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luglio
settembre 2012
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Si potrebbe presentare la cosa innanzitutto in termini biografici, quei termini che stanno sempre alle spalle di ogni nostro
movimento di ricerca e di pensiero, e che troppo spesso in nome
di un preteso valore universale di quel movimento (e del risultato
relativo) vengono trascurati. In Foucault, per esempio, il passaggio dagli studi dei primi anni sulla scomparsa del soggetto alle
ricerche sul farsi del soggetto degli ultimi anni, dietro la maschera
di categorie asettiche quali strutturalismo e poststrutturalismo,
pu nascondere il riflesso di uno spostamento che investe, ben
prima della sua ricerca, il soggetto/oggetto Foucault in carne e
ossa. Allinizio bloccato nelle sue determinazioni di emergenza,
nella loro duplice e paradossale azione di produzione e di contemporanea espropriazione/interdizione di ci che contribuiscono a
produrre, poi sempre pi consapevole e attivo nel prendersi cura di
tali determinazioni disappartenenti. E semmai attento a non farne
un nuovo paradigma universale. Ma al di l del dato biografico,
che a sua volta spesso nasconde pi di quanto rivela, o meglio nella
stessa misura in cui ri-vela, il punto sta altrove.
Del resto, il fatto che gli esiti dei capovolgimenti di entrambi si
possano rintracciare gi nelle rispettive premesse non significa che
siano necessari, significa solo che il capovolgimento per quanto (in)apparente la condizione della loro possibilit. Da una
parte lidea di un soggetto che rischia di scomparire tra le pieghe
del suo stesso sapere e sguardo non pu che lasciare spazio a una
ricerca unermeneutica la chiamer Foucault di nuove forme
di riconoscimento e manovra (leggi pure: di un nuovo sapere e
sguardo) che facciano riemergere un soggetto da quelle pieghe.
Dallaltra parte la consapevolezza di un surplus di coscienza del
soggetto, che invece di estendere i suoi margini di libert creativa
e di rottura critica li inibisce questo leffetto pratico di ci che
in Critica della ragion cinica Sloterdijk chiama la nostra falsa coscienza illuminata (falsa perch doppiamente illuminata: troppa
luce pu impedire anzich favorire lilluminazione) , non pu che
lasciare spazio alla ricerca di nuove forme di riflessione e manovra
che riattivino liniziativa di quel soggetto.
Ecco allora che invertendo lo sguardo sul proprio stesso sapere
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da un lato e sulla propria stessa presa di coscienza dallaltro rispettivamente Foucault, dopo aver messo in questione entrambi, ritorna
a parlare di libert e di soggetto, rendendosi conto peraltro di non
aver mai fatto altro, e Sloterdijk, dopo aver sottolineato linutilit
di ogni sforzo di elevazione verticale (ambiguit di un cinismo
che e al tempo stesso non un umanismo) parla di applicazione
e di sforzo in relazione a un esercizio di miglioramento infinito.
Tutti e due in definitiva, dopo aver messo in luce (e proprio perch
hanno messo in luce) gli aspetti pi statici e strutturali delluomo,
indicano nellautosuperamento e nella trasformazione la sua cifra
pi propria.
Non forse uno spazio di libert ulteriore quello che entrambi
ci indicano e cercano di praticare? Ulteriore innanzitutto rispetto
a quello praticato dallo stesso cinismo antico che pur entrambi
portano Sloterdijk allinizio, Foucault alla fine a modello.
Esercizi di verit e coraggio
In Critica della ragion cinica Sloterdijk svolge unanalisi del cinismo moderno, definendolo nei termini paradossali di una falsa
coscienza illuminata,5 attraverso un confronto con il cinismo degli
antichi che indica come la sua antitesi virtuosa. Se questultimo
nasce dalla morte di Socrate, il pi giusto dei cittadini ateniesi, colui
che ha pagato il prezzo per averne smascherato la falsa coscienza,
il cinismo moderno nasce, in un certo senso, dallo smascheramento di quello stesso smascheramento. Pi precisamente: lesito a
lungo termine di un illuminismo che ha finito per far luce anche
su se stesso, sui presupposti impuri della propria volont di luce e
di sapere. Senza per questo abbandonare piuttosto continuando
a rincorrere le sue rendite di posizione e gli obiettivi di autoaffermazione e di sopravvivenza che le costituiscono.
