Sei sulla pagina 1di 13

355

luglio
settembre 2012

Esercizi per cambiare la vita


In dialogo con Peter Sloterdijk
Premessa
3
Peter Sloterdijk Due risposte ad aut aut
4
Pier Aldo Rovatti Esercizi ma senza ascesi
7
Giovanni Leghissa Lesercizio come condizione
di possibilit del soggetto (e della sua
sparizione)
19
Marc Jongen La resurrezione dalla nonmorte.
Sloterdijk trainer delliperimmaginazione
37
Thomas Macho Tecniche di solitudine
57
Antonio Lucci Lincontro mancato. Il solipsismo
aristocratico di Sloterdijk
79
Graziella Berto Perdere la testa. Ginnastica
e filosofia
95
Edoardo Greblo Mi esercito, dunque sono
106
Tiziano Possamai La vita di Diogene e il busto
di Apollo
117
Massimiliano Nicoli, Carla Troilo Ceci nest
pas un livre
129
Fabio Polidori Fine dellesercizio
141
Elettra Stimilli Per una vita in debito
154
Dario Consoli La filosofia oltre lesercizio
immunitario
171
Martino Doni Lobbedienza della parola
negli esercizi di Ignazio di Loyola
185

La vita di Diogene e il busto di Apollo


TIZIANO POSSAMAI

Una fine, un inizio


Per cominciare, una constatazione. La riflessione di Peter Sloterdijk
si apre allinsegna di una Critica della ragion cinica1 negli anni in
cui la ricerca di Michel Foucault stava per chiudersi proponendo
uno studio sul cinismo antico. A voler essere precisi il libro di
Sloterdijk esce nel 1983, da febbraio a marzo dellanno seguente
Foucault tiene il suo ultimo corso al Collge de France (morir
pochi mesi pi tardi, il 25 giugno 1984) concentrandosi con particolare attenzione sulla questione della parresia, il parlar franco
in ambito cinico. Sia il libro di Sloterdijk sia le lezioni di Foucault
esprimono un profondo elogio del cinismo antico.
In Critica della ragion cinica, dunque, Sloterdijk anticipa curiosamente uno dei temi principali dellultima ricerca di Foucault,
dico curiosamente perch, a ben guardare, anticipa quella stessa
ricerca e riflessione da cui trae al tempo stesso buona parte della sua
ispirazione. Nellintroduzione, Sloterdijk definisce in questo modo
il senso pi proprio di quel suo primo fortunato saggio: Ci che
alludendo a un testo della grande tradizione viene qui presentato,
vuol essere un iter meditativo sulla proposizione: Sapere potere.2
E poi, dando subito buona prova di parresia, nietzschiana pi che
cinica, aggiunge: Sapere potere: ecco, il fatale politicizzarsi del
pensiero compiuto. Pronunciando la proposizione, la verit
1. P. Sloterdijk, Critica della ragion cinica (1983), trad. parziale, Garzanti, Milano 1992.
2. Ivi, p. 22.

