida è all’ordine del giorno come lo è in Italia, ma noi non vogliamo
rendercene conto perché vorrebbe dire una cosa sola: ammettere che la colpa
è di tutti noi italiani – messicanizzati – che abbiamo un basso tasso di civiltà
sociale e di educazione.
Come siamo arrivati a ciò? L’ho spiegato: non abbiamo investito in
educazione, abbiamo sprecato risorse pubbliche e abbiamo caricato gli
sprechi sulla classe produttiva che si restringe. Inoltre la burocrazia non
lavora e non funziona, non abbiamo formulato leggi adeguate per combattere
la criminalità, anche quella spicciola, non abbiamo investito in carceri e
nemmeno per tenere le strade pulite, senza pensare alle voragini e ai ponti che
crollano ovunque.
In tutto questo, il ruolo – negativo – della politica è stato ed è enorme. E
oggi, la politica, una volta per tutte, invece di continuare a comprare
consenso con fondi pubblici, dovrebbe avere il coraggio di dire la verità.
Dovrebbe far capire agli italiani che se si rimboccano le maniche adesso, i
benefici li vedranno le generazioni future. Dovrebbe educare e dare il buon
esempio (su, non ridete) e farla – la politica – dovrebbe essere un sacrificio,
non un mestiere (dai, smettete di ridere, parlo sul serio). Al contrario, il
livello dei politici nostrani è bassissimo.
Salvo tragici colpi di scena, ovvero il default, per i prossimi cinque anni
possiamo immaginarci questo, ma non piangiamoci addosso e pensiamo al
futuro.
L’immediato futuro, a livello mondiale, sarà, nella migliore delle ipotesi,
come il 2017 ma, più probabilmente, potrà solo peggiorare perché
difficilmente le economie di USA, Cina ed Europa replicheranno i risultati del
2017 (ovviamente lo speriamo), con il trend sostanziale che vedrà la stretta
monetaria e l’innalzamento dei tassi. E, inevitabilmente, impatteranno sugli
investimenti complessivi. Con dinamiche identiche in ambito geo-politico. Se
il 2017 ha visto la sostanziale fine dell’ISIS come «Stato», nell’immediato
futuro si dovranno contrastare i suoi terroristi esuli in Occidente, mentre la
Korea di Bimbominchia Kim resta una variabile impazzita, l’Iran un
problema come la questione tra Sciiti e Sunniti. Tutto ciò, ovviamente, se lo
scenario resta su binari consueti, quindi al di fuori di eventi imprevedibili,
anche considerando aspetti atmosferici, geologici, cavallette, eccetera.
Insomma, nel complesso, a livello globale, ci attende un immediato futuro
difficilmente migliore ma probabilmente uguale se non peggiore al 2017.
Immaginando una finestra ben più ampia, magari intorno ai cinque anni,
come le missioni di Star Trek, il più grande problema da fronteggiare, in
Occidente e non solo, è quello dei vecchiacci – me compreso – che non
vogliono più morire! Come ho scritto, i servizi sanitari nazionali hanno
sempre meno soldi e le spese aumentano sempre di più, senza pensare alla
voce pensioni, che in Italia riguarda ormai la maggioranza della popolazione
o quasi. Con un trend più o meno nuovo che è quello della «fine dell’eredità»
della classe media, che non lascia più proprietà e beni ai figli perché se li
mangia in cure e medicine – e i più dinamici in turismo sessuale.