Il problema, oggi non meno urgente di allora, quello di trovare
5. In termini logici falsa coscienza illuminata configura un paradosso: come potrebbe
infatti una coscienza illuminata essere anche falsa? Proprio qui sta il punto. Agire contro
ci che, in santa coscienza, pur si sa, caratterizza oggi la situazione sovrastrutturale generale:
assenza completa di illusioni e attrazione irresistibile della forza delle cose (P. Sloterdijk,
Critica della ragion cinica, cit., p. 37).
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rativo che pone, anche il suo stesso sforzo di riuscire a non essere
ci che inevitabilmente ancora rimane: un esempio sommo (in
lui infatti tutto raddoppiato) di falsa coscienza illuminata, che
nonostante tutto, dopo tutto e a maggior ragione, continua a fare.
Si potrebbe concludere, sempre con le sue parole ma facendone
lantifrasi: Vacuit di una critica non determinata a strozzare la
voce del proprio disinganno.13 Una vacuit che Sloterdijk conosce
fin troppo bene per farsene turbare, applicabile a ogni parte in
gioco, anche alla pi (in)apparentemente pura, come prova questo giudizio di Anton Cechov su Lev Tolstoj, che, pi di Tolstoj,
demolisce la forza demolitiva della stessa parresia cinica:
Al diavolo la filosofia dei grandi di questo mondo. Tutti questi
eminenti saggi sono dispotici, sgarbati e disonesti quanto i generali, poich sono certi dellimpunit. Diogene sputava sulla
barba della gente giacch sapeva che non gli sarebbe successo
niente. Tolstoj tratta i medici come furfanti ed esibisce la sua
ignoranza sui grandi problemi perch anchegli un Diogene
che non corre il rischio di essere trascinato in guardina o attaccato dai giornali. Quindi, al diavolo la filosofia dei grandi
di questo mondo! (Lettera a Suvorin dell8 settembre 1891)14
Che tipo di verit traspare da questo sfogo di Cechov? Il controcoraggio di dire la verit sul coraggio di dire la verit? Una parresia
che rimette in gioco e smaschera la stessa e non pi ultima parresia
cinica?15 Mostrando ci che essa alla stregua di chi vorrebbe
farne una bandiera non vede e dice di se stessa. E cio di essere
una verit e un coraggio sempre e solo nella misura della propria
possibilit di mentire, di non dire tutta la verit riguardo a se stessa?
In una parola: nella misura della propria illuminata falsa coscienza?
13. Cfr. Id., Critica della ragion cinica, cit., p. 27.
14. A. Cechov, Capolavori, Einaudi, Torino 2003, p. XXVIII.
15. questo indubbiamente uno di quei casi che confermerebbe, secondo Harold Bloom,
ci che Lev estov ha scritto riguardo alla meravigliosa arte di Cechov di uccidere con un
semplice tocco, un respiro, unocchiata, tutto ci di cui e in cui gli uomini vivono e si sentono
orgogliosi (H. Bloom, Come leggere un libro e perch, 2000, Rizzoli, Milano 2010, p. 43).