aut aut, 355, 2012, 117-128

117

svelata. Nel pronunciarla, tuttavia, quel che si vuol ottenere, pi


della verit, intervenire nel gioco del potere.3 Questa seconda
verit di ordine pragmatico (intervenire nel gioco del potere),
che Sloterdijk svela dopo aver svelato la prima (sapere potere)
impedendo a questultima di essere tale senza prescindere dai giochi
di potere in cui implicata, le sottrae centralit nel momento stesso
in cui ne moltiplica la forza, vincolandola in modo determinante a
quei giochi. Lallievo ha fatto tesoro della lezione del maestro.
Foucault non ebbe modo e soprattutto il tempo di leggere il
libro di Sloterdijk. Anche se non manca di citarlo, nella lezione
del 29 febbraio 1984, come lultimo di una serie di quattro volumi
della filosofia tedesca contemporanea dedicati alla questione del
cinismo antico su cui stava lavorando proprio in quel momento:
Infine, il quarto libro, che non conosco, mi stato segnalato di
recente: uscito lanno scorso in Germania presso Suhrkamp,
di un certo Sloterdijk, e porta il titolo solenne di Kritik der
zynischen Vernunft (Critica della ragion cinica). Non ci sar
risparmiata nessuna critica della ragione: n della ragione pura, n della ragione dialettica, n della ragione politica, e cos
abbiamo ora la critica della ragione cinica. un libro in due
tomi del quale non so nulla. Mi hanno dato dei pareri, diciamo,
divergenti sullinteresse di questo libro.4
Che Sloterdijk si possa considerare uno dei pi interessanti prosecutori dei cantieri lasciati aperti da Foucault fuori dubbio. Che
lo sia fino al punto di riproporre, bench su piani di contenuto
e stile diversi, anche alcuni (in)apparenti capovolgimenti della
sua parabola di pensiero lo forse un po meno. Che in questi
capovolgimenti si possa rintracciare uno degli aspetti pi vitali
e controversi dellesercizio filosofico di entrambi ci su cui ora
prover a riflettere.
3. Ibidem.
4. M. Foucault, Il coraggio della verit. Il governo di s e degli altri II. Corso al Collge de
France, 1984 (2009), Feltrinelli, Milano 2011, p. 176.

118

Si potrebbe presentare la cosa innanzitutto in termini biografici, quei termini che stanno sempre alle spalle di ogni nostro
movimento di ricerca e di pensiero, e che troppo spesso in nome
di un preteso valore universale di quel movimento (e del risultato
relativo) vengono trascurati. In Foucault, per esempio, il passaggio dagli studi dei primi anni sulla scomparsa del soggetto alle
ricerche sul farsi del soggetto degli ultimi anni, dietro la maschera
di categorie asettiche quali strutturalismo e poststrutturalismo,
pu nascondere il riflesso di uno spostamento che investe, ben
prima della sua ricerca, il soggetto/oggetto Foucault in carne e
ossa. Allinizio bloccato nelle sue determinazioni di emergenza,
nella loro duplice e paradossale azione di produzione e di contemporanea espropriazione/interdizione di ci che contribuiscono a
produrre, poi sempre pi consapevole e attivo nel prendersi cura di
tali determinazioni disappartenenti. E semmai attento a non farne
un nuovo paradigma universale. Ma al di l del dato biografico,
che a sua volta spesso nasconde pi di quanto rivela, o meglio nella
stessa misura in cui ri-vela, il punto sta altrove.
Del resto, il fatto che gli esiti dei capovolgimenti di entrambi si
possano rintracciare gi nelle rispettive premesse non significa che
siano necessari, significa solo che il capovolgimento per quanto (in)apparente la condizione della loro possibilit. Da una
parte lidea di un soggetto che rischia di scomparire tra le pieghe
del suo stesso sapere e sguardo non pu che lasciare spazio a una
ricerca unermeneutica la chiamer Foucault di nuove forme
di riconoscimento e manovra (leggi pure: di un nuovo sapere e
sguardo) che facciano riemergere un soggetto da quelle pieghe.
Dallaltra parte la consapevolezza di un surplus di coscienza del
soggetto, che invece di estendere i suoi margini di libert creativa
e di rottura critica li inibisce questo leffetto pratico di ci che
in Critica della ragion cinica Sloterdijk chiama la nostra falsa coscienza illuminata (falsa perch doppiamente illuminata: troppa
luce pu impedire anzich favorire lilluminazione) , non pu che
lasciare spazio alla ricerca di nuove forme di riflessione e manovra
che riattivino liniziativa di quel soggetto.
Ecco allora che invertendo lo sguardo sul proprio stesso sapere
119

