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n

V.

Propriet Letteraria

781573

FIRDUSI

IL LIBRO DEI

RE

POEMA EPICO
RECATO DAL PERSIANO IN VERSI ITALIANI
DA

ITALO PIZZI
L'epopea persiana, nel suo insieme, prodnce l'impressione dell'incommensurabile,
simile alla vista del cielo stellato, che riunisce nei suoi fulgidi sistemi di stelle
finita pluralit dei mondi.

Schack.

VOLUME PRIMO

TORINO

VINCENZO BONA
Tipografo di S.

1886

M.

l'in-

ALLA MEMORIA

DI

MIO PADRE E

DI

MIA MADRE

PREFAZIONE

paziente...
giorni snoi sen va contando,
Poi che ad opera ingente ei die la mano.

Quei

s clie

Firdusi

Ke

Dire dell'importanza del Libro dei


dusi, di questo insigne

monumento
uno spazio

orientale, che narra, per

VII).

(voi.

di Fir-

della poesia
di

due mila

anni, tutta quanta la storia leggendaria di Persia,

sarebbe qui cosa superflua, dopo quello

hanno detto

in Italia

Gioberti e

il

sciando anche quanto su di esso

il

che

ne

Cant, la-

stato scritto

dai dotti di altre nazioni d'Europa. In questi ul-

timi anni poi, e anche in questi ultimi mesi,


periodici pi importanti d'Italia

della versione dell'intero

a termine

dopo quasi

hanno

fatto

cenno

poema da me condotta
anni

diciotto

onde v'ha luogo a sperare che

il

di

nome

lavoro;
di

Fir-

dusi e del suo poema, ora che questo vien fatto


di pubblica ragione,

non riuscir nome del tutto

ignoto n dester sorpresa. Quanto poi alle

ori-

gini e allo svolgimento dell'Epopea persiana e ai

costumi degli eroi di Firdusi e

ai

diversi

cicli

epici e alle fonti delle leggende eroiche persiane,

argomento che con quell'ampiezza e diffusione


che mi fu possibile, ho trattato in un libro che

presto spero

intorno alV

mente

ebbe

di

pubblicare,

Epopea
l'onore

col

titolo di

Studi

persiana, lavoro che recentedi

ottener

met

il

premio

Vili

K. Accademia
quel
mio lavoro
a
dunque
Lasciando

reale, aggiudicato dalla

dei Lincei.
di

trattar

le questioni storiche e letterarie che risguardano

l'Epopea persiana, alla versione poetica del poema

non ho creduto

di premettere nuli' altro

la vita di Firdusi e

fuorch

sunto di esso.

il

Questa versione mia, come ognuno potr

mente accorgersene,
cio per chi

meno

si

fatta per

dedica agli

il

Libro dei Ke,

facil-

non soltanto

orientali, anzi

studi

assai per gli orientalisti

gere nel testo

tutti,

che possono leg-

ma

ancora, e anzi

pi, per tutti quelli che, non sapendo di lingue


orientali, avranno caro tuttavia di conoscere

cospicui

monumenti

tal fine,

delle

letterature

non ho ingombrato

il

libro

pi

straniere.
di

note,

che, del resto, sarebbero superflue e inutili, poich


la

narrazione procede limpida e chiara ne ha bi-

libro di piacevole lettura

sogno

di

spiegazioni.

e per

si

volle evitare tutto ci che

necessario, avrebbe potuto


sante. L'intento

non essendo

renderlo noioso e pe-

mio adunque

si

quello di por-

tare a conoscenza dei pi questa poesia orientale,

nuova per

noi, maestosa, solenne, dolce e vibrata

nello stesso tempo,

omerico, senza

le

che tanto

si

accosta al fare

stramberie delle liriche arabe

e le esorbitanze dei poemi indiani. Quello che fu


fatto per Ossian, per Goethe, per Schiller e per

Heine, ho tentato di far


sere riuscito a tanto;

io.

Non

oso dire di es-

posso dire tuttavia in co-

scienza di aver fatto ci che ho potuto, e questo

si

vedr della storia della versione stessa che far


pi innanzi. Certamente

ho udite voci discordi,

perch alcuni egregi, anche con vivo desiderio e

intendimento di giovarmi, mi hanno sconsigliato

IX

dalla difficile impresa. Molti altri invece, e sono

lunga

di gran

mi hanno

pi,

fatto coraggio. Io

ho seguito soltanto il forte impulso dell'animo


mio, ho perseverato nell'opera consacrandole i pi

mia

begli anni di
riuscire

vita,

persuaso e convinto

di

sono riuscito nel compierla, spero e credo

che riuscir nel diffonderla.

Del

anche quando uscirono

resto,

le versioni di

Ossian, di Schiller, di Goethe e di Shakespeare, in


Italia, si grid

verse ragioni;

contro da tutte le parti per di-

ma

giovani,

bramosi di novit

sempre nobilmente

inchinevoli

ai

entu-

facili

siasmi, lessero avidamente quelle versioni. Quei

giovani d'allora sono


e

non

vecchi del nostro tempo,

non sappia

v' persona alquanto istruita che

qualche cosa o di Amleto o del Re Lear o di

Faust o della Fanciulla di Orleans. Io non voglio


presumere

di

appellarmi all'avvenire; ho ferma

leggeranno

fede soltanto

che

reso italiano,

come meglio da me

giovani

si

Firdusi

potuto, pi

che non far la gente attempata. Ai giovani


adunque che hanno cuore e sentimento, vada l'opera
mia e a loro pi specialmente si raccomandi.
La versione mia stata condotta sull'edizione
del testo fatta a Calcutta nel 1829 in quattro
volumi da Turner Macan. Quantunque vi siano
altre
di

pregiate

edizioni,

Parigi, quella gi

come quella

intrapresa

dal

Mohl

del

Vullers

Leida, quella di Teheran, l'edizione di Calcutta


stata

sempre considerata dai pi come

brani segnati dagli asterischi,

non genuini, non senza per


volta accettare qualche

la pi
i

pochi

riconosciuti

come

autorevole. Io l'ho resa per intero, eccetto

qualche

rarissima

lezione diversa data dal

Mohl o da un celebre manoscritto del Libro dei


Re che si conserva nella Laurenziana di Firenze

CU,

(Catal. Assem.

grandissimo aiuto

Mi

5).

sono

poi

state

di

le correzioni fatte al testo dal

Riickert che io ho accettate in grandissima parte

Gesellsciaft,
la

Deutschen

der

(Zeitscirift

Morgenlandisclien

Bd. Vili u. X). La versione mia

prima che

tenta in Italia,

si

come ver-

e,

sione poetica, anche Tunica in Europa,

done soltanto una intera francese,

Mohl,

una parziale

esisten-

in prosa, del

in versi tedeschi dello Schack.

primo tentativo da

Il

ma

me

fatto di

una versione

del Libro dei

Re

Rustem

Akvn, episodio del Scimimdmeh

e di

di Firdusi,

ecc.),

tale del Prof.

fu quello del

1868 (Storia di

pubblicato nella Rivista Orien-

De Gubernatis

marzo

(Firenze, 1

1868). Io allora era alunno della R. Scuola Nor-

male Superiore

Pi

di Pisa.

del 1870, presi a tradurre

che

usc

poi

Parma

nell'agosto

tardi,

l'episodio

Sohrb

di

1872, dopo

nel

avere

avuto un premio dalla R. Scuola Normale

Su-

periore di Pisa. Quell'episodio, Storia di Sohriih.

fu tradotto

in

gran parte

Langhirano, ricca

borgata della provincia di Parma, in


signor Antonio Ferrari

uomo

egregio

casa del
,

mancato

pochi anni sono alla famiglia e agli amici.

Parma, mentre

io fui

sore in quel Real Collegio


lavoro,

per otto anni profes-

Maria Luigia,

quantunque con una certa

continuato, e in quel tempo ne

lungo saggio col


dei

Re

titolo di

il

lungo

lentezza,

mandai

fuori

fu

un

Racconti epici del Libro

di Firdusi (Torino, E. Loescher,

Firenze, dal 1879 fino al

1877)~

1885, essendo Vice-

Bibliotecario della Laurenziana, la

mia versione

XI

procedette pi rapida, e nel 1882 io ne diedi fuori

un

altro saggio col titolo di:

Avventure di un Prin-

cipe di Persia, episodio tratto dal Libro dei

Re

di

Firdusi (Firenze, Successori Le Mounier). Intanto,

come gi a Parma da me
canti di Firdusi,
in

man mano

faceva lettura dei

si

che venivano tradotti,

compagnia del Rettore del Collegio

amici e ogni settimana quella lettura

da

me

uomo

di altri

ripeteva

si

in casa del Conte Senatore Filippo Linati,


di lettere e di

molta cultura

a Firenze nel 1879, feci

cuni passi della

mia

cos,

passato

pubblica lettura di

traduzione

quel

al-

Circolo

Filologico nella sera del 26 aprile 1880 e del 2


aprile del 1883. Altre letture furono fatte di tanto

una

diversi ritrovi d'amici,

in tanto in

casa Pozzolini e pi volte ancora in casa


colta e gentile signora,

volta in

una

di

Angelina Puccio, alla pre-

senza della Principessa Elena Koltzoff Massalsky

(Dora

d'Istria),

del Senatore

Andrea Maffei, del

Prof. Giuliani, del Senatore Cipriani, del Prof. Stop-

pani, del Prof. Mantegazza, del Prof. Trezza, del


Prof. Conte

De

dell'illustre

pittore

Altri saggi,

ma

Gubernatis, del Prof. Pelizzari,

Barabino

molti

e di

furono pubblicati ancor qua e l per


di

quando

Ma

altri.

molto brevi, della mia traduzione


i

periodici

in quando.

intanto io era gi venuto alla

met

del

mio

lungo lavoro, quando, coll'andar del tempo

e per

maggior pratica acquistata nel tradurre,

io ve-

la

niva sempre pi cambiando maniera.


la

mia traduzione andava troppo

volta

si

libera e qualche

permetteva di allontanarsi soverchiamente

dal testo
io

Da principio

aveva

ci avveniva per

(e

una idea erronea che

che non era mia soltanto), di doversi


-cio le

XII

cose orientali tradurre con

tutta libert.

Ci forse potr dirsi per alcuni generi

di poesia

come di certe liriche arabe interamente


repugnanti al buon gusto e al buon senso, ma non
flella poesia epica persiana, che ha un fare semplice e naturale, come in generale di tutte le
orientale,

antiche epopee.

saggi pubblicati peccano tutti

di questo errore, e se ci fu da altri riconosciuto,


io

prima

di tutti gli altri lo

riconobbi, quando,

a principio del 1882, facendo forza a

me

stesso,

dopo essere giunto a met del lavoro (a un 00


mila versi circa) distrussi tutto

il

gi fatto e

ri-

momento

di

cominciai da capo. Se quello fu un


dolore, dopo

me

ne trovai contento, e

Maestro Giuseppe Verdi,

1884 raccontai

al

mi

la cosa,

anche disfare

parole

necessario

sapere

Se quello adunque fu un errore,

quale nell'estate del


disse queste

Ella ha fatto benissimo.

io

l'illustre

ne ho fatta di mia elezione la penitenza.

Da

quel momento fu un lavoro continuo, indefesso,


quasi febbrile, mentre

io

contavo

mesi

giorni

per ritornare al punto dal quale m'era voltato indietro, tenendo

sempre

in

mente quello che Fir-

dusi dice di s stesso:

Quei

che

paziente...

giorni suoi sen va contando,

Poi che ad opera ingente

Cos potei

mano.

ci die la

mantenermi pi

fedele al testo, e la

traduzione mia, rifatta alla nuova maniera, spero

che

sia

riuscita

omogenea ed uguale.

ciotto anni di lavoro si

veramente nel modo

pu cambiare

me

In

di-

cambia

di fare e di pensare. Cos av-

venne che alcuni lunghi


furono da

e si

tratti del

tradotti fin tre volte,

Libro dei

come

feci

Re
di


tutto

XIII

regno di Mincihr, che fu tradotto dap-

il

prima nel 1876, poi nel 1882, poi nel gennaio


del 1 886. In prova di che, se ne vegga, come saggio,
il

principio:

1876 (pubblicata nel

Versione del

1877 nei

Racconti Epici):
Poi che di sette giorni ebbe concesso

Lo

spazio al duolo per l'estinto sire

quando pel

L'illustre Minochr,

Al

cielo

d ottavo sala pi bella e chiara

Del sol la lampa,


Del regal serto e

al

capo

ei f'

ornamento

loc sul trono

si

De' padri suoi. Del mal tutte ei precluse

Le vie con arte, e sapienza e amore


Fr la sua guida, s che lieto il lungo
Corso mirar pot di cento e venti

Anni

governando

sereni, tutte

De' mortali le

stirpi.

Gli eroi tutti ed

pie del trono

prenci che le ricche

Citt reggean dell'ampia terra, al suolo

Inchinando

la fronte,

il

regio ostello

Tutto echeggiar facean delle sue laudi,

Ed ei, che cinta la regal corona


Avea in quel giorno, dischiudendo

A
A

un

il

labbra

lieve riso, cos in questi accenti

que' lor voti rispondea cortese.

Versione del 1882


Poi che

Lo

di sette giorni

ebber concesso

spazio al duolo per l'estinto sire

D'Irania

Venne

prenci e

e si cinse

La corona
L'ottavo

dei re,

d.

Con

il

pianser dolorosi,

Minochr sul capo


quando spuntava
possenti scongiuri

L'arti egli vinse di

magia; per cento

Giri di sole e venti ancor

Et per

lui.

Ma

si

volse

de la terra in pria


Tutti gli eroi tutti

XIV
i

possenti a gara

Gli fer laudi sommesse, ed ei che cinta

La corona

si

Di suo valor,

avea, di sua giustizia,


di

sua bont, di sua

Piet, del suo saper volle gioconda

Novella a tutti annunziar. Si volse


Ai prenci che d'et, fra lor, di grado

Eran

diversi nel suo regno, e disse.

Versione del 1886:


Passar que' grandi sette giorni, ed ebbero
Tutti affanno e dolor.

Minocihr venne, e

Ma

al

la regal

giorno ottavo

corona

Si pose in fronte. Co' scongiuri suoi

Le porte ei chiuse di magia; di lui


Due fiate sessanta furon gli anni,
Quando tutti gli eroi dell'ampia terra
D'un moto l'acclamar benedicendo.
Com'ei

si

pose la regal corona

Alta sul capo, a tutto

il

mondo

attorno

Lieta novella ei die di sua giustizia,

Di sua grazia e valor, di sua rettezza,


Di sua bont, di sua scienza, e disse

A
A

tutto

Il lettore

le

tre

il

popol suo, per la sua terra

quanti erano prenci o grandi o servi.

avr visto la differenza che corre fra

maniere di tradurre.

inutile

il

l'ultima, oltre all'essere la pi breve,

pi fedele

me

la

al testo.

Quest'ultima versione del regno

da

dire che

anche

di

Minocihr fu

fatta nel gennaio del 1880, perch

riserbato di tornarvi sopra, appena

mi era

finita la ver-

sione dell'intero poema. Questa, invece, fu termi-

nata precisamente nel giorno 31 dicembre 1885,

dopo due mesi che dalla Laurenziana


io era passato alla

di Firenze

R. Universit di Torino.


Terminata

la

XV

lunga versione,

principali gior-

nali e periodici d'Italia ne diedero la notizia, e


io ringrazio ben di cuore il Prof. G. Barzellotti

Roma

della R. Universit di

di ci che egli

ha

scritto sulla versione mia, con tanta indulgenza,

Cronaca Bizantina. Mi

nella

principali Editori, e persone

allora

rivolsi

ai

rispettabilissime in-

raccomandando perch
qualcuno di loro pigliasse a cuore questa lunga
pubblicazione dell'intero Libro dei Re, notando
di

presso

sistettero

essi,

che sarebbe stata impresa di non piccolo onore per


l'Editore stesso. Ebbi da tutti encomii e lodi e parole di

me

tutti

nulla di pi, onde ac-

che

accadde a Firdusi,

che

quello

da

ebbe lodi
infatti

ma

ammirazione,

cadde a

nessun

aiuto.

Egli

dice

Altro che un Bene hai fatto! era la mia


Parte assegnata, e il vigor mio, per quello

Bene

si

hai fatto! , scemavasi frattanto

perdea.

Cos passarono pi di tre mesi, perduti in vani


e inutili tentativi. Io voleva preferibilmente
blicare qui a Torino

il

mio

lavoro,

pub-

anche per
essendo

poter meglio sorvegliare la stampa,

sul

luogo; tuttavia io gi stava per rivolgermi alla

Casa dei Successori Le Monnier


quale ebbi agevolezze

rarmi dalle incertezze

favori,

di Firenze, dalla

quando a

e dall'angoscia

generoso di una

venne inatteso l'aiuto efficace

persona amica.

Sac.

Il

Cav. Prof.

Direttore-proprietario
Istituto di
si offerse

di

un

libe-

dell'animo

Luigi Grillo,

fiorente

reputato

Scuole secondarie qui in Torino,

mi

spontaneamente di aiutarmi nella stampa

XVI

del Libro dei Re; per lui soltanto

il

mio lungo

lavoro pu ora uscire alla luce, e io qui

rendo pubblicamente dovute

tammo

Ten-

mandammo

fuori

insieme un'associazione

fu tale in breve da po-

le schede, e il risultato
tersi

gliene

e sentite grazie.

pubblicare la prima dispensa non gi in

tobre di quest'anno,

gramma

come

di associazione,

si

ma

era

detto

ot-

nel pro-

bens in giugno.

Se ora dovessi esprimere ci che sento nell'animo


mio in questo momento di prova, direi che sento

non poca trepidazione;

ma

a questa trepidazione

una fiducia grande, che

sta accanto

fiducia rafforzata in

me

data

dall'approvazione di per-

sone illustri (e voglio qui

drea Maffei,

quella

aver fatto ci che io poteva,

dalla coscienza di

ricordar soltanto

An-

che giudic, per sua bont, molto

favorevolmente

il

mio lavoro) e dalla festosa achanno fatto all'annunzio della

coglienza che tanti

mia pubblicazione.

queste persone amiche io la raccomando, e

pi ancora la raccomando alla giovent, che nel


canto di Firdusi trover una nobile poesia che
le parler

potentemente alla fantasia e

I.

Torino, 1 giugno 1886.

al cuore.

Pizzi.

Vita di Firdusi.

Non

vi

ha

mondo paese pi
La Persia,
nome si designa quel

forse in tutto

il

ricco della Persia in leggende eroiche.


o meglio l'Iran, col cpual

vasto paese che dall'alto Indo

distende fino

si

quasi al Tigri e dall'Osso va fino al Belucistn, ci


ha tramandato fino dagli antichissimi tempi un
tesoro inesauribile di racconti eroici, raccolti tutti
in un gran poema, detto il Libro dei Re, vestiti
di

una splendida forma poetica da


Lasciando

Firdusi.

di trattare in altro lavoro, pi

e speciale, delle origini

di

ampio

queste antiche leg-

gende, diremo qui soltanto che, sebbene la forma


in cui le abbiamo, sia alquanto recente, essendo

Firdusi del 1000 dell'Era volgare, esse per

ri-

montano, se non tutte, ad una grande antichit,


trovandosene un chiaro e pieno ricordo non solo
nei libri religiosi del Medio Evo iranico, ma ancora nell'Avesta o Zendavesta,

che

la

tradizione

attribuisce

il

sacro codice
Zoroastro. In

questo libro che contiene antichissime tradizioni,


abbiamo non solo accennati moltissimi punti
principali della leggenda eroica dell'Iran, quale

troviamo poi in Firdusi, ma ancora alcune leggende integralmente riferite e con gli stessi particolari. Ci che dimostra che questa leggenda
epica risale a remotissime et. Nei Vedi stessi
dell'India, e
Firdusi,

I.

specialmente nel Rigveda, trovansi

ancora alcune figure mitiche che, per essere


una stessa cosa con le iraniche, fanno intendere che esse appartengono ad un tempo anche
pi antico, in cui, secondo le congetture dei dotti,
Irani e Indiani dovevano abitare uno stesso paese,
formando un popolo solo, quando nomi di Irani
i

e d'Indiani erano ancora ignoti.

Con tanta antichit che la leggenda epica pu


vantare, cosa strana forse che essa abbia tardato tanto ad essere raccolta con cura e vestita
di una forma poetica, degna di essere tramandata
ai posteri.

Certamente, anche

remotissime

in

ci

si

et,

un esempio

di

potrebbe anche trovare nella leggenda

di

vi furono canti epici popolari, e

Vendidd nelper
il
primo ravL'Avesta, in cui il Westphal
delle
racconto
epopea.
Quel
di
racconto
vis un
elio
inizi
L'agricoltura,
Yima
imprese
di
prime

Yima,

ampli

al

la

secondo

terra

in cui salv gli

capitolo

del

abitabile e fabbric

uomini

recinto

il

animali e

e gli

semi

una specie
Mazdo gli aveva predi diluvio, ebe Altura
dotto, assolutamente di natura epica e pu
riguardarsi come un primo tentativo di canto
epico; esso, bench apparentemente in prosa, fu
anche ridotto agevolmente alla sua forma medelle piante da quella

intemperie,

tentativi
primitiva. Forse furono molti
per dar bella forma poetica a queste antiche leggende; e certamente, prima che la
trica

fatti

di Firdusi potesse essere


raggiunta, gl'ingegni poetici dell'Iran, se ve ne
fu qualcuno, dovettero fai- lunghe e ripetute

perfezione della poesia

prove; cosi

la

darsi, sotto

un

perfezione di

Omero pu

certo rispetto,

come

il

riguar-

frutto

,i

molti e molti tentativi antecedenti.

Ma

noi

nulla sappiamo di tutto ci. Lasciando

adunque

tutta

congetturale per

parte

questa

sappiamo per
vera testimonianza storica, trovasi che nell'Iran,
quantunque tardi, fu dato tuttavia un pensiero
tener conto soltanto

alle belle

ci

che

eroiche del paese per rac-

leggende

coglierle tutte in

di

un

libro

che

fin

da principio

Libro dei Re. Pare che primo


di tutti il re Chosroe Anshrvn (531-579 d. C.)
facesse raccogliere queste leggende epiche e formarne un libro. Yezdeghird terzo, ultimo dei

ebbe

il

nome

di

Sassanidi, ritorn

alla

dotto del suo tempo, di

prova, e dicesi

che un

nome Dnishver,

facesse

un'ampia raccolta di leggende epiche e ne formasse pure un libro che poi and perduto. Queste
raccolte erano tutte scritte in lingua pehlevica,
che era la lingua di Persia di quel tempo.

Ma, mentre per una ragione o per un'altra,


tali tentativi riuscirono infruttuosi, un grande
avvenimento sopravvenne poi a mutare ogni cosa
nell'Iran. Nel 651 dell'Era volgare, dopo la morte
di Yezdeghird ultimo dei Sassanidi, l'Iran cadde
in potere degli Arabi conquistatori che insediarono a Bagdad il loro capo spirituale e temporale, il Califfo cio o successore di Maometto. Con
Arabi entrarono nell'Iran la loro lingua e la
in breve ora si convertiva all'Islamismo, e intanto, dopo un tempo di

gli

loro religione; l'Iran

scompigli e di torbidi, giugnevasi all'ottavo e al

nono secolo, al tempo cio, in cui cominciava a


perder vigore la potest del Califfo di Bagdad,
e nella parte orientale dell'Iran cominciavano a
sorgere principati dipendenti
vranit di

lui,

ma

di

nome

dalla so-

liberi di fatto e sciolti inte-

ramente. Un poco pi tardi i nuovi principi, animosi e avidi di potere, tosto che si accorsero della
debolezza del loro sovrano di Bagdad, ne scos-

giogo e proclamarono indipendenti. Questo


per aveva origini pi profonde e pi intime di quello che potrebbe sembrare, ne esso
sero

il

fatto

dovuto soltanto all'ambizione dei principi novelli,

ma

bens anche ad un

risveglio

potente

del sentimento nazionale nell'Iran, specialmente


nell'Iran

orientale.

principi

cominciarono a

bandire dalle loro corti la lingua araba che era


come il linguaggio ufficiale, per introdurvi la
bella e

armoniosa lingua persiana, e

tosto,

vo-

lendo ripristinare la gloria degli antichi sovrani


del paese, risuscitarono tutte quante le

e storiche e leggendarie

queste

memorie

la

e splendido,

tempo

gente dell'Iran

propria gloria, o meglio

grande

del

che,

la gloria di

se

non

si

memorie

antico.

In

trovava

la

un passato
poteva rin-

doveva almeno ricordare, per contrapporlo a tutto ci che di straniero era vernilo dall'Occidente con la conquista degli Arabi. Granile
principi del
pertanto fu l'ardore con cui
nono e del decimo secolo si diedero attorno per
cercar le sparse leggende epiche e raccoglierle
e comporne libri, aiutati specialmente da una
classe di persone, di cui ora d'uopo di parlale.
Secondo l'antica costituzione iranica, ogni bi >rgi
o villaggio (in persiano diti) era governalo da
un capo, da un borgomastro, che dicesi dihgn
in lingua persiana. Questi borgomastri erano
legittimi capi del popolo, appartenevano alle pi
anticheepi nobili famiglie dell'Iran, e molti anche
novare,

si

pretendevano di discendere dagli antichi re. Ma.


avvenuta nel 651 la conquista, quando furono
mandati da Bagdad governatori arabi per le
per i villaggi, questi borgomastri si trovarono immediatamente in conflitto coi nuovi
venuti; conservarono tuttavia il possesso delle
citt e

loro terre e alcune franchigie inerenti al

grado,

come avvenne appunto

tiche famiglie

Sassoni

conquista normanna.

in

Inghilterra dopo

Ora,

questi

tra per la dignit offesa, tra

paese e
principi,

di

famiglia,

appena che

per

aiutarono
si

loro

dei capi delle anla

borgomastri,
l'orgoglio di

potentemente

furono resi indipendenti

da Bagdad, nel loro intento di raccogliere


leggende eroiche. Sognarono forse

antiche

le

di

risuscitare con quei principi la gloria antica dell'Iran, e


si

perch appunto presso

le

loro famiglie

era conservata pi tenacemente la memoria

dlie leggende, cos essi, ai principi

averle, ne somministrarono

buona

bramosi di
sempre

parte,

nell'intento di contrapporsi con essi alla coltura

straniera. Cos, ad esempio, Firdusi stesso ci af-

ferma di raccontar la morte di Rustem, del pi


grande eroe dell'epopea, soltanto dopo averne
avuta conoscenza secondo quella tradizione che
si era conservata nella famiglia di uno di questi
borgomastri, di un Azd-serv, quale pretendeva
discendere niente meno. che da Sm, avo dello
stesso Rustem. Ecco le parole di Firdusi
:

Intanto, recher da libri antichi


Nel verso mio la dolorosa istoria

Come Rustem
(Azad-srv

il

per.

Stavasi

suo nome) e

si

un vecchio
vivea

Merv lontana con Ahmd, che figlio


Era di Sahl, dov'ei tenessi intatto
Il gran Libro dei Re, membra vantava
Ed aspetto d'eroe. Quel suo gran core
In

Di saggezza era pieno e la

memoria

Di racconti d'eroi, piena la lingua


Di passate leggende. Anche traea
Fino a Sani, di Nirm nobile figlio,

nascimento suo, molte battaglie


A mente avea di Rstem cavaliere,
Ed io tutte dir quante da lui
Il

Leggende udii, mettendo


L'ima con l'altra.

le

parole

Avvenne quindi che questo nome di clihgdn


che propriamente significa borgomastro, venisse
poi a significare un narratore o un raccoglitore
di storie, tantoch trovasi in un autorevole vocabolario persiano, il Behr-i-agem, l'asserzine
non certo lontana dal vero che, mentre i dotti
ignoravano le antiche leggende eroiche,
borgomastri le sapevano e gelosamente

di Pernia
soli

le

conservavano.

Comunque

cosa certa che questi borgo-

sia,

mastri furono di valido aiuto ai principi dell'oriente


dell'Iran; e sappiamo che Yakb Ibn Lays (morto
nell'879 d. C.) che fu prima calderaio conio il
padre suo. poi ladro, poi soldato, poi principe
di quasi tutta la Persia e capo della dinastia dei
Saffridi, come fu uno dei primi che si rendesse

indipendente dai
il

Califfi di

Bagdad,

primo che facesse ricerca

gende, continuando l'opera

mente

dai re Sassanidi.

cosi

delle
iniziala

La sua

fu

anche

antiche

leg-

pi antica-

raccolta,

l'atta

su

quella di Dnishver, pi sopra ricordata, ordinata dal re Yezdeghird, si sparse ben presto pel

avidamente. Firdusi, nella


suo poema, ne parla con gran-

Khorassan e

fu letta

introduzione

al

dissimo

Yakb

favore,

rende

conto

del

modo che

Ibn Lays tenne nel formarla, radunando

da tutte le parli sacerdoti e sapienti che possedevano frammenti antichi del libro di Dniprincipi Smnidi che sucshver. Pi tardi,
cessero ai Saffridi el nono e nel decimo secolo,
i

tentarono

versificare dal poeta Dekki


leggende epiche raccolte; e De-

far

di

quante
era messo volenteroso all'opera, ma fu
improvvisamente ucciso da uno schiavo, quando
non aveva composto pi di mille distici, raccontando le imprese del re Gushtsp.
Ma poich anche questo tentativo era riuscito
infruttuoso, un altro ne fece Mahmd di Ghasna,
tutte

kki

le

si

figlio di

che nel decimo

Sabuk-teghn,

secolo,

dopo aver conquistato grandissima parte dell'Oriente, dal Gange all'Eufrate, dopo la gloria
delle

armi cercava quella delle lettere e delle

arti.

Pi che ogni altro dei principi suoi antecessori,


egli pot avere ampie raccolte di leggende; avutole quali, egli band un concorso ai poeti raccolti
nella sua splendida corte, per cercarvi chi ve-

ramente

fosse

degno

di

versificare tutta quanta

l'infinita raccolta; e dicesi

che l'altissimo onore

fosse aggiudicato ad.Ansari, uscito vittorioso dal

concorso.

Eppure,

nemmeno ad Ansari doveva

gloria di compiere la

toccar la

grande impresa.

Nel 940 dell'Era volgare, in un piccolo vilTs nel Khorassan, era nato Ab-'l-

laggio presso

Ksim Mansr,pi conosciuto sotto


che

dusi. Dicesi

egli fosse figlio di

il nome di Firun giardiniere

e che da ci gli venisse il nome di Firdusi che


appunto alluderebbe a quella sua condizione;

secondo

il nome di Firdusi gli fu imposto


Mahmd, come vedremo pi innanzi.

altri,

dallo stesso

Comunque

sia,

egli

ebbe

per dal

padre

suo,

Fakhr-ed-dn Ahmed, una perfetta educazione. Fu


istruito nella lingua araba e, come sembra, anche
nella lingua pehlevica, lingua del
siano, in cui

erano scritte

le

leggende epiche. Avvenne

Medio Evo per-

raccolte delle antiche


intanto

la

morto

di

Dekiki nel 960 dell'Era volgare, e Firdusi concep allora il disegno di compiere l'opera alla
Dekiki

quale

era

destinato. Egli stesso,

stato

ci
dice che con
grande difficolt, e soltanto per generoso animo
di un giovane suo amico, pot avere una copia
del libro gi composto da Dnishver, e parla dei
tumulti e degli scompigli del suo tempo e della

nella introduzione

poema,

al

nessuna generosit dei principi verso

eletti

gli

ingegni.

Pur

tuttavia, incoraggiato

ila

quel suo amico,

Firdusi incominci a verseggiare

le

antiche

gende e l'entusiasmo che desto quella


e di Frdn da lui composta, gli diede

di

leg-

Dahk

L'accesso

Mansr, prefetto del Khorassan, che


con ardore grandissimo a continuare

fino ad Abii
l'esort

l'opera incominciata. Nell'introduzione del


si

trovano pure

le

lodi

li

questo

poema

personaggio

primo indovin l'ingegno del poeta.


la fama che .Mahmd certutti quelli che conoallora
poeta;
e
cava un
scevano il merito di Firdusi, lo sollecitarono a
che per

il

Spargevasi intanto

recarsi a (rhasna e a presentarsi alla corte. Firdusi parti da Ts, e

si

dice che nel suo entrare

dalle dodicimila moun albergo dov'egli si


era recato per alloggiare, in un giardino, s'imbattessi' in Ire poeti della corte. I quali, vedendo

gran

nella

citt,

la citt

schee, nelle vicinanze

che Firdusi loro

si

di

deliberarono di

accostava,

allontanarlo dicendogli che nella loro compagnia

non

dusi.

Anche

accoglievano che poeti.

si

servitore un poeta,

disse

il

vostro

ingenuamente

quelli, nell'intento

di

Fir-

confonderlo e

di pigliarsi giuoco di lui, gli proposero di improvvisare un verso dopo che ciascuno di oi
ne avrebbe improvvisato uno. Firdusi accett la

sfida,

tre

poeti,

cui

nomi erano Ansari,

Farrukhi, Usgiudi, improvvisarono tre versi, uno


per ciascuno, con una rima (che era in shen)
difficilissima da ritrovare. Pensarono essi che dopo

shen

tre rime in

non ne avrebbe

l'incognito poeta

trovata un'altra, e avrebbero perci goduto della


sua confusione. Ma Firdusi, senza esitare, im-

provvis un verso che nel senso


tre antecedenti,

e,

si

ricordando

accordava con
la battaglia di

Ghv, eroe persiano, nei campi di Peshen, pot


con questo nome compiere la rima. I versi furono
i

seguenti nel seguente ordine:

Ansari: Come la guancia tua luna non splende;


Farrukhi: Rosa non in giardin pari a tua guancia;
Usgiudi: Passa gli usberghi ogni tuo sguardo e fende.
Firdusi:

Non

Come
a

in giostra a

come

dire

Peshn

di

restassero

Ghev

la lancia.

meravigliati

per colmo di lor confusione, essi


dovettero dimandare a Firdusi quale fosse mai
la battaglia di Peshen, e Firdusi loro la narr,
poeti

che

anzi,

lasciandoli poi scornati e dolenti della loro pre-

sunzione.

Ma
alla

Firdusi,

prima

molti ostacoli, perch


tisi

di

poter

presenza del principe,


i

essere

ammesso

dovette

superare

poeti della corte, accor-

ornai del suo valore, volevano ad ogni costo

impedire che il principe ne avesse conoscenza.


poi, secondo alcuni, un amico di Firdusi, di
nome Mhek, present al Sultano la leggenda

Ma
di

Rustem

e d'Isfendyr che Firdusi gi aveva

che fu lo stesso Ansari


che introdusse Firdusi da Mahmd e volle far
giustizia al merito di lui, declinando anche l'in-

composta. Altri dicono

carico gi avuto dal principe,

come

vincitore del

10

concorso. In ogni modo,

Mahmd

poeti di corte. Dicesi

che Firdusi

letture

gli

ludendo
il

esclamasse un
Firdusi!,

cos al significato di questo

in persiano significa

nome

il

al-

nome che

paradisiaco. Altri dicono


dal Sultano

trovato

Firdusi fu

di

versi,

faceva de' suoi

Mahmd preso da entusiasmo


giorno: Ma tu sei veramente un

che

stupito

persona e ascriverlo anclie


che al continuar delle

tosto conoscerlo di

fra

rest

nuovo poeta, e volle

alla lettura dei versi del

stesso e imposto al poeta per designare l'eccel-

Avvenne poi che il principi'.


sempre pi vinto da meraviglia, fece consegnare

lenza dell'art* 1 sua.

a Firdusi tutti quanti i libri dov'erano raccolte


le antiche lggendo, con l'ordine di porle tutte

convenuto che Firdusi avrebbe


d'oro per ogni distico che
moneta
ricevuta una
poeta fu assegnata una
Al
avrebbe composto.
casetta in un giardino adorno di figure di eroi,
in versi; e fu

perch ne eccitas-

e d'elefanti,

tigri

di leoni, di

sero la fantasia;

ed

egli

raccolse in quella

si

solitudine ad attendere al gran lavoro,

mentre

giovinetto stava sempre in sua compagnia e

un

quando toccava con mano maestra

di

quando

le

corde d'un

leggeva
del

in

liuto.

Di tratto in tratto Firdusi


Mahmd, e manoscritti

suoi canti a

suo poema

presentano

ci

recano

Mahmd

le

seduto

miniai tire che rap-

in

trono ad ascoltare:

stanno attorno i cortigiani, e Firdusi siede in


basso con le sue carte sopra un leggio, mentre
di rincontro si vedono i suonatori di liuto e un

gruppo di danzatrici che accompagnano con gesti


in cadenza la lettura del poeta. Nel ioli dell'Era volgare Firdusi compiva appunto il suo

Shh-nmeh
stici,

con

le

o Libro dei

Re

seguenti parole:

in sessantamila di-

li

Poi che
Cos

venne

al

Tutta piena

suo

l'inclito libro

fin,

la terra.

del verso

mio

Ognun che alberga

Senno e fede e saggezza entro al suo core,


Mi loder dopo la morte mia,
Ned io morr pi mai, ch'io son pur vivo,
Da che il seme gittai di mia parola.

E prima ancora, a met del suo poema, aveva


anche potuto dire:
Sire, un'opra fec'io che monumento
Sar di me nel mondo. Ogni superba
Mole cadendo va del sol pel raggio
per la piova; ma col verso mio
Tal monumento io s levai, che danno
Da pioggie non avr, non da procelle.
le et su questo libro,
legger chiunque abbia nel core

Passeranno

il

Di senno un germe.

Ci che

ci

Orazio {od.

richiama
Ili,

alla

memoria quei

versi di

30);

Exegi monumentum aere perennius,


Regaiique situ Pyramdum altius,
Quod nec imber edax aut Aquilo impotens
Possit diruere.

Maintanto che Firdusi componeva il suopoema,


l'animo dei cortigiani diversamente si atteggiava al suo riguardo. Lo stesso Mahmd che
prima era stato preso da cos grande entusiasmo
per Firdusi, ora mostravasi alquanto indifferente
e poco se ne curava, quantunque ascoltasse
sempre con piacere le sue letture. Dei cortigiani,

alcuni gli erano avversi, altri ne erano

ammi-

soccorrevano di deerano
specialmente gli
ed
quelli
invece,
naro;
altri poeti di corte, spargevano sul suo conto velenose calunnie, dicendo ch'egli era settario per
ratori; di questi, alcuni lo

aver celebrato con soverchio entusiasmo


dell'antica religione,

gli

istigavano

gli eroi

contri

il

primo ministro del Sultano, Hassan Maymendi


cio, che gi nutriva mal celato rancore contro
di lui, perch Firdusi non l'aveva punto lodato,
come altri, nel suo poema. Il ministro, che pure
aveva avuto l'ordine di provveder di tutto il
poeta, lo lasciava bene spesso mancar di ogni
cosa necessaria. A. queste cose accenna lo stesso
Firdusi qua e l nel suo poema, ma non tanto
quanto in questi versi in sulla lino di esso:

Ben
Grandi

1 i

Persia e

lotti

molti
e

li

gran sangue,

Senza premio donar, li versi miei


Trascrivendo veniali. Da lungi in slava

riguardarli assiso, e detto avresti

Ch'uom per merc condotto

er'io

Altro che un Bene hai fatto!

Parte assegnata,
Bone hai fatto!

si

perdea.

Ma

il

>

per
ra

quelli.
la

mia

vigor mio, per lineilo

scemavasi frattanto

chiusi erano

cofani

Degli antichi tesori, e quel serrarne


Alto

il

cor mi

feria.

Pur, fra que' prenci

Di quest'alma citt grandi o famosi,

Era Ali Dilemita, ei che ben giusta


Sua parte or tocca, ch'egli ognor, sereno
Dell'alma e liberal, l'opera mia
che bella procedeva, ebbesi cara.
Hussyn Kotyb pur di'' generosi,
Qual non si tolsi' mai di me un sol dello

13

Senza premio clonar. Vesti da lui


Ebbimi e cibo ed oro e argento, e moto
Ebbi alle mani e a' pie. Per lui non ebbi
Di catasti o d'imposte o

di tributi

Alcun gravame, e qual dentro a una coltrice


Ravvolgermi io potei con cor tranquillo.
Eppure, quando Firdusi gli present l'intero
del Libro dei Re, il sultano Mahmd,
nell'entusiasmo suo, ordin che al poeta fosse
donato un elefante carico d'oro. Ma il ministro

volume

Hassan Maymendi,

mand

a Firdusi che

distici del

trovavasi

allura

un

al

pub-

che egli non.


grande fatica per essere

aveva sopportato cos


ricompensato con argento, spart
principe, dandone un terzo a chi
recati,

monete
poema, le

sessantamila
i

Firdusi, sclamando

bagno.

blico

prese

quanti erano

d'argento,

un terzo

denari del

glieli

aveva
ad

al bagniamolo, e l'altro terzo

giovinetto, venditor di birra,

che allora pas-

savagli accanto per caso. Preso

un bicchiere e

vuotatolo rapidamente, gridando che tutto


del suo lavoro gli era valso quanto

grembo

di birra, gett nel

guardava
Si

stupito,

ma

calunnie di

lui,

fittiziamente
religione,
sotto

poi

fu

si

garzone che la

seppe l'opera del

lasci vincere dalle insidiose

il

come

frutto

denari.

Mahmd quando

sdegn

ministro,

del

il

un bicchier

misero poeta, rappresentato


settario e seguace dell'antica

condannato ad essere calpestato

piedi di

un

elefante. Firdusi, udita la ter-

ribile sentenza, ritorn alla

corte, e l,

atten-

dendo in un giardino il Sultano che di l appunto doveva passare, improvvis alcuni versi
in sua lode, al suo passaggio.

cuore,

gli

perdon;

ma

Mahmd,

Firdusi,

tocco nel

ben compren-


dendo che

non poteva pi restare in

egli ornai

notte

corte, in quella

14

stessa,

dopo aver conse-

gnata ad Ayz, favorito del principe, una lettera


suggellata con l'incarico di consegnarla a Mahrad
passati venti giorni, parti da Grhasna solo solo,
senza recar nulla con

Lungo la via per lo


mandato da Ayz, che

s.

raggiunse un corriere,
gli

recava alcuni soccorsi

prosegu

il

di denari. Cosi

il

poeta

suo viaggio tinche giunse a Bagdad,

alla corte del

Califfo

allora regnante.

Il

Al-Kdir

Califfo

Billahi

Abassi,

ricevette con gran-

anche
il profugo poeta, il quale,
per assicurare il suo nuovo proiettore della sua
fede di maomettano, compose per lui un poemetto
intorno alla storia di Ysuf e di Zuleykh, inspirandosi al racconto del Corano. Il poemetto
dissimo onore

.'

giunto linoa

Ree

noi.

ma

rivela l'et grave e

inferiore al Libro dei


la

stanchzza del genio

di Firdusi.

Ma la lettera suggellata che Firdusi aveva


consegnata ad Ayz, conteneva una terribile e
violenta invettiva contro di

Mahmd. Questa

tira o invettiva chi.' giunsi'

lino a noi.

per intero, da
scritto.

me

Malmid.

citati, fu

sa-

riferita

tradotta, alla line del presente


alla lettura di quei

versi con-

preso da subito furore e scrisse

al

Ca-

rimandargli in qualunque modo il poeta


fuggitivo. Ma il Califfo, dopo aver disarmata con
liffo

di

unargula

risposta

l'ira

del

Sultano, s'accorse

che era pericoloso il ritener Firdusi,


come era non generoso l'abbandonarlo nelle mani
tuttavia

del suo adiralo signore;

e perci

gli

la fuga. Firdusi allora, partitosi da

consigli

Bagdad, sog-

giorn qualche tempo ad Ahvz nell'Irk-agemi,


indi pass nel Kohistn presso Nsir Lak, go-

vernatore

di ([nella

provincia. Nsir

Lak era un

15

antico amico del poeta e caldo ammiratore del

suo ingegno onde, appena egli seppe della sua ve;

nuta, gii

mand incontro

alcuni suoi famigliari per

riceverlo. Firdusi, ospitato con grandissimo onore

concepiva il disegno, e gi lo
traduceva in atto, di comporre un altro lavoro
per eternar la memoria del suo nuovo protettore e condannare all'infamia quella di Mahmd.
Ma Nsir Lak ne lo dissuase, e, avuti nelle mani
Firdusi gi aveva composti, li dii versi che
strusse, promettendo al poeta di scrivere una
lettera al Sultano per rimproverargli la sua inin casa di lui, gi

giustizia. Firdusi

intanto,

animato forse

speranza di un mutamento nell'animo

di

dalla

Mahmd,

alla sua citt natia, e l visse


qualche tempo ancora con una sua figlia, finch

ritorn a Ts,

un

giorno, per la piazza

un

fanciullo

di Ts, avendo udito


che per caso cantava questi versi

della invettiva di lui contro

il

Sultano:

Se il padre suo
Regnato avesse, una corona d'oro
Il figlio suo posta mi avrebbe in fronte,

preso da improvviso dolore nel ricondursi

mente

le

Di

trasportato

alla

sue sventure, cadde svenuto al suolo.


alla

sua casa, vi mor poco

dopo, mentre gi toccava l'ottantesimo anno di

sua

et, nel

sua morte,

1020 dell'Era volgare.


Sceicco

il

rifiut di recitar sulla

morti, perch Firdusi,

aveva cantati

Saputasi la

Ab-i-Ksim Gurgni
sua bara

le

si

preghiere dei

bench saggio

e sapiente,

gli eroi dell'antica religione.

Ma

poi,

come

una

visione, nella quale Firdusi gli era apparso

si

racconta, avvertito nella notte da

10

in tutta la sua gloria, si determin ad accompagnarne il cadavere alla sepoltura e a recitar


sulla bara le preci dei defunti.
Ma, intanto, nell'animo di Mahmd era entrato

pentimento, e gi le lettere del Califfo di


e quelle di Nsir Lak lo avevano profondamente colpito. Un giorno, anche, al luogo

il

Bagdad

nella moschea, laddove egli era solito pregare,

aveva trovati due distici scritti da Firdusi


propria mano prima di partire, cio:

L'inclita reggia di

Qual mar!
S*io

mi

tuffai,

Mahmd

non vedesi

di cui

la

di

un mare.
sponda.

n perle ebbi a trovare,

Colpa fu del mio fato e non dell'onda.

a poco entrava nell'animo del


sentimento della propria ingiustizia,
finch poi un giorno, punito il perfido ministro,
Cos a poco

principe

il

autore della disgrazia di Firdusi. mand a Ts


messaggieri suoi riccamente vestiti e con magnipresenti, per invitare nuovamente alla corte
sventurato poeta. Dicesi che la sua bara usciva

fici

lo

appunto dalle porte della


nei pomposi messaggieri
quale furono

offerti

citt
di

quando s'incontr

Mahmd.

alla figlia

di

doni del

Firdusi;

ma

essa rispose di non potere accettare ci che era


stato negato a suo padre. Allora, fattane la pro-

posta da

una

sorella del poeta, furono costruiti

pubblici edifzi in Ts, che

un suo

fatto nel 1045.

desta

Nsir Khusrev, in

libro di viaggi, dice di avervi

assai,

si

La

veduto

di

tomba di Firdusi che fu mo-

vedeva ancora

al

principio di

questo secolo, non lungi da Ts, secondo il Ritter,


e la piccola cappella che fu innalzata alla sua

17

memoria, fu vista dal Fraser;

ma

il

Khanikoff

pi tardi non trov in quel luogo che una cam-

pagna seminata di frumento, e ora al forestiere


che visita il paese, soltanto per tradizione si
addita il luogo in cui fu sepolto il pi grande
poeta della Persia.

FlBDUSI,

I.

18

IL

Sunto del Libro dei Re.

Il

Re si pu dividere come in due


una delle quali tutta eroica e leggenmentre l'altra storica, aggirandosi in-

Libro dei

parti,

daria,

torno alle imprese d'Iskendero Alessandro Magno


Oriente e raccontando con molte favole la

in

storia dei Sassanidi fino al 651 dell'Era volgare,

nel qual anno

la

Persia fu conquistata dagli

La prima parie incomincia col primo


uomo e primo re, Gaymers, e ha per suo principale soggetto una guerra secolare degli Irani
Arabi.

coi Turani, popoli dell'Asia settentrionale, e coi

Devi o demoni, creai un di Ahrimane, cio del


genio del male. Non v'ha alcun dubbio che sotto
questo nome di Devi non si celi una popolazione
antichissima che gl'Irani Irovarono sul luogo
quando discesero nell'Iran, e che essi dovettero
sottomettere e sterminare in parte.

Ma

questa

Turani agli
occhi degl'Irani aveva un significato veramente
grande. Essa rappresentava in terra visibilmente
la gran lotta tra il male e il bene, fra il creatore,
Ormuzd, e il nemico d'ogni bene, Ahrimane,
alla quale tutti gli uomini, per un dovere moguerra contro

rale,

male

Devi e contro

sono obbligati a prender parte.


si pu e si deve combattere con

pie e buone, cos esso

con

le

armi, e

si

gli eroi

Come
le

il

opere

pu anche combattere
quando scen-

dell'Iran,


dono

in

19

campo contro Devi

e Turani, altro

non

che soddisfare a quest'obbligo morale.


Sotto tale aspetto, adunque, cotesta guerra ha
una importanza grande agli occhi del credente,
essa come una guerra religiosa, alla quale
prendono parte tutti quanti re, dal primo fino
all'ultimo, tutti quanti gli eroi di quel gran
fanno

popolo guerriero. Vediamo pertanto quali siano


i fatti principali che di essi ci racconta l'epopea.
Firdusi incomincia

suo gran poema con

il

lodi di Dio e dell'Intelligenza, col

creazione del mondo,

con

le

le

racconto della
del

lodi

profeta

Maometto e de' suoi primi seguaci. Narra in


qual maniera un giorno si tent di comporre i
primi Libri dei Re, parla di Dekki, e del come
egli si determinasse, morto Dekki, a ripigliarne
l'opera interrotta. Termina poi questa sua introduzione con le lodi di Ab Mansr suo antico
protettore,

del

Sultano

Mahmd

dell'emiro

Nasr, fratello del Sultano.

Incomincia ora

la serie dei re.

Gaymers fu il primo
primo re; abitava sopra un monte,
laddove egli aveva raccolta tutta la piccola famiglia umana. Il suo regno incominci in un
giorno in cui il sole entrava nell'Ariete, e dur
trentanni. A lui erano sottomessi non solo tutti
gli uomini, ma anche tutte le bestie della campagna che gli rendevano omaggio. Egli aveva
un sol figlio, Siymek, e nel mondo non aveva
Il

uomo

re
e

Gaymers.

il

alcun nemico, eccetto Ahrimane e

suoi Devi.

GayDevo Nero, radun una


schiera per far guerra agli uomini, onde nella
battaglia che ne segu, Siymek fu atterrato ed

Ahrimane ebbe invidia


mers, e un figlio di lui,

ucciso dal Devo.

Il

dello stato felice di

il

vecchio re Gaymers pens

al-

20

lora alla vendetta del figlio suo; e poich Siymek.

aveva pure lasciato un figlio di nome Hsheng,


tosto che il giovinetto fu al grado di combattere,
Gaymers gli parl della vendetta dovuta al
padre e radun un esercito non solo di uomini,
ma anche di uccelli, di tigri, di lupi, di leopardi
e di leoni, intendendosi che tutta la natura doveva combattere il male, simboleggiato nei Devi.
Nella battaglia, il Devo Nero fu atterrato da
Hsheng che gli recise il capo. Gaymers allora,
poco dopo, mor, pago d'aver vendicato il figlio suo.

Hsheng.

Con

Hsheng incomincia la
prima dinastia dei re dell'epopea, che quella
dei Pshdd, e con lui incominciano anche a
manifestarsi le prime arti. Egli trov il ferro e
ne fabbric i primi strumenti, trov l'arte delIl re

l'inafilare

lora

per

gustare

campi, di ararli,

la

il

prima

pane. Vest

alcuni animaletti,

trov

il

voi la
gli

come

fuoco, tanto

di

seminarli, e al-

uomini

poterono

uomini con

le pelli di

gli

faine, conigli e volpi, e

utile alla vita.

Un

giorno

con alcuni dei suoi una montagna,


vide un serpente sulla via; presa una pietra, la
scagli, e la pietra, urtando contro una rupe,
ne fece uscire vive scintille che rivelarono al
ch'egli saliva

gran re l'esistenza del fuoco. Egli allora, su quel


monte, accese una gran vampa e bevve del vino
tutta quella notte, istituendo la festa del fuoco.
Il

re

Tahmras.

addomestic

gli

Tahmras fu

animali e

li

il primo che
avvezz a vivere

vivere
con l'uomo, ridusse i galli e le galline
nelle sue case perch destassero gli uomini al
mattino, e fu il primo che filasse la lana per
;i

farne le vestimenti. Aveva per ministro

Shdsp, e tanta era

la

il

pio

sua maest e potenza


di re,

mane

21

che ogni giorno poneva


e lo

la sella

costringeva a portarlo,

ad Ahri-

come un

de-

Vinse in battaglia i
stermin, e da quelli che egli risparmi

striero, per tutta la terra.

Devi e

li

in vita, impar l'arte mirabile della scrittura.

Il re Gemshd and anche


Il re Gemshd.
pi avanti nella invenzione delle arti. Fabbric
le armi da guerra, fil e tess la seta per farne

divise

vesti,

gli

uomini

in

tutti

in Agricoltori, in

in

Sacerdoti,

Mercanti; aiutato

Guerrieri,
dai Devi, fabbric palazzi, torri e terme, trov
preziose, l'oro e l'argento,

pietre

le

gli

aromi

e i profumi, l'arte della medicina e quella del


navigare, istitu la festa del primo giorno dell'anno.

Iddio

stesso

di

apertamente

nifestava

tanto in
i

tanto gli ma-

voleri

suoi

suoi

decreti.

ben presto la superbia entr nel suo cuore.


Vedendosi solo signore di tutta la terra e autore

Ma

di tante arti utili alla vita, os dall'alto del

suo

presenza dei principi e dei sacerproclamarsi Dio e creatore del mondo.

trono, nella
doti,

Pronunciata appena l'empia parola, l'aureola


luminosa che ricinge il capo dei re irani, visibile segno e simbolo della maest reale, fugg

da

lui,

il

mondo

intero cadde nello scompiglio

e nella confusione. Pi volte l'infelice domand


perdono a Dio della sua colpa, ma la maest
reale non

gli fu

pi restituita.

Intanto viveva in Arabia

l'empio Dahk,

il

perdutamente al genio del male,


aveva cooperato alla morte del padre suo, l'antico e virtuoso Mirds, aveva introdotto fra gli
quale,

uomini

datosi

l'uso del cibarsi di carni, dietro

istiga-

zione di Ahrimane, e aveva sugli omeri due serpenti natigli da due baci che Ahrimane stesso

aveva impressi

gli

sulle spalle. Cibo degli orri-

umane, e
Dahk, per ammansarli, doveva ogni giorno toglier la vita a due infelici. Con queste opere
crudeli, egli aveva acquistata una trista fama
all'intorno, e gl'Irani, in quel tempo di scompiglio, ricorsero a lui perch egli si facesse loro
bili

serpenti era soltanto di cervella

signore.

Dahk

si

tolse dai deserti d'Arabia, entr

diede alla caccia di Gemshd che


and errando per cent'anni, finch poi, preso
nell'Iran e

sponde del mare

sulle

per

si

di Gina, fu fatto

segare

mezzo dall'empio tiranno.


Firdusi descrive
re Dahk.

il

il miserando
Dahk. Ogni
colpa, ogni opera trista, fu lecita allora, mentre
ogni virt era perseguitata. Ogni giorno due in-

Il

stato

dell'Iran sotto lo scettro di

erano immolati per cibarne con le cervella


due serpenti del crudo signore, finch due gio-

felici
i

vani, Irmil e Kermil. sostituendo ogni giorno

un agnello
le cervella,

uno dei due miseri e traendone


ne salvarono un buon numero, man-

dandoli nascostamente fuori della reggia

morte, furono

al

de-

leggenda che questi, scampati da

serto. Dice la
i

progenitori della stirpe bellicosa

dei Curdi.
Il

di Dahk dur
ma quando non u

mille anni

regno

-ionio:

meno un

restavano pi che

li

quaranfanni, egli vide un terribile sogno. Gli


parve che un giovane guerriero, con una clava
in pugno dal capo di giovenca in lucido metallo,
.Mitrasse da lui, lo colpisse con quella clava e
lo traesse

Gl'indovini
gargli

il

incatenato lino

al

monte Demvend.

chiamati in fretta non osano spie-

sogno;

ma uno

all'udirne le terribili

di

essi,

minaccie,

di

nome

gli

un giorno verr con quella clava

Zrek,

predice che
il

giovane

23

Frdn, discendente di Gemshd, figlio di Abtn,


a ripigliarsi il regno de' suoi padri. Egli avvincer il tiranno nelle caverne del Demvend per
vendicar la morte del padre suo, che Dalia
aveva ucciso per nutrirne con le cervella i suoi
serpenti. Da quel giorno Dalia k non ebbe pi
pace. Ma intanto Frdn era nato, e la madre
sua,

Frnek, per sottrarlo

alle

insidie

del

ti-

ranno, lo aveva recato al monte Alburz e l'aveva consegnato ad un solitario abitatore di quei
luoghi.

Ma

poich

Dahk non poteva trovar

giorno egli domand

pace,

un

ai sacerdoti e ai principi

una dichiarazione per la quale si attestasse


non aveva mai offesa la giustizia. Gi
tutti apponevano il loro nome a quella carta
menzognera, quando all'improvviso entr nella
presenza del re un uomo piangente e desolato.
Quegli era Kveh, il fabbro ferraio di Isphn,
che veniva a ridomandare al tiranno un figlio
suo che gli sgherri reali gli avevano rapito. Il
re gli fa rendere il figlio, purch Kveh apponga
il nome suo a quella dichiarazione. Ma Kveh,
suoi

che

egli

preso da giusta indignazione, lacera e calpesta


quel foglio, e uscito dalla reggia, inalberando

come

vessillo di rivolta

quel

cuoio con cui

difendeva dal fuoco nel lavorare

si

ferro, rac-

il

coglie intorno a s tutta la gente e con essa trae


al

monte

Frdn,

il

scendente

Alburz

per

ricondurne

il

legittimo signore dell'Iran,


di

giovane

come

li-

Gemshid.

Frdn, dato l'addio alla madre, discende dalil fiume Arvend (il Tigri), trova
la reggia del tiranno, vi penetra abbattendone

l'Alburz, passa

talismani e

si

asside sul trono de' suoi padri,

accanto ad Ernevz ed a Shehrnz,

sorelle di

24

Gemshd. Dahk che era assente, avvertito dal


suo fido Kundrev dell'ospite strano, accorre tosto,

ma

assalito

lui,

poi tratto dal vincitore al

da Frdn e atterrato dalla clava

Demvend

di

e l in-

catenato in una caverna.

Frdn, diventato re, ordin


re Frdn.
regno cancellando le tracce del mal governo
di Dahk. Ebbe tre figli, tra i quali, dopo aver
loro date in ispose le tre figlie di Serv re del
Yemen, pens di spartire l'ampio regno avito,
che allora comprendeva tutta quanta la terra.
Il

il

Al maggiore, a Salm, egli destin i regni d'occidente, a Tur il Turan e la Gina, a Erag', che
era

il

pi piccolo, l'Iran, col privilegio di portar

corona reale.

Ma
indi

dichiararono

maggiori

figli

quella

Si

divisione.

mandarono un messaggiero

loro rimostranze.

Il

al

sdegno

le

ch'egli

aveva osservate
si

padre per far

vecchio re accolse con

parole superbe de' suoi

Erag', allora,

ingiusta

consigliarono lungamente,

di-

e rispose

figli,

le leggi della giustizia.

propose di pacificare

fratelli

contro ogni desiderio del padre suo, part dall'Iran e

si

rec presso di Tur e

l'accolsero con gioia apparente,

nell'animo.

Che

mendicando

anzi, al giorno

pretesti, in

di

ma
che

Salm che
col

livore

segu, Tur,

un improvviso alterco

col suo giovane fratello, essendo presente Salm,

capo uno sgabello. Non


il capo delmandarono a Frdn, rinchiuso in

lo uccise scagliandogli al

paghi

di ci,

l'infelice e lo

rei fratelli spiccarono

un'arca dorata.
al suolo quando ebbe
ben tosto pens alla
vendetta. Da una fanciulla che fu gi amala
sposa dell'estinto Erag', nacque una bambina.

Re Frdn cadde svenuto

il

crudele annunzio;

ma

Questa, giunta

ad et da marito, fu sposata a

Pesheng, principe animoso, e frutto di questo

matrimonio fu Mincihr. Mincihr fu educato da


Frdn con ogni cura e quando fu al grado di
portar le armi, il vecchio re gi si preparava
alla vendetta. Invano Salm e Tur domandarono
perdono al padre e inviarono doni. Frdn rispose che egli non ascoltava che il desiderio della
vendetta e che essi dovevano ormai aspettarsi
di veder Mincihr, seguito da' suoi principi e da
Nel primo scontro le genti
Salm e di Tur ebbero la peggio, e Shryeh
cadde per mano di Ghershsp. Tur, disperato,
tenta un assalto notturno, ma ucciso da Mincihr che gli tronca il capo. Intanto a prevenire che Salm si rifugiasse nella rocca degli
Alani, Kren, con l'anello dell'ucciso Tur, vi si

tutte le sue schiere.


di

reca e penetra fra quelle mura e distrugge il


castello. Anche Kkvi, nipote di Dahk, accorso
in aiuto di Salm, ucciso da Mincihr in battaglia, e

da

lui

Salm, inseguito da Mincihr stesso,

ucciso.

La sua

testa recisa,

come

quella

Tur, inviata a Frdn. Al


vecchio re, ormai, non resta che di morire; egli
perci, dichiarato Mincihr suo successore e pogi in prima

di

capo la corona di re dei re, dopo averlo


raccomandato a Sm, valoroso principe del Sestagli in

si ritrae in luogo solitario a piangere sul


acerbo de' suoi tre figli e ad attendervi la
morte. La morte non tarda molto, e Mincihr
dolente celebra con gran pompa i funerali del

gestn,
fato

vecchio
Il

re.

re Mincihr.

regno

Il

pacifico, e Firdusi ci

regno
narra

di

le

Mincihr
prime storie

una gran famiglia di eroi, principi del Segestn.


Sm, figlio di Nrem o Nerimn, principe del

di


Segestn, ebbe un
bianchi.

26

figlio

Temendo che

che era nato

coi capelli

un segno inesporre sul monte

quello fosse

Ahrimane, egli fece


fanciullo ancor lattante, che vi sarebbe
perito, se il Smurgh, favoloso augello di quelle
montagne, non l'avesse allevato nel suo nido. Ma
un terribile sogno ammonisce il padre crudele
e gli fa intendere che il figlio suo vive ancora.
Sm allora, recatosi al monte Alburz. vi ritrova
fausto di

Alburz

il

suo che era cresciuto forte e robusto, e


lo riconduce alla sua casa, indi alla reggia di
Mincihr, laddove l'oroscopo che se ne trae, predice le pi belle cose sul suo conto. Ritornato
il

figlio

al

suo castello nel Segestn,

ogni cura

il

figlio suo,

Sm

fa

educare con
egli deve

un giorno che

partir per la guerra, lo affida alla custodia dei


suoi maestri.

Ma

Zl (poich questo fu

il

nome

del figlio di

paterno dominio, ar-

Sm), aggirandosi per il


un giorno alla terra di Kabul, laddove abitava il principe Mihrb. Della figlia di Mihrb,

riva

bolla

della

Rdbeh, Zl s'innamora all'udirne

solo parlare e

Rdbeh

s'invaghisce di

lui al

sen-

tirne ricantar le lodi.da Mihrb. Alcune giovinette,


mandate da Rdbeh a coglier rose l vicino alle
li Zl. entrano in colloquio con l'innamorato
garzone e ne riportano le parole alla bella che attende ansiosa. I due amanti hanno pi tardi un

tende

colloquio e

si

promettono eterna

fede.

Ma Mihrb

discende dall'empio Dahk


sar grandissimo ostacolo all'unione dei due gio-

ed idolatra, e ci

vani.

Sm, interpellato da

Zl. resta

incerto e

perplesso, chiede consiglio ai sacerdoti e


alla

si

reca

corte di Mincihr per cercarne consiglio e

norma. Sndukht intanto, la madre della fanciulla,


e Mihrb vengono a conoscenza della nuova pas-


sione di essa;

ma

estremamente

offeso

Sm

parola di

il

27

re Mincihr se ne mostra
e senza ascoltare alcuna

in proposito, gli

ordina

di

portar

le

armi nel Kabul e

la

famiglia di Mihrb, perch discendente

Dahk

Ma

di

sterminar tutta quanta

da

e idolatra.

Zl, costernato e

con occhi lagninosi, corre

incontro al padre suo e lo dissuade dal portar

armi nel Kabul. Sm, vinto dalle preghiere


il re Mincihr, una sua lettera in cui, ricordando le
opere compiute da lui per il suo re (come l'impresa contro l'orribile dragone del fiume Keshef), si raccomanda alla clemenza reale per
quel figlio suo, reso ormai infelice dal soverchio
amore. Mentre Zl parte con quella lettera, la
regina Smdukht si reca da Sm e ottiene da lui
l'assenso alle nozze di Zl con la bella sua figlia
Rdbeh. Zl, intanto, giunto alla corte, e Mincihr, non sapendo negar nulla al valoroso
guerriero, sottopone Zl alla prova di indovinar
certi enigmi proposti dai sacerdoti. Superata felicemente la prova e mostrato anche il proprio
valore negli esercizi guerreschi, Zl rimandato
da Mincihr al padre con l'assenso alle bramate
le

e pi dalla piet, consegna a Zl, per

nozze.

Le

quali

si

celebrano con grandissima pompa e

solennit nel Kabul, donde Zl conduce pi tardi

con s

la

sua bella e giovane sposa. Frutto di

questo connubio fortunato fu Rustem, che divenne


poi

il

pi grande eroe della Persia,

e l'aiuto potente de' suoi re.

Il

fu laboriosissimo, e l'augello

il

parto di

sostegno

Rdbeh

Smurgh, l'antico

protettore della casa di Sm, dovette accorrere


dall' Alburz

desolato

e aiutar quel parto suggerendo al


padre un' operazione chirurgica per


estrar

l'

28

Ma

infante dall' alvo materno.

fan-

il

crebbe rapidamente forte e robusto, bello


e aitante della persona, e sua prima impresa fu
quella di uccidere un terribile elefante bianco
ciullo

cbe, sciolto da' suoi ceppi, correva furibondo per


giardini di Zl. Prese egli ancora la rocca del

Sipend, per vendicar la morte del proavo suo

Nrem, ucciso sotto quelle mura, penetrandovi


con una carovana sotto le vesti di un mercante
di sale, e sterminandone di notte tutti gli abitatori.

Ma
Il

ormai giunto l'ultimo giorno

di

Mincihr.

ammonimenti
suo Nevdher, muore placida-

piissimo re, dopo aver dati savi

e consigli al figlio
mente, compianto da
Il

re Nevdher.

profitto

dai

consigli

bore e dormire sono

tutti.

re

Il

le

Nevdber poco trae


padri

del

suo.

Mangiare,

sue gradite occupazioni:

Sm,
un principio

gl'Irani ne sono altamente scandalizzati, e


invitato dal re dal Segestn, soffoca

ribellione e con

li

consigli

savi

fuorviato re sul diritto sentiero.

riconduce

Ma

di ci si

il

ha

qualche sentore nel paese dei Turani, laddove


pur vive il fiero Pesheng, figlio di Zdshem e
discendente di Tur che fu ucciso da Mincihr.
Egli ricorda le antiche offese e

manda un

eser-

cito nell'Iran, guidato dal suo superbo e traco-

tante

figlio,

Afrsyb. Le sorti della guerra non

muore il prode Kobd


Barman, e in una seconda
battaglia Nevdher sconfitto. A un terzo scontro,
sono favorevoli agli Irani

ucciso dal turanio

il

re degl' Irani vinto ancora e trova rifugio


Dehistn. Di l egli vorrebbe ritornare

nel
in

Persia

dov' la

sua

residenza

reale

ma

andare catturato da Afrsyb. Invece, un


esercito di Turani, mandato da Afrsyb contro
nell'

29

di Zl nel Segestn, sconfitto e cacciato,

aver perduti

suoi capitani,

zarvn. La notizia

accende

di ci

dopo

Shemss e Khadi tale

sdegno

il

feroce Afrsyb, che, per farne vendetta, egli

si

fa strascinar

infelice e gli

egli

si

dinanzi carico di ceppi

recide

appaga

capo

il

di

Nevdher

propria

mano.

ma, udendo che

di ci;

il

suo Ighrras ha liberati alcuni prigionieri


irani rinchiusi in Sari, dopo averlo assalito con
fratel

acerbi rimproveri,

lo trafigge nel petto

con

la

spada.
Zl, udita

un nuovo

con orrore

re in

morte di Nevdher, cerca

la

un principe

di nascita reale, e la

cade sopra di Zav figlio di Tahmasp,


della discendenza di Frdn.
Il regno di Zav fu breve, ma
Il re Zav.
in compenso fu fecondo di una pace coi Turani.
Una lunga siccit afflisse l'Iran e il Turan, e

sua scelta

questa determin l'ima e l'altra gente a stabilire un confine fra i due regni. Questo fu il

fiume Ghn, l'Osso degli Antichi. Fatta la pace,


piovve nell'uno e nell'altro regno, e la terra si
rivest d'erbe e di fiori.

Ghershsp, figlio di Zav,


Il re Ghershsp.
ebbe un regno breve. Egli mori quando appunto
la morte di Zav, ripiil fiero Afrsyb, udita
gliava le armi per entrare nell' Iran.

Ma

intanto giunto

il

momento per Rustem

prender le armi per la sua terra natia. Zl


gli consegna la famosa clava dell'avo suo, Sm,
ed egli si cerca un destriero fra le mandre di
cavalli del padre suo. Rakhsh un leggiadro e
nobile puledro pomellato che in avvenire sar
il compagno fedele del grande eroe in tutte le
sue imprese. Ma perch bisognava che un nuovo
re, saggio e gagliardo, salisse sul trono vacante
di

30

Rustem mandato dal padre suo al


monte Alburz, a rintracciarvi il giovane principe

dell' Iran, cos

Kobd, della discendenza di Frdn, che abitava


quelle valli solitarie. Rustem, superando e vincendo
le vedette dei Turani, si reca all'Alburz, laddove
egli s' incontra in un giovane principe, in mezzo
ad una bella compagnia di eroi, che lo invita
a discendere e a bere con lui un nappo di vino.
Il giovane signore, udendo da
Rustem eh' egli
va in cerca di Kobd, si rivela appunto per
quello ch'egli va cercando, e Rustem per primo
re dell' Iran. I due eroi, quella sera
pongono in via. e, superate le vedette
dei Turani non senza una forte scaramuccia,

lo saluta
si

essa,

si

discendono nell'Iran.
Il

Gol

re Kobd.

re

Kobd

sottentra all'an-

tecedente dinastia dei Pshdd quella dei Kay.

Una tremenda

battaglia fra Irani e Turani, nella

quale Rustem d inaudite prove

di

valor' atter-

rando Afrsyb e togliendogli dal capo la corona,


determina lo stesso Afrsyb a supplicare il
padre suo Pesheng, perch domandi la pace.
La pace, infatti, richiesta da Pesheng e concessa da Kobd, ritornando all'antica divisione
del regno, (pialo un giorno il re Frdn aveva
.stabilita.

Kobd, intanto, dopo aver designato re il figlio


suo maggiore, Kvus, muore placido e contento.
Il

re Kvus.

Kvus

fu

re presuntuoso e

superbo. Avendo udito un giorno descrivere da

un Devo, trasformato
tosa provincia del

l'animo

il

in cantore, la bella e

uber-

Mzendern, concepisce

desiderio

di

lame

la

nel-

conquista, n

valgono a distoglierlo dal suo proposito

le

stranze de' suoi principi n quelle

accorso

appositamente dal Segestn.

Il

di Zl,

rimo-

.Mzendern era

31

abitato dai Devi, e nessuno degli antichi re ne

aveva tentata la conquista.


Kvus adunque, disprezzando ogni consiglio,
raduna le schiere ed esce in campo contro il
Mzendern, e il re di quel paese gi si prepara a difendersi e ricorre

perci al

temuto

Devo Bianco che abitava sui monti in una tenebrosa caverna. Kvus pone gli accampamenti
in quella

terra

sera, levasi

straniera

ma,

un denso nebbione,

al

il

cader della

Devo Bianco

e gli altri Devi incatenano e accecano l'infelice

con

tutto

il

goscia la

suo esercito. Morir di fame e d'ansorte che

attende

prigionieri

sarebbe avverato, se un guerriero iranio,


scampato per caso ai ceppi dei Devi, non avesse

ci

si

recato a Zl e a Rustem

la dolorosa

novella.

Rustem accorrer volenteroso a liberare il suo


re. Dato l'addio al padre e alla madre desolata, si
mette per una via piena di pericoli, ma pi breve.
questa la via delle sette avventure, e Rustem
vi incontra un fiero leone che Rakhsh, il suo
fedel destriero, gli uccide, supera arso dalla sete

un immenso deserto, uccide un dragone, uccide


una maga, fa prigioniero Euld e se lo conduce
seco perch lo guidi al

Mzendern, uccide il
Devo Arzheng e finalmente, dopo un' accanita
lotta, uccide nella sua caverna il Devo Bianco,

gli

strappa

il

fegato e

il

del sangue spremute dal

a re Kvus e a

cuore e con

le stille

fegato rende la vista

tutti g' Irani e loro

discioglie

Rustem va come messaggiero dal re


del Mzendern che ricusa di arrendersi, e allora s'impegna fra g' Irani e i Devi una terribile battaglia nella quale il re del Mzendern
i

ceppi.

ucciso da Rustem. Sterminati

Devi, quella

terra data in feudo a Euld in premio d'aver

guidato Rustem; Kvus


l'Iran, e

Rustem

si

32

ritorna trionfante nel-

rende carico

di doni nel Se-

gestn.

guerre del re Kvus coi re dei


d'Hmvern ((orse la Siria).
Il re Kvus s' invaghisce della bella
Sdbeh
figlia del re d' Hravern e la ottiene dal padre
come pegno di pace. Ma quel re che non aveva
acconsentito di buon animo a quelle nozze, in
Seguono

le

Berberi, d'Egitto,

un banchetto
principi,

manda con

fa

fa

li

re

Kvus e i suoi
un oscuro carcere e

caricar di ceppi

gettare in

Kvus

Afrsyb allora

la

sua stessa

figlia

Sdbeh.
il
capo

nuovamente

solleva

dal Turan ed entra nell'Iran. Gl'Irani si rivolgono a Rustem che accorre tosto dal Segestn,
vince il re d'Hmvern in due battaglie, libera
Kvus co' suoi principi, lo riconduce nell' Iran,
laddove egli vince Afrsyb e lo costringe a
fuggi IV.

Ma

presuntuoso re d alcuni segni

il

di pazzia.

Devi un magnifico palazzo sull'Alburz, indi dai Devi ingannatori che


volevano vendicarsi del duro lavoro a cui il
Egli

re

li

si

fa costruire dai

sottometteva,

al cielo.
ai

Lo

quattro

si

stolto re

spigoli del

lascia

quale egli

quattro aquile. Le aquile

sportano in

alto,

ma

persuadere a salire

fa costruire

si

fa

un

trono,

avvincere

agevolmente lo trasopravvenir della

poi. al

fame nei fieri augelli, essi precipitano dall'alto


e il re cade in uhm selva in vicinanza di Arnol.
Sopravvengono scandalizzati i principi irani e
con acerbi rimproveri riconducono alla sua residenza

il

loro re.

Segue nel poema un racconto particolare e


come staccato dal resto.
Rustem con sette
eroi si reca alla caccia sulle sponde del fiume

33
Shehd. Dopo
pasto degli

vengono

sollazzi della caccia,

eroi e

il

il

loro bere profuso, finch,

dietro proposta di Ghv, essi entrano nei parchi

Afrsyb a farvi romorosa caccia.

di

syb, irritato e offeso, accorre con

Ma

tutti

Afri

suoi,

impegna una terribile battaglia, nella quale


cadono dalla parte di Afrsyb i suoi pi valorosi, ed egli, cacciato da Rustem, si
ritrae
e

s'

scornato e confuso nella sua terra.

Ma

poi,

un

Rustem

bel mattino,

si

reca alla

Semengn,
laddove, dopo aver atterrato e arrostito un

sua caccia

campi

prediletta nei

di

onagro per farsene cibo, egli si addormenta.


Sopravvengono alcuni ladroni Turani che g' involano il suo Rakhsh. L'eroe, destatosi, ne segue

orme

le

fino

alla

egli ospitato

che

re,

Ma

gli fa restituire

lodi,

l'

si

reca

al

Tehmneh, che

solo sentirne celebrar le

notte da

-la

quel

involato destriero.
bella

la figlia del re, la

amava Rustem

gi

Semengn, laddove

citt di

con grandissimo onore da

lui e gli

dichiara

il

proprio amore. Al giorno appresso, un sacerdote

chiede in

nome

di

Rustem

la bella fanciulla al

padre, che lieto e beato ne celebra le nozze in

quel giorno stesso. Frutto di questo


il

giovane Sohrb che crebbe presso

amore fu
madre

la

Rustem, nel giorno stesso che


mai veduto questo suo figlio. Ma Sohrb, giunto al
sedicesimo anno, saputo chi era il padre suo,
si propone di discendere nell' Iran per rintracciarlo, per rovesciare il re Kvus dal trono e
porvi in sua vece il padre. Perci egli si trova
un cavallo, si procaccia le armi, e mentre
sua in

Semengn

segu alle nozze, era partito, n aveva

Tehmneh non vorrebbe


syb, per suoi secondi
FlRDDSI,

I.

lasciarlo partire, Afr-

fini,

seconda

il

pazzo
3

di-


segno del giovane e

34
lo

soccorre di armi e di

armati.

Sohrb arriva

Rocca Bianca,

alla

dell'Iran, prende quel


tutti

era

Ma

sui confini

castello e v'entra

con

vecchio Ghezdehem che ne


custode, quella sera stessa, prima che
suoi.

il

il

Sohrb espugnasse il castello, aveva spedito un


corriero a re Kvus dipingendogli lo straordinario valore del giovane guerriero, indi, con
tutti

dal
lo

per una porta secreta era uscito


quando Sohrb vi entr,

suoi,

castello, cosicch,

trov

abbandonato.

ile-erto e

spaventato a quella

notizia,

Kvus.

re

Il

manda Ghv

nel

Ma

Ru-

Segestn a chieder soccorso a Rustem.

stem ha tristi presentimenti, e quasi (piasi indovina' che quel giovane gagliardo il figlio suo.
Egli perci s'indugia e lascia a malincuore il
per recarsi nell'Iran. Kvus lo
il
lungo ritardo, e Rustem, offeso, gi sia per abbandonar
la reggia e ritornarsi al suo castello, quando

castello paterno

accoglie con acerbi rimproveri per

Grderz con

pone

il

le

litigio, e

preghiere e coi consigli ricomRustem si prepara con re Kvus

alla guerra.
Grli

accampamenti nemici stanno

ornai di fronte,

e Sohrb dall'alto di un collicello dal quale

vede

tutto

tutamente

il

campo

degl'Irani,

Begir ch'egli aveva

qualche indizio
vede nel piano.

Rustem

di

domanda

si

ripe-

fatto prigioniero,

tanti eroi ch'egli

fra

Ma Hegr,

per timore che Sohrb


non vinca Rustem e non privi l'Iran del suo
pi valido sostegno, non se ne d per inteso e

mostra

perfino

di

ignorare

chi

sia

Rustem.

Sohrb, preso da impazienza, veste

le

scende

nel

al

piano,

entra minaccioso

degl'Irani e atterra per

met

la

tenda

armi,

di

di-

campo
Kvusi

35

Kvus manda a chiamar Rustem in fretta, e


Rustem e Sohrab, senza conoscersi, si trovano
ora a fronte rimo dell'alto.
Il combattimento si fa a pi riprese, e Rustem
si

sente inferiore dinanzi al terribile avversario.

Sohrab gi crede di veder nel nobile guerriero


il padre suo, e domanda ripetutamente s'egli
Rustem; ma Rustem nega insistentemente. Che
anzi, al giorno

appresso, egli ritorna al combattimento con rinnovato ardore e in disperato


assalto tra fgge il giovane suo nemico.

Sohrab, appena caduto, grida ad alta voce che


Rustem, il padre suo, vendicher la sua morte,
e Rustem, colpito a quelle parole, domanda al
ferito s'egli ha nessun contrassegno. Sohrab gli
fa aprir la tunica e gli mostra un monile ch'egli
recava al braccio, nascosto sotto la veste. Quel
monile era gi stato dato a Tehmneh da Rustem
la sera delle sue nozze e doveva servir di tessera di riconoscimento per il figlio suo. Il misero padre, nell'estremo dolore, fa chiedere un

balsamo portentoso a re Kvus, ma Kvus ingelosito glielo nega, e Sohrab muore poco stante.
Gol dolore del misero padre che reca nel Segestn la bara dell'estinto, e con la disperazione
della madre lontana, termina la commoventissima leggenda.
Intanto Ts e G-hv, usciti un mattino alla
caccia, trovano nei boschi una leggiadra fanciulla della

turanio.

per

Garsvez

lo

pregano

principe

invaghiscono, contendono

essa, e finalmente, recatisi alla

re Kvus,

Ma

discendenza di

Ambedue se ne

presenza di

di decider quella contesa.

Kvus, preso anch'egli d'improvviso amore


la fanciulla, la ritiene per s e la fa sua
sposa. Frutto di questo connubio fu Sivvish
per

36

che affidato a Rustem perch l'educhi nel


Rustem compie con amore e con zelo
il nobile ufficio: indi riconduce al padre il lio-

Segestn.

adorno d'ogni bella virt.

vinetto,

Ma

vederlo un giorno presso

di lui. al

s'invaghisce perdutamente
Ella lo invita pi volte a

con mille arti:

mamente
presso

il

al

ma

il

padre,

regina Sdbeh.

la

cerca

^.

vincerlo

di

poich Siyvish resiste

amore,

colpevole

ella

re d'aver tentato di oltraggiarla.

dubbioso dapprima, n

colpevole

il

ma

suo:

figlio

fer-

accusa

lo

Il

re

decidersi a creder

sa

aggirato dallo arti

poi,

Sdbeh. dietro consiglio degl'indovini, propone a Siyvish e a Sdbeh la prova del fuoco.
Siyvish si sottomette volentieri: e tosto in un
di

campo
egli

aperto, alla presenza del re e della corte.

passa

fra

illeso

mentre Sdbeh
indarno su

due

cataste

dall'ali" di

di lui

le

suo imprecazioni. Essa

dallo sdegnato re condannata a

rata soltanto dalle preghiere

Ma

di

morte

per.'.

e libe-

Siyvish.

Siyvish, dopo ci ch' avvenuto, non pu

pi rostare nella casa paterna


e

infiammate,

un terrazzo scaglia

poich

Ai'rsyb

senza

pericolo:

nuovamente

minaccia

dal

padre >i essere


mandato alla guerra. Egli parte con un esercito
e prende la citt di Balkh e ne d avviso al
[ladre suo che riceve con gioia il fausto annunzio.
Ma Afr-\b. spaventato una notte da un terribile sogno, chiede improvvisamente la paco
Turali,

chiede e

mandando
giosissime.

chiude

la

ottiene

dal

ostaggi e offrendo condizioni vantag-

Siyvish

accetta

la

dal re. al qua!

line

medesimo con una

parte

dal

lettera

accoglie con aspri rabbuili

di

proposta,
farla

pace, riserbandosi di

con-

ratificare

campo Rustem
lui. Ma Kvus

con maligne ao


cuse

37

prode guerriero

il

nel Segestn, e per

che

ritorna

sdegnato

ordina a Siyvish

lettera

o di proseguir la guerra o di venire da lui


chieder perdono e a scolparsi, consegnando

a
Le

schiere a Ts, latore del messaggio reale.


Siyvish allora, non volendo mancare alla data
fede n presentarsi dinanzi al padre come col-

Behrm e con Zengheh,


determina a domandar asilo
presso di Afrsyb. Afrsyb accoglie con giubilo
l'inattesa domanda, e il giovane infelice, partecipato per lettera al padre questo suo divisapevole, consigliatosi con

suoi intimi amici,

mento,

si

si

reca alla reggia del principe del Turan.

accoltovi con grandissimo

onore.

Egli

tosto

invitato agli esercizi della palestra, alla caccia.

a ogni specie di sollazzi, e dovunque egli si


guadagna gli animi di tutti per il suo valore
e per la sua modestia. Prn, principe di Khoten,
l'intimo consigliere di Afrsyb, gli d in isposa
la propria figlia, la leggiadra Gerireh
indi,
per raffermar meglio Afrsyb nell'amore per
il giovane iranio, propone e ottiene che Afrsyb
;

stesso gli dia in isposa la figlia sua Ferenghs.

Celebrate

le nozze con grandissima pompa, Afrsyb assegna a Siyvish una parte del suo dominio, laddove egli fabbrica una splendida citt,

di

nome Kang-dizh, alla quale ne tien dietro


che, dal nome del fondatore, viene ap-

un'altra

pellata Siyvish-ghird.
mandato da Afrsyb a
Garsivez invidioso della gloria
di Siyvish; a Kang-dizh, nei giuochi della pa-

Intanto

Kang-dizh.

Garsivez

Ma

mostra
giovane principe, e

lestra, gi egli
il

il

suo mal animo contro

tosto,

Afrsyb, glielo dipinge

appena tornato da
colui che sover-

come

chiamente potente e che desidera impadronirsi

mantenendo pur sempre con Kvus;


un carteggio clandestino. Afrsyb

del Turan,

intorno a

ci,

non vorrebbe credere;


meglio

38

tuttavia, per conoscer

manda nuovamente Garsvez

vero,

il

Kang-dizb per invitar Siyvish alla corte. Garsvez questa volta dipinge a Siyvish come a lui
nemico il principe Turanio; si guardi perci dal
cedere all'invito di andare in corte, scusandosi
con la mal ferma salute di Ferenghs. Il giovane principe cade nell'inganno, e Garsvez,
latore di una sua lettera ad Afrsyb, gli fa
intendere che Siyvish un ribelle, che il
poter suo pericoloso per

sua perfidia

di

Un

il

rifiuto

sogno spaventoso

fa

il

di

Turan, che segno


recarsi in corte.

consapevole Siyvish

del suo pericolo. Destatosi al mattino,

raccomanda
lei,

sua

l'estrema

nifesta

volont

egli

ma-

Ferenghs,

le

e le

suo che presto nascer da


d l'ultimo addio. Uscite dalla reggia
figlio

il

armato

e con armati, ecco ch'egli s'incontra in


Afrsyb sopravvenuto all'improvviso con le sue
schiere. Garsvez getta la maschera e grida a
Siyvish che quel suo presentarsi ad Afrsyb

con armi

con armali manifesto segno di


che sono ancora con Siyvish.

ribellione. Gli Irani

vorrebbero combattere, ma egli si lascia prendere senza resistenza. Tratto in carcere, Afrsyb, ancora titubante per poco, ma poi vinto
dai pei-lidi consigli di Garsvez, non ascoltando
i

pianti e le

preghiere

a morte e lo

fa

di

Ferenghs,

decapitare

in

lo

condanna

un piano deserto.

La stessa Ferenghs non sarebbe sfuggita alla


sorte, se Prn,

stessa

accorrendo all'improvviso

dal Kholeii, facendo osservare ad At'rsyb


presi o sss sar
.

a -tento, e

che
madre, non l'avesse salvata, bene
I

non l'avesse condotta con snelKhoten.


Una

39

Prn vede in sogno l'anima di


che gli annunzia esser nato il figlio suo.
Accorre egli al letto di Ferenghis, e l egli ritrova gi nato il piccolo Khusrev, figlio postumo
segni dell'alto suo
di Siyvish, con manifesti
notte,

Siyvisli

nascimento.
si

Ma

ricorda che

gli

Afrsyb, udito quell'annunzio,

era stato predetto che la morte

sarebbe venuta da un figlio che sarebbe disceso dalle due case regnanti del Turan e delgli

l'Iran, e

perci vorrebbe far morire

il

pargoletto.

Vinto per dalle preghiere di Prn, lo fa nascondere con la madre presso alcuni rozzi pastori del

monte Kalv, laddove

egli

non doveva

saper nulla del suo nascimento reale.


Firdusi, a questo punto, interrompe per poco
il

suo racconto per lagnarsi della sua grave et

e per chiedere a Dio di poter compiere

il

Libro

dei Re.
Intesasi nell'Iran la

morte

di

Siyvish,

un

tardo dolore e un tardo pentimento prendono


gli animi di tutti, e Rustem, accorso improvvi-

samente dal Segestn, sotto gli occhi stessi di


re Kvus, senza che egli osi far motto, uccide
l'empia Sdbeh, cagione di tanta sventura. Egli
poi, col figlio suo Fermurz, mena un esercito
nel Turan Verzd, principe del Sipengib, cade
;

per

il

primo, e Afrsyb

manda

tosto

il

figlio

Surkheh, che preso e poi ucciso da Rustem. Afrsyb, per vendicare il tglio suo, accorre con grande esercito, ma poi, dopo aver
visto cadere Plsem ucciso da Rustem, prende
vergognosamente la fuga. Giunto in luogo sicuro,
egli interna nel Khoten il piccolo Khusrev,
figlio di Siyvish, mentre Rustem va devastando
il Turan, finch poi, per non lasciare senza difesa
il suo re, egli con tutti i suoi ritorna nell'Iran.
suo,

re Ehusrev.

40

Il vecchio Gderz intanto,


vede un sogno, nel quale gli si rivela il luogo dove sta nascosto il piccolo Khusrev.
Desto al mattino e raccontato il sogno, egli invia

Il

una

notte,

nel

Turan

Ghv alla ricerca del


Ghv si aggira per sette
Turan domandando notizie, ma invano,
il

anni nel

suo

figlio

giovane principe;

va cercando, finch un giorno, vicino


ad una fontana, si imbatte in un garzoncello
che lo chiama per nome. Quel garzoncello
Khusrev, al quale la madre Ferenghs aveva
di chi egli

annunziato, dietro predizione

Ghv sarebbe venuto

di

Siyvish, che

a rintracciarlo.

Ghv

si

prostra al suolo adorando Iddio e ossequiando


il

suo re; Khusrev rintraccia nelle selve

striero di Siyvish,

Ghv

e con la

nome

di

madre

sua,

si

de-

il

Bihzd, indi, con

mette in via per

l'Irai).

Sparsasi la notizia di ci per le citt del Turan,


prima Kelbd e Nesthen, poi Prn stesso che
combatte con Ghv ed rimandato da lui, carico di catene, nel Turan, e lilialmente lo stesso
At'rsyb, inseguono

sano

il

invano

Gihn e sono

fuggitivi. Essi pas-

in salvo nell'Iran,

laddove

Gderz muove loro incontro e li conduce in


Isplin. Di l essi
anno con Gderz ad Istakhar
\

(Porsepoli), residenza di re

accoglienze del

re,

Kvus. Ricevute

suo avo, Khusrev trova

le

tut-

tavia in Feribili/ e in Ts due avversari. Essi


non vogliono riconoscere in Khusrev il diritto
di successione nel regno, perch, bench figlio
di Siyvish, egli ha tuttavia per madre una
figlia di Afrsyb; aver perci maggior diritte
al

regno Ferburz, come

figlio di

Nevdher e nipote
a difendere Khusrev Gderz,
Ts,

figlio di

Kvus, oppure

di Mincilir.

e gi la

Sorge

disputa

41

degenera in aspra contesa, e gi i due avversari


stanno per venire alle mani, quando il re Kvus
propone che tanto Ts e Ferburz, quanto Khusrev, vadano alla rocca di Behmen abitata dai
demoni; chi potr espugnarla, sar riguardato

come designato

ma

Ts

dal cielo a salire al trono.

e Ferburz primi

si

recano

al

luogo incantato;

arde e traballa sotto i loro piedi;


aggirano per sette giorni intorno a quelle
mura, n arrivano a scoprirne la porta, ond'
la terra

essi si

che essi, confusi e scornati, ritornano nell'Iran.


Tocca allora a Khusrev, il quale, arrivato con

Ghv

sotto alle

mura

prode guerriero
lancia
i

Devi.

di

Behmen, ordina a questo


conftto su di una

di

recare

un suo foglio col quale egli disfida


Appena G-hv ha portata la lancia

tutti

sotto

quelle mura, ecco che la rocca con orribile fra-

gore sparisce. Khusrev, ritornato vittorioso nel-

dopo aver ricevute

l'Iran,

le

scuse di Ts,

seder sul trono da

lieto,

e insignito da lui della corona reale.

re Kvus, festante e

fatto

Rustem intanto vengono

Zl

dal Segestn a ren-

dergli omaggio.

Kvus
di
vendicar
la
morte
di
Khusrev
giurano
e a
Siyvish, e Khusrev ne fa la lunga rassegna.
Ts designato capo della spedizione; egli parta
adunque pel Turan con tutto l'esercito, ma non
Allora, tutti gli eroi radunati dinanzi a

passi presso la rocca

vasi

il

di

giovane Fird,

Kelt, perch l tro-

figlio

di

Siyvish e

di

Gerreh, e per fratello di Khusrev per parte


padre.

di

cos se ne va, ma perch egli ancora


nutre nell'animo qualche rancore contro di
Khusrev, non si perita punto di trasgredirne

Ts

gli

ordini e passa a bella posta per la via che

42

mena a Kelt. Nel castello


la madre il giovane Fird,

Kelt abita con

di

quale,

il

udito che

un esercito, sale con l'amico


Toklir sopra un monte per veder le schiere
amiche ancora da lontano, desideroso egli pure
di prendere le armi col fratello per vendicar la
dall'Iran viene

morte del padre

suo.

Ma

Ts, che vede

domandar chi

sono.

Behrm

molta gioia apprende che

il

monte e con
giovane guerriero

sale al

Fird. Riferito cotesto a Ts,

comanda che

gli si porti la

turanio, a lui ignoto.

ambedue

sono uccisi

Ts, ma,

perduto

il

due,

manda Behrm a

a lui ignoti, su quell'altura,

egli,

impermalito,

recisa testa di quel

Vanno Rvnz
da Fird;
destriero

va

Zerasp e

lo

stesso

colpito da

freccia di Fird, ritorna confuso e irritato.


stessa sorte tocca a

costringe Fird a

soltanto

Bzhen

nel

castello.

In

G-hv,

fuggire

una
La
una

Fird vinto e ucciso, la rocca di


Kelal presa da Ts, e Gerreh, perduto l'unico
suo figlio", con ludo le ancelle si d volontaria

battaglia

morte. Gl'Irani allora troppo tardi s'accorgono


del fallo commesso.

L'esercito degl'Irani da Klat discende al fiume

Kseh; un'orribile tempesta


alla disi rei

la.

e la

di

neve pone tutti


una mon-

via sbarrala da

tagna di legni ivi innalzata da Al'rsyab. Ghv


per appicca il fuoco a quella montagna e passa
innanzi por la via di Grhirev-ghird. In G-hirev-

ghird abitava Tezhv, principe turanio,


udito del venir degl'Irani,

fugge con

la bella

lascia

il

il

quale,

castello e

Isnapy ch'egli poi abbandona

a mezzo la via, per darne l'avviso ad Afrsyb.


Afrsyb manda Pirn con un esercito, e in
un assalto notturno gl'Irani hanno la peggio.

questa

la terribile battaglia di

Peshen, nella

43

quale morirono pi di settanta figli e nipoti di


Gderz. Khusrev, allora, richiama Ts dal comando, lo accoglie con ira e con rabbuffi e lo

pone

in

carcere carico

di ceppi e

il

comando

a Ferburz.

Ma

anche con Ferburz

la

guerra procede

in una battahanno la peggio e per colmo


di sventura, il prode Behrm, recatosi la notte
nel campo della battaglia a cercarvi una sua

molto infelicemente per gl'Irani;

glia con

Prn

essi

sferza, ucciso a

tradimento da Tezhv. Ghv,

sopraggiunto, punisce

Ferburz avvilito
con

di

morte

scorato

traditore, e

il

neh' Iran

ritorna

l'esercito.

Allora, per

di Rustem, Ts
mandato con nuovo eserTurani. Seguono alcune battaglie

intercessione

liberato da

Khusrev

cito contro

nelle quali splende soltanto qualche atto di va-

anche da un orribile
Turani avevano suscitato per forza
di magia, gl'Irani hanno la peggio ancora e si
ritirano sul monte Hamven laddove Prn li
stringe di assedio. Gli assediati tentano invano
lore;

ma,

alla fine, vinti

inverno che

un

assalto notturno

e gi la

fame

si

fa sentire

Khusrev non trova altro


espediente che di mandare in loro aiuto Rustem
e Ferburz, e Rustem vi si accinge volentieri,
terribilmente fra loro.

ma, per confermar vieppi l'animo di Ferburz,


prima di partire fa in modo che egli sposi Ferenghs, la vedova infelice di Siyvish, da lui
amata. Intanto, l'ombra di Siyvish, apparsa in
sogno

Ts,

gli

d l'annunzio

un vicino

di

trionfo.

Afrsyb frattanto ha mandato


Cina in aiuto
sul da farsi,

di Prn, e gl'Irani

il

si

principe

di

consigliano

quando una vedetta loro annunzia


d'aver visto da lontano

44

un

esercito amico che

si

Feriburz che
arriva al monte Hamven, precedendo di poco
Rustem. Una vedetta, infatti, ne annunzia una
avvicina.

quello

notte la venuta, e

l'esercito

il

di

prode guerriero ricevuto

con lagrime di gioia. Gl'Irani e i


Turani si preparano, il giorno appresso, alla
battaglia, e Rustem che disceso in campo uccide
con una freccia il turanio Eshkebs che sfidava
gl'Iran i, mette lo spavento nel campo dei Tudai

miseri

rani che guardano stupiti e costernati la pode-

rosa freccia

Kms

che somiglia ad una lancia.


di Kashn accorso
Afrsyb, chiesto a Prn indizio di
lui

di

un guerriero

intanto,

in aiuto di

Rustem. discende a sfidarlo in campo e uccide


il giovane Elva che soleva accompagnar sempre

Rustem

reggergli la lancia.

per vendicar l'amico,

fa

Rustem accorre

prigioniero

Kms

l'uccide.
Il

principe di Gina vorrebbe ora sapere chi

che d s tremende
uno de' suoi, mostrasi pronto a sfidarlo. Ma anche Cinghish
ucciso da Rustem, e Prn altro non sa fare che
sia

l'incognito

provo

di

guerriero

valore, e Cinghish,

mandare il fratel suo Human a chiedere se quello


Rustem veramente. Rustem dichiara che non
dir il nomo suo che a Prn, al (pialo, anzi,
desidera di parlare anche a nome di re Khusrev;
domanda perci un colloquio con lui. Prn si
reca da lui; e Rustem gli reca mille saluti e
benedizioni da parte di Khusrev per il quale
Prn ha fatto tanto, e gli offro, sempre in nonio
del suo re, asilo e protezione nell'Iran. Khusrev
poi, egli soggiungo, cesser dalla guerra solo
allorquando

gli

saranno consegnati gli autori


Afrsyb cio e Gar-

della morte di Siyvish,


svez e

45

lui,

come potrebbe viver

laddove

dura
quanto

loro congiunti. Prn intende la

necessit e non sa che rispondere;

si

tranquillo

Gderz,

troverebbe con

rosi figli furono

tutti

ma

uccisi

nell'Iran

cui valo-

nella battaglia di

Peshen o da lui o da' suoi congiunti? Egli adunque


non pu che ricusare l'offerta di re Khusrev.
Prn cos ritorna al campo, e i Turani pi
che mai si ostinano nel voler la battaglia, mentre
Rustem dall'altra parte esorta i suoi a diportarsi
da valorosi. S'impegna allora una nuova battaglia, nella quale cadono per mano di Rustem
molti prodi Turani, come Shengul, Sveh e
Kahr Kahni; lo stesso principe di Cina cade
prigioniero nelle mani di lui, e i Turani sono
sconfitti. Rustem invia lettere e
Khusrev per annunziargli la sua vittoria, e Khusrev gli manda in premio ricchissimi doni accompagnati da una lettera.

interamente
doni a re

Giunto Ferburz latore di quella lettera e di


Rustem prosegue il suo viaggio vittorioso e prende la citt dell'ingiustizia in cui

quei doni,

Ma Afrsyb che
ha saputo ch'egli
prepara nuovamente alla guerra

abitava Kfr l'antropofago.

ha udito
si

le vittorie di

avvicina,

si

lui

chiama in aiuto il principe Pldvend. Ma


anche con Pldvend i Turani sono vinti, e
Afrsyb fugge nuovamente e pi lontano. Rustem e Ts ritornano nell'Iran.
Un giorno che re Khusrev sedeva co' suoi
principi a bere in un giardino, ecco che arriva
trafelato un povero pastore che chiede soccorso
perch un onagro ardimentoso disperde e mette
in fuga le sue puledre. Quell'onagro non altri
che il Devo Akvn, e re Khusrev se ne avvede
ben tosto. Rustem richiamato dal Segestn
e

46

per la novella impresa; Afrsyab, giunto improvvisamente in quei paschi solitari, messo in
fuga da Rustem e il Devo Akvn messo a
morte. Il prode guerriero ritorna al suo castello,
carico di doni.
Intanto, alcuni poveri abitanti d'Irmn vengono a chieder soccorso perch un branco di
feroci cinghiali devasta tutti

loro campi.

srev promette ricchissimi doni a


quella impresa,
ricusano,

ma

eccetto

gli

sar

principi presenti

giovane

Bzhen,

di

bench contro la voglia


compagno Gurghn, figlio

del

Mld. Arrivato Bzhen a quei luoghi

mena
che

si

figlio

il

G-hv. Egli andr,

padre, e

tutti

Khu-

chi andr a

orribile strage dei cinghiali;

di

d'Irmn,

ma Gurghn

testimone del valore di lui e ne concepisce

secreta invidia, cerca

modo

di perderlo. Dettogli

pertanto che in quei luoghi suol venire a cele-

brar
di

la festa della

vaghe

primavera una bella compagnia

fanciulle del Turan, egli lo persuade

ad inoltrarsi nella selva; e Bzhen


in

un prato un'accolta

capo di esse sta Menzheh,

di bellissime
la

adorna

si

delle vesti sue pi belle e va, finch gli

si

mostra

giovinette.

figlia

di

Afr-

syab, la quale, avendo visto dalla sua tonda quel

vago garzone, manda la nutrice sua ad invitarlo.


Bzhen accolto nella tenda con grandissima

Menzheh s'invaghisce di lui e pensa radatagli perci una sonnifera bevanda,


Bzhen si addormenta e dalle fanciulle trasportato celatamente in un palanchino, coperto
da un volo, indio stanzi di Menzheh, nel patosta;

pirlo;

lazzo stesso di Afrsyab.

Ma

tosto se

ne d avviso

mandato a sorprendere

Garsvez circonda

il

il

padre

e 'rarsvez

crollalo

seduttore.

al

palazzo, entra a forza nelle

47

stanze di Menzheh laddove essa, con trecento

compagnia di Bzhen, celebrava una


Bzhen che vorrebbe resistere, preso e
condotto al cospetto di Afrsyb che lo condanna
ad essere appeso. Gi si rizza il tristo legno del
supplizio, quando giunge all'improvviso il nobile
Prn che fa sospendere l'esecuzione della condanna e domanda e ottiene da Afrsyb la vita
dell'infelice. Egli per condannato dal fiero
principe ad essere rinchiuso, carico di ceppi, in

ancelle, in
festa.

un orrido speco

fra

montagne

inaccessibili. L'a-

pertura dello speco dovr essere rinchiusa con


l'immane pietra che chiudeva gi la caverna del
Devo Arzheng. Menzheh intanto, discacciata dal
padre, va limosinando per le ville per provve-

dere

di

uno scarso cibo

il

proprio amante im-

prigionato.

Gurghn, intanto, ritornato solo nell'Iran, non


sa render conto del suo

compagno;

confusi e incerti lo tradiscono, e

suoi discorsi

Khusrev

lo fa

rinchiudere in carcere. Non sapendosi per in


qual parte della terra sia nascosto Bzhen infelice,

re Khusrev, dietro preghiere del desolato

di lui. con grandissima pompa e solennit


pone ad osservare una sua miracolosa coppa
nella quale si vedono manifesti tutti i secreti del
mondo. E infatti, nella coppa, si vede Bzhen

padre
si

imprigionato nella caverna nel Turan, custode


a lui una leggiadra fanciulla, in atto dolente e
disperato. G-hv allora, con

parte per
stem, e

il

una lettera

di

Khusrev,

Segestn a chiedere soccorso a Ru-

Rustem che

tosto si

colto con grandissima festa

reca nell'Iran, ac-

da Khusrev, interperdono per G-urghn e parte per il Turan,


travestito da mercante, a rintracciarvi Bzhen.
Poste le sue merci in vicinanza d'un castello
cede

il


di Prn,

il

finto

48

mercante

timida giovinetta che

gli

si

vede accostare una

chiede se mai nell'Iran

giunta notizia dell'infelice prigioniero. Rustem,

da principio, finge di non intender nulla, ma soltanto consegna alla mendica un pollo arrostito,
dentro al quale egli nasconde il proprio anello,
da darsi al prigioniero. Bzhen ritrova l'anello,
intende che Rustem venuto, e Menizheh, dietro
suggerimento dello stesso Bzhen, ritorna da
Rustem a domandargli s'egli il cavaliero di
Rakhsh. Rustem, all'udire il nome del suo destriero, si d a riconoscere e ordina alla fanciulla di accendere sul monte un gran fuoco che
serva di guida a lui, per la notte, fino alla caverna. Cos Rustem, con alcuni suoi fidi, giunge
di

notte all'orrido speco,

mane che

lo

quale poi e con

gli altri

nelle tenebre della noi

Afrsyb,

il

smuove

la

pietra

im-

chiudeva, e ne trae Bzhen, col


le.

d un terribile assalto,
alla reggia

(li

Afrsyb.

giorno appresso, insegue Rustem,

ma

prode guerriero allora, con


Bzhen e con Menizheh, ritorna nell'Iran, laddove ricevuto con grandissima festa da Khusrev, mentre si celebrano le nozze dei due gio sconfino da

vinetti

lui.

Il

che tanto hanno sofferto per

il

loro

amore.

Ma

l'audace assalto di

ripigli

esercito contro l'Iran.

con

le

Rustem

sue schiere

fa s

che Afrsyb

armi e meni un
Questa volta Kbusrev invia

con rinnovato ardore

il

le

prode Gderz,

giunto di faccia all'esercito

il

quale,

uranio, cerca di

ri-

gran contesa senza spargimento d


sangue. Prn, il capitano dei Turani, sembra che
voglia accettare, ma ci soltanto per guadagnar
tempo e per darne avviso ad Afrsyb. Gli eserciti
cos stanno lungo tempo inoperosi l'uno in faccia

comporre

la


dell'altro, e gi

Human

49

Bzhen da una parto con Ghv,


Prn si lagnano impa-

dall'altra con

zienti di tanta inerzia.

campo

senta al

Che anzi Human

si

pre-

degl'Irani chiedendo di combat-

tere con qualcuno di essi

ma poich

nessuno, per

espresso divieto di Gderz, osa prendere le armi,

rimprovera loro acerbamente cosi grande


vilt. Gderz, alfine, concede che Bzhen combatta col fiero Turanio; e allora, nella battaglia
che segu in un luogo appartato, alla presenza

egli

due turcimanni,

soltanto di

Human

cade ucciso

per mano di Bzhen che ritorna trionfante al


campo. Nella notte che segue, Nesthen assalta
gl'Irani, ma ucciso da Bzhen, e fra le due
schiere

appicca una accanita battaglia.

si

rinforzi a

Gderz chiede

Khusrev che

glieli

invia mandando anche Ts nel Dehistn per dividere le forze del nemico. Anche questa volta,
Prn finge di volersi accordare con Gderz, ma
ci soltanto

arrivati

per chiedere rinforzi ad Afrsyb;

quali,

si

capitani, tuttavia,

Fra i due
un accordo per cui deb-

ritorna alle armi.


si

fa

bano combattere soltanto undici campioni da


ambe le parti, per evitar spargimento di sangue,
intendendosi che sar vincitore quell'esercito ili
cui pure saranno vincitori i campioni. I campioni
Irani sono: Ferburz, Ghv, Gurzeh, FurhiL
Buhm, Bzhen, Hegir, Gurghn, Berteli, Zengheh
e Gderz; i campioni Turani sono: Kelbd, Gurv,
Siymek, Zenguleh, Barman, Hym Sipehrem,
Endermn, Kuhrem, Ekhvst e Prn. Tutti i
turani cadono sotto i colpi degi'irani, eccetto
Gurv che fu l'uccisore di Siyvish egli invece,
preso da Ghv, mandato a re Khusrev. Prn
cade per mano di Gderz, e Lahk e Fershd;

verd, suoi luogotenenti, intesane la morte, fugFlRDUSI,

I.

50

Ma

Gustehem
al campo
degl'Irani i cadaveri sanguinosi. Khusrev intanto,
l'atto mozzare il capo a Gurv, comanda che ai

gono desolati dal campo.


li

inseguono,

li

Bzhen

uccidono e ne riportano

caduti campioni dei Turani e a Pirn special-

mente

dia onorifica sepoltura.

si

rani ottengono da

superstiti

Tu-

pregando, e salvezza e

lui,

perdono.

A
il

questo punto Firdusi per un poco interrompe


le lodi di Mahmd e per la-

racconto per far

mentarsi della tarda et sua. della povert e


dell'obblio in cui vive.

Ma ormai
prendere

tempo nel quale dovranno


armi Khusrev e Airsyb, avo e

giunto

le

nipote, nemici

preparano

Le

il

fra loro

per fatale necessit. Essi


gli eserciti stanno

schiere, e gi

a ironie l'uno dell'altro,

Khusrev

di

messaggio

lei

tesori e

di

il

'li

figlio di

padre. Airsyb

tentar

la

a voler

la

fa

mille offerte

doni e di terre, confessandosi col-

pevole della morie


a

quando giunge presso

Afrsyb, Shdah, con un

Khusrev insiste
guerra. Ma Khusrev risponde che

non desidera ne doni n offerte,


vendei la; e poich un combattimento

egli

Afrsyb,

pronto

Siyvish, bench

di

-orlo delle armi, se

tra nipote

avo,

ma vuole
Ira

lui

non potrebbe che

un certo senso di morale, cos egli


combatter con Shdah, bench Shdah sia suo

offendere

Shdah nel dindio atterrato


Khusrev che. lamentando il fato che

zio.

a
fa

ucciso da

lo costringe

macchiarsi del sangue de' suoi congiunti, gli


dare onorevole sepoltura. Segue una battaglia

fra

Irani e Turani; Afrsyb fugge e

manda

la

notizia

della

re Kvs, nell'Iran.
taglia, e

sua vittoria

al

Khusrev
vecchio

Segue allora un'altra

Airsyb sconftto

si

bat-

ripara in Bihisht-

Gang, donde chiede soccorso all'Imperator della


Cina. Raggiunto anche l da Khusrev, egli manda
figlio suo Ginn da Khusrev con proposte di
il
compor la gran contesa; ma anche questo proposte sono rigettate.

Riprese
e

le ostilit,

Khusrev prende Gang-dizh,

Afrsyb riprende

la via

prigionieri dietro a s

della

fuga, lasciati

Ginn e Garsvez, mentre

di Afrsyb, cadute in potere del vinda lui in dono la vita. Egli


ottengono
citore,
allora d notizia a re Kvus della sua vittoria.
Ma intanto Afrsyb ritorna con i rinforzi

donne

le

dell'Imperatore della Cina. Gi si schierano gli


quand'egli, per un ultimo tentativo,

eserciti,

ma

avanza ancora,

inutilmente, proposte di pace.

Afrsyb tenta un assalto notturno e fugge; l'Imperatore e il Principe della Gina domandano la
vita in dono a Khusrev, che invia i prigionieri
e la preda nell'Iran al vecchio re Kvus. Proseguendo il suo viaggio trionfale, egli si avanza
verso la Gina e

Mekrn

del

il

Mekrn, laddove soltanto

il

re

osa resistergli; per ucciso da lui

Khusrev passa il mare di Zirih pieno


nuovi e spaventosi, e Afrsyb fugge
sempre dinanzi a lui, solo, desolato, senza trovar
rifugio in alcun luogo, finch Khusrev, non sapendo pi nulla di lui. si ritrae in Siyvish-ghird
in battaglia.

di esseri

e di

l nell'Iran, presso

il

re Kvus.

Intanto, Afrsyb, stanco e affamato,


in

una caverna. Un

pio

uomo,

di

si

ritrae

nome Hm,

un giorno, ode
che si lamenta e chiede a Dio
regno o di farlo morire. Quella

della discendenza di re Fi dn,

una voce

di tale

o di rendergli

il

voce di 'Afrsyb; Hm allora discende nella


caverna, si avventa sul misero e lo lega con un
laccio per trascinarlo ai piedi di re Khusrev. Ma

Hm

Afrsyb supplica
ottenuto

ci,

egli

di rallentare

scioglie e

si

si

suoi nodi;

getta nel lago

di Khangest o Gciast e sparisce in quelle acque.


Gderz, intanto, passava da quelle parti; udito
il racconto di Hm, ambedue si recano da Kvus

e da Khusrev che allora stavano adorando in


un tempio del fuoco. Anche l. Hm racconta il
fatto e consiglia a re Kvus e a Khusrev di
menar sulle sponde del lago il fratello stesso di

Afrsyb, Garsvez cio, ora prigioniero, e

di bat-

duramente, acciocch Afrsyb, udendo i


lamenti del fratello, esca dalle acque. Ci succede appunto come Hm aveva predetto. Afr-

terlo

syb nuovamente preso nel laccio, trascinato


ai piedi di

Khusrev che non ascoltando alcuna

preghiera,

gli

Anche

vendicata
Il

re

recide

capo

il

mano.

propria

di

a Garsvez tocca la stessa sorte, e


la

morto

di

Kvus muore poco

dopo aver resa

libert a

la

posto a regnare nel

cos'i

Siyvish.

Turan

Khusrev,
dopo averlo

stante, e

Ginn

in luogo di Afrsyb,

temendo di aver troppo duramente vendicata la


morte di Siyvish, perch Afrsyb era pur
sempre il padre della madre sua. si ritira a vita
solitaria, dedito
I

interamente a pratiche religiose.

grandi del regno chiedono udienza,

Iure

esponendo

simi

e Zl, invitali

re vini

il

ragioni di ci ch'egli

le

da

vengono

essi,

fa.

Mu-

dal Segestn

e fanno loro rimostranze a re Khusrev,

ma

in-

vano. Egli per, gi prima, aveva avuto in sogno


la rivelazione

della sua vicina morie: e perci,

dopo aver risposto

alle

rimostranze dei principi

e accolte le loro scuse, lasciati a tutti

suoi pa-

terni e amorevoli consigli e designato Lohrsp,


della

discendenza

di

Pishin

suo successore, egli d a

tiglio di

tutti

Kobd, per

l'estremo addio.


Partitosi

53

reggia con alcuni principi che

dalla

Khusrev

dolenti l'accompagnano,

pianura deserta.

stogliere gli eroi dal seguirlo


le

si

avvia ad una

cerca dapprima

egli

di di-

descrivendo loro

asprezze del viaggio. Rustem, allora, e Zl e

Gderz ritornano; ma

gli altri,

Ghv, Gustehem,

Ts, Bzhen e Ferburz, rimangono. Con questi


compagni, re Khusrev arriva la sera ad una
fonte, si

Gli eroi
di lui,

bagna in essa e poco stante sparisce.


rimangono intorno alla fonte a parlar

finch

il

sonno

li

vince ed essi

mentano. Sopravviene
neve; la neve seppellisce

allora

un poco

si

freddo

ha

li

si

addor-

una tempesta

riscuotono, tentano di parlare,


vinti, e

corpi per seguire

ha preceduti

il

il

di

dormienti; essi per

ma

il

loro spirito fugge dai loro

loro signore che di poco

li

nella via del cielo.

Il regno di Lohrsp, la cui


Il re Lohrsp.
residenza ora in Balkh, non pi in Istakhar,
come prima, incomincia con una contesa tra lui

il

figlio

suo Gushtsp,

il

quale

lagna dinanzi

si

come servo,
padre di essere
Zerr lo rifratello
Il
corte.
dalla
fugge
e per
conduce dinanzi al padre; ma egli, nuovamente
sdegnato con lui, fugge di notte e si volge verso
trattato da lui

al

il

paese

di

Rum

o di Grecia.

egli vive a principio

una

vita di slenti,

poich, per vivere, chiede invano di essere im-

piegato in qualche ufficio


stalliere o

come

piet in casa da

come scrivano o come

fabbro, finch poi accolto per

un borgomastro che

della di-

Frdn. Intanto l'Imperatore di


scendenza
che la sua prima figlia, la
bandire
Grecia fa
bella Ketyna, deve scegliere uno sposo, e Gudi re

shtsp, sollecitato dal suo ospite, va a quel concorso, laddove la fanciulla,

che l'aveva veduto

54

in sogno, lo sceglie per isposo. L'Imperatore, sdegnato di aver per genero un uomo di umile e

oscuro lignaggio, discaccia i due sposi che si ritraggono a vivere fuori eli citt. Ketyna vende
i suoi gioielli per vivere, e Gushtsp si occupa
della caccia.

Intanto un principe di Grecia. Mrn, desidera


impalmare la seconda figlia dell'Imperatore, ma
essa non sar data che a colui che uccider un
terribile lupo che abita la selva di Fskn. Mrn
che non si sente da tanto, per mezzo del barcaiuolo Hshy, ottiene che Gushtsp compia per

impresa. Cos Mrn ottiene

lui la pericolosa

bella figlia dell'Imperatore.


tello di Mrn, desidera

la

Anche Ahren,
terza

la

fra-

dell'Im-

figlia

per ottenerla, dovr uccidere


un dragone sui monti di Sekl. Anche questa
impresa compiuta per lui da Gushtsp, e Ahren
ottiene la sposa. Cos L'Imperatore crede di aver
peratore,

date
e

le

ma

suo

('-li.

figlie

minori a (\ur uomini valorosi

gagliardi.

Ma un
generi

-ionio, india palestra di

danno prove

di

valore e

lui.

di

duo suoi

destrezza,

pure, dietro suggerimento di


Ketyna, vi si reca. L egli d straordinarie
prove di valore, e il greco Imperatore, preso da
meraviglia, domanda chi egli sia. Gushtsp si fa
conoscere per il discacciato sposo di Ketyna,

e Gushtsp, egli

aggiunge anzi che egli uccise il lupo di Fskn


o il dragone di Sekl e designa a fargli testimonianza il barcaiuolo Hshy. Ormai l'Imperatre
.'
Ketyna pi non dubitano ch'egli non si;i
d'alto e nobile

gato

del

lignaggio;

proprio

nome,

ma Gushtsp,
dico

interro-

chiamarsi

Far-

rukhzd.
L'Imperatore, avendo un prode di

tal

vaiolo.

pensa

di

sottomettere

dei Ivhazari,

che

riottoso Ilys, principe

il

fino allora gli

negava

il

tributo,

e Gushtsp lo fa prigioniero in battaglia. Ci d

animo all'Imperatore a tentar cose maggiori, a


chieder cio

il

tributo dell'Iran dal re Lohrsp.

