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PERCHE’ IL REPUBBLICANESIMO?

di Gian Enrico Rusconi

1. “È possibile immaginare una rivalutazione della politica quale principio integrativo e non
meramente aggregativo?” - è uno degli interrogativi di questo dossier. La mia risposta è “sì, è
possibile, se si tenta una ripresa del repubblicanesimo”. Naturalmente il repubblicanesimo è un
concetto antico, polivalente, ambiguo, sottoposto a infinite rivisitazioni. Ma lo ritengo ancora
intellettualmente e politicamente fecondo, se non lo si mortifica a fatuo schieramento di scuola ma
si riesce a farne fonte di stimoli.
Il repubblicanesimo è nato nel profondo della nostra storia, ma ne abbiamo perso le tracce
nella teoria politica (non nello studio delle dottrine o della storia). Oggi sembra che - come teoria
politica - dobbiamo reimportarlo da autori anglosassoni e americani che sono andati molto avanti
nella sua articolazione. Ce lo conferma Alessandro Ferrara nel suo sintetico e intelligente saggio ( ).
Esso individua bene anche i motivi per cui la ripresa del repubblicanesimo oggi potrebbe/dovrebbe
essere in grado di soddisfare la “domanda di giustificazione” del cittadino in ordine all'ordinamento
politico. A questo proposito mette a tema il dualismo tra politica costituzionale e politica ordinaria.
Occorre infatti argomentare in modo diverso a seconda se è in gioco la legittimazione del patto
costituzionale generale o la legittimazione di singole ragioni della politica ordinaria. Il
repubblicanesimo, meglio di ogni altro approccio storico-teorico, garantirebbe questa operazione.
Naturalmente la distinzione tra politica costituzionale e politica ordinaria, plausibile sul piano
concettuale, non è sempre facile da praticare: perché dovrei mantenere il patto costituzionale
quando non mi conviene più o mi svantaggia rispetto ad altri contraenti? Perché dovrei accettare
una misura governativa che mi penalizza, magari in modo sproporzionale rispetto ad altre categorie
sociali o zone geografiche, semplicemente perché costituzionalmente legittima? Perché non dovrei
piegare la costituzione ai miei legittimi interessi hic et nunc?