da un lato e sulla propria stessa presa di coscienza dallaltro rispettivamente Foucault, dopo aver messo in questione entrambi, ritorna
a parlare di libert e di soggetto, rendendosi conto peraltro di non
aver mai fatto altro, e Sloterdijk, dopo aver sottolineato linutilit
di ogni sforzo di elevazione verticale (ambiguit di un cinismo
che e al tempo stesso non un umanismo) parla di applicazione
e di sforzo in relazione a un esercizio di miglioramento infinito.
Tutti e due in definitiva, dopo aver messo in luce (e proprio perch
hanno messo in luce) gli aspetti pi statici e strutturali delluomo,
indicano nellautosuperamento e nella trasformazione la sua cifra
pi propria.
Non forse uno spazio di libert ulteriore quello che entrambi
ci indicano e cercano di praticare? Ulteriore innanzitutto rispetto
a quello praticato dallo stesso cinismo antico che pur entrambi
portano Sloterdijk allinizio, Foucault alla fine a modello.
Esercizi di verit e coraggio
In Critica della ragion cinica Sloterdijk svolge unanalisi del cinismo moderno, definendolo nei termini paradossali di una falsa
coscienza illuminata,5 attraverso un confronto con il cinismo degli
antichi che indica come la sua antitesi virtuosa. Se questultimo
nasce dalla morte di Socrate, il pi giusto dei cittadini ateniesi, colui
che ha pagato il prezzo per averne smascherato la falsa coscienza,
il cinismo moderno nasce, in un certo senso, dallo smascheramento di quello stesso smascheramento. Pi precisamente: lesito a
lungo termine di un illuminismo che ha finito per far luce anche
su se stesso, sui presupposti impuri della propria volont di luce e
di sapere. Senza per questo abbandonare piuttosto continuando
a rincorrere le sue rendite di posizione e gli obiettivi di autoaffermazione e di sopravvivenza che le costituiscono.
Il problema, oggi non meno urgente di allora, quello di trovare
5. In termini logici falsa coscienza illuminata configura un paradosso: come potrebbe
infatti una coscienza illuminata essere anche falsa? Proprio qui sta il punto. Agire contro
ci che, in santa coscienza, pur si sa, caratterizza oggi la situazione sovrastrutturale generale:
assenza completa di illusioni e attrazione irresistibile della forza delle cose (P. Sloterdijk,
Critica della ragion cinica, cit., p. 37).

120

unalternativa che permetta di agire allinterno di una cornice di


senso credibile e motivata. Il cielo vuoto e chi continua a muoversi
in questo cielo (chi parte di un ordine al quale egli stesso ormai
non crede) lo sa, ma non pu e non vuole rinunciarvi. Le passioni
tristi di cui tanto si parla in questi anni devono indubbiamente
molto a questa impasse cinico-illuministica, segnalata da Sloterdijk
in tempi relativamente poco sospetti: Sul piano psicologico, il
cinico doggi pu essere definito come un caso limite di melanconico ancora in grado di controllare i propri sintomi depressivi
conservando una certa capacit produttiva. Fra i tratti del moderno
cinismo, questo lessenziale. Nonostante tutto, dopo tutto e a
maggior ragione, il suo portatore continua a fare.6
Se il punto di arrivo del cinico moderno tuttavia unordinata
e rispettata carriera, e non certo la botte di Diogene, in realt entrambi sembrano condividere, bench per motivi e scopi diversi,
un certo atteggiamento di immobilit rispetto alla vita. In questo
senso celebrando il cinismo degli antichi Sloterdijk celebra anche
il rifiuto di ogni sforzo di elevazione culturale. Rimani come sei!
o addirittura regredisci!7 limperativo che muove, sotto un
certo profilo, la vita dei cinici.8 Come nota giustamente Mario
Perniola, nella presentazione delledizione italiana di Critica della
ragion cinica: Vi nel loro modo di essere qualcosa di esageratamente rigido, statico e sclerotico che impedisce lemergenza del
nuovo, il sempre nascente schiudersi della vita: la loro concezione
della natura risente di questi limiti. Quel che basta a se stesso e di
nulla ha bisogno linorganico, la pietra. Lesclusione del mondo
storico, di ci che incessantemente muta e si trasforma, preclude
in ultima analisi la possibilit dellesperienza.9
Venticinque anni dopo, Sloterdijk ribalta quellimperativo in
6. Ivi, p. 36.
7. Quel che Diogene mediante la propria condotta di vita dimostra ai suoi concittadini
in epoca moderna verrebbe espresso dalla formula regressione allo stato animale (ivi, p.
132).
8. Da questo punto di vista inaspettatamente in linea con quella superstite (in)capacit
vitale, tendente a una vita dello status quo (ivi, p. 109), che contraddistingue il cinico
moderno.
9. M. Perniola, Presentazione, in P. Sloterdijk, Critica della ragion cinica, cit., p. 13.