Ma Lohrsp che non ha mai

inteso dire

dm

re dell'Iran debbano pagar tributo all'Imperatore,


invia tosto in Grecia

pianar

il

figlio

le difficolt insorte,

fratello, lo fa

suo Zerr per ap-

e Zerr riconosce

il

conoscere all'Imperatore per Gu-

shtsp, figlio dello stesso Lohrsp, e lo riconduce


con la sposa nell'Iran, laddove il padre gli ceder il trono e la corona. Lohrsp, infatti, lo
riceve con giubilo e con festa, lo designa re e
si ritira a vita religiosa in Balkh, in una specie
di

eremitaggio detto Nev-behr.

questo punto Firdusi interrompe

il

raccordo

per dire d'aver visto in sogno l'anima di Dekki


e d'averne ricevuto il comando o la preghiera
d'inserire nel suo Libro dei Re un migliaio di

che Dekki aveva composti intorno

distici

regno
Il

di

al

Gushtsp.

re Gushtsp.

Il

regno

Gushtsp

di

se-

gnalato a principio dalla venuta di Zerdusht,

il

Zoroastro degli antichi, apportatore di una nuova


fede.

Il

re e tutti

nuova dottrina;

ma

suoi

principi

tosto giunge

accolgono

una

la

lettera di

Argisp, re del Turan, che rimprovera a Gushtsp


la

sua conversione. Gushtsp risponde e si prepara

alla guerra,

dopo avere interrogato

il

sapiente

Gimsp intorno all'esito di essa. Nella prima battaglia, come Gimsp aveva predetto, cadono i
pi illustri degl'Irani, compreso lo stesso Zerr,
fratello di Gushtsp. La sorte per delle armi
favorevole agl'Irani; Isfendyr, valoroso figlio
di

Gushtsp, uccide Bderefsh, e Argisp scon-

56

ftto e posto in fuga. Ritornato Gushtsp in Balkh,


Isfendyr mandato da lui attorno pel regno a

bandir la nuova fede.

Ma
rezm

intanto ch'egli assente,

maligno Gu-

il

tanto fa con le sue calunnie, che Gushtsp,

al ritorno del figlio, lo fa caricar di ceppi e get-

tare in carcere. Uditosi ci da Argisp, egli

ri-

prende animo e coraggio e raduna un esercito


contro di Gushtsp.
A questo punto, dichiara Firdusi che qui ter-

minano

versi di Dekki.

Argisp intanto entra a forza in Balkh e uccide vicino agli altari il vecchio re Lohrsp. Di
ci si d avviso a Gushtsp che allora era nel
Zbul, ond'egli tosto accorre con le sue schiere

ripara sopra
il nemico. sconfitto e si
un monte; e gi ogni cosa parrebbe disperata,

contro

quando

si

pensa a liberare Isfendyr, perch egli

mutare

solo potr

mandato dal

re,

la sorte delle armi. Gimsp,

gli

dyr, assalito con

riconduci

figlio,

il

poderoso esercito

Isfen-

schiero

le

dei Turani, ottiene splendida vittoria.

Isfendyr, allora,

domanda

-no

chiedendo ch'egli si
come gi Lohrsp aveva
ricusa apertamente,

a compier
e

ucciso

la

il

ma

guerra
pialo

fatto.

Gushtsp non

solitaria,

soltanto sprona

avr

di
il

il

si

figlio

Argisp, vinto
regno.

Isfen-

ai-ma. parte per

dyr obbedisce al padre,

si

guerra e incontra per

via (piasi

la

padre

al

a vita

contro

egli

regno

il

ritiri

le

la

stesse av-

venture che gi incontr Rustem andando nel


Mzendern. Uccide due lupi, uccide due leoni,
uccide un dragone, uccide una maga, uccide un
augello Smurgh, supera una tempesta di neve,
e passa un fiume profondo. Giunge finalmente
alla

Rocca

di bronzo,

dov'erano rinchiuse e

te-

Di
le sue sorelle. Egli vi giunge
mercante e le sue sorelle che erano
discese ad una fonte ad attinger acqua, lo rico-

mite come schiave


travestito da

noscono. Penetrato nella rocca co' suoi guerrieri,

mena

egli vi
fa

orribile strage, uccide Argsp, ne

appendere

figlio

il

libera le proprie

Kuhrem ad un

sorelle.

nunzia allora a Gushtsp

Una sua
la

palo, e

lettera

an-

sua vittoria.

domanda

ora, in premio de' suoi


Gushtsp richiede da lui
un'altra prova. Egli osserva che Rustem che
gi rese tanti servigi agli antichi re, ora se ne

Isfendyr

servigi,

il

trono,

ma

sta inerte nel suo castello e ricusa di riconoscere


la religione di Zerdusht.

vinca in singoiar
tragga,

Vada adunque

tenzone

carico di catene,

Isfendyr a malincuore

si

il

Isfendyr,

vecchio eroe e

lo

nel cospetto

del re.

sobbarca alla

difficile

ma

Gushtsp insiste,
e Ketyna soltanto, la madre del giovane eroe,
pu con le preghiere vincerne la ripugnanza.
Isfendyr adunque parte con le sue schiere per
il Zbul o Segestn, laddove, appena giunto, egli
invia il figlio suo Behmen con un suo messaggio
a Rustem, per il quale il vecchio principe invitato a presentarsi alla corte di Gushtsp come
e poco onorevole impresa,

schiavo.

Rustem

trovasi alla caccia e

Behmen

reca laddove egli sta cacciando; l testimone di alcune prove di valore e di forza

si

inaudita di Rustem. al quale poi egli


figlio

si

rivela

come

da Rustem a mensa,
suo messaggio, al quale Rustem,

d'Isfendyr. Invitato

Behmen espone

il

impensierito e dolente, risponde tosto,

bench,

con molta moderazione, che egli pronto all'obbedienza verso il suo re, dal quale anche accetterebbe
catene s'egli fosse colpevole, ma rifiutando
sempre, come innocente, l'oltraggiosa proposta.

le

58

Rustem, allora, da una parte e Isfendyr dalconvengono sulle sponde dell'Hirmend a


parlar fra loro e il primo si mostra ossequioso
l'altra

e modesto dinanzi al

figlio del

suo re e lo invita

sua casa, mentre Isfendyr si ricusa di accettar quell'invito e comanda a Rustem, bench
a malincuore, di prendersi da lui le catene e di
alla

presentarsi a re Gushtsp.

sdegnoso e

Rustem

l'oltraggiosa

l'afflitto

ricusa tra lo

proposta e

ri-

torna presso di Zl nel suo castello. Di l egli


ritorna ancora presso di Isfendyr a lagnarsi

con

lui

perch

egli

non

gli

ha

alcun invito

fatto

ne scusa; segue per un


lungo diverbio nel quale e l'uno e l'altro eroe
viene magnificando la propria nascita e i proprii
fatti di valore, mentre ciascuno vorrebbe attemeriti dell'altro. Alla line per amnuare
ospitale, e Isfendyr se

bedue,

per

un

momento rappaci

li

cali,

stanno

insieme per alcun tempo a mensa bevendo del


vino e favellando amichevolmente e promettendosi di provarsi con le armi, finche Rustem ritorna al suo castello e l egli racconta ogni cosa
a Zl e al frate! suo Zevreh.

Al d che segue, si appicca la battaglia, e nella


mischia cadono trafitti due dei figli d'Isfendyr,

Nsh-zer e Mihr-i-nsh.

Ma Rustem

sopraf-

fatto dal valore del suo avversario e fugge sopra


un monte. Alla dimane egli ritorner alla battaglia.

suoi

Isfendyr, intanto, piange

duo

figli

e ne

la

morte

invia a Gushtsp

mentre Rustem, nella

la

notte, desideroso di

dei

bara,
vin-

cere l'avversario, col padre suo prega di aiuto


protettore della loro casa.
il Smurgh, l'antico
Il

divino augello appare improvvisamente e dila vita d'Isfendyr dipende da un

chiara che

ramo

di terebinto

che cresce sulle sponde del

59

mar di Cina; chi per doprer quel ramo come


arma in guerra, sar infelice in questa vita e
dannato nell'altra. Rustem, piuttosto che coprirsi
di vergogna, accoglie bramoso la proposta del
Smurgh, dal quale guidato quella notte stessa
sulle sponde del mar di Gina. L egli coglie quel
ramo, ne forma una freccia, e con quella, al mattino, si presenta da Isfendyr per combattere con
lui. Isfendyr ferito in un occhio (sola sua

Rustem con la portentosa


campo dopo aver lamentato

parte vulnerabile) da
freccia e
il

muore

sul

suo destino e raccomandato con molte pre-

ghiere

il

figlio

figlio di

bara

al

Behmen

suo

assiste piangendo

al

al

vecchio eroe, che

suo trapasso. Beshten, altro

Isfendyr, con molto pianto ne reca la


re Gushtsp. Nell'Iran immenso il cor-

doglio per la morte del giovane eroe. Rustem intanto fa per lettera le sue scuse al re Gushtsp,
che gli risponde accusando piuttosto il destino

che il vecchio guerriero d'ogni sua sventura, e


richiama a se Behmen che Rustem aveva intanto educato.

Ma

ormai anche Rustem deve soggiacere al


Nasce a Zl, nella sua tarda
comune destino.

et, un figlio, a cui viene imposto il nome di


Sheghd e del quale gl'indovini predicono le
cose pi triste. Zl lo manda a educare presso
il

re del Kabul,

che,

quando

d in isposa

Ma

poich

ogni anno a

il

il

quale

gli

pone tanto

affetto,

fanciullo giunto a pubert, gli

una sua

figlia.

Kabul era obbligato


mandare a Zl come tributo un
il

re

del

cuoio di bue in segno di sua inferiorit,

cos

egli s'accorda con Sheghd sul modo di liberarsi


da quella gravezza. Anche Sheghd geloso

della gloria del fratello. Pertanto, dietro accordo


preso,

CO

re del Kabul, in

il

un

convito, tdla pre-

senza dei principi e dei grandi, chiama vile e


dappoco Sheghd; e perch Sheghd si vanta di
aver per padre Zl e per fratello Rustem, il re
del Kabul anche di questi si fa giuoco e belle.

Sheghd

allora, fingendo

gran disdegno,

lascia

amici suoi si reca nel


il convito e con alcuni
Zbul laddove a Rustem racconta ogni cosa accaduta.

Rustem ne concepisce
mette
i

altissimo disdegno e pro-

Gi

egli raccoglie

gli fa

intendere elio

al fratello di vendicarlo.

suoi guerrieri,

ma Sheghd

meglio sar se verr con pochi, e Rustem bonariamente lo compiace. Intanto il re del Kabul

ha

perte
di

scavare

fatto

fosse

sommo

Rustem,

incontro,

leva

un luogo da caccia molte

in

profonde armate

le

si

egli

'li

di punti 1 di

erb

li

ferro e rico-

paglia. All'arrivo

muove umilissimamente

toglie

'lai

capo

scarpe dai piedi e

la
si

al

suo

indiana,

tiara

si

prostra al suolo,

chiedendo poi-dono. Rustem non solo perdona,


ma anche accolla con gioia l'invilo di recarsi
a cacciare con Ini. Appena culi entralo noi
luogo della caccia, Rakhsh che sente l'odor della
terra sconvolta di fresco, s'impenna atterrito, ma

Rustem
tonda

lo

l'ossa

sprona innanzi e cade

una

in

pro-

ferendosi mortalmente. Egli per ha

tanta forza ancora da riguadagnare l'orlo della


fossa

riveder

Sheghd che

si

la

luce; l vede

ride di

lui,

che

si

il

fratel

suo

confessa au-

ha fallo
che Rustem nella sua Lunga

tore did reo inganno e dichiara ch'egli


ci per vendicar laidi

carriera ha uccisi. Rustem chiede a Dio tanto

almeno da punir L'orribile delitto, indi,


con quell'unica freccia che gli restava, trafigge
Sheghd che tremante si era nascosto nel cavo
di forza

61
vicino. Chiesto

un albero

di

sue

colpe, egli

anche il
anche Rakhsh,

un'altra

stante;

suo

fratel

t'ossa

muore

perdono a Dio delle

muore poco

fedel

il

umore

in

Zevreh e

destriero

di

Rustem.
Il

vecchio

Zl,

avuto quell'annunzio, prorompe

Fermurz, il figlio di Rustem, si


reca nel Kabul a toglierne il corpo del padre.
Egli ne trasporta il cadavere al paterno castello
e l ne celebra con gran pompa i funerali. Pigliate poi le armi, egli entra nel Kabul, lo mette
e

in gemiti,

a ferro e a fuoco e ne uccide il perfido e reo


principe. Muore intanto Gushtsp, dopo aver designato per suo successore

giovane Behmen,

il

figlio d'Isfendyr.

A questo punto cessa la parte veramente


eroica e leggendaria del Libro dei Re, che, dopo
alcune leggende insignificanti, passa alla storia
Sikender o Iskender (Alessandro Magno), a
quella degli Arsacidi e finalmente a quella dei
Sassanidi coi quali si giunge al 051 dell'Era
di

volgare.
Il

Behmen.

re

Primo

pensiero di

Behmen

morte del padre suo,


entra nel Segestn con un eser-

quello di vendicar la

ond'egli
cito,

il

tosto

vecchio Zl viene a chieder perdono.

Ma Behmen

lo fa

battaglia, uccide

Resa

poi,

caricar di ceppi, indi, in una

Fermurz,

il

intercessione

per

figlio di

di

libert a Zl, egli sposa la propria

figlia

la

Humy,

regno a chi nascer da lei. Il


offeso di ci a ragione,
Ssn,
maggiore,

promettendole
figlio

Rustem.

Beshten,

il

fugge dalla casa paterna, e


stante.

Morto Behmen, frutto


Humy, nasce un fanciullo.

La regina Humy.
delle sue nozze con

Behmen muore poco

62

perch essa vuol regnar libera e non come

Ma

tutrice del re ancora infante,

mente

rinchiudere

fa

il

Humy

nascosta-

fanciullo in un'arca di

legno e gettar nell'Eufrate. Un lavandaio raccoglie quell'arca, la reca alla sua donna, e tutt'e
stupiti di trovarvi

due restano

cora in fasce, tutto adorno

un fanciullo an-

di pietre

preziose.

Al fanciullo fu posto il nome di Drb, perch


fu ritrovato nelle acque.
Drb cresce bello e gagliardo e male si acconcia alla vita umile del lavandaio. La moglie di

un giorno

costui gli rivela

in qual

modo

egli sia

Drb, udendo che un esercito

stato trovalo, e

dell'Iran va contro

Greci, chiede e ottiene di es-

Una notte, Rishnavd,

servi compreso.

il

capitano,

dall'angelo Sersh ha rivela/ione dell'essere vero


di

Drb.

sconfigge
vigliato,

Il
i

giovane d inaudite prove

narrando tulio

regina. Questa

riconosce

ci
il

e pentita lo richiama a s
Il

re Drb.

Il

una

con

comincia

'li

valore,

Greci, e Rishnavd ne scrive mera-

che ha saputo, alla


suo in Drb
e lo proclama re.
tglio

breve regno
spedizione

Shoaib che tentava invadere

di

Drb

contro

l'Iran.

in-

l'arabo

Drb. vinto

Grecia dove
Faylaks (Filippo di Macedonia), che
vince e col quali' conchiude anche una pace,

Shoaib, dall'Arabia

si

volge verso

la

regnava
egli

ottenendone in matrimonio la figlia di nome


Nhd. Ritornato nell'Iran, egli rimanda la sua
sposa, pia incnta, in Grecia per guarirla da un
grave incomodo con un'erba che vi cresce, delta
ishender. L essa d alla luce un fanciullo a cui
vien posto

il

nome

sandro Magno).
Il re Dar.

regno

il

figlio

di

Iskender o Sikender (Ales-

Morto Drb, gli succede nel


Dar (Dario Godomanno), natogli

03

da altra donna, minore perci del fratello Iskene

ora in Grecia. Morto in questo tempo

Faylaks, Iskender prepara una spedicontro L'Iran che

gli spetta per diritto di


prepara a tenergli fronte.
reca alla presenza di Dar come

Dar

nascita, e

rider

si

si

ygiero d'Iskender stesso;


scinto in

tre

l'altra,

domanda

egli
(il

soccorsi

la

tosto

una
Dar

pace,

ma

in-

Fr principe

re Poro); ci che risaputosi da Isken-

der, lo determina a ripigliar le armi.

ancora,

ben

quali

battaglie, nelle

ad Iskender chiedendo

d'India

ma

reale. Seguono,

finche egli fugge nel Kirmn. Di l egli

tto

tanto

un convito

ma

Dar fugge

ferito a morte da due suoi perfidi

ministri. Iskender accorre tosto e udite le ultime

parole di Dar morente che

gli

raccomanda

la

sposa e la madre, data onorevole sepoltura al

morto

re,

uccisori di

fa

appendere ad un legno

perfidi

lui.

re Iskender sposa Rmorto Dar. Intanto, un


principe d'India, di nome Kayd, vede alcuni sogni
meravigliosi che soltanto il saggio Mihrn gli'
Il

re Iskender.

shanek,

la

figlia

Il

del

sa spiegare, predicendogli

anche, tra

le

altre

venuta d'Iskender. Iskender, infatti, si


avvia con un esercito contro di lui, e gli scrive,
e Kayd gli risponde annunziandogli ch'egli ha
presso di s quattro cose meravigliose, pronto a
cose, la

mandarle ad Iskender quand'egli le desideri.


Iskender invia suoi cavalieri a veder quelle cose,

Kayd gli manda una fanciulla, una coppa, un


medico e un filosofo, dei quali poi Iskender fa
le prove, esperimentandone il significato e l'utilit. Segue la spedizione di Iskender contro il
re Fr, che cade ucciso in battaglia.
e


Qui cominciano

le

64

molte e diverse e confuse

avventure d'Iskender, e prima di esse viene la


sua andata a visitar la Kaaba, la sacra pietra
nera, adorata dagli Arabi. Da Giuddah Iskender
discende in Egitto, e di l egli scrive a Kdfeh
regina di Andalusia e ne riceve risposta. Andando
verso l'Andalusia con l'esercito, prende la rocca
del

re Fervali

che cade

in

battaglia.

Allora

messaggiero d'Ilo riconosce e


che
skender stesso dalla regina
per lui
pericoloso
molto
gli fa intendere esser
egli si reca sotto le spoglie di

il

seguir quel suo costume di travestirsi da mesil figlio di lei, Tnsh,

saggiero, tanto pi che

sdegnato contro di lui e

brama ardentemente

porlo a morte. Iskender, grato alla regina,


conchiude con lei un patto di alleanza e ricondi

duce di l
Iskender

l'esercito.

reca nel paese dei Brahmani e


danno alle sue oscure
ed enigmatiche interrogazioni. Seguono, la sua
andata al mare d'occidente, la sua vittoria sulla
gente di Abissinia, la sua andata alla citt dei
Nerm-py o Piedi-deboli, l'uccisione di un drago
si

ascolta le risposte che essi

su di un monte, laddove egli intende predirsi


la sua morte, la sua andata alla citt di Harm,
la citt delle donne, la sua andata al paese delle
tenebre, laddove egli cerca invano la fonte della
vita che dona a chi ne beve eterna giovinezza,
il

suo colloquio con

gli

uccelli

parlanti e con

Isrfl, l'angelo della morte, che gi tiene in


pugno la tromba, attendendo da Dio il comando
di svegliar con quella i morti per il giudizio

finale.

Segue il viaggio d'Iskender verso Oriente, laddove egli innalza una barriera di metallo contro
le invasioni di Ygig' e Mgig'. Nei paesi

65

d'Oriente egli vede nuove meraviglie

un

sopra

uno splendido palazzo, ritrova un


morto che gli predice la sua vicina morte interroga gli alberi parlanti che gli ripetono la
predizione, aggiungendo ch'egli non rivedr mai
pi la madre sua. Tristo e dolente, Iskender si
monte, in

volge verso la Cina e reca, in qualit di messag-

una sua lettera a quell'Imperatore.


Segue il viaggio d'Iskender verso il Mezzogiorno; e primieramente egli fa la guerra agli

giero,

abitanti del Sind, poscia discende nel


di

muove verso

vati in

una

Entrato

in

al

Yemen

dopo aver

Babilonia,

tro-

Khusrev.
una lettera
suo maestro Aristotele e un'altra alla madre
citt

tesori dell'antico re

Babilonia,

egli

scrive

sua, ma poi, preso da improvviso malore, muore


ancor giovane, e i suoi principi gli danno sepoltura in Iskenderiyeh (Alessandria). Essi, insieme

madre e alla sposa di lui, ne piangono la


morte immatura.
A questo punto Firdusi interrompe ancora per
un poco il racconto per lamentarsi della sua trista
alla

sorte e per far le lodi del Sultano


I re

Ashgni.

Di

cio o Arsacidi, Firdusi

Mahmd.

questi re, degli Ashgni

non

ci

sa dir nulla. Egli

afferma che passarono duecento anni, nei quali

non pareva che vi fosse un re nell'Iran. Non


potendo adunque narrarne nulla, il poeta si appaga di darne i nomi che sono Ashk, Shpr,
Gderz, Bzhen, Ners, Ormuzd, Arish, Ardevn,
che aveva un suo luogotenente, di nome Bbek,
:

in Istakhar.

Firdusi non trov nulla

intorno a questi re

nelle fonti a cui egli attingeva, e

anche

la loro

storia molto incerta e oscura.

Intanto, Bbek,
FlRDUSI,

I.

il

luogotenente di Ardevn in
5


Istakhar, vede in sogno

nome

di

06

Ssn,, assiso,

un suo giovane pastore,


con una spada indiana in

pugno, sopra un elefante.


nella notte appresso fa
terpreti;

uno

si

Un

avuto

altro sogno

ch'egli interroghi gli in-

di essi gli

fa venirsi innanzi

serisce di esser

il

giovane Ssn,

sfendyr, allorquando

da
il

Humy,

Behmen,

Behmen

quale as-

e diede

il

figlio d'I-

spos la figlia sua,

regno

sarebbe nato. Bbek, pieno

lei

il

desto,

discendente di quel Ssn che

fugg sdegnato dalla casa di


la regina

un

predice che Ssn,

giorno, sar re deiriran. Bbek, appena

al figlio

che

di gioia, tiene

giovane in sua casa con molto onore e

gli

in isposa la figlia sua.

Frutto

di

questo connubio fu Ardeshir,

il

quale

cresce meravigliosamente bello e valoroso, tanto-

ch anche il re Ardevn ne sente parlare. Il re


una lettera a Bbek domandandogli il
fanciullo, e Bbek, piangente e desolalo, invia il
nipote alla corte. L il fanciullo diventa ben
presto il favorito del re; ma un giorno, mentr'essi erano alla caccia, Ardeshir atterra con
un colpo maestro un forte onagro. Sopraggiunto
scrive

il

re,

egli

vorrebbe l'onor di quel colpo,

ma

perch Ardeshir, nell'impeto giovanile, asserisce


che la fiera fu uccisa da lui, il re sdegnato lo
discaccia e lo

manda

dei destrieri reali.

Il

alle stalle a prendersi

cura

giovane offeso scrive una

lettera all'avo suo Bbek,

che gl'invia diecimila

cavalieri con denari e con consigli; e Ardeshir

con

essi

si

d a vita spensierata e a

sollazzi

d'ogni genere.

Ma

di lui erasi

invaghita la leggiadra Gulnra,

Ardevn e custode dei


due giovani facilmente s'accordano insieme e fuggono dalla reggia recando con

che era una


suoi

tesori.

bella di re

s una gran copia


del re.

Il

di

gemme

involate ai tesori

non appena ha

quale,

notizia della loro

pone adirato sulle loro tracce, inseguendoli a cavallo, ma invano. Ardeshr trova un
aiuto potente in Tebk, signore di Gihrem, e in
una battaglia che segue tra le genti da lui racfuga,

si

colte e tra le schiere del re,

mane

ucciso. Ardeshr

ha

il

poi

re Ardevn
uno scontro

ri-

coi

Curdi dai quali sconfitto, ripigliandosi poi la


rivincita in un improvviso assalto notturno.
Intanto, nella citt di Kugirn, viveva un uomo,

nome

di

Heftvd. La

figlia di

lui

soleva tutti

compagne;
giorni andar al monte a
una
mela abcaso
trov
per
un
giorno
ch'essa
e
battuta dal vento, nel mangiarne vi trov un
baco che tanto fil per lei da superar tutto ci
che avevano filato le sue compagne; e ci con
filar

con

le

grandissima meraviglia di esse e dei genitori di


lei.
Qui vi ha forse allusione al baco da seta.

Il

baco portentoso porta prosperit nella casa

di Heftvd; esso cresce smisuratamente tanto da

eguagliare nella grossezza un elefante, e ogni

re e ogni capitano che tenta

Heftvd a cagione
bilmente sconftto.
Ci

di

di

far

guerra a

quel baco, resta immanca-

non piace veramente ad Ardeshr che

muove guerra

a Heftvd,

ma

sconfitto, e Mih-

guasta e distrugge la casa. Ardeshr allora trova modo di far morire il por-

rek intanto

gli

tentoso baco che l'autore della potenza e della

ricchezza di Heftvd, e di fargli ardere la casa.


In una battaglia che segue, Heftvd cade trafitto

Il

e ogni sua ricchezza guasta e distrutta.

re Ardeshr.

dei Sassanidi,
glia di re

si

Ardeshr, primo della stirpe

era tolta in isposa anche la

Ardevn, ucciso

in battaglia.

fi-

Viveva


per in India un
meli,

il

quale,

regnasse,

08

nome

figlio dell'ucciso, di

Beli-

mal comportando che Ardeshr

manda

alla sorella

nascostamente un

veleno da propinarsi al re. La regina porge il


veleno ad Ardeshr in una coppa, e il re la
prende, ma nel prenderla essa gli cade di mano.
Ardeshr, presone sospetto,
line che, assaggiato

hench

il

fa

condurre alcune gal-

veleno, muoiono.

La

regina,

condannata a morte e un

incinta,

sa-

cerdote incaricato della esecuzione della condanna. Egli per la risparmia, la tiene in sua
casa, laddove essa poco stante partorisco
glio,

a cui

viene imposto

Ardeshr, un giorno,

non aver

ma

figli

si

il

nome

di

un

fi-

Shpr.

lamenta col sacerdote

di

e di essere perci molto infelice;

questa sua tristezza cambiasi all'improvviso

in gioia, allorquando

pi chiare,

gli fa

il

sacerdote, con

conoscer

il

figlio

le

prove

suo Shpr

aveva educato. Shpr ricevuto in corte


con ogni onore e fatto istruire dal felice padre
in ogni cosa bella a sapersi. Ardeshr intanto fa
ch'egli

interrogar Kayd,

il

principe d'India, intorno alla

sorto del suo regno.

Shpr, cresciuto negli anni, s'aggira un giorno


per la campagna e giunge ad una villaggio laddove, arso dalla side, chiedo da bere ad una
vaga fanciulla che sta attingendo acqua ad un
pozzo. Muli so no invaghisce e la sposa. Era essa

Mihrek, borgomastro del villaggio;


matrimonio con Shpr un
fanciullo a cui viene imposto il nume di Ormuzd.
la figlia di
e

frutto del suo

Re

Ardeshr. intanto, di cui <i loda l'altissima


prudenza, compone un libro di consigli per l'amministrazione del regno, porge gli ultimi suoi

consigli a

Seguono

Shpr

muore poco

stante.

diversi re dei quali l'epopea non narra

69

nulla di particolare, appagandosi di notarne gli

anni

di regno,

il

loro discorso ai principi,

appena

poche cose. Essi sono:


saliti al trono, e
Shpr che ha una guerra con l'Imperatore di
Grecia, Ormuzd, Behrm, Behrm figlio di Behaltre

rm, Behrm nipote

muzd

figlio di

Behrm, Ners

di

Nersi.

e Or-

Shpr
Il re Shpr figlio di Ormuzd.
nacque quaranta giorni dopo la morte del padre.
L'arabo Tir, entrato improvvisamente in Tisi fn (Gtesifonte), ne rapisce la bella Nsheh figlia
di Ners e zia del re Shpr. Ma Nsheh muore
ben tosto di cordoglio, dopo aver fatto Tir padre
di una fanciulla di nome Mlikeh. Shpr, per
vendicarsi, entra con

un

esercito nel

Yemen, ma

perdutamente la figlia di Tir


padre e passa nel campo di Shpr.

di lui s'invaghisce

che tradisce

La rocca

il

Tir presa, ed

di

egli

ucciso

in

battaglia.

Recatosi
peratore,

il

re in Grecia alla presenza dell'Imdell'Iran che viveva in quella

un uomo

reggia, lo riconosce per Shpr, e l'Imperatore,

a tradimento,
pelle

lo fa

prendere,

cucire in una
una casa abban-

lo fa

d'asino e rinchiudere in

donata. Ma l una vaga fanciulla, a cui dispiaceva che un giovane tanto leggiadro fosse rinchiuso nella lurida pelle di un giumento, trova

modo

di liberarlo e di

fuggir con lui nell'Iran,

laddove, appena entrato, ospitato da


giardiniere. Egli

allora,

per

farsi

un povero

conoscere ai

suoi principi, dopo aver fatto giurare l'ospite suo,


gli

consegna l'impronta del suo anello sopra un


di molle argilla, col comando di recarlo

pezzo

al sacerdote del luogo. Riconosciuto dai principi


il

suggello

reale,

tutti

si

raccolgono

festosi in-

torno al loro signore, e Shpr menato un as-

notturno all'Imperatore,

salto

vince e

lo

lo fa

prigioniero.
I

Greci, desolati,

glia

ma Ynus

con Shpr,

pongono

vinto. Essi allora

Shpr

sul trono Beznsh, e con lui

conclude una pace.


Sotto il suo regno
di

radunano intorno a Ynus


e vengono a batta-

si

dell'Imperatore

fratello

mostra come apportatore

si

una nuova dottrina

chiamato dinanzi

al

il

pittore Mani,

il

quale,

re a disputare e confutato

dai sacerdoti, fatto uccidere, la sua pelle, riem-

appendere a una doli'


Shpr, intanto, raccomandato
fratello Ardeshr il figlio suo, muore dopo un

pita

paglia, fatta

di

porte della
al

regno

settant'anni.

di

Seguono
di

citt.

Shpr,

regni

Ardeshr,

di

Behrm

di

Firdusi altro non

ci

Shpr

di

tiglio

Shpr, 'lei quali


discorsi teriferisce che
figlio di

momento di salire al Irono.


Yezdeghird. Re Yezdeghird ha un

nuti ai principi al
II

re

tglio, di nenie Behrm-gr, che egli


educare nel deserto dall'arabo Mundhir. Il

gagliardo
fa

giovinetto cresce
vigliose

caccia, sotto
line

della

Nomn

al

gli

sua

in

ogni

dovunque

prove

occhi

virt e ne d
e

stessi

mera-

specialmente

alla

Mundhir. Alla

di

educazione, egli ricondotto da

padre.

Avvenne per che un

mentre

-ionie,

il

re

sedeva a mensa e mentr'egli prolungava il convito fino a tarda notte, il giovinetto per sua disgrazia, preso dal sonno, socchiudesse alquanto gli

occhi. Irritato di ci, Yezdeghird


ricarlo di

ceppi e

Tnsh che veniva


re, gli

di

ottiene

il

di

di

chiuderlo

ordina

in

di

ca-

carcere:

ma

Grecia a recar

riindi al

perdono, e Behrm-gr, stanco

vivere nell'Iran, torna presso

di

Mundhir

in

71

un luogo vicino

Arabia. Yezdeghird, intanto, in

Sev della cui acqua egli si valeva


per guarire di una emorragia del naso, ucciso
da un cavallo che era uscito all'improvviso da
alla fontana di

quella fonte e poi vi era scomparso.

pongono sul trono un vecchio


e di animo
grande. Ma Behrm-gr che ha udita frattanto
la morte del padre, ritorna nell'Iran, vi conduce
un esercito datogli da Mundhir e gl'Irani si racGli Irani intanto

nome Khusrev, generoso

principe, di

colgono intorno a

Egli

lui.

cerca di far valere

presso di loro, parlando con acconce parole,


suoi diritti al regno,

ma

suadono, non piacendo

la

poco se ne per-

quelli

sua educazione stra-

proposta una prova.


La corona reale sar posta su di un trono eretto
in un campo e in mezzo a due leoni. Quello dei
due emuli, Khusrev e Behrm-gr, che toglier
la corona, sar re. Behrm-gr non solo toglie
la corona, ma anche uccide i leoni, e tosto con
niera, finch poi gli vien

gioia riconosciuto dagl'Irani per loro legittimo

signore.
Il

gr
cipi

re Behrm-gr.
si

Prima

suo regno,

del

.di

di

Behrm-

Il

prin-

perdonare agTIrani

loro colpe e di condonar loro


buti.

cura

quella di scriver lettere a tutti

le

residui dei tri-

suo regno per, specialmente nel suo

va segnalato da molte e curiose avventure che rendono piacevolissima la lettura


principio,

di questa parte del

La prima
l'acquaiolo

si

poema

di Firdusi.

la sua andata alla

Lanbek. Presentatosi

casa del-

alla

Lanbek come cavaliero smarrito per

porta di

la via, egli

riceve in quella casa del povero acquaiolo una cordiale ospitalit, mentre, recatosi a chiederla alla

casa di

Berhm

ricco giudeo, vi ricevuto a gran

72

stento, senza conforto di cibo, e costretto a rac-

cogliere le immondizie del suo cavallo. Fattosi


poi riconoscere per il re, egli dona a Lanbek le
ricchezze dell'avaro giudeo e costringe costui a
fare il mestiere dell'acquaiolo. Pi tardi egli proibisce l'uso del vino per le sconcezze a cui esso

conduce,

ma

ancora
sua mancanza produce.
Permettendo un suo ministro, per un momento,
per evitar

poi costretto a permetterlo

danni che

una specie

la

di socialismo in

un

villaggio

era mostrato poco rispettoso verso

il

che

re,

si

quel

villaggio distrutto dalla discordia e dal furore


stessi abitanti, e poi riedificato da un
vecchio che vi riconduce l'ordine e la tranquillit.
Behrm-gr intanto sposa le figlie di un mugnaio che gli avevano cantata una bellissima

degli

Gemshd, uccide un draun borgomastro, poi quella


di un gioielliere, passa una notte in casa del ricchissimo Fershidverd che si finge povero; ma
ballata, trova

gone, sposa la

figlia di

egli, uditi

tesori di

lamenti dei lavoratori di Fershidverd

nei campi, toglie all'avaro ogni sua ricchezza e


la spartisce fra quella

misera gente. Uccide leoni

e onagri alla caccia e ritorna poi co' suoi principi a


Il

Bagdad e ad Istakhar.

principe di Gina invade

dell'Iran

muovono

il

regno, e

grandi

acerbi rimproveri al re per

sua vita spensierata. Egli per accorre con


fa prigioniero il principe nemico, fa
un patto anche coi Turani e fa elevare una
la

le

armi e

pietra perch segni

il

confine dei due regni. Ci

fatto, egli

ritorna nell'Iran e l

un

di

libro

si fa

a comporre

avvertimenti, ha una disputa col

messo dell'Imperatore di Grecia intorno a cose


specialmente di morale, indi, licenziato il messo,
porge molti consigli ai suoi capitani.

73

Behrm-gr, sotto le spoglie di messaggiero,


reca da Shengul re dell'India che, al vederlo
operar cose meravigliose, sospetta chi egli sia
si

veramente e per vorrebbe impedirgli di ritornare nell'Iran. Ma Behrm-gr, per compiacergli,


uccide un lupo e un dragone, e il re Shengul
gli d in isposa una sua figlia. Intanto una lettera dell'Imperatore di Gina diretta a Behrmgr fa s che con la figlia di Shengul egli fugga
e ritorni nell'Iran. Shengul insegue i fuggitivi,
e li raggiunge, ma, conosciuto chi sia veramente
il genero suo, ne ha grandissima gioia, e, ritornato nel suo reame d'India, con altri sette re si
reca poi a visitarlo nell'Iran. Ultima impresa
di Behrm-gr si quella di chiamar dall'India
Lri, saltimbanchi girovaghi, per divertire

popolo suo che

Ma

si

lagnava

Lri divorano

le

di

non aver

il

sollazzi.

provvigioni loro date dal

con quel solo giumento ch'egli


aveva loro dato, per andar ancora vagando e
mendicando.
Morto Behrm-gr, seguono i regni di Yezdere e restano

ghird e
Il

di

Hormuz senza alcun

re Prz.

Il

trono, dopo aver fondate

guerra coi Turani,


Egli

ha una

resta ucciso.

battaglia col

ha una
Khoshnavz.
capitano nemico e vi
alcune

condotti

citt,

da

Balsh.
Luogotenente
combatteva coi Turani, era

Il re

egli

fatto d'importanza.

re Prz, appena salito al

di Pirz,
il

mentre

nobile Sfry,

che ora, per vendicare il suo re, intima guerra


a Khoshnavz, mentre Balsh, figlio di Prz,
sale al trono. Sfry ottiene vittoria e libera di

giovane Kobd, maggior figlio di Prz,


caduto prigioniero nelle mani dei Turani. Kobd,
pertanto, il vero erede del trono.
cattivit

il

re Kobd.

Il

verso

Ma Kobd

mostr ingrato

si

benefattore e liberatore,

'suo

il

Sfr}'.

accuse e alle calunnie dei maligni,


Cedendo
egli lo fa porre a morte. GTIrani allora, offesi
e irritati di ci, invadono a tumulto la reggia,
pongono in catene il re e lo consegnano a Rezalle

mibr,

msp

figlio

Sfry, e pongono Gi-

dell'ucciso

Ma Rezmibr

vede nel prigioniero


padre suo, bens il suo
principe e signore, e l'aiuta a fuggire. Kobd,
nella fuga, trova asilo presso un borgomastro di

non

cui

sul trono.

gi l'uccisore

del

sposa

figlia,

egli

la

Hejili, di l egli

ripara

si

presso

gli

tempo oppor-

ritorna poi in

tuno, e nel ritorno apprende che dalla sua sposa


gli

di

nato

un

figlio a

cui

impone

egli

il

nome

Anshrvn.

una specie di soMazdek, alla cui religione


si converte lo stesso Kobd. Ma Anshrvn si
mostra fiero nemico dell'innovatore. Invitato a
convertirsi, chiede tempo e raduna molti savi
da tutte le parti, che agevolmente confutano le
dottrine di Mazdek. Anshrvn allora fa seppellire a capo in gi con le gambe fuori del
Intanto, viene a predicare

cialismo

suolo,

L'impostore

in

Mazdek,

un

giardino,

principali

quel giardino. All'orribile spettacolo,

perde i
capo in

sensi, e

Anshrvn

seguaci di

Mazdek a

indi invita lo stesso

lo

il

visitar

misero

appendere a

fa

gi.

Muore

intanto

il

re Kobd, dopo aver dati

pi saggi consigli al figlio suo.


Il

re Kisra Anshrvn.

singolare esempio di sapienza


salito al trono,

tisce

il

regno

in

ammonisce

Questo gran
e

re,

appena

suoi principi, spar-

quattro parti, fa

l'esercito, riceve atto di

virt,

il

computo

del-

obbedienza dai principi,


innalza
gli

un muro

Alani e

Anche

le

75

tra l'Iran e

gli abitanti del

sue guerre

il

contro

Grecia sono coronate

Turati, e vince

Belcistan e del Ghln.

l'Imperatore

vittoria.

di

di

Egli prende

molte fortezze tenute dai Greci, espugna Antiouna nuova citt per collocarvi i

chia, fabbrica

prigionieri di guerra, e obbliga l'Imperatore a

pagargli un tributo.

un figlio, Nsh-zd, da una


donne che era cristiana, e quel figlio
pure allevato nella religione della madre. Caduto ammalato Anshirvn, il giovane spensieGli nasce intanto

delle sue

rato e ardente concepisce disegni arditi e


ribelle al padre.

Ma

re,

il

per mezzo

di

fa

si

Rm-

Berzn, prefetto di Madin, soffoca ben tosto quel


principio di ribellione, e Nsh-zd ferito in battaglia

muore

tutti

suoi fratelli in religione.

Anshirvn,

vede

intanto,

sogno che nessuno


il

dal vescovo e pianto da

assistilo

uno stranissimo

sa interpretare. Soltanto

gli

giovane Bzurc'mihr, venuto alla corte,

dire che significhi e

punire una tresca

di

gli

gli sa

trovare per esso e

fa

una

delle sue

donne nel

gineceo con un bel garzone entratovi furtiva-

mente. Da quel giorno, Bzurc'mihr sar


fedel consigliero del re, e nelle sette

Anshirvn imbandisce
spiega tutto

il

a'

il

pi

cene che

suoi principi, egli di-

suo sapere parlando

di

moltissime

e diverse cose, specialmente di morale.

Narrata la morte del saggio Mahbd e dei


figli, avvenuta per le arti di Zrn e di un
giudeo, e la punizione toccata ai rei appena furono
scoperti, segue il poema a narrare le opere di Anshirvn che fonda citt, intima la guerra al principe di Gina che aveva assalito Ghtker, principe
suoi

degli Heytli, e lo costringe a

domandar la pace,

la

76

quale conclusa a patto che il principe di Gina dia


ad Anshrvn la propria figlia in isposa. Mihrn-

andar a scegliere la sposa;


padre l'accompagna per lungo tratto di via, e

sitd incaricato di
il

Anshrvn dal Gurgn

ov'egli si trovava, ri-

torna in Ctesifonte.

Bzurc'mihr, intanto, spiega tutta


trina alla corte, e

il

re d'India

la

manda

sua dotin

dono

ad Anshrvn il giuoco degli scacchi, del quale


nessuno pu intender nulla, eccetto Bzurc'mihr
che in ricambio inventa e manda al re d'India
il nerdiludio o giuoco del tric-trac.
Segue la
leggenda del come fu trovato il giuoco degli
scacchi.
Mor un re nell'India e lasci un

unico
i

figlio di

nome Gav,

cittadini vollero

un re

e gagliardo, ed elessero

nome May. Appena

infante ancora. Allora

gi provetto d'et, saggio


il

fratello del morto, di

fatto re,

May

spos la ve-

dova regina, ed ebbe da lei un figlio, che fu


chiamato Talhend. Gav e Talhend crebbero insieme, e quando uno di essi chiedeva in disparte
alla madre chi di loro avrebbe regnato, essa
prometteva a questo solo il regno, onde avvenne
che ciascheduno dei due, tenendo a quella promessa della madre, crebbe con la persuasione di
essere un giorno il re. Giunti perci all'et del
regnare, sorse fra loro un'ostinata contesa, poich

nessuno voleva cedere, e ciascheduno aveva suoi


partigiani e consiglieri. Alfine vennero alle armi,
e dopo una disperata lotta Talhend giacque ucciso nel campo. La misera madre ne rest inconsolabile e incolp della morte del fratello il
superstite Gav, che per quanto facesse non pot
in nessuna maniera persuaderla che tutta la
sventura era colpa del destino e non di lui. Consigliatosi alfine coi saggi del suo regno, essi gli

recarono un giorno una tavoletta


drata, con l'immagine del campo
con

di legno,
di

qua-

battaglia,

le fosse tracciate a difesa dell'esercito.

Sopra

tavola stavano schierati due eserciti in

quella

legno e in avorio, capitanati dai loro re, coi ca-

Avanzandosi i due
mosse stabilite, combattevano, e uno dei loro re, alla fine, doveva soccombere. Recato il giuoco meraviglioso alla
madre inconsolabile, essa, giocando, giunse anche
a capire che, combattendo due re, uno doveva
soccombere certamente. Cos ella pass i giorni
e le notti intere attendendo a quel gioco, che le
rappresentava la sorte dei due suoi figli, addovalli e gli elefanti e

secondo

eserciti

dolorata

ministri.

le loro

piangente,

finche,

estenuata

dalla

veglia e dal digiuno, mor. Questa l'origine del

giuoco degli scacchi.

Un

giorno

il

medico Berzy. dichiara

re

al

un libro trovarsi in
India un'erba portentosa che pu anche risuscitare i morti. Berzy mandato in India per

Anshrvn

di

letto in

ma

per quanto egli s'aggiri per

valli

raccogliendo erbe e fresche e

farne ricerca,

monti e per

aver

secche e ponendole su cadaveri per ritornarli a


vita, egli

dici e

non pu trovar

saggi ch'erano

l'erba desiderata.

con

lui,

me-

mandati dallo

stesso re d'India, gli suggeriscono di interrogar

su tale argomento
gli

un vecchio

solitario. Il

vecchio

dichiara che per quell'erba portentosa devesi

intendere

il

libro di Kallah e

Dimnah che

si

conserva nei tesori del re d'India. Questi, richiesto di mandarlo al re Anshrvn, lo manda,

bench a malincuore, non osando negar nulla a


un re cos grande e potente. Cos il libro di Kallah e Dimnah, libro di favole, pass nell'Iran.

78

in pehlevico, poi dal

dove fu tradotto

pehlevico

in arabo e in persiano.

Bzurc'mihr intanto cade


shrvn sotto

il

An-

in disgrazia di

sospetto di avergli involate al-

cune pietre preziose

un suo monile. Egli

di

posto in prigione carico di ceppi,

ma

dalla sua

prigione, con le sue parole ferme e piene di

si-

Giunge intanto da parte dell'Imperatore di Grecia un racssaggiero con un piccolo scrigno, dicendo che
l'Imperatore pagher tributo al re Anshrvn.
purch egli, senza aprirlo, indovini ci che sta
chiuso nello serigno, Il solo Bzurc'mihr, tolto
gnificato,

dal

sorprende e atterrisce

gliezza che nello scrigno


il

sorpreso e

re,

trovansi tre

soddisfatto,

sua grazia, tanto pi che

sapere che

furono involate
egli,

in

il

lo

re da

al

un giorno

in

di

le

da

ora

fa

uno sparviero, mentre


si era addormentato

al

Bglio suo.

lui date alle

Hormuzd,

domande

dif-

dei sacerdoti, l'ultima sua guerra con l'Im-

peratore di Grecia che


consigli ad

Hormuzd

sogno rad (pialo


motto.

ragione,

gli

re

gii

si

sottomette,

ch'egli designa re, e

rivelata

il

suoi

suo

nascila di Mao-

la

Questo sogno si erodo da molli, e con


sia un'aggiunta di qualche tardo

che

interpolatore.
Il

gli

della sua disgrazia,

sentenze di Anshrvn,

avvertimenti

-apienli risposto

ficili

saggio

e
la

di caccia,

una selva.
Seguono nel poema
suo libro

sotti-

perle,

restituisce

gli

il

gommo, cagione

le

re.

con mirabile

indovina

suo carcere,

il

Hormuzd.

Hormuzd, appena

Irono, incrudeli contro

condannandoli

sali sul

ministri del padre suo,

morto. Bench

suo violento operare da tutte

egli
lo

si

penta del

parli dell'Iran


si

79

Levano tumulti contro di

uomo rozzo
Behrm

Cibneh,

grandissimo.

pone a morte

ne invia

il

la testa

eli

ma

e impetuoso,

sconfigge

non

finclregli

lui,

trova altro valido aiuto che nel braccio

Behrm

di

valore

re Sveh,

lo

a re Hormuzd,

a cui l'estinto nemico aveva incusso tanto terrore. Egli vince

anche Parmdeh,

il

figlio

di

a chiedere in dono la vita;


ma perch in un giorno Behrm si comporta in
modo villano con Parmdeh e Parmdeh ricorre perci a re Hormuzd, egli cade in disgrazia
Sveh, e

lo costringe

del suo re, che, per dileggio, gli


e

manda un

t'uso

una veste da donna.

Behrm

allora concepisce

un primo pensiero

di ribellione, indossa la veste

per mostrare

re abbia tenuti

una donna

inviatagli dal re

suoi guerrieri in qual conto

a'
i

ch'egli

costume e vestimenta

una corba piena

il

avendo udito da
destinato a regnare, assume

suoi servigi, e

reali. Intanto egli

e parla de' suoi disegni

manda

dono a Hormuzd

di pugnali in

ai capitani dell'esercito,

quantunque consigliato in contrario dalla sorella


Gordieh. Behrm non le porge ascolto, ma fa
coniar monete col nome di Khusrev Pervz, figlio
di Hormuzd, e le manda al re. Khusrev Pervz,
per timore del padre, fugge dalla corte; Hor-

muzd manda contro di Behrm con un esercito


Ayn Gashasp, che ucciso da un compagno, e
Hormuzd, dolente di ci, accecato da Bendy
e da Gustehem.
Il

re

trono,

il

Khusrev Pervz.
re Khusrev Pervz

Appena
si

salito

al

reca dal padre

Behrm Cibineh
muove ora la guerra al novello re. Khusrev
Pervz e Behrm si incontrano a capo dell'esersuo a dimandargli perdono, e

cito,

convengono a parlar

fra di loro,

ma non

80

separano con animo corBehrm d un assalto notturno al campo di Khusrev, e Khusrev


fugge. Bendy e Gustehem, zii di Khusrev, fanno

potendosi accordare

si

rucciato e pieno di rancore.

il vecchio re Hormuzd, e Khusrev cerca


un rifugio nei dominii dell'Imperatore di Grecia.
Behrm, allora, dopo essersi accordato co' suoi

uccidere

fidi,

si

asside in trono.

Khusrev, intanto, per vie deserte giunge

in-

un

so-

cognito fino al confine di Grecia, laddove


litario

soccorsi ond'egli possa riavere

ma

manda
domandar

predice l'avvenire. Khusrev

gli

alcuni suoi principi all'Imperatore per


il

trono perduto,

l'Imperatore promette molto e nulla man-

tiene,

finche

alcune sue
srev e

dalle

manda un

preghiere e da
esercito a

d in isposa, inoltre, una sua

gli

Khusrev

vinto

poi,

riflessioni,

Khufiglia.

ritorna nell'Iran, raggiunto per istrada

da Bendy,

Behrm

scrive alcune lettere ai

principi dell'Iran, che, intercettate, sono portale


al re.

Seguono due

quali cade

il

battaglie, nella

prima delle

capitano greco Kt, mentre nella

seconda Khusrev sconfitto

e,

inseguito solo e

disperato di aiuto dai suoi nemici, sarebbe anche


stato ucciso da loro, se l'angelo Sersh, apparso

all'improvviso,
battaglia

non

Behrm

l'avesse salvato. In

sconfitto e trova

una terza
un rifugio

il Principe di Cina. Khusrev ne fa ardere


tende e rimanda all'Imperatore l'esercito green

presso
le

che l'aveva aiutato a riprendere il regno.


Finitisi interrompe il racconto per piangere
la morte di un figlio.
Behrm, frattanto, alla corte di Gina si fa ammirare per il suo valore. Egli uccide l'orgoglioso
Mekatreh di cui anche il principe aveva timore, uccide il leone Keppi e ottiene in isposa


la figlia

ha

principe stesso.

Ma Khusrev

che

notizia di ci, scrive in proposito al Principe

di Gina,

che

del

81

fa

manda nascostamente Kharrd Berzn


Behrm da un sicario di nome

uccidere

Kaln, indi ritorna nell'Iran presso di Khusrev.


L'Imperatore, non potendo far altro, distrugge
la casa di Kaln e ne disperde la famiglia. Fatto
ci,

egli scrive alla sorella dell'ucciso

Behrm,

a Gordieh cio, chiedendola in isposa. Ma Gordieh non gli d ascolto e fugge. Il Principe le

manda

dietro Teburg, e Gordieh l'uccide.

intanto, per vendicar la morte del


padre suo, fa uccidere Bendy, bench suo zio
e a lui s devoto e fedele. Gustehem, l'altro zio
di Khusrev e colpevole egli pure della morte di
Hormuzd, fugge presso Gordieh e la sposa, ma
costei, vinta dalle promesse del re, fa uccidere
il suo novello sposo, e, chiamata dal re in corte,
sposata da lui.
Nasce intanto da Maria, prima sposa di Khusrev e figlia dell'Imperatore, un bambino sotto
cattiva stella, di nome Shry. L'Imperatore
ne riceve lieto la notizia e ridomanda a Khusrev il legno della croce di Cristo che i Per-

Khusrev

avevano involato. Ma Khusrev gli risponde,


non solo negando di mandar quel legno, ma
anche meravigliandosi del culto della croce.
Khusrev intanto, andando alla caccia, trova
nelle selve la bella Shrna che fu gi amante

siani

sua giovent. Egli la riconosce fed onorevole luogo nel suo gineceo;
e perch i principi suoi hanno alcun che a ri-

di lui nella

stoso e le

dire su ci, egli ne fa tacere

ben

tosto

sospetti

e le parole maligne. Shirna intanto cresce di potere sull'animo del re

e fa porre in catene

il

ella uccide l'infelice


figlio stesso di lei,

Maria

Shry.

Seguono alcuni

del

fatti

regno

Khusrev,

di

come la costruzione di un trono meraviglioso,


di nome Tk-ds, l'avventura di Brbed, cantore
e suonatore di

liuto,

che trionfa

de' suoi

nemici

e diviene carissimo al suo re innamorato delle

sue canzoni,
Madin.

Ma

finalmente

intanto

egli

si

fa

la

costruzione

ingiusto e crudele;

di

il

Gurz chiama nell'Iran l'Imperatore


che rompe la fede a Khusrev, e i grandi liberano Shry dal carcere e lo pongono in trono.
Khusrev fatto prigioniero e mandato da Shry
principe

in Gtesifonte.

Shry,
Il re Shry, detto anche Kobd.
appena re, manda i suoi principi a chieder perdono al padre che risponde cruccioso e sdegnato
in parte, in parte dando saggi consigli al figlio
suo. Shry, all'udir le parole del padre, piange

amaramente, ma i principi gliene fanno acerbi


rimproveri, mentre il fedele Brbed, udendo prigioniero
dita della

il

suo

mano

re,

arde

il

liuto e si tronca le

destra por non aver pi a servire

nessun altro signore. I principi intanto, riottosi e


ribelli, sforzano Shry a decretar la morte del
padre che scannato da un sicario. Shrna, richiesta da Shry come sposa, si d morte volontaria, e Shry, poco dopo, fatto morir di
veleno.

Seguono

brevi regni di Ardeshr

Shry, di Gurz

figlio

di

detto Feryin, ribelle capitano,

ambedue a tradimento dopo pochi mesi di


regno, delle due regine Prn-dokht e Azermiuccisi

dokht, e di Farrukhzd, buono, leale e giusto,


i buoni, quando mor avvelenato.

pianto da tutti
Il

re Yezdeghird.

fu l'ultimo

L'infelice

dei re di Persia.

Yezdeghird

Appena

salito

al

83

trono, egli pot riordinare

il

regno e governarlo

per diciotto anni. Ma intanto gli Arabi, condotti


da Saad figlio di Vakks, minacciano ai confini,
e Yezdeghird manda a combatterli Rustem, prode
e valoroso, che fin da principio prevede assai,
male della sua impresa e ne scrive al fratello.
Dopo inutili trattative con Saad, Irani e Arabi

vengono

mani,

alle

Rustem cade ucciso

in

battaglia.

consigliatosi coi suoi principi


Yezdeghird
che l'accompagnano piangenti, fugge verso il
Khorassn ponendo ogni sua fiducia in Mhy,
uomo di nascita vile che il re aveva beneficato
ed esaltato. Ma anche Mhy era un traditore;
,

egli

accoglie

il

suo re con ogni testimonianza

ma secretamente incita
di onore e
l'ambizioso Bzhen a venir con armi e con ardi ossequio,

mati. In un combattimento presso Merv, Yezdeghird abbandonato da tutti e trova rifugio, in


sul cader della sera, in un mulino, posto sul
fiume. Zark. Il mugnaio Khusrev esce al mattino e meravigliato trova l'incognito guerriero,

seduto pensoso e mesto sopra un fascio d'erbe


tagliate. Yezdeghird lo prega di andargli a prendere un poco di cibo e un fascio di verbene,
quale tenevano in pugno i seguaci di Zoroastro
nel recitar le loro preghiere.
Il povero mugnaio si presenta al borgomastro

per

le richieste cose, e

gliato della
fa

il

domanda d'un

condurre alla presenza

parti cercava ansioso

il

di

borgomastro, meravifascio di verbene, lo

Mhy che da tutte

le

fuggitivo re per trarlo a

morte. Ormai non pi alcun dubbio che l'incognito guerriero non sia lo stesso re Yezdeghird.

Mhy
la

ordina al mugnaio di ucciderlo, pena


s'egli non obbedisce, ne valgono a

morte


dissuaderlo

le

84

preghiere dei

sacerdoti

dei

principi.
Il

mugnaio, atterrito dalle minacce

di

Mhy,

torna al mulino e a malincuore uccide il suo re


che inerme gli si d nelle mani. I cavalieri d

Mhy

gliene recano l'annunzio, e due servi get-

tano nel fiume Zark il cadavere dell'ucciso re.


Alcuni monaci, al mattino che segu, lo trovano,
lo ravvisano, l'ostraggono dalle

acque e

gli

danno

onorevole sepoltura con gran pianto e cordoglio.


Mhy, irritato di ci, li fa tutti mettere a morte.

per un poco, il tristo si asside sul trono


ma Bzhen, offeso da tanto ardire
e tracotanza, lo assale all'improvviso con un
esercito e lo uccide. Con Yezdeghird si chiude
Cos,

del re dei re;

monarchi

persiani, e la

conquista

degli Arabi segna l'entrar nell'Iran di

una nuova

dei

la serie

fede, di

una nuova leggo

Ecco

parole con le quali Firdusi

le

e di nuovi dominatori.

termina

il

suo racconto, alludendo alla potest temporale


e spirituale dei

Califfi,

sottentrata a quella degli

antichi re:

D'ora in avanti volgerssi


Sotto

il

nome d'Omar, da

il

tempo

ch'ei ci addusse

Novella fede, in cattedra mutando


Sacerdotal l'antico iranio trono.

Segue Firdusi,

in

un ultima pagina, a notar

termin il poema, che fu il


giorno d'Ird del mese d'Isfendarmudh, dell'anno
400 dell'Egira (25 Febbraio 1010 d. C). Nota
il

giorno in cui

l'anno di sua et che era allora

primo,

il

numero

il

settantesimo

dei distici del suo

di sessantamila, e augura

poema che
Mah-

ogni bene a

85

md. Termina poi con le parole pi sopra


che qui giova ripetere:

rife-

rite e

Poi che
Cosi

venne

al

suo

fin,

l'inclito libro

del verso

mio

Tutta piena la terra. Ognun che alberga


Senno e fede e saggezza entro al suo core,

Mi loder dopo la morte mia,


Ned io morr pi mai, ch'io son pur
Da che il seme gittai di mia parola.

vivo,

III.

Invettiva di Firdusi contro

Prence

Mahmd

Mahmd.

conquistato!*, se

tema

D'alcun non hai, temi di Dio, che molti


Fr pria di te monarchi e regnatori

Che avean corona e potest nel mondo.


Eran di te per genti e per tesori,
Per sovrano

poter, per regal seggio

E corona di prenci, assai pi


N fean opre giammai che di
Non fossero e di pregio, e ad

grandi,
giustizia

opre abiette

Ed a nequizia non volgeansi mai;

Ma

rendeano a lor soggetti,


Solo adorando Iddio, ne per la terra
Altro a cercar che un illibato nome
Ivano intenti, e del cercar quel nome
Bello e lieto era il frutto. I re che all'oro
Tengonsi avvinti, d'uom sapiente agli occhi
Or tu, se in terra
Mostransi abietti e vili.
giustizia

Che vale,
Che vai, dirai, tanto clamor, tal grido
Oh tu non sai l'ardente
Audace e stolto ?
Anima mia, ne pensi al ferro mio
Empio m'appelli, a falsa
Che sangue sparge
Leone
Io no
Religion devoto ?

Hai

di

monarca

potest,

Bieco son

io,

se tu zeba m'appelli

Questo inetto cantor, la stolta gente


Cos dicea,

me me

vituperando,

Invecchi nell'amor ch'egli consacra


Quei che nel core
Al Profeta e ad Ali .

Odio nasconde per Ali, nel mondo


Cosa non trova che in vilt l'uguagli.

87

Fino a quel d che sorgeranno


Servo sar a que" due, s'anche

le

morti,

carni

Cadrmi a brani mi facesse il prence


In suo furor; n dall'amor di quelli
Ritrarrassi

cor mio, s'anche la spada

il

mio capo rapida scendesse


Del crucciato signor. Servo son io
Devoto a quella del divin Profeta
Sovra

il

Inclita casa, e adoro, al suol prosteso,

La polve che dal pie del suo Compagno


tocca un giorno. Ma tu, o re, con alta
Minaccia il core mi feristi! Il tuo
Vii corpo, hai detto un d, sotto a le piante

Fu

D'un elefante vo' mirar calpesto,


Ravvolto in s come l'acqua d'un fiume

Non

io

temo per, che mi rinfranca,

Nella purezza del cor mio, l'amore

Che

pel Profeta e per Ali m'accende.

Oh! che

dicea,

che mai dicea quel santo

Rivelator delle dottrine ascose,

Ch'ebbe

al divieto

ed al comando in terra

Alto poter? Son io d'ogni scienza

Qual munita citt; porta sublime


Vera fu questa
per entrarvi, Ali .
Del Profeta sentenza, e testimonio
Ren io far che in essa era nascosto
Ogni secreto del suo cor. Diresti
Che pieni di tal voce ho ancor gli orecchi
E tu, se hai fior di senno e mente e savio

Consiglio in cor, t'eleggi

un

Del Profeta e d'Ali seduto

Sempre fidando
Consiglio mio

Cada su me

ti

la

nobil loco

al fianco,

Che se da questo
verr danno, tutta
colpa. Io bene affermo
in lor.

Esser cotesta la segnata via,

Questo

il

costume

e la

ben certa norma.


In tal legge io nascea,

questa legge; e

Fammi
Che

il

88

morr

tu, se

il

fedele

sai,

di questo

ragion, ch'io son la polve umile


pie d'Ali calpesta. Io per le altrui

Opre cura non ho, non ho pensiero,


N molto ho a dir sul nobile soggetto;
Ma questo ben dir, che, se tal legge
Lascia

Mahmd, meno

Grano d'avena

la

d'assai d'un picciolo

sua mente pesa.

E allor che sopra un regal seggio Iddio


Porr d'Ali, del suo Profeta, in cielo
L'anime sante, se lor pregi eletti
Con vero amore proclamai nel mondo,
Di ben cento Mahmd sol io, nel cielo,
Potr vantarmi protettor sovrano.
Fin che il mondo sar, fin che regnanti
Saranno, giunga ad ogni re sovrano
Questo mio dir, che di Mahmd nel nome
Questo suo libro mai compor non volle
Firdusi che da Tus venne, ed ava
Caro e diletto ogn'uom d'intatta fede.
Del Proli 'la

e d'Ali nel santo

10 l'ho composto, ed infilai

E d'alto senso
Tempo fu che

nome

ben molte

rilucenti perle.

Firdusi ancor non era,


che non anche la sua sorte
Vigoreggiava. Ma tu, o re, d'un guardo
11 libro mio pur non degnasti, e fuori

fu,

Del tuo retto sentier balzasti errando,


Vinto al mentir d'un uom perverso e vile.
Quei che il mio verso dispregi, non abbia
Aita mai da questo ciel che ratto

Su

noi

si

volge. Gotal libro illustre,

Libro d'antichi

re, nella

mia dolce

Favella gi composi; e allor che giunse


D'ottantanni al -confine il viver mio,

89

Tutta vid'io dissolversi

la

cara

Speranza del mio cor, qual nebbia al vento.


Eppur, gran tempo qui penai, nel mondo
S tristo e gramo, e d'un tesoro il frutto
Sperai dell'opra al

trentamila

fin.

Fr trentamila

distici sonanti,

Copia infinita, ond'io fiere tenzoni


Gi descrissi e battaglie e dardi e ferri,
Lacci con archi flessuosi e attorti,
Clave nodose e brandi acuti e arnesi,
Elmi e gualdrappe, e il mar profondo e l'ampia

Campagna
Acque dei

il

suol deserto e le scorrenti

fiumi. Favellai di agresti

Belve, di lupi e di leoni in giostra,


D'elefanti, di

dmoni e

di pardi,

Di draghi e mostri dell'immenso mare,


Dei dmoni gl'incanti e le male

Dei Devi e lo stridir che alzano al cielo.


Parlai d'uomini in guerra illustri e forti,
D'antichi eroi, gagliardi entro la pugna,

E i prenci tutti ricordai che nome


Hanno e gloria ed onor dai prischi tempi.
Tur e Salm e Afrasyb sono tra questi

Fredn, re possente, e quel malvagio


Dahk, ribelle a Dio, Kobd illustre,
Sam con Ghershaspe e Nerimn gagliardo,

Gran vassalli del regno, e in questa terra


Per sovrana virt forti e possenti.
Hoshng e Tahmurs, colui che i Devi

Un

giorno incaten, son di tal schiera

Con Gemshd, regnatore inclito e grande,


Con Minochr, con Kvus re, col prode
Khusrv, adorno

Con Rstem

di regal corona,

battaglier,

con quel famoso

Isfendyr che parea di ferro avesse

La robusta

persona.

E Gderz pure

gli

ottanta suoi

90

figli

ricordai,

Tutti prodi e animosi e cavalieri

Nella palestra, e re Lohrsp, cui molta


Gloria adorn, Zerr, inclito duce,

E Gushtsp

e Giamsp,

che

gli astri in cielo

In computar questo fulgido sole

Di splendor super. Dar, quel


Di Darb, con

Behmn

Con Sikendr, che


I

figlio

fu celebrato,

fu signor di tutti

re dei re quaggi. Leggesi

Di Ardeshr regnator, del

il

nome

figlio suo,

Shapr, e di Behrm, dell'alma eletta


Di prence Anushirvn. Pervz illustre
Io notai con Hormz, col figlio suo,
Kobd, ancora. E questi prenci antiqui
Di cui tutte narrai le chiare imprese

Paratamente, per

l'et

lontana

Al nostro ricordar giaceano

Ma

s'ebbe per mio

L'obbliato lor

estinti.

dir vita novella

nome;

come un giorno

richiamar potea
Le fredde salme, cos anch'io, narrando,
I morti nomi lor risuscitai.
Addetto, o prence, a' tuoi servigi, un'opra

Ges

alla luco

Io compii

che

di te sar nel

mondo

Ricordo eterno. Le superbe case


Vanno per pioggia o per ardor di sole
Ratto in rovina; ed io, co' versi miei,
Edificio fondai solido e forte

Che di venti non tocca o di procelle


Danno improvviso. Passeranno molte

E lunghe et su questo
E il legger chi ha fior

libro illustre,

di senno in core.
non questa a me donavi
Promessa un d, non questa era la speme
Che mi venia dal reggitor del mondo!

Ma

tu, signor,


Un nemico

91

malvagio, al qual sia tolto

Di mai veder giorni sereni in vita,


Volt le belle mie parole e senso

Die lor perverso, e fosca dipingendo


Al mio signor la mia persona, a un tratto
Spense la face mia che ardea s chiara!
Ma se giusto era il re fra gli altri giusti,
Pensando a ci, ben detto avria che in questa
Lunga canzone io pur deposto avea
Mio tributo alla vita, e ch'io col verso
Bella avea fatta questa terra illustre,

Qual

de' beati in ciel la sede.

Niuno

Pria del mio tempo semin parole.

Le sparser

molti,

ed erano infiniti;
ma, grande

Senza misura
Ben che fosse lor schiera, in questa eletta
Guisa nessun le disse mai. Ch'io molto,
le gittr,

E fr trent'anni, faticai languendo,


E viva suscitai dalla sua tomba
La Persia, usando il bel sermon di

lei.

Oh! se avaro non era il re del mondo,


Sarebbe un trono il seggio mio! Ma l'alma
Di questo re non giunge a sapienza;
Se no, posto ei m'avria su regal seggio.
Quand'ei nascea, non era di regnanti
Alta stirpe la sua, n di regnanti
Ei si ricorda. Che se il padre suo
Begnato avesse, una corona d'oro
Il figlio suo posta m'avrebbe in fronte;
Se regal donna stata fosse un tempo
La madre sua, d'oro e d'argento i cumuli
Alti avrei visti a

me

dintorno. In quella

Gente grandezza mai non fu; non osa,


Perci, non osa udir de' grandi un tempo
Il nome illustre questo re, che mano
Di Mahmd generoso, a cui s eccelso

02

Nascimento die il ciel, non s'apre mai


Donando, o poco s'apre. Allor ch'io trenta
Anni fatica sopportai per questo
Libro dei Re, perch premiando il sire
Un tesor m'inviasse, e qui, nel mondo,
Togliesse ogni mio stento, ogni rancura,
Me sollevando al primo onor fra i prenci
Di sua casa regal, schiuse

tesori

compensarmi e d'un bicchier

Il

prezzo m'invi! Dunque

Quanto un bicchier vale

Ma

Pel suo tesor!

di birra, io

m'ebbi

quel bicchier di birra,

mi comprai lungo

S,

di birra

tal pregio,

la via,

che ha prezzo

Assai pi di tal re che non ha legge,

Non costume regal, non fede intatta.


La picciola moneta ch'io vi spesi.
Figlio di schiavo inutil cosa e vile.

Anche s'ei vanta molti padri suoi


Che furon re. Ma gente indegna e

abilita

Alto levar, sperarne egregi frutti,

quanto
Perdere

il

grembo

In

Ha

filo

d'una gran matassa


quanto un serpe

al suo principio, o

nutricar. L'arbor che

sua natura, se negli

orti

il

amara

poni

Degli spiriti eletti e al tempo suo


L'arse radici a ristorar ti appresti
Con puro miei che da superne fonti
Stilla nel paradiso, al

fin

dell'opra

La natura sua rea mostrer sempre


E amari frutti recher. Daccanto

venditor di canfora odorosa

Fa

di passar,

di

Daran fragranza

Ma
E

se

ti

canfora odorosa
le

tue vesti tutte.

accosti a venditor di nero

lurido carbon, nulla ne avrai

Fuor che negra sozzura. E meraviglia

03

Certo sana, se non nascesse il male


natura; e niun mai tolse

Da malvagia
L'ombre

triste alla notte.

Alcuna speme

In chi vile nascea, deh! non ponete,


Amici miei, che per lavar ch'uom faccia.

Tal che negro nascea, non si fa bianco,


E buon frutto sperar da vii natura
stolto oprar, quanto gittar rodente

Polve sugli occhi e non temerne danno.


Ma se il nostro signor nome si avesse
Avuto in terra senza macchia, onore
Ottenuto ne avra sapere umano;
Ed ei con alma intenta avra le belle

Cose ascoltate e de' regnanti appresi


I nobili costumi e gli usi antichi,
E con mente diversa ed altra voglia
Avra pensato del mio cor costante
Al voto ardente, n la mia fortuna
Sara caduta allor. Che il glorioso
Verso mio sol dettai, perch consiglio
Ne traesse il mio re, perch sapesse
Che sia parola e sua virt, pensando
Al savio consigliar

questo vecchio,

di

poeti affliggesse, intatto e

Che ove

Serbando
Oppresso un vate, rapida
l'onor suo.

Una

ei

si

puro
vegga

saetta

invettiva, e resta fino al giorno

Del mondo estremo

Un

d,

il

disdegnoso carme.

nell'eternal sede di Dio

Santo e verace, spargendomi in fronte


In segno di dolor la negra polve,
Questo grido far: L'anima sua
Ardi, o Signor, nel fuoco eterno! Illumina
Il

cor del servo tuo, che n' ben degno!

IV.

Lista dei Re dell'Epopea Persiana,

con

gli

anni

A.

regno

di

5.
6.

Fred un (500

7.

Mincihr (120

8.

Nevdher

9.

Zav (5 a.).
Ghershsp

3.
4.

10.
11.

12.
13.

14.
15.

16.
17.
18.

(7

a.).
a.).

a.).

(9 a.).

Kobd (100 a.).


Kvns (150 a.).
Khusrev (60 a.).
Lohrsp (120 a.).
Gushtsp (120 a.).

Behmen.
La regina Hnmy (32
Drab (12 a.).
B.

19.

ciascuno.

Re Leggendari

Gaymers (30 anni).


Hsheng (40 a.).
Tahmras (30 a.).
Gemshd (700 a.).
Dah k (1000 a.).

1.

2.

di

a.).

Re Storici

Dar (Dario Codomanno).


Magno; 14

20. Iskendcr (Alessandro

a.).


21. I re

95

Ashgni (200

a.).

22. Ardeshr (primo dei Sassanidi; 40


23.

24.
25.
26.

Ormuzd
Behrm
Behrm
Behrm

(1 a.).

(3 a.).

Behrm (19 a.).


Behrm (4

di

nipote di

mesi).

27. Nersi (9 a.).


28.

Ormuzd

29.

Shpr (70

30.

Ardeshr (10

31.

Shpr

32.

Behrm

33.

Yezdeghird (30 a.).


Behrm-gr (63 a.).
Yezdeghird di Behrm-gr (18
Hormuzd di Yezdeghird (1 a.).

34.

35.
36.

di Ners (9

a.).

Shpr

di

a.).

a.).

(14

(5 a.).

a.).

37. Prz (11

a.).

38.

Balsh (5

a.).

39.

Kobd

40.

Kisra Anshrvn (48

41.

Hormuzd

42.

Khusrev Pervz (38 a.).


Shry Kobd (7 mesi).

43.

(46

a.).

a.).

di

a.).

Anshrvn (12

a.).

Ardeshr di Shry (6 mesi).


Feryn (50 giorni).
46. La regina Prn-dokht (6 mesi).
47. La regina Azermi-dokht (4 mesi).

44.

45. G-urz

48.

a.).

Yezdeghird (20

a.).

INTRODUZIONE

FlKDOSl,

I.

AVVERTENZA

nomi

sono

proprii

scritti

persiani che

e notati

d'accento

s'incontrano nel poema,


in

modo da andar

cordo col verso italiano. Nel precedente sunto,


trattandosi di prosa,

si

d'ac-

invece,

tenuta per essi una trascrizione

alquanto pi precisa e scientifica.

INTRODUZIONE

I.

Lodi di Dio.

(Edizione di Calcutta, pagina

1).

In nome del Signor dell'alma nostra,


Di nostra mente autor, che non arriva

Uman

pensiero a pi sublime cosa.

Iddio primo signor di gloria eterna,

Signor dell'ampio spazio, e primo altore


E guida a tutti noi. Signor del mondo,
Signor del ciel rotante, un vivo e gaio

giocondo fulgor dona a le stelle,


Dona alla luna e a questo sol. Ma intanto
Ch'ei trascende ogni nome, ogni pensiero,
Ogni segno sublime, a ogni pi bella
Parvenza ei d splendor, lume e colori
Profonde ovunque. Se veder non ponno
Il tuo primo Fattor questi occhi tuoi,
Ai fulgidi occhi tuoi non dar rancura,
Che anche umano pensier via non ritrova
Per giunger fino a Lui. Trascende Ei solo
Ogni nome, ogni loco. Or tu ben sai

Che ove

sorpassi ogni visibil cosa

non giunge
mente umana. Il nostro
mente ancor libra in sua mano

Alto concetto,

Terreno

fin col

spirto o

Spirto e la

Iddio possente, ed Ei

come

potra

In librato pensiero esser compreso?

100

Proclamarlo qual , non san gli umani;


Vuoisi per che tu a servirlo accinto
Sempre ti serbi in umilt. Se crea
Parole a favellar la mente nostra,
Sol per ci ch'essa vede, in s le trova

in s le crea;

ma

Spirto e con questa

con

tal

mente

core e tale

e con tal lingua,

Nato mortai come potra l'Eterno

Degnamente lodar?... Ben si conviene,


Ben si convien che l'essere di Dio

Tu

confessi, evitando ogni parola

Inerte e stolta, l'adorando in core,

Tua via cercando e con pensier profondo


Meditando sua legge. Ha gran potere
Chi sapienza ha in se; per sapienza
Ringiovanisce un cor gi vecchio e stanco.
Eppur, verbo mortai non fa che passi
Mai questo vel, che uman pensier non trova
All'essenza di Dio libero

il.

il

varco.

Lodi dell'Intelligenza.
(Ed. Cale. p. 1-2).

Or qui
I

ti

si

convien, saggio vegliardo,

pregi proclamar d'Intelligenza,

Qual si convien. Parla tu adunque, e reca


Qual cosa meglio sai d'Intelligenza,
Perch l'orecchio di chi ascolta averne
Intelligenza il primo
Possa buon frutto.
Dono che Iddio ci die; ma lodar Dio
per cotesta Intelligenza nostra
Meglio assai che la via d'ogni giustizia.
A' regnanti corona Intelligenza,
Intelligenza l'ornamento primo
D'ogni inclito guerrier. Sappi che eterna

101

vive e dura, e che di nostra vita


Dessa la fonte prima. A tutti noi
guida Intelligenza, al nostro core
Primo conforto, in questa terra e a quella

Lontana vita
Gioia e

Tua

in ciel valido aiuto.

uman

senso da

lei

son; per

lei

gloria a te proviene o tua bassezza,

Secondo adopri; e un uom, di cui la mente


Invase oscurit, ben che di spirto
Sereno e chiaro, non fu mai qui in terra
Appien felice. Oh! che dicea l'antico
Sapiente, le cui parole sante

Fr

gi nobil conforto ai saggi spirti?

Quei che, sua guida, egli dicea, non segue


Intelligenza,

Della sua

avr dall'opre stesse

man

trafitto

il

core.

saggio

Il

Stolto appella costui; diconlo estrano


I

consanguinei suoi

Ma

tu,

per

essa,

in questa vita e in quella alto valore

Acquisterai; chi stolto nacque, sempre


I

pie ne' ceppi avr.

Luce dell'alma

questa, adunque, Intelligenza, allora

Che vedi ben; senza

tal luce,

Calcar non potrai tu

le vie

lieto

terrene.

Riconosci tu adunque Intelligenza

Qual cosa prima che creava Iddio,


Custode all'alma tua, fedel custode

tre scolte sagaci.

le tre scolte

Di te son l'occhio e l'orecchio e la lingua;

E molto male e molto bene


Vien da coteste tre distinte

Ma

in terra

cose.

chi ardir sua lode all'alma e a questa

Intelligenza ministrar? Chi ascolto

Dar mi

potr, s'io ne fo laudi? Antico,

Illustre saggio, poi

L'alto pregio qual

che niun pu dirne


narra tu almeno

102

Del creato qual fu l'origin prima.

Tu pur sei dell'Eterno alma fattura,


Tu pur conosci le nascoste cose
E le palesi. Bella Intelligenza
Abbi tu a guida, e l'alma tua per essa
Lungi tieni dal mal. Cerca tua via

Conforme

al

detto d'ogni saggio in terra,

qui peregrinando,

Proclama aperto,

il

Cbe verbo udito avrai


Giammai non ti ristar
Qual maestro

Che

le

santo vero

in ogni

tempo; e allora

d'ogni scienza,
dal rivelarne

norme. Anzi vedrai

se giunse tua vista ai verdi rami.

L'ime radici di parola ascosa


Mai non ne tocca sapienza umana.

III.

Creazione del mondo.


(Ed. Cale p. 2-3).

Da

principio convien che

lor natura tu

Che

gli

elementi

comprenda. E sappi

Iddio dal nulla ogni errala cosa

Trasse a principio, perche in tutto, ovunque,


Si palesasse il suo poter. Fr qual Ir

Quei che venner da Lui primi elementi.


Senza tempo da Lui, senza fatica
Alla vita prodotti. Uno il fiammante
Fuoco che sale al ciel; stanno nel mezzo
L'acque con l'aria, e all'elemento quarto
Ch' questa oscura lena, alto sovrastanoQuando, a principio, si lev il possente
Fuoco e avvent le tortuose lingue,
Da tal cocente ardor nacque secchezza.
Quand'ei quiet, freddo sorvoline, e il Credilo
Ingener madido umor. Ma quando

103

un

Gl'indomiti elementi ebbero

loco

Trovato a lor conveniente, a questa

Terrena stanza dier principio. Ancora


Si mescolar lor mobili nature,
E parvenze novelle e d'ogni specie

Dovunque

pullular. Mostrossi allora

Questo ciel roteante che novelle


Meraviglie rivela a quando a quando,

tosto

dominar

Tutti dell'anno

sette pianeti

mesi, al loco suo

Ponendosi ciascun. Su in cielo allora


Governo si mostr di umane cose
Per giustizia e favor ne ottiene il saggio,
;

Qual

Ma

convien, nobile frutto in dono.


cieli intanto, insiem fra lor congiunti,

si

Poi che l'ordine lor fu posto in alto,


Mossero in giro bellamente, e questa
Umile terra co' suoi vasti mari,

Con
Con

le

montagne

sue,

con

le

pianure,

apparve
ergeano
Come
I monti sovrastanti, e dentro ai fiumi
Spumavan l'acque, ed ogni pianta, ogni erba,
Alta sala con rigoglioso fusto.
Ma questa terra in loco alto e sovrano
Non ebbe sede, e parve un negro punto,
le

sue

valli,

nello spazio

fulgida lampa. Alto

Un

punto negro e

Lor meraviglie

fosco. In ciel frattanto

le rotanti stelle

Svelar concordi, e su

Piovvero in copia

Eternamente

il

si

fuoco,

ombrosa
montava

la terra

rai.

Cos

eternamente

Cos l'acque scendean, cos dintorno

questa terra si movea la lampa


Del sole infaticato. E l'erbe ancora,
Con molti alberi e piante, uscir spuntando,

Che

sotterra, dal Fato, a lor fu posto

104

Primo principio. Crescono, e sol questa


Hanno forza e vigor, n camminando
Vanno dovunque in ogni parte, come
viventi quaggi.

Ma

poich apparvero

Gli animanti alla terra, essi le verdi

Erbe si fean dominio. E non fu dato


Entro all'umido suol, come a le piante.
Fonte e principio di lor vita (a questo
Badar conviensi con intento coro):
Gercan di qua di l cibo e riposo,
Loco al sonno propizio, e compimento
Di lor voglie alla vita, e non favella
Posseggono o ragion, n d'intelletto

Braman

la luce,

Nutricando

si

ma

di foglie e

d'erbe

van, di rovi agresti,

dell'opere lor l'esito intendono


Se buono o tristo. Adorazione Iddio
Da lor non cerca, ma ogni lor virtude

Nascosta non lasci, tanto possente

sapiente e giusto.
tal

Ben

Esito estremo

dell'opre di quaggi;

lo

ma

ninno

conosce, o manifesto o ascoso.

IV.

Creazione dell'uomo.
(Ed. Cale. p. 3-4).

Se

ila

ci pi in l scorri,

ecco tu vedi

Che l'uomo apparve; ogni secreto allora


La chiave sua rinvenne. Alto ei si leva.
Qual cipresso, del capo, ed ha favo hi
1

Dolce e piacenti' ed intelletto a molte


Cose pronto e ordinato. E poi che molto
Senno accoglie in suo cor. molto consiglio

E acuto ingegno, pivstangli dovunque


Obbedienza le selvagge belve,


Le domestiche

105

ancor. Se tu per poco

Con la tua mente a questo ver ripensi.


Ben vedrai se a tal nome, a tal parola
D'uomo, donar concesso unico un senso,
Se pur l'uom tu non stimi e vile e abietto,

altro segno diverso in lui discuopri.

Ma

tu composto gi di due principi

rimo
tu ad essi
medio
E
Fosti creato. Creatura prima
Tu se' dell'universo, ultima in tempo;

Fosti distinti (spiritai n'


l'altro corporal),

Guarda per che di te stesso gioco


Mai non ti faccia. Altre e diverse cose
Udii da un saggio; ma qual mai sappiamo,
Qual de' secreti del Signor del mondo

disvelato a noi?..., Tu, intanto, al fine

Mira, riguarda a

Toccar

t'

Sempre ne

te;

di

quante imprese

d'uopo, la pi bella e onesta


scegli.

Ben convien che molte

Fatiche e stenti a sopportar ti pieghi,


Ma in sapienza tollerar si denno
Gli stenti di quaggi. Mira a quest'alto
Ciel che si volge sopra a noi. Ne scende

Ogni nostro dolor, ne scende ancora


Al duol riparo, ne di tante sorti
L'alterno rinnovar mai l'affatica,
Ne il tocca di quaggi, n mai l'offende

Terreno affanno. Dagli eterni giri


Ei non riposa, n, come cotesta
Stirpe dell'uom, si sta soggetto mai

A sua corruzion. Vengon dal cielo


Le ricchezze e gli onor, non sono ascose
La sorte avversa e la propizia al cielo.
Ma questa volta dell'azzurro cielo
in solido rubin che alto fiammeggia.
Composta

in ogni parte, e vento o accolto

E fumoso vapor non


Non

106

l'han formata,

polve od acqua. Con sue tante luci,

Con sue tante

come

facelle, ,

primo

al

Giorno deiranno, a primavera, un vago


E nobile siardin di faci adorno.

V. Creazione del sole e della luna.


(Ed. Cale. p. 4-5).

Nella vlta del cielo astro s'aggira,


Luce dell'alme, da cui prende il giorno
calor. Dall'oriente ei leva

Luce e

Ogni mattina radiante


E scudo sombra tutto

La terra

tutta d'un

capo,

il

d'or; riveste

manto

di

rai,

questo mondo, in pria si tetro e oscuro,


S'abbella e adorna di sua viva luce.

Ma

allor

Ratto

si

che d'oriente ad occidente


bruna

volge, mostrasi la

Notte con

gli

sul

Una

facella

(Tu, figlio mio.

Ad opre

toglie

il

di cotesta.

passo, e via

Oh! dunque,

che t'avvenne.
capo mio non splendi mai?

tu che Sol

Onde

varco;

astri d'oriente al

N l'uno all'altra
Non pi dritta
ti

chiami,

ha pur
fin

oli!

la

ingiuste mai!).

Giorni gi tocca

notte

ombrosa

che bai poter, non volgere

il

fin

Quando

di

trenta

questa notturna

E vagante facella, il suo pudico


Volto nasconde a noi per due congiunte
Notti e due giorni. Aitili si mostra, e pallida

sottile ne appai-, qua] d'infelice


incurvo il dorso per amor gagliardo
Che il tormenta e consuma. Appena il nostro
Occhio veder la pu lontan lontano

107

Sull'orizzonte, essa sparisce a

Ma

la

un

tratto.

notte che segue, essa d'alquanto

Pi e pi si mostra e manda a te dall'alto


Luce maggior. Di sette giorni e sette
Nel breve spazio, ritornando quale

Era

gi in pria,

Ma poi pi esil
E s'avvicina al

fa perfetta e piena.

si
si

sol,

fa,

di notte in notte,

che

la

dardeggia

Colai legge Iddio


Con la sua luce.
Da principio le impose; essa in tal norma,
Fin che il mondo sar, costante resta.

VI.

Lode del Profeta

e dei suoi

Compagni.

(Ed. Cale. p. 5-6).

Se tu non vuoi che sia dolente il core,


Se tu non vuoi che sempre t'accompagni
Tristo affanno quaggi, se aver tu vuoi
Libero scampo da ogni danno o pena

Sfuggendo al laccio della ria sventura,


Se brami in questa vita e in quella ancora
Libero uscir da ogni dolor, di merti
Ricco volarne al tuo Signor nel cielo,
Del Profeta conforme alla sentenza
Cerca tua via, monda il tuo cor da tutte

Macchie terrene in quell'onda vivace.


Fede nel ciel con sapienza e amore
vera salvazion, via di salute,
Qual dei cercar. Che disse mai quel santo
Rivelator delle dottrine ascose,

Ch'ebbe al divieto ed al comando in terra


Dal cielo potest? Disse che il sole,
Tolto il Profeta, non splendea su capo
Migliore d'Abu-bkr. Indi la santa

Legge d'Isim banda per l'ampia terra


Omar

108

possente, e l'ampia terra tutta

Adorn qual giardino

in

primavera.

A questi due dietro ten quel santo


Osmano eletto, anima casta e pura.
Infiammata di f. Quarto fu in quella
Nobile schiera Ali, di vaga e intatta
Vergine sposo, ei che tocc si bella
E vera

lode dal Profeta: Io sono,

Egli dicea, del fior d'ogni scienza

Qual munita citt; porta sublime


Vera fu questa
per entrarvi, Ali! .
testimonio
e
sentenza,
Del Profeta
Ben io far che in essa era velato

Ogni secreto

Che

del suo cor. Diresti

negli orecchi ancor di quelle sante

sublimi parole

Figlio mio,

Detto e
D'essi

il

suono

io

senta!

e costante nel precetto suo.

Fermo
il

non

ti mantieni, e, poi che il suo


suo cenno non recar mai danno,
ti

partir. Cos dicea

D'Ali l'anima santa, e cos ognuno


Dicea di quanti a la novella fede

Con diverso operar


Sole

Son
Per
Il

Mar

la

il

Profeta,

li

dier forza e vita.

Compagni

suoi

candida luna; e questo a quello.

socievole patto, dritta guida.

saggio agli occhi suoi qual tempestoso


raffigura il mondo. Alto sollevaci

In esso l'onde allo spirar dei venti


Impetuosi, e in mezzo all'onde vogano

Settanta navicelle. All'aer spiegate


Son lor candide vele, e una soltanto,

Pi spaziosa, come sposa adorna


Qual di fiero augel viva pupilla.
Profeta Mohammd su quella nave
Viaggiando sen va; sono

al

suo fianco


di

Compagni e

Ali fedel, gli altri

Del Profeta

109

tutta

Dio l'ampia famiglia.

saggio allor, che il tempestoso mare


Scorge dal loco suo lontano e spiaggia

Il

Non vede
Fondo

intorno e di quell'acque invano-

ricerca,

ben s'accorge e vede


il mar, che niuno

Glie l'onde sue lever

Uscir da' suoi gorghi.

Il

saggio in core

Tutto ripensa e dice: Oh! se sommerso


Gol Profeta di Dio, col suo Compagno,

Andr nell'acque del profondo mare,


Due fidi amici avr in quell'ora almeno!
Certo che aita e valido sostegno
Mi fia colui che ha trono e regal serto

vessillo in sua

lui

man. L'acque

son care, e

il

de' fiumi

generoso vino

Ei concesse a goder con l'aureo miele,


Egli fontana limpida e perenne

Di dolcissimo

latte,

umor

di fonti.

Or, se alla vita de' beati spirti


Gli occhi tuoi son rivolti,

un loco

eletto

Prendi e t'acquista del Profeta accanto,


Accanto al suo Compagno. E se da questoConsiglio mio ti verr danno, tutta
Cada su me la colpa. Io bene affermo
Esser cotesto la segnata via,
Questa, mia legge.

Che

se

il

cor proterva

Ratto inclina al peccar, soltanto il core


in questa terra il tuo nemico. Al santo

nemico
mondo, e se pur v'ha, costui
L'antico padre suo mai non conobbe.

Compagno
Non havvi

del Profeta alcun


al

Laggi, nel fuoco eterno, Iddio l'abbruci!


Ma tu non estimar cosa leggiera

Questa vita mortai. Non dilungarti


Da chi segnava in terra orme preclare,.

110

Che ad opre egregie por

tu di principio

Or che discendi alla terrena pugna


Con gente di gran nome. Ecco! se approda

nobil fine opra leggiadra e onesta.

Onesto oprar

scegli e d'opre vili

ti

Alta vergogna accogli in cor.

Errando va

la

mia parola,

Ma

lungi

e nullo

Vegg'io confine al nobile argomento.

VII.

Composizione del Libro dei Re.


(Ed. Cale. p. 6-7).

Quante dir leggiadre cose


Dette furono un

Tutte

d.

le

e lidie.

parti

Di quest'almo giardin che arduo rinchiudo

nobile saper, tur ricercate;

se loco

nessun mi

su la pianta che

concosso

fia
s

vaghi

frutti

Nutre sui rami, che salirne il vortice


Non mi fu dato, ben colui che siede
D'un arbore fiorente e maestoso
Sotto a le fronde, da ogni mal difesa
Trova in quell'ombra. Forse anch'io sui rami
Di tal cipresso che ombre attorno gitta,
Acconcio un loco trover: e l'orse
Questo, clic narra de' regnanti prischi

Libro famoso, lascier qui

in

torca

Qua! ricordo di me. Leggi, e in tuo core


Pensa che nulla v'ha menzogna in esso,
Nessun inganno. Che pur sempre eguali
Le soldi si volgean dell'uman semi'.

Non pensar

tu.

Ma

Cosa si accorda con


D'enigma anche per

in esso ogni pi bella


la

mento nostra,
quando taluna

via.

Alio significato in so nasconda.

Ili

Ma di tempi pi antichi aravi un libro,


Pieno d'antiche istorie. I sacerdoti
Ne avean, chi qua chi l, sparsi frammenti,
Ogni saggio ne avea cospicua parte,
Qual tesoro acquistato. E un di pur visse
Un forte, a' borgomastri almo rampollo,
Animoso e possente e saggio molto

di

molto consiglio. Ei degli antichi

Tempi cercava con amor

le cose,

degli antichi raccogliea le illustri

Parole e

Da ogni

Da ogni

fatti.

castello,

villa intorno,

vecchi sacerdoti

Raccolse un giorno, e questo antico libro


Compose allor, gl'interrogando a prova
Delle famiglie de' regnanti prischi
E degli eroi che' fr lodati un giorno,
lor, che l'ampia
Terra a principio governar col senno

Nella vetusta et, di

E
E

a noi l'abbandonar poscia in


miserevol stato. Ei ricercava

tristo

Sotto qual astro amico al termin suo


Di lor grandezza fosse il d venuto.

E quei tutte narrar partitamente


De' prischi re le cose e di fortuna
La mirabil vicenda. Ogni lor detto
Ascoltava quel prence, indi un famoso
Libro ne componea, nobil ricordo
Di

lui nel

mondo. Facciali lode a

le genti del

volgo e

Vili. Il

prenci

lui

tutti!

poeta Dekki.

(Ed. Cale. p. 7).

Ma poi che da tal libro ogni lettor


Leggeva intorno molte istorie assai,

a quel racconto

112
s

piacente

il

core

Ponea la gente, ogni pi saggio e dotto,


Venne improvviso un giovinetto. Avea
Sciolta e nobil favella, arguto

il

labbro,

anima dolce e buona,


E costante dicea: Nobile un carme
Io comporr da questo libro antico!
E tutti ne gioir. Ma di natura
Egra fu sempre l'et sua pi bella;
Sempre ei lott col mal. Venne improvvisa
Su lui la morte e funeral corona
Splendido

il

core,

Gli pos su la fronte. Ei, per quel male,

L'alma dolce spir, n, fin cb'ei visse,


Ebbe quel core alcun conforto o gaudio
Un giorno mai del viver suo. Cadea
La sua fortuna, ed ei mora trafitto
Dalla
I

man

d'uno schiavo. Erano mille

sonanti ove Gushtaspe

distici

Ei celebrava con Argisp, nel

Che

la

morte

il

tempo

giugnea. Cos dal

mondo

Si parta l'infelice, e questo libro

Senza quel carme

Che

si

la sorte di lui,

rest negletto,
vigile in pria,

S'era assopita nella morte eterna.

Deh!

gli

Le colpe

perdona, almo Signor del

Nel tuo cospetto, accrescine

IX.

cielo,

sue! Nel d del tuo giudizio,


la gloria!

Composizione del Poema.


(Ed. Cale. p. 7-8).

Dall'infelice giovinetto allora

Questa mente si tolse. Io mi voltai


Supplice al trono dell'Eterno e voto
Fei nel mio cor di rinvenir l'antico

113

Libro negletto, per volgerlo in nostro


Dolce sermon da quelle carte antiche.
Lungo il cercar, che tutti io ne richiesi
Con infinito ardor. Forte io temea
Del rapido mutar dei fuggitivi
Giorni su in ciel, se forse io non avessi
Spazio di tempo alla grand'opra, e ad altri

La dovessi lasciar. M'era pur noto


Che serbar molta f non mi dovea
Quel mio tesoro, che non havvi alcuno
Che grande e liberal l'altrui fatica
Ami ricompensar. Pien di guerreschi
Tumulti si volgea quel secol nostro,
E a chi dell'opra sua premio cercava,
Era il vivere gramo. In questa guisa
Lunga stagion passai, n il mio secreto
Manifestai, che non vedea chi degno
Fosse di udirlo e amico mio nell'ardua
Impresa si facesse. Eppur, qual cosa
pi dolce nel mondo e pi soave
D'un detto amico? Lodanlo i potenti
E in gran pregio l'ha il volgo e se non era
;

Bello e possente dell'Eterno

il

detto,

Potuto come avra l'almo Profeta


Con tal parola farsi a noi maestro?
Nella nativa mia

citt,

E dolce amico, io s, mi
Tu avresti esser noi due

pregiato
avea.

Ben

detto

quale una sola


Persona e un'alma. Egli mi disse un giorno
saggio, bello il tuo consiglio, e possa
glorioso calle inceder sempre
Trionfando il tuo pie! L'arduo volume
Che in pehlvica lingua un d fu scritto,
Se indugiar non ti vuoi, pronto son io

Per

Qui a recarti. Piacente hai la favella

giovinezza hai

tu,

verbo,

gli

antichi

114

a celebrar capace
In nobil guisa. Or va; quel regal libro
Volta in nostro sermon; cercati onore
Presso ai regnanti con ardita impresa!
Eroici

fatti

Quando quel

libro ei

L'anima mia ch'era

mi

rec, rifulse

trista e fosca.

X. Lodi di Ab-Mansr.
(Ed. Cale. p. 8-9).

Allor ch'io cominciai Tardit impresa


Di quel libro regal, grande e famoso
Viveva un prence. Giovinetto egli era,

discendea da una gagliarda stirpe

D'antichi eroi, saggio e prudente e accorto


E di sereno cor. Molla saviezza
Egli avea

ili

consiglio; e verecondia

nobile parlar, dolco l'avella

E
Eran suoi pregi eletti. Oh! che mai dunque,
Sovente ei mi dicea, da me si chiede,
Perch l'anima tua tutta si volga
All'antico racconto?... A me ricorri
In ci ch' d'uopo, e l'opra mia solerte
Per me non fallir, del tuo bisogno
Qual fresco
Ad altri il carco non dar.

Pomo

cresciuto a un arbor su

In sua guardia

ei

la

cima.

mi avea, perche importuno

Vento non mi offendesse,

to

fino agli astri

Mi senta sollevar dall'umil loco


Pel favor d quel grande. Agli occhi suoi

Quanto la terra vii l'oro e l'argento


Arcan scarso valor, ma il nascimento
Nobile ed alto maggior pregio in lui
Con dignitade accumular parea.
Vile era

il

mondo

agli occhi suoi: di

formo


Core

115

egli era e fedel,

sparve un

d'alma preclara,

ben che famoso e

d,

illustre,

Dal popol suo, qual nobile cipresso,


Cui dal suo loco, in un giardin fiorente,

La procella schiantava. Oh! nobil sire,


Che avi splendido cinto, e il portamento
Avevi

di

gran

E maestoso

re, gentil

persona

incesso!... Io pi

non

vidi

Da un

fatai giorno in poi segno nessuno

Di

n vivo, n gi spento. Ei cadde

lui,

Per man degli omicidi, orride belve.


Questo mio cor, captivo ora per lui,
Senza speme rest; l'egro mio spirto
Trem qual ramo alla bufera. Oh! scenda
Maledizion sull'anno infausto e

il

mese,

Nel quale ebbe poter sulla persona


Di tal prence il nemico!... Io bel consiglio
Ricordo ancor di quel possente, e adduco

pi retto sentier l'anima mia,

Per quel consiglio, dagli errori suoi.


Quando compiuto avrai, dissemi il

saggio,

Questo Libro dei Re, solo a regnanti


Bello sar se tu

l'affidi

questa

Dolce parola infonde nel cor mio


Un soave gioir, tutta quest'alma
Esulta e gode in se, che ove quest'alma

Ricorda ancora il suo consiglio amico,


Pi saggio questo cor rendesi a un tratto,
E nova gioia lo ravviva e accende.
Cos la man distesi all'opra in nome
Del Re dei re, da l'eretta cervice.
XI. Lodi del

Sultano Mahmd.

(Ed. Cale. p. 9-10).

Da che

Man

il

mondo cre l'onnipossente


un prence a lui simile

dell'Eterno,


Mai non apparve.

116

Egli

ha corona e seggio

Imperiai, vittoria l'asseconda,

E vigile fortuna
Come fiammante

Iddio gli diede.

Risplender

sua corona, e splende

fa la

sedendo in trono,

sol,

L'ampia terra per lui qual levigato


Nitido avorio. Or tu dirai: Quest'almo
Sol che s vivo splende e da cui tanta

Luce s'accresce per

la terra oscura,

Come s'appella
Abu '1-Kasm, l'invitto
Re che tu chiedi, il trono suo pi in alto
?

Pose

Da
Il

di questo sol.

La terra

tutta

oriente adornava ad occidente

possente signor,

D'oro s'apra per


In ogni loco.

lui,

La

che miniera
per sua possanza

fortuna mia

Sonnolenta destossi, e un pensier nuovo,


Molti pensieri mi affollar la mente.

Conobbi allor che tempo era venuto


Propizio a favellar, che rinnovarsi

Doveano allora e ritornar gli antichi


Tempi de' prischi re, s che una notte,
Col pensier della niente in questo assorto

Magnanimo

signor dell'ampia terra,

Col cor pien di sue

lodi, al

sonno

in

grembo

Mi abbandonai. Splendea questo mio core

Come

facella in quella notte oscura;

Chiuso era il labbro, ma il mio cor vegliava.


Stupenda vision l'alma serena
Vide nel sonno allor. Parve che a un tratto
Dall'acque uscisse del profondo

Una

mare

face splendente; era la terra

Un'atra notte, ma al chiaror di quella


Vivida luce risplendea pur essa
Qual fulgido rubin. L'ampia campagna

de'

monti

le

falde intorno intorno

117

Par ver coperte d'un verde broccato,


Allor che un trono si mostr, di mille
Turchesi ornato e sfavillante. In esso
Un gran prence sedea, bello qual luna,

su la fronte non celata avea,

Ma

una corona

tutta d'or. Dintorno

due miglia i prodi suoi


E da destra e da manca erano in ampio
Ordin disposti sette volte cento

Si stendean per

Elefanti animosi. Eragli innanzi


Nobil ministro, e al gran signor la via

Di giustizia mostrava e l'alte norme


Di nostra fede. Io mi stupa per tanta

Maest di quel re grande e famoso,


Per tante genti sue, per quelli in guerra
Valorosi elefanti. E poi che in volto
Al possente signor gli occhi io fermava,
Un de' suoi prenci a dimandar mi fei:

questa,

La

dimmi

Di sovrano

Che
E

tu, del ciel la vlta,

luna questa, o

il

trono o la corona

queste

signor?... Stelle son

songli attorno, o prenci incliti in

armi?

mi rispondea: Questi il signore


D'India e di Grecia; da Kannogia al mare
Di Sind lontano. Ma in Turania tutti
tal

Gli son servi e in Irania, e vivon tutti


Sol per sua grazia e suo voler. La terra
Egli tutta adorn di sua giustizia

Con

l'opre illustri, e poi

che fu compiuta

pose in su la fronte
L'impresa sua,
L'inclito serto. Egli Mahmc, possente
si

Signor

di nostra terra; egli

a una stessa

Fonte conduce e lupi ed agni.

Da Kashmir popolosa

al

mar

prenci,

di Cina,

Prestangli omaggio ossequiosi; e allora

Che

nella

cuna dal materno

latte


Distolto

118

labbro d'un infante,

il

Mabmd

Del regnante

primo

il

nome

ei balbetta.

Tu

pur, cbe dono hai di favella e cerchi


Eterna gloria per lui sol, le lodi
Cantane riverente. Il suo comando
Niut trasgredisce in terra, e al cenno suo

Niun mortai

si

grande.

sottrae, tanto egli

Dal sonno mi destai. Balzai dal loco


Ov'era, e in pie deh! quante notti oscure
Stetti a far voti

Oro da
L'alma

per

gli offersi,

tal

re gagliardo!

ma

non avea,

offrirgli io

e dissi in

E nobil vision si avr risposta,


Che la fama di lui per l'ampia
Alto risuona. Oh! lode a

tutta

me: La chiara

lui,

terra

che lode

Ei fa pure all'Eterno, e benedetta


Sia la sua sorte vigile e serena,

La sua corona ed
Bella

il

suggel! La terra

per maest eh' sua,

fa

si

ouale un giardino a primavera; il cielo


Nuvole ha ombrose, e il suol mille parvenze.

Scendon

le

pioggie su gli aridi

campi

Al tempo lor propizio, il mondo intero


D'Irm sembra il giardin per tutta Irania
;

Per sua
Gioisce

giustizia opere son leggiadre,


il

mondo

di

sua

gioia.

quale un ciel di fede intatta

il

a'

prence

suoi

ma in guerra a un fiero
Drago simil. Nel corpo un elefante
Ardimentoso, ed Gribrl nell'alma,

Conviti di gran re,

Angiol

di

Dio,

no' doni suoi qual pioggia

mese di Behmn, fiume di grazia


Nel magnanimo core. la fortuna

In

De' suoi nemici, contro all'ira sua,


Vile e spregiata,

come

l'oro vile

Dinanzi agli occhi suoi. N per corona


Si

119

per tesoro imperiai superbia


assunse mai, n per battaglie e imprese

Quel suo cor si oscur. Tutti frattanto


1 fidi suoi, che molti ei n' ha, i famosi
Guerrieri e i servi d'illibato core
Questo prence di prenci han caro e amico

tutta

Ne' lor

sono e obbedienti
Prenci son dessi ancora

fedeli gli

Con

lor

f.

per l'immenso regno,

castelli

nome

grida oggi dall'alto

si

Seggio sacerdotal nei templi nostri.

XII.

Lodi dell'Emiro Nasr, fratello del Sultano.


(Ed. Cale.

Primo

fra questi

p.

10-11).

il

fratel

suo bennato,

che non ha pari in quella


Dolcezza umana che l'adorna. Il saggio
Che di Nasr animoso alla grandezza
Fedel servo si dice, all'ombra queta

Minor

d'et,

Di quel signor dell'ampia terra tutta


ei che padre un giorno
Ebbe Nasir-ed-din, trono ha lucente,

Vive beato. Ed
Di cui

la

base quale

consiglio e virt

il

serto fulgido

Ha

valor grande
d'uom saggio e accorto,

Delle Pleiadi in cielo.

i prenci tutti allietansi per


Quanti son nella reggia. Anco

Signor di Tus

di tal

lui,
il

possente

schiera eletta,

Ei che in battaglia anche un leon conquide.


Oro a' suoi servi ei d quanto ei ne tocca
Da lieta sorte, che la gloria sola
Ei chiede in terra e l'ha. La via che adduce
All'Eterno, egli addita all'uman seme,

Prega che

al loco

suo resti

il

suo prence.

120

resti senza la corona


Di questo re la terra! Eterno a noi
Resti e viva beato, e segga in trono
E cinga il serto e sia robusto e forte

Oh! mai non

Della persona, sciolto dall'affanno

dal dolor di sorte vincitrice!


Or io mi volgo al principiar dell'opra,

Al volume dei Re famosi un tempo.

Gayumers,

PRIMI RE
HOsheng,

Tahmuras,

GemshTd.

PRIMI RE

Gaymers, Hsheng, Tahmras, Gemshid.

Il

1.

re

Gaymers.

(Ed. Cale. p.

11-14).

L'uom de la villa in favellar maestro


Qual mai primo dicea che gloria e grado
Si cercasse nel

In fronte

si

mondo

ponesse?

e regal serto

Ecco,

nessuno

De' prischi tempi sa narrar le cose,

Fuor

che giovinetto ancora


serba in mente,
E a te le narra ad una ad una, quali
Dal padre suo le ud, ben ricordando
Chi regal nome da principio ottenne
E chi grado maggior s'ebbe fra i prenci.
Quei che cerc l'antico libro, dove
Tutta si narra la mirabil storia
di colui

Dal padre

le ascolt, le

De' prischi eroi, gi disse che del trono,


Della corona l'inclito costume

Gayumrs ritrov, ch'egli fu primo


Re de' mortali. Allor che in Ariele
Questo sole ascendea, mentre

la terra

Vesta nuovo splendor, belt novella.

Poi che dall'alto pi cocenti

Scendean del

sol nell'Arite, e

Di giovinezza penetr la terra,

fai

un'aura


Gayumrs
E regno e

124

Sovra erto monte


semplice sua stanza,

potest.

Locata avea la
E sorse da quel monte
De' suoi tutta e di

con
Cibo venne da
Ei

la fortuna

Ferine

lui.

pelli

sua gente, e

la

vest

si

mondo

fortunato ebbe sul

lui,

che

il

primo

vesti e cibi

ignoti in pria. Tenne suo regno


G-ayumrs per trentanni, ed era bello

Erano

come sole,
come luna
Sovra un alto
S

e in trono risplendea

al

quindicesmo giorno

cipresso.

pie del trono

Yenian tranquille a riposarsi, appena


Il vedeano cos, le fiere a torme,

Ed ogni belva ossequiosa innanzi


Al suo seggio venia per quella sua
maest

Inclita sorte e

sire,

di

E presta vangli omaggio, e di lor vita


Prendean norma dal loco alto e sovrano.
Solo un figlio ei

Ricco

di

pregi

e,

si

avea, leggiadro e vago,

come

il

padre suo,

nome

Disioso di gloria.

Era

Siyamk, e

era e gagliardo
cor del padre suo

Il

felice

giovinetto, e

Palpitava per

Godea

il

lui,

per

il

suo

lui

soltanto

carchi

la vita, cli fiorenti e

Esser dovean

di dolci frutti

Di quell'arbore

eletti.

rami

Eppur, gemea

nell'alma sua piena d'amore


dolea per tema die un avverso
Destili rapisse il figlio suo, che questa

Per

lui

si

del mondo la legge e suo costume


questo. Il padre ne' gagliardi figli
Tempo trascorse
Ha possanza ed onor.
splendea
mentre
cosi,
quel
giorno
Da

Del notule signor

l'inclita gloria.

125

In terra allor, nessun

era nemico

gli

Fuor che Ahrimn perverso

Ahrimn fraudolento ebbe


1

Invidia, e f consiglio

Avanzasse bramosa.

Ahrimn
Lupo nel

possedea,
volto;

ma

onde

Un

in loco ascoso.

nel core

mano

la

solo figlio

come agreste

protervo e ardito

s per un accolto esercito


Grande, possente. Con tal schiera ei venne
A Gayumrs, che la regal possanza
Egli ambiva e quel seggio e la corona
Di regnante e signor. Parve ben fosca
A quel figlio di Devi ingelosito
Questa sede dell'uom per la fortuna
Di Siyamk, per la fiorente e lieta

Egli era

Sorte del vecchio

re, s

che ad ognuno

Disvel del suo cor l'alto secreto,

di voci discordi, invidiose,

la terra. Ma di ci com'ebbe
Novella Gayumrs? chi mai gli apprese

Emp

Che

altri assider volea,

Sul regal seggio?

qual re sovrano,

Venne

all'improvviso

L'angiol Sersh dall'alto, angiol beato,

Come

spirto veloce a quell'antico,

Cinto di

Tutto

gli

Che mai

pelli,

e per secreta via

disse, l'orrido

nemico

facesse col suo tristo

figlio.

Poi che dell'opre del maligno Devo

A Siyamk

tocc novella, un
Sdegno nel cor del giovinetto

Subitamente entr,

alto
sire

ch'ei raccolse

Ampia una schiera e ad aspettar si


Di ucciso pardo una villosa spoglia

pose.

Si cinse ai fianchi (militar corazza

Non era ancor

ne' prischi tempi in uso)

corse al Devo incontro, avidamente

Disceso a contrastar. Quando trovarsi

L'ima

nemiche schiere

dell'altra le

campo a

In vasto

fronte,

ignudo

il

petto

Siyamk s'avanz, feroce assalto


D'Ahrimn diede al figlio. Allor, stendendo
L'orride branche sue maligno

Del giovinetto re pieg

Avvenente persona e

il

al suol la stese;

Indi con l'ugne entr le carni e

Petto

Esanime

gli

Devo,

la bella

il

squarci, che giacque

sul suol, vittima

candido
il

prode

prima

Di suo consiglio e del Devo perverso,

E l'esercito suo senza la guida


Del suo senno rest. Ma quando seppe
Del figlio suo l'acerbo fato il prisco
Signor dell'uman seme, oscura e tetra
Si f' per lui questa terrena stanza,

che scendendo dall'antico trono

In lai proruppe di dolor, la fronte

Battendosi e mordendosi le mani.

Avea

le

gote lagrimose e colmo

Di affanno

la

il

cor, s

che

il

terreno stato

fortuna sua pieni d'angoscia

parvero in quei d. Pianser le genti


Al pianto suo; ravvolte in azzurrine
Gli"

Vesti (segno di duol) vennergli innanzi


Alle porle regali, e avean di lagrime

ambe le gole.
Anche le fiere, anche gli augelli a torme,
Con ogni armento, vennero gridando
Molli le ciglia e rosse

Alla

montagna

in folla, e

avean sembianti

Offesi di dolor. Levossi allora

Sul regio limitar

Un
Per

di negra polve
denso turbo, e quei, dolenti e

tutto

un anno,

si

pii,

restar su quelle

Soglie regali. Dell'Elenio allora


Venne

127

quaggi dal cielo un messo.

in terra

L'angiol beato salut l'antico


Sire e gli disse: Ti rincora, al pianto

Pongasi fine ornai. Torna

al

tuo senno,

re possente, e al voler mio cedendo,

Raduna

di gagliardi eletta schiera,

De' tuoi nemici l'empio stuol disperdi.

Franca
Franca

La
La

terra dal maligno Devo,

la

tuo cor da ogni cordoglio, e accheta

il

brama

fiera

di vendetta.

Allora

fronte al ciel lev l'inclito prence

Imprecando

nemico. Iddio Signore

al

nome suo pi augusto


lagrime cadenti

Egli invoc del

rasciug

le

Dalle sue ciglia,


figlio

Il

ch'ei tosto corse

a vendicar.

La

notte e

giorno

il

Pace non ebbe, non trov riposo.


Siyamk fortunato ebbesi un giorno

Un figlio
E saggio

in terra. All'avo

suo

di fido

consiglier quel giovinetto

Era in loco, ed avea quel valoroso


Hoshng a nome. La prudenza istessa,

La

stessa intelligenza era quel figlio

gran padre, all'avo suo ricordo


s che nel suo
Grembo ei l'avea con molto amor nutrito
E qual figlio l'amava e in lui soltanto
Di

Del morto genitor,

Godea

gli

sguardi soffermar.

Ma quando

Alla vendetta ed alla guerra pose

L'antico prence

il

Hoshng preclaro

cor,

chiamossi

al fianco

e valoroso e tutte

Gli raccont le intravvenute cose

ogni secreto

gli

svel dall'alma.

Ampio, ei disse, un drappel di valorosi


Aduner, di guerra un alto grido
Far udir per li campi. E tu sarai

128

Duce a tal schiera, che migrar m'


Da questa vita, e tu sei re novello.
Ampia una schiera di Per alate

forza

Egli adun, di tigri e di sbrananti

Lupi e leoni e leopardi. Allora


Del re del mondo eran sommesse

Le umane

al

cenno

stirpi e le fiere e gli augelli

armenti pur anco, e fu composta

gli

Quell'oste sua di paventose belve,


D'augelli e di Per.

Ne andava

il

duce

sua veste militar; ma dietro,


Dietro all'oste venia l'antico sire,
Principe Gayumrs; iva dinanzi
Quel suo nipote con le squadre. A un tratto,

Con

la

Lo spavento menando e la paura,


Levossi il Nero Devo e al ciel la polve
Sollev in denso turbo. Oppresso agli occhi
Dell'antico signor parve

il

nemico,

Stordito e vinto alle grida furenti

Di tante belve.

Ma

del

campo a mezzo

L'una sull'altra si gittr le schiere,


E da quel d'animanti immenso stuolo
Vinti i Devi restar. Come leone
Distese allor la poderosa mano
Hoshng sul Devo e questa gli f' angusta
Terrena stanza. Con un cuoio attorto
Tutto l'avvinse dalla testa ai piedi
E l'orribile capo gli divelse;
Indi,

qual cosa

L'estinto

vii,

Devo e

il

sotto gittossi

calpest.

Gadea

La pelle a brani da quel corpo informe,


Esanime sul suolo abbandonato.
Gom'ei venne esattor di sua vendetta,
Giunse di Gayumrs l'estremo giorno,
Ed ei pago mor; quest'ampia terra
Di

lui

rimase qual retaggio.

Oh

vedi

129

Acquistar chi potria grazia e favore


In questa vita? Illusion fallace

questa vita, e il male e il ben ch" in essa,


Non dura appo ad alcun. Resse quel grande
Il mondo ingannator, calc la via
Che

Ma

adduce,

di cose leggiadre al frutto


sfioia

o gaudio ei non raccolse in terra.

II.

re

Il

Hsheng.

(Ed. Cale. p. 14-16).

Principe Hoshng, in sua giustizia e senno,


Dell'antico avo suo
Il

si

pose in loco

regal serto in fronte.

Il

ciel

volse

si

Per quarantanni sovra lui, che ricco


Era di senno e di saggezza, pieno
Di giustizia nel cor. Quand'ei
Di sua grandezza

si

assise

al loco eccelso, in questa

Guisa parl sul trono imperiale:

Son

io

signor de' sette climi, ovunque

Vittorioso e libero e disciolto

Nel mio comando. Ma di Dio vincente


Obbedendo al precetto, ecco! son io

far grazia e giustizia e accinto e pronto

Indi la terra ei fece

amena

e tutto

mondo emp di sua giustizia. E in pria


Fulgido un minerai vennegli a mano;
Il

Ei con molto saper dal duro sasso


Il

ferro liber. Materia all'opra

Il

lucido metal

Qual da

le selci

Dure e sonanti;

il

modo

si

fece allora,

sprigionato avea
e poi che

ne conobbe

e l'uso, incominci del fabbro

L'arte sovrana, e scuri ed affilate

Bipenni ne form, stridenti seghe,

130

Ascie taglienti. Quando fr quest'opre

fin condotte,

ad irrigar

campi

li

Vols'ei l'ingegno, e per l'ampia

campagna

Trasse dai fiumi l'acque chiare e fresche


E per ruscelli acconciamente schiuse

Loro la via. Breve f' agli altri l'opra


Con la possanza sua regal. Ma intanto
Saver crescea nella mente robusta
Di que' prischi mortali e la semenza
;

Sparsero allor per

gl'irrigati colti

piantaron germogli e

le

Messi a raccr fr pronti.

Ciascun

prepar, semin

si

Notandone

Umano
E

campi,

che pria che queste


scoperte, agresti pomi
mortali. Assai non era

il

A ili fosser

Cibavano

mature
pane allora

Il

confili,

stato allor ricco e fiorente,

semplici mortali aride foglie

Avean per vestimenta

ai fianchi intorno.

Era gi dell'Eterno un cullo in pria,

E Gayumrs,

avo d'Hoshng

Pompe

s'avea.

riti

Ma un

illustre,
d,

dal chiuso

Sen delle pietre ove giacea nascosto,


Lampeggi un vivo fuoco, e una novella
Luce pel mondo, al suo venir, si sparse.
Con breve scorta Hoshng l'erta montagna
Un d sala, quando gli apparve cosa

Lunga

e lontana. Mobile e veloce

Era e bruna soverchio. Erano gli occhi


Come fonti di sangue, e il negro fumo

Che

dalle fauci spalancate usca,

L'aria offuscava. Riguard con molta

Prudenza

E una
Ratio

il

saggio re, con molto senno,

pietra all'errando, alla battaglia


si

unisse.

Via scagli

la

pietra

Con la sua forza di regnante, e

il

negro

131

Serpe ratto fuggi dinanzi a lui.