Oltre a questo, il resto è noto. Ritorno al protezionismo, con conseguenze
che si registreranno solo tra qualche anno. L’alto debito mondiale da una
parte e la bassa redditività dall’altro ci accompagneranno con costanza. E non
riesco a immaginare particolari cambiamenti strutturali se non arriveranno
clamorose sorprese dallo sviluppo tecnologico, intelligenza artificiale in
primis. Mentre la manovra fiscale di Trump, suo primo vero successo, è stata
il trionfo della plutocrazia mondiale, che fa credere ai poveri di stare meglio
ma in realtà fa soltanto il bene degli abbienti – con incentivi per le imprese
(la «corporate tax» crolla dal 35 al 21%), prelievo fiscale per i più ricchi che
scende dal 39,6% al 37%, aliquote per i singoli che in generale favoriscono
chi ha di più e grandi vantaggi per le multinazionali dell’hi-tech, con aliquote
di favore per il rientro dei profitti generati e depositati all’estero. Ma
d’altronde sono un vecchio arnese e in quanto tale non ho mai visto che la
ricchezza dall’alto scenda verso il basso naturalmente. Servono le martellate
di quelli che stanno sotto perché ciò accada. Non lo dico io, lo insegna la
storia. Perciò se volete cambiare, vi toccherà iniziare a martellare!
I Bitcoin e tutta quella «cripto-fuffa» sono il gioco delle tre carte dei
napoletani sul lungomare di Rimini. Mentre nulla di nuovo nemmeno dalla
Cina, che spinge tanto sulla tecnologia ma si indebita sempre di più. Nel
prossimo quinquennio continuerà il suo trend di crescita tentacolare
nonostante l’ostacolo dei suoi nemici storici – India e Giappone su tutti – e il
disinnamoramento dei Paesi che per primi hanno fatto tanto business con lei,
penso soprattutto a Germania, Australia e USA. Questo perché la Cina è come
la varicella, una volta che la prendi poi non la prendi più e nel caso del
business cerchi di allontanartene appena puoi. Dico così perché è almeno
dalla sua entrata nel WTO (World Trade Organization, l’Organizzazione
Mondiale del Commercio), nel 2001, che «incula» tutti, disattendendo
sistematicamente gli accordi commerciali che firma, e perché i cinesi hanno
un grande senso del potere, ma non sono capaci di farsi amare, soprattutto
dall’Occidente.
Per quanto riguarda l’immediato futuro italiano non vedo sostanziali
novità. E questo è un fatto positivo. Perché per l’Italia le novità possono
significare solo il botto che porta al default. Negli ultimi anni non siamo
riusciti a far scendere il debito nonostante i tassi ai minimi storici, adesso che
un po’ cresceranno il quadro si farà più incerto.
Le elezioni hanno prodotto la solita situazione tra il debole e l’inutile. Per
la nostra ennesima governance che non farà un cazzo di quello che serve e
l’Europa continuerà a guardarci come la grande incognita continentale ben
più della Brexit. E in ogni caso qualsiasi governo italiano futuro sarà
obbligato a seguire la dura medicina di austerità che ci impone l’Unione
Europea per evitare conseguenze catastrofiche. Ma nessuna lacrima e niente
panico perché è solo attraverso le entità sovranazionali di UE, BCE e FMI che si
può costringere l’Italia a fare ciò che gli italiani non vogliono fare. Come con
Tsipras, esempio illuminante di come gira il mondo oggi: partito da
«rivoluzionario» è stato poi totalmente ridimensionato dalla Troika europea.
D’altro canto è improbabile che cadiamo in uno scenario come quello greco:
siamo troppo grandi per fallire e lasciare l’euro è tecnicamente ed
economicamente impossibile. Con alcune variabili più o meno complicate:
l’effetto della Brexit è ancora da risolvere e il budget della UE è da rivedere a
causa dei 12 miliardi di euro all’anno di contributi inglesi in meno; la coperta
corta delle risorse comunitarie ha spostato i fondi verso l’immigrazione a
danno dei Paesi Visograd (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria)
che vivranno la questione come una punizione per non aver accettato i
migranti e tensioni relative a crescere. E poi c’è l’incognita delle cinque più
importanti cariche europee (soprattutto le presidenze della Commissione
europea e della BCE) che decadono nei primi sei mesi del 2019, un’incredibile
coincidenza mai successa prima, che comporterà pressioni populiste non
indifferenti a livello delle singole nazioni comunitarie, per un potenziale
casino totale.