121

devi cambiare la tua vita!. Uninversione che rispecchia listanza


che la muove. Sloterdijk cambia nel momento e nel modo stesso
in cui invita a cambiare: non pi nei termini di unaccettazione
serena dei nostri limiti e dei limiti del mondo, di un cambiamento
che rigetta ogni cambiamento che non sia il ritorno a una sorta
di gioiosa autosufficienza naturale, ma nei termini di un esercizio
atletico di perfezionamento continuo e infinito. Dal punto zero
dellevoluzione architettonica10 alle vertiginose architetture di
unesistenza sulle vette. Se in Critica della ragion cinica Sloterdijk
promuove quello che egli stesso chiama un kinismo dei fini,11 in
Devi cambiare la tua vita, lo si desume gi dal titolo, si pone su una
prospettiva che vede in un acrobatico essere per la meta la cifra
pi propria di una vita incentrata sullesercizio:
Si pu assumere un essere-per-la-meta, o direttamente un essere-per-la-perfezione, come modalit temporale tipica della vita
incentrata sullesercizio. La caratteristica propria di una meta
nellantico senso del termine quella di essere gi visibile da
lontano, da cui lespressione greca skopos, che pone laccento
sulla visibilit da notevole distanza. Lironia delle mete, ossia
di perdere consistenza a mano a mano che si avvicinano, diventa
chiara, di solito, solamente agli esperti.12
In questultima osservazione Sloterdijk si fa sfuggire un sorriso
ironico nei confronti di ogni meta e di conseguenza anche di ogni
sforzo per raggiungerla. Unironia che sembra condensare in s
sia la negazione del cinico antico, sia il rifiuto del cinico moderno, disillusi entrambi, sebbene per motivi diversi, rispetto a ogni
essere-per-la-meta o per-la-perfezione. E di conseguenza sembra
anche tradire, o semplicemente (ri)capovolgere, insieme allimpe10. Ivi, p. 133.
11. In verit, il cinismo dei mezzi caratterizzante questa nostra ragione strumentale di
horkheimeriana memoria pu essere compensato solo con un ritorno al kinismo dei fini. Il
che comporta in primo luogo il congedo dallo spirito degli obiettivi remoti e in secondo luogo il riconoscimento della fondamentale assenza di fini che caratterizza la vita (ivi, p. 157).
12. P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita. Sullantropotecnica (2009), Raffaello Cortina,
Milano 2010, p. 299.

122

rativo che pone, anche il suo stesso sforzo di riuscire a non essere
ci che inevitabilmente ancora rimane: un esempio sommo (in
lui infatti tutto raddoppiato) di falsa coscienza illuminata, che
nonostante tutto, dopo tutto e a maggior ragione, continua a fare.
Si potrebbe concludere, sempre con le sue parole ma facendone
lantifrasi: Vacuit di una critica non determinata a strozzare la
voce del proprio disinganno.13 Una vacuit che Sloterdijk conosce
fin troppo bene per farsene turbare, applicabile a ogni parte in
gioco, anche alla pi (in)apparentemente pura, come prova questo giudizio di Anton Cechov su Lev Tolstoj, che, pi di Tolstoj,
demolisce la forza demolitiva della stessa parresia cinica:
Al diavolo la filosofia dei grandi di questo mondo. Tutti questi
eminenti saggi sono dispotici, sgarbati e disonesti quanto i generali, poich sono certi dellimpunit. Diogene sputava sulla
barba della gente giacch sapeva che non gli sarebbe successo
niente. Tolstoj tratta i medici come furfanti ed esibisce la sua
ignoranza sui grandi problemi perch anchegli un Diogene
che non corre il rischio di essere trascinato in guardina o attaccato dai giornali. Quindi, al diavolo la filosofia dei grandi
di questo mondo! (Lettera a Suvorin dell8 settembre 1891)14
Che tipo di verit traspare da questo sfogo di Cechov? Il controcoraggio di dire la verit sul coraggio di dire la verit? Una parresia
che rimette in gioco e smaschera la stessa e non pi ultima parresia
cinica?15 Mostrando ci che essa alla stregua di chi vorrebbe
farne una bandiera non vede e dice di se stessa. E cio di essere
una verit e un coraggio sempre e solo nella misura della propria
possibilit di mentire, di non dire tutta la verit riguardo a se stessa?
In una parola: nella misura della propria illuminata falsa coscienza?
13. Cfr. Id., Critica della ragion cinica, cit., p. 27.
14. A. Cechov, Capolavori, Einaudi, Torino 2003, p. XXVIII.
15. questo indubbiamente uno di quei casi che confermerebbe, secondo Harold Bloom,
ci che Lev estov ha scritto riguardo alla meravigliosa arte di Cechov di uccidere con un
semplice tocco, un respiro, unocchiata, tutto ci di cui e in cui gli uomini vivono e si sentono
orgogliosi (H. Bloom, Come leggere un libro e perch, 2000, Rizzoli, Milano 2010, p. 43).

