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liyy^

FIRDUSI

IL LIBRO DEI

RE

POEMA EPICO
RECATO DAL PERSIANO IN VERSI ITALIANI
DA

ITALO PIZZI
L'epopea persiana, nel suo insieme, produce l'impressione dell'incommensurabile,
simile alla volta del cielo stellato, che riunisce nei suoi fulgidi sistemi di stelle l'infinita pluralit, dei mondi.
SCHACK.

VOLUME SESTO

TORINO

VINCENZO BONA
Tipografo di

S. 31.

1888

P/c

Propriet Letteraria

781578

SESTO VOLUME
CORRIGE

ERRATA
Che

nemici

da' nemici

93,

1.

da'

100,

1.

22

Eludere tu voglia.

Eluder tu non voglia.

126,

1.

quaggi.

quaggi,

129,

1.

23

fede

fede,

180,

1.

28

tesori,

tesori

218,

1.

gi

gi

224,

1.

11

augelli,

224,

1.

La luna tua

309,

1.

Pag.

325,

1.

373,

1.

28
23
23
25

387,

1.

24

398,

439,

augelli
si

scemi

11

viso tuo 6i oscuri

melagrani

melagrane

violento e

violento, e

acuti,

acuti.

1.

ultima nobile

nobil

1.

prence

prence,

461,

1.

25

di venir

divenir

493,

1.

32

recherammi

recheranmi

RE ASHKANI

I.

Principio del racconto.


(Ed. Cale. p.

antico narrator,

Degli Ashkni all'et.

ti

1364).

volgi intanto

Deh

che dicea

Sul nobile argomento il libro antico


L 've ricorda le passate istorie

L'uom

ch' facondo?

Di Sikendr dopo

l'et,

chi dicea che venne,

l'impero

Dell'ampia terra e de' monarchi il trono?


De le ville di Giaci il borgomastro,

Facondo

in raccontar, disse

che ninno

D'allora in poi s'ebbe corona e trono

Imperiai. Que' prenci che dal

seme

D'Arish venino, impetuosi e alteri

Furono e tracotanti. Ognun pel mondo.


In ogni angolo suo, breve di terra
Prendeansi un tratto a governar. La gente,
Poi che in tal guisa
Lieti e beati,

li

f'

sederli in trono

chiam del nome

Re de le trib. Cosi passarono


Anni dugento, e detto allor tu avresti
Che nel mondo non era alcun sovrano
Veracemente. Questi alcun ricordo
Non fea di quello, e quei non ricordava
Di

6
Quest'altro mai; cos, per alcun tempo,.

Riposava

Ecco! ben questa

la terra.

Fu d'Iskendr intenzion, che Grecia,


Amena terra e dilellosa, incolume
Al loco suo

Ma

rimanesse allora.

si

d'esti prenci fu primiero a tutti

Kobd; secondo
almo rampollo
Di regal seme. Degli Ashkni il terzo
Fu Gderz, Bizben poi, della famiglia

Ashk, della stirpe

Fu Shapr

Kay
Ormzd

di

valoroso,

antichi, Nrsi poi, poi quello

De'

gagliardo, poi Arsh che illustre

Era e valente. Che se lui trapassi.


Viene Ardevn, prence famoso e saggio^
D'alti consigli e

Ma

d'anima serena.

Ashkni
merlo avea

ratto che sedea de' prenci

Behrm

sul trono, a chi pi

Tutto un tesoro

Ardevn

il

ei dispens.

magnanimo, che

Fu

detto

forte

L'artiglio ei rintuzz de' lupi agresti

Contro

agli agnelli gi levato.

Di Shirz, d'Ispahn

l'alto

Avea

dominio,

Quali ogni saggio chiamar suol frontiere


De' principi quaggi. Per suo comando,
Stava Babk in Istakhr, di cui
Allo strider dell'arco

Mandavan

Ma
Fr

poich

di

terror

serpi agresti

sibili

di quest'albero

divette le

rame

acuti.

regale

e le radici.

Cos nessun degli uomini pi dotti


Ne racconta la storia, ed io soltanto

Lor nome
Entro

al

udii,

n ritrovai ricordo
Re per ch'io cercassi.

Libro dei

Sogno

II.

Bbek.

di

(Ed. Cale. p. 1365-1366).

Ratto che Dar cadde ucciso in guerra.


Precipit della sua casa illustre

Ma

chiaro giorno.

Il

Ei

giocondo

figlio

avea, di gran senno e battagliero,

si

Sasn

di

nome. Com'ei vide in quella


il padre suo, caduta

Guisa trafitto

Come

vide la sorte

Ratto

ei fugg

da

a'

prenci irani,

l'esercito greco,

dentro al laccio della rea sventura


S medesmo impigli. Misero e gramo
In India

si

mor.

Ma un

piccioletto

Figlio restava di Sasn, e

Per questa

il

padre,

chiamavalo del nome

via,

Di Sasn parimente, e ci

si

fece

Fino alla quarta genitura. Ei vissero


Quali pastori o cammellieri, e trassero
In gravi cure e fatiche e travagli

Del viver loro

Che

di

tutti gli

Babk giunse

D'esti figli

il

anni; e allora

a le case

un giorno

minor, scese ne' campi

de' pastori vi scoverse il duce.


Forse che per mercede, egli dicea.
Un uom f d'uopo, qual per trista sorte
Di que' pastori il duce
Passa di qui ?

Lo sventurato a s raccolse e il tenne


La notte e il giorno tra fatiche e stenti.

Ma

poich laborioso

Assai

gli

Si f'

il

Babk,

ei

si

mostrava,

piacque, e duce de' pastori

nuovo pastor fra quegli armenti.


il figlio di Rudyb, dornia

8
una notte, e l'anima serena
Vedea nel sogno che seduto stava
Sovra un fero elefante, in man stringendo
In

Indica spada, sollevata in alto,

Sasn pastore. Chi venia


Nella presenza,

Benedicendo.

gli

di lui

prestava omaggio

favellar la lingua

Egli apprestava con parole acconcie

liberava l'anima dal duolo,

Gi oscura e trista. Ma nell'altra notte,


Poi che sonno si prese, allor che a grave
Pensier congiunta era la mente sua,
Vide in sogno Babk tre adoratori
Del sacro Fuoco tre fiammelle in pugno
Recarsi ardenti; di Kharrd l'una.
L'altra di Mihr, d'Azergashspe l'altra,

Splendide tutte come

sole o

il

la stella de' vespri. Elle

Marte

splendeano

Di Sasn nel cospetto e in ogni

vampa

Legno bruciava d'alo. Destossi


La mente di Babk dal grave sonno,

quell'anima sua piena d'afifanno

Egli ebbe e pieno

il

cor.

Quanti eran dotti

In quell'arte de' sogni e di possanza

Ricchi per tal scienza, ecco! adunarsi


le stanze, ed eran prenci
Di molto senno e consiglieri suoi.
Di Babk ne

Ma come

sciolse le parole sue

Dall'intimo Babk, narrava a


1

Si fea pensoso a ci

tratto

che dir dovea,

chi render dovea risposta acconcia,

Tendea

Un

gli

orecchi ad ascoltarlo. Alfine

de' savi parl: Sire

La fronte

un

suoi sogni a que' dotti. Ei duce e sire

che altera

rechi, riguardar t' d'uopo

esplicazion di ci. Quei che in tal guisa

Vedesti in sogno, pi d'assai

la

fronte

Sollever di questo sol per grado

Ch'egli avr di monarca; e se lui solo


sogno falla, sar il figlio suo

II

Quei che del mondo si godr l'impero.


Ratto che ud queste parole, lieto
Babk si f' nel cor, si che suoi doni
F' a' sapienti a grado lor conforme,
E comand che de' pastori il duce
Dalle sue greggie innanzi a lui venisse,
Di Babk nel cospetto; ed era quello
Un di nevoso. Rapido ne venne
Il

giovinetto innanzi a

Guarnello

con lieve

lui,

al corpo, tutto

pien di fiocchi

Di bianca neve, pien di tema

E Babk disgombr

il

core;

d'ogni pi estrano

Il

loco e ratto da le porte uscir

E
E

consiglieri e servi. Ei

dimandi

f'

carezze a Sasn, volle che accanto

lui sedesse, e poi della sua stirpe.


Del nascer suo l'inchiese. E il pastorello
Avea timor di lui, si che risposta

Non

rese allora. Disse poi

Se grazia

Al povero pastor della sua


re, tu fai,

ben

ti

vita,

dir le cose

Del nascer mio quante pur sono, tosto


Che prenderai la mia nella tua mano.
Come per patto che quaggi nel mondo

Male non mi

Non

farai,

in palese.

Babk
Dator

non

Come

in secreto.

udi, la lingua

disciolse e ricord l'Eterno


di grazie: Offesa a te

In nulla

ti

far,

ma ben

nessuna

del core

Ti far lieto e per onor pregiato.


Cosi allora a
Il

Babk

si

volse e disse

giovinetto: Di Sasn, o duce.

--ioli figlio mi son io, nepote al prence


Ardeshir che regn su l'ampia terra,

Quale appella Behmn memore ancora

La gente

nostra. Egli era figlio illustre

D'Isfendir gagliardo, unico erede

re Grushtspe in terra.

Ud

que' detti

Babk e lagrime dagli occhi suoi,


Dai fulgidi occhi suoi, che

il

chiaro sogna

Vedean la notte. Una veste guerresca


Addur si fece e un palafreno ancora
Con le insegne di re. Vanne, ei dicea,
Discendi al bagno e restavi costante

Fin che recata

Una

veste.

ti

sia

novella

E, frattanto, sontuoso

gli elev, pi assai di grado


Lui sollevando che non era quello
Di duce di pastori e poi che lieto
Gli f' soggiorno in quel palagio, a lui
Giovani schiavi e giovinette ancelle

Palagio

Destin quivi e digli in ogni cosa

Nobile grado e per dovizie molte


D'ogni rancura

lo disciolse. Alfine

Gli die la figlia sua piacente e vaga,

Di lui regnante nobile corona.

III.

Nascita di Ardeshir Bbekn.


(Ed. Cale.

Per

Lune

la

p. 1366-1369).

donna leggiadra allor che nove


venne da lei qual fulgido

passar,

un infante, e simile era al nobile


Ardeshir prence, infante che crescea
Ed era bello e dolce al core. Il padre
Gli f' nome Arde.shir, che veramente
Sole


Beato

egli

11 -

era nell'aspetto suo,

grembo

l'allev con gran desio


Fin che lunga stagion per lui trascorse.
Ed or, la gente di gran senno lui
Babekn Ardeshr chiamar solea
Pi veramente, e quei della sua casa
Quante erano virt si gli apprendeano
Con molto studio, si che la natura
in

Vincean le sue virt. Ma per saggezza,


Per vago aspetto e nobil viso, tale
Era davver, che detto avresti ancora
Prender luce da lui quest'almo cielo.
Del senno e del saper del garzoncello
Novella giunse ad Ardevn. Fu detto

Che leon fero in giorno di battaglie


Era il garzon, che in giorno di conviti

la stella de' vespri ei somigliava.

che ratto un'epistola scrivea


Prence Ardevn all'inclito gagliardo,
Si

Babk

saggio, egli scrivea,

valente.

Di nobili consigli, o giusto e puro,

Guida a noi

tutti e

Udii che cavalier

parlator facondo.

memore

di nobil favella

il

e accorto

figlio tuo.

Prence Ardeshir. Come letto t'avrai


Questo mio foglio, manda il giovinetto
All'istante appo noi lieto e beato.
D'ogni cosa eh' all'uopo, io veramente
Non bisognoso il render, che grande
Il

far tra gli eroi. Quand'egli accanto

A' nostri

figli

Non direm

abiter, noi certo

ch'ei non di nostra stirpe.

L'epistola regal ratto

Babk

illustre,

Gi per

le gote

E comand che

lagrime

che

lesse

di duolo

sue sparse ben molte,


innanzi a lui venisse

Il
Il

regio scriba e con lo scriba ancora

giovane Ardeshir, tenero e

bello.

Leggi, gli disse, d'Ardevn l'epistola

E su vi pensa con alma serena.


Ecco! al mio prence un'epistola anch'io
Scriver tosto e inviergli tale
Di cor benigno e gli dir: Tu vedi
Ch'io qui ti mando il core e gli occhi miei,
L'animoso garzon, caro e diletto.
Consigli

anche

gli

ratto ch'ei

diei,

venga

l'eccelsa tua reggia, e tu, signore.

Ci che de' prenci del costume, a

lui

Farai cortese, che non vuoisi mai


Che spiri sovra lu vento importuno
Ratto qual nembo, de' tesori suoi

Schiuse Babk

porte e

le

giovinetto

il

D'ogni cosa pi eletta e preziosa

Rese beato, d'auree briglie

assai.

Di spade e clave (oh no! pel

Grave non

gli

era

Di drappi ancor,

figlio

suo

donar sue cose).


fulgide monete,

di

di

Di destrieri e di paggi e di broccati


Tessuti in Gina e intesti d'oro, e degni
Di re dei re. Goteste cose innanzi

Recava

il

al

garzoncello

garzoncello gi

Di principe Ardevn.

il

si

tesoriere,

fea soggetto

Ma

ricchi doni

Anche mandava, ed eran molti, al prence


Con Ardeshir il vecchio duce, nummi
Ed agalloco e muschio. Il giovinetto,
D'inclite orme quaggi, dalla presenza
Uscia dell'avo e a Rey scendea lontana.
Di principe Ardevn nella dimora.
Quando vicino al regio ostello ei giunse.
Detto fu al prence di costui, che accesso

dimandar venia. Con molto amore


Il

giovinetto a se

13

chiamava innanzi

Sire Ardevn e fea parole assai

Di Babli valoroso. Accanto al trono


Il

f'

Un

seder, pe' vichi circostanti

loco gli assegn,

Ogni sorta

di

mandava

poi

di cibi e di tappeti

splendide vesti.

Il

giovinetto,

compagni di gran nome, al loco


Che Ardevn gli assegn, cos discese.
Ma nell'ora che il sol ponea suo seggio
Sovra il trono del elei, quando la terra
Bianchezza avea dal sol qual di greca
Fanciulla il viso, convoc i valletti
Co' suoi

Ardeshh' a s innanzi e i doni suoi


Quanti eran d'uopo, ad Ardevn monarca
Mand, quali Babk duce inviava.
Ardevn li mir; grati gli vennero
All'alma e al core, e di giocondo frutto
Furon cagione al garzoncel, che il prence

Qual

figlio

Per cure

suo sei tenne seco e mai,

ch'egli avesse, in alcun

tempo

Noi trascur. Fra


In ber del vino o banchettando, mai
Senza quel caro giovinetto suo
Non era il re. Ma seco egli il tenea
le sonanti caccie,

Quale un congiunto suo, ne tra' suoi figli


Diverso grado gli assegnava ancora.
E avvenne poi che un d genti di corte
Co' figliuoli del re, di vasta caccia
si sperdeano. Andava
Con Ardevn anche Ardeshir garzone,
Ch'era diletto al cor del re sovrano

In loco ameno,

giovinetto. Allor, quattro si avea


Prence Ardevn giovani figli, e d'essi
Era ciascun quale un monarca. Lungi,
Per la campagna un ngro fu visto,

Il


E da

14

quell'ampio stuol fiero tumulto

Subitamente

si

lev. Sospinsero

Veloci in corsa tutti lor destrieri,

polve e

la

il

sudor quivi d'un tratto

Corse dinanzi a

Si mescolar.

tutti

Ardeshir giovinetto e come appena


Ei fu vicino, sovra l'arco pose
Una saetta e ne la coscia un maschio
Onagro ne colp, si che passavano

De

la

belva

Punta e

le

All'istante

Ammir

le

carni e la ferrata

penne di quel dardo. Venne


Ardevn, del giovinetto
tratto poderoso e disse:

il

Di colui che atterr con

sua freccia

la

mano

Cotesto onagro, a la possente

Pari l'alma deh!

sia!

Cos

rispose

Al suo prence Ardeshir: Cotesto onagro


Io co' dardi atterrai.

Io l'atterrai, disse

Deh

un regal

che soltanto

fanciullo,

Ed or ne cerco

la compagna ancora
Ardeshir gli rispose: vasto il campo.
Ed ngri vi son, dardi pur anco.
!

In questa guisa atterrane tu pure

Un
Tra

altro,

ma

valorosi.

Fu a

il

mentir colpa ben grave


di sdegno allora
Ardevn. Contro al garzone

Pien

que' detti

Fiero un urlo cacci, dissegli iroso:

Colpa questa fu mia, che il nutricarti


leggo e costume. Oh! perch mai
Era d'uopo recarti a' miei conviti.

Fu mia

Alle mie caccie, con lo stuol de' prodi,

Perch
I

E
E

figli

poi soperchiar cosi volessi

miei,

d'alterigia

costume
ti

di

superbia

pigliando

Vanne,

custodisci gli arabi destrieri

Di nostra casa e scegliti l'albergo

15

Vicino a quelli. Accanto

a' beveraggi
prence e sire,
In tutte l'opre a chi pi vuoi compagno.
Pien di lagrime agli occhi, andava allora
Ardeshir giovinetto, ai beveraggi
Degli arabi destrier primo custode,

De' palafreni tu

sii

un

foglio,

cor, piena la

mente

tosto all'avo suo scriveva

Pieno d'affanno

il

Di pensieri in tumulto. Ecco! dicea,


incolse da Ardevn! Gli sia
Corpo il dolore, alma gli sia l'angoscia!
Indi narr le cose intravvenute
Insieme tutte, e perch mai sdegnato
Fosse prence Ardevn. Come quel foglio
Giunse a Babk, non disvel ad alcuno
L'alto secreto, ma il cor suo ne andava
Pieno d'affanno e di dolor. Monete

Che mai ne

Ei prese alquante da' tesori suoi,

E diecimila al giovinetto suo


Ne mand ratto, sospingendo in via
Un dromedario e un cavalier. Ma prima
Comando

che

ei f'

Tale, scrittor di

si

venisse a lui
e

fogli,

Per Ardeshir questa


Inesperto garzon

si

gl'impose

epistola acconcia:

poco senno,

di

Poi che ne andavi a dilettosa caccia

Con Ardevn, perch


A'

figli

suoi?

Veramente

Or

tu

il

ei

facesti

tu soltanto

il

se'

corso innanzi

servo e non congiunto

gli sei.

Atto nemico,

Ma

Tu

Ned

no,

per

per
la

ei ti fece

tristo core.

tua

stoltizia.

suo desio ricerca

il piacer suo, n volgere la fronte


Dal suo comando mai. Copia t'invio
Di monete frattanto e in questo foglio

Pongo per

te

li

miei consigli. Ratto


Che usato avrai

10

d'este monete, chiedine.

Fin che trapassi questa sorte avversa.


Il dromedario rapido nel corso,
Con un vegliardo di gran cose esperto,
Giunse veloce appo Ardeshr. Nell'alma
Si f' lieto

garzon tosto che

il

foglio

il

Lesse dell'avo, e l'inesperto core


All'astuzia

volse ed agl'inganni

si

Subitamente. Accanto

Un

a'

palafreni

n di lui degno
Faceasi loco ad abitar, che stese
ostello ei scegliea,

Tappeti

al suolo d'ogni foggia

cibi vi

Ed era

il

e vesti

rec d'ogni maniera,

banchettar

la notte e

il

giorno

compagni suoi
Eran cantori e colme tazze e vino.
Sola sua cura, ed

IV.

Fuga

di

Ardeshr con Gulnra.

(Ed. Cale. p. 1369-1372).

Un castello si avea nobile ed alto


Prence Ardevn, e dentro a quel castello
Era una schiava di gran sangue. Nome
Della vaga fanciulla era Gulnra,
Alta belt, di

di

gemme

e di colori

fragranze adorna. Ella era quale

Di re Ardevn

il

consigliero e fida

Custode ancor de' suoi tesori. Al prence


Cara costei pi assai de l'alma, ed ei
Sol nel vederla si rallegra e allieta.
E avvenne un di che ad un terrazzo ascese
La giovinetta. Quel suo cor fu lieto
Del leggiadro garzon, si ch'ella tosto
Diedesi a contemplar quel sorridente

D'Ardeshr labbro, e il giovinetto eroe


Nel core d colei, bella qual luna,
Ratto un loco trov. Stette

Ad

la bella

aspettar fin che oscurossi

Fin che vicino fu alla notte

giorno,

il

il

giorno,

Oscura e tetra, e de la torre ai merli


Avvinse un laccio suo, tanti vi fece
Nodi robusti e le mani v'appose
Tenacemente. Gi discese allora
Con molto ardir da le superne mura.

chiamando

Iddio

largitor di grazie

Ai mortali quaggi. Gom'ella venne

Con

fiero incesso

ad Ardeshr,

gemme,

di

D'agalloco e di muschio infusa e piena


Di fragranze soavi,

fi

capo alquanto

Di quel dormiente sollev dal suo

Guanciale
Il

seno

di broccati e stretto al

rinserr poi che fu desto.

vaga e bella riguard

il

lei

fanciullo,

Ei quel volto mir, que' suoi capegli

tutto l'ornamento, e le fragranze

Sent soavi. Oh! donde mai, le disse,

Ti

se'
s

levata? gi

il

mio cor che pieno

d'affanno, tu consoli, o bella

Ancella e schiava qui son io, rispose,


Pieni d'intenso amor l'anima e il core
Sento per te. Son io la donna cara
Del regnante Ardevn, de' suoi tesori
Custode ancora, ed ei per me s'allegra

Ed ha l'alma serena. Or, se m'accogli,


La tua ancella son io, ch'io su la terra
Vivo soltanto pel tuo dolce aspetto.
se tu vuoi, verr con teco e luce
Dar a' tuoi giorni che son tristi e foschi.
Come non lunga, dopo ci, stagione

Che

In ciel

si

volse, rapida

sventura

18

Incolse al protettor del giovinetto.

Quello

esperto e vigile ed accorto

Babk moriva, ad

altri

abbandonando

Quest'antica dimora. Allor che annunzio


Ne venne appo Ardevn, pieno di doglia
Ei fu davvero e

L'anima sua.

f'

si

Ma

trista e

oscura

tosto ogni gagliardo

Ambi di Persia le
Le die al maggior

contrade, e

sire

il

de' figli suoi. F'

cenno

D'apprestar fuori timpani regali


E si traesse dalla reggia ai campi
Lo stuol de' prodi. Allor, subitamente,
Si f' oscura la terra e trista al core

D'Ardeshr per colui che s '1 protesse,


Di splendid'alma saggio vecchio. Il core
Ratto ei togliea da l'esercito accolto
D'Ardevn prence e dopo il tristo annunzio

Nuovo prese

consiglio.

Oh

veramente

Per cruccio inverso a lui pieno d'un'ira


Era quel core, ed ei per ogni parte
Cercavasi

la via di

E avvenne

poi

pronta fuga.
l, nella sua reggia.

che

Prence Ardevn raccolse un'assemblea


D'astrologi dassai, d'alma serena,

investigar la propria stella e quale

via del viver suo, cercando ancora


Di chi mai protettrice, in suo mutarsi,

La

D'allora in poi la sorte fosse.


S gli

mand

Il

prence

presso Gulnra, quivi

Gli astri del cielo a contemplar.

Tre giorni

Passar di tempo in tale impresa, e l'astro


Del nascere del prence ivi con cura
Fu guardato per lor. Ma la fanciulla,
De' tesori custode, allor che intese
Di quei le voci e

Ascendente del

il

favellar dell'astro

re, di lor secreto.


Per quei

tre giorni e fin clie tre vigilie

Furon trascorse

Fu

19

della notte, intenta

agl'imlovini, e piena al cor d'un alto

Deso, col labbro sospiroso e mesto,

Teneasi a mente lor parole. Al quarto

Giorno che venne, andar que' sapienti


D'alma serena a sciogliere l'arcano
Appo Ardevn; movean con quelle ancora
Astronomiche tavole nel grembo
Al lor signor, togliendosi alla torre
Della fanciulla, e dissero

Del

ciel

secreto

il

superno e ognun

f'

sue parole

Del come e del perch, del quanto ancora.


D'oggi in avanti, elli diceano, a tempo

Che non

lungo,

il

cor del nostro sire

Per cosa nuova si dorr. Dal prence


Fuggir un servo di regal prosapia

d'inclito valor. Principe illustre

Ei sar poi, signor dell'ampia terra

Con

amica e

sorte

disiosi

frutti.

quegli accenti corrucciossi forte

che avea propizia

Dell'inclito signor,

Fortuna,

cor.

il

Ma quando

tenebroso

pece de la terra assunse


La superficie, appo Ardeshr ne venne
La giovinetta. 11 cor di quel fanciullo

Color

di

Come un mar

si

agitava;

un

d soltanto

D'Ardevn non posava ei dal pensiero,


E la donzella ci che detto i saggi

Avean d'alma serena


Prence Ardevn,
Paziente

Ma

fece e

si

Ratto che

al glorioso

ridisse allora, ed ei

manso e dolce

detti di

Gulnra

intese.

poi del garzoncello a quegli accenti

core s'infiamm,

di

fuga poi

Ricercossi una via,

che

Il

si

volse

la fanciulla e disse

Andr

alla terra, se

Oh

se d'Irania

da Rey discendere-

Alle citt potr de' valorosi,

Pensa tu se con me per l'aspra via


Incamminar ti brami, o se qui accanto
Al tuo signor restar ti vuoi. Se vieni.
Se meco vieni, ricca tu sarai.
Sarai corona di quest'ampia terra.
.

son schiava, ella rispose, e


Fin che viva sar, sar divisa
Io

Da

ti

te quaggi.

Con

mai,.

sospirose labbra

Ella cosi dicea, lagrime ardenti

Gi versando dagli occhi, e il


Prence Ardeshh', a lei s vaga
Anche dicea: Dimani, e non
Andar si dee.
Tornava a le

giovinetto.

e bella

scampo.
sue stanze

La giovinetta

e l'alma e la persona
estremo rischio per amor ponea.
Ratto che al sol si f' splendente e vaga
La superficie de la terra e cadde
La notte ombrosa dentro a' lacci apposti^
Schiuse le porte de' tesori suoi

La

giovinetta e incominci diverse

Gemme
E

a cercarsi,

gemme

Venano

gemme

l rest fin

Scese

lei

all'uopo. Alle sue stanze allora

Ella torn recandosi fra


L'inclite

imperiali,

rubini e monete in quanto a

mano

nel suo ricco albergo,

che dal monte a

la notte e

lei

immerso era nel sonno

Ardevn, e deserto era quel loco.


Rapida allora come freccia uscia
Dal suo castello, appo Ardeshr le sue
Gemme recando, e l vedea quel forte.
Avido di poter, starsi con una
Tazza alla mano. Gli dormano attorno,.

Ebbri dal vino, de' cavalli suoi


Tutti

custodi,

ma

trascelti quivi

gran prezzo, pascolanti


A' beveraggi intorno e con le selle
Al dorso avvinte, due destrieri. Allora
<lhe il giovinetto di sua gloria amante
Gulnra in volto rimir, le gemme

Erano

di

Ratto ch'ei vide rilucenti e quelle

Monete accolte, gi depose il nappo


Subitamente e agli arabi destrieri
Le briglie al capo rassett. Vestia
Una corazza, e con un brando in pugno
Intinto di velen balz in arcioni.

Mont su l'altro palafreno allora


La giovinetta che le gote avea
Di luna, ed

D'un moto
Volsero

il

Andavan

ambo a
sol.

via partir gittrsi

Dal solitario ostello

viso di Persia alla terra.


la via

lieti in cor,

cercando.

Avvena che Ardevn d'anima

Non

era mai, senza

lieta

sua

la bella

Gulnra, e notte e giorno. Ei da' broccati


Del suo giaciglio la cervice mai

Non

sollevava o

gli

omeri

al

mattino

Se in pria, qual lieto augurio, ei non vedea


Oulnra in viso. Come giunse ancora

Tempo
Tempo

in quel d per lui di su levarsi,

in broccati di

adornar

Del regal seggio, non entr da

l'altezza
lui

Al suo guancial la giovinetta, ed ei


S'adir grave e per quell'atto avverso
Ebbe cruccio e dolor. Gi su le porte
prodi.
Stavano in pie dell'esercito
Gi s'adornava il regal trono e il serto
E l'ostello del re, quando levossi
Dal limitare il maggiordomo e venne
i

All'inclito signor.
Disse,

Stanno a

le porto,

principi ornai, quanti son duci

Del regno tuo preposti a

le

contrade.

V. Persecuzione di Ardevn.
p. 1372-1375).

(Ed. Cale.

A' suoi valletti disse


Il

il

re:

Deh! come

suo costume e la sua legge assidua

Non

osserva Gulnra ? Ella non viene


Al mio guanciale. Forsech nel core

Ma degli scribi
Cruccio per me le sta ?
Entrava il duce in quell'istante. Ei disse:
Ieri di notte, ad ora inconsueta,
Se n'andava Ardeshir. Dai beveraggi
Il

bianco e

il

bruno palafren

si

tolse.

Quali eran gi del nostro inclito sire


I

Anche

destrieri prescelti.

fugga

Del nostro prence la donzella cara


Colei,

che

il

suo tesor

Con ArdesWr and.


Balz

Un

il

gli custodia.

Dell'uom

rissoso

core nel petto. Egli salia

biondo palafren, seco recava

Molti assai cavalieri incliti in armi

Detto avresti ch'egli

mandava attorno

Fiamme di fuoco. In
Un nobile castello, e

su la via scoverse

Ed ei
Suon

v'eran dentro

quadrupedi molti,
richiese: All'alba, al primo

Uomini

di

assai e

zampe

sole,

ferrate di cavalli

Forse che udiva alcun di voi ? Passarono


Per questo calle due, rapidi e sciolti
In lor cammino, e bianco palafreno
Disse
L'uno si avea, bruno quell'altro.


Un

Ma

gente:

di tal

Su due

Oh

passanjn due

s!

destrieri e s'internar pei

dietro ai cavalieri

Capra

23

campo,

una leggiadra

de' boschi qual destrier correa,

Sollevando

Al

la polve.

consigliero

Disse ratto Ardevn: Deh! perch mai


Correndo va l'ignota capra?
Questa.
Gli rispondea, di lui che va fuggendo,

regal maest, questa gli

l'ala,

Regal possanza con amica stella


Per ottener. Che se il raggiunge e tocca
Nella sua corsa

la

selvaggia capra,

Davver! che lunga qui per noi diventa


Cotesta cura

Ma

discese allora

quel loco Ardevn, cibo vi prese

ripos, poi

ne parti veloce.

Cos, dietro Ardeshr, ei s'affrettavano,

E Ardevn precedea
E il giovinetto con

col suo destriero.


la

sua fanciulla

Dal correr suo, qual turbo impetuoso,

Un

solo istante

Che qual

non pos.

Davvero

propizio ha questo ciel superno.

danno da' nemici suoi


Toccar non pu
Ma poi che si stancava
Ardeshr animoso al correr lungo,
Vide un laghetto da un'altura e tosto,
Offesa

Ei giovinetto in

camminar

Disse a Gulnra:

veloce,

diuturno stento

Congiunti qui siam noi. D'uopo discendere

quella fonte poi che

palafreno e cavalier. Rcstiamci

questo loco e

sfatti

sono

di quell'acque chiare
beviam. La nostra via
Seguiterem dopo la sosta breve.

Una

stilla

Come
Ambo a

giunsero all'acque
le

gote

come

giovinetti

sole accesi.

Primo Ardeshir nell'atto che discendere


Volea di sella, due garzoni accanto
Al laghetto scopri. Deh! che t' d'uopo,
Diceano ad alte voci i garzoncelli,
Briglie e staffe adoprar! Libero uscisti
Dall'alito del

N bever

drago e da sue

fauci,

quest'acque ora ti giova.


No, no, d'uopo non che tu discenda

di

ber dell'acque; che dovresti allora

La tua persona d'un eterno addio


Salutar.

Come

ud queste parole

Prence Ardeshir da chi lo consigliava,


Ecco! a Gulnra egli dicea, tu questi
Detti riponi in cor

Novellamente fr

Fr

Cosi

le staffe

de' pie gravate,

disciolte le redini, e quel

prode
rec l'asta lucente.
Ma dietro a lui qual rapida bufera
Sire Ardevn, con alma fosca e rea.

In collo

si

Venia per simil guisa. Allor che scorsa


Fu del giorno met, quando scendea
Per la volta del ciel la bella face
Che d lume alla terra, adorna ei vide
Una citt, donde gran gente accolta
Venne correndo intorno a lui. Si volse
Ai sacerdoti il nobile signore

cosi disse:

Due

cavalieri

De' sacerdoti

Quando mai passarono


?

il

Gli

'

rispose allora

duce: Inclito sire

Di bella sorte e di consiglio eletto,


Nell'ora che

Quest'almo

si

sol,

fea paUido in cielo

quando stendea l'azzurro

Suo vel la notte, passaron veloci


Per la nostra citt due cavalieri,
Pieni di polve ed aridi a le fauci

Per manco d'acqua.

Ma

venia da tergo

Ad un

de' cavalieri una selvaggia


Capra veloce; immagine simile
Dipinta in regi ostelli unqua non vidi.
Forse che ritornar da questo loco
Vuoi tu, signor? cos disse il ministro
Al regnante Ardevn. Raccogli intanto
I

prodi tuoi, l'armi guerresche appresta.

Che ben diversa la contesa tua


Ora diventa Appo Ardeshr, da tergo,
La sua fortuna si sed; ma noi.
Dal correr nostro, solo avremo in pugno
!

Inutil vento! Scrivi al figlio tuo

Un'epistola acconcia e nell'epistola

Tutte

le

cose

Toccando e

gli

racconta, questa

quella.

forse egli alcun segno

D'Ardeshr trover, perch costui

Munger non
II

possa de la capra sua

dolce latte.

Come

ud que' detti

Prence Ardevn dal suo ministro, vide

Che gi l'impresa sua faceasi vieta.


Fra quelle mura cittadine ei scese

a Dio signor, dispensator di grazie.

Mand una

prece.

Come

poi la notte

Giorno divenne, all'apparir dell'alba,


Ei comand che l'esercito suo
Si ritornasse, ed ei ne venne ancora.
Smorte le guancie sue qual una canna

Ma

Esile e spenta di color.


la notte

Si

f'

In

Rey

il

sire

quando

oscura e tenebrosa,

penetrava e tosto

Un'epistola sua pel figlio suo

Scrivea cos: Levossi ad opra infida

La rea menzogna, che

partiasi

Dal mio guancial

come non vola

cosi,

Alcuna freccia dall'arco

omai

stridente,

Ardeshr temerario. In Persia

ei

scese;

20

E tu, mio figlio, cercane vestigio


Nascostamente, ma non dir cotesto
A persona quaggi per l'ampia terra.
Ma di qua discendea rapidamente
Fino al mare Ardeshr. Voltosi a Dio,
Cos dicea:

Tu

sol,

che mi proteggi.

Dal mio nemico libero mi

festi

E sicuro da lui. Deh! mai non vegga


La sua persona beneficio in terra
!

Quivi

ei

pos.

Qualcun

Ghiamossi accanto e

le

de' marinai

passate cose

Tutte seco narr con sermon lungo;

gran senno, allora


persona
E il volto contempl, ratto conobbe
Che altr'ei non era fuor che de la stirpe
quei, gi vecchio e di

Che d'Ardeshr

De'

Kay

la nobile

regnanti e

s'alliet di

quella

Sua regia maest, di sua grandezza.


Veracemente. Rapido egli scese
Al mare e d'ogni parte i navicelli
Dentro all'acque sospinse. Al
Dell'inclito Ardeshr, tutto

un

lieto

annunzio

esercito

Su quell'acque

s'accolse, e quali ancora


Discendean da Babk fra quelle mura
Inclite d'Istakhr, vampo si presero

Del lor signore alla novella, e quanti

Vivean

di

Dar

della stirpe e mite

Avean dominio per

le

terre sparse,

D'Ardeshr prence a l'improvviso annunzio

Avean
Il

tal gioia,

che dell'uom gi vecchio

cor ringiovan. Venian dal mare,

Venian dal monte

le

festose genti

Al garzoncello a squadre a squadre, e intanto


Da ogni citt si raccoglieano attorno

costui che cercavasi sua gloria.


Uomini saggi da' consigli eletti.

Ardeshir giovinetto, a far parole,

Famosi saggi
D'alma serena, egli dicea, nessuno
Dell'inclita assemblea qui si ritrova,
D'uomini saggi da' consigli eletti.
Che udito gi non abbia opre che fece
Pel vile animo suo quaggi nel mondo
Sikendr tristo e reo. Spense i nostr'avi
Ad uno ad uno e l'opra sua non giusta
Sciolse la lingua allor.

Gli die in

pugno

la terra. Or, poi

ch'io sono

D'Isfendir della semenza, bello.


Bello sar che giusto non si dica

Da

seder quale monarca

tutti noi

Prence Ardevn tra le frontiere nostre,


Per che ninno di noi del tristo caso
Faccia ricordo. Che se a

me

alleati

In ci sarete voi, la regal benda


E l'alto seggio in potest d'altrui
io sopporter. Deh! che mai dite?
Qual mi date risposta? Oh! mi rendete
Risposta acconcia con acconci detti!
Nell'assemblea quanti erano raccolti,
E consiglieri ed uomini gagliardi
Usi il ferro a vibrar, tosto che udir
Queste sue voci, si levarno in piedi

Non

tutti disvelar dal

Il

secreto pensier liberamente.

cor profondo

Quanti Siam qui, dicean, della semenza


s davver! che lieti fummo
Del rimirarti in viso, e quanti siamo

Di Babk,

Del germe

di

Sasn, per vendicarti

Stringiamo

a'

fianchi la cintura. Stanno

Dinanzi a te l'anime nostre e i corpi,


E nostra gioia e nostro duol s'appuntano
Nella tua sorte o lieta o trista. Assai

Tu maggior

se' di tutti,

in

due che vanti

28

Stirpi reali, e imperiai possanza

A te s'addice e nobile grandezza.


Ma noi, pel cenno tuo, l'alte montagne
Appianeremo ancor, tramuteremo
Co' nostri ferri in un'onda sanguigna

L'acqua tutta del mar.

Come

superar del

risposta

che

intese Ardeshir, parve

Quella sua fronte

Cotal

in alto

levasse, gii astri

si

cielo. Ei

benedisse

A' prenci tutti e nel profondo core

Di sua vendetta s'allog pensiero.

Una

citt vicino al

mar

breve

di traffichi in

fondava,

inclito loco

Divenne la citt. Ma un sacerdote


Ad Ardeshir cosi parlava un giorno:
Nobil signor di propizia fortuna,
Diletto al nostro cor, tu rinnovelli

La regia

potest,

ma

in pria t' d'uopo

Gli sterpi sradicar di Persia tua.

Ardevn la guerra,
Che giovinetta la tua sorte ancora
E giovinetto il re, mentre colui
Indi farai con

Fra tutti
Vince in

Regi de

le stirpi ogn' altro

tesori; tu vedr'

da

lui

Fiero travaglio nella guerra. Allora

Che

dal suo loco rovesciato avrai

Quell'alto seggio, fermo a te dinanzi

Niun

altro

Parole

si

terr.

Come

di colui si dolci al

le

acconcie

core

Ardeshir ascolt eh' alta recava


L'alta cervice,

Della

montagna

Quest'almo

Da

appenach

sul vertice

sollev la fronte

sole, in

Istakhr sen venne

quell'acque del mar. Novella giunse

Di lui pur anco d'Ardevn al

Behmn

illustre, e

figlio,

quel suo cor d'affanno

20

Ratto fu pieno e l'alma

si

Eppur, sul trono suo

re sovrano,

Ei

non

f'

indugio,

di

ma

le

f'

scura.

sue falangi

Tutte raccolse con guerreschi arnesi.

VI. Vittoria di Ardeshir e

morte

di

Ardevn.

(Ed. Cale. p. 1376-1379).

Un prence erari allor, Tebk il nome,


Ricco d'armi guerresche e di gagliardi,
Ricco

d'alti

Di citt di

consigli.

Gihrm

Era costui

nobil signore,

Sperto e avveduto e libero e disciolto


In sua possa regal. Sette egli avea
figli; ed ei, ratto che intese
Novelle d'Ardeshr, dalla presenza

Nobili

Si tolse di Behmn. Gihrm lasciando,


Appo Ardeshir ne venne e seco avea

Gente armata e timballi, e impetuoso


Era suo arrivo. Quando gli occhi suoi
Fino al volto arrivar del regal duce,
Com'ei dovea, balz dal palafreno

E
E
E

rapido avanz, bacigli

piedi

Sasn f' lungo


nobile ricordo. Oneste assai
de' figliuoli di

Fea

le

accoglienze l'inclito signore

Che am sua

gloria, e pregio in lui vedea


Per suo ratto venir. Ma conturbato
Per Tebk da un pensiero egli ne andava,
Ei, bramoso di gloria, e di sospetto
Pieno si fece e di temenza il core
Pel vecchio sire. Andavano pertanto

Circospetto per

Che

lui

lungo

la via,

belligero stuol venia con esso.


Ma

30

core

quello, esperto, vigile di

d'anni molti era davvero, e tosto

Il

secreto pensier del giovin prence

Conobbe e
Il

vide. S'avanz,

recando

Zendavesta, e cos disse: L'alma

Vile e spregiata di

Tebk

Dall'Eterno

Fattor sovrano,

gli

sia,

divelta

Se altro in core mi sta fuor che consiglio


Onesto e saggio. Quando a me pur giunse
Del regnante Ardeshir novella certa,
Gh'ei

le

sue genti a quest'acque marine

Condotte avea, di re Ardevn cotanto


10 mi stancai quanto di donna antica
Stancasi un garzoncel.

Tu m'abbi adunque

Di servo in loco d'inclite vestigia,

Pieno d'amor per te; m'abbi tu in loco


Di tal che pazienza in cor si alberga

E il tuo secreto custodisce.


Allora
Che ud Ardeshir quelle parole sue,

diverso pensier fecesi in core

Fondamento

novello.

Il

prode

tenne

ei

Di padre in loco e n'esalt la fronte

Su quanti eran con lui prenci


Da tal pensier cosi disciolto
Del nobile sovrano,

Fuochi

di

Ram

e di

famosi.
il

core

venne ai sacri
Kharrd, e quivi

ei

Dinanzi a Dio signor stette adorando,


Percli ad opre leggiadre Ei

Guida sicura e vincitore in

gli fosse

tutte

facesse le imprese e della sua


Real grandezza la nobile pianta
Portasse a recar frutti. Ei da quel loco
11

Discese poscia a le sue chiostre erette

've co' duci suoi vennegli incontro

L'armigero suo
De' fanti suoi

il

stuol. De' cavalieri.

computo

egli trasse

riguard qual fosse inclito e

forte,

Duce di prodi, fra cotanti. Allora


Che gli men cinquantamila innanzi
Animosi guerrieri, usi

le

spade

trar giostrando, chi de' prodi suoi

computo facea, chiedendo seppe


Ad uno ad un lor nomi il re novello
Il

dell'ampio suo esercito fu

Don monete

F' rafforzate e pronte.

Ei

f' di

lieto,

e le falangi sue

Anche ricordo

Dio, dispensator di grazie.

Poi che movea lo stuol qual fero pardo,


Contro a Behmn cos discese in guerra.
Figliuolo di Ardevn. Ratto che a fronte
Furon ambe le schiere ed avanzarsi

Avidi di battaglia

Da questa
Ordinarsi

valorosi.

e quella parte in
gli eroi,

tutti

Co' giavellotti e con le

lunghe

file

con l'aste.
spade in pugno,

nell'ora che tingesi d'azzurro


L'ampio velo del ciel, dentro la pugna
Di Tebk si avvent la gente armata.

Come

leoni battaglieri e forti

la pugna, e come rivo


D'acque scorrenti versarono i prodi

Ingaggiaron

Nemico sangue. Per

tal via, nel cielo

Fino a che il sole impallidi, ingombre


Fin che di polve fr del ciel le plaghe
E di morti la terra, ei l'accanita
Battaglia proseguian. Levossi allora,

Negra qual pece, una tempesta grave


E un turbine improvviso, e fuor dal mezzo
Dell'esercito suo gittossi ratto

Prence Ardeshir. Fugga dinanzi a lui


Il figlio d'Ardevn Behmn allora,
Ferito al corpo da una freccia, l'alma

32

Fosca e dolente. Ma gli corse a tergo


Ardeshr prence con fragor di tube
E con pioggia di dardi in fin che all'alte

Mura

in tal guisa d'Istakhr cittade

EUi giugnean,

l 've

comando

Avea Behmn. Come


Per

Da

e possa

del vero prence

ne and fama e novella,


innumerevol schiera

la terra

tutte parti

Di forti s'adun. Molti tesori


Gli additar che Babk ricolmi avea
Con grave stento, ed ei tutte le accolte
Monete dispens, forza ne prese

E fuor

Come
Pien

di

di

Persia le sue schiere addusse.

novella appo Ardevn giugnea,

spavento fu quel core e l'alma

Un

Dolente e fosca. Cos disse:


Dell'alto ciel questo

giorno

tremendo arcano

Un consigliero mi svel. Ma in quale


sventura quaggi eh' fuor del nostro
Argomentar, come potrem con studio
Evitarne il destin ? Non io credei
Che d'Ardeshr venir dovesse mai

Tale avido

di gloria e di leoni

Tal vincitor.

Cos

De' suoi tesori e

le

porte

ei

schiuse

gli stipendi porse,

Esercito adun, le provvigioni

Raccolse attorno. Vennero

le

schiere

che la polve
Di tante genti a rasentar ne andava

Di Grhiln, di Dilm,
Della luna la via.

Di l traea

si

Ma

tosto

il

sire

sue falangi, tale


D'eroi drappello, ond'ei serr la via
le

Alle tempeste. Allor, fra le due squadre,.

Spazio rest quant' di due trar d'arco


Rapido il volo, e gi nel suol profondo
Lor sonni non avean gli attorti serpi

33

De' timpani al fragore alto e possente,


Al suon de' corni, de' sonagli penduli

de' crotali d'India al fiero strepito,

Al gridar de l'esercito ed all'alto


Balenar de' vessilli, ai corruscanti
Ferri de' prodi che divelti capi

Spargeano al suol. Dur l'orrida pugna


Quaranta giorni in questa guisa, e questa
Altrice terra a' servi de' regnanti

Angusta

ornai

fea.

si

S'ammonticchiava

campagna
grama

Pei molti uccisi la vasta

E
I

stanchi di lor vita orrida e


feriti

si

Ma

fean.

Una nuvola

sorse alfine

fosca e l'uragano

Ebbe poter su

molta

la fatica

Della battaglia. Spaventoso

nembo

cor de' combattenti


terror. Gemeano i monti

Levossi allora e

Fu colmo di
E squarciavasi
Di questo

il

il

suol, vincea l'altezza

ciel lo strepito assordante,

che n'ebber sgomento

Si

valorosi

Di principe Ardevn, convenner tutti

Consenzienti in un sol detto. L'orrida


Bufera, elli dicean, che or si scatena

Contro Ardevn, cosa di Dio. Davvero!


Ch' d'uopo lagrimar per nostre squadre

Ma
Fu

nel d che pi forte e pi

la battaglia,

grazia

tremenda

saggi tutti

Vennero a dimandar pel viver dolce.


Si mosse allor dal mezzo di sue schiere
Prence Ardeshr, e si lev di dardi.
Che dall'alto piovean, fiero uno strepito
Subitamente. In mezzo a' suoi fu preso
Ardevn regnator. Oh s la dolce
!

Anima sua per

la regal

Ei dar dovette per la


FlRDUSI, Yl.

corona

man

d'un prode

3-


Kharrd, nome a

seco

il

34

costui.

Quand'egli

prese

'I

trasse, afferrate le briglie,

Avvinto nel cospetto


Di quel, voglioso

egli l'addusse

possanza. Allora

di

Che Ardeslir Ardevn scorse da lungi,


Re Ardevn si balz dal suo destriero,
Ferito al corpo d'una freccia, l'anima

Fosca e dolente. Al carnefice allora


comando Ardeshr: Tu va, tu prendi
Con una spada
Il nemico del re

F'

Per met ne

de'

dividi la persona

nemici

il

cor d'alto spavento

E il carnefice andava
E il comando esegua. Cosi disparve
Da questa terra l'inclito signore.

Cosi fa ingombro.

Del cielo antico questa l'opra, ed ora

contro ad Ardevn, ora ella contro


Ad Ardeshr Ma qual fino a le stelle
!

Sublime innalza, misero dipoi


Ella consegna de la terra al grembo.
Anche due figli d'Ardevn prigioni
Vennero allor, si che cadea la stirpe
Tutta d'Arsh per lui. L'inclito sire
Al carcere mand, con duri ceppi
Avvinti al pie, que' due meschini gli
;

altri

Gh' eran figli maggiori, all'aspro assalto


Sfuggir veloci, n della sventura
Ne' lacci s'impigliar. Sceser piangendo
In India alpestre, e degna cosa invero

Anche
Alcuna

saria

che tu

istoria.

Ma

di ci narrassi

quel

campo orrendo

Tutto fu ingombro di cinture sparte,


Di redini divelte e d'armi ancora

D'ambe

le schiere,

anche d'argento e

E il re f' cenno che


La ricca preda. A le

raccolta fosse
falangi sue

d'oro,

35

Ei la spartiva, allor che de' gagliardi

Usc Tebk dal mezzo e dall'accolto


Sangue purific le membra tutte

Del caduto Ardevn. Piangendo assai


Ne lav il corpo da l'onrata polve

un monumento

Della battaglia e fece

Qual

Ne

de' prenci costume. Ei

con broccati

rivest l'aperto seno e in fronte

Di canfora

gli

pose una corona

Acconciamente.

Ma

chi and di quella

Armata gente a Rey, del monumento


La polve calpest co' piedi suoi
Da quel giorno, e Tebk venia frattanto
D'Ardeshr nel cospetto e gli dicea
Sire che sapienza e brami e accogli.
:

Porgi

il

tuo patto e dell'estinto sire

ha corona e trono,
Maest regia e dignit. Davvero
Ohe in mano tua verranno e il diadema
E la corona ed il tesor che un tempo
Ardevn raccogliea con sua fatica

Chiedi la figlia. EU'

Come

ud quel consiglio e le parole

Oneste e sagge, nel medesmo istante


Chiese Ardeshr la regal figlia e poi.
Fino a due lune, in quell'inclito ostello
Ei si rimase. Ricco quel signore
Di genti armate, e ricca la sua schiera.
Dis'oso di gloria,

Da Rey in Persia
Lungo travaglio e

piena

Ivi ei f'

ei

da' tumulti allora,

di castelli

una

scese poi

e ripos dal suo

e di giardini

citt.

Dentro eran fonti


Il vecchio e nobile

pianure e pendici.

De la villa signor quella cittade


Maest d'At^deshlr con nome illustre
Appella

a' nostri

d.

Ma

v'era allora


Una

36

fontana d'infinita copia,

molti da quel fonte

il

re possente

Rigagnoli traea limpidi e chiari

E vicino a quell'acque al divo Fuoco


Un delubro ponea, dove le feste
Di Mihr e di Sadh novellamente
Ei ripose in vigor. Giardini attorno

V'erano e torri e nobili palestre,

Ampio edifizio sollevato al cielo.


Quando poi si mori quel re sovrano
Di forza adorno e di saggezza e ricco
Di maest, di quell'erme frontiere
Il

principe custode al loco

Die

nome

ameno

Shebrzr, fecevi attorno

di

Villaggi molti, e poi che bello e colto


Egli ebbe reso

il

dilettoso loco.

Genti vi pose ad abitar. Scoverse


In vicin loco

Ma

il

monte

un lago
traforar,

assai profondo.

perch scendessero

L'acque, era d'uopo. Artefici e scalpelli

Furono addotti e

il

principe custode

Cento ruscelli gi dall'arduo monte


Deriv con gran cura e da quel monte
A Shehrzr li guid. Si f' di case
E di giumenti la citt ripiena.

VII.

Guerra

coi

Curdi.

(Ed. Cale. p. 1379-1381).

Prence Ardeshir esercito

infinito

Adducea d'Istakhr, che apparecchiato


Co' belligeri Curdi egli sen giva

A far la guerra. Com'ei giunse al loco


Vicino ornai, con infinita schiera


Vennero incontro a
I

Curdi

37

per far battaglia

lui

e quella che parca

tutti,

Facile impresa, malagevol cosa

Ora
Era

che

fea,

si

l'orrido paese

Curdi propizio. Eppur, l intorno


Tutti raccolti eran di Persia i forti.
Pi d'assai che non era un solo d'essi

ai

trenta incontro.

Un

giorno, in fino a notte,

Accapigliarsi, e dell'iranio sire

Fuggi
Pei

Per

la schiera.

molti uccisi,

guerrieri in quella vasta

feriti

D'armi pianura,

si

f'

angusto

Della battaglia, e l non

Rimase

il

sire

il

loco

de' prenci

contrastato campo.

allor, nel

Toltone

un

con alquanti pochi

Delle sue squadre. Per l'ardente sole

E per

la polve del calpesto suolo.


Fessa e scriata per sete gli eroi

Avean la lingua. Ma i vessilli suoi


La notte allora sollevando, l'orrido
Tumulto f' cessar nel fiero assalto,
Nella mischia rabbiosa. Alto sul monte
Vide un fuoco Ardeshr. L si recava
Della terra

Volgendo

il

al

Con alcuni

signor con la sua scorta

fuoco scintillante
suoi

fidi,

di provetta et.

Vicino

al fuoco,

Stavansi

l,

Guardiani

di

il

volto,

garzoncelli

Com'egli giunse

vide che pastori

pecore custodi.

di capre, e l discese

Dal suo destrier quell'inclito signore


scesero i suoi. Piene di polve

E ne

Del tristo campo avean

le fauci

prodi,

avidamente chiese
Dell'acqua il prence, e quei subitamente
Acqua con latte gli porgean rappreso.
S

che

a' pastori

che

Ivi ei pos, di ci

Gibossi alquanto e

38

ivi

rinvenne,

lev dal petto

si

L'arnese suo quando la tetra notte

Fu

Degno d'un gagliardo

tenebrosa.

Gli fu giaciglio la corazza, ed ei

Guancial

si

f'

dell'elmo suo lucente,

Di foggia imperiai.

Ma quando

sorse

L'alba novella dal profondo mare,

Del prence iranio dal suo dolce sonno

La

fronte assorse, e de' pastori

Vennegli accanto

duce

il

suo giaciglio e disse:

al

Lungi dal capo tuo

la

rea sventura

La notte e il giorno! Qual


Danno improvviso poi che

t'incolse

mai

questi lochi

Sono il tuo calle e tuo giaciglio questo


D'una via f' inchiesta
Guerresco usbergo?
Il nobil prence de' pastori al duce:
Dove, andando di qui, del mio riposo
Loco abitato
Un loco trover ?

Non

troverai di qui, colui rispose.

Se una guida non hai. Di qui ne andando,


A quattro parasanghe di cammino,
Loco propizio a riposar dinanzi

te

Son
Sta

si

mostrer. Di

congiunti

villaggi a villaggi, e in ogni villa

un principe famoso.

AUor

che intese

Dal duce de' pastor, seco recava

Prence Ardeshir alcuni vecchi, esperti


Le strade a rintracciar, da quella greggia,
E da quel monte discendea con essi
Ad un villaggio. Del villaggio il prence
Ratto vennegli incontro, ed

ei

mandava

Suoi cavalieri, giovinetti e vecchi,

Da quel

loco abitato all'ardue

Di Maestate d'Ardeshr.

Che

alla sua

Ma

mura

tosto

sente del suo re novella

Rapida giunse, presero

la via,

Tutti festosi in cor. Gli esploratori


Mandava allora de' Curdi alla terra

Ardeshir prence, a investigar lor opre


Nascostamente. Andarono veloci

ritornar, discesero al signore

D'Irania bella e dissero: Son tutti


Di lor gloria bramosi e son festanti.

Ne

alcuno del signor d'Irania bella


Serba memoria in cor. Pensano intanto

Che invecchi d'Istakhr

fra l'alte

mura

Prence Ardeshir, che la fortuna sua,


Giovane un tempo, a vecchia et si cali.
Ratto che ud quelle parole, il prence
N'ebbe gioia verace, e

casi suoi

Intravvenuti cosa lieve al core


Parvergli allora quale un'aura lieve.
Si ch'ei scegliea da l'inclite sue squadre

Tremila, usi a vibrar spade lucenti.


Cavalieri pugnaci, e mille eroi

D'archi forniti e di turcassi colmi


E di quadrella si traea con seco.

E
Il

poi

che

il

sole impallidi, sue genti

re condusse, abbandonati a dietro

Quanti

ei

menarsi non potea.

met

Ma

alla

A' Curdi eroi

ritorn da presso.

si

f',

tosto

del corso

Che fu la notte
E pi oscura si

quel re del

mondo

Vide che di dormienti il vasto campo


Era ingombro per essi, e vide ancora

Che intenebrato dell'avverso


Era

l'ignobil cor. Poi

stuolo

che vicino

Ei fu al guancial de' Curdi addormentati.

Libere lasci andar le attorte redini


Al suo veloce palafreno e trasse
L'acuta spada e vi die dentro e pose

40

Di sangue una corona ai capi eretti


Dell'erbe al

campo

verdeggianti. Allora

mani divelle
Videsi ingombra la campagna; quivi
Tutta

di capi e di

Alla faccia del suol giacean conftti


I

Curdi prenci. Innumerevol schiera

Venne

prigione, e tracotanza allora

stoltizia

Ma

cadeau spregiate e

la terra de' vinti

il

vili.

nobil prence

Alle rapine abbandon; sportelle

D'auree monete e

serti rilucenti

s che accadea
una conca e sopra
Al capo suo le raccolte monete
Un uom, gi vecchio, a la campagna, ninno
Alle monete sue volgea gli sguardi
Con trista voglia, per giustizia vera,
Per inclita fortuna a quel bel tempo

A' suoi forti

ei

don,

Che ove recava

in

Ne vampo

Del nobile signor.

men

Ei

Ma

di

allora

valor fra quelle mura.

fieramente alla citt discese

D'Istakhr sua. L

Vigor rendete

a'

f'

precetto e disse

palafreni e l'armi

De' cavalieri facciansi per voi

Di colpa immuni.
I

Che
II

genial convito

vostri corpi riposate insieme,

ratto pur verr del di dell'armi

novello pensi er.

Si volser tutti

banchettar quegli animosi, e poi


Che si pos dal cinto de la guerra
Il

fianco attrito, assorto in

un pensiero
La storia,

Di nuovi assalti fu Ardeshir.

Udita che

l'avrai, tu

serba in mente.

Vili.

Leggenda

41

di

Heftvd

e del

verme.

(Ed. Cale. p. 1381-1384).

Vedi prodigio che narrava un giorno


L'uom de la villa al d che ogni secreto
Da l'intimo svel, quand'ei parola
Tenne di Persia e dell'ampiezza sua,
Di sua lunghezza ancor, dall'ardue mura
Di Kugiarn fino a le sponde apriche

mar

Angusta era a que' tempi


con abitanti molti,
E ciascun si vivea delle sue mani
Con l'opra assidua. Eran fanciulle molte
Del

Una

di Persia.

citt

Nella citt che lucravansi

pane

il

Contro voglia e deso; ma pi vicino


Era un gran monte da una parte e a quello
Tutte n'andavan

un

In

sol

le fanciulle accolte

gruppo, e d'esse la bambagia

Recavasi ciascuna al giusto peso


recavasi ancora un cofanetto

In duro legno, a collocarvi

fusi

Veloci adatto.

Le giovinetto

in su le porte e poi

ragunarsi andavano

Gioiosamente uscian dalla cittade

monte si volgean. Lor scarsi cibi


Ponean quivi in comune e nel mangiarne
Parte non era mai che all'altre fosse
maggiore o minor, n andavan mai
al

Detti oziosi intorno a sonni o a cibi.

Ma

lor gloria e lor

biasmo era soltanto

In lor bambagia. Al cader della sera

Tornavan
In lungo

La

lor

Ma

tutte a lor dimore,


filo

quando

tutta erasi volta

bambagia candida e leggera.


dentro alla

citt,

povero e gramo

di

gaia natura,

Heftvd

il

nome

Cosi ne andava
Cosi quel

42

un uom vivea;
Deh! perch mai
nome suo? Ne andava

suo.
il

nome perch

avea
una figlia

sette

Figli nobili Heftvd. Sola

Avea, diletta al cor, che pregio alcuno


Ei non ponea nell'aver figlie assai.
Ed or, s avvenne che sedeano un giorno

monte
che avean di cibi
In comune ponean, lasciando al tempo
Co' fusi lor le giovinette al

In

ampia schiera e

ci

Di lor pasto frugai gl'intorti fusi;

A-vvenne ancor che quella giovinetta


Fortunata d'Heftvd un picciol pomo
Che il vento scosse dal natio suo ramo,

Vide a mezzo
Ella

il

Rapidamente

la via.

raccolse; e tu frattanto ascolta

Del prodigio la storia.

La
Il

A.llor

che morse

giovinetta da le belle gote


picciol frutto, dentro vi scoperse

Un verme
Con

le

ascoso.

Fuor

dal

pomo

sue dita e acconciamente

trasse

il
il

pose

De' fusi nel forzier. Quand'ella poi

trarre incominci dal cofanetto

La candida bambagia. Ecco! ella disse.


In nome del Signor che non ha pari.
Non ha compagni, portentosa cosa
Oggi a voi mostrer filando intenta
Dietro la sorte d'esto verme, ascoso

Nel pomo rubicondo.

Intorno

Riser gioiose

le fanciulle, liete

Ne'

mostrando

volti lor,

File dei denti, e quella

Due

le
si

lei

argentine
filava

si

che in un
che ne scrisse

Su l'arena del

suol, poi di l

cotanti di ci

Filar solea,

sol giorno
il computo
venne


Pari a

nembo

Quanto

filato

43

di fumo, ed a la madre
avea mostr festante.
Lei benedisse con amor la madre

In questi accenti

Nobil frutto avesti,

Vaga fanciulla mia, candida luna


Due volte
Che hai l'aspetto di sol
!

tanto

Di ci ch'ella solea recarsi al giorno,

Al primo albore
Di materia a

Da

madre.

cor con la persona intenta

il

All'assiduo

cos ella disse

filar,

le donzelle di

Compagne mie

Come
Per

dolci

io d'esto

verme

fortuna in tanta copia

che non anche d'altro

trassi,

A me venne
E

gran nome

di bella sorte, in volto

lune leggiadre,

la nobil

filo

Il

la

Tosto che giunse

quella schiera di fanciulle industri,

L'anima e

assegn

le

filar.

bisogno all'opre industri.

che recato

filavasi allor ci

Aveasi in pria,

che

dell'altro

ancora

Ove stato vi fosse, a lei venuto


Bene all'uopo sara. Seco alle case
Recava poi ci che filato avea
Acconciamente, e il cor della sua madre
Si fea per lei quale giocondo e lieto

paradiso. Intanto, ogni mattina,


Un morsellin di quell'agreste pomo

quel

verme porgea

Dal volto

di Per, poi

la giovinetta.

quel cotanto

Ch' ella accrescea di quella sua bambagia,

Qual donna incantatricc, ella filava.


Avvenne ancor che un d la madre e

il

Cos diceano a la fanciulla industre:

Tanto tu

Un
Con

patto

fili

festi

alata Per

Forsech, o leggiadra,

quale
?

di sorella

La

giovinetta

padre


Candida e vaga

del picciolo

Subitamente

quel

di

verme

alla

44

pomo

ivi

agreste

nascosto

sua dolce madre

Fecesi a favellar. Mostr quel

verme

Inclito e industre a' genitori suoi,

E n'ebber luce quella donna antica


E l'uom di lei. Heftvd l'arcano evento
Prese per s con

Mai pi

si

lieto

augurio, e poi

ricord dell'opre sue,

Di suo lavoro,

ma

soltanto

ei

fea

Parole ognora de la fausta sorte


Del verme industre, e la fortuna antica
Per lui ringiovan. Cos passava

Tempo non

lungo, e ad ogni d suo stato

Pi splendido

si

ned

fea,

essi a vile

Tenean quel verme, s '1 tenean contento


Con cibi acconci, e quei crescea frattanto

E vigor si prendea, si che


Ed il lubrico dorso un bel

la testa

colore

Assunsero ben tosto e gi de' fusi


Era angusto il forzier per lui si grande.
Qual negro muschio il suo mantel si fece,
;

E su quel muschio, lungo tutto il dorso,


Da capo a pie, mostraronsi lucenti
Macchie

Una

di

zafferano.

Ecco

gli

fece

bell'arca tutta negra e dentro

Vel pose ad albergar con molta cura


Heftvd accorto; e si fu allor che dentro

quell'ampia citt nessun parole


per consigli o per giustizia mai
Formar potea senza di lui. Suo pregio
In alto crebbe e crebbe sua sostanza

E grado

e dignit;

li

sette

figli

Fecersi ancora ed opulenti e ricchi.

Un

principe era ancor fra quelle

Della citt, superbo e tracotante,

mura

45

D'inclito grado, con guerrieri eletti.

Gercavasi costui cagion di colpa


Contro Heftvd per denari ch'ei volea
Torre a quest'uom d'umile stirpe. Intanto,
Presso Heftvd

si

adunar famosi

Subitamente, presso

pugne amanti, e

Di

a' sette

di

guerra

in

Agli

guerresche tube

Da Kugiarn levossi alto uno squillo


E vennero con l'aste valorosi,
Con le spade e le freccie. Andava innanzi
i

Heftvd a

Sire, e le

ne
che

tutti; ei scese

E f' giustizia
La citt prese

di valor,

e trucid l'ingiusto

gemme

Venangli in

l'assalto

tosto

sue ch'erano assai,

mano

co' tesori. Allora

Una gran turba s'adun dintorno


Al vincitor, che ascese alla montagna

Da Kugiarn

citt. Quivi,

su l'alta

Vetta del monte, un bel castello

ei

fece,

tutta v'ascendea raccolta in folla

Gioiosa la citt.

Fu

posta in ferro

Al castello una porta, e ben fu quello

di

pace e

di

guerra

inclito loco.

monte una fontana, e in mezzo


Al nobile maniero ella scendea
Per lieta sorte. Heftvd intorno intorno
Era

sul

un muro vi eresse, e chi vedea.


Scoprirne non potea l'altera cima

Alto

Con gli occhi suoi. Ma quando angusta e grama


Al verme industre si f' l'arca, sopra
Quel monte eccelso, fra quell'alte rupi,
Gli fecero una cava, e molle e molle
Vel poser dentro, poi che al ciel sereno

commesse pietre
E la calce ivi apposta. Anche avvenia
Che del verme il custode orni mattina
Si fero asciutte le


D'Heftvd, correndo,

E gli apprestava
Un gran caldaio
Vuotavasi

il

46
si

parta dal fianco

di nigella

bruna

per suo cibo.


caldaio apposto a

Il

verme

lui.

Su cotest'opre volsero nel cielo


cos, quando si fece

Alquanti anni

Qual elefante nella sua cervice


E nel dorso quel verme, e poi che tempo
Cos passava per Heftvd, ei pose

Nome Kirmn
Da quel verme

all'inclito castello,
il

traendo. Era del

verme

Lieta custode la fanciulla, e il padre.


Pugnace e battaglier, n'era pur anco
Il

nobil duce. Gli assegnar scrivani

sagaci ministri, e n'era intanto


Nigella bruna e miei con dolce latte
Il

grato cibo. Stava alla sua porta,

Come duce d'eroi, Heftvd intento


E dell'opere tutte, e giuste e ingiuste,
Ghiedea norma da quello. Egli discese
Fino a Kirmn dal mar di Cina e tutte
Su le spiagge del mar le sue distese
Ampie

falangi.

sette figli suoi

avean forti guerrieri


Di spade armati, avean tesori ed armi
Da far battaglie. Ma se re pur fosse
Che a far guerra venisse, allor che accanto
Venan sue schiere al prodigioso verme.

Diecimila

si

Quell'esercito suo qual

si

Rotto ne andava, tostoch

venia,
la

fama

Di tanta istoria udasi attorno. Quella


Porta d'Heftvd illustre e celebrato

Fu tale allor, che intorno ad essa vento


Non osava spirar. L'arduo castello
Di genti armate e di tesor fu pieno,

E la tempesta su quell'alte mura


Libero varco non avea giammai.

47

IX. Spedizione
(Ed. Cale.

Come

Ardeshir.

di

1384-13S6).

p.

d'Heftvd ebbe novella ceria


gli fr dolci o grate

Prence Ardeshir, non


Quelle parole.

Il

nobile signore

Esercito invi d'alta fortuna


battagliero incontro a lui; ma quando
N'ebbe l'annunzio Heftvd, pensier di quelli

Gi non

Le

gli

entrava in cor. Pose frattanto

insidie sue del

monte

in

un

recesso,

Indi co' prodi suoi discese ratto

contrastar.

Come

destar

gli

sdegni

Da questa parte e quella ambe le schiere


E fer battaglia con bipenni e clave
Ferocemente,

De

si

lev d'un tratto

l'insidie dal loco

una novella

di prodi, e a' principi

Schiera
Si f' oscura

la terra.

famosi

Oh! pi nessuno
la mano, e detto,

Scerner potea dal pie


Detto avresti! che il suol tenace e greve
Incatenata avea la man de' forti.

Ma

per

gli uccisi tal si

rese allora

La valle e il monte e la vasta pianura.


Che il vincitor dal menar stragi attorno
Stanco e affranto venia. Quanti superstiti
Restarno al loco de l'assalto, indietro
Al lor prence e signor si ritornarono
Precipitosi, e come n'ebbe annunzio
Ardeshir celebrato e quando l'ampia
Strage egli intese e l'orrida rapina

E
E

il

le

gran tumulto, ebbe corruccio e doglia


sue genti richiam d'un tratto

48

dispens con rapido pensiero

Monete ed armi. Furiando venne

A
E

Heftvd incontro, e di quell'uorn d'abietta


vii natura la superba fronte

Al cielo

si

Rec

lev.

tesori

Dal suo castello ed armi ancor, se bene


Vii cosa innanzi a lui fosse l'esercito,

Fosse

la

Ma

pugna.

il

maggior

de' figli

Era lungi da lui. Quand'egli seppe


Qual guerra al padre suo gi gi toccava,
Da' suoi riposi e da' suoi lunghi sonni

E da sue cene

egli levossi e ratto

questa sponda

si

Maligno e reo.

Ad Heftvd
Ben

si

rec del

mare

L'uom che am sua

Su
Shahy nome
navicelli.

ei

gloria,

avea. Protervo egli era,

Cos, su navicelli,

ne venne, e

s'alliet pel figlio suo.

il

cor del padre

Ma

poi.

All'ala destra dell'accolto esercito.

Suo loco

ei f',

che duce era

de' prodi

ordinator de le sue schiere. Intanto

stavano le due
squadre
e piena avean la mente
Nemiche
D'un ardor di battaglia e lor tesori

Ordinate

si

Di dovizie ricolmi. A quei guardava


Prence Ardeshr dal loco suo. Davvero
Che dell'uom giovinetto il cuore aperto

Invecchi allor nella rancura grave!


Ma le due genti trassero da questa

E quella parte lor


Le spade scintillar,

contrarie schiere.

D'aspra tenzone, e

come

levossi

ardore

poi dal dorso

Degli elefanti strepito ne venne

Di timpani sonori, ecco! a due miglia

La gente ne stord. Glangor di tube


Anche levossi allor, la terra intorno


Da

49

strepitar di timpani di bronzo

Tutta fu piena e il suol profondo in guisa


Si scosse orrenda sotto a' forti chiovi
De' ferri de' cavalli, e l'aer di porpora
Si color pei rapidi vessilli

De' capitani.

Parve

Al fragor de

Su

Ma

dall'alto

le

cielo

clave in gi cadenti

le celate, e al

Come

il

abbandonar fuggendo

la terra

correr de' cavalli

turbo veloci e percotenti

suol calpesto; ogni pendice intorno,


Ogni pianura ingombra si vedea

Il

Di corpi

sfatti

a cui lontana assai

Giacca la testa. Ma d'Heftvd l'esercito


Tale fu allor che detto avresti un mare
Esser quello davver che alto si leva
In rapida tempesta, e la

Sotto a due schiere

si

campagna

fu tal,

che

il

varco

Fecesi angusto a bruchi veramente

Ed

a formiche. Tal

Mischia nel campo

dur l'orrenda
che il giorno venne

fin

Pallido e smorto e trasse fuor la notte

velo azzurro. Da ogni parte allora


Prence Ardeshr i prodi suoi raccolse
A un loco aperto, e dietro a le sue spalle
Era un picciol laghetto. E poi che il manto
Caliginoso dell'eteree plaghe
Il

Si f' di color nero,

ecco! da questa

quella schiera usciron le vedette.

Ma

scarso

il

cibo dell'iranio prence

che ogni sentiero


chiude intorno.
In Gihrm si vivea di mala stirpe
Un uomo abietto. N' Mihrk il nome.
Progenie di Nush-zd. Quand'egli seppe

Ai guerrieri
Il

si

fa,

nemico drappel

gli

Di quell'andata di Ardeshr, del suo


Lungo indugiar

50

del lago in su la riva,

Dell'angustia in che egli era al contrastato

Campo

dell'armi, chiuse ornai le vie

provvista di

Di

Gihrm da

cibi,

le

ecco!

mura

ei

discese

alla reale

Stanza correndo e da ogni parte seco

Innumerevol schiera
Tutti

si

condusse.

tesori egli disperse e

molte

All'esercito suo sportelle diede

D'auree monete, e serti ancor. Novella

Prence Ardeshr quando ne avea, su l'orlo


Del suo laghetto d'un pensier la mente
Ebbesi ingombra e disse: Oh! perch mai,
La casa mia senza curar, battaglie
Qui venni ad ingaggiar con gente estrana?
Dell'esercito suo tutti i magnati
A s raccolse e di Mihrk assai
Parole

egli ebbe.

duci di guerrieri.

che vi pensate, or che si fece


Angusta a noi regal possanza? Molto
D'amaro inver da la nemica sorte
Io gustai, n travaglio era al mio computo,
Ad una voce
Qual da Mihrk mi venne.
La rea sventura
I prenci rispondean

Disse,

Mai non ti guardi dentro a le pupille!


se Mihrk il tuo nemico ascoso,
Perch dovresti col dolor dell'alma
La tua vita cercar ? Grandezza illustre

Che

Hai

tu, la

terra tua, tutti noi siamo

te servi e

Le mense

comando a
di

apprestar

te si spetta.
f'

cenno

allora,

Di cercar vino ed auree tazze e musici

E cantori pur anco. Alquanti agnelli


la mensa imbandir, poi tutti insieme
Si volsero a cibar; ma quando il pane
Prence Ardeshr gustava incominciando,

Su

Rapida venne una saetta acuta

tutta

si

piant dentro a

Oh

Nitido e pingue.

s!

un agnello

tutta s'immerse

L'acuta freccia in quelle carni


D'inclito

senno e belligeri e

prenci

forti

Tutti le destre dagli apposti cibi

Ritrassero a l'istante, e ognuno in core


Sanguin per dolor. Trasse quel dardo
Un d'essi da l'agnello, e vedean tutti
Su quella freccia cuspidata e forte
Una scrittura. Lessela chi in mezzo

tanti eroi sapea di cifre, e scritte

Eran

sul dardo in pehlvica lingua

Este parole: Saggio re, se intendi,

Sappi che venne questa freccia acuta

Da

l'alto del Castel. Per la fortuna


D'un verme industre incolume la rocca

secura da

Che

te.

s'

io scagliato

Avessi ad Ardeshh' dirittamente,

Trovato avrian per le sue membra varco


D'est freccia le piume. Or, non bello
Che re quale costui, l'inclito verme.
Fin ch'egli in

il

Leggea

vita,

calpestar

regnante Ardeshir

ai

piaccia.

si

sacerdoti

Io scritto dell'acuta freccia.

Dal Castel fino a

Eran davvero, e

lui
si

due parasanghe

serr de' prenci

quegli accenti il cor. Gridaron tutti


Invocando da Dio felice augurio
Su quella maest del re del mondo.

X. Uccisione del verme di Heftvd.


(Ed. Cale. p. 1386-1390).

Assorto in un pensier pel tristo


Stette la notte

il

re.

Ma quando

il

verme
sole

52

Si assise al loco de la bianca luna,

Da

le rive del lago

Trasse Ardeshir e

di

prodi suoi
Persia a la terra

S'incammin veloce. Oh! ma da tergo


venne una schiera
A lui nemica Ogni passaggio al sire
Elli chiudean, qual era in guerra illustreElli uccidean, s che l'iranio prence

All'esercito suo
!

Con pochi amici ne sfuggi. S'intese


Voce da sezzo che dicea: Gotesta
del verme la sorte. Oh! possa ognora
Del suo seggio l'altezza a noi risplendere
E ognun dicea Tu vedi meraviglia
Davver! che ne dovra prender ciascuno

Sua norma qui

E
E

pieno

il

cor

si

Cos
avea

fugga l'iranio

d'alto spavento,

correa per alture e lochi bassi


Velocemente. Una citt scoverse
Ed ampio loco, e quei eh' eran con seco.
Si

come

lupi

rapidi cavalli

Spingeano in corsa. Gom'ei fu da presso.


Vide una casa e in su la porta vide
Due giovinetti ignoti a lui. Si stavano
Su quella porta in pie gi da lung'ora
Di nobile consiglio i giovinetti,
E si chiedeano al prence Oh donde mai
:

Cosi venite in ora inconsiieta


E polve del sentier con voi recate

E turbamento

in cor

Rispose

allora

Prence Ardeshir: Da questa via passava


Ardeshir prence, e noi turbati e mesti
Dietro a lui ci restammo. Ei si fuggia
E dal verme e da Heftvd e da quel tristo
-

Esercito di lui malnato e vile.

Ambo
Ambo di

garzoni ebber piet del


doglia ebbero colmo

il

sire,

petto

fosca l'alma.

Da

53

l'eretto

culmo

Ei traean dell'arcion quel fuggitivo

Benedicendo a' prenci tutti, e poi


Giocondo loco gli apprestar, gradita
G' imbandiron la mensa. Ivi sedettero
Gli eroi col sire all'umil desco e quivi

Ambo

garzoni a far dimande impresero

E dissero a una voce: Inclito eroe


Che alta rechi la fronte, a lungo tempo
dolor non dura.

Gioia

Dahk

quell'ingiusto

tu mira, e vedi che l'incolse

Pel trono suo regale al capo altero


Trista sventura.

Anche Afrasyb,

il

tristo

and de' prenci il core


D'alto dolore, e Sikendr che venne
A questi tempi e quanti erano al mondo
Prenci sovrani trucid, migrarono
Da questa terra e nulla si restava
Di lor quaggi fuor che la trista fama,
Ne il paradiso elli ottenean, gioconda
Sede agli spirti. La fortuna ancora
D'Heftvd non rimarr. Dorrassi alfine
Ei stesso, ei stesso, quel malnato e reo

Per cui

trafitto

Il

cor del prence, alle parole oneste.

Ringiovan qual' una fresca rosa


primavera. De' garzoni, al suo

Cor

si

piacenti, sceser le parole

s che aperto ei fece


Ogni secreto disvelando. Il figlio
Di Sasn mi son io, disse, qui sono
Prence Ardeshr. Di nobile consiglio
Che il cor mi tocchi, ora m' d'uopo. Dunque
Contro Heftvd, contro al verme orrido e tristo,
Che farem noi? D'Heftvd non resti in terra

lui gradite,

Ratto
La mala stirpe e il tristo nome!
Che il prence iranio disvel il secreto,

54

Omaggio

gli prestar con molto affetto


garzoni e dissero: Beato
Vivi in terra, o signor
Lungi mai sempre

Ambo

La man

ti

sventura

sia della

Anima nostra

Questa

e questo corpo schiavi

Nel cospetto ti sian, ma l'alma tua


Incolume rimanga in sempiterno
!

Quelle parole che chiedesti a noi

Veracemente,

Per che

ti

direm frattanto

tosto per te valevol arte

Cerchisi in pria. Sappi, gran re, che forte


battaglia contro Heftvd, non contro

Non se' in
Al verme

suo, se pur da tua giustizia


Lungi cammini alquanto. Hanno
nemici
i

Del monte in su

la

un loro

vetta

ostello,

verme ivi si sta, tesori e genti


Valbergan pure. la citt dinanzi
E dietro il mare e l'orrido castello
E su l'alto del monte ed la via
Aspra e dirotta. Ma quel tristo verme
Ch' d'Ahrimn della semenza e avverso
A Dio, del mondo Creator, che verme
il

Tu

chiami, o

sire,

All'involucro

dentro de

pelle

la

un Devo battagliero

Qual si piace versar d'uomini il sangue.


Prence Ardeshr come ascolt que' detti

D'amor

vogliosi e grati al cor,

A' garzoncelli e disse

Qual dite

E bene

voi, s

volse

si

Ottima cosa
che da voi ritengo
:

mal ch'io tocchi da' nemici.


Apprestavan risposta i due garzoni.
e

Con dolce studio esilarando


Saggio

di lui, cos

dicean

il

core

Siam noi

te dinanzi e in pie servi devoti.

Sempre

Quell'alma

a te guida in lieto oprar.


Letiziava a lor parole, ed ei
Parta qual re vincente, e pieno

il

core


D'un pensier

di giustizia.

Dell'ampia terra

Seco

55

fanciulli

parti,

si

per

AUor che

il

sire

ne andare

la via lontana,

Ed ei movea sereno in cor, pensoso,


E con alta la testa in fin che giunse
A Maest te d'Ardeshir. Ma quando
Intorno

nobil re tutto s'accolse

al

L'esercito guerrier co' prenci tutti

Di molto senno e i consiglieri suoi.


Alquanto ei ripos, stipendi ei diede.
Poscia contro a Mihrk, ignobil figlio
Di Nush-zd, se n'and. Poi che in battaglia
Non osava Mihrk discender seco,
Ei f' a s stesso e tenebrosa e angusta
La sua stanza quaggi. Ratto che venne
Presso a Gihrm il nobile signore.

Mihrk

Si nascose

Dinanzi a

D'un

lui

ma

infido e tristo
il

cor del prence iranio

deso di vendetta

Si eh' ei l

rimanea

fin

ingombro andava,
che il ribelle

Venne captivo. Alla cervice allora


colpia,
Con un'indica spada egli
'1

Indi nel fuoco, mutila del capo,

Gittavane

la spoglia. 15

chi gli venne

In potest, qual fosse de la trista

Semenza

di colui, ratto a l'istante

Gol ferro trucid, toltane sola

Una
Onde

che da

fanciulla

lui celossi,

fu piena di ricerche attorno

di tumulti la citt superba.


Il

verme a

contrastar, di l discese

Prence Ardeshir e l'esercito suo


Tutto ne andava contro al verme
Impetiioso.

Oh

si!

dodicimila

Esperti cavalier, di grandi cose

Operatori,

ei

seco trasse, e allora

tristo,


Che

56

l'esercito suo, disperso in pria,

lui

dintorno

raccolse, in loco

si

due monti.
Era vi un uom, Shehrghir il nome, saggio.
Duce a le squadre d'Ardeshr. Il prence
Si l'addusse lontano in fra

Al nobile guerrier

f'

Con anima serena


Rimani, o

forte,

Le tue vedette

questi detti:

in questo luogo

poste in pria

Esperte guide e cavalieri


D'alto saper.

Mantieni

dovunque

in pie la notte e

il

giorno.

eletti,

Le guardie ed

terrieri

al loco, vigili custodi

La

notte e il giorno di mie schiere. Intanto,


Arte sovrana adoprer qual fece
Isfendir che fu degli avi miei.
Che se al giorno vedr torbido fumo
Il tuo terriere o ne la notte fuoco
Simile a questo sol ch' luce al mondo,
Sappiate voi che del malnato verme

Cadde l'opera
Di lui

trista

e la fortuna

dilegu col chiaro giorno

si

Di sua prosperit.

Da' prenci allora

Sette ei scegliea forti guerrieri, in tempo

D'aspre tenzoni quai leoni in giostra,

Ognun che

Non pure
Il

seco s'accordava e a nullo.


all'aura

che dal

ciel discende,

suo secreto disvelava. Molte

Gemme

ei si

prese da' tesori suoi.

Drappi e monete ancor, pregiate cose.


D'ogni maniera. Ei si, col penetrante
Occhio di suo saper, le cose elette

Parve un nulla estimar, che due forzieri


Sol di piombo egli empi, di stagno ancora.

E un caldaio di bronzo entro a quel carco


Pose con cura, che maestro e guida
Era il caldaio in quella impresa. Allora


Che

di

quel carco

57

ei l'opera

compia,

De' suoi presepi dal maggior custode


si cerc, poi tuniche
ancor quali pur son le vesti
Degli asinai; ma il carco suo verace
Era d'oro e d'argento. Ecco! si volsero
Verso il castello da quel campo d'armi
I valorosi, al cor sempre dolenti,
D'andar vogliosi, e il sire ambo
fanciulli

Asini dieci

Vestissi

Di quel villaggio, quali


Ospiti in casa,

un

d l'accolsero

da quell'ampia schiera

Seco si trasse. Veramente egli erano


Suoi consiglieri e amici suoi pur anco.
Al nobile Castel come vicini
Ei furo per la via, sovra quel

prender

Eran

fiato

si

monte

fermar. Sessanta

schiavi di quel verme, e ninno


ne andava mai da l'opre sue

gli

Sciolto

Per lui soltanto. Un d'essi a' mercatanti


Guard dall'alto e disse: Entro a' forzieri
Qual cosa mai si asconde?
In questo carco.
Gli die risposta il re, cose mi serbo

D'ogni maniera, argento ed or, broccati.


Vesti e ornamenti, seta e

gemme

Monete ancor. Nell'arte mia

ed auree

de' traffichi

Un uom son io di Khorassn, n mai


Men vo dal faticar libero e sciolto.
Del verme tuo per

la fortuna, molte
Ricchezze ho meco, e qui men venni intanto
A pie del trono suo con molta gioia;

Che

se in ossequiarlo io porr cura

E maggior

studio, ben sar, che questa


Faccenda mia per la sua sorte lieta.
Ratto che ud quelle parole arcane

Del verme

De

la

il

rocca a

servitor, schiuse la porta


l'istante, e fra le

mura

58

Poi che l'inclito re tutto

Ebbesi addotto,

il

suo carco

ordin l'impresa

le sue some sciolse ratto e diede


Cose diverse in dono; egli cotesto
Evitar non potea. Stese un mantile

Dinanzi
Sciolse

Un

come servo

servi e

a'

In piedi

si

stesso

ei

lev, ne' suoi forzieri

serrarne delle chiavi e via

il

bicchier ne rec, quale

Ma

ei

f'

guai d'essi al

colmo

verme

Di puro
Recar cibo solea, che latte e riso
Erane il pasto giornalier, dal nappo
vino.

Del puro vino

la

cervice torse

Subitamente, che a

La sua vece
D'ebbrezza

ei

Prence Ardeshr

Gran copia

suo

in pie levossi e disse:

qui con

me

di lattd e riso,

dove del signor de' servi intenti

Vnia mi
Il

l'ufficio

chiamava e tempo quello


non vedea. Seduto appena,

il

cibo al

Fama

porgere

tocchi, lieto in cor di

verme ben

sar, per ch'io

in terra m'acquisti e

Vengami ancor

alcuna parte

della sua sorte. Voi

Per giorni tre qui


ber del vino, e

state

allegramente

quarto

al

nell'ora

d,

Che leverassi, luce al mondo, il sole,


Ampio un ostello mi far. Le mura
Di questa rocca vincer d'altezza
Della sua volta

il

culmo

erelto, ch'io

Son mercatante e compratori cerco.


Deh! possa almen dinanzi al verme vostro
Davver che tutto
Crescere l'onor mio
Il suo desire si compia per quelle
Parole sue! Dicean gli schiavi Compi,
Allora
Compi tu adunque il suo servigio.
Ogni cosa diversa appose in vista
1

59

L'asinaio solerte e l

assisero

si

Con un vino alla mano i servi intenti.


Bevvero alquanto e furon ebbri i servi
;

Del dolce vin faceansi schiavi. Ratto

Ch'ebbra divenne per que' colmi nappi

D'un puro vin l'anima

loro,

Co' giovinetti ospiti suoi ne

il

prence

venne

E rec peltro e un gran ca'daio in bronzo


E un fuoco accese al chiaro d. Ma quando
Al

tristo

verme giunse

del suo pasto

L'ora gradita, di bollente stagno

Una vivanda

egli ebbe. Alla

caverna

rovente metallo, ecco! recava


Ardeshr prence e dal profondo speco
Il

Mollemente sporgea la testa immane


L'orrido verme. Videro la lingua
Qual color di cuoio di timballi,
Quale egli avea dal d che la nigella
Bruna mangiava. Ma il bollente stagno
Ratto che gli versar dentro la gola
I

giovinetti, giacque entro a lo speco

Senza possa
Dalla strozza

il

gran verme. Un fiero strido


che tremonne

gli usci, si

Col suolo intorno la caverna. Allora

Prence Ardeshr come

disciolto

nembo

Co' giovinetti and. Trasser le spade

le Treccie e le

mazze, e di que' servi

Che briachi giacean, vivo nessuno


Da lor mani scamp. Torbido fumo
Suscitava Ardeshr di quel castello

Dai sommi spaldi, sua virt mostrando

Al condottier de' prodi suoi.

Ne andava

Shehrghr un torrier sospinto

in corsa;

Ei cosi gli gridava: Usc vincente

regnante Ardeshr!
Co' prodi suoi
Rapidamente allor ne andava il duce.
Recando al nobil re le sue falangi.
II


X[.

Morte
(Ed. Cale.

Ma
Pieno

di ci

60

di
p.

Heftvd.

1393-1391).

come Heftvd novella

di doglia fu

s'ebbe,

quel core e piena

di tumulto quella mente. Andava


Per ripigliar quel suo castel, ma corse
Prence Ardeshir su l'alte mura. Fea
Forte conato Heftvd, ma non gli venne

Fu

Frutto nessuno da cotesto; il piede


Stavasi del leon sovra gli spaldi,

di rincontro,

quale una montagna.

L'esercito sala rapidamente.

Ma

quella schiera s'arrest, nel core

Piena d'affanno e

De

le

mura

di

dubbiezza.

AUora

dall'alto in questa guisa

Prence Ardeshir grid: Muovi l'assalto.


Eroe Shehrghir! Che se vanisce e fugge
Da queste angustie Heftvd, nulla rimane
In pugno a te fuor che

E vento

inane. Al tristo

Stagno gi

il

diuturno stento

verme caldo

porsi, e di costui la possa

l'impeto selvaggio in nulla ornai


Udian le schiere tutte
Vanno disciolti.

Del monarca la voce e in su la fronte


Si rassettar gli elmi di ferro e presero

Ardimento

gl'Irani e a la battaglia

S'accinsero cosi con trista voglia.


Ma del verme di contro a le falangi
il vento e prigioniero a un tratto
Heftvd cade, venne con lui captivo
Quel suo millantator, Shahiy gagliardo,
Tra' suoi figli il maggior, duce supremo

Voltossi


Ma

De' prodi suoi.

rapido scendea

Dal castello Ardeshr,


Shehrghr incontro a

Con sue

61

che gli andava


Recaron tosto

pie.

briglie dorate

palafreno

il

Del prence iranio di bel

nome

in terra,

su vi balz. F' cenno allora


Ed
Il gran signor che del laghetto in riva
ei

Due

fosser posti smisurati legni,

Conftti al suol.

Ambo
E degli

nemici

Sospendere

ai

due legni

viventi ancora,

ei f',

avversi dal suo sonno ignavo


cor sopito ridest. Balzava,
Egli Ardeshr, dal mezzo di sue schiere

Il

due sospesi

di volanti strali

Con un nembo uccidea. Die alla rapina


Lor dovizie dipoi, s che n'andava
Ricco di preda quel drappel di forti,
Che quante nel castello erano accolte
Cose da questa a quella banda, tutte
Recarono i valletti a pie del muro,

Ed

ei la

Fra

preda pi

al

suo cor gradita

tante cose preziose, ratto

Di Maestate d'Ardeshir

ali alte

Porte inviava. Su quel monte poi


Eresse un tempio al divo fuoco e quivi
Di Mihr e di Sadh solenni i riti
Rinnovarsi per lui. Il trono e il serto
E quella terra, allor, diede a que' suoi
Ospiti cari di vigil fortuna,

di l si torn lieto e beato

vincitor, di Persia

Disseminando

Come

per

la terra

di giustizia l'opre.

poi dal riposo

avean conforto

sue schiere
Trasse fino a Shehrzr. Alquante genti
In Kirmn invi con un eletto

Ed uomini e

cavalli, ei le

Quale era degno

62

di

regal corona

ma

di seggio real;

Tisifuna, e l de' suoi nemici

di l scese

Travolse in gi del trono

mondo

la

grandezza.

caduco
Nasconde il suo secreto
A gli occhi tuoi n teco egli s'accorda.
Tu per seco, n v'ha scampo intorno,
Accordarti dovrai, che un d, talvolta,
Di questo

La

legge

e instabile e

tal.

d'umil stato e di poter tal'altra.

RE SASSANIDI

Il

I.

I.

re Ardeshr Bbekn.

Avventura
con la
(Ed.

In

Cale. p. 1391-1394).

Bagdad, sovra un trono

Sedette allora e
Il

Ardeshr
Ardevn.

di

figlia di

si

in

bianco avorio,

pos sul capo

serto imperiai, luce del core,

Prence Ardeshr, cinto agli eretti fianchi


D'una cintura, con in man la clava
De' monarchi d'Irania, adorna in pria
In bella guisa la regal sua sede.
D'allora in poi il dissero le genti

Re de' regnanti e alcun da re Gushtspe


Discerner noi potea. Quand'ei si pose
Di sua grandezza la corona in fronte,
Sovra quel seggio suo, lieto e beato
Di sua vittoria, cosi disse: In terra

la giustizia

il

mio tesoro e

il

mondo

Gi si rinnova per la mia fatica


Intorno intorno. Questo mio tesoro

Niuno da me si rapir, che male


Incoglie airuom per l'opre sue non

belle.


Ma

se pago

ne

64

l'eterno e santo

fia

Signor del mondo, se

la terra oscura
contender non vorr, protetta

A me

Da mia difesa ben sar la terra


Da confine a confln. Di me fia legge
Alla giustizia satisfar, n vuoisi

Che per alcun


Per alcun

de' servi miei,

non certo
pugnaci

de' miei forti o de'

Cavalieri di me, dormasi alcuno

Di suo desire ingombro all'alma e al core


Inutilmente, sia protervo e tristo
di nobil

natura.

Dischiusa a

tutti,

questa reggia

sian nemici o amici.

Tutta quell'assemblea gioiosamente


Grid benedizion: Per tua giustizia

Deh!

fiorisca la terra!

Eserciti ei

In ogni parte

mand, perch, qual

Prence nemico,

fosse

alla diritta via

Fosse riaddotta la sua mente altera,


Ovver del trono e della spada il dritto
In opra andasse per la

A
Da
La

que' d che

man

Ardevn

di quelli.

fu tratto a

morte

principe Ardeshir, sparso quel sangue,


signoria dell'ampia terra in

Egli

tolse.

si

La sua

Poi che ucciso l'avea, perch

L 've giacean, la
G-li disvelasse. Due
Erano

figli

pugno

figlia ei chiese.
i

tesori

giovinetta sposa
del re caduto

in India, alla sventura

Congiunti ed al dolor;

ma

gli altri

due,

Qui, d'Ardeshr nel career tenebroso,

Stavan rinchiusi, lagrimosi


Pieni d'affanno al core.

Il

agli occhi.

maggior

figlio

In India stava, ed era di quell'inclito

nome Behmn. Cerc di molto


Senno ed accorto un messaggier costui,

Proprio

05

Tal garzoncello che a precetto d'altri


Porgea l'orecchio, e poich di suo regno
Ei non avea nessuna parte^, a lui
D'atro velen secretamente diede
Alcuna polve e disse: Or va; dinanzi
A la sorella mia queste parole
Ridirai tu: Pel tuo mortai nemico
S grande affetto non cercarti in core.
Hai due fratelli in India, qui, congiunti
In loro esule stato, e due fratelli
Hai pure in ceppi, al career tenebroso
Del regnante Ardeshr. Ucciso il padre,
Son di saetta i figli suoi trafitti.

Ma

se tu togli l'amor tuo da noi

Per questa

Come

guisa, Iddio, fattor del cielo.

potra ci tener caro? Intanto,

Se tu brami d'Irania andar regina


E inceder grata a' principi nel mondo.
Del mortifero tosco alcuna parte,

Qual d'India venne, prenditi e l'assumi


In opra contro

il

re

Di sera in tempo e

Venne quel messo

messaggio a quella
Dolce figlia di re. Davver! che il core
E l'alma pel fratello ei le accendea,
Si che quel cor d'un improvviso ardore
f' il

Ad un tratto avvamp. Tolse il veleno


Grave da lui che gliel recava, e in questo
Ella insist perch del suo desio

Alcuna sorte lo toccasse ancora.


E avvenne allor che disciolse a la caccia,
Un giorno, Ardeshr prence dardi suoi
Contro agh onagri. Di quel lungo giorno
i

Come

scorse met, dal loco

ameno

Della sua caccia ritorn quel sire,

Appo

la figlia

d'Ardevn discese

Dal suo cammin. La nobile fanciulla,


FlBDUSI, VI.

&

Bella qual luna, al principe sovrano

Correndo venne

recando un nappo

gli

Di topazio lucente, e gi ricolmo


Di zuccaro e farina e d'una fresca

Onda mo'
Il

veleno

il

Mescolato avea

attinta.

con

letal

zuccaro

la farina

colei,

perch nel mondo

La sua brama ottenesse

il

fratel suo,

Belimn lontano. Ma poich si tolse


Prence Ardeshir in mano sua quel nappo.
Dalla sua man cadde quel nappo e al suolo
Tutto s'infranse. La regal fanciulla
Trem, trem per improvvisa tema.

ratto quel suo cor le

Ma

si

spezzava.

nobile signor sospetto prese

il

Al tremito improvviso ed un pensiero


S'ebbe pel rotear del ciel superno.

Comand che

valletti a lui dinanzi,

prence e signor, quattro adducessero


Galline tosto. Come fr menati
lui

All'apposta farina

quattro augelli,

Gredeasi ognun che stolto quel sospetto

Davver

si

fosse.

Ma

ingoiar gli augelli

L'apposto cibo e tosto

il

si

morirono

sospetto d'altrui portaron lungi

Un

Da

via d'esito lieto.

Un

ministro venisse alla presenza

sacerdote,

Di lui sovrano d'inclito consiglio,


F' cenno

il

prence. Allora, al consigliere

Maggior d'Irania ei
Se poni in seggio

f'
il

dimando e

disse:

tuo nemico od

ei

quel loco d'onor tanto s'inebbria

Che

osa levar contro l'anima tua.

mano, qual sar castigo


Dell'uom superbo e qual porremo, all'opre
Gh'ei f', difesa?
A servitor di prence,
Folle, la

0/

Quei rispondea, che alFanima del sire


Stende la mano, vuoisi il tristo capo
Recider tosto n ascoltar colui
Tu dunque, ei disse
Che d consigli in ci.
In suo precetto, de la fglH altera
D'Ardevn prence una spoglia farai
Quale mai pi lo spirto suo rivegga.
Ne andava allora il sacerdote e innanzi
Si gli andava colei, figlia di prenci,
Tutta tremante e piena al cor di colpa.
Al sacerdote ella parl: Trapassano
Per me, per te, saggio famoso, i giorni.
Ma se uccidermi vuoi, n trovi scampo.

Vedi che d'Ardeshr nn pargoletto

Ho

qui nel grembo; e se di tanto rea


Son qui clie il sangue mio sparger si debba
Perch sospesa a un arbore poi sia
Alto e vetusto, tanto almen tu aspetta
Che da me nasca il pargoletto infante.
Indi farai ci che il tuo re t'impone.
Cosa non che mai per la mia mano

Sfuggir ti possa. Ben sar migliore


In mia saggezza che se stolta fossi.
Il

sacerdote

Torn per

di

sua

la

gran senno allora


via. Disse

le

udite

Cose a prence Ardeshr; e il re, Di


Non ascoltar, grid, parola alcuna!

lei

Ratto farai com'io ti diei precetto.


Il sacerdote in cor dicea: Sventura

mi venga
Siam noi devoti a morte,
<Tovani e vecchi, e non ha dolci figli
Prence Ardeshr. S'ei numerasse ancora

ben
Cenno

D'anni

cotesta che dal re


cotal!

infiniti

Morto ch'ei
Bel nemico

la

sia,

sequenza, alfine,
l'alto suo trono

verr

in poter. Miglior consiglio

questo

si

dell'opra senza frutto,

Ch'io con fortezza

Traduca

08

un

alto

in atto. Libera da

mio pensiera
morte

Costei, qual luna, candida e leggiadra

perch i'iranio sire


adduca a pentimento poi.
Se no, del prence tutta la parola
Eseguir, nato che sia da lei
Ed apprest una
L'atteso infante.
10 render,

Da me

si

stanza-

In sua dimora, a custodir colei

Come

l'anima sua,

come

la stessa

Persona sua veracemente. Allora


A la donna ei dicea: Se aura di cielo
Importuna ti tocca, oh! non cosa
Ch'io soffrir debba!

f'

pensiero e disse:

Molti nemici son. Tristo pensiero

buon pensiero hanno

Ed

io s

mortali

tutti.

adoprer valevol arte

Perch l'uom che di biasmi si diletta,


L'acqua del mio ruscello in turpe guisa
Sen venne
Non infoschi ed intorbidi.
Ad un loco in disparte e si recise

testicoli

suoi.

Bruci l'aperta

Ferita ed un unguento anche v'appose

E acconciamente la fasci. Di sale


Rapidamente allor le coglie sparse,
Poi, veloce qual fumo all'aer sospinto,
In un forziere le acconci, poi ratto
Pose

suo suggello e in lagrimecon smorte guance


Usci all'aperto. Allor che all'alto seggio
Venne del sire, col suggello apposto
E co' serrami suoi l l depose
11 suo forziere e disse al re: Cotesto
Affidi il mio signor, pegno geloso,

al forziere

il

in gemiti cos

Al tesoriero. Scrivasi

la

data


AI forziere

di

G'J

sopra e vi

si

vegga

L'origin sua, la sua radice prima.

II.

Nascita

riconoscimento di Shptr.

(Ed. Cale. p. 1394-1397).

Del partorir

Non pure

come

Dell'opra sua ridisse

fu giunta l'ora.

all'aure l'altissimo arcano


il

sacerdote,

d'Ardevn un pargolo
Usc leggiadro, d'anima serena
E d'aspetto regal. Da le sue stanze
Lungi la folla egli mandava e intanto
Ei, del prence ministro, al pargoletto
Die nome di Shapr. Nascosto il tenne
Ad anni sette con gran cura, e quei
Grescea frattanto e maest si avea,
da

la figlia

E cervice

di re,

gota fiorente

Avvenne poi che un giorno


And quel sacerdote e lagrimose

Qual

Stille

di

regnante.

mir su

la

pallida guancia

monarca Ardeshr.

Di

Dissegli allora:

Vivi beato, o re! Deh! perch mai

Sono all'anima tua

fo.schi

pensieri

Tristo alimento? Ogni deso del core


In terra avesti e da lor alto seggio

De' tuoi nemici travolgesti

il

capo.

Ora tempo di gioia e di ber vino.


Non tempo gi di accumular pensieri
Dentro la mente. In poter tuo la terra
Ecco! si sta co' sette climi suoi,

Ed

eserciti hai tu, seggio regale

E costume

regal.

Cos rispose

sacerdote
prence Ardeshr:
D'intemerato cor, che il mio secreto
lui

70

Custodisci fedel, quest'ampia terra

A me

venia pei colpi

di

mia spada,

per opera mia tutti passarono


Dell'uom gli affanni e le rancure e gli
Non belli pure. Giunsero a cinquanta

E ad uno ancor

atti

quest'anni miei, mutossi

nero muschio de' capelli in bianco


Di canfora color, sparver le vivide
Il

Rose del volto. Ed ora un dolce figlio


Qui si vorrebbe in pie nel mio cospetto,
Gioia del core un dolce figlio, guida

A me

gi stanco e donator di forza.

Padre che non ha figli, quale un figlio


Che non ha padre, e al petto suo lo stringa
Ogni pi estrano. Dopo me, la mia
Corona ed il tesoro al mio nemico
Discenderanno.

A me

destinato frutto!

sepoltura,

il

fatica e duolo

l'uom vigile e accorto e d'et vecchio

Cosi disse in suo cor: Di far parole

Tempo

venuto!

re, disse,

che agl'infimi

Se' cortese e leal, tu generoso

E d'anima serena e di cervice


Levata al ciel, se grazia alla mia vita
Avr da te, questo dolore acerbo
Gli disse
Al mio signore io toglier.
Il prence allora
saggio, o sapiente,
Deh! perch mai timor per la tua vita
Affliggerti dovria? Di' ci che sai,
E pi v'aggiugni. Qual mai cosa adunque

miglior di parola e saggia e onesta


Sire,

il

ministro rispondeagli allora,

Di cor sereno e di nobil consiglio,

Un mio

forzier gi diedi de' regali

Tesori al guardian. D'uopo che

Or

lo

il

richiami al trono suo dinanzi.

sire

71

Disse Ardeshr al tesorier: Costui


Il

pegno che

ti

die,

venne a cercarsi.

Rendilo adunque perch'io vegga intanto


Che sia, con gli occhi miei. Forse che ancora

Vivere non dovr ne' miei pensieri


Recava il tesorier subitamente
Lo scrigno e ratto al consiglier porgea
Ci che ne prese un d. Dissegli il prence:
Qual mai cosa qui deposta? e sopra
Di chi il suggello ed il serrarne?
questo,
questo il caldo sangue mio, rispose
Il consiglier, di mie pudende questo
Il fior divelto a la radice. Un tempo,
Tu m'affidasti d'Ardevn la figlia
Per richiederne poi la fredda salma
Orba di spiro. Ma non io la uccisi,
!

Che un pargoletto in seno


Ed io temei di Dio signor.
Di

me
le

la dignit pel

vergogne

Mutilar
Di

me

volli,

ella celava,

Ferii

cenno tuo

in quel

medesmo

istante

perch ninno mai

dicesse trista cosa, dentro

Mi sommergendo al mar dell'onta mia.


Ed or, sette son gli anni che il tuo figlio
Appo il ministro tuo cos rimase.
Figlio che ugual gli sia, non ha un monarca
Di questa terra; ad altri

ei

non somiglia

Fuor che alla luna eh' su in ciel. Gli posi


Nome Shapr per quell'amor che gli ebbi,
E lieto vada il ciel per la sua sorle!
La madre sua con lui si sta, del figlio
Che ama sua gloria, nobil scorta e guida.
Di lui meravigli del

mondo

il

sire

pensieri nel cor per quell'infante

Mille

si

prese.