2. Da questo quadro problematico appena enunciato, desidero qui isolare solo due motivi:
come si possa riprendere nel nostro paese il tema del repubblicanesimo collegandosi direttamente
alla nostra tradizione più recente, interrotta proprio da quando si è costituita la repubblica. E, in
secondo luogo, verificare se e come il repubblicanesimo possa offrire il quadro analitico e
normativo entro cui rideclinare il motivo della identità nazionale senza gli equivoci e gli arcaismi
del nazionalismo.
Dopo l'aprile 1945 il repubblicanesimo democratico trova il proprio indicatore univoco
soltanto dalla scelta istituzionale della repubblica contro la monarchia, scelta che viene caricata di
aspettative di rinnovamento sproporzionate. In effetti dopo gli entusiasmi e le paure legate alla
proclamazione della Repubblica (giugno 1946) il repubblicanesimo come tale subisce un drastico
ridimensionamento: i suoi temi e il suo linguaggio diventano semplicemente doppioni di quelli
democratici. Privo di attrazione per le grandi formazioni politico-ideologiche popolari di sinistra
(che si proclamavano orgogliosamente “marxiste”) e in latente antagonismo con la cultura cattolica-
democristiana, il repubblicanesimo si riduce a identikit ideologico di una modesta parte dello
schieramento politico (il partito repubblicano appunto).
Su questo sfondo si verifica un fenomeno interessante: l'obsolescenza e la perdita di rilevanza
dei motivi repubblicani coincide con la rimozione della tematica della patria/nazione nella cultura
politica italiana, che da allora rimarrà riserva ideologica della destra monarchica e neofascista. Si
tratta di una mera coincidenza o di un rapporto di causa-effetto? Rimane il fatto che per la
neocostituita Repubblica italiana la convergenza tra valori della democrazia e valori della identità
nazionale non rappresentano una risorsa politica. Per la verità, nei primissimi anni del nuovo ordine
politico (nei lavori della Costituente, ad esempio) il tema della patria e della continuità della storia
nazionale è presente in alcuni politici e intellettuali anche di sinistra. Ma dietro il linguaggio e
l'enfasi patriottica, dietro la ripresa del tema della “religione della patria” declinato con quello della
“religione della libertà” c'è la tardiva e precaria rivincita della cultura nazional-liberale, che era stata
travolta dal fascismo. Ma ora non sa trovare parole e argomenti attraenti per le nuove forze sociali e
partitiche. Il nesso tra patria e democrazia rimane incerto e reticente - come incerto e reticente è
l'atteggiamento della cultura nazional-liberale tradizionale nei confronti dei caratteri della
democrazia che sta nascendo.
Nessuno dei grandi protagonisti politici del tempo sa esattamente quale tipo di sistema
politico si sta formando dentro l'involucro istituzionale della repubblica. L'antifascismo militante
porta con sé alcuni motivi del repubblicanesimo storico e del suo patriottismo repubblicano; ma le
profonde divergenze politico-ideologiche al suo interno e le differenti priorità, anche ideali, delle
sue componenti partitiche sono troppo profonde per poter svolgere con convinzione quella
funzione. Per il resto - come dicevo - il riferimento dominante non è il repubblicanesimo ma il
Risorgimento. L'antifascismo si presenta come portatore di un “Secondo Risorgimento”. La formula
è coniata agli inizi degli anni Trenta nell'ambiente di Giustizia e Libertà, diventando in un primo
momento bersaglio di feroci contestazioni da parte comunista. Ma poi con “i fronti popolari” la
strategia muta radicalmente: anche per i comunisti il Risorgimento diventa la rivoluzione
democratica popolare e sociale “incompiuta” o “tradita” dalla borghesia più retriva. Rimane
depositaria di valori di libertà e di socialità cui l'antifascismo può ispirarsi, presentandosi addirittura
in forma della partecipazione popolare alla Resistenza come il nuovo e vero Risorgimento.
Questo complesso di motivi trova piena accoglienza nel ceto colto antifascista e in quello
popolare; il ritrovato patriottismo della libertà è un antidoto all'intossicazione nazionalista e
imperialista. Ma non va oltre: non regge alle urgenze strumentali dei nuovi partiti, che hanno nuove
e diverse priorità. Il motivo del “Secondo Risorgimento” si dissolve lentamente nel primo decennio
della Repubblica, cancellando anche ogni specificità dei motivi repubblicani.
Detto questo, non si può negare il grande impatto che la forma e lo spirito repubblicano hanno
avuto sul processo costituente. Il binomio Repubblica-Costituzionre acquista e mantiene nel tempo
nel discorso politico italiano una carica simbolica che non può essere sottovalutata. Si può discutere
se nei suoi contenuti e nelle sue formulazioni la Carta costituzionale repubblicana rappresenti
davvero un evento “rivoluzionario” o radicalmente innovativo rispetto al passato e a confronto di
altre Costituzioni europee coeve. Sta di fatto che nella povera simbologia politica italiana
contemporanea il momento fondativo o (se vogliamo essere meno enfatici)il momento di inizio
della repubblica rimane l'episodio più carico di valore e di pathos collettivo nazionale. Si direbbe
che il “repubblicanesimo” italiano contemporaneo si concentri tutto lì.
In questo contesto non è fuori luogo parlare, anche retrospettivamente, di “patriottismo
costituzionale”. Questa espressione è stata coniata in tempi recenti ed è stata usata con significati
molto varianti. La riprendo qui dandole il significato specifico di adesione ad una Costituzione nella
quale lo statuto della cittadinanza è qualificato non soltanto dal catalogo dei diritti e dei doveri
individuali, ma dal riconoscimento che i vincoli imposti da quella Carta presuppongono e riportano
ad una comunanza di storia e cultura, chiamata sinteticamente nazione. In questo senso patria e
Costituzione rappresentano valori convergenti.
Questo patriottismo costituzionale e/o repubblicano non si alimenta di particolari motivi di
orgoglio per presunti caratteri di primato, di grandezza o per altri ipotetici talenti speciali del popolo
italiano. È piuttosto il ritrovarsi in una storia comune, fatta anche di errori e di brutali contrasti
sociali e politici - una storia tuttavia che ad un certo momento trova il suo punto fermo in un patto
tra cittadini. Questo patto assume la forma della Costituzione democratica, diventa la base di una
nuova convivenza e rinnova su basi nuove il senso di appartenenza. In questa ottica il patriottismo
costituzionale repubblicano accoglie in sé e invera quello tradizionale.
Anche se la Costituzione non è una tavola di diritti ritrattabile o manipolabile a piacimento, il
patriottismo costituzionale non va confuso con il dogmatismo o il bigottismo della Carta esistente.
È un atto di fiducia nella capacità dei cittadini di rinnovare il patto politico modificandone
consensualmente, quando è necessario, alcune sue formule istituzionali.