Ma non preoccupatevi. Trovate Renzi e la Boschi troppo indaffarati nei
loro interessi, Salvini uno squalo e il Movimento 5 Stelle inadeguato alla
guida del Paese? Fa niente. I partiti, per come funziona l’Italia, non possono
fare niente per migliorarla. Servono enormi sacrifici e nessuno vuole farli. La
somma di tutto ciò è che i furbi se ne vanno e i meno furbi, con eroismo
invidiabile, restano ma poco potranno fare contro un Paese vecchio e
soprattutto fancazzista, con la politica che crea frotte di clientes come nel
caso della Regione Sicilia con la sua pletora di dipendenti e migliaia di
Forestali, o con Roma ricoperta dall’immondizia.
Nell’orizzonte dei cinque anni il quadro è lo stesso. Tiriamo a campare,
con sempre più buche nelle strade, le medicine da portarsi da casa in ospedale
e la crescita dei disservizi in genere.
Le alternative sono due. La prima è quella che vuole attuare Mengoli, il
mio amato «Herpes», che tutti i giorni mi telefona per fare la rivoluzione,
culturale e non solo.
Come? Be’, potremmo ribellarci contro la nostra «dittatura dei partiti» una
volta per tutte e assaltare la Regione Sicilia, Roma – e più o meno tutto quello
che riguarda le istituzioni, quelle sportive comprese (che nel totale
immobilismo-affaristico-cialtronesco hanno distrutto anche l’eccellenza
naturale del movimento calcistico azzurro). Oppure, se non volete fare la
rivoluzione, godetevi gli ultimi sprazzi di sole, ma non quello estivo. D’estate
l’Italia diventa un Paese africano. Con 40 gradi e senza le infrastrutture
necessarie. Però, per come siamo messi adesso, da maggio a settembre
nessuno fa più un cazzo e lavorare soltanto sei-sette mesi all’anno non
funziona nemmeno per i geni al MIT di Boston o della Silicon Valley,
figurarsi con un dipendente della pubblica amministrazione italiana che non
sa nemmeno accendere il computer in ufficio e frustrato va a timbrare il
cartellino in mutande (e se continua con una simile produttività non mancherà
molto che a qualcuno venga l’idea di microchipparlo sotto la pelle come i
cani).
A proposito di Silicon Valley, per quanto mi riguarda, «domani» farò
avanti e indietro tra Palo Alto, in California, per stare addosso alla tecnologia,
e Vietnam, Birmania e Cambogia, che hanno economie dirompenti. E
nell’orizzonte dei cinque anni, se il buon Dio me li concederà, questo sarà
ugualmente il mio trend: tecnologia e Paesi che corrono. Che poi è il disegno
del Mandarin, il mio fondo d’investimento. Faccio parte del gruppo d’assalto.
Mi paracadutano dove succederanno le cose come fossi un marine il giorno
prima del D-Day.
E al Mandarin pensiamo anche all’Italia. Il polo ceramico che stiamo
costruendo qui da noi, partendo dall’Emilia e che già oggi vende il 90%
all’estero, se tutto procede senza sorprese, entro un paio d’anni si quoterà in
Borsa.
Ah, voglio fare un’esortazione ai giovani: voglia di studiare, voglia di
lavorare (anche usando le mani, anche sporcandole) e poche pugnette in testa
vi porteranno lontano, nonostante i populisti-fancazzisti che avrete sempre
intorno alle balle. E, soprattutto, per tutti, smettete di lagnarvi e guardate al
futuro, che sarà migliore anche grazie al vostro contributo. Perciò viva
l’Italia. Fate i precari qui da noi attivandovi contro ogni forma di stortura,
promuovendo una rivoluzione civile che parte in primis dal comportamento
di ognuno di noi. Emigrate con idee chiare e forza di volontà estrema. Oppure
fate con lungimiranza i trafficanti di talenti. In ogni caso fate e smettete di
lagnarvi.