Ma

si

volse poi

Al suo ministro e disse:

di

serena

72

Alma e di pura iiitenzion, davvero!


Che ben molto dolor per queste cose

Tu

sopportasti

Dolor,

non

Ma che

soffrir.

invecchi

il

tuo

Cercami intanto

Cento fanciulli d'un'et medesma


Del garzon mio, di volto e di statura,
Di cervice e di petto a lui simili,

come lui coperti.


Che non vuoisi che nulla qui si trovi
in meno o in pi. Tu manda i garzoncelli
A lor mazze nodose e i globi appronta.
Indi li mena alla palestra. Allora
Che saranno a quel piano i giovinetti
Tutti di vesti

me

Da' bei volti leggiadri, in

quest'alma

D'amor si scuoter pel figlio mio.


Deh! s, questo mio cor del ver ch'io cerco,
Testimonio dar, del figlio mio
Mi dar conoscenza.
Al primo alboro
Venne il ministro e tutti i garzoncelli
A la reggia men, tutti d'un volto

E d'una veste e d'un'altezza, e questo


Da quel non si potea per ninna guisa
Discernere d'un poco. Oh detto avresti
Ch' era laggi nella palestra schiusa
!

Una

festa regale

colpir

si

Pi d'assai

mezzo

gli altri in

Era prence Shapr. Quando

il

garzone

volgea que' globi addotti.


di

ciascun fermo colpa

Gli addotti globi. Scese allora in quella

Palestra sua prence Ardeshr, vi scesero

Alquanti seco, giovinetti e vecchi.

Lev

gli

sguardi e come

garzoncelli

Pot veder, dal .suo profondo core


Trasse un sospiro, e col dito accennando
Al suo ministro favell Tu vedi ?
:

L dunque d'Ardeshir

si

sta

un

figliuolo

Dissegli

il

consiglier

Dunque

il

tuo core

Ti venne, o prence, in testimonio certo

Di suo grado

di

Ora tu attendi

figlio!

garzoni da

guancie
Levin dinanzi a te gli addotti globi
Con le lor mazze.
Ad un tra i servi suoi
Ardeshir prence f' comando allora.
Tutti

le intatte

Tu

va, dicea, de' giovinetti

mazza con un

Togli di

globo

il

colpo. Quello

De' garzoncelli che verr pi ardito,

Come

leone in mezzo ai

forti,

il

globo

mio cospetto e un nulla

Si toglier nel

D'est'assemblea reputer la gente,

L'ingenuo

figlio

fia,

dubbio

mio sar davvero.


seme e de la stirpe.

del

Nel petto ugual, nella cervice uguale.


regal servo, a quel

Il

Golpi

un globo e dinanzi

comando venne.
a'

cavalieri

Veloce l'avvent. Dietro a quel globo


Corsero come freccia i garzoncelli,
E come furo appo Ardeshir, immoti,
Contro desire, al loco lor fermarsi.

Ma

tosto

Shapr

che giugnea come leone

Dinanzi al padre e
Indi,

globo

l innanzi, al

come pi

Ai giovinetti

lo

lungi

si

f'

sopra

rapi dal suolo,

lo

si ritrasse,

rend.

Fu

tale

Per allegrezza d' Ardeshir il core,


Qual d'uom saria che vecchio ornai

giovinezza.

ritorni

cavalieri suoi

Levarono dal suol quel bel fanciullo

sei

passar dall'una all'altra

Gioiosamente; anclie
Il

mano

lo strinse al petto

re de' regi e benedisse a Dio,

Almo

Fattor. Baciando poi negli occhi

E ne

la fronte

quel suo dolce

figlio,

74

Tal prodigio, sclam, tal meraviglia


non si vuol Dentro al mio core

Gelar, no,

Non io
Che mi
Fosse

il

serbato esto ricordo avrei,

pensai che veramente ucciso


mio figlio. Ma poich l'Eterno

Real possanza accrebbe in me, nel mondo


Anche mi accrebbe un giusto erede. Scampa

Mai tu non trovi dal precetto suo,


S'anche la fronte pi che il sol tu

Gemme

innalzi.

egli chiese da' tesori suoi.

Chiese denari, copia di rubini


Chiese di gran valor. Sul giovinetto
Oro e gemme versar liberalmente
I

circostanti

Ed ambra

frammischiando a gara

e muschio.

s'ascondea quel capo

Sotto all'auree monete, e ninno in volto


II

potea rimirar, tante eran

gemme

Che attorno gii piovean Ma il re possente


Anche gittava al consiglier sue gemme
Con mano liberal; seduto il volle
Sovra un bel seggio che figure avea
!

gli don ricchezze


Tante e cotali, che ne fr le stanze
E la dimora sua fulgide e belle.
Poi comand che d'Ardevn la figlia.
Lieta e beata e d'anima serena,
Nell'aula entrasse. Le commesse colpe

D'oro lucente, e

Ei

le perdon,

come

se

il

volto

Di quella luna candida e leggiadra

Da

l'accolta rubigine sciogliesse.

Recava

allor da la citt superba

avean d'eletto
Saver cospicua parte, e al garzoncello
La scrittura pehlvica con molta
Cura egli apprese e nobile costume
I

sapienti, quali

Di prence e di signor, l'arte in battaglia

Di governar le redini ritorte

di

mostrar da

Al nemico

l'alto del destriero

costume
anche mostrgli e tutti

la lancia. Il bel

Di ber del vino

Del far larghezza e de' conviti


If'arte di

di

governar

usi,

gli

guerra

falangi in

pugnar, con l'opre fortunose

Della battaglia. Indi mut lo stampo


Di sue monete in or, de' suoi denari
In bianco argento e in meno e in pi quel
;

nome

Del regnante Ardeshr delle monete


faccia, e sovra l'altra il nome
Del suo prestante consiglier. Valore
Il nome avea di quel ministro eletto
Del nobil prence, ch'ei del mondo esperto

Era a una

Era davver, de la diritta via


Dimostrator. Su le regali epistole
Fu scritto ancor quel nome chiaro, e
Gli die

comando

Suggel

di polest,

gemma

e regal

un

poscia

il

prence

ed inclito

tesoro

Ei dispensava alla misera gente,

man

cui,

Il

cibo dato procacciar.

per l'opra della

Deserto loco un

d,

Tutto coperto, ed

gioconda

citt.

ei

soltanto,

Vedea

di rovi e

ne

f'

Chiamar

spine

una

lieta

t' d'uopo

Giundishapr questa citt davvero


Che altro dir non ne sai pi acconcio nome
;

III.

Messaggio a Kayd l'indiano.


(Ed. Cale. p. 1397-1399).

Come un alto cipres.so allor che crebbe


Shapr leggiadro, avea timor quel sire

/b

Di periglio che vien d'occhio maligno;

tempo
ne divenne

lungi d'Ardeshr in alcun

Egli era,

ma ben

tosto ei

Consigliero e ministro.

re frattanto

il

Dalle battaglie non un di cessava

loco a riposar nella sua gioia

Rinvenir non potea. Ratto che sgombra


Questa parte egli avea del suo nemico,

Un altro avverso di rincontro a lui


Sollevava la fronte. Ei disse allora:
In secreto e in palese io dall'eterno

Fattor del

Gh'

io

mondo

qui

domando e chieggo
mano mia la terra

possa addurre in

Da' nemici disgombra. Allor soltanto

Adorator di Dio si mi farei.


D'alma serena, o veridico
Il

sire,

nobile ministro allor dicea,

Mandiam qualcuno

Kayd

Di sapienza Kayd, largo

in India.

Amante

d'aita,

sa le stelle noverar del cielo

Che

ancora

alto s'aggira, della gioia

Ei conosce la porta e del periglio


Il

rapido sentier. Che se t' dato

La

terra posseder co' sette climi

Senza

rivali, ei si co' sortilegi

Ci trover, dir le cose tutte


Partita mente e senza sua rancura.

chieder per le risposte sue


Queste parole
Dal monarca un tesor.

Prence Ardeshr come

Un giovinetto
E memore ed

di

l in

quel saggio

ascolt, trascelse

valore assai

accorto. Ei l'inviava

India e v'aggiugnea

Drappi cinesi e palafreni molti,

Anche monete d'or. Dissegli


Vanne a quel saggio e si gli

in pria:

parla

illustre

Di lieta sorte e di parlar verace,


agli astri del ciel perch'io mi sappia
Quando avr pace dagli assalti e quando
Avr la terra in poter mio. Se questo

Mira

Non

sar, tu mi di' quand'io senz'ombra


Sar d'affanno e quando mai disperdere
Non dovr il tesor mio di questa guisa .
A Kayd in India, co' suoi doni ed altre
Cose elette a gittar, ne and correndo
Il

regal messo. Ci che disse a lui

Il

re dei re, gli disse ratto e sciolse

Dall'intimo del core ogni secreto.

Kayd

gli f' inchieste e sollecito

andava,

Dietro a le inchieste sue, volgeasi all'arte

Di suo saper, di sua destrezza. Innanzi


Astrolabi ei rec, gli astri

noverar,

si

si

pose

prese in grembo d'India

Astronomica tavola. Del cielo


Alto e sereno l'opre ei computava
Quanto a frutto vital, quanto a dovizie,
Quanto a periglio ed a rancura, e al messo
Cos parl: D'Irania e de la stella

computo feci.
semenza sua con quella stirpe
Mista far eh' di Mihrk del seme,
Progenie di Nush-zd, con molta pace

Dell'iranio signor
S'ei la

Ei seder sul regal trono e d'uopo


Ei

non avr

mandar schiere attorno

di

In ogni parte. Crescer

il

tesoro

scemer. Tu vanne.
Odio maligno non pensar nel core

la fatica

Contro una terra e l'altra. Ove cotesto


Faccia l'inclito re, sua veramente
Irania diverr qual vuole e cerca.
;

Ogni desire

Donava

il

egli otterr del core.

mcssaggier d'alquante cose

78

dicea Di cotesto che li dissi.


Nulla d'uopo celar. Che se il tuo prence
:

Dal mio consiglio non

Che

Quest'alto ciel.

scosta,

si

quello

pregiato e grande

dissi a lui, far

Tornava

il

messaggiero

Al suo prence e signor, le udite cose


Tutte a ridir di quel famoso saggio;

Ma

che ascolt di lui parola


Il regnante Ardeshir, pieno d'affanno
Quel cor divenne e come un'erba verde
Ambe le gote sue. Deh! mai non sia,
Rispose al messo, ch'io qui vegga prole
Del seme di Mihrk, tolgami in casa
Il mio nemico dalla via, perch'egli
Nella mia terra poi cerchi bramoso
tosto

vendetta. Oh! doloroso e tristo

La sua

Disperdimento de' tesori miei


E di falangi invio che non ha frutto

Oh! mia fatica! Rimanea soltanto


Di Mihrk una figlia, e niun la vide
Cogli occhi suoi in alcun loco. Or io

Cenno

far di rintracciarla in Grecia,

In India ed in Tirz, in Cina ancora.


Indi,

raggiunta che l'avr, nel fuoco

Io l'arder, far

Per

lei la

che pianga intorno

terra in gemiti e sospiri

Alquanti cavalieri egli inviava

Con

tal

che

di vendetta era

bramoso

E inquisitor, fino a Gihrm. Allora


Che l'annunzio ne avea, balzava in
Di

Mihrk

D'un signor

la fanciulla

di castelli

in disparte sedea.

Del signor

Come

andava ascosa

Com'ella stette

di castelli in

Con molto onor

la

fuga

ed alla casa

tenne

quella casa.
il

prence, ed ella

agile cipresso ivi crescea.

70

Sapienza acquistando e bel costume

dignit.

Chi ugual

Non

era in quella terra

Alto cipresso

come

Avventura

IV.

in quel paese strano

le fosse,

era.

Shpr con

di

di

non

lei

la figlia

Mihrek.

(Ed. Cale.

p.

1399-1401).

Dopo cotesto quando volse

in cielo

Stagion non lunga e potest del sire


Ebbe luce maggior, di gran mattino

And

Con
I

un d quel re sovrano,
Shapr saggio e avveduto

alla caccia

in essa via

lui discese.

cavalieri suoi,

Da
s

ogni parte accorsero

che

di

belve

Ei sgombrar la pianura, allor che un ampio

Loco da lungi si mostr, di torri


Qual era pieno e di castelli e d'orti

di palestre.

Shapr

quel villaggio corse

allora e dalla via dirotta

Discese alla magion del borgomastro

Del villaggio remoto. Era un giardino

Ameno e verde in quella casa allora,


E il giovinetto in quel bel loco verde
Penetr ardito. Vide una fanciulla
Come candida luna. Ella in un pozzo

Per la rota volante il secchio intenta


Era a calar; ma ratto che scoverse,
Ella che gote avea di bianca luna,
II volto di Shapr, venne correndo

E
E

fece auguri. Lieto

sii,

beato

ridente mai sempre, ella dicea.

Senza

perigli a tutti gli anni tuoi

~
Ed

80

ne dubbio v'ha, cruccia

or,

la sele

tuo destriero e d'ogni parte intorno


Acque sono salmastre al nostro borgo.
Il

Ma
Deh

in questo pozzo

lascia

adunque

un'acqua fresca e dolce


ch'io per te ne attinga

Candida luna mia, Shapr le disse,


Perch ti crucci in questo dir?Son meco
Uomini servi ed ei mi attingeranno
D'esto pozzo dal fondo un'acqua fresca.
Dal garzoncello in altra parte

il

viso

La fanciulla rivolse e and lontana

su la spiaggia del ruscel

A un

paggio allora disse

Un'idria

tu, poi

il

si

assise.

prence: Reca

traggimi dal pozzo

Udiva il paggio, e accorse.


Era una corda su quel secchio e in alto
Una mobile rota. Allor che il secchio

Dell'acqua un poco.

D'acqua

fu

S'accese

il

Era

il

pieno nel profondo pozzo,


volto di quel paggio; grave

secchio davver, n dal profondo

Prence Shapr accorse


Rapidamente e mormorando al paggio
Mand tal voce: Oh! tu che d'una donna
Vali met, forse che una fanciulla
Questo secchio non trasse e la sua fune
Potea

salir.

E la sua rota ? Dal profondo pozzo


Copia d'acqua ella attinse, e tu qui

sei

Affaticato e travaglioso e d'altri

Chiedi

l'aita.

Cos

venne e prese

Dal suo valletto la ritorta fune;

Ma
Che

grave l'opra a lui regnante! Allora


dall'urna gravosa egli ebbe e vide

Travaglio

Vaga

tale,

benedisse a quella

fanciulla dal leggiadro volto

In questi accenti: Chi lev cotesta

Urna

grave, di regal semenza

Egli

81
davver! Ma ratto

eh' ei traea

colmo secchio, la fanciulla accorse


E con amor f' voti e auguri e disse:
Vivi beato fin che tempo in cielo
Si volger, sempre ti sia maestra
Alta prudenza! Oh s! per quella forza
Di Shapr, d'Ardeshir figlio bennato,
L'acque nel pozzo, n v'ha dubbio, in latte
Mutansi tosto
bella mia qual luna,
A lei che accorta gli parl, richiese
Il giovinetto, come sai, deh
come
Che Shapr qui son io ?
Questa novella
Colei rispose, bene udii dal labbro
Di veridici un d, che valoroso
Il

Shapr

garzoncel, di forza ricco

Qual d'elefante, come azzurro fiume


In liberal grandezza. In sua statura

Egli cipresso e di ferro

Simile a re

Behmn

ha

le

membra.

in tutte cose.

E Shapr le dicea Vaga fanciulla.


Vaga qual luna, dimmi il ver di quanto
:

Qual sia tuo nascimento


Mostrami aperto, che ben chiari segni
De' Kay monarchi nno sul viso tuo.
Figlia son io del capo del villaggio.
Colei rispose, perci appunto e bella
Mai la menzogna,
E forte mi son io.
Shapr aggiunse, innanzi ai re non prende
Luce e splendor. Col volto di leggiadra
Luna, fanciulla che lavori ai campi.
Certo non con tale aspetto e tale
Avvenenza e belt.
Prence, gli disse
La giovinetta, quando alla mia vita
Io trovi grazia, ratto che giustizia
Del re dei re contro allo sdegno ottenga,
Si ti dir del nascimento mio

Io chieder.

FiaDuii. VI.

Veracemente.

Nei

nostri giardini,

Shapr le disse, contro a' nostri amici


La vendetta non cresce. Or dimmi adunque,
E sgomento per me dentro al tuo coro
Non albergar, non per quel giusto sire
Per la giusta via,
Inclito e grande.

Dissegli allora la fanciulla, sappi

Ch'io di Mihrk, deirinfelice prole


Di Nush-zd, son la

figlia.

Accorto e pio

Tal qui m'addusse piccioletta e a (Questo


Di castelli signor, ricco di pregi,

Ma

Si m'affid.

per timor di quello

Inclito re d'Irania tua, qui fui

trar l'acqua costretta e a servii stato.

And Shapr
Fin che dinanzi
Il

Il

lui stettesi in piedi

signor del villaggio. Or tu mi dona,

Dissegli

Di

e investig quel loco.

si

prence, questa tua fanciulla

il

leggiadro volto e in testimonio

ciel ti

prendi in

ci.

Conforme

Gli die la figlia de' villaggi

Secondo

il

rito di chi

V.

il

il

al cenno.

sire,

Fuoco adora.

Nascita di Ormuzd.
(Ed. Cale. p. 1401-140-2).

N lungo tempo

Come
Tenne

si

pass,

che

tosto,

vivida rosa, a recar frutti


colei,

qual agile cipresso

Nella persona. Nove lune in cielo

Ratto che si mutar, venne un infante


D'ugual grandezza da colei, leggiadra

Qual luna

in vlto. Isfend'r diresti

(Mie tornato era allora, o veramente

inclito in armi.

Ardeshr cavalier,

Prence

che parea davvero

Sliapr, poi

Allo cipresso in un giardin,

Ormzd

a nome, e

gli

pose

piccioletto infante,

il

Fin che sett'anni si passar, non ebbe


Chi ugual gli fosse per la terra. Aveanlo
genitori, e mai
Nascosto a tutti
i

Al loco de'

Noi

trastulli in

lasciar timorosi.

alcun tempo

Andava

a caccia

Ardeshr e seco
Ne andava anche Shapr, d'agresti belve
Esperto cacciator, ma Ormzd intanto,
De la turba fra mezzo, usc all'aperto
Nascostamente, che d'apprender molto

Per

sette giorni re

Da' suoi maestri egli era stanco e lasso.

Del regnante Ardeshr cos

ei discese

Alla palestra in concitata corsa,

Con

una man, con due saette


mano. Ei s, d'onor bramoso.

l'arco in

Nell'altra

Del re discese alla palestra e seco

Alcuni infanti avea con mazze e

Ma

Dal loco della caccia a

Anche
Era

globi.

in quell'istante co' guerrieri suoi

discese

il

de' sacerdoti

la palestra

re del mondo, e seco


il

sacerdote,.

Accorto e saggio. Come giunse accanto


Prence Ardeshr alla palestra, un colpo
Sferr di mazza rapido e veloce

Un
Il

garzoncello su la via.

Ne andava

globo roteante a pie del

Ma
Non

sire.

dietro al globo de' fanciulli


si

gitt,

un

solo

ch'ei rimasero al loco.

Tronca ogni voglia e nulla pi. Allora


Dal mezzo a corsa venne Ormzd e ratto
S come nembo s'avvent dinanzi
,

All'iranio signor. L, dal cospetto


Dell'avo suo, lev

Velocemente e

il

rotante globo

circostante esercita

il

Tutto s'empi per

Ma

84

d'un mormorio.

lui

quegli grido sollev

Che

fiero,

si

sovrano

di lui si stup quel re

La palestra mia,
garzoncel, la mazza mia

D'invitta sorte.

Gridava il
Ed mia la virt D'armi tenzono
cosa mia con uomini di guerra
!

Al sacerdote disse

re

il

Deli

vedi

Cotesto ingenuo da chi mai

si avea
Ghiedea colui^
Nascimento quaggi.
Ma ninno ne sapea cosa nessuna
E tutti del tacer prendean la scella.
Levalo adunque, al sacerdote suo
Disse il monarca, dal calpesto suolo
Ne andava il saggio
E l'adduci qui a me.

da la polve

Menavalo

garzoncel togliea,

il

dipoi dinanzi al prence

valoroso infante,

D'inclita stirpe.
Il

re

gli disse, di

chi mai

Ch'

d'uopo

fia

Della semenza annoverarti

Allora

ad alta voce a

ei s l'inchiese,

Il

fanciulletto rispondea

Il

nome mio

Non

lui

vuoisi

celar col nascimento.

Figlio a Shapr eh' figlio tuo, son io,


E veramente di Mihrk da quella
Figlia leggiadra il nascer mio mi viene.

Attonito rimase

il

re del

sorrise e pens. F'

mondo

cenno poi

Che principe Shapr venisse


Indi, pi assai

inchiedere

Shapr,

Fu

il

pieno

innanzi.

che misura non

si

f'.

Temea

fosse,

di lui

generoso, e quel suo core


di dolor, quelle

Rendeansi smorte.

Ma

sue guance

sorrise alquanto

85

L'inclito sire e disse:

Il

figlio

tuo

Non mi celar. Voglionsi figli in terra,


E da chiunque ei sian, cosa pur sempre
Leggiadra e buona. E dicon gli alti-i intanto
Che di prenci fgliuol questo garzone.
Shapr

gli disse:

Vivi tu beato

a questa terra l'alimento suo

Porgi con la tua vista

giovinetto

il

Del mio seme ed Ormzd il nome suo,


Bello e splendente quale nel giardino

un

tulipano. Agli occhi tuoi celato

Di tanto l'ebbi fin che dolce frutto

Dalla sua pianta usc, bella e feconda.


ei vennemi da quella
Mihrk. Di mia semenza
Egli davvero e non dubbio alcuno
Che mio figlio ei non sia.
Le gi trascorse
Cose dell'acqua e del profondo pozzo
Narrava il figlio, e l'ascoltava il padre.
Ardeshlr giubil di sue parole

Pregiato infante
Fanciulla

di

col ministro al suo regale ostello

Con

tutta

pompa

ritorn, tenendosi

Quel fanciulletto suo, luce del core.


Accolto in grembo. Al trono suo regale

Andava

poi da quelle soglie, e quivi

Egli apprestava tutto d'oro

un seggio

E cenno fea d'una collana ancora


E d'un bel serto in fulgid'or. Con
Del picciolo garzon cingean
In bella guisa e

si

gemme

ed oro.

elette e preziose tutte

Citt Ardeshir sul garzoncello, e

il capo
ne and sotto a que' doni.
poi ne trasse da quell'alto cumulo

Nascosto

Ma

quello

fronte

chiedeano intanto

Dal tesoro del prence e

Le cose

la

si

Di ricchi doni l'avo suo possente

86

La persona con cura, e a' poverelli


Don le gemme e l'or, dovizie ei diede
A chi pi saggio. Ma del Fuoco il tempioEgli

f'

adorno

di broccati e l'aula,

Ove solea del primo di dell'anno


La festa celebrar col lieto giorno
Di Sadh ancora. A' prenci suoi f'

intanto^

sedeano attorno
E in ogni parte e musici e cantori.
Ai pi famosi, in sua citt, ed a quanti

Regai convito e

Parte

si

avean

vi

di sapienza, ei disse

Allor cos: Dalle parole sagge

D'un indovino mai non debbe alcuno


Dilungarsi quaggi. Detto m'avea
Kayd il savio dell'India Allegra e lieta
:

Non si far la tua fortuna mai,


Non il tuo seggio, non la terra tua,
Non il tesor, non la corona o quella
Tua gente in armi, non la gloria tua
Non la tua maest, non la tua benda

Di re sovrano, se con questa tua


si congiunge e mesceche venia dalla semenza
Del figlio di Nush-zd, Mihrk estinto .
Ed ora otto anni si passar che il cielo
Non si volge su noi fuor che conforme

Schiatta regal non

La

stirpe

Al mio desire. Da ch'entr nel loco


Del mio soggiorno Ormzd, nulla vid'io

Fuor che compiuta la mia dolce brama


Per tutto il mondo. A me soggetta intanto
Co' sette climi suoi quest'ampia terra,

il mio core ottenea dalla fortuna


Da quel giorno
Quanto le chiese!

Di re dei regi tributargli


Tutti

ministri suoi, tutti

in poi

nome
i

suoi prenci.


VI.

87

Riordinamento

del regno.

(Ed. Cale. p. 1403-1410).

Della saggezza di Ardeshr tu ascolta

Parole intanto, e
Riponi e
Il

tieni.

parole in mente

le

Ebbe

travagli assai

gran monarca e nobile costume

Incominci,

mandando

Segni d'amore e

Che grande

in ogni parte

di giustizia. Allora

s'accogliea nel regio alberga

riopia d'armati, in ogni parte attorno

Mandava un

Un

consiglier,

figlio avesse,

non

perch chiunque

lasciasse

mai

Senza dottrina il figlio suo crescesse,


Ma ben del cavalcar l'arte sovrana
Si gl'insegnasse e i riti de la guerra,
Con clave ed archi e di compatto legno
Con forti strali. Quando poi, per quella
Assidua cura,

il

giovinetto in forza

Senza alcuno difetto era salito


In tutto che da lui chieder potea
Il suo prence e signor, dalla sua terra
Del sire andava alla regal dimora.
Andava del suo prence alla magione
Inclita e illustre, e

il

nome con

l'ufficio

L'esattor ne scrivea, la stanza ancora

assegnava; e quando

la

Il

giovinetto mo' venuto in guerra

dimora

gli

Ne andava con
Con un
Offici al

Con ogni

Un uom

gli eroi

dal regio ostello,

de' sperti sacerdoti, quale

mondo

si

cercava ed opra,

mille eroi n'andava ancora


di gloria

amante e

del garzone

88

Ogni voglia spiava; e per chi all'armi


Fiacco scendea, scendea quale codardo
In armi a contrastar, notato libro
Colui

mandava

Ad ogn'uom

In simil foggia.

Leggeasi

il

prence

al

iranio, intorno

valoroso, ad ogni vile,


re,

Il

libro e

il

prence del mondo,


messaggier dinanzi

Volea seduto

in sua presenza, e poi


A' pi valenti preparava dono

Splendido e ricco, da' tesori in pria


Scelta ogni cosa pi pregiata.

E quando

notava ogni codardo e vile,


Davver! che l'armi non cingea costui
Ei

si

Un'altra volta a far battaglie! Intanto


Ei cos volle fin che a punto venne
Quell'esercito suo, che gli astri in cielo

Non ne vedean quanta


Era tra

l'ampiezza. E quando
un consigliero e saggio

forti

Che la fronte levasse agli altri in mezzo,


Andava un banditor fra quelle armate
Genti e gridava: Eroi del nostro

sire,

Famosi in guerra, chi di voi si cerca


Compiacimento del suo re lavando
Col sangue degli eroi la terra intorno,
Dono reale avr da me, nel mondo
Rester

il

nome suo

ricordo eterno.

Cos tutta la terra egli ordinava

Con

gli

armigeri suoi, ch'egli

Divenne, e greggia era

Che aman

pugna. Ne'

la

Gente esperta

gente priva

Abbandonava.

il

pastore

lo stuol de' prodi

scrittoi

si

di

cose e l'opre sue

di

saper non mai

Elli

avea

attendean solerti

lor carteggi, a lor scritture, e v'era

Ogni valente

Ma

il

in

consiglier

disegnar sue cifre.

che queste cose intento

81)

Curava allora, di maggior stipendio


Ebbe dal re dei regi inclito onoro,
E quei che meno esperto si mostrava
In far sue cifre e di pi breve ingegno,

Del regnante Ardeshir nella dimora

Mai non entrava. Andavano

cotesti

Ai governanti per lor opre, e quelli.


Scribi pi esperti, rimanean costante
Al re vicini.

qual nella sua reggia

Vedea scrittor, facea sue lodi assai


Prence Ardeshir, dicendo: Ecco, scrivano

Che riempie

il

tesor,

spendendo frutto

Di lungo faticar col suo consiglio.

Le citt con gli eserciti guerrieri


Fa prosperar, de' sudditi fedeli
Le preci

accoglie.

Son

gli scribi eletti

Sostegno all'alma mia, nel mio secreto


Donni ei sono di me veracemente.

Nel

Un

che

si

parta per

governante, Spregia

Vender

lo

una terra
ricchezze,

tu non di
che non resta
Eterno il mondo per alcun che viva;
Ma cercati giustizia ed alto senno
E lungi sian da te la cupidigia
E la follia. Non sostener nessuno
De' tuoi parenti e de' cognati e amico
Tu sii de' prodi che ti diei. Dispensa
Alla misera gente ad ogni luna
Monete in copia, non donando nulla
All'uom ch' tristo. Che se bella e florida
Tieni la terra tua con tua giustizia.
Lieto sarai per la giustizia tua
E fiorente e beato. E se il meschino
Con timor dormir, segno fa questo
Che vendi tu per oro e per argento

Diceagli

Per

il

sire.

tesori la gente,

90
Nella regal

dimora
L'anima altrui.
A chiunque scendea per cose gravi
O per giustizia dimandar, fidati
Uomini del gran re faceansi attorno
A dimandar de' governanti suoi,
Di chi mai secondate avesser elli
Le brame, e chi per essi nel dolore
Dormasi gramo, e chi per sapienza

Era chiaro in citt, chi di ricchezze


Andava privo per manco d'aita,
Chi degno fosse del monarca e quale.
Vecchio degli anni, esperienza avesse,
E quale accorto fosse. E il re dicea:
Deh mai non sia che de' tesori miei,
Di mie fatiche vada lieto alcuno,
Se non colui che ha sapienza, memore
Di tutte cose! D'uom ch' vecchio e saggio,
Quale cosa miglior? Gente di molla
!

Esperienza qui mi cerco e giovani,


Pazienti, a

Che

me

grati.

caro, bello

sieda al loco de' pi vecchi quale

garzon

saggio e di saper bramoso.

Ma quando a un loco
Un esercito suo, si fea
Alleato

il

per far guerra andava


quel sire

suo senno ed un consiglio

Lento e guardingo. Uno scrivano allora


Ei scegliea messaggier,

memore

e savio

Ed avveduto, e davagli messaggio


Con facondo parlar, s che non fosse
Alcuna guerra ingiusta; e il messaggiero
Al nemico ne andava, ogni secreto

investigar del cor di

Le parole; ove senno

trista cosa

lui.

reputasse

Ne udiva

possedesse

ei
il

danno,

La fatica e il dolor dell'aspra guerra.


Dono regale egli ottenea da lui.

91

Un editto e una carta ed un ricordo


Perenne ancora. Ma se vampo fiero
In quella mente s'annidava e in core
Un deso di vendetta e il caldo sangue
Ne' precordi boUa, monete ei dava
All'esercito suo partitamente,

Perch niuno per


Indi seco prendea

Un

scontento andasse,

lui

di gloria

amante

valoroso, vigile ed accorto

E bramoso

di

calma, ed uno scriba


costume e norma,

D'alto poter, di bel

Qual custodisse

agguerrite squadre
un suo fido

le

ingiustizia d'altrui. Poscia

Da

Salia sul dorso a l'elefante, e a

andavano sue

Miglia all'intorno
Ch'ei

gridava

rinomati in guerra

D'uopo non che

nome

quanti han core e

Alcun

dolor,

due
voci,

a'

non a

e gloria in armi,

poverelli Incolga

colui

che ha nome

tesori possiede. In ogni vostra

Stazion vi prendete eletto cibo

date ancor, mostrando animo grato


A' servi tutti. N stendete mai
Alle cose d'altrui la mano audace,

Alle cose di

tal,

ch' a Dio devoto.

le terga in fuga
Al suo nemico, d'ora in poi ben tristo

Ma
Il

di tal

che volgea

tempo suo

si

volger, che tosto

in poter suo la sepoltura avrassi,


le

catene

la

cervice e

il

petto

Gli roderanno, ovver, tolto da' libri

cancellato

il

nome

suo, per cibo

Avrassi polve e su la terra oscura


Avr suoi sonni desolati e stanchi.

Al capitano dir solea: Codardo


ti mostrar, prova non far di audacia

Non

d'opera inconsulta. Innanzi colloca


Gli elefanti

Manda

mai sempre e

vedette

le

all'intorno a quattro miglia, e in pria

All'esercito gira attorno attorno

Ratto che giorno

Per

di battaglie

e d'armi

te s'appressi. A' prodi tuoi dirai

chi son dessi e perch discesi ei sono


l'ell'armi al campo. Cento palafreni
De' nemici con un de' nostri atterra,
Che cento innanzi ad un de' nostri eroi
Cosa son lieve. E tu dirai: Di prence
Ardeshir una veste a ognun di voi
Dar, vecchio o garzon

D'ambe

Ma quando

innanzi

le parti flan sospinti in corsa

1 palafreni, non si vuol che accorrano


Bramosi di pugnar gli accolti prodi
E rimanga per deserto e gramo
Delle falangi il medio loco, s'anche
L'oste de' nostri grande sia. Tu in guisa,

In guisa farai tu, che, l'ala

Contro la destra,
Insiem raccolti e
Contro la manca,
Posto il core alla

La media parte

Ne

pugnino
pugnino

gagliardi.

preda. Al loco suo

resti di tue schiere,

Che

Del tuo nemico

eroi

che, l'ala diritta

alcun dal medio loco

Osi mandar.

manca

gli

il

se la

il

piede innanzi

media schiera

loco lascia, ratto

Dal medio loco tuo con le tue squadre


Ti avventa innanzi. E se vincente sei,

Non sparger sangue di persona altrui.


Da che in fuga il nemico; e se la grazia
Qualcun dimanda

de' nemici tuoi,

Tu la grazia concedi e la vendetta


Non riserbarti in cor. Che se al nemico
Giungi a veder volte

le spalle, a

nulla


Non

t'avventar correndo e

non

Di lasciar

Che

93

ti

piaccia.

loco tuo

il

Anche non

vuoisi

tu securo da nemici agguati

In alcun

tempo

sii,

che

si

riposi

campo

Della battaglia al contrastato

Ma

L'esercito guerrier.
da' nemici

ti

tempo

in ogni

vedrai securo,

Guarda che detto altrui tu non ascolti


Per quanto ei parli. La raccolta preda
A chi la pugna si cerc, largisci,

chi per suo valor tolse dal core

Del viver dolce


In

mano

il

caldo amor. Qual poi

manda

tua verr captivo,

questa reggia senza scampo, ch'io

Una

citt far

Con mia virt,


Or si distende.

per prigionieri
spine un loco
mio precetto
alcun modo, allora

l 've di

Ma

dal

Non dilungarti in
Che brami tu di rimanerti

in vita

Senza travaglio e senza duolo.

Dio

Ti volgi ratto nella tua vittoria,


Ch'egli

n dubbio v'ha, guida

ai

mortali

Che se venia di Grecia o di Turania


Da qualche terra o di Persia pur anco

Un

messaggier, tosto che avea l'annunzio


guardian de le frontiere, senza
Cura non mai cotanta e nuova impresa
Abbandonava, ma un ostello al messo
Era apprestato in su la via, che in questo
Il

Ponea suo studio quel regal

di cibi

di vesti

prefetto.

o di giacigli

Grave necessit quel messo avea.


Quando poi di cotesto avea novella
governante, ch'ei ne andava al sire
Per un intento suo, presso al regnante
Ardeshir uno scriba ed un corriere

Il

94

Dal capo altero accostavansi in pria,


Perch andasser guerrieri al messo incontro.
sire intanto di turchesi

Il

Apprestavasi e
I

tutti in

un trono

ogni parte

valletti schierava, e le lor vesti

inteste d'or. Chiamava il prence


Al suo cospetto il messaggiero e accanto
Al trono suo volealo assiso e poi
Si cominciava d'ogni suo secreto
A dimandarlo, di suo nome ancora,
E della buona rinomanza o trista.

Erano

Dell'opre giuste e delle ingiuste, e assai

Della sua terra e de' costumi

tutti.

Del suo monarca e de' suoi prodi. Allora


In

una stanza

il

collocava, degna

Di messaggier, che ad apprestarvi intento

quanto era d'uopo. Ancora


mensa e a ber del vino
E presso al trono il fea seder; con seco
Alla caccia il menava, ed infinita
Schiera di genti s'adunava allora
Poscia, di messo in degna guisa e bella,
Congedavalo il re, donata in pria
Una veste regal tutta pomposa.
Egli era

Invitavalo a

In ogni parte sacerdoti e savi

Di vigil cor, senz'ombra


Egli invi di poi, perch

di

rancura,

dovunque

Elevasser citt spendendo quivi


Ampio tesoro, e ci, perch qual fosse
Di casa privo, senza alcun sostegno

con straniera la fortuna e avversa,


loco ad albergarvi il giornaliero
Cibo per se apprestasse, onde crescessero

Con

Del re

sudditi.

Ed

ora, inclito

nome

Di lui resta quaggi, tanto in palese

Quanto

in secreto.

Ma

simile a lui

un prence

in terra e fia di lui ricordo

morte sua. Davver! ch'io sono


Ravvivator di lui che ama sua gloria
Deh sia felice la sua nobii meta
Prence Ardeshr tenea nel suo secreto

Dopo

la

Ben molte cose, esploratori suoi


Tenea dovunque, e allor che discendeva

Un ricco
Ne avea

a povert, ratto che

il

sire

novella, ogni sua cosa ancora

Ei rilevava e la faccenda sua


Lasciava poi che vigora pigliasse.

E feconda

la terra e gli abitati

Lochi dovunque,

servi suoi con quanti

adornava intento
com' d'uopo, e ninna cosa aperta
Era in citt che a lui secreta fosse.
A dotta gente i figli suoi bennati
Egli affidava ancor, tosto che ingegno

Avea

soggetti, egli

Lor si mostrava. In ogni villa attorno


Era una scuola e un tempio ancor per quelli
Del Fuoco adoratori. Ei non soffra
Che nel bisogno alcun vivesse mai,
Quando secreta la distretta sua
Quei non tenesse; ond' che ogni mattina.
Al primo albor, scendea ne

la

palestra

Ardeshr prence, e andava innanzi a lui


Chi giustizia chiedea; ned ei cercava
D'alcun rispetto nella sua giustizia.
Fosse pure un valletto o un dolce

figlio

D'un amico possente. Ecco! fora


Tutta la terra per la sua giustizia

s'allegrava de' soggetti

Per

il

core

dovunque; a giustizia verace


Tosto che il prence va congiunto, mai
Non osa il tempo cancellar suoi segni.
Or vedi tu del sapiente eroe
lui


Quale

il

96

governo, perch almen tu dica

Che buon nome ei rec.


Suoi messaggieri
Avea pel mondo, esploratori suoi
Vigili e saggi; e dov'era una terra
Desolata e deserta e dove scarsa
Era l'acqua de' rivi, ei de la terra
L'alto tributo via toglieva e

suolo

il

Di quella gente

abbandonato e gramo
Non volea che giacesse. Ove poi misero
Fosse alcun capo di villaggi, allora
Che sua ricchezza da fiorente stato

povert scendea, dal suo tesoro


il re quadrupedi e d'arnesi

Donava

Villerecci gran copia e

Che alcun migrasse

non lasciava

dal natio suo loco.

Del vecchio saggio una parola ascolta,

per

Inclito sire, e

Fa questa

tal via tu

pure

terra prosperar. Se brami

D'ogni travaglio andar disciolto, senza


Affanni e cure, colmi

Senza

fatica,

tuoi tesori

soggetti tuoi

li

D'ogni rancura tu disciogli, tanto

Che per

giusto operar voce di lode


T'abbi da tutti e di festoso augurio.
Cosi per Grecia e per Turania e Cina,

Per India ancora, a

Un

bel broccato.

signor la terra

tal

Si f' leggiadra qual

pur

Grecia

di

tributi e balzelli

Incessanti da tutte le frontiere

Venano a

lui,

che ninno a

Resistere potea. Raccolse


Tutti

prenci d'Irania e

tal monarca
un giorno

si

li

pose

Tutti a seder su troiy imperiali


In

degna guisa.

In piedi

si

lev.

Allor, quel re dei regi,

La sua parola

Veridica adornando in un bel

modo

97

Cosi parl: D'est citt famosi,

Quanti han fra voi

senno e

di

di consiglio

Inclita parte, qui sappiate ornai

Che questo ciel che rapido si volge,


Non muove gi per retto oprar, non stende
La mano per amor; ma ciii pi vuole
Solleva in alto e misero dipoi

Abbandona

alla terra, e qui

non resta

Nulla di tal fuor che suo nome. Intanto


Ogni fatica sua scende sotterra.

Davver! che nulla qui rimane in terra


Fuor che l'ottima fama di colui
Che meta cerca gloriosa, e questa,

Ormzd
Che tu

fanciullo, la tua bella sorte.

piaccia a Dio santo.

Apri l'anima a Dio, ch'Egli

Dio

ti

volgi,

di tutti

Sostenitore, accrescitor del bene.

Poni tua speme ad ogni tua sventura


In Dio signor, ch'Egli ha poter sul bene.

Sul male ha potest. L'opere tutte.

Gravi
Si

ti

d'assai, agevoli Ei soltanto

far, sar da Lui soltanto

Luce

al

cor de' mortali e di vincente

Fortuna ognora. E

in pria, la tua

Da me

le

ti

liete

prendi e
triste,

misura

trascorse cose,

rinnovar

ti

piaccia

Nella memoria tua. Quand'io riposi

La mia

fiducia nell'Autor del

mondo,

corona
E il seggio mio, s che in real dominio
a me la terra con suoi sette climi,
Qual di signoria ben degna cosa.
D'India e di Grecia ho miei tributi, e il mondo
Si fa leggiadro, quale pur di Grecia
Ebbi gioia nel cor per

Un

la

bel broccato, a me. Grazia gli questa

A me

di Dio, ch'Ei

FiRDOSI, VJ.

mi

die forza ed alta


7


Fortuna
Sole

il

di

Saturno e

favor.

Far degne
Sante ch'ei

Ma

di

quest'almo

chi sapr di Lui

secondo l'opre

lodi e chi,
fa,

98

rendergli omaggio? Forse

Ricordo Egli far di nostra umile


Servit, dimostrando il poter suo
E la grandezza. Ed or, ci che vogliamo

Per

giustizia operar,

lieti

sarem noi

diremo aperto,

di tal giustizia.

Sulle nostre citt di parti dieci

Una

me

spetta ne' proventi, e sono

In testimonio a
I

me

capi de' villaggi.

co' sacerdoti

Or

io cotesto

Ricuso e dono tutto a voi con quella


Decima ancora de' terreni e quello
Degli armenti balzel. Che se a voi pure
II soverchio verr di alcuna cosa,
Il

mio

mio

fidato consigliero al

Tesor l'adduca.

Ma

antiche decime

le

Ch'io presi gi, quanto mi venne ancora


in

meno

o in pi de' miei tributi, in opra

Io posi gi per trarne frutto, ed ebbi.

Ebbi per su le mie porte regie


Schiera infinita di gagliardi. Buono
Stato per voi con vivere securo

Anche

cercai per offuscar la trista

Religione d'Ahrimne. Or voi

palme insieme,

Tutti levate a Dio

le

Studio ponendo in

ci,

Vi piaccia

ne

il

patto suo

violar, ch'Egli fa grazia

in vita ci sostien, del ciel

superno

Ei dipinse la volta. Aita Ei porge

chi offesa pat, n a voi con altri

Con

la gloria di

Lui hcito

fia

Gloriarvi giammai, n d'uopo a voi

Porre

il

core agl'inganni e

all'arti ree.

99

stato contro ad alto spesso


Vassene incontro. Oh! dove son que' grandi
La cui corona a rasentar le nubi
Andava in cielo, e quei che avean lor cacce

Che umile

Alla foresta coi leoni? Egli


Il

hanno

suol profondo e rigidi mattoni

Per lor giaciglio. Oh fortunato e lieto


Chi nulla in terra semin che puro
Seme non fosse! Or voi, quanti qui siete
Dentro a questi confini, al mio consiglio
Porgete orecchio, che le cinque vie
!

Ora a voi mostrer, di cui pi vale


Nobile frutto che regal corona
tesoro di re. Porgete orecchio,

vegliardi e garzoni, alle parole

Dell'inclito

ArdeshhM Chi sa che Iddio


altro non che vero

E veramente,

di Dio.

Seconda cosa

questa s, che
Tu non dispregi,

sapienza mai

Adorator

Sii di gagliardi.

sii

tu servo o prence

Sappi

al

terzo loco

Non invecchiar parola detta mai


Per uom ch' saggio, e al quarto loco
Che timor di peccato pi d'assai
Che non catene e patiboli e tetra

intendi

Caverna di prigion. Quinta parola


ben co testa eh' uom che biasmi cerca.
Segno d'onor degli uomini al cospetto
Mai non ottiene. Or io dir novello
Ammonimento ancor, che assai pi grande

de la vista e dell'anima nostra


di nostra ricchezza. Oh! quei beato

Che

fa fiorir

quest'ampia terra e in cui

Eguali sono e l'aperto e il secreto


Pensier del core! E quei beato ancora

Che ha voce mite

e molto senno e molta

100

Verecondia e parole veementi


Ma tu non dispensar le tue monete
Per vanagloria, non gittarle attorno
Senza cagion, per millantar. Davvero
Che grazia nulla, che merc nessuna
Ha l'uora per tal die sua ricchezza spande.
N l'ha grato colui che Iddio conosce!
Ma se tu scegli il medio loco, a lungo
!

Incolume sarai, s che ogni saggio


Ti dar nome di cotal che retto
Nutre consiglio. Ma se tu da questo
Vai oltre, cinque vie t'nno dinanzi.

Onde

la f, la spiritai dottrina

Virt novella assumeranno, intatta


La tua persona avrai, pi grande in core
Avrai letizia, n fia mai che il tosco,
A miei commisto, de la sorte nostra

Prima cosa adunque


brame

Danno

ti

hen

questa che mai per triste

rechi.

per intento ch' diverso, quella

Che

Iddio

ti

die

ben destinata

sorte,

Eludere tu voglia. ricco appieno


Chi si appaga, e per di primavera
Recangli frutto poi le fresche rose.
Di cupidigia, nel secondo loco,
Il collo fiaccherai, dinanzi a donne
Non svelerai il tuo secreto. Al terzo,

La destra a le battaglie, a le tenzoni,


Non stenderai, che recan doglie e stenti
Battaglie e guerre. Lungi dagli affanni.

Al quarto loco, tieni il cor, n mai


Di mal che non per anche a te ne venne.
Ti corrucciar. Ma al quinto loco, ad opra

Che opra non per te, non stenderai


Questa tua mano; sappi che cotesta

Non

tua preda.

Or voi

tutti

porgete

lOi

Orecchio intento a' miei consigli, a questo


Dir di parole che gran frutto apporta.

Hanno esse un pregio


Ne han sicurezza da'

al cor di tutti, quali


perigli. Intanto

Dall'imparar non prenderti riposo


In alcun tempo, se pur brami all'alma

A' suoi

un

apportar. Se teco

Nuova luce

studi l'affida

il

tempo a

figlio,

lui

Angusto rendi de' trastulli suoi.


Deh! ricordate le parole nostre

E questo sopportar per tanta impresa


Fatiche e stenti! Ognun che s'accompagna
Alla giustizia ed ha sereno il core,
Quanti fra lor per amicizia vera
Non

disgiungonsi mai, per quattro cose

Donde provien giocondo

frutto e

Stato quaggi, tengano in pace

Una

Inverso a

perch alleato

lui,

te.

core.

amore

timor di Dio, rispetto e

E guida

buono
il

ei sia

renderai giustizia

tua persona e guarderai tuo lembo

Che sozzura non

tocchi, e disporrai

Il

tuo core a voler di Dio sovrano,

tal voler,

come

Cercherai con

te stesso,

ognora

tuo studio. Al terzo loco,

Manifesta farai parola vera

Lungi cacciando

la

menzogna

e tutte

mai
Da comando del re protervo il core,
Non in secreto, non apertamente,
Togliere non ti piaccia; il signor tuo
Caro avrai per amor come te stesso.

L'arti maligne. Al quarto loco,

Si

che

al

suo cenno rinnovarsi

Volto parr.
Il

Ma

il

tuo

nel suo patto. sempre

cor legato avrai, ne da sua voglia

L'anima distorrai superbamente,

102

E su lui l'amor tuo, qual su tua vita,


Costante fermerai quando tu veda
Ch'ei t' custode nella sua giustizia.
Ma del regnar la diuturna cura
Al prence

Non

incoglie,

che

la

sua grandezza.

la iattura sua cercasi; e allora

Gh'ei vede e sa che doglia alla sua terra


Per l'esercito suo, per suoi custodi
Alle frontiere, incolse gi, se tosto

Ei non pon mano a sua


Monarca egli non , ne

vero

giustizia,
gli si

spetta

Imperiai corona. Ei deturpava


D'investitura di suo eccelso grado
L'editto illustre, n per d'allora,
D'allora in poi, di principe che regni,
sua la maest. Sappi che ingiusto

Prence e signor somiglia ad un leone

Che mena

stragi in dilettoso loco

Ma il suddito infedel che non riguarda


A comando regal con la sua cura
E
E

l'intento suo studio,

ha

nel dolore

nell'affanno la sua vita, e vecchio,

No, non diventa in questo viver breve.


Che se d'uopo bont con dignitate.
Ci non s'ottien per tracotanza e reo

malvagio operar. Deh

Per

la

sia festante

deh! sia fiorente


giustizia mia quest'ampia terra!

De' miei soggetti

VII.

il

cor,

Lodi di Ardeshir.

(Ed. Cale. p. 1410-1412).

si assise re Ardeshir in trono.


vecchio dinanzi al seggio suo

Quando

Un uom

103

Venne. Suo nome era Kharrd, la lingua


E l'alma piene di giustizia. Al prence
Si volse e disse

re, vivi

beato

Fino a che tempo duri! Eternamente


Sii tu gioioso

e di fortuna invitta,

sian per te con la tua terra

lieti

Il

serto e

il

Tu

trono!

se'

giunto a tale

dietro e innanzi al seggio tuo lor

Che

file

Spiegan compunti augelli e belve. Sire

Da

confine a confin dell'ampia terra

Veramente sei tu, che il capo elevi


Su ogn'altro prence incoronato. Oh! dunque
Chi descriver potr la tua giustizia?
Che il fondamento tuo son veramente
E giustizia e grandezza. Oh! tutti noi
Accrescerem li nostri voti, ancora
il Signor del mondo intero,
tuo tempo viviamo e a te siam noi

Venerando

Che

al

In ogni opera amici.

Anche bramosi

Di contemplar siam noi la tua presenza


E d'ascoltar le tue parole oneste

E di goder dell'amor tuo. Securo


Tu vivi, o re, che per te ancor securi
Noi qui viviamo. Deh! non
Per noi s'infranga verso a

Ma

tu, signor, sbarrasti

D'India e di Gina, e

a'

sia

che mai

te la fede!

a chi nemico
nostri emuli, avversi,

Loro aperto sentier, si che cessare


Le guerre a un tratto e le rapine e
I tumulti per noi, n di nemico

tutti

Ci ferisce l'orecchio orrida voce.

Deh! rimani

cosi,

beato e lieto

In sempiterno, sempre a l'opre intento

Alcun de' regi


Saper non ha quale tu vanti, e mai
Nostro pensier non vincer consiglio

Co' celesti ministri

104

Della tua mente, che ponesti

Fondamento ad Irania

un

alto

in tua giustizia,

che per essa i figli nostri un giorno


Saran beati; anche giugnesti a loco
Per tuo parlar che giovane ritorna

Dietro a tua sapienza

guai in

tal

un uom

gi vecchio,

consesso che natali

Si vanti illustri, in te s'allieta e giubila

Per

Ma

la giustizia tua.

pregi tuoi

Dell'opre tue ben son maggiori, e

il

mondo

Nella presenza tua di nuova luce

Tutto

si

adorna.

Anche

tu sei l'ammanto

Divin della tua sorte e del tuo seggio.

Del regal cinto e della tua corona.


tal re con la sua grazia

Deh! rimanga

E
Il

che non ricorda

la giustizia sua,

Principe

mondo

Per

il

mondo

a te simil! Tranquillo

vive per la tua grandezza,

la tua regia

Appien beato chi

maest. Beato,
dell'ale tue

Ma

Sta sotto all'ombra!


L'altezza illustre
Si resti,

il

del seggio tuo

loco tuo

mai sempre

prence, e l'ampia terra sia

Al tuo consiglio e al voler tuo soggetta!


tu che cerchi l'intima natura
D'ogni cosa quaggi, togli

il

tuo core

Dalla vecchia magion dell'uman seme!

Come me, come te, molti ella vide,


N mai sar ch'ella serbisi eterna
Ad alcun de' mortali; o sii tu prence,
O sii tu schiavo, migrerai tu pure.
Ed

ella rimarr. Sia

che tu viva

duol congiunto, sia con trono e serto,


Dell'opra alfine ti fia d'uopo il tuo

Fardello d'apprestar. Fossi di ferro,


E il ciel ti strugger, n fia che ancora

105

ti culli or che se' vecchio.


curva quel cipresso, al core
S dilettoso, quando piangon mesti
I fulgid'occhi, quando assume il volto

Ti accarezzi e

Quando

si

Gi porporino color scialbo e tosto


L'uom che fu lieto si fa tristo e grave,
E l'anima non posa ai dolci sonni
Come si posa chi rubesto e grande,
Tu solo non restar, poi che son iti
prence
I tuoi compagni dalla terra.
servo

per tuo soggiorno

sei;

il

grembo

Sol della terra tenebrosa avrai.

Dove son con lor seggio e lor corona


cavalieri
grandi? e dove
D'un tempo
sono
dove
Oh!
Di vigile fortuna?
i

potenti ed i saggi e dove quelli.


i
Dal capo eretto, principi gagliardi
E battagheri? Il suol profondo e i gelidi

Mattoni dell'avello han per guanciale.

Oh! beato colui che

la

semenza

Sola spargea d'opre leggiadre! Esempio


il regnante Ardeshr del detto mio.

Udito che l'avrai, tu

Vili.

Morte

lo ricorda.

di re Ardeshr.

(Ed. Cale. p. 1412-1416)

Poi che son


Il

vigile

iti

settant'anni ed otto,

monarca egro divenne.

Che sua morte giugnea, che gi vicine


Erano ad ingiallir le verdi foglie,
Ratto conobbe,

Che Shapr

si

ch'ei

l venisse.

f'

precetto
lui

consigh

Diede pi assai d'ogni misura, e disse:

106

Questo mio patto tu ricorda e quelle


Parole de' maligni abbiti in conto
D'aura fugace. Ma le mie parole

Come

avr' udite, tu le adopra intento,


Se pur discerni da le cose indegne
Cose che hanno valor. Di mia giustizia

Con

la vindice spada, io l'ampia terra


Ordinai tutta e rispettai valore

D'uom

di nobile stirpe.

Poi che fu tutto


Il

suol

si

il

accrebbe,

A me

mondo

ma

soggetto

in giusta via,

la dolce vita

Per me scemava; e come gran travaglio


Qui da noi si port, caddero stille
Del sudor nostro, ma il regal tesoro
S'augument. Fatiche e godimenti

Or son dinanzi a

voi,

umile stato

Talvolta ed alto grado anche talora.

Di questo ciel che

costume
Duolo

in alto, questo

ed amor spiega talvolta,

ei reca,

la fortuna

Palafreno

muove

verace. In alcun tempo

veramente quale
che sempre, in mezzo

restio,

molto ben,

Il

tratto ingannatore.

ti

reca

di

malizia

Anche

talvolta

Ella destriero mansiieto, quale

Per bont ch'egli ha

Deh

in cor,

leva la testa.

sappi, o figlio mio, eh' est fallace

Dell'uom dimora non mantien beato,


Senza grave timor, chi vi discende.

Ond' che tu

ti

Pregio serbando

guarda

alla persona.

di saggezza, ratto

Che tu non voglia che a misero fine


Approdino i tuoi d. Che se il monarca
Loda la f, come sorelle insieme
Fede saranno e dignit sovrana,

Che regno

e f cos fra lor son saldi,


Che ben
Sotto a

Non

diresti

un

107

che

si

f,

stanno accolti

Senza regal seggio

sol velo.

resiste la

n senza fede

Potest regia incolume si resta,


Ma son come due drappi insiem fra loro

a chi ha saggezza.
Senza bisogno di poter sovrano
Non la f, n tocca voti il prence
Che non ha fede. Ma quello di questa
Senza necessit non si comporta,
E non questa di quello, e noi vedemmo
Che una coppia son essi, di leggiadre
Opre cagione. L'uom che ha f, di questa

Intesti e posti innanzi

E quella vita il frutto coglie, ratto


Ch'egli abbia senno e buon consiglio; e quando
Sia custode alla f prence sovrano,

fede e prence chiamerai soltanto

Di fratelli col nome.

Ove

poi tale.

Di fede ricco, odii chi regna, guarda

Che tu non chiami cotest'uom n saggio


N sapiente; ma se alcun soggetto
Scioglie la lingua contro a re eh' giusto.

Non

dirlo pio.

Deh! che dicea colui

Si benedetto e parlator facondo?


Se tu osservi, ei dicea, prima sostanza
Alla giustizia fede in Dio . Grandezza
Di regal seggio cade per tre cose;

E primamente per monarca


E

ingiusto.

uom da

Poscia quand'ei solleva un

nulla

su chi saggio lo solleva, e poi.

loco, allor che ogni amor suo


Pone a' tesori e s'affatica intanto
In aumentar le sue monete. Stendi,

Al terzo

Stendi, o figlio, la

Di

f,

mano

di grazia e di

Perch non mai su

all'opre belle

saggezza vera,
te la

rea menzogna

108

Vittoria tocclii. Intenebra menzogna


All'uom le gote e la grandezza sua
Mai non piglia splendor. Vedi clie mai

Tu non

ti

facci a custodir tesori,

Che a rea fatica stende l'uom la mano


Per le monete sue. Che se il monarca
Ha di tesori cupidigia, ei mena
De' suoi soggetti la grama persona

A
L

Ma

tristo faticar.
si

il

suo tesoro

ritrova, del colono pio

Dov' pure il tesor. S'ancte per lui


Saran fatiche e gravi stenti, il sire
Guardiano esser dee d'ogni tesoro
Del buono agricoltor, recando al frutto
L'alto virgulto della sua fatica.
Arte riponi in ci perch tu sii
Lungi dall'ira, e con viril fortezza

Su chi pecc, chiudi ambo gli occhi. Sdegno


Se prendi, oh s davver! che pentimento
Ratto ne avrai; ma, per scusa che facciasi,
Valevole difesa abbiti in serbo.
Qual sovrano facile allo sdegno,
Ghiamanlo poi le genti sagge tale
Che non ha pregio. Ma poich ben trista
Cosa nel prence disiar l'altrui
Male col danno, anche gli d'uopo il core
D'opre belle adornar. Che se tu in core
Viltade albergherai per alcun tempo.

Sopra

te vincer consiglio reo

Del cor del tuo nemico. In far tuoi doni.

Entro a misura non porrai tu il core,


A cosa di quaggi non darai pregio,
Figlio, fin che potrai. Sappi che il regno
Pi s'addice a colui che giustamente
Lascia sua parte

Per regia dignit

al rotar

de

le sfere.

soffre ei talvolta

109

Affanno e duolo, i sacerdoti suoi


Seco ne fan consiglio e van chiedendo
Dell'opre giuste e delle ingiuste, e poi

Al cor del prence rammentando vanno


Coteste cose.

Ma

in quel di

che voglia

Ti prenda di cacciar, quando fian pronti


I falchi predatori, ecco! due giuochi

Far non voglionsi a un tempo,

il

il

ber del vino,

far banchetti, l'andar fuori e l'ampia

Caccia apprestar, che grave

si

fa

il

corpo

All'agitarsi del licor possente.

Ed osservar questa parola un giorno


prenci tutti. Che se alcun nemico
Da qualche parte s'appresenta, il core
d'uopo liberar da queste cose
I

E dar monete ed apprestar le spade


E genti in armi ragunar da tutti
regni intorno. Alla diman le cose
D'oggi non tramandar, su regal seggio

Non
Non

collocar chi mal costume insegna,

ti cercar veridica parola


Dal cor del volgo, che da tal ricerca
Iattura ti verr. Ma se da gente

Del volgo abietto ignobile parola


te verr, la maledica gente

Non
Non

non ti doler di tanto.


non a Dio l'uom eh' maledico,

ascoltar,
al re,

Fia mai devoto, e se tu

al pie l'afferri,

capo in mano ti verr. Gotesta


la misura de la gente abietta
D'ogni citt. Ma parte di saggezza
In te si resti in sempiterno! Temi
Da malvagio operar d'uom eh' malvagio

II

Nell'intimo del cor, che angusto e tetro


Si fa pei tristi

Agi' intimi

non

il

mondo. Ogni parola


pure al fianco

dir, eh' e

liO

Hanno amici e compagni, e sappi allora


Che fia scommossa la parola tua
Ratto che la dirai pel mondo sparsa.
Quando in citt divulgasi dovunque
tuo secreto, ecco, ne andr il tuo core,
Prudente e saggio in pria, d'ogni fermezza
Orbato a un tratto. E tu ti crucci intanto,

Il

l'uom eh' saggio e tenta da quell'ira

Toglierti con amore, impetiioso

Di mente

Biasmi d'altrui

dir.

ti

Tu non cercar per


Recher contro a

Ma

via nessuna; biasmo

te chi

biasma

altrui.

se vince desio stolto e fallace

Su vero senno, l'uom eh ' saggio e

Non

ti

Del

mondo

porr fra

Si mostri

Amico

gli altri

reggi tor, di

sempre, perch'

e protettor.

tracotante

Ma

accorto,

umani. Il prence,
senno adorno
ei sia

di tutti

chi superbo

dimostra e volgesi

si

Da ogni consiglio e da ogni ammonimento


Con alterezza, deh! non sia che mai

te d'accanto

prenda posto, ovvero


ti sia. Se vuoi

Ch'egli, cotal, guida

Che l'uom

saggio

ti

lodi,

ogn'ira tua

Deponi e di vendetta ogni desio,


Tosto che prence sarai tu. Colui
Che d'alta maest si asside al trono,
Savio esser debbe e adorator di Dio.
Loquace esser non di, dinanzi agli altri

Non

mostrerai

Ogni parola e

tua saggezza; ascolta

la

la miglior

rammenta

vedi quale a te vien pi gradita.

Ma

le

parole tue dinanzi ai saggi

Dirai pesate, affabile e ridente

Mostrando a

tutti

A' poverelli che

il

viso.

Anche

dimandan pane,

dispregio


Tu non

farai,

ma

Farai seder;

Ili

in trono ogni

maligno

chi per le sue colpe

Fa

la sua scusa, accogli al seno, e delle


Trascorse cose non bramar vendetta.
Sii di giustizia elargitor, de'

miseri

Provveditor. Beato l'uom che sente


D'altrui pietade e pazienza aduna!

Ma
A
E

se

te
i

teme

il

nemico e lusingando

vien, tu appresta le tue genti

ne

timpani sul dorso agli elefanti

Avvinci ratto. Scendi alla battaglia


Nell'ora appunto che da la battaglia
Si

riguarda

il

nemico e fiacco e lento

Che

Si fa l'artiglio suo.

s'egli

cerca

Pace e vero il suo dir, quando non vedi


Menzogna alcuna entro al suo cor, da lui
Togli tributo e la vendetta antica
Pi non cercar, l'onor gli riserbando

Ovunque

e sempre.

Ma

il

cor tuo tu adorna

che sapienza ha pregio,


E tu l'adopra, tosto che tal pregio
Notato avrai. Poi che se' tu pietoso.
Generoso pur sei, per sapienza

D'alto saper,

per giustizia celebrato. Il patto


Del padre tuo nell'anima tu accogli.
Indi il tramanda al memore tuo figlio.
Poi che del

figlio

mio tramando

il

dritto,

nessuno quaggi per l'ampia terra


Offesa reco. Ma per questo patto
Passerete voi pur; deh! non sia mai

Che

de' consigli miei per voi

si

stimi

Trista cosa l'accento! Ecco! su questo

Ginquecent'anni a correre son pronti,

cadr vostro dominio al fine.


volgeranno
Da questo patto mio, quanti saranno
allor

I figli

tuoi la fronte

112

Di tua famiglia. Ei volgeranno altrove

Da prudenza

e saper,

non ascoltando

De' sapienti la parola; ei tutti

Lungi andranno dai patti e dalla fede,


La man porgendo all'ingiustizia, all'opre
Di violenza e di superbia.

mondo

Il

Faranno angusto a' lor soggetti e


Sar per lor ogni devoto a Dio,

vile

Gh'ei vestiran dell'opere malvagie


Il

tristo

ammanto

e cresceranno in quella

Religione d'Ahrimne. Allora


Ci che legato avrem, sciolto per

elli

Sar d'un tratto e fia contaminata


La f che pura noi rendemmo. I nostri

Ammonimenti e
Andran riversi,

li

consigli nostri

e desolata e vasta

mia ne andr la faccia


Or io chieggo dall'alto
mondo, che ben sa le cose

Di questa terra
In ogni parte.

Fattor del

Manifeste e le arcane, ond'ei vi

Contro ogni mal, custode, e


L'intento vostro ognor.

E da

Da Dio

sia,

buon nome
frattanto

noi pure sopra a quei discenda

Benedizion, di cui l'ordito

sia

il

senno

non infrange
Il patto mio, n studio pone in volgere
In tosco amaro il dolce miei ch'io porgo.
Gi son trascorsi quarant'anni e due
Mesi pur anco da quel d che in fronte
Il regal serto mi posai. Nel mondo
Sei citt son di me; l'aria n' dolce
giustizia la trama, e

E pieno il loco di ruscelli. L'una


Maest d'Ardeshir chiamar gi volli,
E di muschio n'olezza l'aer puro

E ne' suoi rivi l'acqua latte. L'altra


Pace d'Ardeshir, per cui passaggio


un

In Persia feci

Ormzde

113

d; l'altra cittade

Ardeshr. Per l'aria sua


Grarzon diventa l'uom gi vecchio, e bello

di

de' Klizi

Pieno

per essa

suol profondo,

il

di

d'acque e di guadagni
perigli. D' Ardeshr Piscina

E
E

la

quarta

di roseti

di genti e

Sono

citt,

che

d'orti piena

e di laghetti.

Due

Bagdad, sull'acque

in la terra di

Dell'Eufrate correnti, e ricche sono


Di fonti e di quadrupedi e di folte

Erbe dovunque. Chiamerai tu queste


Di re Ardeshr i monumenti, e ratto

Che

mente

udito avrai questa parola, in

Tu la ricorda. Or noi gi per la tomba


Apprestammo fardelli, e tu mi assegna
i

Ratto

bara e via disgombra

la

il

trono.

Molte fatiche tollerai nel mondo


In manifesto ed in secreto; or tu

Per la giustizia tua l'anima mia


Rendi beata e sii vincente e lieto
In ogni

tempo sovra

l'alto

seggio

Disse, e d'un tratto s'oscur la

sua
Regal fortuna. Oh la regal sua fronte
E la corona e il trono
questa adunque
!

Del

mondo

N mai

lieto e la

legge e

costume.

il

sar che l'intimo secreto

Deh colui beato


Che non vedea real grandezza D'uopo
Non gli fu mai discendere dal trono
E disparir. Ma tu, per ogni via,
Ei ci disciolga.

Opri e lavori, n per

si

resta

L'uom quaggi sempre e ninna cosa


Alfr, noi tutti al suol

Sarem

congiunti, e

ci

intatta.

profondo e greve
fia

d'uopo allora

Sotto al funereo vel celar le gote.


FiHousi, VI.

114

Vieni tu intanto e porgi ad opre elette

Meco la mano, perch alraen la terra,


Che breve dura a noi, male adoprando
Non si calchi da noi. Quei fortunato
Che in man si toglie la ricolma tazza

E beve

ricordando

Gh'eran

prischi regi

fedeli a Dio!

Del possente licor

gli

Quando la coppa
sempre accanto.

Nell'ora sua pi bella ei s'addormenta.

IX. Lodi di

Dio

e del

(Ed. Cale.

p.

Sultano Mahmd.
U16-1417).

Benedizione a Dio, creante un giorno


il

tempo

Ogni

letizia

Il

creato universo, e fece

la terra e lo spazio!

Da Lui proviene, ogni

desio da Lui,

Ogni principio ed ogni meta.


Ei

f'

del

col

Il

cielo

tempo e questa terra ancora,

mondo

le cose Egli produsse,

Oh s! da picciol stelo
Fino all'altezza del trono regale
Picciole e grandi.

Dell'essere di Dio son manifesti

segni ovunque. Creator del mondo


Lui solo adunque tu dirai, di tutte
I

Le cose e ascose

e manifeste solo

Ma
Muhammd

scenda sovra l'alma


Di
benedizion di Lui
E pi ancor del Profeta su' Compagni,
Ad uno ad uno. Elli eran tutti santi
E timorosi inverso a Dio; passarono

Gonoscitor.

Le lor parole il computo verace,


Tante esse furo. Ed ora, ai detti nostri

Augumento facciam Dio venerando,

115

Fattor del mondo. Loderemo ancora

Del re dei regi


Di cui

il

diadema

'1

fulgido,

trono dona luce a questa

Candida luna, re Mahmd, che ha gloria

E maest, di cui son chiare in terra


Grazia e potenza. Generoso core
Egli ha davvero, ha grazia e maest te
E

pur anco, e

giustizia

Sotto al

comando suo

il

mondo

intero

giubila e gode.

Di clava egli signor, sire di spada


E d'operar costante, egli signore
Di salute rubesta ed

ha

tesori

serto imperiai. Prence del

mondo

Egli cosi per dignit sovrana,

Gonoscitor d'ogni opra bella, e grazia


Ei rende a Dio per la corona sua
Di prence augusto.

saggio e degno e forte

In favellar, giovane d'anni e vecchio

Di sapienza. Per la sua grandezza

Manda Giove
E noi godiam

dal ciel la dolce pioggia,


di

sue grand'ale all'ombra.

Nelle battaglie sue gemere il cielo


Ei fa davver; quand'ei discende al suo

Real convito, spande gemme intorno,


E monti scrolla quand'ei leva in alto
Il suo corruccio, e trema il ciel di sopra
A questa terra. Egli signore e prence
i

De' padri suoi nell'ordine, e per lui

Pi splendida

si

Della luna e del


Il

nome

suo,

Sia poi sua

fa l'eterea
sol.

plaga

Rimanga eterno

perch ogni bella sorte


meta Or io, gi sul principio
!

Di questo libro mio, feci sue lodi

suo costume celebrai col suo

Alto consiglio e la grandezza, e tosto


Illustre

il

nome mio per

lui

soltanto


Vidi nel mondo. Oh.
Grli

tocchi in terra

la fortuna

nobile fine

si!

Per

Si f' lucente la regal

116

l'aspetto suo

corona

sua contro ogni male

Gode per lui


Ogn'uom pi saggio e gode tal che in terra
Nome ha sovrano. Per la sua fortuna
Usbergo

gli si f'.

Inclita e bella radiante

il

cielo,

E questa terra all'inclito suo trono


solido sgabel. Dentro agli assalti
Un elefante egli d'impeto fiero,
Di offese apportator, ne' suoi conviti

Un cielo egli
Ma quando il
Luce

di fede intatta e pura.

voler suo ne' suoi conviti

prende, levansi d'un tratto

si

L'onde dal mar

de' doni suoi.

Nelle sue cacce

Son preda

re; le fiere agresti

Al cenno suo van sottoposte, e in orrido


Griorno di pugna il suon della sua clava

Spezza

a'

Squarcia

leoni

il

cor, de' leopardi

la spoglia irsuta.

Oh

quel suo capo

Vigoreggi per sempre e quel suo core


Pieno sia di giustizia; oh! mai non sia

Che
Orba

del suo capo e del regal suo serto


resti la terra e desolata

Re Sassanidi.

2. Undici

Shpr.

re

Il

I.

(Ed. Cale. p. 1417-1420).

Del regno di Shapr tu parla intanto,


Sciogli la lingua a favellar di feste

di

Ecco

vino gagliardo.

Di sua giustizia ratto

Prence Shapr e
Il

che

si

sul trono

assise

pos sul capo

si

serto imperiai, luce del core.

Tutti dinanzi a lui

si

radunaro

Principi e savi e sacerdoti e gente


D'alta dottrina. All'inclito consesso,

que' magnati, consiglieri suoi,

Di sapienza ricchi,

ei

f' tai

Di principe Ardeshir qui

Genuina

prole,

memore

detti:

mi son

io

e di vera

Saggezza espositor. Porgete orecchi


Al mio comando

tutti voi, dal

mio

Patto regal non dilungando a un tratto,


Indi,

quel ch'io dir, cercate intenti,


cosa

E mi ammonite ove immatura

voi

si

paia.

Or

io,

poi

che gi

vidi

Ci che frutto ne reca e ci ch' danno.

Trovo che in mezzo due superne grazie


Son po.ste a noi. L'una un gran re, del mondo

118

Primo custode, guardia n

di

quanti

Tesori son di prenci e di soggetti.


Che ove un re sia, di sua giustizia ornato

che a lui
d' inclit'orme, si davvei
saggezza custode! Ella saggezza
Che gli custode e gli propizia, ond'ei
S potr sollevar pi de le fosche
!

Nubi

E
E

del ciel la fronte sua. Giustizia

sapienza son gl'intenti suoi,

quell'anima sua per sapienza

Vivesi

lieta.

questa

La seconda grazia
quando tal re, per prova

Di sua prudenza, con vigore e forza

raduna

S'affatica e

E da

Dio riconosce

Per saggezza

alta dovizia
il

beneficio

ch'egli ha.

Deh! l'uom beato

Gh' sapiente e riconosce Iddio


Degno di grado imperiai chi saggio,
!

contro a saper non ha valore

di

Il

fulgid'or.

Che

facile

Si fa

Ha

si

Ma

ricco ben colui

appaga, e ostel

un cupido

cor. Chi

di

ha pi

fumo
deso,

pi cure e travagli, e tu ben di

Porvi tuo studio e del deso l'amaro


Frutto non preferir. Cerca tua pace

E buon nome quaggi, tale evitando


Che ha men retti consigli. A cose d'altri
Stende la man colui che non ha parte
Di sapienza assai. Ma in me per voi
Pi grande amor di quel che mostra al cielo
Ogni sua stella, e gi m'accingo l'alta
Norma a seguir con voi, n scampo fia.
Del gran prence Ardeshr. Dal pio colono
Io pi non chieggo d'una parte sola
Di trenta sue ne' redditi, perch'io
Agli armigeri miei possa di poche


Auree monete
Di ricco

119

far larghezza. Stato

mio, fiorente

il

il

mio

tesoro,

E fortezza con me, fermezza ancora


E generoso cor, si che siam noi
Senza necessit

Che per

di cose altrui.

possessi rendesi

nemico

Un amico sovente. A a^o frattanto


dischiusa la via che a noi vi mena,
Che amor per chi giustizia a noi dimanda
Abbiamo

in petto. Esploratori nostri

Invieremo in ogni parte intanto


E vigili ed accorti ogni faccenda
Ricercherem di questa terra. Noi
Niun'altra cosa cercherem pi mai

Fuor che benedizion che


Da Dio regnante, creator

altri c'invochi

del

mondo.

Principi e servi allor, tutti d'un moto.


In pie levarsi e a far parole oneste

Sciolser la lingua.

lui

benedicendo,

Gittr smeraldi su la sua corona

Di re sovrano. Allor, subitamente,


Di principe Ardeshr la santa legge

Vigor riprese e ne gioir festosi


Giovani e vecchi a que' beati giorni.

Andava attorno
Il

Starsi

novella poi

morto Ardeshr, savio monarca.

Affidato a

la

trono imperiai giacersi inerte,

la

Shapr

corona

l'inclito

seggio

in pria. Levossi allora

Da

ogni frontiera e da ogni terra grido,


Grido che venne da suol di Keydfeh
L fino in Grecia. Come n'ebbe annunzio

Prence Shapr,

Egli apprest con

timpani sonanti
i

Co' suoi gagliardi, e

Paluineh,

vessilli suoi.

venne

prodi suoi

fino innanzi

menando

120

Rapidamente a ricercar lor preda


Per strettezza che avean. Grande l'esercito
Di Keydfeh usc allor da la frontiera,
Si che nel cielo intenebrava il sole
Dietro la polve che sala. Ma intanto
Uscan falangi ancor da Paluineh,
E duce n'era un prence. Era del prode
Il nome Bezansh, gran cavaliero
Dal capo eretto e d'anima serena,
Caro e pregiato a' greci Imperatori

Veracemente, avventator di lacci,


Uom famoso d'assai. Poi che da questa

quella parte

si

lev fragore

Di timpani sonanti, ecco! dal mezzo


Delle sue schiere uscir quest'uom, voglioso
Della sua gloria, e uscirgli incontro

un

forte

Dall'altra parte, celebrato eroe,

Che nome avea Ghershsp

E prode

leone, ardito

cavaliero, a cui, d'assalti

Nel d, qual uom potea, quale elefante


Ardimentoso contrastar di forza?
S'accapigliar nel vasto campo i due
Ferocemente e sollevar la polve
Agli astri in

ciel.

Molti gagliardi allora

D'ogni maniera disiar l'assalto,

questo per colui sentasi fiacco,

Non

quel per questo. Alfine,

ambo

gli eserciti

Orrendamente irruppero nel campo


Tutti in gruppo, come contro a un monte
Un altro monte. D'ambedue le schiere
Grida levarsi e fremer di timballi,
Si che si scosse di sue genti al mezzo

Shapr guerriero. Detto avresti allora

Che da sue

basi gi cadea travolto

Quest'ampio cielo

a' squilli

de

le

trombe

de' crotali d'India al fiero strepito.


Ma

12i

timpani sul dorso agii elefanti

Avvinser

quelli

prontamente, e intanto

ben due miglia


Lungi ne andava. Traballava il suolo,
Il

nitrir de' cavalli a

Pieno

di polve il ciel, qual fuoco ardente


Splendean l'aste guerriere, ed ogni lingua
Congiunta a sapienza altro non disse
Fuor che il nome di Dio, re di giustizia.

Ma Bezansh

guerrier, l nel bel

Di sue falangi, con rigonfio

mezzo

core

il

Di fiera ambascia, cadde prigioniero;

allora,

Greci eroi, a diecimila

Trucidati giacean l tra le schiere


In Palulneh, e mille prigionieri

seicento cadean. Davver! che

il

core

Di questi forti di dolor fu sazio!

Mandava allora il greco sire un messo


Memore e accorto da Shapr, illustre
Figlio a prence Ardeshr. Tanto, ei dicea,

Sangue tu spargi, per aver monete,


Innanzi a Dio ch' giudice e maestro?
Deh! che

dirai

quando nel di del suo


ti far dimando?

Giudizio estremo

Qual scusa

farai tu dinanzi a Dio

Sostentator? Noi

ti

mandiam

Quante pur sono qui. Sovra


Altro dolore aggiungere non
Oltre

a' balzelli

Eseguisco
Si

come

cose

le
il

presente

vuoisi.

tuoi, fedele io tutti

tuoi cenni e a te consegno,

ostaggi,

miei cognati. Oh!

Se tu da Paluineh a dietro vai

ti

ritraggi,

Ci che

t'

ben sar, che noi

grato, co' tributi ancora,

Invieremo a
L'Iraperator
Dieci pelli di

te.

mand

Shapr restava,
balzelli e doni,

bue ripiene d'oro

dunque

122

di

monete

imperiali, aggiuntevi

Molte altre cose di gran pregio, e schiavi


Giovinetti ed ancelle in Grecia nate,
Schiera di mille, e molti drappi ancora,

Senza confn, d'inestimabil pregio.


Sette giorni ei restava in Paluneh,

Ahvz venia
Che Grecia tocca. Una

dalla frontiera

Poscia ad

Shapur-ghrd era

citt ei fondava,

nome, e

il

la

compia

D'Ird nel giorno beato. Ei per un anno


Per tal citt soffr travaglio e cura,

E con

tal

cura assai tesori suoi

Intorno spese. Dilettosa e


Ei

f'

un' altra citt

Di Grecia

Che

dei

Trova
Ampia

ei

l'elev.

Khzi ha

libero
ei f'

il

Quella

la

la

terra

porta e ognun per essa

varco;

una

amena

pei prigionieri

citt,

in Pel^sia

ancora

ricca ed amena.

Di molto frutto, e in Nishapr cittade

La rocca

f'

ch' detta Antica, quale

che f' Shapr regnante


Per sua giustizia. In ogni parte e sempre
Bezansh adducea, porgendo orecchio
Alle parole sue. Era a que' tempi
Un gran fiume in Shustr, n quel gran fiume
Dicesi ancor

Poteano

pesci valicar;

A Bezansh

ma

il

sire

cos parlava allora:

Se tu sei geometra, a questo fiume


ponte farai tu s che tu arrivi
All'altra sponda, che n'andremo noi
Da questa terra, e il ponte fl loco suo
Si rimarr per sapienza vera
Di chi guidato avrallo. A cotal ponte

Un

Lunghezza

farai tu di mille cubiti

mio tesoro
vengane all'uopo. Or tu

tutto chiederai dal

Che a

te

di

quella

123

De' filosofi greci maestria


Parte in opra qui poni, in questa terra,
In questo mio confin. Quando poi giunga
Alla mia casa il ponte che farai,

A me

mio tu

tu vieni perch

che

fin

Sicurezza e

letizia e lungi

Dalla sventura e da

la

D'Ahrimn fraudolento.
Bezansh in quell'opra

resti

molta

vivi, in

Ospite caro,

sempre

man

proterva

Allor

In anni tre comp. Ratto che

pose

si

gran ponte

e quel

il

Fu compiuto per lui, si mosse


Da Shustr e ne venne al suo

ponte
il

prence

palagio

Dirittamente volto. Ecco! regnava

E per giustizia e per consiglio eletto


Prence Shapr, con alta la fortuna
Ed inconcusso

II.

Il

re

il

trono suo regale.

Ormuzd
(EG. Cale.

Shapr.

figlio di
U20-1424).

p.

Poi che trascorsi fr trent'anni sopra


del prence

Due mesi ancor,

Che Ormizd innanzi


Cos parl

si

Comando

gloria e maest.

l venisse, e allora

Del bel giardin la faccia

Impallidisce omai. Veglia tu

mondo

reggi

giustizia congiunto.

il

Non porre

in

e prence

al

mondo

sii

Anche

Gemshid

farai fuor

Opre conformi ed

Tu

adunque

sii

grado imperiai,

notte e giorno di

Nulla

dispersero

ei fea

sovrano
fiducia

ma

leggi

le carte.

che a

giustizia

atti onesti. Agl'infimi

difesa e de' prenci la gloria.


Nummi

124

aver, poco diletto avrai,

in

Tu li dona piuttosto e tutta rendi


La dovuta giustizia, e sii felice,
E sii beato! Ma per breve ingiuria
Non elevar troppo alto grido, allora
Che

E
E

le

alleata

ti

vuoi

tua fortuna,

la

parole mie tutte riponi

serba in mente com'io gi serbai

D'Ardeshr prence

le

parole sante.

Sol questo ei disse, e pallido

Di sue gote

il

color.

Pieno

si

fece

di doglia

il cor per lui divenne.


Oh! che fai tu di questa vita breve?
che ti piaci di gran nome e stendi

D'ogni pi saggio

Ai tesori

la

inano?

la

tua sorte

Un'arca angusta e nulla pi; gl'indegni


Di tue fatiche si godranno il frutto;

Non
Non

non

tuoi cognati,

tuoi

congiunti tuoi, di te gi spento

Faranno

figli,

allor ricordo. Avrai, qual tua

Addetta parte, e vituperi e biasmo


D'eredit che lasci, ed pur sempre
Atro velen che a balsamo risponde
In contrapposto. A Dio ti volgi adunque,
Sermon che fai di Lui, tu cresci e aumenta,
Ch'Egli dator del cibo giornaliero

guida a tutti noi. Manda un saluto


Al suo Profeta ancor; le preci nostre
Della cattedra sua son la corona.

Ora di prence Ormzd il serto e il trono


Adorneremo, come il lieto giorno
D'Ormzd, al principiar del nuovo mese.
Nessuna colpa in lui per tutti i giorni
Ch'ei fu regnante, e questo sol fu danno
Che non fu lungo il tempo suo. Ma quando
Sedette in trono prence Ormzd illustre,

Andaron lupi con agnelli insieme


Ad un rivo medesmo. Ei disse allora
A' saggi suoi d'inclito nome, esperti,
A' prenci che compiute aveano in terra

Opere

cura e

assai: Pongasi

studio,

Prenci, per noi, perch giustizia adoprisi

Oh! quei beato


ammonimenti

In imprese leggiadre.

Che
Sempre ricorda! Poich
del suo genitor gli

Dator, grazia

Iddio, di grazia

fece e die corona

ci

Sulla fronte di re, per nostra grazia

Voi farem

Che non

tutti

vogl'io

veramente amici,
che senza me di

Sia secreto pensier.

Che qual

Deh

voi

voi sappiate

solleva alteramente

capo,

il

Riprovato sar veracemente

Nel cospetto dei grandi, e gli fa guida


E reggitor empio deso di liti,
E il suo bisogno incolume e novello
Ogn'anno rimarr. Di spada inconscia
Ei

ben sar

l'invidiosa meta,

E sempre e sempre
La rea fortuna. Chi
Vergogna
I

sente,

rider di lui
dell'opre sue

avr sua vita e

giorni suoi pieni d'angoscia e

Che

cor dell'uomo abietto veramente


Or tu non volgere

il

Porta

di cupidigia.

gente abietta

fin

che puoi, e allora

Che segno non vedrai


In

tutti

tristi,

uom

quaggi,

fin

di

che

sapienza
vivrai, dinanzi

Alla sua porta non passar. Soltanto

Per uomini

E per

di

senno e per consiglio

alto saper trono regale

Al loco suo

si

resta in sempiterno.

Viva il tuo cor nella saggezza sua,


Nel suo saper, ma tu non adoprarti


Al mal quaggi,
.

come

126

fin

che

t'

dato.

l'acqua e sapienza

il

Il

senno

suolo;

Sappi tu adunque che divisa mai


Quella non da questo, e questo mai
Non va da quella separato. Allora

Che

di principe

il

cor fugge da amore,

Se quel suo cor si oscura e s'abbandona,


Meraviglia non . Chi m ' soggetto,
Viva adunque felice e adori Iddio,
E per grazia di Lui, Fattor del mondo,
in secreto e in palese abbiasi amico
Senno verace. L'uom prudente e saggio

Che

di

Ad

altri

re fa parole in alcun loco

innanzi eh' avveduto e accorto,

Ben dee pesate adoperar parole,


Che verbo onesto non invecchia. E

vuoisi ancor

che tu

favelli

Soltanto e saggio, e che, se alcun

Con biasmi e scede, non


Del tuo signor travede

il

vuoisi,

onesto

l'ascolti.

parla

ti

Il

core

tuo secreto,

L'intento orecchio suo la voce tua

Ode

e riceve.

Oh! che dicea

colui.

Esperto in favellar, nell'ascoltare


D'altrui risposta? A parole d'altrui
Orecchio,

ei disse,

han

ancora!

le pareti

Tutta quell'assemblea con alte voci


Benedisse a colui, prence sovrano
Di cor veggente e d'illibata fede.
Indi

si

sperse l'inclito consesso.

Lieto ciascun di quel cipresso altero

Che bell'ombra gittava. Egli segua


Le norme di Shapr, figlio bennato
Di principe Ardeshr, egli sovrano

Di sapienza incetlator. La gente

Tutta per

buono

il

lui

n'andava

lieta

oh

quanto

re che ha grazia ed ha potere

D'alta giustizia!

127

rispetto conforme,

Dio conforme, govern quel grande


Fin che stagion su ci trascorse. Allora

Canfora

trista fu gittata al loco

Di muschio eletto, e disseccar negli orti


Le rose d'un color di viva porpora.
Quando ei conobbe che fuggir la morte

Non

potea, dagli occhi suoi lucenti

si

Molte

vers d'amaro pianto.

stille

Aveasi un

chiamavanlo

figlio (e

saggi

Behrm di nome) di sue proprie voglie,


E allor, nell'aula sua, stendere ei volle
Ampio tappeto e comand che innanzi
Behrm venisse. A lui dicea quel sire:
Figlio d'intatto nascimento,

che hai

Alta la fronte per valor sovrano

me

sapienza, a

Stremo

si

di forze e di

Pari al color

poter che fece

questo crin canuto

di

Delle mie gote

volse omai

color vivo. Intanto

il

Del bel cipresso

si

curv

l'altezza,

E presero color d'un frutto scialbo


Le rose fresche e porporine. Or dunque,
Fino a che venga il giorno tuo, signore
Qui sii, qui sii prudente e senza offesa.

Guarda che mai da chi


Tu non volga la fronte;

giustizia chiede.

commesse

le

Colpe non perdonar de' violenti,


Non volgere tua lingua alla menzogna.
si prenda
Prudenza antica

Se pur vuoi che da te luce


Il

tuo serto regal.

Qual anima

ti

sia,

sia

verecondia

te qual fido consiglier.

Di tue parole

il

dir,

Possente

dolce la voce.

Iddio vincente amico tuo!

Ma

De' tuoi soggetti disiabil preda

il

core

e tu deponi intanto

te diventi,

Di vendetta

128

pensier, lunge restando

il

Deh mai non sia


comando ottenga
Impeto strano! Anche non vuoisi mai
Che abbia accesso appo te chi delatore
Dagl'impeti del cor.

Che

libero su te

E tal ch' ignaro e fraudolento. Nulla


Non otterrai da gente indotta e rea
Fuor che opre

Non

triste,

rimiri a cotesti

e guarda che tu mai


che non sanno.

Sappi che svergognato e cinguettiero

Non vede mai

presso qualcuno in terra


Segno d'onor di s. Tu fa signora
Di te prudenza e serva l'ira e contro
Ad uom ch' fido al ciel, guarda che mai
Iroso tu non sii. Bada che attorno
A te non venga cupidigia trista,
Che tumulto del cor, sgomento adduce

Cupidigia con

Turpe

mena con

s,

ma

necessit;

seco

pazienza

In opra poni con giustizia assai

menzogna

via ritraggi da

Da men
Perch

il

core,

giusto sentir. Guardingo


trista di te

Che l'uom

di tristo

sii.

fama non cresca.


nome unqua non vede

Conforme a suo desio questa terrena

Dell'uom dimora.

dal dritto calle

Di tua saggezza per nessuna via


Ti toglierai. Precipitoso e stolto

Modo

d'oprar

Inutile pentir;

Opre giuste

Non

vuoisi

ti

mener nel core

ma

savio indugio

ond' che mai


capo dalla via diritta

disvela,
il

Di vero senno volgere a ritroso.


De' pazienti non

Unqua

la

si

volge all'ira

mente, e chiudon

essi gli

occhi

129

Senza dolor su cosa che


Ottener non

si

alla terra

Ma quando

pu.

varchi

Giusto confine pazienza, ancora

Tocca fama di vii Tuoni di gran core.


Ond' che qual possiede imperiale
Trono alla terra, sapienza e senno
Ponga intermedi fra coteste vie
Che due pur sono; non inerzia vile,
E non foga inconsulta in ogni tua
Opra che fai, ma sapienza sola
Guidi l'anima tua. Vedi che mai
Onor dinanzi al l'e l'uom non si cerchi
Maledico e malvagio, e da nemici

Non chiedere
Elli

ti

Verde

amist, s'anche pi volte

gridan
saria,

Pianta cotesta

re.

ma

frutti suoi

se al piede afferrar pensi

Il

capo in mano

Loco tu

Non

ti

son tosco,
il

nemico,

verr. Se in alto

siedi o in basso loco, a fraudi

volgerai la mente tua, n in core

Tristo pensiero serberai, che trista

che mal si pensa;


prence rompe la sua fede
L'inclito popol suo di lui si ride.

la sorte di tal

allor

che

il

Prudenza assumi, ch'ella inver dell'alma


Adornamento e de' giurati patti

E dei detti custode; ella bellezza


Che adorna il serto ed il regal tesoro

de' forti le schiere e

mutamenti

Mostra del sole e della luna. Vedi

Che

alle delizie

ed

Anche per

mai
Avr suo

a' tesori

Industria tu non ponga.

fine

te la vita breve. Intanto

Sol per uomini saggi

il

tuo consiglio

Ti prenderai, de' prischi re da quella

Norma

leal

FiRDUSI, VI.

non deviando. Ancora


'

130

Sgomenterai con le falangi tue


I tuoi nemici e con profondo sguardo
E il prima e il poi osserverai. Ma tale
Che per grazia o favor persona indegna
Sen va lodando, la rottura tua
Cerca pei detti suoi; non soffrir dunque
Ch'egli dinanzi a te vecchio diventi!
Quei che lodi non fa, che non le adopra,
Uomo quaggi stimar non di, che Iddio
Ama la lode, e all'uom che hiasmi fece,
Cadr prostrato il cor. Ma chi per tale
Ch' peccatore, gli occhi abbassa e chiude
E agevolmente ingoia l'ira sua.

Ad

ogni giorno l'incremento suo

Vedr

farsi

maggior; chi freme e infuria,


il core avr. Ma quello

Gonfio d'ambascia

Che con l'acque del mar cerca sua guerra.


Saggio non . Serbati il cor qual arco,

Come
II

non spregiare

freccia la lingua, e

detto mio. Dilata

il

petto e dritta

come l'arciero, e poni


Bersaglio a colpi tuoi di tal natura
Tieni la man,

Ch' a te pi cara. Ma la lingua e il core


Insiem congiungi a vero senno e poi
Per la via che vuoi tu, fa tue parole.
Quei che cerbro non ha dentro al capo,

Mai non sar che

ne' consigli suoi

in sue parole sia felice

Coi consiglieri tuoi

ti

e quando

sederai.

Le tue

parole, fuor de la presenza


Dell'ampia turba, d'apprestar ti piaccia;

se concorda quel consiglio tuo

giusta esperienza, avr tua sorte


Incremento quaggi, l'anima tua
Pi avveduta sar del tuo nemico,
E vinceranno pi d'assai la terra


Il

131

tuo consiglio e la tua mente e

Ma

il

core.

ha per guida ogni pi stolta


Voglia dell'alma, saper di che forza
Mai non avr nell'opre sue. Se poi
colui che

T'incontrer l'amico tuo con volto

Ridente e

lieto,

accrescer suo amore

Inverso a te con segni manifesti,

Acconci e belli; ma la gota sempre


Al tuo nemico mostrerai contratta
Di molte rughe, livido a' malvagi
Il

A
A

Le

viso tuo rivolgerai.

Come

cose,

sempre

grato, donerai tu

t'

chi n' degno, che

tesori tuoi

chi n' degno, son dicevol cosa;

Lunge da invidia,
L'anima a dietro
Calde lagrime poi

Sempre con

che puoi, trarrai


cor, che invidia mena

fin

il

di

affanno e duolo

Quando

s.

Invidia in petto,

monarca assume

il

biasima dovunque

il

Ogn'uom che ha senno. Or

non pi d'un anno

io,

E di due lune qui sedetti in soglio,


N riconobbi altissimo secreto
Gh' erami innanzi.

Io

Anni dovesse e

corona e

De' prenci a

la

me

La mia giornata
A te, mio figlio,

Come

restar.

il

Ma

trono

gi precipita

e la regal cintura
stringerti fa d'uopo.

l'incHto scriba esti consigli

Ebbe

notati,

dinanzi

lui

mi pensai che a molti

li

rec,
il

Quel re sovrano

Mand un

li

pose

suo ministro. Allora,


di

quest'ampia terra

sospiro, e quelle gote sue

Gi porporine impallidir d'un tratto


Si

come

foglie vizze. Allor

che pallide

Si fer le gote vivide e serene

Del gran monarca, di dolor, d'angoscia


Ebbesi parte

Behrm

Quaranta giorni

giovinetto.

fu dolente e

ei

mesto

pien d'affanno, e quell'inclito seggio

Inerte

Da

132

rest.

si

Tale

egli

adunque,

ch'egli esiste, questo ciel rotante,

Pieno d'amor talvolta, e di corruccio


Usc la prima notte
Pieno tal' altra.
Della luna di Dey. Leva tu in pugno
Di vino un nappo e dal narrar ti posa

III.

Il

re

Behrm

figlio di

Ormuzd.

(Ed. Cale. p. 1424-1426).

Or tu del serto di Behrm ti appresta


Faccenda a raccontar, di lui che al regno
Diuturna stagion non rimanea.

Come

si

assise al trono suo dorato

Prence Behrm, tumultuoso il core,


Tumultiiosa la sua mente ancora
Per la morte del padre, andaron tutti

lui

piangenti e desolati

Prenci d'Irania, strette

A' fianchi intorno.

Gridarono

di Dio.

Dicean, sar, tu

Che inver

le

lui

benedizioni

Fin che

al

gl'incliti

cinture

il

tuo loco,

loco tuo rimani,

s'addice la real corona

All'eretta tua fronte, e

il

regno tuo

Or s la gota
Impallidisca d'ogni tuo nemico

Per ordine

di padri.

E quest'anima

tua da ogni dolore

Per chi or or

si

Cos rispose:

mor, disciolta vada

prenci, o cavalieri

Di pugne amanti, o valorosi in guerra,


A male oprar quaggi mai non si stenda

133

La man da voi per gente eh' devota


campi suoi coltiva.
Vedrete voi che l'instabile volta

Al vostro prence e

Di questo ciel chi nutre e chi nutrito

Non

riconosce

Avvincete

la

ond' che tutti voi

man

d'ogni pi trista

Voglia del core, n per voi

Che

libero

Del cor

le

si

comando abbian su
brame. Chi dal mal

lasci

voi

rifugge,

Mai non insozza il corpo suo per opre


Che non sian belle, ma son lieti e gai
In questa terra tutti

giorni suoi;

Se tempo di morir s lo raggiunge,


Ei va senza dolor. Prence sovrano

sicurt d'ogni tesoro, e liete

Fa l'accoglienze ad uomini di senno;


Anche alla fede sicurt perenne
La persona regal, che una corona

la

Oh!

sua

su la sua fronte. Oh!

lui.

beato che nell'ira sua


Saggezza adopra Egli su questa terra
lui

Quei che offese non ha, nel tempo reo


Della distretta saggio ed sereno

Sempre

il

suo cor. Deh

mai non regga

il

mondo

Senza mortai eh' saggio E se vincente


di nemici e se col pie li calca.
Savio egli veramente. Anche litigi
Da chi cerca sua gloria oh! non discendono
!

In dicevole guisa, e tu ten guarda,


Esti litigi

non cercar. Deh! sappi

Che non sanno

lor via queste tre cose,

Coloni, armati ed ostil cor di prence;

Quei che inerte si sta, giace nel sonno,


E chi nel sonno sta, ratto che destasi
Ha pentimento in cor. Per detti egregi
Presso ad opere triste, alcuna lode


Non

otterrai,

Sede

gioiosa.

134

non quella

voi,

de' beati

prenci d'Irania,

Fama onesta quaggi vi ricercate


E fate bene, il cor non trafiggendo
Di tal che stampa l'orme sue leggiadre

Su questa terra. A me son qui tesori


E monete in gran copia e regio grado
E regia dignit, forza di mano
Veracemente. E godasi per voi
Di ci che avete, chi non ha stimando

Un pur

di quelli che han tesori in terra.


Che schiuse a tutti son di mie sportelle
Le bocche a sommo, perch alcun non vuoisi
Che in bisogno si resti in suol eh' mio.
Anche per lui non lunga si volgea

In ciel stagione, e quella fronte illustre

incoronata cadde entro


Gioia dolce del core,

Era

in

sua reggia e n'era

Behrm

la force.

un

figliuolo di

a lui

figlio

nome

inclito

Behrm. Un giorno

s recollo e a pie dell'alto seggio

Il f'

seduto e

si

gli disse

allora

D'antica pianta o ramoscello verde,


Di mia corona imperiai non molto

ma

Io m'allegrai;

Scorran

felici

Sii

tutti

giorni tuoi

facondo e sempre

Vigoreggiante, e notte e d gioioso

sorrdente.

A camminar

ti

accingi

Quale colui che attende inchiesta al giorno


Del suo giudizio estremo, e da rispetto
Gh' a Dio dovuto, non voltar la fronte.
Con la tua grazia e con la tua giustizia
Serba fiorente questa terra, e il core
De' tuoi soggetti fa beato e

lieto.

Che in sempiterno per chi nato, il mondo


Giammai non dura, sia pur egli prence
Incoronato o alcun de' sacerdoti.


Cos,

dopo anni

135

tre,

dopo tre lune

tre giorni cosi, di lui deserto

il seggio regal, luce del mondo


E ratto che assegn del mondo il regno
Behrm a Behrm suo, f' al genitore
Ampio riposo in una sepoltura
Dolente il figlio. E tu de la rotante

Rest

Volta del ciel cotesta non dirai

Opera ingiusta. Ella non serba

Un

intatta

momento cosa clie venia


Qual d'aura un alitar. Tale fu sempre,
Da ch'ella esiste, la rotante volta;
sol

Perch adunque dovresti

in tuo pensiero

Crucciar l'anima tua? Che

di'? che cerchi


Quel che avvenir ti pu? Di queste cose
Bello non tener sermone, e quando,
Quando pur fosse non ancora attrita
L'anima tua da le sue molte brame.

Nullo soggiorno sar in terra

Ha
I(j

tal

tuo

il

Fuor che una bara angusta .Oh

se la

morte

natura qual d'impasto lupo,

qui mi vo' d'un dolce vin ricolma

Una

tazza capace ed una bella

Fanciulla ancor qual agile cipresso.


Nella persona

come argento candida.

Gioia dolce del core e di piacente

Natura e gaia e

di gentil favella,

Di gelsomini con fragranza e vaga

Nelle sue gote,


D'aspetto

come

come luna
sol,

di

in volto,

puro muschio

Tutta olezzante nelle membra sue.


Poi che Behrm per duolo ch'egli avea
Di principe Behrm, la sua corona
Per di quaranta non si pose in capo,
Venian tutti gli eroi di molto senno,
Colmi d'affanno, con lamenti e omei


E con

sospiri. In

Ambascia

Con

136

quel dolore, in quella

sedean con

fiera, elli

lui

pallide le gote e con le labbra

Ma poi sen venne


sacerdote di consiglio eletto

Di livido color.

Un

Perch
Il

alfin su quel trono

re novello

Per

si

sette giorni ei

E molta cura in
Fin che Behrm

IV. Il re

il

loco suo

prendesse. Intanto

rimanea con seco

ci ponea, restando

sedette alto sul trono.

Behrm

figlio di

Behrm.

(Ed. Cale. p. H27-1428).

Poi che beato si sedette in trono


Prence Behrm, qual real costume,

capo

Si pose in

Benedisse a
Di luce

la corona, e in pria

Eterno, almo datore

tramutar

al

Accresci tor

1'

di

di nostra sorte,

sapienza vera

di giustizia, d'ogni

inganno e frode

Distruggitor, degli astri inchto sire

del cielo rotante; Egli da' servi

Altro non chiede che giustizia e amore.

Soggiunse poi:

saggi esperti, o illustri

Sacerdoti del ciel d'integro core.

Anche da

voi sapienza verace

Abbiasi in alto onor, verso chi regna

Non mai

ribelli. A chi donava Iddio


Opulenza quaggi, dona pur anco

Fior di favella e poter di sovrano;

quei che ha senno in mente e sensi umani

In cor

si

nutre, a sapienza stende

La man bramosa. Ma

di sensi

umani

137

cosa pazienza, e quando


alcun, riduce a vile
prendesi
Ira

prima

La sua persona. Ma quantunque


Egli sicuro e

dimostra

si

volte

lieto.

Doglia ed affanno son qual aura lieve


Per tal sua sicurezza; e quegli ricco

Che saggio ha

core, e nulla,

il

come

soffio

D'aria leggera, stima dentro al core


Accumular monete. Oh! ma se nulla
Possiedi tu, t'adopra alquanto, e vedi
Che non ha pregio chi di nulla detto

Andar

Non

Quando

signore.

Gnor non per

Ma

nulla egli abbia,

non reverenza.
che non ha nulla.

rispetto per lui,


tal

pago sei tu, libero e sciolto


Di persona ti mostra, e allor che assumi
Deso novello, di ci appunto allora
se

Incomincia a tremar.

Non

Non

travagliarti,

che cotesto mena

corrucciarti,

Disagio al corpo, e tu l'anima tua


Tormenterai per desiderio che abbi

Di tesori quaggi.

Ma

in tutte l'opre

medio punto
brami
Lode ottener. Che se tu lieta e paga

Che quaggi mena


Scegli per

te,

il

fato,

il

se da la gente

Tieni la gente per la tua giustizia,

Possente resterai, per

tal giustizia

Lieto e beato ancor. Saviezza vuoisi


E sicurezza in tutte cose, e nulla
Iattura mai nella giustizia tua.

Ma

se tua pace

Attrita

si

va scemando, ancora

far l'anima tua

mezzo tua saviezza antica


Senza possa cadr. Che se ti prende
La cupidigia al cor con le sue branche.

l nel

Di fero alligator dentro la strozza


L'anima tua si rester captiva.

138

Agli anni venti, meno un anno, allora


Che giunse il regno suo, pianse di lui
La cara vita. Si congiunse a questa

Oscura terra

soggiorno

Dopo

prence incoronato,

il

sepoltura

gli fu la

la vita s gioiosa e lieta.

Della volta del ciel, che volge ratto,


Questa la legge. Ella possente e forte,
Se forte non sei tu. Questa del mondo

Norma

e costume, e

sempre ogni suo arcano

noi bramosi egli nasconde e invola.

V. Il re

Behrm nipote
(Ed. Cale.

Behrm, nepote

di

Behrm.

di

p. 1428).

Behrm,

in trono

Poi che

si

Ratto

si

accinse. Gli gittr smeraldi

Su

corona

la

assise, a far giustizia e grazia

prenci suoi valenti

di signore di

Inclito

Kirmn

nome. Ei

gli

di.sse allor:

diero

Da

Dio,

Unico e giusto Iddio, parte sia nostra


Giustizia e senno e nobile consiglio.

