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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”

FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA

Tesi di Laurea
in
Filosofia della Scienza

LA QUESTIONE DELLA MENTE:


SFIDE E PROSPETTIVE DELLE NEUROSCIENZE

Relatore: Adele Morrone Correlatore: Stefania Mariani

Candidato: Stefano Menna

ANNO ACCADEMICO 2001-2002

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“If the doors of perception were cleansed, everything would appear to


man as it is: Infinite”

W. Blake, The Marriage of Heaven and Hell

“Ora sappiamo che non percepiremmo alcunché, perché saremmo


sopraffatti”

W. J. Freeman, Come pensa il cervello

“Risolvere un mistero non è la stessa cosa che dedurre da principi primi.


Non equivale neppure a raccogliere tanti dati particolari per poi inferirne
una legge generale. […] La ricerca delle leggi esplicative, nei fatti
naturali, procede in modo tortuoso. Di fronte ad alcuni fatti inspiegabili,
tu devi provare ad immaginare molte leggi generali, di cui non vedi
ancora la connessione coi fatti di cui ti occupi: e di colpo, nella
connessione improvvisa di un risultato, un caso e una legge, ti si profila
un ragionamento che ti pare più convincente degli altri. Provi ad
applicarlo a tutti i casi simili, a usarlo per trarne previsioni, e scopri che
avevi indovinato. Ma sino alla fine non saprai mai quali predicati
introdurre nel tuo ragionamento e quali lasciar cadere”

U. Eco, Il nome della rosa

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ABSTRACT

<<La questione della mente: sfide e prospettive delle neuroscienze>>

di
Stefano Menna

L’argomento trattato nella mia tesi verte sul cosiddetto mind-body


problem, che costituisce -almeno a partire da Cartesio- il problema
epistemologico per eccellenza. Che cos’è la mente? Quali sono le sue
funzioni? E i suoi contenuti? Qual è il suo rapporto con il cervello? Che
livello di autonomia detiene rispetto al sistema nervoso? E qual è il suo ruolo
specifico?
A mio avviso, oggi l’indagine filosofica non può più prescindere dagli
esiti cui è pervenuta l’attività scientifica, sia dal punto di vista teorico che
sperimentale. Compito della filosofia è quello di prendere atto in maniera
critica di tali risultati, discutendone le conseguenze, sottolineandone le
prospettive ed evidenziandone i limiti. E’ proprio in questa sorta di tensione
dialettica tra scienza ed epistemologia che possono emergere nuove
possibilità, nuove opportunità e che possono essere posti nuovi interrogativi
alla stessa ricerca scientifica e filosofica in generale, inducendo in entrambe
un reciproco arricchimento.
Nel primo capitolo, ho messo in evidenza come il modello cognitivista
per lo studio della mente presenti notevoli difficoltà, in special modo nel
momento in cui cerca di fondare l’edificio della semantica a partire dalla
semplice struttura sintattica in cui è organizzato l’ipotetico “linguaggio del
pensiero” fodoriano deputato alla manipolazione delle varie rappresentazioni.
Il cosiddetto problema del riferimento (che sottolinea l’importanza decisiva

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del ruolo dell’ambiente esterno nella determinazione del significato) sorge