Ma la pietra minor forte a maggiore
Urt di contro e si spezz con quella

Un cotal poco, e scatura dall'una


E dall'altra una luce, e un chiaror
Tutto quel loco

rivesti.

vivo

Non ebbe

Morte per l'orribile serpente;


Ma quel che uscia da sue ltbre acceso

E fulgido splendor, f' chiaro al prence


Che chi, ferro impugnando, a tutta forza
Batte le pietre, vivida scintilla
A un tratto uscir ne fa. Ma il re del mondo
Nel cospetto di Dio venne adorando,
Benedicente, che l'Eterno in clono
Questa luce gli die, ponendo un segno
Agli uomini cos, ver cui voltarsi
e il re, Luce divina

Dovean pregando,

chiunque alberga
con virt, l'adori!
notte e sull'alpestre cima

cotesta, dicea;

Saggezza

Venne

Un gran

in petto
la

fuoco dest, qual di montana

Tetta culmine acuto, e intorno al fuoco


Il prence si rest con la sua schiera.
Festa egli indisse in quella notte e vino
Bevve pur anco e di Sadh alla gaia
Festa die

Rimase

il

nome. Cotal

festa poi

in terra qual del sapiente

nobil re

memoria

viva.

Oh! molti

Fosser quaggi pari a costui nel senno


I regnatori! La terrena sede

Adornava ei costante
S che la gente f' di

e la fea lieta,
lui

In bene ognor per tutti

ricordo
gli

anni appresso.

Con. tal forza di re, con tal divina

Maest di sovrano, ei dalle verdi


Foreste ove abitar con cervi e onagri


Soeano in pria,
Tolse e

de'

le

campi

Hoshng,

un

coi tori agresti,

addusse

gli

Lavori, quanti

agnelle e le giovenche

in

gli asini

132

ai pazienti

davangli frutto.

questa terra ampio signore,

di

In suo senno dicea: Questi vi abbiate

coppie a coppie vosco ripartiti

Pacifici animanti, e

Con

il

smuovete

suol

Frutto ne avrete: un dolce

essi ancor.

Tributo da lor opre,

nutrendo,

li

Coglier pensate con intenta cura.

Quindi

buon prence a molti animaletti

il

Che avean morbido


Armellini e

Faine e
Colpo

la

di

volpi,

pel, conigli e tassi,

pel folto e lucente


tolse

con maestro

cara vita e trasse

il

cuoio

Morbido e lieve, e ne vest le membra


Degli uomini parlanti. Avea quel prence
Fatto ai mortali doni eletti, ancora
Goduto avea, ma. tutto abbandonando,
Si mor, n orni s, fuor che onorato
Un nome, nulla via rec dal mondo.
Per quarantanni, con virt, con gioia.
Oprando visse e f' giustizia e grazia.
Molto s'afflisse ancor nella sua vita
Per

pensici- gravi e molte cure.

Che tempo venne


E termo slato
Rest
11

fato

di

non

in

gli

avea concesso

l'antica

Mai non

vita,

Ila

ed

il

in

Irono.

terra

partissi

ei

saper, col senno suo

Che

destin,

non

virt.
il

E allora

pi felice

ampio retaggio

cielo,

Lunghi giorni di
Con tutto il suo
D'amicizia

di

lui

sua grandezza

di

lui

ch'ei

ti

si avvinca
giammai.

te

(ia

mostri aperto

il

volto.

III.

Il

>

Tahmras.

re

(Ed. Cale. p. 16-18).

Hoshng un

Tahmurs

figlio

avea ricco

sonno,

di

valoroso, inclito e forte

Dei Dovi domator. Venne e si assise


Del genitor su l'alto seggio, accinto
Di sua cintura qnal di re. Chiamando
Della sua gente i sacerdoti, oli! quanto

Parole
A me,

disse con facondo senno!

ei

disse, in tal

rogai corona

la possono
Clava e Telmo ferrato. Io l'ampia terra
Col senno mio da ogni opera men bella

Ben

si

convien col trono e

Render franca, e poi d'una montagna


La stanza mia porr sovra la cima.
Infrener

La man

sol io

con arte e senno

dei Dovi in ogni loco; in terra

Solo regnar vogl'io. Cosi, qualunque


Util cosa nel mondo, io manifesta

Render

a voi, ch'io la sciorr, spezzando

Quanti legami avvinconla tenaci.


Con tal pensier, dal dorso de' belanti
Greggi

Ed

il

savio signor tos la lana

ogni crine con

la force,

quando

e vesti e tuniche

L'ebber gli altri


Tesser ne f' con cura; anche fu guida
filata,

far tappeti e coltrici;

Quanti

ei

vedea veloci

ma

poi

al corso in terra

Pacifici animali, erbe virenti,

Loro apprestando e

fien raccolto

ed orzo,

F' contenti e satolli. Osserv ancora

Le selvatiche
Veltri

f'

belve, e de' sagaci

scelta e de' cervieri.

Ad

arte

134

Questi ei rec pacifici animanti

Dai deserti e dai monti alle sue case.


Al guinzaglio venan quanti eran pure
Di quella schiera.

Recar poteano aita, ardenti


E sparvieri che eretta han

falchi
la cervice,

s raccolse e molte loro apprese

Cose leggiadre.
Di

quanti degli augelli

lui la

Che

Altri

Oh

si

meravigliava

gente! Ei fea precetto intanto

feri augelli

con carezze e cure

ammansasse e cenno

lor facesse

che queste
Opere si compan, trasse il gran prence
Alle sue case le galline ingorde
E i galli, che cantar doveano al primo
Albor, nell'ora che fragor di timpani
Sorge dovunque. Le nascoste cose,
Utili invero, ei trascegliea. Deh! voi,
Disse il gran re, l'Eterno ossequiate,
Sol per dolce richiamo.

poi

Lui, del

mondo

Ch'ei

die potest su la famiglia

ci

Fattoi-,

lodando

in core,.

D'esti animanti. A lui, che ci mostrava


Additando la via, sia laude eterna!
Saggio un ministro egli si avea, di cui
Lungi dall'opre male era il consiglio,

In ogni loco celebrato.

Il

nome

Era Shedspe, ed ei, fuor che a ben


Il passo non movea. Lungi dal cibo

Ad

ogni giorno

il

labbro avea,

si

fare,

stava

In pi, dinanzi a Dio, l'intera notte,

Caro all'alma d'ognun. Costume suo


Era pregar la notte e il ili. Qual astro
Benefico al suo prence era il gran savio;
Ei sol frenava d'ogni tristo e reo

L'anima tracotante;

ei

sol la via

Al giustissimo re mostrava

in terra

135

Di saggezza e virt; forza e potere


Sol da giustizia egli cercava. E tanto

Fu

libera dal

mal l'anima pura


pel suo fedel compagno,

Tahmurs
Che gli splendea

Di

Un

nel volto

divino splendor.

un chiaro lume,

Sappi che molti

Pregi ha quel re che consiglier ministro


Vanti come costui, saggio ed esperto.
Tahmurs venne poi, con sua magia
Pose in ceppi x\hrimne. Ei su quel dorso

Come su ratto palafren sedea,


La sella gli ponea di tempo in tempo,
E a corsa l'adducea pel mondo attorno.
Devi,
L'opre di lui come vedeano
i

cenno suo levar superbi


La cervice, e di Devi una infinita
Schiera adunossi, perch l'aureo serto
Vacasse del gran re. Tosto che il seppe,
Tahmurs si adir, la lor congiura
A disperder si mosse, e cinto ei venne

Ribelli al

Della sua regia maest, pesante

Recando in collo una ferrata clava.


Tutti i dmoni allor, gl'incantatori,
I maghi tutti, in ampia schiera accolti,
S'avanzar rovinosi, e un negro Devo
Li precedea sbuffando. Urli feroci

Levaro

al ciel; s'oscur l'aria, e

oscura

che tolto agli occhi


Fu il veder chiaro. Tahmurs, di tutta
Cinto la gloria sua, signor del mondo,
Chiuso nell'armi, s'avanz, col core
Anelante alla pugna. Eran stridenti
Fiamme di l con negro fumo, e i Devi
Entro a quel fumo avvolti; eran da questa
Parte i compagni del signor del mondo,
Si

f'

la terra, s

Ardimentosi e

forti.

xAspro

un

assalto

136

Tahmurs diede allor; ma lungo tempo


La pugna non dur. Di tre due parti

Ne

f'

cardie

di ceppi, arte

adoprando

Di possente magia, l'antico sire,


E gli altri tutti con la ponderosa

Clava atterr. La miseranda schiera


Tratta fu in ceppi, sanguinente ancra
Dalle aperte ferite. I vinti Devi

Ghiedean

la vita in

dono. Oh! non ucciderci,

Diceano, almo signor. D'arti novelle

Avrai scienza, e ten verr gran


L'inclito sire lor

le'

frutto.

grazia, ascose

Cose purch da lor fossergli aperte;


E quei, disciolti dalle sue catene,

Obbedienza

al

gli

giurar costretti,

magnanimo

re l'arte

ammiranda

Della scrittura addimostrar, novella

Luce portando al suo fervido core.


N una soltanto, ma ben trenta foggie
Di segni

gli svelar,

persiani e greci,

E pehlviche cifre, arabe,


Che usa l'India remota, e

e quelle
le

ciurli

Notando, se ci udisti. Oh! quante cose


Prima ancora oper belle e leggiadre
Per trentanni di regno il savio prence!

giunse

il

fin

Placidamente:

de' giorni suoi.

ma

Mora

di lui restava,

Ricordo egregio, ogni opra sua leggiadra!


Non nutrirci tu adunque, o avara sorte,
Poi che mieter vuoi tu la dolce vita!
'.li.'
se la mieti, qual raccogli frutto

Dal nutricar?... L'uom tu sollevi


Cielo a principio; ratto poi

Tallii

li

Alla sua tomba desolata e grama.

all'alto

IV. Il re Geinshd.
(Ed. Cale. p.

18-21).

Poi che part dalla terrena vita


L'inclito sire, al loco suo

pose

si

L'illustre figlio suo. Figlio di lui

Era Gemshd bennato,


Consigli pieno

il

Ad opre grandi
Trono

ed accinto

e illustri; sul paterno

corona fulgida

assise, e la

si

egli de' suoi

cor, pronto

Si pose in fronte, qual de' prenci in terra

nobile costume. Ei

Con

tutta maest,

Tutta

si

sempre accinto
che la terra

era soggetta.

gli

Una

tranquilla

Pace regnava allor per tutto il mondo,


E le genti non pur, ma Devi ancora,
Gli augelli e le Per sommessi al cenno
Eran di tal signor. Pi bella e amena
i

Questa

il

fea per lui terrena stanza,

si

suo seggio regal splendea per

lui

D'insolito fulgor. M'investe, ei disse,

Divina maest. Grado di


Di sacerdote mio,
A'

tristi

sire,

che

la

accorcer ne l'opre

mano

triste,

Via per l'alme schiudendo a luce eterna.


L'armi allora di guerra, onde ai pi forti
Via di gloria dischiuse, ei con maestra

Mano a compor si accinse. Il duro ferro


Ammollendo con arte al vivo fuoco
Col suo regio poter, corazze ed elmi,

Fulgidi arnesi, artificiose maglie,

sottovesti e pettorali e forti

Armature a coprir cavalli in guerra,


Con anima compose intenta e chiara,

138

in ci di cinquant'anni ebbe fatica

sopportar. Deposte ne" tesori

Le

fulgid'armf, egli pens per altri

Cinquant'anni

Che

Vestono
Di

le

d'assalti nel

lin,

forti.

tuniche guerriere

tempo e

di

tenzoni

Di lucente seta,

di crini e di fulgida

lana

Panni ei compose e preziosi drappi,


Opra ammiranda, e agli uomini d'allora
Del torcer l'arte e del filar con molta

Cura insegn,
Telaio

il

filo

dell'intrecciar sull'ampio

a la composta trama;

E la tela composta essi in un'onda


Purissima a lavar, vesti a cucirne
Appresero da

lui

le genti sue.

Fatto cotesto, ad altre cose ei pose

Primo

il mondo,
Fece una schiera

principio. S'allegrava

S'allegrava

il

gran

re.

D'ogni gente di questa arte e di quella,

cinquant'anni spese in ci pur anco.

lo stuol che de' Ktzi appelli,


Qual riconosci esser gente devota
Al pio costume. Ei separ lai gente
Dall'altre schiere, e f' sugli alti monti

Primo

Loco a cotesti, addetti a Dio, l'ufficio


Perch lor fosse venerar l'Eterno,
Pregando pietosi innanzi a Dio,
Signor del mondo. All'altro fianco suo
Fu posto un allro stuol, quale appellarono
Stuol de' Nisri. Quai leoni ei menano
Assalti e pugne, all'esercito ei danno,

Danno alla terra


Che si regge per

nobile splendore,
essi

il

regal trono,

serbasi per essi intatto

il

nme

Di guerriera virt. Terza conosci

De' Nesdi

la schiera. Essi

non hanno


Animo grato per

39

ma

alcun,

l'arsa

Gleba van lavorando e con industre


Cura vi spargon la semenza. Mietono,
E nell'ora del cibo alcun rimorso

Non sentono
Liberi son

eia

nell'alme ognor serene.

ogni comando, avvolti

misere vesti, e lor non giunge


Detto maligno di proterva lingua,
Niun rimprovero mai, ma, sciolti e scevri

Ben che

in

D'ogni biasmo d'altrui, d'ogni contesa,


Sani di corpo, rendono la terra

Feconda

Uom

amena. Oh

che dicea quel saggio,

sapiente e liberal?

E schiavo

Corrompe

rende, egli dicea, la

Ignavia un liber'uom
Degli

turpe

La quarta schiera

Ahnukhshi s'appell. Son pronti


alma hanno arrogante e audace.

All'opra, ed

Vanno essi trafficando


Hanno da mille cure.
Signor

di

e ingombro

cinquantanni

il

core

sapiente

Il

il

corso spese,

Egli al popolo suo di molti e ricchi

Doni fu largo, e destin diverso

Grado a ciascun, loco diverso a ognuno,


Al merto suo conveniente, e il come
Per primo egli addit, perch ciascuno
Di sua condizion sapesse

il

pregio

maggior grado altrui riconoscesse


il minor stato con perfetta norma.
Poi che quell'opre ebbe compiute, il savio
Prence ai Devi ordin che aride zolle
Mescolasser con acqua. Or che fu noto
Ci che far si dovea col molle limo,

E
E

il

Copia infinita di mattoni i Devi


Impuri fabbricar con tal poltiglia,
E con gesso e con pietre alte pareti
Solleciti levar, tutte osservando


Del misurar

le

140

norme. Ampli palagi

sontuose terme e case e stanze

schermo

F' costruir qual

un

Quindi, in

Le gemme e

da' perigli.

giorno, fra le pietre ei scelse


la lor

luce e

lor splendore

il

Cerc bramosamente. Ogni pi vaga

Gemma
Il

di color

vario egli scoperse,

rubin. lo smeraldo e

il

biondo succino,

L'oro e l'argento, che per magic'arle


Ei separ dalla natia lor selce,
a questi secreti acconcia chiave

Onde

Anco

Allor trovossi in prima.

La sua

mente

fervida

ei rivolse

ai grati odori,

Fatti ali'uom necessari, all'ambra, al puro


di rose e all'odorosa

Muschio, all'acqua

Canfora bianca, ai balsami pregiati.


rimedi
Al soave alo. Quindi
i

Vari

d>"

mali e

farmachi rinvenne

Atti a sanar gli egri mortali, porta

Ond'entra in noi bella salute, e via


fuggono i mali. In cotal guisa

Lei- cui

ei svelava le riposte cose,


questa terra non prov giammai
Ricerca tor cos costante e accorto,

Tutte

Che

l'onde

prime valic su mobili

ei

Navicelli vaganti, e pass ardito

Da questa a

quella reg'ion lontana

Con felice viaggio. Altri cinquanta


Anni in tali opre ei trapass, n vide
Cosa niegata ad intelletto umano.
Quando forza di mente ivi si aggiunga.
Poi che

di

Solo se stesso

lui
ei

Di questa terra.

L'opre sue

di

quest'opre

si

mostrarono.

vide re sovrano

E come

gran

Dall'alto loco suo.

re,

fr compiute
mosse pi ad alto

Con regia possa


Un

trono

Gemme

ei

si

141

form. Quante vi pose

I Devi, ad un suo cenno,


Smuoveano il seggio e fino al ciel dall'umile
Campagna a sollevarlo erano intenti.

Come

lucenti!

fulgido sol nell'aer sereno,

Splendea seduto su quel trono il sire


Libero e forte in suo regal comando.

Le

genti allor, per quella sua fortuna

Di re, per quella sua forza sovrana,


Si radunar festanti a quell'eccelso
Trono dintorno, e preziose gemme

Sparsero

di

G-emshd regnante al piede,

giorno beato

tal

primo giorno

il

Disser dell'anno. Era quel d la prima

Luce

Ferverdn, luce novella

di

Dell'anno giovinetto, e da fatiche

Riposavasi

corpo, e da pensieri

il

D'odio e vendetta

Dell'anno al primo
Il

re,

cor.

il

luce del mondo, e

Festeggiavan quel

eli

Con

lieta sorte,

sedea sul trono

d,

prenci tutti

con molta

gioia,

Chiedean cantori e vin gagliardo in copia;


Quindi, tal festa da quel giorno in poi
Rest, de' prenci antiqui inclito segno.
Cos per trecent'anni le terrene

Cose moveano

allor, n da que' tempi


morte vedea. Non uno osava
Opre stolte compir, morbi non erano,
Non eran mali, non dolori; e ninno
Contezza avea di travagli e sventure,

L'uom

Ma

si

Come

la

stavano accinti

Devi

valletti, a' lor servigi.

tutti,

Un

trono

Di gran valor rizzato aveano, e sopra


Alto vi

si

assidea quel re del mondo,

Re Gemshd

su quel trono alto sedea,

Con un nappo

di vin

nella sua

mano;

142

Devi intenti quel regal suo seggio

Toglieansi in collo e dai campi e dai piani

Fino

alle nubi l'estollean.

Sul trono eccelso

Ampio
Plaghe

giro gli fean delle celesti


gli augelli.

Tendean
la

fu

Mentre

Ma

le

genti in terra

l'orecchio al suo precetto, e

Tutto era pien

Per

Seduto

re sovrano, intorno

il

di voci allegre e

il

mondo

gaie

pace che ovunque si vedea.


cotesto fin che corser gli anni,

maest

la bella

de' regi

In quel grande lucea. Per lui beato

Era

Da

in

pace

la terra, e a

quando

Dio signor venan messaggi a

quando

lui.

Poi che alcun tempo dopo ci trascorse,

Ne

le genti vedean dal lor sovrano


Fuor che opre elette, fu soggetta a

Da

lui

confine a confili tutta la terra,

sedea quel gran re con dignitale

E maest. Ma poi d'un tratto volse


Il guardo suo di sua grandezza al seggio,
E poi che niuno per la terra scorse
Che ugual gli fosse, ei principe devoto

Dio signor

f'

si

superbo, a Dio

Si f' ribelle e sconoscente.

grandi

Tutti chiam del popol suo; deh! quante

Parole

ei disse

innanzi a lor! Con

Principi antichi,
Di me,
L'impero

Da me

f'

tai

di

me

di

quaggi. Vennero

l'arti del

essi,

detti allora:

soltanto io riconosco
tulli'

mondo, e questo seggio

Imperiale incoronato sire


vide mai che ugual mi fosse. Il mondo
Con gran cura adornai. Tutti gli affanni

Non

Dalla terra sbandii; da


Il

vostro cibo a

voi.

la

me

sen viene

vostra quiete

dolci sonni.

Di vostre

Oh

brame

il

143

le vesti

ancora,

compimento, dono

Che vien da me. Per, mia la grandezza,


Mia la corona e la regal possanza.
Or chi dir che, fuor di me, v'ha in terra
Altro signor?...
Il

mondo

Ma

per rimedi e farmachi

risan; nessuno incolse,

Me regnante quaggi, morbo letale.


Chi adunque, s'io non fui, cacci la morte
Da' corpi vostri? Noi potranno mai
Gli altri regnanti, anche se molti. A voi
Da me venne la mente e venne l'alma
In vostri corpi. Ma se alcun noi crede,
Egli Ahrimn. Che se pur noto a voi
Ch'io fei cotesto, ben si vuol che ognuno
Me chiami e appelli creator del mondo.
Stavano a capo chino i sacerdoti
nessuno arda chieder del come,
Del perch dimandar. Come fu detta
L'empia parola, da lui tolse Iddio
La maest di re, pien di tumulto
Restossi il mondo. La sua gente allora
Tutti, e

Dalla sua reggia dilungossi, e venti

tre giri di sol per l'ampia terra

And raminga. Tracotanza umana


Quando la fronte incontro a Dio solleva,
Porta con s la sua rovina, e cade
Ogni sorte propizia. Oh! che dicea
L'antico saggio a cui scorrea favella

Dolce dal labbro, ed era ei giusto e pio?


Anche se prence regnator tu sei,
Servo, ei dicea, di Dio ti chiama. A lui

Chi rubello

si

fa,

sente nel core

E il d sereno
Terror con raccapriccio .
Anche a G-emshid si f' molesto e oscuro.
Quella che risplendea da

lui pel

mondo


Maest

di

sovrano,

Perdette allora, ed

Che

ira del cielo

s afflisse

il

144
il

ei

lume suo
s'accorse e vide

persegua costante

e trem. Ma, nell'offesa

Dell'Eterno sdegnato, alcun non vide

Conforto all'empio re. Gemshid ben molto

Bagn il petto di lacrime e perdono


Chiedendo venne a Dio signor. Fuggita
La maest divina era da lui.
Superbia del peccar nata era in lui.

Leggenda

V.

Dahk

di

e del

padre

di lui.

(Ed. Calo. p. 22-25).

Yisseaque' tempi un
D'astati cavalieri

Re

possente e

uom

gagliardo in quelle

ampie campagne,

magnanimo

e nel core

Per timor dell'Eterno umile e pio.


N'era Mirds l'inclito nome, e ad alto
E nobil grado era ei salito, in opio
Di giustizia e di grazia. Alle sue case
S'accogliean da ogni parte al tardo vespro
E mandre e greggi a mille a mille, e capre

E cammelli e giovenche e bianche agnelle,


Che il giustissimo prence a' mungitori
Fidate avr. Vacche lattanti ancora
Ed arabi destrier, leggiadramente
Discorrenti pel campo, a' servi suoi
In custodia ei lasciava; e chi di latte
\\i'a

brama da

lui,

liberamente,

Secondo il suo deso, stendea la mano.


Quell'uom preclaro un solo figlio avea,
Segno di molto amor. Del giovinetto,
Di gloria amante, era Dahk il nome;
Ed ei crescea gagliardo, impetuoso

145

Nelle sue voglie e senza tema in petto.


Ma la gente il chiamava Biveraspe
In pehlvica lingua. Or, tra le cifre

Pehlviche, bivr vai diecimila


Nell'odierno sermone, e per che

il

prode

avea ben diecimila


Giovinetto
Arabi corridor con auree briglie
Entro a sue stalle, da bivr gli venne
Inclito il nome. Di tre parti due
si

Degli arabi destrieri, e notte e giorno,

Reggean

e ci

le selle,

si

fea

per

fasto,

Non per battaglie o assalti. E avvenne un

giorno,

Al primo albor che in oriente appare,


Che Ibls ne venne a lui con le sembianze
Di dolce amico, e il cor del giovin prence
A un tratto fuorvi dal suo cammino
Giusto e

Die

il

leal,

Parole e

Che

a'

detti suoi l'orecchio

il

savio favellar di

lui,

dell'opre sue triste ei nulla seppe.

mente

Ond'ei, la

che

giovinetto. Gli piacean le belle

l'alma sua

gli

donando e

il

core

danno
veggendo

bella e pura, in

Aperto a cader venne. E quei,


Che il cor gli dava quell'incauto e gioia
Infinita si avea per l'arti sue,
acconci e

lusinghe,

Molti detti

f'

Che vuota

del garzon d'ogni scienza

f'

Era l'alma inesperta. Oh! molte


Dissegli, figlio mio,

son

giovinetto, e tanto

il

ma

Non t'indugiar,
Tu che hai nobil
Patto

ti

cose,

io solo,

niun n'ha esperienza!

belle, e

Parla, rispose

conosco

ci

che

consiglio

sai m'insegna,

Ibls rispose

chieggo in pria; poi lealmente

Ti sveler le cose belle e vere.


E semplice ed incauto era il fanciullo,
FlRDCSI,

I.

1G

146

a quel cenno obbed,

s che tremendo
un giuro innanzi a lui, quale il maligno
Avea richiesto: Non fia mai ch'io sveli

F'

Il

tuo secreto ad

uom vivente. Detto


me dir vorrai.

Ascolter che tu a

prence, a che nelle tue case, ei disse,

Altro dovra signor, da te diverso,

Sedendo governar? Perch dovra


un padre, quando pur tal figlio?
Deh! ascolta un detto mio. Lunga la vita
Che a questo antico padre tuo rimane
Ancora in terra. Ma tu ascoso e gramo
Passi i tuoi giorni. Tu ne afferra il trono,
Esservi

Che

ti convien suo grado eccelso in questa


Natia tua terra. Se tu intatta presti
Fede al mio dir, prence sarai del mondo.

Come

ascolt,

Che pien

Dahk

si

f'

pensoso,

d'affanno fu quel cor pel sangue

Del padre antico. Oh! non degna cosa,

Ibls grid, cotesta!

Che

Altro favella,

che di', far non si dee per noi!


Se dal mio dir lungi ten vai, rispose,
Se ti volgi da patti e giuramenti,
Peso rimanga sulla tua cervice
Del giuro infranto. Vile tu sarai,
Sar in pregio ed onor quel padre tuo!
Ma gi ne' lacci suoi tratto il maligno
Avea l'arabo prence, ond'ei ben tosto,
Obbediente al suo comando, in questa
Guisa l'interrog: Dimmi qual arte
Adoprar si convien; dimmi qual via.
Rispose
Scuse o protesti non cercar!
Ibls allor: Bada! quest'arte io solo
Adoprer, per ch'io sollevi in alto
In fino al sole il capo tuo. Soltanto
Altissimo serbar sull'opra mia
ci


Un

silenzio tu di.

147

N mi

fa

d'uopo

D'alcun mortai la valevole aita.


Ci che far si dovr, per me con molto
Studio farassi; tu dalla guaina
Del favellar non togliere la spada.

Avea l'antico re nel suo palagio


Un ameno giardino, esilarante
Il

cor del vecchio prence. Ogni mattina,


al primo albor, per far sue preci

Sorgendo

Ei s'apprestava, e in quel giardin la fronte

membra

le

lavar nascostamente

In un'onda solea, n gli recava


Alcun servo fedel dietro a' suoi passi

Chiara lampada accesa. Il Devo tristo,


In suo malo consiglio, una profonda
Fossa cav sul rapido sentiero;
Ibls malvagio con vilucchi ed erbe

sommo

Copr a

la via

Venne

la fossa alto scavata,

ne appian da tutte

parti.

la notte, e l'inclito signore

Dell'arabe contrade al suo giardino


Tacitamente volse il pie. Ma, giunto

Quand'ei fu all'orlo della cupa fossa,


Precipit la sorte sua s lieta
Di prence e di signor, che dentro ei cadde
All'occulta voragine profonda

nell'alta

Ebbe

le

caduta infrante e peste

membra. L mori quel grande

Fedele a Dio, d'integro cor; quel prence,


Nella propizia e nella rea fortuna
Libero e grande, che gem pur tanto
Pel giovinetto figlio suo, che un giorno
L'allev con carezze e con fatiche,
Per lui fu lieto, e tesori gli porse,

si

giacque e mor.

Stolto e malvagio,

Ma

il

figlio suo,

non cerc del padre

148

Per via d'amore, non l'amist n il patto,


E complice si f' del tristo Devo
Contro al sangue paterno. Io bene udii
Da un saggio antico che del padre il sangue
Mai versar non os figlio malvagio,
Fosse pur figlio di leon feroce.
Se diversa natura egli ha nascosta
In fondo al core, nella

madre sua

dee cercar cotal secreto. Figlio


Che natura lasci del padre suo,

Si

Non

dirai figlio,

Con

ma

il

dirai straniero.

tal arte cos del padre suo

Dahk ascese impetuoso il trono,


Dahk malvagio. In fronte ei si ponea
La corona degli arabi guerrieri
E fra lor dispensava a quando a quando
Grazie e favori e offese. Ibls, che tutto
il suo deso perverso,
Ad altri inganni rivolgea la mente.

Vedea compiuto
Poi che a

me

ti

se' volto,

ei

disse allora

Al giovine signor, vedi?, toccasti

Tu

del tuo core ogni deso! Se fede

Al mio comando serberai, se il patto


Non scorderai con me fermato e quanto
Io ti dir, non niegherai, quest'ampia

Terra

fia

tua per quanto gira intorno,

Tuo sar su le belve e gli animanti


E sui pesci del mar, sovra gli augelli,
Su

le stirpi dell'uom, l'alto

dominio.

Disse, e novella medit un'astuzia

a nuove cose, oh meraviglia!, il facile


Pensier rivolse. In vago giovinetto
Ei mutava il sembiante, e avea leggiadra

La persona gentil, nobil favella


E mente astuta e penetrante. Ei venne
Nella presenza di Dahk superba.

149

sul labbro vezzoso era

un

sol detto

Di molta lode al suo signor. Se

Prence,

gli disse

Gradimento ha
Studiata de'

il

mio

lusingando, alcuno

di

me,

l'arte io

men

e onor

cibi,

posseggo

venne.

L'ud meravigliando e onor gli fece

possente e per quell'arte sua


Orrevol loco entro a sue case antiche

Dahk

dava

Gli destin. Gli

Ampio

il

maggiordomo

poter su la regal cucina;

che scarsi erano ai prischi tempi


minor copia eravi allora
che l'uom ne' giorni suoi si mangia,

poi

I cibi

Di ci

Ahrimn truculento entro

suo core

al

pens con man perversa


I docili animanti. Al suo signore
Ei diede in pria novello cibo, ed ova

Uccider

Eran

si

coteste. All'inusato cibo

vigor per alcun tempo;

Nuovo

gli die

Ma

ordin poi di pi diverse carni

in

Vivanda

gli

apport nuova e gradita,

quadrupedi e di augelli
Della campagna. Qual lion selvaggio
Di sangue ei lo nutria, che dispietato
Volea quel cor. Cos, con pronta cura,
Di carni

di

Ei l'obbeda costante, e schiava a lui


Era quell'alma. Si cibava il sire

fea sue lodi al giovinetto, e assai,

ne traea diletto.
Vivi eterno, o gran re!, dissegli un giorno

Stolto e infelice!,

Ibls incantator.

Diman recarti
Che pi forte

Tale vogl'io

su la

mensa un

sarai, tanta

fi

cibo,

a in esso

Virt riposta, a sostentar propizia.


Disse, e part. Tutta la notte allora

pensar

si

rest qual

nuovo cibo


Apprestar

Degno

si

150

dovesse alla dimane,

che venne,

di meraviglia; e al d

Allor che questo sol fulgido apparve

Nella vlta del ciel sereno e puro,


Di giovani pernici e

fagiani

di

Che han bianche penne, una vivanda ei fece.


Venne con quella, e nuova speme il core
Balzar

Degli Arabi

Alla

il

signor lieto e festante

mensa imbandita,

Priva

man bramosa

Stese la

gli fea.

di senno,

e la sua mente,

all'amor suo pel vago

Giovinetto pi e pi vinta
Ibls,

ei lasciava.

al terzo d, carni d'augelli

d'agni ancor lattanti, in strana guisa,

Le mense gli adorn; ma al


Che la mensa egli appose,

tempo

quarto, al

pingui lombi

gli f' di tenera giovenca,


v'eran dentro acqua di rose e biondo

Gustar

Zafferano odoroso e intatto muschio

E vino espresso da molt'anni

Dalia k ne gust, la

assai.

man porgendo

Alle dapi novelle, in fin che molta


Gli entr nel cor per quell'acuto

La

meraviglia. Oh! vedi tu,

ingegno

gli disse,

Qual desiderio dimandar pi vuoi;


E questo chiedi a me, dolce mio amico!
De' cibi

il

facitor cos rispose:

re, viver tu possa eternamente

Lieto, nel voler tuo libero e sciolto

Ma pieno questo cor per


E a quest'anima mia forza
Son nel tuo

viso.

te

e sostegno
Presso al mio signore

Sta un voto mio, ben che di

Non

sia pregio o virt.

Ch'io baci a

d'amore,

sommo

gli

Gli occhi v'apponga e

il

me

Comandi
omeri

di

volto mio!

grande

il

sire

lui,

Que'

detti


Come

Dahk,

intese

151

sua secreta

la

Intenzion non riconbbe e disse:

Il

Questo deso s ti concedo; e forse


nome tuo ne piglier grandezza.

che sull'omero

lasci

il

baciasse

Devo, qual lamico suo;

Il

tristo

quei baciollo, indi spara sotterra


fragor. S orrenda cosa

Con immenso

Quaggi non vide mai nato mortale.


Uscir allor dagli omeri baciati
serpi. Sbigott a tal vista

Due negre

L'arabo prence e

Da

al

nuovo mal riparo

ogni parte cerc. Dalle sue spalle,

Dopo molto
Li recise

un dopo

tentar,

ei col ferro.

Meravigliar chi ascolta


Che,

il

si

dee

tristo caso,

recisi, brandirsi un'altra volta

Sovra

come rami

le spalle sue, s

D'alberi antichi,

l'altro

Oh! ben

due negri serpenti,

gl'indovini entrar, di medic'arti

Esperti e dotti. Ei dissero sentenze,


tutti gl'incanti

Questo a quello parl,

Fr

posti in opra,

ma

Inaudito malor non

si

riparo al nuovo

rinvenne.

qual medico sapiente,


L su la soglia apparve. Al suo signore
S'accost con gran cura e intento disse:
Ibls allor,

Ci che accader dovea, s'avvera e compie


In questo

d.

Ma

tu desisti; mietere

Ci che cresce, non dei. Cibi t'appresta


E con que' cibi sopimento induci

Negli orridi serpenti. Oh! questo solo


al tuo mal. Cervella umane

Fia riparo

Tu

appresta

lor,

non

morte

tu libero andrai.

li

addurr

il

altro cibo, e forse


fiero alimento,

Ma

poi

che

solo


uman
Morbo

strano, lagriraar n' d'uopo


t'incolse e

Che ogni giorno per


Spenti cadranno, e

Ne

cerbro lenimento a questo

mal che

pel

152

te

tu,

trarrai le cervella.

per sua cura,

due giovinetti
tronche lor

Oh

teste,

che mai volle

Quel dei Devi signor con tal proposta?


Che volle e che cerc, qual mai disegno
Vide in sua mente ria, se non che un'arte
Trovar potesse ascosa, onde restasse
Vuota la terra d'ogni stirpe umana?

VI.

Morte

di

Gemshd.

(Ed. Cale. p. 25-26).

Grido levossi dall'irania terra,


Manifestarsi in ogni loco attorno

Guerre
Il

e tumulti, e intenebr d'un tratto


sereno e radiante. Ruppero

popoli rubelli,
Fede a Gemshd
E poi che maest che vien da Dio,
i

Offuscavasi in
Egli a

Ma

lui,

volse d'un tratto

menzogna ed

a stoltizia

il

core.

da ogni parte un re mostrava-^.


Un principe venia da ogni frontiera;
Ei vassalli adunar, guerriera gente,
E,

intanto,

vuoto

il

cor

di quell'antico affetto

Per Gemshd, meditar pugne ed


Venne d'Irania esercito d'armati

assalti.

All'improvviso e alla terra deserta

D'Arabia volse il pie. Seppe allora


Ch'era in que' lochi un principe superbo.
Inspirava terror. due serpi avea
Avviticchiate agli omeri gibbosi;

cavalieri

Un

153

che venan d'Irania

re cercando, corser tutti a gara

Nella presenza di Dahk. Prestargli

Omaggio
D'Irania

il

allora
il

come a prence,

e sire

salutar con alte voci.

crudo re che avea su

Gli orridi serpi,

le

sue spalle

come turbo mosse

Al nuovo regno e nell'irania terra


La corona regal si pose in capo.
D'arabe genti egli adun, d'iranie
Ancora, immenso stuol, prenci e guerrieri

Da ogni lontana reg'ion; lo sguardo


Volgendo al trono di Gemshd, la terra
Attorno attorno gli f' angusta e grama.

Ma

poich declinar la sua fortuna

Vide Gemshd, che rincalzava il nuovo


Arabo prence, si fugg ramingo
Dinanzi a lui, gli abbandonando il trono
E il regal serto e la grandezza sua,
I

suoi tesori e l'ampio stuol de' suoi.

Ei

si

nascose solitario, e trista

Si f' la terra e squallida per lui,

Or che

il

A Dahk
E niun
Gh'ei

si

trono regal, la sua corona


dati avea. Passar cent'anni,

vide mai per questa terra,


tenea dagli occhi de' mortali

lo

Sempre lungi

e nascosto.

De' cent'anni

al finir,

E un

sovra

le

fu visto,

sponde

mar di Gina, l'empio re; ma l'ebbe


mano Dahk, n gli concesse
Tempo o riposo, che in due parti il fece

Del

In sua

Tosto segar con un'arguta sega

E
E

l'ampia terra liber da lui


dal timor che ne venia. L'antico

Prence

cos,

che

l'alito

fugga

Dell'orribile drago, alcun

non ebbe


Scampo da

lui nel

154

suo

destili funesto.

Cos cadea quel regal trono e tutta

Di Gemshd regnator svana d'un tratto

La

potest. Qual mobile festuca

Rattratta a s da succino splendente,


Il

fato lo rap.

Fu

pria di lui

Chi su quel trono


s

glorioso e saggio?

Qual del suo lungo faticar giocondo


Frutto ei giunse a goder? Ben settecento
Anni passar sovra il suo capo, e molte
Cose in luce port, leggiadre e triste.
Ma che vai lunga vita, ove la sorte
Mai non disveli il suo secreto? Il mondo
Nutre talor con amorosa cura
Il misero mortai; soavi e dolci
Son le voci che a lui suonan dintorno.

A un

tratto poi,

quando gi gi

Che il fato ponga in te


Quando gi pensi che a
La sua fronte crucciata

ti

sembra

novello atfetto,
te sol

e gi

non mostri
ne senti

Gioia insperata in cor, godi, e frattanto

L'arcano a

lei

dell'alma tua disveli,

Perfido un gioco essa

ti

fa

con

arte,

Inatteso dolor t'innesta in core.

Di nostra vita e fallace ed inferma

Costume

questo.

Ma

tu eletto

Spargi in terra soltanto.

Oh

un seme
questo core,

Questo mio cor gi della vita sazio,


Si trista e breve; tu mi franca, o Dio,
Dal grave duol che gi mi opprime e atterra!

IL

RE DAHAK

IL

I.

RE DAHAK

Regno ingiusto

di

Dahk.

(Ed. Cale. p. 27-28).

Dal d che re sedea sovra l'eccelso


Trono Dahk, su lui passar mille anni,
E in mille anni di regno al suo comandoParve il fato piegar. Da ci ben lungo

Tempo

trascorse poi, nel qual disparve


D'uomini sapienti ogni costume,
Libera and voglia malvagia e rea

D'uomini

stolti,

addetti ai Devi. Abietta

sembr saviezza allora;


Maga venne in onor; giustizia ascosa,
Aperta e sciolta violenza. I Devi
Stendean la mano ad opre infami e ree
Liberamente, n parola v'era
Di ben, fuor che in segreto. Or, dalle case
Dell'antico Gemshd fuori fr tratte
Due vergini fanciulle. Esse tremavano
vii cosa

Come
Eran

foglia di salce alla tempesta.

sorelle di

Gemshd, corona
lor, che il volto

D'ogni donna regal. Di

Avean coperto

di un vel casto e puro,


Shehrnz era la prima, e la sorella
Ernevz era, come luna adorna
In ciel sereno. E le traean malvagi
Sgherri a le stanze di .Dahk riposte,
E a lui che due serpenti in su le spalle


Avea

158

contorti, lasciavanle in

preda

Perfidamente. Ogni opra rea costui


Lor disvelava, e la maga, gl'incanti

Loro apprendea con ogni frode e inganno,

Che tal del tristo era la legge, e questa


Ampia terra per lui tanto era vile
Quanto di lieve cera un picciol globo.
Egli nulla sapea fuor che maligne
Arti bandir, nulla sapea che morte
Non fosse o incendio o barbara rapina.

Avvenne poi che si traean per


Due giovinetti ad ogni vespro (un

lui

servo,

Disceso l'altro d'un'eroica stirpe)


Dai regi scalchi alle sue case, e questo

Era rimedio
Il

al

suo penar; che tosto


il cerbro

tristo gli uccidea, poscia

Fuor ne traea con

arte, e

un

tristo cibo

Alle serpi apprestava, orride e negre.

Ma

in quo' giorni vivean, d'inclita e regia

Stirpe discesi, due gagliardi, illustri


Per molto senno e per opre leggiadre.

Irmal dolce e pio l'un s'appellava,


E l'altro Kermal, saggio e prudente.
E avvenne ch'elli un d sedeano insieme

favellar de' casi intravvenuti,

Patitamente, e dell'opre nefande


Del lor signor, del popolo infelice,
Del costume di lui feroce e reo
Nel ferino alimento. E un disse allora:
Or s, quai regi scalchi, andar conviene
tal prence all'ostello e una sottile
Arte trovar, con molto studio e cura
Vi ripensando, per che almen dei due
Che ogni giorno a morir sulle regali
Porte son tratti, uno per noi si salvi.

Di

Cos partan, cos l'arte dei cibi

159

Apprendean con gran studio, e gli alimenti


Con certa norma in preparar fr dotti.
Venner con alma intenta ed il governo
Preser cos della regal cucina,
E allor che tempo giunse ove innocente

Sangue scorrer dovea, quando

dolce

la

Vita dovean troncar delle infelici

Vittime

Da

regi scalchi, a lor fr tratti

crudi sgherri con percosse e strepiti

Due

giovinetti al pie;

che anzi boccone

Li gittarono al suol. Smarr a tal vista

L'alma de' scalchi intenerita, e lagrime


Spuntar sul ciglio, e fu deso magnanimo
Di vendetta in ciascuno. Essi guardaronsi
Cos l'un l'altro, questo e quello, e

un

alto

Disdegno ebbero in cor per l'opre ingiuste


Di quel signor dell'ampia terra.

allora,

Poi che altra via non era aperta e nota,

Uno

ucciser dei due, trasser dal capo


D'un capretto il cerbro e alle cervella
Di quel preclaro il mescolar gi spento.
Ma l'altro ebbesi in don la cara vita,
E, Vedi, gli dicean compunti e mesti
Gli scalchi, vedi ornai se in parte ascosa

Ti dato soggiornar. Bada che loco


Abitato non sia quella ove andrai

Terra lontana, che deserti solo


Inospiti e selvaggi ed alti monti

Lochi son destinati al tuo soggiorno.


Cos cerbro vii di agnelle o zebe
D'uman cerbro venne in loco, e quelli
Un cibo ne apprestavano commisto
Agli orridi serpenti, onde ben tosto,

Ad

ogni luna, trenta giovinetti

In dono avean da lor la cara vita.

allor

che ben duecento eran

raccolti,


E niun

1(30

sapea lor nomi,

regi scalchi

D'alquanti capri e di lascive agnelle


lor fean, poscia additavan loro
Lochi deserti e abbandonati e vasti.
Venner da questi che fuggan da morte,
I Curdi bellicosi, essi che lochi
Non aman colti e ben difesi ostelli,
Ma vivon solitari entro a lor tende

Dono

timore han

di

Dio nel tristo core.

il costume
che ove improvvisa
Brama gli entrasse in cor, qualunque vaga
Fanciulla intatta, d'illibato nome,

D'allora in poi dell'empio re

perverso

si

Incontrastato

f',

a'

ginecei traea,

Schiava ei la fea nel suo cospetto. In


Pregio non era, non costume o fede,
Non virt che di re degna si fosse.

II.

Sogno

di

lui

Dahk.

(Ed. Cale. p. 28-31).

Ma

poi

che

di

vent'anni e venti ancora

Spazio restava alla sua vita in terra.


Vedi e pensa qual mai novella cosa

Trasse a

Dahk

su l'empio capo Iddio.

Nella notte profonda entro al regale

Palagio egli dorma con

Ernevz

la

leggiadra

al suo fianco. Ei vide allora

Dal palagio dei re fuori d'un tratto

Tre guerrieri apparir, due di provetta


Et, l'altro minor che in mezzo agli altri
S'avanzava, e parea nobil cipresso
Nella statura maestosa ed alta,
Nel costume di prence. Erasi cinto

Qual re sovrano e avea regale incesso,

161

Stringea nel pugno una possente clava

Da un capo di giovenca in sulla cima.


Venne costui fino a Dahk correndo

E cercando

la

pugna, e

lo colpa

Con quella clava in su la testa. Allora,


Quell'eroe che da meno era degli altri
Negli anni suoi, dal capo al pie legavalo
striscia di cuoio, ambe le mani
Con quel capestro gli avvincea pur anco
In nodi fermi, e un laccio gli appendea,

D'un

In segno d'ignominia, alla cervice.

Demavnd

Del

Abbandonato

cos fin presso al


lo traeva,

ei

monte

correndo,

Strascinandolo avvinto, e dietro a

lui

Gittavasi la folla intimorita.


Si contorcea nel

L'empio Dahk,

sonno paventoso
che parea che il core

Lev tal grido


Sognando ancor, che tutta quella vasta
Dimora ne trem con le sue cento
Alte colonne. Gi balzar dal loco
Le vaghe ancelle, al grido impaurite
Dell'inclito signor; prima di tutte
Ernevz l'inchiedea: Prence e signore,
Gli scoppiasse nel sen.

Che t'avvenne

Ne

terreni noi.

Dormi

ci

narra, e alto secreto

Tu che

in tua vasta casa

tranquillo, per la dolce vita

che temi cos? Sono dell'ampia


Terra le sette regioni al tuo
Cenno sommesse, e gli uomini e le
E i Devi ancora guardano gelosi
I

giorni tuoi. Tutti

fiere

viventi stanno

In tuo poter, dal cerchio della luna

Fino

E
Di

mostro

al
di

tal

Fikdusi,

fatai

rimando a

che

il

mondo

le fanciulle

il

regge.

prence:

prodigio favellar concesso,


I.

11


No, no, non

Che

162
se

il

racconto udito

Fosse per voi di ci che vidi in sogno.


Tutta speranza si morrebbe in voi
s tristo.

Ernevz risponder, ben

si

Pel viver mio

il

tuo secreto,

conviene

Tutto svelare a noi. Arte sottile


Usar potrem, che non trista cosa
In terra, che riparo anco non abbia.
E quei svelava del cor suo l'arcano

Patitamente, a

Narrava

il

le fanciulle

sue

sogno. Ed Ernevz, Cotesto

Inesplorato non lasciar, rispose

Al suo signor,

Ampio

ma

cercavi riparo.

suggello del destino

il

tuo

Trono felice, e per tua illustre sorto


Risplende il mondo, che quest'ampia terra
Sotto l'anello tuo di gran signore
Si
I

E
E

sta

soggetta, gli uomini e le fiere,

volatori della selva,


le alalo

Devi

Peri. Saggi e sapienti,

astrologi e indovini e sacerdoti

Da

ogni parte raccogli, e ai sacerdoti

Ogni cosa disvela e alta ricerca


Fa di tuo arcano, verit con cura
Investigando. Vedi allor chi rechi

La tua morte in sua man, nato mortale,


Devo o alata Per. Quando scoperto
Alfin l'avrai, ponvi riparo e lascia

Ogni vano timor di chi t' avverso.


Piacque all'empio signor quel detto accorto,
Qual pronunciato avea la bella e adorna

Compagna
Era

sua.

Ma

di

la notte allor qual

corvino augello
penna, oscura.

monte si mostr la chiara


Lampa del sol. Parea che per l'azzurra

Alfin, sul

Vlta del ciel di fulgidi rubini


Il sol

163

versasse un nembo.

Il

Tutti raccolse da ogni parte

vati

sacerdoti, sapienti e saggi,

Facondi

Da

prence allora

in favellar, di vigil core;

ogni parte ei

Dimora

li

trasse alla regale

in fretta, e poi

con mesto core

suo sogno narr, visto da lui


Per l'atra notte. Ei li raccolse, e in loco
Secreto gli radun; chiese che a sua
Il

Sventura e si cercasse e si vedesse


Forte un riparo. Ors, disse, del vero
Fatemi certo, e all'alma mia si losca
E intanto
Fino alla luce fate un varco!
Ei gl'inchiedea d'ogni secreta cosa,
Del mal, del ben della sua sorte infida,
E segu poi: Come avverr che giunga
Al termin suo del viver mio felice
Il lungo corso, e chi questo mio trono

la

corona avr, l'aurea cintura

Di prence e

di signor?... Su, su, si sveli

Ogni secreto a me; se no, la vostra


Testa davver che perderete voi!
Inarida de' sacerdoti

il

labbro

quegli accenti, e lor pallide gote

Subitamente si bagnar di pianto.


Se l'avvenir, dicean fra lor sommessi
Mormorando cos, per noi si svela
Veramente qual , grave il periglio
vita, nostra vita grama
senza pregio. Se da noi non sente
Profetar l'avvenir, di nostra vita
Deporre ogni pensier meglio per noi.

Di nostra

Cos passar tre giorni, e niuno arda

Far manifesto apertamente

il

vero.

quarto di l'alma feroce


Dell'arabo signor contro que' saggi
S'adir

il


Che mostrar

gli

164

dovean

la via spedita.

Vivi, allora ei grid, tutti da

un

alto

Tronco fra breve penderete voi,


l'avvenir, qual sia, mi svelerete.
Chinar la testa
Lor si spezz per
Di lagrime

sacerdoti.

Il

core

lo spavento, e gli

occhi

empir. Ma. tra que* saggi

si

Di famoso saper, uno era quivi


Di vigil core e sapiente e saggio

Del ver zelante e vigile ed esperto,


Zirk

di

nome; e primo era

di tutti

sacerdoti e gli avanzava tutti


Per eletta virt. Pi forte in petto
1

"1 core in quell'istante,


e venne
innanzi
lingua,
la
sciolta
tremar,
Senza
All'irate signor con fermi passi.
E intento disse: Sgombra ornai dal core

Ei sent

Ogni vano pensier, che per l'estremo


Fato sellante erompe un uom dall'alvo
Della sua madre. Oli! redi? Altri possenti

Prima

-li

le

furon qui molli, e degni


lai seggio e illustre e -rande.

Eran ben di
Videe molle doler, molla letizia
Ebher nel mondo; e allor che termin giunse
Di lor vita longeva, ehi morirono.
Ma In. s'anche di ferro una barriera

li
abbatter pur sempre
u qui starai. Sar l'eccelso
Trono in che siedi, dato a un alilo, e quegli
Travolger la tua fortuna al suolo,
S lieta un di. Sar di quel possente
Fredn il nome, e a questa terra sua

Fossi davver,

Il

ciel,

Come

cielo ei sar chiaro e felice.

Ancor nato ei non ; della distretta,


Dell'angoscia mortai non ancor giunto
Il vero tempo. Ma quand'ei Ha nato


Da madre

165

eletta e di ogni grazia piena,

Come arbor

crescer che dolci frutti

Recher un giorno. Toccher


Eccelso grado di valor,

costui

col capo

Rasenter di questo ciel la vlta,


E corona regal, trono e cintura
Ed elmo chieder. Qual un cipresso

Che

al ciel

si

estolle, tal

sar

nell'ali

nobile statura, e in su le spalle

Ferrata clava regger. Con questa,


Dal capo di giovenca in duro ferro,

Ecco!
Colpo

Fuor

ei

ti

fatai,

di

vibra su

carco

ti

la fronte

un

colpo,

trae di ceppi

tua casa nell'aperta via.

l'empio re: Perch tai ceppi? e quale,

Qual vendetta gli sta nel cor profondo,


Qual contro a me?
Rispose ardito.il saggio:

Se fior di senno hai tu, pensa che niuno


Senza un'alta cagion danno s'attenta
Altrui di procacciar. Per la tua

Avrassi morte

il

mano

padre suo. Per questa

Acerba doglia del suo cor traftto,


Fiero un deso di sangue e di vendetta
Ei nell'anima avr. Nobil giovenca

Sar del generoso alma nutrice,


Birmyeh a nome, e vittima innocente
Cadr essa ancor per la tua mano, ed ei
Per la vendetta sua trarr una clava
Col capo di giovenca in su la cima.
Dahk poich ci ud, per tutto intendere
Schiuse gli orecchi e cadde dal suo trono
E ogni senso smarr. Fugga quel saggio
Lungi dal trono per timor d'offesa;

Ma
Il

Di

quando ricovr

regal seggio

Fredn per

la

mente il sire,
Cercava

ei risal.
la

terra indizio alcuno

166

in secreto e in palese, e sonni intanto

Ei non avea, non cibo e non quiete,

il

chiaro d per

III.

s'intenebrava.

lui

Nascita di Frdn.
(Ed. Cale. p. 31-34).

Lungo tempo trascorse, e gi vicino


Era a l'estremo d l'uom che le serpi
Attorte aveva a le sue spalle. Intanto
Nascea dalla sua madre il fortunato
Fredn gagliardo, per cui venne in terra

Nuovo costume

Come
E gli

allor.

Crebbe quel prode

agile cipresso entro la selva,

splendea

La maest, che

di

re dei re nel volto

di

Gemshd

la luce

Viva brillava su quell'alta fronte,


Ed egli a questo sol che splende in cielo,
Veracemente era siml. Qual pioggia

Che a tempo
Oppressa

Fu qual
E il ciel

vien,

comparve

egli alla terra

e stanca; all'aline do'

mortali

scienza in un'angoscia estrema;

vplgea su

lui

rotando in giro

Placidamente, e nell'amor di lui


Compiacersi parea. Pur da que' giorni

La giovenca Birmyeh ora

di

lutto

L'altro giovenche la pi bella, e

quando

Usc dall'alvo della madre, in vista

Sembr quale un pavon leggiadro e vago,


Che ogni suo pelo d'un color diverso,
Fresco
Si

e vivo,

ora tinto.

adunar prontamente

lei

dintorno

e sacerdoti

astrologi o indovini e sapienti,

mai
avea con

(dio niuno in terra

Giovenca

vista

nuova

gli

e bella

occhi suoi,

107

udita mai descrivere da saggi

da vegliardi in molte cose esperti.


Piena frattanto di scompigli strani
Dahk rendea quest'ampia terra e tutte
Le sparse regioni ei percorrea

Fredm cercando. Abtn del pargoletto


Era il misero padre, ed era angusta
La terra a lui, grama la vita e trista.
Ei si fugga di qua di l, ma sazio
Divenne

alfn del

viver suo dolente

del fero leon cadde nel laccio

All'improvviso, che gl'immani sgherri

Dell'empio un giorno l'incontrar soletto


E il presero, e qual belva di catene

Oppresso il trascinar. Ma il trasse a morte


Dahk subitamente; e allor che il tristo

Fato vedea

dell'infelice sposo

madre

La
Che donna era
saggia

di

Fredm, costei

preclara, alto

ornamento

Dell'et sua, qual fortunata pianta


cui, frutto giocondo, un re possente
Era nato alla terra, essa che nome
Frank avea, prudente e accorta e piena
D'un caldo amor pel figlio suo bennato,
Venne, correndo e con la morte in petto

Da

in ira al fato, ai solitari alberghi

Di gente ignota, alla campagna, al loco

Ove Birmyeh, la giovenca


Per li boschi pascea, vaga
Nelle agili sue membra. E

illustre,

e leggiadra
l'infelice

Preg al cospetto dolorosamente


Del guardian di quegli alpestri lochi,
E bagnando le gote e il sen di pianto
Cos a lui favellava: Oh! tu ricevi

proteggi per

me

questo fanciullo

Lattante ancor, per alcun tempo.

lui


Padre tu

sii,

da.

168

me

che

son madre.

gli

ricevendo con amor; lo nutr


D'est giovenca s leggiadra e bella
Gol puro latte. E se da me tu vuoi
Il

Mercede alcuna, tua questa mia vita,


Quest'alma mia t" pegno e l' promessa
Per quel che da me brami, o generoso.

il

guardian

Della giovenca

di quelle selve antiche,

leggiadra e bella

si

Fede] custode, a quella mesta e saggia


Donna rispose: Come schiavo innanzi
Al

figlio

tuo sar, donna preclara.

Ci che tu vuoi da
Io

tar.

Frank
E assai

Tra

die

l'avello,

Prudenti e saggi. E

Per tre
Guard

giri

di

con mollo amore

sue braccia allora

deponea piangendo.

l'infante
gli

mie,

le

sol.

il

ammonimenti
semplice pastore

4 come

l'infante e lo nutr

padre,
col

latte

Della giovenca s leggiadra e bolla.


Ma poich di cercar sazio non ora

Dahk in suo furor, mentre dovunque


mondo si spargea l'indila fama

Pel

Della giovenca

leggiadra e bolla,

Corso a (pud lochi

solitari

ameni

Quella madre infelice e cos disse


All'uoni custode di sua f: Pensiero

Sorse divino in ino: ragion con sonno


Dio
11 risvegli. Consiglio ohe da

Ne vien, d'uopo seguir, a' v'ha riparo,


ch una sol c<sa questo infante mio
Col mio spirto vilal. Ma questa terra
Infida

iva.

di

ma-iCarli piena.
D'India remota

Fuggendo

lascier.

Al

confili

recher questo fanciullo

Da

questa turba scomparendo, e

ai

monti


Recher

dell' Al-brz

Detto cotesto,

La mesta a

mio.

s raccolse e le cadenti

con

Si terse

figlio

il

suo leggiadro infante

il

pianto di sua doglia acerba

Stille del

Che

169

man. Qual messaggiero

la

ratto corre,

Ella via

port,

si

Che timida

si

il

pargoletto infante

come

gazzella

tragge alla montagna

Alta, inaccessa.

Un uomo

antico e pio

Stava sul monte, e niun pensier, nessuna


Cura il toccava mai di questa umile
Terra quaggi. Frank gli disse allora:

Uom
Fino

solitario e pio, dolente e

al

tuo pie vengo d'Irania.

Che questo

infante mio,

mesta

sappi

germe preclaro

D'antichi re, d'un popolo gagliardo

Signor primo sar. Torr costui

A Dahk

corona, e

la

Cinto, qual

pegno

Alla terra imporr.

Padre

gli

sii,

Del picciol

ma

figlio

Tu

il

et pi lieta,
custodisci,

padre, che pei giorni

suo

si

E quell'uom generoso

suo regale

il

una

di

affanna e trema.
al sen l'accolse,

mai che aura importuna o grav


G-iugnesse fino a lui. Tocc frattanto
lasci

Novella certa all'arabo signore,

Prence sciaurato, di que' paschi ameni


E di Birmyeh ancor leggiadra e bella;
Ed ei venne bramoso e orrida fiera
Pareva in suo furor. Tosto atterrava

Birmyeh

al suol, la nobile

giovenca,

Tutti atterrava quanti ei l scoverse

Quadrupedi pascenti, e il solitario


Loco ne disgombr. Corse affrettato
A l'ostel di Fredn rapidamente,
Molto cerc, ma non rinvenne alcuno;

170

che il fuoco ei dest per voglia rea


Nel vuoto albergo ed atterr le case.
Ma poi che giunse all'anno sedicesmo,
Dalle vette d'Albrz venne quel prode
Alla vasta pianura, e con intensa
S

Brama Fredn

cos a cercar

madre sua: Deh!

si

volse

mi svela
Il secreto del cor, deh! tu mi narra
Qual fu l'illustre padre mio, di quale
L'antica

Stirpe son

io,

tu

qual semenza. Innanzi

di

questa gente, qui, che dir potrei ?


Deh! con alto saper tutta mi esponi

Ci

L'antica istoria!

Frank rispose, io
Che in Irania gi

che a

dir.

ti

me

tu chiedi,

Ben sappi

visse un uom prestante;


nome. Era di prenci antichi
Inclito germe, vigile e prudente,
Eroe gagliardo che a nessun giammai
Danno rec per voglia trista. Il sangue

Abtin fu

il

Da Tahmurs
Rammentando

avea, l'antica stirpe


in

Questi fu padre a

suo cor
te,

di

padre in padre.

sposo giocondo

A me gi un tempo, e soltanto per lui


Era a quest'occhi miei sereno il giorno.
Ma gl'indovini che degli astri il corso
Contemplano su in ciel, dissero un giorno
A re Dahk: S! da Fredn la morte
A

te,

prence, verr

Dissero, e

il

crudo,

Di magic'arti graD maestro, stese


La man da Irania a trucidarti. Allora
Io

da

lui

ti

Oh! quanti giorni


che il padre tuo,

nascosi.

Infelici io passai,

Giovane ancor,

forte e

presi ai de.

Per te don la cara vita. Sorgono


Di Dahk da le spalle, orrido mago.
Due negre serpi; e venne gran sterminio

171

che al padre tuo


ancora le cervella, e un cibo

All'iranico suol,

Fr

Ne

tratte

fu addotto cos dai regi scalchi

Agli orridi serpenti. Io m'involai

Dal loco infesto. In una selva oscura,


've nessuno penetrar potea
Nemmen pensando, ebbi soggiorno, e vidi,
Vidi in que' lochi una giovenca eletta

Qual primavera dilettosa e vaga,


Tutta coperta di vivaci tinte
Dal capo al pie. Dinanzi a lei sull'erba
Sedeva il guardrail, le gambe insieme
Raccolte, qual signor de' lochi ameni,
In molta pace. A lui ti diedi, e lunga
Stagion si volse poi. Quei ti nudriva

Con molto amor nel grembo


Della giovenca

Era

ti

il

latte intanto

porgea che bella

ne' molti suoi color diversi,

Come

altero pavon.

Tu

me

crescevi

Qual fiero alligator. Ma l'empio sire


Ebbe novella di que' paschi alfine,
Della giovenca ebbe notizia allora.
Io t'involai dalla foresta e

il

piede

Rivolsi in fuga dall'irania terra,

Dalla casa de' miei. L'empio signore

Corse a que' lochi, e

la nutrice tua,

Ben che muta cos, dolce mai sempre


Amorosa nutrice, a morte ei trasse,

fino al cielo sollev di nostre

Case distrutte la rotante polve,


Pareggiandone al suol le torri eccelse.
Arse di sdegno a quel racconto il prode
Giovinetto. Ascoltava ei dalla madre

Avidamente ogni parola, e

l'ira

Cresceva

cor, la

Da un

sol

in lui. Trafitto

pensier

di

il

sangue e

di

mente
vendetta


Signoreggiata,

Su
Le

le

172

sue fosche ciglia

aggrottando, egli in

la fronte

non

die risposta: Forte

si

tal

guisa

rende

Generoso leon se tu noi provi.


Tutta or compiea la voglia sua quel tristo
Di magic'arti gran maestro; il terr
Or tocca a me. Con quello in pugno, Iddio
Seguendo e il cenno suo, l'empia dimora
Di re Dalia k distrugger dall'alto.
Oli! sconsigliato, rispondea la madre;

Vano pensiero

il

n tu potrai

tuo,

D'un ampio regno e della terra tutta


L'armi infrenar. Non sai che Irono e sorto
Dahk possiede, che infinito esercito
Attende un cenno suo. che per far guerra,

Pur

ch'ei le chiami,

ogni terra a mille

la

Sorgon sue schiere? Ben d ci diverso


di tua gente il pensiero e il costume,
Altra

guerra! ogni pi grave cosa

la

giudicar dei tenori anni tuoi


Col senno giovanil. Chi de' primi anni

Non

Gust

Vede

il

mondo

fervido vin. nessun nel

fuor che s stesso, e alln dell'opra

Cadi: vittima ei pur di quella prima

Effervescenza dell'et inesperta.


felici, scorrano beati

Scorrali
I

ma

giorni tuoi,

tu ricorda

savio

il

Consiglio mio. Le cose tutte, o

Son

pur

volilo inano, so

Di quella

che

li

fu

togli

figlio,
il

madre un

dolio

giorno.

IV. Il fabbro-ferraio.
(Ed. Cai.

avvenne

notte e

allor elio
d,

i>.

34-38).

sempre

lo

sue labbra,

schiudea Dahk nel nome

s tremendo. In sua grandezza


sua caduta, e pien d'angoscia

Di Fredn

Temea

173

la

Pel predetto nemico era quel core.


E un giorno fu ch'egli, sedendo in trono
Di sculto avorio (la regal sua benda
In fronte gli lucea di bei turchesi),

Raccolse da ogni parte i sacerdoti


E al vacillante suo poter sostegno
In lor fede cerc. Diss'egli ai saggi:

Antichi saggi, per virt, per alta


Stirpe famosi in nostra terra,

Nemico a me

un

fiero

sta nell'agguato, e a tutti

saggi questo ver ben noto e aperto.

ma

Giovinetto egli ancor,

sapienza

prence gagliardo
Per nascimento, ardimentoso eroe
Nell'opre grandi del suo braccio. E disse

Di antico

Un

gli sta in cor,

sacerdote, di virt maestro,

Nella presenza degli eroi, che, d'anni

Ben che tenero

sia tal giovinetto,

Giovinetto nemico e imberbe ancora

Stimar non dobbiam noi vile e dappoco.


N il dispregio per, ben che fanciullo,
Ma temo s della fortuna avversa
L'arti

mal

fide; e

ben sar

Raccrsi qui d'eroi,

Maggior drappello, a

di

s'io

vegga

combattenti

me

Devi

fedel, di

d'alate Per, d'uomini ancora

In armi esperti. Esercito infinito


Io lever; vogl'io

S'accapiglino

Voi con

me

sopportar

che con

le genti

Devi. Intanto voi,

v'accordate. Io gi non valgo


lo stato

mio.

Ma un

Segnate voi dinanzi a me;


In quel foglio per voi che

si

la

foglio

attesti

semenza

D'opre soltanto commendate e belle

174

Sparse il vostro signor, che mai parola


Non pronunci che vera anche non fosse,
Che nessun danno ebbe da lui giustizia.
Tutti (pie' saggi allor per timor grave

Che aveano

in cor dell'arabo signore,


Giovani e vecchi insiem, sovra quel foglio
Scrisser lor nomi asseverando il falso

Dir di cotal dagli orridi serpenti.


l sul regio limitar, di doglia

Ma

d'uom che ad

Strido s'intese,

Chiedea

Dahk

giustizia. Di

alta

fu

voce

addotto

L'infelice al cospetto, e ai prenci accanto

D;do un loco

Con
Dimmi,

gli

fu.

iier cipiglio e

Ma

quel possente,

corni-ala fronte,

grid, da chi t'avesti offesa!

Alto die un grido e per l'arabo prence

Ruppe in lamenti: <> re, Kveh son io


Che giustizia ti chieggo. <>h! tu mi rendi
Giustizia, o re,

E piangendo

che qui correndo venni

qui sto con desolata

L'anima mia per

Render
I

>'a^sai

giustizia

lo.

Che

chi

crescer dovea

la
la

so l' ufficio

chiede e implora,
Ina

possanza

Su questa terra. Ma venia l'offesa


Da to sol,., o signor, s che nel core

Sempre

sempre per

Atroco punta

Non

era

il

di

lo

mi

sia

confitta

dolor. So questo

voler tuo perch'io dovessi

gran danno patir, perch la mano


rendi.
Stender sui figli miei? Deli! In
mio.
l'affanno
all'amor
Guarda
Li rendi
Di me infelice, di cui sempre afflitta
L'anima rester. Deh che fec'io?
Si

li

Che

feci,

e re?

Dillo,

-e

il

sai.

Ma

colpa

Se in me non trovi, a che cercar pretesti


E scuse mendicar? Ben tu riguarda

173

All'orrendo mio stato, e la sventura


Che gi gi ti minaccia, assai pi grave

Non

far cos per te.

Destino

il

Vive sperando

piena

Vedi che

il

rio

dorso m'incurv, che ancora


il

ma la memoria
La giovinezza

cor,

di dolor.

Non mi rest,
E vincolo non

per

me non

son pi.

quaggi nel

figli,

mondo

Pari a quel della prole. Ha l'ingiustizia


Mezzo e confili; per adoprarla, grave

Gagion trovar si dee. Ma tu qual mai


Cagione avevi? E se l'avesti, fuori,
Fuori l'esponi e di', l'alta cagione,
Per cui tanta su me sorte malvagia
Meditavi di duolo. Umil son io,
Povero fabbro, e vennemi sul capo
Dal mio signor divoratrice fiamma.
Che se prence sei tu, se due serpenti
Rechi, segno del

ciel,

sulla cervice,

T' pur forza a me ancor render giustizia


E l'offesa purgar. Prence di sette
Regioni del mondo esser

ti

vanti

Deh! perch sar mia del duol soltanto

La

trista eredit?

Grave, o signore,

ragion che rendermi

la

Che
Che

allor,

al d

forza,

per tal ragion, chiaro


che giunse a' figli miei

Lor tenere cervella a'


D'uopo fu dar, dinanzi
Mentr'ei cos dicea,

t'

stupir ne dovr tutta la terra,


farassi
tal sorte,

tuoi serpenti
al popol tuo!

Dahk

guardava",

nascea per quegli accenti in core


Gran meraviglia. A Kveh il figlio suo
gli

Reso fu allor; cercar di farlo amico


Per promesse e lusinghe i circostanti,
E cenno il re gli fea ch'ei pur sul foglio

176

Testimone gli fosse innanzi a Dio.


Ma Kveh, appena il lesse, a quo' vegliardi
Si volse in gran disdegno, e, Voi, sclamava,
Seguaci abietti d'un impuro Devo.

Timor

di Dio dal vostro cor perversi)

Cancellaste cosi? Tutti io vi scorgo

Precipitar d'inferno all'ime chiostre


Cos oprando, voi

Fidaste

il

core.

s,

che

Ma non

ai detti suoi
io

su questo

Foglio dinanzi a Dio sar per

lui

Testimone giammai. Nessun pensiero


Di tal re forsennato il cor mi tocca.
Balz dal loco suo, tremante, ansante,
In alte grida di furor; quel foglio

Lacer quindi e calpest sul suolo.


col diletto tiglio suo che innanzi

Gli andava, usc dalla

regal dimora,

Gridando scese nella via. Ma i prenci


Fecer plauso a Dahk. Di nostra terra
Indilo

re,

dicean sommessi,

al

giorno

Della pugna, fatai, deh! mai non venga


Dalle plaghe del ciel procolla avversa

colpirti la fronte.

Oh! perch mai

Nella presenza tua. quasi un eguale,


Entrar potr costui, Kveh ciarliero.

Acceso

il

Legava a

volto?
te,

Pien

che

foglio

signor, dal tuo

Se disciogliendo,
di

Il

noi

tutti

comando

ei lacer. Parlis-i

corruccio

il

cor.

di'' diresti

Fredn uria il lega e stringe.


noi cosa peggior mai non vedemmo,

Clio un patto con

Ma
E irosi r'alma

si

perde in ci confusa.

Stupenda cosa udrete


L'indilo

Or

iv.

voi.

rispose

Poi dis-v a que' vegliardi:

temo davver dio

si

converta

In tenebro d'orror quest'alma luce

177

Del d giocondo!... Allor che da


Kveh mostrassi e il grido suo

Acutamente mi

nel

fer,

le soglie
gli

orecchi

mezzo

Di quest'aula regal, tra me, tra

lui,

Levossi un monte di solido ferro


Veracemente. E allor ch'ei si percosse

capo con la man, questo mio core


Parve spezzarsi per non so qual forza
Misteriosa... Ma qual mai sovrasti
La sorte a noi, chiaro non , che sciorre
Il

Del ciel

arcani a niun fu dato in terra.

gli

Cos proruppe da la reggia

il

fabbro,

intorno a lui per le affollate piazze


Turba infinita si raccolse. Un grido
Ei l in mezzo lev chiedendo aita,

Tutta del

mondo

a richiamar la gente

Ma

pi retto sentieri

quell'adusto

fabbri lor ginocchia e stinchi

Cuoio onde
Gopronsi allor che a martellar
i

Su l'incude sonante,
Legava a sommo, e

E negra
Ed

ei,

si

stanno

egli d'un'asta

sorse alto scompiglio

polve da le vaste piazze.

quell'asta nella

Venia gridando:

man

serrata,

gloriosi, o prodi,

Fedeli a Dio, ciascun di voi che sente


Affetto in core per Fredn, che i ceppi

Infranger brama di Dahk, ne venga,

Venga con me

sino a Fredn, riposi

meco all'ombra.
Venga ciascun di voi, che veramente
Ahrimane costui, nemico a Dio
Nel profondo del cor. Per questo vile
Di quella maest con

parr ben chiara


voce e qual d'avverso.
precedea, quell'uom gagliardo,

Adusto cuoio
Qual d'amico

tutti ei

Fibdusi,

I.

si

sia

12

178

s'adun su l'orme sue

di

gente

Picciola schiera. Ei ben sapea qual loco


A Fredn fosse albergo, e l si volse

corse ratto al segno suo mirando,


le soglie a valicar pervenne

Fin che

Del giovinetto re. La gente accolta


Da lungi il vide, e voci alterne udironsi.

Vide quell'asta e vide quell'antico


il novello re, s che ne trasse

Cuoio

Di lieta sorte

Adorno

lieto

augurio.

Il

volle

allor di serico broccato

Tessuto in Grecia, ove in lucenti gemme


Eran figure sovra un aureo fondo,
E quale il disco della bianca luna
Sul suo capo

il

lev. Di bella sorte

Quel fu principio al nobil prence.


Egli adorn

di

panni

Il

cuoio

violetti,

Di verdi e rossi, e lo chiam Vessillo


Di Kteh. Da quel d, quando un novello

Prence d'Irania

alto sedea sul trono,

Allor ch'egli cingea l'aurea corona

Di re dei re, sul vile cuoio adusto

Una gemma ei ponea sempre novella,


E drappi di broccato e di lucente
Seta ancor vi aggiugnea. Tale divenne
Kveh quel vessil, che nella oscura

Di

Notte splendea

come

sol nel cielo,

ne traea di pi gioconda sorte

Lieta speranza in cor sempre la gente.


Dopo cotesto, tempo ancor si volse

Le

cose da venir tenendo ascose.

Ma Fredn

che vedea della sua terra


Misero stato e comandar per l'ampie
Regioni del mondo un tristo sire,
Dahk superbo, corse alla sua madre
Cinto dell'armi e con un casco d'oro,


Degno

179

di re, su l'alta fronte, e disse:

Madre, dgg'io

partir,

che aspra tenzone

Mi attende, e tu lo sai. Nessuna cura,


Fuor che dinanzi a Dio chinar la fronte,
Ti alberghi in cor. Di questa terra umile

assai pi in alto Iddio.

lui soltanto nella

La man solleva

tua distretta.

Pianse la madre a quegli accenti, e a Dio


Cos preg nel suo dolor: Io questo
Diletto figlio mio, Signor del

Accomando a tua

f.

mondo,

L'opre dei

tristi

Dall'alma sua lungi rattieni, e libera

Da ogni
E del
Fredn

mortai rendi

stolto

all'opre attese; in core intanto

Alto secreto ne tenea.

Generosi

suoi, d'et
si

lieto cor.

Disvelava

fratelli.

maggiori.

dicea, l'altro

Il

primo

Purmyeh

Quel suo secreto allora

ei cosi: Lieti

Viver possiate

Che

Ma due

avea cari

egli

Compagni
Keyansh
Di

la terra.

partir rapidamente allora

mai sempre

voi, dolci fratelli,

a lieta sorte volge ornai quest'alto

Cielo soltanto, e nostro serto illustre

Renduto a noi

sar.

Qui m'adducete

una ferrea clava


Avea
Batter mi denno ponderosa.
Le labbra aperte, e gi partian correndo
I due fratelli. Scesero a le piazze
De' fabbri adusti, e qual de' fabbri un chiaro
Nome in terra chiedea, corse bramoso
Di Fredn all'ostello. Acuta in mano
Incliti fabbri. Essi

Una sesta prendea l'inclito sire


Rapidamente, e di sua clava tutta
La foggia lor svel, ne disegnando

Su

l'alta

polve la figura in terra,

180

Qual d'una giovenca il capo eretto


Con ardue corna. Stesero la mano
All'opra
fabbri con intenta voglia,
E poi che tutta della ponderosa
Clava fu l'opra a fin condotta, in folla
Nella presenza del signor novello
i

Festosi la recar,

come

Che fiammeggia

nel

ciel,

sole

tutta splendente

D'un arcano fulgor. Piacque l'industre


Opra de' fabbri al giovin prence, e* molto
Oro ed argento lor don con vesti,
Ravvivando nel cor la morta speme
In pi lieto avvenir, giorni sereni

Annunziando. Se avverr, dicea,


Ch'io sotterri l'orribile serpente,

Dalla polve del duol la fronte vostra


Purificar sapr. Tutta la terra

Novellamente mener a giustizia,


Invocando di Dio l'auu'usto nome.

V. Partenza di Frdn.
(Ed. Caie. p. 38-42).

Parve il sole toccar pel cielo errante


Fredn col capo altero, alla vendetta
Del padre accinto, e usc festoso e lieto
Nel giorno di Khordd, con sorte amica,

Con

lieto augurio. Alle

sue soglie innanzi


nubi in cielo

Stuol s'accolse d'eroi;

le

Rasent veramente

trono eccelso

Ov'ei sedea.

Ma

il

gli elefanti

e l'ampia

Schiera de' tori precedea con ricca


Provvigione allo stuol de' suoi guerrieri^

Keyansh

Purmyeh erano

Del novello signor,

lieti,

al fianco

devoti

181

All'amor suo, qual se minori a lui


Fosser degli anni. Ed ei parta, scendendo
Come turbo invasor di loco in loco,

Piena

la

mente d'un pensier

Vendetta, pieno

il

di

truce

cor d'alta giustizia.

Sugli arabi destrier, velocemente


Sospinti in corsa, venne a

Quel drappello

un loco ameno
una gente

d'eroi, l 've

Vivea, devota a Dio. Scese in quel loco


Di penitenti solitari e antichi

E un saluto invi Fredm possente


Con lieto core. E allor che in ciel la notte
Si f' pi oscura, da quel loco a un tratto
Venne persona amica. Avea le chiome
Nerissime disciolte in fino al piede,
Volto leggiadro qual dell'alme elette

Che stanno in
Era un angiol
Quaggi
Tutte

ciel.

Di Dio veracemente

costui, di paradiso

disceso,

perch

ei svelasse le

al re

novello

leggiadre cose

E le malvagie ancor. Vennegli innanzi


Quale alata Per, nascostamente
Di magic'arti

gli svel le

ambagi,

Chiave che scioglie ogni periglio o danno,


Con arcano poter per ch'egli aprisse
Ogni mistero, ogni nascosta cosa.
E Fredn ben conobbe esser divina
Opra cotesta, non inganno o frode,
Non Ahrimne, e s'alliet, f' rosse
Le gote ancor, che giovinetto egli era
Di membra e in suo poter pi nuovo ancora.

Ma

regi scalchi gli apprestar frattanto

Lauta una cena e gl'imbandr la mensa


Degna di s gran re. Poi che consunto
Fu il cibo apposto, altro desio gli venne;

Grave

si

f'

quel capo augusto, e sorse


Brama

Ma

182

possente in lui di un dolce sonno.

fratelli di lui

che

la

divina

Apparizion vedean, l'opre leggiadre

fortuna di Fredn propizia,

la

D'un moto si levar, tenner consiglio


Di trarlo a morte. In que' deserti lochi
Era un gran monte e su quel monte un'alta
Rupe scoscesa, e que' malvagi, due
Fratelli suoi, lungi dagli altri tutti,

Nascosti a ognun, del solitario monte,


Sotto al qual dolcemente riposava

Re Fredn giovinetto,
Non fu lung'ora della
Ratto

salir la

allor

che scorsa

tarda notte,

cima; e niun sapea

Lor disegno perverso. Una gran pietra


Scrollar dall'ime basi; e poi che niuno

Vedean confine

al

perfido desio.

Poi che divelta fu la pietra

Che

alla fronti' colpir

nuovo re, gi la mandar


Con immenso fragor. Vider
Il

L'addormentato.

Che

Ma

immane

dovea d'un tratto


dall'alto

gi sponto

quell'uom prostante

nel sonno giacca, fu dall'immenso

Fragor riscosso del cadente

sasso,

Di Dio per volont. Quella celeste

Arte appresa in

tal d, sul loco ov'era,

Ferm d'un tratto la rotante pietra,


Ne quella pi si mosso. Il glorioso
L'armi

si

cinse allor, n dell'evento

Volle far motto ai due malvagi, e in via

precedea dinanzi a tutti


leal. Pieno era il core
D'un feroce deso d'aspra vendetta
Contro a Dahk; di Kveh alto il vessillo,
Vessillo d'un gran re, spiegato al vento
Si pose.

Kveh

Ki

Il

ardito e

sostenea per quel dirotto

calli'.

183

Fin che d'Arvnd a


I

passi ei

la

regal riviera

uom che

sofferm, qual

Gloria e corona imperiai.

Pehlvica non

sai,

l'arabo

D'Arvnd Dzleh.

La

Se

Ma

cerca

lingua

nome
quel re possente

terza staz'ion del suo viaggio

F' su le sponde di quell'ampio fiume,

Di Bagdad fra le mura.

poi

che giunse

Dell'Arvnd risonante all'erme sponde,

Un

saluto ei

mand

Ai portolani. Or

lieto e cortese

voi, disse,

da questa

Parte del fiume navicelli e barche


Mandate in fretta, e me con questi eroi
Passate all'altra sponda e niun qui resti!

Ma

portolani navicelli e barche

Non vollero apprestar, n a quella prece


Si movean di Fredn, ma ben risposta
Diergli in tal guisa: Di quest'ampia terra
II

supremo signor grave comando

Ne

f'

in secreto: Navicelli e barche

Mai non darete voi, disse, ove un cenno


Da me non venga col regal suggello .
Grave uno sdegno concep nel core
Questo ascoltando il giovinetto sire,
N gli venne timor per quel profondo
Fiume sonante. La regal sua vesta
Si strinse ai fianchi, alto sal in arcioni,

E
E
Il

pieno d'un deso di gran vendetta


di

aperta tenzon, spinse nell'onde

nobile destrier, d'un color vago

Come

di

rosa alla stagion pi bella.

Strinsero allor le fulgide cinture


suoi compagni, e l'uno dietro all'altro
Nel fiume si gitt sul suo destriero,
Benedicendo, e dentro alle spumose

Onde

del fiume fino all'ardua sella

184

Animoso s'immerse. Ecco! destatasi


Dal suo torpor de' principi la mente,
A quel nuotar de" lor destrieri. In alto

tenean dessi con gli eretti corpi,


Come fa il sol che della notte l'ombre

Si

Alfin, l'opposta riva

Squarcia fuggenti.
Attinser

di

tutti,

Indi a le

mura

pugnar bramosi,

dirizzar lor passi

Quando la gente
Di Beyt-el-Mukadds.
Pehlvico sermon parlando usava,
Dizh-hkht quella citt famosa
ma nell'arabo sermone
Essa Gasa di Dio. Sappi tu adunque
Che l di re Dahk sorgean le case.
E poi che dal deserto alle bastite

Gang

Si dicea;

Si avvicinar della citt superba,

D'aver preda bramosi in quelle mura


I nuovi eroi, lev, ben che lontano
D'un miglio ancor, gli occhi lucenti il
E dentro alla citt d'un gran palagio,

Degno

di

re,

vide

le

sire,

torri. Gli astri

Quella dimora superar parea,

Parea che gi dal

ciel gli astri lucenti

Rapir dovesse quell'altezza. Il loco


Splendea di Giove come l'astro in
Oste! di volutt, d'amor, di gaudio

di quiete profonda.

Era

cielo,

cotesta

Dell'uom de' serpi la dimora, e il seppe


Fredn e ben not qual si spiegava

Magnificenza e regal fasto

Case superbe,

Temo, compagni

Che

in quelle

che, volto
miei, disse,

a' suoi.

che l'uomo

al cielo sollev dal suol profondo,

Dalla terra deserta e tenebrosa.


Mole si eccelsa, per secreto patto

Gol destino

si

afforzi.

Or per dentro

185

Meglio per noi gittarci alla ventura,

Che indugiar
Disse, e la

timorosi e titubanti.

man

distese poderosa

Alla clava pesante e sovra

il

collo

Del suo destriero abbandon le briglie.


Parve che fiamma veramente ei fosse

Che s'avventasse

del regal palagio

Ai guardiani incontro. Allor ch'ei tolse


La clava dall'arcion che vi pendea,
Detto ciascuno avra che

Piegava sotto a

lui.

Ma

il

suol profondo

guardiani

Su quella porta non restarno allora,


E re Fredn invoc Iddio possente.
Entr col suo destrier nel gran palagio
Il novello campion, di questa vita
Non bene esperto ancor, ma grande e forte,

E un talismano che Dahk superbo


Avea l posto e fino al ciel sospinto
Il

Ei

vertice ne avea, dall'alta base


f'

cader precipitoso

al suolo,

che non di Dio nel nome


Era levata la gran mole. Quella
Clava nodosa, con la testa in cima
D'una giovenca, egli volgea frattanto
E forte la battea sul colmo petto
Ch'ei vide

si

Di quanti incontro

Maghi

gli

venian. Di quanti

vedea nelle riposte soglie,


Di quanti egli scopra Devi perversi,
Ei sfracellava con la sua possente
Clava la testa eretta in alto. Il seggio
ei

Di Dahk ei salia, di quell'impuro


Di magic'arti gran maestro, e il soglio
Ne premendo col pie, ne cerc il serto
Di prence e di signor, su quell'eccelso

Trono

si

assise.

Gli traean

da

Ma, frattanto, innanzi

le stanze pi riposte


Le

186

Avean

nobili fanciulle.

Ne

nerissimi

con pura
il corpo

Occhi e volto

di sol.

Onda lavar

bianca fronte e

Il

la

f'

giovinetto sire, indi lor

mente

Liber da ogni error, quella diritta

Via che a nostr'alme addita Iddio, mostrando


Con cura intenta, e delle colpe antiche
Via lavando ogni macchia. E veramente

erano alunne
avean nell'alma
Un turbamento qual di gente oppressa
Da vin gagliardo. Allor, le due s vaghe
Sorelle di Gemshd, prence del mondo.
D'umor bagnando gi dagli occhi bruni
D'idolatri superbi

Le leggiadre

Le rosee

fanciulle, e

gote, sciolsero parola

Favellando a Fredn: Possa

tu,

o prence,

Giovinetto restar, mentre pi antico

Rendesi

il

mondo

a ogni novella luce!

Oh! fortunato! Qual

la strila

tua

Che qui t'addusse? Di qual pianta


Frutto

eletta

sei tu si rigoglioso e bello?

al formidabil covo
D'un feroce leon, d'uom violento.
Crudele e rio? Per quanto tempo a noi
Volse nel mal la sorte nostra avversa,
Dir non possiam, di questo mago insano
Per l'opre abbominose. Oh! (manti giorni

Tu, che venisti

Passammo

nel dolor, nella sventura,

Per questo figlio d'Ahrimn superbo


Che ha due serpenti in su le spalle! Un prode
Mai non vedemmo qui che tanta avesse
Fermezza in cor, che tanto ardir mostrasse
E tal virt, che sollevasse a questo
Regal trono la mente, o che d'un tratto
Il

prendesse deso

Umana

di

regio stato.

sorte mai non dura eterna,


Non

187

regal seggio, rispondea quel prode,

All'uom quaggi.

Ma

figlio

D'Abtn illustre qui son

io,

giovinetto

che

fiero

il

Dahk rapiva dall'iranio suolo


Ed uccidea miseramente. Io vengo
La sua vendetta a domandar, drizzando
Verso il trono dell'empio i fermi passi.
Ei pur mi uccise quella che sui monti
Gol latte mi nudri, fatai giovenca
(Birmyeh si dicea), lei, che sul corpo

Avea di tinte artificiose e belle


Vago ornamento. Ei l'uccidea, ne chiaro

a me qual ebbe il truculento sire


Frutto dell'opra sua, quella giovenca,

Muta

e innocente, trucidando.

Or

io

L'armi cinto mi son, d'un fiero assalto


Con lui bramoso, e per l'irania terra
Qui men venni per. Con questa clava

Che in lucido metal d'una giovenca


Reca a sommo la testa, io su la fronte
Colpo fatai
favor

gli vibrer,

gli far.

n grazia

Dunque

tu

sei,

Grid Ernevz, come ascolt que' detti


Del giovane signor, poi che svelato

Era

il

Che

di

dunque tu

secreto ornai,

Re Fredn

maga disperder

Arti e gl'inganni. Di
Si sta nella

sei

giovinetto, e se' quel forte


le

Dahk

impure
la morte

tua man; franchigia attende

Questa terra da

te.

Noi pur siam

figlie

Di re possenti, d'ogni colpa immuni,


Cui di morte timor f' sottomesse
All'empio

sire.

Ma

posar, levarsi

Con uom che di serpente ha le sembianze,


re, chi mai potrebbe?
E di rimando
Re Fredn rispondea: Se veramente


Mi

188

fa giustizia Iddio dall'alto cielo,

Ogni vestigio del reo serpe in terra


Io

canceller, libero

Da

cotal peste per

Dite, o fanciulle,

L'uom
Tutto

il

mondo

il

me

andr.

Ma

voi

ver; dite ove sia

dispregiato de' serpenti.

Allora

aprir le fanciulle vezzose

gli

L'alto secreto. Se a te fla concesso

Entro

la force, gli dicean, del tristo

Serpe

la testa rinserrar, ch'ei

scorre

D'India la terra, altri narr. Ti corse


Riti arcani a compir, l nelle case

Di gente addetta a magic'arti.


Innocenti

ei

Ch'ei trema pel desi

Da molti
Un uomo

mille

torr la cara vita,


in

che

e molti giorni.

lo

minaccia

E un

gli

disse

accorto e sapiente: Ratto

Sgombra di te sar quest'ampia terra,


E Fredn piglier l'alto tuo loco.

gi cade e precipita la sorte

Che

fin

Pien

di

qui

ti

sostenne

Or pien

rabbia quel cor per

di fuoco,

tal presagio,

Grave e incresciosa la sua vita. E intanto


Uomini e donne ed animanti il crudo
A morte adduce in sua stoltizia, il sangue
In una conca ne versando, e quivi,
Entro a quel sangue, le sue sozze membra
Tuffando va perch degl'indovini
L'augurio cada.

Su
Son

Ma

que' negri serpi,

le sue spalle, orribile prodigio

di

lungo tormento. Egli da questa

quella region passa furente,

Ne

in loco alcun trova riposo, tanta

da que' mostri. E intanto


Di suo ritorno tempo giunto. Oh! mai,
Mai non si avveri il suo venir fra noi!

Gli viene angoscia


Cos, col

Aprano a

VI.

il

189

core affranto, ogni secreto


lui le nobili fanciulle,

racconto ne uda

Dahk incatenato

l'inclito sire.

nel

monte Demvend.

(Ed. Cale. p. 42-47).

Quando

parta dalla sua terra

il

fiero

Prence Dahk, un uom fedele e saggio,


S come schiavo nel suo tetto, gli ampi
Tesori avea con molta cura in guardia
E il regal seggio e la dimora antica,
E meraviglia era in veder qual fede
Egli serbava all'uom possente. Il nome
N'era Kundrv, e gi ver l'opre ree
Per stoltizia inclinava. Entr quel giorno
Kundrv a corsa la regal dimora,
E dentro a quelle case un re novello

Scoverse, di vittoria incoronato,

Tranquillamente su l'eccelso trono


Alto seder, qual nobile cipresso
Sovra cui dal sereno etra la luna
Fulgida splende. Stavagli da un lato

Shehrnz leggiadra, e dall'opposta parte


Ernevz gli sedea, bella qual luna
Nella volta del ciel. Vide che piena
Era di genti armigere la vasta
E turrita citt, che su le porte
Del novello signor stavan serrati,
Cinti dell'armi,

suoi gagliardi.

tutto

Vide Kundrv, n si turb, n chiese


Qual secreto nascosto ivi si fosse,

Ma

si f'

innanzi con inchini e venne

pie del

gran signor, prestgli omaggio

il

190

benedisse e incominci: Signore,


fin che in ciel si volga

Viver tu possa

Pei mortali stagioni Felice

il

tuo

Eccelso loco qui, con tal di prence

Maestade e poter, che veramente


Degno tu sei di questo grado illustre
Di regnante e signor. Le sette amene
1

Regioni del mondo a cenni tuoi


Restin devote, e la regal tua fronte
Levisi eretta a superar le nubi

Che

E
Il

dall'alto del ciel

d'avanzarsi

mandan

gli f'

nobile signor, tutto

la piova.

cenno allora
il

secreto

Gli disvel dell'esser suo. Gli disse:

Va, ci eh' d'uopo a regnator possente,


del trono suo, tu cerca e apporta.

Degno

Portami vino, e

musici raccogli

In quest'aula regal, colma

le

mense

mi appresta.

le

tazze

chi di musiche

Note maestro e di me degno, e quanti


Son qui ch'esilarar sanno la mente

cor nell'ora del convito, intorno


questo seggio mio tutti raccogli,

il

Come

s'addice all'alta

mia fortuna.

Poi che tal cenno ebbe da

lui,

le

cose

Dal novello signor cosi richiesi <>


Ratto apport Kundrv. Splendente un vino
Ei procacci con giovinetti esperti
Dell'arte musical, con prenci illusili
di s gran re. Bevve, e la gioia
Accolse in cor quel re gagliardo e saggio,

Degni

in quella notte celebr tal festa

Qual s'addicea nel fausto evento. E allora

Che

sorse in ciel l'alba novella, usca

Dall'ignoto signor correndo a prova

Kundrv con nuovo ardor,

sala sul dorso

191

D'un veloce

corsier, volgea le redini

Dahk

cercar

Terra

di

nella lontana

la traccia. Ei lo raggiunse, e salse

Nella presenza sua, tutte

Le

le udite,

viste cose gli narr, poi disse:

Signor di gente valorosa e altera,

che indizio venne a te sicuro


Con ampio
Esercito d'eroi venner tre prodi

Or

Del tuo vicino declinar

Con

fronte eretta alle tue case; estrania

Region

li

mand. Ma quei che in mezzo


per et minor ti sembra,

agli altri e

Che ha
Qual
Gi

di cipresso la statura e volto

di regnanti, s
tei dicea,

ma

minor

degli anni,

pi degli altri fiero,

Pi potente d'assai, primo di tutti


S'avanza ardimentoso, e una ferrata
Clava stringe in sua man, qual di montagna
Smisurato frammento, e in mezzo all'ampia
Folla risplende,

come

stella in cielo.

Alto sul suo destrier, la tua regale

Dimora entr con impeto selvaggio,


dietro gli tenean que' due guerrieri
Per quella stessa via. Venne, e si assise

Sul regal trono e

tutti via disperse

Gl'incanti tuoi, le tue magie. Poi, quanti

Eran guerrieri nel palagio e Devi,


Tutti

ei dall'alto

del corsier co' fieri

Colpi conquise e tempest sul capo,

le cervella

orrendamente e

Sul suol ne mescol.

Esser potra che l'ospite sia

ci

bene sar!

il

Dahk

sangue
rispose:

lieto,

Ospite strano,

Lo schiavo soggiungea, che reca in pugno


Clava cotal che a sommo ha di giovenca
L'eretto capo, se a te vien, ten guarda.

192

Oltrepass costui d'ospite amico


leggi tutte. Guardati da

Le

Ch'ei

lui,

sedette ardimentoso al loco

si

Del tuo dolce riposo e il nome tuo


Cancell dal tuo serto e dal regale
Cinto che avevi un d. Trasse a sua fede
Contrario

il

volgo. Se in tal

uom costume

D'ospite vedi tu, fanne la prova.

E Dahk

rispondea: No, non crucciarti;

Ospite ardito e tracotante segno

Di propizia fortuna.

Kundrv
Udii da

te.

Ecco, soggiunse

che a

ci

allor,

La mia

me

dir volevi,

risposta or senti.

Se l'ignoto campione ospite tuo


veramente, dentro a' ginecei
Quali son mai l'opere sue, che intanto
Ei gi si posa e consigliasi ancora
Con le sorelle di Gemshd! Si prende
La rosea guancia di Shehrnz da questa

Mano, e

dall'altra

il

porporino labbro
E allor che oscura

D'Ernevz
La notte regner per l'ampio cielo.
Peggio ancora ei far, che un bel guanciale
Gli sosterr di negro muschio il capo,
E son nere qual muschio ancora intatto
Le belle chiome delle due fanciulle,
giovinetta.

Gi

dolci al tuo cor, leggiadre e care.

si adir quel prence


morte augurossi a tal racconto
Del servo suo. Poi con sonanti grida,
Alto imprecando, scaten sua rabbia
Contro quest'uom s misero e tapino

come lupo

la

semplice di cuor. D'oggi in avanti,

Grid, mai pi di case mie custode


Rispose allora il servo:
Non sarai tu.

Deh!

ch'io penso, o signor,

che

di tua sorte

193

Frutto alcun non avrai d'oggi

Come adunque

me

Potresti a

in avanti

affidar l'alta custodia


di

Tu, die privo

tua citt superba,

se' ornai del

Di tua grandezza?

trono antico

gli alti uffici in

quella

Tua casa come mai daresti al tuo


Servo s come un d? Dal loco eccelso
Della tua gloria via t'han discacciato,

Come
E via

pel che
si

si

Cercalo tu che

Venne

il

trova entro la pasta

Cerca tu riparo,

gitta.

se'

nemico

principe e sire.

tuo,

venne e

si

assise

Alto sul trono. Ei stringe una possente

Clava nel pugno, che di ferro ha in cima


Di giovenca la testa. Ogni tuo incanto
Via si port, disperse ogni maga,

Le

belle tue

si

tolse e

il

loco tuo

Col pie calc... Perch, dunque, tu stesso

te stesso

Che

non pensi?

simil cosa

si

Io gi

non credo

avverasse mai.

F' senno allor per tal risposta e ratto

La

Volle partir prence Dahk.

sella

F' porre al suo destrier che penetrante

Avea

la vista,

E venne

come vento

e s'affrett

con

al corso,

infinito

Esercito di Devi e di gagliardi

lui devoti,

e dirizzando

il

passo

Agli abitati dai deserti lochi,

Aspra vendetta medit nel core.


N'ebbe novella di Fredn guerriero
De' gagliardi lo stuol. Tutti gittrsi

Per

l'inaccessa via, scesero in fretta

Da' lor cavalli bellicosi, e orrendo

Contrasto cominciar d'armi e di forza


In quel loco

D'ogni tetto
FlRDUSl,

I.

s angusto. Era sull'alto


un guerrier, sovra ogni soglia
15

194

Starane un altro, tutti dell'antica


Citt, con l'armi, e quanti avean guerriera

Fermezza

in cor, mostrarsi al giovinetto

che dolente il core


Dahk. Dall'alto
Delle mura cadean pietre, mattoni
Gi dai tetti scendean, spade e volanti
Frecce d'un legno ben compatto e greve,
Gi nella via, qual gelida gragnuola
Che da nuvole fosche agglomerate

Prence

devoti, ei

Avean per

Scende

l'arti di

n loco ove riparo


non era. E quanti

talor,

Fosse da'

colpi, allor

Erano prodi

giovinetti in quella

Citt famosa, quanti eran provetti

Guerrieri esperti

Corser

festosi

di

battaglie e d'armi,

a crescere le

file

Di Fredn battagliero, ogni maga


Di

Dahk

Grida

ripudiando. E gi per tante


eroi

di

la

Piegava

il

Sotto le

zampe

si

montagna echeggiava,

suol de' cavalli accorrenti

risonanti ed alto

agglomerava un nugolo

di polve

Di quella schiera, e schiantavan


Della

montagna

di

Allor da un tempio al vivo

Venne

tal grido:

le selci

tante aste all'urto.

Se

di

Fuoco eretto

re sul Irono

Sar posta a seder selvaggia

liera,

Giovani e secchi obbedirem noi

tutti

Al suo comando, ne il comando suo


Trasgredirem giammai. Ma non vogliamo
Dahk sul trono, l'empio re che nutre

Sovra

gli

omeri suoi due serpi

attorti.

Cos guerrieri e cittadini insieme,

In un

sol

D'un moto

gruppo qual montana cima,


si gittr lenir La pugna

Rabbiosamente,

e sbito la polve

195

Alto levossi in ciel dalla superba

Splendiente

Luce

citt,

che

chiara

la

Ma

del sole intenebr.

intanto,

Pieno d'invidia e pien di rabbia il core,


G-iugnea Dahk cercando all'improvviso

Danno

riparo. Dalle accolte schiere

Vols'egli

E perch

passi alla regal dimora.

nella via noi conoscesse

Alcun di tanti l raccolti, tutta


Di negro ferro copr la persona,
E s'avvi. Sal sovra un terrazzo
Alto e cospicuo, per la
Di cubiti sessanta a

man

un bene

reggendosi
attorto

Laccio nodoso; l, dall'alto ei vide


Quella che avea nerissime pupille
Shehrnz leggiadra con Predn sedersi

Piena d'incanti

Avea

un secreto

in

loco.

colei quant' del d la luce

Bianche
Quant'

le gote, e
la notte,

negri

bei capelli

e le sue labbra turgide

Eran dischiuse a maledir dell'empio


Dahk l'opre nefande. Oh! ben conobbe

Dahk allor che quella era divina


Opra veracemente, e che di scampo.
Dall'imminente sua sciagura, chiuso

Era ogni varco. Ma la mente sua


Divamp allor d'un improvviso fuoco

di

rabbia e d'invidia, ond'ei dall'alto

Dentro al palagio il laccio suo nodoso


Drittamente scagli, ne pi curando
Il trono suo, la vita sua s cara,
Scese pel laccio dal terrazzo, un fulgido
Pugnale nella man. Sete del sangue

Aveva
S

vaghe,
spada acuta e forte

ei s delle fanciulle

che trasse

la

Dalla auaina, n svel

il

secreto

196

nome.

Dell'esser suo, n pronunci suo

posato egli area sul suolo appena

Ma

concitato pie, gi dal terrazzo


Disceso allor, che sopra qual procella
Fredn ratto gli fu. Stese la mano
Il

Alla clava dal capo di giovenca,

in fronte lo colp,

Telmo

gl'infranse.

angiol di Dio beato,

Venne Sersh.

Correndo presso a lui. Non giunse ancora


disse. Rattieni,
L'ora estrema per lui
Fredn, i colpi tuoi. Ma fortemente
!,

Qui, qui l'avvinci cos pesto e sfatto,

traggi dietro a te fin che sarai

il

due monti

Meglio ti fia
della montagna
avr
Se catene
nessuno
ove
deserti,
recessi
Ne'
vicin.

egli

Venga
Ud

de' fidi suoi, niun de' congiunti.


l'eroe,

ma

n s'indugi;

tosto,

Gol cuoio d'un leon, possente un laccio

Formossi, e con quel laccio

ambe

le

mani

fianchi strinse all'arabo signore,

che quei nodi non avra

disciolti

Un

elefante in suo furor. Si assise


Fredn allor su l'aureo trono, e quella

Empia legge abiurando, al vinto prence


S cara un d, f' su le regie porte
Questo editto bandir

Hanno

vigil la

Depongali l'armi.
Cercasi un

Quanti

mente e

uom

di

voi

senno integro,

Non per

questa via

guerrier fama soltanto

disonor qui in terra.

Ch'uom d'armi

il

E non

bello

e battaglier faccia sue prove

Di guerresco valor con quei che tragge


Vii a dall'arie sua. Del pio colono,

Dell'uom

Son

di

guerra ch'

di

clava armato,

l'opre manifeste e definii'.

197

Quali d'ognun convenienti.

Che

allora

questi di colui l'opra desia

vuol colui l'opra di questo, in terra,

Da

confine a confin, gran turbamento

S'ingenera e grandeggia... Or qui


Stretto in catene l'empio re

si

giace

che tanto

Infondeva terror con l'opre sue


Della gente nel cor,

Lieti e felici de' fiorenti

che tornate
campi

All'opre industri, con letizia e

Lunga traendo

Tutti della citt corsero

E
E

amore

mortai carriera.

la

prenci

quanti avean di fulgid'or ricchezza


tesori cospicui, e al giovinetto

Sire

doni recar con molta gioia,

Splendidi e

belli,

al

Riverenti e devoti.

Fredm

suo comando in core

a s

li

accolse

con accoglienze oneste,


E grado e potest con molto senno
Confer lor con nobili consigli,
Benedicendo. E poi, Dio ricordando
allor

Dell'ampia terra creator, Quest'alto


Seggio,

ei disse,

il

mio

loco. In ciel risplende

Di vostra sorte la fulgida stella


lieto augurio, che Dio santo noi
Dal mezzo suscit della sua gente,
Dalle valli d'Albrz, perch venisse

Con

Franchigia a voi dall'orrido serpente

Per quella che dal ciel tutto m'investe


Maest di regnante. E poi che tale

Fu

piet te di Dio dator di grazia,

Con letizia di cuor la luminosa


Sua via correr dobbiam. Dell'ampia
Da confine a confin, son io signore,
E licito non m' lungo restarmi
In un sol loco. Dove ci non fosse,

terra,


con

10 stare* qui

198

voi,

con voi

lunghi

di

Giorni passar vedrei l'ore gioconde.

Dinanzi a
I

lui

baciarono

prenci allora, e

si

la terra

lev infinito

Strepito al ciel di timpani sonori

Dalle soglie del re.

Al palagio regal

gli

L tenean

volti

sguardi eretti

lamentando il breve
di Fredn nella lor terra,

I cittadini,

Soggiornar

Fin ch'ei fuori adducea, dentro a que' lacci


Che merit, l'uom de* serpenti. Allora
Da quell'erma citt, senza che parte
Vi toccasser

Le squadre

di

preda o

di rapina.

uscan, recando in su la schiena

D'un cammei, turpemente incatenato,


Montato al dorso in vergognosa foggia,
L'empio Dahk. Cos fino alle mura
Di Shirkhn popolosa il tumultuante
Drappello s'avanz.

Ma

tu,

l'antico

Racconto quando udrai, pensa di quanta


Longeva ''l sia carco il mondo! Assai
Giorni son corsi da quel tempo antico
Su que' monti deserti e su quel piano,
Intanto
E molti ancor ne scorreranno!
11 giovinetto eroe, via il tri una
Cui dall'alto guidava, a quelle mura
Sospingea di Shirkhn dentro a' suoi ceppi

Dahk
L 've
Da un

avvinto, e s'intern fra

monti

battergli al suol volea la testa


sol

colpo recisa. In quell'istante

Sersh apparve. L'angelo bealo

Con dolce atto e cortese al giovili prence


Secreto un motto susurr agli orecchi,
Cos dicendo: L'infelice avvinto

Traggi correndo alle deserte valli


Demavnd cos, senza che alcuno

Del


De' tuoi

ti

segua.

199

Non

avrai con teco

Se non quanti evitar tu non potrai.


Quanti nell'ora della tua distretta

Amici ti saranno.
Obbediente
Fredn allor, come corrier veloce,
Trasse Dabk e ne le valli alpestri

Demavnd

Del

il

f'

carco

allor

di ceppi,

che aggiunta
Una catena fu sull'altra, male
Non rest del destin ch'ei non avesse,
E nome di Dabk nome divenne
Sterile e vano come polve. Il mondo
In orribile guisa.

Libero usc dall'opre sue

Che
I

triste,

diviso rest l'empio da tutti

suoi cognati e dagli amici suoi,

L, su quel monte entro a que' ceppi.

Fredn cerc

nell'orrida

Un

loco

montagna

Profondo, angusto, e una caverna oscura

Scovr che fondo non avea. Di ferro

Ghiovi

rec gravi e pungenti, e in quelle

ei

Membra

li

conficc l 've non era

le mani
Leg a Dahk su la Tonchiosa rupe,
Perch l si restasse in lungo affanno.
Cos sospeso all'orrido macigno

midollo o cerbro. Indi

Fu

l'antico signor; fino alla terra

Le lagrime scendean che uscan

dal core.

Vieni, perch da noi le vie del

Non

mondo

opre e malvage,
Perch si rechi a bene oprar la mano!
Che se in terra del mal lunga non resta
N del bene la traccia, miglior cosa
si

corrano

in triste

Che memoria

di noi

quel ricordo. Eccelsi

sia di lode

rimanga eterna.

Palagi e illustri e splendidi tesori,

Auro ed argento, non dn

frutto. Sola


Di te qui rester

Una

200

memore

e viva

parola. Quel ricordo e quella

Parola non stimar cosa leggiera!


Angiol di Dio non era in terra il saggio
Fredn regnante, n di muschio o d'ambra
L*avea composto

il

ciel;

ma

tal fortuna.

giustizia e grazia

Ben che. mortai, per sua

Ebbesi in terra. Ond' che se tu adopri


giustizia, altro Fredn sarai.
Fredn possente opra compiea divina

Grazia e

Liberando la terra; e fu di tante


Imprese sue questa la prima, in ceppi
Ch'egli solo gitt Tuoni Insto e reo,

Dahk malvagio. Vendic

del padre

L'anima santa e su la retta via


Pose

la

gente ancor. Seconda impresa

questa; e allor che d'ogni mala stirpe

Fu

Purific l'irania terra e tolse


A ogni pi tristo illecita possanza,

La

terza egli comp.

Ma

tu,

natura.

e instabile e crudele!
Nutr tu stessa e ci che nutr, uccidi!

Quanto

se' infida

Fredn che tolse il regno


All'antico Dahk, vedi la sorte

Di re

Fallace e

trista!

Anni e regn.

Cinquecento

illustre

ei visse

Partissi alfine, e solo

Di lui rimase l'inclito suo seggio.


Part quel grande, e l'ampio regno ad altri

Abbandon, con se recando solo


flebile sospiro. E noi siam tali,
Grandi e piccoli, tutti, o sia che duce

Un

Esser tu voglia
sia

che un

di

vaganti greggi,
quel^gregge esser tu voglia.

di

IL

RE FREDUN

IL

I.

RE FREDUN

Principio del regno di Frdn.


(Ed. Cale. p. 47-491.

Re Fredn, quando

il

mondo

in poter suo

Ebbesi e vide ch'egli solo in terra

Era prence e sovrano, in un con quella


Sua casa imperiai l'imperiale
Corona si apprest, di sua grandezza
Il

trono eccelso, qual d'ogni regnante

costume quaggi. Nel fortunato


Giorno a principio del giocondo mese
Che Mihr si appella, ei si ponea sul capo
La corona real. Tutta la terra
G-iacea secura da improvviso affanno,

la via dell'Eterno ogni

Giubilando prendea,

vivente

ch'era scevro

Di tumulti ogni cor. Festa novella

Celebravasi allor, degna d'un prence,

Che sedean que' gagliardi in ampio giro


Godendo e letiziando, e una lucente
Coppa reggea ciascun

nella sua

mano

Di fulgido rubin. Splendea ne' colmi

Nappi il vin generoso, e del novello


Prence il volto splendea, che bella e gaia

E
E

di giustizia
il

fausto

Quindi

il

era la terra adorna,

mese era

nobil signor

al

principio suo.

f'

una gran vampa

204

Destar con secchi legni, e zafferano


Arso dentro vi fu con ambra pura,
Che venne da Fredn l'antico rito
Di celebrar con inseta pompa
Di Mihr la luna al suo principio. Tutti

bevono

Riposano

in quel d,

Tale

costume, e resta ancor del prisco

E
Di

il

in copia.

nobile signor dolce ricordo

Mihr

la festa.

In essa un
e oscuro
Ma quell'antico
tristo

Volto non mostrerai.

Signor di cinquecento anni pel tempo


Regn, n in alcun d pose a malvagia
Cosa principio mai. S'egli non ebbe

Eterna

tue

vita,

non

servir,

mio

brame quaggi, n

figlio,

rattristarti.

Sappi che eterna sua mortai carriera


Uom non ebbe giammai, che molta gioia

Non

troverai nella terrena via.

tal secreto non avea contezza


Frank, sul trono gi seder del mondo

Di

Il

ldio suo, giacer deserto

Di

Dahk

il

loco

regnator, di sua grandezza

L'ultimo giorno esser venuto ornai.

Ma

poi, le

venne un

Del glorioso

figlio

d novella certa-

suo; che cinta

La corona

ei si avea de' padri suoi,


Seppe la madre. Ossequiosa in atto
Venne, e la fronte e la vaga persona

In pura onda lav, dinanzi a Dio

Giudice

stette.

La fronte

Fino

chinando
imprec a quel

al suol

sua, molto

fiero

Dahk, superbo regnator, l'Eterno


Renedisse e

f'

voti por la sorto

mut. Quindi la gente


Che in que' lochi vivr misera e trista
E il viver suo. aramo e sottil, con molto
Clio lieta

si

205

Studio celava, ella raccolse in quella


Sua dimora ospitai, u alcun da lei

Motto ne ud, ne il suo secreto aperse


Quella donna preclara. In cotal guisa
Per sette giorni ella f' doni ovunque,
S che meschini o poverelli alcuno

Non

vide allor.

Ma

splendido convito

Nei sette che venan giorni seguenti,


Apprest con gran cura, ed ogni prence
Di gran sangue e gagliardo ehbevi loco
Di s ben degno. Qual giardin fiorente

Orn
Ella

colei la

sua dimora, e quivi

prenci ospit, de' suoi tesori

Tutta spiegando la ricchezza ascosa,


le porte ne aperse e le riposte
Cose a donar si die. Tempo ella vide

Che

Propizio invero a scoperchiar

antichi

gli

Tesori, e agli occhi suoi vile mostrossi

L'oro e l'argento, or che vedea sul trono


Il

figlio suo.

Degne d'un

Dipinte vesti e
re,

gemme

con arabi cavalli

Aureo-bardati, e fulgide corazze,

Ed elmi

e spade e giavellotti e cinti

corone ingemmate,

Non

risparmi.

Carco

f'

Ma

cumular;

ella in quel

su cammelli
poscia,

il

giorno

grave

levando

cor fidente a Dio, con una lode


Incessante sul labbro, ella inviava

Il

ricchissimi doni al suo gran

Ma

della terra

Vide appena que' doni, e


Benedisse col cor,

li

sua madre

alla

ricevendo.

Dell'esercito allor tutti


I

figlio.

giovinetto sire

il

pi

forti,

pi prestanti, a quel giocondo annunzio,

Corsero insieme

con questi
che Iddio

al lor signor,

Detti festosi: Invitto re

206

Conosci e adori, lode a lui tu rendi,


E discenda su te grazia da lui
!

Di giorno in giorno di te cresca, o sire,


Bella di te

ma

felicit,

cada

Prostrata al suol la sorte de' perversi

Per decreto

di Dio.

Venga

dal cielo

Vittoria eterna a te, nessun

Fuor che saggio

ti

vegga

e prudnte e valoroso!

E da quel giorno quanti eran

possenti

In ogni villa e di gran cose esperti,

Venner correndo da ogni parte ai piedi


magnanimo re. Gemme commiste

Del

fulgid'or gittarono del suo

Trono sommessi

al pie. Tutti que'

De

allor, disposti in

la

sua terra

prenci

lungo

Ordin cos su le sue porte (e grande


Era la pompa), a Dio fer voti ardenti.
Benedicendo al trono, alla regale
Corona ed al suggel di re sovrano

alla celata di guerrier.

Al ciel

le

Levando

palme, con sciolta

la lingua

Per mollo amore inverso a lui: Rimanga.


Oh! rimanga, dicean tutti a una voce,
Questa tua sorte sempiterna, e

Vengan da

te,

signor,

Dell'ampio regno

Re Fredn

lieti

tulli

frutti

e giocondi!

corse allora

confini, ogni nascosta

Cosa guardando e

Da Aml leggiadra

le palesi.

E un

Di Teminsheh pass, soggiorno

giorno

all'orrida foresta
ei

fece

nella selva celebrata, al loco

e selvaggio che di Kus ha il nome,


E altro nome non sai che lo denoli.
E l, quanto ei vedea fuor de la retta

Ermo

Via tralignar, quanto ei vedea d'incolto


Nei pingui campi, ei correggea, togliendo

207

Ogni scampo a mal far per un intenso


Deso che avea nel cor d'opre leggiadre,

come conviensi ad uom prudente


E liberal. Ma il regno suo quel saggio
E magnanimo re fece si bello
Cos

Qual' su in cielo degli

La sede eccelsa, che


Egli ovunque piant,

eletti spirti

cipressi e rose

d'erbe nocive

E allor che scorsi


Furon cinque anni di sua vita industre,
Vennero a lui tre dolci figli. E sorte
Fu questa del gran re, che tre fanciulli
Nascean cos, di nobil sangue e degni
selvaggie nel loco.

D'una corona tutta d'or sul capo.


Statura avean di nobile cipresso
I regi infanti e fresche e rubiconde
Gote qual' dell'anno giovinetto

La pi

grande

bella stagion, pari a quel

In tutte cose.

Ma

Due da Shehrnz

dei tre fanciulli

erangli nati, e l'altro

Pi piccioletto d'Ernevz leggiadra


Era parto giocondo. Il genitore,
Per molto amor, per tenerezza, un nome
Trovato ancora non avea, quantunque
Gi gli elefanti vincessero al corso
I giovinetti;

Su

ma

costante

il

lor tenea lo sguardo, or


di serto

sire

che

di

trono

regal parean ben degni.

II.

Andata

di Gendel.

(Ed. Cale. p. 49-52).

Ma un
Il

giorno a s chiam tra

magnanimo

sire

prenci suoi

un uom preclaro


Che Gendl
Che intatta

208

nome

viator

si

Prence serbava, e s gli


Terra percorri, e fa che
figli

L'ampia

disse:

tre fanciulle,

Figlie di prenci giovinette,

De'

avea,

fede in tutte cose al suo

degne

miei trovar tu possa, a mia

Stirpe real convenienti, e d'ogni

Bellezza adorne. Ancor non abbia

il

padre

Per tenerezza loro imposto un nome,


Perch non corra per maligne labbra
Voce su lor. Ma vergini sorelle
Sian d'un sol padre e d'una stessa madre,

Come

alate Per leggiadre in viso,

D'inclita stirpe di regnanti scese.

Gendl come del sire ud tal detto,


Disegno accorto in s form quel saggio,
Che di vigile cor, prudente e in molte
Arti era esperto, e gli scorrea dal labbro

La facile favella.
Grande l'ingegno

In gravi cose
suo. Dalla presenza

venne

Dell'Iranio signor

all'aperto,

Scelse compagni di specchiata fede

ratto in via

Valicando

si

pose.

confini,

F' in ogni loco e

in pria d'Irania

ampia ricerca

f'

parole ed ebbe

Risposte assai, che in ogni terra, dove

Regnasse un prence a cui verdini figlie


Crescesser con amor dentro a le case,
Ogni secreto a investigar con cura
Gendl si fea, ne uda la voce e il nome
Cercavane pur anco. Or, fra que' prenci
De' villaggi all'intorno egli nessuno
Vide o trov che del regal connubio

Degno

si

fosse.

Ma

quell'uom preclaro,

D'intatto corpo e d'anima serena,

Giunse appo Serv,

di

Yemen

sire,

e intese


Che

tre figlie

si

209

avea veracemente

L'antico re, quali cercava

Che

l'invi,

che

gli

il

corse

sire
a' piedi,

Ratto qual un augel che innamorato


Corre a le rose or ora aperte, e il suolo

Riverente baci, vnia chiedendo,

benedisse a quel gran re con questi

Detti festosi: Eternamente, o sire,

Possa tu in alto sollevar la fronte;

L'alma tua luce sempre investa e sempre


Il

tuo soglio regal, la tua corona!

di

Yemen

il

re cos rispose:

Dalla tua lode mai non cessi questa

Mia lingua Or dinne qual messaggio rechi,


Qual comando ne porti. E sei tu un messo
Veramente, o un gran re d'inclita fama?
E Gendl rispondea: Lieto mai sempre
Viver tu possa, o re, lungi ti sia
D'ogni malvagio la proterva mano!
Venni d'Irania, e schiavo umile sono,
Qual gelsomin celato, ed un messaggio
!