123

C sempre una maschera dietro una maschera, ci ha insegnato


Nietzsche, e il problema di ogni maschera quello di non riuscire a
vedere i volti delle maschere che la precedono, ma sempre e soltanto
il loro negativo. Non dunque un caso se il punto continua a sfuggirci
e se in questa fuga continua a rivelarsi. Come non un caso che il
percorso filosofico di Sloterdijk, e a suo modo quello di Foucault,
abbiano a che fare con una fuga simile; con un ripiegamento, uno
scarto, un differimento continuo rispetto a se stessi. Un esercizio di
allontanamento necessario non tanto per ritrovare se stessi ma innanzitutto per non mancarsi a causa di uneccessiva corrispondenza
a se stessi. questo il punto che pu porre limperativo rilkiano,
devi cambiare la tua vita, sullo stesso piano del mutamento professato dal cinismo antico, senza per questo farli mai coincidere, e
su tuttaltro piano rispetto alle fissit del cinismo moderno.
Esercizi di libert
In Devi cambiare la tua vita Sloterdijk si discosta molto foucaultianamente non solo da se stesso ma anche dallo stesso Foucault. Pi
esattamente, ponendo laccento sulla natura produttiva (e non solo
repressiva) del potere, Sloterdijk conferma la lezione di Foucault.16
Al tempo stesso per si concentra su una forma di potere produttivo che sfugge alla sua analisi microfisica: il potere performativo
dellarte. Un potere che pur imponendosi non reprime, che pur
conquistando non assoggetta, che pur ordinando non controlla. Un
potere che pone la propria forza creativa e desiderante a servizio
del soggetto spingendolo verso una vita acrobatica senza fine, evitando sia lasservimento illuminato al potere del cinico moderno,
sia il rifiuto del potere del cinismo antico.
Proprio questultimo, per Sloterdijk, ha segnato unimportante
e precisa spaccatura tra filosofia e potere politico, il momento in cui
la filosofia da strumento di potere si fatta strumento di resistenza
al potere. Di questa spaccatura il celebre aneddoto dellincontro tra
16. Una conferma malgr lui, dato che a parole Sloterdijk elude questo risvolto centrale
del pensiero di Foucault, a causa di unattenzione eccessiva allinizio delle sue ricerche
disciplinologiche (cfr. P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, cit., p. 421).

124

Diogene di Sinope e Alessandro Magno lemblema pi indelebile.