La nostra vita eh' si


Non dura per alcuno,

breve, eterna
e a te deh! sia

Aiutatrice ogni opra bella

Noi,

Opre leggiadre meditando, il patto


Osserveremo inverso a Dio, porremo
Il nostro cor qual giusto pegno e vero
In far grazia e giustizia. E veramente
Restan di noi come ricordo e l'opre
Belle e le

triste,

e tu per questa terra

Sol d'opre elette la semenza spargi.

quattro mesi

come giunse

il

suo


Regno

139

che

novello, parve

Piangesse

di lui

trono con la sua corona.

il

Behrm, poi che conobbe a s vicina


Andar la morte, alligator crudele
Che lupi ed elefanti, orrida preda,
Cacciando va, quest'ampia terra

al

suo

Figlio affidando, cos disse: Resti

Benedizion di Dio sempre congiunta

tuo grado real

Ti vesti e godi

E ti diletta e doni spargi ovunque,


E non far che splendor di tua corona
E del tuo trono superi del giorno
La bella luce.
Cosi passa adunque

tempo nostro e l'alito affannoso


D'uom contando non va, cui signoreggia
La trista cupidigia.
Or tu mi reca,
fortunato, un rubicondo vino.
Poi che a sessanta e tre son giunti omai
Il

Del vecchio narra tor

VI.

gli

Il re

anni fugaci.

e r s

1.

(Ed. Cale. p. 1428-1429).

Poi che cessava


Di

Behrm

il

de

fortuna

la

prence, ratto ei la corona

Affidava a Nersi con l'alto seggio.

tale

il

fato,

e ch'esso non ha norma,

che vigoreggia ognora


Tracotanza del ciel, tu nota e sappi!
Intendi omai

Allor che assiso su l'eburneo trono


Si fu

prence Ners, tosto che in fronte

Ei

pos l'imperiai corona.

si

Luce del core, con eletti doni


Da gittarglisi al pi vennero prenci
i

140

Tutti d'un tratto. Ei vennero dolenti

Del padre

E
E

il

Ners per lutto acerbo;

di

benedicendo, a lor

re,

si

volse

incominci: Diletti amici miei,

Di fede ricchi e di giustizia

questo,

Questo sappiate che da Dio signore,


Fattor del mondo, cosi and in secreto

Ed

in palese mirabile cosa,

Per ch'egli desse a noi vera saggezza


E verecondia fin che in terra siamo,
G-eneroso sentir, consiglio eletto

E mite favellar. Ma tu beato


Andrai davver per sicurezza tua,
Quando sciolto tu sia per la tua stella
Da ogni periglio. Che se l'uom ch' saggio.
Amico a

te

si

fa,

tu penserai

Ch'ei sia qual dentro a

l'

involucro stesso

D'una pelle con te. Da chi ha potere.


Sappi che vengon l'opere pi belle,
Sappi che presso ogni pi saggio alberga
Senno verace ancor, che fermo core
Viene se gli qualcun saggio ed accorto,
E l'uom di fermo cor di elette laudi
Mostrasi degno. Ma colui che fugge
Dall'operar, lungi si avr la gloria
E l'ignominia de le orrende pugne,

viltate dell'uom da core abietto

Discende sempre, che vilt pur quella


Che a core abietto va congiunta sempre.
Cos,

con

tal consiglio e tal

Nove anni ei
Recar frutto

saggezza.

visse, e le parole

la

terra. Allor

sue

che

il

"Venne estremo per lui col tristo fato


Del suo morir, la sua celata fulgida
In puro acciaio parve che n'andasse

Come

cera disciolta; e corse allora

giorno


Del prence

al

141

capezzale Orrazd gagliardo,

Simile a vago tulipano, splendido

mezzo ad un giardin. Del prence


garzone era figlio, e risplendea
Qual vaga luna in tenebrosa notte.
In

illustre

Il

Ners

Che

Giovinetto prence

gli disse:

vedesti quaggi tutta letizia,

Fin che puoi tu, non stenderai

la

mano

male oprar. L'anima dolce e cara


Di Ners ben sei tu, sei la fortuna
Dei discendenti di Behrm, tu degno
Di serto imperiai, degno di trono,
Per tal statura tua, per tal grandezza

E maest, per l'eretta cervice


E per alto saper, senza compagno
Fra

gli altri tutti.

Questo serto per

Che arda
Tue genti

Deh! non sia che gema


deh! mai non sia

te,

affocato nel dolor di queste


il

Ma

cor per te!

tu,

conforme

quella legge de' regnanti prischi.

Governa

Un

il

mondo, come gi da quello


avveduto e saggio.

di apprendesti che,

Nutrir

ti

volle. In fine,

Anche passar dovranno

giorni tuoi

e questo cielo

Fiaccher l'alma tua. Deh! fa che allora


Tu risponda a Colui che ti fa inchieste
Nel suo giudicio, e rendi il giorno tuo

Per

le risposte

Questo

Su

che darai, pi bello!

egli disse, indi

la pallida faccia

si

trasse

un lembo

ed un sospiro

Trasse dal core. In quel medesmo giorno


Detto avrest che mai non visse in terra

Prence Ners, che in terra mai non furo


La sua corona e il trono suo regale

E l'alto seggio.
E tu nulla t'avrai,
Fuor che corruccio ed affanno del core.

142

Questo pur secreto

Qiial data sorte!

Di nostra vita, e non via che adduca


L'alto secreto a rimirar di fronte

VII. Il re

Ormuzd

figlio di Ners.

(Ed. Cale. p. 1430-1431).

Poi che fu asceso Ormzd possente in trono,


Davver! che da la preda fu ritratto
Ogni artiglio di lupo In sicurezza
Il mondo ei govern, s che disparvero
L'opere tutte d'Ahrimne; e in pria
Benedisse all'Eterno, almo Fattore,
Onnipossente e nutritor sovrano
!

E
E

sapiente. Ei
il

f' la

ciel rotante,

Marte e Saturno

E
E

Ei

terra e
f'

il

giorno

quest'almo sole,

in ciel.

Da Lui discendono

vittoria e poter, cor giusto e onesto

imperiai corona. Eternamente,

Ei disse poi, di sua giustizia pieno


'1 nostro core
e de' soggetti nostri
Pieno il cor di letizia! Oh! ma non tocca
Laudi colui che ha core abietto, e tu

Sia

Non

volgerti giammai, fin che t' dato,

All'uom
Di

di

mente

core abietto. Anche con gente

trista

non

farai consigli,

se t' d'uopo consigliarti, volgi,

Volgi agli onesti.

Ma

Animo grato per

suoi molti doni.

colui

che cerca

Mai non avr da chi conosce Iddio

Nome
E non

di liberal

chi poi riceve

mai non che pregio


D'altri si tocchi. L'uom ch' duro e crudo
Nell'opre sue, tremi pur sempre; niuno
grato,


Amico

143

sar; che s'egli poi

gli

Fiacco talor nell'opre sue

mostra,

si

Scorta fidata quegli non l'estima

Che d

consigli.

Nell'opre tue tra

Un

se tu vai

cercando

fiacchi e tra gli abietti

non sar che mai

alleato,

Voglioso

di bella gloria e tale

sii

Che gli uomini conosce. Anche ti guarda


Che troppo grande te stesso non stimi,

che, se trono imperiai

Tracotante non

Ove

Da

ti

L'uom

sii.

avesti,

ch' perverso.

diventi povero ed abietto,

l'avversa fortuna ogni suo male

Conosce e vede, e

in tutti gli anni suoi

Litigando sen va con querimonie

Contro

suo

il

fato,

n ha consiglio retto

sapienza, e di sedersi in trono

Mai non

degno.

fia

Ma

se a lui qualcuno

Toglie quello ch'egli ha, l'anima sua


Restasi attrita con la

Ed

ei del nulla suo,

rea natura,

non

Ei

si

possiede,

mente e

core,

compiace; senno

ma pur

leva in alto

non pregio,

L'alta cervice. Nulla egli ha,

Non
Non

il

della sua trista

sapienza, non consiglio o fede,

Oh

grazia appo l'Eterno.

vostri

di,

le notti vostre,

sian felici

e tutta

Dall'anima di gente a voi nemica

Vada

divelta l'intima sua essenza.

Benedissero a

signore

Ma

il

lui lutti

que' prenci

gridar dell'ampia terra;

poich per nov'anni il ciel si volse


Sovra il suo capo, pallide le rose
Di quel volto si fer gi rubicondo
Qual melagrana. Della morte sua
Ben si dolea quel capo incoronato,

144

Ed ei mor, ne un figlio suo gli venne


Al capezzal. Quell'uom da le parole
Miti e cortesi e di gran fama in terra
Cos ne andava, al giorno suo novissimo,
Da questa eh' dell' uom dimora antica.
Tale

Da

la volta del

rotante cielo

ch'ella esiste; in tutte l'opre sue

EU' possente, non possenti noi!


Quaranta giorni per l'estinto sire

Avean

Ne
Oh

lutto gli eroi, deserto

il

seggio

abbandonando qual dispetta cosa.


s!

per alcun tempo

Inerte

si

Piena

di

il

regal seggio

rest, de' prenci tutti

doglia fu la mente. Intanto

Guardava
Del morto

il

sacerdote al gineceo

sire

ed era l una donna

Chiara qual luna, con fiorenti gote


Di tulipano. Di sue negre ciglia
Parean le punte del Kabul trafieri
Sottili e aguzzi, e due de' suoi cincinni

Eran davver come intricate

cifre

Babiloniche. Insieme eran conserti,

L'uno intesto nell'altro, e nodi sopra


V'erano apposti e le lor punte erette
Intorte insieme. Un pargolo nel seno
Era ben di costei che volto avea
Di leggiadra Per, s che per lei.
Piacente in volto, s'alliet la gente,
E tosto le fu appeso alto sul capo

Un diadema

e su quel diadema

Auree monete fr

gittate. Lei

Gioioso addusse e poi su l'alto seggio


F' assidero de' prenci

il

sacerdote.


Vili.

145

Nascita di Shpr
(Ed. Cale.

Per

la

fanciulla

Passar quaranta

Un

p.

piccioletto allor

f'

Venne da lei
come quest'almo
il

nome Shapr. Per

Anche una

Ormuzd.

leggiadra in volto

di.

figlio di

1431-1432).

Sole fiammante, e ratto


Gli

sacerdote
tanta gioia

festa ei celebrava, e detto,

Detto avrest che maest di Dio


L'infante era davver, che sovra lui

D'ogni saggezza

il

nobile vessillo

Stavasi e l'ombra sua. Per d quaranta

Furon suoni

e concenti, e dolce vino

Ghiedean que'

Un

forti

ad apprestar gi intenti

regal seggio. Vennero

gli eroi

Aureo-succinti e d'oro una corona

Sospesero sul capo al regio infante;


Sazio di latte

L'avvolgeano

il

fean, poscia tra panni

di seta.

Giorno, allora,

il

Al quarantesmo

tenean sotto quell'aurea

Corona imperiai, poneanlo al seggio


Di quell'illustre padre suo, gridavanlo
Benedicendo re sovrano, e i prenci
Spargean tutti su lui splendide gemme.
Eravi allora un sacerdote
Shehr}^)

di

(il

nome

cor beato, inclito e saggio

Ed avveduto. Sovra un aureo trono


Egli

venne a seder,

ma

cinse

fianchi

Della cintura del servaggio innanzi

Al regio infante, e govern

Con

la

terra

nobile consiglio e con giustizia,

Guida

alle genti in tutte l'opre egregie.

FiBDIJSI. VI.

10

146

I tesori ei colm, le regie squadre


Accrebbe ancora, la regal magione
Ornando e il trono. E fu cotesto allora
Fin che su ci passar molt'anni, ed alla

F' la cervice

il

In Tisifuna a

piccolo garzone.

un vespro

egli sedea.

Sire novello, e stavagli dinanzi

sacerdote di gran senno. Al tempo

II

Che pallido si f' quest'almo


E mostravasi ornai dell'atra
bruno

Il

velo, dalla via

sole

notte

che adduce

Al fiume Arvnd, levossi alto clamore.


Deh! che sar tale imprecar? chiedea

Shapr

al sacerdote.

il

sacerdote

Al piccioletto re cos rispose

Inclito re d'alto valor, la gente

Intenta a trafficar, la gente tutta

Che

stenta

il

viver suo, da

le

lor celle

Si volgono in quest'ora ai loro alberghi.

Ma come
Passano a

sul Dizlh questi di quelli


lato,

ponte cos angusto

Gol pie calcando, teme ognun di tanto

Per spinte e

Come

galli al

scosse,

che strillando

Nobile

mattin.

Mio consiglier fra gli


Shapr gli rispondea,

Un

ei

vanno

e saggio

altri incUti savi,

gittar qui vuoisi

altro ponte in l da questo

ed uno

Sia per l'andar, pel ritornarsi l'altro.


sia, perch nessun de' miei soggetti,
Schiavo
guerriero, nell'andar si trovi
In tal rancura; e molte qui si vogliono
Spender monete de' tesori miei.
Forte d'assai mostravansi gioiosi
Tutti per lui que' sacerdoti. Ornai

Ci

Quell'arbore novello ed immaturo

germogliar venia!

Ma

il

sacerdote

147

Ponte novello indisse

allor,

conforme

Del piccioletto incoronato al cenno.


Anche gio della sua madre il core

Veracemente in
Gente che ama
Il

ci,
il

che

gli

addusse

saper. Giugnea ben tosto

fanciuUetto di saper sovrano

cotal punto, che i maestri suoi


Vincendo super. Quand'egli giunse
Agli anni sette, incominci costume
Della palestra e compagni si assunse

Al nobil gioco, seguitando norma


Delle

mazze

rotanti.

l'anno ottavo

Di regal seggio e d'inclita corona

Venne costume

in lui;

veracemente

Detto avresti! che prendere tal

norma

Prence Behrm da lui potea. Ma intanto


Egli educava a tutta pompa e grazia
La sua persona e fea sua sede eletta
In Istakhr, conforme a legge antica
Degli avi suoi, de' suoi maggiori

illustri,

Principi eletti, dalla fronte altera.

IX.

Rapimento

della figlia di Ners.

(Ed. Cale. p.

Air

inclito signor

1432-1434).

poich passarono

Alquanti giorni, e risplendea su lui

La sua corona a illuminar la terra,


D'Aynni de la gente un valoroso,
Cuor di leone, Tir, che al cielo ancora
Ardir con

la

sua spada infuso avria,

Con falangi di Persia e genti greche.


Di Bahryn con armati e de la ferra
Di Kadsia e de' Curdi, intorno scese

148

Tisifuna. L'esercito suo

Davver! che superava ogni misura

umano saper

D'ogni

Quell'ampia terra
prence devast. Chi mai
Fermo teneva il pie dinanzi a lui,

Il

fiero

E chi l'ali si avea? Ma quando ei seppe


D'una zia di Shapr nobil sovrano
(Nsheh nome ella avea, come novella
Primavera leggiadra), alla dimora
Di costei che di luna il volto avea,
Ratto

ei

discese e Tisifuna intanto

tumulto ne andava. I predatori


Traean colei da le sue stanze e lei

Fean

prigioniera, che ruvida e indotta


Gente eran essi. Poi ch'ella rimase
Un anno intero presso a Tir, per molti
Pensieri ch'ella avea, a fiera ambascia
Il core abbandon. Vaga qual luna
Di Tir le nacque una bambina, tale

Che

detto avresti esser colei nel volto

Ners regnante in diadema e trono.

Malikh

Quando

la

la

chiamava

il

padre suo

vide in pria, che veramente

Eir era degna, questa


Di regal dignit

come

Quando giunsero

gli

figlia sua.

regina.

anni a venti e sei

Di principe Shapr, forte

Real guerrier, con aspetto

ei

divenne,

di sole.

Discese al campo e l'esercito suo


Tutto osserv, trascelse fra gli eroi
Dodicimila pi gaghardi. Avea

Dai pie veloci qual procella ognuno

Un

dromedario, e andavano dinanzi

Cento guide prestanti. I valorosi.


Fedeli a si gran re, sui dromedari
Salian traendo lor destrieri a mano,

149

Ed ei co' pi fidati
E la regal persona,
Fra

in sella ascese

a correr tosto

l'armi, accinse. Ei

n'andava intanto

Dietro al re degli Aynni, a quell'altero


Tir, leone furente in

un

assalto;

Molti egli uccise de le avverse schiere,

E Tir che

vide, rapido le terga

Volse a fuggir. Levossi gran tumulto


Di grida allor: Piglia cotesto! tieni!

vincitori tra gli avversi eroi

Si feano alcuni prigionieri. Gli altri.

In

ampio

Di

Yemen

stuol, si trassero a

un

castello

sul confine, e di fanciulli

donne un fiero pianto


s grande schiera
Shapr menava allor, che il varco ei chiuse
Ad erranti formiche ed a volanti
d'uomini e

di

Levossi intorno.

Insetti

pure, e

Ma

nel suo castello,

l,

Respinse Tir con

le falangi sue,

E
E

Furon tenzoni

la

porta

gli

chiuse a

l'adito a fuggir.

Per

tutto

Gi

si

un mese,

la battaglia

notte e giorno, e

il

cibo

fea scarso a le rinchiuse genti.

Al primo albor d"un di, balzava in sella


Shapr gagliardo e usca rapido e ardente
Con un arco alla man. Nera sul petto
La sua corazza imperiai, sul capo
Nera l'insegna e corruscante. Lui
Del Castel dagli spaldi a riguardare

Malikh si ponea. Com'ella vide


Quella sua insegna e l'inclito suo capo,

Le gote sue guai


Neri

petali di rose.

capelli e porporino

il

labbro

Qual color di giuggiola e spirante


Odor di muschio, il sonno e la quiete

Fuggirono da

lei

si

bella e vaga.

150

Pieno il core d'affetto, alla nutrice


Ella ne venne e disse: Oh! questo prence
Che ha l'aspetto di sol, che qui discese
Per sua vendetta, un grande. Egli davvero

sangue del mio core. Io l'universo


vo' chiamar, che l'universo mio
Egli . Ma tu frattanto un mio messaggio
Reca a Shapr. S'ei venne a far tenzoni,
Tu gli reca per me festa gioconda
E per me gli favella in questa guisa:
Io son con te d'una famiglia e sono
Della semenza di Nersi gagliardo.
Anch'io con te m'accordo nel pensiero
Il
Il

Dell'aspra guerra, ch'io


Io di

Nsheh

E me brami

la figlia.

son congiunta,
tu scegli

tua sposa, ecco!

Questo castello.

Se in tua mano

Tua cosa
Ferma tu

ti

Ove

Il

gli

tuo

nobile maniero

suo

t'avrai, l'idolo

Per questo adunque


il patto con la mia nutrice
E poni la tua lingua inclito pegno
Per tua grandezza .
Qual mi dai precetto,
si

far.

La nutrice

le disse,

io dir

Quando

la notte signora si

Di questa terra e l'ombre

Da

si

prese
distesero

quando la terra
le montagne
di lampe in guisa

l'uno all'altro mar,

Si fece oscura e

questo

a te di lui riporter novelle.

le stelle

brune

su in ciel

Mandaron luce (detto avresti


Che la plaga del ciel su quel

allora
castello

Sospese avea trecentomila intorno


Facelle chiare), piena di sgomento

piena

di terror, tutta

La nutrice

tremante.

mosse. Oh! quel suo core


Di spavento per Tir le si spezzava!
si


Ma

151

ratto ch'ella giunse l vicino

uom

Al recinto de' Persi, ad


Consiglio
Dissegli,

si

accanto al

re,

di

giusto

mi adduci,

accost. Se tu

me

da

t'avrai

Fulgido anello ed inclita corona.


E quegli, savio e di veggente core,
A.1

re gagliardo

Dal limitar

E con

le

si

l'addusse allora

suo recinto. Venne

di

ciglia rasent la terra

Neil' inchinarsi la nutrice e poi

Le

udite cose ripet.

Di sue parole

il

E le sorrise e
Anco le porse
E una collana

Un

Fu

lieto

principe sovrano

monete
due smanigli e un serto

mille auree
e

e di stoffa cinese

velo intesto in bella guisa, e poi

Cosi rispose:

cosi leggiadra,

lei

Qual bianca luna, dirai tu ben molte


Parole con amor. Dillo: Dicea
Prence Shapr cosi: Per questa luna

E questo

sol,

pel serto e

il

seggio mio,

Per la cintura di Zerdsht, io giuro


Che in qual cosa da me tu chiederai.
Fosse rovina del mio regno, il tuo
Orecchio non udr da me parola
Che suoni trista, ned io mai dal tuo
Amplesso mi sciorr. S vaga donna
Io

mi conquisto

col

mio serto e

il

trono.

Col precetto di Dio, co' miei tesori

E con

lo stuol de'

miei

Quand'ella intese

Cotal risposta, usci nell'ora istessa

Dal suo ricinto

la

donzella e a corsa

Al castello torn. Le udite cose


Ella ridisse a quella donna vaga,

Qual cipresso d'argento. ornai de' vespri


Al sol congiunta la fulgida stella!

152

Disse; ed intanto di

Shapr sovrano

Ella descrisse a

fulgida luna,

lei,

Qual ne vedea l'aspetto e

la statura.

X. Presa del castello.


(Ed. Cale. p. 1434-U36).

Poi che all'occaso de' suoi raggi


Mostr que.st'almo sol, quando gi

il
i

serto

fiori

Impallidian per questa ombrosa terra,


Dal tesoriero del regal ministro
Delle cucine

si

prendea

degli otri del vino.

la

chiave

qual pur era

L nella rocca o prence o capitano


Fra tanti eroi, dell'armi e de' perigli
Esperti assai, mand vivande e dolce
Vino e profumi

di narciso

di fiengreco. Ella

ancora

chiamossi innanzi

Lo schiavo addetto al vin, parole molte


Ebbe con lui in nobile dolcezza
E si gli disse Elargitor tu sei
:

In questa notte del giocondo vino,

per tu darai puro soltanto


Tir l'almo licor. Non soffrirai

Clhe

si

resti col vin,

In

mano un

Ed

ebbri san.

d'essi,

senza gustarlo.

fin

Disse

10 son davver, son io

Vivente
11

al

cenno

sole impallid,

tuo.

che dorman tutti


coppiere: Schiavo
quaggi soltanto

il

Quando

quando

a l'occaso

la notte

Dell'ombre cinta cosi disse al sole:


, nei nappi suoi
Vino regale Tir cercossi e in pria
Bevvesi al nome degli Aynni prenci.
Esci dal mio sentier


Una

153

oscura

vigilia della notte

Poi che pass, dal clamor del convito

Posava Tir

Vennero

illustre, e

prenci suoi

al loco de' lor dolci sonni

Tutti d'un moto.

Comand

paggi ed a valletti

allor la leggiadra fanciulla

Di nulla dir fuor che in secreta via

d'aprir del castel le ferree porte

Nascostamente.

quelle

Prence Shapr teneva

Quando

gli

occhi suoi

intenti e fissi.

nel cor, degli ebhri per le voci,

Sorda un'ira

egli avea.

Quando splendette

Del Castel su la porta una facella,

Davver! pens, che a

Or congiunti siam

noi!

vigile fortuna

Ne' suoi

recinti

Indisse allor che s'aprestasse loco

Bene acconcio e leggiadro alla


Che avea gote di luna, e ratto

fanciulla

poi

Tutte raccolse le falangi sue.

Uomini scelse di battaglie e d'armi,


Rec pedoni e alquanti cavalieri.

Ognun rec qual

fosse d'ostinati

Assalti degno. Nel castello entrando,

Incominciava orrido scempio e quelli


ei si prendea. Ben era
Dentro al Castel con Tir guerriera gente,

Tesori antichi

Ma

tutti,

Dorman

levaron slorditi e d'ogni parte

Si

Un

assalto tentar.

Volse

pi d'assai che non computo,


brachi, ed altri sonnolenti

il

le

Non per alcuno

terga per timor che avesse,

prence iranio de' pi

Sul loco trucid. Quando

illustri molti
gli

venne

Tir capti vo alla man, venne costui


Nudo correndo, che non era scampo,

E quel

castello e l'ampie provvigioni


E quest'uom
Caddero

154

di valor,

ben

clie soletto,

in potest del re vincente.

Cos ei rimase quella notte, e poi

Di gran mattin, quando mostrava

Dorato serto folgorante

il

suo

sole,

il

L nel castello di turchesi un trono


Fu collocato, quale pur costume,
E fu dato l'accesso. Allor che sciolto
Fu il prence da l'accr qual venne a
Quella da presso

Rosa

di

gli

lui,

venia, leggiadra

primavera ancor novella.

Con diadema

di rubini in fronte

Di vivace color, splendente

il

petto

D'un vel cinese intesto d'or. Di contro,


Sovra un seggio regal, la volle assisa
Prence Shapr e tosto a s venirne
F' Tir in ceppi. Come Tir sen venne.
Scoverto il capo, e quella figlia sua
Incoronata mir in fronte, ratto
Conobbe e intese che opera di lei

Era l'inganno, che


Di

lei

se

mal

dall'arti gli venia.

Nobile e grande,

ei

g' incolse.

Signore

disse allor,

deh! vedi

mia Ma intanto
Dall'amor suo tu pur ti guarda e poi
Verso ogni estrano l'ira tua mantieni.
All'uom di trista fama in questi detti
Shapr rispose: Da le stanze sue

Ci che mi

f' la

Quando menasti
E a quella casa
L'odio che

si

figlia

di

Behrm

la figlia

oltraggio festi ed onta.

tacea, tu ridestasti.

A' carnefici suoi

f'

cenno allora

L'alta cervice di colpirne e al fuoco

D'arderne

il

tronco. Ei trasse per

il

sangue

Di Tir la testa d'ignominia in segno.


Indi fuor la gitt dal regio ostello.


Poscia a quanti
Licito

non

155

trov d'arabo seme,

ei

che mai

lasci

Sciogliessero a parlar,

labbra

le

ma

veramente

Ei distorcea da l'alto de le braccia

opra sua
Arabi lui dissero
Quel da le spalle in arabica lingua
Con cognome novel, poi che le spalle
Gli

omeri a

Di

tutti.

Stupia la gente, e

tal

gli

Agli Arabi nemici ei disciogliea

Da le vertebre. Allora ei ritornava


Da quella terra a suol di Persia, e
La gente gli rec dovuto omaggio
Nella presenza.

Ma

D'incolumi serbar

non

Scioglier

si

tutta

chi grazia ottenne

gli

omeri

suoi,

pot per niuna via

Da' suoi tributi e da le offerte sue.

XL Andata

di

Shpr in Grecia.

(Ed. Cale. p. 1436-U39).

E dopo

ci

si

volse questo cielo

Per alcun tempo, e ben diversa fronte


D'allora in poi mostr, che avvenne un giorno
Che re Shapr, bench con regal serto

E con

tesori,

per

le

cose oscure

Dell'avvenir s'ebbe dolente

il

core.

Poi che trascorse de la tetra notte

Fr due
Si.

vigilie,

lui venisse.

che l'astrologo
Fece inchieste allora

ei volle

Del trono imperiai, del suo travaglio

E de

la sorte lieta, e l'indovino

Recava

tosto gli astrolabi,

cura

Del suo riposo e de' suoi dolci sonni

Abbandonando, per veder

se

mai

150

Trista sventura al suo signor toccasse,


se divina maestate in lui

Come

Crescer dovesse.
Del ciel le cose,
Del

mondo

ratto ei vide

compunto,

re, disse

vincitor, di cor sereno.

Saggio ed accorto, con dogliosa cura


E con travaglio nuova cosa avanza,

Allora

dirla a te nessuno ardisce.

Shapr

Cosi rispose re

Che ricerchi tua

via,

di',

Stella del ciel

non

L'astrologo dicea

Per

me

parta

si

perch

la

prostri

il

saggio

qual arte mai

Esser potr per che da


Cotesto che tu

Deh

mala
corpo mio

Nessuno, o prence.

forza o per saper da'

mutamenti

Dell'instabile volta d'esto cielo

Scampo
tal

Verran

ritrova, sia

ama

eh'
le

pur

egli saggio

guerra. Indubbiamente

la

cose che accader dovranno,

poter non abbiam contro

Moti del

cielo.

Il

superni

nobile signore

M' difesa Iddio


mia sventura, Ei che quest'alto

Cos rispose

In ogni

Cielo cre, cre possanza in noi

Ed impotenza ne

le

molte cose.

Per l'ampio regno suo


1

di

sua giustizia

segni ei sparse e senza duolo e cura

Per alcun tempo


Che fiorente per
Tal

si

fu beato; e allora
lui fu la

sua terra,

prese deso d'andarne in Grecia

Chi mai fosse a veder quel si magnifico


Imperator con tanti suoi tesori
E tante squadre e tal poter di mano.
Egli al ministro

il

Qual era un forte

suo secreto aperse,


d'inclito consiglio.

di giusto pensiero.

Ei

si,

con

lui


Shapr

157

disciolse ogni secreto e suo

gli disse, ma il nascose agli altri


Gelosamente. Questo regno mio,
Disse, reggete voi, prenci d'Irania,
Per la giustizia, che da l'opre giuste

Pensier

Lieti sarete voi.

Dieci

egli tolse

Carovane di nobili cammelli,


Ed era un cammellier che d'esse a ognuna
Era preposto. Di lucenti gemme

E
E

di

il carco ei fece
cammelli in preziose

drappi lucenti

di trenta

Monete

il

pondo a carreggiar. Ne andava

Dalla sua terra florida e piacente

Assorto in suo pensiero, e in questa foggia

un

In Grecia discendea. Scorse

villaggio

Prossimo alla citt (ne aveano parte


Rustiche genti e cittadini) e quivi
A. l'ostel si ferm di tal che capo
Era del borgo, e si richiese: Forse

Che
Il

qui loco per

Quel prence assai

me?

gli rispose:

benedisse e

Invero

Mai non avemmo un ospite con noi


Per quella notte
Che pari fosse a te!

Ei l rimase e prese cibo e doni


Fece pur anco, s che auguri e voti
Molti egli ottenne da quel sire illustre
De l'ameno villaggio. Al primo albore
Ei si lev, le merci sue compose,
E ratto come nembo alla dimora

Del greco Imperatore

ei

si

condusse.

Al maggiordomo in accostarsi, molto


Il

benedisse re Shapr e splendidi

Gli

f'

doni gittando; e quei l'inchiese

s gli

disse

Di'

qual

uom

tu sei

Regal statura hai veramente e degna


Re non sono, allora
Fronte di prence.

158

Quei rispondea, ma un uom di Persia accorto.


Da Gez men venni a trafficar, menando

di seta e di

raso e colma e piena

La carovana. Ed ora a questa reggia


per veder se schiuso
Imperator per me l'accesso.
Qual cosa a lui convien di questo carco
(E vi son gemme rilucenti ed armi
Per falangi d'eroi) da questo servo

Io son disceso

al vostro

Egli gradisca e ne' tesori suoi


s' ei vuol, perch' io men vada
Tutto contento e niun dolor mi serbi.

La riponga

Per argento e per or tutte qui vendo


L'altre mie cose; il greco Imperatore
la difesa mia, ne di spavento
10 mi cruccio per. Quali a me d'uopo
Son cose in Grecia, comperar vogl'io

recarle da quest'amena terra

In suol d'Irania.

Si

lev da quella

Soglia reale e al greco re sen


11

venne

vegliardo, a ridir queste parole.

F' cenno allora

il

greco Imperatore

D levar le cortine e da la soglia


Di

menar

lo

stranier nel suo cospetto.

greco Imperator vicino


Giunse prence Shapr, qual s'addicea
Benedisse augurando, e il greco sire
A Shapr riguard, si che in lui pose
E il core e gli occhi suoi per vero affetto
Che ne senti. F' cenno che la mensa

Ratto che

al

Cercata fosse e vin giocondo, e tosto


D'ogni pi estrano si sgombrasse il loco.

Grecia un uom d'Irania allora,


ma protervo e maligno,
Per far danno ad altrui crudo e violento.
Ei disse al greco re: Signor che rechi

Era

l in

Esperto assai,


Alta

un

la fronte,

159
detto

mio novello

Odi in secreto. Cotest'uom famoso


Tra' mercatanti, che si vende attorno
Drappi lucenti per monete, dico

Shapr medesmo,
Per que' suoi detti e quell'aspetto suo,
Per quella maest, per quella foggia
Essere, re dei re,

Di posar.
Il

greco

Che luce

Come
si

Davvero

perdean quegli occhi suoi

Sulla sua fronte

ud queste parole

stup.

sire, si

Un guardian

gli

appose

nulla disse con alcuno, e intanto

Nell'intimo del cor tenne

il

secreto.

Ebbro dal vino si lev d'un tratto


Prence Shapr, ma custodialo intento
Il greco Imperatore e il guardiano
Gli

si

accostava e

gli

dicea:

Tu

sei

Prence Shapr, di Nersi de la stirpe,


E l'addusse frattanto
Qui qui celato
gli avvinse quivi
l'ostel,
donne
a
le
De

Ambe

le

mani.

Oh

no! della sventura

alcuno, per valor eh' egli abbia,


Al laccio apposto! E poich per cotesto

Non sfugge

Sapienza non muove a recar frutti,


D'indovini e d'astrologi qual mai

Ma dinanzi all'ebbro
Sar valore ?
manigoldi,
Accesero una face
i

Poscia

il

cucir d'un asino nel cuoio,

Misero! e ognun dicea: Quest'infelice


D'un asino cercossi il tristo cuoio

regal seggio abbandonava intanto

Era

Una dimora. Senza indugio

in essa

L'infelice recar. L, nell'angusta

Gasa,

in que' lochi tenebrosa e angusta

il

Ghiuser

gittr
la

miseramente e

poi

porta della rea dimora


Con

Il greco Imperatore
chiave ad ima donna antica,

chiavistello.

Porgea

la

Signora
Il

160

dell'ostel, s le affidava

corpo

Shapr dentro a

di

Cuoio ravvolto, e

strano

lo

le disse: Porgi,

Porgigli alquanto pane ed acqua poca,

che l'anima sua dal corpo suo


s'affretti ad uscir. Se vivo ei resta.
Forse che apprenderassi in breve tempo
S

Non
Che

sia valor di soglio

corona

imperiale

Del monarca greco


Mai pi ricorder l'inclito seggio,
di

Ei che

non venne da semenza

Di greco Imperator.

Ratto

la

Che de

Del

donna rinserr

illustre

greco prence

la porta,

l'ostello in altra stanza, lungi.

Consueto soggiorno ella si avea.


Ma guardiana de' tesori suoi

in ogni opera sua ministra eletta

Era, con gote qual di bianca luna.

Una

Nascimento suo
da irania gente e tutto
Aveasi a mente di sua stirpe l'ordine
Di padre in padre. A questa giovinetta

Avea

fanciulla.
costei

Affidava colei di quell'ostello


Allor la chiave e con la chiave ancora

Nel cuoio avvinto re Shapr gagliardo.


Ma il greco Imperator, quel giorno stesso.
Dalle frontiere sue men le squadre

E abbandon

quell'avvinto nel cuoio

Al loco ov'era.

Come

presso

All'iranico suol, trassero

il

ei

giunse

ferro

Della vendetta le falangi sue,

E menaron

captivi

Molti d'Irania.

greci eroi

cotesti gagliardi

Aiutator non era alcuno, e tosto

101

Non restavano incolumi in Irania


Non uomini, non donne o pargoletti;
rest, picciola, grande,

Ninna cosa

E nel sen di quel popolo d'eroi


Non era indizio se vivente ancora,
Se estinto fosse re Shapr. Dinanzi
A' greci prodi
I

si

fuggan d'Irania

cittadini e quella terra e quelli

Ampi

confini

si

restar deserti

Anche

D'abitatori.

d'Irania molti,

Senza computo inver,


Adoratori e

a'

XII.

si

fean di Cristo

vescovi n'andavano.

Fuga

di

Shapr.

(Ed. Cale. p. 1439-1443).

che tempo alquanto


da l'irania terra
Si disperse ogni gente, e tal, che in Grecia
Shapr si custodia, la notte e il giorno
Solo mai noi lasciava. Era non lieta
La giovinetta per Shapr, che nascita

Su

fu cotesto fin

ci trascorse e

Ella

si

avea da irania gente, e intanto,

Pel tristo cuoio, ella piangea la notte.


Il giorno ella piangea, vampo quel core
Avea per re Shapr. Dissegli un giorno:
dal bel volto, e chi sei tu?

Paure

con me le cose tue


Tutte disvela. Questa tua persona
Avvenente e gentil capti va resta
D'asino vii nel tristo cuoio, e cessano

Non

aver,

ma

Pace e sonno

di te.

Quale un cipresso

Eri davvero, sovra cui, sul capo,


splendente de la luna il cerchio,
FlKDDSI, VI.

11

102

Mentre son ricci quale un negro muschio


Su quel candido cerchio. Ed ora incurvo
L'alto cipresso e come canna esile
Il corpo tuo si f' ch'era ben degno
D'un elefante generoso, e questo,
Questo mio cor per te si strugge ed arde
E piangon gli occhi miei la notte e il giorno
Miseramente. Nell'orrendo stato
Deh! che ti cerchi, e perch mai l'arcano
A me non sveli del tuo cor ?
Se alcuno
Senso d'amor, leggiadra mia, rispose

Shapir, per

In core a

te,

me

si

desta e

si

commuove

vogl'io per sacramento

Impromessa da

te quale in

eterno

Violar non potrai, non per un poco.

gente avversa

Non

ridirai,

mio secreto
del mio duolo

l'alto

ma sempre

Farai ricordo e del tormento. Allora


ti dir ci che tu chiedi, e il vero
Ti mostrer con le parole mie.

10

La

fanciulla giur:

De' diaconi pel cinto

Per Dio creante,


a'

fianchi attorto

Degli eremiti, di Cristo per l'alma

per

lo

spasmo della croce

sua,

Dell'Irania pel sire e per l'amore

lo

spavento del mio cor, qui giuro

Che il tuo secreto ad anima vivente


Mai non dir, non cercher per quello
Che mi dirai, grandezza o potestate.
Tutto

il

secreto suo le disse allora

Prence Shapr, ne rimanea nascosta


Parola buona o rea. Se tu frattanto,
Le disse ancora, il cenno mio farai.
Pegno ponendo all'alto mio secreto
11

cor tuo, pi d'assai d'ogni regina

Si lever la fronte tua, la terra

163

Sotto a' tuoi pie star sommessa. Al

Del cibo mio, tu recami


Latte una

stilla.

Con quel

latte

Renderai molle, fregherai col


D'asino abietto

Per

il

Passeran

istoria

molti

ha prudenza e senno
Cercava
narrer.

latte la fanciulla e a tutti

Tepido
Si

me ben

gli anni, e chi

La nuova

ed esso

ricordanza

di

Nobil soggetto. Dopo

cuoio

il

latte

tristo cuoio,

verr

la terra

tempo

caldo

di

ne chiedea parlando a bassa voce,

Indi, al

suo ritornar, prendeasi un'olla

E sul rapido fuoco la ponea


E recavala poi nascostamente
A re Shapr. Non disse verbo mai

viventi quaggi.

Ma

Due settimane sovra

che

poi

ci

cielo

il

volse.

si

Dell'asino ammoll, dell'opra al fine.


Il

tristo cuoio, e

come

usc da quello

Prence Shapr doglioso a

membra

sue

le

pien d'affanno al cor, nel suo secreto

Cos egli disse a la fanciulla

Pura e

di

cor veggente e di

Benefattrice, in opra qui

si

donna

me

misero

vuole

Porre un'arte valente ed ogni foggia


Di consigli tentar, perch da queste
Citt di Grecia schiudasi per noi
Libero varco. Deh! non sia giammai
Benedizion su questa terra infida
Dimani,

al

primo albor,

cos rispose

La giovinetta, d'una festa al loco


Vanno esti prenci. Ella una festa in Grecia
Per che fuori sen vanno e donne ed uomini
E piccioletti. Quando uscita ancora
D'esto albergo sar la donna antica
Dalla

citt,

quand'ella sia discesa

164

Della festa gioconda al vasto campo,

Sar
Arte

loco deserto, ed io ben tosto

il

opra porr, n

in

Avr sgomento. Due

di

maligni

due

destrieri e

Clave con arco e mortiferi dardi


Con anima serena a te dinanzi
Lei benedisse, queste
Io recher.

Parole in ascoltar, Shapr valente,


Lei benedisse accorta ed avveduta
E ricca di virt. Quella nel core
Molti pensieri

si

accoglieva, e intanto

senno assumea nell'ardua impresa.


Quando all'occaso de la luce il fonte

Guida

il

Scese dall'alto e su la fronte il bruno


Vel si trasse la notte, ecco! che l'alma
Di principe Shapr d'alti pensieri

Piena si f' Deh che far dimani.


Ratto
Al primo albor, la giovinetta?
:

Che fra le stelle del Leon quest'almo


Sol la fronte lev, quando crescea
Limpido il giorno e il sonno in gi cadea.
Quei eh' era alla citt, venne alla festa.
Grande e felice chi di tal tripudio
Ebbesi parte allor

Ma

la fanciulla

Si volse all'arti sue, quale colei

Che sua difesa va cercando. Allora


Che in suo poter fu la deserta casa,
Cor

di

Davver

leone e di pardo l'artiglio


Due palafreni
eh' erano in lei
!

Di gran valor da' beveraggi addusse.

Armi

scelte accatt di cavalieri

Forti in battaglia e fulgide monete.

Quante eran d'uopo, e gemme di bell'acqua,.


Rubini ancor, d'ogni maniera doni.
Indi

si

ritorn, tutti apprestati

Gli arnesi del partir.

que' due gi

si

Venne

la

notte

ordian dritto consiglio.

165

in pria d'Irania alle citt rivolsero

Tosto

la

fronte

due, segretamente

Gioiosi e giubilanti e di lor pace

Bramosi

in cor.

La notte

n'andarono

di

il

In simil guisa, n perdean lor tempo

A un

In sonno o cibo.

Pieno

di rovi allor,

Della greca

Toccavano

citt, fin

mura

che una terra


che stanchi

camminar

lor palafreni

persone e gi cercava

lor

giugneano

elli

abitata; e poi

Si fean del

loco

da l'ardue

prence

il

Asilo a pernottar, su quella via

Giocondo borgo

gli

si

offri,

di

luoghi

Di festa pieno e di giardini assai

di palestre.

Vinta dal

Con

faticar,

la

sua persona

da l'improvviso

Male fuggendo, venne

il

prode a battere

D'un giardinier la porta, e il giardiniero


Veloce accorse, che di core integro
Egli era s, ver gli ospiti cortese.
Con elmo ed asta e con usbergo ei vide
Su la porta que' due, s che al suo prence
Ei dimand: Gli ci vostro saluto?

Donde
Ti

in quest'ora

se' levato,

intempestiva e tarda

a questa corsa tua

Chiedi tu, gli disse


Per apprestarti ?
Prence Shapr, o amico mio, cotante
Coso da tal che la sua via'perdea?
Uom d'Irania son io che va cercando
Suo diritto sentier, volto in sua fuga
A questa terra il viso. Or io qui sono
Pel greco Imperator, per le sue genti,

Pieno d'affanno. Deh! non


Io

ne vegga

Che

la

sia

che mai

fronte e la corona

se tu in questa notte- a

me

darai

Cortese ospizio e adoprerai tuo senno

farai

come

Ci all'uopo

che

tal

Detto custode,

166

alle frontiere

un giorno

crod'io che

verr, .che frutti un giorna

ti

portarti verr Tarbor novello

(]he ora
Dissegli

ti
'1

pianti.

Questa

casa tua,

giardinier; del giardiniero

Ospitata da te nella sua casa

La persona sar. Le cose tutte,


Laddove giunge il mio poter, ben
Porr mia cura in procacciar, n

io
il

tuo

Alto secreto ridir ad alcuno.

Prence Shapr dal palafren discese


E venne seco per l'angusto calle
La giovinetta. Fece alquanti cibi
Del guardan degli orti la mogliera
Di quanto ella potea, per varia foggia.

Gustato

Ed umil

il

Apprestar.

pane, l recar del vino

loco agli ospiti novelli

Ma

re Shapr

il

die tosto

vin giocondo

il

giardiniero e disse:

Leva la coppa in nome di colui


Ospite mio facondo,
Che pi ricordi.
Shapr gli disse, o fior d'ogni custode

D'orti virenti, quei

che reca

il

vino.

Primo ne beve ancor, quando maggiori


Sian gli anni suoi, maggior prudenza egli abbia.
Or tu degli anni se' maggior d'alquanto
Di me, per t' d'uopo

il

Primo gustar poich qui


Rispose

il

giocondo
Primo,

vili
'1

rechi.

giardinier, gusta del vino,

valoroso, quei che merla ed

Dignitate maggior.

Tu mi

se'

bave

innanzi

In questo appunto, che se' vecchio in quello

Saper che mostri, e giovane degli anni,

di serto

fragranza olezza intorno

Da' tuoi capelli e

si

assomiglia al sole


Cotesto volto.

il

Re

vino intanto

167

si

Shapr

sorrise

togliea,

traendo

Dal profondo del cor grave un sospiro.


Ei disse al giardinier: Quali novelle,

Uomo

d'intatta

del suol d'Irania

f,

Rispondea Lungi ti sia


Hai teco ?
L'opra malvagia d'ogni tuo nemico,
Lungi da te, che mente hai di sovrano

chi n' avverso tanto danno incolga,

Quanto agl'Irani dal signor


Incoglie a' nostri d

Grecia

di

Tutte disperse

Yan le genti d'Irania e in quella terra


Non semenze, non messi veramente
Restano ancor. Per le rapine molte,
D'uomini e donne per il vasto scempio,
L'ampio popol d'Irania and disperso,

E molti ancor si feano a Cristo addetti


E con cintura ai vescovi ne andavano,
E molti, per aver possessi e terre
E lochi ad abitar, poneansi in capo
E quei dicea
La cattolica mitra.
Shapr, di prence Ormzd nobile figlio,
Qual risplendea come la bianca luna

D'Ormzd

al lieto d,

qual loco mai

Tocc, se tracotante in questa guisa


il greco Imperator, s che, per tristo

E avverso

fato,

degl'Irani a

Signor

un

tratto

che rechi

S'oscurava l'onor

Alta la fronte,

giardinier gli disse.

il

In sempiterno a te congiunto sia


Grado real con le delizie sue
Ma se morto egli sia, se vivo ancora.
!

Non venne

indizio

mai d'Irania

al suolo,

A' prenci suoi, da nessun loco. Quelli

Ch'erano accolti in questa terra amena.


Or son captivi in greca terra, lungi.

Ad uno
Il

ad

168
un. Qui pianse

amaramente

giardinier, del prence suo sovrano

Ospite allora in quella tarda sera.


L'ospite disse al re: Qui per tre giorni

Se resterai, luce del mondo vera


Sar questa dimora. Il sapiente
Questa sentenza fin da' tempi suoi
Diceva un di Quei che all'ospite suo
Non fa segno d'onor, mostra che senno
Veramente non ha, si che ben tosto
:

La tenebrosa sua fortuna in turpe


Bisogno l'addurr . Qui resta adunque
E ti riposa e dal ricolmo nappo
Bevi del vino. Mi dirai tuo nome
Ratto che il tuo bel cor nel vin si
Si

davver! cosi

gli ,

Ora nostro signor


Quella notte

si

allieti.

gli disse;

l'ospite nostro

ei rest,

disse ed ascolt.

Della montagna

Shapr

bevve, parole

Ma quando

l'alba

lev alla cima

la pendice super del sole


L'aureo vessillo, il giardinier sen venne

quell'ospite suo.

Ei disse,

Deh!

sian beati,

giorni tuoi, questa tua fronte

Levisi in alto pi de le piovose

Nubi del ciel Ma loco non questo


Degno di te; per la tua dolce quiete
Pi assai
Questo mio loco atto non .
D'una corona e pi d'assai d'un trono,
O fortunato, re Shapr gli disse.
Prendo cara per me la tua dimora.
Ma tu, con un manipolo di fresche
Verbene, qui mi reca un Zendavesta,
Perch' io, nel mormorar calde preghiere,
!

Allora
D'una risposta ti richiegga.
Ci che il re comand, quegli recava


Subitamente e

169

verbene, e

le

il

Atto a le preci fu apprestato.

loco

Or

mormorar quelle preghiere sue


Shapr gli disse, ove a quest'ora

dimmi,

In

Dei sacerdoti
Della casa

Ambo

signor

il

il

duce

quest'occhi miei,

rispondea.

gli

Dal loco ov'io m'assido, alla dimora


Dirittamente se ne van del duce
De' ministri del cielo, o nobil core,

Tu che

dolce favelli.

Arcanamente

guardian degli orti


Si volse e disse: Creta da stamparvi
Impronta di suggel tu cerca e portami
Il

prence allora

al

Dal signor del villaggio.


Il

Allor

che intese

giardinier quelle parole sue,

Creta apport da imprimervi suggelli


E correndo torn. Su quella creta

mondo impresse

re del

Il

suo suggello

diello al giardinier, benedicendo.

il

Cosi soggiunse poi

Deh

questa creta

Per me tu affida al sacerdote e vedi


E quanto egli dir tu intento ascolta.
All'apparir del primo albore, al tempo
Di

gran mattin, del

sire col suggello

De' sacerdoti al principe correa

Degli orti

guardian. Poi eh' egli giunse

il

Del sacerdote a

la

dimora accanto,

Alquanti eroi vide l intorno sparsi


E rinchiuse le porte. Ad alte voci
L'accesso

Che

la

ei

chiese in quell'ostello, e tosto

porta schiudean, dirittamente

Entrando

ei

Al sacerdote,

s'avanz.
gli

Come

mostr

il

fu accanto

suggello

E omaggio gli prest. Quei riguardava,


E poich l vedea l'imperiale
Gemma, quel cor di lui balz di gioia,

170

Di lui, regale consiglier.

Piangea

Su quel nome l impresso,


Deh! qual uomo costui?

e al giardiniere,
disse piangendo.

Inclito in nostra terra, ei rispondea,

Cotesto cavalier

si

Ed con lui, qual


Una fanciulla pari

sta in

mia casa,

agile cipresso,

a bianca luna,

Saggia ed accorta, dignitosa in atto


Oh soggiungea
E di nobile aspetto.

Il

sacerdote, nella sua statura

E nel suo volto, dimmi, o fortunato


Ch'ami tua gloria, quali segni ei reca!
Quei che non vide primavera, disse
Il giardiniere allor, quei che non vide
D'un ruscel su la sponda alto cipresso.
Guardi le gote sue, miri a l'altezza
Di sua statura. Concepisce

il

core

Nel suo cospetto insolita letizia;


Ma le sue braccia veramente sono
Cosce robuste di cammello, e il petto

il petto del leon, rosseggia il


Come di sangue. xVll'affetto che

volto
infonde.

Sale color di sbito rispetto


Di chi riguarda al viso, e dal suo volto

Di regal serto dignit risplende.

XIII.

Riconoscimento

di re

Shpr.

(Ed. Cale. p. 1443-1444)

Il

Il

giardinier cosi parlava, e intanto

sacerdote uda. L'uom sapiente

Ben conoscea nell'anima sua chiara


Che altri non era fuor del re colui.
Di leonino cor, che sol di trono

Un

Iva degno quel volto.


Ei

si

171

raessaggiero

cerc dall'anima serena

de' confini l'invi al custode

dissegli:

Di re

Da

Apparla novellamente

Shapr

maest. Raccogli

la

tutte parti esercito guerriero.

Del sacerdote

Venne

il

messaggier, correndo.

dal loco suo fino alle case

Del guardi'an de le frontiere.

Alle parole sue

si

f'

dce

Il

gioioso

ratto fino al suol le gote sue

Chinando appose e a Dio


Giusto Signor

si

volse e disse:

questa terra, indegna

di

Adorazion saria qual io facessi


Ad altri fuor che a te! Chi mai sapea

Che re Shapr tornasse

prodi suoi

riveder, che rivederlo ai prodi

Oggi dato qui fosse? Oh! grazia questa

Che da te vien, Signore, unico Iddio,


Del mondo reggitor, guida ai mortali

Ad opere

leggiadre e a forti imprese!

Quando

la notte

In alto sollev,

Dintorno

Da

si

il

negro suo vessillo


alla luna

quando

mostrar

le

bianche

stelle,

tutte parti esercito guerriero

Si raccogliea, da tutti luoghi attorno


Ov'era un prence per la terra. Tutti

V.olgean

la

fronte all'abitato loco

Ad uno ad

uno, a due pur anco, e al sire


Venian correndo. Vennero a l'ostello
Del giardiniere e rJl'ospite del prence
S'accostar giubilanti; e poi che in folla
Si radun l'esercito festoso
Di quell'ostello al limitar, ne andava
Il

giardinier di nobile consiglio

Dinanzi

al re.

Ben che dimesso

e umile


Fosse quel loco,

172

comando il sire
come quelli insieme

f'

Di dar l'accesso; e

Entravano appo

che am sua gloria,


moto istesso

lui

Tutti posero al suol d'un

Riverenti la fronte.

Stringeva al petto

prenci

l'inclito

tutti

sovrano.

cominciava a lagrimar dei tristi


ei raccontava intanto
La sofferta rancura entro la pelle
S

Gasi avvenuti;

Dell'asino ravvolto e ripetea

Quante parole

ud'ia

dal greco sire.

Di quella schiava giovinetta e bella

L'opra narrava generosa, e disse


Ci ch'ella fatto avea per molto amore:

L'anima mia ricoverai per lei


E per l'Eterno. Oh! sia di lei felice
In sempiterno la fortuna! Ancora
Se regna alcuno ed felice, schiavo
Egli di schiavo di gran pregio; ed io
Schiavo mi son dell'amorosa ancella
Di core aperto e del secreto mio
Fedel custode. Or voi, per ogni parte.
L 've son pur le mie falangi e dove
il regno e s'apre la mia dritta via,
Mandate alcuni e date annunzi e intanto
Qua e l mandate le vedette vostre
Sul lontano sentier. Tenacemente
La via sbarrate a Tisifuna intanto.
Che non vuoisi che fuori esca novella
Di me. Che se venisse annunzio certo
A.1 greco Imperator, manifestarsi
Qui nuovamente dignit sovrana

Di re dei regi, egli verr, le

mie

Falangi tutte a scompigliarmi, e

la

possanza degl'Irani

tutti

Infranger. Poter di contro a

lui

il

core


Or non abbiamo, e

173

resister concesso

noi non contro la sua fortuna

Gh' rigogliosa. Ratto che le schiere


Qui m'addurr, venendo, il sacerdote,
Ad erranti formiche ed a volanti

ancora chiuderem la via


Con l'immenso drappel. Studio porremo
E nuovo farem qui l'ordinamento,
Se dato pur ne sia per via secreta
Insetti

Liberar dagli sterpi intorno assorti


Il nobile giardin. Venga da tutte
Parti un torriere e le vedette intorno

Veglin

la notte e

Soffrir
Disciolto

mai che
il

il

d.

Nessun

di

Grecia

dorma.
fianco dal guerresco arnese.
in sicurezza

XIV. Assalto notturno di re Shpr.


(Ed. Cale.

p.

1444-1448).

pass lungo tempo allor ch'egli ebbe

Seimila prodi a se dintorno. Intanto

Mandava re Shapr

gli esploratori,

Principi esperti egl' inviava intanto

Tisifuna perch a lui novella

Desser del greco Imperatore, assiso


In quell'inclito ostel con tutta pompa.

andavano improvvisi,
quaggi nascostamente
Investigando; e poi che tutte ei videro
Gli esploratori

Le cose
Le

di

cose, varie assai,

si

ritornarono.

Al re sovrano ritornar che avea


Alta ed eretta la cervice, e dissero:
Il

Per

greco Imperator per vin ch'ei beve.


le sue cacce, non si d pensiero

174

Della fortuna. Le falangi sue

Tutte all'intorno son disperse, intente

Su

le frontiere a far rapine.

Al giorno

Non

son vedette, non son guardie a

Per

l'atra notte, e l'esercito

come

lui

suo

greggia che non ha pastore.

Da niuna

parte

suo nemico intanto

il

Egli non vede, che

campar

gli

piace

Ogni sua brama secondando a prova.


Giubil re Shapr tosto che intese,

Ed ogni
Si

f'

dolor suo qual vento inane

per

lui.

Tremila

egli scegliea

Irani prodi, cavalieri eletti,

Con loriche
compose

Si

Ombre

e gualdrappe, e sovra

petto

sue schiere addusse

fidato, e le

Ver Tisifuna. Per


Rapidamente egli

la notte

correa,

Chiaro spuntava il
Dal diritto sentier.
Ei

il

l'usbergo, alle notturne

camminava

d,

si

Cos,

ombrosa

ma quando
dilungava

per monti

e per deserti, in lochi

Accessi ed inaccessi, egli e le sue

Ma una squadra innanzi


Pi che due parasanghe egli inviava,
Ed erano per lui vedette intorno
Per luoghi accessi ed inaccessi. In questa
Guisa adopr, fin che le sue vedette

Raccolte schiere.

Sospinse innanzi presso a Tisifuna,

campo, trapassate appena


Entro al suo core
Pel greco Imperator tema non era,
E intanto ei non udia da quel confine
Voce alcuna d'umani e non alterno
Di vedette gridar, non di sonagli
Lontano squillo; ma di tende ingombro
giunse

Due

al

vigilie alla notte.

Era quel piano e

d'alti padiglioni


In ogni parte.

175

Annunzio oh! chi s'avea

Al

Dell'assalto improvviso?

suo recinto

Ebbro si stava il greco re, n spazio


Era l intorno per cotante genti.
Ma Shapr valoroso, allor che vide
Tali gli eventi di quaggi, le redini

Imperiali al nobile destriero

Abbandon. Nel campo


Trasse

le

schiere e la

de' nemici

man

stese e fuori

La mazza

liber nodosa e grave.

Fino a

nubi allor di trombe e corni

le

Sal fragore, fu

romor

di

clave

di crotali d'India, e d'ogni

parte

Sorse tumulto e d'ogni loco intorno

Romor
Che il

d'armi

si

Piovean dal

sol goccio

Alta splendea di

Per

alz. Detto tu avresti

cielo si fendea,

che gi per

Kveh

la

bandiera

l'atra notte e risplendeano

D'azzurra

l'etra

sanguigne; e intanto

ferri

tinta. Detto avresti allora

Che spade l'aer piovea, che fosca nube


Ingombrava la terra in ogni parte.
Che veramente si oscur la plaga
Di questo ciel per la rotante polve

un lembo oscuro
Shapr gagliardo

Dell' esercito in giostra, e

Parca

gli

astri coprir.

Del greco Imperator vile ed abietto

Dal basso in alto rovesci


Dall'alto in basso, e

la tenda.

prodi suoi frattanto

Infinito uno stuol di cavalieri


Spegnean di Grecia, pi d'assai nel novero
Di ben dodicimila. In ogni parte
Fuoco ei gittr, precipitar dall'alto
Fean su la terra il ciel. Ma cadde alfine
Il

greco Imperator, prigione

la

fortuna sua,

bella

ei

cadde,

un tempo,


Di lui non

si

cur.

176

Da

le lor

tende

Molti famosi in guerra e molti eroi

molti eletti cavalieri intanto

Fean prigionier

d'Irania

Carchi

li

di ceppi

pur costume

valorosi,

rendean, che tale

di quest'alto cielo.

Vien grandezza talor da questo cielo,


Vien iattura tal'altra, e gioia ancora
E sgomento del cor di quando in quando;
Ma ben cosa miglior fermezza in core
Ed umano sentir, quando ad alcuno
Del mondo

Quando

il
il

Creator propizio sia.


giorno spunt, quando la notte

lembo de' suoi negri veli


E si mostr del monte in su la cima
Il vessillo del sol, Shapr f' cenno

Ritrasse

il

Che imperiai

scrittor venisse a lui.

Calami dimand, carte con muschio

Ed ambra pura. Ad ogni terra intorno


Fu scritto un foglio, ad ogni re gagliardo,
Ad ogni prence, e re Shapr f' questo
Principio al foglio suo

Benedizioni

Dall'intimo del cor salgan da noi

l'eterno Fattor de l'universo.

ha poter sull'opere pi belle,


N, in suo poter, necessit d'alcuno
Il tocca mai. Di nostra sorte ancora

Ch'egli

Egli l'autor, maestro in tutte l'opre

Che sono

egregie.

Ma

poich obbhava

greco Imperator di Dio precetto


E in iranico suol spargea soltanto
D'opere triste la semenza, or ecco
Ch'egli in molto dolor rode i suoi ceppi
Da che all'anima sua non fu saggezza
Il

Guida verace; e a noi l'imperiale


Corona abbandon, n dalla terra

177

Altro con s port che un tristo nome.

Rovesciate cadean

il

sue falangi

le

suo trono cadea, poi che

Con suo poter mostravami


Iddio signore.

Ma

Che per queste

la via

dall'alto

qual sia di voi

greco

citt

ritrovi,

Vuoisi ch'egli abbia per ultrice spada

La parte

sua. Cercatevi frattanto

amici,

Giustizia,

voler mio seguendo,

il

rinnovate da principio ancora

Qual era

il

patto inverso a

Andavan messaggieri
Correndo

ratto, e

me

gi

un tempo.

in ogni parte

recavan

le epistole

Di quell'inclito re d'alma serena.

campo

Cosi venne dal

l sedette

in Tisifuna

senza doglia e cura

Col suo fedele consiglier. Sul capo

Com'ei

si

pose l'inclita corona

Degli avi suoi, di Dio

Dator

f'

ricordanza

comand che scendere


dovesse uno scriba,

di grazie e

Alle prigioni

De' captivi a notar sovra le carte

nomi tutti. E furon mille


E due pur anco al novero
I

e cento
cotesti.

Grandi

di Grecia, quali aveano in terra


nome, consanguinei tutti
Del greco Impera tor, congiunti suoi.
Principi veramente in terra greca.

Inclito

Ma

l'iranio signor lor

mani e

piedi.

Di quanti al male oprar maestri furo,

Con
Che

la
il

spada tronc f' cenno poi


greco Imperator, della nemica
;

Terra sovrano, fosse innanzi addotto.


Andava un manigoldo e per la mano
Dal carcere traea qual forsennato
II

greco

FiBiiBsi, VI,

sire.

quel malvagio e reo,


12

178

Di principe Shapir
Il

diadema,

Gi per

le

come scoverse

cader dagli occhi


gote lagrime sanguigne,
f'

quelle gote di rossor suffuse

Chin

alla terra. Benedisse

D'Irania e

il

il

trono

serto e con le ciglia sue

duro suol tocc ivan congiunti


Al pavimento la sua barha e il corpo.
Dissegli il re: Malvagia creatura,
Addetto a Cristo, e se' nemico a Dio,
Osi un figlio asserir di Chi nel cielo
Non ha compagni! Di tal cosa in terra
Il

Non

Ma

principio o
tu

se'

fin,

ingannator,

tanto ella stolta


se'

forsennato

Veracemente, se' malvagio e tristo


Di nascimento vii, non saggio sei!
Dir parole non sai fuor che in menzogne.

Ma

la

menzogna

tristo fuoco,

D'ogni gaio splendor.

Che

privo

se tu in Grecia

Se' imperator, dov' la verecondia.

Dove il consiglio tuo? dov' quel core,


Guida all'opre leggiadre? E perch mai
Vincol mi fosti della trista spoglia
D'asino vii, gittando al suol la mia
Grandezza imperiai? Ch'io me ne venni

Con mercatanti per conviti e cene,


Teco non venni a contrastar menando
Genti armate e timballi. E tu avvolgevi
Dentro alla spoglia dell'asino abietto
L'ospite tuo per volgerti a l'Irania
E per menarvi tuoi guerrieri. Intanto
Vedrai la man degli uomini gagliardi
Qual sia davver, perch tu d'oggi in poi
In iranico suol guerra non cerchi.
Dissegli il greco Imperatori Deh! sire,
Scampo chi trova da voler supremo


Di Dio signor?

Allontanava

il

179

Da me prudenza

e senno

seggio mio regale

Per stolta voglia e schiava f" quest'alma,


Qual per mercede, a un tristo Devo. Intanto,
Se opra benigna fai compenso al male,
Sarai quaggi di nobile racconto
Nobil soggetto, ne il tuo nome antico
Mai si far, ma per valor clie accogli.
Ogni tua brama fia compiuta. Or io,
Se grazia toccher per la mia vita

Da

te,

signor, dinanzi agli occhi miei

Terr qual cosa vile ogni tesoro.


Ogni moneta ancor. Nella tua reggia
Verr qual servo, nulla disiando
Fuor che del trono tuo l'alto splendore.
Tristo e malvagio! disse il re, quest'alma
Terra perch mandasti in iscompiglio?
Tante dovizie che di qui recasti
mai non sia che ancora
In Grecia tua (deh
Quella terra tu vegga infausta e rea!)
Se dal tuo tetto qui riporterai
D'un tratto e insiem, rendendole a' miei prodi
Che recan alta la cervice, e il suolo
Che desolasti per l'irania terra.
Si che ricetto di leoni e pardi
Per te si rese, allor che renderai
Fiorente e bello con le tue monete,
!

Compenso avrai dell'opre


Per quanti uccisi hai tu

tue.

Ma

poi.

d'iranio sangue.

Di regia stirpe cercherai cotanti


In Grecia tua. De' nostri per
Dieci, in

ammenda, darai

un

solo

tu di Grecia

E qui porrai, dinanzi a me, qual pegno


La tua vita medesma. Or io non chieggo
Altro che sangue imperiale, ostaggi,

Che

abitin

meco questa terra mia


Con

180

Per quante ancora

letizia di cor.

Piante schiantasti per

suol d'Irania

il

(Alberi non divelle in alcun

tempo
L'uom che ha propizia la sua sorte),
Per ognuna di quelle pianterai

mura

rifarai le discrollate

Per

campagna,

la

In ogni cor per

che

Ma

te.

un'altra

l'ira

scemi

te frattanto

Qui terr avvinto de' miei ceppi. Oh! come,

Come

potrei dell'asino la trista

Spoglia da te gradir

Cose non
Altri

ti

Che

se tu queste

quali diss'io, le cuoia

fai

toglier dal capo al piede.

Poi che Shapr coleste cose tutte

Annover, Shapr conquistatore


Dell'ampia terra e

poter sovrano.

di

ambo

Al greco Imperatore

gli

orecchi

due diviso con un ferro acuto


E ad un punto del naso un picciol foro
In

Aprir

gli f'.

Cos la lignea spranga

Posegli al naso per quel picciol foro

Quale a' cammelli, che Shapr in mente


Il crudo cuoio ben serbava, e poi

Due
Il

ceppi gravi al pie

gli

pose, e ratto

carcerier l'addusse

al

Una

preparava

rivista allor

si

loco suo.

suoi registri, e furon chieste intanto

De' tesori, le chiavi.

prodi suoi

prence e die stipendi, e intanto


Quella sua mente colma d'un pensiero
Di vendetta ne andava e di giustizia

Raccolse

il

Era pieno quel

cor. D'Irania ei scese

L, di Grecia al confin.

Le sue

falangi

Qual si trov in que' campi e in quella terra,


Trassero a morte e n'arsero le case

il

mondo

intero illuminar de' fuochi


De'

Come annunzio venne

incendi.

tristi

i81

D'Irania in Grecia, desolata e squallida

Andar

la terra s

L'inclito

La

fiorente in pria,

Imperator cader captivo

notte oscura, tra le

file,

in giostra

De' suoi guerrieri, piansero dolenti


Li Grecia tutti e grave ebber cordoglio

Alle proposte di Shapr. Chi mai,

Ciascun dicea, chi mai

Fuor che

il

f'

questo male,

nostro signor non generoso^

XV. Guerra

di

(Ed.

Shapr con Ynus.

Cale. p. 1448-1449).

Del greco Lnperator viveva intanto

Un fratello minor; morto era il padre,


E la sua madre era anche viva. Giovane
Egli era

s,

Yans

di

nome,

assai

D'onor bramoso, liberal ne' doni

gioioso di cor. Sulle sue porte

Stuol di guerrieri s'adunava e intanto

La madre sua,
Gli die monete

di

guerreggiar vogliosa,

e dissegli: Vendetta

Cerca del fratel tuo! Forse non vedi


Che gente armata gi d'Irania scende?
Yans, come ascolt, ratto si accese
E disse: Del fratello oh! qui non vuoisi

La vendetta

obbliar

E
E

la

rec fuor

croce,

Batt

timballi

una gran croce,

di gagliardi formidabil schiera.

Tosto che s'incontrar, questa con quella,

Le

genti avverse, ogni guerrier

bramoso

D'aspre battaglie pi non ebbe pace;

Ma

tosto s'ordinar le

lunghe

file

fiere voci

si

182

levar, correndo

Yans duce avanz. Levossi allora


Una nuvola fosca e d'atra polve
Un nembo oscuro, s che gli occhi

a tutti

Nella tenebra densa gi smarriano

La via diritta. Avea lo stuol di Grecia


Da questa parte un monte e dall'opposta
Una riviera, l 've tutto accolto
Era il nerbo maggior. Sorsero grida
Tumultuose e fr scintille vive
Di pugnali e di trecce sibilanti

clave ferrate, e l'etra intanto

di

De' cavalieri alla volante polve

Intenebrava. Lampeggiavan l'aste

Da

splendean da lungi

le cuspidi lor,

Le bandiere
Stavan da

Che

levate.

quella

pugna

a riguardar le stelle,

l'alto

quella era stagion d'aspra vendetta.

Quello era tempo di tumulti e

Ma

di

Grecia

gli eroi tutti

Alla battaglia insiem,

cme

d'ire.

s'accinsero

leoni

In subito furor. Di ferro parve


Il

suol profondo ricoperto e l'aria

D'un

che

livido color,

fino all'alto

Delle nubi del ciel salano

vortici

De la torbida polve. E detto avresti


Che il cielo allor di nuvole rotanti
Tutto era ingombro, che piovean dall'alto

adamantine spade.
Le schiere allora dell'iranio prence
Sangue a versar pel contrastato campo
Dell'alte nubi

S'accinsero furenti, e fu cotesto

Fino a che smorto

Da

tutte parti,

si

si

f' il

sole e intorno.

lev con impeto

Della battaglia la tempesta. Uccisero

Tanti nemici, che di ferro tutta

183

Parve la faccia del profondo suolo


Per le corazze degli uccisi: e quando
Prence Shapr dal mezzo di sue schiere
Precipitoso s'avanz, da destra

E da

sinistra

Sospinse

Tutto

il

il

prodi amici suoi

Quando

Tutti raccolse.

co' suoi

palafren l'iranio

prenci

sire,

suol traball, tutte le avverse

Falangi sbigottir. Dentro la folla


De' greci eroi con impeto egli diede.
Ogni pi illustre alFuom del volgo pari.

Yans, come vedea che innanzi al sire


pie non avea, fuggendo corse
Con gli armigeri suoi. Dietro gli corse

Fermo

Shapr valente

e la sua luce all'etra

Egli rap con la volante polve

Che

sollev.

D'eroi

Dovunque

trafitti,

Da' capi

sfatti tutto

Conlamin. Tanti
Egli uccidea, che

Era ingombro

ei

fece

cumulo

e di cervella sparse

di

intorno

il

campo

greca gente

di squarciati corpi

e di pie, di capi sfatti,

Tutto quel piano. Nel deserto loco

Non croci rimanean, non genti accolte,


E ne' castelli incolumi non furo
croci, ma dovunque il sire
Vescovi
si tolse intorno intorno.
preda
Tanta
Che l'esercito suo l si rimase
Meravigliando. A le falangi sue
Tutte le cose dispensando ei venne,

sola fu di lui parte assegnata

Del greco Imperator l'ampio tesoro.

Davver! che gran


Portata un

fatica

avea costui

suo tesoro! e intanto


molta fatica
la
frutt
sua
Non gli
Di quel tesor picciola parte. Intorno
d pel


Adunavansi
I

184

Grecia insieme

l di

pi gagliardi e fean queste parole


tutti a una voce:
che sire ci governi
siml! Del greco Imperatore

Del greco Imperator,

Deh! mai non

lui

Perdasi
Poi che

il

il

nome

sia

via di Grecia

Intanto,

cinto de' diaconi perla

Nel vasto incendio e

vi peran le croci

De' metropolitani, una sol terra

Kanngia e Grecia son per


Della fede di Cristo omai

che spenta

noi,

la gloria!

XVI. Conclusione della pace.


(Ed. Cale. p. 1449-1453)

Un uomo
D'Imperator

oravi allor di regal stirpe,


dell'inclita

Bezansh era

la

tal,

semenza.

ricco di senno,

sua lingua e l'anima sua bella

Di nobili consigli erano piene.


Dissegli

il

popol suo: Deh! tu

ci

sii

Imperatore, di cotesto schiere


Oggi principe sii! Tutta la gente

Volge gli orecchi a tue parole, e tu


Al diadema il suo splendor ridona
EUi apprestar per
E appresta il trono.

L'eburneo seggio, e Bezansh vi assise


Con serto e tutta maestate. Al loco
Egli '1 ponean di sua grandezza e poi
Diceanlo Imperator tutti que' Greci.
Bezansh l si assise e f' pensiero
Dell'aspra guerra e del

campo

dell'armi,

s'avvide e conobbe alto periglio

lui

venir dall'inclito signore

lui

185

D'Irania bella, per battaglie e

fieri

campo. Ond' che messaggiero


Tosto ei cerc che nobile prudenza
E verecondia si vantasse, tale
Che con mite parlar sua sapienza
Addimostrasse. Elor^uente ed esperto
Assalti in

saggio e sapiente e a lui gradito

Di fogli uno scrittor volle con seco

a s daccanto

il

f'

seder, poi disse

Quelle parole sue saggie ed acute.


Un'epistola allor con molti auguri

Da Dio signor

pel re dell'ampia terra

Tosto egli scrisse e incominci in

tal guisa:

In sempiterno la corona tua,

re, fulgida sia, tutti

regnanti

Ben tu conosci
Che far rapine e sparger sangue e assalti
Menar contro innocenti ebbero sempre
Sian servi innanzi a

te!

D'alta sventura in segno

Che levan

Sian pur sovrani


di

greche

Fu da

prenci

tutti

alta la cervice, detti

citt.

di citt d'Irania

Che

se tal guerra

principio per Erg' tradito,

Minochr col valor veracemente


La suggellava. Per quell'aspra guerra,
Ora polvere abietta la persona
Di Salm antico, e la faccia del mondo
Di Tur da la presenza and disciolta.

Che

se fu

guerra ancor per

Dar e per Sikendr,


Gotesta

lite in

l'infelice

vieta divenne

Grecia omai. Uccisero

Principe Dar due malvagi e

tristi

Suoi consiglieri, poi che gi sua sorte


Precipitava.

Che

se questa guerra

Pel nostro Imperator s'aggiunse or ora,


Nelle carceri tuo le tue catene


Egli intanto

180

E non

rode.

si

bello,

Bello non che desolata resti

che non qual Grecia


Che se tu ancora
Di rapine hai desio, di sangue e stragi,
Sappi che tutta Grecia ornai divenne
E senza mani e senza pie. Captivi
Di te son gi le donne ed i fanciulli

La greca

terra,

Altra terra quaggi.

De' nostri prodi, o giacciono feriti


Dalle tue spade e dalle tue saette.

Venne

stagione, o re,

che tu raccorci

Quell'odio tuo, quell'ira tua, che

mai

Non convengono insiem religione


Ed ira stolta. Ogni tesoro in Grecia
T'appaghi, o re, quale di noi riscatto,
affranta omai per l'incresciosa guerra
L'anima nostra. E tu d pace al core.
Tante citt non arder per la terra.
Che non bello che sottentri un giorno
All'altro giorno in simil via. L'Eterno
Gi non ha caro che ingiustizia ed odio
Cerchi il monarca. Su l'iranio sire

Che

Benedizion

di

Dio discenda, e serto

Sia della luna la sua sorte illustre!

calamo depose

Il

Ebbe

il

allor

che

scritto

foglio real l'inclito scriba.

Indi sul foglio imperiai suggello

Fu

apposto e

Si volse

E
A

il

al

prence dell'irania terra

messaggier.

l'epistola die

Venne quel

savio

quale venia

re Shapr di nobile lignaggio

Dal greco Imperator.

Fu

Come

quel foglio

letto innanzi al nobile sovrano.

Tutti su quello fr parole oneste

E
E

dolci,

e re

Shapr

gi

perdonava

fea pieni di lagrime cadenti

187

fulgidi occhi suoi, piene di luce

Fea pur le ciglia sue nemiche in pria,


E ratto e in quell'istante una in risposta
Epistola scrivea; cosi vi disse

il bene e il mal de' gi trascorsi


Chi mai cuc dell'asino nel cuoio
Lo stesso ospite suo? chi dell'antico
Odio rinfocol la rea faccenda ?

casi

Ma ove saggio sei tu, levati e vieni


Al mio cospetto, tu medesmo vieni
Co' filosofi tuoi che hanno consigli
Nobili in core. Far grazia a voi,
Ne pi guerra far, che l'ampia terra
Angusta gi non pel sapiente.
Il messaggier si ritorn portando
Quella risposta, tutte ripetendo
Quelle parole.

Bezansh, che vide

Cotal risposta su quel foglio, ratto


II

core palpit per molta gioia,

lui nobile e onesto. Ei

Che

di

Grecia

Venissero con

Verde e

comandava

gl'illustri (ed
lui

fiorente.

eran cento)

da quella terra

quelli

ben sessanta

Di giumenti facean carche le

D'auree monete e

di strati

fulgide

di

a giacervi.

some

gemme

Anche

s'accolse,

Intorno da gittarsi, ampio tesoro


Di monete d'argento, e furon queste
In ogni parte trentamila.

Vennero

Tutti que' prenci dall' iranio sire.

Vennero

tutti

Senza corona.
Dinanzi a

nudo

Ma

il

pie, col

capo

quand'ei profusero

lui le fulgide

monete

E mescolar gittando oro disperso


E gemme chiare, ebbe pietade e

tutti

Accolse re Shapr con molto affetto

188

Ed

assegn, conforme a grado,

Ad

abitar con dolce atto cortese.

Bezansh

Ei disse a

Molti vennero qui

tristi

Da

citt

loco

greche

e malvagi

Uomini invero; ond''che ove


Eran citt fiorenti ed abitate,

Or

un

in Irania

son brughiere in ogni parte. Chieggo,

Chieggo

quanto and deserto e guasto

di

si

di pardi,

f'

covo

che chiedi, Bezansh gli disse;


fai, da ci che parli,

Di' ci

Ove
Non

di leoni agresti

da voi risarcimento.

grazia ne

Cos

rifuggir.

rispose allora

Se tu ben vuoi che tutte

L'inclito re:

10 perdoni le colpe, a te fa d'uopo

Tributo a

me

Di monete

di

inviar tre volte all'anno

Grecia; e sian coteste

Centomila due volte. E mia pur anco


Nisibi diverr, se pur tu vuoi
Che lungi da me sia pensier di guerra.

Bezansh

gli

dicea: L' Irania tua

pur anco e la campagna


Abitata da eroi. Da te il tributo
Nisibi

Grave e

Non ho
Contro

il

balzello su

me

prendo, eh'

io

poter contro quell'ira tua.


la

Da parte

guerra che mi
di

fai.

Allora,

Shapr prence sovrano.

un patto ch'ei d'allora in poi


Mai non avria le sue falangi armate
Fuor d' Irania sospinte, ove non fosse
Per opere leggiadre e amico intento,
Si che iattura non toccasse a Grecia
Per lui mai pi. Ma tutti accomiatava
Scrissero

11

sire vincitor

Con

con

atti onesti,

dolci atti cos, fra gli altri illustri

Esaltando lor capo. E allor che quelli


Cosi partian da

lui,

Prence Shapr con

189

men sue
s,

genti

molto invocando

Iddio creator di questa terra. Ei scese

Lieto e beato in Istakhr di Persia,


Gil la gloria di Persia era a que' giorni

D' Istakhr la citt su l'ampia terra.

Quando novella

in Nsibi la gente

Ebbesi certa, tutti a nuova guerra

Subitamente s'apprestar. Non vuoisi,


vuoisi, elli dicean, che per se tolga

Non

Prence Shapr
E meni prodi
i

La

di Nsibi l'impero

non fa vera
addurr le leggi

suoi, ch'ei

f di Cristo e qui

Del Zendavesta e de' suoi Guebri. Allora

Ch'

ei

qui verr, ninna parola nostra

Ascolter. Noi

lo

Zendavesla

Ripudiam con la sua legge vetusta.


Gente soggetta s'arrogava intanto
Poter sovrano e in sella anche si assisero
I

sacerdoti ad ingaggiar battaglia.

Ma come

giunse la novella certa

A principe Shapr, sua dritta via


Non custodir l in Nsibi la gente,
Cruccio ebbe in cor

Ed

infinito stuol di

di Cristo per
gente armata

In via sospinse. Di profeta,

ei

la fede-

disse,

Cui trasse a morte di Giudea la gente,


Religion lodar non vuoisi.

Per

Allora

sette giorni fu battaglia quivi

dell'ardua citt furon le porte

A' combattenti anguste.

Oh

ma

di

quelli

Molti a morte traea principi illustri

Lo

stuol di Persia e ceppi gravi

impose

chi vivo rest. Chiedean cotesti

Ratto in dono la vita e al prence un

Scrivean compunti. L'inclito signore

foglia

190

Lor perdonava e fea precetto, indietro


Perch tornasse la sua gente armata.

Ma
E

in ogni terra splendida egli s'ebbe

gloria e

D'ogni sua

fama e per

brama

terra tutta

la

tocc fine.

dissero

Il

Monarca invitto le sue genti allora,


Ed ei visse cosi per alcun tempo
Gol suo trono regal, col diadema,

a quella intanto giovinetta umile


disciolto l'avea, l'avea condotto

Che

A nobil meta d'ogni dolce brama,


Impose un nome e Dilettosa luce
Del cor

la disse e tra le belle

sue

Lei sola del suo cor fece conforto

delizia quaggi. Molte dovizie

Ei diede ancora al giardiniero e poi

Da

s l'accomiat ricco e beato.

Era

in catene e in carcere frattanto


greco Imperator, dolente e gramo,
Qual d'un laccio ne' vincoli, Qual cosa
In Grecia egli s'avea dentro a' tesori,
Accumulata un di con molto stento
Da tutte parti, ei gi recata avea
Tutta per darla a re Shapr, e intanto
Ei visse ancor con labbra sospirose
Per alcun tempo. Al fin, dentro a' suoi ceppi
Il

nel carcere suo, mori dolente,

Di sua grandezza abbandonando

Ad

altri.

In Grecia ne

Prence Shapr

in un'

mand

il

serto

la spoglia

angusta bara,

Pstale in pria su la gelida fronte


Di muschio una corona.
Il

nostro fine, ed

Nostra pace ove

io

non

E
so

questo, ei disse,

ne vedo

sia! Tale, frattanto.

Mostrasi tutto d'avarizia pieno

di stoltizia,

di

prudenza

l'altro


ricco
Ma per

191

e di sentir nobile e grande.

il tempo
Rapido e ugual. Deh quei beato in terra
Che ha core intatto e teme Iddio sovrano
Cos, sul trono imperiai, recava
Prence Shapr il pie, cos del mondo
Per alcun tempo ei fu signore, e poi

questo e per quel trapassa


!

Nella terra dei Khizi egli

E bene

e mal, che

una

mandava

citt costrusse

Pe' suoi captivi in quella terra e tutta

Partecipe ne

f'

la

Era Khurrem-abd
Della citt.

Ma

gente sua.

chi di quella terra

Lieta e beata ebbesi frutto

nome

l'inclito

Quelli,

mani

cui gi in pria tronc le

il

sire,

Ebbero quel confine, ad abitarvi


Loco propizio. Quella terra egli ebbero
Tutta per se, prendendosi una ricca
Veste real d'ogn'anno in sul principio,
Inclito dono. Altra citt poi fece

Shapr

in Siria, qual

Di Piruz-i-Shapr

chiam

del

nome

fece la terza

Nella terra d'Ahvz, e v'eran torri

Ed

ospedali.

La chiamar

del

nome

Di Kanam-i-asirn, ch'ebbero in essa

Loco a posar, d'ogni lor brama il fine,


prigionieri. Del dominio suo
Cinquant'anni passar, n per quel tempo
Un eguale ei si avea per l'ampia terra.

XVII.

Venuta

di

Mani.

(Ed. Cale. p. 1453-1454).

Venne di Gina un uom facondo. Mai,


Mai non vide pittor che l'uguagliasse


Tutta

ed

la terra,

192

per

ei,

la

mano

sua

Abile e pronta, d'ogni voglia sua


Il

toccato avea. Mani era

fin

nome

il

Di cotest'uom da le superbe voglie.

Per
Son

l'arte di pittore, ei dir solea,


io profeta,

primo e

il

il

pi prestante

De' banditori d'una f novella

Per

A
A

tutto

il

mondo.

Venne,

ei

re Shapr e chiese accesso e


s compagno l'inclito signore

s,

di

Cina

volle

In tale ufficio di profeta. Disse

Parole assai quest'uom, che sciolta avea

libera la lingua, e

Per

Si f' dubbioso.

Precipitando,
I

ei

sacerdoti e

mondo

re del

il

sue ne' suoi pensieri

le parole

Ma, la mente sua


radun d'intorno
parole assai

f'

Di Mani in lor presenza. Ecco, egli disse,

Per cotest'uom

di Gina, in

sue parole

Soverchiante, davver! ch'io son caduto


In pensier grave per la f che annunzia

Seco parlate e

le

parole sue

Piacciavi d'ascoltar; forse che fede

Porrete

D'immagini

Non

Adoratore

suoi.

a' detti

costui, dissero

costui de' sacerdoti

Nobile e grande.
Odi,

signor; tu

Ratto ch'ei

Come

ti

Ma

di

saggi,

duce

il

Mani

detti

chiamalo pur anco.

vedr, la lingua sua

scioglier potr

Mani venisse l
Pi che misura

F'

cenno allora

dinanzi, e seco
assai parole ei disse.

Cos, dinanzi al prence, egli e que' saggi

Di Dio ministri, di contrarie cose,

Qual del nero e del bianco, avean parole.


In

mezzo

al disputar,

muto

restossi


Mani d'un

193

argomenti innanzi

tratto agli

Del sacerdote dell'antica fede.

Adorator d'immagini, gli disse


sacerdote, perch mai superba
Stendi la mano a Dio? Quei che creava
11

Quest'alto cielo e vi

've

pur son

Insieme accolte,

spazio e tempo,

f'

tenebre e

le

la luce

natura tale
Che ogni natura superando vince.
di

Volgesi notte e d quest'alto cielo

Da

cui

pur viene a

te difesa e

schermo

periglio talor. Negli argomenti

Delle immagini tue deh! perch credi?

De' banditori della f piuttosto


Il

detto ascolta. Ei dicono; L'Eterno,

Unico Egli

santo e verace, e nullo

che a Lui servaggio

in te consiglio fuor

Prestar con umil core

Queste immagini

E se tu muovi
un argomento

fatte,

prenda e tragga

Licito forse, qual tu

Da ci eh' mosso per tal via ? Tu sai


Che argomento non che venga all'uopo,

N alcuno mai

terrassi fermo e vero


Questo tuo detto. Che se mai congiunto
Fosse Ahrimne a Dio, l'oscura notte
Ugual sarebbe al giorno che risplende,
Pari sarian la notte e il di per tutto

Dell'anno

il

corso ed incremento mai

Non sarebbe ne' suoi rivolgimenti,


Non diminuzion. Non compreso
In umano pensier Dio creatore,
Che ad ogni spazio e ad ogni uman
Alto Ei sovrasta.

Sono da

stolti,

Ma

le

pensiero

tue parole

e basti ci, che niuno

Socio t'avrai ne le credenze tue.


Di l da queste, altre parole ei disse,
Fiiiuusi,

VI.

13

194

Molte davver, quali erano congiunte

sensi umani e sapienza. Attonito


Mani restava a que' detti vincenti
Ed avvizzan le gote sue gi un tempo

Fiorenti e gaie. S'adir con lui

Prence Shapr; oh si! della fortuna


Di Mani gi si feano avversi e tristi
F' precetto il sire
I mutamenti
Di levarlo di l, fuor da la reggia
Di scacciarlo con onta, e disse poi
Quest'uomo, adorator di fatte immagini,
Oh! non degno d'abitar dimore
D'uomini in terra. Poi che and pel mondo
Fiero tumulto da un confine all'altro
Per opra sua, dal capo gi alle piante
D'uopo levargli la rugosa pelle
E quel cuoio colmar d'arida paglia,
Perch ninno pi mai cerchisi grado,
Com'ei f', di profeta. In su le porte
!

Della citt voi l'appendete o innanzi


All'alte

mura de

l'ostel degli egri.

Fecero allora qual comando fea


L'iranio sire.

quel loco ei l'appesero

Shapr, quindi gittarono


Arida polve sul misero ucciso.
fr lodi a

Fu

di tal

guisa di Shapr la sorte

Dallora in poi, che fra le rose fresche


Del suo giardino non fu visto mai
spino
cardo per la sua giustizia,
Pel suo consigUo e per la mente sua.
Per la molta sua grazia e per la cura
E per l'opre dell'armi. Alcun nemico

Non
Non

gli

rimase in tante regioni.


male oprar pel mondo.

rest nido al

195

XVIII. Morte di re Shpr.


(Ed. Cale. p. 1455-1157).

Orbo

Come

speme verso

di

Talto cielo

divenne, poi che gi settanta

Erano

e poco pi gli anni trascorsi

Della sua vita, re Shapir

Che con prence Ardeshr

f'

cenno

il

sacerdote

Inclito e illustre innanzi gli venisse

regio scriba. Giovinetto prence


Era allora Ardeshr, minor fratello
A lui d'et, ma per giustizia e senno

Il

Quale un bel serto su

Un

figlio

Shapr

il

di

re

si

nome,

la fronte sua.

avea, picciolo infante,


di cui

senno ancora,

In forza del destin, giunto alla

meta

Non

era del desio del vecchio padre.


Alla presenza de' suoi grandi allora.

Del regio scriba alla presenza, disse


re sovrano ad Ardeshr Se un patto,
Di giustizia per via, farai con meco,

Il

Se porrai la tua lingua in testimonio


Al patto tuo, che la corona e il trono

E i tesori darai pronto e fedele


Al figlio mio quand'egli tocchi i giorni
D'et virile, quando spiri a lui
L'aura felice di poter sovrano,
E tu ministro e consigliere e amico
Di fede gli sarai, questa corona
Imperiale a te dar, lasciando

te

tesori e

miei gagliardi in guerra.

Bene accolse Ardeshr queste parole

nel cospetto di que' grandi, quali


Avean caro
Ratto che

saper, per eh' egli poi.

il

il

190

suo toccasse

figlio

giorni

D'et virile e di regal corona

di seggio regal fosse

Il

sovrano poter

gli

ben degno,

avra renduto

Con tutta fede, nulla oprato avria


Fuor che per patto d'amicizia seco.
Shapr, come l'ud, l, nel cospetto
De' prenci

tutti,

Corona ed

il

Le cose

di

Non meditar
Il

gli affid la

suggel

di

regia

re del mondo.

quaggi dentro

tuo core

al

qual cosa lieve, disse

re sovrano ad Ardeshir,

ma

sappi,

che ingiusto re non guarda


Al suo regno giammai, ma sol la mano
fratel mio,

suoi tesori a ricolmar distende

sol per avarizia alto signore


D'ogni prence quaggi d'eretto capo.

Ma

beato

Ed

fedele a Dio

Gioisce

il

il

signor che

cor per

ama

giustizia

De' suoi soggetti

lui,

si

ch'egli intanto

Con la giustizia sua, con la sua grazia,


Fa incremento al suo regno e in ci del mondo
Vera guida si fa. Contro a' nemici
Egli ha in custodia la sua terra e all'alto
Delle nuvole fosche egli solleva

La sua corona
Ed in giustizia

e la sua fronte. In pace


i

suoi tesori egli empie

via dal core con la grazia sua

Scaccia rancura. A' colpevoli intanto


Le peccata ei perdona e l'orme serba
D'ogni cor generoso. Or, chi

si

cerca

Cotesti pregi, senno acquista ancora.

Avveduto

sentir, consiglio retto.

Vuoisi per che antico senno alberghi


In re sovrano, e

non scampo, e

in lui

197

Alta dottrina sia per giovinetti

E per

vegliardi. Golpevol persona

Del re diventa ogni soggetto, allora


Che integro egli non , non fedele

Adorator di Dio. Che se vendetta


Yuol pigliarsi di lui core di prence,
Iattura

ei

porta nella sua giustizia

Son due della persona


core e cerbro, e l'altre membra
Gli strumenti ne son, ne son le squadre
nella

f.

I re,

Armate

e pronte;

Sono cerbro e

ma

cor,

se guasti e infetti

per poca speme

Di consiglio leal contaminati,

Ratto in quel corpo l'anima

si

si

turba

confonde, e lieto oh! di qual foggia

Vivrebbesi uno stuol di combattenti

Senza

il

Poi che

Orbe

suo duce? Ratto


lieti

al suolo

di spirto lasciano lor spoglie.

Cosi, se ingiusto

"Vanno per

il

re sovrano, tutte

confuse e capovolte

lui

L'opre del regno, e biasimo

Dopo

sperdono.

elli si

non sono, e ratto

gli

tocca

morte sua; re senza fede


il nome che gli danno. Or tu, fratello,
A questa f la tua persona affida,
A questa f rivolgi gli occhi. Fede
E ben colei che gli occhi e la persona
la

Incolumi

Che

ti

serba.

altra via

si

Oh

quel regnante

cerc da questa in fuori.

S dovr da desio
Purgar la mano e

di

Dalla sua terra

soggetti suoi,

Vanno

li

il

regno
cor

in terra

Vanno

dispersi

dispersi da le porte sue


uomini tutti al re devoti. Invero
Egli non sa ci che dicea l'uom saggio
Ratto ch'ei volle da menzo^-na rea
Gli

198

Mondar l'anima tua

L'uom

violento.

Disse, raccoglie vituperi, e tu

Non

t'aggirar di gente avida e stolta

L d'intorno a

le

porte

Or

tu, fratello.

Sappi che cerca da un regnante e chiede-

L'uom sapiente

questa

una

tutte cose, ed

eh' ei sia vincente e mai,

Di battaglia nel

dal suo

d,

nemico

Non l'ivolga la fronte. Ed altra cosa


questa ancor, che l'esercito suo
In giustizia ei governi e riconosca

D'uom che ha

nobil lignaggio, inclito grado-

voglia

terza cosa eh' egli in cor

che condottier di genti


Sia chi pur degno di regal possanza.
si

si

alberghi

La verit, ne rechi entro giustizia


Mancamento giammai ma quarta cosa
Ben sar questa, eh' egli a' suoi soggetti,.
;

A' servi antichi della reggia sua,

Le porte

egli

non chiuda inesorate


ma dai rami i frutti

De' suoi tesori,

Piover lasci dell'albero.

Che reggia

Non

vuoisi

sovrano senza
Di gagliardi uno stuol, ma guardi attenta
Per lo stuol de' gagliardi il re sovrano
sia di re

De' tesori la porta.

Tu manterrai con
Il

se fiorente

la giustizia

tua

tuo tesoro, pel tesoro tuo

Lieto andrai tu, per te beata e lieta

Andr la schiera de' tuoi prodi. L'armi


Adornamento della tua persona

stima e serba; forsecch saranno

A te d'aita per la notte oscura.


Ma sicuro di te non sendo molto,
(ruarda te stesso, e l'opre tue

ti

compi,

Sicuro allor che tu sarai. La morte,


N dubbio

v'ha,

199

toccher sul

ti

fine,

Sia che tu splenda qual lucerna al mondo,

che oscuro tu tragga i idiomi tuoi.


Lagrim alquanto il nobile fratello
Che l'ascoltava. Come visse un anno
Sia

prence ancor, notati in su le carte


Que" suoi consigli, si parti per sempre

Il

rioordo di s queste parole

Lasciava intanto: Non gittar pel mondo


L'atra semenza d'avarizia. Ratto

Passer tua giornata in alcun tempo,


E si godr de' tuoi sofferti stenti
Il reo nemico. Fin che in terra duri
Di

Behmn

e d'Ormzd l'antica legge,

Questa casa

Deh

tu

di

re

dolce nido

mi reca un rubicondo vino,

Hashemita del cor; toglilo a un'anfora


Ove la copia mai non scemi! Intanto,
Poi che sessanta e tre passaron gli anni
E l'udir si f' ottuso, a che pel mondo
Men vo cercando nobil grado e loco
Or io dir la storia
Alto e cospicuo ?

Di principe Ardeshr; tu nel pensiero

Le mie parole ricordando

serba.

XIX. Reggenza di Ardeshr.


(Ed.

Cale.

p.

1457).

Prence Ardeshr, come sedette in trono.


Shapr quel trono illustro

Dell'antico

Tutto adorn. Si cinse

g'

frani raccolse e

la

te'

cintura

sedere

Dell'aureo trono dalla base intorno

disse poi

Gi non vogl"

io

che tocchi

200

Danno ad alcuno pel rotar di questa


Ardua volta del ciel. Glie se conforme
Andr la terra al giusto mio desire,

me

Nulla da

Vedran

Non

fuor che gioconda pace

ma

le genti;

Contro

il

Su
Mi

il

mondo

il

mondo reo

fallace e irrequieto.

veracemente
perch garzone

la terra poter

die

E il
Deh

se

s'accorda con me, cura porremo

fratello mio,

suo pur anco. All'alma sua


mandi per noi di benedette

figlio
!

si

Voci un saluto, eh'

ei la terra tutta

quando

Purific da' suoi nemici; e

Sliapr, figliuolo di Shapr, degli anni

Sar maggiore, a
Corona e il trono

n'andr

lui

di

la regia

valor sovrano.

darem con

la corona
che tal con noi
Patto fermava re Shapr. Son io
Il

trono

le falangi sue,

gli

Di questo seggio servidor, son

io

Del genitore al giovinetto prence


Ricordo vero. E tu ben sai che in terra
D'alcuna cosa godiam

noi,

che passa

Cotesto ancora e che qual vento lieve,

Morto che sarai


Ratto

si

tu,

di

sperde inutile

tua persona
fatica.

Poi che resse dieci anni

Frutto

ei

il

mondo

intero,

ne trasse e quanto volle intorno

In doni dispens. Tributi e offerte

E
E

balzelli

ad alcun mai non richiese,

senza premio la corona e

il

trono

Intento custod. Benefattore

Le genti l'appellar, che lieti sempre


Andar tutti per lui. Ma quando giunse
Giovinetto Shapr di serto e trono

dirsi degno,

il

fortunato serto


Ardeshr

gli affid.

Non dilung dal


Con fermezza di

XX.

Il re

201

Quel generoso

ma sempre

patto suo,

cor serb confine.

Shpr

figlio di

Shpr.

(Ed. Cale. p. 14:53-1459}.

Del zio diletto quando al loco


Prence Shpr, molti ne andar

assise
gioiosi,

N'ebber corruccio degl'lrani alquanti;

Ma

quegli

a' sapienti

incliti

e illustri,

A' sacerdoti consiglieri suoi,

Del

mondo

esperti,

si

rivolse e disse:

Sappiate voi che qual per sue menzogne

Sen va parlando, non avr splendore


Dinanzi a noi. Non consiglio retto

Menzogne meditar, che sol per giusto


E per retto consiglio in pie rimane
La grandezza dei re. Ma l'uom perverso.
Ma l'uomo abietto e vii non troverai
Che amico a te si faccia, e tu negli orti
Sterpi non seminar. Chi poi

si alberga
Molto senno in sua mente, unqua non dica

Triste cose d'alcun. Custode sia

Di sua lingua ciascun, ne la sua lingua

Attoschi mai, che qual nell'assemblea

cinguettiero, per le sue parole

Vede scemar stima

di s.

Qualora

Parli chi sapiente, e tu l'ascolta.

Che sapienza non invecchia mai.


Di cupid'uom pieno d'affanno

tu

cupidigia intorno.

Non

non

t'aggirar, fin

farai tu

con

che

Anche

uom

t'

il

core,

dato,

amicizia

bugiardo e reo.

Con uom neppure che ha consigh insani.


Gonforraazion deh'uom di quattro cose
Consta davver, quah son atte e proprie

Ad uom bennato;

ed una

Ricco di pregi con


E verecondia, l'altra

si

eh' ei sia

giustizia eletta
s

eh' ei sia

D'un' indole soltanto e d'un sol core,


La terza poi che in tutte l'opre scelga

La

mediana e

via

Sorte

appaghi

si

della destinata

di fortuna.

Quarta

Cosa allora sar, quando parole


Millantatrici ei non avventi e cerchi

Da ogni pili stolto la mercede sua,


Non detto adulator. Due mondi acquista
D'uom sapiente il cor, ma il cor del vile
Mai non
S

che

Resta

si

allegra di giustizia all'opre.

trista di lui

fama e

la

Nell'altro

Laudato

mondo

il

per questo mondo


dolce paradiso

egli

sia chi scelse

non ha. Laudato,


il medio punto

Nell'opre sue; davver! ch'egli a s stesso

Benedizion prepara! E vanitoso


Millantator ben mostra in su la terra
Ch'egli disperde le ricchezze sue

ma

Sol per voglia malvagia. Oh!

Fattor del mondo, amico sia di

l'Eterno,

voi,

Irani prenci, e vigile rimanga

In ogni

tempo

Aiutator ci

sia

la fortuna vostra!

chi

il

mondo

regge,

grandezza il trono
Incolume non resta a chi nascea

Che

in

sempiterno

di

Cos disse, e que' prenci

D'innanzi a

lui,

si

levaro

su lui benedizioni

Invocando da Dio con fausti detti.


Poi che cinqu'anni e quattro mesi ancora
Si mutarono in eie], ne andava un giorno


Ad un loco
E di cani e
Si

emp

la

caccia

di

203

re sovrano,

il

di falchi e di

segugi

E volavano

terra.

([uelli,

E rapidi correan questi e veloci.


Ma una tenda confissero valletti,
i

Qual loco a riposar. L'iranio sire,


Poi che si prese alquanto cibo e alquanto
Si ripos, tre nappi si bevea

D'un vino imperiale, indi la mente


Fea piena di pensieri e il capo al sonno
Lento inclinava. Tutti
I

suoi

compagni

si

dispersero

allor, tosto

Di quella greggia

l'inclito

che

al sonno-

signore

S'abbandonava. Egli dormia, ma ratto


Dal deserto levossi l'uragano.
Tal che in sua mente niuno ricordava
Ugual tempesta. Della tenda il legno
Al suol confitto rapido schiantava
L'orrido vento e l'avventava in fronte

Al nobile signor. Cosi moria


Di gloria

amante e valoroso

Prence Shapr,

de'

chi venne dipoi.


l'instabile

Kay

Di

guerra

in

lasciando
tal

il

serto

costume

mondo! Un globo

solo

Egli mostra a ciascun ne' giochi suoi,

Che gioco ingannator dentro


ed

Si sta nascosto,

ei,

Togliendo all'un de' bossoli,


All'altro

il

pone.

Ma

suoi bossoli

di sotto

tu intanto adopra

E godi e gioca e non


Deh perch stendi a
!

La man bramosa e

a'

destro quel globo

sol

crucciarti mai.
ignobile vendetta
ti

piaci e alletti

Di fulgido tesor? Sola tua sorte

Del giocoliere appuntasi in quel globo


Di color fosco.

Sola virt

ti

Ben

farai se in terra

cercherai, lasciando


D'investigar del

Se tu

204

mondo

ogni secreto.

giungi a toccar,

il

di

fiera doglia

Avrai corruccio. Non cercarlo adunque,


A quel secreto non girar dattorno!

XXI.

Il

Behrm

re

figlio di

Shpr.

U59-U60).

(Ed. Cale. p.

Prence Behrm, prudente od avveduto,


del padre suo l ero cordoglio

Tenne

Alquanti mesi.

Ma

quand'ei

assise

si

Di sua grandezza all'alto loco, in questa


G-uisa parl dall'alto di quel seggio

Imperiai: Quel re che in sua giustizia

Colma

tesori suoi,

che

il

Si compiaccia di noi

Vadasi

il

cor

di caligine

pieno

gli

Noi, che incremento e

Ed ha

Dio santo

D'ogni pi reo

sapienza in Dio; noi

In nostra vita.

suo tesoro

ma

Dispenser, sappiate. Oh!

siam

servi.

mancamento abbiamo

giustizia Iddio,

Signor del mondo, e nel suo eterno regno


Mancamento non ha, non incremento.
Or, chi opulento ne' suoi doni e saggio

vigilo ed accorto, a' suoi tesori

Strette non chiuda mai

Se veramente

le

ferree porte.

egli signor di trono

di regal corona.

Il

tesoro del dir donando vai,

se tu intorno

Spandi copioso, che il saper non giunge


A termine giammai. Nel mal, nel bene,
A Dio ti volgi, se pur vuoi che incolume
Resti ogni opera tua giusta e leggiadra.

Che

se da Dio tu riconosci tutto

205

il

Il

paradiso deliciano; e allora

Che

bene e

mal, t'avrai per ricompensa

il

gl'impeti del cor seconderai

Su questa terra, misero e meschino


Dentro gli artigli de le stolte voglie
Rimarrai preso; e tosto che ritrae
Da te la mano Iddio, eternamente
In angoscia di core e in struggimento

Rimarrai tu. Per Dio santo e verace.


Questa speranza ho in cor che quando il capo
Recliner su questa terra oscura,
Vincente ei mi far ch' re del mondo,

Luce del mondo ei mi far. Se in terra


Seminer di mia giustizia l'opre,
Meglio sar che ricolmar tesori
Per ingiustizia, che qui resta incolume
Il nostro faticar, vanno i tesori,

dubbio cade, a chi

ci

avverso. Intanto,.

Documento di noi restano a dietro


E il bene e il mal che femmo, e tu
Il seme non gittar fin che t' dato

del

Sette e sett'anni di cotesto prence

Ratto che

si

compan, negli

orti suoi

cipresso gentil parve cadesse

Il

un

In

Egro

Eu

letargo.
fu

il

Per alquanto tempo

sire,

e pien d'affanno

de' soggetti suoi. Figli

Del re sovrano,

ma

il

core

non erano

soltanto

figlie,

E di lui si vivea d'anni minore


Anche un fratello. Contro la sua voglia

quel fratello

Tutti

ei

die

tesori suoi.

suoi prodi col regal suggello,

Con
Il

la corona e il regal seggio. Intanto,.


giovane signor, prence del mondo.

Di qui migrava poi che

Erano sopra

.sette

e sette

lui trascorsi gli anni.

male

20G

D'anni sessanlalr vegliardo antico,


che tante fai tu del vin giocondo

Parole ancor? Ti giunger improvviso


L'estremo giorno, e s t' d'uopo intanto
Del pentimento ricercar la porta
E del senno la via! Ma il re sovrano
Di questa terra d'esto schiavo suo

Almen si appaghi; rechi frutto al servo


La sua parola e la ricchezza sua
Sia sapienza, ch'ei ben pu co' suoi
Detti possenti gi squarciar dall'alto

Un

crin del capo e fenderlo pur anco

De

la notte nell'ombre. Or, se tal servo

Quelle parole che a ridir gi prese.