Reco di Yemen al signor. Per lui


Di Fredn regnator reco un saluto;
Ho pronta una risposta ai suoi dimandi,
Se dimandar gli piace. Anco a te viene
Da re Fredn benedizione, e grande
per certo colui che il mio signore
Spregiar non sa Quand'io partiva, in questa
Guisa Fredn mi favell: Dirai
Di Yemen al signor che, fin che odori
Il muschio in terra, sua fragranza ei sparga
Su l'alto seggio. Da ogni danno il cielo
!

Ti preservi, o signor, nella persona;

Lungi sen vada

il

duol, regio tesoro

S'accumuli per te! Signor di queste

Arabe genti
Firdusi,

I.

(e

sempre

la tua stella
14


Dalla sventura

ti

210

difenda), in questo

Fammi, fammi ragion che nulla


Pi caro

al

nostro cor dei dolci

della vita. De' giocondi

figli

Nulla pi grato a

noi, vincolo

Non

figli.

al vincol de'

Tal vi fu mai che

in terra

figli

uguale

se nel

mondo

di tre luci in fronte

Lieto ne andasse, quello io son, che

figli

Miei son tre luci risplendenti e belle,


Cari assai pi degli occhi miei. Si levano
All'Eterno questi occhi ossequiosi

Oh! che dicea quel saggio,


Maestro di virt, nel li che molte
Ebbe parole su connubi e patti?
Alleanza con quei non feci io mai,
Disse, che pi di me caro non fosse
A questo core . Ma Tuoni saggio e accorto
Di pari grado cercasi l'amico;
E un re possente, anche se lieta all'uomo
In rimirarli.

Ride fortuna, senza figli in terra


Mai non sar beato. Io pur fiorente
Regno posseggo ed uomini e tesori

E potest di re; ma tre fanciulli


Ho ancor, figli diletti, a questa luna
Pan in bellezza, di corone e d'elmi
Degni e

di trono,

che

in

ricchezze accolte

Di nulla hanno scarsezza; e ad ogni voglia

hanno la mano. Or vedi


Che a quosli tre s vaghi mici fanciulli
Ben si convien nelle secrete stanze
Addur tre vaghe giovinette, illustri
Li bora e sciolta

Figlie di

gran signor. Disse

la

genio

me

(si mosse
Questo mio core all'insperato annunzio)
Che tre nobili figlie entro a tue stanze

Conscia del vero innanzi a

Hai

tu,

signor, le fulgide pupille


Ricoperte da un

Fu

211

vel, cui

imposto ancor da

te.

nessun nome
Balz di gioia

Ci udendo questo cor, ch'io, seguitando


Nobil costume, ai figli miei bennati

Nome

ancor non trovai. Stringasi adunque

Vincol

sangue, e sian congiunte insieme

di

Nostre nobili
Delle tue

miei che hanno regal corona,

I figli

E son ben degni


che han velate gote,

stirpi.

figlie

non avr da gente


Malvagia biasmo alcun . Questo il messaggio
Che Fredn mi affid. Tu la risposta
Per quel che pensi, o re, darmi ti piaccia.
l'opra bella

Impallid nell'ascoltar que' detti

Yemen

Di

Che orbo

il

signor, qual gelsomino

resta d'umor. Dentro nel core

Nacquegli

tal pensieri Se al mio guanciale


Veder pi non potran questi occhi miei
Queste leggiadre mie fanciulle, in cupa

Ombra

Ma

Sciorre
Io

converte il giorno.
dee per la risposta intanto
labbro da me, fin che svelato

di notte si

non

si
il

non abbia del core ogni secreto


que' principi miei, fidi compagni

A me

nel gaudio e nel dolor. Risposta

Dar non
Molti

ho

si

dee precipitosa, ed io
che svelar m' d'uopo

secreti

chi dar mi potr consiglio e aita.


And, la porta del suo regio ostello
Chiuse in que' giorni e si rest pensoso

Per lungo tempo, destinata in pria


Orrevol stanza al messaggier d'Irania.
Molto ei pens la grave cosa e molti
Astati prenci di gran

Chiam dintorno

fama

in

guerra
arcana

a se, quindi ogni

Cosa traendo fuor,

l'alto

secreto

212

In lor presenza cos sciolse, e disse:

Per connubio leal, per giusta sorte,


Dinanzi agli occhi miei tre faci ardenti
Stanno, e il sapete voi. Fredm regale
Messaggio or m'invi, sul mio cammino
Artificioso per gettarmi un laccio,
Ch'ei vuol questi occhi miei lungi portarmi,

Le vaghe

figlie

mie. Per questo, o prenci,

Chiegg'io consiglio a voi. Disse quel messo:

Il

nostro re cos parlava: In questa

Mia casa son tre re, con trono e


Di un vincolo di sangue disiosi
Di

Yemen

Vaghe

per quelle sue

col signor,

fanciulle che

ne

S'io dico: Si!,

il

serto,

han

velati gli occhi .

cor gi v'acconsente,

Menzogna non s'accorda a maestate


Di prence e di signor. Se la sua brama
Ascolto e cedo, d'un cocente affanno

pieno

s'io

Per

cor. molle di pianto

comando

il

volto:

e niego,

trema quest'alma
che non , credete,

l'offesa di lui

sbigottisce,

Gioco

il

resisto al suo

l'ira

destar di chi signore

di tutta la terra.

il

viandante

Bene intese a narrar qual pena incolse


Per lui l'empio Dahk. Ma voi, qual cosa
Vi sorge in mente che soccorso arrechi,
Apertamente a me, suvvia, mostrate.
E quei savi, di molta esperienza

di

gran cor,

cos,

per dar risposta,

uno ad uno: In questa


non vediam noi, signore,

Sciolser le labbra ad

Cosa che

di',

Necessit, per cui docile e pronto

Tu

volgere ti debba ad ogni lieve


Spirar di vento. Se Fredn gagliardo

nobil signor, servi

non siamo

213

Con orecchini gi pendenti, segno


Di nostra servit. Franche parole,

Fermo
Domar

e dritto operar, pregi son nostri,


destrieri e palleggiar ferrate

Lancie, nostro costume. Or, con

Farem di sangue rosseggiar


Come rosseggia un torcolar

E leveremo

le

spade,

la terra

pel vino,

al ciel l'aste lucenti,

Quante son canne in un canneto. Amore


Hai per le figlie tue? Leva il coperchio
A' tuoi tesori e d,

Che

Alle promesse.
Consiglio in

te,

ma

chiudi

labbro

il

se astuto pensi

regno

se dell'iranio

Temi per le, per tutti, a sue proposte


Con pi grave proposta tu rispondi,
E tali sian le voglie tue, che modo

soddisfarle

III.

non

Nozze dei

si

vegga mai.

re Frdn.

figli del

(Ed. Cale. p. 52-56).

De' savi alla risposta, incerto

Yemen si rest,
Non vi trovando in
Di

Chiamar

f'

il

sire

fine o principio

suo pensier;

del gran prence

Parole molte ebbe con

lui,

il

di

ma

tosto

messaggiero,

molte

Lusinghe intramezzate, indi soggiunse:


Servo al tuo re son io, legge mi sempre
Il suo comando. E gli dirai che s'anche
Egli grande sul trono, e veggo e intendo
Di qual pregio dinanzi agli occhi suoi
Esser debbon tre figli. Ei la crescente
Prole ha cara, ancor pi da che mostrarsi
I

saggi

figli

suoi degni d'un trono.

214

La sua proposta

accetto

In giudicar cos

eie'

mi

s;

norma

suoi

figli

S cari a lui.

Ma

La terra mia,

di

prenci e di guerrieri

Inclita sede, o

il

trono mio, degli occhi

Ancor

s'egli

la luce, e luce e

me

chiedesse

trono e terra

Minore han pregio delle mie


Figlie ov'io pi veder non le

Ed

Nell'ora consueta.

suo voler, non

il

ma

dilette

potessi

or, se tale

io

vorr sottrarmi

mie figlie allora,


S come ei vuol, di mia famiglia antica
Fuori usciranno. E se veder potessi.
Principe, i figli tuoi che alto splendore
Son del serto e del trono. e s'ei venissero
Ai cenni

A me

suoi,

le

daccanto, luce allor ne avra

Questa mia casa tenehrosa, e lieto


Di lor vista sara questo mio core,

Ed

ne immurerei l'anime elette

io

E generose
<:h<'

({u 1

tuoi

'

Porrei

e accorte. Ov'io vedessi

ogni saggio pensier

le

la

mie

lor

annida

mano mia nelle lor


me dilette,

figlie

Riti osservando

si

saggezza

in

core

d'alleanza in segno

figli,

;i

li

mani,
i

santi

mia sacra terra,

affiderei.

Se poi

Alto deso di rivederli in core

te venisse,

le

Iranio sire, ancor

rapidamente,
li

inviterei.

G-endl facondo, poi che ud risposta,

Baci

il

trono regal secondo

il

rito,

dall'aula usc fuor, pieno le labbra

Di voti e auguri. Per tornarsi al prence


Dell'ampia terra egli si mosse, e giunse,

ratto

che a Fredn

fu

nel cospetto,

Ci che l vide e qual risposta intese,

Ridisse aperto.

chiamava

suoi tre

il

figli

allora

re del mondo, e fuori

Dall'intimo suo cor traea le cose


Pi ascose e arcane, favellando assai
Di Gendl messo del viaggio e ancora
Di suo disegno, e innanzi pose oneste

Parole e acconce. Cos disse poi:

Questo monarca

di

Yemen

un sire

Di genti, un gran cipresso che

le

fresche

Ombre gitta all'intorno. Egli ha tre figlie


S come gemme ancora intatte. Figli
Non ha, ma le sue figlie una corona
Son per

lui

veramente. Oh! se una sposa

Pari a coteste ritrovasse, al suolo


Dinanzi a lor darla veracemente

Sersh un bacio! Per voi dunque, o


tre fanciulle dimandai, recando

figli,

Le

Parole acconce e oneste. E or s fa d'uopo


Che presso a lui ne andiate voi, mostrando
In tutte cose non volgar saggezza.

Liberamente favellate a

Con senno, e

lui

attenzion, qual

si

conviene,

Prestate al suo parlar, date risposta

A
E

sue parole con parole acconce;


dimanda, in pria vi consigliate

s'ei

Sulla risposta, che dover dei

D'un gran

di

di fede

figli

re, quali siete, di

prudenza

saper porger preclaro esempio,


Esser facondi e d'anima serena
inconcussa e in tutte cose

D'alto ingegno dar prova,

Sempre aver su

il

giusto sempre,

senno pronto,
mente. Or da voi s'oda
Ci ch'io dir; che se a buon fin s'adduce
Gotesta impresa, andrete voi beati.

Adornata

di

le labbra, e

il

la

Yemen

il

re di mente acuta,

21(3

non ha veracemente
ha tesori,
Ha schiere armate, ha senno, ha sapienza,
Ha regal serto. Ne si vuol che vili
Tal,

che pari

Fra

ei

popoli di qui. Molti

Ei vi ritrovi e di povero ingegno,

Che nuova

astuzia l'uomo accorto in opra


Porr per voi. Nel primo di, convito
Regale apprester, daravvi in esso
Il primo loco. Le sue figlie intanto.
Che tre son, tutte belle e adorne e vaghe,
Come giardini a primavera, e sparse
Di bei profumi, egli addurr. Sedute

Ei

Ad

le

vorr su regal trono; e pari

agili cipressi all'aer levati

Le fanciulle saran, che come sole


Han bello il volto. Nell'altezza eguali
E nell'aspetto son, n la minore,
Auchc per poco, scernere si puote
Dalla suora maggior. Verr per prima,

Badate ben,
Innanzi a

minore
maggior di

dell'altre la

voi.

ma

la

lutto

Sar da tergo, e verr quella in mezzo


Che all'altre in mezzo per et. L'accorto
Padre accanto al maggior de' figli miei
Seder far full ima figlia, al fianco
Del minor la maggiore; al medio loco
Quella di mezzo seder. Badate
Che per scienza non v'incolga mai
Danno nessuno; che l'accorto padre
Vi chieder qual mai delle tre uguali
Sia la maggior, qual la minore, e in mezzo
Quale che d'anni viene all'altre. E voi,

Voi siate pronti

Che

in additarle, e dite

quella che al maggior posto

D'anni di tutte

la

si

minor; disdice

Alla maggior l'infimo posto, e l'altra

asside,


Che

in

mezzo viene

217
e

il

posto nave di mezzo,

Al giusto loco si ritrova. Allora


Voler contrario cesser; la meta
Fia raggiunta da voi, cosi parlando

come

Di sue fanciulle

sol,

leggiadre

Quant' un cipresso in un giardin. Credete


A mie parole, e questo mio secreto
S'oda per voi. Prudenza in voi, gran pregio
D'antico senno, e queste cose tutte

Notar
I

vi

si

convien partitamente.

tre fanciulli, d'alto nascimento

di

gran pregio,

Poneano

il

al favellar del

padre

core. Uscan dalla presenza

Di re Fredn, uscan da lui

di

molta

Scienza ricchi e di magica possa.


Qual cosa mai, fuor che scienza e senno,

figli

s'addicea, cui gi nutriti

Avea, come Fredn, inclito un padre?


Rapidi come nembo ehi tornarono

Ai loro

ostelli,

e poi

che notte giunse,

Lieti e gi certi di vittoria giacquero.


Ma quando il sol per la celeste vlta

Distese

raggi suoi, su drappo azzurro

Quasi gittasse un porporino ammanto,


Levarsi e si apprestar que' giovinetti
E presero con s nobile schiera
Di sacerdoti. Si partir con ampia
Scorta d'armati,

Con molti

come

stelle in cielo,

eroi possenti e di

gran fama,

Splendenti come sol. N'ebbe novella


Il sir di Yemen, s che eletto stuolo
Di prenci egli ordin, ratto qual penna

Di aereo volator; quindi una schiera


Di estrani e di parenti e di cognati

incontrarli invi, drappello immenso,

Nella lontana via. Gli ampi confini

218

Entrar di Yemen
tre prenci allora,
E di Yemen uscir' uomini e donne
Ad incontrarli. Zafferano e gemme
i

Sparsi fr su

la

via,

muschio odoroso
molli a un tratto

E vin possente, onde fr


Le criniere ai cavalli al

E monete

corso

sciolti,

brillavano sul suolo

Degli accorrenti sotto al pie. Dimora

Eccelsa era col, qual de' beati


la sede nel ciel, ricca di fregi.

Che

mattoni eran d'argento

nitidi

d'oro intatto, greci drappi intorno

Pendean dovunque; oh! molte

elette cose

preziose eran l dentro accolte!

regi ospiti suoi con regal pompa


Serv accogliea. Poi che mutossi in giorno

La notte oscura, tutti


Che l'antico signor le

ei f' beati,

tre fanciulle.

In quella guisa da Fredn predetta,


Fuor men da le stanze. Eran qual luna
Le tre fanciulle nell'aspetto adorne,

rimirarle non poteva alcuno.

Si assiser su gli scanni, e qual gi detto

Fredn aveva ai figli suoi, de'


Era l'ordine tale. Interrogando
Si volse allora ai giovinetti

Di queste

figlie

mie.

steli 1

Qual' per anni la minor mi

Qual

la

prence:
del cielo,
dite,

seconda m'additate, e quale

Di tutte

maggior. Cos v' d'uopo

la

Designarle a

me

qui.

Che appreso avean,


I

il

posti

Ma

in quella guisa

tutto svelar l'arcano

giovinetti e del maligno giuoco

Reser vano
Di

Yemen

il

il

poter. Meravi^liossi

signor, stupir gli astanti

Prenci del popol suo. Ratto conobbe

219

re possente che da inganni orditi


Frutto non vien che giovi, e cosi disse:
Certo, questa la via!, dar la minore

Il

Al minor de' fanciulli; e la maggiore


Cosi la grave
Vada sposa al maggior.
fermato
cosi
compia,
si
Faccenda
Era quel nodo; e quelle tre, leggiadre

E vaghe

figlie,

innanzi ai giovinetti

Arrossan per timor del vecchio padre


E di l si partian con molta grazia,

Con vergogna e timor, con rosse gote,


Con dolci detti, a le lor stanze ancora
Sen ritornando. Ma l'antico sire,
il signor, con pronta cura,
in su la mensa, e molti
recava
Vino
Prenci e guerrieri raccogliea, del dolce

Degli Arabi

Vino amanti, e apprestavasi

le

labbra schiudea.

Fin che

di

si

alla gioia

restava

la notte si fea trista

Fredn que'

giovinetti

e oscura,

figli,

Generi suoi, bevean vino giocondo


Propinando a lui sol. Ma poi che vinta

Fu

dall'almo licor la mente accorta,

Allor che sonno e placido riposo

Parver propizi, su la sponda amena


D'un laghetto che avea le acque odoranti
Come di rose, f' apprestar quel prence
Ai giovinetti a riposarvi un loco.
Dentro a un giardin, d'un arbore fiorente
Sotto a le

rame

sparse,

fortunati

gran re chiudean le
Degli Arabi il signor, prence
Novella astuzia medit. Si tolse

Figli di s

ciglia.

di

maghi,

Da quel giardin tacitamente, incanto


Tremendo per ordir. Suscita un freddo
E impetuosa una bufera, e al fine

Gi gi

pensa di menar

si

la vita

Si

Ed era allor che tutta


congel quella campagna intorno

de'

De' giovinetti.

monti

le falde,

volatori

Della foresta non osar le penne

Librar sul piano maledetto. In piedi


Balzar que' prenci all'improvviso freddo,
Figli animosi d'un signor d'incanti
Esplicator sovrano, e con quell'alta
Regal virt che in lor splendea, con quella
Divina maest, con quel tremendo
Poter che a lor venia da' prischi rem,
Ghiuser varco all'incanto, e il freddo intenso
Nessun danno arrec. Ma quando il capo
Rilev il sol sul vertice del moni e.

Corse

al giardin l'incantator

maligno.

Corse ai generi suoi nobili e illustri,


E sper nel suo cor livide e smorte
Veder lor guancie e tutte intirizzite

Le vaghe mmbra, spenta ogni vitale


Forza in eterno. Cos alfin saranno
Eredi a

lui

le

sue leggiadre

figlie,

Rimanendo

in

sue case. Era

questa

L'orrida vista che sper nel core

Ma

non

luna,

non

il

Fr consenzienti

alla

sua

la

sol,

dall'alto

trista

brama,

Gh'ei vide l seduti in un dolce atto

Sovra un
I

alto sedil,

degno d'un prence,

giovinetti, qual novella luna

Splendidi e vaghi.

Oh

no!, frutto nessuno

Gli

avean concesso

seppe, e vide allor che anche un istante

il

l'arti

sue maligne,

Solo donarvi era ben stolta cosa.

Una
I

festa indicea

Yemen

Di

prenci

il

signor,

tutti.

le

subitamente

dove s'accolsero
porte

ei

dischiuse

221

Degli antichi tesori, e schiuse ancora

Ci che per lungo tempo ei nascondea,

Che

sue

le

tre, volti

figlie,

Pari a un giardin

di

di sole,

paradiso (e mai

un sacerdote
come coteste),

Cos vago arboscello

Piantato non avea,

Con diademi e con tesori, quali


Niun travaglio costar, mentre lor trecce
Avean sentita d'un rovente ferro
La stretta forte in adornarle, fuori
L'antico sire addusse e
Affid tostamente.

giovinetti

a'

Eran

tre lune

Ancor

novelle, eran tre re gagliardi.

Ma

Yemen

di

il

re,

per

la

rancura

Del core acerba, Oh! non venia, pensava,


Da Fredn non venia tanta sventura!
Essa venne da me. Di

Alcun ricordo

Femmine

ornai,

me non

resti

da che soltanto

maschia stirpe mia!


non ha, beato
Tu estimar di, ma l'astro non ha luce
Di tal, che ha figlie.
Ma levando poi
Vergini

die la

figlie chi

Alta la voce, ai sacerdoti innanzi


Ei cos disse:

Sposo ben

queste

un regio

figlie

convien. Sappia di voi,

si

Sappia ciascun che


Dilette a me,

le tre figlie

seguendo

mie

miei,

riti

Oggi a questi affidai giovani prenci,


Ond'essi, quanto a lor cara la luce
Degli occhi, abbianle in pregio, e

Guardinle ancor, quanto


Pianse,

ma

la

col core

propria vita.

tosto l'alte suppellettili

Degli ospiti apprest, d'ardimentosi,


Forti cammelli in su la schiena. Intanto

La

terra di

Yemen

Seguan l'un dietro

lucea di gemme,
all'altro

palanchini

222

Non

interrotti,

ed un ne avea ciascuno,

Di molte cose preziose e belle

Ma se in nostre case
Cresce con molto onor, con bel costume,
Tutto fregiato.

La dolce prole, che vai mai se figli


Abbia m noi giovinetti o vaghe figlie

A nutricar? Con nobile ricchezza,


Con regal pompa, vergine fanciulla
E tenero garzon sempre saranno
Dolce conforto in ogni nostra cura.
I

giovinetti, vigili del

core

Veloci al corso, a re Fredn tornavano.

IV. Divisione del regno.


(Ed. Cale. p. 56-59).

Fredn, poi che novella ebbesi certa

Che

tre prenci redan, rapido scese

All'aperto sentier. Volea contezza

Di lor alme leccar, volea suoi


Sospetti via bandir,

Con

si

tristi

che sen venne

Anche un leone,
scampo non trova.
Ululando e fremendo in strana guisa
(E fiamme uscan dalla sua bocca), allora
l'aspetto di drago.

Detto avresti, da

lui

Gh'ei vide

suoi oi gi vicini

Turbo lev

figli

negri monti
di

dintorno scorse,

polvere volante

selvaggio ulul,

Tutta

si

la terra alle

Venne correndo

al

Ricco

di pregi e di

Ma

garzon

il

che mugg a

sue voci.

maggior

in pria

tglio suo,

corona ornato,

cosi disse: Ecco!, alla

Modo non vede con dragoni

o serpi

pugna,

223

Rapido quindi

L'uom che ha senno

e virt!

Volse la terga e

fuggi da quello,

all'altro

Ma

si

garzoncel sen venne

mezzano

il

il

che

fratel, ratto

padre.
il

vide,

Tese all'arco la corda e il trasse a forza.


Se opra nostra la pugna, egli dicea,

Che son dinanzi a me leoni in giostra,


Che son di pugna esperti i cavalieri?
Disse cotesto, e bench fosse

Pien
Volse
Il

rabbia e di sdegno,

di
il

il

viso a fuggir.

Come

figlio dietro

a quelli,

minor

come

il

core

giovinetto

poi giunse

un grido

dragon scoverse,
Rapidamente sguain la spada
Alto lev,

E
Il

il

le redini sciolse e dell'Eterno

santo

nome

pronunci, poi disse:

Via da nostra presenza! E tu pel calle

Non camminar d'indomito leone,


Tu abietta fiera! Che se giunse mai
Fino agli orecchi tuoi l'inclito nome
Di re Fredn, con noi non affannarli
In questa guisa!

Veramente

Che

siam figli
pugna amanti.

di lui

noi tre, di

Da quest'alto calle
adunque ad inaccesso loco;
Se no, col ferro mio ti porr in capo
Dell'indole tua rea serto ben degno.
E Fredn che ascolt, vide e conobbe
Di clava armati.

Vanne

tu

L'indole

ciascun de'

di

rapido spar. Partia,

Fea qual padre

Pompa

tosto

ritorno, in quella sua

prence e

di

Ben degna

figli suoi,

ma

cosa, e

di signor,

qual era

avea timballi intorno,

Elefanti furenti e ardimentosi,

quella clava alto ferrata in pugno,

Dal capo

di

giovenca. Erangli dietro


grandi

Fu

224

suo poter, pi bella

suoi, che, in

sede dell'uom. Videro

la

prenci

regal volto, e gi balzar di sella

II

Rapidamente

e corsero al cospetto
Del genitor. Baciarono la terra

A' piedi suoi, l s'arrestar timballi,

Ed

con

elefanti s'arrestar

essi.

quel padre prendea tutti per


figli suoi, fea lor carezze, onori

mano

gradi confera con giusta norma,

Secondo

merto.

il

allor ch'ei ritornossi

Al palagio regal, venne in secreto


Dinanzi a Dio; molte f' preci, e grazie
Resegli ancorach il bene e il mal scorgea
Dalla sua

mano

Seggio di gran valor

Quindi

lui.

suoi

nel suo cospetto, e sovra

Chiam

li

un

figli

alto

volle assisi,

incominci: L'orribile dragone


l'alito suo tutta la terra

Che con

Incenerir parea, fu

Che bram

il

padre vostro

investigar de'

figli

suoi

che tornossi a dietro


I sensi e
Lieto e giocondo, poi che il tutto seppe.
Or io nome giocondo a ognun trovai,
Qual si convien da chi prudenza in petto
core,

il

Alberga e nutre... Tu de' tuoi fratelli


Primo se' per l'et; Salin il tuo nome
Sia d'ora in poi (nel

mondo

ogni tua

brama

Compiuta sia!), che tu salvezza, o figlio.


Del rio dragon cercasti dalla strozza,

N indugio hai posto nel fuggir. Chi spregia


Con elefanti furiosi in guerra,
Con

leoni

l'assalto,

forsennato,

Non uom

di

Viene

fratelli suoi,

a'

fermo cor.

Ardor mostr,

si

Ma quel che in mezzo


che da principio

che crescea l'audacia

225

Dentro al suo cor pel subitano sdegno,


Tur da noi ditto sia, leon selvaggio
Cui non atterra un elefante ardito.

Un

forte la Virt seduta in trono,

Ma

di seggio regal quei

Che
Che

pusillo

si

non degno
mio
minor, prudenza accoglie

fece...

fra gli altri

Il

figlio

Nell'alma e di guerrier fermezza ardita;


Foga egli ha generosa e un savio indugio

Adoprar sa, come colui che sceglie


Fra terra e fuoco una ben giusta via
Con molto senno. Giovinetto ancora
Egli

ma

saggio, ardimentoso e forte,

qui lui solo ricolmar

Di molta lode.

Erg' di

Meta

gli

si

debbe

Nome adunque

sia

ben degno, e gloriosa


pongo, dominar le genti,

lui

Ch'ei da principio fu leon gagliardo

ardir mostr con fermo cor nell'ora


Del suo periglio. Fu prudente e saggio

prode e franco, ne dal loco suo


Ma, intanto, il labbro
mosse o indietreggi
Ch'io disciolga a nomar con molta gioia
Queste d'Arabia giovinette adorne!
Si

Arzy

. .

fu detta allor la bella sposa

Di Salm da

lui,

Tur

quella di

l'adorna

Azadeh-khy chiamossi, e del gentile


Erg' diletto fu Seh la pura
Donna chiamata, lei che di bellezza
Del Canopo vincea gli astri nel cielo.
Quindi, con pronta cura, ei fece in pria

Recarsi innanzi

le

vetuste carte

Ove descritti del rotante cielo


Eran gli astri sereni, e di cui
Mostravano

gli aspetti e

tutti

vari moti

Gli astronomi sagaci, e de' suoi incliti


FlRDUSI,

I.

15

226

L'astro e la sorte a investigar si diede.


Indizio ebbe di Salm da l'ardue stelle,
1

vide che da Giove, allor splendente


Nel Sagittario, era quel segno. L'astro

Tur
Che il

mostrossi nel

Di

Ma

Leon

felice

Sol reggea, felicit sovrana;

quand'ei ricerc

di

quel bennato

Erg' l'astro nel ciel, vide

le forci del

Che sue

Cancro era

cbe dentro
Luna,

la

sorti reggea. Cos dagli astri

Segno veniva a lui dei figli suoi,


Segno venia cbe guerra e turbamento
Esser ilovean. Come ci vide, un alto
N'ebbe dolor l'antico prence e trasse
Dal profondo del cor grave un sospiro,
Cb'ei scorgea che nemica era la sorte
Ad Erg' suo, che senz'amor per lui
Ell'adoprava. Ripensando al suo
Figlio d'alma serena, ora soltanto

tristo e desolalo

il

Re Fredn, come

suo pensiero.
vide esser cotesta

L'opra del cielo onde nessuna parto


Di

lieta

fuor

Erg' tocc,

sorte a

ratta

Dal suo secreto ogni nascosta cosa,

L'ampio suo regno in tre parti diviso.


Di Grecia i regni e tutto l'occidente
Com proni loa l'ima; la Turania e l'ampia
campi
Cina remota, la seconda, e
Degl'Irani guerrieri incliti in armi
i

Avea

la terza.

E primo

Salm

rivolse

L'antico re lo sguardo penetrante.

gli

die

l'occidente e Grecia ancora

dominar. Con ampio stuol


Di partir gli f' cenno, onde
Occidental

ei si

giovinetto re

recasse; e
sali

di

genti

al

suo regno

il

sul trono

prode

della terra

tramonto volta,
i
campi
padre allor, prence lo disse

che

al

Signor fu detto. Di Turania

A Tur

die

il

immenso
Tur quella schiera

Di Turania e di Gina, e stuolo

Di prodi

gli

assegn.

Trasse nel lungo suo viaggio, e venne


E si sedette su quel trono eccelso
Di regnante e signor. Cinse regale
Cintura ai fianchi, e dispens favori

Con mano
Ampio gli

liberal; di

fer tributo

gemme
i

Eroi di quella terra, e

fulgide

bellicosi
il

popol tutto

Turania l'acclam signore.


D'Erg' venne l'istante, e a lui d'Irania
Le munite citt quell'amoroso
Padre affid, l'irania terra e i campi
di

D'astati eroi loco temuto;

Regale e
Il

serto a

il

trono

lui,

con

gli

la

d'avorio,

sol,

il

seggio

assegn.

un lucente

perch degno

di tanto grado.

Che avean senno

Donava

fulminea spada

suggello regal, con

Trono
Lui

il

il

vide,

prenci

tutti

e valor, con liete voci

Signor d'Irania l'acclamar. Con molta


Gioia
I

tre

Sovra

cos,
figli
i

con molta pace in core,


sedean del vecchio prence

lor troni, quai custodi eletti

Di regal sangue a le frontiere estreme.

E da

Ma

quel d lunga stagion

si

volse,

dentro al cor tenea nascosto

il

fato

un secreto. Quel signor possente,


Fredn saggio e gagliardo, era gi grave
Per molta et, che dentro a un bel giardino
Di primavera entra pur anco il nembo
Devastator. Cos si volge e muta

Alto

Ogni cosa quaggi, vigor s'allenta

228

Gol passar dell'et.

Ma

grave in core

Sorse tumulto

di contrarie voglie

che

oscurava
mi volgo
Di Salm a raccontar l'opra crudele
Quand'ei sparse d'Erg' il caldo sangue.
que' tre

allor

figli

In ciel la sorte

si

ond* ch'io gi

V. Invidia di

Salm

e di Tur.

(Ed. Cale. p. 59-63).

E a Salm turbossi il cor. Nuovo consiglio,


Nuovo costume il suo, che un implacato
Deso l'alma
S

gli

vinse e

che pensoso, con un

il

tristo core,

fido a lato

Consigliero, ei sed. Gi non gli piacque

Del padre suo partizion del regno,


Glie de' figli al minor l'aurea corona

Destinava egli
Di

vendetta

sol.

gli

Cosi nel core

slava un rio pensiero,

corrucciato era quel volto.

Invi poi di Cina al re,

Un

nunzio

mandando

Colai messaggio al fratel suo lontano:


Vivi lieto e

beato in sempiterno!

Dissegii allora quel

che dentro

Alto pensiero egli nudra.


Il

messaggier, veloce

Verso
Di

le

Tur

il

Mandava

sospingea

case del fratel lontane,

gagliardo, a cui nessun pensiero,

Nessuno affanno conturbava

E
E

in core

il

core;

suo dir: Signor di Cina


di Turania. nel tuo cor sereno

questo era

il

Trafitto gi da chi fu a te prescelto,

Sappi che per la terra alta un'offesa


Di noi si piacque e umili la nostra
Anima grande e la statura ancora

229

Qual d'un alto cipresso. Oh! la dolente


pensa tu vigile e accorto,
Qual non udisti di trascorsi tempi
Narrar giammai!... Di regal seggio degni
Eravam tre fratelli, e usc maggiore

Istoria

Di tutti noi, per giuoco di fortuna,


Il

fratello minor.

Che

se di tutti

Son io per anni e per saggezza il primo,


Al mio suggello imperiai la terra

Ma

Soggetta esser dovea.

Benda

il

Esser dovean da

nessun

se la regia

trono regal con la celata

me sempre

altro, fuor

che a

lontani,
te,

signore,

Dovean donarsi le regali insegne.


Ed or, ben si convien che grave doglia
Il cor ne punga; violenza e danno
Il genitor ne f', quando la terra
D'Irania e

il

D'astati eroi

Yemen

Erg' suo confid; lasci

deserti campi,

temuto albergo, a questo


la

Grecia

l'occidente a me, Cina e Turania

Ti abbandonando. Cos fu che Irania

minor pingue retaggio.


al mio cor questa del padre
Partizion non torna! Il padre tuo
Dentro al cerbro non ha fior di senno.
Cos '1 messo invi, cos veloce
Quei si parta, fin che al turanio sire
Si appresent. Con molto ardor, con molta

Venne

Oh

al figlio

davver, che

Di parole facondia ei

Cose

Mente priva
Vani e

Che
Il

di

gi udite

Tur empi

stolti pensieri.

svelato gli

Furor

le.

espose, e quella d'ogni senno

gli

si

fu,

di mille

quel secreto

d'un improvviso

accese qual leon rissoso

fiero prence,

onde

f' tal

risposta:

230

Al tuo signor dirai

(le

mie parole

scolpisci nel fedel pensiero)

Ben
Che veramente
Ch'ravam noi

nel pi bel fior degli anni,

Tristo inganno

ci f',

ti

Che

il

padre nostro, allora


dolce fratello

la giustizia onori. Ei

si

piantava

arbore cos di propria mano,


Che frutti avr sanguigni e amare foglie
Sui rami tristi. Or per vieni, e meco
Ti siedi alquanto a meditar su cosa
Cotanto grave. Penetrante sguardo

Un

profondo consiglio oggi

E un messo

ne

d'uopo.

anch'ei spedia. Fra

prenci suoi

Tal che disciolta avea la lingua e pronta,


Al lontano signor con fiera brama
Tur inviava e gli dicea fremendo:
Questo messaggio mio per me tu reca

Al mio

fratello, e gli dirai:

Signore

Di mente accorta, che ogni tuo desio


Vedi compiuto, oh! s davver che lunga

Pazienza portar non debbe un forte,


Non in loco sublime e non in basso!
Nullo indugio in tal cosa; allor che grave

Cura ne impende,

riposarsi inerte

E il mssaggiero
fallace consiglio! .
Tal risposta rec. Svelato allora
Fu de' fratelli l'altissimo arcano
Che lor covava in cor, s che di Cina

Un venne e l'altro
E veleno con miei

si

affrett di Grecia,

furon commisti

In orribile guisa. Essi, raccolti,


dell'altro, ogni secreta

L'uno accanto

Cosa, ogni aperta, ricercando stettero.

scegliean tosto

un sacerdote,

assai

Di mente accorta e di nobil favella,


Di cor veggente e memore ed illusile


Libero

il

231

loco da ogni estrano, astuto

Consiglio meditar con

mente

fosca;

primo, che bandito avea


Dal tristo volto ogni rispetto inverso
L'antico genitor. Cos ei parlava

E Salm

fu

il

Al nunzio suo fedel: Parti, divora


La lunga via, non ti raggiunga mai

La tempesta e

Ma

furor de' venti in giostra,

il

conduci a re Fredn; tu eguaglia


La prestezza del vento, e fa cbe un solo
Pensier t'animi il cor, la lunga via
Divorar prestamente. E allor che sceso
Al regio ostello tu sarai, da parte
ti

D'entrambi

Tu

il

In

per prima cosa,

uman

rammenta

dell'Eterno esser pur debbe

Che timor

suoi,

figli

saluta cortese, e gli

cor per questa vita e quella

Di l da morte.

Il

giovinetto

ha speme

Di vecchiezza toccar, ma crin canni


Negro non torna mai. Che se t'indugi
In nostra vita eh' s angusta e breve,

Forse angusta e crucciosa fa l'eterna


Vita un giorno per te... Ma tu, signore,
Al quale Iddio questo universo intero
Don, dal

sol

che vivo

in alto splende,

Alla terra profonda e tenebrosa,

Assecondando

le

tue stolte

brame

Norma e consiglio all'oprar tuo cercasti,


N al comando del ciel volgesti il core
Irriverente. Fu ingiustizia e frode
La meta a
Regno non

cui mirasti, e dell'avito

giusta division la tua

Fu veramente. Eravam noi tre figli,


Saggi e possenti, e scernere il maggiore
Era pur d'uopo dal minor. N pregio
Maggior vedesti in un, perch quest'altro

232

Umile andasse e a china

fronte.

Eppure

Un festi a noi terribile e temuto


Come alito di drago e ne levasti
L'altero capo a rasentar le nubi;

E quei si asside con corona in fronte


Accanto al tuo guancial; luce da lui
Si prendon gli occhi tuoi Ma non di madre
Da meno gli siam noi, se retto pensi,
Non gli siamo di padre, onde tu indegni
Del regal seggio ne stimassi. Oh! mai
Benedizion non sia su tua giustizia,
!

giustissimo re!

La

Che

se fa tolta

regal benda a quella fronte abietta

libero sar di sua presenza

Il

loco suo, se gli darai nell'ampia

Terra alcun loco ad aiutar. Ve ascoso


Ei sia al tuo sguardo corno noi, pensiero
Sar questo miglior. Se no, di Cina
E di Turania leveremo in armi
1

cavalieri,

Anche

belligeri eroi

di Grecia, esercito gagliardo

Di clave armato, e farem tristo scempio

D'Erg' e

il

Baci

il

suol devasterem d'Irania.

sacerdote a quel duro messaggio


la

terra e

Su l'ardua

si

part. Sala

sella rapido qual

vampa

Spinta dal vento. A quella reggia

ei

venne

Di re Fredim, l 've una casa eccelsa


Vide, che in seno a le vaganti nubi
N.i^condea gli ardui tetti e da montagna

montagna giugnea nella sua ampiezza.


Sedean sul regio limitar guerrieri

prenci, e dentro a le riposte stanze

Era

il

loco de' grandi. Ivi leoni

pardi

si

vedean, da questa banda,

Al guinzaglio legali, e da quest'altra

233

Elefanti guerrieri e furiosi

tal

da tanti eroi valenti in armi

Tumulto

facea di varie voci

si

Qual ruggir

di leoni.

Questo un

cielo!,

Il

messaggiero,

pens; mille son quivi

Eroi gagliardi, al dilettoso loco


In bell'ordin disposti intorno intorno.
Levarsi allora i guardiani accorti

all'antico signor dell'ampia terra

Annunziar che un messaggier venia,


Un uom preclaro e di gran senno. E

Le

cortine levar

f'

tosto

dall'entrata,

F' discender quel prence e nell'eccelsa


il messo introdur. Ma il nunzio, allora

Aula

Che giunsero a Fredn


Sent che

core e

il

quegli occhi suoi,

occhi suoi pur anco

gli

Eran pieni del re. Quale un cipresso


Era quel sire nella sua statura,
Bello nel viso come sol, le gote
Qual fresca rosa e candidi

Come

sue labbra

canfora intatta, e

Eran dischiuse ad un

E verecondia
Era

la

le

lieve sorriso,

era in quel volto, e piena

lingua d'un parlar gentile.

Ci vide

nunzio e

il

si

prostr, di baci

Dinanzi al vecchio re copr

Ma Fredn
figli

in

la terra.

fece assiderlo ed eletto

E degno un
De'

capelli

loco gii assegn. Gbiedea

prima

diletti

lui,

Se lieti erano ancor, se forti e sani.


Dimmi, soggiunse, come valicasti
Il deserto e la via lunga ed i monti,
A me venendo, e le solinghe valli?

Magnanimo

signor, rispose

il

messo,

Mai non avvenga che qualcun di noi


Vegga privo di te l'eccelso trono


In che

ti

assidi.

234

Quei che cerchi e chiedi,

come brami, vivi ancor, fiorenti


E forti in nome tuo. Di tal regnante,
Qual tu sei, mi son io non degno schiavo,
Son,

Non

Ma

libero di

me

signore e donno.

mio messaggio, e chi m'invia


Ha gonfio il cor di gran disdegno io niuna
Colpa non ho. Che se men fa comando
Il mio prence e signor, di due garzoni
tristo

il

Stolti e

superbi

quei

f'

gii

cenno

esporr

messaggio.

il

di parlar.

Le udite

Cose allor ripet quel messaggiero,


E re Fredn tendea l'orecchio, e un grave.
All'udir quel messaggio, e un improvviso
gli tumultu dentro nel core
Subitamente. Ond'ei si volse al messo,
E, Per questo tuo annunzio alcuna scusa

Sdegno

Da

te, disse,

non chieggo,

e non m' d'uopo.

Questi occhi miei gi di veder cotanto


Si attendean, questo cor gi si

Di udir tai cose.

Ma

que' due stolti e

tu

vili,

pensava

va! dirai

ambo Ahrimni.

mente, in questa guisa:


Beati voi! che vostra indole vera
Mi disvelaste alfin! Certo dovea

Offesi nella

Venirne a me da voi questo saluto,


Di voi ben degno! Ma se via dal core
E dalla mente ogni consiglio ^mio
Per voi si cancell, qua! prova o quale
Indizio rest mai di vostro senno
di vostra

Non

virt? Di Dio timore

conoscete, non vergogna, e nulla.

Nulla saggezza in voi. Quali or voi siete,


Fui pure un giorno anch'io, quand'era bruno
Qual pece il crin, qual d'agile cipresso

La mia

statura, e bello era

il

mio volto


Qual luna

Che
Giri,

2;:i5

in ciel seren.

al suol la fronte

mai non

si

Ma

questo cielo

mi curv, per quanto

posa e

suo

al loco

Resta securo. Ond' che il lungo tempo


Al suol vi umilier l'ardita fronte,

E su voi
Nome di

Pel sol che in

per l'eccelso

ciel risplende, e

Terra che ne

Che

Ma

passer.

Dio santissimo e verace,

per l'oscura

sostien, pel fulgid'astro

brilla a sera, e

per l'errante luna,

Pel trono in che m'assido, e la regale


Benda che il capo mi ricinge, io giuro,

Giuro che male alcun farvi non volli,


volli n potei. Di sacerdoti,
D'indovini e di tai ch'orano illustre

Esempio

Che

il

mia reggia

di virt, nella

un giorno

Accolsi

alto consiglio, e poi

molte cose a noi fu dato

fin di

d, perch giustizia
Guida ne fosse in dispartir quest'ampio
Mio regno, il dritto s osservai che traccia
Non fu nell'oprar mio d'iniquo fatto,
Non al principio, non al fin. Timore

Di vedere in que'

Di Dio

mi stava entro nel

Qui in terra

Fu

reso a

me

onorai,
s

petto.

a voi, miei

figli,

Chiare pupille,

Che

il

va, se

il

regno

volli,

di propizia sorte

trono mio concessi.

se lungi dal ver la

Errando

giusto

il

florido e ridente,

L'ampio popolo mio sperder non

il

che quando

mente vostra

cor dei Devi

Signor vi pervert, pensi di

il

tristo

voi,

Di voi pensi ciascun, se care a Dio

Son l'opre vostre. Ben dirovvi antica


Sentenza, ove l'udir non vi dispiaccia.

Ben

vi dir che, qual si gitta

il

seme,


Tal

si

raccoglie

236

frutto ancora

il

un giorno

Antico saggio mi dicea ch'eterna


Dimora, dopo questa, ogni immortale
Anima attende... Ma del senno in loco
Si

pose ambizi'on. Deh! perch mai


compagno all'alme vostre un Devo?

Si f'

Ond' ch'io temo, s, che non erompa


L'anima vostra, or che d'un tristo serpe
Venuta in potest, dal mortai velo,

Macchiata e impura. A me vicino il tempo


Del mio partir da questa terra; e tempo
Non d'ira per me, non di corruccio.
Ma questo vecchio genitor, che avea

Tre

suoi nobili e forti,

figli

un suo

Detto vi lascia. Allor ch'esce dal core

Ogni turpe deso, pari fra loro

Son

de' regnanti

fulgidi tesori

nudo suol; ma quei, che del fratello


Merca la vita per la terra abietta,

il

Fama

d'impuro nascimento acquista.

Molti vedea simili a voi la sorte

E molti altri vedr, ma co' mortali


Mai non volle acconciarsi. Or, se v* noto

Che
Pu

Iddio nel giorno del giudizio estremo


sollevarvi e perdonar,

si

preghi.

Ci vi sia scorta nel viaggio eterno,


E cerchi ognun di voi che poco duri
Il

faticar per la terrena via! .

Ascolt

il

messo

Compunto baci

il

le

parole sue;

suol, poi la

presenza

Lasci del gran signor, volgendo in altra

Parte

la fronte, e si part.

Che

al

nembo

Er'ei congiunto, avresti detto allora!

237

VI. Consiglio di re
(Ed. Cale.

Partito
Si assise

Frdn con Erag'.


p. 63-66).

messo che da Salm venia,

il
il

re dei regi, ogni pensiero

Per disvelar dall'intimo del core.


chiamar, di gloria
ch'ei prevedea,
dimostr. Que' due miei figli,

Erg' diletto

ei f'

Amante, e l'avvenir
Tutto a

lui

Belligeri e superbi, a noi

si

volsero

Dall'occidente, ei disse. Io ben

Che

tal sorte lor

m'avveggo

fean le stelle in cielo

Perch lieta gioisse e si vantasse


Del male oprar l'anima lor perduta.
Ebber lontane e ben diverse case
Ad abitar, durezza nel costume
Di quella terra...
11

Ma

fratel si dir, fin

fratello tuo

che sul capo

Ti splender regal corona. Muti,

Muti per poco il tuo bel volto, e niuno


Vedrai dintorno a te con pronta cura
Seduto al capezzal. Che se tu porti
Al ferro l'amor tuo, si avr riposo.

Da ogni contesa
Que' due lontani

la

tua mente.

figli

intanto

miei, dall'ultimo

Confine de la terra, ogni' secreto

Mi

disvelar del tempestoso core.

Ma

tu, se all'opra

correr vuoi,

ti

appresta,

Non t'indugiar, dischiudi ogni tesoro,


Le some appronta, e va. Meglio ti fia
Se al primo pasto afferrerai la coppa;
Se no, convito trionfai la sera
Altri far su te. N so che d'uopo


Abbi

d'aita.

238

Son difesa e schermo

cor bennato l'innocenza e

il

dritto.

In volto al genitor lev lo sguardo.


In volto al genitor che ardea d'amore.

Glorioso e possente, e tal risposta

Erg

Deh!

gli f':

tu,

signor, riguarda

Di nostra sorte instabile vicenda!

Volge ratto

s come turbo,
E l'uom che ha fior di

destili,

il

Sul nostro capo.

Gadon le rose
Gi fresche e porporine, e immortai

Perch

S'attrista e

senno,

se ne dorra?

oscura

al trapassar degli

spirto

anni.

nostra vita fulgido tesoro

Al suo principio, e duol senza misura


Al termin suo; dopo il dolor, ne resta
Da questo luogo miserando e breve
Eterna dipartita. E poi che un giorno
Riposo avrem tra fredde zolle e dura
Pietra ne sosterr l'affranto capo,
Oggi, o padre, perch

Seminar che

dovrem

tal

pianta

di sangui- alle radici

Si nutrir, sotto a le tristo foglie

Porter frutto di lunga vendetta,


Per quanto volga il cielo? Alti e possenti

Vide

la terra,

con regal suggello,

Con regal trono, antichi re; molti altri


riti suoi.
Vedranne ancora. Ma, fra
Nessuno avea di tanti incoronati
Di vendetta la legge. Ed io, se aita
Otterr dal mio re, questa mia vita
Non macchier giammai con opre ree,
Che il trono e il serto non vogl'io, non quella
Celata di guerrior. Ma senza scoria
Andr correndo, io sol, fino alle case
De' miei fratelli, e lor dir: Deh! cari
A me come quest'alma e questo corpo,
i

239

Senza ragion deh! non serbate in petto


Tanto rancor verso l'antico sire
Di nostra terra e di vendetta

Pensieri in bando via cacciate.

rei

E quale

Speranza avete voi su questa terra ?


Quanto mal gi rec la sorte avversa
A re Gemshd, pensate voi. De' lunghi
Suoi giorni al fine

si

parta dal

mondo

Quell'antico signor, n qui rimase

L'onor del trono e della sua corona,


L'onor del cinto suo regal. Venuta
L'opera nostra al fin quaggi, fia d'uopo

A me

con voi gustar

Meglio

dunque

fia

morte. Oh! meglio,

la

se contenti e

lieti

L'un dell'altro starem tranquilli al fianco,


Contro ogni assalto immobili e securi
Di malvagio nemico . A miglior fede
Cos da me fia ricondotto il core
Di lor, bramosi di vendetta... E questo
Meglio sar che s'io vendetta prenda.

quegli accenti, giubil l'antico

Signore e

core

il

gli

balz nel petto,

Mentr'ei mirava quel bel

volto.

disse:

saggio figlio mio, contrasti agogna

L'alma de' tuoi fratelli invereconda,


E tu pace desii. Questa parola
Or s m' d'uopo ricordar, che alcuna
Meraviglia non se viene un chiaro
Dalla luna splendor; tale sua legge;
S

Da

che ben
te

si

convien che

mi venga, che

il

tal risposta

tuo cor bennato

Segu l'amor, del sangue alla possente

Voce

La

obbed.

Ma quando

l'alma sua,

vita senza prezzo, espone all'alito

Di pestifero serpe un uom ch' saggio,


Nulla egli trova fuor che rio veleno,


Che

dote

tal

240

avea, nel d che

si

trasse

il

Dal nulla Iddio, l'orrido serpe. Intanto.


Se tua voglia cotal, per la partenza
Ogni cosa tu appresta, e va, ti prendi

Nel tuo viaggio eletto stuol di prodi


Armigeri fedeli. Io su regale
Foglio del mio dolor visihil segno
Dar, scrivendo a que' lontani, e loro
Quel foglio invier. Cos potessi

Qui rivederti salvo e


D'occidente

Un

illeso!

Ha

luce

spirto nel tuo dolce aspetto.

Questo mio

signor, di Cina al prence,

al

foglio scrisse

re dell'ampia terra

il

Per

In questi detti:

consigli e prieghi,

Ecco, vien questo foglio a que' due

Che

alto

Ambo

splendono

in seggio,

ambo

soli

assennati.

guerrieri, di lontane terre

Possenti regnator, che in

mezzo

Qual suggello regal


Smi veramente. E vien da
di

ai

prenci

fulgid'oro
Ini

che moli'

Cose vide nel mondo e della terra


Tutti gli arcani perscrut, che un giorno
E la clava possente e il brando acuto

Gi tratt per sua gloria e f' pi splendi' la


La corona lei re. lui che la notte
Tramuta in chiaro giorno, e oltre la speme
Suoi tesori dischiude. Ogni pi grave
Affanno per

sol

lui

tea

si

leggiero

Sull'ampia

terra, e su la terra tutte

Volgonsi a

lui

De' mortali

le

N da

compunte e riverenti
stirpi.

Io son quel desso,

voi chieggo gi fulgidi serti

Per me, non seggio, non possenti

Non ricolmo

tesor.

Prego che nasca

Amor

nasca tra

ma

schiere,

solo io questo

in voi deso di pace,


voi.

da che qui

in terra


Lunga

fatica

Il fratel

241

sopportammo. Viene

vostro a voi, pel qual corruccio

L'alma vi prese; e ben che alcun lamento


Mosso ei non abbia con alcun per voi,
Per placarvi ei si reca alle lontane
Vostre dimore, e di vedervi ha brama,

E al regno suo ch'egli ricusa, voi,


Voi preferisce, com' pur costume
D'uom liberal. Scese dal trono e in sella
Egli gi per partir; di qui

E dimesso
Accinto e pronto.

egli vien,

si

toglie

come servo

Egli d'anni e

E voi, da che minore


convengono carezze

all'et sua, festosi

molto amore

L'accogliete e con lui sedete a mensa,


E nudrito ch'ei sia, l'alma sua dolce

Nudrite ancor con amorosi

Con parole

detti,

che scorso
rimandate illeso

cortesi; e allor

Sar alcun tempo, il


con quell'onor ch'egli

A me

si

merta.

suggello regal fu allora apposto


Al regal foglio, e il giovinetto prence,
Il

Ancora ancor

sotto al

paterno

tetto,

suo viaggio divisava. A lui


Venner compagni giovani e vegliardi,

Il

Quale costume di chi va lontano,


E scampo non ha in ci. Ma quando ei giunse
Vicino al loco de'
Di lor

fratelli,

tristi consigli

ignaro

e di lor

trame

giovane eroe. Quelli si mossero,


Era
Secondo il rito, ad incontrarlo, e in ordine
Menarono con s di molti armigeri
il

innanzi. Ratto che quel volto


Videro del fratel d'un riso splendere
Tutto d'amor, finser contento ed ilari
Spianar la fronte. Ma que' due cercavano

Le schiere

Firdusi,

I.

16


Contese e

242

e questi era innocente

liti,

d'onesto deso;

ma

quelli intanto,

Con alma avversa, fean dimandi a lui.


Due cor son pieni d'odio, un solo al suo
Loco tranquillo

sta.

Cos ciascuno

De' tre fratelli entr sua tenda, e fuori


L'esercito in Erg' tenne soltanto

Fermi

sguardi, ch'egli sol fra tutti

gli

Di regal seggio e di regal corona


Degno appara. Per l'amor suo gi grande

Palpitava ogni cor; pieno ogni core


Dell'amor suo, di suo giocondo aspetto

Pieno ogni sguardo inebbriato. Allora


Gli eroi sbandati si adunar; fr molti
Drappelli insiem, l 've sommesso il
si pronunciava. Ecco, dicea

nome

D'Erg'

Questi al vicino suo, degno

La regia

Di regnante a

Ma

di

tutta

potest questo garzone.


serto!

lui sol l'inclito

dall'un canto ad osservar si stava

Salm

le sm- genti. Si turb a tal vista


tempestoso cor, si ch'ei tornava
Alla sua tenda con un fiero in petto
Deso di sangue, con la morte in seno,
Con fronte corrugata. E in pria la tenda
Il

Liber da

folla,

la

Con Tur e un

ed egli solo

fido consiglier sedette

ragionar. D'ogni soggetto quivi

Sermon

tenne, delle

si

Regioni e

di

due vicine

quello di regnante

Fulgido serto e del poter sovrano.


Nel mezzo allora sollev sua voce

Salm sovra

gli altri,

E perch adunque,
Tutto

si

aduna

a Tur
il

si

volse e disse:

dite voi, l'esercito

in su la via? Nel

Del ritornar, che non volgeste

il

tempo
guardo

243

Al popolo raccolto?... Ecco! per quanto


Fu percorso di via, niuno gli sguardi

Mai da Brg'

sollev.

Per

sottil'arte

Tale astuzia adopr, perch a lui solo


Ognun guardasse, perch ognun, veggendo

vago portamento e

Il

il

grave incesso,

Patto e alleanza con lui sol bramasse.


Deh! che la gente di due re diversa

Incontro

gli

movea, diversa poi

Ne ritornava a dietro! Ond' che tristo


per Erg' questo mio core, e dentro
accumula incessante
ben vidi, ei solo
Dai prodi armati delle due vicine

Sovra un pensier

si

Altro pensier, che,

s'io

Terre e prence e signor sar gridato.


Se tu non schianti le radici sue,
Cadrai dal seggio tuo nell'atra polve,
Levarsi
D'Erg' prostrato sotto ai pie.

In tai detti cos. Tutta la notte

Fu

vegliata da lor nella lor trama.

VII.

Uccisione di Erag'.
(Ed. Cale. p. 66-70).

Ma gi il velo dell'ombre il sol disperde.


Gi risplende l'aurora e si dilegua
Il sonno grave, allor che a una sol meta
Drizzano il core i due perversi, tutta
Per discacciar lungi da s vergogna
Dell'opre lor. Si mossero oltraggiosi

E
I

al padiglion d'Erg' volser

presti passi. Erg',

correndo

che riguardava

Nella via, corse a lor con l'alma e il core


Pieni d'amore, e quelli entrar con lui

244

Nella sua tenda, e corsero parole


Del come e del perch fra loro assai.
Ma Tur gridava: Se il minor tu sei
De' tuoi fratelli, perch avesti

un

serto

Di prence e di signor? L'irania terra

Toccar dovevi

tu,

con regal seggio,

10 sui confini del turanio suolo

Starmi dovea, cinte


Di abietto schiavo?

le reni in guisa

il

frate] tuo

maggiore

In occidente rester con tanta

Sua pena, e tu sul capo un serto avrai,


un tesor?... Cotal fea dell'antico
Regno partizion Tuoni riottoso,
Al figlio suo minor troppo cedendo
Con l'ingiusto amor suo!
Quelle parole
Erg' ben ascolt, ma con pi saggia
Sotto

Risposta ribatt. Prence, gli disse,

Che ami

la gloria,

ove del core amante

Ogni deso brami veder compiuto.

Cerca

la pace.

Non corona

Di regnante, non trono o

io voglio

grandezza
famoso in terra, e non le molte
Schiere d'Irania. D'occidente lascio
11 regno e Gina e la regal possanza
di

Nome

della terra l'ampia superficie.

Grandezza umana a cui segue l'obblo.


Degna di pianto; e se pur l'alto cielo,
Qual nobile destrier, ti sorreggesse
Alto in arcioni, pensa tu che dura
Pietra un d fia sostegno entro la tomba
Al capo stanco. Che se a me fu dato
D'Irania

di

il

trono, di quel trono ornai

quel serto saziet mi tocca.

Ond' ch'io lascio a voi serto e suggello


Imperiai, pur che da voi non serbisi

Odio in cor contro a me. Ch'io non

la

guerra

245

Deso con voi, non pugne e assalti, e duolo


Non vo' ch'abbia per me nato mortale
In terra mai. Se ci vi affligge, io questa
Gloria di prence, anche se andar mi tocca
Lungi da voi, con quanta forza in questa

Anima

mia, rifiuto.

Vivere

in umilt;

mia

legge mia
f soltanto

Umani sensi dentro al cor m'inspira.


E Tur L'ud, ma le parole umili
Non degn d'ascoltar, che del fratello
Tutte gli spiacquer le proposte, e pace
Dinanzi a lui pregio non ebbe. Il seggio
Lasci con ira, e con rotte parole
Qua e l balz, fin che d'un tratto l'aureo
Seggio afferr con la robusta mano,

L'aureo seggio pesante, e un

fatai colpo

Alla testa vibr del giovin sire,

Scagliando con vigor. Ghiedea la vita


Erg' pietosamente in dono allora,
E piangendo dicea: Dunque di Dio
Non hai timor, fratel? dunque non hai
Rispetto al padre tuo? dunque sol questa
volont?... Questa mia vita
Deh! mi risparmia, che alla fin de' giorni
Te pure incoglier vendicatrice
Ora del sangue mio. Deh! ti risparmia
Degli omicidi il tristo nome, e pensa
Che d'oggi in poi di me nessun vestigio

Tua cruda

Nel mondo troverai. Che se

t'

caro

piace e togliermi e lasciarmi


E se
La dolce vita mia, sol di quest'ampia
ti

me

basta un picciol loco, e quivi


mia tanto far che mai
Scarso cibo non manchi. Oh! la formica,

Terra a

Con

l'opra

Raccoglitrice di granelli sparsi,

Non

offender tu mai!

Ha

vita, e

caro

il

246

viver dolce al cor

di laboriosa

Formica; pensa tu quanto crudele,


Quanto fosca quell'alma, onde alcun danno
Incoglie alla formica industriosa!

E
E

tu d'un tuo fratel spargere


tenti, e

il

sangue

vuoi del padre tuo gi vecchio

Ardere il cor con tal vampa di duolo?


Regio poter tu disiavi, e regio
Ottenesti poter; ma il sangue mio,
No, no, fratello, non versar. Contesa
Appo Iddio non tentar ch' re del mondo.
Ud, ma non rispose il forsennato,
Che gran disdegno era in quel core, e truci
Pensieri turbinavano sconvolti
In quella mente. Ei si cav un pugnale
Via dal calzar rapidamente, e il sangue
Scorse d'Erg' per le candide membra,

Qual se
Vi

si

Con

di

sopra un porporino velo

stendesse,

che

il

Gli squarci reiterando

crudel fratello

l'acuto pugnai tutto

quegli cadde gi,

come

bel seno

il

fieri

colpi,

cipresso

Alto, reciso dalla scure, in terra


le viscere sparte. Ahim! scorrea
Sul volto, come rosa porporina,
Del giovinetto re gi gi dal capo
Il caldo sangue, ed ei spir. Quel capo

Con

Incoronato, allor, da quelle


Forti e leggiadre via spicc

Gol ferro, e

il

fin

membra
il

malvagio

tocc l'opra nefanda.

E tu in grembo il nutristi, avara sorte,


Tu l'allevasti, e poi della sua vita
Non avesti piet. Va! ch'io non trovo
Chi, nel consiglio tuo secreto,

Veramente

ti

sia!

amico

L'opere tue

Palesi e aperte degne son di pianto.


Ma

tu, se

247

uccider vuoi principi in terra

Per tua vendetta stoltamente, piglia,


Piglia misura da que' due malvagi!
Quel cranio allor d'agalloco e di muschio
Empiea Tur e al signor che l'ampio regno
dicendo:

Avea

diviso, lo speda,

Ecco

la testa del tuo caro!

Venne a

il

lui

Un

giorno

de'nostr'avi la corona

regal seggio. Or dagli

tu,

se

il

vuoi,

Cadde

Quella corona e dagli il


L'arbor maligno d'un ingiusto amore,
Cos dicendo,
Con le sue rame, al suol.
trono!...

Partan di l con passi concitati

due perversi, e l'uno in Gina, e


Nel regno occidental si ricovrava.

l'altro

Fredn intanto alla lontana via


Tenea volti gli sguardi. Il giovin sire
Disiavan le genti e

Ma quando tempo

corona.

la

del tornar propizio

Venne, a quel padre chi ne die novella,


Chi la rec?... Gi in pria quel re possente
Apprest un seggio in bei turchesi e pose
Molte gemme lucenti e preziose
Nel regal serto. Indi moveano i grandi
Ad incontrar colui che ritornava,

vin giocondo e musici e cantori

Ghiedean per quella

E un

via, timballi

elefante per lui

sol.

Furon segni dovunque,


In ogni

villa,

ancora

Di festa

in ogni terra,

ed attendean costanti

ci le genti e

il

re,

quando

fu vista

All'estremo confln di quella via


Polve levarsi negra e turbinante

Per

l'alto ciel.

Cammei

Tosto ne usca veloce


cammei sedea

correndo, e sul

Con sembiante

di

duolo un cavaliero,

248

Alto gemente, con trafitto

D'un acerbo

Un
Un

il

core

con stretto

dolor,

al

seno

cofano dorato. Era in quel cofano


vel di seta, e dentro al vel la testa

D'Erg' recisa. Con lamenti e gemiti,


Con sospiri ei venia, con smorte guancie,

Di Fredn nel cospetto. E allor fu tolto


Dal cofano il coperchio (elli credeano

Che

vane

fosser

parole e false

le

Del cavaliero), e il vel fu tolto e sotto


A quel morbido vel d'Erg' la testa
Recisa apparve. Gi cadea di sella
Sul nudo suol l'antico prence, e tutto
L'esercito fedel le vesti a brani
F' cadrsi all'intorno. Eran le gote
Livide e gli occhi pel dolor gi spenti.

Che ben

diverso rivederlo assai

Tutti credean, quel giovinetto eroe.


Ma quei cos, dal primo suo viaggio,
Si ritornava, e si

rendea piangendo

Da

quell'incontro

Schiera de'

funesto l'ampia

col vessillo in

forti,

due

Parti di\ iso e volti lor timballi

Al negro

Con

gli

suol,

con

elefanti e

lividi
i

sembianti,

timpani coperti

Di drappi negri, ed azzurrini veli,


Segno di duol, degli arabi cavalli
Gittati alla cervice.

pie quel prence,

pi lo stuol de' suoi guerrieri,

Sparso

Da

di polve,

quella

via,

il

crine

ritornaron tutti

con alte fino

al cielo

Con

duol dal petto de' gagliardi,


percosse ne' fianchi e ne le braccia

Per

il

Che

al favor della sorte affidi alcuno

Grida

di

nobile estinto.

Ecco! non giova

L'alma inesperta. Ad un grand'arco incurvo

dritto mostrarsi; e in questa

non

Bello

Guisa

249

aggira sovra a noi la volta

si

Del cielo e toglie ratto all'altrui vista


La stimi avversa?

L'aspetto che svel.

La chiami amica?
consiglio
Savio
avrai.
non
ne
E favor
questo ch'io dir: Che resti puro

Ed

essa in tuo favor.

Vuoisi

il

cor dall'amor per questa terra.

L'esercito fedel, traftto in core,

Quel re, piangendo e sospirando, i passi


Volser del giovinetto ad un giardino

Che

l sorgea, nel d

che

monarchi

di

Esser dovean col feste gioconde,


Onde pi gaio esser dovea quel loco

Per

capo

l'antico signor. Gol dolce

Del giovinetto re stretto al suo seno,


Venne piangendo il vecchio sire, e volse
Al trono imperiai mesto uno sguardo,
E vuoto e tristo e senza re quel trono
Imperiai l si vedea. La negra
Polve allora ei gitt sovra quel seggio,
E salirono al ciel le meste voci
De' circostanti. Gitt ratto

Fredn entro

il

Su

crine

si

la casa, e

il

fuoco

lagrima va

svellea, battea le

Anco

la pallida fronte.

si

palme

strinse

Di sanguigno color dintorno ai fianchi


Una cintura e gitt il fuoco in quella

Dimora
Arse

La
In

sua, divelse
cipressi, e in

bei roseti,

un

istante solo

gioia sua tutta distrusse. Intanto

grembo

La bionda

ei si

testa,

tenea d'Erg' tradito


e il capo al ciel levando

Cos dicea con interrotte voci:

Retto Giudicator, vedi tu questo

Innocente

trafitto!

il

capo suo,

250

Reciso di pugnai, nel mio cospetto,

Mentre il bel corpo ne sbranar le fiere


D'una gente lontana. Or tu, Signore,
Ardi in tal guisa il cor dei due malvagi,
Che altro non veggan mai fuor che nell'ombre
Di morte i giorni lor! Di tal ferita
Deh! ne affliggi tu il cor, che anche le belve

Ne

sentano piet! Chieggo, o Signore,

che tanta

G-iudice del ciel,

Aver

Di Erg' da la semenza

vendicarlo accinto; e

Elli

io

possa

dal Fato sicurt, che alfine

un grande io vegga
come un giorno

troncar dell'innocente

Ei cos dei due

il

capo,

capo tronchi.
Allor, poich veduto avr cotesto,
Ben sar che si giaccia entro la tomba.
Laggi sotterra, la persona mia!
tristi

il

Cos, finch crescean l'erbe vivaci


Nel grembo suo, piangea miseramente.

Eragli

il

duro suol duro giaciglio

E guanciale una zolla, e suoi begli occhi.


S lieti un giorno, si oscular. Ma intanto
i

Chiuse

ei

tenea

le

porte di sua reggia,

la lingua sciogliendo,

Oim. dicea,

Giovinetto guerrier, bello e gagliardo,

Niun

de' regnanti

S trista qualo a

Tocc dal
Ti recise

si
te,

mora

di

morte

principe illustre.

rio destini La bionda


Ahrimn per violenza

Oltraggiosa, e

testa

tuo corpo entro a le fauci

il

De' leoni trov la sepoltura.


Sospiri e

lai

si

udian dovunque, e lagrime

Fean velo agli ocelli. Ma le belve ancora


Su per li campi non avean riposo,

Non sonni avean;


Ville abitate,

si

di qua, di l,

per tante

adunar dovunque

251

Uomini e donne ed ebber lagrimose


Ciglia in que' giorni e pien d'affanno

quanta

il

core

morte,

Sedendo
Grave e profondo. Aveano azzurre e brune
in tanto duol,

la

Vesti all'intorno, e stavansi col duolo

Di

gran

re.

Quanti passar dolenti


elli stimavano

Giorni in tal guisa! Morte

Quella vita

E altri
Fermo al

grama

e sconsolata.

giorni passar.

Ma

il

re tenea

loco lo sguardo ove le belle

Spose d'Erg' erano accolte. L'ampio


Gineceo visit partitamente

Fredm

allora e a tutte le leggiadre

Spose innanzi pass. Vide un'ancella


Di vago aspetto, e n'era inclito

nome

Mah-aferd. Molto l'am vivendo


L'estinto Erg', e per voler del Fato

Avea grave per


Il

Un

lui la giovinetta

Oh

sen materno.

ch'ella celava

s!

pargoletto, ella, Per nel volto,

il suo cinto, e n'era lieto il sire


Dell'ampia terra e gi speranza in core
Accoglieva per lei, gi s'annunziava

Sotto

Di vendicar del
L'acerbo

fato.

suo tradito

figlio

Ma

del parto allora

una candida figlia


La speme
Ch'era vicina a lieto fin, ben lungi
Ne andava allor per quell'antico prence;

Che tempo

giunse,

Mah-aferd

gli

Ma
La

partor.

con amor, con molto studio e cura,


La gente

fanciullina egli allev.

Intenta la nudr, s ch'ella crebbe


Di giorno in giorno. All'avo suo l'acerbo

Dolor costei leniva, a lui che sempre


Ricordava il suo figlio. E veramente
Quella fanciulla di fiorite guancie,


Da capo a

bella.

suoi perfetti

Venne

d,

Quando
quando

stagion per

Del fulgor de

E bruno

era l'imago

pie, d'Erg'

Gioconda e
I

252

era

da che splendea

lei,

suo crin qual negra pece,

Eletto sposo destinolle

Avo amoroso

nel volto

le Pleiadi
il

il

poi raggiunse
di sposo

il

suo

pr' Peshng.

Cos fu data la fanciulla, e

Trascorse da quel

Era

d.

lui

tempo

Del fratel suo

Peshng, traea d'illustre


Stirpe i natali e prence era del sangue
Di Gemshd regnator, degno d'un trono,
figlio

D'un regal serto e

Vili.

di

poter sovrano.

Nascita di Mincihr.
(Ed. Cale. p. 71-72).

Vedi or qual cosa di stupor ben degna.


Poich non lunga si compiea stagione,
Rec del ciel la vlta azzurra. Un tenero
Pargoletto nascea da quella adorna

ricca di virt, di regal serto

Degno e

di trono.

Gom'ei nacque appena

Dall'amorosa madre sua, la gente


Al vecchio sire a presentarlo corse,

chi

'1

T'allieta,

recava fea

Questo Erg' tuo!

A un
Che

detti: In core

tai

almo signor;

ti

volgi e

mira

L'antico re dischiuse

pann

sorriso le labbra, e ben

redivivo fosse quel

per lunga

Stagion compiante Erg', si ch'egli tolse


grembo giubilando e grazie

L'infante in

Rese all'Eterno e
Fosser veggenti

f' tal

gli

prego

Oh ancora
!

occhi miei, e questo

253

Fanciullo rimirar mi concedesse


N qui si tacque, e
In volto Iddio!

il

lungo

diuturno suo pregar di grazia


Degno lo rese innanzi a Dio, che agli occhi

La dolce vista ridongli. E


Che tutte a riveder giunse
Prence

le

allora
l'antico

cose e chiara fu sua vista,

Corse con altro viso avidamente


A riguardar sclamando: Oh! questo giorno

Fausto si dica a noi! Cos si schianti


Di chi n' avverso il truculento core!
Un vin razzente e preziose tazze
Recava, e Minochr nome imponea
All'infante, dicendo: Ecco, di pura
Madre e d'illustre genitor, giocondo
Frutto un ramo port, qual

di fiorente

E s
Arbore eletto.
Che aura indiscreta non l'offese, e quella
Che in grembo lo reggea, nobil nutrice,
Mai non lasciava ch'ei toccasse il nudo
Suolo col pie, ma puro muschio ovunque
Era sparso sul suol. La regia ombrella,
'1

nutr con cura,

D'un drappo adorno e prezioso, il capo


difendea, n danno alcun le stelle
Recarongli in que' d, fin che trascorse
G-li

Novero d'anni breve;

e quello intanto

Nobil signor tutte le belle cose

Che convengono a

re,

con studio e amore


che renduta

All'infante apprendea, da

Dal

ciel gli fu la vista e

il

senno antico

Ricovrato egli avea, da che la gente


In un solo pensier vivea con lui.

Un

trono allora tutto d'or quell'avo


e una possente

Amoroso dongli
Clava e un serto

regal, di bei turchesi

Tutto splendente. De' tesori suoi


Colmi

gemme

di

254

anco

gli die la

chiave

Con aureo seggio ed una spada e un cinto,


Di broccati dipinti una gran chiostra,

dentro tende coperte

di velli

Di leopardi. Ed erano cavalli

D'arabo sangue tra que' doni, in auree


Redini, e spade con guaina d'oro,

D'indica tempra, e corazze e loriche

Di greca man, che

forti

eran

d'aita

Ai valorosi, archi ricurvi, in Ciaci

Composti un

E ben

treccie d'un legno duro

d,

compatto, e giavellotti ed ampie

Targhe

di Cina.

Cos ricco e

E quel regal tesoro

pieno e con tant'opra

in lunghi l. vide che degno


Minochr L'antico prence
Cui molto amor pel giovinetto in seno
Gi riscaldava il cor, s che la chiave,
Gi voi dicea, con tante cose elette
Al guardian, per Minochr, ne diede.

Raccolto

Era

di

Delle sue schiere

prenci

tutti

allora.

Tutti gli eroi della sua terra, al suo

Cospetto radun. Vennero tutti

Dinanzi a re Fredn con fiera brama


Di vendetta nel core, e l, con liete
Voci sonanti, Minochr signore
Salutarono e re. gemme lucenti
Gli gittaron con plauso. E fu che in quella
Festa novella e in si gran giorno andarono

Fra

lor concordi per la terra intorno

Lupi od agnelli. Era

in

tal

di

boato,

Kren di Kveh, e quel duce d'eserciti


Sheryeh ed Avokn. Ghershaspe, eletta
Spada, guerriero ardimentoso, e

Sam,
Il

di

Nirm

fgliuol, fra tutti

pi gagliardo, e

prode

il
i

prenci

Kobd generoso

255

E Keshvd con un
Ed

casco in fulgid'oro,

altri assai, presidio e nobil

Della lor terra.

Fu

ordinata

cos, del

vanto

che l'ampia schiera

poi

re la fronte

Sovrastava alla turba insiem raccolta.


Ma Salm e Tur de la novella luce

Onde splendea

un

l'iranio serto, a

tratto

Ebbero annunzio. E fu sgomento il core


Dei due malvagi, che scendea lor stella
Rapidamente gi all'occaso. Insieme
Sedettero ambedue, piena la mente
Di contrari pensier, mentre de' tristi
Intenebrava

la vital giornata.

si accordar, che prova


dovea nunzio mandando
A re Fredn con umili parole
E scuse assai, che cotal via soltanto
Restava lor, non altra. E da lor gente
Cercarono ambedue con molta cura
Un uom d'integro cor, di pronta lingua,
E a quell'uom di gran senno e di consiglio

In questo alfine

D'arte far

si

E di molta virt supplici detti


Fecero udir con molto ardor. Vedeano
Dall'alto loco in gi precipitosa

La tremenda
Aprir

le

rovina, onde ben tosto

porte dei tesori tutti

Dell'occidente e

una corona d'oro

Trasser di mezzo a

le

gemme

lucenti

gran prezzo. Intanto


Gli elefanti apprestar; di muschio eletto,

all'altre cose di

D'agalloco, di drappi e di broccati

monete ancor fer sovra i carri


in alto. Con que' doni eletti,
Con gli elefanti, andava si in Irania
di

Cumulo

Da occidente
Inviarono

cos.

Ma, qual ricordo,

prenci un dono ancora

256

quanti nell'ostel del maggior sire

Avean

Fu

soggiorno.

poi che pago

il

core

per que' doni, il messo


Rapido venne, alla partenza accinto.
di cotesti

Messaggio

IX.

di

Salm

e di Tur.

(Ed. Cale. p. 72-78).

Fredm questo messaggio

Allor che per

Yoller fidato a

lui,

nome

Cos del

Re Fredn viva
Maest

gran

di

di

quel possente

fer ricordo: Eterno


in terra! Iddio gli diede

La mente sua

re.

Resti serena, vigorosa e forte

La sua

bella persona, e

il

suo pensiero

del! Messaggio questo


Di due schiavi ch'io reco entro la reggia

Superi

l'alto

Del gran signor, quale costume

il

reco

e rito;

perch que' due malvagi,


che per vergogna innanzi

io qui.

Ingiusti e rei,

Al padre lor

di

lagrime rigonfi

Han gli occhi mesti e son pentiti e grave


Hanno un martir nell'empio cor, la via
Trovino a

te

per presentar lor scuse

hanno
compunti
Degnar d'ascolto. Or che dicean?.. Deh! saggio
Dicean piangendo, chi mal fa, la pena
Umili, che pensier questo pur

Che niuno

Tosto ne

possa

{torta.

detti lor

Nell'angustia sua

Resta quel cor pien di corruccio, e noi


Cos restammo, nobile signore
Di nostra terrai

Ma

cos fu scritto

Dalla sorte per noi; qual fu la sorte,

Tale

il

nostro cammin. che non leoni,

Ben che

possenti,

non

feroci draghi

257

trovano scampo.
e impuro,

Dai lacci del

destili

Un Devo

Devo protervo

Distolto

il

poi,

core inverso a Dio signore

Da timor, da rispetto, ebbe su nostra


Mente arcano poter, s che suo nido
L'alma

ei si f' di

saggi e onesti.

due gi sapienti
si appuntan solo

Ma

In questo re questi occhi nostri intenti

Se mai fia che perdon le nostre colpe


Ottengano da lui. Ben che s grande
Nostro misfatto sia, sapr egli tutto
Attribuirlo a conturbata mente,
n prence nostro. Anco ne fia seconda
Scusa quest'alto

ciel,

che or n'

difesa,

un Devo,

Or

n' periglio. Altra cagion n'

Un

Devo, che di qua di l discorre,

Qual rapido corrier, sempre

Danno accinto

cos.

Saran dal nostro re

Ma

all'altrui

se deposti

tutti

pensieri

Di vendetta e parr dinanzi a lui


La nostra f pura ed intatta, ai nostri

Lontani alberghi Minochr gli piaccia,


Deh! gli piaccia inviar, con ampia schiera

chiediam tal grazia


che quai servi
Starci possiam dinanzi a lui compunti
Eternamente in pie. Tale il deso
Del nostro cor. Concesso anco ne sia
La pianta che crescea per la vendetta,

D'armati, a noi, che

Con umilt

gli

di cuor, s

Di lagrime bagnar. Le amare stille


Del nostro pianto e di nostr'alma il duolo,
Movendo incontro a Minochr, fedeli

Consacrerem.
Giorni

Ma quando

ei toccati

avr,

gli

suoi perfetti

ampi

tesori,

La sua corona renderemgli noi .


Quelle parole meditando in core
FlRDDSI,

I.

17

258

n gi vedea
grave
Cotanto fosse il fin; ma con tesori.
Ma con pompa regal, con elefanti.
Ratto sen venne a le dimore eccelse
Del possente signor. N'ebbe l'annunzio
Re Fredn e f' cenno onde l'antico
messaggier

Il

Quale

il

part,

principio, qual di cosa

Suo trono imperiai

fosse coperto

Di cinesi broccati e la corona


Di prence e di signor data

Sovra quel trono,


In ogni parte,

Come
Spi.
\j&

si

gli

fosse.

turchesi adorno

di

sedea quel

sire,

cipresso a cui sovra dall'alto

nde la luna per la notte, e in fronte


corona egli avea, monili al collo,

orecchini pendenti, In quella guisa


re si convion. Sedoagli al fianco

Che a gran

Minocihr fortunato, e un casco d'oro

Avea

Erano

sul capo.

Avean

prenci

ambo

Schiere disposti ad

in

lati

due

e ricchi

monili e catenelle d'oro,


cinti auri-fulgenti

Aste dorate e

In mirabile guisa, e

Risplendea come
Avvinti

si

vedean

suol dintorno

il

Da questa parte

sol.

leoni e pardi

Alto frementi, e dall'opposto lato


Elefanti animosi, al fiero avvezzi

Giuoco dell'armi. Dal rogai palagio


L'eroe Shapr si mosse ratto e venne,

di

Ma

Salm introdusse
il

messaggier,

il

messaggiero.
la soglia vide

come

Del nobile signor, correndo a piedi


Venne l innanzi; e quando nel cospetto

Di Fredn

si

trov,

quando quel seggio

Scoverse imperiai, quella corona


Alta e sublimi

1
,

>i

chin,

la

testa

259

Umili, tocc l'arido suolo

Con

la

sua fronte. Quel gran

Dell'ampia terra,

gli

Un

il

loco eletto, e

messaggier

Sue lodi intanto. Almo


Ornamento del trono e

signore

gli

fea

signor, gli disse,

del suggello

del serto di prence, a pie del tuo

Seggio regal giardin

Tutta

re,

assegn cortese

la terra.

quest'aura per

Che

rose

fa di

si

Libera e lucente
te,

t'asseconda.

per

la

fortuna

noi, servi

ti

siamo,

Nella polve, al tuo pie, per te soltanto

lieti quaggi.
La fronte sua
Spianava allora il nobile sovrano

Vivi e

In udir quella lode, e

Dinanzi a

il

messaggiero

spiegava del suo core


Ogni senso d'amor. Quell'uom preclaro
lui

Sciogliea la lingua, e quel signor cortese

Davagli ascolto.

Di tal sangue gi

de' fratelli in pria,

disse il messaggio
prudente e cominci le vere
Cose a coprir con arte e studio, e molte
Scuse f' ancor di lor misfatto e chiese
Che a lor ne andasse Minochr, che schiavi
Sariano a lui, che la regal corona

L'uom

il

rei,

trono ancor reso

gli

avran.

Con queste

Offerte essi volean del padre suo

Espiar la morte, serici inviando


Tappeti e drappi e fulgide monete

E
E

messaggier parlava
ne la risposta
A quel dir s'indugi, che appena uda
L'antico prence quel de' figli suoi
cinti e serti. Il

ascoltavalo

il

re,

Sconsigliati e perversi e tracotanti

Messaggio ardito, all'uom


Cos

si

volse:

Come mai

di

molto senno

potresti

260

Nasconder questo sol?... Dei due malvagi


Pi di quest'almo sol m' chiara e aperta
La mala intenzion nel cor riposta.
Intesi io s le tue parole. Vedi
Qual tu tocchi risposta. A que' due tristi,
A que' due svergognati, a que' due ingiusti.
Che han male voglie e non sgomento in core,

Che nulla vai parola stolta e folle


Per me rispondi, e che a trattar non mai
Con lor discender... Se nato in voi
Amor di Minochr, pur dov' il corpo
Del magnanimo Erg'? Voi sepoltura
Feste la strozza di selvagge fiere
Al diletto mio

Compagna

figlio,

e a la sua testa

feste picciol'arca. Ucciso

si guarda al sangue
Oh! no, voi noi vedrete,
Noi vedrete davver se non di forti

Erg' cadde, e per voi


Di Minochr...

Guerrieri a capo, in man la poderosa


Clava stringendo, postosi un ferrato

Elmo

fronte.

alla

Dal vessillo

di

fai

s,

voi

vedrete,

lo

Kveh preceduto,

Quando l'unghia ferrata de' cavalli


Bruno il suol render. Kren. di pugna
Amante, il duce, indi Shapr gagliardo,
Difesa all'ampio stuol de' suoi guerrieri.

Accanto a lui verr Sheryeh, un forte


Domator 'li leoni, eletta guida
Ai prodi

tutti,

e Telimn,

li

Piero signor, dinanzi a tutti

Yemen

genti
il

saggio

L'arbor che crebbe


Dalla vendetta d'Erg' mio tradito,
Pioggia si avr sopra le foglie e i frutti
Serv, di

il

re.

Pel sangue vostro. Che se tal vendetta


Alcun non anche dimand, fu colpa

Che amico

il

fato

non

vid'io,

che bello

261

A me certo non fu porger la mano


A pugnar contro figli. Or, dalla pianta
i

Che
Alto

il

nemico svellea dalle

un germe

radici,

spunt, frutti copiosi

Destinato a recar. Verr

il

novello

Eroe come leone in suo disdegno,


Accinto a vendicar del padre suo
L'acerbo fato, e gli faran corona
D'Irania i prenci in un drappello accolti,
Sam, di Nirm figliuol, Ghershaspe, illustre
Nipote

di

Gemshd. Da un monte

all'altro

Si stender la formidabil schiera

De' suoi gagliardi, e l'ampia terra tutta

Calcheran col tallon... Ma voi diceste


Che prence regnator debbe dal core
Di vendetta scacciar le stolte brame

peccata perdonar. Ci vinse,


Diceste voi, questo alto ciel rotante,
Si confuse saggezza, e oscura e fosca
le

Nostra mente
Inutili

si

f' .

Queste

io sentii

parole e vane scuse.

Ma che disse quell'uom


Ad uom che si dolea di

saggio e gagliardo

sua sventura?

Disse che ove talun semina in terra

La rea semenza

del delitto, in terra

Giorno sereno non vedr pi mai,


La sede non vedr delle beate
Alme su in ciel... Ma se perdon credete
Che vi venga da Dio, perch tal tema,

Tanto terror pel sangue del fratello


In voi perch ? Quei che prudenza ha in core,
Colpa travede in chi si scusa. Or voi
Di Dio ch' in ciel, rispetto non avete;
Malvagio il cor, ma dolci in su la lingua
Vi suonan le parole. Ond' che degno
Frutto dell'opre voi crrete e in questa

262

Dimora e in quella eterna. E questo vero


Mai non si cela. Perch poi mi offrite
Troni d'avorio e serti

di

turchesi,

Elefanti animosi, ecco, io vi dico


gi, non per argento
Vendetta cerchiam noi, ne il sangue sparso
Espiar cos vogliamo. Oh! dovrei dunque
Vender cos d'incoronati prenci

Che per oro non

Per oro

il

capo? Siami

Di re piuttosto, e

tolto

seggio

il

corona, e questa

la

Di sire maest! Forse un uom vile,


Pi vile ancor de la semenza abietta
D'un tristo serpe, d'una vita a cui
Prezzo non , potra la ricompensa

E prendere e gradir. Ma quando mai,


Quando si ud che un padre per deso
D'oro ch'egli abbia, del suo figlio venda
L'anima cara, al fin della sua vita

Gi gi venuto?... Delle vostre offerte


Io che far non mi so. Ma perch tanto
Si dilunga

Fin che

mio

il

iia

dir? L'antico padre,

vivo, la fatai vendetta

Che chiede e

vuol,

non

Al tuo messaggio; tu

lascier. Die ascolto

la

sua risposta

Odine ancor; qual la prendi, e vanne.


E il messaggier che udia quelle parole
Tremendo Inver, di Minochr l'aspetto
Quale e quanto vedea, si fece smorto

E tremando

balz dal loco suo.

Salt in arcioni e

si

parti.

Pensando

Nel veggente suo cor le gi vicine


vedea quel saggio,
Cose a compirsi, or
Ben che in giovane et, che non dovea
Lunga passar stagion pria che cruccioso
E con Salm e con Tur non si facesse
-<i

Quest'alto cielo nel sembiante.

Andava

corridoi*. Quella risposta

Qual turbo

Sempre

Un

mente

in

263

egli avea,

tristo presentir.

sempre nel core

Ma quando

ei

scorse

Dell'Occidente la terra felice


All'orizzonte,

un ricinto

ei

vedeva

Alla pianura. Su la soglia ei venne


nella tenda,

Di quell'ampio ricinto;

e,

Dell'Occidente stava

re. Di

il

un drappo

Di seta rilucente era quell'ampio

E ricco padiglion,
E disgombro quel

confitto al suolo,

aveano i forti
che seduti
Delle due terre stavano i due prenci

Che v'erano

loco

schierati, or

colloquio secreto. Ecco!, diceano.

Ma intanto
Forse che il messo ritorn?
Fino al pie de' regnanti il maggiordomo
Condusse il messaggier. D'uno sgabello
Nuovo quei

l'onorar, quindi

Del novello signore,

il

il

richiesero

dimandarono

Partitamente d'ogni cosa, vollero

Udir del seggio imperiai, del fulgido


Serto, di re Fredn, dell'ampio esercito,
Degli eroi battaglieri e della fertile
Irania terra.

Il

richiedean del rapido

Mutar della fortuna e se proteggere


Pareva il cielo Minochr. De' nobili
nomi dimandar solleciti,
Guerrieri
i

il

Il

tesoro e chi mai ne fosse vigile

consigliero ancor, quale de' principi

Fedel custode, e quanti prenci ed incliti


Eroi fra l'armi in quella reggia fossero.
Rispose il messaggier: Chi mai non vide

La primavera splendida e gioconda,


Miri la casa di tal re. Gioconda

Primavera
Qual

dentro a quel palagio,

de' beati al loco eletto, e

il

suolo

2(54

Di succino risplende e son coperti


D'oro i mattoni e le pareti. quale

La

vlta d'esto ciel di quella casa


tetto ed

Il

ampia

Sorridente

la palestra, e

lui gli

di

il

volto

un paradiso

Sublime inver. Non vasta pianura


palestra uguagli, e non in terra
G-iardin che avanzi di tal casa illustre
L'ampiezza... Giunsi a tal dimora e vidi
Che con le stelle a favellar saliano

Che sua

pinnacoli suoi. In questa parte

Eran leoni, ed elefanti


Erano avvinti, e l'aura

in quella

della sorte

Del giustissimo re tutte soggette

Parea

fargli le genti.

Tutti d'or su

Eran monili

Erano seggi

schiene agli elefanti,

le

splendenti

di

gemme

Al collo de' leoni e innanzi a quelli


Stavansi in piedi

Un

timpanisti. Intanto

orrendo clangor

In ogni parte

rauche trombe

di

spandea. Ben detto

si

Avrest che tremava

la palestra,

Che la terra echeggiavano col cielo.


Ed io frattanto m'avanzava, e giunto
Ch*io fui vicino,

turchesi un alto

<li

Seggio scoversi. Vi sedea, qua! luna


Nell'alto cielo,

un principe che serto

Avea

di

sul

capo

rubini adorno

Ampio-splendente. N'era

Canuto

E
E

crin di canfora

il

in guisa, e rose eran le guancie,

saggio

il

arguto

il

coi',

pirli

di

prudenza, e dolce

favellar. Tutta la gente

Avea di tema e
Colmo dinanzi a

di

speranza

lui,

che

Ch'egli G-emshd risorto.


Minocihr, qual cipresso al

il

core

diresti

Il

giovinetto

ciel sospinto.

265

Qual Tahraurs che umili ne' ceppi


lo stuol, del gran signore

Dei dmoni

Si asside a destra. Egli n' l'alma e

Pensi in vederlo.

Kveh

Il

il

core!

sapiente fabbro,

da presso, e un

dich'io, gli sta

figlio,

Esperto d'armi, innanzi a Kveh; il nome


N' Kren battaglier, prence animoso,
Sperditor de' nemici.

Di

Yemen

Serv, l'antico

regnator, gran consigliero,

Tesoriero Ghershspe, invitto sempre,

Che

gli sta

accanto da sinistra, un forte

Conquistator di estrania terra, e due


Figli animosi stannogli dinanzi
In pie,

Sam
Ed

Nirm

fra l'armi inclito e forte,

fortunato, ei che leoni atterrano

elefanti. Giovinetti

sono

Di Gina e Grecia pi di mille intorno,


Tutti belli e piacenti, e con monili,

Con orecchini ancor. Stanno vicino


L'uno dell'altro e in pie, del pr' Ghershspe
Al fianco. A questo eroe, forte e possente,
Quando dal loco suo balza con l'armi,
Tutta la terra non resiste a' suoi
Golpi fatali. Or, chi oser venirne
A battaglia con lui, che una ferrata
Clava, quant' di ben seicento libbre
Il grave peso, stringe in pugno? In terra
S'ei batte questa clava, alto spavento
Ingombra il fato e trema il mondo. Innanzi
Al temuto guerrier pari son volpi
E leoni feroci, un uom da solo

cento e cento eroi. Stringe una spada


Sam, di Nirm fgliuol, nella sua destra,
E sangue stilla da quel brando acuto.
Ma noverar nessun potra le tante
Porte ch'hanno del re gli ampi tesori.

266

alcun vide giammai, n mai scoverse


Tanta grandezza; che all'eccelsa casa
Stanno in due schiere intorno intorno i prodi
Con elmi d'oro su la fronte ed aste
Dorate in pugno, e Kren, gi il dicea,
Figlio di Kveh, n' il signor. Dinanzi
Avekn pur gli sta; v' quell'illustre

Sheryeh ancor,

Come

fiero leone, e

Shapr

si noma. Se
D'un elefante sovra

Per

il

prode,

elefante in suo furor, ch'eroe

la

timballi avvince

il

dorso, tutta

plve s'intenebra levata

L'aria all'intorno. Or, se verran costoro

battaglia con noi, tutto a soqquadro


L'ampio regno ne andr, che a tutti in core
Piero cova un deso d'aspra vendetta,

hanno

Tutti

volti corrucciati, e sola

Quella la brama che sostienli in

vita.

ci ch'ei ville allor, quali parole

Udite avea da re Fredn, con pronta

Lingua ridisse il messaggier. Terrore


Crucciava il cor dei due malvagi e fiera
Un'angoscia cos, che smorti in volto
Si fer subitamente. Allor sedettero

Millo consigli a meditar,

Trovar principio a

Che
Tur

li

ma

nullo

lor parole o fine

appagasse. Al fratel suo possente

allora

si

volse e

f' tai

detti:

Addio riposo, addio letizia!... Un prence


Che re Fredn ebbe maestro, stolto
Esser come potra?... Nipote ed avo
Si consigliar?

davvr! che da quel loco

Aura spira ben trista! Or si conviene


Che alla battaglia ci apprestiam. Qui vuoisi
In luogo dell'indugio

Che non

un oprar

celere,

bello che suoi denti aguzzi

pi forte

Il

leoncello.

si

267

faccia ed animoso

trasser cavalieri

Dall'ampio stuolo degli eroi; di Cina,


Dall'Occidente esercito di prodi

Ragunr prontamente, e

in quella terra

Levavasi tumulto indefinito


D'armi e d'armati. L'ampia schiera allora
In via fu posta, formidabil schiera
Che confin non avea. Ma gi la stella

Dei due malvagi ripigliar l'antico

Splendor pi non sembr pur due possenti


Eserciti movean, quali eran d'uopo,
Dalle campagne di Turania, e gli elmi
;

Alto ferrati e

Nascondeano

rilucenti arnesi

gli eroi.

Cos con forti

Elefanti e con mille provvigioni

Raccolte insiem, partian dalla lor terra


i
due perversi.
sul confin d'Irania
venne
che
Ma
L'oste nemica, allor che n'era ingombra
La campagna col monte in ogni parte,
Giunse novella a re Fredn che l'onde
Del Gihn valicate avea nemico

Disiando battaglie
poi

Esercito correndo. Ei

Re Minochr da
Alla

Ed

l'alte

campagna con

ei,

f'

precetto,

mura

uscisse

lo stuol de' suoi,

nobil signor di cose esperto,

F' tal sentenza: Giovinetto egregio

Vede cader

ne' lacci inaspettata

Pingue capretta, anche se innanzi a


Sta

il

cacciator, s'anche gli dietro

Con accortezza
Con costanza e

il

lui

pardo.

e nobile consiglio,
virt, ne' lacci ei coglie

Bieco leone ancor. Cos all'uom tristo


Dall'opre triste un giorno alfin l'altera

Persona umilia; ed

io m'affretterei

268

Co' flabelli nel pugno, allor che

Gi posto

al fuoco pi

il

ferro

scaldar volessi.

E Minochr a lui: Prence animoso,


Chi mai verranne contro a te, cercando
La sua vendetta, se non chi fortuna
Gi sente avversa ? Oh s contro a s stesso
!,

Danni egli ordisce. Ma frattanto un greco


Arnese io vestir, ne dal mio petto
Il disciorr giammai, fin che sul campo
Dell'armi, in vendicar d'Erg' la morte,
Fino a quest'almo sol per me non salga
La negra, polve. Di quell'ampia turba
Di Turani a nessun nome io concedo

D'uom veramente. Or chi oser con meco


Scendere a prova in bellicoso assalto?

X. Partenza di Mincihr.
(Ed. Cale. p. 78-83).

Quindi

tenda imperiai fuor trasse

la

Alla pianura col vessi

Segnacol

di

di vittoria, e f'

Kveh,
precetto

A Kren battaglier che alle deserte


Campagne il pie movesse e le frontiere
Valicasse d'Irania. E quell'immenso
Esercito

si

mosse, e schiera a schiera

Dietro tenea.

Tremava

il

Tremava

la

pianura,

monte, quale un

Nella procella. Intenebrossi

il

mar che freme


giorno

Al sollevarsi della polve, e detto

Ben tu avresti che al sol luce scemava


mezzo al ciel. Ma un tumulto frattanto
Levava si di qua di l che tutti
In

Assordava, e

il

nitrir degli accorrenti

269

Destrier d'Arabia alla vasta pianura

De' timballi

il

fragore alto vincea.

Dal campo allor del maggior duce a due


Miglia

stese e

si

spieg la

si

fila

Degli elefanti in due drappelli, e trenta

trenta ancor delle feroci belve

Reggean

sul dorso d'aurei seggi

il

grave

Peso; in quell'or de' seggi variopinti


Brillavan

Avean

gemme

di valor.

le provvigioni,

Trecento

ed altre due

Volte trecento avventarsi dell'armi

Nel tumulto dovean. Ma i prodi intanto


Procedeano rinchiusi in lor corazze
E avean clave possenti. Altri, quai fieri
Leoni in giostra, a vendicar la morte
D'Erg' venan, seguendo il glorioso
Vessi! di Kveh, e spade rilucenti
Aveano in pugno. Sotto a le corazze

Venan compatti, e

le

vive pupille

Sole apparan di sotto al bruno ferro

Che

li

copra. Tratta fu allor la chiostra

Di Minochr pi innanzi, e s'avanzava

Pel pian deserto da

Temmsheh

fosca

L'esercito infinito.

Era quel prode

Kren guerrier

tanti forti

Trecentomila

di

il

duce,

cavalieri suoi

Di pugna amanti. Quindi usca dall'ampia

Foresta

di

Narvn, con quel belligero

Kren suo duce, Minochr; passava


All'esercito suo tutto dinanzi,

l nella

ordinarlo

pianura interminata

si die. Cesse a quel prode


Ghershsp dell'ampio stuol l'ala sinistra
E la destra a Kobd e a Sam, guerriero
Di gran valor. Cos dinanzi a lui
Schieravasi l'esercito, e nel mezzo

270

si ponea con Serv. Splendea quel volto


Di Minochr agli altri prenci in mezzo

Ei

Come candida luna

come

sole

alto riluce dall' Albrz; intorno

Che

Kren imperante

Stavangli e

Sam

battaglieri nudati aveano

prode

il
i

ferri

Gli altri tutti, e dinanzi le vedette

Erano con Kobd; gli eroi bennati.


Di Telimn schiera animosa, al loco
Delle insidie venan. Cos la forte

Schiera ordinata procedea, con tanti


Eroi, con tal fragore alto di timpani,
Qual d'una sposa iniziai corteggio.
E a Salm e a Tur fu detto allor: Gi vengono
far molti gagliardi. Uscirono

Per guerra

Dalla foresta alla pianura, in ordine


Poser le schiere, e per l'ardor dell'animo
sui labbri lor che rabbia accumula.
due perversi con immensa schiera,
Pieni d'odio nel cor, mossero allora,

Schiuma
I

E
I

trasser nel deserto


cavalieri e

fanti

Ogni provetto eroe.

prenci e

ed

Ma

tutti

cavalli,

d'improvviso

seppe

Usc

Kobd

Tur

e corse qual nembo. Oh!, disse allora,

alle vedette, e

Ti rendi a Minochr e a
Cos gli parla:

il

nome mio

re novello, a cui

una fanciulla

terra non

se

D'Erg' discese, chi

ti

die la clava.

Padre

in

La spada chi ti die, chi la corazza


E Kobd risponder: S, tal messaggio

Io recher, qual

Or

pronunciarti...

Si fosse

il

mi

Ma

dicesti e quale
se in te pi

meditar, quando

la

lungo

mente

Si consigliasse col tuo cor, vedresti

Che

pi grave d'assai che tu non pensi

271

Cosa cotesta, e tremeresti allora

Per

l'opre tue malvagie. Oh! meraviglia


Gi non sarebbe che le fiere agresti
Piangessero di voi, tristi e perversi,
L'acerbo fato e notte e di, che tutto
pieno il loco, da la selva ombrosa

Di

Narvn

alla terra sconfinata

Di Gina, di cavalli e cavalieri,


Di belligeri eroi. Quando vedrete
Il

lampeggiar

il

brandi

di que' lucenti

Kveh, alta un'angoscia


Il cor, la mente pascer di voi,
S che pianura da montagna o colle
Scernere non potrete in vostra fuga.
All'udir di Kobd quelle parole,

Tur

vessillo di

f'

si

Ratto

tristo e corrucciato. Ei volse

n rispose. Allora

le spalle,

Torn Kobd

al

Dal fiero prence


In quell'istante,

Un

suo signor,
di

le cose,

Turania udite

gli ridisse;

e quegli

cotal poco sorridendo: Queste

Parole sol da un insensato capo


Udir si ponno. Ma favor gli questo
Di Dio, signor

Vita di

l,

di

questa e dell'eterna

conoscitor di tutte

Le cose arcane

e delle aperte! Ei vede


Ch'Erg' fu l'avo mio; n' testimone

Re Fredn

stesso glorioso. Intanto,

Ove mi chiami a sanguinosa prova


Il ciel, ben si parr l'alta mia stirpe

E la nascita mia chiara ed aperta.


Per la gloria di Dio, signor di questo
Lucente sol, di questa luna errante,
Giuro, che tal si spiegher dinanzi
Al tristo eroe valor per me, che gii occhi
Ei chiuder per non veder. La testa

272

Sua dal corpo divelta

a'

prodi miei

Mostrer, dimandando aspra vendetta

D'Erg' tradito padre, al tristo

il

regno

Diserter con aperta rovina.

E comand che

fossero le

mense

Tosto apprestate e canto e vin richiesti.

Nel tempo che


Il

mondo

Per

la

tenebre coprissi

di

chiaro, andaron le vedette

campagna, e innanzi

ai

prodi suoi

Kren venia, magnanimo guerriero,


Con re Serv di Yemen, fido ministro
Al re possente.

Elli

dicean: Cotesto

d'Ahrimn! Sempre n' d*uopo


Battaglie sostener, vendicar l'onte
Questo grido allora
E il sangue sparso.
assalto

Si ud repente innanzi ai prodi:

Eroi del nostro re,


Vi

vigili

illustri

sempre

nerbate e con l'armi, in Dio fidando

Proteggitor! Quei che trafitto cade


In questo campo, d'ogni

macchia puro

Di rio peccato in cielo andr, chi versa


Il

caldo sangue degli eroi di Grecia

E di Gina remota in questo vasto


Campo di guerra, eterna avr sua lode,
E gloria il seguir qual de' ministri
Di Dio gloria quaggi. Saran corone.

Seggi saranno a
Principe
Il

tutti

voi del nostro

doni eletti; oro

nostro duce che

vi

darawi

guida, e sorte

Beata Iddio. Ma quando il d sereno


Eromper, quando due parti corse
Avr del giorno in su montando il sole,
Cingetevi dell'armi la persona
Forte, aitante, con le ferree clave
E con le spade di Kabul. Il loco
Ognun guardi ch* suo, n osi pi innanzi

213

Del suo compagno porre il piede alcuno.


Dell'esercito i duci, i prenci tutti
Di cor gagliardo, chiusero le file
Dinanzi al prence che leon parea,
E dissero gridando: Ecco!, al re nostro
Fin che vivi sarem, servi saremo,

Ed ei comandi, e noi
Farem volenti, farem
Sembri

'1

Allor,

Gihn

come

magnanimi

le

ingiunte cose

che il suolo
sangue sparso.

pel molto

leoni, indi partirsi

eroi.

Venne ciascuno
brama in core

Alla sua tenda, e fiera


D'assalti

avea ciascuno e

Ma quando

si

Dal loco suo, quando


Oscura e cesse al d,
Dell'esercito suo, con
Di greca foggia, con

di contrasti.

lev la bianca aurora

pieg la notte
sorse dal

mezzo

l'elmo in capo

un

forte arnese

con la spada, Minochr. Gridarono

(Hi eroi festanti a quella vista e al cielo

Levaron l'aste, mentre una grand'ira


Covava in ogni cor, mentre crucciato
Si mostrava ogni volto. Essi balzarono

divorar

Da manca

la via;

ma

l'ampio esercito

disponea, da destra ancora

E nel mezzo e ne' fianchi, il giovinetto


Signor quale era d'uopo. E parve allora
II

Su

suolo traballar

come nave
pugna

l'onde, e disiar quasi la

affrettarla cos.

Ma quando

F' agitar Minochr dentro a

Sul dorso a un elefante,

il

un

globi

vasello

suol di sotto

Balz qual onda rimuggente e rapida


D'un fiume azzurro. Stavano dinanzi
Agli elefanti

Fremean
Fikdusi,

I.

elli

timpanisti, e intanto
e gridavano raccolti
18


Come

274

elefanti in lor furor.

Regal convito

in

Parea

quell'immenso piano,

Tanti a squillar corni sonori e trombe


V'erano addotti. Ma dal loco suo

Ogni schiera

Che

mosse, e parve un monte

si

gi precipitasse. Ecco!, tu piglia!,

Dagli!, gridar

d'ambe

le parti allora

un mar sembr di sangue


Che sorti erano quivi

S'intese, e tosto
Il

vasto pian.

Rossi

fiori

d'un tratto alla pianura

Detto avresti, che sangue era dovunque,


E dentro s'immergean, nel caldo sangue,
Degli elefanti i pie, come colonne
Di rossa pietra sprofondate all'imo.

Era nel mezzo della pugna un prode


(Shery il nome suo), forte, superbo,
Di voglie altere. Dal turanio stuolo
Ei s'avanz (parve di monte un brano
rovini dall'alto), e per timore

Che

Sbigottirono

Kren,

gli

trasse

il

forti.

Allor che

il

vide

occhi in levar, stese la

brando,

ma

mano

di contro, in

guisa

Di feroce leon, die un urlo e innanzi


Shery con l'asta si sospinse e un colpo

Al fianco gli assest. Trem a quel colpo


L'iranio duce e in cor sent d'un tratto

Scemar

le forze.

Ma

ci vide e accorse

Alto fremendo come tuono in cielo


Sam bellicoso; come poi da lungi
Shery lo vide, si gitt qual belva

Su

lui

rapidamente e

fiero assalto

Incominci, che tosto un grave colpo

Con
Di

la

mazza

Sam

cal sovra la testa

guerrier. Smorto

si

fa costui

livido com'erba; e quei la ferrea

Gelata e

il

capo

gli

tempesta, e reca

275

man. Scorati e afflitti


di pugna
Ben che amanti, a lor schiere, e quei si mosse

Quindi

al ferro la

Tornarsi allor Kren e Sani,

Come

turbo veloce, e

l,

dinanzi

Ai prodi accolti, si piant. Tal voce


Al glorioso Minochr mandava:
Se quell'eroe ch' duce a vostre schiere,
Che il vostro re chiama Ghershsp, venisse
Or qui dinanzi a me, ben io sul petto
G-li vestirei d'un bel color di porpora

Una

corazza. Nell'irania terra

me

Ei sol mi pari, ben che a

dinanzi

Turania mia
Ben
nessun
m' uguale.
nel
suol
d'Irania
E
Pur, di me degno egli un eroe. L'acuta
Spada ch'io stringo, di leoni in guerra
poco ei valga,

che

in

Gi bevve il sangue, e questa clava mia


Gi si cib de le cervella sparse
Dei nemici guerrieri. Allor che balza
Dalla guaina il ferro mio, nell'ora
Della battaglia, un mar di sangue ei rende

Le

sette reg'ion dell'ampia terra.

quelle voci fuor balz Ghershaspe

Subitamente, e allor ch'ei giunse al fianco


Dell'eroe d'Occidente, un alto grido

Mand,

che tremonne

la

campagna

Intorno e risuon. Creatura


Disse, volpe

stolta,

maligna e nelle astuzie

Sol sapiente, fra gli eroi

me

solo

Bicordando chiamasti alla battaglia?


Hai tu forza davver, hai tu fermezza

A me

dinanzi? Cotest'elmo tuo

Gi

duol del tuo fato

si

Shery son

io!

E quello

Il

Degli elefanti ardenti

Io dal corpo troncar so la cervice.

il

cavallo incit.

Venne correndo

prode

276

In gran tempesta, e dir ben si potea


Ch'era quello un gran monte in sua rovina

Gi gi cadente.

Ma Ghershsp che

il

vide,

Rise alla vista del turanio prode

Non

In tal furor.

Shery

allor,

rider tu,

gli

disse

dinanzi ai prenci invitti

Di nostra terra, ben che forte!

E a

lui

Di rimando Ghershsp: Figlio di Devi,

Come non

riderei qui, nella vasta

Pianura, innanzi a te? che tu mi vieni


Incontro e rechi la battaglia. Un riso
Mi suscita sul labbro involontario
Il

nuovo

Spregiato vecchio

e strano ardir.

Dalla fortuna, quei rispose, sazio

Dunque tu

sei del

seggio tuo di prence

del tuo serto, se con

me

la

pugna

Ardisci dimandar. Va, che del tuo

Impuro sangue far in terra un rio!


Ud que detti e.dall'arcion staccava
La clava sua ferrata e ponderasi.
Forte stringendo il pr' Ghershsp le cosce
?

Sul suo destrier. Quella fulminea clava.


Dal capo a sommo di giovenca, d'alto
Ei cal del

nemico

in

su

la testa,

quella testa del turanio cadde

Al suol divelta. Rotol nel sangue


Accolto e nella polve, ed il cerbro
Dall'elmo usc. Cos l'anima sua
Spir

si

caia su l'ingrato

campo

Shery superbo. Oh! ben parea che nato


Dalla sua madre mai non fosse il fiero
Shery che l mor! Ma di Turania
prestanti
Con rinnovato ardir lutti
i

S'avventar su G-hrshaspe. Url costui


In

mezzo

Il

sol

al

campo, e semin allor che

tremasse con

la

bianca luna.

in cielo

277

Ei con l'arco ricurvo e con le frecce,

Gol brando ancor, quella nemica schiera

Di prenci scompigli. Fin che la notte


Sal oscura pel ciel, fin

Di questo

Con Minochr
Il

che

sol nell'occidente

la

lampa

sparve,

rest vittoria.

Il

cielo

proteggea col suo favor, del Fato

Se ben costante mai non sia la grazia,


Che veleno talor, talor bevanda
Il core
D'un puro miei mesce ed appresta.

Tur per fiera doglia


Tumultu. Rivolsero la mente
A un assalto notturno; e allor che cesse
La notte al giorno, a contrastar nessuno
L discendea, che l'aspettar migliore
Parve consiglio ai due prenci guerrieri.
di

Salm e

di

XI. Assalto notturno di Tur.


(Ed. Cai. p. 83-86).

Ma quando
Il

giunse alla met del corso

giorno chiaro, un improvviso ardore

Di vendetta nel cor dei due guerrieri

Subitamente entr. Fiere proposte


Fecero allor, ma pi d'assai consigli
Stolti e fallaci. Oh s! quando la notte
Gi scender, dicean, fiero un assalto
Nell'ombre farem noi! Pieni di sangue
Renderemo il deserto e la campagna.
Gi discese la notte e fu la chiara
Lampa spenta del d, s che la terra
Tutta rest nell'ombre avvolta. Allora
L'esercito apprestaro

ambo

Meditando un assalto

in quelle

perversi,

oscure

Ombre

notturne.

Ma

ne udan novella

Gli esploratori e a Minochr nel

campo

Gorser veloci e a lui le udite cose


Significar paratamente, in ordine
Perch'ei ponesse i prodi suoi. Li uda
Re Minochr, tenea mente ed orecchi
Sospesi e intenti, e fea ricorso ad arte,
Egli di senno e di valor. L'esercito

Tutto a Kren

Per

Dietro

il

si

ei die,

ma

delle insidie

loco ritenne, e trentamila


trasse de' pi forti in armi,

Di gran fama e virt, che spade acuto


Avean nel pugno. E l trov un acconcio

Loco

Che

alle insidie e l
tutti

Quali

Ma
Tur

si

pose, intanto

si

cavalieri incliti in

ei volea,

guerra,

vide schierati e pronti.

quando oscura fu

la notte, in piedi

lev con centomila eroi,

Gi preparato alla battaglia. Il fiero


Assalto meditato era gi pronto,
Apprestate le frecce, ed eran gli archi
Tesi nel pugno. Ma venendo, un ampio
Esercito ei scoverse al loco suo

Gi in armi, e innanzi a

tutti alto

un

vessillo

Fulgido e bello sventolar. S'avvide

Che nulla pi restava e che l'estrema


Pugna l l'attendea, s che dal mezzo
De' prodi suoi lev di guerra un grido,
Alto, tremendo. Allor, di sotto ai prenci

un negro turbo

Che venan

sui destrieri,

Di polve

lev che agglomerossi

si

Qual nuvola vagante, e in quella nube,


Quale strisciar di folgori pel cielo,
Balenavano i ferri. Arde, diresti.
L'aria infuocata

il

suol corrusco e acceso,

Qual se pietre lucenti ivi pur fossero


Ma

Intorno sparse.

279

de' fieri colpi

L'orrendo suon la testa penetrava


Acutamente, mentre in ciel faville
Luccicavan di fuoco entro a le nubi

E imperversava

il

nembo. Ecco, due scbiere

S'accapiglian nel campo, e in alto sale


Un suon tremendo al ciel, tetra la notte

E negra la campagna e piovon frecce


Mortali e acute. Come turbo innanzi
Dei Turani il signor gittasi allora,
E

dietro a lui l'esercito s'avventa

Con

le

Fa
Kren
di

spade nel pugno. Un fiume in terra


sangue, al calar del brando acuto,
guerrier,

come

elefante in sbito

Furore acceso, e quel sangue gi scorre


Per l'arido deserto, e suona il campo
Di lamenti e d'omei, di furibonde
Grida guerriere. Gi nell'aspro assalto,
In quel tumulto, in quel d'alterne voci

Frastuono orrendo: Piglia

Mente non

tu!, l'uccidi!,

resta ai cavalieri, e forza

non han, non ban fermezza.


Dal loco allora delle insidie il capo
Minochr sollev. Spazio non resta

I destrieri

Non da una

parte,

non

dall'altra al sire

Di Turania cbe vedesi dinanzi


E da tergo un esercito guerriero.

L'un contro

Mand

Uom

sono ornai. Tal voce

all'altro ,ei

allor Minocbr contro l'uom tristo


violento e sanguinario, il passo

Arresta e ferma

il

pie!

Tur

si

perdette

quella vista; ben s'accorse allora


Cbe in gi cadea la sorte sua gi grande,
S

Da

le briglie e

cbe strinse

Pur tentando

la fuga.

tutte parti.

Ma

gli

volse

Ab! ab!
a tergo

il

si
il

dorso,

uda

prode


Re Minochr

280

e quella sua vendetta

Meditando nel cor, gi lo raggiugne,


Gi il ferisce con l'asta poderosa
Nella schiena, e di man lascia la spada

Ma

dall'arcione

Il

turanio cader.

Il

leva Minochr rapidamente

E
E

al suol l'atterra e di vittoria

legge osservando,

la

il

il

dritto

sozzo capo

Gli recide dal busto, esca gradita

Fa

membra

le

disfatte e insanguinate

Del deserto alle belve. Or, quell'alterno


Della sorte mutar pensando in core,

Minochr

rendeva alle sue schiere.


guerra or lieti or tristi

si

casi de la

Meditando fra s, regale un foglio


A re Fredn compose. E benedisse
Prima all'Eterno, a lui che risvegliata

Avea

la sorte dal

Cominciando

cosi:

suo pigro sonno,

Grazia

di

Dio

Proteggitor nella sventura! Ei solo

La mano

afferra al misero nell'ora

Della distretta;

ei

guida

sol

le

erranti

Stirpi quaggi, consolator dell'alme

Nella tristezza, in sempiterno al suo

Loco regnante in ciel. Vengan seconde


Di re Fredn Le laudi! Ei glorioso,
Signor di clava e d'inclita con ma,

Che

il

giusto onora e -erba intatta fede

Dio signor, che maest dispiega

Nell'opre sue.

Nome

preclaro e illustre

Egli ha, tesoro imperiai possiede,

E vien da lui giustizia per la sorte


Che l'asseconda; dal suo seggio un'aura
Di maest si muove e di grandezza
Degna d'un re; che col favor di Dio
Piena

di gloria

per

lui sol,

per sue

281

Ascolta,
Opre leggiadre, questa terra.
Per la tua gloria
Magnanimo signor.
In Turania giugnemmo e le belligere

Schiere traemmo a ricercar battaglia


Fino a que' lochi. In due giorni soltanto
Tre assalti avemmo noi, nelle notturne
e nell'ora che rischiara il mondo
Questo fulgido sol. Notturno assalto
Da' nemici ne venne; io nelle insidie

Ombre

Traemmo,

Mi

collocai.

Fu

condotta la pugna. Al

Vittoria che

il

e in varie guise

per quella

fin,

mio re sempre asseconda,

Disperdemmo i nemici. Io per udii


Che Tur perverso, a cui gi di fortuna
Ogni favor meno venia, con cento
Mila prestanti cavalier, di notte
Meditava un assalto, all'arti sue
Ricorrendo cos, poi che ogni speme
Gi gli fugga dal cor. Ma dietro a lui
Posi le insidie, e strinse vento in pugno

Per opra mia

lo sciagurato.

A un

tratto,

Quand'ei rivolse dalla pugna il volto,


Io gli fui dietro e s '1 raggiunsi e l'asta
Dietro gli conficcai nella lorica

Rapidamente. Levailo

di sella,

Ratto qual nembo, e gittatolo al suolo

Qual serpe attorto,


Da quel corpo suo

gli spiccai la testa

vile.

Ecco che questa

mando all'avo mio, mentre novella


Trama pensando vo contro quel tristo
Salm, ch' rimasto ancor. Ma come il capo

Io

Chiuse, codardo e

vii!,

d'Erg' signore

In un'arca dorata, e non di lui


Sent piet, vergogna in cor non ebbe,
Dall'Eterno cos fu a questa

Tur

lasciato in poter.

Da

mano

quelle fosche


Sue membra

Ed or

la

282

liberai l'anima altera,

casa e l'ampio regno intorno

Disertando ne vo.

Ma

su la punta

D'un'asta ecco! t'invio, padre, la testa,

il

vincolo del duol dall'alma tua

Sciolgo col fiero dono. In questa guisa

Salm ancor punir; quale s'avventa


Contro a un agnello un lupo agreste, io sopra
A lui mi getter. S'asconda ei pure
Negli abissi del mar, salga volando
Fra le stelle del ciel. Questa mia mano

Dovunque

il

10 gli recida

coglier,
il

perch dal busto

capo e de' leoni

Funeral benda facciagli la strozza.