proprio a partire da questo tipo di approccio.
Inoltre, l’analisi cognitivista postula l’esistenza di un tipo di architettura
della mente assolutamente incompatibile con il paradigma materialista e i
risultati cui sono pervenute la psicologia e le neuroscienze: all’interno del
nostro cervello e del nostro organismo, infatti, gli stimoli non vengono
recepiti passivamente, come se le caratteristiche dell’apparato percettivo non
influissero sulla costruzione del percetto stesso. In realtà, non esiste niente di
simile a quella sorta di trasmissione diretta dell’informazione di cui parla il
cognitivismo.
Anche il fallimento del programma di ricerca dei “sistemi esperti”
costituisce un'altra prova in favore dell’impossibilità di trattare l’informazione
come se fosse un dato “grezzo” e “puro”, indipendente dagli sfondi teorici in
cui si staglia.
Nel secondo capitolo , è stata presa in esame -per utilizzare un
linguaggio caro a Edelman- la materia della mente, e cioè le caratteristiche e
le condizioni neurofisiologiche e neurobiologiche che non possono essere
trascurate se vogliamo realmente comprendere i meccanismi della mente.
Sono stati dunque analizzati i linguaggi attraverso cui il cervello
codifica e ricodifica le informazioni che “girano” nelle reti neurali, in parte
provenienti dall’ambiente esterno e in parte frutto dell’attività talamo-
corticale e neurovegetativa interna.
La Teoria della Selezione dei Gruppi Neuronali (TSGN) di Edelman,
gli studi di Pribram e quelli di Changeux offrono certamente un quadro
esauriente dei meccanismi epigenetici che presiedono alla formazione delle
diverse mappe, grafi e aggregati in cui è organizzato il sistema cerebrale
umano; ma, come la teoria cognitivista, non riescono a rendere conto dei
fenomeni mentali più complessi, primi fra tutti la coscienza, i qualia e la
capacità di attribuire significati.

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Nel terzo capitolo, è emerso che il problema della semantica può


trovare una soluzione grazie a una nozione allargata di razionalità, che vada
oltre gli aspetti logici e formali dell’attività mentale, sui quali i cognitivisti
hanno costruito la trama del loro paradigma.
Il vissuto individuale è in realtà molto più ricco, essendo permeato
anche di intuizioni, emozioni, nonché delle capacità creative e abduttive che
sottostanno al processo di formulazione di nuove ipotesi, processo questo
decisamente importante sia in chiave adattativa che dal punto di vista
epistemologico.
Si è visto che per fornire una spiegazione scientifica di un sistema così
complesso come quello mentale, occorre analizzare i processi che hanno
luogo all’interno di ogni singolo organismo non solo in se stessi, ma anche in
funzione dei meccanismi di relazione e di scambio che essi hanno con
l’ambiente (fisico, sociale e culturale).
Le ipotesi “ecologiche” di Bateson, Varela e Maturana vanno nella
direzione proposta: esse, infatti, tematizzando un rapporto integrato e
sistemico tra l’organismo e l’ambiente, superano i limiti di una mera
epistemologia interamente naturalizzata. Organismo e ambiente non sono
elementi separabili e autosussistenti, ma costituiscono un sistema complesso
organico e indivisibile, dove i livelli di interazione sociale e culturale non
sono altro che piani emergenti relativi alle varie parti che formano l’intero
ecosistema.
Esiste quindi una componente -per così dire- esterna nella costituzione
ontogenetica della mente che non può affatto essere trascurata: da essa
dipende la fitta trama di rapporti che l’uomo -in quanto animale sociale e
culturale- intrattiene con i suoi simili e con tutti gli altri esseri viventi.

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Nel quarto capitolo, infine, abbiamo analizzato brevemente i percorsi


attraverso i quali l’epistemologia -in parte autonomamente, in parte recependo
i recenti orientamenti teorici delle neuroscienze- ancora una volta ha messo in
discussione il problema del metodo, proponendo una nozione allargata di
razionalità che consenta di fondare una logica della scoperta scientifica come
procedimento pienamente razionale.
Ritenere il processo di invenzione di ipotesi “razionale” quanto quello
del loro controllo legittima la concezione materialista della mente come
sistema aperto che produce e crea teorie attraverso una serie continua di
tentativi ed errori.
E’ proprio in questo spazio che la mente trova la sua autonomia e che
guadagna la propria “dignità” ontologica: come interfaccia tra mondo fisico e
universo della conoscenza, come correlatrice tra segnale fisico e sfondo
teorico, come integratrice tra dati e metadati, e -soprattutto- come anello di
congiunzione tra “informazione” e “informazione sull’informazione” che fa
emergere incessantemente sensi e significati sempre nuovi e inediti.
La mente, ricoprendo questo ruolo di “medium” così fondamentale per
l’attribuzione e il conferimento di significato all’esperienza, risulta essere così
tutt’altro che un mero epifenomeno privo di poteri causali. Essa non è
certamente libera di crearsi un mondo tutto suo, sia per i vincoli biologici cui
è soggetta, sia perché viene condizionata dalle interazioni con il “pensiero
collettivo” nel quale si trova immersa; ma altrettanto certamente costituisce e
istituisce un nuovo e indipendente piano ontologico: quello del pensiero,
inteso appunto come una reale proprietà emergente, originata sia da processi
fisiologici e somatici, che da attività e relazioni extra-corticali ed extra-
corporee.
Abbiamo così cercato di mostrare come sia possibile una
considerazione scientifica dei fenomeni mentali, al di là sia del paradigma
cognitivista che di quello materialista di stampo riduzionista. Una