Mener a capo

ne' suoi tardi giorni,

Meraviglia non

In

nome

ch'ei le ridice

primo

del suo re,

de' regi,

Di spada vibrator, di cui sovrasta.


Per la statura maestosa, il capo

Deh
brama di

All'ampia

folla.

Conforme

si

volga

tal

del suo trono la nobile altezza

Di questa luna adornamento

Quale un bel

serto,

D'ogni desire

il

Nostra gloria
Il

tempo

il

re dei regi,

si

che da

compimento
sta. Per lui

sia.

lui

proviene

e in lui
s'allegri

d'iadema imperiai, saggezza


grandezza pur anco a lui per sempre

Sian dischiuso sentier, tolta da lui


D'ogni nemico sia la man perversa!

3.

I.

RI

re Yezdeghird.

Principio del regno di Yezdeghird.


(Ed. Cale. p. 1460-1461).

Come divenne
Tutte dalle citt

principe del mondo,


le

sue falangi

Raccolse Yezdeghird. Si pose in capo


Il

-diadema del fratello e intanto

Gioia nel core per la morte sua


Infausta e trista. Ai principi famosi
Di quell'alma citt

Chi

si

di giusto sentir

volse e disse:

dentro al suo core

Ebbesi parte, primamente a Dio

Omaggio

presti e giubilante e lieto

Faccia

cor suo per la giustizia nostra.

il

Mai non vorr che senso abbia

di vita

Chi pi perverso, ove la trista mano


Protenda al mal con studio. Or, quel di voi
Che giuste cose chieder da noi,
Anche tranquillo andr da l'opre bieche
D'ingiustizia e reit, ch'io si dovunque
Far maggior suo grado, ogni men bella
Voglia da me cacciando fuor, con l'odio
E la rancura. Sol con sapienti,

Con sacerdoti

di

vigili

gran senno,

dell'alma

in ogni cosa

mia


Porr mio

Che

studio.

208

se alcuno

Portisi pieno di peccata

E quell'anima sua
Per

mai

core

balzi a superbia

stolta ebbrezza,

Violento

il

ed egli intanto

a'

miseri

mostri o alteramente

si

Levi la fronte per dovizie accolte,


Procaccer quella potenza sua
Di sbandir fuori e a' miseri pi assai
Dar viver giocondo. Or, chi non guardasi
Dall'ira mia,

ma

tracotante e fiero

Incede sotto agli occhi miei, ben sappia


Che suo giaciglio entro la fredda tomba
Il suo corpo desia, che indica spada

La sua cervice

brama

Ma

e vuol.

Illuminate gli occhi vostri al

voi

mio

Regal comando, fate usbergo a voi


Del vostro senno in questa odierna pugna.
Come ramo di salce ognun tremava
Della persona allor, quanti lor

Riposta gi

si

avean ne

le lor

speme
clave

Ma poich nel mondo


rafferm di Yezdeghrd il regno,
Crebbe superbia in lui, scem d'un tratto
Amor del core, e vile innanzi a lui

ne' lor ferri.

Si

Ogni saggio divenne e cadder tutte


Di regal dignit le norme antiche.
Di contrada ogni prence, ogni guerriero.

Ogni pi savio,

sapienti ancora

Di nobile natura, agli occhi suoi


Tutti

si

fr qual

Dispetti e

Violenta

Fr

vili,

si

f'.

Giustizia e

amore

cancellati da quell'alma sua

Rapidamente, ed

A domande
Non

pure un'aura lieve

e quell'anima fosca

ei

non

o preghiere.

die risposta

lui

era sicurt, ch'egli puna

dinanzi

209

Precipitoso le peccata. Allora,

Qual era consiglier nella sua reggia,


Accrescitor della fortuna sua
E della gloria del suo serto, insieme

un patto fermar, questo con quello,


Perch nessun per alcun tempo mai

Tutti

Della sua terra favellasse al prence,

Che

tutti sbigottian dinanzi

D'alto spavento, esanimi per

lui

tema

Di tal sire dei re. Venan talvolta

Per vie lontane i messaggieri, ancora


Venan soggetti a dimandar soccorso;
Ma tosto che ne ne avea novella certa
Il ministro del sire, in questa cura
Affrettato ei venia, con dolci detti
E con calde parole i messaggieri
Accomiatava, di vergogna in volto
Bench coi segni, e si dicea: Di cure
Il signor nostro or non ha brama e a voi

Non

schiusa la via fino a vederlo.

Ci che chiedete feci aperto a

Ma

II.

in far giustizia ei

lui,

non ha certa norma.

Nascita di Behrm-gr e sua educazione.


(Ed. Cale.

p.

1402-1466).

Poi che passar di suo dominio sette


Anni cosi, quando in angoscia e duolo
Eran per Yezdeghrd i sacerdoti.
Al cominciar dell'anno ottavo, al mese
Di Ferverdln che di quest'almo sole

Fa manifesto per la terra il culto,


D'Hormzd nel giorno, venne un figlio a
Con buona stella e con propizio augurio,
FiKOL'si, VI.

14

lui

padre suo gli fece


per quel suo
andava. Or, nella reggia

mondo.
Behrm, e

Luce

del

Nome

210

Il

lieto

Pargoletto egli
Quanti erano indovini

incliti e

saggi

Di cui certe doveansi udir parole


(Ed uno era davver di molto pregio,
Di gran senno e poter, capo degl'Indi,
Sersli di

nome; era

Persia

di

un

altro,

Hushiyr si dicea, quale potea


Per sapienza ch'ei vantava, al cielo
I.e redini assestar), f' cenno il sire

Che venissero innanzi

e la via dritta

Venissero a cercar con sapienza.

Con

astrolabi allor l fra le stelle

Spingean

gli

sguardi, e la diritta via

Su tavole astronomiche di Grecia


Cercavano con cura. Ecco! celato
Era tra gli astri che quaggi nel mondo
Monarca esser dovra quel pargoletto,
De' sette climi principe regnante.

Gaio

di

core e saggio molto. Ei vennero

Correndo innanzi al re, raccolti in grembo


Loro astrolabi e lor tavole insieme,
E dissero cosi, dinanzi al prence
Incoronato, Yezdeghrd Noi femmo
:

Ampia

raccolta di dottrina, e tosto

Dai computi del

Che
Vago

il

si

venne
infante

prence

far di gran valor con molta

Dal regio

Ma

ostello,

sacerdoti e

un

ci

e leggiadro. Tutti de la terra

Lode quaggi.

In

chiaro

amor per questo

sette climi suoi saranno, e

Ei

ciel

ciel nutresi

tosto ch'elli uscirono

principi del sire,

consiglieri tutti

loco sedean, molti e diversi

Consigli a ricercar, quale a tal

uopo

211

Arte acconcia venisse. Or, se del padre,


non prendesi costume
Questo picciolo intante, ei giusto prence
Elli dicean,

Anche

Ma

sar.

se del genitore

L'indole egli ha, davver! che questa terra

Scompiglier dall'alto in basso e

Non andranno per

lieti

guerrieri prenci

lui

sacerdoti, ne su questa terra


Ei sar lieto e d'anima serena.

Vennero
Insieme

al

tutti,

Aperto e

di

prence

sacerdoti allora

e vennero col core

ben far

lutti vogliosi,

E dissero Lontano da rimprocci


E da biasmo davver cotesto infante
:

D'anima

Da

Alto

fiera.

Ma

la

terra tutta

conlne a confn soggiace al tuo

comando

e in ogni terra

tributi son tuoi.

In qual loco del

patti

Vedi tu dunque

mondo

oggi s'annida

Sapienza e dov' terra tranquilla

Per uom ch' saggio. Scegli allor

fra quelli

D'alto valor tal sapiente a cui

Benedizioni dalla terra sua

Vengan mai sempre. La

virt

si

apprenda

Questo infante regal d'alma gioconda


si che un giorno poi
comando suo si allieti il mondo.
Yezdeghrd, come ud que' sacerdoti.

In quella terra,

Sotto al

Tutti raccolse dalla terra intorno

mand in Gina
Grecia e in India e in ogni loco attorno

Suoi messaggieri, e questi

in

Anche ne andava
un de' pi famosi
Per veder ci che fosse ivi di frullo
di danno palese. In ogni parte
Andava adunque un banditor che tale
Abitato e fiorente.
Agli Arabi

tal

21'^

Educator cercasse

al piccioletto,

memore

Nobile e saggio ed eloquente e


D'ogni dottrina.

Un

sacerdote allora

D'ogni contrada l discese, un saggio

Del

mondo

esperto e d'inclite vestigia

Nel viver suo.

Cos, quand'elli ascesero

Tutti raccolti alla regal dimora,

Bramosi quando entrar dinanzi al prence,


Molto ei li inchiese e f' carezze e un locO'
Lor destin per que' villaggi attorno.
Vennero ancora in una notte insieme
E Nomn e Mundhir, venian con essi
Molti astati famosi in quella terra

Degli Arabi vaganti. Allor che in Persia


Tutti que' grandi

cos'i

furo accolti,

Venuti a Yezdeghrd incoronato,


Ognun disse di lor: Servi noi siamo
E udiam precetto e favelliam pur anco.
Or, chi de' prenci questa sorte avrassi

Di raccogliersi in

Del re del

mondo

D'apprendergli

grembo

il

degno

figlia

e la scienza sua

cos,

luce recandogli

Al giovinetto cor, l'ombre cacciando


Dell'et ignara ? Di Persia e di Grecia
E d'India uno pur qui computatore
Degli astri e l'altro geometra, e quelli
B'^ilosofi

di

molta sapienza,

Esperti in favellar, d'opere assai


Conoscitori. A' piedi tuoi qui siamo,

Qual la polve, tutti noi, maestri


A te per di sapienza. Vedi,
Vedi tu adunque chi di noi ti piaccia
chi a te venga apportator di frutto.

E Mundhir

disse allor: Servi noi siamo^

Sulla terra viviam pel nostro sire.

Ma

il

re,

nostro signor, ben

si

conosce

E
E

213

pregi nostri, ch'egli qual pastore

qual greggia slam noi. Siam cavalieri

guerra

valorosi, incitatori in

Di palafreni, e chi saggio

Mandiam

Non

sconfitto.

Computator degli
In geometria.

non alcuno

astri, e

Che parte molta

di

Ma

vanta,

si

alcun di noi

saver possegga

piena

d'amore

si

Inverso al re l'anima nostra, e in questo,

Siam

signor nostro, abbiam poter.


Tutti dinanzi al

La grandezza

figlio tuo,

di

servi

lui

esaltiam con vera lode.

Yezdeghird, come ud queste parole,


L'antico senno richiam, raccolse

Tutta l'anima sua. Da quel principio


computando, al prode

L'esito al fine

Egli affid

Behrm

E comand che
Una
Si

vesta regal fosse apprestata

che

Giel

d'inclito pregio

a quell'illustre tosto

si

sua fino a quest'almo

la fronte

levasse. Gli

adornar

le

membra

Di quella veste imperiale e intanto

Del re

di

Yemen

chiesero

il

destriero.

Dall'ostello real fino al deserto

Si distendean passando
1

palanchini ed

palafreni,

cammelli, e v'erano

Valletti e paggi e nutrici infinite

L da

le

piazze fino all'ardua porta

Dell'iranio signor.

S,

da

le

porte

Della citt fino al regal palagio,

Qual costume, per le piazze attorno


Apparati di festa erano appesi.
Di

Yemen come

giunse alle cittadi

Prence Mundhir, vennero incontro a lui


Uomini e donne; e com'ei giunse in pria
Del suo riposo al dolce loco, molte

214

Di regal nascimento inclite donne


Ei ricerc; tra

capi de' villaggi

D'arabo sangue, d'alti pregi adorni


E di molta virt, ricchi e potenti,

Da cotesti prenci
Quattro donne eleggea, di cui per molti
Pregi e virt l'illustre nascimento

Ei le trascelse.

due

l'altre

Erano

l'altre.

de' capi de' villaggi

de'Kay

in ver,

Ad opra

ma

arabe due,

Si fea palese,

Ma

del sangue. Intanto,

illustre e valorosa tutte

Le donne

s'accingean.

Tenner

l'infante

Cosi quattr'anni; e com'ei fu del latte

sazio e stanco e

Le membra

sue,

f' turgide e piene


con gran fatica e stento

Egli al latte fu tolto, e quelle intanto


In

grembo

sei

tenean nel suo bisogno.

Di sett'anni al cader, deh! che mai disse

A
A

principe Mundhh'? Davver! che pari


regal dignitade era

Ch'

ei f' palese!

Che

il

consiglio

prence, egli dicea,

alta sollevi la cervice, pargolo

Lattante ancor non far

A un

sapiente

di

me! De' saggi

m'affida, e poi

Che tempo giunse, inoperoso e vile


Non mi tener.
Mundhir gli disse:
prence
Che alta levi la fronte, ancor non venne

Bisogno a

le di sapienza. Allora
saper per te verr stagione
a sapienza incliner la tua

Che

di

E
Anima eletta, non vorr che a giochi
Tu attenda qui per queste stanze ed alla
Fra

il

giuoco pueril la fronte

Behrm
Di

me non

Oli anni

levi.

rispose: Inoperoso infante

far, che senno in me, se pochi


pur sono e s'io non ho de' forti

215

E il braccio e il petto. Gli anni hai In, ma senno


breve in te; diversa mia natura
Dal tuo consiglio. E tu non sai che quale
Cerca suo tempo, scegliesi fra l'opre
Quella ch' d'uopo in pria? Che se tu cerchi
Propizio tempo in altra volta, il core
D'ogni cosa pi dolce e lusinghiera

Orbo farai, che infruttuose e sceme


Son l'opre tutte fuor di tempo, e il capo
In uman corpo la pi eletta parte.
Ma se le cose che di re son degne.
M'apprenderai, cosa
Inizio a verit

fia bella.

giusto

primieramente

Conquistalo saper. Deh quei beato


Che dal principio l'esito ricerca!
Mundhr il riguard, si che stupia
Meravigliando e tra le labbra il nome
!

Dell'Eterno invocava.

Un

consigliero

Egl'inviava allor, principe illustre,

Sovra un cammello, nel deserto, e quei


Tre sacerdoti di saper bramosi
Scegliea con cura, quali avean gran fama
Nel deserto ed onor. L'uno dovea
Al regio infante apprendere scrittura

luce indurre del cor suo fra

Caligini raccolte

de' falchi

l'alte

e de' segugi

dovea le norme tutte

Svelargli l'altro, al giovinetto core

Dolce conforto.
L'arco e

le

la

le redini

Il

lerzo poi la mazza,

frecce apprendergli dovea

spada trattar con l'inimico


volgere a diritta

Ed a sinistra, e fra gli eroi pugnaci


Levar superba la cervice. Ancora

quel

figlio di re,

Rehrm

garzone,

Ei dovea favellar dell'opre illusili

21(3

De' prischi re, dei detti e delle imprese

D'uomini grandi e sapienti, e tutte


a mente avea
Dell'opre di quaggi. Come sen vennero
Di Mundhr nel cospetto
sacerdoti,

Le cose ricordar che

Con seco

favellar di cose molte

varie assai. Del regio infante allora

Affidava a cotesti la persona

Prence Mundhr, che sapiente

egli

era

valoroso e d'incremento autore.

Behrm,

Che per

figlio dei re,

divenne

tale

suoi pregi rendere potea

Quanto giusto cercar nell'uom pi saggio.


Che in quante pervenan dottrine elette
A quegli orecchi, a sapienza vera
La sua gran mente protendeasi. E quando
Del giovinetto celebrato ed inclito

Furon

Un

tre volte gli anni sei, divenne

gran cor che aspetto


Omai, per cosa alcuna,
Bisogno ei non avea di sacerdoti.
Non per dottrina o per arte di mazze.
valoroso

Avea

di

di sole.

Non per segugi, non per falchi mai,


Non per regger le briglie entro l'assalto
E cavalli spronar per correr forte,
S ch'ei disse a

TJom dai

Or

Mundhr: Cotesti

saggi,

retti consigli, ai loro ostelli

tu fa d'inviar.

Molti

f'

doni

Mundhr valente, e quei


Dalle sue case andavano beati.
Ma il giovinetto re disse una volta
A Mundhr prence: Degli astati eroi
D'essi a ciascun

Tu

qui raccogli

Accenna tu che

palafreni.

Accenna,
mia

alla presenza

Ei volgano le briglie e innanzi agli occhi

Levin

la

punta

di loro aste.

Facciano


Il

prezzo ancor

217

quale a

di

me

gradisce

Di lor cavalli, ch'io pur vo' tra loro

Molte spender monete.


Di virt ricco,

Mundhir

il

te devoto.

sire,

de' cavalli miei

illustre,

mandriani innanzi a

Inclito

rispose allora

gli

te

pur sono

signor de' destrieri di persona

Ma

se tu desii

Di farti acquisto d'arabi cavalli,


fatica perch mai dovrei
lungo sopportar per farne acquisto?

Cura e

Uom

fama, a

di nobile

Prence Behrm, deh

tutti gli

lui

dicea

compiasi mai sempre

anni tuoi con

lieto fine

Ogni tua brama! Sceglierommi io stesso


Tal palafren che, per la china allora
Che il spinger, per sbito sgomento

Non dovr

me

ritrar le briglie attorte.

Quand'io nel corpo e fermo ed imperterrito


Reso l'avr, compagno a la tempesta
II

Ove

far nella pugna.

Inesperto

Con

si

destriero

oh! non dato

trovi,

forza e con vigor spingerlo al corso.

A Nomn
Mundhir

f'

allor:

precetto e cos disse

mandra
Anche t'aggira
per la campagna

Tu

va, novella

Scegli de' mandriani.


D'aslati cavalier

Intorno tutta e vedi a chi di guerra

Con presti
Tu trovi un palafren.
Nomn andava e cento palafreni

Recava

poi, trascelti da' cavalli

Di combattenti eroi.
Discese

passi

al

campo

Behrm che vide,


manca e da destra

e da

Si volse e alquanto s'aggir.

Davvero!

ogni leardo ch'era pari al vento,


Senza vigor di sotto a quel gagliardo

Che

218

Ma

S'addimostrava!

in tal via, frattanto,

Di color bruno un palafreno

Dai pie veloci

ei scelse,

aperto

di procella,

Al petto ed ampio anche ne scelse un altro


D"un altro segno, d'un color rossiccio;
;

Detto avresti che uscla dal

Feroce

mar profondo

alligator. Sotto a le sue

Zampe ferrate via schiantava


E sangue gi cadea pel fulvo
In ampie

stille.

Die Mundhr

Dietro a valor de' palafreni

l'origine lor nella foresta

Era

di

Kfa.
si

tolse

Splendeano a

Ma Behrm
i

fuoco

il

prezzo

eletti,

Che

Ambo

il

petto

valente

palafreni, quali

com' d'Azergashaspe
li tenea, guardandoli
Quale un pomo novello, onde nessuno
Danno incogliesse a lor d'aria che spira.
Il

lui

sacro fuoco. Ei

Mundhir il garzoncello
un giorno dicea:Deh! tu che hai senno
Con anima serena, a che mi guardi
Tanto e senza ragion? Mai non mi lasci
principe

Cos

Per cura alcuna. Eppur, se a tutti guardi


Quaggi nel mondo, non un cor nel mondo
Senza l'arcano suo. Per nuova cura
Smorta si fa dell'uom la gota e sempre
Dell'uom gagliardo

Per

la

la gioia del cor.

persona cresce

Vaga

fanciulla

Accrescitrice di cotesta gioia

E pur, sempre, che inver soccorritrice


In ogni affanno la fanciulla. Intanto,

L'uom

giovinetto per la donna sua

Pace raccoglie, sia


Sia che prode ei si

ch'egli abbia
vanti.

per

un

serto.

la

donna

Che in pie si regge la divina fede,


Ed ella guida in opere leggiadre

2i9

Al giovinetto suo. Comanda adunque,


Deh! tu comanda che qui rechi alcuno

Cinque fanciulle o

sei,

leggiadre e vaghe

perch soltanto
Due mi vengano elette ed un pensiero
In me di fede e di giustizia ancora
Sorga per esse. E un pargoletto forse
Ancora mi verr, che almcn per poco
d'aspetto di

sol,

Sia d'esto cor la dolce pace, e lieto

Del

mondo

il

re di

me

si

mostri ed io

Lode m'acquisii fra lo genti tutte.


Del garzoncello come ud que' detti

Prence Mundhir, il benedisse, ei vecchio


E grave d'anni, e comand che ratio
Sad ricercator n'andasse fuori
A l'ostello di tal che si vendea

E quei recava allora


Quaranta vaghe giovinette greche.
Fanciulle schiave.

Atte

ai dolci desi,

tutte del core

Atte alla gioia; ad agili cipressi

Erano pari

in lor statura, tutte

Leggiadre e vaghe e

d'alto desiderio

Degne davver. Da queste, che rosate


Avean le gote, due trascelse allora
Behrm gagliardo, quali avean di rosa
La molle cute e l'ossa tonerelle
Di bianco avorio. D'este due, piacenti

Come due

stelle,

Note trar da un

una sapea dolcissime


liuto,

e l'altra invero.

Con gote d'un color di tulipano,


Parea la stella di Canopo in nitido
Cielo del Yemen. Di cipresso aveano
Alta statura e lacci eran de' crini

Le vaghe trecce. Ne die il prezzo intanto


Prence Mundhir poi che gradite e care
Ebbe il garzon le giovinette. Rise


Behrm

220

illustre e f'

sue laudi.

A un

tratto

Si fean le gote sue vivide e rosse

Qual di Badakhshn un bel rubino.


Fuor che palestre e globi, altra ei non ebbe
Faccenda allora, e di mazze talvolta
Colpi vibrar, cacciar talvolta ancora.

in.

Prodezze di Behrm-gr alla caccia.


(Ed. Cale. p. 1467-1469).

E avvenne poi che un di, senza sua scorta,


Con quella, di fiuto sonatrice,
Di cacce a un loco and Behrm. Azdeh
Della greca fanciulla era

Che

il

il

bel nome.

color di sue gote era davvero

Qual di corallo. Su l'eretta schiena


D'un dromedario corridor sedea
Prence Behrm con quella giovinetta,
Pari a cipresso, che teneasi in mano
Un suo liuto. EU'era di quel forte
Il

sollazzo del core e

Veracemente,
Il

nome

egli

il

suo deso

che ognor sul labbro


ne avea. Della sua caccia
s

In quel giorno beato egli richiese

Un dromedario

e n'adorn la schiena

Di broccati lucenti. E ne pendeano

Quattro staffe e per alti e bassi lochi


Egli correa. D'argento eran due staffe

d'oro l'altre, e fulgida di

gemme

Anche di sotto
Al suo turcasso avea Behrm un arco
Da lanciar globi, che quest'uom gagliardo
Era

d'esse ciascuna.

D'ogni scienza parte avea cospicua.


Di gazzelle due coppie innanzi a lui


Vennero a un

Ad

Azdeli

Con un

Come
Come

221

tratto, e

il

generoso allora

volse e cos disse

si

sorriso:

dell'arco

mia qual luna,


nervo all'arco mio,

bella

teso avr

il

ne

l'anello

il

pollice

Avr inserito, qual degg'io con questa


Punta mortale abbattere sul campo
Fuggitiva gazzella? giovinetta
La femmina, ma vecchio il suo compagno.
Uom leonino, Azdeh gli dicea.

Non cercano
Con
Con

battaglia

le gazzelle.

Ma

valorosi

tu fa di volgere

la tua freccia la

femmina

in

mutisi cosi per la tua freccia

Il

vecchio maschio in femmina.

maschio,

Ma

poi,

Quando si prenderan da le tue punte


Le gazzelle lor fuga, e tu veloce
Il

dromedario a correre sospingi,

Poscia da l'arco de' rotanti globi

Libera un colpo

che

la gazzella

L'orecchio suo su l'omero reclini

Rapidamente. Per l'inserto globo


L'orecchio a stropicciarsi ella

E per

toglier dolor lever

il

fia

pronta

piede

Fino all'omero suo. Con una punta


Il piede e il capo con l'orecchio allora
Tu passerai, se pur tu brami e vuoi

Che onor del mondo io ti proclami e


E Behram-gr all'arco suo tendea
Ratto

la

corda e pel tranquillo piano

Un tumulto
Una

dica.

destava. Entro al turcasso

si avea di doppia punta


serbava per feroci belve

freccia

Quale

ei

Del deserto;

ma

allor, tosto

Si volgean le gazzelle,

ei,

di

che

in fuga

gagliardi

Prence animoso, con quel duro strale

doppia punta via schiant dal capo

Rapidamente ambe le corno al maschio.


Si che di lui meravigli la bella.
Ma il prode, poi che ratto in quell'istante
Qual la femmina sua divenne il maschio
Al cader

di

sue corna da

la fronte

Per

le

Due

dardi conficc su l'erta fronte

Della

due punte, de

femmina

le

corna

al loco

qual costume

s,

D'esperto cacci ator. Cos due punte

Su

la fronte di lei

furono

loco

al

Delle due corna, e rubicondo intanto

Le

si

f' il

sen pel sangue che sgorgava.

Ma Behrm
De
Il

incit subitamente.

le gazzelle dietro a l'altra

dromedario e pose un

coppia,

picciol globo

Nella cocca dell'arco a lanciar globi,


il cacci con un maestro colpo
D'una gazzella entro l'orecchio. Questo

Indi

Era
Il

colpo ch'ei gradiva, e questo

si

punto del colpir quale

dh

tosto

si

scegiiea,

ei

gratt l'orecchio offeso

La gazzella col piede, e il valoroso


Una freccia incocc sull'arco adunco
he da Giaci venia. Cosi, scagliando,
Ei le passava con quel dardo acuto

E testa e orecchio e pie. S'ebbe rancura


Per la gazzella in cor la giovinetta.
Disse

il

prence: Quand'io

le

ben mille io
In quella guisa che vedesti.

Atterro

al suol,

Ahrimne

sei

tu,

tal

ne atterro
certo

la giovinetta

guisa atterrar

Behrm

belve agresti

Oh!

come

Dissegli allor; se no,

In

si

potresti

Stese

la

mano

allora e lei da l'ardua sella

capo in gi precipit, battendola

Contro il suol duramente, indi sospinse


Il dromedario sopra lei che volto
Avea di luna, e dentro al sangue suo

Le mani

il

sonatrice di
Iattura in

Che

sommerse e quello

petto le

Liuto ancora, e disse


liuti,

stolta

me perch

cercar fu d'uopo

se fiacco, nel trarre

Stato

si

E de

le braccia, dal fallito

fosse

Onta avuta

si

il

donna,

questa
?

dardi miei,

dilatar del petto

avria

l'alta

colpo

mia

stirpe!

D'allora in poi, da che l'avea calpesta

Del dromedario sotto al

pie,

fanciulle

Mai pi alla caccia egli men con


Con una scorta di guerrieri eletti

Da

seco.

l'erta fronte, a un'altra settimana.

Di caccia al loco and Behrm, con falchi

con segugi. L, vicino a un monte,

Leone

egli

Dilacerava

vedea che d'un onagro


il dorso, e ratto il prode

All'estremo dell'arco

si tendea
nervo e con ardor balzava in sella
Ed incoccava di tre penne alTarco
Un dardo acuto. Ei trapass con quello
Il

Il

core dell'onagro e del leone

dorso eretto, e di lor sangue intrise


Restar le belve, sopra il leon fero,
L'onagro sotto a lui, confitti insieme.
Il

La settimana che segui, sen vennero


e Mundhir per l'aspra via
Di caccia al loco con Behrm. Recavano

E Nomn

Molti Arabi famosi in quella terra,

E per

essi al garzone era dischiusa


Via di male o di ben. Mundhh- volea
Behram-gr dimostrasse innanzi a quelli

Alta destrezza in cavalcare e quella

224

Sua forza grande. Videro ben

tosto

In loco aperto di veloci struzzi

Uno

stuolo, e ciascun quale disciolto

Ma come

Dromedario correa.

vide

Gli struzzi apposti Behram-gr, balzava

Qual tempesta del

cielo impetuosa,

l'arco stropicci fra le sue

mani

Con un

sorriso e nella sua cintura

Quattro

si

conficc lucenti frecce

Ad una ad una

In duro legno.
Ei

si le

appose perch

all'arco

ai feri augelli,

Ei potesse troncar la dolce vita.

Con

seguente egli scalfia

la freccia

Della prima le penne al loco infissa,

Che

il

cacciator cosi colpisce, e questa

di quella quanto spesso un ago


Davver non era, n pi in su di questo
Era quel dardo suo. Venne ogni prode
Inclito in armi, e s not che i colpi

Pi in gi

Del regio cavalier d'un

Non erano

sol capello

tra lor quivi distanti.

Mundhir grid benedizioni a

gridaron con lui

Quali eran
Disse lieto

Di

te,

tutti gli

lui

astati

l, di pugne amanti, e ancora


Mundhir: Lieto son io

signor,

come

vivida rosa

primavera. Deh non sia che mai


La luna tua si scemi e che si fiacchi
La persona tua bella ed avvenente!
Come torn Mundhir alle sue case,
Per Behrm sire l'anima sua grande
!

Agli astri s'elev. Molti pittori


In

Yemen

ei

cerc,

Alle sue porte

si

che aduna ronsi

pi prestanti. Allora,

Ei comand che in nobile disegno


Sopra un serico drappo dipingesse

I/artefice cosi quel fatai colpo

Un

Di Behrra co' suoi dardi.

ca valler

dovea qual veramente


Era Behrm con quegli omeri suoi
E con quel braccio, con un alto e forte
Dromedario di sotto e il fiero colpo
Meraviglioso, con quell'arco suo
Dipingere

ei

Da lanciar globi, coi leoni suoi,


Con le gazzelle e con gli ngri e quello
Dilatar del suo petto in trar le freccie.

Col valor della

Con

mano

gli struzzi cos,

quel colpir

di

e con la forza.

con

il

deserto

sue saette. In foglio

Di seta rilucente era cotesto

Con bruno inchiostro disegnato. Allora


Al re d'Irania un cavalier speda
x\Iundhr, e quell'immagine inviava.

Yezdeghrd come giugneva

il

messo.

Tutta la schiera de' gagliardi intorno


Al foglio s'adun. Meravigliarono
Tutti in armi

A Behrm

famosi e gridar lodi

Oh! da quel giorno,


Ogni fiata che valor mostrava
Il

giovinetto.

nobile garzone, al re d'Irania

Mandavasi

IV.

di l l'acconcia

immagine.

Ritorno di Behrm-gr.
(Ed. Cale. p. 1469-1471).

Alfine,

il

genitor desio

si

prese

Di Behrm. Qual Behrm? Fulgido


Egli era

si,

di libero

sole

potere

Anche Behrm leone


Mundhir Per quanto a lungo

Nelle sue voglie!


Cos disse a
f'iRDCSI, TI.

15


appo

Io qui resti

226

pure

te,

in

me

sorge

Desiderio del padre, e ben che sia

Securo qui, pur mi sospinge il core.


E faccenda apprest qual era d'uopo
Mundhir illustre ed infiniti doni
Dalla citt

apprest, cavalli

gli

D'arabo sangue con dorate briglie

Ed ogni cosa che

gente appella

la

preziosa e vaga, e stoffe ancora

Con ampie righe e spade


Di

Yemen

rilucenti

e ben altre cose assai

avea nelle miniere sue

Ch'egli

si

D'Aden

fiorente.

Fu compagno

in via

Al giovinetto re Nomn illustre,


Quale appo i Kay avea gran pregio. In questa
Guisa cos ne vennero alle mura
Di citt d'Istakhr, storie di prenci

di

monarchi raccontando insieme.

E come
Dell'arabo

giunse dalla via lontana

Nomn

il

certo annunzio

del figlio del re, tutti a incontrarlo

Scesero dalla reggia

sacerdoti

di vigile

pi saggi;

l'iranio signor tosto

Behrm da

cor tutti

che vide

lungi e contempl quell'alta

Statura sua, la maestade ancora

l'eretta persona, assai stupa

Dell'opere di

lui,

di

sua grandezza
E molte

dell'aspetto e del sapere.

dimando e fea carezze assai


assegnava a s daccanto un loco.
loco a soggiornar scelse nel borgo

Gli fea

gli

Un

Per Nomn battaglier, scelse un castello,


Qual era degno, per Behrm; valletti
Mandavagli pur anco e vaghe ancelle
Quante a lui s'addicean. La notte e il giorno


Stava

Behrm

di servire

227

dinanzi al padre suo.

a lui gli rincrescea.

Quando Nomn per una luna intera


Appo il re fu rimaso, ebbe desio
Pel suo sentier

di ritornarsi, e

il

La notte oscura alcun mand, un

prence
invito

e a s di contro

il volle
Dolce per
Seduto a un trono imperiai, poi disse:
Port molte Mundhir fatiche e stenti,
Che il nobile Behrm con molta cura

fargli,

Educando nutr. Ma di quest'opra


Appo me sta la ricompensa, e intanto
quale Ormzd a me di tutti voi
La compagnia fedel. Molto m' caro
Di Mundhir il consiglio e il senno ancora,
Ch'io ben veggo qual sia verso prudenza
L'inclinar del suo cor.

Tu

se'

Ma

poi

che a lungo

rimasto in questa reggia mia.

Sappi che

al

tuo sentier

gli

occhi gi tiene

Fr date allor cinquantapadre tuo.


mila monete del regal tesoro
A Nomn prence ed una veste ancora
Di gran monarca degna. Anche gli addussero
Da' beveraggi con dorate briglie
E con argentee ancor dieci cavalli
Di gran valor. Tappeti e paggi ancora
Il

'

E
E

cose belle in tinte ed in fragranze


d'ogni specie dal regal tesoro

Mihrn

illustre

si

recava e tutto

Nomn, figlio animoso


Mundhir celebrato; e il re sovrano,

Affidava a
Di

Per la gioia del cor, della sua grazia


Schiudea le porte e secondo misura
Di Nomn a' compagni eletti doni
Spartiva liberal. Scrivea pur anco
A Mundhir un'epistola, qual era

Degna di prence, in atto generoso


Per quella cura del suo figlio; avea
L'alleanza di lui cosi acquistata

Yemen

Di

signor. Dell'opra egregia

il

compensarti, egli scrivea, la

mano

Ecco! gi stendo e gi sollevo il capo


Con alterezza per un figlio tale!

Ma

Behram-gr un'epistola

In questi detti:

scrisse

La faccenda mia

qui perduta e in iscompiglio. Tale


Non fu davvero per l'iranio sire
L'occhio del mio sperar, perch'ei guardasse

A me
Non

come ad un

cos

servo. Qui

non soggetto a lui,


Nella sua reggia non son io qual servo
io

son

figlio,

Pieno di gioia il cor.


Ma dentro al petto
Qual si celava altissimo secreto
Pel reo costume e per la cruda legge
Di quel signor dell'ampia terra,

A Nomn

disvel.

Come

Dell' iranio signor dalla

Nomn

ei tutto

parta

dimora

gagliardo, rapido sen venne

A Mundhir

celebrato e quella epistola

Del re del mondo

gli

porse. Allora

La baciava Mundhir, con reverenza


Sovra

il

suo capo la tenea, gioia

Dei ricchissimi doni ed


A' que' primi aggiugnea.

Secretezza, a

Di

Behrm

Leggea quel

Che

altri voti

Ma

poi,

con molta

Mundhir quel messaggiero

fea parole, indi lo scriba


foglio innanzi a lui;

dell'inclito re, qual

davvero!

erba smorta,

Impallidir le porporine gote

Subitamente allora una risposta


Ei scrisse e vi not con bei consigli
prence
Parole oneste e cosi disse:

che mai

Glorioso, deh! guardati

Tu non

ti

volga dalla via segnata

Del padre tuo,

Che

il

re

ti

ma sempre

e in bene e in male

faccia, mostrati contento,

servo anche

gii sii, prudente e saggio


Per pazienza i mali
Passan de' grandi, a ben si vuol che senno
Abbia delFuom la mente. tal consiglio
Di questo ciel che muove in giro, e noi
Contro al consiglio suo forza o possanza
Mai non abbiamo. Questo cielo ha il core
Pieno d'amor talvolta e il cor tal' altra

Inverso a

lui.

Pieno d'un odio e corrugato volto

Per grave sdegno.

Un

d l'Eterno

il

Ma

cos

mondo

Guisa che a' paschi


Pascere forza. Or
Qual cosa d'uopo a

egli ci
io,

creava

intero e in quella

adduce, a noi

d'oggi in avanti,

te verr, di

gemme

Imperiali o di monete fulgide,

T'invier;

Non

ma

abbi tu

il

guardati che mai


tuo cor nella rancura

serbar sempre; mai non

fia che valga


Prezzo del tuo dolor colmo tesoro.

Or io ti mando diecimila fulgide


Monete del tesor quale un'offerta

Da profondere

attorno.

Anche

t'invio,

Ecco! l'ancella tua che ti fu guida,


Quale nel gineceo fu del tuo core
La gioia esilarante; ella serena
Faccia l'anima tua ch' fosca e trista.
Ogni qualvolta in opra tu porrai

Auree monete, non portar gravezza


Al tuo prence e signor, ch'io molte ed altre
Ti mander da questo regno mio
Auree monete ed

altre cose ancora

d'ogni foggia. Al padre tuo deh

sii

230

Fidato servo e lodator di lui


E accrescitor dell'opre tue devote

lui dinanzi! Ben sai tu che quella


Sua rea natura separar non puoi,
Dentro il tuo core, dal signor del mondo.

Degli Arabi invi dieci gagliardi,


Nobili cavalieri, amici suoi,

Di cor veggente, abili in far sermone;


E quelli, con l'ancella al suo bel core

Amica e dolce, con sportelle colme,


Appo prence Behrm ne andaron tutti.

E Behrm avveduto

e saggio e accorto

che ogni angoscia


gran cor divenne,
quel
Qual aura lieve a
eletti
consigli
que'
poi,
per
egli
Ed
Di cotesto gioia,

Dell'arabo signor, la notte e

il

giorno

All'opere attendea qual fido servo.

V. Carcerazione di Behrm-gr.
(Ed. Cale. p. 1471-1473).

E avvenne poi che un d stavasi in piedi


Nel cospetto del re Behrm valente.
Del convito nell'aula. Allor che oscura
Si f' la notte, vennegli deso

D'un dolce sonno e vennegli rancura


Del lungo starsi in pie. Ma vide il padre
Ch'egli chiudea quegli occhi suoi e tosto
Furioso cacci

di

contro a

lui

Con sdegno un grido e a' manigoldi fece


Duro comando: Via costui recate,
Che d'ora in poi non vedr mai cintura
serto imperiai. Fategli voi

In questa casa

un carcere e da

lui

231

V'allontanate poi. Di questo loco


In battaglie di forti ei non degno!
Cos rest nel suo paterno tetto
il giovane guerriero,

Ferito al core

per quell'anno dell'iroso padre


Pot il volto mirar, fuor che dell'anno

Al primo giorno e nella festa lieta


Di Sadh, ch'egli allor tra l'altra folla

Nel regale cospetto iva pur anco.


Avvenne poi che per lontana via
Giunse il greco Tinsh qual messaggiero
All'iranio signore. In quella terra

greco Iraperator si lo mandava


Con tributo di Grecia e con sportello
Il

Di monete e con paggi. Allor ch'ei giunse.


f' carezze il re dei re, gli fece
Orrevol loco ad abitar. Ma intanto
Mandavagli un messaggio e gli dicea
accorto ed avveduto
Behrm dolente:
Che lungi stendi del cor tuo la brama,

Gli

Per cosa

lieve

si

sdegn col servo

L'irano prence, ed io, cosi innocente,


Corsi da lui lontano. Oh! tu frattanto
Prega ond'egli per te si mi perdoni,
Perch luce riprenda questa mia
Sorte avvilita. Mandimi agli amici

Novellamente il ro, che pi d'assai


Che non il padre e non la madre ancora
Allor che intese
Mundhir m' cosa dolce.
desio
in
quel
Tinsh,
Suo messaggio
Pot toccar tutte sue brame, e tosto

Il

core di

Si f' lieto

Behrm
per

lui,

tristo e

che

piangente

da' suoi ceppi.

Indegni invero, libero egli andava.


A' poverelli molte cose intanto
Egli

donava ed a partir da quello

Infausto loco ratto

ei si

accingea.

Tutti ei raccolse

compagni suoi

li

E come nembo per la notte oscura


Ne condusse il drappello. Ai cari amici,
Grazia questa

compunto,
da spavento e angoscia
Qui tranquilli siam noi!
Com'egli giunse

Che uscimmo

Yemen

di Dio, dicea

sciolti e

donne e fanciulli
Ed uomini pur anco ad incontrarlo
Andaron tosto e vennero affrettati
Di

E Mundhr
Venan

al signor,

Nomn

gli astati

dai loro ostelli;

cavalier che nobili

Hanno

consigli. Ratto che da presso


Giunse Mundhr al garzoncello, il giorno
S'intenebr per la polvere oscura
Di tante schiere, e gi que' due si illustri
E generosi discendeano a piedi
E la sua angoscia e il lungo suo travaglio
Raccontava Behrm. Pianse a que' detti

Mundhr

allora e fece inchiesta e disse:

Qual del re

la

fortuna? Egli non calca

Di saggezza la via; temo che pena


Ei toccher di cotest'opre sue

Deh! mai non


Ch'egli abbia in

Fortuna

trista!

sia,

gli disse allora,

mente quella che

Al

Mundhr accolse

Behrm

il

il

minaccia

loco ov'egli stava,

giovinetto sire.

Benefzio aggiungendo a benefizio

D'un tempo gi. Cosi, di quel gagliardo


Altra cura non fu d'allora in poi
Fuor che di cene e di palestre adorne,
Del far doni talvolta e del dar prova
Di guerresca virt. Gioia e dolore

Che

a lui venan da Yezdeghird, al nobile

Garzone diventar leggera cosa

Come

nei giorni d'Ird brezza leggera.

Anche

su ci gran tempo non trascorse,


Ed

ei

beato

si

233

vivea ne' campi,

Lieto vivea nel regio ostel

Fu

di

Principe Yezdeghrd,
I

ma

pieno

gravi pensier pel regno suo


si

ch'ei raccolse

sacerdoti da ogni luogo attorno.

Agli astrologi suoi

Che ciascun

f'

cenno

il

sire

d'essi fra le erranti stelle

guardo per veder sua morte


dove discendere
Oi nell'ombre dovea con la celata
Spingesse

Quando

il

fosse quaggi,

La sua fronte regal, come saria,


Dove saria quel tristo giorno in cui
Impallidir del nobile signore

Dovria

Non
II

la gota.

che

sia

di

re del mondo!

l'astrologo disse:

sua morte

Ma

la

si

rammenti

sua fortuna

Quando

fia che si volga a reo cammino,


Sar di qui verso la fonte chiara
Di Sev remota. Allor che il nostro prence

Mener seco i combattenti


Con timballi e con trombe
Di Tus a rimirar verr la
In quella

i^egi'on la

suoi
e in sua letizia
terra.

morte sua

Veramente sar. Di questo giorno


Mai non dilunghi dagli orecchi suoi
La trista fama. Che se tu, signore,
Fai ricordo di questo che tu

Dinanzi ad

Che

altri,

sai,

ben sar sventura.

sotto al velo dell'Eterno ascoso

L'altissimo secreto.

Allor

che udia

Principe Yezdeghird queste parole,.


Di Kharrd e Berzin pel sacro fuoco,

fiammante, sacramento fece


Non vedr con gli occhi miei
La fontana di Sev in alcun tempo.
Non di gioia nel di, non del mio sdegno
Pel

sol

disse:

234
E per tre

Nell'ora infesta.

lune

il

cielo

quando repente
Di Yezdeghrd pel sangue si commosse
Il mondo intero. Un d, proruppe il sangue
Si volse da tal

d,

Dalle narici sue. Medici allora

Vennero esperti da ogni parte, e quando


Per sette giorni gli ebbero quel sangue,
Con lor rimedi, ad arrestarsi addotto.
La settimana che seguia, novellamente il sangue erompea in ampie stille.

VI.

Morte

di

Yezdeghrd.

(Ed. Cale. p. 1473-1474).

Dissegli allora

Tu

il

sacerdote: Lungi

andasti, o prence, dalla via diritta

Dell'Eterno e dicesti

Sfuggir de la morte

Anche per
re, la

Io da l'artiglio
.

E non

forse

te nella sua forza piena,

morte? Questa tua difesa

Che tu vada cos del Shehd pel calle.


Di Sev al fonte rivolgendo il viso
Co' palanchini tuoi. Dinanzi a Dio

Santo e verace adorazion facendo,


T'aggirerai per quella terra ardente

Con molto pianto e s dirai Di forza


Servo privo son io che innanzi all'alma
D'un giuramento s' apprestato il laccio.
Or io qui venni il tempo mio fatale
A veder quando sia; venni, o Signore,
:

Giudica tor verace, al tuo cospetto.


Venian gradite le parole sue

Al prence che le ud, venian propizie


Al suo dolor, s che trecento eletti

235

Palanchini adun, lettiere ancora,

volse del

si

Shehd

all'acque chiare.

Correndo e notte e di su palanchini,


Mentre sangue stillavasi dal naso
A quando a quando. Come ei fu vicino
Di Sev al fonte, fuor da' palanchini
Egli gittossi e riguard quel lago.

Indi sul capo si gitt dell'onda


Alcun poco e di Dio dator di grazie
Fece ricordo. Ratto, per brev'ora,
S'arrest il sangue dalle nari sue,
Ed ei cibo si prese e alquanto ancora
Si ripos con chi consigli dava.

Ma
E
E

tosto ei riprendea la sua superbia

dicea:
il

S'i

modo

davver! questa

via,

la

questo. Deh!

perch in tal loca


lungo tempo ?
Allora

Restar dovrei si
Che il superbo pensier fece ed assunse
Quel di genti pastor, ch'ei da s stesso

Riconosceva ogni sua bella sorte.


Candido palafren balz dal lago
Subitamente con carnose e tonde

Le

cosce, quale ngro, e con le

Sottili

gambe

e brevi. Egli correa pien d'ira

Qual leone in furore. Alto e di bruni


Testicoli e qual corvo agli occhi suoi
D'un color nero, dietro ei si traea
Sovra l'orme la coda, avea criniera
Folta, ed eretta la cervice e brune
L'unghie sue e la candida spuma
Gittava attorno, ei domator di belve
In fiero assalto. Cos disse allora

Re Yezdeghird
Tutto

Ad
Il

a'

lo stuol de'

attorniar

mandriano e

prenci suoi

L'attorni

combattenti miei.

movean quel palafreno


dieci eroi montati

236

Sovra puledri, un lungo laccio e attorto


Reggendo in man con una sella.
Il prence

Come

sapea l'altissimo secreto

Di Dio signor dell'ampia terra, quale


Suscitato gli avea sul suo sentiero
L'orribil

Inerti

drago?

mandriano e

Il

rimasero

si

prodi suoi con seco,

n'ebbe sdegno quel pastor di genti.

prendea le attorte redini


pur anco e baldanzoso
orrea daccanto al palafren. S queto
Allora

ei si

la sella

Il

bianco palafren tennesi al loco,

Che di l non pi innanzi egli avanzava


Le gambe sue, non le anteriori mai,
IS^on quelle mai da sezzo. E il re del mondo
I^e redini togliea dal

mandriano,

quello ancor, nel togliersi la sella,

Stava tranquillo. Come fu la sella


Sovrapposta cosi, la cinghia il prence
Traea con forza, e quel dal loco suo,
Oual fero alligator rapido al corso.
Non anche si movea. Dietro gli andava
Principe Yezdegbird, l'eretta coda

Ad

avvincergli intento, e quei nitria,

Nitra quel palafren clie aveasi l'ugne

Forti qual pietra.

Un

fremito

mandava

capo del re terribil colpo


Dei pie da sezzo liber. Del sire
Toccarono la terra e la corona
E il capo eretto, che venuto egli era
Dalla terra, e alla terra si tornava
Principe Yezdegbird.
Che cerchi adunque.
Che cerchi mai da queste roteanti
sul

Sette orbite del ciel levate in alto?

Poi che non trovi da rotar che fanno,

fuga, o

scampo, non prezzo alcuno

237

In ossequio prestarvi.

Ti volgi e poni la tua

Dio piuttosto

speme

in lui,

Ch'egli signor di questo mobil cielo,

Signor del sole e della errante luna.


Ucciso il sire, il palafren dell'acque,

Rapido come nembo, in quell'azzurra


Fontana si gitt. Laggi nell'acque
Sparver le membra sue, n alcuno al monda
Vide giammai cotal prodigio. Allora,
Dall'esercito accolto, in suon tremendo,

Qual

di timballi,

re, t'incolse

Di

Tus

Pr-rsi

alla citt!

si
il

lev tal voce:

giorno tuo supremo

Tutte

le vesti

a brani que' prenci e su la fronte

Polvere

si gittr. Del morto sire


Sparava il petto il sacerdote allora,
Aprane il casso ed il cerbro intero
Traea dal capo. Di canfora e muschio
Tutto l'emp, con drappi tersi e asciutti
La persona regal tutta ravvolse
E quel candido petto ne ricinse
D'un bel broccato, postagli sul capo
Di color nero una corona. Posero
In una bara tutta d'or quel corpo,
Indi in un palanchin di quercia dura,

E quei si ritorn senza corona


E senza trono in region di Persia.
Di questa vita ch'

pur sempre
Il

breve, tale

costume. Ove tu ottenga


tuo riposo, libero dal pianto
il

Andrai pur sempre. Ma se ben tranquillo


Tu sii talor, con te non tranquillo
Il mondo infido. Poi che avrai cibato
Del bianco pane, nulla pi d'un nappo
Cosa buona sar; ma vera fede
Seguir col core meglio assai di tutte

238

Le peccata dell'uom, quando potere


Abbia qualcuno di eseguir cotesto.

VII. Elezione del re.


(Ed. Cale. p. 1475-1476)

Poi che fu sceso nella tomba il sire


Di questa terra e vennero d'Irania
I

prenci

tutti

lagrimosi e

Preposti a le frontiere e

gli eroi tutti

D'alma serena,
In suol

di

ed

forti

i
i

sacerdoti

ministri saggi

tutti si

raccolsero

Persia e vennero compunti

Di prence Yezdeghird presso l'avello.


Bravi Gustelim quale dall'alto

Del suo destriero uccidere soleva

Un

elefante,

Kren valoroso

Bravi ancor, figlio a Gusbspe illustre,


E Mild con Arish, delle frontiere
Nobil custode, e Pervz, di cavalli
Incitator, di clava armato. Ancora
Tutti que' grandi, principi del mondo,
Di guerriera virt, ch'eran celati

Per l'iranico suol, quali gi un tempo


Yezdeghird oltraggi, ratto si accolsero
In quell'alma citt, quando Gushspe,
Scriba eloquente, a favellar

prese:

Illustri cavalieri, e giovinetti

vegliardi qui accolti, alcun non vide,


Qual era Yezdeghird, prence sovrano
Dal giorno in cui f' Iddio quest'ampia terra.
Nulla ei sapea fuor che dar morte cruda
E oltraggi far con angoscia e dolore.
Nasconder suo consiglio a' suoi soggetti
E la ricchezza accumulata. Intanto

239

Rispetto ei non avea d'alcuno in terra,

Ma

quello a questo e questo a quello

sempre

Abbandonava in potest. Davvero!


Che nessun vide mai sire imperante
Pi indegno di costui, n mai l'intese
Da' prischi eroi Del seme di colui
Niuno vogliam sul trono imperiale,
!

per su l'avel che lo ricopre,


Dio Signor con voce di lamento

Una prece leviam.

Ci basti. Ancora

vivo un figlio dell'estinto


Behrm altero, d'ugual cor,

prence,

d'uguale

mente e d'una stessa


Discendenza con lui. Sempre il garzone
Di Mundhr fa parole, e indegno sire
Consiglio e d'ugual

Non vogham
Fecer

noi sul trono imperiale.

terribil

sacramento allora

Quanti erano col d'Irania bella


Principi illustri e dissero: Nessuno
Di cotesta semenza a imperiale

Dignit lascierem che assurga mai

Con

la

corona della sua grandezza

l'alto seggio.

In quel consiglio e

s'accordaron

si

levar,

tutti

cercando

Novello imperator per l'ampia terra.


Ma de la morte del signor del mondo
Poi che si sparse fra regnanti e prenci
Rapidamente la novella, il sire
Degli Alani e di Persia il primo duce,
E Bivrd e Shknn gagliardo in terra,
E il figlio di Rerzin, Rihzd illustre,
Di Rstem battaglier della semenza,

E Sam

guerrier, dell'inclita famiglia

Kobd re, tutti cotesti ad alta


Voce gridar Da questa terra a quella
Di

Costellazion de' freddi Pesci mia

240
dignit. Cosi ne

andava
La regia
Da confine a confin pien di tumulto
Il mondo intero, poi che un re possente,
Incoronato, dal suo trono eccelso

Ma

Discendendo spara.

quanti saggi

Erano e prenci e sacerdoti

in questa

Irania terra, e d'anima serena,


In Persia tutti s'adunar per quella
Si

grave cosa nuovamente e dissero

Parole assai di

ci: Deli! chi

mai degno

Di questo seggio imperiai? Vedete

Chi all'uopo ne verr, che giusto prence,


Dispensator della sua grazia, ancora
Non vediam qui perch su l'alto seggio
Stringasi a' fianchi l'aureo cinto e acqueti

Di nostra sorte

Che va privo

il

tumultuar, che

di re, gli

Bravi

Abbandonato e

incolto.

Un

Khusrv

vecchio

s,

Generoso sentir, di
E lieto sempre. Per
D'inclito

seme

il

mondo

quale un loco
allora

nome,
cor sereno
di

d'alto,

giustizia egli era

di gagUardi, in quella

Frontiera sua, per sua giustizia eletta.


Un de' ricchi e possenti, e i prenci allora
Il

trono

gli affidar

con

la

corona,

E da ogni parte esercito di prodi


S'accolse intorno a lui subitamente.

VIII.

Venuta
(Ed. Cale.

di
p.

Behrm-gr.
1476-1479).

A Behram-gr novella giunse poi


Che toccata era in sorte al padre suo
La sepoltura da quest'alto cielo.

241

prence
monarchi, morto.
morto, e il nome del real suo grado
Port con s, che tosto un uomo in seggio
Poser gl'Irani e con regal potere
Principe l'acclamar. Giuraron poi

padre

Il

tuo, gli dissero, tal

D'altero capo fra

Insieme accolti in ampio stuolo e dissero:


Di semenza cotal non vogliam noi

Prence nessuno, che Behrm, del morto


Sire figliuolo, pari a lui

Del padre suo

le

dal

membra ed
Come ud

Egli ebbe tali .

Prence Behrm,

le

gote

si

seme

il

cerbro

l'annunzio

percosse.

Quasi ebbro di dolor del padre suo


Pel fato acerbo, e per le ville intanto
Di

Yemen

lev d'uomini e donne

si

un pianto

di fanciulli dolorosi

Ma

poi che

il prence
padre
Per tutto un mese, al cominciar del mese
Che novello segui, la sua dimora
Tutta f' adorna e vennero a quel loco

Per settimane due.

Si fu rimasto nel dolor del

E Nomn
Tutti del

Venner

Mundhir

Yemen

gli

Arabi

Al giovinetto
la

accolti insieme,

diverso grado

allor.

Piangeano insieme

re, di fiera

Ardean nell'alma

di

(e

doglia

fuoco l non era!)

lingua sciogliean con tal consiglio:


ricco di virt, nobil sovrano,

Sol per l'avello siam discesi al mondo.

Non Siam

discesi a ricercar vitale

Balsamo in terra. Muore chi nascea


Di madre, ed acquetar nella giustizia
Di Dio signor dobbiamo tutti il core.
Ed or, poi che nel rio torbido fatto
Il chiaro umor, cos dicea quel saggio
FiBDUSI, VI.

16

242

Behram-gr a Mundlir,

mia

se da

stirpe

Di re dei regi perdesi la gloria,


Cade il nostro poter. L'ampio deserto
De' nostri cavalieri in iscompiglio

Manderanno
Agli Arabi

gl'Iran i, e questa terra

fia

tomba. Or voi

questo

di

Dell! vi date pensier, porgete aita,

Fate cordoglio per la morte acerba


Quelle parole
Del mio gran genitor.
Poi che intese Mundhir del giovinetto,
Con guerriera virt tal fondamento
Die alla risposta. Questa sorte mia.

Disse, e di caccia lieto giorno questo

Ma

In questi campi.

Sul trono e

tu siedi intanto

Deh! sempre

a riguardar.

statti

Esser tu possa in tutti

gli

anni tuoi

Di serto ornato e di real monile!


In questi detti di Mundhir acconci

di

Nomn convennero

Que' prenci

concordi

tutti celebrati.

Ratto

E si levar dinanzi da quel forte


Di sua gloria voglioso ed apprestarsi

A correre
A Nomn

con l'armi. Anche precetto


fea

Mundhir: Vanne e raccogli

Di valorosi, quai leoni in giostra,

Ampio

drappello.

Da Sheybn

duemila,

Diecimila di Copti, a far battaglia,

Adducete con

voi.

Lor vero prence,

Chiaro ed aperto

quest'Irani mostrar vo' chi sia


di

corona degno

di serto regal, signor di genti.

E Nomn un
Addusse

esercito possente

allora, tutti astati eroi.

Tutti guerrieri da l'acute spade,

f'

precetto che improvvisa corsa

Ei facessero in armi,
Sotto

a' lor

il

suol nemico

piedi calpestando a prova.

243

Dalla via del deserto in fino a l'alte

Porte

oppressa e vinta

di Tisifuna,

Rest la terra sotto a

Zampe

Venan captive e

Che

le ferrate

donne allora

de' palafreni, e

piccioletti infanti,

aiutator nel travaglio improvviso

Alcuno non avea. Tutta

la terra

D'incendi piena e di rapine, tosto

Che
Il

monarca

inerte del signor d'ogni

trono

si

rest.

Ma

poi che giunse

Novella in Gina e in Grecia ancora e in terra


Di Turania ed in India e in quel confine
Del suolo

di

Mekrn, deserto

trono

il

Giacer d'Irania dal monarca suo.


Ninno esser degno di quell'alto grado
Imperiai, tutta la gente a gara
A correr s'apprest con l'armi in pugno,
Balz da' lochi suoi subitamente

Per ingiusto

deso. Poi

che del seme

Del re dei re non era alcuno allora


Che degno fosse di toccar quel seggio
De'

Kay monarchi,

la

proterva

mano

Tutti ad Irania protendean, ciascuno

quel grado real levava il capo.


Com'ebbero di ci novella certa

prenci irani, s'affrettar d'un moto.

Iattura a riparar. Poi che fr stanchi

Di tale affanno diuturno, insieme

parlamento l'un

dell'altro

Si assisero que' forti. Ecco!

accanto
misura

La cosa grave super, diceano.


Per India e Grecia e pei deserti campi
De' cavalieri.

Valevole

darvisi frattanto

difesa, e l'alma e

core

il

Allora

Da

tale affanno

Un

messaggier cercaronsi bramosi,

si

disgombri

244

Di cor veggente e nobile ed esperto


Favellator. Di questo eroe gagliardo

Giuvany era

nome, e

il

inclito scriba

era e in favellar maestro e dotto,


Mundhir qual dovea subitamente

Egli

Andarne
Udir

La

e dir parole e le parole

di lui:

Signor che rechi altera

fronte, egli a

Del

nome

Mundhir dovea

parlare,.

tuo sorvenne a questa terra

Alta necessit. Custode sei


D'Irania ancora e di Turania, e sei
In ogni loco d'ogni forte in guerra

E gi, poi che divenne


prence e di corona questo
Seggio regal, poich pel molto sangue
Questo confine rosseggi qual piuma

Almo
Orbo

sostegno.

di

Di fero augello, noi

dicemmo

Sire

Di questa terra ben sei tu, che degno

vedemmo

di

quest'ampia terra

Ed or vengon da

te rapine e molto

ti

Sparger

E
Di

di

sangue e scompiglio dovunque

d'assalti ingaggiar.
s

Non

eri in pria

maligno oprar, che biasmo allora

vituperio assai temevi. Intanto

Vedi se questo piace a te, se frutto


Ci recher per la tua vecchia etate.
Di l da te ben altro si ritrova
Giudice eterno, quale e vince e supera
Ogni pensier d'ogni pi altero. Ed ora,
Il nostro messaggier quanto gi vide
Si ti dir, dir quante parole
Intese gi da sapienti esperti .

Giuvany

come venne a quello


ampio deserto
prenci, il suo messaggio

saggio,

D'astati cavalieri

Dal cospetto de'

IVfundhr ripet, porse l'epistola

245

E degl'Irani le parole acconce


Ricord innanzi a lui. Si le ascoltava
Degli Arabi il signor, n le sue labbra
Alla risposta egli schiudea,

ma

questo

Soltanto disse: Or be', saggio vegliardo

Gbe cerchi

la tua via,

queste parole

Parlar

t'

d'uopo al re dei re. Cotesto

Che

me

dicevi, tu dirai piuttosto

principe Behrm, che se tu cerchi

Risposta degna, non qui tua via

Ed uom famoso e

rintracciarla.

Ei con seco mand,

illustre

che del prence

Giuvany si recava alla dimora.


L'uom saggio e accorto, come vide appena
Prence Behrm, l'eterno Iddio su lui
Invocava dal core, e per quell'alta
Statura sua, per quella sua persona

cervice e l'omero gagliardo,

la

Meravigli nel suo veggente core.

Detto avresti! che d"un purpureo vino

cadeau da quelle gote sue,


muschio intatto
Fragranza eletta, e il messaggier facondo
Senza mente o poter l si restava.
Si che il messaggio suo tutto d'un tratto
Stille

Che

dal suo crin venia di

Dimentic.

Che per
Ei

si

Che

attonito ei restava.

l'aspetto suo, nel cor, negli occhi,

smarria,

Behrm

conobbe, e tosto

Molto l'inchiese e f' carezze a lui


E con atto gentil sopra un sedile
Il f' posar. Ma tosto che fermezza
Ei ripigliava, dimandollo il prence
Deh perch mai fin da l' irania terra
:

Del tuo lungo sentier rancura avesti?

Ma del tuo faticar d'ora in avanti


Frutto avr' tu da noi, da noi tu avrai

Ed uomo accorto
mand perch il recasse

Di tesori pienezza.
Ei con seco

246

Appo Mundhr, perch

dicesse a lui;

Scrivi a tal foglio la risposta, nota

Nella risposta tua parole acconce

vedi poi quale messaggio

Udito che l'avrai, tosto

Integra e degna tua risposta

reca.

ei

rendi

gli

Andava

ridicea quelle parole sue

Giuvany tosto, e di rossor


La gota di Mundhr a quel

tingeasi
consiglio.

Ratto che intese da quest'uomo accorto


Queste parole, fondamento ei pose
Alla risposta del suo foglio e disse

A Giuvany
Opera

il

cosi:

Qualunque

in terra

mal, ne tocca poi castigo,

saggio illustre. Udii quale recasti


Messaggio a me, qual saluto mi fasti

Dei prenci illustri di tua terra. Intanto

Questo dirai Deh chi per primo adunque


Tanto male oper, s che la guerra
D'uopo cercar senza ragion? Ma in questi
Lochi pur sempre Behram-gr, de' prenci
Prence sovrano, ed ha possanza e forza
E stuol d'armati e maest. Se alcuno
:

Fuor

dal pertugio

suo vuol trarre

Strasciner della sua veste

Nel sangue

poi.

Che

se di

il

serpe,.

lembo
voi pur fossi
il

Eletto consiglier, iattura alcuna

Per mio consiglio non avran gl'Irani.


E Giuvany che del signor de' regi
Vista la fronte avea, che avea le sue
Parole udite ancor, che inchiesto avea
Se degno di quel seggio imperiale
Fosse Behrm per sua fortuna amica
E per grandezza e per invitto core.

247

tosto che intese


diede
fondamento
Questa parola,
guisa
questa
in
luminoso
e
pensier
A
Rese risposta: Principe che altera
Porti la fronte, che d'alcuno in terra
Non hai necessit per sapienza
Vera che aduni, se manc saggezza

Da principe Mundhr

Ne' prenci

irani, de'

pi illustri molti

Or io mi sono antico
Principe qui che ama sua gloria, e quando
Tu si m'ascolti perch'io dica almeno
Una parola, sappi omai ch' d'uopo,

Caddero

uccisi.

d'uopo a te nella letizia tua

Correr la terra con

Behrm

valente,

Di monarchi signor. Venite omai


All'iranico suol con veltri e falchi
Qual costume di regnante illustre,
Luce del mondo. Le parole intanto

Vuoisi ascoltar de' prenci irani, e danno.


Se l verrete, non avrete voi.

dirai tu quale pi acconcia allora

Parola viene, e l'uom ch' saggio e accorta;.


D'ogni stolto miglior. Che se tu lungi
Tieni la mente da operar malvagio.

Non

ti

dorrai di biasmi o di rimprocci.

^Nlundhr che l'ascolt, doni gli porse

accomiatollo giubilante e lieto

Dalle

amene

IX.

citt di quella terra.

Parlamento

di

Behrna-gr

e degl' Irani.
(Ea. Cale.

Egli e

il

Si assisero

giovane

p.

1479-1483).

re, coi consiglieri,

a parlar lungi dal popolo.

248

In ci lor detti convenan che uscire

Di

Yemen

dovesse ed in Irania

si

Scender con stuol d'armati. E trentamila


Arabi elesse il nobil sire, armati
Di lancie,

pugna, e

atti alla

li

f' lieti

Con sue monete, di ricordi piena


Fece la mente d'ogni illustre in guerra.
Ma in iranico suol come ne giunse
L'annunzio tosto, e Giuvany venia
Presso a que'

e valorosi

forti

tutti.

N'ebbero affanno i prenci accolti e ratto


Al fuoco di Berzn verace e santo
Ne andar compunti, e chiesero all'Eterno

Che

in gioia

si

voltasse ed in letizia

Di allegre cene l'imminente assalto.

Ma

tosto

citt di

che Mundhr giunse vicino


Gihrm, spieg le schiere

In quel deserto privo d'acque. Allora,

Su quella via, piant recinti suoi


Prence Behrm e l da tutte parti
Stuolo di genti

si

raccolse, ed ei

A Mundhir

cosi disse:

Donator, di

Yemen

Discendesti in Gihrm.

Con tumulto

di consigli

dalla contrada

Farem

Poi che a fronte qui sono

Mundhir

dunque

noi

e vigor fiero contrasto.

gli disse:

Tu

ambo

raccogli

gli eserciti?
i

prenci

D'Irania qui. Com'ei verranno al tuo

Regal cospetto, appresterai le mense.


Parla tuoi detti e lor parole ascolta,

E s'alcun si corruccia, e tu per esso


Non corrucciarti, che frattanto noi
Ricercherem qual cosa

si

nasconda

In lor secreto e chi signor del

mondo

Ei vogliano acclamar. Poi che tal cosa

Fia manifesta a

noi,

porremvi

tosto


Ed

249

arte e studio; che se agevol cosa

Ella sar, pensier della vendetta

Ma se in guerra nosco
Discendere vorranno, e l'odio antico
Ridestando cosi dal nostro cenno
Nasconderemo.

Tergiversando assumeran costume

muter in un lago
di Gihrm e a questo
Sol splendiente scemer la luce
De le Pleiadi in guisa. Oh! ma davvero
Ch'io veggo e so che ratto ch'ei vedranno

D'agresti belve,

Di sangue

il

piano

Il

viso tuo, la forza e la statura

E
E
E

il

l'amor che ne mostri, e la prudenza


la

consiglio e l'ardor, la pazienza

saggezza e

Inviteranno

al

il

nobil senno, niuno

trono imperiale.

Alla corona e all'alto grado e a quella


Nobil fortuna, fuor che te soltanto.

Che

s'ei perdean la via diritta e ancora


Togliere a te desian l'antico trono.

Io tosto e questi cavalieri e queste

Acute spade per la terra intorno


Solleverem fiero scompiglio, quale
Nel di estremo del mondo. Oh! mi vedrai
Queste ciglia aggrottar. Gi questo corpo
E quest'anima mia pongo al riscatto
Di te, signor, tosto che quei vedranno
La mia gente infinita e il mio costume
E la mia legge e la mia via. Ma il sangue
Spargere attorno nostro ufficio, allora
Che Iddio santo e verace nostro amico.
Anche quel regno ch' retaggio tuo,
Ordinar si convien di padre in figlio,
E tu vedrai che niuno i prenci irani
Re chiameranno fuor di te, che degno
Sei di nobile seorgio e di corona.


Di

250

Mundhr come ud queste parole

Behrm

illustre, rise

alquanto e

Senti nel petto palpitare

Quando

il

la fronte sollev

quest'almo

Sole del monte in su la cima,


I

grandi

Ad

tutti dell'irania

lieto

core.

prenci,

gente

incontrar quel giovinetto eroe

Apprestavansi, e fean quivi una illustre

E orrevole assemblea. Ma
Fu per Behrm di bianco
Ed

ei si

pose

l'inclita

posto intanto

avorio un seggio,

corona

Alta sul capo. Assidersi conforme

costume

di re d'ogni

sovrano

Egli ordin, che

veramente egli era


Signor del mondo. Ma da questa mano
Di re Behrm sedea Mundhr, dall'altra
Nomn valente con un ferro in pugno.
Tutto a l'intorno era un recinto e dentro
Non erano altri fuor che a parlamento
Arabi prenci. Ma de' grandi irani
Qual era s di pi savio consiglio.
Al limitar di quel recinto illustre
Venia compunto. Comandava intanto
Prence Behrm di suo regal recinto
Di levar

le cortine e quelli tutti

D'introdur per

Da

la

porta,

accompagnati

fauste grida. Ei vennero al cospetto

Di principe Behrm, videro adorno

E un

trono e un serto e con festanti voci

Cosi gridar: Sii tu beato, o prence.

Lungi

resti

da te sguardo maligno

Della sventura in sempiterno!


II

Allora

re dei re tutti inchiedea, carezze

Lor

fea pur anco ed assegnava grado


merito conforme ed a misura.

Cosi disse

Behrm:

Principi e duci

251

D'et provetti e delle cose esperti,


Dignit imperiai di padre in padre

A me

discende; perch dunque in vostro

Consiglio tanto turbamento?

Dissero

non farci,
A una voce
Non farci danno per patir che femmo!
Noi tutti qui te non vogliamo in regia
Dignit, che di noi la terra nostra
veramente e tuo soltanto quello
D'eroi drappello. Per la tua famiglia
Pieni Siam noi d'angoscia e di dolore
E di rancura, notte e d con molto
gl'Irani

Oh

Corruccio e sospirar.

Behrm

rispose allor,

tu

Giusto

cotesto,

ma regna sempre

D'ognuno in cor la voglia rea. Se pure


Me non volete, perch dunque al mio
Eccelso loco, senza il mio consiglio,
Altri fate seder?

Cos

rispose

sacerdote: Dalla via del dritto


Scampo non trova alcun, non chi nascea

Il

Principe in terra, non chi servo nacque.


Ma uno di noi tu sii, con noi tu scegli

Novello prence, sovra cui ciascuno


Possa invocar benedizion di Dio.
In questa impresa per tre giorni ancora

Tempo

si

volse, e dall'irania terra

Quei cercavano intanto un nuovo


Scrissero allor di cento illustri

sire.

nomi,

Quali poteano al trono e alla corona

E
E

al cinto imperiai

donar splendore,

tra que' cento era pur anco

il

nome

Di principe Behrm, che veramente


Stato

ei

sara d'ogni bel cor la gioia.

Posto in loco regal. Ma da que' cento


Ven'ian poscia a cinquanta, e fu per arte
Ch'ei vi tornar, fu per bisogno ancora.


E Behrm

252

de' cinquanta era

Del genitor

primiero.

il

dimandava il loco,
Davver! che il dritto ei dimandava
Ancora
Da' que' cinquanta trenta nomi scrissero
s'ei

D'eletti eroi d'Irania bella, d'alto

nobile desio, di molta fama,

E primo

ancora fra que' trenta eroi

Behrm

divenne, che novello sire

degno

Egli era e

di

regal corona.

sacerdoti, accorti ed avveduti.

Quattro fean

di que' trenta, ed era pure


Prence Behrm de' quattro il sire. Allora,
Poi che stringea del grado imperiale
Faccenda estrema, qual pi vecchio e antico

Degl'Irani l stava, alte le voci

Lev gridando: Ardito e impetuoso

E di voglie ostinate Behrm prence,


Ne il vogliamo qui noi. Grido levossi
Dal mezzo degli

La mente e

Ma

si

eroi, s

che d'ognuno

cor s'intenebrar per esso.

il

volse agl'Irani e cos disse

Mundhr allora: Di tal cosa or io


E il danno e il frutto vo' saper. Per questo
Di

si

tenera et novello sire

Deh! perch

Su l'ampia

Non
Le

Non

regnante

terra di virt simile,

luna nel ciel di aspetto eguale.

frecce sue di ben compatto legno

Trapassano
Ei

siete voi feriti all'alma

pieni di dolor?

si

le incudi, e le

montagne

divelle per vigor ch'ei

mena.

Dalle radici. In dignit sovrana

ma

Egli novello,

E vecchio
Che lungi

nel suo consiglio

e saggio e

memore

vede.

la risposta allora

Apprestavansi

e di core

prenci e mutilati

253

Cercar di Persia in ampia turba. Quanti


Re Yezdeghird gi mutilati avea,
Tutti in quel piano essi adunar. Qualcuno
Eravi si con tronche ambe le mani
E tronchi i pie, con vivo il corpo e viva
L'anima tuttavia. Qualcuno v'era
Con gli orecchi divelti e con recise
E la lingua e le mani, ed era quale

Una persona senza spirto; e questi


Avea dal corpo gli omeri recisi,

E Nomn

si

stupia di tanti monchi.

Tale era ancor che

gli occhi avea divelti


Per chiodi, e re Mundhr che ci vedea,
Grave uno sdegno concep. Si dolse

Anche Behrm de l'opera crudele


Veracemente e al cenere del padre
Oh! sventurato, il lieto
deh perch mai
Ti chiudevi cos? deh! perch mai
Disse,
L'anima tua nel fuoco ardesti?
Di gloria amante, re Mundhr al prence
L'alta sventura che g' incolse tutti.
Nasconder non dato. Or tu ascoltasti
Si volse e disse:

Occhio del tuo

gioir,

detti lor, tu la risposta rendi,

Che

incertezza dell'alma in re sovrano

Bella non viene.


II

giovinetto re

Cosi

Principi

disse allora
illustri.

Esperti in guerra, di lodate imprese


Operatori, duci di gagliardi.

Voi del ver favellaste, e v' pur anco


Peggio d'assai, che pur m' d'uopo il padre

Per ci ch'ei fece, biasimar. Per questo.


Agro saper mi tocca Egli infoscava
La mente mia si vigile ed accorta,
Che la sua casa carcere divenne
A me infelice, fin che Iddio superno
!


me

Ebbe

di

Dalle

mani

Ma

Mi liberava

piet.
di lui

254

Tinsh cortese,

mia dolente

fu trafitta l'alma

Dall'amo ch'ei ponea. Per mi

Appo Mundhr

feci

mio rifugio, ch'io


Dall'iranio signor giammai non ebbi
Atto dolce e cortese. Oh! mai non sia

Ch'uom viva
Quand'egli

il

in terra d'indole cotale!

d'ogni senso

fosse,

umano

L'orma perduta andria! Ma grazia questa


M' de l'Eterno ch'io pur vanto senno
E quest'anima mia frutto si coglie
Dal senno mio. Fino a tal

mi

Io supplicai perch'ei

d,

l'Eterno

fosse guida

Con dolce amor, perch'io per

Che

fece

Yezdeghrd

a'

Purificassi l'anima ed

Di

me

da

il

tutte cose

suoi soggetti,

core

peccato e poi vivessi

tal

Conforme a brama

et a deso

conforme

Del cor de' servi miei, vivessi poi

Conforme a legge d'ogni adoratore


Di Dio signor. Pastor sarei,

La greggia
Con buono

mia, che

le genti

dritto io

il

vo cercando

stato di persona. Mente,

Consiglio eletto ed avveduto core

E virt sono
Che ingiusto

in
sia.

me, n ha pregio il sire


Da povert di mente

Vengono ingiusto oprar, menzogna e

frode,

E lagrimar per l'uomo ingiusto e reo


Fa d'uopo inver Grandezza in me, saggezza
!

E
E

regal dignit, prudenza ancora


nobile desio di giuste cose.

Da

re Shapr

figlio

Valoroso Ardeshr,

Behrm

tutti

a quello

monarchi

Giovani e vecchi, da l'un padre a

Son

gli avi

miei, son la

mia scorta

l'altro,

eletta

255

Per madre ancora


un tempo
Fu principe di forti, ed pur sempre
E in ogni cosa la compagna mia
Nel senno e nella

Son

io

Ingenita virt.

f.

nipote a Semirn che

S, s,

virtude

saggezza e grandezza in

me pur

sono,

Destrezza in cavalcar, valor guerriero

di

mano

vigor.

Niun

de' mortali

Stimo guai uom veracemente in ora


Del pugnar, del cenar, d'ogn' altra impresa
Nell'alta cura.

Ed ho

nascosti ancora

Miei ricolmi tesori ed ho guerrieri

armi al lor signor devoti.


che la terra con la mia giustizia
Io manterr fiorente e amena, e tutti
Gioia n'avranno li soggetti miei.
Incliti in

X. La corona reale raccolta fra

leoni.

(Ed. Cale. p. 1483-1487).

Anche un patto far, soggiunse allora.


Con tutti voi, ponendo innanzi a Dio
In testimonio la mia lingua. Il trono
Imperiai, di bianco avorio, tosto

Per noi

si

elevi e pongasi la fulgida

Regal corona su quel trono. Due


Furibondi leoni da una selva
Fuori trarremo e fra lor due quel serto

Porremo

imperiai.

Da questa

Parte cosi noi legheremo

e quella

due

Leon furenti, e chi desia quel serto.


Vada! Quel serto da l'eburneo seggio
Animoso raccolga, indi sul capo,

-- 256

Cagion di gloria, se l'imponga. Ei segga


Nella sua regia dignit nel mezzo
Ai due leoni, e veggasi nel mezzo
Il re sovrano e il serto sovra lui

E sotto il trono. Fuor che tale, noi


Un prence non vogliam, s'anche pur fosse
E giusto e saggio. Ma se voi da questo
Che

vi diss'io, volgete la cervice,

tracotanza vi fate compagna,

Mundhr

10 tosto e re

e queste clave

E questi ferri (gli arabi gagliardi


Non conoscon la fuga) a morte il vostro
Re dei re eletto manderem, le vostre
Teste disfatte pi in su della luna

Farem

volar.

Ma

intanto a quel ch'io

dissi,

Date risposta, e nobile consiglio


Ponete ornai nell'ostinata lite.
Ci detto,

si

lev, nella sua tenda

Si ricondusse, e la raccolta gente

Delle parole sue meravigliava.

Ma

qual era in Irania o sacerdote,

prence, o savio, che del savio prence

Le

parole ascolt, tutti a una voce

Dissero allora: Maest divina

inver cotesta, non conforme a frode,

Non

a stoltizia!

Una

parola sola,

Fuor che conforme a nobile giustizia,


Ei non pronuncia, e ben sar che noi
Per tal giustizia sua lieto e beato
11 cor teniamo. Ed or, per ci che disse
De' leoni furenti e del regale

Diadema
Se mai

e del trono in

fia

che

lui

mezzo a

sbranino

le

quelli.

belve

In lor disdegno, di suo sangue sparso

Ragion non chieder da noi l'eterno


Giudice mai, poi che ci appunto ei

disse

proposta

la

257

ei f'.

S'anche egli muore,

Ma

Tranquilli sarem noi.

s'ei

raccoglie

Quella corona imperiai, davvero!

Che re Fredn ei vincer con questa


Sua regia maest Niun altro allora,
Fuor che lui solo, accoglierem sovrano,
!

Resa

giustizia

a sue parole in pria.


ma al primo albore

Quella notte pass,

Del nuovo di sen venne

il

re, si assise

Alto sul trono e gl'Irani inviava

convocar. Parole molte

De' trapassati giorni, e

ei disse

sacerdoti

Ad

alte voci incominciar: Signore


Pi sapiente d'ogni savio in terra,
Che farai tu nel grado imperiale.
Ratto che presa avrai la tua grandezza
E il tuo regio poter? Qual opra ancora

Di giustizia farai, di veritade,

che per essa ingiusto oprar si scemi


A' sapienti,
scemi la menzogna?

Si

A'valorosi, agl'incliti fra l'armi

Behrm Pi che non dica


La grazia accrescer, scemando l'opre

Die risposta

Dell'inquisir, della ingiustizia.

Che saran degni

di

quelli

poter sovrano.

Liberalmente doner la terra


A governar, che con giustizia e molto
Consiglio eletto regger quest'ampio

Regno paterno, e tosto che tranquillo


Renduto si l'avr, per l'opre mie

A
A

andr beato.
che miseri saranno,

giustizia conformi

quelli poi

De' riposti tesori alcuna parte


Io doner. Consigli e

ammonimenti

Recher innanzi a chi pecc

ma quando

Ei ritorni a peccar, recher innanzi


FlKDUSI, VI.

1'

258

Catene e ceppi. Gli stipendi ancora


mio dar nel tempo
Gh' pi opportuno, e aggiunger a' pi savi

All'esercito

Gioia vera del cor.

Ma

nostro core

il

Consenziente a nostra lingua abbiamo,


Che da menzogna e tenebroso inganno
L'alma a dietro volgiam. Che se qualcuno

muore e qui non ha congiunti suoi


ricchezza di lui restasi ancora
Da misura di l, quella ricchezza
Si

mano

A' poverelli doner, la

quel tesor non stender, n a questa

Vita caduca far schiavo il core.


Con gente esperta delle cose ognora

Terr consigli e piegher con forte


Studio e con cura d'ogni trista brama
dorso altero. Da' ministri miei

Il

In ogni tempo cercherem parola,


E quand'elli faran di nuove imprese

fondamento a quelle
Dell'assemblea
cercherem.
Per
Discioglimento gi non vo', se alcuno
Dinanzi ad essa cercami giustizia,
Pria che resa ella sia; ma sempre e sempre

Nuovo

principio,

essi

chi la chiede renderolla integra.

Ne

la

mia lingua fuor che

in dir

verace

Ancora

Io volger per cosa alcuna.

Dar pena col male a chi malvagio,


Qual si conviene per la giusta norma
De' principi quaggi.

M' testimone

signore di

Ma

Iddio eh' santo,

in ci ch'io dico, e

me

sulla

mia

duce

allor de' sacerdoti e

Da molta

lode accompagnati, e

Il

Operatori di gran cose,

il

senno

lingua.
i

saggi,

tutti.

prenci,

una voce gridar: Servi a

te siamo,

259

Al tuo comando ed al consiglio tuo


Allor soggiunse
Noi chiniamo la fronte.
sapienti, quali
Prence Behrm:
A me la via mostrate, ove un sol anno
Su questa impresa mia si rivolgesse,
L'anima e il senno mio toglier potrei
Da ci che dissi, ch'io non son davvero
Del retaggio de' miei, della corona

del trono curante, e volentieri

Mi seder fra quelli che fortuna


Abbandon.
Come ascoltar que'

saggi tutti e

prenci e

detti

sacerdoti

Di vigil core, pentimento grave

Ebber dei detti gi trascorsi, e tosto,


Dopo il peccato, a ricercar si posero
Alta difesa, e dissero a una voce,
L'un verso l'altro: Chi di lui pi degno
Di grado imperiai? Per le parole.
Per il consiglio e il nascimento illustre,
Per l'innato valor, non nasce alcuno
Di lui pi ingenuo per la terra. Iddio

Con sua giustizia il conform; deh! mai.


Deh mai non sia che tocchigli maligna
!

rea sventura! Beneficio e grazia

Noi

avremo da

lui,

Alla giustizia ed alla

tutti
f.

volgendoci

Ma

intanto,

Se vigor non abbiam per dir cotesto.


Gi nel sonno a dormir prudenza nostra
Davver! che recheremo! E con tal forza.
Con tal statura, con tal braccio eletto
E tal cervice, non in terra alcuno
Che ugual gli sia. Ma d'arabi guerrieri
Una falange gli da tergo, e amico
Ed alleato gli Mundhir pur sempre
Nella sventura e nel trionfo. Intanto,

Se

del suo trono ei prendesi l'altezza.

200

di Behrm per l'ampia terra intorno


Sar pi grande? E qual timore in lui
D'oggi in avanti per gl'Irani? A lui
Nella presenza che siam noi, di polve
Se non un pugno ?
Al giovinetto sire

Chi

Dissero allor que' prenci

Degno

sei tu

Di regal dignit.

Non un

fortunato,

per l'alma nostra invero

di noi

Avea certezza

Ma

de' tuoi pregi

contezza avea, non uno


di cotesta egregia

Persona tua,

di tuo consiglio eletto

Ma

del saper.

poi

che gi gridammo

Benedizioni di monarca e sire

Khusrv che scendea da

l'alta stirpe

Di Pishn, qui siam noi sotto al suo vincolo^

al

giuramento, che gl'impone e accenna


tutti sotto al suo castigo.

Esser noi

Ma

s'egli d'oggi in poi

sar monarca

D'Irania bella, devastato intorno

Per

la

guerra ne andr l'ampio confine.

Che una gente sar beata e lieta


Di re Behrm, far ricordo l'altra
Dell'eletto

Khusrv. Or, per

giustizia,

Cosa miglior sar quel patto tuo,

Per che d'oggi in avanti il mondo intero


Al tuo comando sia sommesso. Quella
De' leoni battaglia pur valevole
A te pretesto, per che alcuno in terra
Real grandezza d'ora in poi non cerchi.
Behrm convenne in ci, che tal proposta
Egli medesmo avea recata a quelli.
Era costume de' regnanti prischi.
Giusti e veraci, che allorquando il prence
Era novello, d'inclita semenza.
De' ministri del ciel ne andava a lui
Il maggior duce e tre s gli adducea


Di

vigil

261

core sapienti

eletti.

re novello su quel seggio allora


Ei fea seder, su quell'eccelso trono
Il

Voci dicea benaugurose e poi


L'aurea corona al re portava, e il sire
Da quel serto regal bellezza avea
Ed ornamento e maest. Poneagli
Quel serto imperiai sovra la fronte
Il sacerdote e con letizia molta

Ambe

per baciar, sul petto

le gote,

Inclinava del re;

Le cose

In dono a

ma

re sovrano,

il

che ciascun gittava

tutte
lui,

fra

poveri sparila.

Affldavasi allora al sacerdote


Il trono e il serto, ed egli alla pianura
Usc dalla citt con la sua sorte

Vigile e amica.

Due

Gustehm valente

leoni s'avea feri e gagliardi.

Avvinti a una catena ei s li porse


Al sacerdote, ed i valletti suoi
I

leoni traean di sanguinose

Battaglie amanti.

Oh

chi

s!

Forsennato sembr per

li

adducea

paura!

la

pie del trono di lucente avorio

Li avvinser poi, deposer la corona


Dell'avorio splendente ad

E
E

un

de' capi,

stavasi la gente a riguardare


il

trono e

il

serto e qual sara l'impresa

Di quell'uom che fortuna avea propizia.

E Behrm

come

e Khusrv,

Nella pianura, e gonfio aveano

discesero
il

core

D'alto corruccio, s'avanzar ver questi

Leon
1

feroci.

Ma Khusrv

leoni furenti e l nel

Posto un serto regale,


Si volse e disse:

che vide
mezzo

ai

sacerdoti

La corona

in pria

262
Pi

si

spetta a colui che

La regia

si cercava
Vecchio son io

dignit.

E giovane

costui; contro l'artiglio

De' leoni furenti io nulla posso.


In ci

si

La mano

vada

ch'ei per

primo stenda
oprando

sua, con suo vigore

con sua forza giovanil.


Rispose
allor: Davver! cos si vada!
Il verace mio dire io non rinnego.
Ed aft'err dal capo di giovenca
Una clava di ferro, e ne stupa
Tutta la gente circostante.
prence,

Behrm

Gli disse allora

sacerdote, o saggio

il

D'alto sapere ed avveduto e accorto,

Chi

La

ti

comanda

co' leoni agresti

battaglia cos? Qual maggior cosa

Di fuor dal regno cerclii tu

Deh! non

Non dar

Pel regno

gittar l'anima tua, da folle

vaga tua persona

cos la

In aperta rovina. Ecco! siam noi

Tutti innocenti, e questa opera tua,

Mentre gi

cor

il

di tutto

S'accorda in ci che vuoi.


Nobil maestro,

il

mondo

Di

teco

nostra fede

giovinetto sire

il

Dissegli allor,

ben

se'

Ed innocente

popol tutto ancora.

Ma

de'

innocente in questo

maschi leoni entro

Gompetitor son

Che

il

io,

comprasi

de' gagliardi

Dissegli allora

il

l'assalto

son io colui
la

pugna.

sacerdote: In Dio

Poni adunque la speme; e poi che


Purifica il cor tuo dalle peccata.

Prence Behrm

vai,

ci ch'egli disse, fece,

quel cor suo purificossi e fece

Di sue peccata penitenza ancora.


Iva a un'acqua scorrente e la persona

263

Lavavasi ed il capo, indi in quel campo


Gercavasi a pregarvi acconcio loco.
L, nel cospetto di Dio santo, lui
Dal cor pregando, su la terra oscura

Le gote sue chinando, Almo Fattore,


Ei disse a Dio, ne la tremenda impresa

Fa

vincitori

servi tuoi. Se

servo

il

Ti chiede in ci la sua giustizia vera.

mal purifichi la terra.


pugna sofferente e ferma
Rendi l'anima mia, fammi vincente

Per

ch'ei dal

In questa

Sopra questi leoni orridi e fieri.


L'avveduto signor di l sen venne
E rivolse alla via rapidamente
Il viso allora. Ei s'avanz con quella
Clava dal capo di giovenca in pugno,

ratto che

Bramosi

il

vedeano ambo

leoni

sue catene,

di giostrar, le

ceppi suoi l'un d'essi infranse e venner


Incontro al nobil re. Ma in su la testa

La clava

Behrm

gli

Ogni luce

E
E

batt tremenda e grave

valente e
vital.

gii

rap dagli occhi

Venne

dall'altro

su la testa gli batt la clava


dalla testa sfracellata

il

sangue

F' scendergli sul petto.

Il

re sovrano

assise su l'eburneo trono


corona sua, luce del mondo,
Si pose in capo. In Dio la sua speranza

Cos

si

la

Ei posta avea, ch'egli rifugio e speme


D'ogni mortai, di chi perdea sua via,

Guida secura.

Ma Khusrv

intanto

S'appresentava ed al novello sire


Alto omaggio rendea. Prence, egli disse.
Che alta sollevi la cervice, il tuo

Posar sul trono

sia felice e tutti

264

Gli eroi del mondo, nella tua presenza,

Fidi servi

ti

sian

Tu

se'

monarca
mente buona

servi a te siam noi, con

Accrescitori della gloria tua.

E gemme

splendienti a lui gittaro

prenci allora e con festanti voci


Gridar benedizioni al diadema

Imperiai

di lui. Gioioso

grido

Levossi intanto dalla terra in questo


E in quel confine, ed era al mese appunto

Di Azr propizio la gioconda festa,


Nel giorno di Sersh, quando quel forte
Di re dei re la dignit

si

prese

E buono stato ed operar leggiadro


Da quel grado cercossi e da quel trono.

Ma

intanto si levar nuvole in cielo


luna oscurossi e gi da l'alto
De le nuvole fosche in ampie falde

la

Cade

la

neve come

latte bianca,

Ne il mar si vede e non


Non de' monti il pendo;
Le penne non vegg'io

il

piano intorno.

pel ciel velato

de' corvi erranti.

Ecco sen va disperso il mio provento


D'un'ora in altra. Oh! che far cotesto
Ciel sublime di

E
E

me?

Salate carni

legno ed orzo mancano al meschino,


nulla in vista a lui fin che non torni

Mietitura dell'orzo. In questa tenebra,


In questo giorno di spavento, in questo

Spender mio grave, d'un'eburnea tinta


Si f' la terra per la molta neve,
E gi cade travolta ogni mia cosa
Alla rovina, se la destra mia
Un amico non prende e non sorregge.
Or io dir meravigliosa istoria
Di cui maggior, nella misura sua.
Immaginar non pu mente d'umani.

4.

Il

re Kehrm-gr.

Principio del regno di Behrm-gr.

I.

(Ed. Cale. p. 1487-1489).

Come

si

Behram-gr

assise

Parve che questo

suo eccelso grado

lui facesse pel

Imperiai.

Ma

in trono,

sol benedizioni

nobile signore

il

Iddio creante a venerar

prese,

si

Vigile Iddio, signor del mondo, quale

Ogni cosa dal ciel contempla e vede.


Di grandezza e vittoria almo signore,
D'incremento a' mortali e d'umil grado
Autor possente, e disse poi: Da Dio
Che nostra sorte gi cre propizia,
Ebbimi il trono e la corona. In lui
E la mia speme e da lui vienmi al core
E spavento e terror, pel suo favore
lui.

Ma

voi pur anco v'esaltate in

lui,

Animo grato ho inverso

Ma

Studio ponendo

il

te servir

La sua corona
Il

sia

Sciogliean

dicean

si

cingemmo

Al nostro sire

Noi

fortuna sua

lingua

Oh! sempre

fianchi.

propizia e lieta

la

la

tutti

e vivasi in eterno

suo bel core e

voi.

patto suo fermato

Di non infranger mai.


Gl'Irani allora e

2GG

Detti que' voti di benedizione,

Tutti dinanzi a lui gittaron quivi

Gemme

lucenti, e cosi disse allora

Prence Behrm: Deh! valorosi prenci,


Che gi vedeste segni e della buona
Fortuna e della rea, tutti slam servi.

Iddio
Non ad

sol uno,
altri,

lui sol l'omaggio,

ed a

dovuto. Or, da timore

isorte avversa liberi voi tutti


Noi renderemo e de' nemici rei
Necessit non addurremo in voi.
Questo egli disse, e dalla sua presenza
In pie levarsi i valorosi e nuove

Benedizioni

La

gli

apprestar. Si stettero

notte oscura in far parole assai


diverse; ma quando per la volta

Del ciel sereno disvel la fronte


Quest'almo sol, tranquillamente in trono
Il re si assise e a chiedergli l'accesso

Venian

Behrm

gl'Irani. Cosi disse allora


a'

prenci suoi

Deh

fortunati,

Deh! celebrati in questa terra, in Dio


Poniam la speme e gioia avrem. Lasciamo
Ogni delizia di quaggi, togliamo

Da questo mondo

chiedeano

il

cor.

gli eroi lor

Cosi

egli disse,

palafreni

Quali apprestati avean per la sua reggia.


Al terzo d, quand'egli assise in trono,

Le

leggi, disse, della

vera e santa

Religion non voglionsi in obblio


Porre da noi. Dell'essere di Dio

Testimonio facciamo asseverando


E di ci conoscenza a l'alme nostre

Diamo con cura. un paradiso

un

in cielo,

inferno laggi, de' morti corpi


Risurrezion sar, n scampo a noi

dal

Nel

di

male o dal ben. Quei che non crede


tremendo del giudizio estremo,

Ben sar

267

se da te di sapienza

di fede nel ciel detto fia privo.

Al quarto

d,

poi che

si

pose in capo

Quella corona sua propizia e cara

Su quel trono d'avorio, in questa guisa


Ei prese a favellar: Per miei tesori
Io non son lieto in alcun tempo; lieto
Pei mortali son

Gh' pur

io.

questa vita

breve, e cerco e bramo, e nullo

Ho dolor del partirne con afifanno


E con rancura. Sempiterna quella
Spiritai vita, e noi

Ma

ne siamo

al varco.

tu rifuggi da ogni voglia rea,

in cor non albergar doglia o tristezza.


Al quinto giorno cos disse Lieto,
Fin che in me sia poter, dell'altrui doglia
:

Non sar
Da noi si

mai. Bens con studio e cura

cerchi

il

dolce paradiso.

Oh! felice colui che altra semenza,


Fuor che del bene oprar, gittar non

volle!

Al sesto giorno cos disse a sue


Genti soggette: Deh! non sia che mai
Per noi si cerchi la sconfitta! Libero

Da ogni nemico reo per noi


Lo stuol de' nostri e tementi
Rendansi
Quand'ei

tutti gli avversari.


si

assise,

si

di

cos disse:

faccia

noi

Al settimo,.

prenci

Vigili e saggi e delle cose esperti.

Poi che male facciam vivendo insieme

gente rea, con gli uomini pi saggi


Stringiam connubio. Ma se alcuno mai

Non

operasse con ardente voglia

noi congiunto, egli vedr del

male

Pi che dal padre mio non vide un giorno;

208

E chi del mio voler si far scelta


Per obbedirmi, non di cor travaglio
Dovr soffrir, non doglia e non rancura.
Al giorno ottavo, poi che assise in trono
L'inclito sire, dalla reggia sua

A Giuvany fece un invito


Ad ogni prence, ad ogni

e disse:

pi famoso

In ogni terra, con giustizia e

Un'epistola scrivi e

di'

che

amore

in trono

Behrm lieto sed, signor di grazia


E di giustizia, da menzogne e frodi
Alieno sempre, che ha giustizia e amore
E forza e maest, che sol di Dio,

Giudice santo,

fa

ricordo. Intanto,

Io qui m'accolgo quale al

obbediente;

ma

cenno mio

chi vuol difesa

Opporvi

s, commette colpa. Assiso


mi son del padre mio valente
Al trono eccelso, qual fu pur costume

Io qui

Di prence Tahmurs giusto signore.


N con alcuno, fuor che mia giustizia.

Nulla in opra porr s'anche da quello


Molta venisse reit. Ma intanto

Accrescimento alla regal giustizia


Si recher pi che non gli avi miei,
E guida mi far per questa via
A tutti voi. Devoto a quella fede
Di profeta Zerdsht mi affermo e dico.

de' miei padri lascier

La via

giammai

che la vera e santa


Zerdsht antico

diritta,

Religione di

Innanzi mi porr, sovra il sentiero


Del verace profeta in ogni giorno
Insistendo cosi.

Donni qui
Guardiani

Ma

voi frattanto

siete d'ogni vostra cosa,


a'

confini e guardiani

riti della f. Donni pur anco


Voi ste qui de' vostri figli e delle
Spose leggiadre, e sia beato ogn'uomo
Avveduto ed accorto! E non vogliamo
I tesori colmar di fulgid'auro,

Dei

Che

si

resta nel duol la gente

Per quel colmo

tesoro.

grama

se la vita

Iddio signore ci dar, se tutta

Per le stelle del ciel la nostra brama


Vorr compirci, leggerete voi
Una epistola mia gioconda e gaia,
Si che n'abbiate in sempiterno poi
Inclito pregio e doni ancor. Da noi
Vada un saluto ad ogni prence in terra.
Che veramente l'amor suo a noi
Congiunto sta si come ordito a trama.

Posto

il

suggello a tutti

fogli,

il

sire

Messaggieri chiedea con molta lode,

E con

que' fogli ivano attorno allora

Incliti sacerdoti e cavalieri

Di cor veggente e celebrati savi.

II.

Partenza

di

Mundhir

e di

Nomu.

(Ed. Cale. p. 1489-1491).

All'altro

E
E

d,

quando spuntava

il

sole

cadea turbato
in fuga il sonno, appo Mundhir sen venne
Tutta la gente, che nel core appresi
Eran gl'Irani da timor pel sire.
Presso al nostro signor, dicean compunti,
la luce crescea,

Intercedi per noi, perch'ei dell'opre

Che femmo un

di,

perdoni

Di Yezdeghird per l'opere

le peccata.

men

belle

Tali Siam

atti noi,

che

congela

si

Nel cor de' pi lodati in fra i perigli


Il sangue; ond' che per le sue parole,
Per l'opre sue malvagie e triste, ancora
Per l'ingiustizia sua, per quel travaglio

rancura ch'egli a noi menava,


Freddo si fece il cor di tutti noi
Verso Behrm, che tutti in fiera doglia

la

noi per il monarca estinto.


Mundhr andava e fea benigno il core

Eramo

Del novello signor, dinanzi al u


Dispiegando vigor di caldi detti.
E quegli allora perdonava, molte

Ben che di tutti fosser le peccata.


Che di nobili sensi era quel grande,
Facitor di giustizia. Egli adornava
L'ostello imperiai

venano allora

Quanti grandezza avean, quanti alcun pregio

Avean con seco, e poi che il oco eletto


Della grandezza sua fu pronto e adorno,
Assidere vi fean quale pi degno
Era del loco, e in ogni parte intorno
Apprestavan le mense e un dolce vino

cantori chiedean, concenti e suoni.

Al

secondo accorse un'altra schiera.

di

per doni ch'ei fea, l'inclito sire


Divenne stanco. Al terzo giorno ancora
Furon feste e tripudi e vin giocondo

lungi fu

il

Del signor de

Narrava

E Nomn
D'ingenua

Mandar

dolor da quel palagio


la terra,

ed egli intanto

che fecero per lui

e Mundhr,

ambo

stirpe. Tutti

que' forti

prenci allora

benedizioni e auguri e voti

quella gente in armi forte, a quello

Ampio

deserto dilettoso, e

il

sire

271

le porte de' tesori suoi


pi bello con monete e drappi
L'ostello suo di re. Copia infinita

Schiuse

f'

Di palafreni e di lucenti redini,


Di corazze guerriere e di rubini
E d'ogni gemma splendente e vaga,

A Nomn,

a Mundhir, liberalmente
donava,
e Giuvany si mosse
Il re
E i ricchi doni a questi due gagliardi
Con cura numer. Ma ninno in terra

Del libero donar misura avea


Quanta il nobil signor, n tanta forza

Con tanto studio e cura. Ei molti doni


Fra gli Arabi spart, si ch'egli uscir
Dall'albergo real beati e

lieti.

Vesti regali furo addotte ancora

Ed un

E
E
E

cavallo ed

un guerresco

dato fu a Khusrv

carezze
il

f'

Di lieto

il

arnese,

nobil dono

gli f' l'inclito sire

seder sovra un inclito seggio,


augurio, a se d'accanto. Allora

re dei regi da Khusrv discese


Fino a Ners, dal trono suo reale

Il

Allo sgabello ne discese.

lui

Fratello era Ners, d'un solo core

d'una lingua; egli era ancor, quell'inclito,


D'anni minore a lui. Ma il gran signore
Dell'esercito suo principe il fece.
Perch la terra sua si governasse
Alle leggi conforme. Ei

si,

l'esercito

Affidava a Ners. Con questa sua


Grandezza liberal, tutto il suo regno

S'acquistava Behrm, ch'egli dischiuse


De' tesori le porte e die stipendi,

E beato n'and per sue monete


L'ampio drappello de' gagliardi suoi.

F' cenno poi che innanzi a

Avido

di saper, scriba

signore

lui,

Gushspe

Venisse tosto e venisse con lui


Vigile e accorto Giuvany, che a

Di denari del prence aveasi

E comand

il

mente

novero,

ch'ei cancellasse ratto

Qual era di tributi anche residuo


Sopra gl'Irani. Andavano gli scribi
Accorti e saggi allo scrittoio, andavano.

Per lor monete, appo Keyvn. Costui


Era a que' giorni un sapiente e in grembo
Il novero si avea di tutte cose

Che

al mondo sono. Del residuo integro


Del tributo regal per l'ampia terra

Fecer computo allor, l'uno con l'altro.


Gli uomini esperti, e per l'iranio suolo
Novero si comp ch' di trecentomila monete cento volte prese
Insieme tutte, poi novanta ancora.
Ma perdonava il nobile signore
L'alto tributo e lo scrittoio al fuoco

Abbandonava,

si

che tutte insieme

D'Irania le citt ne giubilarono.

Davver! quando

di ci novella intorno
S'ebbe ciascuno, benedisse al prence

Con molta lode ognun; tutti sen vennero


del Fuoco ed a l'ostello
Della festa di Sdeh e del principio

Ad un tempio

Dell'anno giovinetto, e su la

Muschio

vampa

intatto gittr, benedicendo

A Behrm
Mandava

regna tor con


il

liete voci.

sire esploratori suoi

Ad aggirarsi per la terra intorno


E fea ricerca di color che un giorno
Principe Yezdeghird cacci in
Tutti

si

gli

esigilo.

accoglieva entro a le

mura

273

D' un'amena citt, perch l pure

Giugnesse a lor

l'epistola regale,

Quando si fosse, grazioso invito


Per far con essa ai prenci tutti. A.ncora

Una

veste inviava ad ogni prence


secondo misura alto dominio
Dispensava di terre. Ogni pi saggio,

Ogni gagliardo preposto ai confini,


E i ministri del ciel, quanti il richiamo
Di principe

Behrm da lunge

intesero,

Veniano tutti a sua regal dimora,


Venian con volti sorridenti e lieti
E aperto il core. Comand che quale
Disceso fosse a dimandar giustizia.
De' sacerdoti al maggior duce andasse
Subitamente; e poi che in terra il suo
Alto

Un

comando ebbesi

loco e forza.

araldo egli pose in su

Questi detti a bandir


fidi -servi,

le

porte

Di vigil prence

lungi dall'affanno

dalla colpa esser possiate voi

In ogni tempo! D'ora in poi deh! fate

Benedizioni a quei che fanno

amena

dilettosa questa terra altrice

Di giustizia con l'opre, e in Dio frattanto


Riponete speranza in questa vita.
Ch'egli signor di tutte cose e primo
Aiutator. Chi segue

il

mio comando.
mio sentiero

dal mio patto, n dal

Volge

a dietro, alto da noi


avr con incremento,
E noi discaccerem dal nostro core
Ogni voglia pi trista e il reo pensiero
la fronte

Benefizio

si

Ma colui che stolto


Da giustizia rifugge, entro al castigo
Dar che gli apprestiam. Che se l'Eterno

Della vendetta.

FlRDOSI, VI.

18

274

Ci dar forza, nostra sorte in terra

Sar conforme a tutte voglie oneste


Del nostro core, e beneficio intanto
S'accrescer per parte nostra, e voi
Con molto onore.
Lodi farete a me.

Tutte andar

liete le citt d'Irania

sue parole. In tempo che il suo regno


Prosperando ne andava, ecco! che gioia
Ratto s'accrebbe e

faccenda

Furono e

di lui

si

scem

l'angoscia,

cene soltanto

caccie, palafreni ancora,

Nella palestra vibrar mazze e globi.

III.

Avventura

di

(Ed. Cale.

Avvenne

poi

S'accost

p.

giudeo.