Poi che notate Minochr sul foglio
Ebbe queste parole, un messaggiero
Veloce ei pose in via. Quel messaggiero
Correndo venne, e mesto era e da molta
Vergogna vinto, e lagrime dagli occhi
Scendeangli ancor per tema e per rispetto
Dell'iranio signor, che la recisa
Testa ei recar dovea di quel di Cina
Estinto prence a lui. Ben che perverso,

Ben che lontano da giustizia e fede,


Sempre col suo morir dolore apporta
Un figlio al padre suo. Grave la colpa

Fu veramente, ne perdono

ottenne;

Chi punirla dovea, giovane e forte

Era e nel primo ardor. Cosi sen venne


Con aspetto turbato al suo signore
11

Di

messaggiero e

Tur

la recisa testa

ai piedi gli depose.

Dio

F' preci allor pel giovinetto eroe


L'antico prence della irania stirpe.

283

XII. Il castello degli Alani.


(Ed. Cale. p. 86-88).

E a Salm ancor dal campo della pugna


Giunse novella. Intese ei s che tenebre
Copran la luna fulgida pel cielo

si

f' tristo

morte

e sospir, la

Pianse del fratel suo. Ma dietro a lui


Stava un castel che sospingea le torri

Fino all'azzurro
Ei

f' di

Che

ciel,

innalza e atterra.

Minochr ben

Campo

che disegno

ripararvi.

la fortuna

Ma

di ci pensiero

Se dal calpesto
rifugia e posa

die:

si

dell'armi

si

Degli Alani al castel Salm fuggitivo,

Prevenirlo dobbiam. Che ove

mar

Al castel che del

Niun pi

il

egli

giunga

siede alla riva,

toglie di l. Torri ei possiede

Che nascondono in ciel fin tra le nubi


I sommi tetti, dai profondi gorghi
Del vasto mar con pietre e con macigni
Alto levate,

che

Non vi stendono
Le vaste penne;

Le

s,

partir m' d'uopo

in tal disegno volgere

redini e le staffe all'ermo ostello.

E ripensando un breve

A Kren
II

sopra

e dentro son tesori

Di mille guise. Or

Rapidamente e

al voi di

l'aquile rapaci

battaglier:

istante, disse

Dove

loco ascoso del castello?

Del re ascoltando

mai

gli

quei,

le parole, disse:

Signor che cerchi tua vendetta, schiere


D'eroi gagliardi d'ogni servo tuo

284

All'infimo tu dona, ove

piaccia

ti

L'avviso mio. Del suo rifugio

loco

il

forza occuper. Questa la via

Da tentarsi con
Or percorrer si

l'armi, e questa via

Ma

dee.

del vessillo

Del mio prence m' d'uopo e dell'anello

Che Tur un

gran viaggio,

d rec, nel

Perch'io con arte penetri,

Meco adducendo,
Oscura notte

io partir,

Non

o signor,

sveli,

si

Saggio consiglio

Re

miei prodi

mura. In questa

in quelle

ma

intanto

l'alto secreto.

tuo, rispose allora

il

Minocihr. Parti, e custode

Sempre
L'aria

ti

si

sia!

fece,

Cos,

cielo

il

quando pi oscura

sovra l'ardue schiene

Degli elefanti fr locati e avvinti


timballi, e di prodi incliti in

Seimila

elotti,

in

armi

molte cose esperti

Di pugna in tempo e di battaglie amanti,

Gi discesero
\

al

mar lasciando campi


E allor clic giunsero
i

ridi nell'interno.

Di quel castello al pie tutti


Tutti

gagliardi suoi

suoi prodi,

Kivn

lasciava

Al pr' Sheryeb, in questi accenti: Io vesti

Muter per celarmi, e

al

guardiano

Del turrito Castel, qual messaggiero,


Andr, l'anello ed il sugge] mostrandogli
Di

Tur

estinto.

Se per

l'arte

mia

Vittoria arride a me, l'opra compiuta;

Che

quanl'i<>

nel caste] libero

il

passo

Avr, del mio signore alto il vessillo


Lever al ciel, quindi la spada fulgida
Io far balenar. A voi la cura
Di tener volti al superbo castello
Gli occhi bramosi; e allor che un grido
Io lever, su

me

tutti

correte

al cielo

285

date dentro con novello ardire.


Cos lasci l'esercito a Sheryeh,

Vincitor

di

E venne;

e allor che al nobile castello

Giunse vicino,

Che

A
Da

f'

parole, intanto

guard'ian quel suo suggel mirava,

il

lui

mosse.

leoni, indi si

ben noto.

Io

vengo

Tur, nostro signor.

s,

Non

gli disse,

volle

mai

Ch'io riposassi nella lunga via

Un

solo istante,

ma

dicea:

Tu vanne;

Al guard'ian del nobile castello


Dirai che notte e d sonno e riposo
G-li

son vietati.

G-li

sii

tu

compagno

Nella propizia e nella rea fortuna,

custode della rocca, vigile,

Sii tu

Accorto sempre. Che se mai vessillo


Di Minochr vi comparisse innanzi,
Da lui con armi e con armati a vostre

Mura

sotlo inviato,

una

la fede

Vi congiunga e per voi prova si faccia


D'alto valor. Chi sa che la nemica
Schiera vada per voi tutta dispersa! .
E il guard'ian che uda quelle parole

il

suggello e l'anel del suo signore

Chiaramente vedea, le porte aperse


Subitamente. Le secrete cose
Costui non vide, soffermato il guardo
Vedi tu intanto
Alle palesi sol.
Ci che dicea l'uom de la villa, esperto
In favellar: Del cor vede il secreto
Quei sol che in petto all'uom nascose il core.
Per di servi innanzi a Dio costume

Avrem

noi sempre, e meditar

Cura e pensar, che,

fia

tristo o lieto

nostra

caso

Sorga o s'avveri, ragionarne d'uopo


E ragionando consigliarci insieme .

286

Del nobile Castel cos all'altezza

Kren guerrier

col semplice custode

Sala rapidamente.

Uno covava

Fraudolenti pensieri entro al suo core,

Era semplice

l'altro

e quei pensava

tutte astuzie e pronto v'era, e questi,

Fede ponendo

in

un estrano, orda

In sua stoltizia della rocca altera

La rovina ed a
Apparecchiava.

se l'estremo fato

Un

d,

cos dicea

Leopardo pugnace al figlio suo:


Figlio che spieghi alto valor, che acuto
Hai l'artiglio possente, in cosa ignota
Precipitoso non oprar, ma pensa
E dal principio al fin la grave cosa
Medita in te. Se dolce la l'avella
D'uom che t' ignoto, e lauto pi nell'ora
Di tenzoni e d'assalti, accorto e saggio

Tu cerca e pensa e delle insidie temi


E scruta al fondo ogni suo detto. Or vedi
Che un uom possente e di gran cor, nessuno
Poi clic

si

<li

pensier

di

cosa grave

Cotanto, n scovr del suo nemico

La frode

ascosa,

nobile castello

il

Del suo signor perde stolidamente

Ma quando

Kren, dall'alto del

Un

cesse al d la notte in cielo,


Castel,

Ei f' a Sheryeh
Che il vessillo regal
Sheryeh battaglier,

''il

a'

qual luna

un grido e segno

vessillo innalz. Die

suoi prodi.

allora

scovra da lungi

sal correndo
Verso l'eroe dir l'altendea. Le porte
Prese ed entr; di funeral corona

guerrieri
Andarono prr lui cinti
Che in quell'ora incontr. Kren da
i

Parte balzava furiando,

in quella

questa

287

Erano i prodi quai leoni


Eran faville de' cozzanti

in giostra,
ferri

Alte sul capo, e al pie dell'ardue mura


L'onda mugg a del mar. Ma quando a sommo
Giunse quest'almo sol della serena

Vlta del

Con essa

sparve

ciel,
il

sparve

la rocca,

guardi'an. Di

fumo un denso

Nembo sala fino alle nubi; e al suolo


Poi che il Castel giaceva ornai, non era
Loco a scampar, che navicelli intorno
Non si vedean sull'acque. E il fuoco intanto
Tristo

un cbiaror spandea; vento sorgea

Per l'ampio ciel; de' cavalieri un grido


S'uda, di eroi morenti e di caduti
gemito e un sospir. Gi discendea
Questo fulgido sol dall'alto cielo
Intanto, e pari alla deserta landa
Era la rocca gi superba un tempo.

Un

Dodicimila fr

Fumo

tra

Alto sala,

gli uccisi,

vampe
s

di

e negro

cocente fuoco

che un color

di

pece

Tutte vest l'acque del mar. Scorrea


Sangue intorno la terra. Allor fr visti

Venir piangendo fanciulletti e donne


A pie del prence e dimandarne in dono
La cara vita. E Kren perdonava,
L'inclito eroe,

per la vittoria

Del suo signor. Di l

si

lieta

tolse alfine

venne
cose
oprate
Le
prence Minochr.

Egli, esattor di tal vendetta, e

Egli narrava al giovinetto sire,

Della impresa le sorti a lui con cura


Tutte esponendo. E Minochr gli fea
Eletta lode. Il tuo destrier, gli disse,
La clava tua ferrata e la tua sella

Mai non restin

di te privi in eterno!

>88

Venuta

XIII.

di

Kkvi nipote

Dahk.

di

(Ed. Cale. p. 88-90).

Poi che tal gioia

Ebbe

Kren

di

il

principe d'Irania
cose

battaglie!*, le

Intravvenute a lui patitamente


Ricordar volle: Mentre tu partivi.

un

Esercito venia, chiedendo

inclito

G-uerrier novello la vendetta sua.

Di gran nome una gente avea costui


Armata, quale
ferri alti reggea,
i

Vendicatori. Ei

Dahk

Di

si

dicea nipote

regnator, ch'io soppi e intesi

Kkvi impuro. Hi
Con centomila cavalieri suoi.
Ch'egli era

Astati eroi

la

die un assalto

l'eretta cervice,

alcuni uccise de' miei prodi, quali

Eran

ii

veramente

Della battaglia.

Or che venuto

gli

giorno

al

Salm, feroce e

tri-in.

colai soccorso

Da Dizh-hukht-gang remota, alto nel core

Nacque

deso di contrastar. La gente

Un Devo
Kkvi

Non ha

chiama

battaglier

dich'io,

timor, l'orza

Io poro non

ancor

ili

man
con

scesi

Di forza a contrastar, n
G-li

fei

costui,

dio dell'armi nell'ora


dimostra.
lui

peso ancora

il

sentir della clava de'

l'orti.

Ma quand'ei cercher novellamente


Battaglia a noi. ben

io

Se pur n'ha

t'ar

E Kren

in
gli

cor,

ilei

suo valore.

splendida prova.

dicea: Prence sovrano,

Chi mai, chi mai scender vorr fra l'armi

289

Teco a battaglia?... E Kkvi, oh! chi costui?


Kkvi che mai dinanzi a te? Qual uomo
T' pari nella pugna?...

Anche

se teco

contrastar scendessero di forza

Le

fiere,

io

ben mi

so

che

la gaietta

Pelle avran esse e lacera e contusa.


Suono improvviso allor di corni e trombe

Sorse nel campo, e l nel mezzo


Al loco suo si sofferm. Dicea

il

prence

allor: Ben io per manifesta


per secreta via, con molto senno,
Con lungo studio, trover ragione

Kren

In cosa grave tanto, onde non venga


Da Dizh-hukht-gang mai pi per farne guerra

Il core,
Mortai spregiato, quale Kkvi.
Minochr rispondea, tu poni in pace.
Gi faticasti in questi impeti assai

Con lo stuol de' tuoi prodi, una vendetta


Cercando che si compie. Or venne tempo
Ch'io dovessi pugnar;

Tu

ma

tu riposa,

almo guerriero.
trombe un suon, di corni un

dall'alta cervice,

Disse, e di

alto

Clangor sorgea del regio padiglione


Sul vestibolo aperto; indi una densa

Polve

Tra

il

sal di sotto ai cavalieri

fremer

de' timballi, e si f'

oscura

L'aria e del suol s'intenebr la faccia.


Ben dir potevi allor che han moto e vita
1 ferri

aguzzi e le rotanti clave

l'aste rilucenti.

Ecco! tu piglia!,

G-ridavasi dovunque, e Tieni!, e Dagli!,

In guisa orrenda, e le penne volanti


Delle freccie a ingombrar salan le plaghe
Del ciel cos, che all'aquile rapaci

Era

tolto

il

volar.

La man

de' prodi

Della spada su l'elsa era invischiata


FlRDUSI,

I.

19

290

Dal sangue in grumi accolto, e gi frattanto


Scendean dall'alto, qual da fosche nubi,

Ampie

sanguigne. Ecco, s'increspa,

stille

Diresti, l'ampio suol, flutti solleva

Di

mare

in guisa, e

risonanti

flutti

Balzano al ciel, che gi l'uno con


Si confondon gli eserciti nemici,

oscura

si

la terra. Allor,

l'altro

dinanzi

De' suoi prodi a lo stuol, balza correndo


Kkvi guerrier, come leon gagliardo,

Impetuoso, e

Fra le due
E Kkvi in

restano a fronte.

schiere, Minocihr prudente


lui rivolto.

gi s'avanza

un grido,
Devo feroce aspro un assalto
Incomincia col re. Ma appena il vide
Re Minocihr, come leon selvaggio
Costui, solleva al ciel furente

(piai

Ei pur balz, con vigoroso assalto

Kkvi investendo,
Che il proteggea,

e per la sua fortuna

Devo ardimentoso
Aspra tenzone incominci. Pareano
Elefanti in furor, essi che cinte
Avean l'armi e le mani avean disciolte
col

Golpi feroci a tempestar.

Tal disferr con

Colpo

Che

l'asta

al fianco del

Ma

in fine

sua tremendo

re Kkvi gagliardo,

Minocihr l'elmo si scosse


Di greca foggia; ei ne squarci l'arnese
Fino al cinto di sotto, onde quel candido
Seno apparve scoperto. Alto la spada
Re Minocihr allor lev e sul collo
L'avversaro colpi, s che la splendida
Veste ne scisse sovra la persona,

Ma

in fronte a

noi

fer. Cos,

fino a quell'ora

Che tocca il giorno la sua media parte,


Quando pi in alto splende il sol che il mondo

291

Tutto rischiara, degli eroi la pugna


Accanita dur. Parean due pardi
In fiera giostra, e tutto

Era

intriso al lor pie.

il

suol di sangue

Ma quando

il

sole

scender cominci per la serena


Volta del ciel, quando gi tutta un lagoEra di sangue la vasta campagna

tinto n'era

il

monte, or che misura

Oltrepassava l'ostinato assalto

Dei due guerrieri,

Forte

si

cor del prence iranio

il

chiuse. Ei strinse

man. Kkvi

distese la

Alla cintura fortemente e

Ben che

forte,

da

di

il

la sella,

le

cosce

leva,
il

gitta

nuda terra

Ferito al suol, su quella

Calda

ambe

egli afferra

sangue, e con la spada acuta

Gli squarcia

il sen. Cos quest'uom superbo,


D'arabo sangue, rapido mora.

Veracemente per

Egli era nato dalla

tristo

giorno

madre sua!

XIV. Morte

di

Salm.

(Ed. Cale. p. 90-93).

Ma quando ei giacque, s'incurv la schiena


Del signor d'Occidente. Altro pensiero
Gli
I

nacque

sgombr dal petto

in cor. Tutti ei

disegni di guerra e alla sua rocca

Volse fuggendo il pie. Con le sue schiere


Minochr lo segua; correnti, ansanti

Erano

prodi suoi che al fuggitivo

Preclusero

Era

di

la via.

Ma

si

gran copia

morti sul deserto campo,

Che grave l'avanzar

si

f'

per tanta


Gente

Una

in

292

cammino. Ed

grand'ifa, con

un

or,

covando

in petto

sol deso

D'alta vendetta in cor, sedea sul bianco

E rapido corsiero il giovinetto


Re Minochr. La splendida gualdrappa
Via ne gittando,

lo sospinse al corso,

quel bianco destrier di polve un nembo


Tutto ravvolse. D'Occidente e Grecia

Raggiunse egli il signor. Gridava allora:


Uom temerario e disleal, per voglia
D'una corona del fratel la morte
Osasti ordir. Quella regal corona,

Or

s!,

Ecco,

trovasti e la sua via tu corri!


io

ti

reco un trono e un regal serto,

d'Occidente, che port suoi frutti

Re
La

regal pianta. Or non fuggir da questa


Corona ch'io ti serbo; un trono ancora,
Di nuova foggia, re Fredn ti appresta
E l ti attende. L'arbore maligno

Che tu allevasti, die suoi frutti, e questi


In grembo bai tu. Son spine aguzze?... Tua
tristo seme.
Fu la man che ne sparso
filasti
Tu
lo
lenzuol?...
funebre
un
il

Nel tuo secreto.

Ma

nel tuo sepolcro

Quando posto ti avranno acconciamente,


L giaceranno a te d'accanto l'opre

belle e triste

il

che compievi

in terra.

cavallo incit, cos dicendo,

che il raggiunse in un baleno. Allora


Cal un fendente col fulmineo brando
Di Salm al collo e al petto e la regale
S

Persona

in

due

sparti.

Ratto

la testa

F' spiccarne dal busto e sovra un'asta


Fino alle nubi sollevar. Stupa
L'esercito guerriero a quella forza,
A quel braccio d'eroe fermo e gagliardo;


Ma

di

Salm che

Come branco

di

293

giacea, tutto l'esercito,


zebe, al repentino

Sopravvenir della tempesta, a torme


Si rivolse a fuggir per vie dirotte,
Disperso al colle, al monte, alla pianura.
A un uom ricco di senno e d'alma integra,
Che di nobili detti avea pur sempre
Piena la lingua, ei dissero dipoi:
A Minochr ten va rapidamente

nome

nostro

gli favella in questi

Detti cos: Dicono

prodi: Al sire

Minochr noi siam servi, e obbedienti


Al suo voler scorriam liberi il suolo
Dei padri nostri. Ma d'armenti ricca
Parte di noi, parte in ben ferme case

Alberga ed ara

il

suol.

Se noi venimmo

questo campo in armi, oh! non per nostra


Voglia venimmo e non per trista brama

Di vendicar onte passate. Intanto


Al nostro re servi siam noi, con l'alma
Piena d'amor per lui, con pieno il core.

Che

se la

pugna

ei

rinnovar volesse

sparger sangue, no, forza ci manca


L'armi per ripigliar. Duci de' nostri,

Andiamgli innanzi noi, tutti innocenti,


Con umil core, ed ei far governo
Di noi qual gli pi caro. Ei s, di nostra
Quell'uom prudente e accorto
Vita signor
!

Cos parl dinanzi al re. L'uda

Meravigliando Minochr, con alma


Sospesa e intenta, e rispondea cortese:
Tutta vogl'io di questo cor
Abbandonar, pi chiaro onde
Il

nome

mio.

Qualunque cosa

la

brama

si

innalzi

in terra

Della legge non di Dio regnante,

della legge

d'Ahrimne; rea


Opera

Vada

ell'.

Dalla mia vista lungi

si

crucci d'ogni tristo Devo

L'ignobil corpo.

Mi

per l'opre male

tal cosa, e sol

Quaggi

294

Stretti cos, poi

che nemici

voi, sia

meco ad un

siate o amici, o

che

sol patto

die vittoria

ci

Iddio vincente ognor, poi che fr salvi

gl'innocenti ed

giorno questo di giustizia e cessa

nocenti insieme,

Ogn'opra ingiusta e gi depose ognuno


De' prenci il rio pensier di sangue e stragi,
Voi, dich'io, ricercate

Tornate

amore

vostre e

all'arti

in terra,

guerriere

le

Vesti spogliate. Cos a mal far sia tolto


De' perversi

E come

poter per voi soltanto,

il

sacerdoti incliti e saggi

Assorgete a virt. Bella prudenza


V'adorni ancora e intatta
Scevri, liberi

il

f,

di colpa

cor dalla feroce

Brama

della vendetta. Ond' che ai vostri


Lochi tornando, alle campagne vostre,
Sia di Turania o de la vasta Gina
di Grecia ne' campi, un dilettoso
Soggiorno abbiate e lieto cor sia '1 vostro,
E v'aggiungan poter l'opre leggiadre.

Un

grido allora da quel suo recinto

Alto s'intese. Eroi,

si

disse, in molti

Consigli esperti, d'ora in poi

Dal sangue. De' perversi

Travolta in gi.

Poser

la fronte

la

si

cessi

fortuna

Gli eroi di Cina allora

sovra

il

duro suolo

Ossequiosi, indi recar dinanzi

Minocihr, figlio a Peshng illustre,


L'armi di guerra. Le deposer tutte
A' piedi suoi, schiera per schiera, e un alto
Cumulo ne formar, di monte in guisa,

295

D'elmi e di clave e di spade lucenti,

Temprate

in India, e di fulgidi arnesi

gualdrappe. Minochr

di

accolse

li

Benigno e pio; secondo il merto, onore


A ciascun f' per sua regal possanza.
Un messaggier quel giovinetto eroe
Fuor trasse allora, e la testa disfatta
Gli consegn del sire d'Occidente;
Quindi un foglio regal pel suo grand'avo
Diessi a notar, le cose

rammentando

Dell'aspra guerra e l'arti sue.

Lodi

f'

Ma

in pria

a Dio signor, quindi con molto

Affetto ei ricord di quell'illustre

Fredn il nome. Grazie a Dio, dicea,


Sempre vincente, da cui vien saggezza
E forza e maest! Sono in sua possa
E il bene e il mal de' miseri mortali,

Ma

riparo al dolor vien da

Primo

lui solo,

consolator. Benedizione

Di Dio sul re, saggio ed accorto e vigile

Signor del mondo, a

lui

che ogni secreto

Gi in terra disvel, che alla corona


E al trono suo cresce splendor! Le ree
Catene ei sciolse d'ogni mal; consiglio
Alto l'afforza e maest divina.

Ed or, di questo re per la possanza


Due noi rompemmo vincoli del male,

Come per

forza di maga. Vendetta

Cos fu presa, per voler di Dio

Di nostr'alme signor, dei cavalieri


di Cina venan. Noi ne troncammo
Del brando punitor con fatai colpo
Le teste, e il ferro nostro ogni pi impura

Che

Macchia lav da questa

terra.

Oh! niuno,

Di Fredn per la gloria, almo guerriero,

Vivo

lasciai fra tanti eroi,

che un tempo

296

Dimandasse vendetta Or io, qual turbo


Pronto e veloce, a questo foglio mio
!

Dietro verr. Le intravvenute cose

Tutte esporr

le

ricordando a mente.

Quindi Sheryeh egli invi alla rocca,

Quell'uom preclaro e illustre, e gli f' cenno


In tai detti cos: Tutta raccogli
La preda, o forte, e compi ci ch' d'uopo,
Con molto senno. Ma la preda eletta
Tutta sul dorso agli elefanti ammonta
eretta han la cervice, e senza danno

Che

Alle porte del re la traggi e adduci.

Corni e timballi f' apprestar dinanzi


Al suo recinto, e dal mar le sue schiere

Trasse al deserto, dai castelli alteri


Di Cina al re Fredn. Quando egli giunse
Di

Temmsheh

un

alle prode, alto

deso

Di rivederlo avea dentro nel core

suo grand'avo, che

Il

Da

quelle soglie

si

corni

di

un suono

lev. Partissi

Schiera immensa con

che gi

lui,

di seggi

Dai fulgidi turchesi avea quel sire


Fatti
I

aggravar

di nobili elefanti

dorsi incurvi, e palanchini d'oro

V'erano ancor con drappi rilucenti


Di cinese testor, tutti

di

gemme

Ornati e sparsi; e v'erano bandiere


Di diverso color, luce vibranti,
S

che

l'aria

ed

il

suol n'eran dipinti

Di rosso intorno e d'azzurro e di verde


In vaga foggia.

Come

fosca nuvola

Cosi d'un tratto fino a Sari alpestre

DaA fiume

di

Ghiln

Di guerrieri avanz,

l'eletto stuolo
l

've

splendeano

Briglie dorate e fulgide cinture,


Staffe d'argento e targhe d'or, tesori

297

Degni d'un prence, ed erano elefanti


ricchi doni, ad incontrar quel forte

Con

Giovinetto guerrier pronti e ordinati.

Come a re Minochr, come a' suoi


Non fu lontano, per l'alpestre via
Venne a pie re Fredn. Venan con
Di Ghiln tutti

prodi

lui

prodi, e sciolte belve

Parean davver, con neri caschi e fulgide


Collane d'or. Venan tutti gli Irani
Dietro al vecchio signor forti e gagliardi,
S

come

ed era

fiere ardimentosi,

Dinanzi a tutti d'elefanti un ampio


Stuol, di leoni ancor; dietro a cotesti

Elefanti animosi eran schierati


I

prodi

tutti.

Di Fredn

il

Ma

appena

fu visto

vessillo, e si

schierava

In bell'ordin cos tutto l'esercito

Di Minochr. Scendea quel giovinetto


Prence di sella (era tenera pianta

Garca

il

di frutti ne' suoi verdi rami),

suol baciando

Per quel trono

f'

preghiere e voti

regal, per la corona,

Pel suggello di prence e

di

sovrano,

Per la celata di guerrier. Ma in sella


Fredn il f' tornar, quindi il baciava
Con molto affetto, e in volto con la mano
L'accarezzava dolcemente. E allora
Gh'ei ritornossi al trono suo, speda
Questo messaggio a Sam, figlio bennato
Di

Nirm

A Sam

battaglier: Tosto deh! vieni

che ratto giunse,

L'antico sire favell: Di tutti


I

prenci

il

pi famoso, ecco gi tocca

vita. Un lungo
che molti giri
Gompiea quest'alto ciel che sul mio capo

Al termin suo questa mia

Tempo

vid'io passar,

in questi accenti


Ratto

si

Cipresso

Dura

il

volse.

or,

quel vago ed agile

curv, che non per sempre

si

favor di lieta sorte, e a quella

Pianta che

Ed

298

lev giovane e altera

si

su l'altre

si

estolle,

una corona

Tocca, e l'avr, con quell'antico seggio


De' prenci antichi... Io ti consegno, aggiunse,

Questo nipote mio. Sam battagliero,


Che di partir da questa de' mortali
Infima sede per

Amico

tu gli

sii,

me

giunta

l'ora.

tu lo soccorri

Nell'opre sue; deh! fa che per te solo

Valor con senno e con virt dispieghi!


A Minochr prese la mano allora
Il

vecchio sire della terra e in

A Sam

Inverso al

Eterno

mano

la pose, indi lev la fronte

di giustizia

cielo, e disse:

verace in ogni tua


Promessa, un giorno ben dicesti: Io sono
Il Signor di giustizia e d'ogni oppresso
re,

Aiutatori Giustizia mi rendevi,

Mi recavi

soccorso, e de' miei padri

Il

serto mi donavi e con quel serto

Il

suggello regal. Cos, o Signore,

Ogni deso

di

questo core ardente

Or tu mi reca

Esaudisti tu solo.

De' beati al soggiorno. Indugio alcuno

Pi non soffre quest'alma, e in questo loco

Angusto rimaner pi non m' dolce.


Alla soglia regal t'crmossi allora

Sheryeh condottier con quella preda


Ch'egli traea. Dicci restavan giorni

Della luna di Mihr, quando la ricca

Preda a spartir si
Fredn antico. Ei
Tutto splendente

die tra

prodi suoi

volle ancor

d'or,

con

la

che

in trono

corona,

299

Sedesse Minochr. Quella corona

Sovra

posava ei stesso
d'amor dava e precetti.

la fronte gli

consigli

XV. Morte

del re Frdn.

(Ed. Cale. p. 94).

Tali cose compiute, all'improvviso

Cadde

prence
Son vizze ornai

la sorte dell'antico

E caddero

suoi

d.

Della pianta regal tutte le foglie.

Ad ogni istante misero ei piangea


E vivea tristo e sconsolato; un canto
Solitario ed oscuro alla corona

al

trono prefera. De' suoi tre prenci

Innanzi agli occhi

ei

si

ponea

le

tronche

Teste e in perpetuo duol, sempre piangendo,


Cos dicea: Pass, fecesi oscura

La luce
Ed eran

de' miei d

per questi

figli,

che fr gioia e tormento


Al paterno mio cor. Caddero uccisi
Innanzi a me barbaramente, e cruda
Fu tal vendetta, al reo deso conforme
1

tre,

De miei

nemici. L'indole malvagia,

L'opere

triste

ancor tanta sventura


Addussero a' miei figli giovinetti,
Che il mio consiglio non degnar d'ascolto

lo seguir.

Cos l'avverso fato

Questi tre giovinetti aveasi in ira!

Pieno d'angoscia

Ambe

il

cor, molle di pianto

le gote, cos visse in

terra

L'antico sire fin che termin giunse

ma ne restava
ben che lunga sia

De' giorni suoi. Mor,


Il

nome

in terra,

300

Stagion trascorsa da quel giorno. Buona


Fama e giustizia fr quel frutto solo,
mio, che nella morte sua

figlio
Il

piissimo re colse qui in terra.

Depose allora Minochr dolente

La corona

regal,

D'un cinto

di color

cinse

si

fianchi

sanguigno e bruno,
E un sepolcro innalz, costume regio
Cos seguendo, che di fulgid'oro
Tutto splendea, di levigata pietra

Che

avea

tinta

di ciel.

nel sepolcro

Tutto in avorio fu elevato il seggio,


E su quel seggio la regal corona,
Splendida su l'avorio.

Un mesto

addio

All'estinto signor diedero allora,

Venendo in folla, i prenci tutti, quale


Era costume de' regnanti e legge
E precetto di f, quindi la porta
Chiusero fermamente. Ecco! spara
Quell'uom di gran valor, tristo e compunto,

Da questa

terra.

Giorni in duol
Pieni

gli

Giorni

Per

E Minochr per

si

rest,

smorte

sette

le gote,

occhi di pianto, e per quei sette

cos,

piangente

le vie si

il

re novello,

mostr, per

le

deserte

Piazze, dolente la citt regale.

Oh!

vita trista de mortali!

D'aura

Un

alito

inganno e frode, e L'uomo


Non s'allieta per te che ha fior di senno!
Quando all'opre tue miro, ecco! una frode,
Un giuoco io veggo, che tu allevi e nulli
Fra lusinghe, e costui lunga ha sua vita,

sei

l'altro

Dono, se

Se

vii

tu, se'

ha brevi
il

togli,

giorni suoi.

Ma

il

tuo

che vai mai? Che vale

gleba quel don, se preziosa

Gemma

che splende?

regnando

tu viva,

301

altri, poi che un d '1 vitale


tempo fia che tronchi, e un sogno
il bene, il mal che v'incontriam, nel core
Deh! non crucciarti perch lungo in terra

serva ad

Tuo

spiro

il

tuo soggiorno sia! Quegli beato


Di cui restano qui ricordo eterno
L'opre sue buone, sia che re si appelli,

Il

Sia che tragga servendo

giorni suoi!

IL

RE MINOCIHR

RE MIN GIHR

IL

I.

Principio del regno di Mincihr.


(Ed. Cale. p. 95-96).

Passar que' grandi sette giorni, ed ebbero


Tutti affanno e dolor. Nel giorno ottavo

Minochr venne e

la regal

corona

Si pose in fronte. Co' scongiuri suoi

Le porte ei chiuse di maga di lui


Due fiate sessanta furon gli anni.
Da che tutti gli eroi dell'ampia terra
;

D'un moto l'acclamar benedicendo.


Com'ei si pose la regal corona
Alta sul capo, a tutto
Lieta novella

ei

il

mondo

attorno

die di sua giustizia,

Di sua grazia e valor, di sua rettezza,


Di sua bont, di sua scienza, e disse

A
A

tutto

il

popol suo, per

la

sua terra

quanti erano prenci o grandi o servi:

Son io qual ciel che volgesi sublime,


Su questo seggio imperiai. Diritto

Ho

io di

guerra e

Di grazia

Ho

il

di corruccio,

dritto e di giustizia,

ancora
ancora

fede e maest che vien da Dio,

Buona la sorte e man possente,


Per danno far. Che servemi la
M' amico
Son segno
FlRDUSI,

I.

il

ciel,

le fronti

ai colpi miei.

a' rei

terra,

incoronate

Qual tetra notte


20


Cercando vo'

la

306

mia vendetta e sono

come

Splendido

s,

Del fuoco

di Berzn.

vampa

sacra

la

Signor d'un brando

Anche son io, di sandali dorati,


E al vessillo di Kveh inclita luce
Dono col mio splendor. Splende il mio

trono,

mia vita
Ricuso dar ne le battaglie. Al tempo
De' miei conviti, spandon le mie mani
I doni miei come un gran mare, e luce
Esce di fuoco dal mio seggio. Or io
Ben far che sia corta all'opre triste
De' malvagi la man, qual rosso panno
Rubiconda far pel sangue spai-"
La terra attorno, ch'io pur stringo in pugno
La clava e fo' veder di mia corona
Tagliente

II

il

ferro mio, n la

divino splendor, son

La prima

io

del

regno

luce su l'eburneo trono.

Eppur, con

tanti

pregi miei, son io

Umile servo, adorator devoto


Del Re del mondo. L'inclito sentiero
hi Predn glorioso ecco! seguiamo,
Che antico e saggio era quel grande e

Avo

illustro

nostro, se qui noi siam novelli.

Ond' che
Al volto

ci

noi

piangendo ambe

Di Dio possente, che da

Trono

mani

le

poniam, parliam soltanto

mi vengono

lui

e corona e popolo soggetto,

Grazia abbiamo da Lui, rifugio in Lui.

Ma

se qualcun, del

Climi abitali,

Abbandonando

la

mondo per

diritta

Terr

vili

li

sette

ia

lungi andr da questa

Religion ch' nostra, e

Opprimer,

poverelli

suoi congiunti e amici

ed oppressi, e

Sollever per copia

di

il

capo

tesori

in alto

307

Infliggendo rancura a chi da grave


Rancura vinto, questi a me dinanzi
Empio sar, peggiore assai nell'alma
D'Ahrimn tristo e reo. Qual malvagio
Che a nostra f non dicasi devoto,
Questi da Dio, questi da me pur anco

Abbia maledizion. La destra poi


Al ferro stenderem, tutta quest'ampia

Terra vincendo col furor dell'armi.


Come in tal guisa favellato il prence
Ebbe del mondo innanzi a' grandi suoi
D'alma serena, della terra a un tratto
Tutti gli eroi, benedicendo a lui.
L'acclamar giubilanti. Oh! l'avo tuo,
Dicean, ben seguit co testa via
E a te la dignit di sua corona

del suo trono confer. Ti resti

In sempiterno questo seggio tuo.

Questa corona e questa maestade


Sacerdotali Ti resti in sempiterno
Il

diadema e

Che

il

trono imperiale,

corona sei ben degno e sei


L'ornamento del trono! Al tuo precetto
di

Sta riverente

il

nostro cor, sommessa

Alla tua legge quest'anima nostra.

Sam. gran vassallo

dell'iranio impero,

In piedi levossi e cosi disse:

giudice

Di giustizia verace, ecco!, quest'occhi

Hanno

dono fosse
da te giustizia

lor vista qual se

De' re passati.

Ma

Viene, da me dell'opre tue leggiadre


Compiacimento. Tu d'Irania il prence
Di padre in padre sei, de' cavalieri,
De' valorosi

il

fior.

Deh

sia

custode

Iddio dal cielo a questa tua persona,

quest'anima tua! Vigile sia

308

La tua fortuna e lieto il cor! Tu sei


Da tempo antico il pensier mio costante,
quel pegno

Sul trono imperiai tu

se'

Ch'io deggio custodir.

Fermo

leone

Sei tu davver ne le battaglie, e sei

Fulgido

tue cene.

sol nelle

l'ampia terra sotto

Sian qual sgabello e

la

loco tuo!

il

Purificasti con la spada

il

t'assidi in la

tua gioia

ripiglia.

ti

fato

seggio imperiale,

il

Splendido di turchesi,

Or per qui

Il

piedi tuoi

a'

mondo.
tua pace

noi,

D'oggi in avanti, di battaglie e d'armi

Tocca

il

la sorte,

a te

vin fumoso ed

spetta

si
il

il

trono

convito. Eroi

Furono gli avi miei, furon de' regi,


Furon de' grandi la difesa. Ei furono.
Da Ghershspe a Xilni famoso in guerra,
usi a vibrar la spada.

Incliti duci,

Ed io pur anco andr pel mondo attorno


E qualcun forse de' unnici tuoi
In catene trarr. Mi die di primo
Vassallo

il

grado l'avo

tuo,

ragione

Mi pose in cor l'amor del tuo consiglio,


Ond'io, qual d'un re servo fedele,

Qui mi

sto accinto co'

nemici tuoi
tumulto.
il

contrastar, dell'anni in fra

L'iranio sire

il

benedisse ancora

E doni regi digli


Sam cavalier con

in copia.

Usca

maestoso incesso
mentre il seguino
cospetto
regal,
Dal
Gli eroi tutti ed i prenci. Usc quel forte

al loco

Cos allor

andn
si

del

suo soggiorno.

reggea conforme a

Il

mondo

leggi.

II.

309

Nascita del

figlio di Sani.

(Ed. Cale. p. 97-99).

Piena

di

meraviglia or

compongo,

io

Dietro antichi racconti, una leggenda;


E tu frattanto, o figlio mio, che porgi

Orecchio a me, vedi qual

Sam

F' a

la sorte.

tristo gioco

Figli

non avea

Sani battagliero e quel suo cor cercava

La pace
Era

Ma una

indarno.

La

di lui nel gineceo.

vaga donna
bella

Rosate guance avea, negro il volume


De' bei capegli. Una gioconda speme
D'un pargoletto gli venia da lei,

Vaga qual luna, che d'ambita prole


Grave il seno ell'avea, lei, che ad un
Era

siml.

Ella da

l'agile

Sam

avea, di

Nirm

quella

Come

figlio,

persona avea rancura

Del grave pondo. Ma, nel

Da

sole

Quel grave suo portato

fin de' giorni.

madre un pargoletto nacque

fulgido sol ch' luce al

Bello era in volto

Candido n'era

il

come

crin.

sol,

mondo.

ma

tutto

Com'ei fu nato

Di tale aspetto dalla madre sua,

Per

sette giorni a

tutto

il

Sam

nulla fu detto,

gineceo del glorioso

Iranio prode stavasi raccolto,

Alto gemendo, al pargoletto innanzi,

Che niuno

Sam

possente arda nel core

Annunziar che un pargolo canuto


Dalla pura sua donna eragli nato.
Ma nutrice era l di fermo core,

310

Ardimentosa

prence

Come

leone.

Entr

costei, del pargoletto infante

Lieto annunzio

Sciche

gli die,

al

benedicendo

a favellar: Felici

la lingua

Di Sani guerrier deh! siano i giorni,


Divelto sia de' suoi nemici! Iddio

il

core

Quel che cercasti e per cui l'alma tua


Adducesti a pregar, oggi ti diede.
L dietro ai veli di tue stanze, o prode

Che ami

la

gloria,

genuino un

figlio

Dalla tua donna, candida qual luna,


ti nacque. Egli un figliuol d'eroi
Di leonino cor, che alma gagliarda
Ne' teneri anni suoi disvela ancora.

or or

Candido

Un

il

corpo quale argento e come

paradiso le sue gote; in lui

Non

vedi parte con difetto, e solo

Difetto suo ch'egli

Di

signor, tale

te,

Acquetarti a

il

ha canuto

il

destili;

d'uopo

t'

crino.

tal sorte. Or, l'alma tua

Ingrata inverso a Dio tu non tarai,

Non farai mesto e corrucciato il core.


Sam cavalier dal trono suo discese,
Del gineceo penetr

veli e

corse

Dal pargoletto suo, come novella

Primavera giocondo.

Ivi scopra

Leggiadro un fanciullin. canuto il capo,


Quale nessuno vide in terra mai

Ne

d'altri intese.

Neve

gli

hanno

il

peli suoi d'intatta

candor,

ma

rubiconde

Son le sue gote ed aitante e vago

il

pargoletto.

Il

figlio

suo co' bianchi

capo come vide il prence,


Ogni speranza di quaggi perdette
E tem forte il biasmo altrui. Discese
Peli sul

A ben

altro pensier dal dritto calle

311

Di sua saggezza e arditamente al cielo

Levando

il

capo, a Dio cercando aita

Cos sciam: Deh! tu che la

menzogna

che il bene accresci


In chi pi vuoi, se grave colpa mai
Fu commessa per me, se il tristo rito
D'Ahrimne seguii, per la mia scusa
Vinci e

difetto altrui,

il

Deh! mi perdona, o

Almo

di

quest'ampia terra

Fattor, nel tuo secreto! Crucciasi

L'anima mia ch' fosca e conturbata,


la vergogna, e per le membra mie
Caldo il sangue ribolle. Or di cotesto
Fanciullo mio, qual d'Ahrimn progenie,
Che neri ha gli occhi ed i capelli in guisa
D'intatto gelsomin, se, qui venendo.
M'inchiederanno della terra i prenci
E qui '1 vedranno con infausti segni,
Deh! che dir? Dir ch'egli d'un Devo
Prole verace o pardo alla gaietta
Spoglia o alata Per?... Si rideranno
Di me i prenci del mondo e rideranno
D'esto pargolo mio secretamente

Per

in loco aperto e manifesto. Ond'io,

Per
Il

la

vergogna, lascier d'Irania

suolo e d'ora in poi benedizioni

Su questa terra non far pi mai!


Questo

ei disse

con ira e fieramente

Volse la fronte, con


Rissandosi

Che

si

cos.

togliesse

Addotto

sua

la sorte

F' cenno poi


il

pargoletto e fuori

ei fosse dalla

patria terra.

Eravi un monte (monte Albrz il nome)


Prossimo al sol, lontano da le genti
Di questa terra. Ivi l'eccelso nido

del

Strano

Simrgh, meraviglioso
ai

mortali

di

ostello

quaggi. Sul monte

Deposero

Sam

di

l'infante

servi

Passava intanto

di l si tornar.

'

Stagion ben lunga, e all'innocente

figlio

Di tanti eroi che nulla di colori

bianchi o bruni ben sapea, l'amore


Toglier cos pot l'antico padre

repudiarlo in guisa turpe. Oltraggio

Alla sua prole ei fea, lattante ancora.

Ma una

sentenza cosi disse un tempo

Nobil leena poi che

il

leoncello

Sazio ebbe fatto del suo latte: S'io

Anche

del cor

dessi

ti

il

caldo sangue,

Dover d'animo grato imposto ancora


All'alma non t'avrei, che tu se' il mio
Cor veramente fin che vivi, e il core

Da me

si

Cos

fiere,

le

Amano
La

partir, se tu

per

la

che non gli umani


E il piccioletto infante.

pi d'assai

dolce prole.

ten vai!

terra intorno.

In quel loco (lese ilo. e nette e giorno


Stette senza suo schermo. Egli

A quando

quando

la

lei

pollice

falange estrema

a quando a quando.
piccioletti
Simrgh

Suggea, vagia pietoso

Ma poich

del

Nati ebber fame, dal suo loco


Il

Simrgh

dall'alto scoverse

in alto

lev per l'eira a volo,

si

un par-eletto

Lattante che vagia; vide che attQrno


L'ispida

Mar

lena

gli

era qual turbato

da tempesta. Le scoscese roccie

Gli eran la

cuna

Di vestimenti

la

il

suol nutrice, priva

persona e privo
labbro. Eragli attorno

Di puro latte il
L'oscuro suol selvaggio ed aspro, e d"allo

Sovrastavagli

il

Della vlta del

sol
ciel.

montato

al

sommo

Deb! padre o madre


Fossegli stato

Ombra

un

313

fero pardo! Allora

dinanzi al sol toccato avra!

Scesce

il

Simrgh da

L'alte

nubi e stese

L'artiglio e ratto sollev l'infante

Dalla pietra cocente. Egli 1 recava

Rapido

al volo fino

l'alte

cime

D'Albrz, laddove de' suoi molti nati

Era l'ingente

nido. Ei

recavalo

A' piccioletti suoi, per ch'elli pasto

Facessero

di lui,

Al dolente vagir

Ma

non riguardando
dell'infelice.

pietade l'Eterno aveane allora,

cb nel viver suo


per l'et venture
L'infante nascondea. Novello amore
Iddio trasfuse nel Simrgb, ed ei
Dator

di grazie,

Inclite cose

Atto non

f'

di pascersi di quello,

Infante ancora ed innocente.

Che alcun protegge

Allora

che vai se misero


Chiara una voce
per altra cagion?
Al Simrgh venne allor: Beato augello

Che

Iddio,

hai nobile pensier, tu custodisci

Questo fanciullo ancor lattante.

Da sua semenza una

Un

giorno

virt preclara

Fruttar dovr; da' lombi suoi, guerrieri

Verranno e

prenci, simili a leoni

D'imperterrito cor. Noi qui frattanto

questi monti l'affdiam; tu vedi,

Vedi qual cosa apprestagli fortuna.


Insiem lo custod coi dolci nati
Il Simrgh su que' monti, ei che parea
Piangere di dolor per gli occhi suoi
Su quel tenero infante. E quelli tosto

Un

mirabile

amor posero a

lui.

Meravigliati a quel bel volto.

La miglior parte

Sempre

della eletta preda

Simrgh; l'ospite strano.


da ferine carni
sangue suggea. Fin che ben lunga

Serbavagli

Privo del

Ora

il

314

il

latte,

Stagion trascorse, fu cotesto, e ascoso


Restava intanto il pargoletto. Allora

Che

il

piccolo fanciul

si

De' mercatanti su quegli

Le brigate

Un uomo

assala.

f'

pi grande,

monti

alti

Forte divenni

qual nobile cipresso,

alfin

colmo petto come argento, smilzo


Qual verde canna l'agii fianco. Ratto

Il

si sparse per il mondo attorno


Alta la fama. Opre leggiadre o triste
Mai non restan celate, e a Sani ancora.

Di lui

Nirm, giugnea

Inclito figlio di

Novella

Che

di

del nobile fanciullo

virt le belle

III.

Sogno

orme stampava.

di Sani.

(Ed. Cale. p. 99-103).

Una
Il

notte fra l'altre, ecco! dorma

cor di Sani, per l'opere del fato

Ancor

Che

tristo e cruccioso.

d'India da la terra

Ei

vide in sogno

un noni giugnea

Sovr'arabo destrier velocemente.

Fino a

Sam

ei venia,

quel cavaliero

Dall'alto capo, eroe perfetto.

V lui

Lieta novella del suo picciol nato.

Che

altezza avea qual d'albero giocondo

Ricco

Che
I

li

frutti,

egli recava. Allora

desto ei

fu,

sacerdoti e

f'

tutti

chiamossi attorno

parole assai

Su l'argomento grave. Anche

le viste

315

Cose nel sogno lor ridisse, e tacque


Sol ci che udito avea de' mercatanti

di lor

carovane. In

tal

soggetto,

che dite voi? Forse che in questo


Ragion di voi s'accorda, onde ancor vivo
Sia quel pargolo, ovver che l'abbia ucciso
Chiunque
Il freddo o il sole di Tammz?
Disse,

Era

in quel loco, giovinetti e vecchi,

Contro all'antico eroe sciolser

la lingua:

L'ingrato inverso a Dio non giammai

Conoscitor dell'opre egregie. In terra

fra le rupi le selvagge fiere,

Pardi e leoni, e dentro all'acque i pesci,


Gli alligatori ancor, nutron la prole

fan tributo a Dio d'animo grato.

Ma
Il

tu rompi di Dio, dator di grazie,

sacro patto e l'innocente

Cos scacci da

te.

figlio

Ti crucci in core

Pel suo candido crin, bench difetto


sia nel corpo suo leggiadro

Alcun non

E integro e puro. Ma perch poi detto


Non sia da te ch'ei pi non vive, apprestati
E nel cercarlo insisti. Ogni mortale
Cui Dio difende, mai non che perdasi
Per gelo o per ardor. Tu chiedi intanto

Perdono a

Dio, ch'Egli dator di grazie

Ai mortali quaggi, guida e sostegno.


Cos

adunque dovea

Partirsi all'altro

D'Albrz

al

Crescergli

il

l'antico eroe

correr piangendo

monte e investigar

Ei rinvenisse

Venne

d,

il

figlio suo.

gaudio.

la notte,

ancora

se

nel core

Come oscura

e tetra

preselo di sonno

Alcuna brama, quando irrequieta


Ansia l'incolse per l'acerba cura
Del core afflitto. E vide in sogno ancora

316

D'India dai monti alto levarsi al cielo

Uno

Un

stendardo.

garzoncel mostravasi

Di vago aspetto, dietro a lui ben molta

Gente raccolta

Un

nome.

D'inclito

Un

in armi. Egli

da manca

sacerdote avea, da destra un saggio

Sam

di

D'esti

due venia

nel cospetto e in detti acerbi

Cos la lingua a favellar sciogliea:

Uom da impuri consigli e senza tema,


Davver! che tu dagli occhi ti se' asterso
Di Dio rispetto,, se dovea nutrice
Esser per te un augel! Deh! che li vale
Grado di prence? che se in uom difetto
il bianco crine, e se di muschio olezzano
A te sul capo neri tuoi capelli,
i

E questa e quella fu assegnata parte

te da Dio. Della giustizia

il

fruito

IVr ingiusto operar cos tu sperdi.


Vanne luuge da Dio, perch ogni giorno
Pregi novelli hai tu, nuovi ornamenti
Alla persona!

Che

Ma

quel tiglio tuo

fu dispetto agli occhi

l'Eterno

tuoi,

Volle nutrir. Davver! che alla tua prole

Pi amorosa

di

Dio non fu nutrice.

Poi che tu fermo nell'amor non

Sam

cavalier

gemea

stai

nel sonno, quale

Bieco leon caduto al luccio. Allora


Ei tem si pel sogno suo che forza

mal da fortuna
Per voler dell'Eterno. Allor che desi,,
Gli sara di toccar

Ei fu al mattin,

f'

invito a' sapienti,

Dell'esercito suo tutto in arcioni

F'

principi balzar, correndo

D'Albrz
Reietto

Ve

il

ai

monti

figlio.

venne

a ricercar quel

Un monte

suo

egli scovria;

vertice a le Pleiadi vicino,

317

che detto avrest che

gli astri belli

monte

Egl'iva a rasentar. Sovra quel

un nido s'ergea,
Danno o periglio non
Alto

D'ebano

egli

era e

cui da le stelle
venia.

Composto

di sandalo, e inteste

d'alo fra lor le schegge

Erano

Acconciamente.

quella rupe altera

Sani gli sguardi lev, mir al tremendo

Augel del loco e

Un

palagio

Di cui

la

ei

al paventoso nido.
parea veracemente

vetta a rasentar salia

Della Spiga la stella, e opra di

mano

Composto non l'avea, non acqua o limo.


Vide l'eroe che ritto un garzoncello,
Pari a Sani nell'aspetto, all'alto nido
Aggiravasi intorno, ond'egli a Dio

Benedisse dal cor, toccando

il

suolo

Col volto suo, da che l'Eterno tale

Creato avea su l'orrida montagna


Augel felice e a rasentar le Pleiadi

Avea que' greppi suscitati. Ei vide


Ch'era l'Eterno giudice sovrano
E creator, possente, e dei pi grandi
Pi grande assai. Ala

Sam

frattanto

Potean

il

cercava
Come, deh! come

di salir

sentier.

fino a quel loco le vaganti

Fiere un varco trovar? Venerabondo


Egl'iva attorno a l'orrida montagna,

Ma per salir dal loco non scovra


Dischiuso un varco, ond'egli disse in core:
Tu che sovrasti ad ogni loco e superi
La luna e il sol, di nostre alme serene
dimandar perdono
mia; per tema
cor di te, quest'anima abbandono

Inclito Sire, a

Umilio qui

Che ho

in

la fronte

Contrita e mesta.

Che

se usca da' miei


lombi questo

Intatti

318

figlio

mio,

non della semenza rea


D'Ahrimn fraudolento, al servo tuo

S'egli

Porgi aita

al salir, colui

ch' pieno

Di rie peccata, fa al tuo cor gradito!

Deh! tu solleva

in tua misericordia

Questo tuo servo! Rendimi, Signore,


Cotesta
Il discacciato figlio mio!

come

Secreta prece

fu dinanzi

Detta all'Eterno, ratto

Da Dio

Riguardava

Come

Sani

il

Ma

fu accolto.

caldo voto

dall'arduo monte

Simrgh. Tosto

il

ei

s'avvide,

scoverse e de' suoi prodi

ei

L'ampio drappel, che pel reietto figlio


Era venir di s gran gente accolta,

Che percorsa la via lontana ed aspra


Non pel Simrgh avean cotesti. Allora
Di Sam al figlio in questi accenti ei disse:
Deh! tu che
Avesti un

d,

Quella che

Nutrice

ti

li

son

mio nido alta rancura


che ti son io

ilei

ben

sai

allev fida nutrir.


fonte e principio

io,

Di grazia e di favor.

Gioco

inganno

Destn-i-znd.

ti

Come

Ma

f',

al

poi

che

il

padre

nomo t'impongo
natio tuo loco

Sara' tornato, dirai tu che

il

prode

Che maestro ti fa. con questo nome


Ognor ti appelli. Il padre tuo gagliardo,
Sam. gran vassallo d'esto regno, quale
mezzo a" prenci pi solleva in alto
L'eretta fronte, a ricercar ne venne
A questi monti il figlio suo. Ridesto
onor di te con grazia appo quel trte,
E bene a te sar ch'io ti levando
In

Incolume

Come

ti

rechi innanzi a

cotesto dal

Simrgh

lui.

intese,


F' lagninosi

occhi suoi, d'angoscia

gli

pieno

garzoncel. Conforme

Il

cor

lingua del Simrgh,

le'

Formar

319

il

ei

ben sapea

parole, ed era in lui saggezza

Molta e d'assai con sapienza antica;


E poich molti umani ancor veduti
Ei non aveva, dal Simrgh appresa
L'arte avea del parlar,

si

che favella

prudenza egli avea, saggio consiglio

E chiedere all'Eterno anche solea


Per s medesmo aita. Or vedi intanto
Ci che al Simrgh ei disse: Oh! veramente
Stanco

sei

tu del tuo

compagno!

Il

tuo

Eccelso nido m' pur sempre lieto


E dolce albergo, e son di mia corona

Almo splendore

vanni

Degg'io

tuoi.

Dopo l'Eterno a te grazie- maggiori,


Che per te mi si fea stato infelice

Cosi rispose:
Agevole a portar.
vedrai tu de'
serto
il
trono
e
Se il
Del diadema imperiai la pompa
E l'alta maest, forse che all'uopo
A te pi non verr questo mio nido!
Or fa una prova di tua sorte. Lungi

regi*

ti vo' per inimico


Senso del cor, ma s ti rendo al tuo
Avito regno. Fu addicevol cosa

Di qui non io

A me che meco tu qui fossi accolto,


Ma quello pi di questo esser ti dee
Stato gradito.

Tu

frattanto reca,

Porta con te una penna mia per essa


A mia divina maest congiunto
Sempre ti serba. E se mai fla che grave
La distretta ti giunga e alcun contenda
;

mia penna
ben tosto

del bene e del mal, questa

Gitta nel fuoco, e tu vedrai


me

Di

320

la maest. Ch'io

ti

nudrii

penne mie, co' figli miei


Qui t'allevai. Ratto verronne allora
Sotto a le

Come nuvola

fosca, e a

questo loco

Ti render senza che tocchi offesa.

Ma

tu dal core non cacciar memoria


Dell'amor della tua dolce nutrice.

Che l'amor tuo ben dentro


Cos nel core

Alto

il

Fino

alle

al

cor mi scende!

consolava. Allora

il

con impeto possente

lev,

nubi

sollev, poi ratto

il

Con voi maestro al genitor lo rese,


Quando gi il bianco crin sotto a quell'ale
Era cresciuto e n'era il corpo quale
Di fera belva

Eran

le

il

corpo e gaie e fresche

gote sue qual primavera.

Pietosamente a lagrimar si pose,


il
vide, il vecchio padre.

Tosto che

Il

capo

L dinanzi al Simrgb rapidamente

Umiliando, alle preghiere sue


Voti aggiunse ed auguri e cos disse:

Re

degli augelli, per ci

appunto [ddio

Ti die ragione e maest con forza,

Onde

aita porgessi agl'infelici

ben tu giudicassi ogni contesa


Di chi va contendendo. I rei nemici
in

per
rimani

Attriti sian

te,

Deh!

in

In
Il

ci

qpiell'istante a

Simrgb.

Eran

di

risala.

Sam

ma
tal

tu in eterno

poter sovrano!

l'orrida

Fermi

montagna

su lui

de l'accolta genie
Ma l'antico eroe

Gli occhi Inainosi.

Dal capo

al pie

quel giovinetto

Si pose a riguardar.

Egli era

di

figlio

Davver! che degno

d'imperiai corona

trono regal, che

il

petto e

il

braccio

321

Di leone egli avea, di sol l'aspetto,

Cor di gagliardo, man che disiava


Un brando acuto. Candide le ciglia
Avea, ma brune qual disciolta pece

Le sue

pupille e qual corallo

labbro

il

E rubiconde come sangue acceso


Le

belle gote.

Alcun

difetto in lui

Non era gi fuor de' canuti peli,


E d'altro mancamento alcuna traccia
non

In lui cercar

si

potea.

Ma

il

core

Di Sani guerrier per la sua molta gioia

Fu

qual superno paradiso, ond'ei,


Benedicendo al puro figlio suo,
Figlio, dicea, pietoso il cor deb! volgi
A me pur anco, le passate cose

Non

ricordar,

Caldo

il

ma

di

novello

amore

cor fa per me. Son io de' servi

L'infimo, adorator di Dio possente.

poi che in oggi

ti

riebbi, sacra

Fo a Dio sovrano l'impromessa, ch'io


In nessun tempo mai spietato core
Avr per te. Nell'opre tutte, e buone

triste ancora,

Io cercher,

Tu

il

piacer tuo soltanto

che d'oggi

in poi, qual cosa

chiederai, cosa addicevol

fia.

Eroica veste alla persona intanto


S gli vesta, poscia dall'arduo

Indietro

volle

il

il

monte
monte

pie volgea. Scese dal

suo destrier, chiese un

Di s ben degno, e

ammanto

le raccolte genti

Veniano intanto d'un sol moto innanzi


prence Sam. Venan beate e liete,
Aperto il core. Un elefante allora

timpanisti addussero concordi,

polve all'etra

Tinto in azzurro
FlRDUSl,

I.

si

lev qual monte

di

lontano. Fremiti
21


Fr

322

di timballi e strepiti di crotali

D'indica foggia, di sonagli fulgidi

E di trombe un
Levar pur anco

fragor.
i

Le

voci altissime

cavalieri e l'orrida

Via superar con molto gaudio e giubilo,


Fin che gioiosi alla citt si resero,
Con gran pompa ed onor vi ritornarono.

Invito di Mincihr.

IV.

(Ed. Cale. p. 103-109).

Di Zabl venne intanto est novella

l'iranio signor,

che gi disceso

Era

Sam

Con
Per

fausta suri e Minochr fu lieto


tale

cavalier dalla montagna

annunzio ed invoc l'Eterno

Molte fiate. Or'egli avea due


Eletto

fior,

molto senno,

di

Con regia maest, di fede


Nvdher nome del primo,
Era

il

Veloci

nomo
s

figli,

arditi.

integra,

e del secondo

Zersp, nella palestra

qual d'Azergashaspe

La sacra vampa. Ei comand che tosto


Nvdher illustre andassene correndo
Appo Sam cavalier. Come veduto
Egli avesse

Destn, di

Sam

Allevata in un nido, una

di

progenie

prence

Degna benedizion fargli dovea,


Per tal gaudio e piacer che si mostrava,
Richiamarlo

al

suo re perch palese

S gli facesse ogni secreta cosa,

Indi in Zabl

si

pur costume
Come a Sam

ritornasse, quale
di chi
di

a prenci servo.

Nirm

fu

giunto accanto,

323

Nuovo un gagliardo, giovinetto ancora,


Nvdher quivi ammir. Dal palafreno
Sani cavalier discese allora, ed ambo
Al seno ei si stringean. Sam fece inchiesta
Di prence Minocihr, de' prodi suoi,

Nvdher

di tutti gli die

Come

illustre

cenno intese
Del suo gran re, baci la terra il prode
Sam prontamente e rapido si mosse
Liete novelle.

il

All'ostello regal, qual fu precetto

Del nobile signor

di serti

Zal giovinetto a
Ei

f'

amante.

un elefante sopra

posar, velocemente poi

Alla reggia l'addusse. Allor che prossimo


Fu alla regal citt, quel re di prenci
l'esercito suo mossegli incontro;

Con

E Sam,

di

Minocihr come scopra

L'alto stendardo, gi balzando a piedi

Dal suo destrier, s'avanz ratto. Quivi


la terra ossequioso il prode

Baci

E disse: Vivi, o re, lieto e beato


E con alma serena in sempiterno
E Minocihr segno gli fea che in

sella

Si ritornasse l'uom fedele al prence,

L'uom

di

cor puro, e tosto al seggio iranio

Volser la fronte,

Sam

il

re lieto d'un serto,

d'un serto bramoso. Ivi sedea

Re Minocihr beato

al seggio suo,

Postasi in capo la regal corona,

E da un lato egli avea Kren illustre,


Sam dall'altro egli avea. Letiziando
Ivi

Con

sedean con giubilante


fiero incesso intanto

il

il

core.

maggiordomo

Zal adducea dinanzi al re, pomposa-

mente fregiato, con un aureo serto,


Con una mazza in fulgid'or. Stupia,

324

Ma

Stupa di lui l'iranio re.


Cos a

Sam

favell:

poi

Davver! che pari

Niuno in terra a costui Con tale altezza,


Con tal volto leggiadro e tal statura,
Ben tu diresti ch'egli all'alme infonde
Aggiunse il re: Tu prendi
E amore e pace!
Per me in custodia esto fanciullo tuo,
!

Sam cavalier; ne tu l'offenderai


Per alcuna cagion, lieto per altri,
Fuor che per lui, non sarai tu, che certo
Egli ha di prenci maest nel volto,
Artiglio di leon, de' saggi

de' vegliardi

il

core

il

Or

senno.

tu gli apprendi

L'arti e le leggi degli assalti e tutta

De' conviti la gioia e

il

lor costume.

non vide fuor che augelli e monti


E un nido eccelso. Come adunque il regio
Costume e la sua pompa e la sua gloria
Nulla

ei

Potrebb'egli saper?

Dell'opre allora

Arcane del Simrgh, dell'arduo monte,


E del perch dispetto e vii gli parve
Chi pregio avea, Sam valoroso e prode
Al suo re favell, disse del cibo

del dormir su que' deserti monti

Del

figlio suo,

Anche

il

del suo nascosto albergo,

secreto disvel per cui

Zal cacciato egli avea,

fin

Stagion quest'alto ciel su

che per lunga


lui si volse.

Per comando di Dio, signor del mondo,


Venni d'Albrz a le montagne, al loco
Aspro e deserto. Scorsi un alto monte
Col vertice sereno in fra

le

nubi.

Tal che detto avrest che un


Egli era

A un

s di pietre

ciel

novello

adamantine

gran mar sovrastante. Ivi era un nido


Quale ingente palagio, e d'ogni intorno


Chiuso era

325

varco ad improvviso danno;

il

eran del Simrgh i piccioletti


Nati e Zal garzoncel. Detto tu avresti
Ch'egli erano fra lor dolci compagni.
Davver! che all'aura che ne venne, in core
Ebbi sentor d'affetto e dentro al core
Ivi

Del

figlio

Dolce un

mio

quale

la ricordanza,

conforto, ridestai.

Ma un

varco

Non

era al monte in niuna parte, ed io


Corsi e ricorsi pi fiate attorno

Da questo

Amor
E gi

loco a quello. Oh!

ma

nel seno

levossi del perduto figlio,

parea che l'anima partisse


cor nel grave affanno. Allora

Da questo

mi

In questi accenti

rivolsi a Dio,

Giudice santo: Deh! Signor che aita


Sei de' mortali e dura non ti tocca

ovunque
non volgesi
cenno tuo conforme, io qui mi sono

Necessit, di cui son chiari


1 segni attorno,

Che
Pien

al

peccata

di

Dinanzi a

de

mentre

la

il

il

ciel

cor, misero

servo

sire di questo sole

te,

bianca luna. Ecco! riposa


in tua piet, ne

La mia speranza

Altra aita per me.

Ma

d'altri

questo servo

Che un augello educ, che in tristo e misero


Stato allevato fu sul monte e pelli
Vest a le membra, non serico ammanto,

del latte nel

tempo

le ferine

Carni succhi, tu mi ridona, ovvero


Aprimi un varco a lui, l'aspra fatica
Fammi tu breve! Non crucciar quest'alma

Per il
Rendi

tristo

amor

mio, rendimi

il

figlio,

a questo cor! . Cotesto


Ratto ch'io dissi, per voler di Dio
Fu accolto il mio pregar, che batt l'ali
la luce


Ampie

Simrgh e

il

sue rote sovra

f'

320

lev alle nubi

si

capo a noi

il

Di Zal in

monte
nube a primavera.
grembo l'agile persona
pria. D'una fragranza eletta

Fu

il

Cinti d'usberghi. Poi dall'arduo

Gi

si

cal qual

Toltasi in

pieno

itti

loco qual d'intatto muschio,

riguardar secche

io nel

gli

le fauci,

occhi avea, che per timore

Del riero augello e per intensa

Del
Il

figlio

me

mio, senno di

in

brama
mia mente

loco suo pi non avea. Dinanzi

A me

il

rec

figlio

l'inclito

Come nutrice che ha


E la mia lingua ratto

augello

amor fermezza,

in

sue lodi

le

Incominci. Davverl che inclito omaggio


Feci al Simrgh! Allora, oh meraviglia!,

Lasciommi

figlio e ritornossi in alto.

il

Detto avrest che a quest'azzurra avvolta

Congiunto era del ciel.


il re de la terra

Appo

Ma
io

Ogni secreto disvelando a


Agli astrologi allora,
A' saggi tutti

ai

precetto

f'

il

giovinetto

qui m'addussi,
lui.

sacerdoti,
il

sir^:

Or ricercate qual di Zal nel cielo


La stella sia, chi domini quell'astro
Per la fortuna sua, che sar un giorno
D'esto fanciullo poi che grande e forte
Ei

si

far. Questi

Tutti esplicar.

argomenti d'uopo
Dell'astro del fanciullo

E sacerdoti e astrologi ben


Un indizio cercar, poscia a

chiaro
([nell'inclito

Signor d'Irania rispondean: Costui


sar, vigile e saggio

Famoso eroe

gagliardo e animoso,

Duce

ei

pur

prestante, vincitor d'eroi

di forti

di leoni

327

domator possente

Queste parole come ud, nel core


L'iranio sire giubil

disciolta

L'alma di Sam guerrier dal grave affanno


Ratto ne andava. Della terra il prence,

Perch ciascun benedicesse a quello


Con lieto augurio, nobil dono intanto
Si gli apprestava, con dorate briglie
Arabi palafreni, indiche spade

Con

dorati lor foderi e broccati

Di seta e fulgid'or con bei rubini

di tappeti

una gran

Garzoncelli di Grecia

Ancora

copia.
ei

v'aggiugnea

Succinti in greche vesti, ond'era

il

fondo

In nitid'or con sopra artificiosi

Rabeschi in

gemme

rilucenti,

ancora

Dischi ei die di smeraldo e in bei turchesi

Un nappo

e in fulgid'or con

puro argento,

Colmo di zafferan, d'intatta canfora


E di muschio odorato. I ricchi doni
Regi valletti gli recar dinanzi.
E gualdrappe ed usberghi e caschi ed elmi
Anche apportar con ponderose clave,
Con aste e brandi. Un seggio ancor fu addotto
In bei turchesi e un aureo serto e un cinto
Dorato e di rubino ampio un suggello.
Minochr, per amor che avea pel prode,
Regio editto not; laudi eran quivi
In ogni parte qual di paradiso.

Tutta la terra di Kabul, con May,


Con India e con Denbr, poi discendendo
Fino al mare di Sind, fino alle parti
Di Rust venendo dal Zabl, novellamente nel regio editto in ferma guisa

Fu descritta e notata. Ecco


Come fr pronti col novello

!,

que' doni
editto,

328

Del gran vassallo dell'iranio impero

Fu

chiesto

Sani in pie

il

palafren. Fatto cotesto,


cos dicendo:

si lev,

l'eletto de' prenci,

In tua giustizia,

che

o giusto e vero

t'elevi in alto

Quanto s'eleva d'est errante luna


Sublime il cerchio, come te sul capo
Niun de' regnanti cinse il diadema.
Per l'amor tuo, pel tuo consiglio eletto.
Per tua nobil natura e il senno tuo.
Da' moti suoi riposa

il

Fato. Innanzi

ben vile
Sono i tesori della terra. Oh! nullo,
Fuor che del nome tuo, segno ci resti!
Cosi discese dall'arcion. Die un bacio
timballi
Al trono imperiai, mentre
cotesti occhi tuoi cosa

Altri avvincci sul dorso agli elefanti.

Al Zabl cos andavano que' prodi,

villaggi e citt

rimirarli. Poi

yenan plaudenti

che Sam vicino


Giunse alla terra di Nimrz, novella
Attorno and di cotal prence, onore
Del

mondo

e luce, ch'ei venia con regi

Doni e con serto in fulgid'or, con nuovo


Editto e con decreto e con un cinto
Che d'or splendea. Qual paradiso in cielo
Tutta fu adorna di Sistn la lena.

Che muschio

fu

la

polve in su

le vie

d'or coperte le pareti. In copia

di muschio e nummi in fulgid'oro


Furon commisti, si gittr dall'alto
E monete d'argento e zafferano,
Onde fu per la terra alta una gioia,
Fra grandi e servi, in ogni loco, ovunque;

Polve

a*a allor prence


E se alcu
Fama voglioso, da ogni parte

di

bella

attorno

329

Della terra venendo a Sani illustre.


Cos dicea: Di questo, garzoncello
Fauste sian l'orme, o nobile guerriero,

Di lui che ha giovinetto e vergili core!


Come gridar questa sincera lode
All'antico guerrier, piene le mani,

Oro a Zal ei gittr. Chi fu ben degno


D'un regal dono ed era saggio e sire
Di genti in terra, ebbe, qual fu misura
De' merti suoi, dono reale e grado

Anche chiese maggior. Ma Sam

quel diletto

figlio

illustre

suo de' regi

Tutte per dimostrar l'alte virtudi,


Molti raccolse da ogni terra intorno

Maestri e saggi e

parole assai

f'

Acconce e oneste. Sacerdoti,

ei

disse

quegl'incliti saggi, o voi d'integro

Gore e avveduto, questo pur comando


Del principe avveduto onde l'esercito
Ratto pongasi in via. Forte una schiera
Io nel Kergsr e nel Maznd in armi
Guidar sapr,

l'anima e

Versa

il

ma

restan qui con voi

cor mio,

di doglia

Ne' miei giovani

che

umor che
d,

il

mio

ciglio

vien dal core.

nei giorni primi

Di mia fierezza stolto e

folle

invero

Un giudizio fec'io. Diemmi l'Eterno


Un figlio, ed io lo ripudiai, suo pregio
Non riconobbi nella mia stoltizia.

Ma

Simrgh, valoroso inclito augello,


che alle sue cure Iddio
Volle affidarlo. Vile a me parea
Ci che all'inclito augel cara e pregiata
Cosa sembr, ch'ei l'educava intanto
Fin che crescea qual nobile cipresso
In un giardino. Come poi giugnea
il

S l'allev,

330

Propizio tempo di piet, mi rese


discacciato figlio mio l'Eterno,

Il

io questo mio figlio


Per dottrine che apprenda a voi confido.
Per che l'anima sua qualche splendore

Signor del mondo. Or

Abbia per pregi ch'ella

acquisti. Intanto,

Ch'egli l'erede mio, sappiate voi,

Ch'egli appo voi pegno di me. Gradito

L'abbiate adunque e dategli consiglio

la via di

sua grandezza e

il

modo

Gli addimostrate, ch'io gi parto, al

Dell'iranio signor, contro

Dell'esercito
A.

Zal

si

mio

coi

a'

sommi

cenno

nemici
duci.

volse e cos disse: Apprendi

Grazia e giustizia e cercati la pace.


Sappi che di Zabl tua la dimora
veramente, che quest'ampio regno
Al tuo comando sotto

sta.

Qui sempre

Ti sia pi lieto e pi giocondo

il

tuo

Soggiorno e l'albergar, per te pi lieto


Il cor di chi t' amico! A te dinanzi
Si sta la

ni osto
i

chiave de' tesori mici.

mio cor

si

fa

dolente o lieto

Sol per disdetta o per deso compiuto


Di
Il

te,

che qual cosa o chieda o brami

sereno tuo cor, tu

fa,

tu adopra,

Sia che feste tu chiegga o

pugne o

assalti.

Zal giovinetto cos disse allora

Sani illustre: Vivermi qui solo

Come, oh! come potrei?... Che se qualcuno


Nascer pu in terra dalla madre sua
Qual reo di colpe, io mi son quello, e degna
Cosa davver ch'io mi lamenti e pianga
Per giusto dritto. Poi che pi d'assai
Da te lungi m'avesti, or non tenermi
Da te lontano ancor, che tempo venne


Fra noi

331

Un

di pace.

sotto gli artigli

d,

D'un fero augel, quando sul duro suolo

Mi strascinava e di carni ferine


Il sangue mi suggea, mi fu dimora
Un nido, compagnia gli augei del cielo
Nella stagion ch'io pur d'augelli agresti
Fui della schiera. Ed or qui mi rimango

Lungi da chi gi mi nutria. Davvero!

Che

cos m'allev la sorte avversa,

mi toccasser fra le rose


Ma non qui modo
contrastar con Dio, signor del mondo.

Per che

sol

Le acute

spine.

Bello del core disvelar l'arcano,


Dissegli

il

padre. Or tu

Qual desire in

gli astrologi

Secondo gli
Perch qui

un

astri,

disvela e

gli

dimmi

indovini

buono un

consiglio,

a te donar, tua sede

fosse e

il

tuo riposo, quivi

De' tuoi la schiera, qui

Modo non

il

Gi

te.

il

tuo serto.

Ed ora

di superar decreto

ciel rotante, e per a questi lochi


Acconciar l'amor tuo tu di volente.

Del

Raccogli intanto stuol di cavalieri


A te d'intorno, d'uomini gagliardi

Amanti

del saper.

Ogni dottrina, e

Tu apprendi

e ascolta

diletto t'avrai

D'ogni dottrina. Dal goder, dal porgere

Doni agli amici non cessar, saggezza

Adoprando

e giustizia in tutte l'opre.

Siedi ancor co' pi saggi e sapienti,

Che l'uom ch' ignaro, non ha leggi o norme,


Non ha costume, e il tuo nemico stesso,
Adorno di saper, meglio d'assai
i

D'amico indotto e

rozzo...

Il

figlio

mio

Tu sei, l'erede mio, la guida eletta


E l'amico del cor. Bene ho speranza


Da Dio signor che
Conta nel

332
i

nostri d fugaci

che per amica sorte

ciel,

sovrano poter sarai

felice.

Disse cotesto, e fremito di timpani

Levossi e bruna qual disciolta pece


Si f' l'etra del ciel, qual

La terra nereggi. Romor

scheggia d'ebano
di crotali

D'indica foggia e di sonagli in alto

Dal vestibol mont de' padiglioni.


Quando con trentamila eroi pugnaci.

Come

biechi leoni in tempo d'armi.

Part quel duce per la guerra. Schiera

era ben quella!


per la dirotta via

Dis'iosa d'assalti

Due

staz'ion

Seco Zal discendea, per veder come


padre suo l'esercito guidasse

11

A' campi attorno. Strettamente

Si prese

al

seno

genitor Zal giovinetto

il

E incominci meraviglioso un

gemito,

che pur anco Zal molli di pianto


F' gli occhi belli e lagrime dal core
Gi vers por le gote. Un cenno alfine
Si

S gli f'

Per

la

il

genitor

sua via.

Al trono suo,

di

di

ritornarsi

di ritornarsi lieto

sua corona al fasto.

Sam, redasi allora


Mesto e pensoso per qual foggia mai
Viver lieto potea senza quel padre.
Destn,

figlio di

Sull'inclito suo seggio in levigato

Avorio

assise e

la

corona fulgida

Posesi in fronte, con un bel monile,

Con una clava in man che di giovenca


Avea la testa, in duro ferro sculta,
Con un'aurea collana ed una cintola
In fulgid'or. Da tutte parli attorno
Cos ei chiamava sacerdoti e inchieste


D'ogni argomento

Sermon

E
E

333

fea,

argomento

d'ogni

tenea. Gagliardi cavalieri

astrologi e indovini e sacerdoti

eran sempre
tenean consiglio
Di cose varie. E Zal veracemente,
Per ci che appreso avea da quelli assai,
belligeri eroi seco

Tutta

Tale

la notte e

si

f'

il

d,

che detto avresti allora

Esser egli un bell'astro per

Leggiadra

luce.

Per sapienza, a

Per
cotal

sua

la

consiglio eletto,

punto venne

Ch'ei per la terra niun vedea che pari


Fossegli veramente: e quel costume

Di nobil cavalier tale fu allora

Per tutto il mondo, che di lui sermone


Feano i principi tutti; anche stu piano
Di sua belt uomini e donne, e ratto

Che vederlo

potean, gli fean corona

Subitamente. Chi vichi gli stava


E chi da lungi, nerissimo il crine
Di lui credea qual nero muschio, e bianco

Era

il

crin

come

canfora. Si volse

Rotante il ciel cos, spargendo amore


Sovra Sam, sovra Zal, fin che ad un giorno
Avvenne s che il giovinetto eroe
Deso form d'andarne per il regno
Dal loco suo. Con suoi fidati eroi,
De' quali una con lui l'intatta fede
E la norma e il costume, usc d'un
D'India alla terra

si

rivolse,

tratto,

ancora

Kabul, di Mergh, di May


Ponea regale un seggio
Denbr.
E
In ogni loco e vin chiedea pur anco
E musici e concenti. Eran dischiuse
De' tesori le porte ed ogni affanno

Al

confili di

di

Cacciato in bando, qual pur costume,


Qual pur legge
Vita

Da

breve.

334

nostra

di cotesta

que' giorni ei venne

Di Zabl in Kabul con fiero incesso,


Gol cor cbe sorridea, gioioso e

V.

Amori

lieto.

Zl e di Rdbeh.

di

(Ed. Cale. p. 109-1H).

Mihrb

nome, visse un

di

ricco di tesori e

possente

re,

cui deso

il

Lungi ne andava. Un arbore gentile


Nella statura sua, nelle sue gote

Come

gioconda primavera, avea

D'un fero augel


Il

cor, la

l'incesso.

mente avea

Avea

De' sacerdoti la saggezza e


De' valorosi.
Dall'arabo

di

Il

omeri

gli

nascimento suo

Dahk

Kabul

de' saggi

de' sapienti,

egli traeva

tutta la terra e

campi

Signoreggiava. Ogn'anno a Sani guerriero


Egli

inviava un debito tributo.

Che poter non avea


Di contrastar.

Come

seco

Di ci che fea Destali

Del primo albore

Con
Con

in

battaglia

l'annunzio egli ebbe


Sani, al tempo
Kabul discese

di

ei di

tesori e destrieri alto fregiati,

giovinetti paggi e con dovizie

D'ogni maniera, fulgide

monete

Rubini e muschio e agalloco odoroso,


Drappi e vesti di seta Lnteste d'oro.
aspro di gemme, degne
D'un re sovrano, e d'auro un bel monile

Un diadema

Tutto a smeraldi.

di

Seco

Kabul
egli

tutte

le

principi, quanti erano,

-enti

addusse per

la

armate
via

dirotta.

335

Poi che a Destn l'annunzio venne, un prence


Illustre e saggio, in tutta sua grandezza,

Venir da lungi, incontro a


Zal giovinetto e

mosse

lui si

accoglienze

gli f'

Oneste e liete, gli die nuovo grado


Qual costume de' regnanti. Ei vennero
Poscia ad un trono di turchesi adorno,
Vennero aperto il cor, nel cor bramosi

apposero

gen'ial convito, e ratto

Di

Una mensa da

quella

Vino

mensa

eroi, tutti si assisero


i

principi famosi.

coppieri e nappi rilucenti

Apportar,
Figlio di

ma guardava al giovinetto
Sam con anima sospesa

L'avvenente aspetto
s che per lui pi caldo
Ei sent il core. Oh s! l'anima e il core
E la mente pur anco a lui donava

Mihrb

intanto.

Piacquegli inver,

Mihrb

allor per tal saper di lui!

Dalla mensa

come

di Zal

levossi

la nobile statura

Prence Mihrb,
Zal ne ammirava e

la

cervice eretta,

Onde a' suoi prenci favell: Chi mai


Pi degno di costui stringesi al fianco
La cintola regal?... Uom non in terra
Di tal statura, di tal volto, e mimo,
Tu diresti, emular lo [tuo fra l'armi.
A' prenci in mezzo, un glorioso allora
Cos parl: Del regno o gran vassallo.

Di lui nel gineceo

Di

si

cui pi assai di

sta

una

questo

figlia,

sol

risplende

al piede
Leggiadro
D'un eburneo candor, qual primavera
il

volto.

Ell' dal

capo

Le gote sue, d'un agile arboscello


La sua statura. Su le argentee spalle
Scendono a

lei

le

brune trecce,

ai capi

330

Ravvolte come anel. Son le sue guance


Qual melagrano, qual vermiglia pruna
Le labbra e sorgon da l'argenteo seno

Due grani rubicondi. A bei narcisi


In un giardin son gli occhi eguali, il ciglio
Nero qual penna di corvino augello;
Piegate son

le sopracciglia

a foggia

D'un arco di Tirz, di cui nereggia


Lucida e folta la coperta. Cerchi
La bianca luna? ben costei nel viso
Candida luna, e se fragranza cerchi
Di muschio, sua quella fragranza. Bella

Qual paradiso ell', tanto ell' adorna,


Piena di grazia e di dovizie e dolce

cara, si davver! ch'essa ben degna

Di

famoso prence. Ella somiglia

te,

questa luna che pel ciel va errando.

come

Zal,

Sent

Per

ud queste parole sue.

muoversi

la

in

cor ratto L'amore

leggiadra donna. Tu gran tumulto

Balzgli

cor.

il

Partan da

lui

che ben

fu

che

tosto

ragione e pace. Venne

La notte, ed ei sedea dogliosamente


Ne' suoi pensieri, dolorando all'alma
Per lei non vista ancor. Poich sul monte
Un raggio il sol vibr, poich divenne
La

faccia

bruna de

la

lecca quale

canfora lucente, ecco! schiudea


Destn Qglio di Sam le porle sue

E
prenci v'accorrean con le lor spade,
Con lor vagine in fulgid'or. Quell'aula
i

Del giovinetto eroe tutta adornarono


Di lor presenza, e

come

Lor palafreni valorosi ed

Re

di

tosto ei chiesero
incliti.

Kabul, usci Mihrb, sen venne

Di Zal, re di Zabil, ai padiglioni.


Come

337

un grido

fu accanto al regio loco,

Alto levossi da la soglia:

Il

varco

Quel nobile guerriero,


Quale un albero eccelso che novelli
I frutti reca, entr cos dal prode
Schiudete ornai!

Giovinetto, e di Zal giubil

Zal gli

Su

f'

il

core.

oneste le accoglienze ed alto

gli altri tutti l'elev,

poi disse,

L'interrogando: Ci che vuoi, tu chiedi,

Trono e regal suggel, cimieri e spade.


Re, Mihrb gli dicea, dal capo eretto,
Invitto, prence ne' comandi tuoi,
"Un sol desire ho qui nel mondo, e grave
II mio desire a te non . Deh! vieni
Con la tua gioia al mio castello e fulgido,
Come quest'almo sol, rendi il mio spirto!
Retto consiglio non questo, a lui
Zal rispondea, n per me acconcio un loco

in
Sam

tua casa giammai. Consenziente


in ci

non

sara, non,

quando

il

sappia,

L'iranio sire, perch noi bevessimo

Con

te del vino e fossim'ebbri e

Alle case di genti che


Agl'idoli bugiardi.

Ad

si

andassimo

prostrano

altra cosa

Che tu dirai, darem risposta noi,


Che in vederti poniam gioconda cura.
Mihrb, come ascolt, f' auguri e voti,

Ma nel suo core giudic che impura


Fosse di Zal la f. Ratto di lui
Dal trono si lev con fiero incesso,
Benedicendo a quella del garzone
Propizia sorte. Gli occhi a lui nessuno
Allor rivolse, che un d gente estrana

Reputavanlo ancor; perch'ei non era


D'una medesma f, non d'una stessa
Legge o costume, fr le lingue, invero,
Fibdusi,

I.

22

338

Corte a far lodi a lui! Ma poi che dietro


Di Sani il figlio riguardava a lui,
Molte, com'era degno, ei ne

f'

lodi;

prenci che vedean che per lui caldo


Era d'amor quel giovinetto eroe
i

Di cor sereno con tal lode,

Ad uno ad un, fer


Ad che di lei nelle

di

tutti,

Mihrb

le lodi,

sue stanze ascosa,

Pel fiero aspetto e la statura e


Suo far cortese e la modestia e

Ma
D'un

il

cor di Zal furente

tratto.

Lungi n'era

Di ragion tenne

il

loco.

il

si

il

dolce

il

senno.

facea

senno, amore

Arabo un prence,

Signor di saggi, una sentenza in questo


Gi dir solea: Fin ch'io sar alla vita,
Di sposa in loco mi sar

tetto

mi sar

il

destriero

del ciel rotante

L'azzurra volta. Sposa non


Che fiacco ne sarei, degno

vogl'io,
di spregio

Fu trafitto adunque
Appo i pi savi .
Da ben molti pensier di Zal il core,
Che sempre e sempre il cor mesto e dolente

Ma da parole
ne potea, quel cor fu tristo,
Per timor che offuscarsi l'onor suo

In ci fermo ei tenea.

Che

altri far

Potesse in

lui sul

ci.

Cos volgeasi ratto

capo questo

Stagione ancor;

Era quel cor

ma

ciel

per lunga

pieno e traboccante

di ribollente affetto.

Avvenne
che un giorno, al primo albore,
Prence Mihrb usc, part dal loco
In che fu accolto. Lodi fra s stesso
poi

Ei fea di Zal, del valor suo guerriero,

Del braccio suo,

di

sua

viri! fierezza

E dignit. Pass nel gineceo,


E due soli ivi scorse entro a

sue stanze,


Un Rudbeh,

339

leggiadra nel bel volto,

L'altro Sindkht, affettuosa e saggia,

Ambe, quale un giardino a primavera,


Adorne e belle, ricche di bei fregi
E di fragranze elette. Ebbe stupore
S veramente per Rudbeh sua
Prence Mihrb ed invoc l'Eterno
Per lei, che l vedea snello un cipresso

cui dall'alto d'est bianca luna


il cerchio. Posta ella s'avea

Sovrasta

D'ambra lucente una corona in capo,


E di gemme era adorna e di broccati,
Qual paradiso di dovizie piena.
Ma Sindkht a Mihrb f' tale inchiesta,
Come perle mostrando in fra le labbra,

Come

giuggiola rosse,

bianchi denti:

Oggi deh! come andasti e come festi


Ritorno a noi? Lungi da te mai sempre
La man della sventura!... Or di'! Chi mai

di

Sani esto

figlio

Qual se di vecchio,

a cui biancheggia,
capo? E si ricorda

il

Del trono forse o del suo nido? Ancora


Serba natura d'uom? Calca egli forse
D'uomini illustri le vestigia?... E questo
Zal fortunato che

mai narra e dice

Del Simrgh? E di volto e di persona


Questa risposta
E d'aspetto qual ?

Le

die Mihrb:

Vaghissimo cipresso

Dal sen d'argento e dal bel volto, in terra


Fra tanti eroi non guerrier che ardisca

Premer l'orme di Zal. Adorna immagine


Non si dipinge in nobili castelli
Con redini e con man pari alle sue,

Ne
S

famoso un eroe sale in arcioni


ei fa. D'un leon maschio il core

come

Ha veramente

e vigor d'elefante,

340

son le mani sue quale un gran mare


Quand'ei fa doni. S'egli asside in trono,

Oro spande

nemiche

all'intorno, e le

Teste sparge dovunque allor ch'ei scende


In fiero assalto. A porpora somigliano

Sue gote rubiconde, e giovinetto


Egli negli anni suoi, vigile e accorto,

Ancora

giovinetta la sua sorte.

suo crin, col valor suo


Un fero alliga tor vince e conquide,
Ch'egli davver ne la battaglia quale

Glie biancheggi

il

Un fero alligator che d sventura,


E su l'ardua sua sella un drago orrendo
Dai

Fa tacer

fieri artigli.

la

polve

Nelle battaglie sue col sangue sparso


Quando il suo ferro al torno corruscante
Ei fa vibrar. Sol

mancamento questo

Ch'egli ha candido

il

crin.

che

sol

questo

ricercando ogni maligno. Eppure


Bene gli sta quella bianchezza, e ch'egli

Va

Con

ci

Come

inganna ogni

cor, dir tu potresti.

ascolt queste parole, in volto

Rudbeh

s'accendea, fea le sue gote

D'un bel color di melagrano. Il core


D'un fuoco le si emp di amor cocente
Per Zal guerriero, e lungi fu da lei
Voglia di cibo e

Poi che in

lei

di

Un novello deso,
E nell'indole sua

di

quiete e pace.

ragion

si

prese

il

loco

nel suo costume

diversa appaine

Deh! quel saggio qual mai parola acconcia


Un giorno disse! Innanzi a donne mai
D'uomini tu non far, disse, ricordo.
Anche ad un Devo cor di donne asilo
Esser potr, ch'elle da ci che udito

Hanno a

ridir,

prendon consiglio e norma

341

Rudbeh avea cinque turanie

ancelle,

Ancelle e schiave insiem piene d'amore.


Ella disse a coteste e accorte e saggie

Donzelle sue: Vogl'io secreta cosa


Disvelarvi dall'intimo. Custodi

Del mio secreto


Le ancelle mie,

di

In ogni affanno.

Ed

siete voi, voi siete

me

consolatrici

or, sappiate voi,

Voi tutte cinque, e siate conscie, e intanto


Sorte propizia in ogni tempo abbiate,
Ch'io m'agito d'amor, quale in tempesta

Un ampio

mar, di cui l'onde sobbalzano

ciel. Pieno d'amore


Per Zal questo cor mio sereno un tempo,
S che non pur nel sonno il suo pensiero
Da me cacciar poss'io. D'amor per lui
Trabocca ornai quest'anima, e il suo volto

Alla volta del

La

il

costante pensier di questo core,

il giorno. Fuor di voi,


nessuno
L'arcano mio conosce, e voi nel core

notte e

Amor per me nutrite e siete accorte


E siete saggie. Or voi, qual mai riparo
In ci porrete?

Qual con

Che

Che vorreste mai?

me comporrete

intimo patto?

arte sottil qui dee trovarsi e sciogliere

Col cor l'anima mia da tanto affanno.

Venne stupor ne le donzelle invero,


Che opra s trista e rea da regal figlia
D'antichi re cos nascesse. Tutte

Risposta le apprestar, balzando in piedi,


Nell'angustia del cor: Deh! tu che sei
Alle donne regali alma corona,
Inclita figlia a' prenci in

D'India alla Cina

si

mezzo, a cui

fan lodi, e sei

Nel gineceo qual sfolgorante gemma,


Sai che non in giardin nobil cipresso

342

Della tua altezza, che non splendore


Delle Pleiadi in ciel qual di tue gote,
S

che l'immgin tua mandano

prenci

Di Kanngia a colui che in Occidente

Ha regno e signoria. Pur, tu negli occhi


Verecondia non hai, non hai rispetto
Del tuo gran genitor, se al petto stringere
Tale vuoi tu cui discacci dal seno
L'antico padre e fu di strano augello
Sovra i monti l'alunno, onde segnato
Fra le genti egli and. Dalla sua madre
Canuto un uom non nacque mai; se nacque,
Ingenuo nascimento oh! non il suo!
Meraviglia davver che donna vaga,
Di gote rubiconde e di capegli
Nerissimi, desii vecchio uno sposo!
Tutta dell'amor tuo piena la terra

del tuo viso ne' castelli attorno

Son

le dipinte

Che per

immagini. Davvero!

tal volto e tal

statura e questi

Capelli tuoi potra dal quarto cielo

Scender qual sposo tuo quest'almo sole!


Lor detti come ud, sent nel petto
Balzar Rudbeh il cor, qual sotto al vento
Balza la fiamma. Con molt'ira un alto
Grido mand, volse la fronte e chiuse
Le pupille infuocate. Indi, con ira,
volto e aggrottate le ciglia,

Cruccioso

il

vano

contrastar, disse, e d'ascolto

il

Degne non son vostre parole. E questo


Mio cor, se si perdea per una stella,

Come

potra gioir di questa luna.

Ben che pi vaga,

allo splendor?

Le rose

Non guarda quei che predilige il fango,


Ben che del fango pi d'assai le rose
Lodi tocchin dagli

altri: e chi a

suo male

343

Trova rimedio in fervida bevanda,


Se a miei ricorre, pi possente e fiero
Il

dolor suo risente.

Il

greco sire

non vo', non di Gina il re gagliardo,


Non un de' prenci incoronati in quella
Terra dTrania! Pari a me in altezza
Zal figlio di Sam, col braccio suo
Qual di fiero leon, con tal cervice,
Con tali omeri suoi. Che se tu il chiami
Vecchio o garzone, egli l'anima mia,
La mia persona egli . Nessuno alberghi
Entro al mio cor giammai, fuor che lui solo,
Ne voi, fuor che di lui, verbo mi fate.
Di lui l'amor scegliea, ben che non visto,
Questo mio core, l'amist di lui,
Sol per le cose che ridirne udii,
Questo mio cor scegliea. Per lui soltanto,
Io

Non

pel suo volto o pe' capegli suoi,

Ardo d'amor, che ricercando amore


Sol mi volsi a guardar le sue virtudi.
Cos di lei l'altissimo secreto

Sapean
Di

lei,

le

ancelle

come udan sermone


che in un detto,

ferita al cor, s

Per confortar l'innamorata donna,


In un sol detto s'accordar. Tue ancelle,
A una voce dicean, qui ti siam noi,
Piene nel cor d'amor per te, devote
A te donzelle. Or vedi tu qual dai
A noi comando. Sol leggiadra cosa
E onesta fuor verr da un cenno tuo.

Una fra quelle aggiunse ancor: Ti guarda,


Donna gentil qual agile cipresso,
Che niun tal cosa mai conosca. Cento
E mille come noi ti sian devoti
Per tuo riscatto, e quant' nel creato
Senno o saggezza a te propizio sia!

344

Ma

quei neri occhi tuoi di verecondia


Sian suffusi pur sempre e le tue gote
Di pudicizia. E noi, s'anche fia d'uopo
Magic' arti apparar, con filtri e incanti

Eludere d'altrui l'occhio maligno,

Come magici augelli alto pel cielo


Andrem volando, e camminando attorno
Di vaganti gazzelle assumeremo
L'aspetto per magia, fin che al tuo fianco,

Donna

condurrem quel prence,

leggiadra,

che appo te segno d'onore alcuno


Forse otterrem.
Le labbra rubiconde
Schiuse Rudbeh ad un sorriso, e volse
S

Le gote accese a

quell'ancella e disse:

Se nell'impresa perigliosa e involta


Riesci tu, da v ver! che un arbor pianti
Grande, lieto di frutti! Ogni suo frutto
Ad ogni aurora un bel rubin; quel frutto
Alta prudenza nel suo grembo accoglie!

VI. Colloquio di Zl e di

Rdbeh.

(Ed. Cale. p. 115-122).

Dal suo cospetto

si

levar

le ancelle.

Volte all'impresa perigliosa. Tutte


Di greci drappi s'adornar, di rose

Fregiar

le

trecce

a' lor disciolti

capi,

E venner tutte cinque a un fiumicollo,


Come gioconda primavera adorne
D'ogni color, d'ogni fragranza.

Il

mese

primo
Giorno dell'anno, ed erano su l'alte
Spiagge del fiumicel di Zal le tende.
Di Ferverdn era ben quello e

il

Dall'altra parte a favellar di lui

345

Stavan

le ancelle e raccogliean le rose


Del fumicel sul margo, e porporine

Avean le guance come rose e fresche


Rose nel sen. Cos, tutte cogliendo
Vaghi fiori dal suol, correano attorno,
E ratto che di contro ai padiglioni
Ell'erano di Zal, dall'alto seggio

Ei le scoverse, onde

f' tal dimando:


Deh! chi son queste che le rose han care,
E perch mai dentro a' nostri giardini
Venan rose a spiccar? Non temon forse

Nostro divieto?

Cos disse allora

Chi n'era inchiesto al giovinetto eroe:


Dal castel di Mihrb d'alma serena
Queste ancelle inviava al tuo giardino
La vaga donna di Kabul.
Cotesto

Come

intese Destali, balz quel core,

S che pel molto amore al loco suo


Pace ei non ebbe. Pien d'ardore e d'ansia
Rapido venne con un suo valletto,

Corse del fiume su

la

sponda, e allora

Ch'egli scoverse dall'opposta parte

Le

giovinette, chiese al paggio


si

un arco

brandi della persona. Andava

piedi allor qual se cacciasse; e quando


Vide nell'acque un bruno augel, per lui
Il gar/oncel che lo segua, che avea
Rosate guance, tese all'arco il nervo,
Il

pose in

Allor

man

di quel gagliardo.

mand perch

Voce

dall'acque chiare

Si levasse l'augel; Zal la veloce

Sua saetta avvent rapidamente,


S che dai voli suoi f' in gi discendere
L'augel ferito. Rubiconde allora
Si fer l'acque del fiume, e Zal, Deh! passa,
Disse al turanio garzoncel, da quella

346

Sponda, e recami tu l'augel ferito

Dentro a un navicello

Che l'ale ha tronche.


Il

turanio garzon Tacque passava

Arditamente e ratto alle fanciulle


Venia con fiero incesso. Or, le donzelle
Col giovinetto dell'iranio prode,

Dolce la lingua disciogliendo, dissero


Parole acconce: Oh! chi costui che braccio

Ha

eroe gagliardo? Sire

di leone,

Di qual gente

vanta, ei che in tal guisa

si

Dall'arco avventa

lui dinanzi

dardi suoi ?

un suo

Che vale

nemico?... Noi

Pi degno cavalier gi non vedemmo,


Sire del suo deso con arco e freccia.
Rapido allora pose i denti suoi
Alle labbra

il

valletto e cos disse:

Deh! non parlar, s come fai, del mio


Prence sovrano! Ei del Nimrz sire,
Figlio di Sam, e sogliono i monarchi
Anche dirlo Destn. Gi non si volge
Quest'alto ciel sul capo a cavaliere)

Che

gli sia pari,

Mai non

famoso un prode

fu visto dal destili.

L'ancella

Sorrise allora al giovinetto paggio,

Avvenente qual luna, e s gli disse:


Deh! cotesto non dir, che nel castello
Di principe Mihrb sta una fanciulla,
al tuo signor del capo
Veracemente. Pari ad un arbusto
la donna gentil, bianca d'eburneo
Candore e bella, e fanno alla sua fronte

Quale sovrasta

Divino un serto

Ambo

son

fieri

gli

bruni ricci attorno.


occhi suoi, piegate

Le sopracciglia in un bell'arco, e il naso


qual d'argento un picciol stelo. Angusta
la sua bocca come angusto il core


Di chi nel duol

347

si sta.

Ma

suoi capelli

Arapi hanno ricci qual monil che al piede


Si cingon le fanciulle, e gli occhi suoi,

Casti e pudichi, d'un languor soave,


di sonno, son pieni, e son fiorenti

Qual

nero qual muschio il crine.


lieve respirar par che sua via

Le gote
Il

sue,

Tra quelle labbra non ritrovi; e tu


Sappi alfin che non donna qui in terra
Che le sia pari. Ma noi qui scendemmo
Rapidamente di Kabul, venimmo
Al sire di Zabl, che veramente
Cosa vaga sara, leggiadra cosa,
Veder congiunta a Zal Rudbeh nostra.
Per amor di colei leggiadra e adorna,
Cos ciascuna de le ancelle tutto

Zal manifest, che arte era questa

Perch

di lei le

rosee labbra al labbro

Di quel

figlio di

Sam

Il

Alle fanciulle:

Oh!

davver! che bello


ciel, congiunto

questo sol che splende in

Alla candida luna!

Di due connubio

fossero conte.

leggiadro garzon cos rispose

Allor che ordisce

la propizia sorte,

l'uno e l'altro cor tosto all'affetto

Che

Cedendo

va.

Ambo

vuole, barattar parole

li

D'uopo non
Dalla

il

il

fato

che separa il destino


il suo compagno. Aperta

compagna

separazion,

Sta

se disgiunti

ma

nel secreto

vincolo d'amor; cotal natura,

E per questo e per quel, terrena vita


Ha veramente. L'uom di fermo core
Che

intatta serbar vuol l'amata donna,

In loco ascoso con tranquilla pace

Attendendo

si

sta, n,

fin

che nata


Una

non

figlia

348

vorr per quella

sia,

Un

Detti udir calunniosi.

Dolce compagna nobil

d alla

sua

falco, in tanto

Ch'egli posava su le candid'ova,

Con
Che
Ova

stese, cos disse:

l'ali

Allora

uscir femminil da queste candide

ben sar che

la prole,

tosto

seme! .
Quando, ridendo ancor, da lor tornossi

Di nobil genitor

Il

estingua

si

il

giovinetto, l'inchiedea l'illustre

Sam Deh

Figlio di

chi colei che teco

In secreto parl? Tutto ridirmi

Or qui
Se a

dei tu.

me

Schiuse

Che

dicea colei

ti

ridente ne ritorni ed hai


le

labbra e de' tuoi denti mostri

L'argentino candor
Ridisse al prence

Ci

che ne uda,

garzoncello, e parve

il

Ringiovanir di quel gagliardo il core


Al giubilo inatteso. Ei disse allora

Al leggiadro garzon: Vanne, dirai


Alle ancelle cos: Deh! non uscite
Un solo istante dal giardin, che forse
D'esto giardin con le purpuree rose

Gemme
Non

con voi riporterete

tornino

castel,

al

Ancora

per ch'io secreto

Da' suoi tesori


Un mio messaggio invi.
Con auro e gemme ei si cerc monete

cinque drappi

In fulgid'or, con

Colmo

gli

di

di

gran prezzo,

intesti

un Leggiadro cofano

gemine d'un gran re ben degne,

orecchini dagli orecchi suoi

Anche

si

tolse,

e due, per la leggiadra

Fanciulla di Kabul, fulgidi anelli,


Di prence Minochr nobile dono,

Trascelse con amor. F' un cenno e disse:

Questo recate a

le

fanciulle.

niuno

349

Sen favelli, ma voi recate ascosi.


Con ardenti parole e con monete
E con tesori, corsero i valletti
Alle cinque fanciulle adorne e vaghe,

Loro

gemme

affidar le

e l'oro in

nome

regno gran vassallo; e tosto


Di Rudbeh le ancelle ad un leggiadro
Valletto favellar: Mai non si resta
Di

Zal, del

Cosa in secreto,

Fra due

s'ella in

pria

non resta

soltanto; s'ella a tre fia nota,

Secreta pi non : se a quattro, intero


Un popol la conosce. Or tu, prudente,

Or

tu,

saggio e avveduto, a noi del vero

Favella ornai. Se alcuna cosa ascosa,


Come fr conscie
Tu la disvela a noi.

Di Zal che nel suo amor pace o riposo


Non rinvena, l'una ver l'altra dissero

Malignamente

le fanciulle:

Cadde

leon fero dentro al laccio, ed ora


Di Rudbeh il deso, di Zal la brama
Il

Compionsi ornai Ben


!

lieto

augurio questo

Del giovinetto sire il tesoriero


Dagli occhi bruni, ei che fu aita al suo
Prence e signor ne la faccenda nuova,
e ridisse a quel gagliardo innanzi,
Secretamente, ci che udito avea
Da le fanciulle al cor confortatrici.

Torn

Scese al giardino

il

principe di

forti,

Che speme avea nel cor per la leggiadra


Ch'era il sol di Kabul. Vennero allora

E omaggio
Dal volto

gli

prestar le giovinette

di Per,

vaghe fanciulle

Dei piani di Tirz, e ratto il prence


D'un detto le inchiedea pel vago aspetto

la statura di colei, leggiadra

Qual nobile cipresso, e per

le

sue

350

il senno
ben degna

Parole oneste e la presenza e

la ragion, se

Ella

si fosse.

mai

di lui

Dite a me, dicea,

Partitamente e l'ima e l'altra cosa,


Non ponendo a menzogna alcun principio.
Che se il dir vostro fia verace, onore

Appo me

di voi fia.

Ma

se sospetto

D'alcun mentir concepir, di sotto


D'un elefante al pie darovvi morte.

Come

resina smorta impallida

le ancelle. Innanzi al sire


Baciar la terra, e qual minor degli anni
Era fra tutte, in favellar maestra

La gota de

E d'ardimento

piena, a Zal rispose:

Dalle madri quaggi, fra tanti prenci,


Figlio

non nasce mai

col fiero aspetto

Di Sani, con l'alta sua statura e tale


Integro core e sapienza e senno,

Ne

figlio nasce pari a te, signore


Di fermo cor, con tal grandezza e tale

Statura e braccio leonino. Stilla


umor di rosso vino

Dalle tue gote

crini tuoi son candidi qual

Eletta e pura.

Ma

ambra

nel terzo loco

Ponimi) Rudbeh, candida nel volto

Qual bianca luna, bel cipresso argenteo


Con ornamenti e con fragranze. Rose
E gelsomini ell' dal capo al piede,
Agii cipresso a cui dall'alto splende
Del Canopo la stella, astro lucente

Sui campi di Yemen.

Candido capo scendon


Per le guance rosate,

Ma
fino
i

da quel suo
a terra,

bei capelli,

come lacci ingannatori. Il capo


Ad ambra e muscbio, a rubini ed a candide

Gemme

il

bel sen. Davver! cbe adoratore


D'idoli in

351

Gina immagine non vede

Pari a costei! Le Pleiadi pel cielo


Con la candida luna a lei fan voti.

Con ansia e con ardore

alla fanciulla

Dolci parole disse allor l'eroe


E con mal ferma voce: Or tu qual arte
Sottil vi sia, disvela

a me, per ch'io

Cerchi una via d'andarne a lei, che pieni


Son quest'anima e il cor dell'amor suo
E tutto il mio deso sta quel bel volto
Se tu ne fai comando,
In rimirar.

L'ancella rispondea, fino al castello


Correndo tornerem di lei s vaga,

favellando del consiglio eletto

Dell'inclito guerrier, di sue parole,

Del suo sembiante e dell'alma serena,


Dolce un inganno le farem, dicendo
Ben molte cose; e nulla in ci di male.
noi quel capo che di muschio olezza,
Nel tuo laccio trarrem, le labbra sue
Del bel figlio di Sam accosteremo
A le turgide labbra. E venga intanto

Or

Appo

le

mura

di quell'ardua torre

un suo

Il

nobile guerrier con

all'un de' merli attorcalo sublime,

laccio

Forte vibrando. Della nobil preda

D'una cervetta andr ben lieto allora


L'animoso leon. Vedrai, signore,
Qual lieta cosa a te verr. Ma intanto
Gioia s'accresca in te pel nostro dire.
Partan le vaghe giovinette e a dietro

Zal ritornava.

Lunga

fu la notte!

Quanto un anno fu lunga; e le fanciulle


Redano intanto

Due ramoscelli
Ciascuna in

al nobile castello,
di

man

purpuree rose

reggendo. Oh!

ma

da

l'alto


Ben

vide

le

il

352

portier,

Ratto apprestossi, e

f'

che a contesa

la lingua ardita

E il cor serr. Dawer! ch'a inopportuno


Tempo usciste, grid, da queste torri,
E meraviglia vienmi ancor che uscirne

Osiate voi!

Ma

la risposta

a lui

Apprestar le fanciulle, e nel corruccio


Improvviso del cor balz ciascuna
Dal loco suo. Non diverso giorno
Questo dagli altri aff!, disser, n un tristo
Devo s'asconde ne' giardini. Venne
La primavera, e noi per gli orti attorno
Rose cogliemmo, dall'erboso suolo
Rami di spiconardo; e per comando
Di Rudbeh, se

leggiadra e bella,

sai.

il

Quinci uscimmo al chiaror di questo sole

cor le rose.

Vane parole
Vaghi

fiori

Disse

il

Ma

perch coteste

tue, se fra le spine

a spiccar

corremmo a prova?

custode delle porte: In oggi

Dawer! che non

si

dee contar faccenda


Kabul soggiorna

In altra guisa! Oggi in

Principe Zal, piena

Di suoi guerrieri e

di

Che non vedeste che


Usciva

all'allia.

la

terra intorno

sue tende.

forse

dal suo castello

ritto in su gli arcioni,

prence di Kabul? Nel giorno intero


un venirne e ornar dal suo cospetto,
Ch'ei sono amici veramente. E s'egli
Vi scorger con queste rose in pugno,
Il

S, s che al suolo ei vi trarr calpeste!


Pi adunque fuor dal gineceo per voi

Non s'esca, perch


Non vadano parole

poi di varie cose

e stolte e vane.

Di Tirz le fanciulle entro al castello

Vennero

allor. Si assiser quivi e stettero

353

Secretamente a favellar con quella

vedemmo

Giovinetta gentil. Mai non

Fulgido un

Son come
Candido il

Avvamp

sol

come

costui

rose, candidi
volto.
il

Le gote

capelli,

Per amor gagliardo

core di Rudbeh allora,

In dolce speme di mirar quel volto.

Ma

le gemme lucenti e le monete


Ponean dinanzi a lei le ancelle intanto,
Ed ella intanto di ben varie cose
Le addimandava: Oh! quale fu di voi
Appo il figlio di Sam l'opra e l'intento?

Meglio vederlo o intenderne soltanto


gloria e il nome?
Ratto le fanciulle
Dal volto di Per, poi che con lei

La

Loco trovar

di far parole acconce,


Tutte cinque affrettarsi alla risposta:

Da confine a confili per l'ampia terra


cavaliero come Zal non vive
Con tal costume e dignit. G-li un forte
Pari ad agii cipresso ed ha bellezza

Un

E maest

di re dei re. Vaghissimi


ornamenti suoi. Alta statura
La sua, persona eretta. Un cavaliero

Son

gli

Egli dall'ampio petto, e smilzo

il

corpo,

son quegli occhi suoi pari a narcisi

Che han vivido color. Le labbra sue


Han fragranza d'aromi ed han colore
Di vivo sangue le sue gote. Mani
Ei reca e braccia quali di feroce

Leon

Ha

le

branche; saggio

maest, d'un sapiente

Tutti son bianchi

li

egli ,
il

d'un sire

core.

capelli suoi;

Che se difetto in ci, non cotesta


Vera cagion di sua vergogna. Intanto
Sulle sue gote rubiconde
Firdusi,

I.

bianchi
28

354

Ricci del prode son quale intrecciata

Maglia argentina su purpuree rose;


E tu diresti ch'essere ci appunto
Dovea; che se non fosse, amor di lui
Non crescerebbe in altro cor. Novella
Anche gli demmo del tuo dolce aspetto,
Ond'ei part da noi ricolmo il core
Di molta speme. Or tu apparecchia cose
Per ospite che vien. Tu fa comando
Quando tornarci a lui dobbiamo ancora.

la gentil qual agile cipresso

Or

Alle sue ancelle cos disse:

foste

Di ben altro consiglio e di parole!

E quel Zal che fu alunno d'un augello,


Vecchio del capo ed avvizzito, or fatto
S' nelle guance qual purpurea rosa,
Di persona gentil, di belle gote
E principe ed eroe. Forse che a lui
In cotal guisa questo volto mio
Pur

descriveste e favellando

Dicea

Chiedeste poi?

il

prezzo

cotesto e

il

labbro

Pieno ella avea d'un dolce riso intanto,


Rosse le gote avea quale un bel fiore
Di melagrano. Cos disse poi
Quella, d'ogni regina inclito fiore,
Ad un'ancella Di qui andrai correndo.
:

Con

lieto

annunzio, al primo albor,

Voi ritornando,

da

lui

gli favellale

n'ascoltate le parole. Ornai

(Questo

gli dite)

il

tuo deso

si

compie;

T'appresta all'opra tua. Vieni, e vedrai

Donna regal che d'ogni fregio adorna


And l'ancella e die l'annunzio, e poi
Ritornossi a colei vaga e gentile

Quale un cipresso di Tirz. A quella


Donna regal l'ancella favellava

355

leggiadra e piacente:

Con

sottil'arte,

che

ti

Or

t'adopra

dava Iddio

Ci ch'era in tuo piacer. Lieto e beato

Di quest'opera tua deh! venga il fine!


Rapidamente allor tutto apprestava

Rudbeh

intenta, di nascosto a

ognuno

Avea,
Qual gaia primavera, una celletta,
Ov'erano di grandi e di possenti
Dipinti i volti. L'adornar di drappi

De' suoi congiunti, qual

si

fosse.

Tessuti in Cina, v'apprestar lucenti

Dischi di fulgid'or, sparservi ancora

E smeraldi e corniole, e vino e muschio


Ed ambra mescolar, viole e rose

bei narcisi e tulipani e

Di gelsomin,

rami

spiconardo ancora,

di

Dall'altra banda. Eran turchesi ed oro


Lor colmi nappi, ed acque eran eli rose

Le

lor bevande. Ecco! sala soave

Fragranza

fino al sol dalla celletta

come sol leggiadra.


Come disparve il sol fiammante e chiusa
Fu dell'aula del ciel la porta fulgida,
Che la chiave del sole iva perduta,
Della fanciulla

Di Sani al
Gi Topra

figlio
si

and un'ancella: Tutta

compia.

Tu muovi

quel duce d'eroi mosse

il

passo.

al castello

come fa l'uom che va cercando


La sua compagna. Ad un terrazzo ascese

Cos

Ella che

avea rosate guancie e

Nerissimi, leggiadra

come un

gli

occhi

agile

Cipresso, a cui sovrasti alta dal cielo

Perfetta luna.

Come apparve

lungi

Quel di Sani cavalier nobile figlio,


Schiuse le labbra sue l'inclita donna
E tal voce mand: Lieto venisti,

356

Giocondo garzoncel! Su te discenda


Benedizion di Dio, scenda su quello
Cui, come te, nasceva un figlio Oh
!

Oh!

dolci a questo

Che
Che

quello hen tu
descrissero a

cor
sei,

le

care,

ancelle mie,

dal capo al piede,

me! La notte ombrosa

Pel tuo bel volto in giorno si converte,


Gaudio ha il cor d'ogni gente alla soave
Fragranza tua! Tu in questa guisa adunque
Venisti a pie da' padiglioni tuoi,

tuo piede regal stanchezza venne!

al

quel prence d'eroi

Di quelle

mura

come

dall'alto

ud la voce, gli occhi

Lev d'un tratto e lei scopr che volto


Avea di sol. S come gemma nitida
Il

terrazzo splendea, le gote accese

il loco rendean lucente e chiaro


Qual fulgido rubin, s ch'ei rispose:
Donna leggiadra, venga a te saluto
Da me, dal cicl benedizion!... Deh! quante

Tutto

Notti per

te,

gli

occhi figgendo all'astro

Della Spiga su in

ciel,

dinanzi a Dio

Santo e verace lagrimando stetti,


E pregai che del mondo il Re sovrano
Secretamente il volto tuo s bello
Mi addimostrasse! Or giubilai nel core
Alla tua voce, alle parole tue
Oneste

s,

di

grazia adorne. Cerca,

Cerca un'arte

sotti!

Al tuo cospetto.

Tu

che via dischiuda


che parlar dovresti

dall'alto de' muri, io su la via?

Del principe d'eroi come la voce


Ud colei che avea sembianza e volto
Di leggiadra Per, subitamente
Sciolse le trecce sue da sommo

il

capo.

Sciolse da la persona, alta ed eretta

357

Quale arbusto gentil, pieghevol laccio,


Qual s nero e lucente unqua non scaglia
Di lacci un vibrator. Ricci su ricci

Eran davver quai

serpentelli inserti

serpentelli, ciocche sovra cioccbe

Pi in gi dal mento. Cos fu che ratto


Ella cader lasci da' merli sommi
1 bei capelli che, scendendo, il piede

Toccar

di quella torre, indi dall'alto

Dell'ardue

mura mand voce

e disse:

che gi nascea

Prence, figlio di tal


Di valorosi, or fa di salir ratto
A me; qui traggi la persona tua,
Dilata

il

petto leonino e schiudi

La tua mano

Prendi un de' capi

di re!

D'esti capelli miei; per te soltanto

Vennero

questo

all'uopo le
fin voll'io

mie trecce.

crescermi

crine,

il

questo,

Perch un giorno porgessero a chi m'ama


E Za! guardava
Inattesa un'aita.
donna
e si stupa
vaghissima
La
Per quel volto s bello e il lungo crine,
Indi tal bacio su le trecce brune
Stamp, che di quel bacio il chiaro suono

Dall'alto ud la giovinetta. Intanto

Ei cos rispondea:

Non

giusta cosa

Fia questa inver, ne splenda mai quest'almo


Sole nel giorno ch'io porr la mano,
Stolto! su lei ch' l'alma mia, mandando

Nel

ferito suo cor strai di dolore.

Da un suo

valletto prese

L'intorse e l'avvent, n

un
f'

laccio,

ad arte

parola.

Un

de' merli sporgenti entro a que' nodi


Del laccio s'impigli; cos dal basso
Fino alla cima il giovinetto eroe

Salir potea.

Come

si

assise in alto

358

mura, a lui
vaga giovinetta e omaggio

sul terrazzo delle

Corse

la

S gli prest.

Ma

man

quella

prese

le

garzon nella sua mano, ed ambo


Movean com'ebbri. Dal terrazzo allora
Gi discendea del nobile castello

Ratto

Il

il

man

giovinetto, quella

di lei,

Giocondo ramo d'una bella pianta,


Stringendo nella man. Scesero insieme
Alla celletta auri-fulgente, scesero

quel consesso d'un gran re ben degno.


un paradiso

Era, pieno di luce,

Veracemente, ed eran

le fanciulle

In pie dinanzi a lei dagli ocelli bruni.

Zal per quel volto e l'inclita statura,

Per tanta maest, meravigliava,


Meravigliava per quel enne; ed

Avea

ella

collane ed orecebini e armille,

Drappi fulgidi e gemme, e ben parr


Vago un giardino a primavera. Quelle

Gote sue tulipani eran fiorenti


Entro a un'aiuola, e ciocca sovra ciocca
I

capei le cadean.

Zal

si

Ma

l seduto

restava in quella di gran prence

Divina maest, con

lei,

qual luna

Adorna di splendor. Sospeso al petto


Un pugnale egli avea, sul capo un serto
Di bei rubini, e la gentil donzella
Dal rimirarlo non quietava ancora,
Ma furtiva in quel volto avidamente
Stavasi a riguardar; quello

Braccio gagliardo e

la

ammirava

cervice

erelt;).

Di lui la maest, l'alta statura,

Onde,

al colpir di

sua tremenda clava,

Sfasciavasi qual polve attrita e pesta

Una montana rupe.