Intimando ad Alessandro di togliersi dal sole, scrive Sloterdijk,
Diogene mostra di essere il primo sapiente abbastanza libero da
dire al Principe la verit. La risposta sfrontata rappresenta qui un
negarsi non solo alla brama di potere, ma anche al potere della
brama, e allillusoriet di entrambi.17 A Sloterdijk stranamente
non viene il sospetto che la risposta sfrontata di Diogene rappresenti, proprio nel suo sottrarsi a ogni brama di potere e a ogni
potere della brama, anche la risposta pi funzionale a ogni brama
di potere e a ogni potere della brama, cio che porre lo scontro a
livello di desiderio mimetico affermandone lillusoriet e praticandone la negazione una forma di resistenza al potere che lascia
completamente libero il campo allimporsi del suo desiderio (non
a caso, a differenza di altri suoi illustri colleghi, Diogene non viene
sfiorato dal potere).
Qui si situa un punto decisivo, gi attraversato da Nietzsche e
in qualche modo anche da Foucault. Il passaggio da un atteggiamento critico-contestatario a un atteggiamento critico-propositivo
o, se si preferisce, da una resistenza basata su una limitazione
un arretramento, lo chiamerebbe Lacan del proprio personale
desiderio (e qui cinismo antico e cinismo moderno tornano ad
assomigliarsi) a una forma di resistenza che si fa carico del proprio personale desiderio. E qui Sloterdijk vede bene, realizzando
(e raddoppiando) lossimoro di una resistenza-desiderante e di
un potere-impotente, lesperienza artistica pu fare la differenza:
Nella creazione estetica, e soltanto in essa, abbiamo imparato ad
accostarci a una forma di autorit che non asservisce, a unesperienza non repressiva di differenza gerarchica. Lopera darte pu
ancora dire qualcosa perfino a noi, che abbiamo disertato la forma,
perch essa, in maniera del tutto palese, non fa propria lintenzione
di opprimerci.18 Ora, di questo ossimoro (e raddoppio) il cinismo
antico, a differenza di quello moderno, conserva importanti tracce.
Fuoriuscendo da un mero approccio oppositivo, del quale la ri17. Id., Critica della ragion cinica, cit., p. 127.
18. Id., Devi cambiare la tua vita, cit., p. 25.

125

sposta sfrontata di Diogene mostra tutta la valenza simmetrica (cio


di essere una sfida di potere e al potere), si pu dire di pi. Diogene
non solo non sfida Alessandro, ma si mette addirittura al suo servizio nella misura in cui, attraverso lesibizione della sua compiaciuta
autosufficienza, non tanto gli si sottrae come nemico concreto, ma
soprattutto gli testimonia la concreta esistenza di una diversa e pi
perfetta forma di vita e di potere (larte di bastare a se stessi). Questa
sorta di esercizio cognitivo permette ad Alessandro di prendere le
distanze riconoscendolo nella sua contingenza dal suo ruolo di
potere e dalle costrizioni e artificiosit che tale ruolo comporta. In
questo senso Diogene mostra ad Alessandro il suo stesso spazio di
libert ulteriore e mostrandoglielo glielo fa desiderare. Leffetto
terapeutico di questa visione si manifesta in unaltra frase famosa
di Alessandro (che indirettamente conferma quanto in fondo sia
sottile la spaccatura che divide la filosofia dal potere): Se non fossi
Alessandro, vorrei essere Diogene.
Sta propriamente qui, nel testimoniare la possibilit di una vita
diversa e di un potere per quanto impotente pi perfetto di
quello dello stesso Alessandro, la forza dellesercizio filosofico di
Diogene. E qui sta anche laspetto che avvicina questo esercizio a
quello che, venticinque anni dopo, Sloterdijk intravede con maggiore chiarezza nellesperienza estetica. Senza farli mai coincidere.
infatti la possibilit di essere qualcosa di diverso da quello che
siamo continuamente spinti a essere dalla societ ci che il cinismo
antico testimonia non solo ad Alessandro e ai suoi concittadini ma
a noi tutti. Ed invece la possibilit di essere qualcosa di diverso
da ci che siamo continuamente spinti a essere dalla natura ci che
lopera artistica non smette in ogni epoca di testimoniare. In questa doppia e invertita presa di distanza (dalla societ prima e dalla
natura poi) si gioca quello che sopra ho chiamato l(in)apparente
capovolgimento filosofico di Sloterdijk.
Si racconta che Bob Dylan quando lasci il suo paese, nel Minnesota, dovera nato e cresciuto per trasferirsi a New York, rispondesse
in questo modo a chi gli chiedeva dove stesse andando: Sto tornado a casa. Eppure era la prima volta che andava a New York.
126