Va anche detto che c’è un «se». Anzi, è tutto lì, in quel «se». Se l’Italia
fosse un Paese serio i cittadini dovrebbero avere il dovere di comportarsi
bene, pagando le tasse, pensando al proprio bene famigliare ma anche a
quello della collettività, uniti verso il bene di tutti, come ho scritto finora.
Se.
Ma non è così. Perché bisogna avere il coraggio di dire che l’Italia è sotto
la dittatura dei partiti. Per un colpo di Stato perpetrato, a nostro danno, da
poveretti senza nessun ideale politico e/o rivoluzionario, che se Che Guevara
o Borghese potevano essere criticati, questi nostri «rappresentanti», per
intenderci, sono degli scappati di casa. Una dittatura morbida, quindi, che
serve solo per garantirsi un lauto stipendio pagato dai cittadini sempre più
indifferenti e depressi, mantenuti dalle pensioni dei nonni.
È vero, di brave persone che fanno politica l’Italia è piena. Ma è altrettanto
vero che la somma della politica in Italia ha generato la dittatura del
parlamento, che ha annientato la società civile e quella economica. Ed è così
dal post boom economico, dai voti clientelari della Democrazia Cristiana ai
traffici odierni di piccolo cabotaggio, che servono soltanto per farli
sopravvivere, visto che non saprebbero fare un cazzo nella vita vera, da Renzi
a Salvini, da Di Maio al restante arco costituzionale, che legifera per i propri
interessi che non collimano mai con quelli dell’Italia.
Ecco che allora i cittadini devono tornare a fare i partigiani contro le folli
regole istituzionali. Con una regola semplice. In sostanza bisogna prendere il
presidente Mattarella come stella polare e fare sempre il contrario di quello
che dice.
In questo senso l’evasione fiscale potrebbe anche diventare un dovere
morale per smettere di mantenere quelli che infilano la Boschi in un seggio
sicuro per rimetterla in parlamento nonostante tutto. Allora facciamo un
catasto abusivo in Bitcoin per smettere di pagare lo stipendio alla Boldrini &
Co. Facciamo tutti finta di fare i coltivatori diretti per poter spendere meno
utilizzando il carburante agricolo. Mandate vostro figlio in Estonia e intestate
tutto a lui per pagare le tasse là e non qua. Stracciate il contratto con la Tim e
con l’Enel. C’è la lobby dei tassisti e quella di Uber, be’, mettiamoci tutti a
fare i tassisti abusivi nel tempo libero: pochi, maledetti e subito. È la nostra
nuova regola con i soldi. Prendiamo la cittadinanza a Tonga o a Palau. Si può
fare anche online, se avete la connessione a Internet. Con l’Italia a perenne
rischio default serve sempre un «piano B».
Lo capite, vero? Si stanno mangiando tutto senza combinare un cazzo!
Altrimenti non ci sarebbe stata la corsa per l’ultimo seggio disponibile in
parlamento, tra vip o presunti tali e cialtroni di ultima categoria, tutti in fila
nelle segreterie di partito per il loro seggio sicuro in parlamento, per
diventare il prossimo «Turista per sempre», come li chiama Mengoli.
Quindi, forza, non perdete tempo, buttate su un capannone abusivo e votate
per chi ve lo condonerà. La scaltrezza è l’unica arma per sopravvivere ai
dittatori parlamentari. Andate negli ospedali e scoprite i traffici loschi che
fanno alle spalle dei malati ma non denunciate i corrotti, che tanto
patteggeranno, ma ricattateli e lasciate a loro le briciole e diventate
schifosamente ricchi e poi fate del bene senza dirlo a nessuno, soltanto per
essere in pace con voi stessi. Allestite una stanza abusiva e affittatela a prezzi
convenienti. È così che si rilancia il turismo in Italia, quando la politica, non
facendo un cazzo, ci ha fatto sorpassare dalla Spagna e Roma non è neppure
nelle dieci città più visitate del mondo. Occupiamo i parchi e facciamoci
degli orti per coltivare il mango. Fatevi pagare in nero, sempre e comunque.