1492-1497).

che un giorno

Alla caccia n'and

Con alcuni

Lanbek acquaiolo

Abraham

e di

Behrm

de' leoni

valente

de' suoi, prenci gagliardi.

un vecchio, un bastone

alla

mano,

disse al re: Signor fedele a Dio,

Uomini jiue son qui, prence, in la nostra


un ricco ed un meschino. Ed uno

Gittade,

Abraham

gli ,

pieno d'argento e d'oro,

Ingannator giudeo, di rea natura


Ma Lanbk generoso un acquaiolo.
Di parlar dolce, ospitalier mai sempre
;

Deh chi son cotesti?


Alla sua mensa.
Re Behrm dimand; che son nell'opre.
Che son

nei detti lor

Prence

sovrano,

Inclito re di nobile natura.

Un uomo
Lanbk

accorto rispondea, cotesto

d'acqua portator, di bella

275

Indole e dolce, ospitalier, di sensi

Generosi ed umani. Egli del giorno

Una met

dell'acque ha cura, e all'altra

chiama
mai
Lascia che resti al giorno di domani
Cosa nessuna, ch'ei non vuol che nulla

Met

del giorno dalla via

Ospiti in casa.

si

dell'oggi

In sua casa rimanga. Infruttuoso

Abraham giudeo, tristo ed avaro,


N l'avarizia sua che si nasconda,
d'uopo omai. Monete egli ha, tesori
E denari con

essi, anco tappeti


Da stendere sul suol, molte altre cose
Diverse ancora e preziose e belle.
Ad un araldo f' precetto il sire
E disse Va, dinanzi a questa mia
Regal dimora manda un grido Quegli
Che si berr dell'acque che attingea
Lanbk, dell'acque portator, quel bere
Cos egli attese
Gradito non avr .
Fin che nel cielo impallidiva il sole.
:

Sedette allor su rapido corsiero

nembo alla dimora


di
Lanbk.
L'anel con forza,
venne
Sen
Appeso al legno delle porte sue.
Voce mandando, il re battea; Son io
Dell'iranica schiera uno de' prenci;

veloce qual

Si f' scura la notte,

ed

io

rimasi

Deh! porgimi
dimora

dietro e lungi su la via.

In questa notte nella tua

Cortese ospizio, ed opera leggiadra

Sar cotesta e segno d'uman core.


Dietro alla voce di colui n'andava
Giubilando Lanbk, preso a que' detti

Amichevoli e onesti. Oh! gli dicea.


Entra qui tosto, o cavalier. Deh! sempre


Di te s'appaghi

il

276

nostro re! Se ancora

Fosser dieci con te, meglio saria,


Che ciascun d'essi qui sarebbe allora

Qual prence regnator sovra

Prence Behrm

E tosto
Lanbk

del destrier cura


gentil

mio capo.

il

discese dal cavallo,

prese

si

gioiosamente

il

corpo

Ne stropicci con un'adatta cosa


E posegli un guinzaglio alla cervice.
Behrm si assise, e rapido correa
Lanbk

Un

allora e portavagli innanzi

suo gioco

con arte,

di scacchi, indi,

Procacciava una cena ed imbandia


Imbandigioni d'ogni sorta e intanto

A Behrm

si

dicea:

Deh! valoroso.

Del gioco tuo, per la gradita cena,


Si prese allora
Depon gli arnesi omai.

Le cose apposte da Lanbk

si

il

prence

volse e le pose a s dinanzi.

Tosto che
Di puro

il

pane fu gustato, un nappo

vino, allegro ed a l'istante,

L'ospite gli port. Meravigliava

Di tanta festa sua l'inclito

sire,

Dei dolci detti suoi meravigliava

di

quel volto sorridente. Intanto,


ei dorm. Gli occhi riaperse

Quella notte
Il

nobile signor dietro la voce

Dell'ospite al mattin, sul

Che Lanbk

gli

primo albore,

dicea: Davver! stanotte

Il suo foraggio il tuo destrier non ebbe!


Oggi soltanto ospite mio qui resta,
E se compagni anche vuoi tu, qualcuno

Qui chiameremo. Quanto a noi fa d'uopo,


Noi recherem; con tua letizia ancora
Cure d'assai
Oggi resta con me.

Oggi invero non ho, disse

il

monarca


All'acquaiolo.

277

And

Alquanti orci con s;

Lanbk e

ma

trasse

niuno apparve

Comperator dell'acque sue. Si dolse


L'uom generoso e si spogli d'un suo
Leggero guarnellin, si cinse al petto
Un mantil che di sotto agli otri suoi
Distendere

E
E

quale tappeto,

ei solea

alle piazze n'and. Di


di

carne allora

caciuole acquisi o fece e poi,

Qual costume, su la fiamma viva


Pose un caldaio, e l'ospite frattanto
Al suo lungo travaglio riguardava.
Cosse quel cibo, e ne mangiavan quelli
E del vino chiedean, novellamente
Apprestando una festa. E in quella notte
Oscura si, di vin con una tazza
In mano, si rest Belirm valente,

seco stava, addetto al vin giocondo,

Lanbk dell'acqua

venditor.

Ma quando

Giorno divenne quella notte, corse


Lanbk rapidamente e venne accanto

principe Belirm. Dissegli allora:


Sii tu

Sciolto

beato e notte e giorno, sciolto.

mai sempre da dolor, da affanno

E da rancura! A me
Resta oggi ancora

Mi rendi l'alma

d'accanto resta.

Sappi che restando

e la ricchezza.

Questo,

Behrm rispose, mai non sia^che lieti


Non viviam noi nel terzo giorno ancora!
Il

benedisse l'acquaiolo e aggiunse:

Vigile in cor tu

sii,

propizia fortuna

Scese a

le

congiunto sempre

Gli arnesi suoi; qual

Presso un

in questi detti

piazze e seco gli otri e tutti

pegno

uomo opulento

ei

li

depose

e ci che d'uopo

Eragli allora, s'acquist col prezzo

278

E correndo torn, torn in letizia


Presso prence Behrm. Dissegli allora:
M'aita in preparar cotesti

Che
Dai

il

cibi,

nutrimento suo tragge

cibi apposti.

Quelle

il

mortale

carni allora

Prese Behrm subitamente e in parti


Si le divise, e parve che sul fuoco
Moltiplicate le vivande fossero.
Ratto che il pane fu gustato, ei presero

vino e tazze e pronunciar bevendo

Del re dei regi

Tosto che

il

F' all'ospite

sacro nome, e

poi.

Lanbk

pei dolci sonni

capezzale un candelier gli pose.


Al quarto d, quando splendette il sole,
al

Destossi

Behram-gr dai

E venne
E

il

vino fu bevuto, un loco

dolci sonni,

allor quell'ospite cortese

dissegli

Guerrier famoso in armi,

In questa casa tenebrosa e angusta

Sei tu rimaso.

Non

dubbio intanto

tu non stai.
Ma, se del prence dell'irania terra
Temente non sei tu, due settimane
In questa casa che non ha valore,

Che

in questa casa

Se piace

al

bene

tuo bel cor, fermati e resta.


il benedisse e questa

Prence Behrm
Risposta

gli

rend: Vivi beato

vivi allegro in tutti gli anni tuoi,

In tutti

mesi! Letiziando noi

In questa casa per tre di

dei re della terra

restammo

femmo ancora

Nobil ricordo. Le parole tue

Dir dovunque,

Per esso

il

il

si

che luce acquisti

tuo bel cor con la tua voglia

tuo consigho, e rechi a te buon frutto

L'ospitale opra tua. Se pi farai.


Ella ancor

279

dar seggio e corona.

ti

Venne qual turbo

e al palafren la sella

gramo albergo

Pose. Tornossi da quel

Delle sue caccie al loco, ed era

cacciava

La notte

fin

sua scorta.

cal. Dalla

si

lieto,

che gi dal monte

All'improvviso, dilungossi allora.

Nascostamente allor da le sue schiere


si tolse e venne alla dimora

Behrm

Abraham. A quella porta

Dell'avaro

Egli batt, poi disse: Io son rimaso

Indietro dal mio re, quand'ei reda

Dalla sua caccia.

E
Il

la notte

sorvenne

non conosco e non potrei


mio prence trovar con la sua schiera.

la via

Ma

se,

per questa notte, in questa casa

Ospizio trover, non sar alcuno

In travaglio per me.

Ne

Nella presenza d'Abraham

andava allora
servo.

il

Cose che udite avea da quell'illustre,


Diceagli intento, ed

non

Di ci

Abraham

t'affannar,

ma

non avrai tu

Ospizio qui

gli disse:

gli rispondi:

Ne

andava

L'apportator di quel messaggio e al prence


Cosi dicea

riposar.

Behrm

Non

per te qui loco

Rispondi

dissegli allor,

al

tuo signore,

che non modo

Ch'io di qui m'allontani. In questa notte


Ospizio

ti

chiegg'io,

Cosa ch' tua,

Come

l'ud,

ti

ne per alcuna

apporter disagio.

ne and correndo

il

servo

Da presso ad Abraham. Per questa

notte,

Ei disse, dilungar da questa casa

Non vuole
Il

il

cavaher. Lungo divenne

far parole e

Va senza

il

far consiglio seco.

indugio,

Abraham

gli rispose,

_
E

280

a colui che angusto il loco. Povero


stanza un giudeo che con "la fame

di'

V'ha sua

Passa la notte e nudo su

la

terra

Ei si diceano, e intanto,
Sonno si prende.
Se ospizio non avr, Behrm soggiunse,

Nella tua casa e se

ti

fa disagio,

Su questa porta dormir; non chieggo


Stanza nessuna e per nessuna cosa
Deh! cavaliere,
Altro consiglio ho in cor.

Gridavagli Abraham, che ami la pugna,

Tu in travaglio mi poni in fiera guisa.


Che se tu dormi su la porta e alcuno
D'alcuna cosa

ti

deruba, in grave

Turbamento perci mi condurrai.


Entra dunque in mia casa ove ti sia
Angusto il mondo e misero il tuo stato

E derelitto, con tal patto in pria


Che nulla tu da me dimanderai.
Ch'io non posseggo, per la morte mia.

Non un
Behrm

Rispose
non un mantil.
Deh! tu cortese e buono!
Ma te in disagio non terr, che bastami
Per loco mio la porta di tua casa.

lenzuol,
allor:

've senza sonagli e senza grida

Far

la scolta.

Ed

Abraham

allora

Ebbesi piena di pensier la mente

quel suo

dir.

Parve una selva

Davver! quell'alma sua


di pensieri!

Intanto

In suo core ei dicea: Gi non dilunga

Dalla mia porta cotest'uom protervo,

Ed io mi penso che del suo destriero


Gridava ancora:
Cura soverchia egli ha.
O gagliardo che eretta hai la cervice.
Il tuo molto parlar m'ha il cor trafitto.

Ma

se cotesto tuo destrier la terra

D'orina e fimo sparger, se mai

281

Infranger un matton della mia casa,


All'alba fuori tu trarrai quel fimo

E scoperai la casa, e Timmondizia


Nel campo recherai. Darai tu ancora
De' mattoni che il fuoco un d cuocea,
L'intero prezzo e lo darai nell'ora
Che
S

il

Behrm

Il

patto

disse, e

pongo

capo mio per questi

offici.

confermo,

pegno

In

sarai desto dal tuo sonno.

ti

Cosi discese e

il

palafreno avvinse

Con le redini sue, trasse dal fodero


La spada acuta e su la terra stese
Lo strato dell'arcion, Tarcion si tolse
Per origliere e l gittossi, e intanto
Stavan sul nudo suol scoverti
piedi.
i

Chiuse

il

la

A
A

prender

mensa

giudeo

la

porta de la casa

rec, poscia sedette

cavaliero, ei disse

cibo.

principe Behrm, questa sentenza,

Udita che l'avrai, serbati in mente:

mondo mangia

chi possiede, e quando


guardar chi mangia .
Disse Behrm allor: Questa sentenza

Nel

Cibo non

Da vecchie

stassi a

istorie intesi gi,

Manifeste vid'io

le

ma

in oggi

udite cose.

Quali dicesti a sentenziar conforme


D'antico saggio.

Rec

vino allora

ne bevve a saziet il giudeo,


E pel vino giocondo in lui s'accrebbe
Una strana allegria. Gridava intanto
s

travagliato cavalier, tu porgi

L'orecchio intento alla sentenza antica

Mangia quei che

possiede, allor

che apponga

Cibo sul desco, e rende grazia a questo


Possesso suo. Di chi possiede

Sempre

sereno, e le

il

core

monete sue

282

Gli son dinanzi qual corazza; e quegli

Che non ha, se ne sta con labbro


Cos come sei tu digiuno ancora

mezzanotte

Behrm

Questo gran

gli disse tosto, oggi

che

Se

lieto fine dalla

Felice

un

vidi.

coppa tua

felice

d,

bevitore.

il

vino e quella coppa allegra!

il

Quando

Come

portento,

ben

d'uopo ricordarlo. Intanto,

fia

Ottieni

asciutto

sul

monte

trafieri,

sollev suoi raggi.

questo sol splendente.

Dal breve sonno rapido levossi


Prence Behrm. Pose la sella al suo
Destrier veloce. Deh! qual sella! Un arido
Gruanciale era per lui! Ma venne allora

Abraham

e gli disse:

cavaliere.

Nelle promesse tue non sei costante.


Dicesti gi

Di questo palafreno

con le scope d'un sol tratto il fimo


Via spazzer . Ci che dicesti adunque,
Tu spazza e porta fuori. Ecco! a disagio
Io

mi son per l'ospite non giusto.


Behrm, recami un servo
Che delle vesti sue nel grembo accolto

Io qui

Va,

gli disse

Portisi questo fimo.

Le immondizie

E per

ch'ei rechi

di fuori e s le porti

Dalla tua casa alla campagna, un dono

Con oro

Ho

gli far.

qui, risposegii

Deh

Brutture scopi e fuor

la fossa le getti!

Che meco festi, alla


Che non bello eh'

Come

che nessuno

Abraham, che queste


le porti e

dentro

Or tu quel patto
bugia non volgere.
io

ti

chiami ingiusto.

ascolt quelle parole sue

Prence Behrm, ad un pensier novello


Die fondamento. Dentro a un suo calzare

283

Stava nascosto pien

Tutto
Ei

di seta

un

di

muschio e d'ambra

bel sudario. Fuori

lo trasse e quell'accolto

fimo

Sgombrando in esso, lo gitt di fuori


Con le immondizie nella fossa. Corse,
Corse allora Abraham, rapidamente
sudario raccolse, e ne stupia
Prence Behrm. Davver! disse al giudeo,
Se il nostro sire avr senior giammai
Il

Di tua grandezza, accorto ospite mio.

Quaggi nel mondo ei ti far disciolto


Da ogni grave bisogno e sovra prenci
Ci detto,
Inclito grado ti dar
Ei si part. Sen venne alla regale
Dimora sua, ci che pur far dovesse
i

Tutta

la

Ma

notte a ripensar.

in quella

Notte, in le stanze, per pensieri suoi,

Sonno

Non

ei

non prese. Egli

ridea,

ma

parte

ad alcun dell'alto suo secreto.


Al primo albor, quand' ei si pose in fronte
La sua corona e die l'accesso a tutto
Il

f'

popolo guerriero, alto precetto

F' che venisse a

lui,

le

man

conserte,

Lanbk dell'acque portator. Gli addussero


Anche Abraham che a piedi ne venia.
Il

protervo giudeo

di tristo

nome.

In quell'aula regal com'ei discese.

L fu posto a seder l'uom sciagurato


Ed invito a tal uom di nobil core
Tosto

si

fece. Va, gli disse

il

prence,

E teco adduci tuoi cavalli e vedi


Che sol giusto tu sii. Ma nella casa
Entra tu di Abraham senza indugiarti
E vedi di recar ci che l trovi
E riposto e celato. And colui
i

Di nobil core del giudeo protervo

284

Alla dimora, ed era quella casa


Tutta a monete ed a broccati; e v'erano
Vesti e tappeti e ricchissimi drappi

E ricolmi tesori, ed un albergo


Da carovane in quel lontano ostello
Era pur anco, n per tante merci
Era libero spazio in su la terra,
Non per l'argento ivi raccolto e l'oro.
Non per le gemme una corona grande
;

In ciascuna sportella era nascosta.

Qual

fosse, non sapeva il sacerdote


Computo vero di cotanto e chiese
Dalla pianura di Gihrm a mille
Forti cammelli. Tutto entro a le some

Accumular,

che nulla restava,

ratto per la via le carovane

Quell'uom giusto sospinse. Allor che dentro

l'ostello

regal sorse frastuono

Di sonagli improvviso, ecco! quel saggio


Innanzi venne e le compiute cose

Al suo prence narr. Nel tuo tesoro,

non davver copia maggiore


gemme, e restano pur anco
Dugento some di giumenti.
Allora
Disse,

Di queste

Forte stupa quel principe d'Irania


E nel suo cor novelli s'accogliea
Di ci pensieri. Tanto,

ei si pensava,
giudeo per se! Quando scarsezza
d'ogni giorno il vitto suo, qual frutto?

Lucr

Ha

il

some carche
monete ancora,

Allor, fra quelle, cento

D'oro lucente e

di

Carche di drappi e d'altre cose assai


Fra lor diverse, il principe del mondo
All'acquaiol don, s che n'andava
Lanbk per la sua via seco recando
Colmo tesoro. Ed Abraham giudeo
A s il prence chiam, cos gli disse:

285

Deh! tu che per

vilt

congiunto

sei

Al fango de la terra, oh che di' mai


Che il tuo profeta visse tanto? E questo
S lungo lagrimar per tua ricchezza
!

che ti giova? Un cavalier qui venne


E motto fece a me delle sentenze
Che gi vecchie si fean: Che pi si mangia

Chi pi possiede, egli dicea; vanisce


Chi non ha nulla . Or tu l'avida mano
Ritraggi omai da quel tuo cibo e d'oggi,
E d'oggi in poi vedi qual sia del povero
E molto ancora
Acquaiol la vivanda.

Ei favell di quel raccolto fimo

del sudario intesto d'or, di quelli

Mattoni infranti, all'uom


Abietto e

di

sinagoga

Quattro monete

vii.

Al malvagio pur anco e

si

porse

ei

gli disse:

Cespite di ricchezza abbi cotesto,

Che pi di questo
Van le monete ai
Rimane il capo a

a te non

conviene;

si

poverelli, e solo
te.

Cosi quel

prence

chi degno gli parve, ogni restante

Cosa don, mentre piangendo forte


il giudeo. Diede al saccheggio

Andavano
Quanto
Quanto

in casa di quello
di

anche restava,

gente estrana era pi degno.

Behrm

IV. Battaglia di
(Ed.

Ma quando

Cale. p. 1497-1499).

all'uopo vennergli

Atti a la caccia,

si

A un

segugi

parti dal loco

Prence Behrm, che


In lui levossi.

coi leoni.

di

cacciar desio

rapido destriero

286

Balz in arcioni e ne* campi discese,

Un falco in
Una foresta

pugno. Vennegli

contro

di

d'alberi affollata.

Loco propizio ad abitar per

Che amica avesse

tale

Verde
Era quel loco quale un paradiso,
Ma quadrupedi in esso o gente in volta
Ei non vide, e pens
Loco gli questo
Di leoni selvaggi, e l'uom di senno
Indugiar non vi pu.
Cos per l'aspra
la

fortuna.

Foresta s'aggir

l'inclito sire

un

in ogni parte

coiai poco

guardo

il

Volse all'intorno. Vide alfn nel bosco

Un leon fero, e per domar leoni


Vide che all'uopo era la spada. Allora
Alto un grido

mand contro

al leone

Agreste e maschio, e quando


Contro gli si avvent, spinse

leon fero

il

cavallo

il

un'altra parte de la selva ed arse

Di nobile furor

come

la

vampa

D'Azergashspe. In quell'istante fuori


Balz

L'uom

la

belva e tese all'arco

valoroso.

Egli avvent

il

si

Una volante
che passgli

cor con esso, e di furor

Della femina sua per esso

il

nervo

il

freccia
il

si

fianco

core.

Contro a Behrm die un balzo

die

un ruggito e

accese
la

leena

gi gli artigli suoi

Del re cacciava alla persona, quando


prode cavalier tutta la spada

Il

Nel ventre

le cacci. Dalla battaglia

la pugnace belva.
D'un buono agricoltor, devoto a Dio,
Era in quel bosco la dimora. Il nome
Mihr-bidd n'era, ed ei gioia del colpo
Di quella spada di Behrm. Uscia

Ratto cessava


Dalla foresta

287

vecchio, ivi la lingua

il

Scioglieva a pronunciar parole dolci,

quand'ei giunse al principe d'Irania

nel cospetto,

Riverente

Amico

il

benedisse e omaggio

ancora:

gli f', dissegli

al tuo desio, nobil signore.

L'astro sia

sempre

Agricoltor son

io,

di fortuna.

Semplice

re di bel senno,

E di questo confn, di questa terra


Anche signor, di questa casa ancora.
Signor

di

bovi e di giumenti assai

assai, ma tristo e mesto


Nel cor profondo per que' due leoni.
Or per Iddio con la tua man possente,
Per l'elsa tua, dell'arco tuo pel forte
Anello incurvo, la faccenda grave
di

pecore

Ratto compose. E tu per alcun tempo


Qui resta, o nobil re, nel verde bosco.

Per

ch'io

ti

rechi un puro vino e miele

Qui son tanti agnelli


Quanti vengono all'uopo alberi sono
Che recan frutti e gettan ombre liete.
latte ancora.

Prence Behrm discese dal cavallo


Subitamente e quel selvoso loco
Tutto intorno osserv, che veramente
Era la terra tutta verde ed acque
Scorrenti eranvi ancor, quale pur luogo
Adatto a un bel garzon per abitarvi.
Mihr-bidd se n'and, musici esperti

Condusse poi, di quel villaggio addusse


Alcuni prenci e molti pingui agnelli
Ivi sgozz, poi venne con un aureo
Bicchiere in pugno. Ratto che per essi
Il pane si gust, fr posti i nappi
Colmi di vino ed a Behrm dinanzi
Rose gittate con fiengreco. Intanto

Vuotava un nappo Mihr-bidd e l'altro


A Behrm ei porgea, studio ponendo
Per dargli gioia a quel banchetto suo.
Ma quando allegro per il molto vino
Fu Mihr-bidd, Eroe che belle in terra
L'orme tue stampi, ei disse al re, deh! sappi

Che tu somigli
La bianca luna

al nostro re; tu
al

mezzo

sembri

del suo corso

Allor che splende a mezzanotte.

Cosa cotesta, re Behrm

gli

Ma

chi dipinse questo volto

Che

tale crea quale pi vuol,

Lieta

disse.

un Sire

n mai
Incremento egli vede in s medesmo
alcuna defezion. Che se davvero
10 somiglio al mio re, dono di questa.
Selva e del loco

Questo

ti

far ch' intorno.

egli disse e si balz in arcioni

Per ritornarsi, e ascese alla sua gaia


Dimora imperiale ebbro dal vino.
In quella notte oscura ei non dorma
Negli orti suoi, che ricordossi allora
Le molli labbra de le sue fanciulle.
Al primo albor, come sedette in trono.
Del vino ei dimand. Vennero allora
Gioiosamente

di

E venne ancora

sue schiere

duci

in quell'istante

un capo

De' villaggi a l'intorno. Alquanti frutti


Del suo villaggio al nobile signore
Costui recava e

some

di

cammelli.

Cariche tutte di pomi granati.


Di mele agresti e di pomi cotogni,
E di mazzi di rose, insiem conserti
In foggia imperiai. Di questa terra
11 nobile signor, tosto che il vide.
Gli

f'

Ajiche

carezze e loco fra


gli fece.

Ma

gli eroi

costui, di ville

289

Principe, che venia con frutti e odori.

un nome avea
E Kery era detto. Allor che lieto
Fu s costui del sire nel cospetto,
In pelilvica lingua

Nella presenza degli eroi, per quella


di cristallo un nappo
colmo di vino, e ratto
Per quel nappo di vin caddegli in core

Nobile

festa,

Ei vide

l,

Un turbamento.
La man distese

e corse a quel di vino

Ricolmo nappo,

in pie balzato in pria.

Ai prenci tutti innanzi

del re dei regi in far ricordo.

Ivi,

nappo e disse Io qui mi sono,


nome, bevitor di vino.
Tosto che innanzi al prence mio sovrano
Vuotato avr questo ricolmo nappo
Di vin giocondo, ancor dell'altro, o sire,
Riceverne potr.
Questo egli disse,
Poscia in misura egual sette ne bevve
Colmi bicchieri e scompigli il consesso
Atterr

Kery

il

di

De' bevitori del giocondo vino.

Ma

cenno del suo re, n'andava


che Behrm volea
Manifesto veder come passava
poi, col

Kery

di fuori,

Pel corpo

di colui

vino gagliardo.

Dalla citt gioiosamente intanto


liscia

Kery

Caldo

gli

alla

campagna;

quando

gorgogli nel colmo ventre

fumoso licor, di mezzo all'ampia


Turba raccolta spinse il palafreno
E da que' campi fino al pie d'un monte
Il

Correndo

l'incit. Gi da cavallo
Quivi l'ebbro discese ed un riposto
Loco, guardando, si cerc, si pose

ombroso e s'addorm. Discese


montagna un nero corvo allora,

In loco

Dalla

PlRDCSI, VI.

19

290

sui loco de' suoi dolci sonni,

l,

Quest'occhio e quello

divelse, e

gli

quando

lui le genti in folla.

Corsero dietro a
Morto Kery scoversero del monte
Eccelso al piede, ambo quegli occhi suoi

Dal nero corvo toltigli di fronte,


stavagli daccanto e in sulla via
Abbandonato il palafren. Sen vennero

Anche i famigli suoi mesti e piangenti,


Vennero conturbati e sbigottiti
colmo nappo.
che assorse
A principe Behrm,
fedeli
de'
un
loco,
dal
sonno
Del suo
Rapido venne e disse: Un nero corvo
Gli occhi lucenti, a pie della montagna,

Per

la festa regal, pel

tosto

Via strappava a Kery vinto dal vino.

Smorte si fero al principe del mondo


Le gote allora e pieno ei fu d'angoscia
Per tal sventura di Kery, e tosto
Dall'alto della reggia, a un suo comando,
Voce s'intese che dicea: Deh! illustri
Di questa terra, dignit che avete
E senno antico, per la terra tutta
Vietasi

E ad

il

vin d'oggi in avanti, a prenci


Per questa foggia

artefici ancor.

un anno

Intero

Per vietato
Il

si

si

passava e ognuno

avea ne' pasti suoi

vin giocondo, e

il

re se n'astenea

suoi banchetti e

Quando imbandiva
Da leggersi chiedea carte
V.

Avventura

quando

vetuste.

del giovane calzolaio.

(Ed. Cale. p. 1500-1501).

Dur

tal

norma

fin

che un garzoncello.

Di sandali sartor, donna

si

chiese

291

nome e di gran pregio e ricca.


grave faccenda ei non potea
Nulla ottener, s che piangea dolente
La madre sua per la sua trista sorte.
D'inclito

In sua

Ma

poich

buon vin piccola parte

di

Riposta ella

avea, trasse

si

Nella sua casa, e a questo

Tenero ancora,

il

fanciullo

figlio suo,

cos disse: Bevi,

Bevi di questo vin sette bicchieri,


E andrai sicuro e andrai gioioso. Forse
In questa notte romperai l'angusto

Oh! come mai

Suggello.

la

dura pietra

Del tuo arnese la gru scavar potra?


De' sandali il sartor sette bevea

Ed

ancor nappi

otto

Forte

Si fece

Del dolce vin la coppa

pie.

il

Ardito fece

garzoncello, ed ei

il

Sen venne ratto e


Alla porta

Toccato

il

fin

il

di

sua casa sciolse

pertugio. Allor tornava

madre;

Alla sua

Avvenne un
E

di vino, e intanto

fece la sua cute e fermo

si

lieto ei

le

tornava,

d'ogni sua dolce voglia.


d

che infranse

ceppi suoi

discese alla via fiero leone

De' leoni del prence.

De' sandali in quel

Anche briaco

tempo era

il

sartore;

Nella vagina rigoglioso e forte


Iva l'arnese suo picciolo in pria.

Rapido

ei

venne e

Si assise e la

man

sul leon

ruggente

stese e con la

mano

orecchi gh afferr. L'orrida belva


Ebbe stanchezza allor, ma il giovinetto

Grli

Stavale sopra e sottostava quella.

Correndo

Venne

Mano

il

ei

allor qual rapido cursore.


custode dei leoni, e in questa

recava una catena, e

in quella

Attorto laccio, quando l seduto

Sul dorso del leon, qual su giumento


Cavalcator gagliardo, egli scoverse
De' sandali

il

sartor.

Correndo allora

Della reggia alla porta egli tornava.

Arditamente innanzi al re venia.


L raccontava qual veduto avea
Strano prodigio, cli'ei ben visto avea
Con gli occhi suoi ci che narrar pi mai
Udito non avria. Meravigliava
Il

nobile signor dell'ampia terra,

de' ministri e sacerdoti al

Fatto un invito, Vedi

tu,

duce

dicea

De' sacerdoti al principe, cotesto


Di sandali sartor da chi ritrae

Suo nascimento. Se d'eroe progenie


Egli davver, bello cotesto e giusto,

Che inver
Ai

forti in

s'addice d'animo vigore

guerra.

quelli fean ricerca

dissero parole a quella sua

Antica madre, se del garzoncello


Fosse maggior dell'arte mile e vile
Il nascimento. Ma poich soverchio

Erano lunghe lor parole a quella


Sua genitrice, rapida si mosse
Ed il secreto innanzi al re disciolse.
All'iranio signor benedicendo,

Cosi disse ella in pria: Vivi beato


Fin che duri il tuo tempo! Esto fanciullo,

Troppo tenero ancor, donna

si

scelse

fu signor d'una famiglia. Intanto

Nella faccenda sua fiacco ed inerte


Era l'arnese, e la sua donna fiacco

selvaggio costui

Ma

fra s dicea.

tre coppe di vin colatamente

Io si gli porsi, e

niun frattanto in terra

293

suo secreto conoscea. Si fecero

Il

Le gote suo

lev

il

di porpora ad un tratto
capo quel suo arnese e tosto

Quale un osso divenne. Or, la sua nobile


Stirpe davver si sta del vin giocondo
In quei tre nappi; e chi sapea che tanto
il nostro re? Ma l'avo
Del garzoncel di sandali sartore

Udir volesse

Fu veramente ed

sartor di sandali

garzoncello, e pi nobil natura

Il

Non venne

a lui dell'arte sua giammai.


Per quella donna semplice ed antica

Sorrise alquanto

il

nobil sire e disse:

Nascondersi non vuol la vaga istoria!


Ed or, cosi parlava al sacerdote,
Lecito il dolce vino, e porger
A' bevitori noi dobbiam. Di vino

Tanto
Seder

il

si

beva alcun che sul leone

si

possa truculento e fiero

leon non l'atterri.

Ne beva alcun

lui

norma

Oh

ma non

tanto

per, che negri corvi

dormiente ed ebbro

in sul sentiero

Gli occhi dal capo strappino col rostro.

L, su la porta del regal palagio.

Un

grido sorse allor: Deh! valorosi

Dai cinti aurati, possa

ognun

di voi

Bersi del vin dentro misura, e intanto

Dal suo principio

l'esito dell'opra

Vada osservando. Poi che

il

dolce vino

V'avr condotto a misurata gioia,


Ite ai placidi sonni, onde non caggia
In guisa sconcia il corpo vostro innanzi.

VI.

Il

294

villaggio distrutto e riedificato.


(Ed. Cale.

p.

1501-1504).

Al primo albor del terzo giorno andava


Prence Behrm della .sua caccia al loco,
Egli co' prodi suoi.

Hormz

Da mano manca

ministro gli venia, da destra

Di nobile consiglio

il

sacerdote,

Quali a narrargli portentose istorie

Erano intenti, e di Gemshd antico


di Fredm tenean parole. Innanzi
Eran cani e cervieri e falchi arditi

E
E

falconi reali. In cotal guisa

Breve

rendea del giorno lungo e lento

ei

gravoso durar. Ma quando il sole


Tocc splendente d'esto ciel la volta.
In nessun luogo di gazzelle e onagri
Il

Orma

ei

scoverse; e poi che l'offendea

Questo fulgido sol co' rai cocenti,


Di sua caccia dal posto ei fea ritorno
Corrucciato del cor. Ma un verde loco
Vennegli innanzi allor; pieno di case
Era e d'uomini e pieno di quadrupedi,
E molti in su la via da quel villaggio
Scesero in

folla e

vennero all'incontro

Delle sue schiere a riguardar. Nessuno

Benedisse

al

suo re; detto tu avresti

Che quai giumenti erano

avvinti al suolo

Tutti cotesti, e pieno d'ira intanto,

Pien di corruccio il re del mondo, fiera


Di scender nel villaggio entro al suo core
Una brama si avea. Per si dolse

295

Di quella gente n le volse un guardo

Con un

atto benigno e al sacerdote

F' in suo disdegno questi detti

Oh

possa

Cotesto loco, sciagurato e infausto,

Di belve agresti e

di

selvaggie fiere

Diventar nido, e come pece torbida

L'acqua diventi ne' ruscelli suoi!


Quale fosse il voler del suo signore
Conobbe ratto il sacerdote, e tosto

quel villaggio dalla via discese.


ei disse: Oh! questo loco,

Agli abitanti

Ch' verde e pien

E d'uomini

cos,

di frutti

piacque

al

quadrupedi

di

signore

Di tutti i re, prence Behrm, che nuovo.


Dolce deso ripose in esso. Or voi
Tutti principi ei fa d'un tratto e insieme.

Perch poi d'esto borgo ameno e bello


una citt. Donne e fanciulli.

Facciasi

Prenci voi siete in questo borgo, e d'uopo


Non che alcun di voi serva e obbedisca.
Artefici che vivon per mercede,
E signori di case, ecco! un sol grado
In questo loco abbiansi ornai. Voi tutti.

Uomini e donne e teneri garzoni,


D'esto villaggio principi sarete.

Da quel borgo opulento alto


un grido, che principi

Di gioia

levossi
tutti

Egli erano davver, pari ed eguali;

Uomini e donne e servi per mercede

famigli cos furon di pari

Consiglio e potest col lor signore,

E tosto che pi giovani del borgo


Da ogni timor furon disciolti, al prence
i

Di lor villaggio repentini e pronti

Recisero

la testa, indi fra loro

S'accapighr, versarono dovunque.


Ed

in luoghi inaccessi,

Come

poi

si

296

caldo sangue.

il

lev tanto scompiglio

In quel loco abitato, all'improvviso

Tutti dal borgo presero la fuga.


i
vecchi affranti, nullo
Stromento intatto a lavorar campagne
Lasciato l, non frutti e non arnesi
E non armi di guerra. E desolato

Abbandonando

E tristo aspetto quel bel loco assunse,


E seccaron le piante ed ruscelli
Restar senz'onda. Fu deserto il piano,
i

Fr

le

N'eran

case deserte, che fuggite


le genti

con

ancora.

lo bestie

Poi che un anno pass, quando ritorno


F' primavera, a quella parte andava
L'iranio sire per

la

caccia, e allora

ameno

Ch'egli giunse a quel loco

in pria

fiorente e beato, in riguardando

Nulla trov che integro

Eran

le piante

Senz'uomini

Vuota

la

fosse.

e deserte

Vizze

le case,

terra e di quadrupedi

all'intorno. Pallida

si

fea

Di principe Behrni per ci la gota.


S ch'ei

temette dell'Eterno e pieno

Fu d'acerbo

dolor. Si volse e disse

Al sacerdote: Deh! Ruzbh, qual mai


Sventura qui! Deserto il loco ameno!
Ma tu va tosto e co' tesori miei
Rendilo colto ed abitato, adopra
Che d'ora in poi non veggasi rancura.
Del re dei regi dal cospetto andava
Il

sacerdote e rapido scendea

quel loco deserto. Ei s'atfrettava

Da questo a quello

de' villaggi e alfine

Inoperoso rinvenia sul loco

Un

vecchio stanco. Gi discese a terra

297

Dal palafreno e f' carezze al vecchio


E a s d'accanto il fece assiso e dissegli:
Antico sere, deh! chi mai rendea
Cos deserto questo loco

Un

d,

rispose,

Da questa terra

Un

ameno?

passaggio

nostra, e

prence

il

venne allora

sacerdote senza senno; egli era

Di quegl'

Che

f'

incliti suoi

disse a noi

Signori e duci.

che non dan

frutto,

Tutti qui siete ornai

vi

guardate ancora

Dal far stima d'altrui. Tutti ed insieme


Prenci siete del loco. Or de' sovrani

D'un tempo siete voi, uomini e donne,


E imperanti e signori . Ei cosi disse,

E ratto di scompiglio e di tumulto


Pieno and questo borgo. Oh di rapine
Anche fu pieno e di morti e di colpi
!

Mortiferi di legni!

Amico

a quello,

Come egli merta, sia dal cielo Iddio


E rinnovinsi a lui rancura e morte
Ed ambascia

di core in sempiterno!
peggior stato volge omai frattanto
Condizion di questo loco, e tale

, che lagrimar di noi s'addice.


Per quel vegliardo fu d'angoscia pieno
Sacerdote Ruzbh; f' inchiesta e disse:
Quale il duce di voi ?
Questa risposta

Egli

vegliardo rendea: L 've ora crescono


Erbe e sementi, il nostro duce.
Oh! dunque,
Il

Ruzbh

dissegli allor,

In questo loco.

prence tu

Deh! tu

sii

sii

qual nobile

Serto alla fronte in l'opre tue leggiadre!


Dal tesoro del re chiedi monete,
Chiedi sementi ed asini al lavoro
bovi e merci e traggi ognun che voglia
In questo borgo lavorar. Saranno


Quelli

Ma
Non
Non

298

tuoi servi e sarai tu signore.

tu frattanto al vecchio sacerdote

imprecar, che

le

disse giusta

suo desire.

il

parole suo

E quando

Voglia tu alcuno aiutator da quella


Del re dimora, a te sar ch'io '1 mandi.

Tu, quante cose vuoi, da

me

richiedi.

Ratto che ud quelle parole, il vecchio


Si f' gioioso e dall'antico affanno
Si liber. Corse alla casa intanto

Ed uomini rec

l sui ricetti

Dell'acque accolte e cominci la terra

A
A

coltivar, tutti

confini suoi

correr prese. Furon chiesti allora


Dai vicini abitanti asini e bovi

E acconciamente
Coloni

Posero

tutti,

ogni campagna intorno

suoi
vecchio intento e
con gran studio e cura,

S'ordin ratto.

Il

in ogni loco alberi molti,

quand'ei, lavorando,

un campo ancora

Volse a fruttificar, gioioso fece


Il cor d'ognun ch'era in que' lochi. Allora,

Quanti un giorno fuggian da que' confini.


Lagrime di dolor gi da le ciglia

Versar compunti, e come poi novella

Anche si sparse dell'ameno loco


E della cura del longevo sire,
Tutti al villaggio ritornar festosi

E
E

quel borgo ordinar novellamente


1

ruscelli sgombrar. Moltiplicarsi

Ne' seminati campi asini e bovi


E pecore e galline, e ognun piantava
Alberi ovunque, e il loco in pria deserto

Qual paradiso divena leggiadro.


Al terz'anno che giunse, ecco! fu adorno
Tutto il villaggio e tutte del suo duce

299

Prosperavano l'opre oneste e liete


Per la sua cura. E quando giunse tempo
Della gioconda primavera, il prence
Ai campi scese della caccia, e seco.
Sire de' sacerdoti, era pur anco
Ruzbih.

Come

al villaggio

ambo

venino,

E riguardava Behram-gr, e intanto


Pieno di colti e di giumenti l'ampio

Loco intorno vedea. Levate al cielo


Erano alte le torri e di giovenchi

pecore pieno era il villaggio,


v'erano acque e v'erano giardini

di

E messi

campi seminati; ancora

Di tulipani e di fiengreco

monti

Eran coperti e per li monti attorno


Capre ed agnelli si vedean dispersi,
Gil veramente la montagna e tutti
Sembravano que' campi un paradiso.
Disse Behrm al sacerdote: Oh! dunque
Che mai festi, o Ruzbih, se desolato
Questo borgo n'and verde e fiorente?
Ne uscirono dispersi uomini e bestie
In ogni parte. Ed or, che desti mai,
Se al suo stato di pria tornava il borgo?
Dissegli allora il sacerdote: A un solo
Motto ch'io

feci,

rovin l'antica

un motto solo
Ridivenne fiorente il borgo ameno.
Cos ne andava giubilante e lieto
Del re d'Irania il cor. Questo mi disse
Cotesto loco
Il mio prence e signor
E verde e ricco per monete accolte
E per tesori tu distruggi . Ed io
M'ebbi sgomento dell'eterno Autore
Di questa terra, e del biasmo pungente
Di prenci e servi. Anche vedea che quando
Citt d'un tratto, e per

300

pensieri un solo cor, si perde


Subitamente questo cor pei due
Pensieri avversi, come gi, se due
D'una sola citt sono i regnanti,
Mai non sar che incolume si resti
La terra che li accoglie. Andai, signore,

Fa due

dissi ai

Imperano

Abitatori.

E
I

vecchi del villaggio

Ninno

principe su voi, di questa terra

mercede

serv tutti per

Che hanno

donne

le

con esse ed

fanciulli

famigli,

e quelli

custodia

gli orti in

Allor che prence

Colui divenne ch'era servo in pria.

Cadde recisa
Al suol

la

duce
dunque, un solo

dell'antico

testa. Cosi

Motto che

feci,

Andava

loco dilettoso. Lungi,

il

desolato e tristo

me

Lungi furon da

E timor
Ebbe

biasmo

d'altrui

dell'Eterno. Allor che

il

prence

piet degl'infelici ancora

Al loco ritornai, diversa via

Per additarvi, e

Un vecchio

suscitai dal loco

saggio, sapiente e accorto

Ed eloquente, ed
mente

f' fiorir

lochi deserti,

De' tuoi soggetti

il

pose molta

vi

ei

Industria e cura e

onde

cor.

novella-

Quando uno

principe e signor, buono

E bont

il

solo

consiglio

cresce e sminuendo cade

Ogni opra

trista.

quella gente io

secreto gi

Lor dischiusi
D'ogni

lieto

f'

gemma

un

Ma
s

d,

di Dio.

la via

del

male

mostrai coperto
poscia

il

sentiero

Migliore assai

lucente la parola,

Quando alcuno l'adopri acconciamente


Ad un loco propizio. In noi saggezza

301

Sia qiial regina e guidi le sue sctiiere

La lingua nostra, se pur vuoi che


Vada l'anima tua d'ogni rancura.
Eternamente giubilante il core
Sia del nostro signor, disciolto

Da ogni pensiero

Come
Evviva

disse

di regal

sempre

desolato e tristo!

ascolt quelle parole


!

sciolta

il

sire.

corona

Tu sei degno, Ruzbh!


Donava
Una sportella di monete d'oro

allora

quest'uom s veggente ed assennato.


Vecchio e ricco di pregi. Anche apprestata

Gli era

una veste imperiale, ond'ei

Fino alle nubi sollev

VII.

Avventura

la fronte.

delle figlie del

mugnaio.

(Ed. Cale. p. 1504-1507)

La settimana che

segu,

con prenci

sacerdoti ritorn alla caccia

Il

re del mondo, e cosi fu ch'ei stette

Della sua caccia al dilettoso loco

Per
Con

tutto

un mese e vin fumoso

ei

bevve

armigeri suoi. La preda sua


Pass misura in belve agresti al piano,
gli

In belve al monte, ed ei tornava intanto

Con

gli

armigeri suoi gioioso

in

core

Alla regal citt, mentre la notte

Calava sul sentiero e intenebrava


Tutta

la terra.

Andavano que' prenci

Dell'esercito suo per lor sentiero

Di regi antiqui raccontando storie.

Quando

l'inclito

re scorse da lungi

Splendiente una vampa, in quella guisa


Che

Un

nella festa di

Behmn raccende

il

re dei regi

tosto in quella parte

Gli

si

il

volto,

un borgo ameno

scovr. Dinanzi a quel villaggio

Un mulino
I

re sovrano. Volse a quella luce

Subitamente

302

egli scorse, e innanzi a quello

magnati sedean, qua e

l dispersi.

Del solitario borgo. Anche dinanzi


A quel fuoco lucente eran fanciulle

Che

in quel confine della terra

Erano intente a celebrar

Avea

Un

amena

la festa.

d'esse ciascuna in su la fronte

bel serto di rose e in ogni parte

Stava assiso un cantor. Tutte cantavano


Di battaglie di re ballate adorne,

d'esse ognuna, or questo or quell'istante,


Apprestavane un'altra, ed eran tutte
Con bei volti di luna e con ricciuti
I lor capelli e di muschio odoranti

di

arguta favella armoniosa.

Del mulino dinanzi da la porta,


Steso sull'erba con gioioso core

Un

bel tappeto, di

purpuree rose

Con un mazzo nel pugno,


Quasi ebbre invero per

elle si stavano.

la gioia

vino.

il

una voce
Risuon. L'aura questa, una dicea.
Di principe Behrm! Forza ed amore

Da quel

Ei

loco di festa alta

possiede e maest sovrana

nobil volto

questo ciel rotante

Ben tu diresti
Che stilla da sue gote un vin purpureo.
Che vien fragranza da' capegli suoi
Reggesi per

lui sol.

Di puro muschio. Son leoni e ngri

La sua preda
Altri di

soltanto ed in Irania

Behram-gr

gli

aggiusta

il

nome.

803

Della terra il signor che bene uda


Queste lor voci, volse le sue redini
E ver quel loco s'avanz. Da quelle

Vaghe fanciulle non appena ei venne,


Che il luogo ei riguard da questo a quello
Confine suo. Vedea come quel campo
Di vaghissime donne ingombro fosse,
S

che

tolto gli fu del ritornarsi

Alla citt

Che

il

cenno allora

sentier. Pe'

coppieri del vin dalla sua via

Recasser vino e bevitori a lui.


Prence sovrano, ed apportava un nappo
Di fulgido cristal subitamente
Il coppiero del vin, ponealo in mano
A Behram-gr. Ma quelle che pi illustri

Erano per belt fra


Ed eran quattro, da

le donzelle,
la

turba uscir;

Una era Mushkinz, Mushkink l'altra.


La terza Nazitb, Susnk la quarta,
E venner tutte saltellando insieme.
Prendendosi
Alte

cos,

alla

man, della persona

qual dolce primavera

Nelle gote fiorenti. Elle cantarono

Una

ballata a re

Behrm, sovrano

D'alto saper, d'alto desio.

Ma

intanto.

Poi che per esse era caduto in core

Un turbamento

lui,

quelle

Behram-gr

disoso:

vaghe

Quattro fanciulle a inchiedere

si

fea

Oh! chi son mai

Queste fanciulle di rosate guancie,


E perch, per accendersi tal fuoco,
stanno qui ?

Elle

si

Una
Che
Che

fanciulla

di cipresso

somigli a

Rispose

allora

Cavalier gentile,

hai nobile statura.

Behrm

nostro signore

In ogni cosa tua, vecchio

mugnaio

il

304

padre nostro, che su questi monti

Le belve atterra con sue

frecce.

tosto

Ritorno egli far, che tenebrosa

gi la notte e per l'ombre vincenti

Fatti saranno gli occhi suoi gi terbi.

monte
mugnaio e rec la selvaggina
Con la sua scorta. Ratto ch'ei scoverse
Prence Behrm, con le sue guancie il suolo
Inchinossi a toccar, quindi sen venne
Con sgomento e terror. F' cenno allora
Prence Behrm che una dorata coppa
Nell'ora istessa, scese gi dal

Il

Al vecchio

Da

si

porgesse, a lui tornato

lontano sentier. Dissegli poi:

Queste quattro fanciulle, che di sole


l'aspetto, perch mai qui tieni ?

Hanno

Di dolce sposo

Benedisse

il

non tempo
vegliardo e

forse

gli

rispose:

Non han marito queste figlie mie,


Ben che venute in questa et. Son

in loro stato virginal son

intatte ancor.

hanno
Alcuna non
Elle

Ma

vergini,

pure
nulla veramente

in terra, e pi di ci parola

Tu a me deh cedi,
dir.
Behrm dicea, le quattro giovinette,
E cura d'oggi in poi di dolci figlie
Deh ti ritraggi.
Non averti pi mai.
!

Rispose

il

vecchio, cavalier gentile.

Da ci che hai detto! Non son vesti a noi.


Non possessi, non terre e non argento,
Non giovenchi, non asini e non case.
Forse, forse avverr, Behrm gli disse,
Che senza nulla este fanciulle tue
Si

Dolci tue spose


convengano a me.
dunque tutte quattro, disse;

Elle son

Della polve del suol di tue riposte

305

Stanze, o signor, queste fanciulle mie

Schiave dicansi ornai. L'occhio tuo vigile


difetto ne vide e il pregio ancora
Elle piacquero a te per quella via
Che veder le potesti.
Or io, soggiunse
Prence Behrm allor, coteste quattro
Il

Da Dio santo
E in piedi si

ricevo. Ei

lev. Dalla

cosi disse

campagna

Nitrir s'intese allor di palafreni,

E il sire ingiunse di sua scorta eletta


Ai famigli cos di addur le vaghe
Fanciulle al gineceo del prence iranio.
Tutta

si

campagna

volse alla

un tratto

Quella gente guerriera, e l'atra notte


Quell'ampio stuol nell'ombre sue ravvolse.
Ebbe il mugnaio meraviglia. Tutta

L'oscura notte che segu, pensieri


Nell'alma accolse, finch disse poi
Alla mogliera sua Cotesto illustre,
:

Bello qual luna in

Con

ciel,

con

tal statura.

come giugnea

tal forza e poter,

Della notte nell'ombre a questo loco?


Da lungi ei vide il fuoco acceso, disse

La donna

allora, e per venne dietro


Al gioioso cantar de le fanciulle.

All'ebbrezza del vino, al suon giocondo


Di musici e cantori.

donna mia,
mugnaio alla sua donna, questa
Vaga istoria mi narra E sar lieto,
Disse

il

sar tristo

di

quest'opra

il

fine?

Opra questa di Dio, disse la donna.


Che l'uom non chiese gi d'alto lignaggio

Appena

ei vide le fanciulle, e in core


Pensier non ebbe di ricchezze mai.
Dell'ampia terra per la faccia errando,

Leggiadra
FiBDOsi, VI.

ei si

cercava una fanciulla,


20


Non

306

non

gi denari,

di re

una

figlia.

L'adorator degl'idoli, se in Gina

Queste vaghe fanciulle un di vedesse,


Ratto le lodi sue, le sue preghiere

Che

pur fa, si scorderebbe.


che sul dorso dell'oscuro
Augello de la notte apparve il sole
agl'idoli

Cos, fin

E si f' il mondo qual splendente face.


And sermon di tutte cose, intorno
A nobili e a malnati. AUor che giorno
Si

f' la

notte,

sire del villaggio

il

Dal borgo giunse e a quell'antico vecchio


Cosi parl: Signor di bella sorte,
O valoroso^ in questa notte oscura

Venne fortuna al tuo guancial. Davvero


Che di tua pianta il verdeggiante ramo
Frutti venne a portar! Lev

gli

sguardi.

Vide la festa quell'illustre e il fuoco


Vide pur anco e le redini volse

a questa parte scese.

Le

figlie

Ed or sue spose

tue son fatte e gi son elle

Nelle sue stanze pi secrete, al loco


De' suoi dolci riposi. Al tuo signore.

Con que'

il

bei volti e que' capegli crespi

verace tuo

Destinasti cosi.

Behrm

dir,

Re

illustre,

che dovunque

D'oggi in avanti

Ma

principe

le figlie

tue

de' regnanti,

genero

gli

tuo.

in ogni terra attorno


fia di te

Behrm

ricordo.

questo confine

Tutto a te dona e questa terra; e tu


Non averti dolor, che da rancura

E da timor libero uscisti. Or dunque


Tu fa comandi, che il comando tuo;
Tutti servi

ti

slam, che di te solo

potest. Soggetti qui noi tutti


Inver

ti

Oh

siamo.

307
!

quai soggetti

Schiavi

Tutti a te qui siam noi veracemente!

Ecco! restar

il

Ognun

d'essi

di

santo

il

nome

Dio sovrano.

quel villaggio

di

quarto

fin dal

Quest'almo

donna, e

la

invoc

Davver! dicea

Che

di lui meravigliosi

mugnaio e

il

ciel trassero

sire,

sposo

sol que' volti e quelle trecce

Vili. Il tesoro di

Gemshd rinvenuto.

(Ed. Cale. p. 1507-1510).

All'altra settimana, egli e

Nelle suo schiere e

pi

fidi

sacerdoti, al loco

Di sua caccia venia. Devoto al sire.


allora s'avanz, veloce

Un uomo
Si

come nembo, ed una marra

in pugno.

Innanzi venne e dimand a le genti

Dove mai fosse, in mezzo a tanta schiera.


Prence Behrm. Ci che tu vuoi, tu esponi,
Dissegli allora

Non

sacerdote;

il

riconosci tu

il

al volto

signor del mondo.

Finch' io del prence non vedr la fronte,

Rispose quegli, non dir parola


All'esercito suo.

Quest'uom

si

fermo

Ne' suoi dimandi, sapiente e sciolto


In favellar, dinanzi al re fu addotto.
Ei s'avanz

come Behrm

scoverse.

una parola
Serbo nel mio secreto.
Ecco volgea
Le briglie Behram-gr, si che lontano
Disse:

Per

te soltanto

Dall'esercito suo ratto egli uscia.

Disse quell'uomo allor: Prence sovrano

Dell'ampia terra, alle parole mie


Or

308

vuoisi riguardar.

Duce e signore

campi son

signore e donno

D'esti

io,

Di questa terra e d'esti seminati,


Di queste case. Ne' miei pingui colti
L'acque limpide invo, s che il mio pregio

Fo manifesto per mia intenta cura.


Ma un d che l'acque crebbero e soverchio
Impeto si prendean, l in mezzo a un campa

Un

pertugio

si

aperse.

Un

grido strano

mi venne, e per timore


Da quest'anima mia proruppe un gemito.
Qual di timpani un suon veracemente
Agli orecchi

Venne

dall'acque in gi

Estranio suon la via

tesori nascosti.

Ratto che ud,

ci

Bohrm

stillanti,

e quello

dimostrava
quella parte,
si

volse e vide

Una campagna verdeggiante, piena


D'acque scorrenti. E cenno ei fea che
Con marre agresti artefici raccolti

tosta

Fosser per lui fino a lontane vie,

E l discese dal cavallo, ei prence


E sovrano signor, tosto che eretto
Un padiglione fu per lui sul campo.
Venne

la notte, e que' gagliardi

accesero

destarono intorno.
In ogni parte, una gran vampa. Allora
Che dal mar sollev le sue bandiere

Lor molte

faci e

Questo fulgido

sol,

quando pi bella

Si f' la volta dell'azzurro cielo.

Artefici calar da tutte parti

Subitamente, e

l,

quale una grande

La terra
Gi presero a scavar con forte lena,
Oste guerriera,

s'affollar.

l'ampio loco dell'aperto

Tutto fu pieno

di fossati.

campo
Allora

Gh'eran gi stanchi del cavar

la

terra

309

Gli artefici solerti, ecco! che sotto

quella terra apparve loco, pari

A una

montagna,

una casa

cli

eretta

Eravi acconcia con mattoni cotti


E con calce lucente, adorna in foggia
Di paradiso. V'assestar
Colpi di

gli artefici

marra prontamente,

Della porla mo:strossi

il

e lungi

vano aperto.

Ratto ch'ei vide, entrovvi

il

sacerdote

Di principe Behrm, v'entr con lui

Non

invitato ogni ospite del loco

lunga e spaziosa egli vedeano

Una gran casa

alto levata a molti

Cubiti lunghi. Effigiati in piedi

due bufali pur anco


vedean con una greppia in oro

in fulgid'or

Vi

si

lor dinanzi, e dentro a quella greppia

Smeraldi eran

Anche a

Ma

gittati,

ivi

commisti

rubini d'un color di porpora.

l'interno de' bufali, di carri

Agitatori, vuoto

mostrava.

si

che lor ventre tutto pien di pomi


E di mele cotogne e melagrani
Era davvero. Una fulgida perla
D'ogni mela cotogna era nel corpo,
S

d'ogni perla qual lucente

D'un'acqua pura

Ma

il

de' bufali sculti

grano
erano

si

stilla

vedea.

gli

occhi

Rossi rubini e per et vetusta

Erano attriti i volti lor. Dintorno


Eran leoni ed asini selvaggi,
E gli occhi uno si avea d'un bel rubino

l'altro di cristal.

Eran

scolpiti in or,

V'eran pur anco,

Fagiani intorno

maschi pavoni

di lucenti

gemme

Tutti nel petto e ne' begli occhi adorni.


Tornava
Il

310

suo signor, come ci vide,

al

ministro, corona a questa luna

Per suo

retto consiglio, e cos disse

Al re del mondo con ardor Deh levati,


Che sorvenne dovizia a' tuoi tesori.
Piena di gemme si mostr una casa,
Di cui la chiave questa volta azzurra
Rispose il prence: Scrive,
Del ciel si avea.
:

Scrive suo

nome

sui tesori suoi

Chi ne ha cura e deso. Vedi tu adunque

nome

Di chi

il

si

sta su quel tesoro

suo colmarsi

di chi

mai nel tempo

Ne

andava,
prence
E di Gemshid ai bufali sul corpo
Il suggello vedea. Tutto osservai,
Della sua vita

Udito

ci,

si

de' sacerdoti

Diceva allora de

facea.

il

la terra al sire,

sta scritto sui bufali lucenti

Nome

di

re Gemshid.

in ogni cosa

Pi sapiente d'ogni saggio, o duce


De' sacerdoti, disse

Ampi

tesori

il

re, di quelli

che Gemshid ripose.

Perch farci dovrem nostro tesoro ?


Ogni tesor che per diversa via
Di giustizia e di spada a noi pervenne.
Mai non possa durar! Ma tu frattanto

chi pi degno, ci ch'

che non venga mai

l,

dispensa,

trista iattura

In nostra sorte a noi. Se

il

nome

nostro

Vuoisi far chiaro, con giustizia sola,


Sol con la spada
Il

tesor nostro.

Che or
Abbia

Non
E la

si

colmeremo noi

Ma

di tal

scopra, gi

non

dovizia
si

lo stuol de' prodi miei,

vuol che parte

che angusta

la terra a noi pel valor nostro,


ricchezza tutta, in quella guisa


Ch' costume dei

Per argento
gli

re,

donar

le

Ch'ebbero nome

nome

illustre,

Ebber divelta ogni

vuole.

gemme

vedove donne

orfani bambini e

Deso col

si

e per or coteste

Tutte vendete, e

311

poverelli
e che dal core

lor gioia ed ogni

ancor, qui raccogliete

Da luoghi colti e da deserti e poi


Le cose tutte dispartite. A quelli,
A quelli ancor che grama e desolata
Ebber

la vita,

ben

si

vuol che alcuna

Parte qui tocchi del regal tesoro,

voi, di

bel conforto, le

re Gemshd per l'alma santa

monete e i nummi
Donate ad altri e la ricchezza in copia
Ch' qui raccolta. Fin che forte e giovane
10 sar qui, perch dovrei tesoro
Cercarmi di Gemshd? Anche darai
Di dieci parti una a colui che questo
Sentier mostrando fra le accolte schiere
11 suo re ricerc. Quei che il lenzuolo
Di re Gemshd sollever, non mai
Abbia speranza di sua gioia ancora
Quaggi nel mondo. Co' gagliardi miei
Quand' io m'adduco a faticar pel regno
Il corpo mio, gloria e tesori aduno
E di Cina e di Grecia intorno intorno
Gol mio destrier nero qual notte oscura.
Con l'acuta mia spada, inganni o frodi
Io non imprendo n il fuggir conosco.
Di l tornava al suo tesor che un tempo
Radunato egli avea con sua fatica.
Col sudor della fronte. Ivi pur anco
Della sua terra tutti accolse
prodi
E die monete all'esercito suo
Qual d'un anno stipendio. Un gran convito
:

312

Ei celebrava in Nev-behr, la sua

Regai dimora a splendientl gemme


Tutta adornando e in coppe di cristallo
Di purpureo rubin mescendo un vino.
Principe Beliram-gr, come fu

lieto

fu giocondo, cosi disse a' suoi

Diletti amici: Eroi di fronte altera,

Voi che intendeste raccontar del trono


De' grandi gi, da Hoshng a quell'illustre

Nvdher monarca qual

fu erede in terra

Di principe Fredn, poi, per tal via.

Fino alla testa

di

Kobd, che cinse

Di sua grandezza la corona in fronte.

Vedete voi che rimanea di questi


Si grandi un tempo e chi lor lodi ancora
Cantando va per debita giustizia.

Ma

poich

Per questi

Un

re,

tronc volger degli anni

qual debile ricordo

detto solo ne restava, e dicesi

Di questi

E
E

si

che mente

egli

si

avea,

dicesi di quel ch'ei n'era privo,.

questi ha biasmo, e quel si loda. Ancora


Passerem noi quando verr stagione;
Ma vuoisi ancor che per mal far la terra

Non

si

calchi da noi. Di questi morti

Oh! che mi fanno le ricchezze, e il core


Per monete cos perch nel petto
Aprir mi si dovra? Questo mio core
Io non avvinco a questo viver breve,
N per corona ho alcun deso, n stendo
A tesori la man. Quando in letizia
Passa un giorno sereno, oh perch mai
!

Dovra dolersi chi pi saggio? Allora

Che

de' soggetti miei, de' miei devoti

In questa reggia alcuno o alcun de' capi

De' villaggi all'intorno o alcun de' servi

313

Per mia cagione si dorr di qualche


Travaglio suo, caggiami al suol la testa
E la corona e il mio tesor si sperda.
Un vecchio eravi allor, Mahyr il nome,
Di cui cento e sessanta e quattro ancora
Erano gli anni ornai. Com'egli intese
Quelle parole, in pie levossi e disse:
Di verace giustizia inclito sire.

Novella

di

di

Gemshid ebbimi un giorno

Fredn,

di tutti

prenci ancora

Incliti gi, ne' lor difetti e pregi.

Ma

non vide mai qualcuno


speme
De' servi tuoi, la maest de' grandi
Veracemente. Che se fosse il mare
pari a te

Sire del mondo, che tu sei la

Ampio

e profondo come il tuo bel core,


Ondate leverebbersi di gemme
Dal mare oh s! che di Sersh la luce
Vien dall'anima tua, s che nel core
De' sapienti gi scem saggezza
Al tuo paraggio. Per la terra intorno
Un tesor profondesti, e ci nessuno
Vide giammai da principi regnanti
E da valletti. Ma se alcun parola

De' giorni fea di re

Gemshid e intanto

Di quel tesor da' bufali scolpiti

Qualche volta leggea, ninno


Fosse del

mondo quel

in qual parte

tesor nascosto

Seppesi mai, se fosse entro le viscere

Del suol pi veramente o ne la strozza


Di fero drago. Tu il trovasti e gli occhi

Gi non volgesti a le ricchezze accolte.


Che ti venne disdegno ed onta all'alma
Per questa vita eh' s breve. In mare
Davver! che tante perle alcun non vide,

le

vedranno mai cento sovrani


Incoronati

Tu

Ai poverelli

bufali

Col

314

donasti attorno
raccolte

le

puranco e

dipinti, tutti.

Oh!

gemme
presti ngri
la corona,

cintura imperiai non restino


Di te senza mai pi Vivi beato

Oh!

la

Della persona e vincitor,

Di

te la sorte

s'allieti

Molti libri invero


di regnanti,

Che narran opre

un giorno

Nereggieranno per notati detti.


Ne termine sar. Dopo la tua
Partita da la terra, oh! vivo sempre
Il

tuo

nome

sar,

quando

la storia

Si legger de' giorni tuoi passati

Ogni pi saggio

IX.

in favellar maestro.

Avventura
(Ed. Cale. p.

Un

del mercante.
1510-1512).

giorno, all'altra settimana, uscia

Prence Behrm a caccia, ed era mesto;

Avea

faretra e dardi aveva.

Il

campo

Cocente divent per questo sole


Che in alto risplendea, s che tornava
Il nobile signor dalla sua caccia
A passi lenti. Giunse ad una casa
Di mercatanti e riguardossi attorno
E non scoverse alcun vivente. Allora

Al mercante

ei si volse e cos disse:

Forse che qui tu puoi donarci ospizio?


Nessun travaglio vedrai tu da noi.
Poi che l'accolse il mercatante, un loco
Fecegli eletto a riposar. Ma il prence.
Per fiera doglia d'intestini, a un tratto

315

A gemere si die, s eh' egli porse


Alcune dramme a quell'ospite suo,
Di merci venditor, cosi dicendo:
Picciolo brano di formaggio antico
Deh! tu fammi arrostir, tanto se' buono.
Con noccioli di mandorlo
Non porse
Il mercatante ci che il re dicea,
Che noccioli di mandorlo riposti
Ei non serbava; ma poich discese
L'ombra notturna, placido sen venne
L'ospite avaro ed apprest un augello

Caldo, bollente, su la

vampa

Apposto a rosolar. Pose

la

rec dinanzi

al

la

re;

allora

mensa

ma

quello,

Nobile e grande, cos disse: Chiesi,


Chiesi da te formaggio antico, e volsi

A dir di tal deso questa mia lingua;


Ma quello a me tu non recasti, ed io
Data una dramma pur ti avea, che molto,
Per fiera doglia d'intestini, a un tratto
A gemere mi diei.
Stolto! rispose
Il mercatante, non hai tu saggezza
Ch' nutrimento all'plma. Or, poi che questo

Augello, caldo ancor, qui t'imbandii.

Costume non d'uom che ha verecondia.

Altra cosa cercar.


Queste parole
Ratto che intese, del formaggio antico

Cadde

la voglia in re

D cotesto che disse,

al

Behrm. Pentito
mangi il pane,

ei

mercatante ricord

Intravvenute, e

le

cose

come giunse tempo

Dei dolci sonni, s'addorm tranquillo

E non

f'

Quando

motto a

l'ospite

mercante.

levossi questo sol lucente

mar profondo e tempestoso e il fosco


Vel della notte via disparve, disse
Dal

316

Al discepolo suo quel mercatante


stolto ed inesperto,
Possente e ricco:
Un augel perch mai, di cui non era
D'una sol dramma il prezzo, a me comprasti

Con dispendio maggior, s che per esso


Violenza m'hai fatto? Ove l'augello
Stato pur fosse di tal prezzo degno,
Con questo cavalier per l'atra notte
Avuta non avrei contesa alcuna.
Che se di cacio sol per una quarta
Parte di dramma tu gli avessi mai
Fatto l'acquisto, come dolce latte,
Com' acqua dolce oggi ei per me sara.
Sola una cosa ben celesta, disse
Il discepolo allor; tu sappi adunque
Che l'augel ch'io comprai, torna a mia
Con questo cavaliere, ospite mio
Oggi qui resta e non contender meco

spesa.

Come levossi
Per un misero augel.
Dal dolce sonno, al suo destrier sen venne,
Diletto amico e aiutator fedele,
Prence Behrm, la sella per imporgli
ritornarsi alla sua reggia e quivi
Fino a le stelle sollevar del cielo
La sua corona. Tosto che il vedea,

Cosi disse

Oggi

il

Deh! resta

discepolo:

col servo tuo.

Ne andava

Sedea di quello al seggio, assai


Fortuna di colui meravigliando.

Andava

allora

il

il

sire,

di tale

giovinetto ed ova

suo maestro

Recavasi dugento e

al

Cos dicea: Signor,

non

indugiarti.

Ma
I

poni a rosolar caldi sul fuoco


noccioli di mandorlo e congiungi

Pan

fresco e molle con formaggio antico.

Ieri cotesto l'ospite

chiedea;

317

Tu reca il pane e tu la mensa apponi


Acconciamente.
Di Behrm venuto

Poscia al cospetto,

cavalier, gli disse,

Cotesto cose tu cercasti

Ed ora

ieri.

tuo deso con calda cura


Qui t'apprestiam ti recherem pi tardi
Cibi novelli a quando a quando.
Queste
il

Parole

ei disse

e discese a le piazze

comprator

in altra foggia

Zucchero

si

fece.

ei si cerc, noccioli

ancora

Di mandorli ed agnelli ed uccelletti

Per imbandirne tutta insiem la sua


Tavola apposta, e si rec del vino
E zafferano e muschio intatto ed acqua
Di fresche rose, indi tornossi a casa.

L pose un desco

Sollecito del cor.

Pien

di

vivande saporose,

Che accorto

elette,

e saggio e di valente ingegno

Era davvero il garzoncello. Il pane


Poi che gustato ebbe ciascun, di vino

Colmo nappo

ei rec; porselo in prima


Al regnante Behrm. Per questa via

EUi andaron
Allegri e

Subitamente

cos, fin

lieti

ai

che divennero

volser da' cibi

si

colmi nappi. Allora,

quell'ospite suo cos parlava

Behrm
Behrm

signore: Gi far di noi


inchiesta.

Il

dolce vino intanto

Qui si beva per voi, s che per esso


Ebbri n'andiate. Alcun di voi non muova
Dal loco suo, del vin dolce e gagliardo
Fattosi adorator.

Dall'atra polve
suo bruno destrier cos mondava,
Ratto la sella gl'imponea, poi, lieto

Il

Del fumoso licer, l nel giardino


Scendeasi ratto. Al mercatante ei disse:


Tanto non

ti

318

crucciar per incremento

Di tua ricchezza, o venditor di merci.


Ieri, sul vespro, per la quarta parte
D'una dramma cosi tanto vendesti
E turbamento agli occhi verecondi

Del discepolo tuo recasti allora,

Per ch'egli

Un gramo
Quasi

si

gittasti

Questo

compr

di

me

augello, e

l dal

prezzo

dentro alla strozza

d'un dragon feroce.


mercatante, poi

egli disse al

Rapidamente si parti, discese


Con fiero incesso ed a veloci passi
Al regio ostello. Quando poi nel cielo
Mostr quest'almo sol la sua corona,
Al trono suo di rilucente avorio
Si assise

il

re dell'ampia terra e tosto,

Ei principe e signor, questo precetto

F' al maggiordomo, di cercar per esso

Dell'ospite mercante.

l'adducea

Gol discepolo suo, l'un d'essi lieto

E tristo l'altro, il maggiordomo,


Come vedea quel giovinetto suo.
Gli

f'

Lieto

carezze e tra

il

una

L'alma, sua fosca

il

sire

principi suoi

fece seder. D'auree

Oli fu recata

monete

sportella e tosto
si

f'

chiara e allegra

Qual nel ciel la bianca luna. Intanto


Al mercatante cos disse il prence:
Fin che vivo sarai, sappi che servo
Al discepolo tuo sei veramente.
Ad ogni mese gli darai due volte

Dramme

sessanta,

numerando a

lui

Tutto un tesoro. Con la tua ricchezza


Cura ei si avr degli ospiti che vengono,
Esilarando il cor de' generosi.
Al sacerdote cos disse poi


L'opre del

Come

319

mondo ove

prence non guardi,

il

saper potr chi di sua gente

grande e generoso? o come mai


Scerner potr da chi pi tristo, i buoni?
Saggio che cerchi sapienza, ancora
Se una parola qui tu vuoi, fedele
Serbala in mente: Generoso sei?
Non ti pigliar costume d'avarizia
In ninna guisa, che potresti invero
Dall'umana famiglia andar reietto.

X. Uccisione di un drago.
(Ed. Cale. p. 1513-1517).

Tempo rimase

co' principi suoi,

Tra il vin lucente e le ricolme coppe.


Tra musici e cantor, l'iranio sire.
Venne la dolce primavera intanto,
E fu la terra quale un paradiso
Veracemente, che parea dall'alto
Vaghi fiori gittar su questa terra
Il ciel sereno. Di selvaggie belve
Pieno intorno ogni campo, e ne' ruscelli
Come tepido latte o dolce vino
Divenner l'acque; andavan saltellando
Onagri e damme per deserti e boschi,

E dovunque

stendevasi tappeto

D'erbe novelle verdeggianti. Ancora


Di muschio intatto una fragranza eletta

Mandavano

ruscelli e

Carchi intorno
A.

di fiori

si
i

piegavano

melagrani.

prence Behram-gr fu detto allora


stagion che non andammo noi

Lunga

D'onagri a caccia.

Ed

ei rispose

Mille

320

Dall'ampio stuol de' cavalieri d'uopo


Sceglier gagliardi, e s'adunino intanto
Falchi e segugi ancor, falchi reali

Che superba

sollevino la testa,

sparvieri pur anco. In suol turanio

Vuoisi andarne di qui, vuoisi alla caccia


Ne andava
Per tutto un mese rimaner.

In turanico

Avido

suol l'inclito

di cacciar,

vedea

prence
la terra

Tutta ripiena di fragranze elette


E di colori, ed egli e i prodi suoi.
Forti e animosi, disgombrar quel loco
Di gazzelle e d'onagri e di caprette.
Cos due giorni s'indugi quel grande

Nella nobile impresa, ed egli intanto


In pugno un nappo si tenea. Ma quando,

Al terzo

di,

la fulgida

Vest di luce

questo

corona

sol,

splendente

Quando la terra gi si fea^col monte


E il mare azzurro, quale pur di bianco
Avorio lo splendor, discese a caccia
L'animoso signor d'Irania bella.
Ei vide un drago qual leon gagliardo.
Di cui lunghe sul capo eran le setole

Quanto

il

corpo sformato, e due mammelle

Dal petto gli pendean, quali pur sono

Tese all'arco

Una

mamme.

Il valoroso
corda e in duro legno
freccia compatta e senza indugio

Di femmina le

la

Del dragon fero conficc nel petto.


ei ne mand forte e gagliarda
Del capo a mezzo, e da quel seno aperto

Un'altra

Sangue e tosco

still.

Discese allora,

pugnai dalla cintura e tutto


Trasse
Squarci del fero drago il colmo petto.
Ingoiato si avea l'orrida belva
il

321

Un giovinetto e del garzon le membra


Stavan tutte ravvolte e coagulate
Nel sangue e nel velen. Pianse dolente
Prence Behrm per l'infelice allora;

Ma

gi, pel rio velen, torbidi gli

Si fean di lui.

Pur

Dal sen del drago.

Che congiungansi
Del mostro

esizal

dolente ed

occhi

trasse quell'estinto

Deh non giammai


ancor capo e cervice
Stordito allora
sia

afflitto

il

re sovrano

Di l sen venne pel'solingo calle,

E d'acqua

dis'oso

era e di sonno.

And, finch raggiunse un loco ameno


E dal deserto ad una casa agreste
Pervenne ratto. Con un' idria colma
Sovra le spalle, e ricopriasi il volto
Dinanzi a re Behrm, vide una donna,

E Behrm

le dicea:

Forse che ospizio

Darsi qui suole, o con rancura e stento

d'uopo proseguir

Cotesta

casa,

cavalier d'assalti e di battaglie.


Disse la donna, abbi qual casa tua.

Quella risposta come ud, sospinse

Behrm

quel suo destrier, mentre colei

Ghiamavasi

lo

sposo e

Paglia qui reca ed a


Dalla polve

il

destrier.

Di suo foraggio, questo

Dentro

A un

al

suo sacco.

gli

dicea

mondar ti poni
Quando fia tempo
gli

Ed

porrai
ella uscia frattanto

luogo ch'ella avea secreto e ascoso,

Uscia degli altri dal cospetto e il suo


Misero ostello si spazzava. Ancora

Una stuoia stendea, ponea con cura


Un guancia! molle e fea benedizioni
A principe Behrm. Ne andava poi
Dell'acqua
FiRDnsi, VI,

al loco

ed acqua

si

recava
21

322

intanto, nel cor suo, queste al marito

Aspre parole mormorava: Restasi,


Restasi adunque al loco suo costui,
Insano e stolto, ad ogni di ch'ei vede
Alcuno in casa. N son queste invero
Opre da donna per ch'io qui le voglie
Intanto
Deggia curar d'un uom di guerra.

Un
E v'eran sopra
E pane e latte

desco ella apport, l innanzi

il

pose,

erbaggi in copia e aceto


coagulato.

Andava

Prence Behrm allor, le gote sue


Lavavasi in un'onda, or che dall'aspro
Assalto del dragon sentiasi oppresso;
Indi mangiava di quel bianco pane

Un

cotal poco e s'addormia dolente,

Copertesi le gote in

Di cinese tessuto.

un manille
allor

che desto

Ei fu al mattin dai dolci sonni, venne

quel suo sposo l'avveduta donna

disse ratto:

lavarti la faccia

Deh! malnato e stolto,


non avvezzo,
Ben qui si vuole che un agnello uccida.
Che questo cavalier grande mi sembra
E di seme regal. De' Kay regnanti
Egli ha vigore e maest di bianca
Luna sul volto, e non somiglia in terra,
Fuor che a prence Behrm, a niun vivente.
Disse

il

marito dispregiato e vile


A che tante parole

Alla sua donna

Voglionsi qui?. Carni salate e legni

E pane
Fili tu

La

qui non hai? n con le fusa


mai,

come

fan l'altre donne,

notte oscura. Se

un agnello

Mangiato che n'avr, tosto


Il

si

uccidi.

parte

cavaliero, e resterai tu allora

Qual tra

la folla,

a un trivio abbandonata.

323

E il freddo ancora
vento impetiioso e dell'inverno
La rea stagion ti troveran pur anco
Ignobile giumenta.

il

in ogni tempo,

n v'ha dubbio.
Queste
la donna sua
Nulla volle ascoltar, che donna ell'era
Di molto senno e di consiglio ricca.
Parole

disse,

ei

ma

Pur, dell'opera al

fin,

sgozz un agnello

ruvido suo sposo, alle parole

Il

Cedendo

di colei, pel cavaliero.

un caldaio
donna e fece uscir la vampa

L'agnello ucciso, di farro

Cosse

Da

la

stizzi

accesi per met, poi trasse

un picciol desco, e sopra


Eran ova imbandite e di fossati
Fresco e verde crescion. Rec una gamba
Dinanzi

al sire

Gi rosolata dell'agnello e tutte


L'altre cose apport ch'ella gi cosse.

Tosto che si lav, dopo que' cibi.


Prence Behrm le mani, ei l si stette
Privo di sonno e stanco alla persona;
Ma quando a questo sol si f' congiunta

La notte oscura, l rec del vino


Con un liuto quella donna accorta,
donna che parole
E il re le disse:
Hai scarse inver, tu narrami un'antica
Istoria qui, per eh' io del vin mi beva
Dietro al tuo dir, col dolce vin cacciando

Del cor l'angoscia e la rancura. Tutti


Liberi qui

Intorno

al

ti rendo i tuoi racconti


prence tuo signor, se biasmo

nome egli ha di generoso.


Buono cotesto inver, disse la donna
Da le scarse parole, e d'ogni cosa
Ei tocca

Fine e principio dal re nostro viene.


Disse

Behrm: Vero

cotesto, e intanto

324

Opre giuste e leggiadre alcun non vede


La donna accorta e saggia
Da lui pi mai.

Cos rispose: Qui son molte case

viventi son molti al nostro borgo,

Uom

dai retti consigli; e qui

pur sempre

Di cavalieri gran passaggio. Ei sono


De' prefetti del sire, agli scrittoi
Addetti; e qui sovente, allor ch'ei giungono.
D'essi

Ad un

qualcun

Vede lungo

Ma

il

Grami

di

ladroneccio appone

onde

di noi l'accusa,

travaglio al

il

meschino

fin dell'opra.

regio cavalier, per cinque o sei


danari, tanto adopra e cura

amara

al cor del

d'esto di.

La donna

Di far trista ed

La cara luce

misero

Integra e casta toccasi da quello


il nome, ed ei vi stende

D'impudicizia

In sua nequizia la proterva mano.


Danno gli questo ancor, che non discendono

Al tesoro del re gli estorti nummi,


E questo mal che dal re nostro viene.
Alle parole sue si f' pensoso
Il re sovrano, che per l'opra trista
Tristo
Il

nome

ei si

avea.

Ma

poi, nel core.

devoto a Dio, cos pensava:


Davver che ninno grato inverso a Dio
re,

Ma

d'oggi in poi durezza in ogni cosa

Io mostrer per alcun

tempo e

tosto.

Dietro a periglio, manifesto amore


In tal pensiero
Si far con giustizia.

tristo e fosco ei si

crucciava e sonno

Prender gi non potea,

Fu

si

che

la notte

congiunto a corruccio in tutte l'ore

suo cor. Ma quando il sole


Squarci alla notte il bruno vel, mostrando
Libero il volto per l'azzurro cielo,
Quell'afflitto

325

gramo ostello
Recami fuoco
Fuor dalla casa ed un caldaio ancora,
Ed ogni sorta di semenze dentro
Gitta ad un'acqua; ma non vuoisi mai
Che il sol ci vegga co' suoi raggi. Ed
Mentr'io qui munger candido latte
Dalla giovenca, non stimar che lieve
Usci la donna dal suo

cosi disse all'uom

Ti sia la cura del caldaio.


Da' suoi pascoli addusse

Erbe molte

mano

la

Intanto,

una giovenca.

rec, le pose innanzi

mammelle prese

Alla giovenca e le

Entro

ora,

sua, le stropicciando,

E disse poi Di Dio che non ha pari


E compagni non ha, facciasi in nome
:

Ma

vuote ella trov di bianco latte


Della giovenca le mammelle, e ratto
Il

cor di

lei,

degli ospiti sollecita,

Parve cader da giovanil vigore


A vecchia et. Messer di questa

casa.

Disse al marito suo, d'altro consiglio

il

Il

re del

core omai del principe del mondo.

mondo

violento e ieri,

Nel tardo vespro, fu dolente e tristo


Per quale,
Celatamente quel suo cor.
Disse il marito, per qual cosa mai
Di' tu cotesto, e perch mai ti volgi
A tristo augurio ?
Nobil mio consorte,

Disse la donna, queste mie parole

Senza cagion non furon

Che

mondo

del

il

Mai non pu per


Splender
Essicca

il

dette. Allora

signor mostrasi ingiusto,.


il

ciel,

la luna, e nelle
latte,

come

dovria,

mamme

e non odor di

intanto

muschio

Nel ricettacol suo. Mostransi l'opre


D'ipocriti e d'adlteri dovunque,

326

duro im core

E come

pietra

si fa

Tenero

in pria.

Ma

Umana

carne cibano

Avidi

lupi, e fugge,

nei deserti intanto


gli agresti

l'uom eh' saggio.

Allo stolto dinanzi. Ecco!

sperdono

si

Sotto gli augelli lor supposte l'ova

In ogni tempo che


Il

si

mostra ingiusto

nostro prence; n fu

manco

il

cibo

Alla giovenca mia, n fu peggiore

Suo beveraggio. Eppur, dentro a


Inaridia quel dolce latte e

le

mamme

suo

il

Color lucente un'altra tinta assunse.

Queste parole come uda quel sire


Dell'ampia terra, pentimento in

lui

Venne del suo pensier subitamente,


Ed egli a Dio cosi dicea Signore
:

Del tuo deso, possente e


Sostenitor, se

mai dalla

mia sorte

di

giustizia

Questo mio core dilung, non resti

A me
E

il

la

seggio real d'oggi in avanti.

donna avveduta, a Dio

fedele,

mano appose
quella man distese

Un'altra volta la sua

Alla giovenca e

Di Dio nel

nome

e cos disse:

Il

latte

Uscir fammi, o Signor, dal loco ascoso.


Della giovenca allor gi da le

Discese

il

latte,

mamme

e quella donna accorta,

Ospitaliera, cos disse: Dio

Che

porgi aita, l'uomo ingiusto e reo

Giusto reso m'hai tu. Se no, cotesta

Arcana

forza in lui

non era

Ancora

Allo sposo ella disse: Ecco! tornava

Per

ingiustizia

anche

giustizia, e intanto

Fa che tu sii perci lieto e ridente,


Che del mondo l'Autore ebbe di noi
Misericordia.

Allor,

poi che cuocea


al caldaio la

Dentro

327

minestra e

sciolti

Andar la donna e l'uom di lei da questa


Cura s grave, all'ospite ne venne
La saggia, e dietro le portava il desco
Il

messer della casa. Ei su vi appose

Di minestra di latte ampio vassoio.


Deh! quanto dolce tal minestra, allora

Intanto,
vi son pur pezzi di carne
Prence Behrm prendea di tal minestra
Un cotal poco, indi alla donna buona

Che

Cosi dicea: Dinanzi da la porta


Recami tu questa mia sferza e appendila

A un

loco aperto ove di molti sia

scegli anche un ben alto


n si vuol che danno
Abbia la sferza da spirar di venti.
Allor tu osserva chi per l'ampia via
Discende e va, mirando a questa sferza
And rapidamente
Alto sospesa.
Della casa il messer, la sferza appese

Passaggio.

Ramo

ti

di pianta,

A un

albero cos pel cuoio attorto

riguardar per alcun tempo.


mostrar per la via genti infinite
Che recan armi, e qual vedea la sferza,
Ratto a prence Behrm benedizioni
Facea pregando. A pie scendeano alcuni
E prestavano omaggio al cuoio attorto
Che lungo in gi pendea. Questi, gridava
Alla sua donna l'uom gioioso, questi
Altri non che il prence nostro, e questo
Nobile volto d'altro non degno
Cosi sen vennero
Che di trono regal!

stette a

Si

Ambo

esti

due con vergognosa fronte

Dall'aperto sentier, correndo a piedi

Al lor prence e signor. Sire,

Grande

elli

dissero,

e potente e saggio e della terra

328

Dominator, tra' sacerdoti illustri


Sacerdote del ciel, povero egli era
L'ospite tuo, di questa casa misera

La donna
Il

e guardian vile degli orti

consorte di

lei.

Ned era

studio

In questi servi o cura al tuo riguardo,

N ricerca si f' del nostro prence


Quivi per noi, perdi' ei venisse a questo
Albergo nostro a dimandarci ospizio.
Scendendo in questa casa e in tal dimora
fortunato, allora
Meschina e grama
Dissegli Behram-gr, questo villaggio
E questa terra e questi campi attorno
Io gi ti dono. In ogni tempo tuo
Nulla farai fuor che ospitar chi giunge.
!

In ci tu

insisti,

La custodia

il

e lascia de' giardini


pensier.

Cos egli disse

da quell'ostel con volto


Che sorridea; balz con legger salto
fuori usc

Sul dorso al palafren dai pie veloci

dal povero borgo usc soletto,

Ei d'Irania signor, per ritornarsi


Alla sua reggia che splendea di

gemme.

L, per la caccia dilettosa, accolti

Gi s'eran tutti principi d'Irania,


Trecento eletti cavalieri. Seco

Avea ciascun
Paggi

di

de' cavalieri trenta

Persia e di Turania e Grecia.

XI. Richiesta delle figlie di Berzin

borgomastro.
(Ed. Cale. p. 1517-1521).

Al terzo giorno, usc con la sua scorta,


gli arnesi da caccia il re possente

Con

329

valoroso. Di lucenti drappi

Ornati avea dieci cammelli, e tutte

Eran le staffe in bianco argento e


Le selle apposte. Al nobile signore
Eran cavalcatura alta e condegna
Dieci

Erane

cammelli e
il

di fulgidi

in oro

panni

seggio ricoperto. Innanzi

Sette elefanti andavano pomposamente adornati, e sovrastavan loro,


In bei turchesi del color d'un fiume

Azzurro e chiaro,

nobili sedili.

Che d'oro e di cristallo avean lucenti


Le basi tutte, inclito seggio e degno
Di prence Behrara-gr.

Gran maestro

Ma

ogni guerriero,

avea con seco


Trenta fanciulli ancor da l'auree briglie
E da l'auree cinture, ed apprestati
A musici e cantor veracemente
Eran cento cammelli, e quei sul capo
Avean corone gravi d'or. Sessanta
E cento ancor falchi pugnaci aveano
Lor falconieri e sparvieri dugento
E di falchi reali una gran copia
Dal capo eretto al ciel. V'era pur anco
Un augel nero pi d'ogni altro agli occhi
Di Behram-gr diletto. Eran gli artigli
D'un color bruno e giallo il rostro, quale
Oro lucente su la tinta bruna
Di lapislazzuli. Il chiamava il prence
Del nome di Toghrl del fero augello
Erano gli occhi inver come di sangue
Due nappi colmi. Il principe di Gina
Inviato a Behrm l'avea con trono.
Con diadema e succino splendente.
Con un'aurea collana adorna ed aspra
Di smeraldi pregiati e con quaranta
di spada,

330

Smanigli ancor, con trenta e sei lucenti


Orecchini dorati. Anche inviava

Trecento carchi

cammelli, onusti

di

D'ogni cosa pi bella e pi leggiadra


Che di Cina venia, con ci trecento
Suggelli di rubin. Cento e sessanta

Forti segugi dietro

a' falconieri

S'adducean pel signor d'Irania bella,


Luce del mondo. Avean collane, adorne
Di vaghe gemme, que' segugi, e al collo

Recavano catene
Scese

in fulgid'oro.

al deserto in

questa foggia

il

sire

D'ogni monarca, e la corona sua


Salse di Giove a superar la stella.

Ma

intanto chi piacer prender solea

Dalla caccia ne' boschi, all'onde chiare

Del fiume si volgea l sul confine,


Al Gihn risonante. Ogni sett'anni
Prence Behrm discendere solea
Sino a quell'acque con propizia stella.
Quando la scorta imperiai del fiume
Giunse a le rive, pien d'augelli il fiume

Scoverse
Battere

Toghrl

il

ei

re dei re,
fece e

si

che timballi

lanci per l'aria

feroce. Impaziente egli era,

Cotesto augello, e in voler suo caparbio,


E, per gli artigli suoi, dispetta caccia

Eran
Al

le gru,

che

pardi eran sua preda.

fin dell'opra, egli spar pel cielo,

Che una gru

volatrice entro gli artigli

Caduta gli era ed ei ne avea corruccio.


Via si vol quale dall'arco freccia,
E dietro gli correa turbato e mesto
Un falconier, che veramente il core
Al nobile signor, per quel suo volo.
Si strinse in petto, ed ei correagli dietro

Con fragor

di sonagli

a richiamarlo.

331

Innanzi allora gli si f' d'un tratto


Vasto giardin. NelFangol del giardino

Ermo

castello torreggiava.

Con alcuni
Mentre sul

Accorse

de' suoi d'Irania

sire,

il

loco della caccia l'ampio

Stuol de' prenci rest. Dentro al giardino

Come

entr Behram-gr, giardino

Ampio ed ameno quale pur


Aperta

valle.

Ne adornava

ei

vide

tra monti

suolo

il

D'erba verde un tappeto e di famigli

di

dovizie e di ricchezze tutto

Era pieno il giardin. Stava nel mezzo


D'un vivaio di rose un bel laghetto,
L 've sedea sul verde margo un vecchio
E tre figlie con lui sedean pur anco.
Cinte alla fronte di turchesi un serto,

E come avorio candide. Leggiadre


Le gote avean qual dolce primavera,
Alta ed eretta la persona, e

Formava un arco ed

il

ciglio

capelli sciolti

Lacci pareano ingannatori. Avea


D'esse ciascuna di cristallo in pugno

Un colmo

nappo, e re

Guardando
Q-li

Behrm

frattanto

Davver! che

attoniti

occhi furon di lui nel loro aspetto.

Mentre

le venia.

suo core per Toghrl feroce

il

pe' suoi falchi era turbato e fosco.

Ma

il

nobile signor del loco ameno,

Tosto che

Come

il

vide, per terror f' pallide

fiengreco le sue guancie. Vecchio

Inclito e saggio era costui, di

nome

Era Berzin ma pel signor d'Irania


Gioia non ebbe quel suo core. Intanto
Ei si mosse per da quel laghetto
;

Subitamente, qual bufera in volta,

E venne

al sire

il

suol baci, poi disse:

332

Nobil sovrano che di sole aspetto


Hai veramente, questo ciel rotante
Sempre si volga al tuo deso conforme!
Dirti non oso: Qui con me rimani,
In questa terra qui, di cavalieri
scorta, e sian dugento . Eppure,
mio prence e signor si compiacesse

Con una
Se

il

D'esto giardino mio, l'inclito

nome

Di Berzn vecchio ascenderebbe al cielo


Della candida luna.

il

re del mondo

Cos disse a Berzn: Fugg da noi

Oggi Toghrl. Per quell'augel feroce

predator nel petto mi


vecchio,

il

si

strinse,

core; leopardi agresti

Allora
N'eran la preda disiata.
Berzn cos rispose al re sovrano:

Un bruno

augello or or vid'

io.

Recava

Sonagli doro; qual disciolta pece

Erane

il

corpo,

ma

gli artigli

suoi

avean color lucente


Di sesamo giallastro. Ei venne e tosto
il

rostro adunco

Sopra quel noce

Che
Ei

si

in tuo poter,

si

ritorner!

pos. Davvero!

per

Tu

la fortuna tua,

va, dicea

Prence Behrm ad un famiglio allora,


E il noce osserva in ogni parte sua.
Ratto qual nembo and il famiglio e voce
Mand subitamente: Oh! in sempiterno
Viva beato il re del mondo! A un ramo
Toghrl s'avviticchi, ma il falconiere
Poi che trovossi
In sua mano or l'avr.
Toghrl ancor per questa via, l'antico
Berzn cosi parl: Prence che in terra
Non hai pari od ugual, liete sian l'orme
Di chi ad ospizio ti riceve, tutti

Servi

ti

siano

prenci incoronati!


Ma

qui frattanto

Da me ricevi, e
La pace del tuo

333

un nappo

in tua letizia

poi clie ricovrasti


cor, cerca tua voglia.

Di quel laghetto su la sponda allora

Discese

re dei

il

re,

N'ebbe gioia nel cor.


Il

che

Ma

il

vegliardo

giunse intanto

ministro del sire e giugnean tutti

i guardiani
e ancora
Lucente una sua coppa
Berzin recava allora e in pria del sire
Gridava il nome, e di cristallo poscia
Altre coppe recava e le ponea
Dinanzi a Behram-gr. Come ci vide.
Quel vin si tolse il principe del mondo
E pi d'assai che di gioia misura.
Ne bevve. Giubil Berzin antico
A quella vista e venne ed una coppa

De' palafreni
Il

tesorier.

In ogni parte pose attorno; e allora

Ch'ebbro

il

sire divenne, alle sue figlie

Ei cos disse:

Che pregi

Deh!

mie

fanciulle

avete, qui discese ai nostri

Verdi giardini re Behrm, n alcuno

Venne con

lui de'

prenci suoi, non uno

Degli armigeri suoi.

Una

Tu dunque arreca

ballata innanzi, o di ballate

Inclita cantatrice, e

il

tuo liuto

Reca tu qui, leggiadra figlia mia


Che di luna hai l'aspetto.
Andavan tutte
Le tre fanciulle al re da presso, postasi

Una corona

di lucenti

gemme

In fronte in prima; e l'una era piacente

Danzatrice,

ma

l'altra di liuti

Senatrice prestante, e cantatrice

Era

la terza, ogni pi trista

Esperta in discacciar. Vuot

Alquante coppe,

cura
di

vino

alle lor voci intento,


Il

334

Ma

re dei regi e s'allegr.

poi

Cos disse a Berzin: Di chi son figlie

Queste fanciulle che con te si vivono


Principe d'Irania,
In tanta gioia?

Risposegli Berzin, veder non possa

Senza di te mutarsi in ciel stagione


Alcuno mai! Ma questo intendi e sappi
Che mie figlie son queste, a me dilette
E del cor mio confortatrici. l'una
Di ballate maestra e di liuti

l'altra sonatrice ed in battuta


Va danzando la terza. Oh ninna
!

cosa

mi fa, d'Irania sire.


Che monete son qui, denari assai,
Terre e giardini. Le tre figlie mie
Son come gaia primavera, quali
Qui pur le vede il nostro re possente.
Qui

difetto

quella, di ballate cantatrice,

Ei disse poi: Deh! bella mia, disciogli

Da ogni pensiero
Del re ballata.

Come

il

cor, canta di quella

Allor,

idoli leggiadre,

le giovinette,

una

ballata

Incominciar con suoni di liuti.


Disgombrando timor dall'ansio core;

quella in prima al suo signor

Lei cantatrice di ballate, e disse

Prence e signor che

di

si

volse,

leggiadra luna

Aspetto rechi, tu somigli a questa

Luna

soltanto che risplende in cielo.

N degno

sei

fuor che dell'alto seggio

Di re dei re. Di luna hai tu sembiante.


D'albero maestoso hai tu statura,

acquistano per te gloria ed onore

trono imperiai con


Deh! beato colui che
Ti mira in volto, deh

la corona.

Il

al
!

primo albore

colui beato


Che

335

del tuo crine afferrar pu da lungi

Il

grato olezzo! Qual di tigre smilzo

Il

ventre tuo,

Ti rechi

ma

gran nerbo

forte e di

braccio, e sale a queste nubi

il

Di tua corona lo splendor. Somiglia

A un
E

fior di

melagrano

il

tuo bel volto,

sorride ogni cor di molta gioia

Per l'amor che ha

quale un

la

mar

Ma

di te.

il

tuo bel core

ne' donativi tuoi,

tua destra nuvola che spande

ampia copia
Sia ben degna

In

Agresti e

feri.

n vegg'

Ma

di

che preda
che leoni

io

di te, fuor

tue saette

punta per lo mezzo


Un crin del capo e qual tepido latte
L'acqua diventa ne' ruscelli nostri
Per tuo giusto operar. Se il laccio tuo,
Se il braccio tuo possente e vigoroso
Scorge da lungi esercito guerriero,
Schiantasi il core per timor, la mente
Si divide la

Attonita

Anche

si

sta d'ogni pi forte.

grande quell'armata schiera.


Behram-gr, come udiva est ballata,
Vuotossi ancor di fulgido cristallo
Quell'ampio nappo e disse al genitore:

Uom
Che

se

d'altera cervice, e caldo e gelo

assai provasti della vita in terra,

G-enero non avrai di

me

migliore.

Miglior di me, gagliardo in fra monarchi

di genti signor.

Este tre

figlie tue,

Dammi

tu

adunque

perch'io sollevi

Fino alle stelle tua corona.


prence,
Berzn gli rispondea, sempre t'arrida
Il vin giocondo e ti sorrida intanto
Ogni vago coppieri Chi arda, chi mai
Dirti osava

quaggi per l'ampia terra


Che

s'avesse

336

un mortai figlie
Oh! se

In sua casa nascoste?

vaghe

l'hai caro,

Adorer qual umil servo il tuo


Seggio di re dei re. Deh! si, quel trono
Io servir con la corona tua,
La regia maest, l'inclito grado
E la fortuna. Queste figlie mie
Ancelle ecco a te son veracemente,

in piedi elle

si

stanno

tuo cospetto

al

piacque
vedea
Ancor da lungi tutte helle e adorne
Come tre lune in ciel, vegga che altezza
Han di vaghi arboscelli ed han splendore
Di bianchissimo avorio. Anche son degne
S

schiave. Poi che

come

re

il

Di queste ancelle sue, quali

si

ei

Di regal seggio e di corona. Intanto


secreto ch' a me, dir ben io.

Un

Della terra al signor manifestando

E bene

e mal. Di vesti e di tappeti,

Di coltrici e di drappi una gran copia,


Qual di dugento carchi di cammeUi,

me

schiavo entro all'albergo,


Sonvi pur anco
maggior.
Se pur non
troni
e serti.
armille
e
ed
collane
E
Si che molto n'andran gioiose e in festa

Rinviensi di

Le

figlie

mie.

Le

cose che tu celi

Nella tua casa, lascia che

si

restino

In questo loco, qui, ratto che intese


Prence Behrm gli rispondea. Tu intanto

Del vin coi nappi al piacer tuo ti volgi.


Dissegli il vecchio allor: Queste tre figlie,
Come luna leggiadre, ecco! secondo
Quella di Gayumrs antica legge
E di principe Hoshng, a te qui aflido.

Son come polve a' piedi tuoi, che tutte


Solo pel tuo voler, pel tuo consiglio.


Elle

hanno

vita.

337

Mah-afrid

il

nome

Frank

si

chiama

Della figlia maggior,

L'altra fanciulla, e Shenbelid

Della terza, o signor.


S piacenti e si belle

Per giusta elezion


Ei

le

Poi
il

Le

le

vide

re sovrano,

fra le regine

pose ed a Berzn

In questi detti:

nome

il

che

si

volse

tre figlie tue,

Come luna leggiadre, allor che lungi


Re Behrm le vedea, piacquero a lui.
E comand che palanchini quattro
Di fulgid'or da l'esercito suo

Recasse

tal,

famoso in armi. Allora

Che si posar ne' vaghi palanchini


Le tre vaghe fanciulle, intorno ad

esse

Venti e venti ne andar donzelle greche,


Devote schiave a quest'idoli, e intanto

Lor fean benedizione. Ecco! sen vanno


Al gineceo che in fulgid'or risplende,

Le

tre fanciulle
il

come

intatta luna,

nobile signor, vino beendo,

Ancor si arresta. Ma del re la sferza


Recava un paggio; ei s l'appese a quella
Porta del loco. All'esercito suo
Nullo era indizio del signor de' prenci
Di fronte altera fuor che la sua sferza,
E ratto che qualcun vedeane appeso
Del lungo cuoio il manico lucente,

L dinanzi correa per

Behrm
Ebbro dal

farvi omaggio.

l si rest fin

vino, e poi

Dal gagliardo licor

che

sal,

si

fea

gi fatto

lieto e gioioso.

Nel palanchin. Cos discese al suo


Gineceo rilucente in fulgid'oro,
Cos discese a quello che splendea

Di nitid'ambra, dilettoso ostello,


FiBDCsi, VI.

28

338

ratto ch'ei v'entr, per sette giorni

L si rimase e molti ebbe diletti


E f' doni all'intorno e disse e intese.
Al piano della caccia ei ritornoss
Nel giorno ottavo ei stesso, e con lui pure
Ruzbib venia con mille cavalieri.
Tutto il deserto egli vedea d'onagri
Ingombro e pieno, s che l'arco suo
Imperiai dall'ampia teca

dell'arco a le

La corda

ei trasse,

punte estreme e adunche

avviticchi, di Dio gridando,

nome. Era la bella


si che cercavano
Gli onagri in volta lor compagne, e tutti
A quel loco volgean da tutte parti
Bramosamente. Ma costui graffiava
Vincente sempre,

il

Primavera a que'

d,

quello

il

dorso e questo a quello e intanto


di tulipano il suolo

D'un bel color

Si fea pel sangue.

rest ed attese

Prence Behrm fin che due onagri insieme


Per viva foia si azzuffr; ma quando
Uno de' maschi valoroso e forte
Rimase vincitor, quand'ei la femmina
Sotto

si trasse,

re

Behrm guerriero

corda e rise allora


Ch'ei ci vide, e gio. Trasse la freccia
Del fero ngro drittamente al dorso
E la punta del dardo e le sue penne
Per le sue carni f' passar. Davvero!
Che la femmina e il maschio insiem trafisse,

Tese all'arco

il

tal

la

core degli eroi arse di gioia


colpo maestro! Ogni guerriero

Dell'esercito suo, che il fatai colpo


Giunse a veder, grid benedicendo
Al sire e disse: Lungi di sventura
Da tua grandezza gli occhi! e i giorni

tutti

339

Festa gioconda sian per te!

Tempo,

Tu

in questo

pel valor tuo, se' peregrino,

Sei re sovrano e se' gagliardo eroe!

Avventura

XII.

del gioielliere.

(Ed. Cale. p. 1521-1529)

il bruno palafreno
quando una foresta
Sul suo sentier gli si f' innanzi. Due
Leon feroci innanzi alla foresta

Di l sospinse

DTrania

il

Ratto

scoverse e tese all'arco suo

ei

La corda

sire,

La volante

e trasse.

Del leon maschio

freccia

ei conficc nel petto

quella freccia con la punta sua

E con

piume

le

Da parte

f'

passar d'un tratto

a parte. Alla

femmina

allora

prence e rapida la mano


Aperse a liberar l'altra sua freccia,
E con essa inchiov della leena
Si volse

il

il petto e il ventre. Senza piume, ei disse,


Era questo mio dardo e la sua punta
Non era aguzza, anche se v'era.
Intanto,
Lo stuol de' prodi a lui benedicea
Con lodi e auguri:
monarca famoso
Dell'ampia terra, prence a te simile

Del re dei regi su l'eccelso trono

Mai non vide il mortai, n fla che un giorno


Veder lo possa. Con la freccia tua
Senza le piume se un leone atterri,

Tu

scrollerai da le sue fonde basi,

Quando

ell'abbia le penne,

un monte ancora.

Dentro a quel loco dilettoso e ameno


Andava il sire, e vennero con lui

340

Quanti gli eran pi cari e pi diletti.


Piena d'armenti una foresta ei vide,

Ma

di l si fuggian tutti

pastori

Per timor di periglio. Un di pastori


Capo e signor vide Behrm, qual mai
Di belve agresti per timor possente
Riposo non avea. Cotesti armenti,
Gli favellava re

Behrm, chi mai

In questi lochi perigliosi e

Osa menar?
Il

Di

tutti,

signor de' caprai

gli

tristi

o glorioso,
rispondea.

armenti

Io qui discendo solo, e son gli

D'un

gioiellier, quali dal

Ieri in sul vespro.

monte addussi

ricco ed possente

n si smarrisce
Per travaglio o sgomento o per paura.
Appo lui, di gran nome, a some d'asini
Stanno le gemme ed ornamenti stanno
E argento ed oro. Egli ha una figlia sola
Degli armenti

Gh'

il

signor,

di liuto sonatrice, e

Cadono a ciocche

le trecce.

Il

lei

bei cincinni intorno

licor del dolce vino

Ei non riceve che per

man

di quella.

alcun vide giammai vecchio simile.

Ma

se

non

fosse nobile giustizia

Di re Behrm, com'ei potra

grande

Ricchezza posseder ? Non s'affatica


Per l'oro il prence e i sacerdoti suoi

Macchia non hanno d'ingiustizia alcuna.


Ma tu dimmi, o signor, chi le due belve
Uccise qui. Deh! che gli sia sostegno
E aita sempre Chi governa il mondo
Behrm gli disse: Questi due leoni
Per le punte d'un forte ed animoso
Avean la morte. I due leon pugnaci
Ratto ch'egli ebbe uccisi, and veloce,
!


Ed erano con

341

compagni.

lui sette

Dal capo eretto cavalieri. Or dove,

Or dove, dimmi

Non
Il

celar!

la

tu, del gioielliere

casa? Mostrami

Si sta la

Tu

va

la via,

di qui, rispose

signor de' caprai. Ti verr innanzi

Un nuovo borgo nobile e gentile.


Ma queir uom suol discendere da
Suoi lochi alla

citt,

Di principe Belirm.