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“epistemologia ecologica” (molto più che una epistemologia naturalizzata) ci


sembra in grado di fornire le risposte più soddisfacenti e meno problematiche
nell’ambito della questione mente-corpo e nel contesto del complesso
rapporto fra organismo e ambiente.
Accostandoci all’investigazione teorica e sperimentale dei modi in cui
il nostro apparato cognitivo ordina e categorizza gli oggetti di esperienza, ci
siamo imbattuti nel problema più arduo da risolvere: quello
dell’autoreferenzialità della mente e della conoscenza.
La difficoltà che la mente umana incontra nel tentativo di spiegare e di
comprendere se stessa è contemporaneamente lo scoglio insormontabile e il
punto di partenza ineludibile per qualsiasi tipo di analisi, scientifica o
filosofica che sia.
<<La mente che esplora se stessa è certamente la follia delle follie>>1,
e probabilmente il motivo principale per cui si tende a evitare di studiarne le
basi <<è che questo fatto ci darebbe una sensazione un po’ sconcertante a
causa della circolarità che deriva dall’utilizzazione di uno strumento di analisi
per analizzare lo stesso strumento di analisi: è come se pretendessimo che un
occhio vedesse se stesso>>2.
Nonostante ciò, possiamo pur sempre seguire l’esempio del modello
ecologico, tentando di “camminare sul filo del rasoio”, evitando gli estremi
rappresentazionalisti-cognitivisti e quelli riduzionisti-fisicalisti: <<in questa
via di mezzo troviamo la regolarità del mondo che sperimentiamo in ogni
momento, ma senza nessun punto di riferimento indipendente da noi che ci
garantisca la stabilità assoluta che vorremmo attribuire alle nostre
descrizioni>>3.
Non possiamo uscire da questo “cerchio”, non possiamo saltare fuori
dal nostro dominio conoscitivo: siamo radicalmente ancorati a quella struttura

1
Boncinelli E., Il cervello, la mente e l’anima, Mondadori, Milano, 1999, pg. 291.
2
Maturana H., Varela F., L’albero della conoscenza, Garzanti, Milano, 1987, pg. 44.
3
Ivi., pp. 199-200.
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cognitiva che la natura ci ha messo a disposizione e che la cultura “raffina”