Se non siete evasori totali non valete un cazzo. Quando comprate qualcosa,
esigete di non pagare quella cazzo di Iva!!! Altrimenti che si fottano. Intestate
tutto ai prestanome e comportatevi da banditi, l’avrete sempre vinta, anche
perché se vi portano in tribunale pagherete tutto e pagherete caro – see,
magari! – ma tra vent’anni, quando farete i bisnonni a Tonga e Palau.
Vestitevi da vigili urbani e andate in giro a incassare le multe. Ah, mollate
Sky e abbonatevi a Netflix, che non c’entra un cazzo con il resto ma Sky è
bollita e Netflix è il futuro. Dovete pensare così, solo al futuro. Come
pensano i cinesi, che sono già i padroni del mondo ma hanno ancora fame
mentre noi siamo sazi da decenni. E perciò siamo fottuti.
Datevi alla «Tecnofinanza» che certo non vi fotterà quanto vi ha fottuto il
sistema bancario italiano. Miniamo il sistema dall’interno per un nuovo D-
Day che arriverà quando l’astensionismo supererà il 50%. Diffondiamo il
virus della febbre gialla nei condizionatori di Palazzo Madama. Infiltriamoci
nei partiti e blocchiamoli. Diventate quelli che materialmente dovranno
scrivere le liste dei prossimi candidati nei seggi sicuri e al posto loro mettete
il vostro nome. Vi odieranno e vi dovrete sedere nel Gruppo Misto ma nei
prossimi cinque anni incasserete il vostro milione di euro e arrivederci e
grazie, avrete comunque contribuito a lasciare a casa almeno uno degli
impresentabili.
Naturalmente stavo scherzando! Forse qualcuno ha preso questo elenco
seriamente (bravo!), oppure ci avete riso su, forse lo avete preso come
incitamento alla rivoluzione o drammatica ironia, però il concetto che dovete
fare vostro è questo: ci stanno soffocando. L’unica soluzione possibile è
l’auto deregolamentazione. Deregolamentiamoci da soli o saremo fottuti per
sempre.
La lotta è adesso: noi contro di loro. Non molliamo. Alziamo la testa.
Sporchiamoci le mani. Con intelligenza. Senza paura. Senza padroni. Per noi
stessi. Per chi amiamo. Per la comunità. Senza girare la testa dall’altra parte.
Ridendo in faccia al politico di turno che ci racconta le solite balle.
Smettiamo di prenderli sul serio. Parliamo inglese. Seguiamo quello che
accade nel mondo. Mastichiamo Stem. Puliamo i giardini. Montiamo gli
infissi. Facciamo le pizze. Sempre con il massimo dell’impegno. Con umiltà
e poche pugnette. Insomma, muoviamo il culo! È questa la nuova Resistenza.
Davvero e per sempre viva l’Italia.
Ringraziamenti
Ai miei figli, Paolo ed Elena. A mia moglie Luciana. A mio nonno materno
Giacomo Dal Monte Casoni, a mio padre Paolo e a tutti i grandi italiani del
passato che continuano a esserci d’esempio. Ai pochi italiani contemporanei
onesti e volenterosi. A Michele Mengoli per le impagabili indicazioni sulla
stesura di questo libro. E a Jacopo Viganò per la preziosa assistenza verso la
pubblicazione. Infine un abbraccio a tutti voi, lettori e seguaci. Muoviamo il
culo… e per l’inizio della lotta armata riceverete presto nuovi comunicati! ;-)
Indice
Prima parte
1. È tutta colpa nostra
2. Un Paese per vecchi
3. Danno e beffa
Seconda parte
4. Paradiso e inferno
5. Popoli contro
6. Poeti, santi e navigatori. Ancora?
Terza parte
7. O scappi
8. O resti e combatti
Conclusioni
9. Manifesto (per il vostro bene)
Il finale dopo il finale
Ringraziamenti