Ella pi assai


Mirava

allo splendor delle

Che l'anime accendea,

Il

suo cor ne avvamp.

amplessi e sorsi di

Se pur

359

togli

che

il

sue gote

che pi assai

Fr

caldi baci

fumoso vino,

nobile leone

L'agile preda in poter suo

non

trasse.

Alfn cos parl d'eroi quel duce


Alla donna gentil: Deh! tu, dal seno

Candido quale argento, ed hai fragranza


D'intatto muschio, o vaghissima donna
Qual cipresso gentil, sappi che allora
Che Minochr sapr cotesto, mai
Consenziente in ci non fa. La voce

Sam di Nirm lever pur nell'ira,


Spumoso il labbro, e contro a me verranne
In gran corruccio.

Ma

pregiata cosa

persona
Appresi a dispregiar, s che non calmi
Di rivestir la mia funerea benda.
Or qui, per Dio signor, giudice nostro,
A te prometto che il tuo patto mai
Per me infranto non fa. Dinanzi a Lui
sol l'anima mia, ch'io la

Andr pregando, adorer compunto


Qual costume dei devoti a Dio,
Perch Sam cavalier, perch del mondo
L'inclito re, da pensier di castigo

Contro a

me

di

Puro facciano

il

vendetta e di corruccio
cor. La mia preghiera

L'Eterno ascolter, perch tu alfine,


Al cospetto d'ognun, mi sii compagna.
Io pure, io pur, gli rispondea la bella,
Dinanzi a Dio, la tua promessa accolgo

la

tua fede. Su la lingua mia

In testimonio sta

Che

altri di

il

Fattor del

me non

fa

Fuor che Zal valoroso,

mondo

signore e donno
inclito eroe,

360

Quale ha corona e regal seggio e gloria

Cos crescea l'amore


E maest!
Ad ogni istante. Lungi il senno ornai,
prossimo il deso, che fu cotesto

Fin che dal loco suo l'alba levossi


E strepito venia dai padiglioni
Di timpani sonanti. Un mesto addio
Disse alla donna sua, vaga qual luna,
Zal giovinetto. Fortemente al seno
La strinse, qual si serra alla sua trama
D'un bel panno l'ordito. Ambo di lagrime
Empir le ciglia e al sol che gi montava,
Sciolser la lingua a favellar: Del mondo
Luce divina, anche per poco, a noi
Per contrastar, tu non dovei fiammando
Salir pel cielo, onde esti due tapini,
Alla prova d'amor, per la tua vista
Non dovesser del cor subitamente
Il

vincolo spezzar!

L'attorto laccio

Zal da l'alto avvent di quelle mura,

il

vago amante dal Castel discese.


dal monte si lev fiammante

Come

Quest'almo
Tutti

sole, tutti

prenci a gara,

pi forti s'adunar. Veduto

Ch'ebbero

al

primo albor quel giovinetto

Figlio di eroi, ripresero d'un tratto

Da quel
Il

loco lor via.

Ma

gi inviava

prence un bandi tor, tulli chiamando


savi.
parlamento de' suoi grandi
i

VII. Consiglio di

Zal coi sacerdoti.

(Ed. Cale. p. 122-124).

Come

il

saggio ministro e

Gl'incliti saggi e

sacerdoti,

valorosi tutti


Da

361

l'eretta cervice entrar festanti

Dal giovinetto eroe (venner con alma


Serena e gaia e di prudenza adorni),

Rapidamente a favellar

la lingua

Sciolse

pieno d'un riso

il

figlio di Sani,

Le labbra e

lieto

il

cor.

Primieramente

Benedisse all'Eterno e vigilante


F' il suo nobile cor devoto e pio.
E incominci: Per Dio, giudice santo,

Pien

speranza pieno
La speme appuntasi

di terrore e di

Sia sempre

il

nostro cor

Nella sua grazia e da' peccati nostri

Timor procede in noi, s che dobbiamo


Con intento profondo a' suoi comandi
Costante riguardar. Quanto concesso

nostra possa, e notte e giorno, a Lui

Facciam debite

lodi, innanzi a Lui


Stando gementi. Dell'errante sole

Egli signor, signor di questa luna,

All'alme nostre del ben far la via

Additante mai sempre. Est gioconda


Sede dell'uom per Lui soltanto esiste;
Egli per questa e per l'eterna vita

Distributor di sua giustizia. Ei

La dolce primavera
Nella luna

eli

mena

tardo autunno

il

Tir, ricco di tralci

Fruttiferi e giocondi.

Il

giovin tralcio

Ei fa bello e odorante e adorno e vago


Talvolta, vecchio

il

D'aspetto tristo e

vii.

il

suo consiglio o

fa tal'altra ancora,

il

Ma

niuno avanza

suo precetto.

Il

passo,

Senza di Lui, non moveran sul suolo


1 bruchi erranti. Ei volle ancor che a questa
Terrena stirpe accrescimento fosse
Per la dolce compagna; e veramente
Augumento alla stirpe non procede


Da

chi solo

che unico vive

sta,

si

362

Iddio soltanto creator, n sono

Compagni a

Ma

Lui,

non

non consorti.

soci e

ci ch'Egli cre, creava a coppie

E da un
E aperse

alto secreto Egli ogni cosa

Ma

e trasse.

dall'alto cielo

Questa dottrina hai tu, per cui nascea


Dal suo principio ogni creata cosa.
Per d'uomini and tutta la terra
E adorna e piena, ed inclita ricchezza

Ehbe da
Che non

ci pregio ed inizio. Allora

fosser

quaggi connubi mai,

Inerte rimarra l'umana possa

celata. Davver! che un giovinetto


Mai non vedemmo aver nobil costume
Allor ch'egli sen va senza compagna
Soletto in terra! E s'egli ancor di seme

Di nobili quaggi, forte in sua stirpe

Senza compagna ei non sar giammai.


Deh! quanto meglio assai pel gran vassallo
Di questo regno ch'ei giocondo il core
Abbia pel figlio suo! Quando suo tempo
Verr perch'ei di qui parta per sempre,
Nel figlio suo la sua vital giornata
Rinnovarsi vedr; pel
Il

nome suo rimarr

figlio

suo

in terra, e alcuno

Allor dir: Questi di Zal

Quello
Il

il

figlio di

Sani

il

Per

figlio,

lui s'abbella

trono suo, la sua corona; resta

All'estinto la gloria, e la fortuna

chi in vita rimase. Or, ben cotesto

E argomento

di

me

rose son queste,

Narcisi questi son degli orti miei.


Il

cor da

me

fugga, fuggasi a

un

tratto

senno e la ragion. Voi dite intanto


Qual rimedio a ci. Questo non dissi
Il

363

Per ch'io dolente non ne fossi poi,


Perch danno a la mente, alla ragione,
Non mi toccasse. L'amor mio cocente

Mihrb, la terra sua


che rota sul mio capo. Scelse
di Mihrb questo mio core,

l'ostel di
il

La

ciel

figlia

Io per l'amor di lei spargo dagli occhi

Lagrime

ardenti.

Oh

s!

questo mio core

or si compiacque!
Forse che dite voi che ne fia pago
Sam cavalier? Re Minocihr, se questo
Un giorno udr, forse che la mia colpa
Di Sindkht ne

la figlia

Opra inconsulta d'anni giovanili


Estimer?...

Che vai principe

Quand'ei

cerchi la compagna sua,

si

o servo

S comportando alle sacrate leggi


Conforme e alla sua f? Gi non repugna

ci l'uom saggio, ch'ella via cotesta

Di nostra fede, e qui non vergogna.

Or che

dir questo di Dio ministro,

Saggio, avveduto? In ci che


I

saggi tutti?

Ebber mute

mai vedranno

Sacerdoti e savi

le labbra.

Oh!

la parola

De' sapienti in su le labbra avvinta,

Che

l'arabo

Dahk era pur sempre

Di Mihrb antenato, e il prence iranio


E per questo e per quel pien di corruccio

Era nell'alma. Apertamente adunque


Avventurar nessuno un motto arda,
Che niuno udito avea come congiunto
Veleno andar potesse a miei soave.
Ma il duce de' gagliardi, allorch niuna
Parola intese, alto frem nel core;
Pur, novello consiglio incominciando,
Cos riprese:

Ben

io so

che

Di ci inchiesta facendo, in

tosto
tal consiglio

364

Biasmo farete a me. Che se qualcuno


Di mente rea, di reo pensier si fosse,
Molti rabbuffi udir dovria pur anco.

Ma

se in ci la via dritta or m'additate

E un

varco per uscir mi dischiudete


s per voi nel mondo
Cosa far quale nessun de' prenci

Da

questi nodi,

Mai non fece a' suoi servi in beneficio,


In giustizia e in favor, ne danno a voi
Recher mai per
I

Allora

trista voglia.

sacerdoti gli apprestar risposta,

La sua

gioia cercando e

Tutti, dicean,

il

piacer suo.

siam servi a

Da molta meraviglia in
Or per chi pi grande

ma

te,

presi

fummo.

ci noi

o chi pi vile
In ci farassi?... Pregio non si scema

Per

la sua donna in re sovrano. S'anche


Di tuo grado non Mihrb guerriero,

Grande

egli tuttavia, forte e gagliardo.

Non

natura

di

Che della
Anche se

Ma
II

vii.

Vero

cotesto

stirpe egli del fero drago,


il

se di ci

nostro re,

drago fu in Arabia sire.


male non pensa in core
non fa per ci vergogna

Alla tua casa. Un'epistola vuoisi

A Sam

eroe, quale sai tu pur anco


Nell'anima serena. In te pi as<ii

prudenza che in noi; l'anima


E la tua mente a far pensier pi

tua

acconce.

Forse all'iranio prence un foglio suo


tuo gran padre invier, di lui

Il

investigar la mente, e dal consiglio

di Sam
Re Minocihr

Ch'

cavalier,

Qual cotesta tua.

Uno

non

fa

che mai

dilunghi, in cosa grave

Chiamossi innanzi

scrittor d'epistole quel

duce


Di valorosi. Pieno

La grave piena

Vili.

365

core avea;

il

ne disfogava.

allor

Lettere di Zl e di Sm.
(Ed. Cale. p. 124-128).

A Sam
Con

lieti

guerriero un'epistola indisse


annunzi, con saluti e gaudio,

in pria, nel suo dettar,

f'

lodi a Lui,

Giusto Fattor d'ogni creata cosa.

Vien

Da

la gioia

da Lui, da Lui la forza,

Lui, signor degli astri e di quest'almo

Sol rilucente, re di quanto esiste,

Re

quanto non

di

A Sam

figlio

Servi noi siamo,

Egli l'unico Iddio.

Ma da

lui

scenda

a Nirm, che ha spada e ferrea

Clava ed elmo lucente, almo un saluto,


A lui che da' maligni il mondo intero
Purific con la sua spada, e luce
Die alla stella de' saggi. Egli nel tempo
Delle tenzoni

Fa

il

rapido destriero

balzar, la gradita esca nel giorno

Della pugna egli appresta agii avoltoi,

Della

pugna nel campo

ei

la

tempesta

Suscita e accresce e da le fosche nubi

Sanguigna pioggia fa cader. Cintura


Egli ha dorata e fulgida corona,
E su lor seggio d'or pone i regnanti

A
A

governar. Virt congiunta in lui


virt per valor,

ch'ei solleva

La fronte sua per esse. Un cavaliero


Non , n mai sar, dell'armi in tempo,
Qual Sam di Nirm!... Di lui son io
Qual umil servo e dell'amor di lui

366

Pieni ho l'anima e il cor. Dalla mia madre,


S com'ei sa, mi nacqui, e danno e offesa

Ratto dal cielo m'incogliean. Si stava


Tra le delizie il padre mio, ravvolto

me

In seta e raso, e

Simrgh intanto

il

D'India ai monti traea. Di latte in loco


Ebbi dal sangue l'alimento e fui

Qual prigioniero in quell'eccelso nido.

Era costante nel Simrgh

speme

la

Di questo cor, dolente questo core.

Smorte

le gote, sol desire

il

mio

E me

sua preda il fero augel recasse


ponesse ancor dei nati suoi

Entro

la schiera.

Che

la

Arsemi

Ma

l'ignudo fianco

vento del deserto, e l'atra


Polve fer questi occhi miei lucenti
A quando a quando. Me chiamar soleano
Di

il

Sam

il

figlio,

Io dentro a

un

Sam

nido.

sfavasi in trono,

Ma

poich l'Eterno

Questo nel fato posto avea, cammino


10 fi di questa foggia. Alcuno in terra

Non

trova scampo da voler di Dio,

Anche

se a voi sospingesi tra l'alte

Nubi del
11

ciel.

S'anche

co' denti suoi

valoroso una ferrata punta

Spezzar potesse e col tremendo suono


Della sua voce fendere l'irsuta
Spoglia

a' leoni,

prigioniero

Del comando sar

Anche

se forti

Fossero i denti
Quale spezzami

Quale

di

come incudi

Ma

suoi...
il

ei

sempre

Dio signore,
e fermi

grave cura,

vennemi innanzi,
mai
Oh! ma se il mio

cor,

di tutti nel cospetto

Disvelar non dato.

Gran genitor magnanimo

si

mostra,

Saggio qual drago ed avveduto, allora

367

del suo servo ascolter

Che
Cosa

Per

il

secreto,

egregia sar. Piango, o signore,

Mihrb, mi struggo

la fanciulla di

davver come dinanzi a fuoco


Rapido e vivo. Per la notte oscura
Gli astri del ciel mi son compagni, e
Io

tale,

seno
Tale son io, che un mar
affanno
acerbo
Veracemente. Per
Io giunsi a tal che di me piange ornai
La gente tutta. Ma se gi il mio core
di pianto

D'altrui l'offesa abbe a soffrir,

non

il

io

Altro mi bramo fuor che al tuo precetto


Voler conforme. Che m'impone adunque
L'eroe maggior di nostra terra, ond' io

Sciolgami alfin da

l'infelice stato

dall'aspro dolor?... Pur, questo sire

Di genti ascolt gi retto consiglio


Di sacerdoti, perch fuori ei tragga

Chiara una

gemma

da suo loco ascoso.

pi mai trasgredir quel suo


Patto di pria, pur che di tanto a lui
Vnia si lasci, onde sua sposa ei renda

Ned

La

ei

figlia di

Conforme

Ben

si

Mihrb con giusta

ai riti

legge,

il padre
che Iddio

ed alla fede; e

ricorda che nel d

promettendo disse
quand' ei mi trasse
Nel
D'Albrz da le montagne: Ecco! non io
Impedir deso del tuo bel core,
E il mio cor qui si avvince in tal promessa .
Un cavalier, qual d'Azergashaspe
Rapido il fuoco, di Kabul si mosse
Ver Sam con due destrieri. E in pria f' cenno
Zal e parl: Se stancasi un de' due
Tuoi palafreni, anche per poco mai
lui

mi

rese,

cospetto de' suoi,

Non

t'arrestar,

ma

rapido su

l'altro

368

Balza in arcioni e va. Cos tu corri

Fino

al cospetto dell'antico eroe.

Come nembo

lui dinanzi;

Fosse

il

tolse

si

il

parve che

messaggiero
di ferro

suo bianco palafren.

Ma quando

Ei vicino a Kergsr venne correndo,

anche da lungi
una montagna attorno

D'eroi l'antico sire

Ben

lo scoverse.

Ei s'aggirava;

Fuggan

suo destrier correa,

il

le belve.

A' suoi compagni allora,

Ai cavalieri suoi di cose esperti


Si volse e disse: Di Kabul s'avanza

Rapido un cavalier,

ma

Di Zabl un destrier

Veramente
Sar

sotto a lui

di pel

ch' bianco.

un messaggiero

di Zal

costui. Vuoisi

da

Primamente cercar. Di

lui

novelle

Destali mio,

D'Irania bella e del re nostro vuoisi

Inchieder verbo.

Venia dinanzi

cavalier, con quella

il

In quell'istante a lui

Epistola di Zal inclita in pugno.

D'arcion balz, baci la terra e molto

Invoc Iddio. Ma Sam gli fea dimandi


E il foglio ne prendea. Quale recava
Messaggio a lui, dicea quel messaggiero,

il

nobil

duce

vincoli scioglie;!

Del foglio e intanto discendea dall'alta


del monte. Le parole in esso

Cima

Di Destn ei leggea partitamene

impal lidia, silenzioso e tristo


Restando al loco suo. Gradita a lui
Gi non venne di Zal la nuova brama,

Che

altra natura in lui viver dovea.

Cos rispose: Manifesta ornai

Ogni cosa venia che a sua natura


Meglio s'addice. Poi che un fero augello


Gli fu maestro

un

369

dalla fortuna

d,

Tal piacer del cor suo cercasi intanto.

Le belve

dal cacciar

come

a sue case

Ei ritorn, fu lungo entro al suo core

costante

il

pensier. Disse: Ov'io dica:

non buon consiglio, e


Figlio, non muover di, ma ti
Ci

tua saggezza

tal contesa,

rivolgi

innanzi a Dio ch' giusto,

dinanzi a le genti uno che infrange


La sua promessa, mai non gradito.

s'io dir:

Tuo

Davver!, licito questo

desiderio, tu soddisfa

Col tuo dolce piacer

Che un

il

augello nutr, da

core

da questo

lei

figlio

ch' stirpe

Di tristi Devi, di qual foggia mai


Verr la prole, e che nascer fia quello?
Per pensieri del cor grave si fea
La mente sua. Ben si addorma, ma pace
A fedel servo
Ei non ebbe dal sonno.
Quanto pi grave la bisogna incoglie,
Quanto pi va per essa il cor trafitto

pi dolente la persona, tanto

Pi agevole per lui per via secreta


Si fa la grave cura, allor che il voglia
In suo consiglio il Creator del mondo.

Come

dal sonno

sacerdoti

f'

un

si

lev, di savi

consesso. Aperse

Agli astrologi suoi l'alto secreto

dimand: Qual

esito alla fine

Cotesto aver potr? Mescer fra loro

Nature avverse, l'acqua e

Uno scompiglio

il

fuoco, tutto

dal principio suo.

Davver che al giorno del giudizio estremo


Tra Fredn e Dahk sar pur sempre
Aspra una lite! Voi frattanto gli astri
!

Interrogate e datemi risposta,


Firdcsi,

I.

24


Su

immagini del

le dipinte

Fausto a noi

370

deli!

puntate

cielo
i

vostri calami.

per tutto un giorno

gli astrologi allor

Gli arcani a investigar stetter dal cielo.

Tutto

videro

ei

Con un

sorriso,

alfin,

che due

che tornarono
stirpi avverse

dovean. Disser gli astrologi


a Nirm: Forte che rechi
Aurea cintura, a te lieta novella
Di Zal e di Mihrb de la fanciulla,
C< ingiunte esser

A Sam

figlio

Che un d compagni fien per sorte amica.


Da questi due, ricchi di pregi, un figlio
Verr com'elefante ardito e

fero,

Quale pel suo valor cinger l'armi


Incontanente. Le terrene stirpi
Ei vincer con la possente spada

E lever
Il

fino a toccar le nubi

Ma

trono del suo re.

la

radice

Dal suol diveller d'ogni malvagio,


Non soffrir che loco per la terra

Depresso
Il

sia.

Segsr o

il

lai

valor suo grande

Maznd saranno immuni.

Ch'egli la terra a colpi

di

possente

Clava sapr purificar. Per lui


Male maggior verr in Turania ed alto
Beneficio per esso a Irania bella

Discender. D'ogni dolente e mesto

Acqueter

la

mente conturbata.

Ch'egli la porta chiuder del duolo,


Dell'offesa la via.

Speranza

Degl'Irani fia posta, e

il

la fausta novella a te

Prence famoso.

Ma

in lui

lieto

annunzio

ne viene,

del suo destriero,

Ch'egli alla pugna inciter, la ferrea

Zampa sonante
Il

a' belligeri

pardi

capo fiaccher, mentre che sotto

371

morte

Di sua clava al colpir

si

avranno

Biechi leoni ed elefanti in giostra.

Deh! beato quel re cui nel suo tempo


il fato alla real grandezza!

Chiamer

Come

detto ascolt

il

Sam

cavaliero

Degli astrologi suoi, lieto sorrise

porse grazie e

di

da misura

Oro ed argento dispens, che pace,

Di sgomento nell'ora, a lui tornava.

Di Zal chiamossi

il

messaggier; con

lui

Parole avea d'ogni maniera, e al fine,

Tu

dicea, tu gli dirai

gii dirai,

modo alcuno
brama tua novella,

Cortesemente: Non

Di sostener

la

Figlio diletto.

Era

Ma

poich gi in pria

mio patto e l'impromessa, scuse


pretesti non son perch'io mi voglia

il

Atto ingiusto compir.

Tu

Tu

datti pace,

nascondi ogni cosa, onde nessuno

Questa del tuo destin parte conosca;


Ed io, sul primo albore, ecco! che a quelle
Citt d'Irania le falangi

Da

questi

campi

mie

di battaglie e

Ricondurr, per veder ci che


D'Irania impone a me, che mai

d'armi
il

sire

si

appresti

In tale impresa tua Dio protettore

Al messaggiero die monete in copia

dissegli: Ti leva!

Non

farai tu.

Alcuno indugio

Cos l'accomiatava,

Indi, ei stesso,

venia pel suo sentiero,

Di ci beati

capitano e l'ampia

il

Ma del Kergsr ben mille


avean carchi di ceppi,
traean miseramente

Schiera de' suoi.


Prigionieri

questi or

elli
si

In turpe guisa a pie.

Come

trascorse

Di tre parti eran due dell'atra notte,

372

Grido levossi per l'aperto campo


Di cavalieri, e di timballi tosto

di trombe un fragor di contro venneDal vestibol maggior de' padiglioni.

Verso

l'iranio suol cos traea

Quel condottiero di gagliardi, presso


Al Dehistn cos adducea le schiere.

Con vincente fortuna e

Zal tornava

Come

il

lieto

raessaggier.

fu giunto, s gli die

augurio

Da

lui

messaggio

il

Del suo gran padre, e Zal che l'ascoltava.


N'and lieto e giocondo. Egli all'Eterno,
Per tanta grazia e cos allegra sorte,
Benedisse dal cor, die

Nummi

a'

poverelli

d'argento e d'or, liete accoglienze

Fece a' congiunti suoi. Per quel giocondo


Messaggio reso a lui, molte le' lodi
A Sam, duce di forti. Oh! ma la notte
Ei non dorm, nel d pace non ebbe.

Non

gust vin giocondo, e

suoi sollazzi

Pi non am. Voglioso era quel core


D'una compagna, e ci ch'egli dicea,
Per Rudbeh leggiadra era soltanto.

IX.

Sdegno

di

Mihrb.

(Ed. Cale. p. 128-134).

Fra

Zal,

Come vago

duce

d'eroi, e la gentile

cipresso era

una donna

Dal soave parlar, che a quel gagliardo


I

messaggi recava, e a quella adorna


di lui. Destn un giorno,

messaggi
Prence di
I

forti,

Le udite cose

lei

chiam

vicino,

le ridisse e poi.

373

Vanne a Rudbeh,
In questa foggia

aggiugnea,

le

le

parla

donna mia dal core

Integro, vaga qual novella luna.

Poi che giunse allo stremo e gi ne stringe


La cosa ornai, per dischiudere un varco
Incontanente, cerca tu la chiave.

messaggier,

Il

di

Sam

dalla presenza,

Gi ritornava con annunzio fausto,


Di gioia apportator. Molte parole
Sam e fece e aspolt, lungo sermone
Ebbe pur anco, ma dell'opra al fine
Assenziente si mostrava a noi .
Cos all'ancella al foglio di colei

La

risposta affidava,

Usca da

et

preso quel

lui,

Come nembo

ella intanto

Allora,

foglio.

veloce, ella recla

A Rudbeh

leggiadra e con tal gioia


Fausto annunzio rendea. Monete in copia
Gritt alla donna la fanciulla adorna,
Dal volto di Peri, poscia la voile

Assisa a un trono di cui tutti

Erano

Anche

mute

in fulgid'or;

fregi

di vesti

diede a colei, nutrice sua,

Sperta in

Ma
Le

quell'arti, per s lieto annunzio,


per Zal fortunato elette cose

affid poi, di lui

Come benda

ben degne; un

serto,

alla fronte, ella arrecava,

Di cui non manifesto era l'ordito

la

fulgid'auro gli ornamenti suoi,

Ma

trama non

gi. Rossi rubini

l'oro s'ascondea sotto a le

gemme

Anche d'anelli un paio


lucenti come in cielo

Ivi conftte.

Ella rec,

Astro splende

Mand
Mand

di Giove, e

al figlio di

saluti e

un

Sam, con

ricchi doni
essi

molti

bel messaggio ancora.


Da

le

stanze di

374

lei la

messaggiera

Usc, giunse nell'aula, e la regina.

Gli occhi levando, la scoverse. Piena

L'anima di Sindkht fu d'una cura


Grave per lei, s che mand una voce
Per tema
E disse: Oh! donde sei? Parla!
volto
nel
Di lei, la donna impallid
Come resina smorta e in suo spavento

Baci

la

terra innanzi a

lei.

Deh!, intanto

Gridavate Sindkht, porgimi ascolto


E mi rispondi, o brutal ceffo! Innanzi
Ad ora ad or tu passi a me, le interne
Stanze penetri n mi volgi un guardo.

Ma

il

veggente mio cor

di te sospetto

Gi concepa, ne tu mi di' pur anco


Se la corda sei tu, se l'arco sei
Una meschina,
In quest'opra tua trista.

Colei le rispondea, son io che il pane


S mi procaccio in varie guise. A. prezzo

Vendo

vesti e ornamenti, e

il

mio guadagno

Da le genti mi vien. Vo de' regnanti


Anche alle case, e quelli comprali gemme,
Vesti compran da me. Nella sua cella
Ornamenti cerc Rudheh tua,
Gemme di gran valor cercommi ancora,
Ed io s le recai di fulgid'oro
Una corona e un cofano ricolmo
Di chiare gemme d'un gran re ben degne.

Ma

Sindkht

le

dicea: Mostrale, scioglimi

core avvinto ne' pensieri suoi.


A Rudbeh affidai queste due cose,
Disse, ed ella pi assai chieder mi volle;
Mostrane il prezzo
Io portando tornai.
Il

Agli occhi innanzi, fieramente allora

Sindkht riprese, e ammorza


Dimani il prezzo ti dar

l'ira
,

mi

mia!
disse

375

La

bella figlia tua, colei rispose.

Tu

il

prezzo non cercar

Ma

la

menzogna

non

fin ch'io

l'abbia.

nelle sue risposte

il core ella apprestava


con lei, che chiaro il vero
Non appara per cercar che si fosse,

Vedea Sindkht, e

rissarsi

E falsa e menzognera ogni parola


Bene in lei discernea. Ma come scorse
Le vesti preziose, in cui di mano
Eran pur di Rudbeh i ricchi fregi,
Alto crucciossi e con la

man

le trecce

Avvinghiandole e forte a s traendo


Battere al suol le f' la fronte. Trasse
Pe'capegli

colei,

la sospinse e

rea dell'inganno,
contro al suol col volto

La f' cader. Nell'ira sua, per lei


Grave corruccio avea Sindkht, e
Col volto contro

Miseramente

intanto,

al suol, la strascinava

pe' capelli ad ora

La

traea, sovra

Ad

or ad or cader la

il

suol,

qual forsennata,

tea.

Ma

poi

Che stesa l'ebbe a terra, ambe le mani,


L sul loco, le avvinse e la percosse
Co' pie

pur anco e

la batt

con mano

Indi crucciosa ritorn a sue stanze

E a fiero duolo vi rest congiunta,


Ad angoscia e dolor. Dietro si chiuse
Di sue stanze le porte,

ella,

qual'ebbra

Per l'atroce pensier che l'affliggea.


E comand che tosto a lei venisse

Le guancie si percosse,
guancie come intatte rose
Bagn degli occhi, bruni quai narcisi,
Di molto pianto, e le purpuree rose
Brillar di quelle stille. Oh! cara, oh! dolce

La

figlia sua.

Ambe

le

Fanciulla mia, disse a Rudbeh, al trono

376

Anteponesti, e perch mai, l'abisso?

Qual nel mondo rest nobil costume


Che a te palesemente o in via secreta
Io gi mostro non abbia?... Or, perch mai
Riottosa a me ti festi, o bella mia?
Alla dolce tua

madre

il

tuo secreto

donna tua
Da chi sen viene e per qual mai cagione
Presso a te si recava. In qual mai guisa
And cotesto? e chi costui che degno

Disvela, e

di',

cotesta

d'anelli e corone?... Incliti frutti

danni ancora a noi venan dai molti

Tesori nostri e da quel serto antico


Degli Arabi d'un d! Forse che sperdere

che attorno vola


Oh la mia figlia,
Gom'io gi partorii, non partorisca!
Guardava a' piedi suoi, mirava il suolo
"Vuoi tu cosi quella

Fama

di noi

men

bella?...

Rudbeh

intanto, attonita e confusa

Della sua

madre per vergogna,

Stille

e calde

d'un pianto ch' d'amor, versava

Dagli occhi mesti; oh

s!,

pi bello

il

volto

Ella rendea con le dolenti lagrime

Di que' bruni occhi suoi! Donna avveduta,


Disse alla

madre

poi,

fiero

Caccia l'anima mia. Che se


Mai non m'avesse partorita

un amore
al principio

mondo
La madre mia, parole o buone o triste
Non andrebber di me. Soggiorno fece
al

Qui, nel Kabul, Destali, prence d'eroi,

E me

pose in ardor quell'amor suo


Subitamente. Incresciosa tanto

A me

la vita,

che

in aperto loco

E in loco ascoso a pianger mi conduco


Ad ogni istante; n vogl'io pi ancora.
Senza quel volto suo, restarmi in

vita.

377

vita a me non vai quanto un sol crine


Del capo suo. Tu sappi ancor che vista
Ei m'ha, che meco assise, e che le destre
Con fermo patto ci prendemmo. Nulla,

Che

Fuor che vederci, accadde a noi, ma intanto


Fra me, fra lui fiamma d'amor possente
Improvvisa avvamp. Ne andava un messo

Da Sam

ed

illustre,

egli la risposta

Zal ardito gi invi. Grucciossi

Per alcun tempo ed ebbene rancura

Sam

ma

cavalier,

disse poi parole

Acconce e ne ud ancor,
Di lor consiglio

fin che,

richiesti

sacerdoti antichi,

mostr. Per questo

Consenziente

ei si

Ei torn dal

Maznd

Co' suoi cognati e

co' suoi congiunti,

prenci suoi famosi,

messaggier ben molte cose, ed io


ancor la sua risposta vera
Per la man di tal donna a cui strappasti
Or ora il crin, che contro al suol battesti
Die

al

Intesi

traesti boccone. Ella la fida

Messaggiera

Ed a quel

di noi

che rec

il

foglio,

mia

foglio la risposta

Eran le vesti ch'ella avea con seco.


Sindkht meravigli di suo racconto,
Che le piacea che a Zal compagna andasse

La

figlia sua. Cos rispose poi:

Ci non cosa lieve, e fra cotanti

Valorosi quaggi non un guerriero

Pari a Destn. Gli grande, e

gli

figliuolo

Del gran vassallo de l'iranio impero,

D'alma serena e ne' consigli saggio

E
I

sapiente. Tutti sono in lui

pi bei pregi;

E perdono

Ma

del

un

solo

valor per esso

mondo

il

suo

il
i

difetto,

pregi.

signor ne avr rand'ira

378

E dal Kabul fino a quest'almo sole


Nembi di polve lever, le nostre
Citt nel devastar, ch'ei

veramente

Non vorr mai che monti alto


Un di nostra semenza in tutto

in arcioni
il

mondo.

Donna avveduta
E d'alto ingegno, cos fa tu sempre
E le tue labbra chiudi. Oh! mai non sia
Che a favellar di ci tu sciolga il labbro,
Disse alla donna poi:

Ma

qui, sotterra,

Seppellisci.

E carezze

secreto che

il

sai.

la sciolse da' suoi lacci

le f', disconosciuta

Averla in pria manifestando. Ornai


Ella vedea che la sua figlia in core
Tale era per amor, che alcun consiglio
Ascoltar non potea. Di l risalse
E, lagrimando per dolor, sul letto

giacer

Detto tu avresti
duol la sua persona.

si gitt.

Non reggere a quel

Del prence da l'ostel si ritornava


Mihrb intanto, lieto ei s, che lungo
Ricordo fatto avea Zal giovinetto
Di lui allora.

Ma

giacente

ei

vide

Sindkht, preclara donna sua, ne vide

Smorte le guance e conturbalo il core.


Dimandando le disse: Oh! che t'avvenne?
Dillo a me? Perch mai son vizze e smorte
A lui
Le vaghe rose del tuo volto?
Sindkht regina cos die risposta:
Lungo il pensiero del mio cor per queste
floridi tesori
Ricchezze nostre e

gli

arabi destrieri adorni e

Pel castello opulento e per

Ampi

giardini, per

il

belli,

nostri

cor ch' pago,


servi a noi devoti,

De' nostri amici, e

Per

regal seggio e questa

la

corona e

il

379

Persona qual cipresso e


Pel nostro

nome ed

Alto consiglio!

Ma

il

il

nostro volto,

saper, pel nostro

in cotanta gloria

in cotanta giustizia, a

.Iattura viene all'uom.

quando a quando

Tutto

ai nemici,

Malgrado nostro, abbandonar dobbiamo,

il

nostro faticar tanto

Quanto un

soffio

si

dee

estimar d'aura fugace.

Cos, retaggio nostro alfin dell'opra

Un'arca angusta, e d'albero che frutta


Balsamo ad altri, noi tocchiam veleno.
Noi gi il piantammo e con travaglio e cura

Acqua

gli

Serto e

il

demmo,

v'appendemmo

il

nostro

tesor. Com'egli al sol levossi

l'ombra attorno

si

gitt,

dovizia

Ch'era con esso, cadde al suol per noi


Subitamente. Esito questo e fine
Di noi, ne ben mi so in qual loco mai

Saranno un d per noi pace e quiete.


Mihrb le rispondea: Nuove son queste
Parole che fai tu, ma cose antiche
Sembri a me rinnovar. Tale pur sempre
La vita breve de' mortali, ed uno
Dispetto vive, l'altro va beato,
Ed uno viene e l'altro va. Chi mai
Vedest che colpito unqua non fosse
Da questo ciel?... Per angustia del core
Dalla porta non esce antico allanno,
E in ci pugnar con Dio non possiam noi.
La mia parola ad altro senso volge

Uom ch' pi
Ma come a te
E

saggio, la reina disse.

celar la grave cosa

Un sacerdote
D'antico senno e d'inclita fortuna
Dell'albero acconci la vaga istoria
il

secreto potrei?...

Alla prole crescente. Io quella storia

380

Or

ripetei, perch col senno suo


mio signor nelle parole mie
Ben riguardasse.
Qui chin la fronte,
La persona pieg, bagn del pianto
Il

Degli occhi suoi, nerissimi narcisi,


Delle sue guancie le purpuree rose,

E aggiunse Non
:

Conforme a

si

volge, o pien di senno,

eh e d'uopo a noi, quest'alto


Giel roteante! Sappi ornai che un laccio
ci

Con mille arti appost


A Rudbeh in secreto.

di

Sam

il

figlio

Egli quel core

Sereno travi, s che n' d'uopo


Arte sottile ricercar. Ben molti
Le diei consigli, ma buon frutto mai
Ella non n'ebbe, ed io ne veggo il volto
il core conturbato. Il core
Pieno d'affanno e di dolor ne veggo,
Arido il labbro, e ne sento gli omei

Pallido e

Ed

sospiri.

Come

ud, balzossi

Mihrb in pie subitamente e pose


La mano all'elsa della spada. Tutta
Ne trem la persona a membro a membro,

Le gote
I

impallidir, gonfiar di

sangue

precordi, e le labbra di lamenti

Io

tosto. Di Rudbeh il sangue


medesmo, grid, verser a terra!
Sindkht vide cotesto e in pie levossi

cinse del furente alla persona

S'empiron

Ambe
Da

le

chi

mani attorno e
t'

cos disse:

servo, ascolta

una parola,

Porgigli orecchio almen, poscia farai

Qual consiglio verr dentro a tua mente,


Pur che l'anima e il senno a te sian guida!
Si contorse l'eroe, lei cacci lungi

Dalla sua

Come

mano

mand

al cielo

un grido

elefante in suo furor. Deh! ch'io,


Disse,

381

quando mi nacque est fanciulla,


dovea troncarle il capo!

All'istante

Non
Non

la uccisi, e la via degli avi

Ella

mi

seguitai;
fea!

Non

miei

inganno intanto

tristo

giudica del seme

Del padre suo l'uom savio e generoso


Figlio cotal che dal sentier si parte
Del genitor. Ben disse una sentenza

Un

che

fero pardo, allor

alla battaglia

D'un aspro assalto


Fiero un desire in me Questa natura
Che il forte padre mio dagli avi suoi
Redava un giorno . Sempre un chiaro segno

L'ugne acute

egli fea

Vuoisi del padre nella prole, e bello

Non che in lui pregio minor si vegga.


Ed or pel viver mio terror mi tocca,
E v' cagion per me di biasmo! Oh! dunque
Perch rattener vuoi
Il

pensier mio?... Se

Fia che trovino un

Re Minochr

Sam

dalla battaglia
a'

mai
tempo

nostri danni

d propizio

guerrier, vedrai

negro fumo
Dal Kabul fino al sol, n coltivati
Campi qui resteran, non bionde messi!

I vortici salir del

Oh! non volger

cos,

qual forsennato,

In ci la lingua!, al conturbato prence

picea Sindkht. Ben

Sam

di cotesto

avea

cavalier novella certa, e in core

Tanta rancura e tanta angoscia e affanno


Serbarne non di tu. Venne per questa
Grave sua cura dal Kergsr tornando;
Disvelata ogni cosa e non in questo

Vaga consorte mia,


Mihrb le rispondea, non dir con meco
Menzognere parole. Oh! come mai
Secreto alcun.

Accordarsi potria con vero senno,

382

Se alcun dicesse a la volante polve


Obbedir la bufera?... Eppur, di tanto
Non si dorrebbe questo cor, se un giorno
Dall'offesa d'altrui riparo avesse,

N genero
qui, che

miglior di Zal prestante


servi e prenci

il

sanno.

quale,

Qual mai sar, d'Ahvz fino al confine


Di Kandahr, che con Sani cavaliero
Vincol di sangue non ambisca e agogni?
Mai non mi prenda di parlar bugiardo
Necessit, Sindkht gii rispondea.

Danno mio manifesto

il

danno

tuo,

m'avvince dolor del tuo bel con.'.


Ci che di', gli pur vero, e manifesto
Ratto si fece all'alma mia, che questo
Fu il mio primo pensier, s che veduta
M'hai tu in tal guisa conturbata e mesta,
Giacente nel dolor, poi che partita
Era dal cor la gioia. Oh! ma se questo
Esser pur dee, cosa non per cui
Meravigliar si debba alcuno e tanti

Foschi pensieri concepir nel core.

Ebbe

gioia

Serv, di

Fredn per

Yemen

Destn, bramoso

quell'antico

signor. Questo
di

pur disse

poter sovrano,

Che per fuoco e per acqua e limo ed aria.


Ben che avversi fra lor, luce e bellezza

Ha

della terra l'atra superficie.

Cos l'orecchio alla sua

Porgea Mihrb,

ma

donna intento
la mente

piena era

D'alto corruccio e d'un desio feroce


l'i' 'ilo inni cor. Porgendo la risposta
Quale Sam gi invi di Zal al foglio,
Ella ancor gli dicca: Tu il piacer tuo
Deh! riponi in cotesto. Ogni qual volta
Si far tuo congiunto un degli estrani,


Pensier

Ma

turber di chi t' avverso.


prence glorioso alla sua donna
comando: Levati e m'adduci
si

il

F' tal

Rudbeh
Di

383

qui.

Tem

Sindkht allora

bieco leon, che la sua figlia


le uccidesse -e di Kabul la terra

lui,

Non

Orba non

fosse di colei

si

vaga

Qual di superno paradiso un fiore,


E per disse: Una impromessa tua
Vo' da te in pria che a me la renderai
Cos, ferma impromessa
Incolume.
Ella da lui richiese in pria, con arte
Liberando quel cor da reo pensiero
Di sua vendetta, e il nobil re, curante
La sua gloria e l'onor, dava impromessa

Rudbeh sua
Niun danno fatto avria. Guarda!, le disse,
Per ci appunto il signor dell'ampia terra
Alla regina che a

D'un pensier di vendetta incontro a noi


Piena la mente avr! Non resteranno
Le nostre terre a noi, non padre o madre
Di Rudbeh; ella pur ne avr l'offesa.
L'acque disperse fen dei nostri rivi!
Sindkht, come ascolt, pieg la fronte

lui

dinanzi e tocc

Alla sua

figlia,

il

suol.

sorridente

come

il

Sen venne

labbro,

di sereno

Ilare

il

volto

Sotto

a'

capegli suoi, bruni qual notte.

Lieto annunzio le die: Ritrasse a dietro


Gli artigli suoi dall'animoso ngro

pardo battaglier!... Per Dio creante


Mihrb guerrier mi pronunciava un suo
Terribil sacramento, onde per ira
A una sol treccia de' capelli offesa
Ei non far di te, vago cipresso,
Di te, che hai volto di leggiadra luna,

Il


Candido

come argento. Ed ora

petto

il

Tosto dischiudi

384

ornamenti

gli

T'adorna, e vieni al genitor,

Cos le disse:

che

mostra
quella

adornamenti?

gli

che, di cosa preziosa in luogo,

Cosa spregiata e

dolente e lagrimosa.

lui

tuoi,
ti

sol

il

vii?...

Di Sani

il

figlio

compagno all'alma mia. Deh come


!

Cosa celar ch' manifesta e chiara?


Dinanzi al padre suo sen venne allora

come un

Si

sole in Oriente, oppressa

Di sotto all'oro ed

Un

ai rubini. Ell'era

paradiso veramente, adorno,

Ricco di fregi, come sol che luce


Nella gioconda primavera. Il padre
Attonito rest, poi che la vide,

Iddio

Le

chiam nell'intimo
Deh! tu che

disse poi:

Orba

del coiv.
la

tua mente

senno, a gente illustre

festi di

s'addice mai che ad Ahrimane


Vada congiunta una Per leggiadra?

Come

Deh! non

Non

ti

anello

tocchi mai serto regale,


ti

Oh! se venisse

tocchi!...

Di Kahtn dal deserto un di serpenti


Abietto domator, coi dardi acuti
Esperto un

mago

ucciderlo dovra!

Rudbeh, come

ud, la

Ingoi ratto e nel volto

sua risposta
si

accese,

Del padre suo per la vergogna. L'ampie

nere ciglia su quegli occhi fiori


n alcun verbo disse.

Ella socchiuse

Andavane

frattanto

il

Come pardo ruggendo,


Pieno d'un'ira

il

Di feroce deso,

padre

suo,

attorno attorno,

cor, piena la
s

mente

che tornossi

Alle sue stanze la fanciulla, e

il

core


Mancavate,

385

lagrime bagnate

di

Le gote porporine. In Dio rifugio


Le dolenti cercar, la vaga figlia
E quella madre sua di cor gagliardo.

X. Sdegno di Mincihr.
(Ed. Cale. p. 135-139).

Al maggior sire deli'irania terra


Annunzio venne di Mihrb, del figlio
Di

Sam

ardito, del novello patto

Di Mihrb, dell'amor

non

di que' due,

di

Zal cocente,

simili fra loro,

Ardimentosi giovinetti, e andarono


Parole assai

innanzi

co' sacerdoti

dell'ampia terra almo signore.

lui,

Re Minochr

cos parl a que' saggi:

Per cotesto or sar nostra fortuna


E trista e grama! Poi che un d Urania
Dal fero artiglio

di leoni e pardi
con l'armi e col consiglio,
E poich re Fredm pura la terra
F' dall'empio Dahk, da cui semenza
Mihrb nascea re di Kabul, non vuoisi,

Io riscattai

Non

vuoisi gi che levisi la pianta,

Atterrata gi in pria, per l'inconsulto

Amor

di Zal.

Se verr un

come

figlio,

Dal fodero prorompe un brando acuto,

Da questa
Di

Sam

figlia di

guerriero,

Di nostra stirpe,

A un

Mihrb, dal
ei

ma

non

fia

mai

figlio
eia

un

lato

sar qual tosco

balsamo commisto. E s'egli inclina


madre per natura, piena

Alla sua

Sar

la

FntDusi,

I.

mente sua

di stolti detti,
25


Tutte d'Irania

Tumulto

le citt

ei far

386

d'un alto

piene e di scompiglio,

forse a lui questi tesori e

Gh' di

il

serto

Or voi mi

noi, diverranno...

dite

Qual consiglio usar deggio, ond'io cotesta


Faccenda grave ricomponga. Lunga
La cura esser non dee, perch nel laccio
D'ogni pi altero caggia

capo. Intanto

il

Qual mi fate risposta a questo verbo?


S v'adoprate, perch buon per voi

Un

consiglio

ponga.

si

Benedissero a

lui,

sacerdoti

d'intatta fede

Principe l'acclamar. Dissero poi:

Pi

di noi tu sei savio e pi di noi

Hai tu potere in necessaria cosa.


Ci tu farai che con ragion s'accorda;
Anche d'un serpe il cor ragion conquide.

come

L'inclito re,

ci d'essi intese,

Via ricerc d'esito certo e volle


Che con alquanti suoi fidati ed altri
Prenci d'Irania a lui venisse tosto

Nvdher

innanzi. Vanne, ei disse allora.

L, di Sani cavalier nella presenza,

l'inchiedi per

me

se sciolto alfine

Egli dall'aspra guerra.

Visto che l'abbi:

gli dirai,

questa parte volgi,

Indi, dal fianco mio, farai ritorno

Alla tua casa

Quel

figliuolo di re,

In pie levossi allora


si

pose in via

Co' suoi fedeli. Ei volsero lor passi

Ver Sam

figlio

a Nirm, con elefanti

Ardimentosi, amanti di battaglie.

Come di questo ebbe novella certa


Sam batta glier, mosse a incontrar quell'inclito
Figlio di regi, e mossero a incontrarlo,

Con

elefanti ardimentosi e

timpani

prenci

tutti.

Nvdher
L, da

387

grandi, con l'illustre

venuti, ora giugnean dinanzi

Sam

cavalier. Gli uni con gli altri

Fean dimande chiedendo, essi gagliardi,


Essi potenti e di pugnar bramosi;
Indi sedeano in dilettoso loco

E andavano

molte
messaggio allora
Principe Nvdher di quel padre suo,
E Sam guerriero giubil nel core
Di riveder l'iranio sire. Tutto
II suo comando eseguir, rispose,
fra lor parole

D'ogni argomento. F'

il

dell'aspetto suo far la gioia

Di quest'anima mia!
Fu quella schiera
Di principi ed eroi ospite cara
Di Sam que' giorni e giubil, fu lieta

Del contemplarlo. Posero una mensa

le

tazze afferrar, l'augusto

nome

Di Minochr dissero in pria, ma poi


Di Nvdher e di Sam, d'ogni pi illustre

Fecer ricordo e giubilar per ogni


Irania reg'ion. Cosi fina

Lenta

Che

la notte in quel tripudio.

allora

fiammante si svel, di timpani


Dal regio limitar venne un fragore
E s'affrettar cammelli e dromedari
Alla partenza. Alla regal dimora
Di prence Minochr prendean la via,
Per comando di lui volenterosi.
il

sol

Come di Sam
Re Minochr, il

ebbe novella certa


serto imperiale

Ratto fece apprestar. Festanti voci


"Venan da Sari e Aml, levossi un fremito
Qual di mar tempestoso. Ecco!, venino
Prestanti eroi con giavellotti e dardi
Oravi ed usberghi, esercito infinito

388

Da monte a monte,

scudi sovra scudi

trombe

rossi e gialli, con timballi e

Ed
Ed

oricalchi ed arabi destrieri


elefanti a carreggiar tesori.

In cotal guisa ad incontrar que' forti

Un

esercito andava,

andavan prenci

Co' lor timballi e con le lor bandiere.


All'ostello regal poi

Fu Sam
E digli

illustre,

accesso

che vicino

a pie balz d'arcioni


il

Come

re.

la fronte

Mostr quel reggi tor dell'ampia terra,


Il

suol baci,

E Minochr

si

fece innanzi

il

prode,

levossi incontanente

Dall'eburneo suo trono, in capo un serto


Di bei rubini rilucenti. Accanto
Il

f'

seder sul trono suo,

Oneste e

Bene a

lui

fece

s'addicean, poi molte e molte

Del Kergsr, del Maznd


Dei

gli

liete le accoglienze, quali

gli

f'

dimande,

Devi riottosi e de' guerrieri,

E cruccioso

mostrossi.

Ad una ad una

D'eroi quel prence gli narr le coso.

Vivi beato in sempiterno, ei disse,

Tu, re del mondo! De' nemici tuoi

Lungi dall'alma tua l'opre maligne!


De'biechi Devi alle citt ne venni.
Devi non gi, ch'ei son leoni agresti
Avidi

di

pugnar. Ben pi veloci

Degli arabi cavalli

Pi

ei

son davvero,

arditi ei son d'ogni

guerrier pugnace

D'Irania bella. Esercito cotale

Era

che

la

gente appella e

noma

anche li crede
Battaglieri e feroci. Allor che venne
Di me annunzio fra lor, parve che a un
Stordisse la lor mente alla mia voce;

Ceffi di cani, e pardi

tratto

389

Indi per lor castella urli ei levarono

E abbandonar le lor citt. Davvero!


Che formidato esercito fu quello
Da monte a monte, e il d sereno sparve
Dietro la polve che lev. Bramosi

Di contrastar

me

tutti

contro vennero,

Vennero forsennati e camminavano


Con pronta lena. Ma la terra intanto

Tremava

sotto,

intenebrava

il

giorno,

Dietro era un monte a noi, dinanzi a noi

Ampio uno

speco. Gi

il

terror scendea

Nell'esercito mio, ned io vedea

Come

soffrir cotanto affanno. Ornai

L'inclita

S che

Nemica

impresa mia cadea prostrata,

un grido

Clava ferrata

levai contro quell'ampia

schiera, sollevai la

mia

di trecento pondi

mio destrier, di ferro ricoperto,


gran forza incitai. Venni, e di fieri

il

Colpi lor tempestai l'alte cervici;

Davver! che da terror scema fu allora.


di me, la mente lor! Ben cento
Io ne atterrava in un sol balzo e ad ogni

Che avean

Colpir di clava

Un

il

suol

mordea calpesto

dei Devi maligni. Elli fuggivano

Da questa clava mia che di giovenca


Ha il capo a sommo, come fuggon cervi
Da un feroce leon. Ma ratto un prence,
Nipote a Salm ardimentoso e fiero,
Vennemi innanzi come lupo. Nome
Era di Krkvi a lui
Ed egli avea statura

bello

il

viso.

Ma

Dalla semenza di

di gloria

amante,

di cipresso

scendea per madre

Dahk

antico

innanzi a lui le teste de' gagliardi

Erano fango e polve. Oh!

ma

quell'ampia

390

Schiera de' suoi parea popolo infesto


Qual di formiche o di locuste, e il piano
Spara di sotto con il monte e tutta

La campagna
Turbo levossi

deserta. Allor che


di

immane

volante polve

Dalla sua schiera, impallid la gota


De' miei, famosi in guerra. Io sollevai

Quella mia clava che un sol colpo reca.

addietro mi lasciai, sul loco ov'era,

LVsercito de' miei. Tale cacciai


Dall'alto de la sella orrendo grido,

Che

trem. Torn coraggio

la terra

Alle nostre falangi, e tutti ancora

La pugna meditar. Come quel grido


Krkvi e i colpi ud di questa
Clava mia che si fea de' capi altrui
Ludibrio e gioco, venne a me, correndo,
In fiero assalto, con un lungo laccio.
Come elefante in suo furor. Tentava
Intese

Impigliarmi cos del laccio suo

Per entro ai nodi. Ci vid'io, piegai


Del mio periglio dal sentiero e l'arco
Tosto afferrai, quell'arco mio regali'.
E le punte d'acciaio e i dardi ancora
In legno ben compatto. Il mio destriero
Forte incitando,

dardi miei scagliai

Come vampe di fuoco al mio nemico,


E pensiero di me questo fu allora
Che

fosse

il

capo suo quale un incude,

Forte, massiccia, strettamente all'elmo

Ch*ei recava, congiunta. Io riguardai,

Ed

volante nembo
come elefante
con un ferro in pugno

egli ancor, fuor dal

Dell'atra polve, usc

Ebbro

di foia,

D'indica tempra. Opinion mi venne,


Principe, allor, che

monti anche all'intorno

391

Chiedessero merc. Venia colui


Impetuoso,

cauto mi tenea

io

E guardingo

a cercar com'ei cadesse

Sotto agli artigli miei.

Mi

fu

Io la

Come

vicino

quest'uom belligero e superbo,


destra dall'alto del mio bianco

Palafreno allungai,

furfante

lui

Presi ai gheroni del suo cinto e via

Di sella

il

qual leone. Al suolo

tolsi

Quasi morto

battei

il

come

elefante

Ardimentoso e l'indica mia spada


Nel petto gli ficcai. Deh!, signor mio,
Ratto che turpemente e in cotal guisa
Ei fu gittate al suol, dalla battaglia

Tutte

le genti

a torme

si

sue volser la fronte,


fuggir raccolte insieme

In lochi alti e depressi, entro al deserto

su pei monti.

Ma

in contar gli uccisi,

Trentamila ne uscir tra cavalieri


E tra pedoni due fiate; eppure
Fra gente armata di citt, fra i tanti
Cavalieri belligeri, contava
Trecentomila eroi veracemente
La falange dei Devi. Anche ne caddero
Dodicimila prigionieri, ed erano
Principi tutti e di gran nome in terra.
Ma che vale, o signor, contro la tua
Inclita sorte il tuo nemico, a fronte
Di chi del trono tuo servo si dice?
Il

re sovrano,

come ud

coteste

Parole dell'eroe, lev sublime


L'inclita sua corona, e allor

che

il

giorno

All'incalzar della prossima notte

Vinto cedette e dietro

a'

monti sparve,

Indisse un'assemblea, rec del vino

fu lieto e festante, ei

che vedea

392

Libera ornai da' suoi nemici intorno


Quest'ampia terra. Fecero la notte
Rapida e breve col giocondo vino,
Sciolser le labbra ad acclamar quel prode.
Poi che la notte si f' giorno, aperte

Fr

le cortine all'aula

E fino
Venne
Venne

f'

imperiale

al re dato l'accesso.

principe

Sam

Allora

ardimentoso,

a re Minochr nobile e grande,


suo prence, egli che pari

lodi al

In terra non avea, di gi voglioso


Di Zal e di Mihrb di far parola.

Ma lo prevenne il re del mondo, ratto


Incominciando con volto cruccioso
A

far suoi detti.

Cos a

Sam

Con prenci

Oh

s!,

quel re del

favell: Di qui tu
eletti,

mondo

vanne

suscita l in India
in quell'incendio

Vasto un incendio e

abbrucia

Di Mihrb del Kabul l'arduo castello.

Non vuoisi gi che scampo egli ritrovi


Da te. ch'egli superstite semenza
Di fero drago, e vengono da

lui

il mondo,
guerre e di tumulti
Per lui va pieno. Chi si aggiunge a lui,
congiunto a Dahk autor d'incanti.
Dalla persona gli recidi il capo

quando a quando

Tranquillo in pria,

dell'empio

Dahk

triste voci, e

di

da' rei congiunti

Impeto ed ira
l'iranio prence,
dimostr
Poi che a lui
verbo. Sola
aggiunger
osava
Sam non

Purifica

la

terra.

Questa risposta ei diede: Io far tanto


Che dal cor del mio re della vendetta
Baci quel trono
Cacci in bando il deso.

Imperiai, pose la fronte a quella


nclita gemma e del suo re alla destra,

393

Indi a sue case co' gagliardi suoi

Sen venne

ratto, sovra palafreni

In correre la via ratti qual nembo.

XI. Colloquio di

Sm

e di Zl.

(Ed. Cale. p. 139-144).

Mihrb, a Destn verbo giugnea


il sire e de' guerrieri il duce

Di ci che

Incominciato avean. Tutte ne andarono

Kabul in iscompiglio
Mihrb dal nobile castello
Levossi un grido. Gi perdean la speme
Per lor dovizie e per la dolce vita
E Sindkht e Mihrb, Rudbeh ancora,
E venne dal Kabul con pianti e gemiti

Le

citt del

di

Zal giovinetto, con pendente

labbro,

il

Alto levata la cervice. In core


Egli dicea: Se

Verr

la

un orrido serpente

terra a devastar con

Kabul

l'alito

vorr in pria
L'opra tentar, recidermi fa d'uopo
Ei mosse
Questo mio capo primamente.
d'affanno,
pieno
padre
suo
Per irne al
Pieno il cor di pensier, piena la mente
Di dolenti parole. E come annunzio
Pestifero, in

s'ei

Venne a Sam generoso,

figlio suo,

il

Di leoni progenie, per lontana

Via divenirne,

prodi suoi levaronsi

Tutti dal loco e di


Vessillo

Fredn

l'antico

arduo apprestar. Batteano

timpani

Al suo incontro, e moveano ad incontrarlo

Duce e

guerrieri. Di dipinti drappi,

violetti e gialli e rossi

ornata

394

D'ogni elefante era la schiena eretta.

Come Destn da lungi si mostrava,


Sam incit quel suo dall'auree briglie
Animoso destrier. Cos sen venne
Fin che a Zal s'accost, gioioso e

lieto

S'accost a lui per quella ch'ei mostrava


Inclita maest, pel suo bel volto,

Per

statura sua.

la

Come

Ma

il

giovinetto.

volto scopra del genitore,

il

Dal suo destrier balzava a pie, movea


Rapido il passo. Anche venano a piedi
I

prenci tutti in questa schiera e quella,

Questi bramoso del suo duce, e quello


Disi'oso

d'un serto.

Il

suol baciava

Zal animoso, e lungamente a lui

Parole fea quel padre antico. Infine


Sull'arabo destrier Zal risala

Di color baio, e un gran monte parea


D'or corruscante.
I

Ma

venano a

lui

prenci a gara. Elli venan con ansia

E con vario sermone. Offeso il tuo


Gran padre, elli dicean. La scusa tua
ornai, non levar alto il capo.
Timor non di ci, Zal rispondea.
Altra meta non ha gente mortale
Fuor della tomba. Che se il padre mio
Saggezza in mente accoglie, il detto suo
Non passer qual detto vano; e quando

Appresta

Movesse irato la sua lingua, lagrime


Per la vergogna avra negli occhi poi.
Cos, fino all'ostel di

Sam

Venan; col core aperto

elli

antico,

venino

E festanti e gioiosi. Ivi balzava


Sam cavalier dal suo destriero al suolo
E a Zal incontanente, al suo cospetto,
L'accesso concedea. Come dinanzi


Al suo gran padre

:95

garzoncel ne venne,

il

Il

suol baci, lasci cader le braccia

Sam

D'alcune

guerrier benedicendo, sparse


stille

che scendean dagli occhi,


delle guance sue.

Le fresche rose

Cotesto eroe, sclam, di vigil core,


Lieto mai sempre

sia,

l'anima sua

Sia devota a giustizia!...

Ardon

Adamantine

tua spada

al fulgor di

del tuo assalto al d

Ma

l,

dove sobbalza

il

geme

le pietre

la terra.

tuo destriero

In giorno d'armi, all'esercito lento

Impeto sopravvien. Quando


Della tua clava

Sembra che

il

la foga

ciel dall'alto vede,

gli astri suoi

veracemente

Pi non osi menar. Ma in ogni parte


Deh! verdeggi per te quest'ampia terra,
Che integro spirto con nobile senno
fondamento a te! Per tua giustizia
Liete vanno le genti attorno attorno

E prendono da
E la terra e il

te lor giuste
destili.

Sol io

norme
non ebbi

Nella giustizia tua parte veruna,

Ben che celebre ornai per nobil vincolo


Con te di sangue. M'allev un augello,
Cibo mi fu l'arida polve. Eppure
Io contese non ebbi o liti o gare
Con alcun per la terra, e in ine non veggo
Colpa nessuna, onde qualcun
Schiusa all'offesa mia trovar

la via
si

voglia,

Se non fosse che Sam, prence guerriero,


il padre mio, quando non siami pregio
Tal nascimento illustre. E nacqui un giorno
Dalla mia madre, e tu fuor mi cacciasti
E loco ad abitar mi festi un monte
Aspro e deserto, e chi mi die alla luce

39(3

Cacciasti nel dolor, dannasti al fuoco

Chi crescermi dovea! Culla non ebbi,


Non dal sen d'una madre il dolce latte.
Non alcun de' congiunti erami accanto
Ricordevol di me. L sovra il monte
M'hai tu recato, e
Privo mi

festi

il

m'abbandonasti,

cor d'ogni conforto

d'ogni pace. Contrastar tu osasti

Pio, perch di crin nerezza fosse

Ma

poi che Iddio


che guardommi
Col divino occhio suo, poi che valore
E pregi sono in me, poi che mi vanto
Una spada da eroe, poi che m' amico
Un prence di Kabul che ha regal seggio,
Colmi tesori e ponderosa clava,
Regal corona e regal gemma ed alto
E nobile consiglio, ecco! mi stetti
L nel Kabul per tuo comando, e il tuo

candido

Cos

mi

Patto e

Che

color...

nutric, poi

il

consiglio tuo

mi tenni a mente.
tempo mai

tu dicesti: In nessun

Offesa a te far; l'arbor che pianti,


Io far

che rechi

frutti .

Questo, tornato dal Maznd, mi

intanto
fai

Novello dono e per ci appunto corso


Dal Kergsr qui sei tu, perch quel mio
Dolce ostello distrugga? In cotal guisa
La mia giustizia tu mi rendi?... Or ecco!
Io qui in piedi

mi

sto nel tuo cospetto

corpo mio qui t'abbandono


E
All'ira tua. Con un'arguta sega
In due dividi esto rtiio corpo adunque,
Ma tu parola del Kabul non farmi
vivo

il

tempo mai, che obbedienza


e il Kabul prestan pur sempre
Al tuo comando, e quei non ha lassezza

In ogni

E Mihrb

397

In osservar la legge tua. Qual colpa

Ei fece mai? che mai da lui vedesti,

Se contro a lui per contrastar con seco


Fin qui sei corso?... Un giorno anche dicesti:
Celebre per la terra il nome tuo
tu adopra
10 s far col tuo piacer ;
Ci che pi vuoi, che il comandar gli tuo,

Ma

me

sappi che di

Offesa,

che per

te

il

sar pur quella

Kabul incolga.

Di Zal nell'ascoltar quelle parole,

Porgea gli orecchi intenti e la cervice


Chinava il duce de' gagliardi. Ei disse:
Questo

gli

il

vero, e in testimonio certo

a questo ver la lingua tua. Non giuste


Verso di te fr l'opre mie d'un tempo,

per te giubil

di chi

11

tristo core.

piacer tuo frattanto

Il

Tu chiedendo mi

m' avverso

vai; dal loco tuo

Nell'angustia del cor fin qui balzasti.

Sam

generoso cos disse poi


Datti pace adunque,

Con parlar dolce:

Gagliardo leoncel, fero ed ardito,


t'adirar fin ch'io di tua faccenda

Non

Alto riparo non ritrovi e tosto

Non ricomponga
Per tua mano, o

ogni tua cosa.

Un

foglio

diletto, o di virtudi

Ricco e di pregi, al regnator d'Irania


Inver, perch alle mie parole
Traggasi a dietro dall'antico sdegno
Il gran monarca. E se vedr tuoi pregi
E il vago aspetto, non vorr nel core
L'offesa tua quel principe del

Ogni parola che

Adoprerem,

fia

mondo.

d'uopo intanto,

di lui l'anima e

il

core

Rimenando a giustizia. E se l'Eterno


Amico a noi sar, con l'opra tua

398

Ogni intento di noi sar compiuto.


Sol con le branche sue compie il leone
L'opera sua gagliarda, e ovunque ei corre,
La sua preda rinvien. Che se tal cosa
Un d avverr conforme al piacer tuo,
Sol per tal via dal suo principio addotta
Alla meta sar.

Cosi dinanzi

Ei posero a seder di regie epistole

Uno

scrittoi

Sam

f'

argomento seco
due gagliardi.

d'ogni

Ebber molte parole

al principio di

quel foglio suo

Benedizioni a Dio, ch'Egli pur sempre

E
E
E

Vengon da Lui

in eterno sar.
il

bene e

il

male e

l'essere e la morte,

servi gli siam noi. Unico Iddio.

Per ogni cosa ch'Ei desia

Modo

Roteante su
Egli

nell'essere,

o ragion ritrova questo cielo

Signor degli astri

noi.

signor del sol che in alto splende,

Vengan da Lui

Della luna signor.

Benedizioni a Minochr sovrano.

prence Minochr, che nella pugna


il balsamo consuma.
ne' banchetti suoi qual luna splende
Che al mondo luce. Ei vibra la sua clava,

qual velen che

Espugna

fa di

le citt,

Parte a ciascuno,

ei

sua gioia

che

vessillo in alto

il

Solleva di Fredn nella battaglia

feri

pardi dall'eretto capo

Uccide in giostra.

re, della

tua clava

All'impeto gagliardo, ecco! che

Monti pur anco


Attrita

in

polvere

di sotto al

Del tuo baio destrier.

Serba pura una

Che

tu

meni

si

gli alti

sciolgono

pie ferrato

Ma

il

mondo

intanto

pel tuo bel core.

gli agnelli e

tristi lupi

399

Ad un sol fonte. Ora di te, signore,


Servo son io, giunto a quest'alto loco,
Io che cavalco un palafren pel mio
Ingenito valor. Gi questo capo

Ha di candido crin, qual di canfora,


Una corona. Davanmi tal serto
La luna e il sol. Che sempre io, come schiavo,
Cinsi dell'armi la persona

mia

Forte e rubesta e fei battaglie molte


Coi tristi maghi. Non fu visto mai

Eguale a

me

pel

mondo un

cavaliere

Di briglie reggitor, di valorosi


Ucciditor, di clava armato.

Valor de'

Che

alla

forti del

Maznd

Cadde
allora

mia clava ponderosa ratto


man. Che se non fosse

Distesi questa

Alcun segno di me per l'ampia terra,


Di me che fra gli eroi levo superba
Questa cervice mia, basti quel drago
Che usc dal fiume di Keshf e il mondo
Scompigli come spuma in gorgo d'acque.

Da

cittade a citt per l'ampia terra

stendea, da monte a monte andava


L'ampiezza sua. Pien di spavento il core
Alle genti per lui, s che la notte

Ei

si

il

giorno ancor stavansi a guardia.

Il

cielo

De' volatori suoi tutto era sgombro,

Sgombra la terra di sue belve, e in alto


Ardean le penne agli avoltoi pel caldo
Alito suo, bruciava

il

Al suo tetro velen.

Ma

Fuor dall'acque traea

suol di sotto
il

gli

fero drago
alligatori

Orridi e feri e gi dall'etra l'aquile

Rapide al voi. Gi d'uomini e di armenti


Era sgombro quel suol, che a lui quel loco
Abbandonato avean tutti ad un tratto

400

viventi quaggi. Ma come io vidi


Che alcun non era per la terra intorno
Che contrastar di man, di forza, osasse
I

Col fero serpe, ogni timor dal core,

Ogni sgomento discacciai con quella


Forza di Dio signor, Dio santo e vero,
E nel nome suo grande il fianco mio
Cinsi dell'armi. In arcioni balzai

Al mio destrier, qual nobile elefante,


Di color baio, e con la clava appesa
All'arcion, quella clava da l'eretto
Capo, all'estremo,

di

giovenca, e l'arco

Pendente al braccio e dietro alla cervice


L'ampia mia targa, mi partii soletto
Qual fero alligator. Di me difesa
Era la man gagliarda, a lui difesa
L'alito ardente. Ma ciascun che videmi,
Un mesto addio mi die, perch'io volessi
Contro all'orrido serpe alzar la clava.
Il raggiunsi, e qual monte io lo vedea
Alto, sublime.

Le

Come

lacci attorti

setole ei traea sul tristo suolo,

Era la lingua sua qual negro ramo


D'un albero vetusto (spalancate

Le

fauci) rovesciata in su la via.

occhi suoi paivan veracemente


Piene due pozze d'atro sangue. Ei videmi,
gli

Url, con ira velinomi di contro,

Ed io m'ebbi pensier, principe, allora,


Che dentro alla gran pancia ei rinchiudesse
Un fuoco ardente. Agli occhi miei la terra
Parve un mare che ondeggia, e il negro fumo
Le nubi rasent fosche del cielo,
E del suol per quegli urli alti e stridenti
Tutta trem la superfcie, e parve
Ampio un pelago inver quel tristo loco

40i

Pel velen ch'ei mand. Qual costume


D'uom di ben fermo cor, grido cacciai,

Come

leon, di contro al serpe, e tosto,

Senza indugiar, sull'arco mio possente


Un dardo posi in ben compatto legno
Di punta adamantina, e fei quel dardo
In sue fauci volar, per inehiovarne
Alla strozza la lingua. Ecco!, confitto

Poi che alla bocca era un de'

Per stupor che

il

lati,

alquanto,

serpe

colp, l'orrido

F' l'atra lingua penzolar di fuori,


Mentre, all'istante, una seconda freccia

Pari a quella cacciaigli entro

Ed

ei

balzando

l'evit.

Ma

la strozza,

ratto,

punta
che ne usc dal petto
Atro un fiume di sangue. E poi che angusto
Nell'avanzarsi ei mi rendea lo spazio,
L'ultrice clava mia, dal capo a sommo
D'una giovenca, alto levai. Con quella
Virt di Dio che della terra sire,
11 mio forte destrier di l sospinsi
E del mostro calai sul tristo capo
La clava mia. Detto avrest che il cielo
D'alto gli piovve una montagna! Ruppi
L'orrido capo suo, qual di feroce
le fauci sue, la terza

Entro a
10 gli

avventai,

Elefante la testa,

il

rio veleno

Fuori ne usc quale un verdastro fiume,


E tale ei giacque sotto al fiero colpo,
Che altra fiata non levossi. Intanto

Per

cervella intorno sparse

le

il

suolo

Ergeasi in monti, del Keshf le pure

Onde s'empir

di

sangue e

di veleno,

E quella terra desolata il loco


Fu di sua pace e di suo sonno

Ma
Fibdusi,

monti circostanti eran

I.

eterno.
di

donne,
26

402

Eran d'uomini piene.

Elli a tal vista

Benedissero a me. Gente era quella


Della mia pugna spettatrice accorsa,

Che

il

Fu veramente. Ma le genti allora


Sani che ha un sol colpo, m'appellar, per
Mio

fero drago orribil creatura

fatale colpir,

Gemme

al pie

Spoglio era

il

mi

quello

mentre lucenti
gittr.

Quand'io tornai,

corpo mio candido e puro

Dell'inclita corazza, a cento brani

La gualdrappa cadea del mio destriero,

velen del mostro, ond'io

fu

Ebbi lunga stagion.

l'offesa

Ma

per molt'anni
In quel loco deserto alcun non sorse
Giocondo frutto. Desolato ed arso
N'and per sempre d'Occidente il suolo.
Ma s'io soltanto a te parlar dovessi
Di battaglie coi Devi,

Lungo ben

si

l'aria

Solo questo e cotal fu

Per

Calcassi

il

il

mio

consiglio,

capo. In ogni parte intanto,

sospinsi

leoni feroci

Ma

mio

foglio

ch'io sotto a miei pie de' grandi in terra

L Ve
I

il

nel raccontarlo.

il

mio destrier, quo' lochi

anche

fer sgombri.

gi molti son gli anni

che

la

sella

il

II

dorso eretto, e ch'io novellamente

seggio mio, m' suol del mio destriero

Purificai con questa ponderosa

Clava mia del Kergsr tutta

la

terra

Maznd. Non per mai ricordo


Fei di dominio che a me dar dovessi,
Che te soltanto, o mio signor, bramai
Vincolilo e lieto. Ma la mia cen ice,
Ritta gi un tempo, e la mia clava, un giorno
del

Alla a sfornir tremendi colpi, quali

Furono

gi,

non sono

pi.

S'incurva

403

Est persona e l'ampio petto,

anni

gli

mano

Sessanta fean cader da questa

che rintuzz mia forza

Il

laccio mio,

Il

tempo avverso. Or noi

Abbandonammo

l'inclito loco

a Zal, ch'egli ben degno

Di cintola d'eroe, d'ascia ferrata.


Ei

s,

com'io gi

Scemer, faran
Iranio sire,

Ma un
Il

figlio

fea,

lieto

li

il

tuoi nemici

tuo bel core,

molti pregi suoi.

suo dolce deso nasconde in seno

mio; per sen vien cercando

Vnia del mondo

al re.

Buono dinanzi a

Dio,

Quel suo desire


che al suo comando

Sta sottomessa ogni leggiadra cosa.

Noi per, del re nostro inclito e grande


Senza il consiglio, non oprammo. Il servo

Ardimentoso esser non dee.


Ch'io fei con Zal, del mondo

Che

Ma
il

della gente nel cospetto

mio

il

patto

re gi intese,
il

fei

montagne
Ricondussi d'Albrz. Fec'io promessa
Che mai distolta dal consiglio suo
La mente non avrei. Questa impromessa
In questi giorni ei mi rammenta, e intanto
Sen venne innanzi a me, rosse le gote,
Quando gi per la doglia affrante e rotte
Ratto che

il

figlio

dalle

L'ossa egli avea per la persona. Appendimi,

d'Aml a un tristo legno, e meglio


Questo sar che se tu corri in armi
Al confili di Kabul! . Poich sul monte

Disse,

un augello fu nutrito, lungi


umani cacciato, ov'egli in pria
Vegga l nel Kabul vaga fanciulla
Ei da

Dagli

Com'agile cipresso a cui dintorno

un

bel roseto, e

Meraviglia non

s'ei

ne

il

diventa

folle,

prence iranio

404

Pigliar ne dee la sua vendetta. Ed ora


La doglia del suo amor venne a tal punto,
Che n'ha piet chiunque il vede, al grave
Ed acerbo dolor ch'egli innocente

Promessa mia con lui ne andava,


mio prence intese. Or io commiato
Diedi a lui doloroso e mesto in core;
Ond' che tosto ch'ei verr dinanzi
Soffr.

Quale

il

All'alto seggio tuo, tu fa

per

lui

Ci che s'addice a gran signor, quantunque

Non

me

tocchi apprenderti, o signore,

Ma

Saggio costume o suggerir.

questo

mio l'unico in terra


per me veramente, egli il conforto
Del mio dolor, colui che il prego mio
Ascolta e accoglie. E si convien che l'alto
Re d'ogni re, con sua giustizia e grazia,
L'opre del servo suo benignamente
Diletto figlio

Vengano

Vogliasi ricordar.

intanto

Mille saluti e mille voti al sire

Dell'ampia terra e a tutti

Da Sam,

Come

ch' di

Nirm

prenci suoi

inclito figlio.

fu scritta la regale epistola

ogni consiglio fu composto,

il

foglio

Destn rapidamente si prendea


E in pie balzava. Ratto ei venne e

in sella

Mont d'un salto, quando gi di trombe


Alto un fragor sorgea. Non sonno o cibo
La notte o il giorno ei prese mai, ma corse
Per la doglia del cor pieno d'un'ansia
E d'una foga. Per la via dirotta
\

<'iiner

con seco rapidi e veloci

alquanti eroi, volti all'iranio seggio,

poich dal Zabl cos ne andava

Zal valoroso, ne' giardini suoi

Sam rimanea che

d'un

sol

colpo atterra.

405

Sm

XII. Colloquio di

Sndukht.

e di

(Ed. Cale. p. 145-150).

Come

l nel

Attorno and,

Kabul questa novella


tumulto piena

fu di

Di quel sire la mente. Ei n'ebbe cruccio

la regina a s appell, quell'ira

Disfog contro a

lei,

gi accolta in pria

Contro Rudbeh. Altro non consiglio


Fuor che pigliarti, poi che al prence iranio
Resister non poss'io, con questa tua
Figlia impudica e uccidervi, sclamava,
In guisa turpe al popolo dinanzi!

Forse che allora


Dal suo pensiero

di vendetta,

D'Irania a dietro

si

Avr sua

sol dal

suo disdegno,
il

prence

trarr e la terra

pace. Nel Kabul, chi mai

Osera contro

Sam

scendere in giostra,

Chi mai sentir vorr come la sua


Poi che ud cotesto
Clava colpisce?
Sindkht regina, a lui sedette innanzi
E in un grave pensiero il core avvinse,

Arte sottil cercando. Arte sottile


Pose in opra del cor, ch'ella in consigli
E in vari accorgimenti avea lo sguardo
Penetrante e profondo. Allor

si

mosse

Con le mani a le ascelle e nel cospetto


Venne del prence che splendea qual sole.

Una

parola da

me

ascolta, disse,

Indi farai quant' nel piacer tuo.

Se raccolte son pur le tue dovizie


La tua persona per salvar, tu intorno
Spargi tuoi doni, e sappi che pregnante


Del

la notte. Se la notte lenta.

Non

406

in eterno restano di lei

L'ombre incresciose, e verr tosto il giorno


Quai fontana lucente, e fla la terra
Qual di Badakhshn fulgida gemma.
Nel drappel degli eroi, mogliera mia,

Mihrb

Non

vecchie sentenze

le disse allor,

ricantar. Ci

che tu

sai,

un

T'abbi cara la vita, o

di'

aperto;

vel di sangue

La tua persona coprir! Deh! sia,


La regina dicea, che del mio sangue
Necessit mai non

venga, o

ti

sire.

Ma ben

m' d'uopo che di Sam


Alla presenza e sfoderi cotesta
Acuta spada mia. Dirgli cose

Che

dir

vada

parole acerbe

bello, e le

fia

io

Ragioni- ammollir. Questa dell'alma

Fatica avr,

Ampio un
La chiave,

ma

tu di tue dovizie

tesoro a

me

darai.

Ten prendi

o accorta donna mia; rispose

Mihrb a lei. Crucciarsi per tesori,


Per gemme non dobbiam.Tu appresta intanto

E con

mena

te

in

su

la

via lontana

Servi e destrieri e troni ed elmi. Forse

Le

citt di

Colui non

Che

gi

Kabul
ci

vasto incendio
all'elio

vana, raccender per noi.

ricchezza a

Abili

in

arder, l'antico

vii

pel viver tuo,

Al noni! sin' ella dicea. N vuoisi

Che mentr'io ricercando

arte sonile

Lungi men vo, qualche gran mal tu l'accia


A Rudbeh. Quaggi, duol del suo spirto
A

me

si

volge.

questo

Di solenne irapromessa.

d
Il

con teco

dolor mio

Da me non traggo, ma da lei mi viene


Ogni mio all'anno, ogni tristezza ancora.

K)7

Ond'ella in pria terribil sacramento

Da Mihrb

si

prendea, poscia

Cercavasi una via con

Adorn con broccati

di

scampo

viril core.

intesti

d'auro

suo bel corpo e con rubini e perle

Il

Di gran valor la fronte, indi fuor trasse


Di Mihrb dai tesori auree monete,

Trecentomila, da gittarsi attorno,


Dieci cavalli di gran prezzo, ornati

Di barde in fulgid'or, cinquanta paggi


loro auree cinture. Elli menavano
Trenta destrieri con argentee briglie
E di Persia e d'Arabia. Eran sessanta

Con

Le giovinette con armille d'oro,


E ciascuna reggea dorato un nappo
Eretto in pugno, pien di muschio e d'oro,
Di rubini e di canfora; e di zuccheri

Questo era colmo e di sciroppi l'altro.


Quaranta pezze di broccati ancora
Ella arrec; rabeschi eranvi in oro,
In
I

gemme

di color vari e

E cento

fregi artificiosi.

smaglianti
e cento

Spade v'erano ancor d'indica tempra,


D'oro e d'argento

Le lame

le

vagine, forti

rabescate. Erano cento

Di pel rossiccio le cammelle e cento


I

cammelli a menar

tratti lor pesi,

Di camminar vogliosi.

Una corona

Rec adorna di gemme imperiali


Con bei monili e braccialetti e fulgidi
Orecchini pur anco. Eravi un trono
In or massiccio,

come

ciel stellato

Sparso di molte gemme. Era l'ampiezza


Di venti spanne imperiali, ed alto

Quanto

in sella torreggia

un cavaliere

Quattro elefanti d'India, ardimentosi.

408

Di vesti furon carchi e di tappeti.


Poi che l'opra comp, sovra un destriero

La regina

un

balz, quale

eroe,

Ratta qual d'Azergashsp la fiamma,


Indi

pose in su

si

la

un casco

fronte

Di greca foggia, e sotto a

lei

correa

Quel suo destrier come tempesta corre.


Venne con fiero incesso alla magione
Di Sam illustre, n die voce alcuna,

Ne

disse

nome

il

suo,

ma

f'

precetto

Alle vedette di narrar repente

Di quella terra- all'inclito signore


di Kabul disceso era da lui,
Prence guerriero di Zabl, un messo,
Quale un messaggio di Mihrb gagliardo
A Sam recava, nobil duce ed inclito
Vincitor della terra. Il guardiano

Che

Della regal cortina ecco! venia

Da Sam guerriero e dava annunzio, e


comando a lui.

quegli

Di dar l'accesso fea

Balz allor dal destrier Sindkht regina

E venne
L

e s'avanz con fiero incesso

dal prence d'eroi rapidamente.

Quivi

la

terra ella baci,

Al prence iranio, a quel

Primo

vassallo, e

Attorno da
I

paggi

f'

auguri

di tutto

il

regno

ricchi doni intanto

gittar, tutti

destrieri,

tutti e gli elefanti,

un'ampia

Schiera formar che andavane a due miglia


Da quella soglia. Innanzi a Sam recava
Tutto cotesto

La mente

la regina, e intanto

dell'eroe

che

ci vedea,

Alto stupor ne concepa. Si assise

Qual ebbro assorto ne' pensieri

ambe

suoi,

il capo
Qual luogo mai cotesto,

Poste a

le ascelle

Chinato

in gi.

le

mani,

409

Fra

s dicea, che tal dovizia accoglie,


Qual costume cotesto, in far messaggi
Donne inviar?
Cos, chinando il capo
Per alcun tempo ancor, verbo non disse,

Ne

del pi,

Alcun

n del meno ei f' nel core


ma pensava: Queste

consiglio,

Dovizie sue fa ch'io mi prenda, e ratto

me

Cruccioso andr per

quel de le genti

Pastor sovrano... Fa ch'io

li

ricusi

E a Zal li tolga; ei lever le mani


Come il Simrgh vanni suoi. Offeso
Ei da me si terr con fiera dogliai

Io

che

presenza

dirgli potrei nella

Del popolo raccolto?

Or, poi che lungo

In ci pensiero ei fea, di quel pensiero

Al terminar, l'antico eroe

la fronte

Sollev alquanto e disse: Este ricchezze,


Gli elefanti bardati e

giovinetti,

Andando, al tesorier del figlio mio


Voi consegnate e v'apponete il nome
Ma la regina
Del prence di Kabul.
Dal volto di Per, Sindkht leggiadra,

Sciolse la lingua a favellar dinanzi

A Sam
Come

guerriero e

f'

accolti ella vide

gioioso
i

il

core.

doni suoi,

Ratto scoverse che propizia sorte,


il mal, giugnea per lei. Con
Erano allor tre vaghe giovinette;
D'un gelsomino n' l'aspetto ed alta,

Fuggito

Qual

di cipressi, la statura.

Aveasi in

man colma una

lei

Ognuna

tazza, e dentro

V'eran rossi rubini e da conchiglie


Perle lucenti. Elle gittr que' doni

pie del prode e mescolar le

Ma

il

saggio eroe,

come

gemme.

cotesto vide,

F' laudi assai, quali addiceansi a

lei,


Donna

410

che di lei l'intento


andava con l'antico eroe,

regal. Poi

Cos ne

Ratto d'ogni stranier l'aula fu sgombra,

E Sindkht

cos disse al valoroso:

L'uora ch' gi vecchio, giovane pur sembra

Per tua saggezza

ritornarsi.

Appresero

Sapienza da te principi e duci

dier luce alla terra in

Sepolta

un tempo. E

ombre

fitte

gi per tua giustizia

Dal male oprar distolta fu la mano


D'ogni maligno e schiusa fu di Dio

La via superna
Della tua clava.

Colpevole appo

dai tremendi colpi

Che
te,

se fu qualcuno

Miiirb fu quello;

Ma, per la doglia del suo cor, di lagrime


Ebbe gi pieno il ciglio. Ed or, che fece
Degli innocenti del Kabul la mente,
Se tutti ad una morte altri pur vuole
Adibirli insiem?

Polve

Devoti

medesma che

son di quella

ei

calpesti, ei

vivono

Sol per consiglio tuo. Temi, deh! temi

Di Quei che gi cre forza e ragione


Degli umani quaggi, cre de' vespri
L'astro lucente e il sole in ciel! Cotesta

Opra gi non

gli fa

gradita e cara,

N cingere di tu l'armi guerriere,


Sangue d'altri a versar. Di noi, di voi
Uno il Signor, n v'ha contrasto invero
Tra il nostro e il vostro Iddio. Questo sol traggi
Che agl'idoli volgiam la fronte nostra
Per adorar, ci ch' costume in 'lina,
In Bust, in India ed in Kabul.

Ben

s'addice adorar sovra

Splendente

il

fuoco, e ben sai tu

Menzogna non
In

dich'io.

Ma

loco dell'Eterno, este

voi

altari

gli

che

in qm-sto

l'adorare,

due

cose,

411

reo costume, allor che in Dio soltanto

Star dovra nostra voglia.

Che non

Anche

tu sai

bello sparger sangue, e

lite

Incominciar con gl'innocenti a prova.

Prence Sam

le clicea:

In ci che chieder,

Non mendicar.
la

sposa ne

ma

Tu mi

Mihrb

Sei di

rispondi

tu pretesti
la

schiava

di cui la figlia

sei,

pur giunse a veder?... Dimmi, costei


Qual nel volto e nel bel crin, nel senno
Zal

nell'indole sua, di chi ella

Degna

si

mai

mostri. Parlami di sua

Alta statura e

di

suo vago aspetto,

Di sua saggezza, e

di"

partitamente

un

di.

Sindkht rispose:

Qual

vedesti

la

Eroe, prence d'eroi, d'ogni pi forte

Almo

sostegno,

Chieggo da

te,

un giuramento
per cui

la

in pria

terra tremi,

Tremi alla terra ogni virgulto suo,


Che da te non verr danno o periglio
Al viver mio, non a quanti mi sono
Diletti e cari.

Ricchi e

Ho

fiorenti,

torri ed ho palagi
ho nobile famiglia

tesori e congiunti.

se nell'alma

Secura andr per te, per ci che hai detto:


Favella! a me, ben ti dir parole,

Onor mi procacciando. E que' tesori


Che son nascosti nel Kabul, con cura
In Zabl mener. Le cose ancora
Che pi addiconsi a lui, agevolmente
Da me il prence s'avr ch' pien di senno.
Nella sua mano, allor, la

L'eroe

si

prese e fece a

lei

man

di

lei

ben fermo

Patto e impromessa e giuramento. Ratto

Che

il sacramento
Sindkht regina e

di

quel forte intese

le

parole sue


Ud pur anco e

Pose

412

impromesse, un bacio

le

alla terra e in pie levossi e disse

Veracemente

che

ci

Prence, di re

in core avea:

Dahk son

io

congiunta.

prode Mihrb d'alma serena.


Genitrice a Rudbeh, che di luna
Ha il casto volto, per cui l'alma afflitta

Donna

al

Destn versa dal cor. Ma tutti noi,


notte oscura, fin che il giorno erompe,

La

Per te dinanzi a Dio santo e verace


Benedicendo stiam, benediciamo
Della terra al signor, sovrano prence.

Ed or men venni

qui, di te qual sia

amico

Il

desire a veder, chi

chi nemico nel Kabul, se rei

ti

sia

Ti siamo noi e d'indole malvagia,

Se degni anche non siam d'est regale


Potest che vantiam. Qui

ti

son

io,

Ecco!, dolente al pie. Chi uccider brami,

Uccidi ornai, tu di catene avvinci

Chi avvincer vuoi.

del

Kabul non

Che venirne

Ma

il

core,

potra caligin densa

A' chiari giorni tuoi.

Come

tu degl'innocenti

affliggere

intese da

Donna scoverse

lei

Queste parole

l'eroe guerriero,

in lei d'alto consiglio,

D'alma preclara inver, nelle sue gote


Come gioconda primavera, ad alto
Cipresso egual ne la statura, quale
una canna sottil della persona
Al mezzo, quale augel fero e selvaggio
Nell'incedere suo. Cos rispose:

fermo

il

patto mio, ben che nell'alma

Ci mi trafigga. Or

tu,

Di Kabul e con tutti

con

la tua terra

tuoi cognati,

Lieta del core, incolume

ti

resta,

413

Ch'io l'assenso gi do, perch


Zal per la terra qual

Rudbeh

tua.

si

acquisti

compagna e sposa

Voi pur, ben che diversa

Sia vostra stirpe, di corona e trono

ben degni. Tal del mondo sempre

Siete

costume, n in ci si sta vergogna,


N modo a contrastar con Dio sovrano.
Il

Le cose Ei crea, come pi a Lui talenta,


S che restammo noi, s che restiamo
Con voci al labbro di stupor. Costui
In alto sale e quei va in basso, e quello

Augumento

rinvien, cagion di

tema

Questo ritrova, per dovizie accolte


Lieto questi del cor, l'altro del core

Vassene affranto per inopia dura;

Ma

della terra poi nell'ampio seno

L'esito sta di questo e quello al fine,

Che ogni cosa quaggi tale ha natura.


Or tu m'ascolta, regal donna c'hai
Nobil consiglio.

Non

pensar, dolore

Di tanto non aver, ch'io porr cura

Per questo intento tuo dietro a coteste

Tue
Una

preci e

il

lagrimar pietosamente.

mia con mie preghiere,


Piena aff di dolor, scrissi a quel grande
Signor d'Irania, e a Minochr frattanto
epistola

Andava Zal; part


Che detto avresti

di cotal foggia

ch'egli l'ale avea.

In arcioni ei balz, n veder parve

La

sella inver, toccar

non parve

il

suolo

L'ugna ferrata de' cavalli suoi

Veracemente. Render risposta

Zal in ci l'iranio sire, e allora

Ch'ei
Il

gli

sorrider, propizio e amico

consiglio ne

fia.

Che quel mio

figlio,

Nutrito un giorno da uno strano augello,

414

Gore ornai pi non ha, bagna la terra


Del ciglio suo con le cadenti lagrime.
Che se la donna sua pel molto amore

lui somiglia,

ben sar che

Dolor soccomba l'uno e

al fiero

l'altro...

Intanto

che dall'antico
Drago discende, mostrami tu almeno
E prendine merc. Che so il vederla
Gran cosa mi sar, piacer quel volto
Ben mi potr co' suoi capelli bruni.
Se il nobile signor, Sindkht rispose,
Lieti e beati e d'anima gioconda
servi suoi, deh! inciti
Render vuol tutti
al
mio castrilo.
Il suo baio leardo
assai del ciclo
mio
pi
tosto
il
capo
E
Si lever. Che se fa mai clic un prence,
Qual te, in Kabul io mi conduca, questa,
Questa mia vita gli offrir pur anco.
Sindkhl gi gi vedea elio pien d'un riso
Era il labbro di Sani, indi conobbe

Il

volto di colei

Ch'era divolta da quel cor dell'odio

La radice profonda. E sorridendo


Sam generoso lo dicea: Tu il core
Non fai- ingombro di pensieri. Tosto,
Conformo

al

Ino dosio, la gran faccenda

Sindkhl, ratto elio


S discusando, giubilante e in festa
hi l si tolse. Per la molla gioia,

Si

compir.

intese,

Nel vivace color la gola sua


rubino parea. Tosto, qua! rapida
Bufera in volta, un messaggier speda

Un

Mihrb l'annunzio
Or
tu memoria
Lietissimo ne dava:
Non far pi mai de' tuoi tristi pensimi,
Forte, animoso, ed a

.Ma rallegra

Ornai

ti

il

prendi.

cor tuo, cura d'un ospito

Or

io,

dietro al

mio

foglio,

415

Ecco!, a corsa verr, non far indugio

Per

il lungo sentier.
Nel d secondo.
Quando, fonte di raggi, il sol si mosse
E il capo si dest di chi dormia

Dai dolci sonni,

all'ostello del sire,

Avido di corone, ecco! ne venne


Sindkht illustre. Ella di Sani guerriero

Con

fiero incesso oltrepass la soglia,

lei la

gente proclam regina

D'ogni donna regale.

feagli

Sani venia

omaggio e per lung'ra intanto

Seco parole avea, di ritornarsi


Vnia chiedendo a lui, d'andarne in festa
Al signor di Kabul, tutto per l'ospite
Novello ad apprestar, quel nuovo patto

Per mostrarne a Mihrb gioiosamente.

Sam guerriero
E vanne tosto e

A Mihrb

le disse:
di'

valoroso.

Or

tu ritorna

che vedesti
Un regal dono
lei ben degno,

ci

Apprestarono a lei, di
Ogni cosa pi eletta e preziosa
Da' lor tesori fuor cercando a gara,
E per Mihrb e per Sindkht ancora
E per Rudbeh, d'ogni cor bennato
Almo conforto. Quanti avea giardini
Sam nel Kabul, e torri e seminati,
E bionde messi, e quadrupedi ancora
Da mungere, e tappeti e ricche vesti,
Alla regina tutto

Anche
Anche

prese nella

le

conferm,

Accogliendo per

Ne

fosse

un

La mano

ei die.

le

mano

Zal, s

d la

il

patto

di lei la figlia

che Rudbeh

dolce sposa.

lei

Dugento prodi valorosi e grandi


Nell'affidar, le disse: Or qui pi a lungo

Non

t'arrestar.

Vanne

in

Kabul, con gioia

416

rimani, e da nemica gente

ti

D'oggi in avanti non temer l'offesa.


Il

volto di colei, qual bianca luna

come purpurea rosa


Gi con amica stella

Pallido in pria,

Allor

fior.

Prendean

quelli la via.

Ma

tu frattanto

Porgi l'orecchio ad ascoltar del prode


Zal la partenza e ci ch'ei

Da Minochr, che avea

XIII.

N'andava

f'.

propizia sorte.

Prova

di Zl.

(Ed. Cale. p. 150-156).

Giunse novella poi d'irania

Che
Zal,

Ad

Sam

di

cavalier l'inclito

Ne andarono

divena pel suo sentier.


incontrarlo

Quanti erano

in

prenci

tutti

quel regno

al sire
figlio,

a gara,

incliti

e grandi.

Gom'ei giunse vicino al regio ostello,


Subitamente fino al re gli aprirono
Il

varco, e ratto ch'ei fu innanzi al trono,

Baci la terra e benedisse al prence.


Per alcun tempo al suol tenne la fronti-.

Fin che

il

gran

re, di

vero senno amante,

comandava
Che dall'arida polve altri la fronte
Monda s gli facesse e quel bel volto
Gli die forza e coraggio. Ei

Gli spargesse di muschio. Al trono allora

Ei s'accost dell'inclito monarca,

il

nobile signor

Che mai

l'inchiedea:

potesti contro polve e nembi,

bel figlio d'eroi, per l'aspra via?

Per

la

Ogni cosa
Per

te,

tua grazia, ei rispondea,


al

suo meglio, e

o signor,

si

fa

la

letizia

si

fatica

e gioia.

volge

417

L'epistola del forte allor

Re Minochr

Ne

si

prese

dal giovinetto e alquanto

rise e d'alma fu serena e paia.

Letto quel

Lungo
Cor gi

Che

rendea risposta

ma

trafitto,

per questo foglio

cor mi tocca, cui gi scrisse

il

Sam

foglio, tal

travaglio tu aggiugnesti al mio

il

vecchio

nell'angoscia del suo cor dolente,

Ben che crucciosa l'alma mia sen vada


Per cotesto d'assai, la cura tua
Imprender, non ripensando a cosa
lieve o grave.

Il

tuo deso pi caldo

Accoglier, lo compir, che invero

La tua meta proposta onesta e bella.


I regi scalchi un desco d'or portarono

E con Zal vi si assise il re de' regi,


Quale indicea che seco a quella mensa
Di re, pastor di genti, anche sedesse
Ogni prence pi illustre. Allor che piene
Per la mensa regal furon le voglie,
Appo a un trono diverso il loco ei fecero
Del vin giocondo. Poi che fu gustato
Il

gagliardo

Che avea

licor,

Sam

Figlio di

quel glorioso

balz d'un palafreno

briglie dorate, alto sul dorso,

and; la notte quanto lunga ei stette


misurar, pien di pensieri il core,

Pien

di

tronche parole

il

mesto labbro.

Cinto d'una cintura, al primo albore


Ei venne a Minochr principe invitto;

Del

mondo

Molto
Di l

Che

il

si

il

sire benedisse a lui,

lod nel cor, poi che


tolse.

il

garzone

F' precetto allora

sacerdoti e sapienti e saggi,

Astrologi e indovini, insiem raccolti

Dinanzi
Firdusi,

I.

all'alto

trono suo, del cielo


27

418

Investigasser l'opre tutte. Ei vennero,

Lunga

fatica

sopportando a gara

verter qual dagli astri alto secreto

Trovassero cercando. E per tre giorni


Ei s'indugiar nell'opra lunga, e alfine

Venner con greche tavole

mano.

alla

Sciolser la lingua innanzi al prence e dissero:


Il

ciel rotante a computar noi fummo,


questo dalle vie degli astri in cielo

noi si dimostr, che correr dee


L'acqua limpida e chiara. Or, da cotesta
Figliuola di Mihrb, di Sam dal figlio,

Un

forte nascer pieno di core,

D'inclito

nome per

la

terra.

gran vigor,
egual mai non Ila sotto

mostrer

Si

Un
Del

ciel

di

sublime.

sar

il

Un

prode

di cui
la

vtMta

viver suo

D'anni molti, ed avr forza e valore,

Costume eletto e maest, coraggio,


Mente e braccio gagliardo, e ne' conviti
E nelle pugne chi il pareggi mai
Non trover. Quand'egli al suo destriero
Di sudor molle

il

crin far,

gli

avversi,

Nelle battaglie sue, inaridirsi


Il

core in petto sentiranno. L'aquile

Passar non oseran sul capo suo,


Ned egli in conto avr d'uomini eroi

mondo. Alta statura


avr ferma e gagliarda,
Si che i leoni ancor del laccio suo
Nei nodi impiglier. Per farsen cibo,
Onagri uccisi rosolar sul fuoco

regnanti

rtel

E possanza

Egli far,

egli

gemer

far dattorno

brando suo lucente


Al
L'aure commosse. Ornato egli pur
Di regal cinto e per l'irania terra
sibilar del

fa


Sar sostegno

Ma volto
A Irania

419

ai cavalieri suoi.

l'amor suo sar pur sempre


bella, e

sempre

in fiera giostra

Co' Turani ei sar, n, dell'iranio

Principe al cor gratificando, mai

Sar che

La

in suol di

notte o

il

Cina o in suol di Grecia

giorno

ei

dal

pugnar

si

resti.

Giubil Minochr di lor parole

il

cor disciolse dall'antico affanno.

Disse quel nobil re: Ci che diceste,

Or

si

Zal

tenga secreto.

In quell'istante

invito l'inclito signore

f'

dimandargli alquante cose. Ancora


Alquante cose i sacerdoti a lui
Chieder dovean d'enigmi sotto il velo,
E quei sedean, vigili il cor; sedeano

Con Zal degno d'onor tutti que' saggi.


A Zal f' tal dimando un sacerdote,
A lui di mente acuta un tal dimando

Un

saggio

f' di

Dimmi che son

gran consiglio: Dimmi,


que' cipressi elevati.

Dodici inver, che crescono con molta

Grazia e son lieti di bell'acque? Ognuno


Sporge trenta suoi rami, e in Persia bella

N crescono giammai, n mai


Dissegli un altro sacerdote:

si

scemano.

Sono,

Inclito garzoncel, veloci al corso,

Di pregio eletto, due destrieri.

E bruno
Candido

s
si

qual

mar

Un

d'essi

di pece, l'altro

qual fulgido cristallo.

l'uno e l'altro corre, ed affrettati

Son veramente,

Non

ma

questo o quello

Dissegli

un

il

compagno suo
che mai raggiunga.

fia

altro ancor: Trenta qui sono

Bei cavalieri, che passar

Dinanzi ad un gran re.

si

fanno

Manca

l'un d'essi,

420

Ove qualcun

li guardi attento; eppure


Trenta elli son quando li conti ancora.
Il quarto saggio disse allor: Tu vedi
Un campo dilettoso e di verzure

E d'acque ricco. Un uom con affilata


Falce vi sta, rubesto, che a quel campo
Ne vien con fiero incesso. Egli del campo
Falciando va

le

secche e

le virenti

Erbe dovunque, e se tu preghi e piangi,


Un altro disse ancora:
Ei non ascolta.
Son due cipressi da l'eretta cima

Che levansi da un mar d'onde ripieno,


S come canne. Un vago augello il nido

Ha
Un

in essi; la sua

stanza al primo albore

de' cipressi, e l'altro in su la sera.

Seccan le foglie d'un, quando sen parte


11 vago augello, e com'ei va su l'altro,
L'altro ha di muschio odor soave. Un d'essi
Cos sen va splendido e bello, e l'altro

Vizze reca

le foglie e

secchi

frutti.

domand: Sulla montagna,


Ferma rinvenni una citt. Ma genti
Di tal citt sagge ed accorte un loco
Pien di rovi han trascelto alla pianura.
Ivi ilici levar, di cui la cima
Giunge alla luna, e l son servi alquanti,
Altri hanno impero. Ma ricordo alcuno
Dell'antica citt non passa il core,

E un

altro

Ognun risparmia

le

parole sue

Dal rammentarla. Sorge un improvviso


Turbo frattanto, e vi dispar la terra,

Ogni campo dispar, s che deso


Ritorna in lor di lor cittade antiqua,
Lungo pensiero in essi torna... Queste
Sotto ad

un velo son parole

Tu

rintracciarle indi

fa di

ascose;
le

scopri

421

Apertamente a questi saggi innanzi.


Se questi enigmi svelerai, cangiata
In muschio eletto avrai la negra polve.
Per alcun tempo si rest pensoso

ma

Zal giovinetto;

Le braccia

f'

si

eresse poi,

cader, poi, ripetendo

De' sacerdoti le dimande, sciolse

La lingua

alla risposta in cotal guisa:

In prima, per que' dodici elevati


Alberi, di cui porge trenta

rami

Ciascuno, sappi inver che son dell'anno


Dodici lune ognor novelle. Asside

La nuova luna qual novello


Sovra un seggio novello. In
D'ogni luna

del

Or

compie

si

tempo

il

il

vero computo,

mutarsi

dicesti di ci

sire

trenta giorni

di tal guisa.

che due destrieri

Fanno, veloci qual la sacra fiamma


D'Azergashspe, e l'uno bianco e
Di color bruno, e in ogni

tempo

ei

l'altro

vanno

Rapidamente l'uno dietro all'altro.


Ei son la notte e il d che volan ratto

E segnano

del ciel sovra

L'eterno moto.

L'un dietro a

Ambo
l'altro,

il

tuo capo

correndo

ei

vanno

e questi ben vorria

Quello arrivar, quello quest'altro; eppure

Nel correre veloce ei non raggiungonsi,


Ma corron come belva innanzi ai cani.

Tu

che, terzo, dicesti di que' trenta

Tuoi cavalieri (ei passano dinanzi


Ad un gran re, ma di que' trenta un solo

Manca, e son trenta se li conti tutti),


mancar non favellasti
Di questa luna che di tempo in tempo

Altro che del

Vien meno in una notte. degli erranti


Arabi al mese il novero cotesto,

422
S

che

quando

di

Cavalieri

in

quando un

di que' trenta

scema. Onde, se alcuno

si

Vi guarda ben, mancamento si trova:


Eppur, computo esatto si pareggia,
Ben che di tanto il mancamento sia.
Dal fodero trarrem parola acconcia

Per quell'augel che

nobile cipresso

il

Ha per soggiorno. Caligini e nebbie


Non ha la terra dal propizio tempo
In che

sol d'Arite fra le stelle,

il

Al suo viaggio
Pesci
I

sol,

quando

ne' freddi

brume.

cipressi di quest'alto cielo

due

G-li

il

posa, nebbie sono e

si

che torna

la Libra. Allor

Fin ch'ei tocca

estremi punti son veracemente,

Di questo cielo, onde siam noi talvolta

Pieni di gioia, e tocchiam danno e offesa


Tal'altra ancor. L'augel che vi raccoglie
Dall'alto

Intendi

la

sappi ch'

voi,

il

fiammante.

sol

che dal fiammante sole

e timor discendono ai mortali.

Speme

Ma

il

che posta sovra

la citt

il

monte,

sede eternai, loco tremendo

Del giudizio

Sparso

di

Dio.

Quel

tristo

Ove son pur

campo

caduca,

di rovi la terra

delizie e son tesori,

Son rancure e travagli. Ivi si conta


Ogni respiro tuo. L'un de' mortali
Cresce, e l'altro

il

tocca d'un colpo.

destili

Levasi con tremuoto una bufera


E levasi dal mondo un grido alterno

di voci

un tumulto,

Abbandonata

e su quel

campo

restasi la nostra

ne

Diuturna

fatica,

or che

Salir sul

monte

alla citt.

Del nostro faticar godesi

d'uopo

Ma

un

il

frutto

altre;


Non per sempre
Ei pure

Andar

423

gli rimari,

che partesi

Cos fin dal principio

alfliis

le cose e

ancora andranno, e vieta

Questa legge non fia. Che se di noi


Sar viatico un nome onesto e puro,
L'anima nostra fia pregiata altrove
E d'onor degna. Ma se stolte brame

Avremo in cor, perversi e tracotanti,


Quando morti sarem, tutto cotesto
Ben chiaro si parr. Tocchino gli astri
Le case nostre, ma funeree bende
Saran

di noi la destinata parte,

Quando

ci

Gravando,

copriran zolle e mattoni,


il

viso. Di

sgomento un loco

Quello sar, di doglia e di terrore.


Il deserto e quell'uom da l'affilata
Falce nel pugno, onde pur treman l'erbe

E l'aride e
E l'aride e
Non porge
Che va

le

verdi

le verdi,

(ei

va falciando

e se tu preghi,

pur ci. Colui


Tempo, e noi siam

ascolto), son

falciando,

il

pari son per lui nipoti ed avi.

giovinetti od a vegliardi

l'erbe,

mai
non riguarda, e quella che sott'occhi
Preda gli vien, tocca d'un colpo. Tale
Ei

Di questa terra legge e norma, e invero,

madre nasce
L'uomo quaggi. Da questa porta egli entra,

Sol per morir, dalla sua

Esce
Il

dall'altra, e

il

destino dall'alto.

respirar ne conta

questo adunque

Unico detto, e rinnovar l'antica


Nostra dimora alcun non pu. Cotesta

del fato

la

legge e la natura,

Toglie con questa man, clona con quella.

Queste parole come disse aperte


Zal giovinetto, dell'iranio sire

424

il cor. Ma l'inclita assemblea


Nel suo gioir meravigliava, e intanto,

Giubil

Viva! oh! viva!, a gridar quel re dei regi


Incominci. Di festa un loco eletto

Quel nobile signor venne apprestando,


Qual una notte in cui risplenda il cerchio
Di questa luna al d quattordicesmo.
Ei bevvero del vin fin che la terra

Fecesi oscura, fin che de' beventi


Stord la mente al vin gagliardo. Alfine
Sorse clamor di prodi che cercavano

Lor

palafreni, e tutti uscir d'un tratto

Dall'ostello regal. Partan gli eroi

Ebbri

tutti e

giocondi e per la via

Stringea l'un nella

Quando

sul

man

la

monte questo

man

dell'altro.

sol

fiammante

Vibr suoi raggi e de' principi assorse


Dal sonno il capo, Zal ardimentoso
Venne, ben cinta la persona, innanzi
Qual leon fero al re dei re, chiedendo
Vnia al partir da la regal dimora

Per ritornarsi
Prence d'eroi.

padre suo

al

diletto,

Desio, nobil signore,

Ei disse al regnator dell'ampia terra,

Venne

in

me

di

veder l'amato volto

Di Sam. La base del tuo eburneo trono


Io gi baciai, sereno per la tua

Corona e maest si f' il mio core.


Giovane eroe, dissegli il prence, ancora
Questo giorno a contar qui

Ma
Di

ti

rimani.

in te sorse deso della figliuola

principe Mihrb.

Desiderio di

Sam

E comand che

Dove

staria

nel tuo bel core?

ratto alla palestra

Crotali d'India andassero e sonagli

Con trombe e

corni.

Con ferrate

lance,


Con clave e
Scesero
I

425

giavellotti ed archi incurvi,

tutti

giubilanti e in festa

valorosi. Gli archi elli afferrarono

E dardi in legno ben compatto, e posero,


Come in d di battaglia, ai colpi un segno.
le redini per qualche
prova con la clava o il ferro,
Con le saette e con la lancia, e intanto
Tutti si stava a rimirar da l'alto
Quel re, sovrano della terra, i pregi

Resse ciascun
Inclita

Chiari e nascosti de' gagliardi suoi.

Era un albero antico entro

la

regia

Palestra allor, su cui ben molti gli anni

Eran

trascorsi e

Figlio di

Sam

mesi.

giovinetto

Il

intorse l'arco allora

nome

destriero incit, l'inclito

il

Dell'Eterno gridando. Egli nel

mezzo

Colp l'altera pianta, e la passava

Quella sua freccia imperiai.

Rapido

in corsa,

Ei sospinse
II f'

poi,

destrier, qual leon fero

lor giavellotti,

ampie

prodi
si

presero

e s'avanzar con gravi in

lanciotti ferrati.

Zal animoso da

Un

Ma

ligneo dardo in pugno,

balzar dall'altra banda, e

Che avean
Le targhe
Lor

il

un

Anche

si

pugno

chiese

un turanio paggio

forte scudo, ed incit quel suo

Nobile palafren, levando

il

braccio

Alteramente. Gitt l'arco allora

E un lanciotto afferr, meta con quello


Nuova si tolse, che quell'arma infesta
Il nobile garzon contro a tre scudi
Avventar volle e trapassolli tutti
E dritta f' cader da l'altra banda

La
Il

saetta veloce. A' suoi gagliardi

re del

mondo

si

rivolse e disse:


Qual

426

prenci vuol lottar con seco?

d'esti

Or

vi provate nella lotta ancora

Un

cotal poco. In giavellotti e dardi

Tutti vi super di

Sam

il

figlio.

Tutti gli eroi trassero Tarmi allora,

Gorrucciosi nel cor,

ma

con giocose

la lingua. Elli discesero

Parole in su

Governando

le redini ritorte

In chiuso campo, con le lande loro

Che corruscanti avean


Accadde

Zal spronava

Alta la polve

Qual mai
Inclito,

le

punte. Accadde,

ch'uom contro ad uom ne venne,

si

si

il

suo destrier. Dal campo

Guardava

lev.

fosse cavalier tra quelli,

reggitor forte di redini,

Dall'eretta cervice, e tosto fuori

Dal nembo della polve alto levata


Qual pardo agreste usca. Prese colui
Alla cintura con la

lo tolse,

Dall'alto dell'arcion,

Re Minochr
Ad una voce

man

possente

qual se nulla

ei fosse,

che ne stupa

co' suoi gagliardi. Allora

dissero gli eroi:

Niuno di tal natura un uom possente


Vide giammai. Chi disfidarlo ardisce
Fa s che la sua madre in color tetro
E Minochr soggiunse:
Le vesti muti!
serena
d'anima
Eternamente

Resti questo garzon, forte, animoso,

Che un eroe che il somigli, unqua non nasce


Da valorosi. Eroe, dich'io?... Costui
Tra i feri alligatori assai pi giusto
Annoverar si dee. Deh! fortunato
Sam antico guerrier, se a lui nel mondo
Erede rester come costui,
Cavalier di gran cor!

Lui benedisse


re sovrano,

Il

427

prenci

Benedissero a lui

lieti

incliti

e forti

e festanti.

Cos que' grandi alla real dimora


Si ritornar,

si

ritornar ben cinti

Della persona, le corone in capo,

della terra

maggior sire un dono


s che stupiti
ne restar, con seggio

il

Al garzone apprest,
I

prenci tutti

In fulgid'or, con inclita corona,

Con un'aurea cintura e braccialetti


E un bel monil, con una veste ancora
Di gran valor, con giovinetti paggi,

Con palafreni e ogni

Destn fortunato

Volle affidar

Di

Sam

il

altra cosa adorna.

egli cotesto

baciava innanzi a

figlio

XIV. Nozze

reverente

il

di Zl e di

lui

suolo.

Rdbeh.

(Ed. Cale. p. 156-161).

Indi al foglio di

Sam

scrisse risposta

L'iranio prence; in ver meravigliose

Parole

ei scrisse

Eroe famoso e

e nobili ed acconce:
di

gran cor, vincente

In tutte l'opre tue,

come

Un che

te,

assomigli a

leone,

non vede

cielo

il

Rotante in alto, nelle tue battaglie,


Ne' tuoi banchetti, ne' consigli tuoi,
Nell'amor tuo. Quel figlio tuo bennato,
Zal cavalier, di cui sar nel

Alta memoria, a

me

mondo

ne venne, ed

io

Dal desiderio suo ratto conobbi


Ci ch'ei dimanda, e il suo consiglio e quale
La pace del suo cor. Come l'epistola


A me

428

giunse del prode,

Con anima serena,

io l'ascoltai

e ci ch'

pure

quel ch' la pace

Il

tuo piacer,

la voglia di Zal. Tutti concessi

fec'io,

Li suoi desiri a

Pur anco

gli

lui,

giorni felici

augurai.

Di cui son preda

Ma

da un leone

feri pardi, quale,

Qual figlio nascer fuor che un leone


Ardimentoso nelle sue battaglie?
L'accomiatai con lieto core adunque,
E possa da lui sempre andar lontana
Opra maligna del nemico suo!
Usc felice, sollevando il capo
Sugli altri eroi dell'esercito accolto,
Zal giovinetto, e a

Un

Sam

pose alla via

messaggier. Gol cor beato e in

festa.

ora uscii dal mio signor, portando


dono imperiale, un diadema,

Disse,

Un

D'avorio un seggio e collane ed armille.

Tanto

gio

per quell'annunzio

Principe Sam, che parve,

a'

lieto

tardi giorni,

Ringiovanir. Subitamente un suo

Cavalier di Kabul

Mihrb

ridisse a

mand
le

alla terra

intravvenute

Cose e del sire le accoglienze oneste


E con qual gioia tra i suoi prenci andava.
Ecco!, dicea, come qui giunto sia

Da me Destn,

gran faccenda noi


il messaggiero
Correndo nel Kabul; tutte ascoltava
Le udite cose quel gran prence, e allora
Ordineremo.

Tale gio

la

Giunse

di quella terra

il

sire

Pel vincolo d'amor con quei che

Del Zabl

si

il

sole

dicea, quale sara

Quei che gi morto il viver suo riaver


se vecchio qualcun si ritornasse

429

Ai giovani anni suoi. Detto tu avresti

Che l'anima erompea


S

che invito

musici e cantori.

E d'anima

ei

dal cor di quelli,

facean da tutte parti

poi che, lieto

serena, ebbesi

il

labbro

Pieno d'un riso e giubilante il core


Prence Mihrb, quell'inclita sua donna
A s innanzi chiam, parole molte,
Sagaci e accorte, ebbe con lei. Le disse:
Ebbesi luce da' consigli tuoi,

Saggia mogiiera mia, questo mio loco

tristo e oscuro.

La man

nobile virgulto

ponesti, quale per la terra

Benediranno i prenci tutti. Ed ora


Qual tu festi a principio, il fin dell'opra

d'uopo investigar. Tutti

tesori

Colmi si stanno a te dinanzi, troni,


Diademi e dovizie alto riposte.
Sindkht, come l'ud, da lui partissi,

Venne

alla figlia sua, tutto

il

secreto

Per disvelarle, e s le die giocondo


Annunzio inver della gioconda vista
Di Zal: Quale dovei, sposo trovasti

Di te ben degno! Si ritragga intanto

Dal biasimar

Tu

la

gente ch' superba.

inver corresti impetuosa e ratta

Al deso del tuo cor,

Quanto bramavi.

Rudbeh

ma ben

toccasti

regal donna, a

lei

rispondea, degna di lode

Presso ogni gente inver, guancial farommi


Di quella polve che
E, se

il

Nuzial

Lungi

il tuo pie calpesta,


comandi, compir quel sacro

rito.

gli

Ma

de' rei

nemici

occhi da te! Di bella luce

Sia soggiorno

il

tuo cor, sia l'alma tua!

Sindkht, come ascolt quelle parole,

430

L'antico ostello ad apprestar

si

pose

Qual paradiso adorn l'aule, e vino


Eravi e muschio ed ambra eletta ed acqua

Pura di rose. Ella gitt tappeti


Con figure leggiadre inteste d'oro.
Con smeraldi confitti ivi da questa
E quella banda. Avea figure un altro
In perle di bell'acqua, e veramente
D'acqua una stilla ogni grano parea.
Pose nell'aula un seggio d'or, vel pose
Con ornamenti di cinese foggia;
Erano in gemme rilucenti e colme
Le sue figure, e tra le uemme fregi
Eran dipinti. Ma in rubini tutta
Era la base di quel trono, quale
Era ben degno d'un gran re, di grande

pregiato valor. Qual paradiso


Orn Rudbeh sua, formule scrisse
Di maga sovra lei, bella qual sole,
Indi nell'aula rilucente d'oro

Posela ad abitar, n conceduto

Fu

l'accesso ad alcun fino a colei.

Tutta

Piena

la terra del

Kabul s'adorna,

di fregi e di fragranze,

Di ricchezze e dovizie.
Degli elefanti

il

Elli

piena

adornarono

dorso, e l'adornarono

Di drappi greci. Musici salano


Sugli elefanti e

Corone

si

poneano

in

capo

in fulgid'or. Cos all'incontro

De' principi

ei

movean, chiedean

lor paggi

Del Kabul dalla terra e in ogni parte


Gittavan muschio ed ambi;i eletta e drappi

Stendean

di seta.

Anche gittr sul capo


una mistura

Delle genti raccolte

D'auro e

ili

muschio, e per l'acqua di rose,


si f' molle il suolo.

Sparsa all'intorno,


Ma

di

rincontro, con gli amici suoi,

Zal giovinetto gi

Al

431

ritornava

si

confili di Zabl. Destali

come per

Affrettato cos,

venia

l'etra

Vola un augello e sovra l'acque scorre

Nave

leggera.

chi novella s'ebbe

Di sua venuta, mosse ad incontrarlo

Con molta pompa. Da' recinti allora


Grido levossi: Torna dal viaggio
Zal, fortunato ne' consigli suoi!

Sam

battaglier con molta gioia allora

Vennegli incontro, e

Lo

strinse

Zal

si

al

sen per alcun tempo

con amor. Come da

disciolse, die alla terra

lui

un

bacio,

Tutto narr quanto gi vide e intese.


Sull'inclito suo seggio alior si assise
Principe Sani con Zal gioioso e

lieto,

Giubilante nel cor. Cominci allora


Tutti a ridirgli di Sindkht regina
I

detti accorti, di celar studiossi

Quand'egli rise a

Dal

Donna ne

lei.

Venne un messaggio

Kabul, disse quel grande.

confili di

fu la messaggiera,

Ne

fu Sindkht. Chiedeami

Io

promessa

Non

le sar.