progressivamente sia nel corso dell’evoluzione filogenetica, che dello
sviluppo ontogenetico.
Essa ci permette di “guadagnare” il nostro mondo di esperienza, ma
senza alcuna certezza riguardo la completezza, l’infallibilità e la verità di tale
processo.
Siamo in un circolo da cui non possiamo uscire: dobbiamo solo
prendere atto che esso può essere tutt’altro che “vizioso”, dal momento che
può rivelarci allo stesso tempo non solo i nostri limiti, ma anche le nostre
opportunità, le nostre prospettive e le nostre possibilità.
Purtroppo, la tradizione scientifica ed epistemologica dell’età moderna
ha sviluppato un’attitudine fortemente critica nei confronti delle relazioni
circolari e delle forme di autoriferimento, considerate all’origine di paradossi
e di problemi mal posti4.
La sfida consiste nel concepire la circolarità non inevitabilmente quale
ostacolo alla conoscenza oggettiva, ma proprio come matrice e origine delle
stesse condizioni oggettive della conoscenza, che -certamente- può anche
comportare paradossi e incertezze. <<Il riconoscimento di questa circolarità
conoscitiva non costituisce tuttavia un problema per la comprensione del
fenomeno della conoscenza, ma in realtà fissa il punto di partenza che
permette la sua spiegazione scientifica>>5.
Anziché prospettare un’interpretazione dello sviluppo dei processi
cognitivi e della funzione dell’indagine epistemologica nel senso di una
progressiva purificazione dell’attività intellettuale, occorrerebbe invece
puntare l'attenzione sull’esigenza di una radicale reintegrazione del soggetto e
dell’osservatore (espunto per principio da ogni modellizzazione scientifica)
nelle sue proprie descrizioni. La conoscenza, infatti, è sempre l’azione di

4
Si pensi per esempio al paradosso di Russell, che minò le fondamenta dell’intero edificio
logico fregeano.
5
Maturana H., Varela F., L’albero della conoscenza, cit., pg. 201.
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colui che conosce: per produrre una giustificazione scientificamente


convalidabile, dunque, si deve intendere la conoscenza come <<azione
effettiva, che permetta a un essere vivente di continuare la sua esistenza in un
determinato ambiente toccando con mano il suo mondo>>6.

Da questo punto di vista, allora, stabilire le basi biologiche della


conoscenza scientifica significa respingere l’idea che tali basi possano essere
comprese soltanto attraverso lo studio del sistema nervoso (o -tantomeno-
attraverso l’analisi di funzioni simboliche astratte): il problema
epistemologico va invece inserito in un ambito di analisi più complesso, che
tematizzi l’essere vivente nella sua totalità e non trascuri la fitta trama di
rapporti che esso istituisce con l’ambiente esterno.
In questo quadro sembra mutare di senso anche una domanda di antica
tradizione filosofica sulle ragioni e sulla possibilità di adeguazione tra il
nostro bagaglio cognitivo e la realtà in cui questo apparato si trova a operare.
La storia del pensiero occidentale ha oscillato continuamente tra due
estremi: da una parte, la visione della conoscenza come un prodotto e uno
specchio della realtà; dall’altra, la concezione della realtà stessa come
un’invenzione più o meno arbitraria della nostra attività cognitiva7.
Da quanto abbiamo detto, i sistemi viventi non si rappresentano il
mondo come dotato di caratteristiche prestabilite, ma producono un mondo
come dominio inscindibile in linea di principio dalla loro organizzazione
strutturale: è allora possibile delineare una terza via epistemologica, che sia
alternativa e che oltrepassi la classica contrapposizione tra realismo e
idealismo fondata su un concetto “replicativo” di rappresentazione.

6
Ivi., pg. 49.
7
Oppure si è cercata una terza via, postulando un principio di armonia esterno alla realtà e
a-temporale che garantisse -come un deus ex machina- il processo di osmosi e di
compenetrazione reciproca tra soggetto e oggetto.
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Ciò consentirebbe di passare dall’idea di conoscenza incentrata sulla