3. Torniamo alla situazione odierna. Le ragioni per cui molti italiani non si identificano con la
loro repubblica riportano tutte ai difetti di funzionamento del sistema politico e amministrativo - per
tacere dei fenomeni patologici della corruzione. Da qui il circolo vizioso tra inefficienza del sistema
politico-istituzionale e mancata attivazione del senso di una comune appartenenza come risorsa
della democrazia. Il superamento di questa anomia civile e il rinnovamento del patto politico non
possono essere attesi dalla semplice modifica di meccanismi elettorali o attraverso ricompattamenti
e nuove affiliazioni fiduciarie particolari. In particolare, nessuna incisiva riforma istituzionale (nella
doppia direzione del rafforzamento dell'Esecutivo e di una ristrutturazione politico-amministrativa
di tipo federale) sarà vitale senza l'attivazione di un patriottismo repubblicano.
Come e più di quello tradizionale, non ci si può aspettare che il nuovo repubblicanesimo nasca
spontaneamente: presuppone un esercizio critico di riflessione politica e storica. Deve andare a
fondo ai nodi cruciali storico-politici da cui è nata la repubblica e da cui trae la sua legittimazione:
processi di consenso e disaffezione dal fascismo, pluralità delle componenti dell'antifascismo
storico e armato, trauma della guerra perduta, guerra civile - e poi ancora
comunismo/anticomunismo, compromessi del nuovo ordine costituzionale, ecc. Senza dimenticare i
fenomeni dei nostri giorni - dalla fine politico-ideologica del comunismo alle tensioni separatiste
nel nostro paese - che hanno riacutizzato la questione della rilegittimazione della repubblica.
La riproposta del repubblicanesimo non si muove semplicemente su un piano di etica politica
(tantomeno come appello edificante alle “virtù civiche”), ma presuppone (o invita ad) una vera e
propria teoria della politica. Si tratta infatti di rimettere a fuoco teoricamente il nesso necessario in
una democrazia tra impianto istituzionale e motivazioni di comportamento dei cittadini. Il
repubblicanesimo è un modo di sentire e praticare la democrazia. È una teoria della cittadinanza
considerata dal lato delle motivazioni e del vincolo collettivo storicamente cresciuto in una
esperienza comune, che la tradizione moderna chiama “nazione”. A questo vincolo è attribuita la
funzione di integrazione basata sull'attivazione di virtù repubblicane da non considerare buone
qualità umane, caldamente raccomandabili ai cittadini, ma espressione e funzione della razionalità
del civismo.

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