Quando

L'om

ricco ed opulento ad

Recasi

lieto.

se

cielo,

una

festa

breve indugio

Qui tu farai, di canti e


Un suono ti verr tosto

Behrm, come

veste

si

D'un bruno vel questo rotante

Che

questi

scende alla reggia

l'ud,

di conviti

agli orecchi.

un

chiese

destriero,

Chiese ornamenti ed una veste fulgida

And lontan

Imperiale.

da' suoi

Ministri allora e da le accolte schiere,

Che

di

nuovo deso

Gi s'ingombrava.

la

mente sua

Ma Ruzbih

A' prenci e disse: DellTrania

A un

volse

si

sire

il

castello or sen va. Del gioielliere

Ei picchier alla porta della casa.

Ma

mie
La leggiadra

voi porgete alle parole

JL'orecchio intanto.

figlia

Ei chieder dal genitor per porle.

Indubbiamente, su l'eretta fronte


Una corona d'or, poi, da quel loco,
Al gineceo la condurr, che d'oro
Splende,

Notturne

la

condurr dentro a

le stanze

di Berzn. Di dolci baci

Deh! che non viene in lui stanchezza mai,


S che fuggon da lui la notte oscura
Le sue fanciulle! E gi son pi di cento
Ginecei per lui sol. Davver! ch' male

342

Che tal regnante sia! Ma novecento


E trenta ancor di vaghe giovinette
Corpi leggiadri che han corone in fronte
Di chiare gemme, numer frattanto
Nel gineceo del re l'eunuco intento,
E niuna l che di ricchezza molta
Lieta non vada. Ora ei, da ogni confine
Di questa terra, cercasi tributi,
E quel che gli venia dalla frontiera

un sol anno and dispefso.


Oh! sventurato quel suo petto e quelle
Ampie sue spalle e la statura sua,

Di Grecia, in

sventurate quelle gote allegre


Che adornano il banchetto! Alcun non vide
In terra mai chi ugual

gli

fosse in tanta

Forza e statura sua, ch'ei veramente


Con un sol dardo insiem trafigge due
Possenti onagri.

Ma

cotesti pregi

Vanno dispersi omai pei caldi amplessi


De le fanciulle sue, si che ben tosto
Ei sar fiacco quale l'uom che tutto
Il vigor suo perdea. Torbidi e foschi
Ei far gli occhi suoi, smorte le guance.
Debile

si

far della persona

livido nel volto. Alla fragranza

Che da

fanciulla vien, bianco sul capo

Rendesi il crine, e toglie de la vita


Ogni speranza la canizie. Ratto
Come una mazza incurva a lanciar globi
Egli far la sua persona eretta,
E tal sventura incoglie all'uom per l'opre
Delle donne quaggi! Basti una volta
Ad ogni mese un dolce amplesso. Allora

pi sar, di sangue spargimento


Sar pur quello. Eppur, sol per la prole
tal faccenda di garzon ch' saggio.

Che

343

propria e degna! Ma se tu pi fai,


Maggior sar iattura e per fiacchezza
Sen va dell'uomo il cor pieno d'affanno.

All'ostello regal

tornaron

tutti

In questi detti, e tale aggiunse

suo dritto sentier smarriva

Il

il

Ornai
sole!

Ma Behram-gr

in quella notte oscura


con un sol famiglio
Pel suo destrier. Sen venne a quella casa
Del gioielliere il nobile signore,

And

soletto

tosto,

come vennegli a

l'orecchio

Di liuti concento, egli sospinse

Dietro a quel suono di

liuti

il

suo

Nobil destriero d'un color di rosa.

Senza un indugio, fino al ricco albergo


Del mercatante. Con l'anello appeso
Alla porta ei batt chiedendo accesso

E amico

s'invoc di questo sole

sovrano Signor. Chi mai? chiedeva


Amorosa l'ancella; e per qual cosa
Il

cotesto picchiar, la notte oscura,

questa porta?

Ei die risposta,

Questa

si

Della sua caccia

il

mane

parti dai
re,

ma

il

all'alba,

campi
palafreno

Zoppo si fece a me di sotto, ed io


Rimasi a dietro dal mio prence in questo
Miserevole stato. E se qualcuno
Qui per la via mi ruba il palafreno

E m'invola le briglie inteste d'oro,


Sar d'aita bisognoso.
Allora,
Al signor di quel loco and correndo

La

giovinetta e disse: Ospizio a noi

uom su la via. Dice: Qualcuno


palafren m'involer con queste
Redini d'oro ed io n'andr meschino .
Chiede un

Il

Schiudi

la porta,

quei rispose. Forse


Che

visti

non hai qui per alcun tempo

Ospiti nostri

Schiuse

il

la fanciulla corse,

porta e disse: Entra, o garzone.

la

Come

344

scorse

sire l entr,

un gran

loco

vide ovunque e in pie vaghe fanciulle.

S che disse in cor suo: Giusto Signore,


Unico Iddio, ben tu sei guida al servo
In tua grande bont! Deh! mai non sia
Fuor che giustizia mio costume in terra,
E cupidigia ed arroganza stolta
Mai non sian la mia f! L'opere mie.
Le imprese mie giustizia veramente
Esser dnno, onde poi s'allieti il core
D'ognun ch' a me soggetto. E se pi grande
Sar giustizia in me con sapienza,
Dopo la morte mia chiaro pel mondo
Ricordo si far. Que' servi miei
Possano un d restar fra canti e suoni

Di Jiuti

Gme

cosi, fra liete

cene.

fa questo gioiellier valente!

Allor ch'ei s'avanz, giunse del loco

A un

alto

punto e

l scopra quell'inclita

Vaga fanciulla per la porta, e allora


Che del loco il signor da lungi il vide.
In pi levossi e venne ratto e quella

Alta statura sua pieg d'alquanto


In inchinarsi. Disse poi: Beata

Questa notte a te
A chi di te male

Un

sia,
si

divelto

pensa!

giaciglio gitt, pose

Che l'uomo

core

un guanciale,

ospitalier fecesi lieto

L'ospite suo nel rimirar.

Un

il

Intanto

L innanzi

ricco desco egli apport; sovr'esso

Erano

cibi,

freddi e caldi, e poi.

Al venir d'un famiglio al suo signore


Caro e fedel, d'avvincere il destriero


Dell'ospite

Fu

f'

345

Anche

cenno.

mensa

la

chiesta allor pel giovinetto paggio

Di principe

Behrm

e per lui solo

Altra stanza a ordinar furono intenti

Anche

al sire del loco, ospitaliere,

Posero umile uno sgabello, ed

ei

Si assise al re d'accanto, indi a far scuse

Incominci, a

Behrm

cos dicendo:

Eroe gagliardo, in questo mio castello


Dolce ospite mi sei, ma fa che al mio
Rozzo costume tu ti acconci. Ratto
Che il bianco pane fla gustato, in pugno
Vuoisi il nappo brandir, vuoisi la pace
Nei dolci sonni ricercar. La notte

E
E

tenebrosa, imperiale
tu,

come

Ti poserai.^

il

vino,

sarai sazio del vino.

Ma quando

al

primo albore

Ti leverai dai dolci sonni, fuori,

Qual costume

Behrm

gli

di re,

correr dovrai.

disse: In tenebrosa notte

Chi mai, si come il tuo, volto ritrova


D'un ospite s vago e si fiorente ?
Ma non vuoisi per mostrarci ingrati
Inverso a Dio, che degl'ingrati il core

pieno

di sgomento e di paura.
L'acqua e la conca per le mani allora
Port la figlia del signor del loco,

ratto di quell'ospite alla vista

Attonita rimase. Allor che furo

Ambe

le

man

Chiese di vino

lavate,
il

un colmo nappo

gioiellier festoso

E la sua pace e il suo contento e


Pieno desio nel fervido licore
Si ricerc. La nobile fanciulla
Recava un nappo di gagliardo

Di rubicondo vin, con

il

vino.

fiori eletti

suo


Di fiengreco, e

Stese la

il

346

signor del loco

man primieramente

ameno

nappo

al

bevve, indi lav quel nappo suo


Con muschio ed acqua di purpuree rose.
Indi il porse a Behrm, quale per lui
Nappo di gioia apportator, poi disse:

Di

te,

del vino bevitor, qual

veramente? Per

nome

tal

nome

teco

Un patto or io far, qual d'amicizia,


E ti porr mallevador possente
Behrm, nostro

signor.

Di

lui si rise

re d'Irania, e disse
Gushaspe cavaliero il nome mio.
Ecco men venni d'un liuto al suono,

Forte d'assai

il

Per colme tazze


Qui non discesi.

e per lungo soggiorno

Questa fanciulla

l'ospite dicea

mia

fino alla volta

Di questo ciel mi fa levar la fronte.


Il

vino ella mi porge e di liuto

sonatrice e sa cantar ballate


E discaccia il dolor. Di lei che al core
conforto e quiete, Arz leggiadra
nome, ed ella si quella che il vino
Mi porge

e a questo cor dona la pace.

Allora, a quella

Un

leggiadra

come

cipresso gentil, Prendi, egli disse,

tuo liuto e vieni, o bella, in tutti


Gli adornamenti tuoi, le tue fragranze,
Al nobil prence
Di Gushsp nel cospetto.

11

La

sonatrice di liuto allora

S'accost lentamente, e s'avanzava


Qual di melagrano un bel virgulto.

A Behrm

ella disse

Eletto cavalier,

che

cavaliero,

in ogni cosa

Al re somigli, sappi che l'ostello


Di tue feste gioconde questa casa.

347

Ospite il padre mio, de' tuoi tesori


Fedel custode. Ma la notte oscura

Ti sia propizia e la tua fronte bella


Alta

si

levi a

Che

ci

mandan

superar

le

re le disse, e prendi

Il

nubi

la pioggia.

Che senza indugio

il

(3h

m'

qui

qui t'assidi,

tuo liuto.
d'uopo, o bella,

D'una ballata. E questa notte ancora


Giovane si far per molta gioia

Mahyr

vegliardo e l'anima sua bella

Al dolce ospite suo metter in pegno.

La

giovinetta sonatrice allora

suo liuto in

Il

man

si

prese e un canto

D'antichi Magi incominci dapprima,

tosto,

come preser dolcemente

A mandar
Tutta

la

suoni le corde di seta,

casa d'un odor soave

Di gelsomini

riempi. Cantava

si

Mahyr padre suo la giovinetta


Una ballata, e gemerne pietosaDi

mente

il

liuto detto avresti. Al

padre

Mahyr, tu sei
Veracemente qual sul verde margo
D'un ruscelletto l'agile cipresso.
Ella dicea cos

tuoi capelli attorno a le tue gote

Son come bianca e rilucente canfora


Su vaghe rose porporine, e calda

Si

la

tua lingua in favellar, saggezza

cerca

Veggasi

il

tuo bel cor.

afflitto in

Ma

tuo nemico

il

ogni tempo suo,

l'anima tua bella abbiasi ognora

In sapienza l'alimento. Eguale

re Fredn sei tu d'inclito core.

Io son l'ancella tua,

Arzi leggiadra.

Per quest'ospite

Ed

suona

il

mio nome

or, tanto fui lieta

tuo,

quanto

s'allieta

348

re sovrano, allor ch'ei vede in guerra

Un

le falangi sue.

Toccar vittoria

Come

detto fu ci,

volse ratto

si

Allo stranier la giovinetta. A lui


Cos si volse con la sua ballata

cavaliere,

flebile liuto.

il

All'ospite dicea,

che

di

regnante

Hai l'aspetto e propizia la fortuna


E fermo il core, o di guerresche imprese
Operator, chi mai non vide in terra
Behrm sovrano, cavalier gentile

Celebrato d'assai, gioia del core,

Guardi

al

Che non

tuo volto lungamente. Certo

somigli fuor che a

fra tanti

lui,

Di sue schiere pugnaci! tua persona


Quale una canna agile e snella; quale

D'un bel cipresso

Ma
Ha

la statura tua,

quel cipresso che cammina, incesso


di superbo augel. Tu sei nel core

Valoroso leone ed elefante


D'impeto Aero nella tua persona,
E l, nel folto delle tue battaglie.
Fino a due miglia i dardi tuoi pennuti

Giungi a scagliar. Le tue fiorenti gote


Somigliano a bel fior di melagrano
Veracemente. Oh! che di' tu? Di vino
Chi color que' petali di rosa
Che t'adornan la guancia? E son le tue
Braccia possenti cosce di cammello,

Che

tu, dalle

sue basi, anche la roccia

Di Bisutn diveller puoi. Davvero!

Che con

stento e fatica

Mortai quale sei


Io

mai non

tu,

il

cb a

ciel

procrea

te l'uguale

vidi nella mischia. Intanto,

Sia qual la polve sotto a' piedi tuoi


D'Arz leggiadra la persona, ed ella


Vivasi

gli

anni suoi per tuo comando

Della terra

Pel liuto

349

il

di lei,

signor, per la ballata,

per quell'aspetto
per quel sapere

la statura sua,

Ch'ella spieg,

Che

di tanto fu traftto.

detto avresti d'infinita doglia

Mutarsi in ricettacolo quel core.


poich l giacea dinanzi a lui

Ma

Ebbro Mahyr, a quell'ospite suo


L'iranio prence cos disse: Dammi,
Conforme ai riti ed alle leggi, questa
Ch' figlia tua, se pur tu vuoi per tua
Alta giustizia alcuna lode.
Cosi disse

Mahyr

Allora

alla fanciulla

Ricchi doni tu cerca da costui


Di leonino cor. Vedi se mai
Egli piacente al tuo bel cor, se frutto

Ei

ti

dar quando

di lui tu

sii,

Nobil vegliardo d'inclita natura,


Arzi rispose al genitor, se pure
Vuoi tu darmi ad alcun, gli sposo mio
Gushspe cavalier. Questo mi basti.
Chi mai sar che s'egli vegga tale

Di cotesta belt, volgasi e dica

re Behrm Da questa via ti togli


Gradite gi non ebbe este parole
:

Della sua figlia ed a

disse

il

Behrm

si

volse

vecchio: Cavalier pugnace,

Dal capo al pie riguarda attentamente

cotesta fanciulla e ne considera

l'ingegno e

il

talento ed

Considera nel cor

s'ella

il

consiglio.

a te piace,

Che l'averne contezza meglio assai


Che sedersi gi inerte. In tal ricchezza,
Indigente non la giovinetta.

N mio

consiglio barattar parole

350

Del pi, del meno, inutilmente. Vedi

Se di Mahyr tu numeri le gemme.


Pi assai verranno a te di quante sono
Nei cofani del re. Ma tu frattanto
Non operar da stolto e il tuo riposo
Questa notte ti prendi, e, s' t' d'uopo,
Anche un nappo ti togli. In loro ebbrezza
Non fermano connubi i prenci mai
Quando sia veramente alcuna donna

Ma

D'inclito pregio.

Fin che

si

qui resta

levi trionfante

il

meco

sole

de' prenci la testa, incliti in armi.

Dal dolce sonno

Raduneremo

ali

si

riscuota.

Noi

or vegliardi esperti,

Mansiieti di cor, che anche notate


le cifre. veramente
La notte oscura d'ogni legge fuori,
N di prence Fredn questo sara

Legger sappian

Nobil costume, n leggiadra cosa

davver che

si

cerchi la compagna

Tal eh' preso dal vin, l'alma volgendo


Novelle cose ad ordinar con foga.
Vane cose son queste, arditamente

Behrm

gli

Far come

rispondea. Tristi

fai,

auguri

gli

tristo consiglio e trista

questa via. Gotesta senatrice

In questa notte

si

mi

piace, e tu,

Fin che tu puoi, non far dolenti auguri.


Disse il padre alla figlia: Arz diletta.
Forse che per l'aspetto e per l'ingegno
Costui

ti

scegli

Oh

colei rispose

Io lui scelsi per gli occhi e

per

la fronte

Ratto che lunge lo scoversi. Or tosto


Compi la gran faccenda e le compiute

Cose affida all'Eterno. Il ciel, tu


Odio non ha contro a Mahyr.

sai,

Allora,


vecchio

Il

disse,

351

tu ne sei la sposa.

Che

tu sei di sue stanze, e intendi e sappi.


Cosi dicendo ei l'affidava al sire,

E Behram-gr

se l'accogliea qual sposa.

Quando la notte si f' giorno, tutte


Eran compiute l'altre cose, e intanto
Di Mahyr sulla porta alta sospese
Del suo prence e signor la sferza adorna
famiglio real. Scendea frattanto

II

Alle sue stanze

Che de

la terra

Arz leggiadra
per

le

allora

quattro parti

Ogni capo vivente era assopito;


Mahyr scendeva a un altro loco e ratto
Di Gushsp cavalier tutte ordinava

Le

cose intorno. Serra, al suo famiglio

E fea comando, serra tu la porta,

di

pecore in traccia alcuno invia.


vuoisi qui gi che s'imbandisca

Che non

Senz'agnelli la mensa; e ben nutriti

pingui sian

gli agnelli

nostri.

Ancora

Di Gushsp cavalier nella presenza


Tu resterai; quand'ei si desti, ghiaccio

Recagli e birra ed una tazza piena

D'acqua

di rose, in canfora lucente,


t'adopra che dei sonni suoi

Tutta olezzi

la stanza. Io,

Nappi del vino,

per

molti

mi son qual era

tal

Non resiste al vino


vecchio gioiellier
Cos dicendo,
Tutte le coltri si ritrasse al capo
E l'agio suo cerc nei dolci sonni.
Quando mostr la sua corona in cielo
Questo fulgido sol, quando la terra
Ieri sul vespro.
Il

Tutta splendette come bianco avorio.

Vennero

gli scudieri

venner

tutti

Gli arcieri in folla, indizio della regia

352

Sferza a cercar. Cos, su quella porta,

A-dunavasi esercito infinito,

Quale s'accoglie

al limitar

dalla reggia.

del prence

chi riconoscea

Quella sferza regal, s'avvicinava


E prestavale omaggio, e delle porte

custode fedel che tanta folla.


Tanti scudieri l scopra con tanti
Arcieri accolti, rapido sen venne

Il

del dormiente da' suoi dolci sonni

capo suscit, dal vin fumoso


Al suo senno il condusse e cosi disse:
Levati e sciogli ad operar la mano.

Il

Tempo non
Non questo

di dolci sonni e loco

a indugiar, che

Ospite tuo qui

sta,

il

re del

mondo

nella tua casa.

Nella dimora tua povera e grama.

Del portinaio

alle parole, ratto

conturbava il core.
oh! donde mai
A dir tu giungi? e da che mai del prence
Ma quando il vero
I segni ormeggiar puoi?
Egli ud da costui che il raccontava.
Alto gridando balz in pie da quelle
Coltrici sue, poi disse in gran disdegno
Delle porte al custode: Oh! veramente
Del gioiellier

si

S ch'ei dicea: Cotesto

Tale eh' saggio e per et provetto,

Mai non dice cotesto

che

ti

fece

prence su la terra, o esperto


In tutte cose? dissegli il valletto.
Tanta s'accoglie a le tue porte innanzi
Schiera d'armati, che a passar fia stretto
E angusto il varco a te. Chi s'avvicina
Alle tue porte, omaggio rende a quella
D'Irania

il

Vecchia cortina tua. Venne un famiglio


Al primo tempo del novello giorno

Quando ancor manifesta in ciel non era


la luce, ed una sferza in oro

Del sol

Tutta lucente, in ogni parte sua


Tutta sparsa

di

gemme,

egli sospese

Alle porte dinanzi in quella parte

Che il passaggio da noi. Da lochi


Da lochi eccelsi, intorno si raccolse

quella lunga sferza

Ma

Subitamente.

bassi.

una gran turba

tu intanto all'opra

Ti poni e non sfacchir, pel dolce vino

Egro non

ti

mostrar della persona.

Del portinaio come ud que' detti

L'uom vecchio e antico e vigile, si dolse


E disse: Oh! dunque perch mai, dinanzi
Al mio prence e signore, ebbro divenni
Ieri sul vespro ? e perch mai fu data
Cos sen venne
Al vin la figlia mia ?

Alle stanze d'Arz. Figlia, le disse,

luna intatta e d'inclita natura.


dei regi Behrm quei fu che scese

Re

Ieri al vespro alle case, alla dimora


Del gioiellier Dal loco egli venia
Della sua caccia e qui volgea le redini,
!

questo loco. Or levati e di greci

Drappi t'adorna e come ieri al vespro


Ti poni in capo una corona. Intanto

Un dono

Gemme
Degni

tu farai d'imperiali
al

tuo prence, tre rubini rossi

di re.

Ma quando

tu vedrai

Di questo re, che splende come

il

sole,

L'inclita gota, innanzi tu gli andrai.

Ambe le man
E fermi tieni

conserte.
gli

E mira

a lui

occhi tuoi, lui sempre

Cos stimando quanto l'alma tua

la

persona.

Con dolce
FrBDusi, VI.

s'ei

t'inchiede, parla

favellar, le tue parole


23

lui

354

volgendo vereconde e piene

D'alto rispetto.

Or

io dinanzi a lui

Non torner s'ei non mi chiama e al


Non mi pone a seder de' suoi famigli,

loco

Ch'io mi sedetti gi, quale suo pari.


Alla mensa con lui. Deh! per tal colpa
Intatte non mi restino quest'ossa
Alla persona! Libero e protervo
Di contro al mio signor pel molto vino
Mi comportai. Deh! quante per il vino
Si fan peccata in giovinetti e vecchi
Venne correndo un suo famiglio allora
E cos disse: desto il re che ha l'alma
Re Behrm, che desto
Chiara e serena
!

Erasi allor, tranquillo era dell'alma,


Forte del corpo; ad un giardino ei scese
E la persona si lav e la fronte

E pregando l'Eterno al sol fiammante


Reverente si volse. Era quel core
Pien di speranza inverso a Dio. Ma poi
Di l sen venne al loco suo di quiete
E di vino un bicchier si chiese colmo
Dal coppiere del vin. Quand'egli seppe
Novella certa de' famigli suoi

L su le porte, volle ei si che tutti


Tornasser quelli a dietro per la via
Subitamente, e f' precetto ancora
Che Arz leggiadra a lui venisse. Avea
D'Arz nel core alto deso. Sen venne
La giovinetta con un dolce vino
E con offerte da gittargli al piede.
Con le sue -ancelle di monili adorne
E d'orecchini. Ella inchinossi e un bacio
Diede alla terra e ne sorrise il prence
E ne gio. Le disse allor: Cotesto
Come hai fatto con me? Ebbro mi festi


E mi

Ma

lasciasti poi.

355

le ballate

Bastano a me col tuo liuto, e gli altri


Doni de le fanciulle oh son per altri
Or tu mi reca la ballata adorna
Che della caccia e de' maestri colpi
E della punta della lancia acuta
!

pugne del tuo re dicesti.


dove il gioiellier? soggiunse

delle

Ma

Ebbri

ieri noi

fummo

F' invito al padre,

Stupita

si

al

poi.

tardo vespro.

come

ud, la figlia,

del cor del prence iranio,

padre intanto, con le man conserte.


Nel cospetto venia del re sovrano
Che aspetto avea di sol. Prence, gli disse,

il

Accorto e saggio e nobile e possente,


Eroe guerrier, di Dio ministro, sempre.
In tutti gli anni tuoi, resti la terra

Conforme
Il

nome

al

tuo deso, resti

dovunque

tuo congiunto alla corona

bevve della sua stoltizia


l torbido licor, nulla si merta
Fuor che in silenzio rimaner. Davvero
Che venne colpa in me da mente ignara.
S ch'io mi penso che da un Devo stolto
Quei che

si

Me

vinto estimerai

Pur

ti

si

addice

Perdonar questa colpa e luce a questa


Mia fronte ridonar, splendido ancora

Farmi

A
Di

in terra

il

tue porte son

me

sentier.

io,

Stolido schiavo

che qual d'un uomo

stima non fa d'Irania

Cos rispose:

il

sire.

L'uom prudente e saggio

Nulla si prender da chi fu vinto


Da gagliardo licor. Quei che in dispetto
Ha il vin fumoso, mai non fia che il vivo
Color ne vegga e sentane fragranza.
Noi, nell'ebbrezza tua, d'animo reo

356

Non vedemmo alcun

segno, e questo ancora


Udir potrai da Arz eh' tua. Tu intanto
Questa scusa farai s adoperando

Per ch'ella, di liuti senatrice.


Di tulipani mi favelli ascosi
Fra gelsomini. Ella qui canti a noi,
Perch noi ci beviam del dolce vino
E il mal de' giorni che non anche in cielo
Salian, qual cosa che non , curiamo.
Diede un bacio alla terra ed all'istante
Rec le mense ed ogni bella cosa
Apparecchi Mahyr. Quanti eran prenci
L su le porte di suo ricco albergo,
Ei, d'eletti consigli e di gran core,
Introdusse cortese, e quella intanto

Arz leggiadra, corrucciata in volto


Per gli ospiti stranieri, alle sue stanze
Scendea riposte. E l rimase ascosa
Fin che bruno si f' quest'alto cielo

dintorno alla luna apparver tutte

Chiare

Pan

Quando alfine il dolce


Arz gentil chiamossi
sederla ad uno scanno

le stelle.

fu gustato,

padre e f'
D'immagini dorate intorno sculte
E precetto le f' che suo liuto.
Ella s vaga come luna in cielo,
Prendesse ancor per la ballata adorna
Il

Che assegnavate
Inclito sire di

Udendo
I

il

nome

il

prence.

gran cor,

Ed

ella disse:

di cui

lasciano le selve

leoni atterriti, oh! re vincente

Veramente

sei tu,

sgominatore

Di squadre avverse!

Il tuo bel volto quale


Tulipano freschissimo, dischiuso

Fra gelsomini; su la terra prence


Non che ti sia pari alla statura.


E non

357

luna in cel di tale aspetto.

che vede il tuo cimiero


Nella battaglia l sui campi tuoi,
Schiantasi il core e scompiglia la mente;
quell'oste

Travolta in la sua fuga, alte montagne


Scerner non pu da lochi fondi e bassi.
Pel gagliardo
Allegri e gai,

li-cor

come

come

fr tutti

dal ber tornavano

De le tazze profonde, ecco! venirne


Ruzbh ministro al suo signor. Gli elessero
In quel villaggio ad abitarvi loco.

Ed ei rec gli adorni palanchini


E venti eunuchi e venti ancor. Cotesti
Avean di luna vaghissimi volti.
D'ogni cor dolce affanno.

bello

il

volto

D'ogni greco garzon qual greco drappo,

quella terra andavane superba

Di novella belt. Discese allora

Arz leggiadra

XIII.

gineceo del

al

Postosi in fronte

sire.

un ingemmato

Avventura

serto.

di Fershid-verd.

(Ed. Cale. p. 1530-1532)

Con Ruzbh
Aperto
Di

il

cor,

ne andava il re dei
con anima contenta,
se

Mahyr prence

Notte

ei

dormia,

dalla casa. In quella

ma

l,

sul

primo albore.

Di sua caccia gradita ai vasti campi

Anche

regi,

discese. L'oste sua guerriera

Per lochi aperti trapass veloce


E per lochi inaccessi, onde accadea
Che tutto un mese nei deserti campi
Tanta gente restasse. I padiglioni

358

recinti elevar subitamente

E sgomberar da
Tutto

il

piano

selvagge fiere

le

Oh

infinito.

su quel

campo

Necessit di placidi riposi

Mai non venne ad alcun, ma furon carni


Abbrustolite di selvagge fiere

vin gagliardo e

liuti

e ribebe

Tutto quel tempo. Accesero lor fuochi


Tutto all'intorno pel deserto e legni
Aridi e verdi vi bruciar. Venino
Dalla citt parecchie genti allora,

Tale venia che

monete avea

di

Alto bisogno, e l rimase e molto


E vendette e compr. Splendea quell'ampio

Loco deserto per

tante schiere

le

Ivi raccolte, e tutti

comp^^arsi venan,

Quattro denari
Ed un ngro.

pei'
I

mercatanti
s

ch'eran prezzo

gazzelle dieci

poverelli intanto.

Astretti a mendicar, tante s'aveano

Gami arrostite di selvagge belve


E d'acquatici augei, che alla sua

casa

Recavane ciascun copia infinita,


D'asini a some, per gli ospiti suoi.

Pei teneri suoi

figli

e piccioletti.

Ratto che un mese trapass, deso


Sorse novello in Behram-gr, che voglia
D'anche giacersi con le donne sue
In cor gli venne. Le sue genti allora
Delle cacce dal loco

E non

ei

ricondusse,

fu vista la lontana via

De' cavalieri per la polve. Quale

la bufera, impetuoso andava


L'ampio drappello fin che smorta e oscura

Del chiaro giorno divent la gota.


Dinanzi a Behram-gr l su

la

via


Mostrossi

una

359

citt piena di vichi

di castelli e di mercati.

Allora

comand che l'esercito innanzi


Con provvigioni sue ne andasse tosto,
S che nessuno a dietro anche restasse,
Indi f' inchiesta dove mai del borgo
Ei

Si fosse

Volse

il

duce e

la fronte e

l dirittamente

and. Rotta e spezzata

Una porta ei scoverse ed ampia e lunga,


E venne al limitar, prestando omaggio.
Dell'ostello

il

messer. Cotesto loco

di chi mai
Behram-gr chiedea.
E perch mai nel mezzo del villaggio
mio l'ostello,
l'albergo disfatto ?

Desolato e deserto oh

veramente

Risposegli

E m'

signor del tristo loco,

il

guida pur sempre una- fortuna

non ho, non vesti.


non sapienza alcuna.
fortezza, non pie, non possa d'ali.
Me tu vedesti, or vedi la mia casa.
Che veramente a questa casa mia
Pi si convien maledizion che augurio

Avversa e

Non
Non

rea. Bovi

cibi qui,

Di cose liete.

Gi

discese allora

Prence Behrm dal palafreno e il tristo


Alberpo rimir. Davver! che al sire
Caddero lassi e mani e pie! La casa
Tutta era fimo di raccolte pecore,
Ben che l pur si fosse un arco e un loco
Eccelso e grande. Per sedermi alquanto.
Disse prence

Tu

Behrm, portami un seggio,

cortese agli ospiti

Deh! perch mai


Cos

ti

ridi

me

Rispose

dell'ospite, o signore.

stoltamente? Allora

Che un tappeto
Di

m'avessi, alcuna lode

farebbe l'ospite che viene.


Ma

qui cibi non son, non son tappeti,

Non

360

non

giacigli,

vesti.

se tu cerchi

un'altra casa, ben sar, cb tutte

Qui son misere e grame le faccende.


Vedi tu almen, gli disse il re, se trovi

Un

tuo guancial perch'io m'assida

un

poco.

Questo, rispose, non acconcio loco,

cavalieri Si, si, desio ti prese


Oh tu mi reca
D'aver latte d'uccelli
Tepido latte almen, disse quel grande
A quell'ospite suo, forse che un fresco

ritroverai in alcun loco

Pane

mi penso, quei

Io gi

Che
Che

gli rispondea.

gi mangiato hai tu, che gi partisti.

gi t'ho detto: Addio, sta bene!

Un pane

Se qui pur fosse nel mio ventre, l'alma


Pur anco vi sara, quando pi dolce
D'un pane scarso l'anima al mio core.
Disse Behrm: Se pecore non hai.
Chi venne in casa a

gittarvi cos

Rispose
Il

il

te,

La

cotesto fimo

notte oscura,

vecchio, e per le tue parole

capo mio gi gi stord. Ti scegli

Un'altra casa che abbiasi cortine,

di quella

Perch

Che

ti

la notte

Di piante

D'oro

signor

il

stai

il

ti

si

fa d'aride foglie

suo guancial? D'oro hai

le staffe,

t' bello,

Che ti venga timor di


Quando giace un ostel

Come

sapr grazia.

qui accanto a l'infelice


la spada,

o caro.

ladri in volta.

deserto e vuoto

gli questo, loco si propizio

Oh!
Ladri a passarvi e agresti fiere.
Ove alcun ladro questa spada mia
Via portar si dovea, con me la spada

Ora pi non saria

Ma

tu, stanotte,

disse,

361

Dammi loco a posar nella tua casa,


N d'altro stiamo a consigliarci. In
Non

t'affannar, grid

Gasa nessun ritrova

questo

messere. In nostra

il

ospizio.

Saggio e prudente, disse

il

vecchio

re, dinanzi

A me

perch ti stai tristo e confuso?


mi penso che d'un'acqua fresca
Alcuna stilla, o generoso, almeno
Mi porgerai.
Che non vedesti, disse
Dell'ostello il signor, che non vedesti
10 si

Una piscina ch' di qui lontana


Pi di due tratti di saetta? Bevi,
Bevi di quella quanto vuoi, ne porta
Con te pur anco. Oh! che ti stai cercando
In questo albergo povero e cadente?
Davver! che non hai visto

Che per vecchiezza

si

miserabile

il

cess dall'opra!

Se grado hai qui di duce del villaggio,


il prence, con uom ch' di guerra,
Non ti rissar. Qual nome il tuo?
Son io
Fershid-vrd, gli dicea. Non ho terreni,
Non vestimenta, non al sonno un loco,
Non cibo mai.
Deh! perch dunque, a lui
Disse prence Behrm, nel tuo deso
Rispose

11

tuo riposo e d'ogni giorno

il

cibo

Non cerchi d'acquistar?


Iddio signore
E nutritor forse che questo tempo

termine addurr,

Del tristo albergo.

dissegli
.se

il

sere

vedr disgombra

Dalla presenza tua questa mia casa

Grama

e deserta, innanzi a Dio signore

Adorazion far. Deh perch mai


A vuoto albergo se' disceso? Forse
Che non vedesti mai grandezza in terra
E liberal bont?
Questo egli disse
!

tanto pianse

amaramente

allora,


Che da quel pianto
D'Irania

il

362

fugg lontano

si

prence. Ei

suo calle seguia,

fin

vecchio

riclea del

si

che

raggiunse

il

L'esercito de' suoi a lenti passi.

XIV. Avventura dello estirpator delle spine.


(Ed. Cale.

p.

1532-1535).

Dall'inclita citt quand'egli usca,

Irto di spine gli

Un

si

fece innanzi

Ed uom con una scure

vasto loco.

Stavasi a sradicar le acute spine,

principe Behrm, tosto che

Ver

lui si

il

vide,

mosse da sue schiere e

In cotesta citt qual

uom

disse:

conosci

Maggior d'ogni altro, o delle spine acute


Fershid-vrd, rispose.
Fiero nemico?
Avido l'uom che non ha sonno o cibo.

Forse egli avr di pecore lanute


centomila capi, asini ancora
E destrieri e cammelli in tal misura,

A
E

la

di monete piena
Deh! non sia che mai

sua terra

Ivi sepolte.

Resti in quel corpo suo midollo o cute

Digiuno ha

il

ventre e nudo

E congiunti non
Non provvigioni.

il

Qual prigioniero, e per

il

manco

cibo

Sta la persona sua nella rancura

si

va.

Che

se qualcuno

seminati suoi vender per oro

Un

figli

non ha compagni.
Egli dentro a le branche

ha,

Di cupidigia e di bisogno avvinto

E struggendo

corpo, e

di potesse, di lucenti

Tutta piena farla

la

gemme

sua dimora.


Ma

carni intanto

Mangian
Scarso

363

li

pastori suoi

col latte, ed ei

si

gusta un pane

miglio senza cacio. Insieme,

di

Sovra il suo corpo, mai non vide il tristo


Due tuniche a una volta. Egli a s stesso

Fa

violenza.

Deh

sai tu,

dicea

quel de' rovi estirpator solerte

D'Irania

il

deh!

sire,

sai tu

qual

sia

numero verace ?
dove son le mandre sue

Delle sue greggi

E
E
E

sai tu

suoi disciolti palafreni al pasco


suoi cammelli?

viandante, disse

Quello de' rovi estirpator, non molto

quel loco di qui, l 've pur sono

suoi greggi e cammelli. Oh!

ma

gi pieno

questo core di timor per grave

Danno

o periglio che da lui

Monete

Uom
Che

Un

mi venga!

alcune
prence e cosi disse: Intanto
F' cenno
d'alto pregio sarai tu.

lui,

di cardi estirpator, die

il

in via

ne andasse

di

sapiente. Di costui fu

sue genti accolte

nome

Bihrz, e cavalier di fermo core


Egli era

s,

d'ogni bennato core

gioia e luce.

Cento

il

Con

cotesto illustre

sire invi suoi cavalieri,

Abili in operar, con molta cura

Tutti scegliendo, e v'assegn uno scriba

Avveduto e prudente e qual sapea


Far numeri e contar. Si volse allora
A quel di cardi estirpator. Tu vanne
Di qui, gli disse. Rovi un di schiantasti,
Or ti mieti dell'or. Nelle dovizie
Di Fershid-vrd addetta sia di cento
Parti

La

una integra a

te.

Ma

tu frattanto

via dritta dimostra a questi prodi.

364

D quello estirpator di rovi e spine

Dilafrz era

Uomo

nome. Era costui

il

ardito e gagliardo e di possente

Vigor della persona. Un palafreno


Di molto prezzo gli die il sire, e disse:
Oggi si vuol che tu congiunto sii

giustizia leal.

Luce

dei cuori

Dilafrz veramente era a que' giorni,

Ed or del mondo ei si f' luce, ratto


Che in quell'opera sua vittoria ottenne.
La schiera di Behrm per monti e piani
Egli condusse, e ratto superarono

Ogni computo inver

greggi.

gli accolti

monte d'arabi cammelli


Eran le carovane, e un duce esperto
Avea ciascuna carovana. Ancora

Dieci sul

Dodicimila

si

not

lo

scriba

Eletti capi di giovenche, quali

Atte al lavoro e quali a porger

latte,

computo

Anche due
Che ne fu

tratto, lo scrittor solerte

Capi

eletti

not di palafreni

cammelli.

di

volte diecimila, al

Ma

il

deserto intorno

Tutto scavato in ogni parte sua

Era

E
I

dall'

latte e

unghie de le bestie in volta,


burro di giovenche empieano

vasi tutti.

Ma

sul

margo aprico

D'un fiumicello anche a trecentomila


Accolte si vedean le some ingenti
De'cammelli, ricolme di caciuole

E
E

di

pingui formaggi, e

la

pianura

montagna col deserto intorno


Di capanne eran piene e di casette
la

In ogni parte, e ninno in terra

Ben conoscea

il

nome

di tante cose e tante.

Bihrz, progenie d'Hur, scrisse un'epistola

365

Al re dei regi Behram-gr. Dapprima


Ei fece a Dio benedizione. Invitto

E
E

Iddio pur

sempre e nutritor sovrano.


benedisse al re dei re, che sempre
Tolse possanza di travagli e cure

Da

noi tapini, indi soggiunse:

Di questa terra,

lieti

Prence

per te vivono

Magnati e servi, che la tua giustizia


Vince misura. Ma il tacer di questo
Recasi in ricompensa ampio tesoro.
Pur,

faccende di quaggi ben meglio


contente sian dentro misura,
E meglio si che il cor di re sovrano
D'ogni misura in l fiorente sia.
le

che

Ma un uom
Per

la

perduto (Fershid-vrd il nome).


guerra perduto e per la gioia

Di genial convito, e

Conosce

il

nome per

di cui

ninno

mezzo

la terra in

tanti servi, a tanti prenci in

mezzo.

Non devoto al suo re, non all'Eterno,


Qual rendere non sa per cosa alcuna
Alcuna grazia, molte per

la terra
sue dovizie in ogni loco sparte.
Eppur, con vuote mani, in luogo ascoso
Nella rancura sua si sta seduto.

Ha

In ingiustizia egli pareggia quella

Del re giustizia.

Ma

tu,

o re, frattanto

Non appormi a peccato il detto mio


E il mio consiglio. Poni adunque ad ampio
Tesor principio con s gran ricchezza,
Quale forse al terz'anno in qualche guisa
Ordinata sar. Scribi stranieri
Ghiaminsi intanto qui per noi, si pongano

Ad

abitar su la montagna amena,


Che il novero non di tal dovizia
Ancor chiaro per noi, si che agli scribi

366

S'incurva

il dorso per lo scriver lungo.


Chi narrava, ben disse che pi assai
Di questo che vediamo, oro si asconde
Sotterra da costui, ricco ed avaro.
Con molte gemme. Or noi, su questo monte.
Gli occhi teniamo all'ampia via rivolti

Ad

aspettar quale ne mandi

Alto precetto.

Vada

il

intanto a

sire
lui,

Dell'iranico suol prence sovrano,


Il saluto da me. Viva egli sempre
Fin che la gloria sua formi la trama,

Formi

l'ordito d'ogni cosa in terra!

Veloce messaggier pose alla via


Per ch'ei recasse l'epistola sua
AU'iranio signor. Come quel foglio
Lesse prence Behrm, caddegli in core
Per quel foglio un tumulto subitane.

Ed

ei si

F'

gli

corruccio, pieni di lagrime

occhi suoi, le ciglia sue feroci

Aggrott fieramente. Ei

Che innanzi a

f'

comando

lui s venisse lo scriba.

Chiese calami greci e di lucente


Seta di Cina un foglio.

in pria f' laudi

Dio giusto e verace, almo signore

sapiente e aiutator, signore

D'alta

prudenza e maest, signore

D'ogni corona e di regal possanza,

S'io veramente
ben dovrei quest'uomo,

questo scrisse poi

Giusto mi

Come

tu

fossi,

di',

toccar di morte. Eppure,

Per ladronecci e per versato sangue


Le sue dovizie non raccolse e mai
Non fu ad alcuno ad opere malvage
Istigator.

Ei

si

Questo

sol ver,

che ingrato

fu verso a Dio, quale nel core

Dell'Eterno timore

unqua non ebbe.

367

Ei fu custode all'ampia sua dovizia,

E
E

per esser da pi, l'anima sua


il suo cor fr consunti. Alla campagna
Qual pregio avean per lui pecore o lupi,
Quando redano a lui infruttiiosi

greggi e inerti?
di

gemme

l,

sotterra, quale

valor, quale di pietre.

Se vesti ei non ne trae, non alimento.


Alla persona? Ma di sue fatiche
Farci tesoro non dobbiam, n il core
Avvincere a cotesta, ch' si breve.
Terrena vita. Non si vede in terra
Fredn antico, non son pi fra i prenci
Tur e Salm ed Erg', non quel possente
Kvus con re Kobd, non altri illustri.
Oltre a cotesti, che in memoria abbiamo.
Anche non quel padre mio, per cui
Pieno d'angoscia era ogni cor, che in terra
Griusto non fu n generoso. Alcuno
Di questi grandi non qui, dinanzi
Agli occhi nostri manifesto, e a Dio
Licito contrastar

non per noi

In cosa grave tanto. Or tu raccogli

Quante son

le

l dovizie

accumulate

dispensa e non stender la

mano

A un solo crin del capo. E le darai


A chi nasconde il suo bisogno, a quelli
Che tarda assai da circostanti mali
Hanno franchigia, ai miseri vegliardi
Che lavoro non hanno e son dispetti
Dinanzi agli occhi de' possenti. Ancora

Tu le darai a chi fu ricco un giorno


E l'aver suo consunse ed or si vive
Nella rancura e nel dolore, a quelli

Che han gloria in terra, non monete, a


Che in trafficar non hanno chi li aiti

quelli


Con mano
Che orfani

368

Danne a fanciulli
han morto

liberal.

tu vedrai, che

il

padre,

Oro ed argento che non hanno; ancora


Parte alle donne tu ne fa che sposo
Non hanno pi, non vestimenta e nulla
Ponno pi far, non han lavoro. A questi

Tu spartirai
E l'alma de'

la ricchezza infinita,

caduti e degli affranti

Come sciolto andrai


Da questa cura, volgiti ai tesori
E mostra che non senza alcun bisogno

Di gioia accendi.

Dei tesori tu

sei.

Quelle monete

Che Fershid-vrd

in terra seppellia,

A' poverelli donerai, che ninno

Debbe restarsi nel


Deh! che vai per

E gemme

dolor.

Che

colui s'egli

vale,

ha denari

accolte o pietre e sassi, allora

Gh'ei ci nasconde nella fossa?

Che
Amico

si

Il

il

volge su noi,

ti

giusto e difensor

Il

cielo

sia propizio.
ti

sia!

suggello regal fu apposto al foglio,

messo and, scendendo

XV. La caccia

al suo sentiero.

dei leoni.

(Ed. Cale. p. 1535-1538).

Prence Behrm
Di recar tosto
In

un giardin

il

di

f'

cenno

a'

suoi famigli

seggio imperiale

primavera, e

quelli,

Giusta comando suo, di bei turchesi

Tutto splendente

gli

recar quel seggio

E il collocar sotto a una verde pianta


Che fiori attorno fea cader. Cantori
E musici recar con vin giocondo


E colme
Con

vennero negli

tazze, e

tutti

D'Irania

il

369

sire cos disse allora:

Ai mortali quaggi deh

La

orti

prenci. Ai consiglieri suoi

scorra lieta

fiorente stagioni Tutti cancella

registri ed
Di lor nomi
Anche ne abbatte con le

Vincitrice la morte.

Che

palagi

torri altere

sar un giorno

noi discenderem soletti e grami

Dentro

l'avello,

Fummo

anche

alla vita

se forti e grandi

Quei che de' monarchi

de' meschini viene a morte, seco


Porta soltanto l'opre sue leggiadre

E le malvage. Danno sol cotesto


Che tante ch'ei port fatiche in terra,
Tosto ch'ei muor, si muoiono con lui,
E molto assai se una sua lode resta
Quaggi nel mondo, che

il

sua corona

la

suo cinto regal d'altrui sen vanno

In potest.

Danno

Ma

se tu vuoi

Di godimento, verit

E ninna

che nullo

apporti ci che in terra avesti

ti

si

vuole

offesa guai tu ad altri arrechi.

Ed or, poi che passati nno gi trenta


Anni ed otto di me, veggo che molti
Giorni son corsi in molta gioia. Eppure,

Come

salgono a venti e venti ancora

Dell'uom giovane

Passa

il

gli anni,

entro al suo core

dolor del giorno di sua morte

Subitamente, e allor che su

la fronte

Candido un crin si fa, troncar ci forza


Di vera gioia ogni speranza. Ratto
Che il nero crin si f' color di canfora.
Offesa ha l'uomo dall'et, n bene
Il serto imperiai si posa ancora
Su quel capo canuto. Or io, per due
FiRDUsi, VI.

24


Anni ancor,

370

far conviti e cene

giuochi allegri

e quando anche a le braccia

Fiacchezza alcuna mi verr, dinanzi


A Dio signor verr semplici lane
Per cingermi a le membra. Innanzi a Dio
Ingrato non sar per l'opre sue
Propizie e amiche. Intanto,

giorni miei

Nella gioia passai, parte cospicua


M'ebbi del serto di monarca. Ed ora

Qui mi recate melagrane e rose.


Mele cotogne e pomi agresti, e il nappo

Aureo

Ma

non

del vin

resti

mai deserto!

nel di che vedr d'un color giallo

pomi tutti per la terra e il cielo,


Per le nuvole sparse, alla gaietta
Polle de' pardi ne le macchie uguale,
Quando feconda recher fragranza
La sempreviva e qual pur la gota
De' miei coppieri d'un color vivace
Sar il vino giocondo, allor che l'aria
Non sar ardente, non gelata, e fresca
Sar la terra e di colore azzurro
L'acqua ne' rivi, quando alfin di seta
Le vesti di Mihrgn pel fausto giorno
Indosseremo, l di Gez nei campi

Andrem

tutti

a cacciar.

nel deserto

Opra far di caccia dilettosa,


Per ch'io lasci di me qui su la terra
Alcun ricordo. Intanto, pi robusta
Degli onagri

si fa l'erta

E core assume

cervice

ogni leon gagliardo

la tigre vigor, si

che a quel tempo

Sul lontano sentier d'uopo

menar cani
Con regi falchi
Di

ci

fia

e rapidi segugi
e con sparvieri. Quello

degli ngri prediletto loco.


Loco

371

agli archi, a le frecce,

Non poserommi un

ed

io dal

correre

solo istante. In quello

Ampio deserto che vid'io gi un tempo


L sotto a Gez, dove son spessi ed alti
I tamarici come l'aste erette
De le lancie guerriere, aspri leoni
Ritroveremo noi. Allegra caccia.
Se a lungo l restiam, sar ben quella!
Ed egli attese fin che in ciel levarsi.
Di Shehrivr nel rubicondo mese.
Fosche le nubi e fu la terra attorno
Piena di genti armate. Oh! da ogni parte
Esercito venia di pugne
All'iranio signor!
I

Ma

il

amante
nobil prence

pi forti scegliea d'alta cervice,

Quali avean della caccia alcuno indizio


esperienza, e tosto al dilettoso

Pian della caccia l'ampio stuol condusse,


Trentamila a cavallo incliti e forti.

Gran maestri di spade. Anche le tende


Furon menate ed recinti ancora
i

padiglioni ed

Conche
1

giumenti e l'ampie

de' beveraggi. Innanzi a tutti

famigli del re n'andaron tosto

Pozzi ovunque a scavar, sopra a que' pozzi

Rote volgenti ad innestar che l'acqua


Attingere dovean dai fondi pozzi
Entro a le docce. Dietro all'ampio stuolo
Prence Behrm co' suoi diletti amici
Di-scese al loco della caccia e tosto

Pieno d'onagri in ogni parte sua


Vide il deserto. Come poi la selva
Tutta a scompiglio pei leoni agresti

Da

lungi egli scopr,

Sar
Il

la

f'

questi detti:

caccia mia per questa notte

dolce vino, che son qui sul suolo

372

Di leoni vestigia e di leoni

Diman mi

E
E

d'uopo ricercar la traccia,

in questa notte, placido del core

forte di persona, un dolce sonno


Gustar vogl'io. Bevasi intanto un vino
Gagliardo qui, perch domani, al primo

Romper

quando lucente in cielo


che illumina la terra,
Primieramente con le nostre spade
Si far

I leoni

del

d,

sol

il

atterriam,

come dragoni
spronando

Gli animosi destrier

Quando sgombra sar questa

forte.

foresta

Dai leoni pugnaci, al dardo mio


Sar soggetto ogni selvaggio ngro.
Quella notte ei rest fin che al mattino,
Al primo albore, entrar nella foresta
Ei sire e

prodi suoi. Balz all'istante

Fuor dalla selva un leon fero, in core


Audace e ardito, che cibato avea,
Sazio gi

fatto, di

D'onagri uccisi.
Disse allora

ferine carni

que" compagni suoi

Behrm

Ed arco e frecce
Ho meco inver, ma

di

fermo core:

e vigora di

mano

con questa spada


II leon toccher, perch nessuno
Di lana
Fiacco mi appelli e senza cor.
sol

Una

tunica allor, fatta nell'acqua

Molle e tenace, ei si vest. D'un salto


Balz in arcioni al suo destrier di guerra.

Quando

il

leon del palafren s'accorse,

In pie levossi e ritto le anteriori

Zampe

distese

Alla testa

Che am
Il

il

ad acciuffar del prence

destrier.

gli assalti,

Ma

l'animoso,

col tallon sospinse

palafreno e del leon sul capo

L'acuto brando suo vibr d'un colpo.

373

la compagna ecco! si prese


Rapidamente del fuggir la via,

Del leon

Ma

sire intanto dalla testa al ventre

il

In due parti divise

il

Di quel colpo

pien di sgomento

fatai,

leon fero

D'ogni maschio leon rendendo

Un

il

core.

altro ne venia con fera voglia,

Alto ruggendo, incontro a lui; venia,

Venia con seco

Che

sotto a le

Loncel

si

la compagna sua
mammelle un piccioletto

nutriva.

Il

re guerriero

Alla cervice del leon feroce

Vibr un gran colpo con la spada e lunge


La testa gli cacci dal corpo sfatto.
Prence sovrano che hai di sole il volto,
Dissegli tale allor, per tua persona

Amore

inver non hai. Per la foresta

Sono

leoni con lor dolci nati,

dolci nati succhiano del latte

Di lor madri dovunque. Or

Che

tu

Ch'egli

ti

conviene

si

astenga dal cacciar leoni,

hanno

si

Di Mihrgn loro

nell'autunnal stagione

E questa

figli.

selva

Fino a tre parasanghe in sua lunghezza


E veramente; e s'anche con la forte

Mano

tua tu seguissi un anno intero

Leoni ad atterrar, sgombra

Non

si

A che

la selva

faria di que' leoni suoi.

tanta fatica alla persona

Imponendo vai tu? Quando si assise


La prima volta il nostro re sul trono.
Per patto
Fuor che

ch'egli

f',

nulla

ei

cercossi

Ed ora
Che hai tu davvero signoria del mondo
E venisti agli ngri, a che la pugna
l'assalto dei leoni.

Coi leoni del bosco?

vecchio saggio,

374

Risposegli Behrm, dimani all'alba,


Io, gli ngri e le frecce! I cavalieri

prenci tutti in un istante solo

Raduninsi con me, con

siano

me

Che

dardi miei!

sia l'arco

se davvero

Far dobbiam noi dovuta e giusta parte


Al valor della man, clave soltanto

Dovremmo

ricordar con brandi acuti.

Dissegli allora

il

sacerdote:

Quando

Avessi teco in sanguinosa pugna


Dieci soltanto cavalieri al fianco

te simili, intatto non sara


Trono o corona imperiai di Grecia
di Cina remota, e l'uom ch' saggio,
Trarrebbe al mar, per manco di sua speme.
Ogni dovizia sua. Della sventura
L'occhio fatai rimangasi lontano
Dalla tua maest, la tua dimora

Sia tra le rose in placido tripudio!


Dalla foresta allor discese

Al suo recinto con


Coi ministri del

gli eroi

il

mentre

ciel,

prence

famosi,
l'accolta

Schiera de' prodi, a lui benedicendo.


Cos gridava: Imperiai suggello
-E corona regal

mai non

Di te privi, o signor

si

restino

Mentre

tornava

L'esercito fedel, nella sua tenda

Entrava

forte e

il

Dalle mani

Una

il

si

tergea, lavando.

sudor. Nel padiglione

tela finissima e novella

Avea

distesa

un

de' famigli suoi

Saggio e amoroso. Bravi ancora apposta


Copia di muschio e di canfora eletta

d'un' acqua di rose, e quel famiglio

Avea
Per

gittato in ogni parte muschio.

tutto

il

loco del riposo. Intanto,


Deschi dorati

375

avea dovunque

ei posti

Pei padiglioni e sopra collocati

Ornamenti

vi

avea con

suppellettili

Che la Gina invi. Quel maggiordomo


La regal mensa di carni d'agnelli
Tutta imbandi, di
Quanti erano pur

ancora

eletti cibi

Quando gustato
Fu il dolce pane, Behram-gr monarca
Ratto f' cenno di recargli un nappo
Di lucido cristallo, ampio e profondo
l.

Recarlo a

Che

dovea quel suo coppiere

lui

deporlo

di Peri volto si avea,

Nelle mani del re, giusto signore.

Behrm: Quel celebrato

Disse allora

Prence Ardeshir,

di cui

per

la

fortuna

Griovane ritornava ogn'uom gi vecchio.

Era sostegno e vigora

di noi,

noi servi gli siam, se pur siam degni

Di servii grado.

Ma

ne' suoi conviti.

Nelle battaglie sue, ne' suoi consigli,

Nelle sue cene, ad Ardeshir soltanto


Di signor della terra

il

fausto

nome

Dar potrai tu. Da quel confin di G-recia


Quando venne Iskendr in suol d'Irania
E disert quest'ampia terra intorno.
Se ingeneroso

Che

ei fu,

s'ei

fu crudele,

uccise trenta regnatori e

Or per contro a lui piene


Son le labbra de' prenci e

pieno d'odio contro a

di

sei.

biasmo

tutto

lui.

il

mondo

Si fanno,

si fanno a re Fredn intanto.


Male s'impreca a Sikendr da tutti
Che gli odi han cari. Deh non sia nel mondo
Nulla di me fuor che favori e grazie
Sparse tra servi e tra monarchi intorno
E disse poi Recatemi un araldo,

Lodi

376

Fra gl'illustri famoso; ed ei gradita


Voce dispieghi. A. queste genti attorno
Ei vada s, gridando in ogni aperto
Loco, in ogni secreto, e questo mio
Precetto annunzi: In
Nella

La man

nella

G-ez,

gemme

distende a

ed oro, a drappi

Di seta ed a broccati, anche


Dell'erbe -che

montagna,

alcun, senza suo dritto,

citt, se

si

a'

vilucchi

giacciono sul suolo,

Senza valore, d'un destrier

sul dorso

Io lo porr, volta la faccia a retro,

E due

di qui, gagliardi e riottosi.

Lui trarranno lontano.

Di sotto al palafren

avvinceranno

Ed

gli

io cos l'invier del

piedi suoi

Fuoco

D'Azergashspe alla dimora. Quivi


Adorazion far dinanzi a Dio
Santo e verace, pregher dinanzi
Al sacro Fuoco, al suol prosteso. Intanto
Io render le derubate cose

chi le tolse, violenza oprando,

L'uom

tristo e reo.

In luoghi seminati

il

Che

se

qualcuno mai

palafreno

Sospinger, se a fruttifere piante


S'accoster con reo desio, dal carcere

Non avr scampo


Ei cavaliero

in tutto

un anno,

fosse

superba fronte
Od uom spregiato. Ben si vuol che in questa
Pianura qui di nostra molta cura
Frutto cogliamo noi, perch discendere
Lieti possiamo alla citt vicina .
di

Dalla citt sen vennero mercanti,


Si di tre parti

venner due

di quelli

Di Gez e di Berkh. Per molti frutti

Col raccolti, parve quel deserto


di Gina a quella parte
Del prence iranio ov'erano le genti.

Un mercato

-MI

XVI. La caccia degli onagri.


(Ed.

All'altro d,
sol

Il

Del

Cale. p.

quando

1538-1541).

sua corona

la

mostr, venne a cacciar

mondo

il

sire,

onagri

gli

ed agli archi

corda

la

Aveano apposta i prodi suoi. Da sezzo


Andava il prence a quel drappello. Disse:
Quello di voi che con

la

man

ripiega

L'arco suo, che ne scioglie entro misura


L'anello inserto, le sue frecce alate
Scagli soltanto de le avverse fiere

Fra

le cluni da retro onde


Esca dinanzi fuor dal sen.

Dissegli allora

punta

la

Deh!

un degli

eroi, tu

prence,

mira

quest'inclito stuol de' tuoi guerrieri,

Se pur v' alcuno presso a cui


Arco o freccia cotale, amico ei

nemico

Da

di te. Cotesto

te forse

verr che

stia

si

sia

colpo

si

dilati

Nel vibrar frecce l'ampio petto, e resti


In sempiterno la regal tua fronte
E la corona tua Quando tu afferri
La clava e i dardi e la fulminea spada,
Per la regal tua maest, per l'alta
!

Statura tua, pel tuo vigor,

si

restano

Vergognose ed attonite le schiere


Di te, nobil signor, si che a le frecce

a gli archi quelle

Cosa questa
S'ei

ne

man

restansi inerti.

di Dio, rispose

Behrm sovrano?

il

prence

mai cotesto
Behram-gr sospinse

toglie vigor, chi


Il

bruno suo

378

destrier,

bruno qual

notte,

giunse l vicino a un fero


Onagro, come fu propizio tempo.

E come

Sciolse l'anello della freccia e ratto

Le cluni e il petto dell'onagro fiero


Inchiov insiem con quella punta. Allora
Che supina cadea l'estinta belva,
Accorsero

gli eroi

dalle cinture

Aurifulgenti. Elli stupian per quello

Suo

ad uno ad un gridaro
Davver! che ninno
quella freccia sua

fatai colpo e

Benedizioni a

Pot veder

lui.

di

non

penne

Non

gi la punta,

Che

sepolte eran dentro al corpo

le

allora,

immane

Del fero ngro I cavalieri tutti


Esperti in guerra e gii uomini dell'armi
Poser la fronte reverenti al suolo,
E disse il duce degli eroi Sventura
!

Che

dalla sorte vien, prence sovrano,

Quegli occhi tuoi non veggan mai!


Verace cavalier, ma qui slam noi

Tu

sei

Sovr' asini montati, anzi da meno


Siamo in pregio e virt degli asinai.
Dissegli

il

prence: Non questa mia

Freccia volante, ma davvero Iddio,


Invitto sempre, che m'aita. Quello
Cui non aita n protegge Iddio,
Signor del mondo, non ritrova in terra
Persona vii che sia pi vii di lui.
Dal loco suo spron quel suo destriero;
Detto avrest che un'aquila volante
Era quel palafren. Ma innanzi al prode

Venne

Un

frattanto di gran core

armato

forte ngro, e quei, pari a leone,

Stese al brando la man. Sferr di spada

Un

fatai colpo e la

nemica belva

379

Dirittamente in parti due divise,

che maggior questa met non era


l'altra met. Daccanto
Vennero al sire i prenci tutti, i grandi
Si

E non minor

Che hanno
Lor spade

eretta la fronte,

Dell'onagro sul dorso

Un

saggio disse forte

fatai colpo,

il

Eccoti spada

Eccoti forza! Mai non guardi

Occhio del male a

servi tutti

usi a vibrar. Tosto ch'ei videro

gran

il

reo

che certo

re,

questa luna, che pel ciel va errando,

si assomiglia
Ma de' prenci tutti
Dell'ampia terra sottost la fronte

Ei

questo ciel sublime

lui soltanto e

Serve

alla

spada et

alle

punte sue.

Quella schiera d'eroi corsegli dietro

Subitamente e sgomber il deserto


D'ogni ngro selvaggio. Or voi mi fate
D'oro un anello, comand quel

E
Su

tosto

il

nome suo

scrisse

sire.

notando

quell'anello e questo nell'orecchio

ancor

Inser d'un ngro

Indi

una schiera

Avean

disciolto.

di trecento, quali

suoi segni su le cosce inusti.

Per la campagna liber, di gloria


Per novello deso, per voglia onesta
Di letizia e di gioia.

tal frattanto

Per quella schiera s'aggirava in queste


Voci cos: Per la vasta campagna
Alcun non sia che venda a' mercatanti

Un

solo ngro; senza prezzo alcuno

Lor piuttosto il conceda.


I prenci allora
Di Gez illustri e di Berkh recarono
Seta in gran copia e rilucenti drappi.
Accolse

il

Comando

prence
ei f'

che

ricchi doni e ratto


tributi e balzelli

380

Nessun chiedesse da nessuna gente,


Anche se ricca di poter. Per questo
In coteste citt qual era povero
con stento e fatica il pane suo
Si procacciava, ricco divena

Per i doni del re. Molti ne andaro


Con regi serti ed alti seggi ancora.
Nella

citt,

dal loco di sua caccia,

Behrm

Entr

e sette giorni in festa

Quivi rest co' prodi suoi. Nell'ampia


Palestra schiusa l'assemblea pi spesso

Era

di tutti

e discendea pedone

Al re dinanzi ogni guerrier. Vi andava


Ogn'uom di bella voce ed eloquente.

Ogni savio, ogni povero e mendico,


E il re dicea: Ponete in Dio la speme
Contro al nemico, o voi che di giustizia
Avete brama. Quei che non dorma
Per travaglio che s'ebbe un di per noi,
Se del nostro tesor parte veruna

non

Ei

tocc, discenda a la palestra

Nel cospetto del


Potr

Ma

il

re.

Forse

monarca rinnovar
pur

di voi
la sorte.

misero e stanco,
E lavoro non ha, se v' garzone
se vecchio

Egro

qui,

o debitor fra queste

di corpo,

Raccolte genti, tormentato e affranto


Da chi '1 debito suo chiede insistendo.

Se orbi

di

padre qui son pur fanciulli

Che non osan cercar da


Se

di fanciulli vi

chi possiede,

son madri ancora

Che

lor bisogno van celando e quella


Loro indigenza tengono secreta,
E se qui si mora qualche opulento

dovizioso e

piccioletti figli

Dietro in terra lasci, se avido mira

381

Alle ricchezze ch'ei lasci, colui

Che

governa ed amministra, e

le

Non ha vergogna, non timor


Queste eh'

A me

in core

di Dio,

gravi cose, niuno

io dissi,

celar non voglia in alcun tempo.

Ch'io di gente che serba

alti

secreti

Necessit non ho.

L'uom poverello

10 vo' far ricco e

l'anime infedeli

Alla f ricondur. Far che tutto


Sia satisfatto

debito di tale

il

Che monete non


Per questo

ha, nel duol mantiene

afflitto

il

cor; poscia

le

porte

Schiuder de' tesori a chi nasconde


11 suo grave bisogno. E se rancura
Ad alcun toccher per opra trista
D'alcun procura tor che avido cerchi
Degli orfani ricchezze, a

Vivo

un

alto legno

che ai liberi
arreca e d'anima rancura.

l'ingiusto appender,

Danno

egli

Delle sue cacce dall'ameno loco

Venne

prence in Bagdad, venne col core


s, che nobile saggezza

il

In festa ei

Acquistata

si

avea. Dinanzi a lui

Tutti adunarsi

principi famosi

E gli estrani pur anco e


Ma Behrm che da lui si

suoi congiunti,

dipartisse

L'ampia schiera

de' suoi fece

Ascese poscia

suo Castel che gioia

Era
I

al

comando.

del core. Di Berzn per lui

famigli adornar subitamente

II

gineceo, chiesero muschio e vino,

le

Su

vaghe

liuti

fanciulle

una ballata

cantar, sgombrate in pria

D'ogni straniero quelle stanze. Allora,

Parve che

Un

saluto

all'etra questo ciel

mandasse

sereno

in quel concento

382

Di canti e suoni e di tibie soavi

Tra

tazze del vin. Cos ogni notte,

le

Da ogni stanza riposta, onde rancura


Non avesse del prence il lieto core,
Venan prese alla man, danze intrecciando,
Le giovinette. Con gioioso core

Due settimane

ivi rest, le

porte

De' suoi tesori disserrate in tutta

La

notte e

il

giorno. Ei dispens monete,

In Istakhr citt discese poi

la

corona imperiai,

Nobile segno,

ivi

di gloria

pose in fronte,

si

Indi le porte al gineceo dischiuse

Che

detto di Kharrd, e le fanciulle,


Vaghissime come idoli piacenti.
Ricche ei f' di monete e di tesori
In guisa liberal. Che se qualcuna
Entro a le stanze sue dorato serto
O seggio non avea di bianco avorio

mormorar

s di sotto, a

Molto

si

fea d'Irania

il

Avea contro a Ruzbih,

Ambe

di tanto

sdegno
che mordendosi

sire e
s

labbra cos a lui dicea

le

Quando

Khzari e

Io

dar

queste giovinette. Or

si

alla reggia arriver, tributo

dei

di

tu,

Grecia
frattanto.

Cerca denari a some di giumenti.


Cercane un carco da Ispahn in pria
E cercane da Rey. il gineceo
In tal guisa deserto e desolato.

Che non degno


Dell'iranio signor,

della sorte eccelsa

Cos

adornavasi

Tutto quel loco e quella terra intorno


Di fulgidi broccati e furon chiesti

Da ogni contrada

E Behrm per

novelli tributi,

tal via di

questa vita


Alquanto

si

383

god, quando non erano

Battaglie o guerre, non assalti o rischi.

XVII. Guerra del principe di Cina.


(Ed. Cale, p, 1541-1545).

Ma in Grecia e in India ed
E

in

Turania e in Gina

in ogni terra d'abitanti piena

Giunse novella che del prence iranio

Era al gioco e al piacer dedito il core,


Si che d'alcuno in terra veramente
Ei non fea stima quale d'uom. Non erario
Vedette allora, non torrieri, in quello
Ampio confine dell'Irania un solo
Eroe non era. Egli scorrea la terra
Nel suo dolco piacer, non conoscendo
Del regno suo le cose manifeste.

Non le nascoste. Ma di Gina il prence.


Ratto che ud queste parole, esercito
Dal Khotn si raccolse e dalla Gina
E

monete e rapido si volse


Ninno f' stima,
Niun f' ricordo di Behrm, e intanto.
die

In Irania a calar.

Dall'opposto confin, traea sue schiere


Il

greco Imperator, traea l'esercito


Gome giunse poi

Di Grecia tutta.

In iranico suolo est novella

D'India e di Grecia e d'ogni terra colta

E di Gina cosi, quando s'intese


Che il greco Imperator, fatte le

schiere.

In guerra le traea, gi gi mostrarsi

Di Gina e di Khotn gente nemica,


Quanti eran duci per l'irania terra,
Antichi eroi, garzoni giovinetti

Fra

gli

animosi, a

Behram-gr sen vennero


Tutti in

Ei vennero, di sdegno

un gruppo.

d'ira pieni e di

384

tumulto in core.

quel prence e signor dure parole

Dicean cotesti La fortuna tua,


Splendida un giorno, ti volt le spalle
De' prenci antiqui la mente sovrana
:

Alla

pugna attendea, tu

volgi solo

Alle cene e al piacer costante il core.


Agli occhi tuoi son cose dispregiate
serto e il trono imperiai, le squadre
De' tuoi guerrieri e le citt d'Irania
Questa risposta
E il tesoro dei re.

11

A' "sacerdoti suoi che la sua via


Gli mostravano intenti, il re sovrano

Dell'ampia terra diede allora: Iddio,

emmi

Signor dell'universo,

Qual supera d'assai

la

alleato,

sapienza

D'ogni pi saggio. Per l'invitta forza


Di gran prence e signor, l'irania terra

guarder

Io

E questo

dall'artiglio del lupo,

rancura grave

duol, questa

Distorner da questa sacra terra


Gol favor di mia sorte e co' miei prodi.
Gol mio tesor, con la mia spada ancora.
E si volse al piacer per quella via,

che gli occhi de' principi guerrieri


Di lagrime s'empir. Dicea ciascuno:
Degli uomini pi saggi il fermo core
S

Gonturba questo re!


Di principe

Behrm

Ma

stavasi

vigilando
il

core

E pieno era di duol per le novelle


Ghe giugnean da' confini. Egli attendea
Nascostamente all'opre

dell'esercito,

alcun sapea per l'ampia terra intorno


Quale il secreto suo. Gi nel terrore.

Ne

Per

ci eh' ei fea,

si

stavano frattanto

385

D'Irania le citt; d'ognuno

il

core

Per quel tristo pensier fendersi in petto


Veramente parea, che ogni speranza
Avean smarrita per tal re sovrano,
E vile ei ne stimavano e spregiata
Con la persona la regal sua possa.

Ma

d'Irania al confln

come

discese

prence e a quel signor di forti,.


Prence Behrm, ne giunse la novella,
Di Cina

il

A Gustehm

eh' er' avido di gloria,

Ei fece invito e molte ebbe con lui

Parole acconce del signor di Cina


E di sue genti. Gustehemme gli era
E capitano e consigliero, e quando
S'appresentava la battaglia,

Ne

fea tripudio e festa.

il

prode

Anche chiamava

Mihr-i-Pirz, eh' di Bihzd progenie.

Terzo Mihr-i-Berzn,

figlio

animoso

Behrm invitto
Behrm antico,

Di Kharrd battaglier,

Fra

discendenti di

Khazarvn

Ruhm

di

Dei Sassnidi illustre.


Di Ghiln, e di

Era

l'altro

il

Rey

quella stirpe

Uno era prence

nobile e grande

signor; nella battaglia

Solean cotesti due ferocemente


pie puntar su le dorate staffe

E da

forti

pugnar. V'era pur anco

Rad-Berzn, di battaglie e di tenzoni

Guerriero esperto, e di Zabl la terra


Per lui si governava acconciamente.
V'erano Kren e Burzmhr ancora
E Dad-Berzn che corrugata avea

Sempre

la fronte.

Centomila eroi

Di questi frani suoi l'inclito sire


Cos trascelse, atti agli assalti in guerra,
Prudenti e saggi, ed a Ners, che sceso
FiEDUsi, VI.

25

386

Di Pishn dalla stirpe era famosa

E
I

al pio

sovrano era

cavalieri con

Affid perch

il

serto

il

sua

la terra

suo tesoro

fratello, tutti

trono e

il

Allora

ei custodisse.

Nersi prestante, d'inclita semenza,

Che
Con
II

fede avea con maest sovrana.


principio d'amor, tolse volente

Ma Behrm

grave incarco.

trascelse

Dall'esercito suo, degni d'un giorno

Di

fieri assalti,

cavalieri esperti.

Erano cavalieri esperti

in

guerra

Dodicimila, con usberghi al petto,

Con clave a capo di giovenca,


Da que' lochi ei traea l'ampie
D'Azer-abadagn sopra
Ei le traea cos.

Ma

il

e tosto
falangi,

confine

grande

poi che

Ei non traeva da con fin di Persia

Oste guerriera, questa appo

magnati

Ed appo i servi opinion vincea.


Che principe Behrm da le battaglie
Fuggia temente, che per la via
D'Azergashspe si prendea veloce.
D'Azer-abadagn verso il confine
Come volse Behrm le gote sue
Per andar, se ne venne un messaggiero
Del greco Imperator, quale uragano
Rapido nella via. L in un castello
Ners l'accolse, in un eletto luogo,
Cosi com'ei dovea.

La falange

Ma

tutta intanto

de'prodi al maggior duce

Dei sacerdoti s'accogliea dintorno.

Di principe

Per

Behrm

novella certa

ascoltar. Disperde

In questa guisa,

elli

suoi tesori

diceano,

Deh! perch mai non

li

il

prence!

ricolma ancora

387

Come

fanno altri re? Disperde ovunque


L'oro ch'egli ha, che pregio ei non conosce
Dell'or veracemente! E van raminghi
E cittadini ed uomini guerrieri,

cercasi ciascun la propria via

miglior stato.

Come

durar poi

Lunga stagion quelle parole, in questo


Gonvenner tutti e s'accordar che tale
Di molta lode al principe di Gina

Fosse inviato. Pria che danno grave

E rapine venissero ed assalti,


Ogni cosa tentar doveasi allora.
Perch restasse incolume d'Irania
La terra al loco suo, da che fugga

Ramingo da
Il

l'ostel de'

padri suoi

signor della casa. Oh! non questo,

Grid Ners, giusto consiglio, e in terra


Alveo non per quest'acqua s torba,
Per eh' io mi debba dal signor di Gina
Chieder piet Ma coprir pi presto
!

D'elefanti la terra e di guerrieri,

qui son armi e son tesori ancora

Ed uomini gagliardi. Essi potranno


Questa fiamma smorzar coi brandi acuti,
Qual venne adunque disperato affanno
Per principe Behrm, s'egli parta
Con breve scorta di guerrieri ? Intanto
Son tutti rei questi pensieri; a voi,
Se mal pensate, incoglier del male.
Queste parole udian gl'Irani, e intanto
Posero fondamento a una risposta
Maligna e rea. Prence Behrm, ei dissero,
Esercito di qui seco non trasse

Perch poi non dovessimo al dolore


Abbandonare il nostro cor, che quando
In Irania verr per farci guerra


Di Cina

il

388

prence, a questo suol eh' nostro,.

Splendor non rester. Ferocemente


Sotto a' lor piedi fia che ci calpestino
I

rei nemici, e di Ners l'esercito

Non

rimarr. Per noi d'arte sottile

Facciasi prova, perch resti incolume


II

nostro nido e non vada sconvolta

Dalle radici sue nostra possanza.

Bravi allora un sacerdote;


Di quello

Humy,

il

nome

e sapiente egli era

saggio molto e di consigli

eletti.

Lui trascelsero allor d'Irania i prenci.


Per ch'egli a tale impresa accortamente
Si sobbarcasse, e scrissero

una

epistola

Servile e abietta. Al principe di Cina

Essa n'andava dagTIrani; e in pria.


elli dicean: Siam

Del foglio a capo,

Tuoi servi, o

posta la

re,

mente

tutti

il

core

Al tuo comando e al tuo consiglio. Noi,


Con voti e auguri e scuse ancor, di quante

Nascono cose

nell'irania terra

Parte t'invierem con doni

Con

tributi ed offerte, or

Non abbiam

noi di contrastar fra l'armi

Con re sovrano qual

Humy

Il

Ne

andava

illustri di nobil consiglio,

de' prenci

Porgea

sei tu.

felice dall'irania terra

Con molti

eletti,

che potere

il

di Cina.

messaggio a quel potente


Del turanio sire

cor ne giubil.

Ma

quei, del rapido

Behram-gr, prence sovrano.


Partir
Che senza scorta si fugga correndo.
Nella presenza del signor di Cina
Possente e grande, f' parole. Quale
rosa fresca, l'anima ed il core
di

Fiorian del re di Cina. Ei cos disse

389

A' turanici eroi La sella ornai


Da noi fu imposta a questo ciel rotante.
Oh! chi mai si potea senza battaglia
:

Aversi Irania in suo poter, se forse


Noi noi potemmo col consiglio nostro,

Con

l'assiduo indugiar, con la

Molte cose

ei

donava

prudenza

al messaggiero.

Monete assai, denari assai, e scrisse


Un'acconcia risposta a quella epistola
All'anima de' puri
congiunta sapienza eletta
In questa che ci disse il messaggiero
questi detti

In-

Deh
De'

fidi

Noi

sia

amici nobile faccenda.

tutti

conveniam.

S,

si,

Merv discender con

In

le

quand'io

mie schiere,

Nitida e adorna render la faccia

Dell'ampia terra come pur

la

piuma

Di fero augello, e per la mia giustizia,

Pel mio consiglio e per

modi miei

Dolci e cortesi, ne' ruscelli vostri

Scorrer far con l'onda pura e limpida


Candido latte. Qui staremo intanto
Fin che tributo giungaci d'Irania,
Giungano i doni e le gradite offerte

Merv poi che disceso


conforme alla via dritta
Camminer, che non vogl'io che a voi
De' suoi gagliardi. In

Un

d sar,

Rancura incolga per le genti mie.


Torn correndo nell'irania terra
Il

messaggiero e ci che ud, che vide

Dal re di Gina, raccont.


In

Merv

di

Cina

Le sue falangi e
La terra tutta a
De' cavalieri

il

Ma

intanto

regnator condusse

intenebrossi intorno
la

volante polvere

e com'egli ebbe alquanto

Di riposo e di pace, al piacer suo

390

Ratto si volse. Di Behrm nessuno


Ricordavasi allor. Sonno e quiete
Ninno si avea di Merv entro le mura
Pel suon de

le

ribebe e de'

non eran vedette,

In ogni parte, e

liuti,

libero e disciolto iva l'esercito

da scompigli e da tumulti ognuno

Tranquillo

si

vivea. Feste e conviti

Erano e cacce e vin fumoso attorno


E di liuti un'armonia, nel tempo

Che

notte e giorno da improvvisi assalti

Sedea sicura quella gente. Il sire


Di Cina intanto gli occhi rivolgea
A quello che mandar dovean gl'Irani
Grave tributo, e un'ira avea nel core
Per suo lungo tardar. Ma, di rincontro,
Stava prence Behrm vigile e accorto

E custodia l'esercito fedele


Dal reo nemico. Esploratori suoi
Tenea

il

la notte e

vin fumoso

il
i

di,

n fra

le

cene

giorni suoi passava.

E giunse a re Behrm certa novella


Che in Merv era disceso il re di Cina
Con tanti prodi suoi. Trasse le schiere
D'Azergashspe dal delubro, e ognuno
Di que' gagliardi due cavalli, senza

Sue provvigioni, avea. Con forti usberghi,


Con elmi greci e splendide celate.
Correndo per la via la notte e il giorno

Come tempesta

in ciel, le sue falangi

Guidava Behram-gr pari a torrente


Che dal monte precipita, e scendea
Per la via d'Ardebil fino alle mura
D'Aml silvestre. Anche d'Aml partia
Discendendo in Gurgn, doglia e fatica
Degna de' forti tollerando, e poi

391

Da Gurgn raggiungea Nis


Nobil

ma

citt,

longinqua,

precedea solerte

il

un concio ttier di via.


andava per deserti e monti

Di Basa sceso
Cosi ne

E per
Notte

lochi inaccessi e per l'oscura


cos,

Fin che

il

Nel giorno

nell'ore intempestive,

giorno appara.

Ma una

tenea

egli tenea,

vedetta

le scolte

Della notte nell'ombre. In questa guisa

Vicino a Merv egli giungea. Davvero


Che augello volator cosi non vola

Ma

intanto degli esploratori suoi

Giunse un corriere. Lungi da faccende


D questa terra, ei disse,

Che

in

Kashmayhn

il

re di Gina,

sua caccia

egli , della

Assorto nel pensier. Gli consigliero

Ahrimn

fraudolento.

Prence Behrm,

E il lungo stento
Come aura lieve
In quel loco

ei

Allor

che intese

giubil del core,

della sua

dileguossi.

persona
Un giorno

pos. Quand'ei sovrano

E il suo destriero e le falangi sue


Fr riposati, in Kashmayhn discese
A un di segnato, quando il sol eh' luce

questa terra, sollev la fronte

Dalla montagna.

tosto

un suon

di

tube

Ogni orecchio riemp, delle bandiere


Ai vvidi colori ogni occhio intento
Si confuse e levossi

Da quel

un

Del re d'Irania e de'

Ratto

gli

fiero strepito

Oh! ne assordavano
suoi forti in armi

loco di caccia.

orecchi

de' leoni

Parean schiantarsi, a

ancora

improvvise voci,
Gli orecchi, e detto avresti che la grandine
Da le nuvole fosche discendea

Con orrendo

fragor.

le

Davver! che

tale

.392
Fu

il

Che

suol del campo al sangue che scorrea,


detto avresti scendere dal cerchio

Della luna quel sangue in

Di Cina

il

prence come

ampie

stille.

destava

si

Dai sonni suoi, attonito e stordito


In man di Khazarvn cadde prigione,

gl'Irani avvincean, fatti captivi.

Trecento eroi de' pi famosi in Gina


Sul culmo dell'arcion de' lor cavalli.

Da Kashmayhn

discese in

nel correr veloce

Merv

il

sire,

palafreni

S'attenuar qual canna

esl.

Ma

pochi

Merv, e trucidavanli
Tutti gl'Irani e niun restava; a quelli
Che fuggendo partir, corse a le spalle
Prence Behrm velocemente e trenta

Eran Cinesi

in

Parasanghe percorse in questa guisa,


Mentre da tergo gli venia quel prode

Kren

di Persia.

E venne

Come

poi tornossi

al loco della caccia, quivi

All'esercito suo de' vinti eroi

Spart le cose;

ma

poich, per quella

Vittoria sua su quei di Cina,


Eragli dato sollevar, da Dio
Il

il

capo

compimento d'ogni voglia sua

Ei riconobbe, eh' egli d possanza


All'opre buone e luna e sol governa.

XVIII. Il confine segnato fra l'Iran


e

il

Turan.

(Ed. Cale. p. 1545-1546).

Ebbe quiete in Merv quel valoroso,


Behram-gr vincitor. Come posato
Si fu co' suoi destrieri incliti in

guerra

_
Il

393

nobil prence, fiero assunse, in loco

Del viver molle, qual d'eroe costume,


E di Bukhra quel suo cor bollente
All'assalto

in

si

un

volse. In

una notte

ad

egli

giorno

sol

Amy

discese,

Di cacciator gi fattosi di gloria

Amante a l'improvviso. Ed in quel tempo


Che ad Amy discendea, nella vigilia
Che de la notte prima, ei valicava
Le sabbie di Farb e le paludi,
E quando questo sol l'aria all'intorno
Tutta

f'

rilucente e

il

velo azzurro

Della notte cacci, negro qual penna

Di rapace sparvier

si

fece

mondo

il

prence
Mergh, passava in May.
Quivi i suoi prodi sgominar l'esercito
Degli avversi Turani e in quella terra
Cacciar le fiamme ad ogni loco. In cielo
Gli astri parean, per sbito sgomento,
Cercar rifugio de la bianca luna

Per l'atra polve


Passava intanto

sollevata, e

in

Di sotto al lembo, e sovra

Cercavano

di

il

Qui, sulla terra

uccisi

figli

scampo alcuna

via,

padri. Allor, qual era

De' turanici eroi principe e duce.

Quanti eran vecchi e quanti giovinetti


Usi il ferro a vibrar, tutti sen vennero
Dispetti e vili a re Behrm, sen vennero

piedi tutti, insanguinati, e

Come
O grande,

polvere

attrito.

il

prence,

core
ei dissero,

o re, di nobile fortuna,


Governator de' liberi guerrieri

Dell'ampia terra, se cadea prigione


Della Cina il signor, senza suo danno

Andava anche,
Per grazia e

di te, sire del

mondo.

patto. D'innocenti capi


Il

394

sangue adunque non versar, che bello


a' regnanti che hanno fama e onore,

Non

Contese alimentar. Che se tu chiedi


A noi tributo, bene sta; ma il capo

Troncar degli innocenti, oh! perch mai?


Uomini e donne, siam noi qui tuoi servi,
I prostrati siam noi della tua guerra.

Behrm per

Di principe

S'accese ratto,

si

che

gli

essi

core

il

occhi rei

Dell'ira sua con la gagliarda

mano

Di sua saggezza traforando ei spense.


Quel re, devoto a Dio, pien di pensieri
Si f' d'un tratto e degli eroi la

Incepp

si

dal versar quivi

Degl'innocenti.

Fu promesso

Come

in tal

mano

sangue
maniera
il

l'amor del nobil

sire.

Degli uomini riottosi e furibondi


II

core

si

calm.

Venne

de' prenci

maggior duce fra i Turani al sire


E grave s'accoll per tutti gli anni
Annuo tributo. Cos and che in questa
Nobile impresa ogni desio del prence
Tocc sua meta, e le ricchezze ei tolse

Il

Dai turanici eroi qual suo tributo.

citt di

Farb discese poi

In suo ritorno, con le gote belle


Di vivido color, piene le labbra

D'un sorriso beato, e l si prese


suo riposo, n men l'esercito
Per sette giorni. Ma raccolsi' intanto
Il

s dattorno principi di Cina

di pietra e di gesso

Fece

una colonna

rizzar. Quella colonna sua,

Solo per vnia dell'iranio sire,

Niun

d'Irania o Turania o de la terra

Di Khelgi pi mai passar dovea.


Che restava
Il Gihm su
Era

395

mezzo

l in

la via.

due terre

alle

Shehrli

nome

di

tal fra le schiere, inclito e saggio,

D'alto deso, di nobile natura,

l'iranio signor principe

il

volle

Di Turania del regno e del suo trono


L'inclita altezza fece pari a nobile

Adornamento della bianca luna.


Su quel trono d'argento allor che assise
Prence Shehrh, si strinse la cintura

mano

A' fianchi intorno e disciolse la

capo
A
Turania
di
prence,
e
di
L'aureo serto
liete.
n'andavan
citt
le
insiem
Tutte
far suoi doni. Si pos sul

XIX. Lettera

di

Behrm-gr a Ners.

(Ed. Cale. p. 1547-1549).

Del turanico suol come compiuta


l'alta impresa, e libero da tanta

Fu

Cura ne andava il cor del re,


L'inclito sire che venisse a lui
Il

f'

cenno

regio scriba e calami e cinesi

Fogli di seta dimand. Scrivea

D'Irania

il

prence a Ners valoroso

Un'epistola a dir quelle tenzoni


De' guerrier di Turania e l'alte imprese
Degli armigeri suoi. Del foglio a sommo

Erano

lodi, quali

prenci fanno,

Di quest'umile servo, a Dio, del mondo


Primo fattor, signor d'alta possanza

di vittoria, di

Saturno in

cielo,

Della luna e di Marte almo sovrano.

Signor del ciel che in alto rota, sire

396

Di questa terra immobile e dispetta.

Dal suo comando umile stato a noi


grandezza procede e sotto al suo
Alto dominio stan le cose tutte

Che dovranno accader.


Prence Behrm, questa
Dal confin ch'

Scrissi, dicea

epistola

di Gina, al

mio

mia
fratello

Gh' in suol d'Irania, e si la scrissi ancora


Sopra foglio di seta ai prenci tutti

agl'Irani fedeli. Or, chi

Il

fiero assalto del signor di Cina,

Da ogni guerrier che


L'ascolti a raccontar.

Le sue

non vide

le battaglie ha care,
Tanto eran grandi

falangi che per l'atra polve

Detto avrest che di color di pece

La

volta

tingea del cielo azzurro,

si

E la terra
Un mar di

parca veracemente
sangue, s che la fortuna
Dell'uomo ingiusto e reo precipitava.
Egli alfine cadea nella battaglia

In nostre mani prigionier, che stanco

Era e sazio

di lui quest'alto cielo

Che muove ratto. Or io sopra un cammello


Il trassi meco in gravi ceppi, al core
Trafitto di dolor, pieno di acerbe

Lagrime

agli occhi.

Oh

davver! che umile


capo

Si f' de' prenci suoi l'altero

E si f' pronta a supplicar la


E pieno d'ansia che tormenta
Il

lingua
e cuoce,

cor nel petto! Si accoll tributi

Chi n'era avverso, e venne al dritto calle


Chi sviato era in pria. Ma co' miei prodi
Io verr tosto dietro a questa mia
Epistola regal, verr conforme

deso ch' nel cor d'ogni fedele.

Da quel

loco partan velocemente.

397

come tuon che romoreggia

Si

in alto,

cammelli
Che dal labbro sciogliean candide spume.
Come giunse a Nersi la regia epistola,
A quell'illustre per la molta gioia
II cor balzava. Ascese innanzi a lui
De' sacerdoti il maggior duce, e ascesero
Quanti erano gagliardi in quella terra,
Consanguinei del re. Cos levossi
Dal palagio regal voce di gaudio,
E tese ognuno a quella voce intenti
Gli orecchi suoi. Davver! che per vergogna
Del lor prence e signor, per lor peccata.
I

palafreni rapidi e

cor de' pi famosi in quella terra

Il

Fu

dolente e cruccioso

A dimandarne

Scusa e perdono ei vennero compunti


Di Nersi nel cospetto, ed eran questi
Pi assai di centotrenta incliti eroi.

Un malvagio

pensier, dissero allora,

d'un Devo

comando

il

il

nostro core

Via trasportar da la diritta via


Del signor de la terra. Or, per quel forte
Esercito guerrier, di cui pensava
Ognuno qui che schiudergli le porte
Dovesse questo

ciel,

Che vince ogni

pensier, vince de' saggi

de' pi accorti opinion.

Al regal foglio

stupore in noi

la risposta

Ma quando
acconcia

male e pel ben tu scriverai.


D'uopo sar che scrivasi pur anco
pel

La nostra
Venne da

scusa.

Che

se tanta colpa

noi prenci d'Irania, forse

Ci far grazia l'inclito signore.

Nersi, accogliendo quell'incarco, disse:


Io

si

far di allontanar pensiero

Di vendetta dal cor del prence nostro.

398

Subitamente all'epistola regia


Scrisse Ners quella risposta e in essa

F' manifeste le leggiadre cose


E le non belle e disse: I prenci irani,

Per dolor ch'elli avean, per fiera angoscia,


Per la lor terra e per i dolci figli
E pei tesori, si prendean rifugio
Di Gina presso al re, quando la speme

manc

In lor

dell'inclito signore

D'Irania bella.

Ma non

fu cotesto

non per vendetta,


Non per rancura, non perch anteposto
Fosse qualcuno al nostro prence. Ed ora,
Per nemico

voler,

Se il nobile signor ch' invitto sempre,


Perdono a lor conceder, l'oscura
Notte che tutti li ricinge, in chiaro
Giorno tramuter. Per queste scuse
Scegliean me intercessor propizio e amico

dissero:

Per

noi,

per noi tu prega!

sacerdote (era Burzmihr suo nome)

Un

Dal loco ov'era, per andar si mosse


Volgendo il viso, e s ne venne accanto
Al nobile signor dell'ampia terra.
Tutti

secreti suoi quivi egli sciolse

Dall'intimo del cor,

si

che

il

gran prence

piacque de' suoi detti acconci,


quel rapido incendio incontanente

Alto

si

fumo abbass. Venner possenti


di Balkh remota
E sacerdoti di Bukhra insieme
E di Gharch. Sen vennero compunti
L'atro

Di Geghn, di Khatln,

loro offerte e lor verbene in pugno,


Venerabondi innanzi al vivo Fuoco,
Ed ogn'anno cos con loro offerte.
Con lor tributi, quanti avean potere

Con

All'ostello salian del nobile sire.

399

Di quel tempio del Fuoco allor che tutte


Fir le cose apprestate e

Di

Sadh

luogo ancora

il

della festa e del primiero

Giorno dell'anno,

prenci

co' suoi

Co' liberi guerrieri, ecco

illustri,

discese

D'Azer-abadagn fino alla terra

Behrm

allora, e tutti innanzi al Fuoco


Vennero a supplicar con mani giunte

Sopra

la fronte

sacerdoti.

Il

sire

A' famigli del tempio alcune cose

Anche don, poi di l venne ancora


E scese in Istakhr con tutta pompa,
Del re dei re luogo

Per l'ampia

E
E

d'aurei

folla

nummi

di gloria.

quanto

Sparse

monete

di

dentro a mille e cento

sessanta carnieri

si

tenea.

Dentro a carnieri di conciato cuoio


Di pecore e giovenchi e l condotti
Innanzi a

lui sul

E monete eran

dorso agli elefanti,

quelle che gli antichi

Sacerdoti di Persia in lor pehlvico

Sermon peydavesl con proprio nome


Solean chiamar. Fecesi addur pur anco
nobil prence otri di pelli, e intorno

Il

L'oro e l'argento liberal ne sparse.

Ma quando ei rinvena sul suo sentiero


Caduto ponte, o udia da chi '1 sapea,
D'un albergo disfatto a' viandanti,
Di ripararne

le

rovine

ei tosto

Gol suo tesor facea comando, e a ninno

La

fatica

apponea

di tanta

impresa

dispendio giammai. Molte monete


A' poveri ei don per l'ampia terra,

quelli

ancor che per fatica e stento

Hanno lor cibo, n per far cotesti


Ampi suoi doni un giorno sol crucciossi

40U

nobil sire. In terzo loco argento

Il

Agli onesti don, don alle vedove,

Agli orfani bambini, e in quarto ai vecchi

Impediti gi in pria da' lor lavori

E dai giorni dell'armi. In quinto loco


Ne die a quelli di stirpe inclita e illustre.
Di cui per non fea ricordo

La gente

mai

ricca, e in sesto a chi venia

Da lontano viaggio e nascondea


Sua grama povert. Don a cotesti
Ampio tesor d'Irania il sire e intanto
In ogni loco ei sogguardava, sempre

Intento al bene oprar. Pose la preda

Raccolta gi qual destinata parte


Dell'esercito suo, n
I

f'

pensiero

suoi tesori di colmarne, e poi

comand che

Un

del signor di Cina

sacerdote di non dubbia fede

L'aurea corona

recasse. Allora

gli

Quant' erano in quel serto incastonate

Gemme

lucenti, fr divelte e poi

Con quelle gemme e con quell'or del tempio


Del sacro Fuoco tempestar le mura
E n'adornar la sommit del trono
Di Azr lucente in guisa artificiosa.
Di l discese

il

nobile signore

In Tisifuna, ove Nersi col fido


Gonsiglier sacerdote

D'Irania bella ed

Vennero incontro a

E
E

tenea,

si

questi allor, co' prenci tutti e

la
il

grandi

guerrieri suoi,
lui.

Quando

la

fronte

corona discopr del sire


vessil risplendente e

Prodi nell'armi, a pie

si

molti suoi

mosse e venne

Riverente Ners prestando omaggio,


i
grandi e venne il sacerdote

Vennero

401

Dall'eretta cervice. Al fratel suo

Che tornasse in arcion tosto f' cenno


Prence Behrm e quella man di lui
Si prese nella

E
E

man. Cos ne venne

sedette sul trono aurifulgente,


gi dinanzi a lui stavano

Con

Un

lor cinture. A' poverelli

prenci

ancora

tesoro ei don, fr schiuse a 'rei

Del carcere per lui le tetre porte.


Cos, piena di pace e di giustizia

Fu
Il

l'ampia terra allor, sciolto dal duolo


cor di tutti. Da ogni loco attorno

Prence Behrm cacci rancura allora

fatica e dolor, coi prenci suoi

Gioconda

Che

festa celebrando, e quelli

alla festa accorrean,

Splendida vesta,

XX. Avvertimenti

dono regale,

ottenean da

si

di

(Ed. Cale.

Behrm
p.

lui.

agli ufficiali.

1549-1553).

Al terzo d, de' prenci nel banchetto.


Posero innanzi a Behram-gr intento
Un regio scriba, ed ei nell'ora istessa
Che apprestavasi a ber del vin giocondo,
Una epistola scrisse con amore.
Del suo cor nella gioia. Al foglio suo
.

f' primieramente, a quelli


Benedicendo che con sapienza
Purificar l'anima lor, che fecero
Alto ornamento al cor per senno antico

Inizio

E ricchezze adunar di guisa onesta


Con fatica di corpo, e riconoscono
Ogni bene da Dio, cercan saggezza
FlRDUBI, VI.

2*

402

E con uomini saggi acconciamente


Pongonla in opra, e sanno che procede
Sol da giustizia opra leggiadra e bella,
N vengono per della ingiustizia
A battere alla porta. Ove qualcuno
Si lagni si d'esti officiali miei,

Di questi prenci da l'eretta fronte,


Di questi cavalieri incliti in guerra,

Nulla avranno da me fuor che prigione


E d'ignominia un tristo legno questi
Servi infedeli, oppur, condotti a morte,
Pian gittati alla terra in turpe guisa.
voi s v'adoprate onde ogni doglia
Quaggi decresca per la terra e fate
Che degli afflitti il cor novellamente

Or

Lieto e beato
Stabile

non

ritorni.

si

fu mai,

Il

fia

mondo
che

resti

Per vivente mortai, si che voi tutti


Amanti siate di giustizia e ninna
Recate ad altri dolorosa oflesa,
E ci vi basti. Esempio a mie parole

Veramente son

lo,

son

io

cagione

Di pi giusto operar, che a


Si

me

di contro

grande s'avvent nemico esercito


s'avvent di contro

al

popol mio.

Eppur con breve schiera,


Di qui partii, si che divenne amico
Quel che avverso era un tempo, e un uom famoso,
Qual di Gina regna tor, monarca
Inclito e illustre.

Di seggio adorno e

di

regal corona

d suggello imperiai, captivo

Cadde

in

mia mano e a capo

in gi travolta

De' turanici eroi l'alta fortuna


Precipit. Vincente Iddio mi fece.
Santo e potente, e and sotterra il capo
De' miei nemici. Intanto, ufficio eletto

103

Solo questo a

me

devotamente

sia,

Dio servir, solo pensier mi sia

Il

pensier di giustizia. Or io tributi

Non chieder per anni

sette ancora,

Sia da soggetti, sia da prenci attorno

Del grado mio. Per, scrissi un'epistola


In pehlvica lingua ad ogni prence
Di libero potere, ad ogni mio
Governator, perch soltanto norma

Seguan essi d nobile giustizia


Con lor soggetti, n ricordin mai
Opre triste. Di quanti son meschini
Per le nostre citt, che non han parte

A nessuna letizia in di sereno,


A me inviate incontanente nomi,
i

Per ch'io tolga dal core ogni desio


Che li tormenta. A quei che di lignaggio
Scendon cospicuo e dentro al cor memoria

Hanno dolente

di

smarrite un giorno

Ricchezze lor, farete voi che senza


Alcun bisogno vivansi tranquilli
Col mio tesoro, ed a' pi saggi date
Poter con dignit. Se alcun per debito
Alto ha travaglio e reca le

E dovunque

si

man

vuote

sta senza potere,

Spregiato e vii, suo debito col nostro


Tesoro imperiai voi pagherete
E ne' registri acconciamente il nome
Scriverete pur anco.

Dio signore

Questo chiedete ch'egli serbi il nostro


Gore mai sempre nella dritta via
Della sua

norma

e della f.

Ma

voi

Di questa legge mia, nell'osservarla,

Fate vostra

la gioia

e dimostrate

Amor verace a chi soggetto a


E vostri servi non abbiate mai

voi

404

vili, che i mortali tutti


Son pur servi di Dio. Chi poi ricchezza
Ha veramente ed ha possanza, atldi

Dispetti e

A' sapienti

piccioli suoi figli,

voi con sapienza l'alme vostre

Fate ricche e potenti e vero senno


Fate qual serto al vostro capo. Intanto,
Lungi la mano da le cose altrui
Per voi si tenga, innocui agli altri e a Dio
Devoti sempre. Anche ponete cura
Di non infranger questi patti nostri
E schiantate del mal l'empia radice

l'orme ne togliete,

E le compagi e
N degli eguali

ricercate offesa

danno mai, non gi

de'

grandi in terra

de' possenti. In Dio la vostra

speme

Ponete intanto e obbedienza a lui


Prestate ognora e l'anima qual pegno
Ponete all'amor suo. Quei che meschino
Erasi

un tempo ed or

levossi alquanto

sorpass dell'umile suo loco


Giusta misura,non direte grande

stimerete, che la sua grandezza

Rapidamente

Ed umil

ritorna in basso

si

stato.

Ma

congiunti sempre

Siate a giustizia, a Dio devoti, pure

Da ingiustizia
E nulla tolga

pur

fra voi

e da inganni arabe le mani,


a'

poverelli quale

che vivasi contento

Senza bisogno. A santit volgete


L'anime vostre e il bene oprate e
E la forza vital di chi mendico,

il

vogliate spezzar. Per quelle cose


lungi vanno da gradir d'ogn'altro,
vicino il periglio e il danno aperto.

Non
Che

core,

Benedizion

di

Dio scenda sull'alma.

405

Sull'alma pura di colui che a sensi

Emani va congiunto in quella guisa


Che l'ordito congiunto alla sua trama!
Poi che ravvolta la lucente seta

Fu

del foglio regal, tinse di negro

Il

regio scriba al calamo la punta

il

nome

scrisse del signor del

mondo

Alla rubrica esterna, di tal prence,

Cuor

di giustizia, d'ogni

bene e male

Gonoscitor, signor di grazia ancora.


Di forza e maest, dei re signore,

Behram-gr, per clemenza

inclito e

grande.

A' capi allor d'ogni frontiera, a tutti


I

soggetti del prence, ad ogni saggio

sapiente, ad ogni capitano

Inclito in guerra,

da ogni parte intorno

Andavano e un cammello e un cavaliero,


Anche un cursor col foglio imperiale
Ed una guida. Come giunse il foglio
In ogni regon, presso ogni duce,

Presso ogni illustre

Ognun

di

quell'alma terra,

disse nel cor; Grazia gli questa

Di Dio sovrano, che del


Iddio santo conosce!

piccioletti

mondo

Uomini

il

prence

e donne

vennero nel piano.

Tutti uscir da le case in ogni terra,

Tutti gridar benedizion dell'alma

Al giustissimo re del

mondo

Indi a goder de la letizia

Subitamente

si

intero.

nuova

apprestar, chiedendo

Musici e vino e suoni allegri. Intanto,

Era un lieto goder del chiaro giorno


Per met del cammino, erano cure
Di lor faccende alla met restante.
Al cominciar di nuova primavera.
D'un giorno al primo albor, voce levossi

406

Dinanzi alla magion del nobil sire.


Godano, si dicea, donino ancora

Quei che han possessi, e di lor godimento


Abbiano grazia a noi. Ma chi di nulla

possessor, venga a' tesori nostri


E cinque dramme di ben giusto peso
Tolgasi dal tesor con tre misure
Di vin lucente e vecchio e del colore

Di melagrana e de la tinta bionda


Di fulgid'or .

Tutte

le

Si volsero alla gioia

genti allor,

che

di voci

Di bevitori le citt fr piene

Co' villaggi a l'intorno; e fu che allora

Di rose intesta una ghirlanda al prezzo

due denari

Di

si

vend, che un

Di bei narcisi d'una

dramma

ramo

sola

altri compr, ne per tal prezzo


Ebbe rancura. Per la molta gioia
De' vecchi omai ringiovaniva il core,
E ne le fonti diventar le linfe
Candido latte. Fea ricordo intanto

Al prezzo

nobile signor di Dio sovrano.

Il

Poi che

Un

il

mondo vedea

giorno cosi disse

il

cosi felice.

nobil prence

Nersi valoroso: Or di qui vanne

Con suggello regal, con regal serto.


Di Khorassn ti do la terra colta
La mantieni e fiorente, e lieto il core
;

Fa

de' soggetti miei.

Sii tu soltanto,

Non

Vedi che giusto

e per la lunga via

attaccar battaglie.

Oh

se del

male

padre nostro, affanno


Ei per n'ebbe, come l'uom che ignudo
L'impeto affronta d'autunnal bufera!
L'opre cercava

il

E comand che

ricchissima veste

Si gli fosse apprestata,

ampio tesoro

per

Si vuotasse

Sia la tua

407

lui.

Dissegli poi:

speme neirElerno e

tuo

il

Eletto loco sia l'altezza eccelsa

Del trono ove sta

Dur viaggio

di

sol

il

Due

quel forte, ed

settimane

ei

Incolume e beato in poter suo


Di Khorassn prese la terra. Allora
Che Nersi prence se n'and, trascorsi

Come
Da

fr sette

d,

libero e sciolto

ogni pensier fu

il

cor del

ed

sire,

ei

De' sacerdoti al maggior prence indisse

D'avanzar

Menando

tosto,

seco.

alcuni sapienti

E incominci: Ben lunga

Del greco Imperator

si

fa l'impresa

licenza al partir toccasi tarda

Il

messo

ch'ei

Veramente

mand. Tu

di'

chi sia

costui, di sapienza

qual grado egli assurga. Ergesi


Per sapienza l'alma de* mortali.

dritta

Vivi beato per cotesta tua

Divina maest, prence del mondo!


Il

sacerdote rispondea. Colui

un

vegliardo che nobile ha consiglio

E verecondia,

e le parole sue

Oneste sono e la sua voce dolce.


Quegli che Plato gi si avea maestro,
Altro non che saggio e sapiente

d'inclita progenie.

Dal suol di Grecia,


Egli era s, ma poi

AUor

ch'ei

d'alti sensi
si

f'

venne

pieno

stordito

In questa terra. Assiderato e vizzo


Egli

davver come gelido serpe

Nella luna di Dey.

La sua persona

fiacca e lenta e son le gote sue

Del pallido color d'arida canna.


Intanto

servi suoi

veracemente

408

Son quai montoni allor che all'improvviso


Lor muove incontro un can da caccia. Eppure,
Eppure a noi, per stolida superbia

Ed

alterezza, volgere gli sguardi

Non degnan

mai, non fanno in questa terra


Stima d'alcuno qual d'un uom verace.

Iddio, rispose al sacerdote allora

Principe Behram-gr, quei che

ci dona
Corona e maest, forza e vigore.
Che se vincente Iddio mi f', voltando
In chiaro giorno la mia notte oscura

Per

la fortuna mia, d'imperiale

Nascita sempre

il

greco Imperatore,

E grande egli , traendo la sua stirpe


Da Salm antico, a cui ponea sul capo
Il

diadema re Fredim; ricordasi

Di padre in padre

Ed

ei si

coteste cose.

d'umano e saggio opera ei fece.


