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Negli anni Venti del Novecento, dopo la prima guerra mondiale, si diffondono anche in Italia i
dischi e la radio, che permettono di ascoltare anche canzoni straniere e quindi mettono in crisi il
predominio incontrastato della canzone melodica. Attraverso i dischi, per esempio, arrivarono in Italia i
primi brani di jazz. Anche con il cinema sonoro, si diffuse la conoscenza di stili musicali completamente
diversi da quelli tradizionali.
Il fascismo, però, conduceva una politica di tipo nazionalistico anche in campo musicale, cioè
ostacolava il più possibile la diffusione delle mode e dei cantanti stranieri. Alla radio, per esempio, le
canzoni straniere venivano trasmesse solo se tradotte in italiano e interpretate da un cantante italiano.
Il regime incoraggiava viceversa la diffusione di canzoni di stile molto tradizionale, di carattere
allegro e spensierato, spesso dal contenuto banale o insignificante, che davano l’idea di un’Italia in cui
tutto andava bene e la gente non aveva problemi. Alcune canzoni venivano scritte appositamente per
celebrare il regime mussoliniano o le sue imprese; altre venivano sfruttate dal fascismo per i propri fini,
anche se erano nate con intenti del tutto diversi.
Alla fine degli anni Trenta, alla vigilia della seconda guerra mondiale, incominciavano però a
diffondersi anche in Italia le cosiddette orchestre ritmiche (Semprini, Kramer, Barzizza, Mascheroni,
Rabagliati e il Trio Lescano) che proponevano versioni italiane di grandi successi stranieri (il “gez
italiano”).
L’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) dipendeva direttamente dal Ministero per la
Cultura Popolare; ogni sera alle venti si trasmettevano insieme ai bollettini di guerra, canzonette che
inneggiavano all’eroismo, alla lotta e alla vittoria. L’idea della morte era sempre rappresentata o come un
evento remoto difficilmente realizzabile, in modo da sottolineare l’invincibilità del soldato italiano, o
come l’estremo e glorioso sacrificio per il trionfo della Patria.
I compositori italiani, posti sotto strettissimo controllo dal regime, facevano a gara nel comporre
brani per eccitare l’animo sia dei civili sia dei militari al fronte.
La canzone più nota di questo periodo era Vincere (datata proprio 10 giugno 1940), chiaro
esempio dell’esaltazione generale dei primi mesi di guerra. Nel testo si trovavano richiami alla Roma
imperiale, simboli di riscossa e di rivincita dell’Italia in campo internazionale. Lo scopo di questo motivo
era evidente: esaltare l’animo del popolo e la figura di Mussolini, cui veniva attribuito un alone divino.
VINCERE (1940)
Temprata da mille passioni Elmetto, pugnale, moschetto,
la voce d'Italia squillò! a passo romano si va!
"Centurie, coorti, legioni, La fiamma che brucia nel petto
in piedi che l'ora suono"! ci sprona ci guida si va!
Avanti gioventù! Avanti! Si oserà l'inosabile,
Ogni vincolo, ogni ostacolo superiamo, l'impossibile non esiste!
spezziamo la schiavitù La nostra volontà è invincibile,
che ci soffoca prigionieri del nostro Mar! mai nessun ci piegherà!
GIOVINEZZA (1922)
Salve o popolo di eroi, Giovinezza, giovinezza,
salve o Patria immortale, primavera di bellezza,
son rinati i figli tuoi nella vita nell'asprezza
con la fede e l'ideale. il tuo canto squilla e va!
Il valor dei tuoi guerrieri Per Benito Mussolini
la vision dei tuoi pionieri E per la nostra Patria bella,
la vision dell'Alighieri eja eja alalà.
oggi brilla in tutti i cuor.
I poeti e gli artigiani
Giovinezza, giovinezza, i signori e i contadini,
primavera di bellezza, con orgoglio di Italiani
nella vita nell'asprezza giuran fede a Mussolini.
il tuo canto squilla e va! Non v'è povero quartiere
Per Benito Mussolini che non mandi le sue schiere,
E per la nostra Patria bella, che non spieghi le bandiere
eja eja alalà. del fascismo redentor.
Per tutto il cielo è un volo di bandiere Sole che sorgi libero e giocondo
e la pace del mondo oggi è latina: sul colle nostro i tuoi cavalli doma;
il tricolore canta sul cantiere, tu non vedrai nessuna cosa al mondo
su l'officina. maggior di Roma.
CARO PAPA’
LILI’ MARLEN
Tutte le sere, sotto quel fanal, Quando nel fango debbo camminar
presso la caserma, ti stavo ad aspettar, sotto il mio fardello mi sento vacillar,
anche stasera aspetterò, cosa mai sarà di me?
e tutto il mondo scorderò, Ma poi sorrido e penso a te,
con te Lilì Marleen, a te Lilì Marleen,
con te Lilì Marleen. a te Lilì Marleen.
O trombettier, stasera non suonar: Se chiudo gli occhi il viso tuo m’appar
una volta ancora la voglio salutar, come quella sera nel cerchio del fanal,
addio, piccina, dolce amor, tutte le notti sogno allor
ti porterò per sempre in cuor, di ritornar, di riposar,
con me Lilì Marleen, con te Lilì Marleen,
con me Lilì Marleen. con te Lilì Marleen.
Dammi una rosa da tener sul cuor,
legala col filo dei tuoi capelli d’or,
forse domani piangerai,
ma dopo tu sorriderai,
a chi Lilì Marleen?
a chi Lilì Marleen?