Lesercizio filosofico che sto cercando di indicare, e in parte praticare, in questo breve scritto ha a che fare con questo movimento
(im)possibile: ritornare dove non siamo mai stati. Un esercizio di
libert e quindi di verit ulteriore, che ampia lo spazio della
nostra identit nello stesso momento in cui lo riduce, o meglio nello
stesso momento in cui riduce le pretese di certa logica identitaria e degli imperativi di verit e morale (due su tutti: coerenza
con se stessi e fedelt alle proprie origini) che tale logica porta con
s. Se ci che contribuisce a determinarmi sta sempre alle mie
spalle, se io sono innanzitutto il frutto di una serie di condizioni
(biologiche, famigliari, storiche, geografiche, sociali) che non sono
frutto di una mia scelta, in un certo senso io sar tanto pi me
stesso quanto pi sapr allontanarmi da me stesso. Parlare, come
fa Sloterdijk sulla scia dellultimo Foucault, di passare dal mero
essere-formato al versante del darsi-forma19 non pu prescindere
da questa presa di distanza, da questa sorta di riappropriazione
di s paradossale, dato che ha nellespropriazione il suo punto di
partenza e di (non) ritorno. E per la quale coincidere con se stessi
pu significare esserlo meno che mai. Ecco perch dopo aver messo
in questione la societ in Critica della ragion cinica, Sloterdijk non
pu che mettere in questione anche la natura, coinvolte entrambe,
in maniera sovrapposta e invertita, sia in quel processo di produzione del soggetto che il soggetto non sceglie ma fondamentalmente
subisce, sia nel processo di presa di distanza da quel processo e
dai vincoli che esso sottende.
In questa luce il valore della testimonianza di Diogene non sta
tanto nella sua capacit di dire il vero: questa una conseguenza
pi che una causa della sua condizione di libert al di sopra della
quale, infatti, Diogene non poneva nulla.20 Per quanto evidentemente implicate, la libert permette di dire la verit molto pi di
quanto la verit permetta di raggiungere la libert. Questo scarto
detto di passaggio insieme al primato del fare sul dire, racchiude il dilemma degli intellettuali di ogni epoca (frazione domi19. Ivi, p. 239.
20. Cfr. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VI, 71.

127

nata della classe dominante e frazione dominante della classe dominata, come ha ben mostrato la ricerca di Pierre Bourdieu), e
spiega la distanza che contraddistingue cos spesso il loro dire dal
loro fare (il loro dire la verit dal loro fare la verit). Proprio la
verit che non manca e anzi abbonda nel cinico moderno, come
ha ben mostrato Sloterdijk in Critica della ragion cinica, invece di
renderlo pi libero, lo mantiene in uno stato di incapacit vitale
e di asservimento al potere: di falsa coscienza illuminata, appunto
(falsa perch doppiamente illuminata).
Il valore dellesistenza di Diogene, e lo stesso vale per il torso
di Apollo celebrato nel sonetto di Rilke, sta nella sua capacit di
renderci stranieri a noi stessi (e proprio per questo un po pi noi
stessi), di farci sentire lontani da ci che fino a quel momento, in
buona coscienza (e coerenza), siamo stati e di farci sentire vicini
a ci che fino a quel momento, in altrettanta buona coscienza (e
coerenza), ci apparso lontano e inaccessibile. La vita di Diogene e
il busto di Apollo sono una testimonianza concreta della possibilit
sempre presente (e anche per questo sempre meno visibile) di fare
di noi stessi e della nostra vita qualcosa di diverso e di ulteriore,
di migliore e pi perfetto da ci che siamo continuamente spinti
a fare da noi stessi e dalla nostra vita. questo il senso pi alto,
paradossale e controverso,21 del passare dal versante del mero
essere-formati al versante del darsi-forma (di cui la ripetizione, sia
da un lato che dallaltro, non che il dispositivo pi naturale).
la forza di una differenza che invece di mantenermi saldo
nella mia rassicurante identit, rassicurante nella misura in cui
non fa che confermare le mie condizioni di emergenza, la mette in
questione, mostrandomi, insieme al baratro della mia contingenza,
il baratro della mia libert e il prezzo di entrambe.

21. Perch implica una presa di potere per quanto impotente unilaterale da parte
del soggetto sul soggetto.

128

Potrebbero piacerti anche