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Lesercizio filosofico che sto cercando di indicare, e in parte praticare, in questo breve scritto ha a che fare con questo movimento
(im)possibile: ritornare dove non siamo mai stati. Un esercizio di
libert e quindi di verit ulteriore, che ampia lo spazio della
nostra identit nello stesso momento in cui lo riduce, o meglio nello
stesso momento in cui riduce le pretese di certa logica identitaria e degli imperativi di verit e morale (due su tutti: coerenza
con se stessi e fedelt alle proprie origini) che tale logica porta con
s. Se ci che contribuisce a determinarmi sta sempre alle mie
spalle, se io sono innanzitutto il frutto di una serie di condizioni
(biologiche, famigliari, storiche, geografiche, sociali) che non sono
frutto di una mia scelta, in un certo senso io sar tanto pi me
stesso quanto pi sapr allontanarmi da me stesso. Parlare, come
fa Sloterdijk sulla scia dellultimo Foucault, di passare dal mero
essere-formato al versante del darsi-forma19 non pu prescindere
da questa presa di distanza, da questa sorta di riappropriazione
di s paradossale, dato che ha nellespropriazione il suo punto di
partenza e di (non) ritorno. E per la quale coincidere con se stessi
pu significare esserlo meno che mai. Ecco perch dopo aver messo
in questione la societ in Critica della ragion cinica, Sloterdijk non
pu che mettere in questione anche la natura, coinvolte entrambe,
in maniera sovrapposta e invertita, sia in quel processo di produzione del soggetto che il soggetto non sceglie ma fondamentalmente
subisce, sia nel processo di presa di distanza da quel processo e
dai vincoli che esso sottende.
In questa luce il valore della testimonianza di Diogene non sta
tanto nella sua capacit di dire il vero: questa una conseguenza
pi che una causa della sua condizione di libert al di sopra della
quale, infatti, Diogene non poneva nulla.20 Per quanto evidentemente implicate, la libert permette di dire la verit molto pi di
quanto la verit permetta di raggiungere la libert. Questo scarto
detto di passaggio insieme al primato del fare sul dire, racchiude il dilemma degli intellettuali di ogni epoca (frazione domi19. Ivi, p. 239.
20. Cfr. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VI, 71.
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nata della classe dominante e frazione dominante della classe dominata, come ha ben mostrato la ricerca di Pierre Bourdieu), e
spiega la distanza che contraddistingue cos spesso il loro dire dal
loro fare (il loro dire la verit dal loro fare la verit). Proprio la
verit che non manca e anzi abbonda nel cinico moderno, come
ha ben mostrato Sloterdijk in Critica della ragion cinica, invece di
renderlo pi libero, lo mantiene in uno stato di incapacit vitale
e di asservimento al potere: di falsa coscienza illuminata, appunto
(falsa perch doppiamente illuminata).
Il valore dellesistenza di Diogene, e lo stesso vale per il torso
di Apollo celebrato nel sonetto di Rilke, sta nella sua capacit di
renderci stranieri a noi stessi (e proprio per questo un po pi noi
stessi), di farci sentire lontani da ci che fino a quel momento, in
buona coscienza (e coerenza), siamo stati e di farci sentire vicini
a ci che fino a quel momento, in altrettanta buona coscienza (e
coerenza), ci apparso lontano e inaccessibile. La vita di Diogene e
il busto di Apollo sono una testimonianza concreta della possibilit
sempre presente (e anche per questo sempre meno visibile) di fare
di noi stessi e della nostra vita qualcosa di diverso e di ulteriore,
di migliore e pi perfetto da ci che siamo continuamente spinti
a fare da noi stessi e dalla nostra vita. questo il senso pi alto,
paradossale e controverso,21 del passare dal versante del mero
essere-formati al versante del darsi-forma (di cui la ripetizione, sia
da un lato che dallaltro, non che il dispositivo pi naturale).
la forza di una differenza che invece di mantenermi saldo
nella mia rassicurante identit, rassicurante nella misura in cui
non fa che confermare le mie condizioni di emergenza, la mette in
questione, mostrandomi, insieme al baratro della mia contingenza,
il baratro della mia libert e il prezzo di entrambe.
21. Perch implica una presa di potere per quanto impotente unilaterale da parte
del soggetto sul soggetto.
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