N venne quale un forsennato a noi
or,

Come
Invito

di

Cina

il

adunque

re sovrano. Facciasi
al

messaggier

di lui

Nell'ora ch' dischiuso a noi l'accesso,

Per ch'ei favelli quante cose all'uopo


Son veramente. Invieremlo poi
Con molto onor pel suo sentier, che invero
Libero non son io da ogni bisogno
Per uomini quaggi. Questi si cerca

Una

battaglia e le falangi aduna.

Quegli attende
Aurifulgenti.

a' conviti

Or

io,

ed a corone

quale valore

Di questa region d'Irania bella.

Conoscer bramo, ed pi grande in terra


Chi va trattando con monarchi illustri.
Con molto amor gli fece il sacerdote
Benedizione: Vivi tu beato

Fin che volgasi

il

ciel!

Non

parli alcuno

409

nome tuo fuor che per merto e lode,


E grandezza su prenci anche ti tocchi
Del

XXI. Udienza del messaggiero.


(Ed. Cale. p. 1553-1556).

Al di che venne, quando il


L'ampia corona e del ciel per
Salian le fiamme di sua luce,
S'assise

il

re

di

mostrava

sol

la volta

in trono

questa terra e innanzi

Alla presenza de' raccolti prenci


Il

messaggiero

si

chiam. Sen venne


il vecchio saggio,

Di grande esperienza

Memore

e sapiente e in far parole

Inclito assai, le

mani

al

sen conserte,

Chinata al suol la fronte, e


Dinanzi al trono dell'iranio
Su le ginocchia sue. Ma gli

Behrm

si

pose,

sire,
f'

inchieste

cortese e accarezzollo e poi

Sovra un suo seggio di turchesi adorno


seder. Qui lungamente, ei disse,
Tu se' rimasto, del veder la nostra
Irania terra quasi ancor non sazio.
Che da te lungi mi ritenne il prence

Il f'

mondo
compagno m'ebbe.

Belligero di Gina e qui nel

Avviticchiato qual

Or per

le

Tutte

rinnovar, mentre passava

si

mie cose

in bella guisa

Giusta misura la dimora tua


In questa terra.

Tu

ci

dirai,

Ma

darem

per quante cose


risposta noi,

Conforme al tuo parlar, nobil consiglio


Benedisse a lui
Porremo in opra.

L'antico messaggiero e disse poi

tio

non resti mai la terra,


tempo! Ove regnante sia
Che abbia saggezza, d'uom prudente e savio
Senza

Non

di te

resti

il

Dalle parole sua letizia aduna.

pi vicino a Dio l'uom

pi tetra

si fa

sapiente,

per chi mal pensa

Questa luce del d. Prence tu sei


Sugli altri prenci della terra intorno,
Che regnante sei tu, dominatore,
E buono e saggio. Una bilancia vera

la

tua lingua e

gemme

detti tuoi;

Or, chi vide giammai con peso d'oro.


S come fai, pesar le gemme? Intanto,
Sono in te sapienza, alto consiglio.
Antico senno e maest, conforme
A costume real di prenci invitti.

Oh s! consiglio hai tu
E sapienza, e principe
D'ogni pi saggio.

Che

nobile ed alto
tu sei
se

pur son

io

Del greco Imperator messo fedele,


Servo son io de' servi dell' iranio
Prence sovrano, e reco a lui saluto
Del greco Imperatori Deh! in sempiterno
tuo trono, o signor, la tua corona
Restino a noi con la presenza tua
E il greco Imperatore anche m'ingiunse
Il

Ch'io dimandassi qui


I

sapienti tuoi.

Disse prence

F' cenno

il

De' sacerdoti

Con alcuni

Ma

il

cose.

tu manifesta;

grande l'onore.
che venisse a lui
maggior duce allora

in parlar

sire

de' saggi incliti e grandi.

sospiroso, per alcuni istanti,

Pei detti

Era

di sette cose

Coteste

Behrm,

D'uom facondo

il

di costui

che dimandava,

labbro del sire;

ei si

chiedea


Che

fosser

mai

411

le sette cose, tanto

il greco saggio
Chieder volea da lui. Ma venne intanto
Il sacerdote e venan quanti saggi
Erano da quei d, quanti in dottrina

Misteriose, quali

Avean

forza e poter. Sciolse l'arcano

Dall'intimo del cor l'uomo eloquente

del greco signor tutte ridisse

Al sacerdote

le parole.

saggio,

Ei disse, guida e consiglier, qual cosa

che

Interno tu chiami, e quale quella

s che un altro nome


Non sai per essa, e che tu dici Sotto
E quale Sopra, o nobil prence, e quale
l'Infinito e lo Spregevol anche,
E qual cosa pur qui che ha molti nomi

Che

appelli Esterno,

Ed ha comando

in ogni loco attorno

Disse all'uom savio

Non

t'affrettar,

Di sapienza.

Tu

sacerdote: In questo

il

non volger dalla via

disse poi

Deh

porgi.

saggio e accorto, alla risposta intento

L'orecchio tuo per tutte cose inchieste

Paratamente. Una risposta sola


per questo che di', breve fia '1 detto
Per l'Interno e l'Esterno. Il ciel sereno

l'Esterno, e l'Interno l'atmosfera,

Qual

di

Dio fa

la gloria,

D'ogni comando suo.


Solo nel

mondo

alto signore

l'Infinito

Iddio, dal qual

ti

viene

Ardor di sapienza. il paradiso


Ci che sopra si chiama, ed l'inferno
Ci che sotto si dice, ad ogni reo
Loco assegnato che dinanzi a Dio
tracotante. Quello poi che molti

Nomi si reca e di cui


Camminano dovunque,

forza e voglia

il

senno, o vecchio,

412

molti nomi ed ogni re conduce


compimento di sue dolci brame.
Altri lo dice amore, altri lo chiama
Fede e costanza, e quando il senno lunge,

Che ha

Resta incolume

il

vampo

dell'orgoglio.

L'oltraggioso operar. Chiamalo ancora

L'uomo eloquente
Il

verit, lui giudica

fortunato alto vigor d'ingegno,

Pazienza talvolta e di secreti


Fida custodia anche tal' altra, allora

Che ferma si rimane appo qualcuno


Ed inconcussa la parola. Questo
il nome sparso in ogni loco e vario
Del senno, e passa ogni misura certa
Cotesto nome. Or tu, che alcuna cosa

senno avanzi, non pensar. Principio


ogni opra leggiadra sempre il senno,
Tutte le cose pi riposte e arcane
Il

Ad

Di questa terra

Ove non giunge

il

senno vede, in loco

a penetrar la vista

Degli occhi nostri. Quelle cose poi

Che son

vili

e dispetto innanzi al prence.

Signor del mondo, mentr'egli ha sapere


Dell'opere di Dio, sono le stelle.

Per

puro e sublime
novero qual sia
Occhio mortai non ne conosce, e il cielo
Alto e sereno gi non ha misura
Di parasanghe e non modo alcuno
Di raggiungerlo mai. Stolida cura
la volta del ciel

Lucenti in giro.

Il

Pensa tu adunque

del

mutar

Si stupisce

il

computar

degli astri

della fortuna in cielo.

l'uom saggio ove qualcuno


i
moti

Di Mercurio nel ciel computi

Stolidamente.

Che

se tu le stelle

Conti del cielo per la volta, cosa

413

Pi stolida di questa, o fortunato,


Quale sar? Sol questo io ben conosco.

Ma

se diversa da cotesta fosse

Altra risposta, pensa che

Sono

infiniti

secreti del Fattor del

mondo.

Del greco Imperator l'uomo eloquente


Come ascolt quella risposta, im bacio

Diede alla terra e f' benedizioni


disse a Behram-gr: Prence del mondo^
Sovra quello che hai tu, da Dio signore
Altro non dimandar, che l'ampia terra

Da confine a
Di te

si

sta,

confi n sotto al

comando

la fronte de' gagliardi

tua legge sommessa, ed cotesta

Cosa gradita

a'

principi d'illustre

E nobil nascimento. Il mondo intero


Non ricordasi re che ti sia pari,
E il tuo fidato consiglier si vince
In sapienza tutti

Vince

sacerdoti.

filosofi ancora
Sono suoi servi e umiliano la fronte
Dinanzi a lui per quel saper ch'ei vanta.
Behram-gr, come ud, molto allietossi,
E crebbe nel suo cor nuovo splendore
Per tanta gioia. Comand che ricca
Fosse apprestata al messaggier di Grecia
Una veste dipinta, anche per quello
i

pi saggi.

Fosse cercata nel tesor de' regi

Ogni cosa pi eltta. Al sacerdote


Die monete pur anco in dieci colme
Sportene chiuse e vesti e palafreni
Ed altre cose. Il messaggier dell'inclito
Di Grecia Imperator torn beato
Alla dimora sua dal regio ostello.
Poi che stese poter su la serena
Volta del cielo questo sol fiammante,


Sedette

414

re dei re sul trono suo

il

Di fulgid'oro, e del signor di Grecia

Venne

alla reggia

il

messaggier con quello

Pieno di senno e accorto e sapiente


Sacerdote di Dio. Vennero lieti
Nella presenza del sire del mondo,
Favellando di cose e varie e molte,
Fin che del prence il sacerdote al messo
Cos disse di Grecia: Inclito e saggio

hai pari e non uguale in terra,

Che non

Qual cosa quaggi d'ogn'altra cosa


Pi nociva e dannosa onde sia d'uopo
l'opre sue pianger di doglia? e quale

Su

mondo pi profcua cosa,


Di cui per l'opre ogn'uom grandeggia in terra?
Rispose il messaggier Quegli eh' saggio,

Sai tu nel

Sempre
Pi
Il

grande e possente

Tuomo

indotto

fango, in ogn'opra leggiadra

vii del

pi inetto e

pi indegno. Or tu facesti

il

del saggio e de lo stolto,

Cenno cos
E di veraci

la risposta udisti.

il sacerdote: Osserva meglio,


meglio pensa e non gittar nel secco

Il

vivo pesce

Dissegli

Ben

si

pu, rispose

greco messaggier, del sapiente


Ricordar le parole, o l'uom gradito
Il

tutti qui.

Ma

se tu d'altra cosa

Hai conoscenza, tu favella. Cresce


Per sapienza onor d'ogni mortale.
E il sacerdote, Pensa tu, gli disse,

Che da giusto pensier iiascon parole


Con mente e senno. Quale per la terra
Minore

Danno

offesa
fa

ad

ad

altri fa,

altri,

Ma ben giusta cosa


che per morir d'un tristo

Ch'ei viene a morte.

questa

maggiore

intendi ben, nell'ora


Lieto tu

415

quantunque

sii,

nostri corpi

Sian dovuti alla morte. Or, molto frutto

Viene da questo e danno vien dall'altro,


E tu nel mezzo poni il senno tuo

giudicar.

Come

ascoltava

il

greco,

Grada que' detti, che profcue e care


Le parole venan del sacerdote.
Ei rise alquanto e a re

Behrm

si

volse

Benedicendo e disse Oh fortunata


L'irania terra, che questi occhi nostri
Mai non vedranno pari a te monarca,
Di regnanti signor, non a te accanto
Tal sacerdote! A questo mondo intero
Sei tu nobil corona in quella tua
Sapienza sovrana e d'ogni prence
Sei tu il miglior per questo che t' accanto,
Sacerdote del ciel. Che se tu prendi
:

Il

tuo tributo dal signor di Grecia,

Bene

che

sar,

il

tuo ministro eletto

D'alta saggezza nobile sovrano.

Giubil

il

prence alle parole sue,

quel suo cor, qual rosa a primavera.

Si dischiuse al piacer novellamente.

XXn. Partenza

del messaggiero.

(Ed. Cale. p. 1556-1558).

Dal cospetto regal quel messaggiero


Usciva intanto e la notte

si

salia,

librava su nell'aer sospeso

11 suo negro vessillo. Era gi stanco


Del lungo favellar l'uom sapiente,

E andava

al

gineceo

l'inclito sire

416

Di nobil core. Ala del ciel la volta,

Roteante veloce, oh! non avea


Pazienza a indugiar si che ben tosto
Ella dest da' placidi lor sonni
il capo e il suo vessillo
Aderse questo sol, fonte di luce.
Subitamente allor del re del mondo
Si scosse il capo da' suoi sonni, e ratto
Schiuse la porta del regale ostello
Il maggiordomo. Sovra l'aureo seggio
L'iranio prence si sedette, ancora
F' cenno si che, apprestata una veste
Imperiale, al messaggier di Grecia
Invito si facesse. Indiche spade
Entro guaine in fulgid'or, destrieri
Di molta fama con dorate briglie,
Monete e gemme e di muschio gran copia

Dei dormienti

E d'ambra

ancora, ed ogni cosa eletta

Pi assai che l'uom longevo


Il

si

pensava,

vigile signor, gratificando,

Al messaggier donava allora e poi


All'opere attendea con cura intenta
Dell'esercito suo. Ratto f' cenno

Che il sacerdote consiglier venisse


Con un'inclita schiera, ed ei frattanto
Da confine a confin la superficie
Dell'ampia terra a quegli eroi pugnaci
Dispensando sparti. Cavalli ei diede

E monete e
E splendide

suggelli di sovrano
celate, a chi pi

avea

Pregio e valor corona ed alto seggio

di terre dominio. Ei f' la terra

Tutta ripiena di giustizia intorno,


Si che gioian per lui piccioli e grandi
Veracemente; ma chi reo mostravasi,

Lungi mand col non

far doni a lui,


Con parlar freddo
Ai ministri

417

e contegnoso. Intanto

Dio cosi dicea

di

Saggi di puro cor, ricchi di pregi,

Le cose

tutte della terra, e varie

diverse fra

noi ricordiamo,

lor,

L'opre noi ricordiam de' prenci antiqui

giusti e ingiusti.

Ma

per voglie ree,

Per ingiustizia ancor, di molti prenci


Fu malvagio il poter; n'and frattanto
Orba di pace e di dolce quiete
La persona quaggi. Vivea la gente
In assiduo timor pel suo nemico

spezzavasi

il

cor d'ogni pi onesto

Per l'affanno crudel. D'ognun la mano


Pronta e gi stesa all'opere malvage
Dell'ingiustizia, e

niun

si

avea pensiero

D'oprar conforme a Dio. L'opre dei Devi


In ogni loco

si

stendean, che

il

core

De' viventi quaggi distolto andava

Da temenza

Ma

di

Dio che

il

mondo

regge.

principio del ben, poter del male,

Di saggezza la porta e

di

prudenza

La cura ed il pensier, cose son tali


Che posan tutte del monarca in terra
s che veramente
Provengono da lui l'opre del male
E del bene quaggi. Savio non era.
Non sapiente, non fedele a Dio,
Perch la man distese a l'ingiustizia,

Sulla cervice,

Il

vecchio padre.

Ma

dell'opre bieche

mio padre in voi non sia


Molto stupor, che ruggine si prese,
Qual di ferro, quel suo cor si puro
E chiaro un tempo. Deh! pensate voi
Che provaron quaggi Kvus regnante
E l'antico Gemshid, che lor sentiero
Dell'estinto

FiBDUsi, YI.

27


Dai Devi

si

Lor via non

418

prendean! Quel padre mio


bella

trascelse ancora,

si

saggezza con

di

la limpid'

acqua

Purific quell'anima sua fosca.

Or que'

soggetti suoi furono attriti

lui di sotto e molti

morte. Ora

Ebber

la

Tristo

nome

per suo sdegno


n'and; rimase

ei

di lui, ch'egli

non tocca

Benedizione da viventi mai,

Non

preci o voti.

Ma

da noi deh! salga

quell'anima sua benedizione,

Perch l'anima sua per


A dolersi non abbia; e

pena
che intanto

trista

poi

10 qui m'assido al trono

suo regale,

suo viaggio senza dubbio o

11

fallo

Possa aver meta in paradiso! Or io


Da Dio chieggo signor, fattor del mondo,
Che a me forza e poter conceder voglia

onde pur sempre


modi cortesi
Dato mi sia, la terra negra e fonda
Quale in muschio voltando eletto e puro.
Perch almen, quando sia questo mio corpo
in secreto e in palese,

Appo

sudditi usar

Alla terra congiunto in sempiterno,


Chi ingiustizia soffr, non mi trattenga
Afferrandomi al lembo. E voi pur anco

La bianca

stola di giustizia

Vestite, amici miei, lavando

Da

vera
il

core

ogni pensier pi reo, che veramente

Sol per la morte dalla madre sua


Nasce l'uomo quaggi, stirpe egli vanti

d'Arabia o di Grecia o

di coloni

Di suol di Persia. L'impeto di morte

quale d'un leon, n alcun sottrae

Dal fero artiglio

la cervice.

Ancora

Di leoni sbrananti ella fa preda,

419

sfugge al laccio ch'ella ratto avventa,


corpo del dragon. Ma dove, intanto,
Dov' quel capo de' regnanti prischi
E la corona ? Dove son que' grandi

Il

E
I

prenci di gran

nome? Oh! dove sono

cavalieri e gl'incliti che eretta

la fronte, se di lor non vedo


Alcun segno quaggi? Dove son quelle

Avean

Vaghe fanciulle, di Per dal volto.


Onde l'alma de'' forti e de' regnanti
quando alcuno
In gioia si sciogliea ? Deh
!

Le gote si copri
Che lo ravvolge

sotto

estinto,

Alla terra congiunto

Ma

noi la

mano

il

il

lenzuolo

eternamente

chiamerai

all'opere leggiadre.

All'opre sante, distendiam, la terra

Per opre triste non calcando mai.


Ed io frattanto per l'eterno Iddio
Sostenitor, che maest mi diede,
Per la corona e per il trono avito,
Per la nascita mia, per la mia stirpe
Inclita e grande, giuro s, che quando
Un de' ministri miei d'un solo pugno
D'abietta polve danno arrechi ad altri
In loco basso o in alto, ove di lui

Non arder nel fiammeggiante fuoco


La rea persona, la cervice a un alto
Legno ne appender. Che se qualcuno,
Trascorse de la notte una vigilia
due trascorse, involer la veste
Del meschino, in ricambio al poverello

Dal mio tesoro mander un broccato

degli

II

cor liberer.

afflitti

da ogni affanno e doglia


Ma se altri ancora

Involer nell'ombre de la notte,


di

nevischio a un

di,

pecore o zebe,


Io dar per

420

compenso un palafreno

D'altissimo valor, n per quest'opra


Dritto mi arrogher d'animo grato.
Quando poi col nemico una battaglia
Mi tocchi e nell'assalto un cavaliero
Gaggia ferito, ogn'anno di monete
Colmo tesor gl'invier, n mai

Nella distretta

Vorr
Dell

lasciar.

figli

suoi tapini

Con animo

cli' grato,

volgetevi a Dio, ch'egli in eterno

d'ogni ben conoscitor.

All'acqua e

al

La mano

fuoco non stendete, quando

Non siate voi del fuoco adoratori


E suoi ministri. Di giovenchi all'opre
Atti de'

campi sangue non spargete,

Che meglio

assai sconvolgere le glebe

ove non

Per giovenchi

robusti,

Inetto all'opre

un nobile giovenco

Per

la

molta sua

sia

et, vile gi fatto

Del possessor dinanzi agii occhi. Uccidere

Anche non vuoisi mai bue da servigi,


Che ratto esce valor da quella terra
Che lo nutria. Ma voi con sapienti
Vi consigliate, e il cor degli orfanelli
Non spezzate per duol che da voi scenda.
Anche lontani da pensier di Devi
Siate voi

sempre

e nel

tempo

fatale

Di nemica tenzon feste o tripudi

Non

piacciavi cercar.

Che

s'io

chiedessi

Alto tributo da' soggetti miei,


Abbandonato dall'Eterno andrei

Senza corona e senza trono. E s'anche


Yezdeghrd padre mio fu re malvagio,
In compenso di ci per noi s'aduni

Ampio

tesoro d'opre giuste, e voi

Pacificate

il

cor per l'opre sue

421

con libera voglia e generosa

Fuoco andate a venerar, che forse


Perdoner l'Eterno a quell'estinto
Le sue peccata e dall'inferno al cielo
Il

il sentier. Qual di voi


Giovane ancor, goda beato, e ninno

Gli additer

Affligga

il

cor di chi

gli

sta soggetto;

E se vecchio qualcun, la mali non stenda


Ad ebbrezza giammai, che non bello
Che devoto

si

mostri alcun gi vecchio

gagliardo licor. Dinanzi a Dio

Deh! non siate giammai di colpe rei,


Che in tarda et ben meglio dalla vita
Acconciati migrar. Che se contento
l'Eterno di noi, del di che viene,

Non aver nel cor tuo doglia od


Deh sia beato de' soggetti miei

affanno

Il

nobil core e libera la

mente

De' prenci irani da ogni trista cura


I

prenci tutti gi famosi in guerra,

Come udan del monarca est parola,


Ad opre egregie rimirando, fecero
Molli di pianto gli occhi lor per tale

Sapiente monarca, in tutte l'opre


Ardito e pronto. Sospirando, ancora

Benedissero a

lui,

Dell'ampia terra

XXIII.

Andata

di

il

prence e sovrano

proclamando a gara.

Behrm-gr presso Shengul


in India.

(Ed. Cale. p. 1558-1563).

Levossi in piedi

il

nobile ministro

Accorto e saggio e cos disse:

giudice

422
Di giudizio verace, sciolto ornai

Da ogni timor

nemici

di rei

il

mondo

dai nostri confini uscian d'un tratto

La rancura

dolor. Soltanto in India

il

Sh'engl famoso quegli clie a giustizia

L'anima sua sostien

ribelle. D'India

Sino a frontiera ch'

di Gina,

piena

Ei la terra mantien d'alto scompiglio

E
E

di

tumulto per ladroni

suoi,

distende la man, per recar danno.

Fino a l'iranio suol. Che se per questa


Novella cosa hai tu rancura in petto,
Bene sar, che principe tu sei
Che regna, ed Shengl d'India soltanto

Umil custode. Perch dunque mai


D'India e di Cina ei chiedesi tributo?

Pensa tu a questo e vi provvedi ancora,


Nobil signor, che non dovra da questo
Opera scaturir malvagia e rea.
Di pensier gravi f' la mente piena
L'iranio sire

come ud

que' detti,

E innanzi agli occhi suoi quale una selva


Ombrosa e fosca il mondo apparve. Questa
Impresa, ei disse, nel secreto mio
Far, n verbo ne dir a vivente

Alma quaggi. Vedr da

il

Io

costume da

re.

solo intanto

trono suo
Qual messaggiero

Di Shengl le falangi e

il

scender nella presenza sua,


questo ridir per suol d'Irania,

Alla presenza de' gagliardi irani


Di nobil sangue.

D'intatta

f',

Or

tu,

mio sacerdote

piena d'amore e d'ira

principe Shengl scrivi un'epistola.

Col regio scriba

Andava

allora,

l'inclito

ministro

andavane con

quelli,

423

Oltre a lo scriba, ch'evitar concesso

non

lui

era.

favellar di molte

Cose e diverse e calami e odoroso


Muschio apportar con levigate carte.
Il

sacerdote un'epistola scrisse

D'ammonimenti piena e
Piena d'alto saper,

di consigli,

di preci e

auguri

In verso a Dio. Principio al regal foglio

benedicendo a quelli

Ei fece

Da Dio

signor primieramente, quali

Cercan

di

Dio benedizion. Signore

Di ci ch'esiste, Iddio, signor

Anche non

di

Compagni han per

quanto
la terra

Gli esseri tutti, unico Iddio nel cielo.

Ma

di

Sian

quanto

elli

egli

dona

a' servi

suoi,

schiavi o prenci incoronati,

Nulla quaggi che superi quel dono


D'intelligenza nostra, onde ricevono

Luce e splendor principi e servi. E quegli


Che per tal senno in cor si allieta, mai
Non calcher per opre indegne e triste
Le vie del mondo, n chi scelse il bene
Giammai si pente, che non osa all'acque
Di sapienza e di ragione attingere

Opra malvagia. Libera e discioglie


L'uom da sventura la ragion valente.
Deh! mai non sia che alcun de la sventura
Deggia la prova sostener! Ma intanto
primo indizio di nobile senno
Che l'uom, per tutti gli anni suoi, timore
Abbia di male oprar, se stesso ancora
Nell'intimo del cor conosca appieno
E con l'occhio del senno il poter suo
Cerchisi in terra. Il senno de' monarchi
Alta corona e de' famosi ed incliti

Vago ornamento ancor. Ma

tu,

signore

424

D'India lontana, o re Shengl, non sai

La

tua misura, e l'anima tua trista

Nel sangue immergi qual spargendo

Che

se del

Incoronato,

Son

io del

mondo
la

vai.

principe son io

cagion pur anco

mal, son io del bene in terra.

Ma

se tu prendi imperiai costume,


Ov' giustizia? Manifesto appare
In ogni loco grave danno. E questo

Di regnanti non costume invero

Correr dovunque con ladroni e forte


Acconciarsi

a'

malvagi.

l'avo tuo

Era nostro vassallo e il padre tuo


Dinanzi a noi monarchi era pur servo,
E niun di noi convenne in ci che tanto
Tardar dovesse d'India a noi tributo.
"Vedi tu intanto qual mai fu la sorte
Del principe di Gina! Ei venne un giorno
In iranico suol di Gina sua

disperse le cose ch'egli seco

Recate avea, s che si dolse poi


Del mal ch'ei stesso oprava. Or io pur veggo
Andarne uguale il tuo sentiero, eguali
La tua fede e il potere, egual pur anco
Il volgere che fai. Ma sappi e intendi
Ch'io qui di guerra ho l'armi e le ricchezze
Ed esercito ancor d'un solo core
In ordine gi posto, e tu fermezza
Aver non puoi contilo a' miei prodi, e in India
Ordinator d'eserciti in battaglia
davver. Della tua forza rechi

Non

Superba opinion, che


Porti

Ma

un

al

mar

di

contro

ruscello tuo misero e gramo.

intanto

un messaggiero ecco

t'invio,

Favellator, di sapienza adorno

di nobile stirpe.

Or tu mi manda

425

il tributo, ovver gi ti prepara


guerra far stringendo in su l'arcione
Forte la cinghia. Ma da noi saluto
Scenda di tal su l'anima, di cui
Senno e giustizia sono ordito e trama!
Poi che dell'aure allo spirar le scritte
Linee si rasciugar rapidamente.
Quel regal foglio ripieg con cura

Ratto

Lo

scriba intento e l su la rubrca

Questi detti not: Dal re del mondo.

Monarca

di

gran mente,

inclito sire

Di sovrano poter, signor di forza,

Del mondo vincitor, dator


Principe Behram-gr, che

di grazia.
si

prendea

Da Yezdeghird l'imperiai corona


Nel mese di Khordd, nel fausto giorno
Che d'Ird si appella, dell'iranio suolo
Prence sovrano e de la terra tutta
Primo custode, che tributi prendesi
Di Siklb e di Grecia, al nobil duce
D'India, Shengl, che regna di Kanngia
Dal vasto mar di Sind alla frontiera.
Come sul foglio il suo suggello appose
Prence Behrm, di caccia con gli arnesi
Apprestossi a partir. Del suo secreto

Contezza non avea non un de' prodi,


gli venne compagno in la sua via

Niun
Fuor

degl'incliti suoi. Cos discese

D'India al confine e super le spiagge

Del fiume de la terra ove hanno ostello


I

maghi

tutti; e

come accanto giunse

Alla dimora di Shengl, ne vide


I

padiglioni ed

Fino

al ciel si

spingeano

Veracemente ed eran su

Armi guerriere

recinti e l'aula.

assai,

la

sommi

tetti

porta

ricchezze molte

426

Ivi disposte. Cavalieri

Ed

elefanti al limitar

ancora
stavano

si

In pie schierati e di sonagli intorno


di crotali d'India un Aero strepito
Lungi ne andava. Si stupa per quella
Inclita reggia Behram-gr e tosto

un grave pensiero immerse

In

Ma

core,

il

disse poi, volgendosi a' famigli

Che

le cortine

custodano intenti,

A' servi tutti ed

a' valletti

questa

Regal dimora messaggier son io


Di principe Behrm, invitto sempre.

And all'istante il maggiordomo


Da le cortine de le porte innanzi
A.\

e corse

suo prence e signor. Shengl f' cenno


si levasse la cortina e addotto

Che

il messaggier con alto onore


Dal limitar. Con tutta pompa allora

Fossegli

Behrm entrava
Vedea

e la regal dimora

stupito che recava

tetto

il

Di fulgido cristal. D'argento

fondo

il

N'era lucente e sopra, in fulgid'oro,


I

fregi tutti e su quell'or confitte

Molte

gemme

splendenti. Ei vide ancora,

pie del trono, di

II

nobile fratel, postasi in capo

Una corona aspra


Il

Shengl monarca
di

gemme,

consigiier daccanto a

Al regal seggio e in pie


Del nobil prence.

lui,

assiso

dinanzi

l'inclito figlio

Come accanto

ei

giunse

re Shengl, sul trono suo di tanta

Gloria e splendor, col diadema in fronte,


Il

vide assiso. Di quell'aureo trono

pie composti,
Erano di cristallo
E sopra vi sedea quel gran monarca
i

In sua possanza e maest. L'iranio

427

Prence e signor sen venne

al trono, al sire

Prestando omaggio, e l si stette innanzi


Lung'ora assai, poi rapida la lingua

favellar disciolse e

Di principe

f'

parole

Behrm, signor

del

mondo,

Di seggio ornato e di corona, e disse:

D'India pel sire un'epistola serbo

Su

foglio scritta di lucente seta

Allor che il detto


Behrm, f' cenno
D'accostargli dorato un suo sgabello,

In pehlviche cifre.

Ud quel prence

di

ratto fean seder l'iranio messo

Sul seggio d'oro ed

Faceano invito

Behrm
Disciolse

si
il

a'

compagni suoi

dalla soglia. Allora

assise e da' vincoli suoi

labbro e cos disse

Nobile,

ove darai comando,


La lingua scioglier. Deh! mai non
Inclito sire,

Orba

di te felicit

Non grandezza

sia

verace.

di re!

Parla

tu adunque,

Risposegli Shengl, che ottien dal cielo


Quello,
Benedizioni l'uom facondo.
Disse Behrm, quell'inclito sovrano
Di regal seme di cui pari mai
Non nacque al mondo da terrena madre.
Inclito e grande,

La

che superba reca

fronte sua, delle citt d'Irania

Conforto e gioia, per


In balsamo

la cui giustizia

cangia ogni veleno,


Di cui son tributari i prenci tutti
Per l'ampia terra, e di cui son leoni
si

preda nella caccia, e allora

Inclita

Ch'ei nella pugna la sua spada afferra,


Si fa

Ed

ei,

Nube

il

deserto quale un

mar

di

sangue,

suoi doni in dispensar, piovosa

somiglia in primavera, tanto

428

Son cose vili innanzi a lui tesori


E monete quaggi, questo messaggio
D'India al prence ora invia, foglio regale
In pehlviclie cifre e in bianca seta.

Shengl, come ascolt, chiese l'epistola


Meravigliando per quest'uom famoso,

che

poi

letto dell'iranio

Ebbe
Com'erba verde rapide
l'inclito scriba,

Di

lui,

Uom
Non

di lui

il

foglio

impallidirono
le

gote

incoronato prence.

tracotante in tue parole,

t'affrettar nel tuo

sermone

ei disse,

e tanta

Furia non concepir. Quel tuo sovrano

La sua superbia qui


Viaggio tuo

la

disvela e questo

dimostra. Intanto,

Se d'India alcun dimandami tributo,


In ci l'uom saggio non si accorda; e s'ei
Di tesori favella appo sue genti
E calpestar con nostro duol presume
I campi e le citt, sappi che i prenci
Dell'ampia terra son le gru, che l'aquila
Cacciatrice son io, ch'ei veramente
Son polve e ch'io son qui come un gran mare
D'acque profonde. Con le stelle in cielo
A guerreggiar non s'affatichi alcuno,

col ciel

si

cerc nato mortale

Tenzon di gloria mai. Del far parole


E stolte e vane miglior cosa invero
la saggezza, che per fatui detti
Stolto

ti

crede l'uom ch' saggio. In voi

Non valor, non sapienza, voi


Non terre avete, non citt, ma danno
vostra sorte per l'imperiale
Grado che avete. Ora da

noi,

per tutta

Quest'ampia region, li miei tesori


Stanno celati, e gli avi miei la mano


Unqua non
Son
Il

di

429

vi recar. Tesori

gualdrappe e

di

ancora

loriche, e

quando

nostro tesorier gli ampi serrami

Ne

discioglie, davver! che gli fa d'uopo


Sovra elefanti addur le molte chiavi.
Se pur le chiavi a carreggiarne han forza
Ardimentosi gli elefanti. Ov' io
Le mie spade contassi e le loriche,
Dinanzi agli occhi tuoi cosa ben lieve
Saran gli astri del ciel, n l'ampia terra

Pu
G-li

sostener le mie legioni e tutti


elefanti furenti e l'alto seggio

In che m'assido.

Che

se tu contando

In indica maniera insiem


Mille fiate mille, questo

li
il

poni

novero

Di tanti che mi chiamano concordi

Prence sovrano. E sono mie le gemmo


Delle montagne e del profondo mare,
E per me intanto reggesi e rafferma
L'intero mondo. E di fontane ancora

Che menano ambra ed

di tesori di

alo con muschio,

canfora eletta

Inesausti mai sempre, e di rimedi

e per color che in terra


grami son di corpo, tutta
Questa mia terra in cotal foggia piena

Per

gli egri tutti

Debili e

Anche

d'oro e d'argento e di regali

Gemme

pur anco. E sono ottanta regi.


Con aurei serti, al mio comando accinti
Con fermo core; mia la terra e il monte.
il mar son miei, ne schiuso
Trovan per questa region fiorente
I tristi Devi. Da Kanngia alpestre

Gli abissi e

Fino

al

confine dell'irania terra

E d'Irania a Siklb sino all'estremo


Lembo di Cina, tutti re son miei
i

il

varco

430

Servi e soggetti e per manco di forza


Stanno in mia servit. Qui, nella terra
D'India, e in Gina e in Khotn, solo in

Sciolgon

lingua

la

favellar, ch'ei lodano

La mia corona

mio nome

principi custodi

pur sempre

e accrescono devoti

Loro atti in me servire. Anche una figlia


Del monarca di Gina entro a mie stanze
Ho veramente, quale a me costante
Benedizioni su la terra implora,
lei, cuor di leone,
d'un
monte altero
ancor
Ghe le viscere
quel tempo
Oh
da
ferro.
col
Scaverebbe
Di prence Kvus a Kobd monarca,
Ninno quaggi di questa terra mia

E un

figlio

ho pur da

Con alma

ostil fece

Trecentomila

ricordo

E sono

gl'incliti guerrieri.

Ampia falange che mi grida prence


Gon fauste voci, e mille anche e dugento
Son

de' congiunti miei,

n alcun fra loro

Ha un secreto per me. Gognati miei


EUi son tutti d'una in altra eletta
Generazion,

che nel mio cospetto

Ei stanno in pie per tutta l'India. Ancora,

Nella foresta, al tempo dell'assalto.


De' prodi miei nell'ascoltar la voce

Rodonsi l'ugne esterrefatti e vinti


I leoni selvaggi. Oh! ma se questo

Gostume

fosse di nobile e grande.

Uccidere nell'ira un messaggiero.


Dalla persona ti reciderei

La tua
Di

te,

testa superba, e avria dolore


di te,

Incoronato

questo involucro tuo


re, gli

rispondea

Behrm allor, se principe tu sei.


Non spargere per la rea semenza

mio signore
Poi che sei saggio,
cercar della menzogna,

Dell'ira. Cosi disse

Un

giorno:

La

via non

Ma

di

Due

Tu

ti

431
il

gli di':

tua reggia manifesta a noi

sapienti ne' sermoni esperti,

Quali ottengon parlando ogni desio

D'eloquenza con l'arte; e se qualcuno,


Se qualcun d'essi per consiglio e senno
Superer questa mia gente, nulla
Con la tua terra avr che farmi, o sire.
Poi che vii cosa non mai parola
Dinanzi al saggio. Ovver, fra tuoi guerrieri,

Fra quanti hanno uso

di trattar le

ferree

Clave pesanti, cento cavalieri


Scegli nell'India tua perch un assalto
Faccian con un di noi. Dalla tua terra

Non chiederemo
Quando
Sian

li

noi tributo alcuno,

svelati a noi

tuoi pregi e

veracemente
valor tuo con

il

XXIV. Prodezze
(Ed. Cale.

Shengl, come

p.

l'ud,

di

essi .

Behrm-gr.

1563-1566).

cosi rispose

A principe Behrm: Non congiunto


A sensi umani questo tuo consiglio.
Ma tu qui scendi a soggiornar con meco
Per alcun tempo e sciogli il cinto. Queste
Parole vane a che gittando vai?
E disgombra una stanza acconcia e lieta
Fecero a lui, tutte apprestar le cose
Gh'erangli d'uopo. Riposava allora

Prence Behrm fino a met del giorno,


E quando a mezzo il ciel splendeva il serto

432

Di questx) sol ch' luce al mondo, al cenno

Del suo prence un banchetto in quelle stanze

Apprestarono a
I

lui

famigli, e nell'ora

re Shengl fu

la

con cura amica


che dinanzi

mensa imbandita,

F' cenno re Shengl de' suoi valletti

tale e disse: Invitalo!

che messo

Egli d'Irania e di quel re, facondo

E
E

novello in sue voglie.

Anche qui adduci

seder fa qui al desco de' legati

Quelli che son con

lui,

con norma eguale.

Rapidamente and Behrm


Real si assise e lasci andar
Ai

ma

cibi apposti,

le

e al desco
la

mano

labbra chiuse.

Come gustato fu quel pane, lieta


Una festa apprestar subitamente
E chieser vino e di concenti e suoni
Musici esperti. Dagli apposti

cibi

Venia di muschio una fragranza e sotto


Eran tappeti intesti d'or. Ma quando
Fr lieti e gai per il giocondo vino
I

prenci

tutti,

Da cura

del futuro a

un

tratto

e da pensier furon disciolti

senza affanno, e re Shengl

Che due

f'

cenno

robusti e di tenzoni esperti.

Quali a Devi potean resister fermo


In aspra lotta, venissero a

Venian

cotesti, atti

cinti a le

lui.

a l'ardita impresa,

persone acconciamente

Si legar quivi, e poi quello su questo.

Questo su quello violenza fece.


lor, correndo in giostra

Stringendosi fra

Ferocemente, i giovinetti eroi.


Poi che lev quel nappo di cristallo
Prence Behrm, gitt scompiglio il vino
Entro il cerbro suo. Si volse e disse

433

comanda
Che la cintura anch'io mi stringa. Allora
Che a giostrar scender con questi forti,

Cos a Shengl: Signor, deh! tu

Nell'ebbrezza del vin, nella sconcezza,

Non

Shengl ne
e
traggi
sangue. Come

io sar.

disse

rise

Levati adunque e se

Versane il
Prence Behrm

sotto.

li

ud, levossi

in pie, l'alta statura

Degli avversari in gi pieg di forza,

quei che primo egli afferr, qual fera

Leon che stende il poderoso artiglio


Ad un onagro, si batt di contro
Al suol calpesto, che ne infranse l'ossa
delle gote il bel color ne spense.
Meravigliando si rest per lui
Prence Shengl, meravigli di quella

Forza e statura e del valor, di quelle


Robuste spalle, s che il nome eterno
Di Dio signore in indico idioma
Egli grid, pi in alto a seder pose
Di quaranta magnati il valoroso.

Come

poi furon ebbri del giocondo

Vin que'

Che

di

gagliardi, usciron

gemme

splendea;

da

ma

l'ostello
il

cielo intanto

D'un negro ammanto si vestiva e tregua


Al ber poneano omai vecchi e garzoni
In ogni parte e re Shengl scendea
Dopo il vin ch'ei bevette, alla dimora
Del suo riposo, lunge

gli

occhi e

il

core

Dall'iranio signor d'inclita stirpe.

Ma

poi

Vel de

La

che in oro

la notte

si

ritinse

fronte sua quest'almo

Degl'Indi

il

prence

bruno

sol,

balzava

al palafreno in sella

E andava

alla palestra in tutta

La mazza

in

FlBDITBI, VI.

il

e disvel su in cielo

pugno.

E recavano

pompa.
intanto
28

434

Dietro a lui prence le saette e l'arco,

Ed

ei

per alcun tempo il vasto loco


si die conforme a brama

correre

Ch'ei s'avea.

principe

Ma

si

volse e

Bebrm per

f'

comando

eh' ei salisse

Ratto in arcioni, l'arco suo regale


re, disse l'iranio
Strettosi in pugno.
A principe Shengl, meco qui sono
Molti d'Irania cavalieri e

bramano

mazze e

vnia

Tutti le

Ove ne

le saette,

dia quest'inclito signore

Di generoso cor.

D'un

cavaliero,

Shengl rispose, l'arco e le saette


Son veramente nobile sostegno.
Alta cervice hai

di

mano

All'arco

tu,

robuste braccia

vigor; tendi la corda

adunque e ne disciogli ratto


Behram-gr la corda

L'apposto anello.

Tese dell'arco e il suo destrier veloce


Spron fremendo. Una saetta ei prese
E l'anello disciolse ed il bersaglio
Con un sol dardo trapass rompendo.
Benedissero a lui tutti gli astanti
Con un sol grido, i forti ed i guerrieri

Fra l'armi e i cavalier della palestra.


Shengl in tal pensier ne venne allora
Per principe Behrm: Con questa forza

E questa maest, con queste frecce


E con quest'arco, non somiglia certo

messaggier, non di Turania o d'India


un congiunto

di Persia, costui. S'egli

un prence.
Ben mi si addice che chiamarlo io debba
Sorrise alquanto
Gol nome di fratel.
E si disse a Behrm l'inclito sire:
Dell'iranio signor, s'egli n'

Prence famoso e d'indole preclara.

435

Dubbio non che tu fratello sii


Dell'iranio signor con questa tua
Forza e possanza, con quest'arco e queste
Frecce volanti. Maest di regi
Hai veramente e vigor di leoni,
E niun altro sei tu fuor che un illustre
Di fermo core.
principe dell'India,

Behrm

gli disse,

bastardo

di

A' messaggieri non donar.

nome

il

Non

io

Di Yezdeghrd son della stirpe eletta.

Non
Se

sono

io d'Irania

il

re; gli colpa,

mi chiami. Un uomo oscuro

fratel suo

Dell'iranico suol son veramente.

Non amator
Che
Che

sapienza e in nulla

di

Istrutto mai.

Tu

lontano

intanto

il

mi

rinvia.

viaggio e non d'uopo

ira mi tocchi del mio re.


Cotanta
Furia non concepir, Shengl rispose.
Che favellar con teco inver ci d'uopo.

Ne

partenza.

t' bello affrettarti alla

Che

il

veloce partir meta non tocca

Disiabile inver.

Ma

qui con noi

Rimani ad albergar, del cor la pace


Anche ti assumi, e se non vuoi del vino

Che gi bollia, crudo tei prendi e bevi.


Ed il ministro a s chiam dinanzi
E di Behrm con lui parole molte
Ebbesi e a quello, sapiente e dotto,

Con teco una parola


Serbo secreta. Se non congiunto

Cos parl

re

Behrm

Egli

non

Atto

gli

costui, se

un

de' suoi grandi

ben meraviglia questa


Pel fermo core di quest'uom gagliardo,
N in sue parole tutta dobbiam noi
Ripor la fede. Or tu con un cortese
,

parla e

di'

Qui

ti

rimani,

436

Che non bello tuo consiglio, andarne


Da citt di Kanngia . In tutte cose
Che tu dirai prender inganno certo,
Mentre per mie parole in grave tema
Egli adduce

cor suo.

il

Ma

se tu parli

meglio sar; con lui


Cose dirai quali pi sono all'uopo,
Favellando cos per quella via
lui cosi,

Che

alla

meta

ci accosti.

Accresci l'onor tuo dinanzi

Or

tu,

dirai^

al sire

D'India fiorente. Se tu resti a lui,


Di suo consiglio accorto e penetrante

custode sarai. Dovunque sia


Loco pi bello e dilettoso, quella
Il

Sar

la terra tua,

tuo pregio
E tu in loco
primavera

che grande invero

dinanzi al re dell'India,
sarai dove in eterno

e spirano fragranze
Di rose intorno da' ruscelh. Mai

Non

si

diparte da Kanngia

Propizia sorte,

amena

e per due volte ogn'anno

Frutti son delle piante. E vi son gemme


E denari pur molti, ampi tesori
E monete; e di cor non rancura

L 've monete son lucenti. Vedi


Che carezze ti fa l'inclito sire
Di nostra terra, ei s, che per amore
Che ha di te, quando mira il tuo bel
Lieto sorride

volto,.

Queste cose e quante

Meglio tu

sai di cotal foggia, a lui.

Quando

tuo volto al volto suo di contro

il

Tu

leverai, tu

Del

nome

Perch

di'.

Chiedilo ancora

suo, detto

all'udir quel

che avrai

cotesto,

nome suo d'un tratto


Che s'ei s'appaga

S'allieti questo cor.


Di soggiornar nella mia terra, nostro

437

Pregio e valor s'accrescer d'assai

Per quella maest ch'egli dispiega,


lui faremo delle nostre squadre
Subitamente condottier, di nostra
Terra duce il farem con tutto onore.

Venne

del sire quel ministro esperto,

Questo disse a Behrm, la via mostrando,


E di suo nome il dimand, che senza
Quel nome suo non erane, qual fosse,

La

risposta perfetta. Altro colore

Prendea

la

gota di Behrm, l'inchiesta

Quand'egli ud, qual rendere dovesse


Risposta in meditar, ma disse alfine
:

esperto in favellar, questo mio volto

Non

far

che per angoscia impallidisca

In Persia e in India. Per tesori tuoi

Non

io

mi volger dal prence iranio

Con ribelle deso, s'anche per grave


Rancura un giorno alla distretta fossi.
Ben diverso da questo ordinamento
Di nostra fede e l'indole diversa
Di nostra legge e del costume. Quale

Volge

la fronte ribellante al

Legittimo signor, mentr'ei

si

suo
leva

Perde tosto sua via. Vana grandezza


Tal non brama che ha senno, e il male e

il

bene

Passan ratto per noi. Dov' quel sire


D'aurea corona, re Fredn, per cui
Diritto s'adergea di questo
Il

grave dorso

E dove son

mondo
que' grandi,

Stirpe di regi, e quel signor del mondo,

Prence Khusrv, e re Kobd? Ancora


conosci Behrm, giovane e fiero.

Tu

Bramoso di poter, di proprie voglie.


Ond' che s'io lasciassi il suo comando,
Per l'impeto del cor sovra il mio capo

438

Rovescierebbe l'universo, e allora


Non rimarrebbe incolume la terra
D'India fiorente, e nell'iranio suolo
Ei la polve trarrla di questi luoghi,
Ostel di maghi. Miglior cosa

adunque

Ch'io torni al limitar del prence iranio

E me veda

il

Sempre va

lieto.

nome

Del

signor che di vittoria

se tu chiedi intanto

mio, Berzy

il

nome, e

il

sire

Cosi mi chiama e s m'appella il padre


E la mia madre. La risposta mia

Tutta rendi a Shengl, ch'io troppo a lungo


In straniera citt feci dimora.
Il

consiglier

Risposta

riferi,

l'ascolt, la

sua

dinanzi al prence

le gi udite cose.

Tutte ridisse

Ma

che

corrugossi di quel re la fronte

Alla risposta di Behrm, ed ei

Questo soggiunse: Dalla via diritta

Lungi costui sen va. D'arte sottile


Or io su lui far la prova, e tosto
Tramonter del chiaro di la face
Per l'uom che si la luce degli eserciti.

XXV. Un lupo

un dragone

uccisi.

(Ed. Cale. p. 1566-1570).

Nella terra del prence era a que' giorni

Un

fero lupo.

Oh

si!

per

la

sua altezza

Dell'aure allo spirar chiusa parea

E
I

sbarrata la via

Fuggian
Si

Fuggian

leoni gagliardi e per

il

da' boschi

cielo

l'aquile ancor rapide al volo.


per esso era un pianto in quella terra

439

D'India dovunque, e agli ululati suoi

Stordian

Uom
Per

la

gli

orecchi un tratto a chi l'udia.

Behrm

grato a noi, disse a

tua

mano

il

prence

a compimento giunge

Ogni alta impresa. una foresta accanto

questa mia
Sono per essa

citt;

Gh un lupo

in essa, quale

Alligator, per cui

De' leoni e

si

sorte,

un

spezza

il

fero e

immane

core

fende la gaietta

si

Or

Pelle de' leopardi.

Andarne

gravi pensieri

mia propria

la

al lupo e

vuoisi incontro

con

frecce alate

le

Quella sua pelle lacerar, che forse

Fia che quiete e pace abbia da lui


Questa mia terra per la tua possanza,
lieto

sempre

di vittoria.

Allora

Fia grande l'onor tuo nei mio cospetto,

Nel cospetto di questa inclita gente.


S che in eterno in terra d'India e in Cina

Ognun

benedizione.

di te far

E Behram-gr

da' nobili consigli

Cosi rispose: D'una guida d'uopo

A me

soltanto. Ch'io ne vegga appena,


Con l'aita di Dio, l'immane corpo,
E ne vedrai nel sangue gi sommersa
L'irsuta spoglia.
Ed assegn una guida
Prence Shengl, che il loco e il tristo covo
Sapea del lupo, e re Behrm ne andava
Con quella guida sua propizia e amica
Alla foresta della belva immane,

Spargitrice di sangue.
S favellava dell'orrido

Il

condottiero

covo

Del lupo agreste e dell'altezza sua,


Di sua grossezza e de le

E mostratone

dietro

si

il

membra immani,

luogo anche da lungo

torn.

Rapidamente

440

And Behrm del lupo


Con fiero incesso allor.
Alcuni Irani a

ma

Vedutane da lungi e
il

alla foresta

Gli erano a tergo

la battaglia seco

Del lupo accinti;

l'altezza sua
la foresta

loco adatto e acconcio, a quel gagliardo

Ognun d'essi grid: Prence, non fare!


Che tu superi inver la tua ,promessa
Per soverchio valor. Non fece alcuno
Battaglia mai con rupi e con montagne.
Che se in battaglia, o re, sei forte e grande,

re Shengl cos rispondi: Questa

Non

giusta ragion, n
Vnia mi d per questi

il

mio signore

assalti.

Al suo

Cenno sovrano a contrastar discendo,


Ma se di tanto ode novella mai
L'iranio sire, l'alto seggio mio

Riverso calcher.
Cos rispose:
Se in India m'assegn la sepoltura
Iddio santo dal

ciel,

Cader mia morte

come

potra

in altro loco?

invero

Di l d'ogni pensier giusta misura!


L'uora giovinetto tese all'arco

il

nervo,

che detto avrest ch'ei la sua vita


Poco stimava. E s'avanz correndo

Fino incontro alla belva e alto disdegno


Gli empia la mente ed era il fermo core

Dato alla morte. L'arco suo regale


Stringendo in pugno, di robusto legno
Trasse una freccia dal turcasso e poi

Una

pioggia di dardi alati e spessi

F' dall'altro cader

come gragnuola.

In simil guisa, fin che n'ebbe doglia


Il

fero lupo.

Che

Come

poi s'avvide

all'estremo giugnea

tempo

vitale,

Dell'arco in loco trasse fuor la spada


Il

441

nobil sire e la testa del lupo

Oi

disfatta recise e die tal voce:

Questo in nome di Dio che non ha pari,


Non ha compagni, ch'ei mi die cotesta

Possanza e vigora! Per lui risplende


Questo fulgido sol dal ciel sereno
E comand che addotti a lui giovenchi
Fossero e plaustri a carreggiar del lupo
!

Dalla foresta l'orrido carcame

Subitamente.

carreggiar dal bosco,

Il

E Shengl che vedea da lungi ancora,


L'aula festiva di broccati fulgidi

Tutta adorn.

Come

L'inclito prence,

f'

si

assise in trono

sedersi incontro

A un alto seggio re Behrm. Ciascuno


Fea lodi intanto al nobile guerriero,
Cavalieri di Cina e prenci d'India,

ogni grande venia con doni e offerte

Ed a Behrm

dicea:

Famoso

eroe.

uom

da nulla non son degne invero


L'opere tue, n schiuso il varco a noi
Era talvolta
Per ammirarle giusto.

D'un

Prence Shengl per

lui beato, e tristo

Anche tal' altra, in alcun tempo ancora


Con volto sorridente in verso a lui,
In altro

tempo corruccioso e mesto.

Eravi un drago

allor,

Abitator temuto. Ei

si

d'acqua e

di terra

tenea

Talor nel fiume, e al chiaro sol talora,


Gli elefanti traeva ardimentosi
Con l'ahto mortai dentro a le fauci,
E sorgeano per lui nel fiume azzurro

Spumose

l'onde al suo calarvi dentro.

Disse agli amici suoi Shengl regnante,


Disse

a'

principi suoi di

Di suo arcano pensier

mente acuta,
fidi

custodi:

442

Per questo messaggier, uom

leonino,

Lieto e felice son talvolta, colmo

Talor d'affanno.

Che mio sostegno

rimane, oh! certo

s'ei

preclaro

egli sar,

Principe e duce in questa terra mia


Ed in Kanngia Ma s'ei torna mai
!

Dal nostro fianco in suol d'Irania, in


Deserto volgerassi, opra crudele

tristo

Di principe Behrm, Kanngia mia.

Quando servo cotal, quand' monarca


Come l'iranio, non splendor, non forza
In questa ragion eh' mio retaggio,
rimarranno.

Si

Ma

la

sua faccenda

Io preparai tutta la notte ed altra

Arte sottile meditai. Mandarlo


Al dragone vogl'io, da cui per certo
Scampo non trover; n per cotesta
Opra che il tocca, biasmo avr, se tosto
Del fero drago ei cercher la pugna.
Diss'egli questo e si chiam dinanzi
Principe Behram-gr per raccontare
Opre e detti d'eroi. L'eterno Iddio,
Di nostr'alrae fattor, dissegli, in questa

Mia regon da Irania ti condusse,


Perch dal male tu purificassi
D'India la terra, come si conviene

costume

Or

t'

Ed a

di

armi.

incliti in

fatica; nel principio suo

Sta la fatica,

Segna

prodi

innanzi una impresa a duol congiunta

d'essa

ma
il

regal tesoro

finir.

Poi che compiuta

Questa impresa

t'avrai,

Un

ma

solo istante,

non indugiarti

ritorna

Gol mio compiacimento.

a'

Cosi rispose a re Shengl

tuoi
il

prence iranio

Che mai

Dal tuo consiglio mi dilunghi, o prence.

443

ragion per me. Dal tuo comando,

Non

Se questo

ciel

non volgesi a sventura,

In alcun tempo non andr lontano.


Dissegli allor Shengl:

Grande sventura

per un drago in questa nostra terra,


Quale errando sen va pel fiume azzurro

E per

l'arido suol, gli alligatori

Tutti cacciando che tremendi colpi

Dan con

le code.

Oh!

se tu puoi sottile

Arte adoprar per liberar da quello


D'India la terra, d'India recherai
tributo in Irania e fian concordi

Il

Anche

Questi due regni.


Incliti

Ed

t'avrai dell'India

doni col tributo, ferri

alo con varie cose.

Risposegli Behrm,

prence,

d'India sovrano,

Libero e sciolto ne' comandi tuoi.


L'orme del fero drago io dalla terra
Canceller, di Dio santo e creante

Per

la forza e

Ove

sia

il

voler.

Ma non

conosco

covo dell'orrido serpe,


E d'uopo qui che mi dimostri alcuno
Shengl mandava
Il diritto sentier.
Un condottiero allor, che il fero drago
'1

Si gli additasse, ed ei partiasi intanto

Con trenta valorosi

incliti

in guerra,

Prenci d'Irania, usi a vibrar le spade.


Corse quel prode fin che giunse al fiume,

vide l nell'ombre

Vide quel corpo suo,


Ch'ei fea, vide

il

il

fero drago.

l'attorcigliarsi

furor ch'egli menava,

fuoco strano che negli occhi suoi


Splendea sinistro. I principi d'Irania
il

Venner gridando e per l'orrenda belva


Esterrefatti.

re,

dicean pregando

principe Behrm, non dir cotesto

444

Al lupo egual dell'altro d Per questa


Alta sventura in manifesto danno
L'irania terra non addurre e il tuo
Fiero nemico in questa terra estrana
!

Non

allietar

Behrm,

Cos disse agl'Irani

principe eroe,

Dio creante

L'alma rendere d'uopo, e se mia vita


Gessar qui dee per questo drago, accrescersi
Per guerresca virt non potr mai,
Scemarsi non potr.
Tese dell'arco
La corda allora ed una freccia elesse
La cui punta umett negro veleno,
F' sul mostro cader le freccie alate,
E da dritta e da manca in fiera guisa
Degna di cavalieri una tenzone
Incominci. Con le punte d'acciaio

Ne

trapass l'orrenda strozza e intanto

Ardeano attorno

vilucchi
l'erbe ed
Al mortifero tosco. In su la testa
Altre quattro mandgli alate punte
E dal petto f' uscir col rio veleno
Il negro sangue. Fr conquise allora
Tutte le membra dell'orrida belva
Alle punte mortali, e il sangue e il tosco
i

Allagavano il suol. Rapidamente


Trasse la spada variegata e fulgida
L'iranio prence e con furente colpo
Del drago il core trapass. Col ferro
E con la scure la cervice eretta
Ei ne colpi, ne abbandon sul suolo
Le membra immani senza vita, e poi.
Libero alfln del fero serpe, a Dio
disse: Giudice verace
E santo e giusto, tu soltanto il drago

Sen venne e

Traesti a morte qui. Se no, chi mai

Tanto poter

si

avea? Tu

se' rifugio


In ogni male

445

servi tuoi fedeli

a'

Di l sen venne d'India al re sovrano,

Nella presenza del suo duce in Sindia,


Ordinator di schiere, ei che disciolto
Erasi ornai da l'orrida battaglia

Per

la

grazia di Dio, fattor del

mondo

nutritor de' miseri mortali.

Ma Shengl, come uda


Tristo

si

quel fausto annunzio,

fece, ratto ch'egli vide

Sul culmo de la sella il valoroso;


Eppur f' cenno che giovenchi e plaustri

Fosser menati e de la belva il corpo


Fuori dal bosco fosse tratto al piano
Subitamente. Si lev preghiera

Da

tutta l'India allor con voti e auguri

Dio creante per l'irania terra.

Per ch'era nato in quella terra un prode.


Tal cavalier che coi dragoni in giostra
Ardiva contrastar. Con tale altezza

E
E

con

tal statura,

tal forte

Che

al

braccio

non era eguale

tal cervice, egli

suo prence e signor nella sua terra.

XXVI. Nozze

di

Behrm-gr con

la figlia

Shengul.

di

(Ed. Cale. p. 1570-1571;.

Tutti eran

lieti,

Era pieno nel

cor,

ma
s

Shengl d'angoscia
che le gote

Pallide avea per l'opere leggiadre

Del valoroso. Al cader de

Uomini saggi
I

la

notte,

egli raccolse e tutti

suoi cognati e gli stranieri ancora

44G

E cosi disse: Di Betirm sovrano


Quest'uomo ardito, con tal forza e tale
Vigor del braccio e potest, non sente
Rancura mai in ninna via per quante
Arti ed inganni di foggia diversa
Io m'abbia orditi. Ma s'ei va in Irania

Dal nostro fianco e torner da presso

quel re

di gagliardi,

il

nostro esercito

Vile dir nell'opere di guerra.

Narrer che per

Non

si

Alta la fronte

il

Recidere vogl'

io

La

l'India

un cavaliero

Ma

ritrova.

perch non levi


mio nemico, al messo
dalla persona

testa altera. S vogl' io scannarlo

Nascostamente. Or che mi dite voi

I saggi
Qual via scorgete in ci dischiusa?
Dissero allor: Per questa via, signore,
Non affliggere il cor. Se il messaggiero
Dei re t'uccidi, ben sar cotesta
Opera insana e stolta; oh! mai nessuno

Tal pensiero

Non
Che
E si

si

f'.

Deh!

tu, signore,

aggirarti a tal consiglio attorno.


tra prenci t'avresti

un

tristo

nome

uomini sia grande


Tal, di genti signor. Se tra la force
Tu stringi il capo di quest'uom, ben lunga
Traggi rancura in questa nostra terra,
Che dall' Irania tosto un'agguerrita
Schiera verr con duce incoronato.
Re Behrm valoroso, e niun di noi
In questo suolo, in questa terra amena,
vuol che fra

gli

Si rimarr, si che lasciar dovrai


Ogni pensiero di regal possanza.
Dal fero drago ei fu di tutti noi
Libera tor, ne ucciderlo fia premio
A sua lunga fatica. In questa terra


Il

famelico lupo e

E accrescer

447

drago uccise,

il

vita alla persona sua

Vuoisi piuttosto, non donar la morte.

Shengl che ud quelle parole, a un tratto


Si f' cruccioso e vergognossi ai detti

De' sapienti. Quella notte ancora


Cos rimase, e al primo albor del giorno

Tale a prence Behrm, per fargli invito,


Sollecito mand. Solo ei si stava
Senza scorta d'amici, e l non era
Il suo ministro innanzi a lui, non era
Il

consiglier nel suo cospetto. Allora

Egli disse a

Behrm:

Fosti potente,

non per di
Concepirne superbia. Or io qui voglio
gioia d'ogni cor;

Darti la figlia mia; sar cotesto


Inclito frutto mio, che per tuoi detti.
Per l'opre tue, dar. Fatto cotesto.
Appo me tu rimani in tutto il tempo,
Che per uscir di qui non alcun modo
In niuna via per te. Fra le mie schiere
Ufficio ti dar che le tue voglie
Appaghi tutte, e principesco grado

In India far

il

tuo.

Meravigliava

Prence Behrm delle parole sue


Pensando al trono, all'inclito lignaggio.
Alle battaglie, e cos disse in core:

ci eh' fatto,

E vergogna non

non qui

per

uomo

Dalle proposte di costui.

Ma

difesa,

in terra

intanto

Io salver per questa via sicura

La dolce

vita e vedr forse ancora

L'irania terra, che soverchio tempo


Noi qui restammo inver piT questa foggia

E dentro al laccio d'una volpe cadde


L'animoso leon.
Si volse poi


E
Io

disse a re
s far,

448

Shengl

salvando

Il

comando

tuo

viver mio

il

Per le parole tue. Ma tu mi scegli


Tra le tue figlie quella sola, o prence,
Per cui forza mi sia, veduta appena.
Benedicendo a lei far voti e auguri.
D'India il monarca, alle parole sue,
Tutto

allietossi e la regal

sua stanza

Di broccati di Cina incontanente

ornar si pose. Vennero frattanto


Le sue tre figlie come vaga e adorna
Primavera leggiadre, e avean fragranze

Ed ornamenti

e fregi attorno e assai

Color vivaci, e a Behram-gr allora


Disse prence Shengl Vanne, ed il core
:

novello spettacolo tu appresta.


Behrm and rapidamente e vide

L'aula del sire e tra le belle accolte.


Che aspetto avean quale di luna intatta,

Una

trascelse, qual gioconda e gaia


Primavera, e Spind erane il nome.
Tutta grazia e pudor, tutta saggezza
E nobile desio. Shengl regnante

Diede a

Behrm

la giovinetta allora,

Gentil cipresso, corruscante face,

Cui fumo non aduggia, e

il

pi pregiato

De' suoi tesori le trascelse e a lei.


Che avea la gota qual di bianca luna,
Ne die la chiave. Di Behrm gli amici
Indi raccolse, cavalieri eletti

Di nobil grado, in voglie lor possenti,


E die monete e die denari e molte

varie cose, canfora lucente

Ed ambra ancora ed alo, destrieri


Ed auree briglie ed inclite cinture.
Anche un serto regal di fulgid'oro

449
A
A

chi pi n'era degno.

principe

Anche

in turchesi

Behrm una corona

Volle apprestar con un eburneo trono,


Celebrato e famoso, ed una stanza

Tutta adorn di splendienti gemme,


E quale per valor grido si avea
In Kanngia munita, a quel regale

Convito discendea con tutta pompa.


Venia con gioia accanto al re. Que' grandi
Sette giorni rimasero festosi

Con un vino

alla

man,

tutti beati,

Allegri tutti in quel real soggiorno,

E Spind giovinetta accanto al sire,


Principe Behram-gr, parea di vino
Purissim'onda che riluce e brilla
Di nitido cristallo entro a una coppa.

XXVII. Lettera dell'Imperatore

di Cina.

(Ed. Cale. p. 1571-1573).

Come

giunse

di ci

novella certa

Al monarca di Cina, esser disceso


Appo Shengl d'Irania il messaggiero

Adorno di possanza e di valore.


seme di gagliardi in quella
Natia sua terra, andar compiute in India
Eletto

Ardite imprese da la

man

possente

Di costui valoroso e leonino,


Pel suo vigor, per la possanza amica

Di sua fortuna, e convenirgli appieno


Regal corona e regal seggio, e intanto
Avergli re Shengl data una figlia
Di cui saliva la corona fulgida

rasentar di questa luna

FlBDDSI, VI.

il

cielo,

29

450

In udir tal novella, un regal foglio


Di Gina il prence, de la terra sire.
D'altissimo poter, scrisse con cura

principe Behrm. Nella rubrica

Cos fu scritto: Dal signor del mondo,


Signor d'illustri e de' prenci corona.

Di Persia al messaggier va questo foglio,


Al messaggier che con trenta compagni
E disse poi: Novella
Venne a Kanngia.
famoso
eroe
di
te,
giunse
noi
A
D'invincibile possa. Udimmo ancora

Di tua saggezza e del consiglio tuo,


S de' tuoi sensi umani e del tuo fermo
Tener, dovunque,

pie serrati al suolo.

E veramente non avean

salvezza

Dalle tue punte e da tua spada acuta


Non quel lupo, non quel s ricantato

Dragon

feroce.

Sheugl, eh' a

Un

die ancor la figlia

ti

me

congiunta, e di cui solo

neo bruno del volto ha pregio eguale

Dell'India tutta; e tu frattanto al cielo


Sollevasti la fronte per cotesto

Vincol di sangue col monarca d'India,


Che libero ha comando. questa ancora
pel tuo re sovrano

Nuova grandezza
In suol d'Irania, e

la

corona sua

Si potra diventar nobile serto

questa luna in ciel, che amici degni


suo messo prendea, venia correndo
Fino a Kanngia e al petto si stringea

Il

Questa fanciulla come bianca luna.


Ed or deh! imprendi una fatica e vieni
A questa terra e qui ti ferma quanto

a te pi grato. Nel tuo dolce aspetto

Io dar luce agli occhi miei, difesa

Far all'anima mia del tuo consiglio


Nobile ed

alto.

45i

E quando

poi desio

Avrai di ritornar, non dir ancora


In alcun tempo Qui con noi t'arresta
Ma, Va, dir, beato per miei doni,
:

Con una veste imperiai, tu stesso


E i tuoi compagni si famosi, adorni
D'ogni cosa pi bella . E di venirne
Qui accanto a noi non per te vergogna,
Gh' io non ho guerra con l'iranio prence,
E tu non raffrenar, per qui venirne,
La voglia tua, che quando avrai desio
Di ritornarti, indugio non farai.
Ratto che giunse a Behram-gr quel foglio,
Per quel foglio un tumulto entro al suo core

un

Destossi a

Uno

tratto.

scrittor d'epistole

s chiamossi e la risposta scrisse

E un

albero novello entro l'aiuola

Dell'odio

si

piant. Disse al principio

Dell'epistola sua: Ci

A me
Che

Tu

qui giunto, e

di

che

gli

dicesti,

occhi tuoi non vedono

Cina la terra. Alla rubrica

scrivesti cosi: Dal re del

mondo.

Che

alta solleva la cervice, nobile

Fra

tutti

prenci

Ben diversa intanto

questa cosa in
Da ci che detto

ogni parte sua

Questa grandezza

in te d'antiqui

il

solo

hai tu, ch'io non conosco

Behram-gr signor

tempi.

de' regi,

basti ci, n, fuor di lui, in terra

Per sapienza,
Per forza e maest, per gran lignaggio.
Principe eguale a lui non si ricorda,

Altri conosciara noi.

del

mondo

signor, vincente ognora.

chiamo e riconosco e dico


Fra tutti 1 re quei che pi in alto leva
La fronte sua. Per quello che dicesti
Io si lui


Ch'io qui

feci e

452

qual stento e qual fatica

In India sopportai, ci fu soltanto

Di principe

Che ha

E vera

Behrm

gloria.

Appo

Virt; ci basti, n

Stiman

l'inclita sorte,

dignit con maest regale


gl'Irani ancora
i

leoni ardenti

che d'un

d'assai,

sol

core

ei

sono

Veracemente e son devoti a Dio

E nell'opere
Non han del

egregie alcun timore


male. Perch poi mi diede
Shengl regnante la sua figlia, sappi
Che questo dono col valor mio grande
Solo mi presi. Un gran monarca egli era,.
Prence Shengl, che lungi dagli armenti
Cacciava i lupi. Vincolo di sangue
Poi che con me degno ei scoverse, quella
Degna sua figlia a me donava. Ancora
Hai detto a me: Ti leva e a me discendi,.

Che

opera bella a te sicura


Ma in India m'inviava
L'iranio prence; e perch mai dovrei
in ogni

Guida sar

Per

serici broccati in suol di Cina


Discendere cosi? Gi non potra
Acconsentirvi il mio signor, ch'io queste
Cose parlassi a te. Dicesti poi
Ricco di doni eletti in suol d'Irania
:

Ti mander
Mai non mi

Ma

Iddio di queste cose

volle bisognoso, ond'io

Stender dovessi alla dovizia altrui

La man bramosa. A re Behrm soltanto


Rendo mie grazie per suoi molti doni
E omaggio presto a lui nel chiaro giorno

in tre vigilie della notte. Al quarto

Loco

lodasti

me,

li

pregi miei

Festi maggiori. Queste lodi accolgo

Da

te gradite, o re di Cina, e

un giorna

453

Dinanzi al mio signor ne far cenno,


In suol d'Irania. Dall'eterno Iddio
'

Tante vengano a

te benedizioni,

Che questo ciel discernere non possa


Lor trama e ordito per l'immensa copia!
Su l'epistola allor pose l'impronta
Del suo suggello e al principe di Gina

Quella acconcia invio risposta sua.

XXVIII. Fuga

di

Behrm-gr con

di re

Ig,

figlia

Shengul.

(Ed. Cale. p. 1573-1575).

Poi che acconciossi con la figlia adorna


Di re Shengl Behrm, la giovinetta
Ratto s'avvide che del mondo il prence

Era

lo sposo suo.

La

notte e

Ella piangeva per l'amor di

il

giorno

lui.

Ambo quegli occhi suoi fissando ognora


Nel suo bel volto. Come poi s'avvide
Prence Shengl di quel suo caldo affetto.
Da ogni sospetto dilungossi, e un giorno
Che i giovinetti l sedean beati
E andavane sermon di cose varie
In pi ed in meno, Behrm re si volse

Spind e

Che m'ami

le disse: Io

ben m'avveggo

tu; per vogl'io svelarti

Un mio

secreto, e farai tu

Sempre

celato

il

che

resti

detto mio. D'andarne

D'India ho desire; tu in cotesta impresa

Consenziente mi sarai, che meco


Ti recher, n vuoisi che qui alcuno
Di questa gente questo sappia. Stato
In iranico suol migliore assai


A me

questo e

di

454

m'

propizio Iddio,

Autor del mondo. Che se voglia pure


Questa di te di l venirne, e guida
A bene oprar ti fia saggezza, ovunque
Fia di regina il nome tuo; il padre
In ginocchio star dinanzi al tuo

Seggio regal.

Rispose

la fanciulla

Nobil prence e signor, l'opre leggiadre


Cercati sempre e non partirti mai

Da via
Donne
Per

diritta di saggezza. Quelle

migliori in su la terra sono.

cui

sempre sorride

lare

il

volto

Di lor sposo beato. Oh! se lontano

Andasse mai dalla tua legge il mio


Consiglio col voler, per l'alma tua
Lieta e beata non andrei pi mai
Arte adunque sottil tu in opra poni,
Disse Behrm alla sua donna, e verbo
!

vivente quaggi di

Non

disvelar.

Spind

me

Non

gli

tal

Signor

disegno

degno

di trono,

rispondea, se la fortuna

propizia,

ben

far. Di festa

lungi di qui loco apprestato.

Dove, nel bosco, una solenne festa


il padre mio. Propizio e

Suol fare

lieto

Di bella sorte dicono quel loco

Le

genti nostre e pongonvi idolatri

Sacerdoti ad orar. Venti

Parasanghe

di qui fino

've pianger

si

Agl'idoli dinanzi.

Una

si

stendono

a quel bosco.

dee, da chi fedele.

E pur

d'onagri

caccia col che anche d'asceti

Dio devoti loco

Prence e signor

eletto, e

il

nostro

co' prodi suoi guerrieri.

Quando ei scende a quel loco di sua


Ninno in citt dell'esercito suo

festa,

455

Lasciasi a dietro. Che se vuoi tu andarne


Al loco designato, ecco! tu parti,
E la festa sia antica in sempiterno

Or per attendi
con pazienza ancora

tu giovane sempre!

Da questo

di

Per cinque giorni, e quando manifesto


Sar nel cielo questo sol che illumina
Alto la terra, quando il nostro sire
Da queste mura andr, tu pur ti appresta
Alla partenza e fa ci che far di.
Alle parole de la donna sua
Ebbe gioia Behrm. Fino al mattino
Per suo grave pensier non s'addormia,
E quando su nel ciel spieg possanza
Questo fulgido sol, quando la notte
S'apprestava a partir qual viandante
dispone, al suo destriero

Che suo carco

Balz in arcioni re Behrm; con l'armi


Di caccia a

un

loco

si

port,

ma

in pria

Or via t'appresta e nulla


A nessuno dirai. Cose faremo
Che far dobbiamo, e volgerem la fronte
Cos sen venne
Ratto al nostro sentier.
Fin che al fiume discese, e l, su quella
Aperta via, di mercatanti a un tratto
Disse a la donna:

Un
I

carico scoverse. Allor che volsero

mercatanti a re

Behrm

gli

sguardi.

Ben si morse co' denti il re de' regi


Le labbra sue, che dell' iranio suolo
Erano quelli, ardimentosi e audaci
Su la terra e sul mar. Che -a lui recassero
Dovuto omaggio, egli non volle, e sempre.
Anche agli amici suoi, la sua parola
Custodendo secreta, a' mercatanti
Cosi parl: Chiudete or voi le labbra,
Che da ci ne verr giocondo frutto


Con

456

periglio sebbene. In terra d'India

Se il mio secreto si manifestasse,


Quale un mare saria pel molto sangue
L'iranio suol. Trova sua via dischiusa

Chi le labbra serr. Sempre la lingua


Frenata resti e ad operar disciolte
Ambe le mani! Or noi la vostra lingua

Con forte giuramento infreneremo,


Perch il trono regal novellamente
da

Si ripigli

noi. Dite pertanto

Da

In questa guisa:

l'eccelso Iddio

Santo e verace sarem noi lontani


E farem patto co' maligni Devi
Quando mai da voler dilungheremo
Di principe Behrm, guardando al male

Come

fu detto e pronunciato

Giuramento da

Da

tal

lor,

quando

pensier di re

il

sacro

fu sciolto

Behrm

il

core,

A' mercatanti ei disse: Ora, per voi

Questo patto

Per voi

Una

si

guardi e

corona, per

Bramate
Il

si

con l'alma

osservi, se di vera gloria

voi.

il

Che

mio
se di

consiglio.

me

vacante

trono andasse imperiai, nemiche

Verran

le

schiere gi ordinate e pronte

Da tutte parti, n sariano incolumi


Non mercanti, non re, non di villaggi
Prefetti o duci,

non regal corona

regal seggio, non guerrieri armati.

Com'egli udan quelle parole sue


In questa guisa, corsero piangenti

E
E

con

la faccia

lagrimosa a

dissero: Ti sia riscatto e

L'alma

lui

pegno

de' grandi, e giovinezza gaia

E regia dignit siano l'ammanto


Che ti difende! Che se aperto fosse

457

tesor del secreto che tu serbi,

Il

La

terra nostra per

Sara qual mare.

Ma

il

molto sangue

cotal pensiero

Chi ardisce concepire, ascia si fece


Di sua ragion, di suo consiglio scure.

Re Behrm, come

ud, lor benedisse,

Benedisse a quegl'incliti che aveano

Grandezza e

fede, e s

ne and pensoso

Alle sue stanze, e l'alma e la persona

In Dio fidando. L rest quel prode


Fin che la festa incominci novella
E presero la via correndo a gara
I

prenci d'India;

Che Shengl

ma

nell'ora

s'apprest nel

appunto

campo a scendere,

Spind leggiadra s gli disse: Giace


Berzy infermo e a dimandar sua scusa
Cosi

ti

dice:

re,

cruccioso

il

core

Non averti per me. Quando salute


Non , ben tristo de la festa il loco,
E questo il signor mio davver conosce

Shengl rispose alla fanciulla: Oh! questo


Mai non sia ch'ei s pensi ad una festa,
Quando infermo egli sta
Cos discese
Di gran mattino da Kanngia e volse
!

La fronte al campo de la festa allegra


Prence Shengl rapidamente, e allora
Che fu tetra la notte, alla sua donna

Re Behrm

cos disse: Ecco! venuto.


Dolce consorte, dell'andarne il tempo
Cosi ne venne, ed in arcion la bella
Spind levando, in pehlvica lingua
Invoc il nome dell'Eterno. Quivi
!

La corazza vest, balz in arcioni,


Con una clava stretta in pugno e un laccio
Dell'ardua sella ad una cinghia avvinto.
Indi ne and fin che raggiunse

il

fiume

458

vide i mercatanti in su la riva


Addormentati. Da' lor dolci sonni
Destolli ratto e navicelli acconci

Apprest poscia e dentro a' navicelli


Spind si colloc. Giunsero all'altra
Arida sponda, quando gi nel cielo
Il d spuntava ed era luce in alto
Di questo sol che illumina la terra.

XXIX. Riconoscimento
(Ed.

Rapido

allor sen

Un cavaliero,
Ad annunziar

di

Behrm-gr.

Cale. p. 1576-1579).

venne da Kanngia

dell'iranio sire
la sbita partenza.

Quella parola da quel fido amico

Poi che udiva Shengl, come una fiamma

Veloce

ei

si

part dal dilettoso

Loco di caccia e venne fin che Tacque


Tocc del fiume e gi di l scoverse

Behrm gagliardo con Spind. Si


E in gran disdegno pass l'acque

dolse
e disse

svergognata agli occhi,

Alla sua figlia:

Tu

malvagia, tu rea, tu con costui


Maligno traditor, come leone
Ardito e

fiero,

valicasti

il

fiume

in Irania ten vai nascostamente

E
Da me

cos,

ten vai da

un paradiso

Fiorente e gaio ad un deserto! Or tosto


Colpo vedrai de' giavellotti miei.
Poi che lasciasti repentina il mio
Deh tu malvagio,
Paterno capezzal.

Behrm

gli disse allor,

Qual forsennato

il

perch spingesti

tuo destrier? Facesti


me una

Di

459

prova e ben tu

sai

che tale

In battaglia son io quale a banchetto

Fra bevitori con gagliardo vino.


tu che centomila d'India

Anche sai
Meno d'un

A me

solo cavalier son tutti

dinanzi, che quand'io qui sono

Con que' miei trenta celebrali

armi

in

Fidi compagni, con ferri di Persia,

Con

loro usberghi,

anche poss'io

di

lagrime

Agl'Indi tutti far gli occhi ripieni

E non

lasciar

Incolume lo
Che il vero

N celar si
E la ferma
La mia
I

che

spirto.

serbisi

qualcuno

Ecco,

egli dicea

s'avvide

Shengl regnante.

potea quel suo valore


virt,

si

ch'ei soggiunse:

figlia lasciai,

li

miei congiunti,

consanguinei miei, che pi degli occhi

Io t'ebbi caro e qual

Sovra

il

mio capo

ti

corona eletta
stimai. Colei

Che pi bramavi, anche ti diedi, e questa


Fu di me lealt; da te mi vennero
Inganno e frode. Tradimento hai scelto
In loco della f; deh' quando mai
Udisti asseverar che tradimento
il premio della f? Che dirti ancora
Io dovr se non questo? che quel mio
Congiunto che prudente era ed accorto
Nella mia mente, ora si f' d'un tratto
Qual cavaliero ardimentoso e pensa
Che re sovrano ei divent. Ma il core
D'un uom di Persia come mai potria
Serbar la fede? Ei dice S, ma intanto

No la sua mente. Or tu qui fosti


Eguale a lioncel veracemente
Che il cor disciolse da ogni doglia o affanna
Per chi gi l'educ. Quand'egli i denti
Dice

460

Recher in prima e aguzzer gli artigli,


Acre deso d'accapigliarsi in giostra
Con chi '1 nutr, gli verr tosto in core.
Se tu me conoscessi, oh! come mai,

Behrm

s malvagio e reo
chiamar? S'io di qui parto,
Rabbuffi tuoi non merlo gi, n puoi
Gridarmi autor d'opre non belle o in core

Me

rispose,

potresti

Re

Tristo e maligno.

dei re son io

In Irania e in Turania e di guerrieri

duce e d'ogni forte in armi


in poi ben io
Cose leggiadre a te far che degne
Di te saranno, e de' nemici tuoi
Dalla persona troncher la testa.
Ma l in Irania di mio padre in loco
Io s t'avr, n per tributi ancora
Della tua terra ti dar corruccio,
Inclito

Primo sostegno. D'ora

questa

figlia

tua dell'occidente

Sar splendida face e quale un serto


Ella sar, che luce su la fronte
D'ogni donna regal.
Meravigliava
Prence Shengil delle parole sue
E toglieasi dal capo incontanente

L'indica tiara;

il

palafren d'innanzi

Da' suoi prodi incitando, al re venia

Perdon chiedendo. E
Lui strinse
Dei

al petto

fieri detti suoi

Ma

il

alor,

con molta

gioia.

re dei re, la scusa

tutta accogliendo.

contemplar gioioso
Prence Behrm, pose le mense e i nappi
Colmi di vino s'apprest. Svelava
re Shengl,

di

Behrm

allora il suo secreto e quelle


Cose d'Irania a re Shengl con cura
Tutte esponendo, qual fu l'opra e quale

Ne

fu pensier, fecegli aperto e disse


guida in

Io fui la

461

faccenda.

tal

Allora

Bevver

del vin giocondo e

Data

lingua a scambievoli scuse.

la

Ambo
L'un

Per

levarono,

si

que' prenci, adorator di Dio

adorator degl'idoli.

d'essi e l'altro
la fede

promessa ambe

mani

le

Stringeansi allor, cos dicendo: Noi

D'ora in avanti non torremo

Da

verit,

ma

il

core

ben dal suo principio

Divellerem della menzogna rea


La radice profonda in sempiterno
Manterrem nostra fede e la parola
;

Dal labbro ascolterem

Anche

a Spind

Il

padre e

lei

f'

di

chi pi saggio.

un tenero saluto

serr con gioia al seno

la strinse

come

alla

S'avviticchia l'ordito, indi

sua trama
si

volsero

Tutti di l rapidamente, lungi

Dal cor cacciato ogni pensier

d'odio antico, e quegli

di

guerra

andava intanto

Verso la terra e questi si volgea


Del fiume all'acque, e lieti se n'andavano
Ed affrettati e con la gioia in core.

Ma come
Il

giunse nell'irania terra

fausto annunzio di venir con quella

Schiera

di forti

da Kanngia amena

L'inclito sire, per citt

E per

dovunque

aperte vie molti di festa

Splendidi segni furo apposti, e ognuno.

Secondo il suo deso, parte vi avea.


monete in questa parte e in quella,.
Denari e muschio e zafferano, e allora
Che Yezdeghird, real fanciullo, n'ebbe
Novella certa, le disperse squadre
Tutte dintorno si raccolse e vennero
Incontro al sire tutti i saggi e il duca
Gittr

De' sacerdoli e Nersi ancor.

Che re Behrm vedea da


Sovra

E
E

Ma

figlio

il

lungi, a piedi

l'arido suol pose la fronte,

Nersi che fratello era del prence,


i

sacerdoti seco avean di polve

Tutte sparse
Gioia ripieno

le
il

Alle sue stanze

gote e pur di molta


cor. Cos tornava
il

L'alma affidata e

Quando

Come

nobil prence, a Dio


l'inclita

persona.

la terra intenebrossi e

quando

targa d'argento in ciel splendette

Bianca

la luna, ei ripos.

Ma

poi.

Ratto che il velo della notte oscura


Squarci il novello di, poi che la face

Che illumina la terra, apparve in cielo,


Su l'aureo trono il re dei re si assise,
Schiuse

le

porte fino al suo cospetto

E le labbra serr dal far parola.


Venne allora ciascun che prence fosse.
Venne ogni saggio capitano in quello
Ampio regno d'Irania, e il re del mondo
In piedi allor sul trono imperiale

Ratto sorgeva ad apprestar sermone


Giusto e verace. E in pria ricordo ei fece
Di Dio, del mondo creator, sciogliendo
L'alta cervice sua da sacro debito

Verso ragion

di vero senno, e disse:


Di Dio, fattor dell'universo, e primo

Conosci tor delle secreto cose

delle aperte, abbiate voi temenza.

Lode innalzate a lui, dinanzi a lui


State adorando per la notte oscura,
Ch'ei die vittoria e potest, signore
Egli di questo sol

E de
Il

che

alto

fiammeggia

l'errante luna. Or, chi desia

paradiso d'acquistarsi, mai

403

Non

volgasi a malvage opre e a men degne


Imprese in alcun tempo. Allor che in terra
Sono e giustizia e ventate e grazia,
Rifugge il cor d'ogni mortai da triste
Opre e da frodi. Ma per me nessuno

D'oggi in avanti abbia timor nell'alma,

Anche

ha montagne d'oro o cave


Oh s! cacciate omai

s'egli

Di bianco argento.

Ogni tema dal cor, l'opre leggiadre


In pi accrescendo con costanza. Il pio
Colono e chi figliuol di borgomastri,
Di giustizia nel tempo, a me dinanzi
Uguali son per sempre, e quello ancora

cui

donammo un

Ed alto
Da Dio

di splendido serto

seggio, riconosca

il

dono
amica

soltanto e da giustizia

Di sua fortuna.

riempir tesori

Industria non porr, ch'io gi non voglio

Che sperda

il

popol mio la sua ricchezza.

Altro tesoro con la mia giustizia

Vogl'io ripormi, perch lieta e paga


Resti l'anima mia dopo la morte;

E se in ci converr voler di Dio,


Sar beato questo cor, ridente
La mia fortuna; uer in questo il novero
Accrescer dell'opre mie leggiadre.
La via mostrando a miglior sorte. E quando
Per l'esercito mio, per miei prefetti
per alcun de' miei congiunti o alcuno
De' cavalieri miei, tocchi disagio

Uno

di voi, s'egli noi dice e svela

A me

si davver che in core


veder Danno a s stesso
Ei da s stesso avr, poich grandezza
Chi mai si agogna senza frutto? Ed io
Giustizia chieder per lui pur anco

Egli

dinanzi,

ha

falso

464

Innanzi a Dio signor, che sotto al velo


Di nuvole vaganti in ciel nasconde

La bianca

Ma

luna.

ben altro
ben varia

se in voi

desio da cotesto (ed

D'ognun natura e
Con fermo core il
L'antica

brama

l'indole diversa),
dite a

me, che forse

esaudir. Porgete

Gii orecchi intenti e m'obbedite e

pace

Gol mio consiglio date all'alme vostre.


Detto,

si

assise giubilante in core

Al trono imperiai, si pose in fronte


Di sua grandezza il diadema, e tutti
I

prenci allor benedissero a lui

In queste voci: Senza

Mai non rimanga


il

te,

la real

signore,

corona

tuo suggello imperiai! Monarca

Saggio ove sia con sorte invitta sempre.


Per lui fiorisce la sua terra e splendono

La sua corona e
Venner maggiori

il

regal seggio. Intanto

a te che non

il

trono

Imperiai la tua virt guerriera,

La sapienza
Per

e la possanza, e invero,

tesori e giustizia e

per fortezza.

Non ricordasi il mondo alcun regnante


Che ugual ti sia. Lasciar gi non potemmo
Le tue lodi, o signor, quanti qui siamo
Giovani e vecchi, e in Dio riponiam noi

La tua grandezza

e nobilt; cotesto

Facciamo ancor dinanzi ad ogni grande


Che a noi si mostri. Su quest'aureo trono
Mai non si assise pari a te regnante
Con tal giustizia e tale invitto core
E tal possanza. I morti anche tu levi
Dal suol profondo con

la

tua giustizia.

Con la tua grazia e il favellar potente.


Deh! ti sia amico Iddio, rettor del cielo,

465

grandezza che miiovesi dagli astri,


Cos ne andavano
grembo tuo
Da quel trono real con molta gioia

Posi nel

Tutti que' prenci d'inclita fortuna

sapienti.

Ma

su' lor cavalli

Sire e guerrieri dell' irania gente

Saliano allora ed alla sacra terra

D'Azergashspe and Behrm con quelli.


Ivi ei die molte gemme ed oro assai
A' poverelli, e pi d'assai

f'

doni

suo bisogno a chi da lui celava.

Il

Del sacro fuoco

Un

sacerdote,

Zerdsht ne venne

di

mormorando

sante

Preghiere, allora, e avea nel pugno erette

Sacre verbene.

principe d'Irania

Il

Addussegli Spind leggiadra e vaga,

E
E

quei la nuova f
le

norme

Intatto e

si le

apprendeva

e le leggi. Ei col lavacro

puro della fede santa


s che da lei

Quell'anima lav,

Andavan lunge

dell'error la polve

il

la

ruggine e

Porte dischiuse a

f'

fango. Allor le anguste


le carceri

principio a dar

XXX. Venuta
con

il

sire

monete attorno.

di re

Shengul

altri sette re.

(Ed. Cale. p. 1579-1582).

Di quest'opre del re com'ebbe annunzio


Sire Shengl, e de la figlia sua.

Regina

al

prence, vennegli deso

L'irania terra di veder, con quella

Sua

figlia

PlEDDSI, VI.

ancora

il

nobile sovrano.
30

466

D'India pertanto un messaggier speda,


Uomo eloquente e nobile e dal sire
Chiese patto novello onde ricordo
Egli n'avesse nella sua dimora.

Novellamente

Un

patto scrisse

il

principe del

come

sol

mondo

che splende

In paradiso di delizie, e tosto


In pehlvica lingua ed in reali
Cifre notata un'epistola sua

Mand a Shengl. E chiese un messaggiero


E il sentier gli mostr. Come pervenne
L'iranio messo a re Shengl, quell'inclito'

Di Kanngia signor mir le cifre


tosto per partir di terra d'India

Le cose

ma

tutte s'apprest,

Alto secreto di cotesto

a'

tenne

suoi

Consanguinei di Cina. Ecco sen vennero


Sette regnanti a' suoi servigi, quali.
Conformi a voglia di Shengl, venino
!

Per quel lungo

viaggio.

Era

l'un d'essi

Principe di Kabul, d'India signore


Era l'altro, e cotal, con un drappello
Di armigeri, di Sind era monarca;
L'altro era prence di Sendl, qual era

Colmo di gloria, e di Gendil sovrano


Era il quinto, che sempre ogni sua voglia
Vedea compiuta. Con regal possanza
Di Kashmir v'era il prence, indi il monarca
Di Multn, con gran pompa di sovrano
E maest. Bramosi eran di gloria
Tutti cotesti, incoronati prenci,
Tutti adorni di splendide collane

E
E

d'orecchini, tutti con guerrieri

con arnesi a far viaggi, tutti


guerra con regal potere,

Incliti in

Con

gloria e fama, tutti

veramente

467

gemme ornati con


E avean di piume di

Di

argento ed oro,
pavoni adorne

Le regie ombrelle. Di broccati


Era coperto agli elefanti loro

fulgidi

dorso eretto e risplendea da lungi

Il

Per molte miglia quello stuol di


Tutti forniti di gran doni eletti

prenci,

Di lor sovrano, con offerte ricche

Da gittarsi all'intorno in fra la gente,


Che vii cosa parean le auree monete
Agli occhi di Shengl prence sovrano.
Cosi,

con sette

re,

da questa a quella

Stazione adducea l'inclita schiera

Prence Shengl. Come giugneano


Gonfn d'Irania, in questa terra

agli

ermi

amena

Entrar cosi con tante preziose


si avean, s che l'annunzio

Cose ch'egli

Quando

s'ebbe

signor d'Irania bella

il

Di lor venuta,

la falange eletta

De' suoi forti ordin, scese alla via

Fuor da

la reggia, e levaronsi intanto

D'ogni cittade

Ad

prenci tutti e ratto

incontrar divennero la schiera

Che

d'India discendea. De' regi

A Nahrevn

cosi

si

trasse, ei

il

sire

vecchio

Ne' suoi consigli e saggio molto e giovane


In suo regio poter. L si raggiunsero,

questo e quello,

Da

due monarchi

illustri

l'eretta cervice e l discesero

Da' lor destrieri

due sovrani e vennero


con lor scuse. Allora,
Al petto si stringean con atto alterno
Questi due prenci da la fronte altera,
Ambo adorni di serto, e a piedi intanto

Con

lor saluti e

Scendean da questa e quella parte insieme


Gli addotti eroi, con voci allegre ed alte

408

Plaudian le genti l raccolte. Allora,


Poi che l s'incontrar de le due terre
I re sovrani, poi che andar parole

Fra
I

lor diverse,

regi cavalier

ambo

si

su l'ardue selle

ritornarono

in sella ritorn tutta l'accolta

squadra di guerrieri illustri.


Prence Behrm ne le sue stanze regie

Inclita

Dorato seggio colloc, sovr'esso


Gitt, qual costume, assai tappeti
E rec vino alla sua mensa e alquanti
Musici ancora, si che in questa e in quella
Parte eran canti di ballate. Sopra
A un candido mantil l'imbandigione
F' porre

il

sire e v'apport d'agnelli

Carni arrostite e d'augelletti ancora;


Indi, come gustar del bianco pane,

Regale un'assemblea con tutta pompa


Egli apprest di

Tutta ripiena e

Anche

sottili

fragranze

di colori

adorna.

di fregi. Stavansi l in piedi

Giovinetti leggiadri e giovinette

In ampio giro ed eran veramente

Un paradiso
E quell'aula
Colme
D'oro

quel regal palagio


e quel trono.

Eran

le

coppe,

di vin, di nitido cristallo.


le lanci,

e muschio era dovunque

suffumigi di storace eletto

In ogni parte. D'auro una corona

Era

sul capo de' beventi e

Avean

sandali a

Prence Shengl de

piedi

gemme. Oh!
l'inclita

si

stupia

dimora

gustando del vin cos pensava:

il suol d'Irania un paradiso, ovvero


Un ameno giardin? Profumo eletto
Di puro muschio da fanciulle amiche

469

Cos disse poi


Qui viene e spira
Dirama al prence con sommessa voce:
Deh! tu cortese mi dischiudi il varco
F' cenno
Fino a veder la figlia mia
!

i paggi
Prence Behrm che
Adducessero il padre alla sua figlia,
Vaga qual luna in ciel. Ne and quel sire

di

sua scorta

un

Co' paggi intenti e scrse

Come gioconda primavera,

altro ostello

e allora

Gh'ei vide ancor quella sua figlia adorna


In trono assisa di lucente avorio,

Che

di succino

Sopra

Un

un

serto erasi posto

la fronte, s'avanz, le diede

bacio in fronte e a quelle gote appose

Le gote

sue.

Piangea pietosamente

amor di lei,
E col padre piangea pietosamente
La vaga figlia. Re Shengl, la mano
Entro la man stringendole, parlando

L'antico padre per

Di quel palagio e di quell'aula eccelsa.

Del loco ameno ad abitar, f' questi


Detti a Spind: Eccoti il paradiso,

tu da

un gramo

Ti liberasti.

Avea

ostel,

da un

tristo loco

Allor, quanti bei doni

recati in fulgide corone,

In cofani ricolmi e in giovinette,


In gemme, in serti, in vestimenta, a cui
Niuno sapea qual prezzo dir, quel padre

Diede alla figlia e le gitt dattorno


Molte altre cose, e il dilettoso ostello
Divenne allora quale a primavera

Un

bel giardino; poi di l

si

rese

Rapidamente appo
Mentre per la sua

l'iranio sire,

Gercavasi del vin.

Ma quando

Furono

allegri per

gioia

il

il

suo deso
i

prenci

vin gagliardo.

470

And Shengl ed un

ostel

si

elesse

Pei dolci sonni suoi. Quando mostrossi

bruno velo de la notte e in esso


Andar le stelle qua e col disperse
Come le macchie per la spoglia irsuta
Il

D'un leopardo,

ai dolci sonni

il

core

Inclinar que' beenti e stavan pure

valletti e famigli intorno a quelli,

Al sen

le

man

Cosi, nell'ora

conserte, ossequiosi.

che mostrossi

in cielo

Quell'aurea coppa che tu sole appelli

Con proprio nome, quando il bruno velo


campi attorno
i
Tutte spargea le sue splendenti gemme.

Gitt lontano e per

Re Behrm

valoroso alla sua caccia

Ratto discese e degl'Indi

il

signore

Con seco addusse, andando nel deserto


Di sue cacce gradite insiem con falchi

E con

segugi, con sparvieri ancora

E con falchi reali, al ciel levanti


La testa altera. In alcun tempo mai
Tristo

il

d'essi

core non ebbero

gagliardi,

alcuno vide mai rancura

cordoglio e dolor;

ma

tutti insieme,

Damme

ed onagri pel deserto loco


Intenti essi a cacciar, d'un mese il corso
Breve stimar quanto un sol giorno, e al fine
Di quel mese giocondo alla partenza
Volser la fronte e s'affrettar festosi
Ai banchetti ed al vin. Ma in cacce e in feste

Prence Shengl, per alcun tempo mai.

Non dilungossi da quel re sovrano


Dell'ampia terra. In giochi ed in palestre.
In allegre assemblee, sedendo a mensa.
Globi gittando in dilettoso gioco,
Dall'iranio signor

Ad

altra parte in

non volse mai


un sol d la fronte.


Dopo

cotesto,

degl'Indi

Gi

gli

il

471

and stagion lontana

signor della partenza

Ma

arnesi apprestavasi.

Gol cor

di

pace

disoso, ei

in pria^

venne

Alla sua figlia e presso a lei

si

stette

Per alcun tempo e calami richiese


Da un giovinetto paggio e carte ei volleE nell'inchiostro di contrito muschio
Parve cercarsi l'argomento suo.
In indica favella egli scrivea

Un

suo foglio, di nobili pensieri


Tutto ripieno, e simile ad un foglio
In pehlvica lingua. Egli a principio
Di questo patto suo, cosa primiera,
A Dio f' lodi che la terra intorno
Purific da ogni tristizia e
Il

E
E

gl'inganni e le frodi. Or

Qual servo

ovunque

vero sparse e l'integro costume


tutti rigett sui tristi Devi
in su

di sue leggi,

io,

scrivea,

la via di nostra fede

non

sul tristo calle

Del cruccio e non per via di rea vendetta,.


A principe Behrm feci consorte

Spind leggiadra, a lui si l'affidai,


Or viva in sempiterno
Questo re d'ogni re, servano a lui
Inclito prence.

grandi

tutti della terra!

allora

Ch'io lascier questa dimora breve

Del mondo, re
In

Behrm prence

Kanngia fiorente; alcun

sia detto

di voi

Non si dilunghi da voler di lui.


Re incoronato, e la mia spoglia estinta
Recate al fuoco ed a Behrm signore
II

mio

tesor, la terra

mia

col serto.

Gol trono e l'elmo di regnante, date.


L'investitura egli assegnava intanto

472

D'India remota alla sua

Con

e scritto

figlia,

cifre d'India era quel foglio in seta.

XXXI.

tributo condonato.

Il

(Ed. Cale. p. 1582-1585).

Due lune a soggiornar

stette in Irania

famoso prence
A re Behrm, vnia al partir cercando
Per la sua terra a se con tutti i suoi

Shengl,

fin clie invi

Illustri eroi da' nobili consigli.

In ci convenne
Ei

si

re dei re che in India

il

tornasse, e tosto, in suol d'Irania

Quant'eran cose preziose, indisse


Ai sacerdoti di adunar scegliendo.

Furon gemme e denari e argento ed oro

regi troni e fulgide corone,

Spade e cinture ed

E vesti intatte,
E computo non

broccati

incliti

a cui non era fine

compagni

era. Ai re

Del regnante Shengl, secondo


Ei die destrieri e broccati

di

il

merto,

Gina,

accomiat beato e lieto


il prence iranio e venne
Con re Shengl pel lungo suo viaggio
Fino a tre stazioni. Eppur, non anche
Egli era pago d'asti doni suoi,
Gh'ei die foraggio a' palafreni ancora
Indi

li

satisfatto

Sino al confin dell'indica contrada.

Da

come

quella via

Prence Behrm,
Con molta pace.

tornossi a dietro

sul trono suo

Ma

ben

si

assise

tosto eii"ece

Un pensier tristo per la morte sua


E pe' suoi d, si che d'affanno il suo
Gore s'emp,

le

gote sue d'un tratto


Si fecer smorte. Ei

Venissero e

473

comand che innanzi

lo scriba e

il

sacerdote

D'eretta fronte ch'eragli ministro,

volle

che costui

li

suoi tesori

Tutti guardasse e numerasse ancora


L'or, le vesti e le

Gli astrologi gli

Ed

gemme. Un

di,

avean secrete

gi detto

cose.

cruccioso era nel cor per quelle

ei

triste. La tua vita, ei dissero,


D'anni venti tre volte, e lagriraare

Parole

Per

la tua morte ne sar ben d'uopo


Ratto che spunti la ventina quarta.

Egli allor

Dato

si

dicea:

Per anni

al gioir, nell'anima

Pianter

il

germe

Venti dipoi, con

venti.

gioconda

del piacer.

Per

gli altri

la giustizia mia,

Con la mia grazia, in manifesta guisa


Ed in secreta, ordiner quest'ampia
Terrena sede, n vorr che un lembo
Sol ne rimanga desolato e tristo,
Ma ritrovi ciascun suo nutrimento

E da me

il

tocchi.

La ventina

terza

Io rester dinanzi a Dio signore

In pie adorando, per ch'ei siami guida.

D'anni sessantatr

gli

favellava

L'astrologo sagace, e degli estremi

Anni tre che venino, oscuro e incerto


Era il computo a lui. Per, conforme
Dell'indovino a le parole acconce,

Ei ricerc de' suoi tesori intanto

Se no, come fuggir potea fatica


Ed affanno di cor? Deh! l'uom beato
Che non s'affanna ed prudente e saggio;
Quanto pi, s'egli re, grande e possente!
Il tesorier che ud comando, ratto
Venne ai tesori, ed ebbe in numerarli

474

Fatica e stento. Eppur, tanto ei durava


Nel lungo faticar, che tutti innanzi

Al ministro del prence i suoi tesori


pervenne. E quei che il novero

A numerar

Sicuro ne prendea, dinanzi

all'inclito

Signor d'Irania si ne venne e disse:


Necessit d'alcuna cosa, o prence,
Non ti verr fino a vent'anni ancora
a tre per certo. Numerai le cose
Che donerai, le cose anche a godersi,
Le dramme per l'esercito che in armi
Ha chiaro nome. Che se a te verranno
Da re stranieri e da contrade illustri

Messaggieri pur anco, il tuo tesoro


A dovizia fornito in questo tempo,

Che pieno
Ricchezza

egli d'argento e d'or, di

pieno. Come

In suo pensiero

Ma

il

ud,

molta

s'immerse

principe d'Irania,

pur, per senno ch'egli avea, di cose

Non anco nate in cor non attristossi.


Ed al ministro f' tai detti Breve
faccenda quaggi, che per tre giorni
:

Dura

ben riguardi.
n ancora
La dimane appar, per triste cure
Oggi non vo' piegar la mia persona.
E poich per far doni inclite cose
la vita, se tu

Poi che di

ieri

Anche posseggo

il

d pass

e trono eburneo, d'ora

In poi dal regno non vogl'io tributi.

E comand che
Da

piccoli

que' tributi suoi

da grandi in niuna guisa

Fosser cercati per la terra, e tosto


In ciascuna citt cotale ei pose

il

capo scosse da' profondi sonni

A' dormienti, perch niun contese


Si cercasse maligne. Ecco,

non vengono

475

Che opre malvage da contese


Indi,

liti.

quant'eran d'uopo a quella gente,

vesti e cibi e morbidi tappeti

De' suoi tesori,

a'

sacerdoti

Di molto senno e disse

diede

ei

Ogni opra

trista,

Ogni opra bella a me non si nasconda


In alcun tempo. Siate voi, frattanto.
Voi mediatori in ogni rea contesa,
Nulla cercate che v'apporti poi
Rancura o affanno, ma del mal, del bene
Gonsapevol mi fate in ogni tempo,
Ogni sospetto mio tosto troncando.
Queste parole per il mondo intero
Subitamente si spargean, n ascosa

Restava allor, leggiadra fosse o rea,


Un'opra mai, che d'ogni cosa intorno
Aveano i saggi diuturna cura.
Ma venner tosto da ogni terra intorno
Epistole continue. Ecco! fu scritto,

Per

le

viver molle e inoperoso,

il

tue offerte e per

molti doni
il

senno

Ne' cervelli scem. Per diuturne


Liti e per sangue che si sparse in terra.
Non conoscon valor di chi pi vecchio

Esti nostri garzoni.

gonfio

il

core

De' giovinetti per desio d'avere,

Non

cura, non pensiero in lor s'annida


sacerdoti. Ei volsero
Per il re nostro e
Per cupidigia a tristi inganni e a frodi,
i

Hanno cure e travagli e di contese


Feroce brama. Agricoltori e duci
Di villaggi e ogni gente inoperosa

Gercan battaglie e scaramucce e liti.


Per questa via, com'erano continue
L'epistole a Behrm, traftto egli ebbe,
Pel sangue sparso, il cor d'acerba doglia.

476

Si cli'egli scelse in ogni terra attorno

Un facitor
E di nobil

di

sapienza ornato

consiglio e

Quale era d'uopo.

veramente
era assegnato

tutti

cibo col vestir, coi doni ancora

Il

Da

dispensar, coi morbidi giacigli.