nozione di simbolo rappresentazionale all’idea di conoscenza come enazione,
cioè a un approccio alla cognizione in termini di azione effettiva, il cui
compito non consiste nella ricezione passiva di proprietà già codificate nella
realtà esterna, ma nella determinazione fattuale, ricostruttiva e strutturante dei
dati dell’esperienza. L’essere vivente, infatti, allo stesso tempo determina ed è
determinato dal proprio ambiente, con cui è quindi legato da un rapporto di
mutua specificazione e selezione.
E’ chiaro allora perché al simbolo non possa essere assegnata quella
funzione univoca, non ambigua e irrevocabile attribuitagli dal cognitivismo:
la relazione fra segno e referente non è infatti di tipo speculare, ma implica
sempre letture e interpretazioni diverse ed eterogenee, incorporate nella
struttura biologica dell’organismo e dipendenti dalle interazioni fisiche e
sociali con l’ambiente in cui è inserito.
La conoscenza non è perciò un’attività immutabile, definitiva e
oggettiva, ma rappresenta una totalità precaria e sempre in via di
ridefinizione, la cui storia è ancora in parte da scrivere. Essa può essere
ancora rappresentata dall’immagine dell’albero, ma è un albero molto
particolare: è un albero vivente, capace di conservare la propria
organizzazione di base pur mutando continuamente i suoi elementi esterni, in
un incessante ricambio di strutture, nello svolgersi dei cicli chimici e
metabolici, nella nascita e nella morte delle sue singole parti.
In conclusione, l’inserimento del problema della conoscenza all’interno
di una simile prospettiva integrata e autoreferenziale rende plausibile
l’adozione di un modello per i processi cognitivi sì naturalistico, ma fondato
comunque su un paradigma insieme biologico ed ecologico,
epistemologicamente antiriduzionista ed emergentista, in cui vi sia spazio per
l’autonomia della mente, intesa come funzione di integrazione tra mondo
fisico e universo della conoscenza.

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INDICE GENERALE

CAPITOLO 1 – “Il modello cognitivista e i suoi limiti”

1.1 Introduzione
1.2 Fodor e la Teoria Rappresentazionale della Mente (TRM)
1.3 La metafora mente-computer e il problema del riferimento
1.4 Putnam e il paradosso della Terra Gemella
1.5 L’architettura modulare della mente
1.6 Il ruolo dello sfondo teorico e la funzione costruttiva della percezione:
Wittgenstein e Hanson
1.7 I sistemi esperti e il mito dell’informazione pura
1.8 I limiti dell’oggettivismo e del funzionalismo
1.9 Dal modello cognitivista a quello neurobiologico: la percezione come
funzione di accoppiamento e il ruolo selettivo dell’informazione interna
1.10 La funzione “creatrice e innovatrice” dell’attività sensoriale
1.11 L’approccio top-down e gli studi sulla percezione di W. J. Freeman

CAPITOLO 2 – “I linguaggi del cervello”

2.1 Introduzione
2.2 La doppia codifica dei segnali nervosi
2.3 Il modello olografico di Pribram e la memoria
2.4 Changeux e il modello “grafico” del cervello
2.5 L’organizzazione cerebrale tra genetica ed epigenetica
2.6 Edelman e la Teoria della Selezione dei Gruppi Neuronali (TSGN)

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2.7 Il “binding problem” e l’approccio macroscopico-olistico


2.8 La funzione integratrice del tempo
2.9 I limiti della TSGN di Edelman

CAPITOLO 3 – “Verso un concetto allargato di razionalità”

3.1 Introduzione
3.2 Il sentimento del corpo
3.3 Il valore cognitivo delle emozioni
3.4 Aspetti logici e aspetti quasi-logici della mente
3.5 L’ipotesi del “marcatore somatico”
3.6 L’origine esterna dei marcatori somatici e il ruolo dell’ambiente:
Damasio, Lurija e Dennett
3.7 Sfera biologica e sfera socio-culturale: Natura e Cultura a confronto
3.8 Organismo e ambiente: una teoria “ecologica” della mente

CAPITOLO 4 – “Il ruolo della mente”

4.1 Introduzione
4.2 Contesto della scoperta e contesto della giustificazione: l’importanza
dell’abduzione
4.3 Il processo decisionale dello scienziato: un esempio di “razionalità
allargata”
4.4 L’epistemologia oggettivista
4.5 La mente come entità di confine
4.6 Epistemologia e “convergenza al digitale”: un’analogia esplicativa per
il problema del rapporto tra informazione e significato
4.7 Conclusione

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BIBLIOGRAFIA GENERALE

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