Ch'ella a

le diei

Ma

me

il

nome

poi,

per tutte cose

chiese con amor, con fede.

Parole acconce

Che

il

una impromessa,
che unqua nemico

prence

avemmo

di

noi.

Fu prima

Zabl sposo sara

Della fanciulla di Kabul vezzosa,


Indi che ospiti a lei ne

andremmo

noi,

veracemente
Valido schermo. E tosto un messaggiero
Da lei ne venne e disse a me: Compiuta
Ogni cosa si sta per chi desia

All'antico dolor

La

dolce sposa

Al messaggier

di lei

432

Qual risposta or sar? Che direni noi


Tale di gioia
Al nobile Mihrb?

Ebbe conforto esilarante il figlio


Animoso di Sam, che il color suo
Tutto s'accese ed avviv. Gagliardo
Eroe, rispose allor, se tu ben vedi

Con

la

Manda

preclara anima tua, la schiera


innanzi de' tuoi. Noi verrem dopo;

udremo ancora.

Direni parole, altre ne

Sam

fortunato lev gli occhi in fronte

che

Destali suo,

fosse quel deso,

Indovinando. Sol per la fanciulla


Di principe Mihrb sono

suoi detti,

dolci sonni per l'oscura notte

Zal pi non trova. Questa

Dell'opra dell'amor! S'egli

Non

resta in

uman

l'eroe, tutti

padiglioni

f'

mostra,

cor sonno o ragione.

Crotali d'India e sonagli

Percuotere

natura

si

levar.

Messaggiero invi forte

f'

allora

recinti

Ma

in pria

un eroe

Per ch'egli da Mihrb, leone in guerra,


Andando, s dicesse: Ecco! sen viene
Per la sua via quel prence di gagliardi,
Con Zal, con elefanti e un'ampia schiera.
Velocemente da Mihrb sen venne
Il messaggier, ci che pur vide e intese,

lui ridisse.

Mihrb ne

Come

ud cotesto,

giubil, nelle sue gote

Si f' qual rosa porporina, e tosto

F' squillar

Avvincer

gli

oricalchi e

f'

timballi

alto ed apprest l'esercito,

Bello, qual d'un augel fiera pupilla.

Con

elefanti impetuosi e musici

Mentr'ei venia,

Da confine

si

f'

qual paradiso

a confin quell'ampia terra


Ai

433

serici vessilli variopinti,

verdi e rossi e violetti e

gialli.

Al clangor delle trombe e de' liuti


Al concento, al fragore alto de' sistri,
De' corni allo squillar, detto tu avresti

Ch'era ben quello del creato il giorno


Ultimo, estremo, e degli estinti corpi
risorgere, ovvero alto un fragore
Di suoni e canti. Per tal guisa andava

Il

Fin

Sam

di

nel cospetto

Prence Mihrb,

il

glorioso

discendea d'un balzo

Dal palafreno e procedea. Del regno


Il

gran vassallo forte

il

dimand

al

sen lo strinse

di quelle di

fortuna

Diuturne vicende. Il benedisse


Il prence di Kabul, Sam valoroso
Ei benedisse e Zal del pari, ed alto

Balz dipoi sul suo destrier veloce,

E luna

egli

sembr che nuova ascende

Dalla montagna.

Una corona

allora

Di fulgid'or, con fregi aspri di

gemme,

Zal in fronte ei pose, e tutti poi

Vennero nel Kabul gioiosi e lieti,


Le cose antiche, gi trascorse, tutte
Rammemorando. E la citt superba
Di

E
E

liuti

e di trombe e di ribebe

di crotali d'India strepitava,

detto avresti che ogni casa intorno


Musico un suon rendea, che altro costume
Aveasi il mondo allor. Gi le criniere

De' palafreni e lor cervici erette,


In ogni parte, veggonsi di muschio

purpureo zafferan cosparse,


di timballi e trombe
Degli elefanti il dorso, e il monte e il piano
D'un soave concento intorno echeggiano.
di

Sta sotto al peso

Firdusi,

I.

28

434

Con le sue ancelle usca Sindkht regina,


Trecento ancelle ben succinte, e ognuna
Bellamente reggeasi in pugno un nappo
D'or splendiente, pien di muschio intatto
E di fulgide gemme. Elle venino
Lodi cantando a Sam, da que' lor nappi
Gemme intorno spargendo e questo accadde
;

Che

venne a

chi sen

Senza bisogno

ricchezze poi

di

Si ritornava.

colai festa illustre.

le

gemme

gittate,

Sotto al pie di destrieri e d'elefanti,

Splendean s come stelle in ciel sereno


Veracemente, e per gli aurei denari
E per le gemme preziose, dramme
Non ebbero valor ch'eran d'argento.
In quid loco beato. Allor sorri-e

E a
Sam

regina Sindkht

f'

questi detti

E fino a quando mai


Rispose
Nasconderai Rudbeh tua?

lui

cavaliere:

Sindkht:

Il

consueto dono

Porgile intanto perch mostri

il

viso!

Ci che pi brami, chiedi a me. risposta


Cos die

Corona

Sam

alla regina; chiedi

e seggio ed

incliti

tesoro

superbe citt. Quant'io posseggo


Annoverando, la tua parte sia!
Alla dimora sua d'auro splendente

Elli venan,

l 've

teneasi ascosa

Una gioconda primavera.

Sam

la fanciulla

Allora

riguard che volto

Avea di luna, e ratio in meraviglia


Rest per lei, che non sapea qual mai
Far le dovesse degna lode e come
Gli occhi su lei tener l'ormi e dischiusi.
A Zal dissi- per: Deh! fortunato,
Ben tu avesti da Dio forte un'aita,

435

Se costei ch' qual


Di tuo volto

si

sol

pieno di luce,

piacque. Or, se tu hai scelto

perch si niega?
che innanzi a lui venisse
Prence Mihrb, s che conforme ai riti,

Chi

te gi si scegliea,

E comand

Giusta lor leggi,

tosto

Vollero

il

vincolo ei fermarono,

giovinetti alti ad

assisi,

gemme

Smeraldi e

un trono

sovra lor gittando

rubiconde e vive.
vaga qual luna,

Ma

la fronte di lei,

Un

serto avea di fulgid'or, la fronte

Del prence giovinetto avea reali


Gemme all'intorno. Fu recato allora
Delle date ricchezze ampio un registro,
E de' colmi tesori un vasto elenco,

Donde Mihrb leggea quanti assegnati


Eran tesori a la donzella. Detto,
Detto avrest che tanto non osava
Orecchio umano d'ascoltar. Stupa
Sam, ci vedendo, e dell'Eterno il santo

Nome invocava sui raccolti doni.


A un loco discendeano, atto a le
Da quel loco, e restar per
Con un vino alla man; di

feste,

sette giorni
l

pur anco

All'aula iniziai facean ritorno,

vi restar

Con molta

per sette giorni in festa

gioia.

La

citt frattanto

D'allegre voci tutta risuonava,

E un

paradiso ben parea l'ostello


N Zal, n quella

Di quel duce d'eroi.

Vaga fanciulla dal purpureo labbro,


La notte e il giorno, ripos per sette
Giri di sole giornalieri. In molti

E scambievoli amplessi eccitamento


Fu a trasvolar quella rapida notte,
E prenci intanto del popolo accolto,
i

436

Intrecciate le man, facean lor danze

Vaghe dintorno a l'inclita dimora.


L si restar con musici e con trombe
Per sette giorni ancor, con canti e feste
Tumultuose ed ospitar di genti.
Ma, del mese al cader, partasi ratto
Sam di Nirm, volgea subitamente
Verso il confine di Sistn. Partito
Poi che fu il prode, si rimase a dietro
Zal per un poco e sette giorni ancora
Trapass nel gioir. F' palanchini

E lettighe apprestar, molle un giaciglio


Per la vaga sua donna, e preser via
Verso il confine di Sistn gioiosi
E Mihrb e Sindkht, con essi tutti
Lor congiunti e cognati. Andaron elli
Festosi in cor, con mente allegra, e piene
Avean

le

labbra di gioconde lodi

Dio, di grazie donator. Discesero,

come

Festanti

pei' vittoria,

ridenti e donanti al

lieti

mondo

luce,

Nimrz. E allora
Ampio convito apprest Sam. Tre giorni
In quel banchetto amministr del vino.
Indi Mihrb, lasciando la sua donna
Fino

alla terra di

In quella

Fino

al

Sam

terra ancor, torn affrettalo

Kabul

co' suoi gagliardi al fianco.

cavaliero,

come giunto

al

fine

D'ogni dolce deso vide quel suo


Zal valoroso di buon

La

nome

in terra,

signoria del suo paterno iv-no

Zal abbandon, con

Fuor

lieti

auspici

l'esercito addusse. Ei discendo;!

Verso il Kergsr, in terra occidentale,


Fausto un vessillo dispiegando. Or io,
Disse,

men

vo,

che mio

gli

ornai quel regno,

437

E quelle genti non ancor di giusto


Core son verso a noi, non d'occhio amico.
Minochr gi mi die l'imperiale
Editto e le citt di quella terra

lor proventi e disse: Ecco! tu questo

Abbi e gran frutto ne raccogli! . Temo


Di gente avversa e tumulti e scompigli,
Temo pi degli eroi che hanno in custodia

La

terra del Maznd...

Zal, qui t'affido


Il

trono e

Ma

qui, frattanto,

loco mio, t'affido

serto e la regal possanza.

il

Sam, che

il

il

nemico d'un

Cos part. Zal

si

sol

colpo atterra,

rimase a dietro,

Alta la fronte sollev sul trono.


E tripudi apprest con vin giocondo.

XV. Nascita
(Ed. Cale.

p.

di

Rustem.

161-165).

N, dopo questo, molto tempo andava,


Che la fanciulla, pari a un bel cipresso,
Venne a fruttificar. Lei, ch'era vaga

Qual primavera ch' conforto all'alma,


Affranta

Dato

al

si

mostr, dato al dolore,

corruccio fu quel cor. Pel grave

Pondo che in seno avea, Rudbeh adorna


Lagrimava sovente; colmo il grembo,
Il corpo grave, e pallide le gote,
Porporine gi un tempo. Un d le disse
La madre sua Deh che t'avvenne, o dolce
Alma della tua madre, or che in tal guisa
:

Smorta ti festi?
E quella rispondea:
La notte e il giorno a supplicar l'Eterno
Io le labbra dischiudo. Orba son io

438

Dei dolci sonni e pallida e avvizzita,


S che diresti ch'io son corpo estinto

Che a

Veracemente
tempo mio, ne scampo invero

vita ritorn.

giunto

il

10 trovo gi dal sopportar tal pondo.

Diresti

che

di pietre

Tutto ripieno, o che

corpo mio
duro ferro

il

di

il piccioletto che vi sta nascosto.


Senza riposo allor Sindkht regina,

Per

la doglia di lei si lagrimava,

Quelle sue gote in rimirar

smorte.

che tempo giunse


Del partorir, mentre di sonno e pace
Sempr'ella avea vano un deso. Ma quando
Venne qul d ch'ella depor dovea
11 grave pondo e riposarsi alfine
Dal diuturno vigilar, s accadde
Che in quel giorno parta subitamente
Ogni senso da lei. Grido levossi
Dalle stanze di Zal. Come ne giunse
fu cotesto fin

La novella

a Sindkht. graffossi

il

volto

nero crine odorane di muschio


Forte si svelse. Anche a Destn l'annunzio
Ratto ne andava, all'agii suo cipresso
Gi le foglie avvizzir. Corse al guanciale
Zal di Rudbeh sua, piene di lagrime
Ambe le gote, il cor trafitto. Ei pure
Palma a palma percosse e il crin si svelse,
Pieno d'acerbo duol, come se preso
il

Da vin gagliardo

le

Scoverto

il

Zal

ei

il

il

il

allora

Oh! ma

un pensier,

gineceo

crin dal capo,

capo e senza fregi

volto lacrimoso.
f'

fosse.

ancelle svelleansi

il

crine,

nel core

che per esso

Pi lieve a sopportar si f' l'angoscia.


Alla memoria sua come tornava

439

del Simrgh, sorrise alquanto


Sindkht il lieto annunzio. Tosto
Rec un bracier, v'accese un fuoco, e in esso
Arse di quella penna un picciol frusto.
Subitamente l'aer s'intenebrava
E l'augel si mostr, di cui sovrano
Era ovunque il voler, qual fosca nube
Cbe gemme piove. Oh! cbe dich'io?... La pace
Dell'alma ne piovea! Correndo venne

La penna

die a

Fino a principe Zal l'inclito augello


Dai lieti auspici, e il giovinetto eroe
Molte laudi gli f', resegli omaggio,

E lungamente

il

benedisse. Allora

11 Simrgh favell: Perch tal duolo?


Perch negli occhi del leon gagliardo
Son del pianto le stille?... Oh! da costei
Ch' donna tua, vaghissimo cipresso,
Da lei, che ha volto di leggiadra luna,
Candido il petto quale argento, un pargolo
A te verr di gloria amante. L'orme
Che su la polve ei stamper del suolo,
Baceranno i leoni, e sul suo capo
Passar non oserah le fosche nuvole.

De' pardi battaglieri la gaietta


si fender della sua voce
Al suon tremendo, e quelli ambe

Pelle

le branche
morderanno in lor furor. Ma i prodi.
Ben che gagliardi, che udiran di sua
Clava il cupo fragor, che il petto suo
Vedranno e il braccio e la cervice, a quella
Voce orrenda di lui, schiantarsi il core

Si

In petto sentiranno, essi guerrieri,


Essi

che reggon palafreni

in giostra

L'acciar mordenti. Egli in saggezza e senno


Sani novello sar saggio e avveduto,

Sar

nell'ira

sua quale un leone


Che

la battaglia

Di cipresso

Avr
Lungi

440

agogna. Alta statura

egli avr, degli elefanti

la forza, e col pollice

suo

suoi dardi avventer.

Ma

intanto,

Del nascer per la via comune agli altri,


Al mondo ei non verr, ci per comando
Di Dio signor, dator di grazie, in lui
Perch maggior felicit si mostri,
Poi che venendo da la via si tolse
Vulgar degli altri... Or tu qui reca e appresta

uom

Rilucente una lama e un

ti

adduci

Esperto di maga, di cor veggente;


E in pria con vin gagliardo ebbra farai

La vaga donna tua, via discacciando


Ogni sgomento, ogni pensier dal core,
E vedrai poscia ci che il mago esperto,
Di vigil cor, far. Di
Ei trarr

il

Qual cipresso

dal fianco

lei

pargoletto.

Egli aprir (sentor

non

fia

Dell'acerbo dolor), poscia


Figlio di

un

in pria di

lei,

gentil, l'eretto fianco

il

per essa
fanciullo,

forte, fuor trarr

con cura,

donna leggiadra
Insanguinando. Ma ben tosto al loco

Il

fianco della Ina

Ov'ei trafisse, cucir l'esperto,

tu lungi dal cor

manda

ogni tema,

Ogni sgomento, ogni dolor. Con latte,


Con muschio pesterai virente un'erba,
Ch'io

ti

dir, farai queste tre cose

All'ombra disseccar, poscia con cura

Le spalmerai con soffregar leggiero


Sulla fresca ferita, e l vedrai

Segni di guarigion nell'ora

Ma

poi

sulla ferita

Stropicciar dovrai tu.

L'ombra

di questa

istessa.

una mia penna

E benedetta

maest divina

441

Che mi circonda. Ma pei detti miei


Or t' d'uopo gioir, t' d'uopo andarne
Pregando a Dio signor, qual

donava

ti

Quest'albero regal, che la tua sorte

Ad
Per

ogni giorno

fiorente e lieta.

fa

tuo bel cor, poi che

Il

non

l'opra che farai, deh!

affliggere

fecondo ramo

il

Della tua pianta viene a dar suoi frutti.


Disse, e

una penna

dall'ali si tolse

la gitt, poscia levossi a volo

mosse e prese
venne e fece,
che detto fue.

Alto e sublime. Zal

si

Quella piuma

poi

Oh

fatai,

meraviglia!, ci

Stavano a riguardar l'opra inattesa

Le genti accolte,
Avean principi e
Lagrime ardenti

e lagrimoso

il

di

Sindkht ancora! Come uscir


Dicea, dal fianco

potra,

pargoletto?

il

Un sacerdote di man pronta e


E lei che gote avea di bianca
Ebbra fece
Ei le apri

luna,

fianco e dalla via diritta

Ritorse alquanto

il

pargoletto e fuori

Di cotal guisa senza offesa

Che niun nel mondo mai

il

tal

trasse,

meraviglia

Vide a que' giorni. Un pargoletto


Leonin,

di

Venne

ferma,

Senza dolore

col vin.
'1

ciglio

Oh! gi dagli occhi


dolor versava

servi.

egli

era

statura alto e d'aspetto

Illustre e grande.

Biondo avea del capo

volto qual di sangue acceso,

Il

crine, e

alla luce egli usca

il

Radiante esce

il

sol.

Cos ei nascea con

come

al

Dalla sua

ambe

le

mattino

madre

sue mani

Piene di sangue, e niun si ricordava


D'un pargolo siml. Meravigliarono

Uomini e donne inver, che niuno intese

442

Di fanciullo ridir che s gagliardo


Corpo si avesse qual di agreste fiera.
Ma, quella notte e il d, stette la madre

Assopita dal vin, dal vin sopita.


Partiti

sensi del suo cor. Cucirono

Di sua ferita

il

fatai loco e l'aspra

Doglia ne addormentar con forte

Come

dal sonno

si

un balsamo.

dest colei,

Qual cipresso vaghissima,

le

labbra

Disciolse a favellar verso la madre,

E tosto sovra lei gli astanti a prova


Oro e gemme versar benedicendo
A Dio supremo e il piccioletto ancora
Le recar giubilanti e come un cielo

lei

di

sopra

il

sollevar.

Ma

detto

Avresti allor che al primo giorno suo

un anno contava, ei che parea


un vago cumulo;

Egli

Di gigli e tulipani

Ed

ella,

Leggiadra, al pargoletto

Sorrise alquanto e discoverse in

lui

Di re dei re la maest. S'accora

Che

pondo grave era da lei;


mir l'infante suo
Di gran valor, Per questo germe, disse,
Giunse a fine il mio duol!
Cos al fanciullo

lungi

il

poi ch'ella

Rstem nome

fu imposto.

Zal e Sindkht, e

Che venissero

f'

Oh

n'ebber gaudio

comando

il

prence

a lui fabbri ed artefici.

Di seta un fan tocchi quelli cucirono

Alto quant'era in sua statura

il

pargolo,

Qual leoncel, che ancor di latte candido


Stilla gustata non avea. Di morbido
Pelo di zibellin tutto il colmarono.
Venere e il Sol con arte gli dipinsero
Sovra le gote. Pari ad angui impavidi
Gli fer le braccia, e le mani eran simili

443

Ed una cuspide
una clava fulgida
Ei reggea da una man, lucenti redini
Tenea dall'altra. Il fantoccino ei posero
Sovra un baio destrier, poscia di nobili
Di leone agli

artigli.

Sotto le ascelle, ed

Paggi e sergenti attorno il circondarono.


Quando compiuta fu quell'opra industre
Cos, come dovea compirsi allora,
Rapido un messaggiero elli inviarono,
Gittr monete fra' lor servi, e poi

Quella

di

Rstem

piccioletto

immago

Zal valoroso appo l'antico padre,

Sam,

invi. Festa s'indisse allora

ne' giardini, dal

Kabul continua

Fino alla terra di Zabl. Quel piano


Tutto era a vino e a risonanti trombe,
Cento doppieri in ogni canto. E invero
L, nel confine di Kabul, gioia
Prence Mihrb e a' poverelli intorno
Dava monete per il fausto annunzio.
Sedean dovunque e musici e cantori
L nel Zabl da confine a confine,
E gi non era il principe sovrano
Pi in su de' servi suoi, ma sedean pari,
Insiem commisti, come trama e ordito.

Appo Sam cavalier l'immagin bella


Rstem piccioletto, ancor lattante,
Fu allor recata. La depose il messo
L dinanzi al guerrier che la guardava
Di

E
I

gaudio e gioia
peli tutti a

n'avea. Rizzaronsi
guerrier per molta

Sam

Meraviglia che n'ebbe, ond'ei sclamava:


Veracemente a me somiglia questa

Immagine composta in molle seta!


Che se di Rstem la persona a mezzo
Pur giunger d'est figura, in cielo


Il

444

capo suo rasenter le nubi,


il suol della sua veste

Rader

Indi a s volle

Cotante

gli gitt

Ne parve

il

lembo.

il

messaggier. Monete

che

cumulo

l'alto

capo pareggiar d'altezza,


Indi una festa ordinar volle, e d'alto
Stettero a contemplar la luna e il sole
il

Di tripudio quel loco. Alto levossi

Da

quelle soglie di timballi

un

fremito.

Segno

di gaudio, e fu quell'aula illustre

Nitida

si

qual d'un fero augello

La vivace

pupilla. Ei volle

adorne

Di Segsr, di

Maznd l'ampie

Da

confili,

confine a

cittadi

rec del vino.

musici raccolse e a chi

la

vita

Mendicando sen va. gitt monete.


Poi che in tal guisa trapassar veloci
Sette giorni, a s innanzi assiso volle

Quel glorioso uno scrittor

d'epistole,

Indi acconcia not risposta al foglio

Che

Zal gi gl'invio,

la

sua risposta

Volle adornar qual di paradiso


Dilettoso

un

giardin. F' lodi in

prima

Dio signor per quello di fortuna

Mutamento

propizio, indi

encomiando

Zal prosegua, di spada gran maestro,

Gran maestro

di clava.

quella

immagine

Poi discendea di molle seta, quale


Degli eroi la cervice e de' monarchi

Avea

la

maest. Cotesto pargolo

Caro v'abbiate voi, disse ingiugnendo,


S che non tocchi mai da un'importuna
Aura l'offesa. Or io, del cor nell'intimo,
La notte e il giorno Iddio pregando stetti
Che potessero almen questi occhi miei,
Nel viver mio, questo fanciullo tuo

445

Di tua semenza contemplar, simile


A me d'aspetto. A tal deso compiuto,
Erigerci possiam della persona
fa d'uopo
gioconda vita in terra.

Beati ornai, n chiedere

Fuor che per

lui

Zal di cor sereno e giubilante

Rapido venne, come nembo in volta,


Il messaggiero, e poi che ud quel grande
I

dolci detti, a rallegrargli intenti

L'anima

un

in core,

altro gaudio aggiunse

quel gaudio di pria, sollev altera


Verso l'azzurro ciel l'ardua cervice.
Cos

adunque

sul capo de' mortali

Volgeasi tempo, e

le

nascoste cose

Disvelavansi intanto. Ecco!, porgeano


Dieci nutrici a

Rstem

picciuletto

che sazio n'era


II dolce
E allor che venne
pregiato.
leoncel
Quel
Dal dolce latte ad altro cibo e prese
Da carni e pane l'alimento acconcio,
Quant' d'uomini cinque il pasto usato,
Tanto era il suo. Meravigliava intanto
Di tal cibo la gente; e allor che giunse
Rstem al varco degli ott'anni, crebbe
latte,

fin

D'agii cipresso in bella guisa, e tale

Era d'aspetto che lucente un astro


Veramente ei parea, stella, che attonite
genti a riguardar. Ch'egli era
suo loco, detto avresti, a quella
Alta statura, al fiero aspetto, al senno,

Stanno

Sam

le

al

Alla saggezza. La Virtude istessa


Egli parea; Virt gli era maestra,
Alleato ed amico eragli

il

Fato.

446

XVI. Venuta di Sani.


(Ed. Cale. p. 165-168).

Come
Che

giunse novella a

Sam

guerriero

pari a leoncel crescea quel figlio

Di Destn suo, che per la terra alcuno

Mai non vide un garzon, degli anni acerbo,


Tanta contar virt di core e forza,
All'antico guerrier balz nel petto

Subitamente

cor,

il

che

gli

venne

Alto deso di pur vederlo. Allora

Che

al

figlio di

Nel Zabl

Destn

men

ei

lo trasse

Quando Zal n'ebbe annunzio, ecco


Tosto

timballi, e

Come d'ebano

nereggi

scheggia

L'esercito affidando a

De' suoi gagliardi, ei

Prenci

men

di

amore,

l'ampio corteggio.

al

f'

avvincere

la terra

molto esercito.

un capitano
venne ratto e seco

molto senno, e poi

Egli e prence Mihrb, di Kabul sire,

Per incontrar

l'antico eroe consiglio


Fecero in cor. F' scuotere nel seno
A un vaso di cristal sonanti globi,
E un grido si lev, sorsero alterne
Voci all'intorno: Va!, piglia cotesto!,
e una schiera s'adun d'eroi
Porgi!
Da monte a monte, ed era targa a targa,

Di rossa tinta o gialla, insiem congiunta.

D'arabi palafreni alto un nitrito,

Un

barrir d'elefanti, andava lungi

molte miglia. Ed ecco un elefante


Quelli apprestar no ardimentoso e fero

E un

seggio

gli

appostar d'oro ^ul dorso.

447

Su quel seggio dorato arduo


Di Zal

il

figlio giovinetto,

si

assise

ed alta

Statura avea d'un bel cipresso e forti


Omeri, eretta la cervice. Un serto
Avea sul capo ed un bel cinto ai fianchi,
Una targa dinanzi, ed arco e frecce
Strette nel pugno. All'elefante innanzi

Venan Zal e Mihrb. In color fosco,


Qual' dell'Indo la cupa corrente,

mondo si tingea per l'atra polve,


di Rstem di Zal la bella gota,
Come dall'alto il sol, vi risplendea.
Sam battaglier come da lungi il vide,
Il

Ma

In

due

file

ordin subitamente

La falange de' suoi. Gi si


Mihrb e Zal dai palafreni
Da' lor cavalli
Tutti d'un

moto

gittarono
e scesero

principi longevi.

posero

ei

la fronte

Sam guerriero
Sam valoroso

Al suol, benedicendo a

Con
Il

liete voci, e di

volto s'accendea qual fresca rosa,

Ratto ch'egli vedea quel garzoncello


Con tali omeri e braccia. Oh quand'ei vide
!

Il

leoncel posar su l'elefante,

Dolce sorrise, e

gli

balz nel petto

Per molto amore il cor! Ma il guardiano


Di Rstem garzoncel, con molto senno,
Con bel consiglio, poi che pi d'accosto

A Sam

eroe

si

f'

da

l'alio capo,

Cos dinanzi a lui con l'elefante

Pot guidarlo, che chiunque il vide


Alto n'ebbe stupor. Sam valoroso
F' lieto augurio e disse

Oh

leoncello

Forte e gagliardo, lunga vita in terra


Viver tu possa e ognor beato! Oh! prode,

Oh!

forte,

oh!

di re Zal nobile figlio!

448

D'altero capo e degno di corona

di sorte propizia,

Ampia

lode di

ecco! pel

te,

Dal materno alvo, come


Baci

il

seggio di

mondo

che niuno usca


te,

Sam

alla luce!

(oh! meraviglia)

Subitamente Rstem piccioletto


novella una lode all'avo suo
Incominciava. Cos disse il figlio
Di Zal al vecchio eroe, tosto che il vide,
Con quegli omeri suoi, con quel suo braccio,
Sull'elefante Vivi lieto, eroe

Di questa terra, ch'io mi son di tua


Alma radice un ramoscello. Un servo
Di
Il

Sam

guerrier son

posar molli

io,

n mi

si

o l'ampio cibo o

il

addice

molto

Bever profuso, ma un destrier mi bramo,


Elmo e corazza, e sol coi dardi miei
Il mio saluto to' mandar. Col piede
10 calcher la testa de' nemici

Per comando

di

Lui che

Dio sovrastante a
11

noi.

il

Ma

al tuo volto,

mio volto

mondo

fea,

ben somiglia,
antico eroe,

due coraggio e ardire!


Poscia dall'elefante ebbro d'amore
Ei si balzava, e quel duce d'eroi
Nella sua man la man gli prese. Il capo

son pari

gli

noi

in

occhi belli

Mentre

si

gli

baci pi volte,

arrestar co'lor timballi

Gli elefanti in

un gruppo;

indi al castello

Ei ritornar, per tutta l'ampia via


Letizianti e favellanti nisieme.

Posti

dovunque eran

lieti

bei seggi d'oro,

prenci sedean, bevean del vino


si tenean. Cos passavasi

Dopo cotesto integro un mese,


Mai per quel tempo si ricinse

e niuno
i

fianchi

449

Per travagli o per cure. Ognun bevea


Di musici stronfienti ai fieri accordi,

Ognun nel suo gioir liete canzoni


Recitando venia. Ma l da un canto
Destn sedea sovralto seggio, e assiso
Stava Rstem da un altro e sorreggea
Forte in pugno una clava. ra dinanzi
Sani, vincitor dell'ampia terra, e

D'aquila bruna gli


Della corona. Ei

Di Rstem

si

pendean

penne

dall'alto

meravigliava

giovinetto e sovra a lui

Dell'Eterno invocava ad ogni istante


Il santo nome; ei si stupa per quegli
il braccio del garzon, per l'alta
Statura e la cervice e il ventre smilzo
Quale canna sottil, per l'ampio petto,

Omeri e

Per quelle cosce quali son davvero


Di forti dromedari ampie le cosce,
Per quel cor di leon, per quella forza
Di tigre fera e di selvaggio pardo.

A Zal ei disse allor: Se tu dimandi


Cento generazioni, in sua memoria
Niuno questo si avr, che un pargoletto
Fuor fosse tratto dal materno fianco,
Fuor fosse tratto con ta l'arte acconcia,
In bella guisa. Oh! mille voti e mille

Al Simrgh, a cui volle Iddio dall'alto


In ci la via mostrar! Deh! che con tale
Volto leggiadro e tal cervice eretta
E con tal maest, non nel mondo
Chi uguagli il figlio tuo! Bevasi adunque
In

gran

gioia

un vin gagliardo, e

fuori

Si discacci col vin dall'alma afflitta

breve
se ne parte
si conduce.
vi
bambin
quei
vecchio, e

Ogni rancura, che


'

Per chi
G-i

Fumosi.

I.

la vita

in terra viaggia.

Un

29


Stesero al vin la

450

mano

e furon ebbri

da ricordar l'antico duce


Venner Destali a ricordar plaudendo,

Tutti, e

E Milirb
Che altri,

di licor tanto bevea,

non vide allora


mondo, e per disse: In core
Pensier non ho di Zal, non di quel prode
Sam cavalier, non dell'iranio prence
Che ha serto e maest. Basto sol io
Con Rstem, col destrier bruno qual notte,

Per

fuori di s,

tutto

il

lor su noi

Con questa spada, e l'ombre

Non oseran
Riviver

di

gittar le nubi. Ratto

Dahk

l'atra polve

far le leggi,

muter del suolo

Ma

In muschio eletto.
Di

Rstem procacciar

frattanto l'armi
vogl'io per lui.

Disse cotesto sol per gioco, e ratto

D'un rider forte

si

colmar

Di Zal, e di Mihrb ai

Sam

le

fieri

cavalier fu giubilante e

Al cader

di

labbra

detti
lieto.

quel mese, al primo albore,

Antepose al suo trono inclito e grande


Sam, figliuol di Nirm, la via lontana,
E quando dal Zabl fuori balzarono
Le sue falangi, con l'antico padre
Per una stazion venne con lui
Zal valoroso, e venne, il suo saluto
Per rendere all'antico avo, posando
Sull'elefante suo,

Sam,

figliuol di

Rstem

ardito.

Nirm, piene

di

lagrime

F' le sue ciglia, che sua vita ornai

A matura
A Zal

stagion

menava

il

sole.

mio bennato,
Guarda che altro non sii fuor che devoto
A Dio signor, de' re sempre al comando
Sommesso il core, alle dovizie il senno
''i

disse:

figlio

451

Anteposto mai sempre,

ambe

Raffrenate dal mal per tutto

le

mani

il

tempo,

Cercando ad ogni d la via diritta


Ch' dell'Eterno. Sappi ancor che il mondo
Non securo pei mortali in terra,
Che questa vita manifesta e quella
Arcana ch' di l, chieggon tua cura
Veracemente. Or tu

a'

consigli miei

T'arresta ed oltre non andar, la terra

Calcando ognor per la sua dritta via,


Ch'io gi veggo nel cor che s'avvicina
E gi m'incalza il tempo mio supremo.
A' suoi due figli die un addio, poi disse:
Dimenticar questi consigli miei
Allor, dai padiglioni
Voi non dovete!
L del Zabl suon si lav di sistri
E di trombe un clangor dal dorso eretto

Degli elefanti.

Volse

Ad

la fronte

il

occidente allora
principe de'

forti,

caldo intanto ei favellava, e

il

core

Meditava consigli. E venner seco


I due suoi figli; piene avean di lagrime

Ambe
II

le gote, di consigli

pieno

cor nel petto. Vennero con seco

Tre stazioni e ritornarsi poi,


Mentre scendea per la lontana via
Di gagliardi quel prence. Ora ne andava
Da questa parte Zal duce d'eroi,
Le sue falangi di Sistn alpestre
Al confin rimenando. Egli, qual era
Negli usi suoi

di

pugne e

di battaglie,

Tale fu ancor ne' suoi conviti. Stava


E notte e d con Rstem leoncello,
E fea tripudi e vin bevea fumoso.

452

XVII. Prodezze di Rustem.


(Ed. Cale. p. 168-172).

In

Avvenne poi che un d,


un giardin bevean que'

coi dolci amici,

valorosi

Un vin gagliardo. Risuonavan note


E acute e basse, e ne godeano forti
i

Famosi in guerra. Ei bevvero d'un rosso


Vino in bei nappi di cristal lucente.
Fin che tumulto entr in lor capi, e allora
Zal cos disse al figlio suo: Deh! figlio
Inclito ornai che ha' maest di sole,
A questi eroi tu regal dono appresta
E palafreni, a quanti s che in alto
Levan superba l'inclita cervice.
Come Rustem udiva este parole
Del padre suo, molti bei doni attorno
Sparli agli illustri in assemblea raccolti,
Elefanti e destrieri adorni e belli,
Indi, ottenuti
Partilanit'iite,

molti doni detti

l'assemblea

si

sciolse.

Andava il prence al gineceo, qual era


Costume e rito, e Rustem valoroso,
Vinta la mente dal gagliardo vino,
Con fiero incesso al loco de' suoi sonni
Correndo ascese. L si giacque, e ratto
Cadea nel sonno la sua mente oppressa,
Quando repente si lev dal regio
Ostello un grido: Oim! sciolto da* ceppi
Del nostro duce

il

candido elefante,

periglio sovrasta! Ecco!, sen

vanno

tumulto per lui borghi e villaggi,


Ch'egli impazzando corro ebbro di foia.


Come

453

turbo levossi

il

valoroso

Dal suo dolce dormir, chiese alle genti,


E quelle gli narrar ci che pur era.
Come a lui penetrava entro agli orecchi
Est novella, ingenito valore,

Virt guerresca in

lui s'accese.

Corse

E la clava gherm dell'avo suo


E prese la sua via fuori balzando.
Ma chi stava alle soglie, a lui precludere
Cercava il passo, e ratto il maggiordomo
Di prence Zal modo o ragion possente

Non

Ma

discopra di libero lasciarlo,

Per timor del nobil sire,


schiuder potremmo a te dinanzi,

dicea:

Come

Garzon,

si

le porte?

Oscura in

ciel la notte

disciolse l'orrido elefante

Da sue

catene, e tu n'andrai? Deh!

come

Al mio signor gradito fia cotesto?


Alto crucciossi il giovane gagliardo
Alle parole sue, s che sul capo

sulla

nuca

gli

vibr d'un pugno

Colpo fatale in si tremenda guisa,


Che al misero cadea, qual roteante
Globo, la testa. Agli altri si volgea
Il

furibondo,

ma

fuggan da

Gi eroe famoso, sbigottiti

lui,

gli altri,

quegli ardimentoso alle ferrate

Porte venia. Colpo vi die di mano


E serrami ne ruppe e le catene,
E dell'inclito eroe bast quel colpo.
Cos, come bufera alto sospinta,
Fuori ne venne con la clava in pugno,
i

Pien di vampo la mente, e corse ratto


Contro alla belva in suo furor disciolta,
Che alto barra come talvolta freme
L'azzurro mare. Lev gli occhi il prode


E
I

454

vide un monte da cui gravi e


fremiti venan, vide

che

forti

sotto

vampa

La

terra

Un

caldaio bollente e trema e stride,

scotea, qual su la

si

Vide che

prodi suoi famosi in armi

Sbigottan paurosi, in quella guisa

Che, visto il lupo, fan le agnelle stolte.


L'animoso garzon qual di leone

un urlo, n sgomento egli ebbe,


venne ardito contro a quello. Ratto

Alto die

Ma
Che

impetuoso

l'elefante

Contro a

lui

vide,

il

s'avvent quale un gran monte

Che dall'alto rovina; ei, fera belva,


La possente proboscide levava

ma

danno,

Per

fargli

Tal

gli sferr di

fanciullo ardito

il

clava in su la testa

Colpo tremendo, che la belva immane,


Dall'aspetto d'un monte, in gi piegossi.
Parve che tutta in s tremasse l'alta
Di Bisutn

montagna e
un

In guisa sconcia da

Quando

in gi cadesse

colpo vinta,

sol

belva furiosa al suolo


Abbandonossi. Allor, di l tornava
la

Rapidamente

il

giovinetto eroe,

Gittavasi a giacer.

Quando

Dall'Oriente

bello qual viso

il

sol,

sala

Di giovinetta che via porta

Zal di ci

che

f'

Rstem

Novella giunse, atterrata


Selvaggia e

fiera, l'eretta

la

il

core,

ardito

belva

cervice

Fiaccata a lei di clava con un colpo,


Abbandonato l sul tristo suolo
L'immane corpo suo. Come ci intese
Quel gran duce d'eroi, quale il principio,
Quale dell'opra il fin, cos esclamava
Oh! l'elefante ardimentoso e fero
:

455

Che barra come freme alto


Onda del mar! Son molti di
I

campi inver, dove

le

l'azzurra
battaglie

squadre avverse

un impeto sol tutte rompea


Ebbro di foia l'elefante!... Eppure,
Ben cbe vincente e forte entro la pugna,

In

Rstem famoso!
innanzi
a lui venisse
cbe
comand
E

Fu
II

pi forte di lui

giovinetto. Gli baci le mani.

Le braccia

capo, e dissegli

il

Deb

prole

Di leon generoso, oh! tu cbe levi


Alto l'artiglio e ardimentoso e forte
Gi ti festi, non chi ti sia pari
In

Con

picciola et, con tal statura,

e maest!

tal fortezza

Pria che di te

Perch nulla

la

ti

fama

Ma

intanto,

voli attorno,

offenda in ardua impresa,

T'accingi a vendicar lo sparso sangue


Dell'antico Nirm, correndo

vanne

L, fino al monte di Sipnd. In


In dure pietre, v'

un

castel

alto,

che

monti

Alti pareggia, d'acque cinto attorno

E di paschi e lontan
Un monte vedrai tu,

da ogni vivente.
di cui la

cima

Sta tra le nubi, sovra cui non ponno


L'aquile volatrici alzarsi a volo,

Che

n' l'altezza quattro

parasanghe

quattro ancora n' l'ampiezza. Ricco


Di prati il monte e d'acque e di dovizie
E d'oro assai, molti uomini vi stanno

E quadrupedi

molti, e vi sono alberi

In copia e campi coltivati e

E niuno

inver

di cotal

belli,

guisa mai

Terra o confn scoverse.

Ivi

creava

Iddio signore ogni pi bella cosa,

Atta a molti

usi,

ed alberi fruttiferi

456

D'ogni ragion. N' accesso alta una porta,

Ardua

come

cos

l'azzurro cielo.

Nirm, che fra gli eroi tenne la palma,


Al cenno di Fredn, gagliardo sire,
Volse le piante a quel castello, e niuno
Sgombrar potea di lui, per quella via,
Il

loco ov'ei

si

stava. Egli in assalti

Stava la notte e il d, talor sottile


Arte adoprando, incantamenti e filtri
Adoprando talor, fin che pi assai

D"un annuo giro in quegli assalti ei


E dentro stava una falange in armi,

Ed

ei

Un

sasso

il

fuor

si

elli

tenea. Dell'opra al fine


gittr da l'alte

mondo sgomberar

Inclita dell'eroe.

Senza

il

lor

stette,

mura

della presenza

Le sue

falangi

duce ritornarsi a

dietro,

Ritornarsi al lor re nobile e grande.

Come

novella a Sani ardimentoso


Giunse di tanto, che il leon possente
Stanco di sue battaglie erasi estinto.
Molto pianse e grid, sempre i sospiri
Moltiplicando ad ogni istante. Sette

Lunghi

giorni ei rest nel dolor suo.

Nella sua angoscia, e


L'esercito

al

fin de' sette

giorni

adun quel valoroso.

Venne all'assedio del castello, e genti


Armate sparse in lochi aspri, inaccessi,
Ed in deserti. Ivi si st molt'anni
E molti mesi, n la via scoverse
Fino alle mura del Castel. Non uno
De' viventi quaggi da quella porta

Usc giammai, non uno entr per essa,


Ch'elli,

non pur

di picciola festuca,

Di nulla avean necessit, quantunque

Chiusa

la

porta per molt'anni fosse

457

molti mesi. Alfin, senza speranza,

Sam
Al

non anche giunta

di l si torn,

fin del

suo deso l'alma del padre.

Ed ora, o figlio mio, tempo a te venne


Che piena di maga tu ordisca teco
Arte proficua e con giocondo core,
Di mercatanti con un'ampia turba,
Di qui ten vada, in guisa tal che niuno
Di que' torrieri ti conosca. Avventati

Sipnd alla montagna, e il reo


eie' malnati
Schianta di l, che fino ad or nessuno
di

Principio e la radice

Conosce

il

nome

tuo, s

che raggiunto

L'intento tuo sar se l ten vai.


Il

tuo

Rstem

comando eseguir, gli disse


schermo cercando a questo

allor,

Dolor subitamente.
Figlio, avveduto
Ci che ancor

ti

sii;

tu da

Zal soggiunse:

dir. Della

me

ascolta

persona

Tal ti farai qual colui che l'ampie


Carovane governa, ed una turba
Di cammelli

cerca alla pianura.

ti

De' cammelli nel carco, e ci

ti

basti,

Sale porrai; tu va di cotal guisa

Che alcun non ti conosca. per quei lochi


Merce di gran valor candido il sale,
Ne cosa che maggior di prezzo sia,
Sa quella gente, che se grave assedio
Sta su le porte del Castel, ne vanno
Senza

il

candido sai cibi e vivande

Sulle lor mense.

All'improvviso

Ma

quand'ei vedranno

carichi del sale,

Correranno al tuo incontro e prenci e servi.


Rstem, come ci ud, la gran faccenda
Apprest ratto, in quella guisa appunto

Che a

fiero assalto

si

addicea.

La clava

458

Ei nascondea ne' carichi del sale


Acconciamente e l'eroica persona
Ergea superba e il forte braccio. Seco

Ei

men

alcuni de' congiunti suoi,

che gagliardi erano e forti


gran senno, e de' forti le clave
Entro a le some de' cammelli ascose
Ei stesso, eroe preclaro. Oh! sorridente
Il labbro avea per la novella astuzia,
Fin che divenne di Sipnd al monte,
E dal monte il torrier videlo e corse
Al maggiordomo del suo prence e disse:
Giunge una carovana e il cammelliere
gi presso alla rocca. Io gi mi penso
Quelli

di

Che bianco
Se pure

il

sale sia ne' cai-chi suoi.

mio signor

di ci

m'inchiede.

signor tale inviava,


Rapido al corso, al condottier dell'ampio
Stuol de' mercanti, e gli dicea: Deh! vedi
Della rocca

il

Qual carco hanno cotesti e a me ritorna


E di tal cosa dammi annunzio certo.
L'uom gi discese dalla rocca allora

E rapido qual nembo a Rstem venne


condottier di carovana,
E disse:
Dammi contezza di tue merci ascose,
Perch'io men vada al mio signor, cotesti

>

Gli dica e ascolti le parole sue.

rispondendo Rstem gli dicea:


Al tuo prence ten va di gloria amante,
E dietro al detto mio partita mente
Gli dirai tu che tutto bianco sale

Il messaggier tornava,
Nei carchi nostri.
Al suo prence sala che alta reggea

E superba

la fronte,

gli

disse:

Carovana perfetta quella, o sire


D'inclito nome, e bianco sai carreggia.

459

Balz dal loco suo, come ci intese,


Del castello

signor, ridente

il

labbro,

il

Tutto in gran giubilo, volle che ratto


S'aprissero le porte onde v'entrasse

La carovana
Che Rstem

de' mercanti. Tosto

ne uda,

ci

di gloria

amante,

Dalle falde del monte alla sua altezza


Si

mosse per

salir,

che nel tempo

Gh'ei pi vicino fu alle porte schiuse,

vennergli incontro

Tutti, senza indugiar,

E come

Gli abitatori.

nel cospetto

Rstem giugnea del castellano, un bacio


Stamp sul suolo e benedisse a lui,

molti intanto carichi di sale

Al piede gli traea, molti fea voti


E auguri per ciascun. Deh! vivi eterno,
Dissegli il prence del castello, e sii
Bello, o stranier, come la bianca luna

il

sole in alto.

lieti

Accolgo e grazie anche

te, conoscitor di

auguri tuoi

rendo

ti

assai,

cose oneste,

Giusto e integro dell'alma.


De' mercati nel loco

il

Entrava allora

giovin

sire,

Seco adducendo l'ampia carovana,

d'ogni parte s'affoll dintorno

Densa una turba, piccioletti infanti,


Uomini e donne, e chi rec una vesta,
Chi argento ed oro. Ei fean del sale acquisto,
Senza tema o sospetto ei ne recavano.

Come

la notte si f'

oscura e tetra,
apprestavasi

Rstem da' fieri artigli ecco


Con gl'incliti suoi prodi alla
Subitamente
Ei volse

al

Che contezza

battaglia.

signor del castello


e dietro a

passi,

Di fiera pugna,

lui,

bramosi

suoi gagliardi. Allora

n'avea, fiera

una

lotta


Con Rstem
Della rocca

Colpo

460

ingaggi, prence famoso,


signor,

il

ma

con

tal gli sferr

in su la testa

la

sua clava

Il

giovinetto eroe, che benda e capo

Il

suolo penetrar nella caduta.

Ben

di cotesto

ebber novella tosto

Gli abitatori del castello e ratto

Gol reo nemico a battagliar discesero,

Ma

era oscura e lampi intorno

la notte

Mandavano

spade e il suol di sotto


Rosseggiava cos pel molto sangue
le

Come rubino

in

Badakhshn raccolto.
Per l'onda trista

Piglia!, tocca! s'uda.

Del sangue sparso, detto avresti allora

Che

crepuscoli rossi, ai tardi vespri,

Di questo cielo erano in terra. Intanto,

Con la clava, col


Rstem guerrier

laccio e con la spada,


tutte mietea le teste

De' suoi nemici ardimentosi e


Dal bruno velo della notte

Ratto che

Da un
Qual

si

lev,

quando

la

fieri.
il

sole

terra

color tetro ei sollev a splendore

di Pleiadi in ciel,

niun

si

vedea

Di tante genti del castello. Uccisi

Giacean cotesti, e quelli stanchi e affranti


Dal lungo contrastar. Corsero i prodi
In ogni canto allor, chi l rinvennero
Trassero a morte. Rstem valoroso
In loco angusto una celletta vide
Scavata in vivo sasso. Era la porta

duro ferro, e si l'avea compiuta,


Qual si fosse, il maestro. Un Aero colpo
Rstem vibr con la possente clava
In

da' cardini suoi la ferrea porta

Ne

svelse, e penetr l'angusta cella.

Alto ed a volta

un

edificio ei scorse.


In fino al

sommo

461

monete fulgide

di

Tutto ripieno. A quella vista, un alto


Stupore egli ebbe ed il labbro si morse

Nel suo meravigliar, s cbe a' suoi prodi


Incliti in armi cos disse: Oh! dunque
Chi avea di ci sicuro indizio?... Credo
Che oro pi non rest nelle miniere,
Non perle in fondo al mar, non gemme fulgide,
Poich tante qui insiem dovizie accolse

La gente e
Le mura

qui le sparse in alti cumuli.


del Castel solide e ferme

Cos espugnate,

f'

un convito

il

Qual dolce primavera allegro e

XVIII. Lettere di

Rustem

prode,
gaio.

e di Zl.

(Ed. Cale. p. 172-175).

Un'epistola ei scrisse al padre allora

Paratamente a raccontar le sue


Imprese e gli atti. E in pria f'
Signor del

sol,

lodi a Dio,

signor degli animanti,

Dal fero drago all'umil bruco, sire


Del bell'astro de' vespri e di Saturno

del sol radiante,

almo signore

Di questo ciel levato in alto. E poi

Principe Zal a benedir discese,

Eroe primo in Zabl, guerriero illustre


Che non ha pari, che regnanti in trono
Pone e lor toglie il regal seggio. Arriva
Il suo comando fino a questo sole,
i

Fino alla luna; egli rifugio ai forti,


Sostegno degl'Irani, ei che solleva
Di Kveh lo stendardo, ei che solleva
Alta la fronte e la cervice sua,

462

Ei di corpo gagliardo,

d'ogni gente.

ei

D'ogni citt ben degno, inclito sire


Di saggezza e

Con sua

forza,

di

almo custode,
Oh! resti

virt, di questa terra.

In sempiterno a noi quel glorioso,


Resti

'1

suo trono e

E l'elmo e
Venimmo

il

al

corona sua,

quanto

Dich'io, sublime

Della

la

Or noi, per suo comando,


monte di Sipnd. Qual monte

cinto

montagna

il

ciel?...

al pie, l 've

Di quel prence un saluto.

Io,

Scendemmo

ne giunse
quel sire

di

Al caldo cenno, m'apprestai, e tosto


In quella guisa ch'io volea, compiuta

And

che

l'impresa,

nell'atra notte

Co' miei, famosi in armi, entro al castello


A' miei nemici non concessi indugio,

Ma
E

quei giacque ferito e questi ucciso

l'altro si fugg, l'armi

guerriere

Dalla persona via gittando. L'oro

Purissimo e l'argento intatto aggiunse


Di cinquecentomila carchi il numero
Veracemente. E vi son vesti ancora
E tappeti vi son, quante son cose
A trasportar, l son pur anco. Il novero

Non ne conosce
Molti

alcun,

ma

s'ei

mesi saran, parecchi

Or per, per qualunque che

Nuovo comando

ci

contasse,
giorni.

dia

Zal eroe, le sue

Care parole spirto che d vita,


Saran veracemente al nostro corpo.
Il messaggier, come tempesta in volta,
Ratto sen venne e rec il foglio al sire;
E quel duce d'eroi, come l'epistola
Ebbesi letta, All'inclito mio figlio
Benedizion, grid, vada congiunta
Per il fausto annunzio
In sempiterno!


Tanto

prode

il

Ai giovani suoi

463

che detto avresti

gio,

d tornarsi

ancora.

una

risposta

Dell'epistola ratto a

Ei die principio e posevi parole


D'ogni maniera e assai. Quale un giardino

Di paradiso l'epistola sua,

E tu diresti ch'ella di
Amhra ha natura; ma
Eran

di

Dio le laudi

La tua

del foglio al principiar.

Epistola, dicea,

che

cor mi aperse,

il

Con vincente fortuna

purissima

qui mi lessi

io

sopra mi credei l'anima mia

D'esalar per la gioia. Oh! ben cotesto

te s'addice, figlio

Da che

mio ben degno,

saggio tu sei e levi in alto

Alta la fronte.

Tu

rendesti luce

Nirm

allo spirto e a' suoi

T'inv'ier,

per carreggiar que'

Di

nemici
Duol cocente inviasti. Or, poi che letta
Questa epistola avrai, subitamente
Sali in arcioni, che son io doglioso,
Orbo del tuo bel volto. E mille e mille
pesi,

Forti cammelli. Ogni pi eletta cosa

Tu

cammelli apposta, indi le fiamme


per tua vendetta, entro al castello.
Come giunse l'epistola a quel prode,
sui

G-itta,

Ei la lesse e

gio.

Da

tutte cose,

Quant'erano pi all'uopo,

ei ben trascelse
Elmi, cintole, spade e bei suggelli,

Perle e gemme reali e drappi in seta


Di Gina variopinti, e queste cose

prence Zal mand. La carovana

Discese ratto per la via.

Sul monte di Sipnd

all'alto ciel

Ei di l

si

ne

sali

ei
'1

Ma
gitt

intanto
il

fuoco,

fumo. Allora

torn festante in core,


E per

404

tornarsi al padre suo gagliardo

Come annunzio intese


Nimrz, venirne ornai
Il giovinetto eroe, luce del mondo,
Tutti levarsi ad incontrarlo, e tosto
Volse

Il

la fronte.

sire di

Villaggi e borghi s'adornar. Levossi

Clangor di trombe e di crotali d'India


di conche e di corni, e in via discese

di quella

Principe Zal, sollecito

Del nobil

figlio

Ma R stem

suo bramata vista.

valoroso, allor che scorse

Di quel duce d'eroi da lungi

Balz

di sella e fece

Si strinse al petto

il

il

volto.

auguri, e

il

figlio suo,

f'

prence
cenno

Pregiate cose di gittargli al piede


In molta copia. Cos fu che

Che ogni
Albergo
Di

di

Destn,

tornossi.

Corse, bennato

Chin

E
E

il

la

forte

il

deso volea compiuto, all'inclito


di

Sani progenie,

Appo Rdabeh
figlio,

e a

fronte ni suolo.

petto gli baci

benedissi' a quel

la

lei

allora

dinanzi

Ambe

madre

le inani

illustre

suo dolce aspetto.

Col lieto annunzio un'epistola sua

Appo Sana cavalier mand quel prode


Famoso in armi. 1 quell'eroe, di senno
E di saggezza pieno, egli nel foglio
Tutti narr paratamente

E buoni

tristi,

casj

e molti eletti doni

Con quel foglio invi, d'ognun vi fece


Ancbo ricordo. <:<>me giunse all'inclito
Sani di Nirm l'epistola festosa.
Quelle sue gote qual purpurea resa
Per la gioia fiorir. Tosto un convito
Egli apprest qual primavera alleer.
Egli famoso prence, in sua letizia.

465

diede al messaggier cavalli e doni

In regia copia e

f' ricordo lieto


Di Rstem battaglier. Ma una risposta

quel foglio scrivea, scriveala al suo

Figlio bennato da l'eretta fronte,

E vi dicea: Se forte ed animoso


Diventa un leoncello, oh! non in questo
Meraviglia o stupore. Un sacerdote
Memore e saggio prendesi talvolta
Un leoncello, germe di leone,
Digiuno ancor di latte, e il mena poi
Alla gente nel mezzo. Oh! ma s'ei mette
primi denti

suoi, ratto fia vinto

Dal vigor suo tremendo. E ben che


Ei non gust de la materna poppa,
Alla natura del suo fero padre

il

latte

Perfettamente egli far ritorno.

Per Rstem glorioso oh! non alcuna


Meraviglia davver, s'egli ha l'ardire
Di Destn padre suo. Di suo perfetto
Vigor nel tempo e in sua forza maggiore,
Aita chiederangli anche i leoni.

Come

al suggello sottopose

il

foglio

L'eroe preclaro, appell il messo e il foglio


In man gli pose. Venne a Zal correndo
II

messaggiero con gli eletti doni


con l'inclita epistola. Per essa

Giubil

Per

il

core dell'eroe, fu

lieto

ancor del giovinetto suo,


Ben che d'anni immaturo. Il mondo intanto
Era pieno per lui di bella speme,
l'opre

Da questa della terra superficie


Fino agli astri su in ciel dell'Arite.

Pirdusi,

I.

30

466

XIX. Morte del re Mincihr.


(Ed. Cale. p. 175-177).

Ora

di

Minochr dir ben

E cercher

altro,

del nobile signore

Novelle attorno. Ma tu vedi intanto


Quali al suo Aglio ammonimenti diede
Il giusto re, di suo partir nell'ora.
Poi che due volte ffir sessanta gli anni
Di prence Minochr, tutte sue cose
Apprest per migrar da questa terra,

tutti intorno a lui

si

ragunarono

Astrologi e indovini e fer parola


Dell'opere del ciel. Chiaro egli videro

Che prolungar non si potea pi ancora


La sua giornata, che d'uscir dal mondo
Alta venia necessit. Novella
Diedero a lui di quell'amaro giorno,
Dello spegnersi in lui della sacrata

Imperiale maest. Venuto


il tempo, o re, dicean compunti

Del Ino migrar per altra

vita.

savi,

Oh! possa

Toccarti appo l'Eterno un loco eletto!

Ma
Non
Non

vedi intanto

che far

spicchi ratto
fa Ito ci

il

che morte
che tu parta,

di,

voi, s

eh ' d'uopo, e l, sotterra,


il corpo tuo.

In eterno s'asconda

nobile signor, com'ebbe ud le


Queste cose da' saggi, in altra guisa
Il

Il

trono suo volle adornar. F' invito


tutti, ai sacerdoti, e quivi,

Ai prenci

In lor presenza, disvel del core

Tutto

il

secreto.

Ma

f'

cenno

in pria


Che Nvdher

467

l venisse; e gli die molti

che n' misura.

Consigli pi d'assai

Questa corona imperiai, dicea,

vana illus'ion, vampo fallace,


N gi t' d'uopo in sempiterno il core
Apporvi, o figlio mio. Di me trascorsero
Gentovent'anni e pi, mentr'io mi tenni
Accinto sempre a sostener fatiche,
Perigli a disfidar. Per quella santa

Maest

di

in ogni

Predn,

tempo

fui

sempre accinto

da' consigli suoi

Frutto giocondo venne a me. Che quando


10 m'affrettava di quel sire al cenno,
Molta gioia trovai, d'ogni pi dolce

Brama del cor l'adempimento


E sovra Salm e Tur altero e
La vendetta

mi

d'Erg' cos

ottenni,
tristo

presi,

Inclit'avo di me, libero feci

Dall'opre triste l'ampio regno, alzai


cittadi e molte mura. E tale
Or qui mi son che ben diresti ch'io
Questa terra non vidi, e ch'io passava

Molte

novero

Tacito e ignoto

il

Giorni quaggi.

Ma

per

frutti e

de' miei

d'albero che reca

per foglie atro veleno,

Degna pur sempre


Di sempiterna morte.

meschina
da che molte

la vita
Io,

Portai fatiche e tollerai travagli,


11

trono imperiai co' suoi tesori

te confido.

Fredn

Come

illustre a

gi la diede

me, cos a

te

rendo

Questa corona che dei re fa prova.


Pensa che, tratto che n'avrai gran frutto,
Tempo trascorso alfn, migrar dovrai

miglior vita;

Che rimarrai!

ma

di te,

que' segni tuoi

lunga pi assai


Vedran

468

stagione, e vuoisi

che soltanto

Resti in benedizion la tua memoria,

Che puro nascimento


Genera
Tu non

in cor la

e pura e intatta

Guarda che mai

f.

volga dalla

ti

f di Dio,

Che ingenera consiglio alto e preclaro


La f di Dio. Ma un giudice novello
Or nel mondo verr, che, con ufficio
Di profeta di Dio, Mos gi viene.

Un

tale ei fa

che apparir lontano,

In terra occidental. Vedi che mai

Contro a

non venga impetuoso

lui tu

In guerra,

ma

Che legge

quella pur di Dio. Deh! vedi.

Vedi

tu in lui poni tua fede,

qual farai tua legge,

al principio

mai
che vengono da Lui
Grazie e sventure ai miseri mortali.
Ma poi verr di Turani belligeri
Ampia una schiera e del turanio prence
Sull'iranico trono il diadema
Indi sentier ch' dell'Eterno,

Non

disertar,

Configger.

Pien

Luminoso
In

Tempo

tristi

di

Dal

che

del sol fia

tempi.

S'avvicinano a

Che

sar ben quello

di tumulti e di scompigli, e
si

il

giro

compia

corrucci e travagli

te,

che

fa

tu d'agnel talvolta abbi

d'uopo

costume

Il danno tuo
Peshng fia che t'incolga,

lupo tal'altra.
fgliuol di

E per Turania avversa


Ti stringeranno.

Ma

orridi mali

tu cerca, o

Quando il tempo verr


Da Sam, da Zal il tuo

figlio,

della distretta,

soccorso, cercalo,

Cercalo ancor da questo nuovo germe


Che di Zal or spunt dalla radice

gi mette le rame.

Un

calpeste


Le turanie

citt

469

saran da

lui,

Gh'ei, per te vendicar, scender in guerra.

Questo

egli disse e le

Pel volto

gli

scendean,

lagrime ardenti
che ne pianse

Nvdher assai con piet grande. Allora,


Senza che fosse in lui cagion di morbo,
Senza offesa per doglia alla persona,
Gli occhi regali egli socchiuse e in volto

Impallidendo sospir. Migrava


Dalla terra cos l'inclito

Un

sire,

memore

Ricco di pregi, e

di lui

ricordo rest nei detti suoi.

Consiglio or

Libera

ti

dir primieramente:

core dall'amor che nutr

il

Verso la terra! A coltivato campo,


Ricco e fiorente, ben somiglia il mondo;
Il mietere la morte, e il dolce umore
la vita, e siam noi le adulte messi.
Cos,

come son pari

al mietitore

siam pari,
Ruoni e tristi, alla morte. E qui siam
E qui corriam per una via, canuti
L'erbe del campo,

tutti noi

noi,

Vecchi, garzoni dal crin folto e bruno,

Quai messaggieri in faticoso

calle.

Turba di viandanti ben cotesta


Che da questa citt trapassa a quella,
Un precede, e da sezzo riman l'altro
Fin che a sua volta

ei

pur giunge

alla meta.

Vieni adunque, e nel cor nullo per noi

Dolor
Il

si

viver

Regno
Narra

che ad uom che nasce,


quaggi sempre non dura!
Nvdher tu ci narra intanto,

serbi, poi
di

di

ci

che

gli

avvenne

a'

giorni suoi.

IL

RE NEVDHER

IL

I.

RE NEVDHER

Principio del regno di Nevdher.


(Ed. Cale. p. 177-180).

Come
Il

padre suo pianse

del

Re Nevdher

sollev.

Che mirarono
Giorno

la morte,

serto imperiai pi de le stelle

gli

quei, di

Ma

gl'indovini

ecco!

gli astri,

un

felice

destinar qual s'addicea,

Minochr su

l'alto soglio,

Die accesso ai prodi suoi, loro in quel giorno


D'oro e d'argento dispens monete.

Poscia due lune sovra lui passarono,


In cui non

Segno

un sor d senza

L'ostello suo regal,

cortina,

tenne

di fasto, in su l'entrata ei

la via

schiuse

Era

del sire

far grazia o giustizia.

Sola cura

il

pigliar gli usati pasti

E dolci sonni disfiorar; ne lungo


Tempo trascorse poi che si f' trista
i

Del re la mente, e si lev dovunque


Alterno un grido per la terra, e stanche

Fr

le genti

quaggi del nuovo prence.

poich cancellate ebbe dal core

Del padre suo

le leggi e co' suoi

grandi

co' suoi sacerdoti ei si f' iroso,

Poi che dispette innanzi a lui le

Fr

d'ogni senso

umano

norme

e schiavo

il

core


Ei

474

a tesori ed a monete, allora

f'

Ch'egli infesto

volse agli abitanti

si

Miseri de' villaggi onde ciascuno

Da

questa a quella terra and ramingo,

Tutti adunarsi e fecero


I

borgomastri, e

regio grado ambir.

II

Alta e discorde

si

una schiera

pi gagliardi e forti

Come

tal

voce

lev d'un tratto

gente frem, n'ebbe timore


un regal suo foglio

la

L'ingiusto sire ed

Mand

Sam

Di Segsr e

cavalier. L nella terra


Maznd era quel prode.

principio invoc Dio creatore,

Del sole almo signor, signor dell'astro


Della sera e di Marte, e primo autore

De

le

belve rubeste e de' vaganti

Bruchi sul suol. Cosa non per Lui


Malagevole inver per quanto grave,
Cosa non fra le create in terra
Vile per Lui, per quanto esl. Son pari

Le cose innanzi a
Or da

Lui, picciole o grandi.

Lui, ch' signor di questa luna.

Di questo

sol,

sull'alma dell'estinto

Re Minochr discenda un suo saluto,


Re Minochr, per cui splendea di luce
L'inclito serto,

da cui venne questa

A me regale potest! Deh! ancora


A Sam guerrier si faccian voti e auguri,
E scendano
Nube

su lui

come piovosa

eroe di molte
Cose gi esperto, prence grato a Dio,
Dal capo eretto, eternamente lieti
Sian l'alma e il core, e l'alma sua disciolta
Sia d'ogni affanno. Ei s che d'esto regno
dall'alto. In tanto

gran

vassallo, sappia ornai le cose

Tutte, e secreto e manifeste.

Quando

475

morendo

L'antico re gli occhi

chiuse,

Di Sani, figlio a Nirm, ricordo ei fece,

per qui, per

lui soltanto, afforzasi

La mia possanza, ch'egli grande


Amico del suo re, di questa terra,

eroe,

Di prence Minochr ai lieti giorni,


Fedel custode; e nobile splendore
Ebber da lui trono e corona. Intanto

Pien di tumulto
Pi da misura in

nostro regno, e vanno

il

parole attorno.

se la clava di sua

Che

Sam non
Orba

gran vendetta

ripiglia, di quest'alto

seggio

poco rester la terra.


Sam, figlio a Nirm, come giugnea
fra

un

L'epistola del prence, alto

Trasse

ei dal seno,

Quando cantano

sospiro

e tosto, al primo albore,


galli mattinieri,

lev di timpani
fremito repente. Ampia una schiera

Dalla sua tenda

Un

si

di Kergsr, tal, che ben lieve


paraggio sembr il mare azzurro.
Due stazioni f' l'eroe, scendendo

Ei

men

Cosa

Per

al

l'alpestre sentier, fin

Delle iraniche stirpi

Ma

gl'Irani

ei

che vicino

giunse al prence.

che avean

di ci novella,

Sam guerriero a incontrar mossero


E com'elli giugnean dinanzi a lui,
Duce

di prodi,

in fretta,

quale pur costume,

Diero un bacio alla terra. A piedi ei vennero


Al cospetto di Sam, prence animoso,

E lungamente

e d'ogni cosa seco

Ebber sermone; e di Nvdher ognuno


Anche f' motto a quel gagliardo e disse:
Interamente abbandon la via

Nvdher

del bene.

Oh

s!,

per l'opre ingiuste

Di lui ch' sire incoronato, quale


Stoltamente smarr

476

la via

Dal suo gran genitor,

segnata
terra

fa la

si

Desolata e deserta, e la sua sorte,


Vigile

un tempo, cade

Ei non corre

inerte. Ornai

sentier ch' di saggezza,

il

la divina maest da lui


Lungi ne and... Ma che sara per noi
Se con alma serena or si assidesse

Alto sul trono dell'irania terra


Sani, guerriero campion?... Tutta la terra

Fiorente

si

farla

per

la

sua sorte,

E l'iranico suol con quel suo seggio


L del Nimrz gli resterebbe. E noi
Servi saremmo a lui, ci ch'ei comanda
Faremmo noi, l'anime nostre ancora
Pegno ponendo per l'amor suo grande.

Sam cavalier cos lor disse: Iddio


Come gradir potr da noi cotesto?
Mentre

seme imperiai

di

Nvdher

si

asside

in trono imperiai, col cinto

A' fianchi intorno, perch mai dovrei


Toccar quel serto con regal possanza?
Davver! che ci non osa alcuno in terra
Intendere n udir! Qualcuno forse
Osa avventar questa parola? o alcuno
Fra tanti prenci ha tale audacia?... Ancora

Se di re Minocihr una figliuola


Su quid trono dorato alta sedesse
Con la benda real, sempre la polve
Ch'ella calpesta, il guancial mio sarchi)'

Veracemente, e sol per lei splendore


Avran questi occhi miei. Che se quel core

Abbandon

Non per

de' padri suoi la via,

scorse lungo tempo

ancora

Ferro non

da rubigine attrito.

Che grave

sia

per noi ridarlo ancora

477

All'antico splendor. Quella divina

Maest che

fugg, sapr ridargli,

Necessit dell'amor suo nel

Rinnover, che

la

mondo

polve calpesta

di Minochr gli il trono mio,


Care mi son come regal corona
L'orme che stampa su l'arido suolo

Dal pie

Nvdher

Di

il

destrier...

Favelleremo a

lui,

Ma

noi frattanto

molti daremgli

Consigli ancora, e per consigli nostri


Gli

renderem

Ma

voi di ci

sua propizia sorte.


che avvenne, alto nel core

la

Pentimento v'abbiate e un'altra volta


Rinnovate con lui la vostra fede.
Che se, per tramutar della fortuna,
Da Nvdher regnator l'antico affetto
Cos togliete, contro a voi lo sdegno
Sar del prence

in questa terra, e al vostro

Dalla terra migrar perenne


Sar' soggiorno agli spiriti

il

fuoco

rei.

Gl'Irani prenci, a quel parlar, nel core

Ebbero pentimento, e un'altra


Rinnovando cos l'antica fede,

volta,

Di Nvdher sire alla presenza vennero

Perdon chiedendo;

ei

vennero, dell'alma

dei corpo quai servi umili e proni.

Del re come giugnea nella presenza


Principe Sam, dinanzi all'alto seggio

Umile

il

Nvdher

suol baci.
allora

si

Rapidamente

lev dal trono

strinse al petto suo

con molto amore

L'antico duce, indi sei fece accanto

Seder sul trono e gli f' inchieste e assai


Accoglienze festose; e quel gagliardo,
Capitano d'eroi, cos gli disse:
re, sei tu fra noi l'inclito erede

478

Rimani adunque

Dell'antico Fredin.

Nel regno

tuo, nella giustizia tua,

Di tal costume, che di te

memoria

In bene faccia ognun. Sappi che quale

Fece del mondo esperienza,

Non
Che

Un

vi
f'

f'

il

gi del suo riposo.

schiavo

loco

Ognuno

suo cor quaggi alla terra,

il

degli stolti fu da tal ch' savio,

Giustamente appellato. Ei raccogliendo

Va
Il

ricchezze e tesori e tocca intanto

fin

d'ogni deso.

Ma

tu

non

sai

Che gi gli appresta inatteso un assalto


La morte, e che funebre al capo attorno
Una corona gli ricinge. Allora.
Dall'alto seggio suo nel grembo oscuro
Della terra lo trae, ne trae sotterra
L'inclito

capo e

la

corona. Intanto

Alla sede terrena avvinto

ei

serba

ne appo Dio concesso


Gli un varco mai, che l'anima sua trista
In quell'ombre si resta, ed pur sempre
Il

suo

vii core,

In caligine avvolto di stoltizia

L'egro spirto

Conie

di ci

Ma

vital.

quei ch' saggio,

dovra portar rancura,

Poi che tutto

ei qui

lascia

ed egli ancora

Partir dovr? Dinanzi da la morir

Pari sono sul varco e poverelli

capi incoronati.

Tal

ti

tu, signore,

serba quaggi nel viver breve,

Che innanzi a Dio non abbi poi rancura.


Re Fredn si moria, ma di sua fede
La norma si rest. Maledizione
Rest a Dahk, inviso alla fortuna.
Inclito eroe,

Nvdher

gli

disse allora,

mia giornata
Trascorrer. Pentimento mi tocca
Io

conforme

al tuo dir la

479

Dell'opre mie; d'oggi in avanti io stesso

Ammenda

ne far con

la persona.

Dietro all'orme cos splendide e illustri

Del prence glorioso, ecco! che il mondo


Da confine a confili ringiovana

Novellamente. Risplendea dal trono


Di sua grandezza Nvdher regnatore,
Ch'ei vi sedea con molta pace in tutta

La sua gloria e il poter. Lauto un convito


Fu indetto poi, s che per sette giorni
I

prenci letiziar fra canti e vino,

Fin che del regno

il

gran vassallo

in piedi

Stette innanzi al suo re, vnia chiedendo

Per ritornarsi

A Nvdher

sua terra. Saggi

alla

egli f' consigli e prieghi,

Parole acconce ricordando seco

oneste inver, di quell'antico

sire,

Fredn, parlando a lui, d'Hoshng monarca,


Anche di Minochr, che fu ornamento
Del regal seggio,

Che con

re sovrani,

d'esti

grazia e giustizia

Signoreggiar, n

gli

un

di la terra

occhi volser mai

All'opre ingiuste. Cos fu che

il

core

Al suo retto sentier da l'opre triste


Ricondusse del prence il glorioso,
E Nvdher, qual vedea consiglio il prode,
Tutte

f'

l'opre sue.

Ma

il

cor de' prenci

Anche f' caldo di novello amore


Per Nvdher regnator l'antico duce,
Pel giusto e per l'ingiusto ammonimenti
Savi impartendo a

lor.

Come

fr dette

Este parole tutte a que' gagliardi

al pastor di tal greggia, usca l'illustre

Sam

battaglier di Nvdher con un dono,


Con un anello e un trono e un diadema,
Con giovinetti paggi e palafreni


Da

480

e due bei nappi

le briglie dorate,

In fulgid'or, colmi di

gemme

splendide.

Dopo cotesto il ciel si volse ancora


Per alcun tempo, ma non ebbe pace
Nvdher, non ebbe amor. Come trascorsi
Furon sett'anni di suo regno, a lui
Gbe pari non avea, iattura incolse,
Che giunse al popol di Turania ancora
Del morto Minochr novella certa,
E l co' rei nemici altri si stette

raccontar che in mal cadeano l'opre

Di Nvdher regnator, partitamente.

Riscossa di Pesheng.

II.

(Ed. Cale. p. 180-184).

Peshng,

Che

il

<ii'

<1<'

Turani, allora

ud cotesto, disi in Irania

Scender con

l'armi.

f'

ricordo mesto

Zadshm padre suo, per Tur estinto


Grave trasse un sospir, dell'opre ancora
Di

Di Minochr
I>i

si

dolse e di sue genti,

que' principi suoi, di quella terra,

chiam

Indi

una schiera a

Fra

l'armi, prenci di sua terra, quali

d'illustri

Argiaspe e c-arsiv/, Barman feroce

E Kelbd battaglier, bieco leone,


E Vsah, prence di gagliardi, un

forte

che di sue falangi


Era duce supremo. E il figlio suo
Afrasyb, di suo regno il primo eroe,
Anche invit, che rapido sen venne.
E di Salm e di Tur parlando allora,
Ei cominci: Questa implacata guerra
Dai

forti artigli,

481

Che impone Iddio, scordar non concesso.


quella mente che non ha turbato

suo cerbro, gi sfuggir non puote

Il

Che molto male inver fecero a


GTIrani in guerra,

ei

s,

che

noi

a' nostri

danni

Sempre furono accinti. Or io vendetta


Di Tur illustre chieder, ancora
La chieder di Salm ardito e forte,
Nobil sovrano. Ora

gli

il

giorno, o amici,

Deirira nostra, del cercar vendetta,

Del terger da

Che

dite voi?

le lagrime le gote.
Qual mi date risposta?

Nobil consiglio in ci ponete, o amici.

Del padre

S'emp

la

Ardor

gli

al favellar, di

molto vampo

mente d'Afrasyb, e

in core

entr novello. Al padre suo

Dinanzi ei venne con la lingua sciolta,


Pieno il cor d'un deso d'armi e di guerra.
Accinto il fianco, e disse: Ecco!, son io

Degno coi forti di pugnar, son io


Degno avversaro dell'iranio prence.
Che se l'avo Zadshm levato avesse
Il brando suo, lasciato ei non avra
S

misero

il

suo regno; e

s'egli

avesse

Cinte a pugnar l'armi guerriere, in terra


D'Irania alcuno or non sara signore.

Ma

per quello che a far rest del mio


di guerra e di vendetta,

G-rand'avo qui

mia l'acuta
Mia spada svaginar, tempo gli mio
Per tumulti e scompigli e rapimenti.
Nella mente a Peshng entrava ardore,
D'arti e di astuzie, cosa

Tosto ch'egli vedea

l'agii

persona

Di principe Afrasyb, quel petto e

il

braccio

Qual di leone e il vigor d'elefante


E l'ombra sua che si stendea per lungo
Firdc=i.

I.

31

482

Tratto del suol, la lingua sua possente


tagliente ferro, ed ampio il core

Come

Qal mare, e la sua destra in menar colpi


Qual nuvola piovosa. Egli f' cenno
Che la spada guerriera ei s traesse
E in Irania ne andasse, i prodi suoi
Di guerrieri un duce
Guidando in armi.
Che degno mira il figlio suo, solleva,
Che ben s'addice, alta la fronte al sole.
Incolume cosi resta al suo loco
La mente sua dopo la morte ancora.
E per il figlio suo sua guida il chiama.
Dato quel cenno, re Peshng dall'ampie
Regioni chiam le genti sue,
E l'esercito suo con gloriosi

In armi rafforz. Schiuse le porte

De' ricolmi tesori e a far suoi doni


Alle sue genti s'apprestava. Uscia

Del genitor dalla presenza allora

AJrasyb giovinetto, e avea la mente


Piena d'arrlor, pien di vendetta il core.
Ma come fr le cose de la guerra
Tutte apprestate, consiglier del sire
Ighrers venne entro la reggia. Innanzi
Ei si f' al genitor, turbato il core
D'alti pensieri,
I

che del core

ufficio

pensieri nutrir. Padre avveduto,

Ei disse a re Peshng, (e per valore


Sollevasti la testa in fra

Anche

se

Turani),

Minochr meno venia

In suol d'Irania, di que' forti duco

Sam figliuol di Nirm. V' ancor Ghershspe


E Kren battaglier, oltre a cotesti
Altri vi son di quel popol

Tu ben

nemico

che incolse
Tur e a Salin ardimentoso e fero

Incliti duci.

sai


Per man

483

di quello, vibrator di spada,

Antico lupo. L'avo mio possente,

Zadshm, regnante
Di cui Telmo sala
Il

la

turania stirpe,

di

questa luna

cerchio a rasentar, di

tal subietto

Mai parola non fea, per la sua pace


Mai non leggea d'un'agognata guerra
Nel volume fatai. Che se noi pure

Non desterem tumulti, e meglio fia,


Che per tumulti di scompigli pieno

Cos rispose
Questo regno sar.
Peshng al figlio suo subitamente:

Afrasyb, quell'ardito alligatore,

qual bieco leon nel d di caccia,

Elefante belligero nel tempo


Della battaglia.

Che vendicar

Ma

il

nepote, intendi,

avo non cerca.


Forse non di nascimento ingenuo.
A te con Afrasyb irne t' d'uopo

nel

l'antico

male e nel ben saggio un consiglio

Porgergli sempre. Quando fen sparite

Le pieghe al lembo delle nubi in cielo,


Quando il deserto per le molte piogge
Pien di fonti sar, quando per monti

per pianure pascoli saranno

Ai palafreni e l'erbe degli eroi


Sorpasseranno la cervice, e quando
Alle messi novelle intorno intorno
Il

suol verdeggier, d'uopo al deserto

Vi sar

di

spiegar le tende vostre.

Cos voi per roseti e per verzure


Lieto

il

cor recherete e l'ampio esercito

D'Aml trarrete alla campagna. Ancora


Sotto a le zampe ferree de' cavalli
Calpesterete Dehistn remota,

verrete correndo e in color rosso

484

L'acque de' fiumi tingerete. Appunto


Da quella parte Minochr belligero
Contro a Tur ne venia per sua vendetta,

E da quel giorno eserciti infiniti,


Come nuvole fosche, a questi campi
D'armi son scesi contro a noi. Per questa
Guisa medesma d'uopo a voi frattanto
Sgominar que' superbi. Era difesa

Re Minochr

all'esercito suo

In suol d'Irania, e fu per lui pi bello

Con la sua reggia il trono ancor. D'Irania


Or ch'ei disparve, quale in noi timore?
Davver! che questi Irani anche non valgono
Quanto un pugno di polve E nel mio core
Per Nvdher sire non alcun pensiero,
Ch'egli un fanciullo, e non dotto in nostre
Arti ingegnose. Or voi studio ponete
Con Kren battaglier, con quel Ghershaspe,
Famoso eroe, soltanto in quella gente,
Per veder se vittoria avrete voi
L nel campo dell'armi e su cotesli
!

Superbi eroi del suolo iranio. Voi


Degli avi nostri l'anima placate,

Voi cacciate nel cor d'esti nemici


Vampa di doglia tormentosa e ria.
Cos disse a quell'inclito guerriero
Di gloria amanti'

il

figlio

suo: Nei

Scorrer far per tua vendetta

il

rivi

sangue.

Come, per l'erbe verdi, la campagna


drappo di lucenti' scia.
Di Turania gli eroi tutti s'accinsero
Rapidamente, e all'altro d, nell'ora
Si f' qual

Che

il

sole apparve, alto deso nel core

Entr de'

forti.

timpani

di

bronzo

Altri batt sul dorso agli elefanti,

E per

la

polve che lev l'esercito,

185

Fosco il mondo s f' quant' dell'ebano


Atra la scheggia. Da Turania e Gina
Esercito venia, tutti

gagliardi

Dell'Occidente di lor clave armati,

Tal che confine non avea, non mezzo,

Nvdher

gi di

la

fortuna

prisco

il

Vigor pi non avea. Come divenne


Fino al Grihin la turanica schiera,
A lui, progenie di Fredn, l'annunzio
Ratto giugnea. Davver!, quando novella

Giunse a Nvdher signor del suo nemico.


tutto il regno suo le sue falangi

Da

Ei convoc, batt

Al deserto

Men

timballi e trasse

suoi prodi,

prodi suoi

fino al Gilin. Cos la schiera

Di quel signor dell'ampia terra usca,

Al deserto
Felici e

ella usca da' suoi castelli

e per la via scendea

lieti

Di Dehistn.

Kren

Re

dei re, ne venia

Andavano

Come

battagliero

Nvdher

capitano, e

Il

dietro a

le genti sbigottite.

vicino al Dehistn giugnea

L'irania gente, accadde


Il

sole

lui,

tutte a tumulto

si

vel.

che

in alto

La regal tenda

Nvdher regnator fu eretta al piano


L dinanzi al castello. E poi che ratto

Di

Egli apprestava in Dehistn la guerra,

Lungo in cotesto non fu indugio allora.


Che alla terra d'Irain due capitani,
Eroi gagliardi,

Un Shemass
L'altro,

il

prenci suoi,

Afrasyb mand, lor consegnando

Cavalieri de' suoi.

Degni

fior de'

Khazarvn guerriero

d'assalti,

Ben

trentamila,

armigeri guerrieri

Uscirono con quelli e andar veloci

486

Di Zabl ver la terra, andar, portando


Una guerra a Destn, che giunto allora

Era l'annunzio che giaceasi estinto


Nirm, che Zal guerriero
Un sepolcro gli fea. N'ebbe gran gioia
Prence Afrasyb, che gi vedea destarsi
La sua sorte dal sonno, e come ei venne
Sani, fgliuol di

Di contro al Dehistn,

le

tende sue

L dirimpetto conficc nel suolo.


Tale fu il mondo allor, de' cavalieri
Per l'atra polve, che ben detto avresti
Esser celato

il

sol.

Contar

Oste chi mai sapr?...

Ben quattro

si

grande

va, tu conta

volte centomila eroi.

Detto avrest che

De
Da

Tu

l'arsa terra

la

mobile arena

turbinava e ch'era

confine a confin l'ampio deserto

E di formiche e di locuste ingombro


Veracemente. Ma con Nvdher sire
Centoquarantamila eran gli eroi,
Cavalieri belligeri; e

il

turanio

Duce Afrasyb che rimir

lai

schiera,

Un

messaggier. nell'ore date al sonno,


Ratto invi, scrivendo al padre suo,

A Peshng
Felicit

in Turania, una sua epistola:


cercammo, ed essa venne

In nostra potest.

Di

Contammo

Nvdher regnator

E preda

noi

tutta la schiera,

nostra ell', se pur la caccia


Farne vorremo. Dietro al vecchio sire
And Sam. No davver! che alla battaglia
Mai non fia ch'ei ritorni! V me sgomento
Era per lui in suol d'Irania, ed ora
Ch'ei per sempre part, nostra vendetta
Da Irania chiederem. La sepoltura
Zal intanto gli fa, ned ha con meco


Fermo

487

E
Nimrz con

pie nell'assalto.

gi

si

assido

corona
Che al mondo luce. In ogni impresa bello
Tempo cercar propizio e far consigli
Con amici e con saggi. Oh! ma se fiacco

Shemass

in

Mostrasi un

Tempo
Il

uom

la

nell'ora dell'assalto,

acconcio

ei

Parve l'ali spiegar,


cammello veloce, e

non avr pi mai.


ratto mosse,

al

suo signore

Che splendea come sol, quel messo venne.


Ma come si lev sulla montagna
L'alba novella, al Dehistn vicine

Erano gi le iraniche vedette.


Due parasanghe son tra questa e quella
Schiera soltanto, e son dovunque arnesi,
Armi di guerra son dovunque sparse.

Morte

III.

di

Kobd.

(Ed. Cale. p. 184-187).

Era un turanio in su quel


Avea Barman. Su vi destate,
A' dormenti nel campo,

loco, e

nome

ei disse,

e venne e tutto

L'esercito osserv, mir le tende

Di Nvdher prence e corse al capitano

Del turanico

stuol.

Dvagli indizio

De' padiglioni e de le avverse schiere,

Che venendo

al suo duce ei cos disse:


terreni noi nascosta
quando
E fino a
L'ingenita virt?... Se mi concede
Vnia il mio re che ha di leone il core,

A
E

queste genti chieder la pugna,


vedrann'esse manifesto e chiaro
Di me vigor, s che me sol diranno

forte e prode.

Ma

Ighrers prudente

Ove alcun danno

Cos rispose:

Barman

488

guerriero,

il

tocchi

cor de' nostri prenci

Si franger, sar inceppata questa

nostra gente gloriosa impresa.

I)i

un uom d'oscuro nome,

Sceglier vuoisi qui

Onde

poi, s'egli cade,

mordersi la mano.

Al fiero

alcun non abbia

Oh!

Peshng

figlio di

corruga vasi

la fronte,

Pei detti d'Ighrers venia vergogna


A principe Afrasyb! Con fier cipiglio

A Barman

ei dicea:

E Tarco incocca!

Vesti l'usbergo

In questa gente nostra

Tu se' il pi grande, n sar mai d'uopo


Che alili si morda per dolor la mano.
Barman cos discese al fatai loco
Della battaglia, ed al figliuol di Kveh,
Kren, voce mand: Quale hai tu in questa

Indila schiera tua famoso eroe

Che meco venga a tenzonar nel campo?


Kren guardava ai prodi incliti in armi

veder chi cercasse, in tanta schiera,


la pugna, e niun di quelli
Gi gloriosi gli rendea risposta,
Se pur togli Kobd, l'ardimentoso,
Col turanio

Ma

Antico eroe.

Ben

di lui

si

Del fratel suo


S

che per

Le lagrime
lira s

il

saggio capilano

crucci, peisi

la

risposta

conturb nel core,

l'ira fino agli

salian.

Ragion

occhi suoi
di

sdegno

contro quella irania gente,

Grande,

infinita, se fra tanti all'armi

Garzoni

eletti

col turanio eroe

Cercasse un vecchio

Fu

di

che

Kren
in mezzo
il

di

pugnar. Cruccioso

cor pel fratel suo.


affli

eroi sciolse la lingua

489

grid: S clavver! che gli anni tuoi

Giunsero a
Ritrar

tal

che dall'armi
campion

la destra. Il

t'

d'uopo

Turania

di

Fresco agli assalti, giovane guerriero,


Dal core aperto e d'anima gioconda,
Gagliardo cavalier che

Lione ha

di

feroce

che fieramente al sole


Solleva il capo. Tu se' grave e antico
In nostre schiere capitano e sempre
Conforme al cenno tuo volge il consiglio
Del nostro re. Che se il tuo crin canuto
Fia di sangue macchiato, ogni lor speme
Disperderanno i nostri eroi; sconfitta
il

cor,

Cadr nel nostro campo, e n'avr doglia


Ogni cor che n' amico.
Or tu qui vedi,
A Kren battaglier che disse, innanzi
A sue schiere, Kobd. Cos rispose:
Il ciel rotante la mia parte giusta
Gi m'assegn. Sappi, fratello, adunque
Che a morte sacro il corpo mio. che il capo
E la cervice mia fr destinati
L'elmo guerresco a sostener. Dal tempo
Di Minochr beato io sol per questo
Giorno fatale in cor mi strussi. Vivo
Alcun mortale in ciel non va. Segnata
Preda egli veramente, e quella preda
Va cacciando la morte. Il fato estremo
Tocca ad un per la spada, allor che vengono
A contrastar due eserciti furenti,

resta

il

corpo suo pasto

ai leoni

Sbrananti e agli avoltoi, resta

Ad una

lancia, a

Giunge per altri


Ed ei, n dubbio
Di qui

si

una
al

il

suo capo

tagliente spada.

capezzal la morte,

v'ha, subitamente

parte. Se

migrar m' d'uopo

Dall'ampia terra, incolume un fratello


Che ha possanza
Diletti amici,

490

e vigor, restami.

datemi

voi,

d'affetto,

morte mia, ferma una prova.


Un sepolcro regal qui mi levate,
Date il mio capo all'odoroso muschio,

Dopo

la

Alla canfora eletta ed a l'essenza


Di fresche rose e

il

corpo

al loco

eterno

Del suo riposo, e vi restate ancora


La terra ad abitar, securi in Dio

Ch' creator d'ogni pi bella cosa.


Questo egli disse e in man si tolse
E venne, pari ad elefante ardente,

E Barman

Dell'armi al loco.

Al belligero eroe:
Dinanzi a

me

Tua

sospinse

l'asta,

die tal voce

sorte avversa

capo tuo!

il

Attendere dovei, che il tempo istesso


Gi gi fa guerra al viver tuo cadente.
E Kobd rispondea: La parte mia
Gi mi assegn questo rotante cielo.
Quest'uom che corse al loco tuo, dal tempo
Indugio non avr, ne tu l'avrai!
Questo egli disse e il nero suo cavallo
Ratto sospinse, ne all'ardente core
Pace concesse gi. Cos dall'alba
Fin che pi lunghe stese l'ombre il sole,

Questo su quello e quel su questo immane

Prova die

Barman
Nel

Un

fatai

di

vigor.

Ma

vinse alfine

turanio. S'avanz con impeto

campo

pugna e rapido
Kobd belligero

della

giavellotto di

che

alla cintola

Alla coscia vibr,

Tutti

fulgidi gheroni,

gli

sciolse

dal destriero a capo in gi cadea


L'iranio prence. L mor quel prode,

Cor

di leon,

Avea

di sire

vecchio guerrier, che in volto

maest sovrana.


le

reda con molto vampo,

Ad Afrasyb
Rosse

491

gote e di

carco,

tal gloria

Eroe Barman. Gli porse in quell'istante


Regal dono Afrasyb, quale nessuno,
Anche in pensar, non tocc mai. Per esso
Tutto stupa l'esercito raccolto,
Stupa per le collane e pei monili

E per l'aurea cintura. Alcun de' servi


Mai non ebbe da principi cotesto
Con orecchini e con regal corona.
Spento Kobd, l'esercito fuor trasse
e ratto venne. Allora,

Kren pugnace

Come due mari in


Ambe le schiere si

Gina tempestosi,
avventar. Che

il

suolo

In guisa orrenda sotto traballava,

Detto avrest.

Ma Kren

battagliero

Venia correndo, e da l'opposta parte,


Da quella schiera di Turani accolta,
Superbo Garsivz, di pugne amante,
Con ampio stuol d'armigeri campioni
Innanzi s'avvent. Nitran cavalli,

per

Il

sol spara, spara la

la

polve dell'immensa schiera

bianca luna

Alta pel cielo. Folgorar le spade

vedean rilucenti e

Si

Di caldo sangue.
Il

l'aste intrise

la

negra polve

denso turbo nuvola piovosa,

Su

cui da l'alto

Discender
Il

de
il

sol

fumide

fa di color rosso.

stille

Introna

denso turbo al fremere de' timpani,


di sangue ogni lama di spada,
d'ogni parte intanto il palafreno

Tinta

Kren sospinge

e luccica il suo ferro


Qual' d'Azergashsp chiara la vampa.

Tu

diresti davver che va spargendo


Margherite quel ferro. Oh! che diss'io?

492

Non margherite, ma per

brama

fiera

Ei va sperdendo l'anime de' prodi.

Duce Afrasyb, come vedea


Spron

il

cotesto,

Kren

destriero e contro a

L'esercito avvent. Diero

un

tutto

assalto

che sala pel monte


n per quell'alme
Erano stanche di pugnar. Ma quando
Fino

all'istante

Atra

la notte,

Si avvolse in fosco vel quest'almo sole

E si cel, quando usc fuor la notte,


Negra qual uom che in Etiopia nacque,
Ratto che tetro e desolato
Si f' qual volto

mondo

il

d'Ahrimne e

l'atro

Serpe del cielo spalanc sue fauci,


Di nera notte al sorvenir, si sciolse
Kren pugnace dal turanio prence.
Come poi l'una e l'altra avversa schiera
Si separ, pieni di doglia

Nella mente
I

il

core,

storditi, elli partirono,

superstiti eroi.

Ma

de'

Turani

Gente infinita l giaceasi uccisa.


Cinquemila giacean di forti Irani.

Quando dal campo si redia dell'armi


Kren guerriero, al Dehistn ritrasse
L'esercito de' suoi. Quivi egli entrava

Di

Nvdher

sire nella tenda, e

il

core

Turbato avea pel sangue del fratello.


Nvdher che il vide, lagrime dal ciglio,
Dal ciglio s, che stanco era e da tempo
Privo di sonno, e cos disse: Mai,
Dal tempo che mora Sam cavalieri
L'alma non ebbi s dolente e grama
>.

Come
Di

in tal d!...

Kobd
la

splenda

come un

questa nostra vita!


vita quaggi tale ha costumo.

Possa goder

Ma

Ma

l'alma bella, e tu in eterno


di

sole

493

Tale ha sua legge, che

arreca un giorno

ci

Gaudio, e all'altro un martr.

Non

difesa

Da nutrir per la morte un uom che nasce,


Cuna in terra non fuor che il sepolcro!
Da che nato son io, Kren rispose.
Sacro

al

morir tenni e stimai pur sempre

L'inclito corpo mio. Quest'elmo aurato

Posemi

in

capo re Fredn, per

Erg' tradito in vendicar,

ch'io,

terra

la

Tutta corressi. E fino ad or quel cinto


Di guerrier non disciolsi e

brando mio

il

Di puro acciaio non deposi. Intanto

Cadde

il

fratello mio, quell'uom preclaro

Di molto senno, e gi vegg'io che viene


Di cotal guisa

Deh

il

giorno a

vivi tu beato

Peshng

Il

figlio di

impetuoso!

Come

me

anche se

supremo.
armi

in

fiero t'incalza

parte uccisa

Di sua schiera giacea, ratto egli chiese


Di riposati eroi schiera novella;

Me

discoverse con la clava in pugno

di giovenca e a me da presso
Corse bramoso di pugnar. Mi spinsi

Dal capo

Di cotal foggia contro a


Gli venni agii occhi;

ma

lui,

che

sotto

nel fiero assalto

Un incanto egli ord, s che ad un tratto


Non luce, non ardor nelle mie chiare
Pupille si rest. Venne la notte
E il mondo intenebr, quando il mio braccio
Dal menar colpi stanco io gi senta.
Detto avrest che giunto era del mondo
Il

giorno estremo, che fu ingombra l'etra

Di fosche nubi in strana guisa. Allora

Da quel campo de

Dovemmo
Era su

l'armi contrastato

ritornar, che negra polve

in cielo e fosca era la notte.

494

Da questa parte e quella or si posava


E l'una e l'altra schiera. Al nuovo giorno
Tornavano gli eroi, l'armi cercando.

IV. Battaglia e sconfitta di

Nevdher.

(Ed. Cale. p. 187-191).

Come
E

il

bruno suo vel squarci

la notte

la terra splend sotto la luce

Del nuovo sol, quando il signor degli


Fulgida come l'or trasse una face
Del cielo azzurro fuor da la cortina.

lor file ordinar gli Irani in guerra.

Le

Qual costume

di tenzoni e assalti

E fremono

Di re sovrani.

astri

timballi

squillan trombe, e tu diresti ornai

Che fuor da

le

Scossa la terra.

sue vie ratto precipita


Come l'ampia schiera

scoverse Afrasyb, venne, e di contro


Le sue genti ordin. Ma per la polve

Ne

De' cavalieri tal fu

il

mondo

allora,

detto avresti questo sol lucente

Che
Andar

perduto. Dagli!, Piglia!

un grido

Sorse da questa e quella schiera, e intanto


Scerner non si potea dalla montagna
Il

pian deserto.

Le avverse
Di sangue

Come

urtarsi in

genti, qual corrente


si

vers. L 've

Kren pugnace, scorrere

di

si

mezzo
un rivo

gii la

sangue

pian della pugna, e l 've ritto


armigero guerriero.
Afrasyb
Tiensi

Ei fa

il

Scorre di sangue la campagna intorno


Qual corrente di fiume. Alfin balzava
Dal medio loco di sue schiere e innanzi


Nvdher venia

495

fin di

contro al nemico,

Disioso di pugna. Asta con asta

punte acute
che in cotal guisa
Non s'attorcon due serpi. Oh! qual tenzone
Era questa di prenci incliti in guerra!
Cos, fin che venia la notte ombrosa,
Vittoria ebbe sul re la man possente
Del figliuol di Peshng. Pi assai feriti
Avean gl'Irani, e da l'opposta parte
Compatta era la pugna. Oh! ma la fronte
Elli intrecciar cos, le

Cos urtaron fra

lor,

Volser gl'Irani orbi di speme e al campo


Lor tende abbandonar. Pieno di doglia

Fu

Nvdher

di

Che

il

il

cor per tanto affanno,

suo serto regal fortuna avversa

Di polvere copria. Tosto che tacque


Alla pianura

fremer

il

de' timballi,

comand che Tus, prence guerriero,


Venisse innanzi a lui. Tus cos venne,
Gustehm venne ancora, ambo col labbro
Ei

Pien

di duolo,

favell di qual dolore

Colmo avesse

con l'alma

di sospiri e

E Nvdher

cor suo, favell alquanto

il

alquanto lagrim. Ricordo

ei fece

Del consigliar del padre suo preclaro,


Pieno d'ambascia il cor, piene le labbra
F' di sospiri.

Detto

gli

Un

d,

avea che

di

padre
Turania e Cina

l'antico

In iranico suol sara discesa

Avversa

un'oste. Doloroso avrai,

Disse, per essi

il

cor,

che gran iattura

A' tuoi guerrieri ne verr!

Ecco

Ma

del dir del vecchio prence

intanto

un chiaro

il bramato giorno
Mai non lesse alcuno
De' prenci antichi nel volume illustre

certo indizio, e gi

Vien

de' superbi.

496

Che nemico signor tanta adducesse


Turania schiera. Ed or v' d'uopo, ei disse,
Andarne in Persia e le mie spose adorne
Di l recar, venirne, indi condurvi

Di Zad a le montagne e quella schiera

D'Albrz al monte trasportar. La via


Di qui prendete d'Ispahn:

ma

uscite

Nascosti a ognun de' prodi miei. Per questa

Opera vostra

il

A' nostri eroi

cor sara trafitto

piaga sara novella

Per chi piaga tocc. Deh! che del seme


Di principe Fredn qualcuno almeno
Salvi la vita sua da questa gente
Di novero infinita!

se altra volta

Io,

Noi questa notte


Farem l'ultima prova in questo campo.

Vi rivedr, non

Ma

voi,

so.

la notte e

il

d,

esploratori

gli

Pronti v'abbiate e con prudenza accorta


Investigato ci che avvien. Se annunzio

Dar la gente di sventura a voi,


Se avverr che s'offuschi questa mia
Imperiale maest, gravato
Di molto duol deh! non abbiate

il

core,

da ch'esso fu, dell'alto cielo


Che
pur sempre il costume. A terra il Fato
Tragge taluno, e vassi altri beato
tal,

Con corona

di re.

Cosa e chi muor

Son pur
morbo

di

la stessa
di

natura

chi ucciso fra l'armi. Alcuni palpiti,

Indi quel corpo

si

compono

in pace.

Cosi, com'ei dovea, dio suoi consigli,

Indi fuor trasse la regal sua

strinse al petto

ambo

suoi

mano
Un

figli.

pianto

Vers dal ciglio il nobile signore,


E Tus e Grustehemme e Nvduer tosto
Si separar. Dolenti eran quell'alme,


Eran

le

guance

4 J7
(

lor molli di pianto.

D'allora in poi

due giorni riposava

L'esercito guerrier. Nel terzo giorno,

Quando splendette questo

sol ch'

Alma del mondo, pel monarca


Tempo agli indugi pi non fu

propizio,

Cb'ei ben dovette avventurar la

Nella distretta sua.

Ma

l di

luce

iranio

pugna

contro

mar fremente

Di Nvdher allo stuol, qual

qual corrente d'acqua repentina

D'Afrasyb era

l'oste.

Ecco

!,

un alterno

Grido levossi da le tende intorno

Con

alto

uno

squillar di

trombe e astri

D'indica foggia. L, sulla regale


Soglia, levossi di timballi

un fremito

tutti in fronte le celate ferree

D'un moto si posar. Da monte a monte


Venan pel campo i loricati eroi,
Venan con le lor clave ponderose,
N gi pi si vedean monti o deserti
vaste arene. Un vel sembr disteso

Da mare a mar veracemente. Allora,


L nel mezzo a l'esercito ordinato,
Kren di guisa si appost cbe fermo
suo re sovrano
Venia da manca
Re Telimn gagliardo, e da diritta
Shapr prestante e ardimentoso. Intanto,
Sostegno

ei fosse col

All'esercito suo.

Da

la parte di contro,

prodi suoi

Arditamente qual leon montano


Afrasyb ordin. Sta da sinistra
Dell'esercito suo

Barman

valente,

procella siml, cbe posta avea

Sull'arco

immenso una

ferrata punta,

da diritta Garsivz fortissimo


Stavasi inver quale un gran monte in sella
Firmisi,

I.

32


A un

498

palafren travalcator di monti.


fr posti gii ordini di contro

Come

All'una e all'altra schiera, alto levossi

un clangor.

D'oricalchi

Dall'alba

prima

Fin che discese da l'azzurra volta


Questo fulgido sol, non monte o fiume
Pot vedersi, non campagna intorno.
Detto tu avresti che in le ferree spade
Anima cresce e che geme la terra
Sotto al pie de' cavalli. E allor che l'aste
G-ittr pi

lunghe su

la

terra l'ombre,

All'iranio signor rapida e forte

Tocc
Torba
I

sconfitta. Poi
si f'

che

la

fortuna

de' prenci irani e forza

turanici eroi presero in quella.

Da quella parte ove Shapr valente


Fermo ancor si tenea, ci che formava
Ampia una schiera, si disperse. Intanto
L Shapr si rest fin che trafitto
Cadde e

la sorte dell'irania schiera

Precipit. Molti famosi e illustri

Nell'iranico stuol giacquero al

campo

Della tenzon, chi ucciso e chi ferito.

Come

cotesto videro l'iranio

Prence e Kren con

lui,

com'elli videro

Nemico il fato nell'assalto, fuori


Da la folla accorrente de' Turani.
D'un assalto bramosi, ci si dittarono
Correndo in Dehistn. Forte un castello
Prender voleano in Dehistn, ma un varco
Gi non trovar per niuna via. Battaglie

Furon
Varco

la notte e

il

d sul contrastato

del forte e lungo

In ci correa.

Ma

tempo ancora

poi che posto

il

piede

Ebbe Nvdher fuggente in quel castello,


Ecco che chiuso a lui ratto fu il varco

499

battagliar coi cavalieri avversi.

Apparecchiava

cavalieri suoi

Prence Afrasyb, che vampo

Da

di far

guerra

l'indugiar l'incolse allor. F' cenno

D'un famoso in Turania. Era costui


Principe Kurukhn, della semenza
Di Vsah illustre. Volle il suo signore
Che in Persia andasse percorrendo via
Gh' del deserto, che da quella parte
Erano degli Irani alto raccolte
Davver ch'uom tristo sempre
Le ricchezze.
Ratto che intese
La sua preda cerc.
Kren guerrier che nell'ore del sonni)

Un

drappello de' suoi fuori

Prence Afrasyb,
D'improvviso

A Nvdher

livor,

Mand una

Schiera infinita per


le

Vengono

Il

re turanio,

e sleal, ve' che

All'iranio signor!

L da

core ed arse

qual pardo in giostra

corse e disse:

L'uom codardo

mandava

f' tristo il

mai fece

schiera,

la via lontana,

spose nostre. Oh! se in sua


i

mano

nostri ginecei, sconfitta

Sar cotesta a questi eroi famosi!


Deh! che celar dovremmo noi la fronte
Per la vergogna e correre a un assalto
Con questo Kurukhn! Per te, signore,
Quivi son cibi e sono acque scorrenti,
E geme per l'amor che per te nutre.
L'esercito de' tuoi. Se vnia adunque
Men d il mio re che invitta ha la sua sorte,
Del reo turanio sovra l'orme infeste
Io forte correr. Ma tu qui resta,

Non

crucciarti del cor, che a te son


L'opre di guerra qui. Valor dispiega

lievi

've d'uopo valor, che ben s'addice


Ai regnanti quaggi valor guerriero;


Ed
L

io

500

correndo mener un esercito


Kurukhn, qual d'arco freccia.

dietro a

Retto consiglio non

il

che non

Nvdher

allora,

Un duce

ai nostri

tuo, gli disse


di schiere

quale tu ben

sei.

Per le dovizie nostre ecco ne andavano


E Tus e Gustehm quando al mattino
Fremito sorge di timballi. Ei vanno
Con presti passi ai ginecei, le cose
Tutte ordinando quanto pi s'addice.
A quelle stanze giunsero frattanto
Prenci alteri ed eroi. L si assideano

E chiedean

vino, e

Liberavano

il

Ma

ancor per un istante

cor da ogni rancura.

veniali poi di

Kren a

l'ostello.

Veniali con occhi lagrimosi, quale,

Carca di pioggia, nuvola vagante


In mese di Behmn. L fean principio
A sermon d'ogni guisa e in questo detto
Convenner tutti poi: D'uopo tornarci
In Persia ancora, n possiam diverso
Eleggere consiglio. Oh! se le nostre
Vaghe fanciulle che han velati gli occhi,
Del reo nemico fen captive. e in ceppi
Gemeran di Turani e donne e figli

senza contrastar

Avran

trafitto

il

core

d'un dardo, chi la lancia ancora

In questi campi recherassi in pugno,


E chi avr pace e chi si avr un ostello

Poi che Shedsh e l'inclito


Kren consigliando posero
Gotal disegno, come giunse al mezzo
Di suo cammin lenta la notte, i prodi
Apprestarsi a partir. Kren belligero
Venne a l'istante e men seco un ampio

riposar?

Keshvd

Drappel

de' suoi, e tutti, al

primo albore,


Giunsero,

il

501

core di speranza scemo,

quella rocca che la Bianca detta.

Da questa parte Ghezdehemme


L*alta rocca

antico

guardava ed eran seco

Alquanti eroi

Fuori,

vigili e accorti.

Dall'altra parte della rocca, stava

Con l'esercito suo, con elefanti


E con gagliardi posti a quel sentiero,
Barman turanio, da cui s'ebbe al core
Piaga di duol Kren pugnace, e sempre,
Sempre per teneasi accinto il sangue
Del suo fratello a vendicar. Le sue
Armi Kren vest, le cose tutte
Egli ordin, come dovea, dell'ampia
Schiera de' suoi.

quel drappello avea


libero

il

varco,

rapido correndo alla sua dritta

Venne Kren
I

Ma

a Barman

Sol l presso

allor. Dietro gli

andavano

suoi gagliardi, tutti volti insieme

II

confine a toccar di Persia bella.

E di lui bene avea notizia certa


Barman ardimentoso, onde avventossi
In guisa di leon.

Come
Come

il

Kren da lungi

vide in tale impeto e disdegno,

vide gittarsi entro la pugna


L'uom sanguinario, con Barman tenzone
Tremenda incominci, n gli die tempo
Difesa a ricercar. Precipitoso

Ei

si f'

innanzi e dilatando

il

petto

Di Dio proteggitor ricordo ei fece,


Indi con l'asta alla cintura
S gli sferr

le

che ne ruppe

un colpo
i

gheroni

compagi. D'alto del destriero

Precipit l'eroe trafitto e

Rilucente del

sol si f'

il

per

disco
lui

Fosco in eterno. Gi balz d'arcioni

502

Il

fortissimo eroe, spicc dal busto

quel traftto

il

capo, indi a l'arcione

Se l'appicc. Ma poi, con la restante


Turania schiera accapigliossi e molti
Atterr di que' prodi
Affranto ebbesi

"1

incliti in

armi.

cor la scompigliata

Gente turania, e dispersi ei ne andavano.


Questo da quello. Ma l'iranio duce,
Col drappello de' suoi, famosi in guerra
E bramosi di pugna, in suol di Persia
Cos venia dal contrastato campo.

V. Cattura di Nevdher.
(Ed. Cale. p. 192-194).

Re Nvdher, come
Kren

Come

ud ch'era partito

dal campo, dietro a lui ne venne

leon su l'orme. Ei

corica

Per evitar di sua sventura il giorno,


Perch nemico il ciel non l'atterrasse.
Afrasyb che ci intese, allor che seppe
Che Nvdher al deserto si volgea,
L'esercito raccolse e

Dietro

gli

venne

camminando
Torme sue

e sovra a

Correndo mosse. Come poi vicino


Giunse a l'iranio re, vide che fuga
Era quella e tenzone, ond'egli in tale
i^uisa che venne, ricerc sua via
Di recarsi quel capo incoronato
Via divelto dal busto. E furon quivi
Di Nvdher, d'Afrasyb assalti e pugne
Per l'atra notte fin che il sol tornava
Alto pel cielo. Intenebrava il mondo
Alla polve de' prodi all'aer levata,

503

Ma Nvdher
Il

figlio di

prigionier cadde
Peshng preselo al

alla fine.
cinto,

da la sella, d'una fulva spoglia


Di pardo ricoperta, egli lo tolse,
E caddero col re prigioni avvinti
Mille e dugento illustri in armi. Detto
Veramente avrest che non loco
Sul suol per

essi;

ed

altri molti assai

Preser la via, fuggir dispersi e al fine


Della sventura caddero nel laccio,
Ma quei, d'Irania col signor, s grande
Esercito traea carco di ceppi.

S'anche t'aprisse ogni suo arcano il cielo,


Dal volger suo non troveresti scampo
In niuna guisa. Ei d corona e trono
Di grandezza quaggi, dona pur anco

E tenebre e squallor. Somiglia


Ad un amico e ad un avverso,

il

fato

e ottieni

dolcissimo frutto

Talor da

lui di

La polpa

a delibar, talor l'ingrata

Scorza ne tocchi. Che se pur giugnesse


Il capo tuo fino a le fosche nuvole,
pur la tomba la tua estrema stanza
Che ti tocca da lui. Guardati, o figlio,

Che non avvinca a questa terra il core,


Guarda che non ti creda incontro a lei
Appien sicuro. Giocoliero esperto
il mondo inver, che ad ogni istante un gioco
Diverso egli ha. Questi solleva in alto
Da un loco umile in fino al ciel, dal cielo
In basso loco ei fa cader tal altro.

Afrasyb comand: Per monti e piani,


Per caverne e per acque, or voi cercate
Di Kren battaglier, per ch'ei non sfugga
Alla schiera de' nostri.

Da questo campo d'armi

s'egli usca

contrastato,

504

Deh! non mi torni nel cospetto ancora


Avido di vendetta!
E quando intese
Che pria d'assai partito egli era, in core
Ben si turb per ci che ordito avea
Kren di Nvdher nelle stanze. Ancora
Dissero ad Afrasyb ci che pur fece

A Barman

quell'illustre e di qual foggia

Atterrato l'avea dal palafreno,

E
E

Afrasyb sen dolea, nell'ascoltarli,


il dorso della man mordea co' denti.

Vsah illustre disse poi: Tu afforza


amico mio, pel fato acerbo
Del figlio tuo, che quando assalto mena
Kren figlio di Kveh, i pardi ancora
Il

core,

S'arrestano

al

mirar

dell'asta sua

La ferrea punta. Ma pel figlio tuo


.Andar tu dei, menando ampia una schiera
Valorosa fra l'armi.
E Vsah usca.

Delle squadre turanie inclito duce,

Con una schiera

gi famosa in guerra.

Ma

poich vicino
Pi e pi fu a Kren, l su l'ormo sue,
Ucciso e abbandonato in su la via
Il suo figlio trov, molti de' forti
Vendicatrice.

E degli eroi de la turania schiera


Con quel trafitto in sul sentier gittati,
vessilli e riversati
E strappati
i

timballi, e dintorno

Qual veste limerai

Come resina
Come vide
Vsah un

di

erbe con

fiori

quegli uccisi,

gialla in volto smorti.

cotesto e

come n'ebbe

fiero dolor, detto tu avresti

Che quel cor si fendea pel duolo acerbo


Che ratto il prese. Piovve gi dagli occhi
Stille ardei di

Venne

di

pianto e lentamente

Kren su

l'orme, e

prenci

tutti,


Del turanico stuol

505
tutti

gagliardi,

Kren guerrier preser la via.


Ma poi, Vsah correa come corrente
Acqua di fiume, e scompiglio dovunque
Dietro a

Gi gi sorgea per

A Kren

Giunse novella

lui.

Vsah ancora.

battaglier di

Vien, gli fu detto, con la sua vittoria

in tutta forza

Vsah

Indi

Or

movea

cavalieri,

tutto irradiando

per, per dolor che

Mandava

ornai.

L, nel Nimrz, dArabia

ha

il

mondo.

del suo

figlio,

Ei pugnace e gagliardo, in Persia scende

Nel suo furor qual rapida bufera.


Come di Persia venne alla pianura
Principe Kren, alla sua sinistra
Nembo di polve si mostr. Sorgea

Negro un

vessillo in quella parte, e innanzi

Al drappel de' Turani erane

Ambe

duce.

il

le schiere, l'una all'altra incontro,

Ordinaronsi

allor, tutti

avanzaronsi

Gli eroi bramosi di battaglia, e intanto

Kren guardava a

le

turanie

file,

L'armi guardava e gli arnesi di guerra


De' campioni d'Irania, e ben vedea
Qual degTIrani la fortuna. Ornai

Gadea
Era a

il

Del

stato felice, e qual

mai pregio

ancor? D'altri in potere


trono iranio, e conforme a deso
la vita

figliuol di

Ma Vsah

Peshng volgesi il fato.


medio loco

intanto, dal suo

Dell'ampia schiera, die

tal

Dell'irania grandezza e

Cadono

ornai!

il

voce e disse:
serto e il trono

Che da Kanngia

agli

ermi

Confini di Kabul, fino alle prode

Di Zabl e di Bust, in nostra mano


Tutta la terra, e son per i castelli

506

Nostri seggi dipinti. Oh! di tua pace

Dove un loco t'avrai, da che prigione


Cadde il tuo re?
Poich non muore alcuno
Senza voler del fato, a "V'esali allora

L'iranio rispondea, questo

Grave faccenda

ti

basti.

che giunga
L'estremo giorno, e cordoglio o rancura
Frutto non reca, non del core affanno.
Tale pur sempre del rotante cielo
L"esito al fine, ed ei pur sempre un giorni
L'amor suo ti torr. Che se prigione
Cadde Nvdher monarca, inerte ancora
Non del ciel la volta. Anche per voi
Tristo

gli , ratto

un giorno addurr,

far cessarvi

Da' rei vostri costumi e da' vostr'atti.

Vostra avversa fortuna, a Kren


Il

trono vi rap col diadema

co' tesori.

Questa terra e

il

disse,

fato

Son nemici al tuo re, cadde in torpore


Io Kren sono,
La vinile tua sorte.

L'iranio rispondea; tutti

perigli

Qui venni ad affrontar. Ma non per tema


Io qui mi trassi, non per stolto vampo;
Qui discesi a cercar col figlio tuo
Mortai tenzone. E poi che sciolto ho il core
Da deso contro a lui di mia vendetta,
Con te la pugna e con te la tenzone
Apprestando mi vo. Alta possanza
Di

man

Che

vogl'io mostrarti, in quella guisa

soglion dimostrarla

Incitaron dal loco

E clangor

si

valorosi.

lor destrieri,

lev di rauche trombe.

Sorse da destra e da sinistra un

nembo

n pi luce intorno
L'etra si avea, non gi la luna. I due
Ferocemente accapigliarsi allora.
Atro

di polve,

507

Sangue spargendo quanto pur d'un rio


Corrente Tonda. Ma vittoria s'ebbe

Kren guerrier su Vsab, e Vsah intanto


Volse la fronte a

Quando

gi

lui nella battaglia.

giacean molti guerrieri

si

campo d'armi

Uccisi e pesti, da quel

Vsah

cos fugga.

dietro a lui

Corse Kren guerrier, tosto che grave


Jattura a quei venia dagli astri in cielo.

Vsah tornava ad Atrasyb, con


Molli di pianto per dolor del

Incontro

VI.

di

Shemss

con Mihrb

gli

occhi

figlio.

e di

Khazarvn

con Zl.

(Ed. Cale. p. 194-197).

Ma

quella schiera che da Irmn gi usca,

Usca contro al Zabl, col recando


Guerriero assalto. Shemss che l'onde

Avea varcato di Gihn, si volse


Al confm di Sistn con presti passi,
E Khazarvn con trentamila eroi
Di spade armati, grandi di Turania,

Usi a vibrar pugnali aguzzi, venne


Vigile e accorto, con la sua fortuna,

Con

tanti ferri e clave, alle fiorite

Spiagge d'Hirmnd. Ma, da que' giorni, in


Era ed in pianto per il padre suo
Zal valoroso ed in Gurbeh alpestre

Un tumulo

gli

lutto-

ergea. Stava soletto

Nella citt Mihrb guerrier, che d'alma


Era serena e a vigilar si stava.

Giunse un messo di lui, che ratto scese


prence Shemss. Discese innanzi

508

Ai padiglioni e molti a lui saluti


Di Mihrb rifer. Disse Quel sire.
:

Di vigl cor, de la turania gente


Lieto in eterno vadasi per

Dahk

Dall'arabo

l'alta

La nostra

Sua' corona di re!

stirpe

dritta discende,

molto inver di questo iranio regno


io. Che la mia vita un giorno
Con un connubio mi comprai, n allora
Lieto son

Altra difesa ritrovar potei.

Or per mio soggiorno questa

rocca.

Glie di

Zabl in mano mia. Ma poi


qui se n'and mesto e dolente

Destn

illustre,

Tutto

il

per l'ave! del padre,

Sani cavalier, del suo dolor gioia

Questo mio core, e ben vorrei che mai


Quel volto a riveder non ritornassi.
Dal duce illustre de' Turani intanto
Tempo chiegg'io, perch'io correndo un messo
Mandi, mandi colai di cor veggente.
Affrettato lo mandi appo il turanio
Duce Afrasyb. Ed ei del mio secrto

Abbia novella, e caggian tronchi i detti


Tristi di chi gli va spargendo attorno.
Offerte ancora inv'ier, costume
de' prenci, e molte cose ancora.

Qual

Degne d'un gran


Vieni appo me!
Dinanzi

al

Che s'egli dice:


terrommi in pie soltanto

signor.
,

trono suo

E questo regno a

lui

come

schiavo,

dar, contento

Avr il cor per lui sol, n la persona


Offender de' suoi gagliardi. A lui
Colmi

di

doni inv'ier tesori.

Cos da questa parte egli avvine

Del duce

di

Turania

il

cor con arte,

Dall'altra ad un'astuzia alta e sottile

Porgea

mano.

la

509

Zal

un messaggiero
Or vola ratto

Egli invi, dicendo:

spiega

Destn che vedesti, e in cotal guisa

l'ali

tue. Dirai tu cose

Gli parlerai:

Non

Di qui tornar!

Che vennero due duci

t'incresca, o signore,

Qui meco a contrastar, turania gente,


S come pardi nel deserto. Trassero

Fino all'Hirmnd esercito infinito,


Ma io lor piedi con monete fulgide
Avvinsi dall'andar. Che se tu indugi
Dal ritornarti un solo istante, ratto
Deso

si

compie

Venne a

de'

Destali

nemici tuoi .
messaggiero, e

il

il

core

Gli palpitava qual per fuoco ardente.

Destn, figlio di Sam,

come

cotesto

Messaggio intese, la dorata sella


F' porre al bianco suo destrier. Si mosse
Per tornarsi a Mihrb, eroe guerriero,
E con gente bramosa di battaglia
Corse per la sua via. Posa non ebbe
Dal correr suo la notte o il giorno mai,
Fin che sen venne a le turanie schiere.
Ratto ch'ei vide al loco suo costante
Starsi prence Mihrb, che alto consiglio
E sapienza egli albergava in core
si avvide, e per disse: Quale,
Qual timor delle nemiche schiere?
Che Khazarvn dinanzi a me? che mai

Tosto

Di polve

un pugno?

E ascese

Ratto ch'entr ne

la citt

alla cittade.

quel forte,

D'onor bramoso, a Mihrb disse:


Gradito sempre in ogni opera tua,
Sappi che or

E un
D'esti

io

n'andr per l'atra notte

cotal poco stender la

nemici

al

saggio,

mano

sangue. Oh! sappiali tosto

5i0

Ch'io ritornai, che ritornai col core


Gonfio, e gi pronto a
Infil

il

una vendetta acerba.

braccio in un arco tremendo

prese un dardo quale pur d'antico


Albero un ramo. Riguard dapprima
De' turanici eroi quale era il loco,

E rapida una freccia all'arco suo


Drittamente innest, poscia a tre parti
Tre saette avvent d'un forte legno.
un grido

Dagli!, Piglia! , levassi

Pel vasto campo.

Ma

poich

la

allora

notte

Giorno divenne, la turania schiera


Tutta si raccogliea. Guardavan tutti
A.

[ne'

dardi scagliati e

Freccia questa

diceano:

si

Nessuno

di Zal.

Freccia colai sull'arco innesta.

in terra

Allora

Shemass die tal voce: Oh! se gli assalti,


Leone Khazarvn, tu non menassi
Cos da stolto e senza foga, ancora
Qui non sara Mihrb gagliardo e ninno

De' suoi campioni, e niun de' suoi tesori,

intanto

Da Zal
Campo

ci

venia

tanta rancura

guerrier, n tal sarebbe

il

nostro

dell'armi, n la gente sua

Contro a noi qui trarrebbe

il

prence avverso!

Ma Khazarvn rispose: Ecco!, costui


Una persona, e non ferro il corpo,
E Ahrimne

Non
Sotto

ei

non

gli

artigli miei.

Vivo lasciarlo su
Vi

Per

la

sua guerra

crucciarti nel cor, ch'io ben trarrollo

la

sella,

gi vogl'io
e

ninno

lascier degl'incliti d'Irania.

Come

dall'alto ciel

cominci a scendere

fiammante, di timballi un fremito


Dalla pianura si lev, ma intanto
Di timpani fragor, squillar di trombe,
Il

sol


S'

udia per la

511

citt, crotali d'India

E sonagli

si

Arnese

vest Zal valoroso

si

ndan. Corse, e

il

guerresco

E qual nembo veloce alto in arcioni


Al suo destrier balz. Tutti i suoi prodi
Salano in sella con la mente piena
D'un deso di giostrar, con aggrottate
Le fosche ciglia. Discendea frattanto
E le genti aclducea tutte nel piano
Zal dal castello, gli elefanti ei trasse,
le tende. Cos fu che schiera
Contro a schiera trovossi, e parve il campo,
Al levar de la polve alto sospinta,
Un negro monte. L'un dell'altro incontro
Gli eserciti nemici ecco ne vanno
In lunghe file, con le schiume al labbro
Per la rabbia del cor. Venne correndo
Con asta e scudo Khazarvn feroce,
Impeto fece contro a Zal, e d'asta

Trasse

Un

colpo gli vibr su l'ampio petto

Che

di ferro splendea.

Il

sire di Zabl cos

Ruppesi l'inclito
poi che indietro

Ma

Arnese del guerrier.

si

trasse,

Di Kabul s'avanzar ferocemente


Tutti

gagliardi.

Zal animoso

si

Un

rilucente usbergo

vest, tornossi

Come fiero leon dentro la mischia.


E nel pugno stringea quella del padre
Clava tremenda. In gran disdegno egli era,
Pieno di doglia il cor. Venia frattanto
Infesto

Come

Khazarvn dinanzi

ai

prodi

leon ruggente; e poi che ancora

Suscitava Destali di guerra un turbine,


Rapido come nembo incontro a lui

Khazarvn

si

gittava.

Anelante gittavasi su

Anche
lui,

l'iranio

come dovea, quella sua clava

Cos,

Alto levando.

Come

Impeto

su l'avversaro e tutte

ei f'

Sulla palestra di

serpe in giostra

scampar

le vie

Ratto gli chiuse. La ferrata clava


Dal capo di giovenca in su la fronte
S gli batt,

Di sprazzi

che

si

il

suol tutto a l'intorno

tingea di caldo sangue

Qual' d'un pardo la gaietta pelle

Tutta macchiata. L'atterr, co' piedi


calpestando, e pass innanzi e scese

Il

Davanti a' prodi suoi nel tristo campo.


Chiese che fuori contro a lui venisse
Principe Shemass, ma quei non venne,
Che il sangue in lui non s'accendea. Scontravasi
Zal in Kelbd nel turbo de la polve,

recavasi in collo quella sua

Clava ferrata.

Come

Ma Kelbd

guerriero.

scorse di Zal la ferrea mazza,

lui dinanzi s'invol.

Fugga

suoi prodi,
Shemass e fuggan tutti
Dispersi intorno come greggia allora
Che scroscio cade d'improvvisa pioggia.
i

Zal cavaliero tese l'arco e sopra

Vi pose in duro legno una saetta


Rapidamente. Egli colp nel cinto
Kelbd che si fugga, colp ai gheroni
Di sua catena in bianco acciaro, e il fianco
Si ne confisse de la sella al culmo,
Che per Kelbd a l'oste di Turania

Arse

di doglia

il

cor.

Come

cotesti,

Khazarvn e Kelbd, cadder distesi


Nella battaglia, Shemass il core
Sent mancarsi e impallid nel volto.
Ei

s,

Ed or

pugnaci un tempo
da l'orrenda pugna

co' prodi suoi,

dispersi,


Via

dietro

gittarono

si

gagliardi del Zabl, col sire

Vennero

Fu

Ma

s'invol.

Tutti

513

Kabul,

di

che ben

tal pei molti uccisi

tosto

vasto

il

campo

Che

detto avresti angusta esser la terra


tanta schiera. Ei volsero la fronte

Per ritornarsi

Turania

di

al sire,

Disciolte l'armi e le cinture infrante.

Ma come giunse nel deserto piano


Shemass fuggitivo, ecco mostrarsi
Kren di Kveh in su la via, da quella
Sconftta gente dell'antico Vsah
Tornantesi

poscia che ucciso

cos,

figlio. Ed or gli eserciti


Un'altra volta s'incontrar sul campo,

Gli ebbe

il

dolce suo

Kren guerriero

e Shemass. Conobbe

L'iranio duce chi cotesti fossero

E perch
S

che

le

di

Zabl veniali correndo,

trombe

f' scpuillar, lor chiuse


mentre, dinanzi a questa
L'altra schiera scendea, fin che sterminio

Ratto

la via,

Ei f', levando al sol chiaro la polve


Di quello stuol di miseri fuggenti,
piagati o captivi.

Il

duceiranio

Cos a' suoi prodi favell: Gagliardi

guerra e d'anima serena,


entrate nella pugna, e fate
Orrido scempio di costor.
La mano

Incliti in

Con

l'aste

Stesero all'aste

Alto gridando

cavalieri allora

come per

Elefanti rabbiosi, e

Parve un canneto
Dietro a quell'aste

il

gitt lungi in

Fikdusi,

I.

piano

all'aste molte. Il sole


si

celava e ancora

Celavasi la luna. Or, chi

Di turanio drappel,

la foia

tristo

si

fosse

Karn uccise

vergognosa foggia
33


Su

l'aperto sentier.

514

Fugga con pochi

De' suoi guerrieri Shemass, balzando

Da

l'atro

nembo de

VII.

l'orrenda pugna.

Morte del re Nevdher.


(Ed. Cale. p. 198-201).

Al turanio signor novella giunse


Glie disgombra era ornai dalla presenza

De' suoi famosi questa terra. Allora


D'ansia e di doglia e di marlr fu pieno

Quel mesto cor, col pianto del suo core


f' molli le guance e cosi disse:
Se i miei gagliardi turpemente uccisi
Giacciono in campo, in carcere ha dimora
Ei

Nevdher incoronalo.
E qui adirossi
E sclamando grid: Nevdher oh! dove,
Dove gli mai, che Vsah or dee da lui
La sua vendetta dimandar? Qual arte
Restaci ornai fuor elio versar del

sangue

E nuovo suscitar germe di guerra?


E al carnefice disse: Or tu qui '1 mena,
Per

ch'io

gli

apprenda a contrastar con meco!

Principe Nevdher, come ci sapea,


Ratto s'accorse che vita! giornata
Scorciavasi per

E con tumulto
A re Nevdher

lui.
il

Con

alto strepito

popolo ne andava

cos,

fuor

lo

traea

Disconciamente da l'angusta cella


Per mano, ignudo il pie, scoverto
Precipitando la fortuna sua.

Le braccia allor
Angusti e gravi
Il

trassero di

l.

gli

avvinsero

capo,

di ceppi

e innanzi al fiero

Come

il

da lungi

prence

515

Scoverselo Afrasyb, la lingua

ei sciolse

La vendetta a ridir degli avi suoi.


Da Salm incominci, da Tur pur anco,

Da reverenza inverso ai re spogliando


E il core e gli occhi, e die tal voce al misero

Ogni sventura che ne venga poi,


Libera venga!
questo ei disse, e in bieco
Impeto di furor dimand un ferro
E con quel ferro la cervice eretta

Golpi di

Nvdher regnator,

la tronca

Persona a terra in vergognosa foggia


Ne abbandonando. Cos fu che a morte
Venne di prence Minochr l'erede,
Cos disparve da Urania terra
Il

trono imperiai con la corona.

Saggio che ricco

sei di

molto senno,

Di cupidigia nell'infesto velo

Non

t'avvolger pi mai! Trono e corona


Vider ben molti, pari a te, monarchi,
N per lunga stagion trono e corona
Stanno presso al mortai. Giugnesti al loco
Al qual tanto anelasti, e si compia
Cosa cotal per cui deso pigliavi.
Deh che cerchi mai tu da questa terra
Oscura e grama, che pur sempre e sempre
A perenne dolor ti riconduce?
In guisa turpe e vergognosa allora
Trassero i prigionieri, e gl'infelici
Ghiedean la vita in don. Come ci vide
Ighrers generoso, il cor nel petto
Senti balzar. Sen venne al fratel suo,
Supplichevole e mesto, e con quell'inclito
Disputa e lite incominciando, Oh! dunque,
!

Dunque, grid, tanti innocenti capi,


Per cenno di tal re, fian da' lor corpi
Cosi recisi?... Trucidar cotesti

516

Captivi tuoi, superbi cavalieri.

Che

celata non han, non haii corazza.

Non
Che

sul

campo

In loco di

oh non impresa
Scendere cotesto
Meglio che offesa

dell'armi,

a te s'addica
salir.

non

lor vita

Carchi

tocchi, e tu

lascia

li

me. Carcere ad
montagna una caverna

di ceppi a

10 far di

essi

E -ente accorta far lor custode.


d miseramente ei si morranno
Nel career tetro; ma tu via dal sangue

Un

La man

Come

ritraggi e in ci

non por tua cura.

ud quel lamento e la contesa,

Tocco a le voci sue, lor perdonava


Prence Afrasyb la dolce vita, e cenno
Fea s che Insti fosser tratti in Sari,
Tratti in catene e in ribaditi ceppi

in turpe guisa.

poi,

signor

di

Cina.

Di Turania signor, gonfio nel core


D'un pensier tristo di vendetta, intorno

Le

-enti raccolse. Alla partenza,

su*'

Fatto cotesto, s'apprestava, e ratto


Sotto

a'

cavalli suoi copri

la

terra.

Rei discese, e trasse

Dal Dehistn
Caldo sudor da' suoi destrieri ansanti
Per il correr veloce e la rancura.
in

Da Turania

cos confin d'Irania

Ei superava, e sotto al suo suggello

Di nuovo re traea
11

serto imperiai

Opra diede a

si

le genti.

In fronte

pose allora,

spartir moneti' flgide

Intorno intorno. Cos fu che assise


In Irania Afrasyb con regio grado.

Pieno

il

Pensier

cor
di

Tus, a

di vendetta,

e di

guerra ancor piena

feroci
la menti'.

Gustehm novella giunse

517

Che perduta

si avea l'antica luce


diadema imperiai, che tronco
Miseramente con la spada acuta
Altri la testa avea del prence illustre,
Il

Precipitando
Si percossero

la
il

sua sorte. Allora


volto ed

capegli

Strapparonsi gl'Irani, e in tutta Irania


Sorse un grido di duol. De' prenci il capo
Si ricopr di

Lagninosi fr

negra polve, e
gli

tutti

occhi e tutte a brani

Andar

le vestimenta. Egli si mossero


Verso il confine di Zabl; quell'alme
Cercavano il loro prence, ed ogni lingua
Favellava di lui. Vennero intanto

Zal guerrier nella presenza, mesti

dolorosi,

Lagrimose

con

la polve in capo,

le gote, e l

Incominciar

Deh

piangendo

Nvdher

valoroso,

Principe saggio, eroe, giudice nostro,

Incoronato

sire,

almo sostegno

De' prenci tutti e d'Irania custode.

Signor del mondo e re d'ogni pi grande


Che reca un serto, ancor dal tuo sepolcro
Dimanda il capo tuo la sua corona
E quella terra ancor di regio sangue
Acre manda un odor. Ma le virenti

Erbe cresciute su quel tristo loco.


Vergognose del sol, pietosamente
Chinan la testa. E noi qui ne veniamo
Giustizia a dimandar, veniam piangenti,
Del genitor pel sangue sparso un fiero
Lamento qui leviam. Per lui vivea
Di re Predn l'eletta stirpe, e schiava

Era

la terra sotto al pie ferrato

Del suo destrier. Ma i nemici perversi


Miseramente e in turpe guisa a lui,


Con

518

un'inclita schiera di gagliardi.

Il capo recidean. Fuori per noi


Or si traggan le spade rilucenti,
Vendetta a dimandar per noi si corra
E s'uccida il nemico. E veramente,
Per il nostro dolor, lagrime piove
Per molto affetto questo ciel. Voi pure.
Voi pur di pianto empite gli occhi, o amici.

togliete a le

membra

Vesti e pompose, e

gli

le dipinte

arnesi di guerra

Tutti cingete a vendicar l'estinto.

Che
Si

tremenda

l'antica vendetta or pi

rinnov. Nel vendicar monarchi

D'uopo non che sian digiuni gli occhi


Di molto pianto e spoglio il cor di sdgno.
Tutti

raccolti eroi piansero allora

E gemiti mandar, come a una

Arsero di dolor.
Tutto strappossi
E

si

Sciolse

Ma

persona e pianse

alla

assise in su la
la

Che dadi

vampa

Zal le vesti

polve Allora

lingua e disse:

in

tempo

fino al

morii,
sorgeranno
L'acuta spada mia non vedr mai
La sua guaina. Il bianco mio destriero

il

avelli

trono mio,

la

cuspidata lancia

l'arbor mio fiorente, loco al mio


Piede la staffa, al capo mio corona
Un bruno elmetto. Non riposo o pace

m'avr mai per tal vendetta acerba.


ne' rivi che pareggi il mio
Pianger degli occhi, non sar. Ma quella

Io

Umor

Anima santa

del signor del monile

Splenda nel mezzo

E Tus

e Grustehra,

a'

prischi regi!

per

La

Di Dio creante, refrigerio venga

All'alma

afflitta

giustizia

con riposo e fede,

a voi.

510

Che noi tutti a morir nascemmo un giorno


Da nostra madre, e qui siam noi, devota
La cervice serbando al fato estremo.

Come
L

affrettarsi alla vendetta

forti

nel Zabl, di ci novella intesero

Gli eroi captivi in Sari.

Ebbero annunzio

Apparecchiarsi alla lontana via


GTIrani tutti ed inviar corrieri
In ogni parte, gi raccolto

un ampio

Esercito infinito, essi disciolti

Da pace

e da gioir, tutto l'esercito

Approntar Zal eroe, con


Il

core

aliti tto

ci de' prenci

consolando, e ancora

paschi

Quant'erano disciolte

in verdi

Mandre

entro a le

di palafreni,

mura

Tutte adunar, spartir monete ed armi,


Tutta la terra di frementi voci
Di gagliardi riempir. Questo apprendendo,

sonno e

Perdean voglia

di

Voglia perdean

di cibo, e

di riposo,

pien di tema

il cor per Afrasyb. Ma poi


Ighrers generoso un lor messasiirio

Ebbero

Cos venia

Signor d'inclito nome,

saggezza ricco, in terra noi


Vivi pur siam per le parole tue
E servi tutti a te siam qui. Tu sai
Che in Zabl Destn con quel possente
di

Re di Kabul, che Berzn vive ancora


E vive Kren battaglier, con ossi
E Kharrd e Keshvd, s compi giiatore
Di squadre avverse. Eroi sono cotesti

Dai lunghi

artigli,

ne da Irania mai

L'artiglio indietro essi trarran.

Verranno

In gran disdegno a vendicar l'estinto

Nvdher monarca,
Improvviso

ratti s

di ciglia.

qual chiudere

Allor che

forti

520
D'Irania bella volgeran le briglie

questa parte e per mirar nel segno

In alto leverai! de l'aste fulgide

Le

ferree punte, ne avr cruccio e doglia


Prence Afrasyb, e quel suo cor, per noi

Gbe

captivi gli siara, d'impeto e d'ira

Si far pieno. Di tal gregge

Per sostener

sua corona,

la

Atterrer degl'innocenti

Che

se

il

il

sire,

al suolo

capo.

il

saggio gbrers questo

Ai prigionieri

si

pensa,

ceppi ei sciolga, e noi

Dispersi andrena per l'ampia terra e innanzi

A' prenci

Innanzi

scioglierei la lingua.

tutti

grandi loderemlo e tutti

ai

Innanzi a Dio per

l'arem preghiera.

lui

senno rispondea:
Arte in lai foggia inni si addice, e questo
Anima ostile ed ostil cor sara
Mostrare aperto, e Tuoni ch' d'Ahrimane,
Ighrers pien

Avria corruccio.

di

Ma

diversa un'arte

perch con meco


Il frate! mio mai non si sdegni. Allora
Che qui ne venga con gli acuii artigli
Dosln guerriero e conico noi qui adduca
Sottile adoprer,

Un

esercito in armi, in quell'istante

Che a Sari

lui

D'Aml

ei

mener

voi tutti affider.

le

sue falangi,

Le mura

non verr con seco


bench a vergogna forse
capo mio dalla mia gloria.

lasciando,

contrastar,

Discenda

il

D'Irania

prenci, alle parole sue,

Voi- la faccia del suol chinar

la

fronte.

Poich da benedir quel generoso


Ei furon sciolti, rapido

un

corri e co

Fuori inviar di Sari dalle mura.


Vili.

521

Morte d'Ighrras. Esaltazione

di

Zav

(Ed. Cale. p. 201-201).

Venne a Destn il messaggiero e a lui


Rec parole di que' prenci. Ed erano:
Iddio ci perdon, fu nostro amico
Ighrers generoso. E noi ponemmo
un sacro patto fondamento e in questo

Parola nostra anche impegnammo: Allora


Che vengan qui da noi due soli armati
Da irania terra e cerchino con lui
Una battaglia,' valoroso e d'inclite

Orme

Ighrers l'esercito guerriero

D'Aml

in

Rei trarr

. Ci,

perch vivo

Ritrovi scampo alcun mortale in terra

Di questo drago dal temuto artiglio.

Come venne in Zabl rapido il messo,


Come giunse a Destn nella presenza
L'esperto in favellar, tutti
Tutti

prenci raccolse

il

guerrieri.

nobil sire

degli eroi captivi, innanzi a quelli,

messaggio ridisse. A que' possenti,


Leopardi belligeri e famosi,
Ei f' tai detti Chi fra voi guerriero
Di nobil cor, che per valor fra l'armi
Il suo core indur, s che si prenda
Il

Gotesta impresa e corra tosto e levi


In fino a questo sol l'alta cervice,

E per lui da catene e da gravosi


Ceppi disciolta venga una gran turba
Di eroi, di grandi gi famosi e illustri?
Keshvd

all'alta

impresa
che

disse: Quello io son

si

la

profferse

sua destra

Stender all'opra

giustizia.

di

Lui

Zal fortunato benedisse allora


In questi accenti: Vivi tu felice

Fin che anni e mesi fien quaggi contati!

Un

esercito allor di valorosi.

Chiedenti

Zabl venino

di

assalti,

D'Aml pel calle. Ratto innanzi venne


Gurzeh a l'ampio stuol, mentre giugneva
Al clemente Ighrers
Egli,

prigioni

di ci novella.

abbandonando

in Sari,

F' squillar gli oricalchi e le suo genti


Men lontane, e come entr di Sari

Fra le mura Keshvd, mostrossi allora


Chiave che aperse ogni tenace vincolo.
Ei sciolse

E da

ceppi ai miseri capi

Sari

li

addusse

f'

ivi

ritorno

Rapidamente. Un palafren veloce


Provveduto a ciascun de* prigionieri,
D'Aml lino in Zabl correndo venne.
Ma mito che giugnea novella certa
tfiii
cavalier, che ritornava
A
Prence Keshvd in lui la gloria, un ampio
l >*

Tesoro

diede

ei

a'

poverelli e porse

chi l'annunzio die

Pomposa

e bella.

la

veste sua

E come

giunsi agli

Confini di Zabl

Keshvd guerriero,

Zal incontro

and, ratto die

gli

Bramosamente. Con

Un

pianto

Avvini

ei

piet

il

ermi

vide,

leu lungo

tv pei miseri prigioni.

gi Ira

Di leon bieco, e

gli

artigli

poi,

feroci

per quell'illustre
-ilio sul capo

Nvdher monarca, si
Lurida polve e amaramente

pianse.

Entro alla sua citt Con molto onore


captivi gli addusse e luoghi eccelsi
I
Loro apprest. Come gi furo al tempo


Di

523

Nvdher regnator, quando avean

E diademi

troni

e fulgide corone,

Destali cos lor die nobile grado

E potest. Per le dovizie accolte


Rancura mai quell'ampio stuol non ebbe.
Poi che d'Aml in Rei si ritornava
Prence Ighrers, dell'opre sue novella
Ebbe tosto il gran re. Cotesto adunque.
Disse, fu ci che ordisti in mente, amaro
Un tosco a miei rimescolando? Eppure
Non diss'io forse?: A morte osti malvagi
Tu traggi ornai, che il custodirli in vita
Opra non di buon consiglio . Un duce
Che ama gli assalti, non va innanzi assai
Per prudenza ch'egli abbia, ed in guerresche
Opre non molto lealt si cura.
Mente d'uom battagliar del molto senno
Stima non fa, che mescolar non suolo

Virt

di

senno con guerresco

Ad Afrasyb

d'uopo

il

cos rispose:

ufficio.

d'uopo,

che in qualche parte almeno


Verecondia in te sia! Ogni fiata
Che giungere a mal far pu la tua mano,
Temi, o fratello. Iddio, non far del male
A vivente quaggi, che la corona
s

cinto imperiai molti a te pari

Soglion veder, n in sempiterno stanno

Appo d'alcuno mai. Che

Tu bramoso
D'ogni tua

Render per

se tu sei,

d'onor, giusto e verace,

brama

il

fin

vedrai. Giustizia

tutte l'opre oneste e ree

Di proprio moto, miglior cosa assai

Di ci che

di',

del senno in favellando.

Sol per opre leggiadre apresi a noi


di scampo da maligni Devi,
per servi e monarchi il mondo intero

Varco

524

Valer gi non dovra quanto l'offesa


A picciol bruco inflitta. Ai nostri danni

Lunga

la

man

Ma

del ciel.

tu,

fratello,

Se hai fior di senno, opera il ben. Se bene


Farai quaggi, ben ti verr; se male,
Ben ti star che mal t'incolga poi.
Queste parole come ud, non vide
Prence Afrasyb alla risposta sua
Principio o fine. Era costai di vampo
Tutto pieno e d'ardor, l'altro di senno;
Deh! come adunque a un tristo Devo in niente
Senno albergar potea? Come elefante
In sbito fu l'or, d'ira s'accese
Il

duco e per risposta

fiero

Stese ratta la man.

L'Uom

Violator della sua fede,

al ferro
tristo e reo,

fianco

il

Cosi squarciava al misero fratello.

Del fato d'Ighrers prncipe illustre


doni,' -iiinso novella a /al

ben certa.

Figlio a Sani cavalier, Deh! che

Grid, s'offusca gi, deserto

Del malvagio signor!

il

sorte,

la

trono

Per alcun tempo

Apprestavasi poi. lo cose tutto


Ad ordinar do" prodi suoi guerrieri.
Alfin le trombe

squillar,

t'*-'

tutti,

Nitide

conio pupilla splende

D'un

si,

fioro augello.

Che

luna o del

sol

Disi'ante

la

timpani

fulgida

gota

dietro

volava, nascosta, e

In Persia

Armalo orano genti

Dall'uno all'altro mar,


Della

f'

ed apprest sue schiere

Avvincer

la

polvere

duce intanto

il

discendea, venia col core

vendo!

la

e d'ira

pieno.

Afrasyb che ud questo e qual principio


l'onea Destn all'opre sue novelle,
Tosto in Khvar-ry men
suoi prodi e quivi
i

Prepar

la battaglia e qui

ben fermi

Tenne
suoi pie. La notte
Fr le vedette allor; detto

D'una

sol tinta

mostrarsi

il

d agli assalti

tu avresti

la

terra

La notte e il giorno. E giacquero


D'ambe le parti e capitani e duci,
e di pugnar bramosi,

Illustri tutti

due, con tal fortuna, in ciel

Settimane

Erano
Zal

si

cos,

si

volsero

mentre gi stanchi

fanti e cavalieri. Alfine,

un una

In

trafitti

notte, e nell'ore del sonno,

assise e parole ei f' d'assai

D'Afrasyb e de' suoi

armi,

incliti in

De' suoi gagliardi e degli amici suoi.

Bench

de' nostri eroi vigile sia,

Disse, la sorte e l'anima serena,

Di regia stirpe

un re

qui vuoisi, quale

Tutte a memoria le trascorse cose


Conosca e serbi. stato d'una gente
In sembianza di nave, e la fortuna
Di chi la regge la sua vela in

alto,

l'aura che la guida. Oh! se de' prenci

La maest

E Tus

avesse

si

Gustehmme

l'avesse, qui saran

Armigeri ed

eroi.

Ma non

ben molti
degno

Di regal seggio ogni inclito guerriero

Che saggezza non

ha. Regal corona

regal trono a Tus, a Gustehmme,

Non

s'addicono inver, che di fortuna

un re si vuol, che maestade


Abbia divina, e ne' cui detti splenda
Luce presente di verace senno.
Cos da lor cittadi i sacerdoti
Tutti adunava e fea parole assai
Di ci che disse allor. Cercaron molto

Vigile

Di

Fredn ne

la stirpe

un re

possente,

320

Degno dell'alto seggio, e Zav soltanto,


Di Tahmaspe figliuol, che avea regale
Forza e senno di eroe, videro e scelsero.
Kren allora e i sacerdoti e tutti
Gli eroi custodi a le frontiere, un ampio
Stuol di gagliardi armigeri, la lieta

Novella a Zav recar. Per


Di re Fredn

si

Destali duce di prodi e

Chieser

Degno

di

te

soltanto, o

tu sol di

il

dieeano,
trono:

popol tutto

il

veramente

seggio imperiale!

Storia di Nvdher,

te.

rinnovella

come

d'uopo d'ascoltar

di

fu,

Zav

qui
In

Ini

tonnine,

storia.

IL

RE ZAV

E IL

RE GHERSHASP

IL

RE ZAV E

I.

IL

Regno

RE GHERSHASP

di Zav.

(Ed. Calo. p. 204-205).

In

Zav
I

un giorno felice, il fortunato


venne e l'alto seggio ascese.

cos

prenci tutti l'acclamar signore

offerte gli gittr

Profusamente

degne d'un sire

al pie.

Re

l'appellava,

Benedicendo, Zal ancora, e intanto


Per cinque anni sedea sovra quel trono
Principe Zav. Antico era degli anni,
Uom saggio molto, e rinnov la terra

Con

l'opre sue leggiadre e la giustizia,

E da mal far ritrasse il


Con man possente, ch'ei

popol suo
fidava a Dio

Santo e verace il suo secreto. Niuno


Altri prendere os, niuno il compagno
Trafsse allora, e da que' giorni in poi
Pochi tur visti per la terra attorno
A forza uccisi. Ma pur fu che grave
al mondo venne. Il suolo
Arso dall'alto e secche a le virenti
Erbe le fauci. N scendean dal cielo
Rugiade o piogge, e compravan le genti
Ad una dramma un pane scarso. Intanto
Due eserciti nemici in fiera guisa
Per cinque lune stavansi di fronteIn gran disdegno. Disperati assalti

Rancura intanto

FlRDUS!.

I.

'H

530

Feano ogni giorno, che vigor, baldanza


Eran di prodi e battagliar di duci.
Ma per l'alta rancura avvenne poi
Che arte al riparo non rest. Davvero!
Che, qual tela scomposta, iranio esercito
Non avea trama, non ordito! Allora
Andar concordi le parole attorno
Partitamente. Olisi!, dicean compunti,
Mal che ne manda il ciel, da noi proviene!
Allor,

da questa e quella schiera, un gemito

Levossi di dolor, venne correndo


A Zav un messaggier. Da questa terra

trista e

grama, lagrimando

disse,

Altro non sale a noi che doglia e affanno

E rancura
Iranio sire,

di

spillo.

Oh! vieni adunque,

e dividiam

vasta

la

Superfcie del suol. Doli!

Farci a vicenda

lieti

dato

sia

ci

auguri e voti!

La menlo degli eroi


Da pensiero di guerra,
Tempo a indugiar por

ratio

si

e gi

sciolse

non era

rancura. In questa

la

Parola convenian lo avverse squadre,


Mai pi di ricovrar nel tristo core
Dell'antiche vendette alcun pensiero,

La terra di partir conforme a legge


Ed a giustizia e lo trascorse cose
Mai

piii

Come

di

ricordar.

corsero

in

I><'iii

mezzo,

cotali

prenci tutti

duci
di Turania
Per quella pace assisero, e parola
Tal ridissero ancor: L'armi nemiche
D'Irania bella e

Mai pi per guerra far ripigliererao.


Per lai partiz'ion dell'ampia terra

da presso e

la

lungi, ecco! dal

Turania

fiume

Gihn e dal lembo


Estremo in Cina discendendo e a quella

Di

di

531

Reg'on di Khotn, fu dato

il

regno

Alla turania gente, e dal confine

Ov' la terra desolata e

trista,

mano

Zal battaglier ritrar dovea la

Da questa parte

le

turanie genti

Entrar mai non dovean. Di cotal guisa


Del trono imperiai, della corona,
Definito

il

Zav

poter,

le

sue genti

In Persia addusse ancor. D'anni era antico,

Ma
Al

questa terra
confili di

al sen lo

ei

rinnov. Tornava

Zabl Zal cavaliere,


strinse ognun; tornaron tutte

Ai loro alberghi le turanie genti.


Da vendette e da guerre e da tumulti
Gi riposate. E come fu che a dietro
Si ritornar le squadre avverse, ratto

Per comando

di Dio,

Della luna signor,

signor del sole,

l'alte

montagne

Di rimbombi s'empir di spessi tuoni,

la terra

adornavasi

di

mille

Colori e tinte e di fragranze.

Il

mondo

Ringiovanir sembr, pari a una sposa

Veracemente, e fu pieno di fonti,


D'acque scorrenti e di giardini. Allora
Che di fiera non ha l'indole in core
Nato mortai, mai non sar che il fato
Per lui s'infoschi o da tergo l'incalzi.
Tutti raccolse

principi d'Irania

Zav regnator, novello a Dio dal core


Levando un inno, che ricchezza e copia
Manifeste venan dopo rancura,
Della quale appo Iddio trovi soltanto

Chiave che

sciolga.

Fu apprestata una

tosto, in

festa,

il

ogni parte,

core

afflitto

Liberar da pensieri di vendetta,


Dall'imprecar cessaron l'alme; e tanto

532

Dur cotesto finch cinque corsero


Anni cos, n di tristezze o affanni

Avean sentor

le genti mai.

Ma

mondo

il

saziet di soverchia giustizia

Gi divenendo, a ricader fra l'ugne


D'un leon fero s'inclinava. Allora
Gh'a ottantasei gli anni giugnean, quel sire
Che aspetto avea di sol, spir sereno.

IL

Regno

di

Ghershsp.

(Ed. Cale. p. 206-207).

Come

fortuna degl'Irani in basso

Cosi cadea sfiacchita e grama, allora

Che Zav

dal

Dispensator

mondo
ili

usca, re della

sua giustizia, un

Di lui restava d'ali e voglio, e

Detto Ghershsp

l'avea.

Al trono imperiai,
11

regal serto.

si

Come

il

Venne

terra,

figlio

padre
si

assise

pose in capo
fu su l'alto

Seggio del padre suo, tutta la terra


Ei govern con maest sovrana

E con degno poter. Ma venne intanto


Fra i turanici eroi novella certa
Di Zav estinto, e vacar di monarca
In colai guisa

Che

in

il

regal seggio. Allora

Khvar-rey divena, l'ampio dominio

Spartivane Afrasvb, travalicava


Il
regal fiume. Eppur, non gli recava
Di re Peshng

il

saluto cortese

Alcun de' suoi, che di Peshng la mente


Era piena d'un'ira e d'un desio
Di guerra il mesto cor. Quel cor ferito
Dal trono rifugga, dalla corona.


Irato

per

533

indicibil doglia

De l'estinto Ighrers. D'allora in poi


Ad Afrasyb non riguard pi mai
Peshng in volto, e quella spada sua,
Fulgida un tempo, s'annera per fosca
Rubigine tenace. Un messaggiero
D'Afrasyb gli venia di quando in quando,
E per anni e per mesi il prence irato
Non si mostr, ma rispondea soltanto:
S'era a tal seggio mio d'uopo un regnante,
Degno era sol di possederlo un giorno
Prence Ighrers. Ma tu del fratel tuo
Il sangue spargi, e dinanzi ad un tristo
Alunno d'un augel fuggi fra l'armi.

Contro

a'

nemici a contrastar

t'invio,

tu scorci del viver la giornata

Al tuo stesso fratel. No, no, con teco


Nulla in eterno avr, n per vedermi

un varco alla presenza mia!


che tempo corse,
del mal fruttificava

T' schiuso

fu cotesto fin

l'albero

Inimicizie nuove.

furon pieni

Gli orecchi inver d'alterne voci, allora

Che annunzio venne, il trono imperiale


Giacer vacante. Ad Afrasyb giugnea,
Rapido come pietra d'una fionda,
Messaggio allora di Peshng, ardito
E Aero, qual dicea Varca, deh varca
Il Gihn e conduci ampia una schiera,
E non soffrir che su Piranio trono
:

Altri

si

assida

Di Sipengib da

le

Esercito dispose

pianure

al

fiume

D'Ab, a quel cenno obbediente, allora

Prence Afrasyb. Detto avrest che


Rota vasi davver come del cielo
La volta roteante, e che dai ferri

il

suolo

534

Temprati in India di trafitti eroi


Gadean l'alme divelte. Or, questa

schiera,

Inclita in armi, a battagliar discese

Di principe G-hershspe al nono anno.


Cos novella in Irania scendea

Che

altri

agognava

ornai della grandezza

Imperiai l'antico seggio. Allora,

medesmo, all'improvviso
Mora Ghershspe, e tosto per la terra
L'orme del mal tur manifeste ancora.

In quell'anno

L'armi e

III.

cavallo di Rustem.

il

(Ed. Calo. p. 207-212).

Como vacante

de' suoi re l'iranio

Trono rimase e niun vedea


Fausta sorte avanzar,

Andar borghi e
Da tutta Irania
Andarono
Pien

di

mondo

pel

tumulto

tutti a

villaggi e alterno
si

lev.

in Zabl,

un grido

Lo genti

tutto fu

mondo

il

voci discordi. Aspre parole

Zal tur delle allor: Qua! cosa lieve

Prendesti in pugno a governar

Ma

noi,

da

Sam

guerrier

fin

la

che

terra,
tu avesti

Quest'alto grado tuo, d'alma serena

Mai non fummo un sol d. Poi che fu spento


Zav e fu prence il figlio suo Ghershspe,
Scorciata

ai

tristi

Fu pur sempre

la

Prence Ghershsp,

senza re

Duce

si

all'opere

meo

belle

mano. Or che mora


ilei

suo poter bramoso,

sta la terra e

senza

da questa
Parte discese del Gihn nemica
Una gente guerriera, e sparve il sole
lo

stuol de' nostri eroi,


Da

sottil,

mondo. Or,

la faccia del

Arte

535

ben sai
duce

se

quella tu adopra.

Il

Del nemico drappel troppo vicino!


Dal d die cinsi per mostrar valore
Questa cintura mia, cos a que' prenci
Zal rispondea,

Pari a

me

la

non

salse

sua sella e

un cavaliero

uhm mi

giunse

Di clava o ferro. E dov'io nella pugna


Premea col pie spronando, i cavalieri

smarran che per lor briglie


prendean ridevolmente
Gh'eran da sezzo. Cos fu che in guerra

Di tanto

si

Le cinghie
Stetti

Pur

si

ugualmente e notte e

Della vecchiezza.
Di

temendo

d,

tuttavia negli anni miei fugaci

mia giovane

Che

ne' giorni primi

et, del piede

mio

Nel vigor pieno, rapido qual nembo


Io mi balzava dal mio loco. Ed ora
D'eroe curvossi la persona eretta,
N pi poss'io rotar temprato acciaro

Che di Kabul venia. Ma grazie intanto


Rendo a l'Eterno, poi che nacque un inclito

Germe da questa mia


Da le fonde radici ei

radice.

Il

capo

fino al cielo

Sospinger, vedrete voi qual meta


Raggiugner col suo valor. Frattanto

Qual agile cipresso Rstem mio,


S che gi gli convien di sua grandezza
L'elmo sul capo; e gi si vuol ch'egli abbia
Pugnace un palafren, che niun di questi
D'arabo sangue son di lui ben degni.
Or io destrier gli cercher fortissimo.

Gente convocher da tutte parti


L 've si trovi, e una parola acconcia
A Rstem ridir: Tu in questa impresa
Con meco converrai, perch t'accinga

Zadshm feroce

Alla vendetta di

Contro

Andar

alla stirpe,

Tutti d'Irania

536

di ci

crucci

ti

cittadini in core

gioiosi alle parole sue,

Lieti in volto mostrarsi. In ogni parte

Veloce un messaggier mandava intanto


Zal valoroso e l'armi

apprestava

si

Di bellicosi cavalieri. Ancora

A Rstem

ei dicea:

Prode gagliardo,

Glie sovrasti del capo nell'altezza

Alle turbe raccolte, innanzi viene

Impresa grave e diuturna cura,

Onde

interrotti

avrem

li

dolci sonni

pace e il piacer. Non anche, o figlio.


Giunse per le stagion d'armi e di pugne,
Ma che far, se non tempo questo
la

Di conviti e di

Ancor fragranza

feste?...

Spira del latte dal tuo labbro, o caro.

E sol gioia e piacer chiede il tuo core.


L sul campo dell'armi, incontro ai forti
Che han pieno il cor di doglia e d'un pensiero
Sol di vendetta, per qual via potrei
Inviarti cos?...

Che

farai

Deh! che dirai?

tu? qual mi darai risposta?

Deh! congiunti' a te sian bont e grandezza!


Rstem cosi gli rispundea: Signore
D'inclita gloria e

Di

ili

me veracemente

lai
ti

Qual dimostrai dinanzi

gloria

amante

scordasti
al

popol tutto

Virt del cor. Mi penso che novella

Gi intese
J)i

il

forte di quel

moni.' eccelso

Sipnd, che novella anche del fiero

Elefante

gli

giunse. Ecco, se in core

Peshng avr sgomento,


Nessun pregio di me fia che pel mondo
Giammai si resti. Or di battaglie tempo,
Del

figlio

ili

537

Tempo di zuffe, non tempo di fuga,


Non d'ignominie qui. Sol per leoni
Che

un uom si mostra,
pugna e il cozzo
tenzon. Grande non cresce

furenti egli atterra,

Sol per cercar ch'ei fa la

Dell'armi e la

Nome a le donne, sol perch a lor pasti


Attendon sempre e a disfiorar lor sonni.
Giovinetto' gagliardo, inclito duce
D'ogni pi illustre, o sostegno de'

forti,

Dissegli Zal, del candido elefante,

montagna

Della

Mi
Il

di

Sipnd, assai

favellasti e desti

a questo core

fausto annunzio. Se ancor l'altra fosse

Agevol pugna, questo cor deh! come


di ci potra?... Ma per quell'opre
D'Afrasyb, no davver! che abbandonarmi
Non oso a' sonni miei la notte oscura
Dinanzi a lui, ch' di pugnar bramoso
E ardito prence, come mai potrei
Inviarti cos?... Per te gli tempo
Di conviti e di suoni e del ber vino
E di canti d'eroi, non gi di pugne,

Temer

Non

gi d'assalti e del levar la polve

Dal campo fino al ciel dell'alma luna.


Uom non son io da nappi e da riposi,

Rstem rispose, n allevar m' bello


Fra le delizie questa mia persona
E questi artigli miei. Se v' di guerra

Un

fatai

Amico

campo

e la battaglia forte,

Iddio, vincente la fortuna.

Ogni fiata che quest'arco mio


Di Giaci 'tender, dal mio turcasso

dardi miei, come lucenti stelle,


Fuor balzeranno. E tu vedrai fra l'armi
In qual mai guisa scender, ne andando,
Di sangue spargitor, fra le nemiche

538

mano mia mi reggo


Nube cotal che ha fulgido colore,
E sangue piove e fulmini saetta
Schiere a l'intorno. In

Per la natura sua, degli elefanti


Tocca il cerbro il lembo suo. Allora

Che intorno

al petto

cinger l'usbergo,

Dalla faretra mia di molti eroi

Fuor balzer l'estremo


Antico

muro che

il

fato,

ed ogni

colpir di questa

Mia clava sentir, che vedr questo


Ampio mio petto e la cervice e il braccio,
Non temer mai pi di catapulte
di mangani mai. n fia che macchina
Di guerra ancor la custodisca. Allora
Che fa protesa la mia lancia in guerra.
Rosseggieran pel molto sangue intorno

Le sparso pietre. Ma qui vuoisi in pria


Qual monte eccelso un palafren, ch'io solo
[mpiglier del laccio mio nei nodi.
Ei pareggi vigor

di

me

fra

ranni.

tempo ch' pi d'uopo


Savio un indugio. E una mazza vogl'io
Qual frammento di monte, allor che incontro
Vengami schiera di Turania. Tutti
Con quella clava
lor superbi capi
Sfraceller, n alcun pi mai, cercando
Meco un assai lo. a me verr. Con essa
Fiaccher il dorso agli elefanti, e un rio
Di sangue sparger come l'azzurra
Acqua dell'Indo. E una corazza voglio,
Pollo irsuta di tigre, a cui non venga
Danno d'acqua o da fuoco. e le saette
Non la squarcino mai, non l'aste avverse,
E nessun colpo di nemica mano

s'affretti

nel

Lggia effetto sovr'essa. Ed


Della tenzon con

le

io

nel

campo

nemiche schiere

539

Tal battaglia far, che parr invero

Piover dall'alto de le fosche nubi


Sovra quel campo negro sangue. Ai miei
Dardi pennuti non fia schermo, ancora
Ch'essi abbiano a passar solido ferro,

Ch'io de la terra l'ampia superfcie

D'armati sgombrer, passer


Di questa luna l'asta mia.

prender

10

E natura

cielo

il

Ma

intanto

di leopardi in giostra

e costume, e sotto a questi

Artigli miei

mi recher

le teste

D'ogni prence nemico, altero e illustre.


Alle parole sue, tale divenne
L'antico eroe, che detto avresti l'alma

tu che stanco

Egli spirar di gioia.

Sei di riposi e di ricolme tazze,

Destn

gli

Gi

Sani cavalier, qual'io qui tengo

Di

di

lui

Un

rispondea, la ferrea clava

ricordo,

ti

dar; con quella

d atterrasti l'elefante

ardente.

Giovinetto guerrier, deh! vivi eterno!

E comand che

all'inclito

campione

Altri recasse la ferrata clava

Gi

di

Come

Sam

Sorridente

cavalier. L'eroe gagliardo

dell'avo suo vide la clava,


f' il

labbro ed ebbe gioia

benedisse a Zal guerrier, dicendo:

Eroe primo del mondo in ogni suo


Ampio confine, un palafren vogi'io
Che me sopporti e la mia clava in questa

Grandezza e dignit.

Stup l'antico

Sire di prodi alle parole sue.

Ad ogni
11 nome
Che

istante sovra lui di Dio

pronunciando. Ora,

le

in Zabl ei s'avea, parte

Di Kabul, trasse, e

mandre
pur anco

guardiani intenti

540

Innanzi a Rstem

le adducean, leggendo
Sovra ciascun de' palafreni inusto

Nome

eccelso dei re. D'ogni destriero

Che Rstem

giovinetto a s traea,

Forte sul dorso la sua man calcava,


E col vigor della sua man quel dorso
Forte piegando, fino a terra il ventre

Ne

fea toccar.

Dur

cotesto allora,

Fin che d'un tratto mandra avvicinassi


Di palafreni di color diversi.

Rapida allora

gli

pass dinanzi

Di bianco pelo una puledra. Avea


di leone il colmo petto,
gambe, quai pugnali fulgidi
Aguzzi e corti ambi gli orecchi, e pingui

Ampio qual
Brevi

Il

le

petto e

Un

il

collo,

puledro correa

smilzo

il

ventre. Dietro

di pari altezza

come lei dal petto


le cosce, negri
ambe
Ampio, carnose

Alla sua madre,

Avea

fulgid'occhi, pomellato.

La coda

eretta,

testicoli suoi,

aveva
rapido

irsuti e

bruni

corso,

il

L'unghie d'acciaio. Macchio avea lucenti


In tutte parti del bel corpo, quali
Petali freschi di purpurea rosa
Di zafleran sopra una tinta. Strada
Ei per l'acque si fea, strada per l'aspro

Terren

de' campi, e risplendea pi assai

Di sole al giorno e pi

che luna assai

Nella placida notte. Ei s, nell'ore


Dell'atra notte ancor, scoperto avra,

Bench lungi d'assai, d'errante insetto


Su negro panno Torma incerta. E forza
D'elefante egli avea, di dromedario

Avea

l'altezza, nell'ardir

superbo

Pari a bieco leon, pari in altezza


Di Bisutn alla

541

montagna

eccelsa.

Allor che riguard l'agii puledra

vide accanto a

Il

fortissimo nato,

come

lei,
il

elefante,

laccio suo

Di regal foggia rapido e d'un tratto

Rstem

intorse, d'arrestar voglioso

Nella sua fuga

Ma un

il puledro veloce,
vecchio mandrian, Prence animoso,

Grid, destriero ch' d'altrui, non togliere!

Rstem interrog: Di chi mai dunque

cotesto destrier, di cui le cosce

Orbe sen vanno della nota inusta?

quei rispose:

Non

cercarne, o

figlio,

L'inusta nota, che di tal puledro

Molti e diversi van discorsi attorno.

Rakhsh il chiamiamo. pomellato,


Come limpida un'acqua e di colore
Simile al fuoco.

Vago

Ma

il

bello

signor di questo

non sappiam noi. Soltanto


Rakhsh, il destrier di Rstem, l'appelliamo,
E nulla pi. Tre sono gli anni invero
Da che regger potra grave la sella,

destrier

de' potenti innanzi agli occhi ei

Qual prescelto da

un

laccio o

lor.

Ma quando

un cavalier

la

crebbe
vede

madre

sua,

Come leon s'avventa e fa battaglia,


N sappiam noi, eroe del mondo, quale
si asconda grave arcano. Guardati,
Guardati adunque, tu prudente e saggio,

In ci

Non

t'aggirar dintorno a cotal serpe,

Che

la fiera

puledra, allor che avventasi

contrastar, fende a' leoni

Squarcia de' pardi

Come

il

core,

la gaietta pelle.

ascolt cotal parola, intese

Rstem il dir di quell'antico, e il


Avventando di re, del pomellato

laccio


Puledro

la cervice

542

incontanente

madre

In que' nodi impigli. Corse la

Come

leone in suo furor, volea

L'eretto capo del garzon co' denti

ma

offendere e guastar;

die tal grido

Rstem, come leon preso da l'ira,


Che stord quella di sua voce al suono,

Ed ei s le sferr colpo di mano


Tra il capo e il collo, che tremante

al suolo

Ella cade, poscia stordita e oppressa

Come nembo fugg da


E rapida tornossi alle
Puntava

lui

lontana

sue mandre.

piedi al suol

Rstem

gagliardo,

pi angusti al destrier del laccio

nodi

Rendea traendo. Stese poi con forza


La sua destra da eroe, quella sua mano
Grav sul dorso del destrier, n il dorso
Il

puledro sottrasse al grave peso.

che detto avrest ch'ei non ne aveva


Alcun sentor. Ben questo palafreno
Degno di me, disse l'eroe pensando.
Or s! ch' in mano mia l'oprar gran cose!
Si

Cos balz come rapido nembo


Sul dorso del destrier di rosea tinta

Che

Questo leardo,
dimand, per quanto,
Per quanto adunque? Chi n'hain menteil prezzo?
sotto gli balz.

Al mandriano

Cos rispose:

ei

Rstem

se tu sei,

Raddrizza, questo palafren montando,


L'irania terra. il suol d'Irania il prezzo

Del nobile destrier. Con esso il


costume d'un d ricondurrai.

mondo

Per un sorriso che spunt,


Di

Rstem rosseggiar come

Veracemente. Dall'Eterno,
Vuoisi oo-ni bene derivar!

lo

labbra

corallo

ei

disse.

Traea

543

Alla sella cos quel suo rosato

E vago

mentre gi il capo
guerra e di vendetta
accendea. Gol fren docil la bocca
palafren,

un pensier

In
Gli

si

Gli

f',

di

lo spinse al

corso e ratto vide

Che ardire avea con forza e caldo sangue,


Che retta avra la sua corazza e l'elmo
E la clava possente e sostenuta
L'alta persona sua, l'ampio suo petto

l'eretta cervice. Or che venuto


Era nel poter suo cotal destriero,
Libero a un tratto da tormento e cura

Ei fece

Come
Ruta
Arde
In sue

il

cor.

Balzava

palafreno.

il

balza nel fuoco la montana


silvestre
la gente.

che a stornar periglio


Era opera d'incanto

membra leggiadre

e a

manca

e a dritta,

Qual rapida gazzella era nel campo,


Dolce la bocca avea, che bianche spume
Gittava attorno; mansueto al cenno
Della man del signor, con forti e piene

Le

belle cosce, vigile del core

d'un incesso placido e leggiadro.

Ma

il

cor di Zal, qual gaia primavera,

nuova
Le porte

Gio per quel destrier d'indole

pel suo prode cavalier.

Schiuse

a' tesori

d'oggi o di

Ma

poi, sul

e dispens monete.

doman

si

die pensiero.

dorso a un elefante,

globi

Scosse in vasello di cristallo, e suono

Lungi n'and per molte miglia. Allora


Di timpani fragor, squillar

di

trombe,

barrir d'elefanti furiosi,

Suon

di

crotali d'India, a l'improvviso

S'intese, e

parve che in Zabl sorgesse

Alto scompiglio qual del giorno estremo,


Qual se

La

la terra a'

544

morti suoi mandasse

fatai voce: Levati! .

Di Zabl

Qual

un

Ma

intanto

esercito erompea,

di leoni,

Avean pronta

tutti al sangue
man. Rstem eroe

da che
la

Iva dinanzi, e dietro erangli a tergo


I

pi provetti de' gagliardi, e

de'

monti

Ingombre

il

piano

eran d'armati

le falde

che volar su l'alto


non ardan. Battean timballi
Di qua, di l, s che la terra tutta
Iva a soqquadro. Nel bel tempo in cui
tanto,

Gli augelli

Fioriscono

roseti,

il

gran guerriero

Fuor trasse di Zabl le sue falangi.


Ebbe di Zal novella, e cibo e sonno
Perdette e pace re Airasyb. -Menava
In Khvar-ry le sue genti, in dilettosi

freschi lochi ove son acque e

Canneti intorno.

Una

Ma

folti

d'Irania ancora

schiera venia rapidamente,

Sentier seguendo per deserti, al loco


Aspro dell'armi. E poich due restavano

Parasanghe tra questa e quella schiera,


Tutti

gli

esperti suoi Zal convocava,

A questa parte
sue genti adduce

Sire d'eroi, dicendo:

Del regal fiume

le

Prence Afrasyb. Or io qui mi ordinai


Le mie falangi, e lunga inchiesta fei
D'un capo e d'un signor. Che senza il trono
Imperiai si perde ogni consiglio
E son l'opere tutte in ordin sceme,
Non ha un duce la gente. Allor che stava
Felice Xa\

.issisi

in

Irono, in terra

cerc benedizion novella.


Or per qui si vuol della semenza
Ei

si

De' prenci antiqui un re sul regal seggio


Gol cinto

545

fianchi suoi,

a'

che l'ampia terra

Con sovrano poter tutta governi,


Che orba di re stirpe mortai non regge

Ma

In alcun tempo.

Ha

Ricco dal

Un

d'un re che giovane

fortuna sua, di maestade

la

ciel,

ci

porse indizio or ora

sacerdote. Egli della semenza

Fredn sire, Kay Kobd, che forza


Ha di regnante e maest, con molto
Amor del giusto e con sovrana legge.

Di

Andata

IV.

di

Rustem

al

monte Alburz.

(Ed. Cale. p. 212-217).

Zal fortunato a Rustem cos disse:


La clava stringi, la cervice eleva,
Scegli, compagno tuo, di forti un pugno.
Fino al monte d'Albrz vanne correndo.
E a re Kobd per me porta un augurio
E fausto un voto. Presso a lui non sia,
Aneli*

per poco, alcuno indugio. D'uopo

che tu sia pur qui fra sette giorni


E sette ancora; in opportuno tempo
E in ora tarda mai dal correr forte
Non ti ristar. Gli dirai tu: La gente
Sire

Un

Altri

elesse e t'apprest di sire

ti

alto seggio,

sia del

regal serto,

tu se' aiutator, prence, di noi .

Come
Il

che non vediam noi

che degno

Zal pronunci queste parole.

valoroso

Con

figlio

suo

la terra

la fronte tocc. Lieto, a l'istante,

Rakhsh in arcioni e fieramente


Da re Kobd s'incammin. Ben molte

Balz a

FlRDDRI.

I.

35


Eran vedette

di

54(3

Turania

in quella

Dirotta via, quando vi giunse

Almo

prode.

il

sostegno di gagliardi eserciti,

che ratto con quelli, incliti in armi,


brandendo una sua clava
Dal capo di giovenca. Impeto fece
Rstem allor qual monte che rovina,
S

S'accapigli,

Ei solo, ei sol senza una scorta. Tutti.

Con un impeto

sol,

discacciava

li

Di l dal loco, e disperdeali e ancora

Da tutte parti
L Vei correa cercando aspro un assalto,
Fiume di sangue nell'orrenda mischia
Affollavali insiem.

Pel terren discorrea. Caddero uccisi


Molti Turani, che di lor sul capo

S'era volto quel ciel d'ogni gagliardo;


I

superstiti

Ma

ancor s'accapigliarono,

fuggirono alfin

Ad Afrasyb

pugna orrenda.

la

tornandosi affannosi,

Pieni d'angoscia

il

lagrime

cor, pieni di

Gli occhi dolenti, ogni

avvenuta cosa,

Picciola e grande, gli narrar. Si dolse

Di lor sconfitta

F' cenno che

il

fiero

Kaln

duce e innanzi

ratto venisse,

De' Turani un gagliardo, un valoroso,


Pien d'arti di maga. Dissegli allora:
Cavalieri ti scegli da l'esercito
E di qui vanne sul confine estremo

DelFiranio signor.

Sii tu

prudente,

Saggio, animoso, e vigile d'assai


Alla vedetta. Che gl'Irani invero
Son uomini da frodi e all'improvviso
Le vedette assalir con l'armi sogliono.

Dalla presenza del turanio sire

Usc Kaln, precedendolo alquanti

Che

gli

additar

la

via.

Chiuse

la

via


Con

547

elefanti ardimentosi ed

uomini

Gagliardi in guerra agl'incliti d'Irania.

Ma

gi di

l,

quel fior d'ogni pi forte,

Rstem guerriero, percorrea sua strada


Verso l'iranio prence. Ecco!, ad un miglio
Pel sentiero d'Albrz, eccelso monte,

Adorno e

bello ei vide

un

loco.

V'erano

Alberi molti e correnti fontane,


Eletto loco ad abitar d'un prode

E novello garzon. Vicino

all'acque

Era posto un bel trono, e tutto asperso


Era d'acqua di rose e di odorante
Intatto muschio.

Un

giovinetto, quale

raggiante la luna in ciel sereno,


Su quel trono sedea, dell'ombre fresche

A un

loco eletto, e molti eroi dintorno

Gli fean corona, con lor cinti al fianco,

Qual

Una

di

prenci costume. Era in quel loco

festa regal, qual dilettoso

Paradiso del ciel piacente e bella.


Come vider l'eroe su quel sentiero,
Tutti dal loco gli

moveano incontro

Gli accolti prenci, e poich fr vicini

A Rstem

pi d'assai, vennergli innanzi

Prestando omaggio e dissero: Gagliardo,


Inclito e illustre, oltre passar non puoi

Da questo

loco; gli ospitanti tuoi

Noi siamo e tu

di noi l'ospite caro.

Al pregar nostro qui discendi adunque


Un cotal poco, onde alla gioia alquanto
Ci abbandoniam, beendo

un vin fumoso

In tuo ricordo, o celebrato eroe.


Incliti eroi
Il

da l'eretta cervice,

valoroso rispondea, m' d'uopo

Andarne

al

monte Albrz per cagion

Di grave peso, ne mi

lice,

o prodi,

tale

548

Ristar da l'opra mia, che lunga e grave

ingombro

Ci sta dinanzi la rancura.

Di rei nemici ogni confin d'Irania,


E son lamenti queruli ed omei
In ogni casa. Dell'iranio trono

Priva

di

re la nobile grandezza,

Ne mi giova gustar del dolce vino,


Ne poss'io qui restar con molta pace
Nel diletto fra voi. Pel dolor mio
Lochi alti o bassi in camminar non veggo.
Inclito eroe, dicean pur quelli intanto,
Se all'Albrz ne vai tu con tal rancura.
Dir ne dovresti, o di tua gloria amante.
Chi mai col vai tu cercando. Noi

Siam

cavalieri di quel loco eletto,

Noi che un convito qui apprestammo. A quello


Che vai cercando, ti sarem noi duci,

se d'uopo d'aita,

Per te faremo.

anche pi

assai

assemblea

All'inclita

Cos rispose allor: Vive in quei lochi

un re. Nome del grande


Kay Kobd, rampollo che del seme

D'eletta stirpe

Di re Fredn. di nobile deso,

Giusto e verace. Se

Bene

ricorda, a

il

Indizio certo.

Come
I

Il

di

Ka>

qualcuno
Kobd mi porga

voi

fortissimo eroe

disse cotesto, allor

detti suoi la nobile

Sciolsi

E cos
Ho io

la

che intese

assemblea,

lingua di que' forti

il

duce

un segno
Kay Kobd. Che se tu scendi

disse: Manifesto
di

In questo nostro ostel, luce darai

Gol tuo bel viso all'alme nostre. Ancora


Di

Kobd manifesto e certo


te

Qual

indizio

dar, qual veracemente,


sia

l'indole sua, quale

il

costume.

549

Da Rakhsh discese, rapido qual nembo,


valoroso, come indizio s'ebbe
Di Kay Kobd per essi, e venne in corsa

Il

Di quel fiume sul margo, e l

assisero

si

un albero eccelso
Sovra un aureo trono

Gli accolti eroi sotto a

Da l'ombre

fresche.

Si assise allor l'ignoto giovinetto

Rstem

di

In dolce atto

la
si

man

nella sua

prese.

Un

mano

aureo nappo

Di dolcissimo vin colm con l'altra

con esso de' Persi

F' ricordanza.

Colmo

di

Cosi parl

Un

guerra
nappo ancora

incliti in

altro

vino a Rstem consegnando,


:

Tu, celebrato eroe,

Kobd mi chiedesti indizio certo;


Da chi dunque ti venne entro la mente
E Rstem rispondea
Cotesto nome ?
Di

Del gran vassallo dell'iranio impero,

Con anima serena,

alto

un messaggio

Io qui recai. L'altezza dell'iranio

Trono apprestar li nostri prenci e sire


Acclamaron Kobd. E il padre mio,
L'eletto d'ogni duce, ei che s'appella
Zal valoroso, a me dicea: Deh! vanne
Fino al monte d'Albrz! L tu vedrai
Animoso Kobd fra gente accolta.

Un

saluto gli fa qual di regnante,

Ma

innanzi a lui non indugiarti, ancora


Fosse per poco. Digli ancor che i prenci
Lui domandano sol, che per lui solo

La grandezza apprestar del trono iranio


Che se porgere a me certo un indizio
Di lui tu puoi, porgilo intanto, e quello
Cos conduci al grado suo regale.
Di

Rstem valoroso

Sorrise

il

alle parole

giovinetto e cos disse

550

Fredm son io,


nomi tutti io serbo
De' padri miei nel mio fedel pensiero.

Eroe, del seme


Prence Kobd, e

Rstem, come

di

l'ud,

chin

fronte

la

ossequioso gi balz dal seggio

re dei regi
Aurifulgente e disse
Dell'ampia terra, o sostegno de' forti,
Schermo de' prenci, dell'iranio trono
:

Conforme

al piacer tuo sia la

Entro

a'

grandezza

belve ardimentose
tuoi lacci! Il seggio imperiale

caggiano

le

loco ti sia, grandezza e gloria


T'accompagnin quaggi! Al re del mondo
Io qui reco un saluto, e quel saluto

Degno

di Zal battaglier, fior d'ogni prode.

Che

se al suo servo ne fa cenno

il

sire,

messaggio
De' guerrieri d'Irania a cotal prence
E Kobd animoso,
D'alma serena.
10 la lingua sciorr, dir

Dal loco suo levandosi, porgea


La mente, il core ed il consiglio
Di
11

Il

Rstem

al dire

battaglier. Sciolse la lingua

valoroso allor, del duce iranio


messaggio a ridir. Come pur giunsero

All'orecchio del re que' detti suoi,

Balz nel petto a re Kobd il core


gioia, e, Qui recate intanto.

Per molta

un colmo nappo. Voi,


Questo gagliardo ricordando a nome,
Allora
Al labbro vostro l'accostate.
Disse, di vino

Bevve un nappo

vin quel valoroso

di

benedisse all'anima del sire.

Come compiuto
Fu il giro fra gli
Del novello signor

A Rstem

col

purpureo vino
che pi accese

eroi, poi
si

generoso

fean le gote.

ei cos disse

551

Con l'anima serena un sogno

vidi,

E in esso mi recavano lucente


Come fulgido sole una corona
Due bianchi falchi da l'irania terra.
Con

venino

fiero incesso, rapidi,

da me, posavanmi sul capo


Quella corona. Poi che desto fui,
Pieno ebbi il core di speranza in quella
Essi

Corona rilucente e
Candidi e

Una

belli.

in que' falconi

Ond' che,

festa apprestai,

re degna,

di

come

vedi,

In questa guisa di quest'acque al margo.

Come candido

falco a

me

qui

venne

Esto gagliardo, e giunsemi per esso


Del serto di que' forti il lieto annunzio.

E Rstem

valoroso, allor che intese

Di quel sogno regal, di que' due falchi,

come luna splendida,


Al re de' forti cos disse Un segno
De' messaggieri il sogno tuo. Tu intanto
Levati, o re, perch in Irania andiamo,
Appo i gagliardi, lor recando aita,
Della corona

Andiam correndo.

Come vampa

allora,

Prence Kobd balz dal loco suo

in sella al suo destrier

Gittossi ratto. Strinse

de

le

battaglie

cintura

la

A' fianchi Rstem, rapido qual nembo,

con prence Kobd fiero

partissi.

giorno mai

si

pos la notte o

Fin che trovossi a


In sul confine.

Ma

le

il

vedette accanto

di ci

novella

Ebbe Kaln ardimentoso e incontro


Si mosse a contrastar. Come cotesto
D'Irania vide il regnator supremo,
Contro

a'

nemici gi volea

Ivi ordinar.

Ma Rstem

squadre

le

disse

sire.

Cercar la pugna a te non giova! Resti


Io qui con Rakhsh e la gualdrappa fulgida
E la mia clava, e mancher davvero
Possa a' nemici tuoi. Bastami aita
Di questo cor,

di questo braccio mio,


Di questa clava, n vogl'io custode

Altri fuori che Iddio. Con questa mano,


Con questo palafren ch' a me di sotto,
D'un bel color di rosa, oh! chi potila

Affrontar questa clava e questo ferro?


Questo egli disse ed incit dal loco

Rakhsh

generoso. In un sol colpo un forte

Cavaliero atterrando,

Un
Che

Ne

ne gherma

ei

ambo insiem

altro ed

cerbro del capo

il

cos gli urlava,

turpe guisa

in

fea schizzar gi da le nari. Ancor;,

Ad uno ad un

di

Strappando,

suol con la robusta

al

sella

cavalieri

Atterravali poi. Con forza


Si

li

la

scagliava da

cervice e

il

Miseramente. Or

Un Devo

la

mano

lungi

ei

man, che

il

capi

dorso ne frangea
s,

Kuln turanio

vedea sciolto dai ceppi


<".ou una clava ne la destra e un laccio
Pendente da l'arcion. Rapido allora
la

Come tempesta sovra lui


E la lancia vibr, sciolse
Di Rstcni
Stese

il

gheroni, oli!

figlio di

Zal

r<

la lancia afferr del

Stupia KaHin

li

gittossi,

all'usbergo

ma
e

la

destra

gagliardo

suo nemico.

tanto ardire, e l'inclito

Iranio duce ila la destra intanto


La lancia gli svellea, urlando in guisa
Di tuon sui monti, e quell'asta

medesma

Vibrava ancor. Kaliin rupia d'arcioni


Alla punta sospeso. Ecco!

ei

piantava


Il

553

pie dell'asta nel profondo suolo,

E Kaln

su quell'asta augello parve

uno spiedo
Ad uno ad un

In

infisso.

Ora

E Rustem sovra

lui

vedeano

il

dell'esercito

Rakhsh

prodi,

incitava

In turpe guisa a calpestarlo. Tutte

Al suol ne sparse
I

le cervella. Tutti

cavalieri allor volsero in fuga


in

misero stato al suol calpesto

Kaln abbandonar. Fuga fu quella


Dell'esercito suo, che la fortuna
Tutta d'un tratto in gi precipitava.
Cos dai cavai ier delle vedette

Rstem gagliardo in l pass. Correndo


Venne ad un monte ov'eran paschi ed erbe
Ed acque vive, e l discese il prode.
Fin che mont la notte oscura e tetra,
Ogni cosa apprest con molta cura
II

valente guerrier. vesti e ornamenti

D'eroica foggia e

E un

una corona fulgida

palafren degno di re. Pi oscura

Poi che notte

si

f',

saggio ed accorto

Ei s'apprestava a scendere col sire


D'Irania bella.

Appo

Zal valoroso

(E notte era su in ciel) cos l'addusse,


N il labbro sciolse a favellar di tanto.

IL

RE KOBAD

IL

I.

RE KOBAD

Guerra con Afrsyb.


(Ed. Cale. p. 217-222).

Per

sette giorni assisero que' grandi

Coi consiglieri e s'adunar pur quivi


I

sacerdoti,

Qual era

che regnante in terra,

Kay Kobd prence

Alcun non era

sovrano,

in loco aperto o ascoso.

Stettero sette giorni letiziando

Presso Kobd con un gagliardo vino

A
A

gen'ial banchetto.

Al giorno ottavo

quel trono d'avorio, adorno e bello,

Sul bianco avorio appesero la fulgida

Corona imperiai. L sopra assise


Prence Kobd con dignit sovrana,
E la corona fulgida di gemme
Si pose in fronte. I prenci tutti allora,
Incliti,

s'adunar,

E Destn

Kren

belligero

e Keshvd, Berzn gagliardo,

Kharrd ancora, e gittr tutti a gara


Su quel serto novel splendide gemme

disser poi

T'appresta, o re sovrano,

De' Turani alla guerra

Allor che

intese

Da' grandi suoi questa parola, a un tratto

Venne Kobd

e le falangi sue

Tutte ordin. F' cenno

a' suoi,

famosi


Prenci d'Irania,

Armi

558

di vestir le

gravi

da la soglia

di ferro, e tosto

Del novello signor venne un araldo.


Delle iraniche stirpi incliti eroi,
Disse, gli

tempo

di battaglie ornai

Voi v'apprestate alla vendetta, agguato


Ai Turani ponendo infidi e alteri.

Qual

che sua virt guerriera

di voi

Dimostrer, da noi nobile un dono

Avr

e la grazia dell'Eterno ancora.

Al d novello, re Kobd

le genti

Trasse dal loco suo. Dalla sua tenda

Grido levossi, e Rstem battagliero


L'armi si cinse della guerra e innanzi

Come elefante
E negra polve
Ordinavan

s'avvent furente,
al ciel vol. Gl'Irani

le schiere e

a sparger sangue

Gi s'accingean ferocemente. Stava

Mihrb da un lato, di Kabul signore,


Stava da l'altro Gustehm belligero,

E Kren

battaglier l nel bel

mezzo

Dell'ampia schiera, con Keshvd eroe,


Scompigliator d'avverse squadre. Innanzi

Iva Rstem guerrier,

gli eroi

pi vecchi

da tergo e dietro a questi il prode


Zal con prence Kobd. Kobd reggea
Il sacro fuoco in una man, con l'altra
lui

Governava

il

destrier veloce al corso,

Ed era innanzi a

lui

quello di

Kveh

Glorioso vessillo. Esto vessillo

Tutto

E
Il

il

mondo

vesta de' suoi colori,

e rossi e violetti. Intanto


in pria, si traballava
tranquillo
suol,

gialli

Qual navicello quando levansi alte


Nel mar di Gina l'onde brune. Il campo
E le falde dei monti erano targhe

559

Accanto a targhe e luccicar di spade


Come lampade ardenti. Era la terra

Da
Da

mar

confine a confili qual


cui

mandavan lampi a

di pece,

mille a mille

Faci guizzanti, e al clangor de le trombe,


Al gridar degli eroi, detto tu avresti
Glie il sol per l'alto ciel perdea sua via.

Ma, di rincontro, le falangi sue


Ordinava Afrasyb co' suoi pi illustri,
Con ira molta e con gran vampo. A destra
Egins ei ponea con Vsah illustre,

Ambo
Come

superbi eroi, fra lor congiunti

un corpo sol. L da sinistra


Shemass, Garsivz erano; entrambi
Avean la punta di loro aste fulgide
Avvelenata. Ma il turanio sire,
Afrasyb, era al mezzo di sue schiere,
Con molti in guerra celebrati e forti,
Avidi di pugnar. Levossi allora
Nuvola fosca al ciel qual negra pece,

in

gli astri in cielo

Cos scendeano al

intenebrar.

campo

in

Due eserciti
una guisa,

quell'ampia falange o capo o fine

Aver parea. Da questa

e quella parte

Sorse fragor di timpani e di trombe,

confondersi

il

ciel

con questa terra

Sembr davver. La terra come

il

cielo

Uscir parea dalla sua dritta via

zampe de' cavalli in giostra


Che l'acciaro mordean. L'acuta punta
De le lande ferrate, ecco le stelle
Sotto a le

Al

ciel

De

le scintille

parea carpir, vincea bagliore


il

luccicar de' ferri

Cuspidati, e dell'armi

Era pregno

il

fatai loco

sangue; oh! dalla spada


Dei valorosi non rinvenne scampo
di

560

Alcun forte guerrieri Ma, dagli agguati.


L'alma rapan gli attorti lacci, e il caldo
Etra

il

respiro

principi togliea.

a'

E Kren battaglier che


Rapidamente, qual leon

ben

ci

vide,

rissoso,

un grido lev. Gittossi in mezzo


All'ampia schiera arditamente e ancora
Fiero un urlo cacci qual leon bieco,
Alto

Indi corse e ricorse

il

vasto piano

Per alcun tempo e di guerrier virtude


Gol braccio addimostr. Son io, gridava,
Il

sostegno de'

forti,

un valoroso

Son io dirama, e chieggo un cavaliero


Di fermo cor. Nella palestra noi
Aggirarci vogliam tempo non breve.

Ma

incontro a lui per l'orrida palestra

Alcun non venne, di cui molto ardore


La mente avesse in valorose imprese.
Ond'ei, per gran deso di sua vendetta
Contro prence Afrasyb, impetuoso
Del core, de la

mente assorto

Deso soltanto, s'avvent


Al (uranico

si

noi.

il

in quello

contro

Nell'alto cielo

All'atra polve ch'ei lev,

Fecesi oscura e

sol

la

luna

velossi.

A manca

andava talor, talvolta a dritta


E prendea su ciascun la sua vendetta.
Ma tutto il loco di dolenti cumuli
Egli

empi quel valoroso, e

D'uccisi

Anche

pi

forti

Ebbero affranto
Ei prode, ei

il

forte,

di

tosto

turania gente

cor.

Vide e scoverse,

Shemass da lungi

Urlante s qual leon bieco, e tosto


Contro a lui si avvent fin che il raggiunse.
Rapidamente allor l'acuta spada
Trasse dal fianco, e quel lucente ferro


Sul capo

gli

561

vibrando, Ecco! son

Kren

io,

capo in gi
l
cadde
Shemass,
Piegossi prence
all'istante
medesmo
ed
loco
A quel
Del ciel che antico volge,
L'alma spir.
Questo il costume! A un arco egli somiglia
Disse,

illustre!

una freccia anco tal'altra!


not ci che pur fece
Kren illustre e che mai fosse l'uso
Dell'armi in guerra e in singoiar tenzone,
Venne dinanzi al padre suo. Gli chiese:
Dimmi, del mondo eroe, qual loco prendesi
Talvolta, ad

Come Rstem

Di battaglie nel d l'uom tristo e reo,


Afrasyb, di che vesiesi e il vessillo

Dove

solleva. Manifesto vedesi

Un vessil violetto. Or tu ben certo


Dammi un indizio, perch'io tosto corra

contrastar con

lui,

perch'io nel

Agli altri eroi levi la fronte.

Il

mezzo

sole

Se propizio sar con l'alma luna,


A pie del mio signor trarr colui
In turpe guisa. Con lui sol la pugna
Oggi per me, soli qui siam soltanto
Io, la mia clava e l'orrida palestra
E il figlio di Peshng. In questo giorno
Al cinto il ghermir, trarrollo a forza
Al suol boccone, e per voler

di

Dio

Dell'alme creatore, unico Iddio,

S'anche un monte si fosse, io dal suo loco


Il lever, carco di ceppi e avvinto
Di re Kobd

Lui

Non

si,

lui

s,

il

trarr nel cospetto,

tristo

mortai che legge

ha, ne senso di giustizia in core!

Ascolta, o figlio mio, Zal gli rispose,

Ed oggi almen serba tuo senno. In campo


il turanio guerrier feroce un serpe
FlRDUSI,

I.

36


D'un

nube
Negro

alito mortai,

nella pugna.

Negro

5(32

di

morte

il

suo

l'usbergo, e di ferro

di ferro l'elmetto

vessillo,

bracciali,

ed ha quel ferro

Tutta dipinta in or la superfcie,


E sovra l'elmo gli sta infsso negro

diffuso

Da

lui

un pennacchio. Or tu
guarda, o

ti

figlio

d'assai

mio, che un prode

Egli davver, di sorte che per lui

vincitrice.

Anche

di ferro

Dissolvesi, all'udir l'orrendo

Di principe Afrasyb.
Eroe, per

Non

me

un monte

nome

Rstem

gli disse:

l'anima tua nel petto

corrucciar. Propizio m' l'Eterno,

Del mondo creator, son mia difesa


Il ferro e il braccio e questo cor. Sia quegli
serpe o un Devo truculento, sempre
Avvinto lo trarr, presolo al cinto.

Un

Or tu vedrai che de L'orrenda mischia


Negli ordini serrati io trarr a morte
Il

belligero prence. In cotal guisa

contrastar discender con

lui,

Che lo stuol di Peshng ne far pianto.


Rakhsh incit da le ferrate zampe,
E un suon di trombe si lev. Correndo
Venne al turanio stuol quel valoroso,
Ei, difesa de' prodi, e cacci un grido,
E Afrasyb che nel campo lo scoverse,
Meravigliossi di quel garzoncello
Imberbe ancora e a' prodi suoi dattorno

F' tal dimando: Oh! chi sar costui,


Di cui

nome non

so,

drago novello,

Allora
Da' ceppi suoi cos disciolto?
T
T n di quei rispondea: Cotesto il figlio
Di Destn ch' di Sam. Nome gli han posto
Di

Rstem.

Un

feroce egli d'assai


Che

nel d della

563

pugna quale un

quale un'acqua rovinosa.


Non vedi tu ch'ei venne con
Clava

di

Illustre

Sani? Giovane

la stessa

ma venne

egli ,

un nome a ricercar

fuoco,

forse

fra l'armi.

Corse Afrasyb dinanzi da

le file

Come nave che l'onde alzan da l'acque,


E Rstem che il vedea, strinse le cosce
E in collo si rec la ponderosa
Clava di ferro. Come f' pi angusto
Tra il suo nemico e se del suol lo spazio,
Su l'arcione cal la ponderosa
Sua clava il prode. Ma ci vide ancora
Prence Afrasyb e
Trasse dal fianco
L, col

la

la

figlio di Zal,

S'accapigli,

ma

il

man

per alcun tempo

valoroso iranio

man

Sollev la cervice e la

stese e ratto

fulminea spada.

la ficc tra la cintura e

stese

il

fianco

Del suo nemico. Cos fu che ratto


Il separ dal culmo de la sella
Di ben compatto legno e gi volea
;

re

Kobd recarlo

innanzi, a dargli

Segno del giorno di suo primo assalto;


Ma non resse del cinto il forte cuoio
Del cavalier d'Irania al fiero artiglio
E del duce turanio al grave peso.
Ruppesi, e cadde sul calpesto suolo
Con la fronte Afrasyb, e intorno a lui
I

cavalieri s'affollar.

Porse

La mano

l'iranio valoroso e

il

serto

superbo via rap dal capo.


A
Cos, nell'una man di Rstem prode
Restava il cinto d' Afrasyb, coll'altra
Dal capo il serto ei gli rapa. Ma intanto
lui

Dall'artiglio di

Rstem

battagliero

564

Di Turania l'uggia l'avverso duce.


E il tergo della man Ristem si morse.

Deh! perch mai, grid, sotto l'ascella


Noi presi e noi ricinsi ai fianchi intorno
Come gli eroi
Con questa mano mia?
D'Irania tutti ad uno ad un ne vennero

Al fortissimo eroe raccolti intorno,


Kren, Keshvd e gli altri prodi, e accorsero

Rstem lodando,

Tutti

Uno

E
E

di quelli a se

gli

il

valoroso

daccanto volle,

narr l'intravvenuto caso

disse

Il

cinto del turanio sire

armate genti
il nodo
Di sua cintura e caddemi di mano
L'ampia compage di sue membra. Allora

Ghermii, d'Irania fra

Per

trascinarlo.

Che

si

Ma

le

s'infranse

lev dalla calpesta polve

L'attrita sua persona, io gli rapii

La sua corona come sol splendente,


Concedendolo Iddio. Ma tu frattanto
Recala al sire dell'irania stirpe,
Elei lo sire, perch'io tragga intanto

Dalla vagina la mia acuta spada,


E intanto
Questi Turani a scompigliar.
Che di elefanti da l'eretta schiena

Mandarono

sonagli acuti strepiti

a molte miglia and fragor

di

timpani,

Altri a prence Kobd fausto l'annunzio


Iva a portar, che Rstem battagliero
all'avversa falange il medio stuolo
Tutto squarciato avea. Detto fu ancora
Ch'ei s'accostava de' Turani al prence,
I

Che

del duce turanio iva disp<T-n

che afferralo al cinto


Afrasyb culi avea, gittate al suolo
In turpe guisa, che di pianto un gemito

L'alto vessillo,

565

S'era levato da' Turani. Attorno


Tutti gli s'affollar que' suoi gagliardi,

Tratto l'aveano a pie que' duci suoi

Lungi dal campo. Cos fu che a Aero


Colpo soggiacque de' Turani il sire
Onde poi risala sovra un destriero,
Veloce corridor, la via prendendo
Ch' del deserto, abbandonando i suoi,
Solo intento a salvar la cara vita.

Come

Rstem

di

Prence Kobd,

f'

lieto

L'esercito de' suoi,

annunzio intese

ch'a un
come tempesta,

cenno

ei s

tratto

A' cavalieri di turanio sangue

S'avventasse con impeto, e

Semenza

la

rea

via schiantasse da le fonde

Radici sue.

Ma

gi dal loco ov'era,

vampa ecco sobbalza


Prence Kobd e s'agitan le schiere
Come per vento il mar. Dall'altra banda
Vanno Zal e Mihrb, leone in guerra,

Come

rapida

Avidi di pugnar, con molto ardire,

levasi

un clamor:

Prendi cotesto!,

Piglia tu! con baglior di ferri acuti,

Con

colpir di saette in su le targhe

Aurifulgenti e in su

la

mente

Al tempestar de
Eserciti cos

gli

elmetti d'oro,

stordia de' valorosi


le bipenni.

Due

accapigliavano,

si

detto avresti l'un con l'altro mescersi


Veracemente. E l'ulular degli uomini,

Che

de'

timpani

il

fremito, l'orribile

Fragor del tuono ben d'assai vinceano,


E l'offesa de' prodi che fortissimo

Avean
Il

l'artiglio qual d'acciaio, fendere


cor parea de' leon biechi e miseri

Lembi

di

carne

a'

leopardi svellere.


Ma

Rstem guerriero

negl'impeti suoi

Gi fatto avea
Il

500

di caldo

sangue intorno

suolo rosseggiar, con quella clava

giovenca in pugno stretta.


il suo destrier, le teste
guerrier
spargeasi attorno,
nemici
De'
Come in autunno caggiono le foglie;
Ma quando stese alla tagliente spada

Dal capo

di

've incitava

La mano sua

robusta, ei

f'

ben molti

Capi volar di principi e se il ferro


Ei gi calava del nemico eroe
;

Sul cocuzzolo eretto, in due le

Con

le bell'armi e

D'un

Quel ferro acuto

sol colpo parta.

Ancor levava,

membra

palafren di sotto

il

e a cumuli dintorno

De' cavalieri le teste recise

Qua e l spargea. Pel sangue degli eroi


Che gi scorrea pel contrastato campo,
La terra gi si fea qual tristo mare
Che alte solleva l'onde sue. Gi ingombro
il vasto campo di recise teste
E di mani e di pie, de' palafreni,
Gi esperti del pugnar, sotto a

Unghie

sonanti.

Sotto a le

Traballava

Oh

zampe

le ferree

pel vasto loco,

de' cavalli, tutta

la terra,

e,

in ciel,

li

polve

Scendea frattanto.
Precipitava Iella pugna il giorno,
E al fatai mostro che sostien la terra,
Umor scendea di negro sangue, e polve
Era un novello

ciel.

Al ciel sala

questa luna. Intanto.

di

In quel giorno di pugna,

Eroe,

figlio di Zal,

Col pugnai, con

la

con

la

clava e

il

valoroso

sua spad;i.
il

laccio attorto,

Squarci, recise, ruppe, avvinse e mani

seni e capi e pie d'eroi nemici,

567

mille e cento e sessanta de' prodi


Pi animosi e gagliardi in un sol impeto,

Dell'eroe nell'assalto, uccisi caddero.

Ma

Zal guardava al

quell'inclito suo ricco di forza

di regale maest.

Il

core

gli

Nel petto

balz per molta gioia,

In quella guisa.

Ma

D'innanzi ai forti al

Dameghn,

le schiere in

Al Grihn da quel

Con affanno e

loco,

Non

cor

il

si

volsero

trafitto.

dolor, con tronchi detti

confusi e dolenti.

Aveano

di pregi adorno
Turani intanto
sacro Fuoco addetti

Rstem vedea

Perch'ei

Trasser

guardava

figlio suo,

l'armi infrante

e rotte le cinture.

Trombe

avean, non timballi, e piedi o capo

Pi non aver parean. Tre giorni interi


Del fiume si rest su l'ardue sponde
Lo scompigliato esercito, ed al quarto

Da quel

Ma
Appo

loco deserto in l

gli eroi

de

tutti

si

mosse.

le iranie

schiere

prence ritornar pel calle.


Stanco ciascun per la raccolta preda.
Ampio un tesoro, con captivi in folla
Di turanico sangue. A un loco insieme
il

lor

De' principi lo stuol

Vennero

Benedicenti.
Figlio di Zal

si

accolse allora,

al sire di quest'ampia terra

Ma

di l

come

l'iranio signor.

quel prode

torn, sen

Tosto che

il

venne
vide

In pie levossi l'inclito suo prence,

nella

man

di

L'estrema punta
Il

Rstem
si

volle a s d'accanto

Da questa

della

mano

prendea. Seduto
il

nobil sire

parte, Zal famoso e illustre

Dall'altro lato f' sedersi al fianco.

568

Proposte di pace.

II.

(Ed. Cale. p. 223-227).

Ma

poich

fugga fino all'opposta

si

Sponda del fiume, rapido correndo,


Prence Afrasyb, vicino al regal fiume
Sette giorni ei rest. Con vampo ed ira
Apprestassi a partir nel giorno ottavo.

margo

dal

del fiume al padre suo,

Peshng, ritorn, tronchi gli artigli.


Piena la lingua di parole, e disse:
Famoso re, cercar cotesta guerra
Fu colpa tua. Non concedean gli antichi
Prenci

di

qui

romper

la

All'iranio signor; n tu

data fede

ben

sai

Che non han lode ai popoli dinanzi


Quei che rompon la f. Non la terra
Disgombra ancor de
D'Eri n

si

la

semenza ani ira

volt velen rodente

In balsamo per

noi.

Muore

cotesto?

L'altro sottentra, e l'ampia terra

mai

monarchi. Venne
Prence Kobd e la real corona
Si pose in fronte e novella una porta
Schiuse ratto alla -nona. Un cavaliere
Di Sam della progenie anche mostrassi,
A cui Destn novello nome impose

Non

Iti

sar priva

di

Rstem. Come

fiero alligatore

Venne costui. Detto avrest che tutta


Arder la terra egli volea con l'alito
Pestifero. Ma intanto egli correa
Per lochi alti e per ltas>i, e con la spada
Ci colpia, con la clava e con la stalla

569

Acuta e forte. No davver! che allora


Tanto non valse questa vita mia
Quanto un pugno di polve. E l'aria intanto
Era piena di sibili e di strepiti
Al tempestar della sua clava. Tutto
Ei scompigli l'esercito dei nostri,

E niuno

in terra

mai vide prodigio

cotesto siml. Vide colui

mio vessillo ad un confln del campo;


La clava ponderosa alto sospese
Il

Alla sella e avventossi e

il cinto mio
Con gran forza gherm. Detto tu avresti
Che tutte le giunture egli m'infranse,

Ch'egli in guisa cotal rapami allora

Dalla mia sella di compatto legno,

Che ben parea che

mano

in

a lui di tanto

non pesassi quanto un picciol bruco.


Ruppe gheroni del mio cinto e i nodi
Alla clamide ancor, mentr'io cadea
Io

Da quel

forte suo artiglio a' piedi suoi

capo in gi. Davver! che non in terra


Bieco leon con tanta forza, il piede

Fermo
I

alla terra e tra le nubi

capo!

il

cavalieri miei forti e pugnaci,

Affollandosi allor,

me

liberarono

Dall'artiglio di lui, pari a

D'alta montagna.

Ben conosci

il

mio

il

Della pugna nel

Ma

d.

valor guerriero

un pensier per quella sua

D'eroe natura. Vidi

Ha

tal

che corpo

d'elefante e di leon l'artiglio,

Ma non
Non

mano
E grave

in quella

Er'io leggero qual festuca.

nel core

sei,

cor, la forza mia,

L'impeto ancora ed

Ho

frammento

Tu che prence

senno per, non sapienza,

consiglio o virt.

Le

attorte redini


abbandona

Egli

al

elefante siml,

570

suo destrier furente,


ch'ei scompiglia
dirotte. Molti

Monti e bassure e vie

Vid'io gagliardi e valorosi in guerra,

Ma non

cbe alcun le briglie sue


E veramente a lui
Trecentomila colpi con la clava
udii

Cos reggesse.

Altri sferr su l'inclita celata;

Ma

detto avresti che di duro ferro

Er'ei formato, o di pietra o di bronzo

Insiem composto. Innanzi a

lui

che valgono

L'onde marine o gli elefanti in giostra


Ebbri o le tigri od i leon feroci?
Ei corre s come di caccia in tempo
Correre ei suol, che la battaglia a lui

Vien come un giuoco. Che se stata fosse


In Sam antico quanta in lui possanza,
No davver! che nessun turanio prode

Ma sol consiglio
valevol per te chieder la pace,
Che contro a lui non ha vigor, non forza

Sara rimasto a noi!...

Questo esercito tuo. Son

Amante

io di gloria

e di potei-, son io sostegno

All'esercito tuo, son io rifugio

Nella distretta a

te.

Nessun poter rimase

ti

Ma
in

consiglia e chiedi

innanzi a

lui

me! Va dunque
pace! Ancora

Quello d'Erg' nell'iranico suolo

Nobil retaggio, qual benedicendo


Re Fredn gli assegn, rimanga intatte:
Che quella terra che Fredn possente

Un d assegnava a Tur gagliardo,


A me fu gi. division ben -iusta,
N

gi

resa

puoi tu risuscitar l'antica

D'un d contesa. Che se in l ne andiamo


E ripigliam la guerra, al nostro core

571

Noi medesmi farem trista ed angusta


Di quaggi la dimora. E tu ben sai

Che dell'aver novelle miglior cosa


Veder con gli occhi; vuota cosa sempre
Udir soltanto. Ma tu, o re, l'impresa
Ch' d'oggi, alla diman non rimandare.
Chi sa quale per te volger in cielo
Stagion dimani? Parve a te d'irania
La guerra un gioco e venne da quel gioco
Tardo l'indugio a' prodi tuoi. Se rose
Coglier diman vuoi tu da un bel roseto
Sul quale oggi scendea la primavera,

Rose pi non avrai. Vedi qual copia


D'oro spendemmo gi, quante celate
Aurifulgenti e quante targhe d'oro,
Quanti arabi cavalli anche adducemmo
Aureo-bardati! e spade d'India ancora
Con le guaine d'or! Ma pi v' assai!
Quanti famosi eroi, fra cui bufera
Entr improvvisa e tutti via portava
Miseramente! Fu Kelbcl, fu il prode
Barman, di cui la preda erano in caccia
leoni! Eravi ancora
Animosi
Khazarvn, di cui ruppe la persona
i

Zal valoroso e a cui mostr sua possa

Con quella clava ponderosa. Ancora


Eravi Shemass che degli eserciti
Era sostegno, cui sul tristo campo
Kren uccise. E Rstem ne uccidea
Kaln ardito. Or s! che noi stringemmo
Vento in pugno soltanto! Oltre a cotesti
Altri fr diecimila incliti eroi,

pi d'assai, nell'orrida battaglia

Tutti

traftti.

E peggio

E vergogna abbiam
Jattura

s,

ancor che

fama

noi di tal iattura,

che mai non

fa

che alcuno

Che

Arrivi a riparar.
Inclita del

mio re da

se la

mente

me

volge,

si

Perch Ighrers illustre ucciso cadde,.


E del bene e del mal de' nostri giorni
Ricompensa sar giusto giudizio
Oggi

farne e dimani.

il

Vennero

tutti

A me

dinanzi

prenci allora e dietro

ciascun d'essi era un vessil di prodi.


Molto mi favellar della fortuna,
Correndo dietro a me, quand'io fuggiva
E piangente e compunto. E mi venia
Un pentimento, e pieno era d'angoscia

Questo mio cor per l'opre mie. Assai


Mi dolsi allor di mia fortuna avversa.

disiai che le peccata mie


Mi perdoni il mio re. Deh!

tu,

signore,

Non far ricordo de' passati eventi


E con prence Kobd volgi alla pace!
Che

se diverso

Deso

da cotesto

in core

nasce, da ben quattro parti

ti

te verr. Da questa
Rstem guerriero, contro a cui, nel giorno
Della battaglia, non ha forza il sole,
Dall'altra Kren battaglier, di cui
L'occhio lucente mai non vide in terra
Una sconfitta. Ma da un terzo loco
Verr Keshvd con l'elmo suo li fulgido
Auro compatto, che gi venne a quelle

Gente nemica a

Mura d'Aml per

trarne

prigionieri,

Kabul prence,
Con saggezza ed onor duce del sire.
Ambo con gli ocelli lacrimosi, il primo
E quarto

Di

fla

Mihrb,

di

Turania signor meravigliava

D'Afrasyb, di cotante sue parole

Che

in

mente

gli

Senso era sorto

venian, da che
di

giustizia.

in

Tale

quell'alma


Ei scelse allor

eli

573

molto senno in core

qual bene
Vsah era il nome
e di padre e di madre

l in Irania l'invio,

Ora a

lui s'addicea.

Di quell'illustre,

Ma

Turania il sire
cenno:
Carte qui apporta e nero muschio.
Scrisse
Un'epistola allor d'Arzng ben degna,
E sopra vi segn di cento guise
Rabeschi e fregi, e f' cos principio:
Fratello a

A uno

lui.

di

scrittoi' d'epistole f'

In nome del Signor di questo sole,


Di questa luna, che ci die possanza
La sua grazia a toccar, unico Iddio

Che non ha

pari,

si

cui nulla

non consorti o uguali,

cela per la terra

manifesto o ascoso. Egli del

mondo

creator, necessit noi vince;

L'umili ancora e l'alte cose stanno

Sommesse al suo poter. La luna e il sole


Camminano conforme al suo comando,

per Lui

Ei

sol l'oscura terra

ha pace.

questi solleva al cielo in alto,

quello atterra desolato... Intanto

Venga da Lui benedizion propizia


Fredn, da cui

All'alma

di

Comune

stirpe ebbesi

Ebbe

l'ordito suo!

Inclito re

A
Ed

Tu

un

la nostra

d la

trama,

ascolta intanto,

Kobd, ch'io dir cosa

questa intorno potest reale

a giustizia, che ad Erg' felice


Male incogliea da Tur veracemente
Per il serto e pel trono. E se nascea
Guerra implacata per Erg', compia
Re Minocihr cotesta guerra. In questo
Pur denno incominciar nostre parole,
Che rimaner non dee come al principio

574

Tal di pugna deso. Su quella norma


Che re Fredn ponea primieramente

Quando cerc

partiziion del

regno

In sua giustizia, ben sar che noi


Tutti fermi restiam, non dilungando

Da costume o da

via de' prenci antiqui.

Dal deserto al confili di quella terra


Gh' di Ma-veran-nhr, l 've per mezzo
Ha suo varco il Gihn, quest'ampio tratto

Che al tempo di Fredn si disse


Non riguard con occhi disiosi
Principe Erg'. Di
L'iranio suol,

che

lui fa
gli

nostro,

parte eletta

assegn l'antico

Fredn benedicendo. Or, se cotesto


Confili varcherem noi guerra menando,
Angusta e trista noi medesmi al core
La terra ci farem. Colpi saranno
Di spade e sdegno dell'Eterno, e parte
Eletta non avrem, non l'avrem noi
In questa vita e in quella sempiterna.
assegn Fredn possente

Come adunque

Salm, a Tur, a Erg' quest'ampia terra,

Cos per noi dividasi pur anco


Quest'ampia terra, e la vendetta antica
Non cerchisi pi mai, che tanti mali
Non vai la terra veramente. Intanto
Di Zal gagliardo come neve il capo
Si f'

canuto e rosseggi

il

deserto

Pel sangue degli eroi, come rosseggia


Minio vivace. Eppur, dell'opra alfine,
Tanta parte di suol tocca ciascuno

Quant' statura sua! Restiam con cinque


Cubiti di terren, dal capo al piede
Avvolti in

un

lenzuol, dentro a

In sempiterno!

Se in noi vive

deso, di

una

fossa,

fatica, dolore,

cuore angustia

575

In questa vita ch'

si

Noi recassimo ancor

campo

In

breve!

E quando

le genti nostre

a contrastar, noi stessi

il

capo

por verremmo dentro al laccio tristo


D'un fero alligator. Davver! che assai
Miglior cosa del mal l'opra del bene,

che noi non vogliam d'oggi in avanti

Nostro proprio dolor. Che se in tal detto


Prence Kobd con me s'accorda e quella
Mente sua d'uom ch' saggio, anche lontano

Da

giustizia

Non pur

non

va, nessun di noi,

sognando, vedr l'acque mai

Correnti del G-ihn, n da Urania


Altri verr del fiume a questa parte,

Se non con voti e con auguri lieti


E con messaggi, onde letizia e gioia
Abbian due terre s fra lor vicine.
Sottoposta l'epistola al suggello,

Appo

la

gente irania

L'inviava

Di

gemme

Ma

cos.

il

fiero

prence

regal copia

e di corone e di lucenti

Scanni dorati e

di fanciulle adorne,

Aureo-succinte, e di destrieri ancora

D'arabo sangue con dorate barde,


D'indiche spade ancor nelle guaine
Di bianco argento, e d'ogni cosa eletta

preziosa che in quel suol nascea,-

Con

l'epistola

sua

In dono al sire.
Altri

recava

mand pur anco

A Kay Kobd

allor, di

l'epistola

questa guisa

Dicea parole, e re Kobd che intese,


In

mezzo

a'

prenci suoi lev la fronte.


III.

576

Pace tra Irani

Turani.

(Ed. Cale. p. 227-230).

Rispose intanto: Veramente sai


Che non da noi primieramente stesa
Fu la destra a pugnar. Venne a principio
Da Tur l'offesa, che per lui soltanto
Sparve dal trono qual fu Erg' un sire.
Poscia Afrasyab, a questi nostri giorni,

Venne in Irania e pass il fiume. Udisti


A Nvdher prence che mai f'. Le belve
Selvaggie ancora

di

dolor,

d'ambascia,

Ebbero pieno il cor. Con quel tuo saggio


Ighrers, no davver! ch'egli non fea
Ci che s'addice ad uom.

Che

Or

men

siete voi di vostr'opre

se pentiti
beli

1
.

Se nuovamente da principio ancora


Tornate ai patti, non m'incita o spinge
Cura o fatica a nuova guerra, e pronto

Sempre son

io

per questa

vita all'ultimo

De' giorni miei. Ci ch' di


10 riconsegno a voi,

pur che

dal
vi

fiume,

trovi

La sua pace Afrasyb e il suo contento.


Novellamente ei conferm l'antico
Patto

cos,

piant nel bel giardino

Di sua grandezza un albero novello,


E il messaggiero andavane, veloce

Qua! pardo nei deserto, e il rgal foglio


re Peshng porgea. Tutte raccolse

Peshng le suppellettili disperse


E l'esercito addusse e fino al cielo
La polve ne lev. Come tempesta
11

G-ihn

ei

varc rapidamente,

E re Kobd novella ebbe

di

tanto.

Il

cor del sire ben gio che primo

Ritratto s'era da le sue battaglie

nemico signor. Ma Rstem disse:


re, di guerra in tempo, alcuna pace
Non ricercar. Non era pace in pria
Il

Dai loro

assalti,

e in questo d tal voglia

Di pace in lor cacciai con

la

mia clava.

All'inclito guerrier cos rispose

Prence Kobd: Cosa pi bella mai


Di giustizia non vidi. pur nipote
Di re Fredn Peshng illustre, il capo
Da valoroso dal pugnar ritrae,
E per ben si vuol che ognun che ha senno
E saggezza, non guardi alla menzogna
E all'ingiusto operar. Ma per te, o prode,
Sovra serico foglio un regio editto
Scrissi, che dal Zabl fino a le spiagge
Del mar di Sind ampio signor ti rende.
Vanne tu adunque e t'abbi regal seggio
E corona in Nimriz, l tu dimora
Splendor donando a questa terra. Ancora
Da questa parte di Kabul tu assegna
Il dominio a Mihrb, l'asta tua acuta
Intingi di velen, che dove un regno,
Senza guerra ei non , s'anche di questa
Terra non la superficie angusta.
Quel pastor di sue genti incliti e assai
Doni apprest, tutti assegnolli ai prenci.
Ma vesti molte e cavalli ei donava

A Rstem

battaglie!*, di cotal foggia

Qual s'addiceva a re Kobd. Il capo


S gli adorn d'un aureo serto e il fianco
D'una cintura tutta d'or; la terra
Cos gli dava a governar da quella
Parte lontana. Raci

L'uom
Fiedu-i.

gagliardo, e
I.

il

suolo allora

Kobd

nobile e illustre
37

Cos parl:

578

Deh! mai non

Di Zal guerriero

resti privo

trono imperiale!

il

Quanto un crin di Desta n veracemente


vale il mondo. Egli per noi ricordo,

Non

Nobil ricordo dei regnanti prischi.

Furon

vesti regali inteste d'oro,

Un serto di rubini
E un cinto i doni

e di turchesi
suoi.

Fr

posti allora

Sovra cinque elefanti i bei forzieri.


Per lor turchesi fulgidi pi assai
Che non l'acqua in Nilo. E sui forzieri
Stesero intesti d'or lucenti drappi,

Ampio tesoro di cui niun sapea


Computo vero. A Destn, valoroso
Figlio di Sani, cotesto il re mandava
dono e gli dicea: Desire
Maggior fu in me di questo che t'invio,
Dono regal. Maggior di questo un'altra
Inclito

Fiata

ti

dar, de' miei tesori

Ti schiudendo

le porte.

Durevol mi sar,

te

per

Oh! se

la vita

la terra

Da ogni bisogno far sciolto e libero.


A Kren vecchio battagliar pur anco,

Keshvd, a Berzn, a

quell'illustre

Kharrd ancora ed a Puld,

f'

un

dono,

Qual s'addicea, l'inclito sire, a quanti


Degni egli scorse di tal dono. Ancora
Ei die

E a

dramme

e denari e ferri e scudi,

chi degno ne

fu,

cinti

ed elmetti.

Di l discese in Persia. Era l in Persia


L'inclita

chiave de' tesori allora,

In Istakhr la residenza regia

Era

a'

que' tempi, e l de' re sovrani

La gloria antica
Vennero a lui le

e la possanza. Tutte
genti ossequiose,

Ch'egli era prence, di regal corona

570

Amante s. Ponea sul regal trono


Il pie Kobd con nobile giustizia,
Con norma eletta di consiglio, e queste
Dicea parole

Da

mio
Fa
La

a'

saggi suoi famosi:

confine a confn quest'ampia terra


retaggio.

Che

bruco

se a picciol

violenza orrida belva, offende


giustizia e la fede ella

pur anco.

Nulla quaggi vogl'io fuor che

Che mancamento

Ne conduce

in ci l'ira

di Dio.

Che

giustizia.

tremenda

se v' in terra

Tesoro l

mia
mia cura; e dove
campi ed acque molte, il nostro
si sta. Nelle mie schiere

Son

Buono

stato e fiorente, ci di

Giustizia

Son

culti

tutti

re dell'ampia terra, e sono

me

Soggetti a

frutto e di

il

belligeri

guerrieri

cittadini d'ogni loco. 0)' voi

Sotto lo

schermo

mondo

del Signor del

Esser possiate, saggi e accorti e senza


Offesa in verso ad altri! E chi possiede,
Goda di tanto e faccia doni, e grato

Animo verso a me

pel goder suo

Abbiasi in cor; se dietro alcun

si

resta

Da goder, n trovar con l'opre sue


Pu l'alimento e il suo conforto, questa
Regal mia casa a pascersi per lui

loco aperto, pur ch'ei sia soggetto

me, protetto dalla mia

difesa.

D'allora in poi esercito raccolse

mondo in ogni parte sua


Come per anni dieci

mosse,

riguardar.

Pel

il

mondo

Opere

ei s'aggir,

nascoste e aperte

ei fece di giustizia. Il sire

Molte fond citt superbe e liete,


cento e dieci n'elev dintorno

_
A

Rei munita. Di

580

venne poi

In Persia ancora, poich gi l'artiglio

Del tempo

Con

il

raggiugnea. Coi sacerdoti,

gl'indovini e

prenci suoi valenti,

In trono assise, e tutti

prodi suoi

Raccolse intorno, e volse ad essi

il guardo,
Lacerato nel cor. De' prenci antiqui,

Defunti,

Con

la

il

nome

ricordando, tutto

sua grazia e

pi nobile stato

il

la giustizia

mondo

sua

addussi'.

fu cotesto fin che cento ei visse


Vedi tu se mai
Anni felici.
Prence fu in terra che gli fosse uguale!
Quattro figli ei si avea saggi ed accorti,
Eredi a lui nel mondo. Erane il primo
Kvus, degno di lode, era il secondo

Kny

Arsh,

Nome

Kay

Pishn erane

del quarto

Kay Armin.

il

terzo,

Cotesti

Con molta pace e nobile deso


Reggean la terra. Come tur trascorsi
Cent'anni di Kobd con trono e serto,
Alla sua sorte venne alfn iattura,
E Kobd che vicino il morir suo
Gi gi vedca, che ad avvizzir

le

verdi

Foglie venan, del mese al primo giorno


Kvus chiamando a s, molte parole
Della grazia dei re, di lor

giustizi;).

Ebbe con lui, dicendo: Ecco! gi noi


Carco apprestiam per la partenza, e tu
Lasciami un'arca fumerai, mi togli
Il regal trono. Eppur, tal mi son io
Qui,

che

diresti

che

in tal giorno

D'Albrz dal monte con

la

appunto

scorta mia

Ma non ha saggezza
Chi troppo serve a regal trono, allora

Scesi beato.

Che

inavvertila suol passar del trono

Tutta la gloria. Che se tu sarai


Di buon consiglio e giusto, in altra vita
Crrai frutto di ci; ma se ti prende

L'anima

al laccio cupidigia stolta.

Dal fodero trarrai acuta spada,


Con la qual farai tu grave a te stesso

E danno e offesa, onde fia poi che in


Al tuo nemico tu lasciar la deggia;
E nel loco di l fiamme saranno

mano

tuo tristo soggiorno, e in questa terra


Di core angoscia ed amarezza estrema
Il

Sar tua sorte.


figlio mio diletto
D'alma preclara, d'uopo s che industria
Tu ponga ad opre di giustizia, ad atti
Di nobile sentir, ch'io qui frattanto
Gi ti affido il mio seggio e la corona
Imperiai.

Con tua

Cammina

intanto e

Questo

giustizia e grazia

tuo viaggio compi!


da quest'ampia terra
Al trono ed all'ostello
il

egli disse, e

Part soletto.

Di re possente un'arca egli antepose!

costume e

Di

tal

la

terrena vita! Ella

di tal legge
ci

adunque

alleva

adduce alto dolore


Con rami che copiosi
frutti, un albero la vita,

In delizie e ci

prova

Recan

poi.

lor

molti fiori sono in esso e belli

Son

tutti i rami suoi. Gi da principio


Beato esso ti fa co' fiori suoi,
Poscia ti passa il cor dogliosamente

Con le sue spine. Oh! quanti re superbi


Furono un di, che gi migrar di vita
Con struggimento e con dolor dell'alma!
D'essi rimase un nome solo in terra

nulla pi, che sempiterna vita

Uom

che nacque, non ha. Legge cotesta,


Norma

del fato

L'uom da

582

ben cotesta! Suscita

la terra e l'opra

sua distrugge

Ratto e disperde. Ma tu intanto ascolta


Di questo vecchio che saggezza ha in petto,

La parola pensata e la ricorda.


Di principe Kobd or giunge al termine
La storia, e Kvus ricordar n' d'uopo.

INDICE
....

Prefazione
I.

II.

III.

Vita di Firdusi

Sunto del Libro dei

Re

18

Mahmd

86
94

dell'Epopea persiana

Introduzione.

I.

li.

III.

pag.

Lodi di Dio
Lodi dell'Intelligenza
Creazione del

mondo

IV. Creazione dell'uomo

V. Creazione del sole e della luna


VI. Lode del Profeta e de' suoi

Il

poeta Dekiki

Compagni

Re

VII. Composizione del Libro dei


Vili.

Poema
Ab Mansr

IX. Composizione del

X. Lodi

di

XI. Lodi del Sultano

Mahmd

VII
1

Re

Invettiva di Firdusi contro

IV. Lista dei

pag.

XII. Lodi dell'Emiro Nasr, fratello del Sultano

584

Il re

Dahk.

585
XI. Colloquio di
XII. Colloquio di
XIII. Prova di Zl

XIV. Nozze

XV.

Sm
Sm

e di Sindukht

di Zl e di

Rdbeh

Nascita di Rustem

XVI. Venuta di Sia


XVII. Prodezze di Rustem
XVIII. Lettere di Rustem e di Zl

XIX. Morte

pag.

e di Zl

del re Mincihr

587

RISPOSTA ALLA CRITICA

Ad

alcuni giudizi, non troppo amichevoli, di

periodico di Milano, che parve voler met-

un

da

tere in dubbio l'approvazione

Personaggi,

col pubblicare

due lettere

parte di un articolo di

me

avuta di

risponder

alcuni illustri

G-.

soltanto

Andrea

di

Maffei,

Carducci e

altro articolo del Prof. L. C. Casartelli.

di

Il

un

Maffei

Carducci restino giudici per la veste poetica


data al canto di Firdusi; e il Casartelli,
professore di persiano a Manchester, lodatissimo
scrittore di cose iraniche, dica del merito della
e

il

me

da

traduzione.

CJdarissimo Signore,
Perdoni

la

mia ignoranza

di queste

importanti opere

grave et mia, per la somma crescente debolezza della mia vista, da tempo parecchio non leggo
libri nuovi
anche un p sconfortato dalla odierna scuola
sue.

Per

la

(parlo di lettere) che sorge trionfale

quanto

io

sull'antica,

perch

sono liberale nel vero significato della parola,

sono altrettanto codino nell'arte, e principalmente nella


forma. Legger con meditazione i volumi, di cai volle
farmi cortesissimo dono, e gi dalle poche pagine che ne

ho

scorse, cos

ad aperta

di

libro,

argomentai

delle altre. Ella

ha un verso armonioso

semplicit, che

manifesta

in

la

bont

e di un'elegante

Lei lo studio sui grandi


maestri. Alla

mia

3SS

villa sul Garda,

suoi

mi

scrtti

sa-

ranno, non ne dubito, piacevole ed istruttiva compagnia.


e della rara gentilezza e del dono

m'abbia, chiarissimo

signore, obbligato e riconoscente.

Firenze, 23 febbraio 1881.

Suo devot mo

Andrea Maffei.

Milano, 17 agosto 1882.

arissimo Signor Professore,


11

postino

dono:

mi porta in questo momento un gradito suo


di Rustem, episodio del libro
1 Re

La morte

di Firdusi

di cui Ella ci promette, in circa tre anni,

traduzione dell'intero poema. La tarda et mia non


mi d speranza di vederlo e di leggerlo. Ne avr intanto
un bel saggio nell'episodio, di cui m' cortese, e che di
certo sar maestrevolmente reso italiano, come gli altri
la

suoi lavori.

Mi raffermo con piena stima


devot

"

Andrea Maffei.

Nuova Antologia,
Del Libro dei

Re

sione in prosa francese

1"

luglio 1886.

una edizione critica e la verMohl amico ed erede di Claudio

die
il

Fauriel: una versione metrica,


dello

Schack:

la

ma

parziale, c' in tedesco,

prima intiera questa

annunzio, del professore Italo Pizzi.


della edizione di Calcutta del

1829; e

italiana,

condotta
il

che

io

sul

Pizzi ci

ha

la-

589

vorato attorno diciotto anni. Cominci a darne un saggio


nel 1808, che era anche scolare; altri saggi die nel 1877
e nel 1882, mutando maniera e sempre in meglio; finch,
facendo e rifacendo per tenersi pi stretto all'andamento
dell'originale, arrivato a finire, e

ha mandato fuori in
com-

questi giorni la prima dispensa dell'opera, che sar

piuta in 8 volumi.
Del valore filologico del professore Pizzi nella lingua
e letteratura persiana attestano con favore gl'iranisti, che

non mancano

in Italia

e son valentissimi. L'arte del tra-

me

pare molta e buona. L'endecasillabo sciolto,


condotto secondo le tradizioni della scuola classica, produttore a

cede corretto, non stentato mai, decoroso, variato d'intonazioni e pienezza secondo e quanto permette l'indole di

questa poesia, epica ed orientale. Alla cui larga corrente

non far male d'accostarsi la Musa italiana odierna, se


non altro per tergersi i piedi dall'acqua sporca di certi
rigagnoli a cui abituata. Se ella fosse
tra

il

verismo e

agli dei

il

ella,

grandi acque

Musa da

vero

pietismo non c' da credere n anche

a veder passare su lo specchio delle

le figure degli eroi,

dovrebbe vergognarsi

d'essersi ridotta a metter su spaccio di chincaglieria.

Giosu Carducci

Dal Tablet

Il

di

Manchester

(luglio,

1886).

Vullers e lo Spiegel hanno aperta la via alle

cerche;

ma

soltanto ad

un ingegnoso

talista italiano dei nostri giorni, Italo

di persiano all'Universit di Torino,

ri-

e giovane orien-

Pizzi,

Professore

che noi dobbiamo

pi completi e scientifici studi intorno al Libro dei

Re

di Firdusi.

una interessantissima Prefazione il Prof. Pizzi ci


storia degna di nota della sua gigantesca impresa.
Incominciando nel 1868, egli ci dice che nel 1882 una
met della intera traduzione (60,000 versi) era gi stata
In

fa

una

590

compiuta, mentre alcuni saggi erano

Ma

differenti periodici.

l'opera sua, disfece


fatto

il

il

traduttore,

tutto e ricominci

veramente unico nella storia

un coraggio, una

La

versione in versi

in

del-

da capo! Questo

letteraria, e indica

una perseveranza che

coscienziosit,

sono troppo rari in questi giorni

stati pubblicati

non soddisfatto

di

sciolti,

opere affrettate.

e noi tosto ci

affret-

tiamo ad aggiungere che nelle mani del Prof. Pizzi ci

ha pieno successo.

Il

suo

animato, scorrevole,

verso

melodioso, con una gradevole tinta di dizione arcaica, e


talvolta con grave dignit, che interamente bene s'acco-

moda

all'originale.

piacevolissimo da leggere, oltre ad

essere criticamente accurato


tarsi

da un

cos'i

come

solamente da aspet-

segnalato studioso di cose iraniche.

Casartelli

L. C.

Il

Prof.

Giacomo

Barzellotti in

un suo

articolo

Contro i Pessimisti d'Italia , inserito nel


Fanfulla della Domenica del 1 agosto 1880,
dopo aver notato come molti ingiustamente si
lagnino del preteso nostro decadimento nella letteratura, nelle arti e nelle scienze, parlando in
fine della filologia e notando la necessit che
essa debba ornai contemperare la scienza con

l'arte, cos

viene a parlare della versione del

Libro dei Re:

Ma

anche in questa parte

su ora, promette di correggere


dit e deficienze di quella

che vien

la generazione

molti errori, molte ari-

che la precede. Mentre questa

grida a gran voce che ormai l'Italia non fa pi nulla,

compie modestamente in silenzio, con


una di quelle opere che anche in
tempi bastavano a stancare tutta una vita sposa

qualche giovine

forte, ostinato lavoro


altri

negli studi.

Il

Pizzi, premiato,

poco

fa.

dai

Lincei

per

591

ha mandato
prima dispensa di una sua traduzione in versi del Libro dei Re del grande epico persiano, alla quale egli ha lavorato diciotto anni. Tunica
versione poetica intera che abbia l'Europa. Del lavoro
del Pizzi ecco quello che dice il Carducci in un articolo
della Nuova Antologia, dove egli, non corrivo a lodare,
ebbe per occasione a dir molto bene di una bella schiera
una sua opera

intorno a Firdusi,

critica

fuori in questi giorni la

di giovani scrittori italiani.

L'arte del traduttore,

dice

il

Carducci,

pare molta e buona. L'endecasillabo sciolto,

me

condotto

secondo le tradizioni della scuola classica, procede cor-

non stentato mai, decoroso, variato d'intonazioni


quanto permette l'indole di questa

retto,

e pienezza secondo e

poesia, epica e orientale . L'opera del Pizzi che, in


otto volumi, sar tutto

merita

il

La

un monumento

favore dei lettori italiani

di

sapere e d'arte,

traduzione del Prof. Pizzi in verso sciolto, e

che ne furono pubblicati in diversi

da' parecchi saggi

tempi, chiaramente

si scorge la maestria non comune,


vaghezza del suo verseggiare. Il numero dei
versi per tanto veramente enorme (120,000) nel testo
originale; n dar meraviglia che il valoroso traduttore

la nobilt e

v'abbia logori intorno ben diciotto anni.

Ma

di s

lunghe

fatiche egli ora raccoglie giocondo e onorato frutto nel-

l'ammirazione e nel plauso di tutte

singolarmente

opera di

lui,

d'Italia,

tutto

il

le

colte nazioni e

dove, per la prima volta

poema persiano

si

per

legge recato in

versi.

Civilt

Cattolica, 7 agosto 1886.

PRIMO VOLUME

CORRIGE

ERRATA

d'amor

1.

d'amore,

1.

36

superba.

superba,

161

1.

13

traeva

traea

206

1.

22

a lui

256

1.

25

saggio

291 1. 28-30 correnti, ansanti


Eranoiprodisuoichealfuggitrvo

Pag. 148

a lui,

saggio,

correnti, ansanti
la via

rfittrsi

Preclusero la

294

1.

14

via.

Cos a

mal

far

Ivi a

mal

1.

13

che

Che

1.

16

verr

verr

1.

ult.

timpani

1.

risposta

risposta

497

1.

10

repentina

repentina,

513

1.

23

fuggenti

caduti

316

369
386
117

timpani,
:

far

@INING SECT. JUL2418W

PK
6/V56

I8P5
v.l

Ferdowsi
II libro dei re poema
epico

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