Dal tesoro del prence, e quei ponea


Un suo scrittoio per sei mesi e intanto
Gercavasi monete, alto tributo,
Da' soggetti del re. Sulla moneta

Di bianco argento era segnato un motto,

E Tributo era
E con un serto su

quello, e
la

con gran pompa

fronte stava

Allo scrittoio l'esattor. Prendea

Per mesi

sei,

per

L'iranio prence

donava

altri sei

a' poverelli,

Non han piena lor voglia,


Avean lignaggio; ed arte

quali

e a quei che illustre


fu cotesta

Perch l'uom che viveasi inoperoso,


Sangue pi non spargesse e ad opre

Non
I

fosse incitator. Scrissero

prefetti del re

novellamente

Che sicurezza per

quegli ampi doni

Sparia dal mondo, che

Non deponea
Nella mente

triste

ancora

tributi suoi

chi avea monete, e intanto


di tal

crescea desio

D'aspre contese. Da fiacchezza inerte


Volti a furor s'eran gi tutti, gonfi
D'alto corruccio e di piatir bramosi.

Principe Behram-gr,
Ebbesi

letto,

turbamento

come quel

foglio

in core

Senti cadrsi per tal cosa grave,

indisse:

Per chi sparge umano sangue,

Ove nell'opre sue rechi pensieri


E fraudolenti e rei, pongasi in opra
Di Dio la legge, e cerchisi ciascuno


Liberamente

la

477

sua via.

Frattanto^

Di sapienza pieno e di giustizia

Quale era d'uopo,


Ei

si

Provvigione

di frontiere

un duca

trascelse e col regal provento

anno intero

die d'un

gli

dell'Eterno, donator di grazie,

F' ricordanza reverente e grato.

Lunga

stagion su ci trascorse, e

il

prence

Un'epistola sua ratto indicea

Per tutti i suoi che


Duci e prefetti, per

dicean del vero,

gli

la terra intorno

In ogni loco sparsi, e fea ricerca

Qual

fosse inerte e inoperoso in terra

Che a questo regno suo danno


Risposta

elli

scrivean

arrecasse.

Pei regi doni

Conforme a legge e a nobile costume


Alcuno omai non si governa. Cadde
Ogni pensiero ed ogni voglia omai
D'opere industri e di lavori ai campi,
Se ben suo pregio l'uomo in terra acquisti
Per lavoro cli'ei fa. Dispersi intorno
I

giovenchi vediamo

atti

al

lavoro

campi e in mezzo
Ai seminati.
E il prence rispondea:
In fino al mezzod, quando pi in alto
questo sol che illumina la terra.
Non si riposi alcun da l'opre sue,
Quand'ei da lavorar campagne intorno
Suo vero pregio si raccolga. L'altra
crescon l'erbe per

Met del giorno ai


Vada concessa e ai

placidi riposi
dolci sonni. Intanto

Pianger n' d'uopo di colui che stolto


Queste cose non sa. Con chi non bave

Semenze o

Non

frutti o

a lavorar giovenchi,

t'adoprar con avarizia o fiero

Impeto

d'ira.

Ma

con opra pia


Tu

478

ancora

Io fornisci e tu l'aita

Col tesoro del re, perch nessuno


Resti in affanno per la sua miseria.

Che

se danno ci vien dall'aer del cielo,


Sovra l'aria del ciel non sovrano
Alcun di noi. Che se la terra colta
In qualche loco a ricoprir discendono
Le cavallette e volgono verzura

Di seminati in

Tu

un

deserto, rendi.

rendi lor tributo

a'

poverelli

mio cenno
Per quella terra invia 1' annunzio. E quando
Una terra vi sia che non d frutti

Dal tesoro regal,

di

tal

se v' ancor per quella terra loco

Deserto e nudo qual sepolcro, dove

Segno non sia che vi si aggiri alcuno,


Loco sia quello di possenti o vero
Di gente grama, alcuna cosa mai
Non prendasi da voi. Che se qualcuno

Che

sia de' miei famigli

entro

la schiera,

pur chi mi nutriva un giorno.


Estorcer da' poverelli un solo
Obolo gramo, l, sul loco istesso
Foss'egli

Ov'ei
In

si

un

sta,

vivo

il

porr sotterra

sepolcro, e pera

il

nido suo

sperdasi di lui la propria sede.

Ecco, fu apposto imperiai suggello

quel foglio regal; fu posto in via

Rapido messaggier sovra un cammello.

XXXII. Chiamata dei musici da piazza.


(Ed. Cale. p. 1585-1586).

tutti

sacerdoti ei fece allora

Un'epistola sua, perch una vesta


Fosse pur data

a'

479

poverelli, e a tutti

F' tale inchiesta e disse:

Or

dite voi

Chi libero sen va da grave pena


E quale poverello ed orbo vive
Di tesori quaggi per ogni loco?
Delle cose del

mondo or

mi

voi

fate

Consapevole in tutto ed al cor mio


Schiudete il varco a luce eh' del vero.
Da ognun de' sacerdoti, ecco gli venne
Un foglio allor, da ogni pi saggio ancora
E da ogni prence. L'ampia terra tutta,
,

vedemmo

Dicean,

noi fiorente e bella,

che dovunque sempiterna lode


E benedizion; del prence solo
Hanno lagnanze i miseri e pur anche
Di lor trista fortuna. Ecco! egh dicono.
Si

Quando bevesi un ricco il vin giocondo.


Egli ha corone di purpuree rose
Sopra

la fronte, e

bevesi quel vino

De' musici al cantar, mentre di noi

Non

si

fa stima qual d'uomini veri

Il povero e meschino
Senza concenti e senza rose in capo

In alcun tempo.

De'regnanti

Il

vin

cotesto riguardi

si

gusta

un

sire

Per questi fogli rise il prence assai


ratto un messaggier sovra un cammello

In via sospinse, e tal

il

cotal poco!

mandava

intanto

principe Shengl, cosi dicendo:

re cui giunge

la

preghiera altrui,

Di girovaghi musici trascegli

Uomini e donne, a diecimila, tali


in cadenza
Sappian liuti e a me li invia ben tosto
Perch la voglia mia per questa gente.

Che cavalcando battere


,

Celebre tanto, satisfatta

'

sia.

re Shengl

480

come quel

foglio aggiunse,

Ei parve sollevar fino a le stelle

La

fronte sua per gloria ch'ei n'avea.

Oh

s! rapidamente e in quell'istante
Prence Shengl dai musici vaganti
Quelli trascelse che l'iranio sire
Gli comandava. E come quei sen vennero
Da principe Behrm, che fosse dato

Accesso fino a lui precetto ei fece;


Quindi a ciascun diede un giovenco e un asino,
Ch'ei de' musici ognun render volea
Gultor di campi. Di frumento ancora
Mille some don liberalmente

che servo si dicea.


campi con asini e giovenchi
Ei lavorasse e il grano seminando

D'essi a colui

Perch

L'adducesse a dar

frutti, e per intanto


Nel cospetto de' poveri cantasse
E sonasse pur anco e tal servizio
Porgesse privo di mercede. Andaro
I musici vaganti ed 1 giovenchi
E il grano divorar subitamente
E venner poi con pallide le gote,

Dell'anno al

fin,

dinanzi al prence. Ei disse:

Questo non era

Era bens

ufficio vostro.

di gittar le

Quello

sementi

lavorarle e mieter poi.

Ma

intanto.

giumenti vi restar, le some


Loro apponete e andate attorno in canti

Poi che

suoni sempre e di seta le corde

Tender

Ed

vi piaccia sui liuti vostri.

cos, dopo quel detto vero


Del nobile signor, vanno pel mondo
I

or

musici raminghi,

il

viver gramo

Intenti a sostener. Di via

E compagni

di tetto

han

compagni
lupi e cani

481

E vanno errando per


Per

le

aperte vie

tutto l'anno, a far rapine intenti.

XXXIII. Morte

di re

Behrm-gr.

(Ed. Cale. p. 1586-1587).

Prence Behrm per questa via passava


Anni sessantatr, n per la terra

Avea

chi egual gli fosse. Ecco! al principio

Dell'anno giovinetto, a lui sen venne


Il

regio scriba, savio sacerdote

Ch'era di lui fedel ministro, e disse


Del re de' forti vacuo sta il tesoro,
Ed io men venni si a veder, signore,
Qual precetto darai. Chi s'alimenta
:

Di sua dovizia pi non guarda a noi,

Prezzo per darci


Cos rispose

il

Non cercar

tu,

di tributi.

Allora

re dei re: Soverchio

che

di cotesta

cura

Necessit non abbiam noi. La terra

Tu abbandona a
E da cui venne

manifesto al giorno

Tutto

il

creato.

Questa volta del

Colui che la fondava

passer pur anco

ciel,

rimarr eterno

Iddio sovrano, ad opere leggiadre

Guida per me, per

te,

veracemente.

Ei s'addorm per quella notte. Poi,

Al primo albor del

d novello,

schiera

Infinita d'eroi sali alla reggia,

Indi s'accolse quanta era pi all'uopo

Gente d'Irania e al padre suo ne venne,


Figho diletto, Yezdeghrd. Allora,
Dinanzi a' prenci, l'inclita corona
Porgeva il sire al figlio suo bennato,
FlRDUSI, VI.

31


La collana e

il

482

monil

di re

sovrano

abbandonava con l'eburneo seggio.


Desio potente era venuto in lui
D'andar servendo a Dio, s che quel serto
Gli

El ripudiava e di regnante

Sgombrava

tosto,

il

seggio

e poi che d'ogni cosa

Di questa terra venne in lui corruccio,

Giunta la notte tenebrosa, al sonno


S'abbandon. Ma quando la sua gota
L sul basso orizzonte il sol mostrava,

Pien di spavento fu d'un tratto il core


Del sacerdote di quel prence illustre,
Che del mondo il signor da' suoi giacigli

Ancor non era

sorto.

Oh

forse egli era

Gi gi fuggito de' gagliardi irani


Da l'inclita assemblea! Ne and frattanto
Principe Yezdeghrd al padre suo,

Ma

ne

Ratto

Con

la strozza, al rimirarlo,
gli s'arrest, ch'ei lo

il

fiato

scoverse

pallide le gote e gi spirato,

Giacente sopra un drappo intesto d'oro.


Tale fu sempre, da ch'ei fu, l'oscuro
Giorno del mondo, e tu nel cor non ardere

Per cupidigia e ambizon. Di morte


di dura pietra,
Core di ferro, ed acconciarti al mondo
Cosa non propizia. Assai t' d'uopo
Senza offesa d'altrui vivere in terra
Con sensi umani. A che cercar grandezza
Che mordere ti pu? Deh! sventurato
Questo gran re con la giustizia sua!
Deh! non sia mai che ricordanza in male
Tu far voglia di lui! Fra que' cinquanta
De' Kay del seme principi e monarchi

Anche ha temenza cor

Quali cingean sovra l'iranio trono


L'alta cintura, a

Behram-gr nessuno

483

Fu mai

simile nella sua giustizia,


sua, nel forte braccio
grandezza
Nella
E nel saper. Ghiamavalo il ministro
Rstera sovrano, ch'egli un monte ancora

Tutto di ferro con sue frecce alate

Fender potea.

Ma quando

venne a

lui

L'estremo giorno e indugio egli non ebbe,


Qual frutto mai dal valor suo prestante
Gli venne mai, qual da virt guerriera?
Il

novello signor quaranta giorni

Ebbe cordoglio per

il

l'estinto padre,

popol suo vest d'azzurro e nero.

Alto segno di duol.

Come

quel forte.

Inclito sire nell'avel fu sceso.

Detto tu avresti ch'ei rec dal


Ogni grazia con se. La luna e

E Venere

e Saturno ugual

mondo
il

sole

monarca

Mai non vedranno, e noi vedr quel soglio,


quel suo serto. Ahim! l'aspetto suo

Non

Di re sovrano e quella sua statura

E quella maestade! Ahim! quell'alta


Fortuna sua, quella sua man possente
E quella clava! Adorno iva per lui
Il regal seggio con la sua corona.
Ed egli si prendea tributi e offerte
E di Gina e di Grecia. Eppur, ne andava
Quale un meschino senza cibo ed acqua,
Oh! che valse per lui quel regio ostello
Che al sole si adergea? Ma poi che uguale
Era a tal prence, nel partir dal mondo.
Il poverello che non ha suo cibo,
E breve il duol che l'accompagna, e breve
la rancura, potest sovrana
E delizie che valgono, se a lungo
Non t' dato restar di re nel grado?
Oh! beato il tapin che ha senno e fede,

484

Ben che molto il tormenti e lo persegua


mondo infido che quand'ei si parte
Da questa terra, buona fama in terra
Il

Di lui rimane ed beato e lieto


L'estremo de' suoi d Nell'altra vita
Egli si avr cospicua parte e gloria
!

Appo

Ne

l'Eterno,

n sar dispetto

in gi caduto dalla sua fortuna

Qual io mi son, cacciato gi il mio carco


Senza mia voglia a l'infernal dimora.
Senza speranza in poter mio per questa
per la vita ch' di l, sconfitto
E per questa e per quella in fondo all'alma!

Ma

frattanto, se tutti

suoi pensieri

La mia mente raduna, a

dir m'accingo

Di prence Yezdeghird

imprese in terra.

le

Quattro Re Sassanidi.

5.

I.

Il

re Yezdeghird figlio di Behrm-gr.


(Ed. Cale. p. 1588-1589).

In questa terra poi che fu sovrano


Principe Yezdeghird, ratto le sparse
Falangi egli adun. Coi saggi e i prenci
Tutti
I

magnati

sacerdoti che
Il

sedean, sedeano

ivi

han

di re l'aspetto.

nobile signor su l'aureo trono

Si assise allora e la porta del duolo

Rapido chiuse ed infren

la

mano

Della sventura, e disse in pria: Colui

Che si ritrae da le peccata a dietro.


Di punitor sicuro vive. Allora
Che per

invidia s'intenebra

Medicator
Tristo

di quella

Devo

si

fa,

il

core,

cura acerba

che quando mena

Invidia rea le disoneste voglie

E miseria e furor, maligno Devo


Ne fa vendetta. Ma se alcuna cosa

A te grata non vien, deh! non avvincervi


Contro al nemico tuo la mano e il core
Per ch'ei n'abbia

dolor. L'atto cortese

ben

fratello di ragion, ragione

Sovra

la fronte di

saper sovrano

480

serto che risplende; e se tu

fai

Beneficio ad alcun, quel beneficio

Mai non opporgli,

se

Di cruccio trapassar.

non vuoi quel core

Ma

Benefattor con pazienza

se degli altri
sei.

Dispetto non andrai di chi pi saggio

Dinanzi agli occhi. Che se aita porge


La vincitrice mia fortuna e tutto
Mi compie il mio deso su questa terra.
Con l'opre mie conformi alla giustizia
Far un volume, l Ve nulla accolto
Di menzogna o di frode unqua non sia.
Con la giustizia sua govern il mondo
Per alcun tempo, e fu beato il mondo

Per

Ed

lui
ei

che

mandava

n'and beato ancora.


in ogni parte attorno

Schiere infinite e da' nemici suoi

Guard la terra.
Anni volgean su

Ma
lui

diciotto intanto

rapidamente.

Ed egli pianse allor che intenebrava


La sua fortuna. I principi ed saggi
i

se raccolse e

f'

posarli intorno

All'aureo trono suo su

le ginocchia
Questa volta infausta
Del ciel superno mai non riconosce
Chi nutre o chi nutrito. Ella non mira
Alla corona de' regnanti e coglie
La preda che rinvien. Ma giunge intanto
Al termin suo questo mio d sereno
E vien rottura al mio vigor. Frattanto,

cos disse:

Ad Hormz

la

corona ed

il

suggello

Affido qui con l'esercito ancora

coi tesori de l'irania terra.

Voi

gli

orecchi porgete ed

il

comando

Eseguite d'Hormz, cercando pace

Nel nostro patto a l'alme vostre. Ancora

487

mio che ha maestate


maggior d'alquanto
Sia negli anni ad Hormiz, prudenza e senno
Veggo in Hormz e dolci atti cortesi

Che Pirz

figlio

E sovrano

vigor,

gentilezza e verecondia assai.

Disse cotesto e sette giorni ancora


Sorvisse poi. Parti da questa terra
E parve che per lui gemesse il trono

sia
Imperiai per alcun tempo.
Che cent'anni tu viva o cinque e venti.

Da questa vita ch' si breve e grama,


Andar t' d'uopo. Ma qualunque cosa

te in essa verr, durevol cosa

Non

la

stimar nel computo che

II.

Il

re

tieni.

Hormuz.

(Ed. Cale. p.

1589)

Quando principe Hormz del padre sua


Montava il seggio e la regal corona
Di fulgid'or poneasi in fronte, allora
Detto avresti che lagrime d'invidia
Saliano agli occhi di Pirz gagliardo
Per grave sdegno veramente. Ratto

all'improvviso a tal monarca

ei

venne^

Della gente d'Heytl con un esercito.


Con tesori e con prenci. Era colui

Di Geghn regnator,

E
E

di voglie fiere

ambiziose, ricco di tesori


d'armigeri eletti, e il proprio

nome

Erane Fughanish. Deh! amico mio,


Dicea Pirz a Fughanish, due figli
Eravam noi degni di trono, eppure
Il serto imperiai diede al minore

488

padre nostro. Poi ch'egli era ingiusto,


Cosi assegnava la regal corona
Il

E si moria. Che se tu a me di
Un pugno affidi, ho meco ampi

prodi
tesori,

Armi e grandezza e potest di mano.


Bene questo sar, gli rispondea
Quel di Geghn. Re de la terra ancora

Fu
Or

il

genitor del principe del mondo.


ti dar schiera di forti

io si

Ed a giustizia additer pur anco


La via diritta con tal fermo patto.
Che Vesah-ghird in poter mio rimanga
Con Tirmidh; e cotesta la promessa
Che da re Yezdeghrd ebbimi un giorno.
Bene questo sar, gli rispondea
Pirz allora, e s tu avresti merto
Di maggior regno di cotesto.
Allora
Principe Fughanish a trentamila

Gli die guerrieri, usi a vibrar le spade,


Nella gente d'Heytl, inclita schiera,

E
S

re Pirz ne fece una falange

che

negra polve intenebravano

alla

una battaglia
Con prence Hormz incominci, ma poi
Quell'aspro assalto non sostenne a lungo
Hormz, elalfin cadea prigione. Allora,
cielo e luna. Fiera

Cosa vile e dispetta il regal trono


E la corona imperiai del padre

Parvero a

lui.

Ma

del fratello

il

volto

Come vide Pirz, ratto all'amore


E al vincolo del sangue il cor nel
Inclinando

Che

gli

in sella

il

corse ed
fratel

ei f'

suo

si

ritornasse

mosse e per la mano


Il prese con la man, poi con onore
Alle sue case il rimandando questo
rapido

si

petto

cenno

489

Patto gl'impose e questa legge sua.

E Hormz

Grazie a Dio

gli disse:

si

rendano,

Che l'uom che Dio conosce, veramente


E accorto e saggio. Ecco, mi tolse ornai

del trono e del serto

Il

fratel mio.

re Pirz l'invitta sua fortuna!

Deh

III.
(Ed.

Il
Cale.

il

resti in

grave peso
sempiterno

re Plrz.
p.

1590-1591).

Del fratel suo come fu pago in core

Prence Pirz e l'alma sua fu sciolta


Da ogni tristo pensier, venne e sedette
Sul trono imperiai qual regnante

prima
che avete
Nobil lignaggio e pregi assai, da Dio
G-iudicator che vince ogni bisogno.
Io chieggo s che lunga la mia vita
Rimanga in terra, per che i servi io tratti

Che

Iddio conosce.

Ai grandi

cosi disse in

tutti: Principi

Quai servi e i prenci come prenci e ricco


Sia di prudenza e in tutti fortunato
I giorni miei. D'umani sensi a capo
Pazienza, e cotal precipitoso

Sar dispetto sempre. la giustizia,


la grazia del re primo sostegno
Alla ragione e del donar la porta

adornamento a lui. La gloria sua


la lingua eloquente e l'ali sue
Umani sensi e fermo cor. Tal prence
senno, come mai potria
Addicersi d'un trono alla grandezza?
Anche chi saggio non vive in eterno.

Che non ha

4U0

giammai che superasse


Gemshid la gloria. Allor che giunse

fu gloria

Di re

La sua orona a rasentar la bianca


Luna su in cielo, ei si mori, lasciando
A un altro il seggio imperiai. Nessuno
In sempiterno qui dimora, e voi

Da ogni sventura

Un anno
Con

in Dio vi rifugiate!

ei visse

tal consiglio,

E senza danni da

con

la

sua giustizia.

nobile e avveduto

sventure, e poi,

Nell'anno che segu, secca ed asciutta


Si f' l'aria del ciel, si che nei rivi
Qual bruno muschio nereggiavan l'acque,
E al terz'anno del pari e al quarto ancora
Lieto non era alcun per la cocente

Aridit.

Come

Secche del

ciel le fauci

alla terra, e ne' ruscelli intorno

Erano l'acque preziose e scarse


eletto. Anche pei molti
Che si moran d'umani in tutte parti,
Di quadrupedi ancor, muovere i passi
Nessun potea per la terra deserta.

Come balsamo

Ma

d'Irania

il

signor, re di monarchi,

Poi che vedea la cosa orrenda, tolse


Dall'ampia terra ogni tributo a un tratto
E ogni balzello, e dov'eran nascosti.

Per

ville e

per

citt,

colmi granai,

principi ed a servi inclito dono

Ei far ne volle e dal regal palagio

Levossi un grido. Principi, si disse.


Di sovrano poter, quante serbate-

Raccolte messi, or dispensate intorno,


Di Pirz col denaro il tesor vostro
Intenti a ricolmar. Chi guarda in serbo
Raccolte messi ed ha giovenchi e pecore
Disciolte ai paschi, venda per tal prezzo


Quale pi

101

l'attalenta, or

che son l'alme

Alla distretta per lo scarso cibo.

Ad

ogni facitore, ad ogni prence

mand correndo

Di libero poter,

Un'epistola sua, perch

Aprisser

Grave

tutti

necessit.

Ma

granai

a chi nel

mondo avea

se qualcuno

Perisse mai per fame ch'egli avesse

Del pane giornalier, giovane o vecchio.


Afflitto di dolor, Pirz dicea
:

De' granai del custode io da le

Sparger

membra

sangue, ch'ei di Dio le cose

il

In lieve conto

tenea, col ferro,

si

Gol ferro acuto ne aprir squarciando

La persona

e di lui caccer l'alma

Tutta a scompiglio da

E comand che

le

membra

sue.

lasciasser le case

campagna
mani a Dio signore.
Andava allora fino al cielo un pianto

Gli abitatori e scesi alla

Levassero

le

Di molta doglia e

di

molta rancura

d'alto affanno, e tal per le

Pei deserti e pei campi e

Grazia a Dio

si

le

montagne.

spelonche,

chiedea. Cos, per sette

Anni che seguitar, non servi o prenci


Vider pel mondo il verdeggiar d'un'erba
Dovunque mai, fin che all'ottavo, allora
Che incominci di Ferverdn la luna.
Benedetta levossi una gran nube
Che su l'arida terra in ampie stille
L'umor suo rivers. Dagli orti allora
Venne fragranza qual di muschio e l'acqua
Ne'

calici s'accolse de' novelli

un vn giocondo
Entro una tazza, e risplendette in cielo

Fiori sbocciati, quale

L'arcobalen. Cos disciolto

il

mondo


Andava
Di

492

ratto da ogni

mal pensiero

che dovunque

tristi,

agli archi loro

Le corde poste avean. Libero allora


Che and Pirz da quell'angustia estrema,
Sul trono imperiai

si

assise in pace.

Guerra coi Turani.

IV.

(Ed. Cale. p. 1591-1594).

Ei fece

una

citt,

Che Piruz-rm ne

poi

fosse

comando

f'
il

Donde nel mondo venner

nome

apposto,

frutti assai.

Ch'ella era ostello a riposar gradito

Di questi re da l'inclit'orme. Un'altra


Ei fece ancor, Badan-firz di nome.
Di cui dovunque celebrate ed inclite

Eran

le gioie co' piaceri.

questi

Nostri d, tu Ardebl suoli appellarla,


Ove ponea, per suo diritto, il segno

Del suo confn l'Impera tor di Grecia.


Poi che fiorenti ed abitati e ameni
F' questi lochi re Pirz, gioioso

Ei rese

il

cor d'ogni pi saggio, e intanto

All'esercito suo famoso in

Don monete

armi

e s'apprest alla guerra

Contro Turani. In quella guerra, duce


Eragli prence Hormz che ne venia

Con

novelli guerrieri, e dietro al sire

Venia Kobd con uno stuol d'armati.

Come nembo
Kobd, che
Nobile

veloce in su la via,

di

figlio,

Pirz era bennato.

saggio molto, ed inclito

Fecondo ramo d'una pianta


Balsh intanto, minor figlio

regia.
al prence.

493

Ricco di maest, d'alta giustizia


Ricco pur anco, al trono imperiale
Sedea gioioso. Un inclito di Persia

Era vi

allor,

che

il

nobile signore

Surkhn chiamava.
Pirz monarca: Qui

lui f'

cenno e disse

a restar t'appresta,

Di Balsh nel cospetto, quale un suo

Fedel ministro.

falangi sue

traea seco la

Turani in guerra
real corona

de' principi

soglio. Ei

Cosi

E
E

menava

Le

Le sue

coi

il

falangi e l'armi ed

sospingea
i

tesori

dimandar con Khoshnavz illustre


Fiera tenzone. Del confine un segno
Eravi allor quale Belirm gagliardo
Posto in que' lochi avea, dal basso in alto
Il

sollevando, e v'era scritto

un patto

De' re dei re, perch nessun d'Irania,

Di Turania nessun, per tutto

il

mondo,

Oltrepassasse quel ben certo segno

dal fiume di l ponesse

il

piede.

Vincitor di leoni, allor che giunse

quel loco Pirz, tosto ch'ei vide

Dei prenci irani quel ben certo segno.


Disse d'un tratto

a'

prodi suoi gagliardi

Io pur, dinanzi dai Turani, in questa

Guisa medesma, elever una torre


Co' miei tesori e con la spada mia.

Perch a ninno mai pi tocchi rancura


Dalla gente d'Heytl. La torre eccelsa
Quando fla posta di Terk sul fiume
E prenci tutti recherammi a gara
Scritto un patto di fede, io, che tal cosa
Principe Behram-gr gi fece un tempo
i

Gol valor suo, con la regal sua forza,

Con

l'alta

maest, col saper suo.


Aperto
Di

ridir,

Khoshnavz

494

in alcun loco

lascier l'orme o in terra

Di Turani o d'Heytl, o in alto o in basso.

Principe Khoshnavz,
Di Gina,

Con

figlio del sire

come ud che

gi passava

prence

l'esercito suo Tiranio

Del Grihn l'acque chiare, infranto ornai


Di Behram-gr l'antico patto (e intanto
Per questa terra gi si rinfrescava
lite ed il tumulto), ratto
Al regio scriba che venisse a lui.
Esperto scriba, f' comando, e allora.
Piena di voti a Dio pel re del mondo,

L'antica

Un'epistola scrisse e

f'

tai detti:

Se dal patto dei re giusti e veraci


T'allontani cos, di regal stirpe

Non

ti

dir. Degli avi tuoi

Era costume, non

non questo

de' prenci eletti

de' gagliardi di tua gente. Allora

Che di liberi prenci il sacro patto


Rompere ardisci e atterri ogni bel segno
Di tua grandezza al suol romper quel patto
Io pur dovr, per manco di ritegno
La man recando al ferro.
E in quell'epistola
,

Consapevole

ei f' d'ogn' altra

L'iranio sire e quella

Di molti doni.

Un

cosa

accompagnava

cavalier facondo.

Che alta recava la cervice sua.


Di Khoshnavz n'and col foglio allora.
Prence Pirz, come leggea quel foglio.
Ben s'adirava contro quei, regnante
Inclito in guerra, e al

messaggier dicea:

Levati e va! Ritorna a quell'uom vile

E digli s Mandava legge a voi


Pino al fiume Terk Behrm sovrano,
Quale a vostro confin; ma tu frattanto
:

495

suol possiedi fino all'alte rive

Il

Del fiume di Gihn; l'alture hai tutte

luoghi bassi e le pianure. Intanto,

Eccol ch'io mando esercito possente


D'eroi, di forti

di guerrieri;

L'ombra

Come

di

che hanno eretta fronte,


n vorr che a lungo

Khoshnavz

resti sul suolo .

venne
messaggiero e tutte le gi udite
Cose ridisse. Khoshnavz udia
procella, rapido sen

Il

Quelle parole e dell'iranio intanto


L'epistola leggea; tutte ei raccolse

Le sue schiere

disperse, e

l,

campo

nel

Della battaglia, le rec, figgendo

Su

la

punta d'un'asta

Di quel patto

alto sorretta

avuto un giorno
imperante,

la carta,

Dall'avo suo da

Behrm

Ov'era detto: In mezzo a noi, sull'ampia


Via che qui mena, del Gihn il fiume .
Un uom di cor veggente e di favella
Facile e pronta, di gran pregio e onore,
Scelse tra le sue genti. Or tu n'andrai,
Dissegli il prence, a re Pirz; a lui

Con sagace sermon

dirai parole

n'udrai tu risposta.

Con questi detti:


Padre del padre

Il

in pria l'assali

patto di colui,

tuo, re fortunato

Gh' tua guida, qui reco innanzi

Sovra

a'

miei

punta d'una lancia, quale


Un sol splendente, per la via. Ciascuno
Che ha fior di senno, mirer quel patto
la

Di quel giusto sovrano.

A.

me

fia lode,

biasmo sar, che il nome tuo


Sar di prence che di fede privo.
N Dio giammai, n chi fedele a Dio,

te

chi pel

mondo

a principi soggetto.

490

Gradir mai che cerchisi pel mondo


Ingiustizia cxualcun, di re di regi

S ribellando

Per

nessuno in terra

Come prence Behrm


La corona

Invero,

ai sacri patti.

giustizia e valor,

Ma

regal.

si

pose in capo

in testimonio

a questo Iddio, signor del mondo, ancora

Che non

sia bello in testimonio Iddio

Chieder per noi, che tu con me la guerra


Ingiustamente vuoi, con tale esercito
Ingiustamente contro a me ten vieni.

Ma
Il

non sarai tu al certo


n troverai buon frutto

in questo loco

vincitor,

Dalla fortuna tua. D'oggi in avanti

Mandar miei nunzi non vorr pi mai,


E in questa guerra m' propizio Iddio .

Come
Il

procella, rapido sen

venne

messaggiero con quel foglio e tutte

Pirz ricord quelle parole.


Di Khoshnavz poi ch'ebbe letto

disse al

Non

si

f'

dice l'uom eh' gi del

Che

provetto d'et.

Da

Giaci

Dell'asta

il

foglio,

il

colmo d'ira
messaggier: Tante parole

L'altero prence

se tu

piede verso

mia per

il

mondo

esperto

muovi

fiume, ratto

la fulgida

punta

Tornava
mio saluto a te verr.
A Khoshnavz il messaggier, con lui
Molte parole avea nel suo secreto
E dicea: No davver! che non vegg'io
Di Dio temenza in re Pirz, n trovasi

Il

Che vero senno

gli sia guida!

Ei vuole

Guerra ed odio e scompiglio, e non cammina


Conforme al cenno dell'eterno Iddio.
Khoshnavz, come ud queste parole,
In Dio ripose la sua dolce speme

497

l'ador, dicendo:

Giudice

Che
Che

santo, o vero

oh! tu

di giustizia,

creava con

l'aer

sei quello

la terra!

sai

che non ha parte


Alle virt di Behram-gr. Parole
Disoneste egli avventa e con la spada
Grandezza intento a ricercar. Ma tu
ingiusto re Pirz,

Dalla faccia del suol quell'orme sue

Ratto cancella, n rimanga in lui


Di cor fermezza o sapienza o forza
Allor, dintorno de' suoi prodi al vallo,
!

Fossa profonda egli scav. La cima


Et ne copr, tutta l'ascose; e n'era

D'un laccio veramente in gi sospeso


L'altezza, ed uguagliavano l'ampiezza
Cubiti venti in integra misura.

V. Battaglia e

morte

di Plrz.

(Ed. Cale. p. 1594-1595)

Fatto cotesto,

il

nome

egli

invocava

Di Dio signor, da Samarknd l'esercito

Ratto adducendo. Di rincontro insano


Venia prence Pirz, le sue falangi

Come procella per la via spingendo,


E di qua stava Khoshnavz col core
Pien di temenza, l'alto suo secreto
A Dio fidando, giudice verace.

D'ambe

le parti

uno

squillar di

trombe

Alto levossi e fremer di timballi,

l'aria

nereggi per l'atra polve

Di tante genti. Piovvero da questa

quella parte le volanti frecce

In cotal guisa, che scorrea ne' rivi


FiBDUSI, VI.

32


Come acqua

sangue.

il

498

Come

giunse poi

L'iranio prence su la fossa, indietro

De' Turani

signor rapidamente,

il

Khoshnavz,

si

ritrasse e le ritorte

Briglie volgendo

Ferocemente

f'

veder

le spalle.

allor l'iranio esercito

Dietro gli corse, ed incit il destriero


Prence Pirz e corse con alquanti
Pochi de' suoi. Ma tosto, entro la fossa,
Con alcuni gagliardi ei si cadea,
Forti e leoni in giorno di battaglia,

Hormz

fratello suo,

Kobd

illustre.

Principi tutti e re, d'inclita e regia

Stirpe venuti. In questa via ne andavano

capo in gi sette regnanti, tutti


guerra e con elmetti d'oro,

Incliti in

ne ritornava
Sovra la fossa
Egli si trasse e chi vivea pur anco
Fuor ne cav. Deh s! parve che il trono
gioioso del cor

Khoshnavz

vincitor.

Imperiai degl'infelici eroi

La fortuna piangesse!

le

Il

capo infranto

vertebre infrante avea nel fondo

Prence Pirz,

di celebrati in

guerra

Nobil signor, di maest, di gloria


Cinto mai sempre. Ma dei re nessuno,

Fuor

Kobd, era ancor vivo; il sire


suo dentro l'abisso
Tutti eran morti allor. Con la sua voglia
Del cor compiuta, Khoshnavz altero.
Con l'esercito suo pugnace e forte,
Venne l innanzi e stermin le avverse

di

l'esercito

Falangi tutte e l'ampie provvigioni,


Si che nessun pi discernea di quelle
L'ala diritta o la sinistra. Molti

Via fr menati prigionier d'Irania;

499

"Ma quant'altri giacean di strai


Abbandonati su la terra oscura

feriti,
!

Prence che il mondo signoreggia, mai


Avido non si mostri. Avido core
Sen va congiunto con la terra oscura
In sempiterno.

Ma

di

questo cielo

La volta infida cos appunto volge


E per soggetti e per monarchi, e avversa
Quelli che un giorno s'allev, sian elli
Insani e

stolti

o nobile sostegno

D'alta saggezza.

Su questa

E non

restasi eterno

terra alcun. Deh! sempre intanto

Sia la saggezza l'alimento tuo

E Khoshnavz, come varc

la fossa,

Fece che i prodi suoi senza rancura


Fosser davver per le ricchezze molte
Gh'elli trovar. Di ferro con catene
Furono i piedi a re Kobd avvinti,

del suo trono o de la stirpe sua

Ragion si fece. Come poi novella


Giunse d'Irania al popolo dolente
Di quella fossa e dell'orrendo assalto

Di principe Pirz, levossi grido

Da Irania per dolor

di tanti

prenci

E nobili e gagliardi. E quando nota


Fu la sciagura per la terra intorno.
Gi si gitt dal trono suo dorato
Prence Balsh e il regal crin dal capo
Si svelse a ciocche e su quell'alto seggio

Polve trista gitt. Ma l'uom dell'armi


E l'uom delle citt d'Irania bella,
Uomini e donne e piccioletti infanti.

Per acerbo

dolor, feano alti lai

strappavansi

il

crin, feriansi al volto,

Tutti parlando dell'estinto sire.

Tutti cercando

il

lor signor.

Sedeano

500

Principi e servi con angustia e affanno^


Tutti a cercar qual scegliersi dovea

Nuovo
Il

consiglio, per lasciar d'Irania

suol d'un tratto ed irne quel fatale

Campo

a mirar, propizio a la vendetta.

Il

VI.

re Balsh.

(Ed. Cale. p. 1595-1596).

Poi che sedette nel suo acerbo duolo>

Per

un mese re Balsh,

tutto

Pieno

di

polve e piena

La smorta

gota,

il

De' sacerdoti venne

col capo

di ferite

popol suo ne venne,


duca, e

il

forti

Nell'armi ed ogni saggio inclito e illustre^


Intenti a consigliar. Molte parole
Dissero a

lui,

quant'erano a suo stato

Propizie e acconce.

tosto su quel seggio

Il

posero a seder di re sovrano

gli

sparsero al pie

Ed oro

assai.

Si assise re

gemme

d'assai

Sul trono imperiale

Balsh e cosi disse

prenci, o illustri, deh! per voi

cerchi

si

Del cor de' saggi l'intimo secreto

E qui, nel mio cospetto.


Grandezza avrete voi, quando per voi
La mente mia gi fosca abbiasi luce.
Per chi fa in terra opre leggiadre, voi
Studio ponete che il consiglio suo
Per voi non s'interrompa. E se qualcuno
tristo e reo, n vuol che alcun l'uguagli
Nell'opra sua, nel grado suo, davvero
Ch'io per preghiere e per consigli in pria
Forte nel bene il render; ma quando
In ogni tempo!

11

mio

D'atri

501

dir non accolga, una corona


grumi di sangue intorno al capo

Gli cinger. Se alcun per questi eroi

Addetti

A me

al

regio ostel fa suoi lamenti

dinanzi e a

me

soggetto

ei sia,

Dell'uomo ingiusto spezzer nel petto


Il tristo core e sveller dal fondo
radici e i rami suoi. Ma innanzi
Al vostro prence deh! non siate mai
E protervi ed alteri, e meno il sia
Chi pi saggio ed accorto. il re talvolta
Quale un velen, tal'altra quale un balsamo
A quel veleno, e tu dovrai pur sempre
L'antdoto cercar del tosco amaro.
Oh si! alla terra il gradimento solo
Cercherai del tuo re, n innanzi al trono
Tu gli anderai che con ridente volto

Le sue

Quando

Tu

s'adira

il

tuo signor, tue scuse

benedici a lui

gli farai, tu

Nell'opre sue, giuste ed ingiuste; e allora

Che

tu dirai: Saggio son

In ogni sorta di saper son

Bada ed
te

possente
,

intendi che in quell'ora appunto

Stolto se' pi d'assai.

io,

io

medesmo

il

Non

esser

dunque

tuo nemico! Intanto

Se al mio consiglio obbedirete voi


Cedendo a mio parlar che frutto apporta,
Da' saggi prenci toccherete in dono
Ampio tesoro, che per sapienza
Mai non vedemmo l'uom nella rancura.
Benedissero a

lui tutti que'

prenci

Di suo molto saper meravigliando,

questo a quello di quell'ampia schiera

Cosi dicea: Per questo re, davvero!

Che riceve splendor la sua corona


Con l'alto seggio! Dall'aspetto suo


Lungi mai sempre

502

della rea sventura

Stia la pupilla ed abbia cruccio e doglia

De' suoi nemici

la

persona

Andavano

Cosi beati da quel regio ostello,

Dio signor del prence la persona

Commendando

e lo spirto. Era ogni core


Pieno d'amor per lui, piena ogni lingua
Delle sue lodi. In sempiterno viva,
Gridavan elli, cotal re sovrano!

VII.

Lettere di Sfry e di Khoshnavz..


(Ed. Cale. p. 1596-1598).

Nel tempo che Pirz and


Ei cercossi

di

un eroe

pugna,

alla

d'alti consigli

gran senno, perch' ei

un tempo-

fosse a

Dei seggio imperiai, della corona


Fido custode e amico al giovinetto

Prence Balsh. E Sufry era degno


puro

Dell'alto ufficio, egli possente e

Ne" suoi consigli. Di Shirz egli era,


Quest'uom di cose esperto, ed era duca
Di

magnanimo
di

cor, d'alta cervice,

Zabl governator pur anco,

Di Kabul, di Gbaznn, di Bust ancora.

Come venne

a Sufry novella certa

Di Pirz che ne and qual sconsigliata

senza guida, lagrime cocenti

Ei da le ciglia per le gote sue

Vers piangendo e lacer sul petto


La sua veste da eroe. Gli elmi dal capo
Levaronsi

gli

eroi subitamente

sedetter nel duol pel fato acerbo

Dell'estinto

monarca. E quei dicea


potr Balsh garzone

Come adunque

503

Chieder vendetta dell'estinto sire?


Infruttuoso quell'intento suo

Ratto ch'ei vide, poi che gi l'altezza


Del trono imperiai tutta ne andava
In iscompiglio, le disperse squadre

Tutte raccolse e tempestar

di colpi

Fece i timballi, e si lev dal campo


Turbo di polve. Centomila eroi
Di spade armati intorno a lui s'accolsero.
Avidi

tutti di battaglie e tutti

A-utori di vendetta.

die

monete

Sufry intanto e la falange accolta


Ordin tutta e de' gagliardi suoi
F' il cor beato; e cercavasi un nunzio

Accorto e saggio e di favella dolce


E d'anima serena. Ei scrisse allora
Un'epistola sua piena d'angoscia

d'alto affanno, pallido le gote.

Con lagrimosi gli occhi suoi. Consigli


E ammonimenti ei ricord in quel foglio
Da G-emshid e Kobd venuti un giorno
E da prence Khusrv; poscia quel foglio

Balsh invi con questi accenti


la morte d'altrui, prence d'Irania,
Dolente esser non di, che questa doglia
:

Per

Ognun debbe

gustar. Gloria soltanto

Cerchisi l'uomo ed

al

soffrir costanza.

mover d'uno spiro al mondo ei venne


E in un breve alitar sen parte poi,
E da qualcun ci dicesi giustizia,
Ingiustizia da un altro. Ed io, frattanto,
Con vnia del mio re, per la vendetta
E per la guerra s m'appresto. In cielo,
Al

Per

la

vendetta eh' dovuta al sangue

Di re Pirz,

gemono luna

Da questa parte

il

e sole.

messaggier ne andava,.

504

Andavane Sufry da

quella parte

Pieno di voglia di vendetta. Un'ampia


Schiera ordin qual di fero augello
Nitida piuma e di Zabl discese
Di Merv alla citt. Tale ei vi scelse
Di vigil core che nel dir

Mite l'anima e dolce, e

avea

si

al regio scriba

F' tal precetto: Levati, che giunse


D'esti calami tuoi sovra la punta

Moto improvviso!

Tu

A Khoshnavz un

scriverai, dicendo:

stolto,

foglio

o insano,

fraudolento che d'un Devo hai l'arti,


Peccaminosa innanzi a Dio tu festi

La tua persona,

e di te piange intanto

Quell'involucro tuo. Deh! chi


Ci che tu

festi,

Ben vedrai tu qual

mai

f'

Ma

o traditor?

intanto

poter di spada

Rapidamente! D'ogni colpa immune


Traesti a morte de'monarchi il sire.
Di principe Behrm, signor del mondo,
Nobil nipote, e per la terra intanto

Odio novello a suscitar corresti.


Quale non mai si tacer. Ma innanzi

re Pirz, quando levossi fremito

Di timpani laggi, perch, rispondi.

Non
Che

sei tu
il

corso quale

un

suo signor vezzeggia

cane
Era un meschino

fido
?

Di questa casa imperiai quel tuo

Avo pur

anco, e

il

padre tuo qual servo

Stava dinanzi a Behram-gr. Frattanto,


Di vendetta bramoso, ecco! son io
In Merv disceso, e d'Heytl de la gente

Non vo' lasciar gloria o splendor superstiti,


E que' captivi e le ricchezze tolte
Quante pur sono, che in tua man sen vennero
Dal fatai campo della pugna, tutto.

505

Tutto cotesto a dimandar

vegno

ti

Col ferro mio vendicator. Davvero

Che

in

Merv

Del turanico suol, n aperto

Lascier
I

a'figii tuoi,

consanguinei tuoi

Arder ne

le

ma

il

mondo

tuoi congiunti,

tutti del

fuoco

vampe, e quel tuo capo

Ti troncher di Dio per

porter la polve strutta

io

quale un mare, per

il

il

precetto,

molto sangue.

Far la terra tua. Ma non questa


Guerra cotal che lungo se ne debba
Tener sermone, che ben tosto, ucciso.
Sotto la terra tenebrosa e oscura

Giacer Khoshnavz pel sangue sparso


Di principe Pirz, e l'alma invano
Giustizia chieder gi dall'inferno .

messaggiero, di Sufry col

Il

foglio,

come leone
a Khoshnavz ne venne

Parti dal loco suo

Ardimentoso e
Qual uom vinto

dall'ira. Ei fino al

trono

S'avanz in pria, poi rese omaggio e poi


Porse a quel prence di Sufry le carte.

l'esercito allor fiero e

superbo

Abbandon quel loco e il re frattanto


Porgea quel foglio al regio scriba in questi
Detti cosi: Ci che di giusto o reo
qui, tu mi dirai per via secreta.
Lo scriba al prence cosi disse allora
:

Di clave piena e di saette alate

di ferri l'epistola.

Che
II

cor s'infranse

Tutto ripieno

di

Rapidamente e

La

Davvero

di colui, gi di battaglie esperto,


di

Sufry pel foglio,


Ond' ei

parole

in quel

medesmo

istante

risposta ne scrisse ad ogni motto

giusto

ingiusto di quel foglio ardito.

506

Deh! temiam noi

cos disse in pria:

Di Dio sovrano e del mutar sovente


Della fortuna! che colui che sempre

Fu devoto al Signor, de' re nei


Non fa rottura. Epistola mandai

patti

Giovevole a Pirz primieramente,


Indi gli ricordai di quell'eccelso

Prence Behrm

il

fermo patto. Eppure,

Quelli ch'io dissi acconci detti, a lui

Venner dispetti
La ferma legge

e parvegli dispetta
dell'antico sire.

poi che disioso egli

si

fece

Di guerra farmi ed io dovei la giusta


Difesa

mia cercar, quando

faccia a faccia

si

gli eserciti

scontrar, disdegno

Ebbero gii astri di Pirz, ne al certo


Per nostra volont quel tuo sovrano
Ucciso cadde. Da quel d ch'ei ruppe
Di giustissimi re l'antico patto,

Un

giorno sol non fu beato e lieto

Di sua giovane et, ne l'ebbe caro

Del mondo il Creator, s che diresti


Averlo al piede incatenato il suolo.

Quei che degli avi il sacro patto infrai]ge


il vero e il giusto calpestar non teme,
Sar come Pirz l, nel fatale
Campo dell'armi, rotto alla persona

pian di polve nella fossa. Allora

Che tu verrai, ci stesso a te fia


Che presso a me di belligeri eroi

pronto.

di tesori non mai scarsezza.


Partendo a corsa da quel loco, venne
In sette giorni il messaggier veloce
A principe Sufry. L'eroe che lesse

Di

Khoshnavz

Ratto

la

l'epistola, disciolse

lingua ad imprecar feconda.

507

uno squillar di tube


un fremer di timballi

tosto udissi

Dalla palestra e

Di bronzo cavo. In

Kashmayhn

si

grande

Schiera addusse d'eroi l'iranio duce,


Che del ciel per la volta il suo sentiero

Parea smarrir quest'almo


Guisa medesma valicamo

sole. In
il

questa

fiume

Tutti que' prodi, la dirotta via

Quasi estimando lor gradito albergo.

Vili.

Battaglia di Sfry e di Khoshnavz.


(Ed.

1599-1602).

Cale. p.

A Khoshnavz come

novella giunse,

campo e
Guerra apprest. Venne
Ei discese nel

l'armi a quella
in

Bayknd

e quivi

Loco si elesse al guerreggiar propizio,


S che la volta del rotante cielo
Del suol la faccia non vedea. Ma intanto,
Pieno in cor

di desio

d'aspra vendetta,

Prence Sufr}- dal loco suo balzava


Come procella, e poi che giunse oscura
Dal ciel la notte, ei duca di guerrieri.
Con elefanti riposati e freschi,
Chiuse l'accesso al campo suo. Ne vennero
Alle due parti le vedette allora,
E di voci d'eroi, che aman la pugna,
Tutto

il

Erano

Un

di

retro salia d'ambe le schiere.

fu cotesto fin che

Della

s'emp. Di scolte apposte

tintinnar, quale salia davanti,

Qual

mondo

voci, di sonagli intorno

montagna su

apparve

la vetta e

il

il

sole

campo

la valle brill pe' raggi suoi

Qual lucente

cristallo.

Ecco! due squadre

508

Gi s'apprestano all'armi e gi sollevano


Di lor grandezza le bandiere. Allora,
Al gridar degli eroi che aman la pugna,

Anco

a'

dragoni pel deserto loco

Parve schiantarsi

il

cor; l'aria parea

D'aquile piena per le molte penne

De

le

frecce volanti e lago

Si f' pel

Che da

sangue

ogni parte ove

Era mucchio

suolo

il

de' caduti prenci,


tal un

guardava.
che a tanti

d'uccisi, allor

Di questi forti tramontava

giorno

il

Della vita quaggi. Balzava allora

Prence Sufry dal mezzo

sue schiere

di

dietro gli correa dal loco suo

Tutta in furor

la

Dalla parte di

l,

sua falange; e allora,


della vendetta

Gol ferro in pugno,

Spronava

il

Precipitoso.

Khoshnavz

suo destrier verso

Ma

dall'alto

la valle

poich vedea

Trista per lui quella giornata, torse

Le

redini e mostr volte le spalle.

Ma

con

l'asta nel

pugno, usa

colpir de' guerrieri, ecco

le teste

corse
Ratto da tergo qual bufera in volta

Prence Sufry che molti

gli

de' pi illustri

Si f' prigione. Molti sotto a lui

Caddero uccisi per quadretta e spade.


Corse quel prode fin che giunse accanto

A Kohendiz

e molti l

Sul tristo calle eroi

Ma Khoshnavz

vedea

trafitti

o uccisi.

dall'alto d'un poggetto

Stavasi intanto a rimirar l'esercito

Sparso pei lochi

Or

alti

Suppellettili

Ed un

di

quel vasto piano,

or bassi. Era la via d'assai

ingombra e assai

orto parea l'ampia

d'uccisi

campagna

509

Ove son molte cose

e varie e spesse.
Redini ed aste e celate di prenci

Erano ovunque ed armi infrante e cinti


cavalli e scudieri; e ognun frattanto

La ricchissima preda

pie recava
che gran cumulo
Sul loco si form qual pur anco
D'Albrz la vetta. Ma non volse un guardo
Alle ricchezze de' Turani accolte
Quel valoroso e tutto a' prodi suoi
Rapidamente dispens, poi disse
Alle sue genti radunate: In oggi,
Per la fortuna, si compia l'impresa
Del nostro cor conforme a dolce brama.
Quando possanza mostrer pel cielo
Il sol fiammante, attoniti e confusi
Poltrir non vuoisi in questo campo. Noi
L'iranio sire a vendicar ne andremo,
Come leoni avventandoci a quella
Di Kohendz temuta rocca.
Al petto

Di principe Sufry,

a'

apposero

Si

Ma

la destra

prodi suoi,

sentenza diversa ognun dicea.

Conforme

al suo deso,

Nella volta del

Che adorna

il

ciel la

quando mostrossi

chiara

gemma

serto di quest'almo sole.

Da' recinti all'intorno un alto strepito

Ratto levossi

di timballi, e intanto

Prence Sufry al suo destrier balzava.


A lui duca e signor che la cervice
Alta tenea, sen venne un messaggiero
Di Khoshnavz allor. Dal far la guerra,
Dicea quel messo, dal versato sangue.
Dalle contese, nulla a noi discende

Fuor che rancura di contrasti. Noi


Due giovinetti eroi, saggi e valenti,
Gi nell'inferno ad albergar mandammo.


Ed

elli

ambo

510

correan.

Ma

se tu cerchi

Della ragione pel sentier, saprai

Che opra

di Dio fu s cotesta. Ucciso


giacque re Pirz veracemente

Non
Per

stolto ardir di noi,

gli

anni e

Colpevole

ma

sol pel fato

mesi suoi toccaron

fine.

fa chi patti infrange,

si

miele e d'una beva amara

Gh'ei gitta

il

Fa

Ma

elezion.

intanto, ecco

Sul nostro capo

si

torn

ogni cosa

beato,

Quegli beato che non volse mai

Ad opre dure il cor! Que' prigionieri


E quanta presso a me preda raccolta.

gemme

intatte, e l'armi

Oro ed argento

E
E

seggi imperiali

le
i

corone e

palafreni che lasci nel

Re Pirz che perdea


Tutto cotesto

Monarca

al

invio,

De' suoi pi

campo
amica,

la sorte

duce dell'iranio.
con tutti suoi tesori
e l'ampia suppellettile

fidi

perch tu rieda

Dell'esercito suo,

In suol d'Irania vincitor, tornando

Appo quel prence


Io pi

Tu

di gagliardi. Intanto,

deso di scendere in Irania

Voglia

mai non avr, n

la

cervice

dal patto sciorrai che fece

un tempo

Principe Behram-gr. Quel re dei regi


Dell'ampia terra giustamente

Un

d spartiva, s

Resta con Cina, a


Sufry,

Dentro

come

che a

me

il regno
Turania

te l'iranio suolo.

ascolt quel suo messaggio,

al recinto

suo l'ampia falange

De' suoi raccolse e cos disse al nunzio:

Dinanzi a questi eroi quel che gi udisti


Dal tuo re battagliero, anche qui esponi.

S'avanz allor

di

Khoshnavz

il

messo

51i

ci ch'era secreto o manifesto,

ridisse. Or voi quale, dicea


Prence Sufry alle falangi sue,

Tutto

In ci vedete opinion

L'oste guerriera:

Il

in questa pace a te

te

il

consiglio.

Rispose

far

comandi
il

poter

si

tuo,

spetta,

Non conosce alcuno

Stato d'Irania pi di te; signore

Tu

ci sei

veramente e prence e duca.

Altro consiglio oggi non per noi,

Sufry disse a que' prenci incliti e grandi,


Che dai Turani d'oggi in poi contrasto

Non dimandar

di

pugna. Or, senza indugio,

In suol d'Irania recher l'esercito,

Ed

in lor mani re Kobd, illustre

Figlio di re Pirz, di regia stirpe,

stanno in lor poter de' sacerdoti

Il

principe, Ardeshir, e molti grandi

Giovani e vecchi de

le

iranie schiere.

Che se noi seguirem la guerra assidua


Con prence Khoshnavz, senz'alcun frutto
E lunga assai quest'opra fia di noi
Indubbiamente. Uccideranno i tristi
Quei che hanno in lor poter d'iranio sangue
Prigioni avvinti, re Kobd illustre
Ed Ardeshir con lui. Che se non fosse
Prence Kobd in mezzo a quelli, il core

la

mia mente non faran menzione


Ma se danno alcuno

Del sacerdote.

Toccasse a re Kobd per questi avversi


Turani prenci, nulla rimarrebbe
In iranico suol fuor che di biasmo

Lungo

bisbiglio, e vituperio

ed onta

Sara davver che passerebbe a tutti


I

suoi gagliardi fino al giorno estremo

Che sorgeranno

morti. Al messaggiero

512

Rendasi adunque risposta gentile


E pongasi da noi buono consiglio
A far la pace, perch almen da noi
Veggasi ancora di Kobd la fronte
(Deh! senza lui non resti mai grandezza
Di re sovrano!) ed Ardeshir pur anco,
De' sacerdoti il maggior duca e quanti
Hanno essi in potest, vecchi e garzoni.
Benedicendo a lui, tutto l'esercito
Gridava allora Oh si legge cotesta.
Allora
Questo costume e questa fede!
A se dinanzi il messaggier turanio
Ghiamossi il duce degl'Irani e seco
Disse parole con melliflua lingua.
Opra questa di Dio, dicea quel grande,
Veracemente, ma la sorte avversa
Medita il male n il disvela. I prenci
D'Irania bella che cadean prigioni
(Kobd sono e Ardeshir, di Dio ministro,
,

quant'altri

hanno

al pie ceppi e catene),

Tutti con molto onor mandate omai

A me

dinanzi. Le ricchezze poi


Che avete ancora in fulgide corone

In monete ed in cose alto pregiate.

Tutte inviate a me, tutte dinanzi


Della mia gente ai principi gagliardi.
E noi mai pi distenderem la mano

rapine ed a morti, che all'Eterno

Siam noi devoti n sentiam di tanto


Alcun bisogno, e del Ghn ben tosto.
Al decimo dei

di,

l'acque scorrenti

Valicheremo, n d'allora in poi


Galcherem l'orme de la trista guerra.

tu, di

ci

Che

Khoshnavz inclito messo,


che dissi orecchio porgi, e tosto
,

tornato sarai, tutte ripeti

513

lui.
Tornava allora
messo e ardito a Khoshnavz venia
E ci che ud, gli ripetea. Gioia
Quel prence e ratto le catene sue

Coleste cose a
Il

Toglieva a re Kobd e le toglieva


Ad Ardeshr, maggior de' sacerdoti,

a quanti erano l d'Irania bella

Prigioni avvinti. Poi raccolse tutta

La preda qua

e col, quanta rinvenne


campo, della pugna in giorno,
E il regal seggio e la regal corona
Di principe Pirz e quante cose
Tra i prodi suoi ne andavano disperse.
Tutto cotesto ei rimand fedele
A Sufry battaglier per man d'un prode
Di nobili consigli. Allor che l'ampia

Al

fatai

Schiera de'
Il

forti

di

Kobd

rivide

regal volto, del vederlo ancora

Festosi tutti giubilar, gioir

Per Ardeshr, maggior

dei sacerdoti,

E per

quanti eran l captivi ancora,


Giovani e vecchi. Abbandonar le tende
i prenci allor, tutti le mani
Sollevarono al ciel, che senza offesa

D'Irania

vedeano omai quel nobil figlio


Di re dei re con tanti di sua gente
Elli

Ch'eran degni d'onor. Sciolse i recinti


maggior duce in quel medesmo istante

Il

al

suo destrier balz in arcioni. L'acque

Del Gihn

ei varc lieto e beato


Di sua vittoria e seco avea l'illustre

Sacerdote e Kobd,

figlio di prenci.

In iranico suol novella certa

Allor che giunse di quest'uom preclaro,

Principe benedetto e d'inclit'orme,


D sue battaglie e de' tremendi assalti
FiRDUSi, VI.

33

514

Con duce Khoslmavz, d suo consiglio


Degno di tal che all'arti sue ricorre;

Come

s'ud

che

lieto e vincitore

Ei ritornava da la guerra, sciolte


Dal pie di re Kohd le rie catene,

E menando
Il

venia de' sacerdoti


maggiore, Ardeshir con quanti seco

Eran

captivi dell'irania terra,

Ed ora

del

Gihn l'acque scorrenti

Varcate avea, si che per monti e piani


D'Irania la sua gente iva dispersa,

Da Irania tutta si lev


Che intronarne davver

tal grido,

detto tu avresti

L'orecchio di chi udia. Tutti levarsi


I prenci di gran senno e al valoroso

Ad irne incontro apprestavansi a gara,


E Balsh all'istante un aureo seggio
F' collocar perch sedesse quivi

Kobd accanto
Sufry nella
Dal loco

al prode. Allor

citt, tutti si

ch'entrava

mossero

prenci e ad incontrar quel grande

S'apprest re Balsh, venne con quella

Schiera d'eroi che seco avea pur anco.


Balsh, nell'ora che vedea quel volto
Di Kobd or disciolto da le rie
Catene e lieto e vincitor, lui strinse
Ratto al suo sen con molta gioia e intanto

Lev

le

mani a deplorar

l'offesa

Della gente d'Heytl, di Gina ancora,

Con molto sdegno. Da


Ascesero

all'ostel del

Tutti que' grandi,


Elli si

avean,

si

ma

l'aperta via

prence iranio
ferito

il

core

che venan bramosi

Di lor vendetta. D'apprestar le mense


Pur f' cenno Balsh, di chieder vino

musici e cantori e suon festoso,


Ma non
La

515

era conforme a lor deso

per doglia

festa inver

ch'elli

aveano

Del nobile Pirz. Lodava intanto


Di ballate

il

cantor Sufry valente

sul liuto le turanie

Ma

Iva cantando.

guerre

su lui tenea

Intenti gli occhi e fermi ogni pi illustre,

Che per

lui ritornato

Veracemente e

In suo voler per

Dlrania

le citt

brama

a chi

era alla gioia

libero e novello
lui.

Restituite

furon da quello,
s'avea d'aspra vendetta

Di Khoshnavz, ora die gioia

Quel valoroso in

Da ogni

Ma

tristo

nel

ci ch'ei f',

al

core

ne sciolse

pensier l'anima ancora.

mondo quaggi senza un eguale

Era prence Sufry; cos ne venne


Fino a quattr'anni, n si fea giammai.
Se non quanto ei bramava, in tutta Irania,
Ed ei conforme a suo talento il mondo

Governando venia. Come fu aperto


E libero dovunque il suo comando
Per l'ampia terra, ei liber con arte
Di sagace parola

il

regal seggio

Da principe Balsh. Dissegli: Il regno


Tu non governi e da' malvagi buoni
i

Riconoscer non

sai.

Stimi qual gioco

L'imperiale potest; ci

Per

fai

l'indole tua trista e l'agio tuo.

Ma Kobd pi
E pi possente

di te

si mostra
regno avito.

saggio

in questo

Balsh, in ritornarsi a le sue case.

Dir non ardi a Sufry: Vanne, pi a lungo

Non

t'

dato restar!

ma

disse in core:

Quest'alto seggio imperiai rancura

Davver non

ha, ch'egli senza travaglio

senza biasmo e senza affanno grave.

6.

re Kobd figlio di Prz.

Il

I.

Parole di re Kobd.
(Ed. Cale.

Come

si

assise re

Sul trono imperiai,


Di sua grandezza

Da

A
La

il

p. 1603-1604).

Kobd illustre
come si pose
diadema

in fronte.

citt d'Istakhr discese ratto

Tisifuna, da Istakhr, dov'era


gloria allor de' principi d'Irania.

Sovra quel trono di turchesi adorno


Poi che fu assiso, cos disse: Or nulla
Nascosto a me per voi si tenga. A voi
Schiusa la porta fino a me nel chiaro
Giorno mai sempre e nella notte oscura.
Quel grande che discioglie a dir del vero
La lingua sua n cercasi menzogna,
Quand'ei nell'ira sua perdon si reca.
Sua guida e sire lui dir pur sempre
De' veridici il duce. Egli si pone
Di pace e di contento un trono eccelso

Nel mondo

qui,

per giustizia verace

Lode ei tocca da' prenci. E tu se il core


Lungi terrai da brama di vendetta,
Piccoli e grandi a te faranno lode

Veracemente. Allor che menzognero


Mostrasi

il

517

prence, dalle sue

Rapido
Ond' che ben

menzogne

scorre a disiar contese.


si

vuol primieramente

Detti ascoltar d'altrui, render verace

Risposta, ove tu sia prudente e saggio.

Che
Il

al contrario,

ove

sia

sapiente, a recar frutti

pieno

di

voglie

mai

il suo saper. Tosto che


Precipitando va nella sua brama,

Non giunge

il

saggio

Saper che vai per lui, che vai ne' campi


Acqua impura e salmastra? Oh! meglio fa

Se

de' suoi prodi l'alma

generosa

Cattiver, facendosi pusillo

Nel castigar l'opra d'altrui pur anco.


E il possente che mostrasi crudele
E duro in ci ch'ei fa, dell'uom tapino
Pi vii si rende, e quel tapino stolto

Che si fa tracotante, in questa sua


Vana contesa ben somiglia a tale
Ch' di Devi in poter. Ma se qualcuno
Proprio difetto e riconosce e vede,
Molto a parlar di mancamenti altrui
si star. Sostegno pazienza

Non

vero senno, e se tu muovi all'ira,


vii. Che se contento

Sarai dispetto e

Della giustizia tu ne andrai di Dio,


Sarai possente e fermo in cor, di nobili
Consigli e puri, che disciolta avrai

La tua persona da

Che

travaglio, e tale

libero sen va d'ogni deso,

Migliore assai d'ogni tesor. Colui


sapienza, l'alimento suo

Che ha

Porta sempre con se; muore il suo corpo,


E il nome suo mai non si muor. Voi dunque
Tutti recate a bene oprar la mano
D'un moto sol, per male oprar le vie
Del mondo infido non calcando mai.


Benedissero a

518

lui tutti que' prenci,

Gittr smeraldi su la sua corona.

Fanciullo era

Kobd

sedici gli anni

Gh'ei numerava, e poca parte invero

Di governo

si

avea. L'opre del

mondo

Reggea prence Sufry; solo in sue stanze


Era Kobd signore. Il duca suo
Le cose tutte governava, e niuno
Del prence suo lasciava al fianco.

Il

sire

Non avea sacerdoti e non comando,


Non volont. Di Sufry dal potere
Tutta era invasa questa terra allora.

II.

Disgrazia di Sufry.
(Ed. Cale. p. 1604-1607).

fu cotesto fin

che

gli

anni giunsero

ventitr del giovinetto sire.

Un di che ne le coppe di cristallo


Qual tulipano il vino rosseggiava,
Salse al prence Sufry per chieder vnia
Di ritornarsi al loco suo. Quel duce
Apprestavasi allor con sue falangi,
E i timpani battea per ritornarsi

All'amena Shirz. Cos ne andava


All'alma sua citt lieto e contento.
Parte avuta cospicua in ogni suo
Desio pi dolce.

Era qual serva a


Fuori che

il

Persia tutta invero


lui,

tutto egli avea

serto imperiai. Frattanto

Er' egli in questa opinion

Posi qual prence re

Kobd

Sol io
in trono

proclamai benedicendo.
Che se alcun gli dir trista parola
Di me per trista voglia, una risposta
sire

il

519

Ei render fi'edda e sgradita e

reo

il

Via caccer dalla presenza sua.


Regi tributi ei riscuotea frattanto

Da ogni provincia, da ogni illustre in guerra.


Da ogni prence cos. Quando pervenne
All'inclito Kobd novella certa
Di Shirz e dell'opre

ivi

compiute

giuste e ingiuste di Sufry, ciascuno

Kobd cos dicea, pensando


Fuor che il serto regal, nulla ei possiede

Di re

Di tesori e d'eserciti d'Irania;

Comando egli non ha d'alcuna cosa,


Non regia autorit la gente ornai
;

Allora^

Tutta a Sufry serva addetta.


Quanti erano col d'ogni secreto
Assunti a parte di Kobd, coteste

Parole tutte ripeteano a lui


E s dicean: Deh! perch mai, signore

pago

Inclito e grande, te rendesti

Del

nome

Ben pi

solo di

monarca? Colmi

del tuo tesor son quei che

Prence Sufry. Deh

vuoisi dal

si,

aduna

mondo

Svellere ornai l'intento suo! Qual schiava

Persia tutta a

Servono a

lui

lui,

prenci suoi

li

devotamente a gara.

Trista di re Kobd l'alma si fece


Ai detti acerbi, ed ei non f' ricordo
Di tanto faticar del vecchio duce
Nel profondo del cor, ma cos disse:

Schiera d'eroi quand'io mandassi,


Ei ne sarebbe, contro a

Esattor

A me

si

di

vendetta.

me

poi

il

duce

sorgendo

che avverso

fece per tesori suoi.

Molto travaglio e lungo duol dovremo


Toccar da lui, che ognun, quanto egli fece
Ben ricordando, ignorer secreto

520

Deso ch'egli ha nel cor, ned

io

conosco

In tutta Irania battagliero duce

Quale osi in guerra scendere con lui,


Seco menando i prodi suoi.
Ma un saggio

Dissegli allora: Di cotesto, o prence,

Non

che Sufry diventi

far pensiero,

Signor d'Irania con auguri e voti.


Servi devoti hai tu, duce di prodi

Hai teco, ed
Del

ciel

ben potran

essi

mano

rotante con la

Quando Shapr

di

Rey

la volta

attingere.

dal loco suo

In armi balzer, nel petto

il core
Sufry protervo.

Si schianter di quel

Bene

E ne

ascolt quelle parole

Di Sufry

le virt, le

Tutte afferrando
Ei

f'

prence

colpe sue

e tosto ad

uomo

esperto

precetto che in arcion salisse

Ratto qual

nembo ed

Cos ne andasse con

il

assunse vigor, tutte scordando

un

Shapr

di

Rey

falso invito

cacciar con falconi. Egli dovea

Porlo in sella a l'istante e al regio albergo

Richiamarlo da Rey con due cavalli.


Del sire al cenno, andava in Rey il messo
Come vento autunnal. Ratto che il vide
Il maggiordomo, gli f' inchieste e prese
L'epistola del sire, indi si mosse
Ed a Shapr di Rey poi che la porse,
Gli

men il cavalier
Kobd come

Di re

d'alta cervice.
il

foglio leggea,

Mihrk, sorrise.
Che fuor di lui per tutta l'ampia terra
Contro a Sufry non era alcun nemico
In aperto o in secreto. Ond'ei che intese.
Tutti i fedeli suoi chiamossi attorno
E l'esercito suo rapidamente

Shapr, nipote

di

521

Condusse a Tisifuna. Allor che quelli


Prodi guerrieri suoi presso a l'iranio
Sire ebbe addotti, fu l'accesso dato

In quell'istante e ratto che del


Il

re sovrano

il

Oneste fece

le

Di turchesi

il

Orbo

Va
Ha

accoglienze e in trono

fama

di

Son

assidere.

f'

me

io

mondo

Pel

di serto, disse allor.

la

mondo

suo fedel scoverse,

qual d'uom che nullo

in s valor. Della real

grandezza

Tutta la parte di Sufry, ch'io godo


Del nome solo di monarca. Intanto

Per questa che mi preme


giustizia

ingiustizia,

Di tanti giorni al

Che

d,

corpo mio,

crucciasi e duole.

fin,

se fosse in Irania

Principe come un

alla cervice

il

il

mio

fratello

meglio saria

Di cotesto Sufry malvagio e reo.

Per

cotesto, o signor, Shapiir gli disse,

Non aver

tu dolente

il

Qui vuoisi

cor.

Aspra ed acerba scrivere un'epistola,


Che gloria hai tu con maest di sire,
Nascita illustre e vigora. Nel foglio
Cos a quello dirai Per questo serto
:

Imperiai, travaglio con fatica

la mia parte
Tu lesattor sei
N'ho

Che

la colpa.

de' tributi,

il

mio

ed

tesoro.

io

Davver! che pi non voglio

tu m'appelli re sovrano! Intanto,

Ecco!

Per

e vacuo

ti

mando un

valoroso, ch'io

mi lagno assai . L'epistola


foggia quando a lui sen vegna,

l'opre tue

Di cotal

Quand'io pur l sar C(m questo esercito


Bramoso di pugnar, le sue palpebre
Non soffrir ch'egli soltanto muova.
N seco pai^ler fuor che per ira.

Di fogli a uno scrittor fecero invito

il

posero a seder

Shapr
Shapr
Le cose

di fianco al

prode

Rey. Ci ch'egli disse al prence,


ridisse allo scrittor; notava

di

tutte e nel secreto core

Grucciavasi pur anco. Allor che

prence

il

Pose a quel foglio il suo sigillo, trasse


Prence Shapr su la dirotta via
Le sue falangi, scelto in pria ciascuno
Pi illustre in armi, quale iva disperso
Dall'oste imperiale. Egli, con incliti
Che la pugna chiedean, volse la fronte
Di citt di Shirz verso alle mura.

Prence Sufry, com'ebbe


Novella certa,

le falangi

cosa

di tal

sue

Mosse dal loco e ad incontrar sen venne


Con grave schiera, cavalieri eletti
Che usberghi al petto avean, quel valoroso.

Ambo

scontrarsi questi eroi superbi

capo e scesero di sella


Rapidamente. Come poi tornato
Fu in arcioni Shapr con l'altro duce.
Dall'alto

Molto

consigliar di cose molte

si

E buone
Dava

e ree. L'epistola del sire


e dura e dispettosa

difficile

Per ogni via

Che

Shapr, quindi ne andava

all'altro

la

gran faccenda. Allora

ebbe l'eroe la regia epistola,


In volto impallid, perde vigore
E quell'anima sua fosca si fece.
Letto quel foglio da Sufry, Nascondere,
Shapr gli disse, pi non vuoisi omai

La
Il

letta

cosa grave.

re del

Dinanzi

mondo

a'

Le catene
a

te.

prenci assai

indisse

Pianse per questo


;

ma

in quella guisa

Che questo foglio ne leggesti,


Che ha suo proprio voler de'

sai

re

il

sovrano.


Ben mi conosce

523
il

re del mondo, a

lui

L'eroe rispose, ch'io portai per lui

Tanta

fatica e tanto stento allora

Che venni

di

Zabl con

Ne

mie schiere.

le

Col valor mio da' ceppi

il

liberai.

che toccassegli giammai

soffrii

danno, e furon sempre intanto

Offesa

Pronte

mani mie pel mio signore.

le

Dell'iranico suol per tutti

Che

forti

premio sono
suoi ceppi e tu nel farmi guerra

Eroi guerrieri.

A me

se

il

Di sopportar questa fatica, indugi

da

10
I

pi non voglio e tu

te

pie suvvia, che forse

mi

allaccia

ceppi suoi

Frutto mi recheranno. Oh! non dunque

Vergogna a
Dinanzi
11

lui

dinanzi a Dio cotesta,

popol suo, ch'io tante volte

caldo sangue mio sparsi per lui?

Deh!

s,

Anche
Di

al

me

nel

tempo che

il

re nostro in ceppi

languia, terribil sacramento


fu questo innanzi a Dio, che allora

Cos dissi

Davver

che

la

mia mano

Altro non toccher fuor che del ferro


L'elsa lucente, ed io quest'almo sole

Anche addurr

sotto vaganti nubi

Col mio pugnar, perch'io questo mio capo

perda in guerra, ovver, col mio valore.


Dentro a la force dal suo seggio tragga
Di Khoshnavz il capo reo . Colui
M'indisse intanto le catene! Oh! dunque
Son di me degne le catene ed ogni
Parola stolta va per me! Tu intanto
Non dilungar da quel comando suo
Per ninna guisa. Che d'un forte al piede
Sono i ceppi ornamento, e intendi e sappi!
Shapr, come ascoll, gli avvinse i piedi,

524

F' dar fiato alle trombe e con un balzo


In arcioni

Di Persia allora

sal.

Addusse a re Kobd quel prigioniero,


Ma Kobd non f' gi per le trascorse
Cose alcun verbo. Comand che tratto
In oscura prigion, presso ai meschini

Che la mente perdean, fosse quel grande,


E f' cenno dipoi che quante cose
In Shirz egli avea, servi e tesori

campi e messi,

In

In Tisifuna ed

tutto fosse addotto

ministro suo

il

Questo affidasse al tesoriere ancora.


Al trapassar di sette d, col suo

Sacerdote fedel consigli molti


Stettesi

prence a ventilar, parlando

il

Di Sufry valoroso, e
Cos dissegli poi

Di Tisifuna

E
I

gli

il

il

Tutto

consigliero
gli

amico

popolo, o signore,

amico l'esercito con

sudditi di noi, con tutti

tutti

capi

De' villaggi e di questa inclita reggia

Con tutti servi. Che s'ei resta ancora


Tenacemente nell'irania terra,
i

Davver! che dovrai tu pel regno tuo


Deporre ogni pensieri Meglio che ucciso
Cada il nemico del signor del mondo,
Meglio che d'ogni avverso in gi travolta
Sia la fortuna

Come

ud que' detti

Del sacerdote suo l'iranio prence.

Al nuovo

ei

corse con la mente e nullo

Si die pensier
Si

La

de

comand che

le trascorse cose.

tolta al valoroso

vita fosse, trafiggendo il core


D'estrema ambascia a quella gente sua.

III.

Prigionia di Kobd.
(Ed. Cale. p. 1607-1609).

Quando venne agi'Irani annunzio certo


Che giunto era al suo fin di quel gagliardo
Il

dolce tempo,

lev da tutta

si

La terra intorno per angoscia un grido

E
E

fecero gran pianto uomini e donne


pargoletti. Allor, contaminarsi

Di parole a imprecar
De'

forti

lingue tutte

le

irani e sciolto lor pensiero

Balz nel mezzo, in pria celato. Sdegno


Irania prese e

si

lev tumulto

ciascun l'armi s'apprest di guerra,


Che ciascun si dicea: Poi che perla

Sufry gagliardo, nell'irania terra


Seggio non resti di Kobd
Allora,
!

Cittadini e guerrieri

un

sol

drappello

compatto n per poco mai


Di re Kobd con reverenza il nome
Si fean

ma tutti insieme
correndo ascesero

Vollero profferir,
All'ostello regal

Pel reo calunniator pieni di doglia.

Chiedendo

aita.

quei che appo

il

calunniar fr pronti

il

per

sua sventura

tristo

pensier

Agognarono un

d,

la

sovrano

valoroso

la folla irata

Prese e fuor trasse dal regale


Indi le tracce a ricercar

Di principe Giamsp.

si

Minor

ostello,

diede
fratello

Kobd era Giamspe, un forte


D'altero capo, e re Kobd l'avea
Di re

Nutrito con amor. Lui scelse allora

526

La gente

e in trono il f' seder, gridando


Lui prence e sire, assai benedicendo.
Di ferri poi furono avvinti i piedi
A Kobd, e nessun diessi pensiero
Di suo grado real, di suo lignaggio.

Un

figlio di

Sufry eravi allora

Eletto e saggio e ne' consigli puro,

Anche degno

di lode.

Il

giovinetto,

Scevro d'offese inverso altrui, s'avea


Rezmihr a nome, e il padre suo gi un tempo
Di sua fama gioia. La gente avversa
Die in mano di Rezmihr in ceppi avvinto
L'iranio prence, a lui nemico e avverso.
Perch, nel suo dolor, l'alta vendetta
Di principe Sufry dal re del mondo

Or

si

chiedesse l'amoroso

figlio.

Scevro d'offese inverso altrui, devoto


A Dio signor, la mano sua non volle,
Per fargli offesa, contro al re del mondo

Rezmihr integro sollevar, ma sempre


Dinanzi a re Kobd servendo ei stette.
N ricordo gli fece in alcun tempo
Di sofferto dolor. Meravigliava
Di

Rezmihr giovinetto

il

mondo

re del

a lui benedicea, questa sua scusa

Diceagli ancor:

Luna

La

Avversi a me. Che

mia

stella mia, la

propizia scompigliar que'

tristi

s'io trovassi

mai

Dalle catene libert, ben io

Giovevol

ti

sarei,

garzon

In ogni tua sventura

diletto,

toglierei

Dal tuo bel cor lantico affanno e luce


A' miei occhi darei nella tua vista.

Rezmihr

gli

disse allor:

L'anima tua

Non

crucciar per cotesto, inclito

Che

se

il

padre non

f'

ci

sire.

che dovea

per la sua morte n'ebbe

Oprar per

te,

Soltanto

figlio

il

527

suo doglia e corruccio.

Qual servo a te son io, nel tuo cospetto


Son come schiavo, e se tu a me l'imponi,
Patto con te far per sacramento
Che la tua f non romper giammai.
Dette ch'ebbe Rezmihr queste parole,
Ratto che il prence le ascolt, quel core
Nel petto gli balz per improvviso
Conforto e gioia. Sicurezza allora
L'anima di Kobd ebbe per lui,

Del giovinetto

prudente e saggio
il suo

Alle parole ei s'alliet, che

Alto secreto

gli

aperse e disse:

non vogl'io pensier del core,


E tu sappi, Rezmihr, che il mio secreto
Gelarti

cinque

Fuor

soli

aperto

sta.

Nessuno,

mia voce mai


Deh! chiaminsi qui adunque,

di cotesti, la

Udir pot.

E se bisogno di lor opra noi


Toccasse un d, l'arcano mio pensiero
Tutto a lor disveliam. Che se da' piedi
Mi toglierai queste catene, sappi
frutto s t'avrai dal mio disegno.
Rezmihr, garzon di nobile consiglio,
Ratto che ud, gli tolse le catene
Gravi dal piede, e in quella notte oscura
Uscan dalla citt, scendeano al piano,
Lungi dagli occhi de' nemici, e il viso

Che

Della gente d'Heytl verso

a'

castelli

Volgean correndo, offesi al cor da molte


Cure e pensieri e dell'andar bramosi.
Cos, cotesti sette, ornai perduti

Nella fortuna, rapidi ne vennero

Come nembo ad Ahvz,


Giunsero ad un

poi

camminando

Castel ricco e opulento,

528

Ov'era un duce di gran nome. A quella


Gasa del sire del castello ei scesero

quivi s'arrestar, quivi rimasero

riposarsi a quella volta in pria.

Ma
Una

il

duce del caste! vaga qual luna


avea con un bel serto

figlia si

Di nere trecce in su la fronte, e

Come vedea

di quella figlia

il

sire

il

volto,

Giovane essendo ancor, senta fuggirsi


Dalla sua mente

il

Venne a Rezmhr

Ho

senno, onde, all'istante,


e cos disse:

in secreto per te.

Del villaggio per


Quella sua

figlia

me

Un

detto

tosto, e al sire

dirai se forse

che ha volto

Consorte mia diventa.

Rapidamente

Va

And

e del villaggio al

di luna,

garzone
duca

il

Se alla tua bella


non alcun sposo in terra.
Io qui t'adduco un inclito compagno
Di lei, s che in Ahvz prence sarai.
Il ricco duce del villaggio, allora,
Cos disse a Rezmhr: Non uno sposo
A questa figlia mia leggiadra e vaga;
Ma se alcuno pur qui degno di lei,
tua la potest. Donala adunque
E il giovinetto
A colui che pi l'ama.
Saggio ed accorto al re sen venne e disse:
Il

secreto svel

Figlia,

signor,

Questa fanciulla, qual leggiadra luna,


Di lieto augurio al mio signor deh!

Ratto che

la vedesti, ella

ti

sia.

piacque,

ti piacque come pur l'hai vista.


Prence Kobd a se chiamava allora

Ella

Quella dal volto di Per, la fea

Quel re gagliardo su le sue ginocchia


Posar cortese, e poi che seco avea
Fulgido anello di cui niuno al mondo


Sapea quale

cos disse:

valor, cos gliel porse


Questo mio suggello

il

Serbati, o cara.

Da

529

Verr un

te richieder.

Cos

d che questo
rimase

In quel villaggio sette giorni ancora

Per la leggiadra giovinetta, e poi


Al primo albor part del giorno ottavo.
Della gente d'Heytl sen venne al prence

Kobd

allora e de' trascorsi eventi

Gli f' ricordo e

Avean

gl'Irani a

narr che fatto


pronti ed accinti

lui,

Al male oprar d'un tratto. Oh! per l'offesa


Di Khoshnavz, quel re gli disse allora,
Necessit della tua trista sorte
Cos t'incolse veramente! Or io

Per un patto con


S

te stuol di guerrieri

dar, di cui ciascun

ti

Sovra

chiome un

le

serto.

si

reca
se tu avrai

La tua corona ancor co' tuoi tesori,


La terra di Geghn mi fia compenso
Coi tesori e col seggio. Oh! quel confine

E
E

il

sovrano poter

di

me

saranno,

tu sarai de l'alleanza mia,

Del mio patto, custode.

Kobd

Ricordo far mai

E un

quel superbo

rispose sorridendo: Nullo

quando

di,

Invier per

te.

di quella terra,
il

vorrai, schiera infinita

Che mai

la terra

Di Geghn, perch'io volga a lei lo sguardo?


Poi che feano quel patto i due monarchi

Da

l'eretta cervice, ecco! le porte

prence d'Heytl de' suoi tesori

Schiuse

il

Kobd monete ed armi

die a

e poi

Quarantamila, usi a vibrar la spada,


Prodi gli addisse, tutti eroi famosi

cavalieri. Scese allor

FlKDtTSI, VI.

da quella
34


Terra d'Heytl

530

ad Ahvz munita

fino

L'iranio prence, e gi di tal novella

Pieno era

il

mondo

in ogni suo confine.

Ritorno

IV.

Kobd.

di re

(Ed. Cale. p. 1609-1611).

Come giunse vicino alla dimora


Del sire del villaggio, ecco! vedea
Prence Kobd per l'ampia via dispersa
Tutta la gente che giocondo annunzio

lui

Un

recava: Sia cagion di gaudio

pargoletto al nostro re! Nascea

Simile a

signor, quel figlio tuo

te,

In questa notte, e da la bianca luna


Anche per poco scerner noi potrai
In tanta sua belt.

Come

Venne, gioioso in core, a


Prence Kobd, e ratto e

Nome

di

Ksra

ci intese.

quell'ostello
in quell'istante

al fanciullin fu imposto.

Del villaggio al signor cosi

Kobd

allora:

Origin

tieni,

o fortunato ?

Cos rispose:

Che rap
La regia

Da chi mai

al

f'

inchiesta

tua

la

quei

Da Fredn gagliardo
seme di Dahk protervo

dignit. Cosi a

me

disse

padre mio, la madre mia puranco,


E del cielo invochiam benedizioni
Pi assai
In ogni tempo a re Fredn.
Il

Gio

Kobd

corona imperiai

la

alle parole

Egli apprestossi

si

sue
cinse.

un palanchino

allora

scese nella via; nel palanchino

Sedea del re

l'inclita

sposa, e intanto


L'esercito

Pieno

ei

men ver

d' un'ira

Degl'Irani

53i

Tisifuna,

cor per

il

Oh!

ribelli.

l'alta offesa

ma

in Irania

prenci sedean pi vecchi e sperti


Co' saggi tutti pi famosi intanto
Tutti

sommessi dicean: Deh! che ben lunga


faccenda per noi fra due regnanti,
Ora di Gina
Fra. due prenci superbi
E di Grecia pur anco una falange
Verr nemica, e molto sangue in questa
Deh! prenci,
Frontiera nostra verser.
Disse un dell'assemblea, che alta levate
!

ciel la fronte, eroi, prodi

Al

campioni.

Andarne a re Kobd qui vuoisi omai


Per ch'ei le cose gi trascorse e viete
Pi non ricordi. Anche si meni a lui
Giamspe,

Perch

anni garzoncello.

di dieci

ratto ei converta in perle a noi

L'atra gragnuola che dal ciel minaccia.


Forse noi da rapine e da fraterno

Sangue versato

Ad

e da battaglie e

Kobd ne andaron

Cosi a prence

tutti

dissero: Signor di regia stirpe.

Se per

te di tue genti

il

cor traftto

Andava un giorno e furon


Contaminati da

Qual pi
Il

liti

altre cure volgeremci ancora.

stoltizia,

che

occhi e

il

core

compi del tuo core

t' caro,

desiderio,

gli

or tutto,

il

signor del

mondo

Correndo
Governa il mondo in suo poter.
lui.
dinanzi
a
pie
a
Cos vennero
Sparsi di polve

Ma

l'inclito

il

crin,

con alma

fosca.

signor de' prenci tutti

le peccata e f' che intanto


Scusa passasse del versato sangue.
Anche a Giamspe il suo perdon concesse,

Condon

grandi

gli

532

applaudian benedicendo,

Ed ei venne frattanto e sul regale


Trono si assise; poi che a lui fedele
Era Giamsp qual servo, ogn'alta cura
Dell'ampio regno a Rezmihr giovinetto
Affid intanto e

f'

il

sedere innanzi

Al suo cospetto. S'ordinava allora


Il dominio de' re, che di ricchezza

pieno il mondo.
che grande e forte
Ksra divenne e fecesi garzone
Ardimentoso e di gran cor. Ma il padre
d'opre giuste

f'

si

fu cotesto, fin

A' maestri affid quel figlio suo,


Virente ramoscel d'una gran pianta,

Nato a recar giocondi frutti, e poi


Tutte d'Irania e di Turania ancora
Pose in ordin le cose e salse intanto
La sua corona di regia grandezza
D'un tratto fino al cielo. Indi menava

Le genti

in Grecia, e. quella terra fue

Lieve a pigliar come di cera globo,


Si che un deserto di cardi e di spine
Ei f' de' campi. Chiesero da lui
Grazia e perdono due citt frattanto,
Hindia per prima, Farikin seconda,
E il nobile signor del Zendavesta

quelle genti la dottrina apprese

la

sua fede l fond. Gostrusse


Del Fuoco un tempio nobile ed ingente

Su quel confine e

la festa v'indisse

Del primo di dell'anno giovinetto


E di Sadh. Madyn munita e forte
F' residenza de' regnanti, e quivi
E bene e male sparse intorno assai,

E d'Ahvz
Eresse una

fino al suol di Persia


citt,

posevi loco

amena


tjli

533

egri per ricovrar.

Kobd sovrano

Ersh quella citt chiamar si volle,


Cui posero d'Holvn gli Arabi il nome
Ai nostri tempi. Da ogni parte in essa
Fu aperto, pieno d'acque, un ruscelletto,

E fu di pace e di riposo a un tratto


Loco propizio quella terra amena.

V.

Venuta

di

Mazdak.

(Ed. Cale. p. 1611-1613).

Facondo

parlator, di sapienza

e d'alte voglie.
Tale sen venne allor (Mazdk il nome),
Uom di gran pregio, venditor di molta
Scienza arcana, e re Kobd ardito
Orecchio gli prest, s ch'ei ministro
di consigli ricco

Del re de' regi e de' tesori suoi


Custode e dispensier divenne a un tratto.
Scarso era allora per la terra tutta

in

Per

mezzo a prenci e in mezzo a servi


Su per gli spazi

il

pane

fiera siccit.

Ampi

del ciel sparite eran le nubi

Carche di neve, e per l'irania terra


Nessun veder potea piogge o nevischi
In alcun tempo. I principi del mondo
L su le porte di Kobd regnante
Acqua e pane chiedean. Mostrer il prence,
Disse a quelli Mazdk, sentiero a voi
E corse e alla regale
Con nuova speme.

Presenza venne e questi

Re

detti fea:

saggio e accorto, una parola sola

Fra tante cose

di

quaggi vogl'io

Inchiederti, se pur risposta rendi

Per alcun

534
poco. E re Kobcl,

In favellar, Parla,

gli disse,

Onor pel mondo rinnovar ti


Morso da un angue tal,

esperto

mio

il

piaccia.

disse colui,

gi l'anima sua dal corpo affranto

Apprestasi a volar. Possiede un altro

Un balsamo gagliardo, e di quel balsamo


Parie non ha chi s'ebbe il morso. Or dimmi
Uomo cotal che mai si merli, pondo
Allor ch'egli ha di dieci

Di balsamo gagliardo?
Risposegli

il

dramme

Un

e dieci

omicida,

Kobd prence sovrano,

possessor del balsamo, e fa d'uopo.

Pel sangue di cotal ch'ebbesi

morso,

il

Ucciderlo pur qui nella mia reggia.

Ratto che in poter suo l'abbia quel

Che per
Che ud

nemico.

l'offesa gli

cotesto,

si

grama

Allora

lev colui

Dal cospetto regal, sen venne a quelli


Chiedenti aita e cosi disse: Dogni

Cosa inchiesta fec'io dal nostro prence.


Deh! s'attenda per voi fin che dimani,
Al primo albor, diritta vi dimostri

giustizia la via.

E tornavano
Tornavano

Come da

Partiano

poi sul

quelli

primo albore.

dolenti e al cor trafitti.

lungi que' gagliardi

ei

vide,

AU'iranio signor dall'erme soglie

And Mazdk e disse


re che invitta
Hai tua fortuna, o accorto ed eloquente
E ornamento del trono, una parola
Io gi ti dissi e destimi tu pure
:

La risposta, e la porta, chiusa in pria.


Con tua risposta mi facesti aperta.
Se vnia a

Che

ti

sia

me

sar, dir parola

guida.

Oh

parla,

il

re

gli disse,.

535

Non chiudere le labbra! Ogni parola


Famoso prence,
giovevole a me.

Disse Mazdk, se con ben fermi ceppi

Tu alcuno

avvinci ed altri

gli

sottrae

muor, l'anima dolce


Nella distretta abbandonando, quale
Qual sar pena di colui che il pane

Suo cibo ed

ei

si

Dell'infelice ritenea, lasciandolo

Dispetto e vii ne' ceppi suoi?

Che

fia?

Forse che a me dir che sapiente


E accorto era costui, l'inclito sire?
Tristo quel corpo, re

Kobd

rispose,

Gh, omicida colui; gli pesa intanto

Sulla cervice l'opra sua malvagia

Ben che non

fatta di

sua mano.

Un

bacio

Sulla terra stamp, ratto che udia,

Mazdk allora, e fiero abbandonando


La presenza regal, nell'aula entrava
E al popolo raccolto, Ove, dicea.
Trovasi grano ancor nascosto, voi

Andate

tosto, e prendasi ciascuno


Parte di quello, e se qualcun dimanda
Prezzo per oro, al suolo il calpestate.

Cosi quant'era l raccolto, in quella

Regal

citt,

Mazdk

Perch ciascun

la

disperse allora,

parte sua togliesse.

Corse ciascun ch'era affamato, e venne


grano a saccheggiar tra le provviste

Il

ne' granai de' cittadini e in quelli

Di re

Kobd non and lieto alcuno


un grano di frumento.

D'allora in poi d'

E i ministri del re che ci vedeano,


Corsero a quel signor dell'ampia terra
Vigile e accorto e dissero: Dispersa

Han quelli del re nostro ogni granaia,


E ne ricade su Mazdk la colpa.

536
Prence Kobd colui del dire esperto
Chiamossi allora e

f'

parole seco

Di tal rapina, e quei rispose: Lieto

Esser tu possa, o re! sia l'alimento


Alla saggezza tua parola acconcia!
Le cose clie ascoltai dal mio signore,

Placidamente

Che

a'

mercatanti

io dissi.

in pria cos, dinanzi al re sovrano

Di questa terra, favellai del serpe


E del veleno e di colui che parte

Del balsamo s'avea. Questa risposta


A questo servo il principe rendette
Intorno a quei che il balsamo serbava.
Intorno a quei che il balsamo valente
Ghiedea pregando, e disse Ove si muoia.
Da un angue ucciso, alla citt qualcuno
E non tocca del balsamo dell'altro
Alcuna parte, cerchisi la pena
Del sangue da colui tristo ed avaro ,
E vile non si pu l'opra sovrana
Di principe estimar nel suo comando.
Se ha fame alcuno, antidoto alla fame
il pane inver, n cercasi rimedio
Di balsamo colui che va satollo.
:

Che

se giusto sei tu, signor d'Irania,

Vedi che in nulla ne' granai celato


Il frumento a te giova. Ecco
son morti
Tanti che fame avean; trasseli a morte
Il granaio regal che stava inerte.
Prence Kobd, alle parole sue.
Ebbe in angustia il cor; dietro a que' detti
!

giustizia voltati, egli la

Abbandon

sue dimande a lui


Vide che l'alma.
core di quest'uom pregnanti

D'allora in poi,

f'

le risposte ud.

Vide che

il

mente

precipitoso, e intanto,


Eran

537

di detti e di sentenze, quali

Disser profeti e giusti sacerdoti

E sapienti un d. Smarrasi allora


Per le parole di Mazdk il prence,
E andavano parole intorno a lui
Da misura di l. Turba infinita
Adunavasi intanto, e pel profeta
Molti senza sentier che li guidasse,
Traviaron per lui. Quale pi ricco,
Dicea Mazdk, di contro egli ha il tapino
Uguale e pari a lui. Che pi possegga
Alcuno in terra, pi non lice, e il ricco
Esser debbe la trama e il poverello
Esser debbe l'ordito. Uguale in tutte
Le cose di quaggi facciasi il mondo,
E di ricchi opulenza ingiusta e vieta
Cosa si estimi. Assegnar case e donne
E ricchezze ad altrui qual suo possesso,
Licito pi non , che il ricco e il gramo
Sola una cosa in terra sono; ed io
Tanto far che questo con la santa
Religi'on s'accordi e

il

basso e

l'alto

Discernere possam veracemente.

Chi

poi,

qualunque

ei sia,

che in altra fede

Posi da questa mia, da Dio signore

Abbia anatma qual perverso Devo!


fosse vecchio o garzoncello fosse.
Ogni gramo e tapino era per lui
Una sol cosa, ed ei prendea da questo
E dava a quello, e sacerdoti intanto
Avean di lui gran meraviglia. Allora
i

Che

ud

Nella

Kobd queste novelle cose.


Mazdk entr voglioso

f di

del suo dir nel viver suo fu lieto.

Anche seduto

la

a la sua destra il volle,


gente frattanto ove mai fosse


Il

538

sacerdote non sapea del prence;

Ma

qual era tapino e meschinello

chi per faticar

si

Il

pane d'ogni

venia bramoso

Di

Mazdk

d,

procacciava

nel cospetto.

gi pel

mondo

Vigor prendea la sua novella fede


E ninno di cercar si ardia nel core

Pena o castigo di colui; ma il ricco,


Abbandonando ogni possesso suo
Liberamente a un tratto, a' poverelli
In potest, quanto

si

avea, lasciava.

Castigo di Mazdak.

VI.

(Ed. Cale.

p. 1613-1616).

Avvenne un di che al primo


Mazdk profeta innanzi, da sue
AU'iranio signor. Molti, egli
Devoti a nostra

albor venia
case,

disse.

f, soggetti nostri

D'intatto e puro cor, prenci nel mondo.

Stanno a

Porsech dovremo
andar dovranno ?
Allora

le porte.

Accrgli tutti

Che di Mazdk uda questa parola


Prence Kobd, f' cenno al maggiordomo
Che l'accesso ei donasse. Angusta, o prence,
Disse Mazdk al nobile signore,

questa casa,
N veramente

e quella turba grande.

qui potra nell'aula

Deh scenda gi nel piano


prence e a quelli si riguardi ancora!
E comand che il seggio imperiale.
Re Kobd, fosse tratto da la reggia
Al piano aperto, e di fedeli intanto
Contenersi.

Il

profeta

Mazdk ben centomila

539

In quel piano scendean, venan gioiosi


Al lor prence e signor. Mazdk allora
Dell'ampia terra cosi disse al prence:
Deh! tu che avanzi ogni sapere in terra

Ed ogni lode,
Che in nostra

Come

sappi tu, signore.

fede

non Kisra. Or dunque

potr la fronte sua ribelle

nostra

f'

volger colui? Qui vuoisi

Scritto foglio ottener dalla sua

Che volga a

Quella sua mente. Volgesi

Per cinque cose da

A
E
E

mano

dietro dalla via del


il

male

mortale

giustizia, e

il

saggio

queste cinque nulla aggiunger puote.


son l'ira e l'invidia e la vendetta
il

bisogno, e la quinta quella invero

Ambizion che vince

l'altre.

Allora

cinque vincerai Devi maligni,


Chiara ed aperta ti sar la via
Del Re dell'universo. Or, per coleste

Che

Cinque cose congiunte,

Menano

alta iattura

in terra a nostra intatta fede

Ricchezze e donne, e per vuoisi ancora


Porre l in mezzo, libero possesso.
Donne e ricchezze, se pur vuoi che danno

Unqua non venga a nostra intatta fede.


Per coleste due cose, invidia nasce.
Bisogno, ambizion, fidi alleati
Di corrucci e vendette. Ecco! sconvolge
Mente di saggi un Devo, ed in comune

Vuoisi per lasciar quelle due cose.


Poi che detto fu ci, la mano ei prese
Di Ksra e ne stupia d'Irania bella
Il re sovrano. Ma con ira e cruccio
L'inclito giovinetto a s ritrasse

La mano e con disdegno gli occhi suoi


Rivolse da Mazdk. Ridendo allora

540

Cos disse KolDd al suo profeta:


Di Ksra della f che vai pensando

Mazdk

rispose:

La

diritta via

non segue nell'intimo del core


nostra f' non appartiene.
Allora
F' il prence a Ksra tal dimando
Vai
Lungi da nostra f ch' intatta e pura!
Quale dunque tua via?
Quand'io mi tocchi,
Ei

E a

Rispose Ksra, spazio alcun di tempo,


Ben dir quale trista e tortuosa
Opinion. Ma quando manifesto

Sar falso veder con la menzogna.


Splender innanzi a me soltanto il vero.

Tempo di giorni qual vuoi tu, dicea


Mazdk al prence, dal monarca illustre
Ch' luce al mondo? E Ksra allor: Di cinque
Mesi chieggo lo spazio; al sesto mese
Tutte al mio prence sveler le cose.
Elli in ci

Ai loro

convenan, poi ritornavano


ed a sue stanze intanto

ostelli

Quel re n'andava d'eretta cervice.


Ksra inviava in ogni parte allora
Uom che saggio ei vedea, pronto al soccorso
In tutte cose, e quei ne

and a quell'incUta
Maest d'Ardeshir, citt famosa,
Perch venisse al regio ostel con seco
Hormzd vegliardo, e da Istakhr pur anco
Venisse al l'egio ostel con trenta suoi

Compagni e sozi Mihr-azr di Persia.


Sedean que' saggi insiem, s che ne andavano
Parole molte e d'ogni sorta intorno
A cose varie, e una sentenza poi
Tutti concordi i savi antichi e illustri
Affidarono a Ksra. Allor che intese,
Venne a Kohd il giovinetto e tosto
F' di Mazdk ricordo. Or gli venuto


Propizio tempo,

ei disse,

Fede ricercher.
Il

vero alberga e

Cade

541

in cui la

vera

Glie se in costui
di

Zerdsht

la fede

in difetto, la sua legge tutta

Accoglier, scerr per l'alma mia

Ci ch'ei trascelse.

La via

si

Ove mendace e rea

mostri di Predn o quella

D'Esdra o di Cristo, ovver del Zendavesta,


E se acconcia verr parola detta
Da Mazdk, si davver! ch'ei solo in terra
Esser guida

ci

dee!

Ma

se

menzogna

Ei parla e dell'Eterno alla diritta

Via non
Esci,

si

volge ricercando, fuori

signor, della sua f dal calle.

Libero e sciolto, e lungi da te poni


La legge sua non bella. A me l'affida

Con quanti son della sua f. Non resti


Per le membra d'alcun cuoio o midollo!
E Rezmhr e Kharrd f' testimoni,
Ferayn e Bend}-, Bihzd ancora,
di l si torn, fermo guardando
Il veridico patto, alle sue stanze.
Quando al mattin de' raggi la corona

Mostr quest'almo sol, quando la terra


Tutta splendette qual pur fosse un mare
Di bianco avorio, del signor del mondo
il figlio eloquente, ed eran seco

Venne

Principi e sacerdoti. Entravan elli


Insieme tutti nel reale albergo,

Entravan tutti con parole pronte


E cercando lor via. Quel giovinetto.
Gioia del cor del padre suo, sen venne

re Kobd in la presenza
La porta apri delle parole,

e quivi
e intanto.

Dinanzi all'assemblea, cosi si volse


A Mazdk favellando, il sacerdote:

Uom

che

Religion

ti

cerchi sapienza, nuova


alla terra e in

mezzo,
Qual possesso d'ognun, ricchezze e donne
Ponesti ancor. Qual cosa mai potria
Far conoscere il padre allor che ha figli,
E figlio come mai scerner potria
fasti

L'autor de' giorni suoi ? Quando son pari


Gli uomini in terra e principi da servi
Manifesti non vanno, oh

Che cerchi

mai

chi

fia

del servir la trista porta,

sovrano poter come

Esercitar? Di me, di

fia

te,

dato

chi

fia

Addetto servo, e per qual modo il reo


Fia distinto dal giusto? E se alcun muore,
A chi il possesso e la sua casa, allora
Che il servo all'opre addetto e il re del mondo
Pari fra lor saranno? Oh! tutto il mondo
Deserto andr per le dottrine tue,
vuoisi inver che tanto mal s'innesti

In suol d'Irania. Prenci tutti e donni!

Chi per mercede servir? Tesori


Posseggon tutti, e tesorier chi fia?
Davver! che queste cose alcun non disse
De' profeti d'un di; ma tu del core
Annidi nel profondo alta stoltizia.
Meni la gente all'infernal dimora
E le opere pi ree non stimi ree
Del sacerdote come ud que' detti
!

Prence Kobd, ben

si

F' giustizia a que'

detti,

commosse e
e a

ratto

lui frattanto

s'alle. Ma il core
privo di f d'alto corruccio

Kisra valente
Dell'

uom

Rendeasi ingombro e l'assemblea raccolta


Di queste voci in ogni parte sua
Faceasi piena: Deh! non resti accanto
Al re nostro Mazdk Di Dio la santa
!

543

Religione egli distrugge! Oh! mai


non dimori

In quest'inclita reggia ei

Alla f di

Mazdk

ebbesi allora

Animo avverso de la terra il sire,


E piena di corruccio era la mente
tutti. A Ksra il gran monarca
Abbandon quel suo profeta e quanti
Avean tal fede e cotal legge, ed erano

De' prenci

Di tal

religi'on,

tra

pi famosi

De' prenci suoi, tremila. Ecco! dicea


L'iranio sire al figlio suo, farai

Ci che pi vuoi di questi prenci e motto

Di profeta

Mazdk non farmi

In alcun tempo.

Nel

Di Ksra giovinetto era


Di cui le

mura

poi

regale ostello

un giardino

pi d'assai del volo

S'ergean de' corvi su pel cielo. In giro


Ei vi condusse una gran fossa interna
E la rea gente vi dispose attorno

Qua

e l dispersa.

Come

tronchi d'alberi

Gi nella fossa fr piantati i rei


Co' piedi in alto, con la testa in basso
Forte laggi sepolta, e Ksra intanto

A Mazdk

si

rivolse. Entra, gli disse;

Dell'ameno giardin varca il recinto.


Della semenza che gittasti, o folle.
Ai nostri d, ti si d frutto. Piante
L tu vedrai che mai non vide alcuno,
E quali ei non ud da sapienti
Di tempi antichi ricordar.
Ne andava

Mazdk

allora e del giardin la porla

Schiudea bramoso per veder negli


Alberi nati a recar frutti; e allora

orti

Che l'orrendo spettacolo scoverse.


Mente e sensi fuggian da quel meschino

voce

di dolor gli usc dal labbro.

544

Ma Kisra comand che un alto legno


Fosse rizzato e d'alto ne pendesse
Un laccio attorto. Vivo allor quel misero,
Di cui precipitava la fortuna,
Al tronco appese e il capo suo protervo.
Empio ed insano, in gi travolse,
Con un nembo di dardi a morte

e poi
il

trasse.

Religione d Mazdk, se fiore

Di senno hai
I

tu,

non prendere

Ma

intanto

prenci tutti dell'irania terra

Sicurezza

E per
Per

re

avean per
donne e per

si

lor

figli,

lor giardini dilettosi e belli,

Kobd

senta vergogna e solo

Per imprecar del nome


Di

lor possessi
lor dolci

Mazdk

infelice.

Ai miseri don,

fea ricordo

Ei molte cose

mand

suoi doni

Splendidi e ricchi ai templi anche del Fuoco;

tanto s'alliet per Kisra

prence,

il

Che ben tosto a portar venne suoi


Si come gemme, l'inclito rampollo

frutti,

Della pianta regal. Tutti con seco

Suoi consigli tratt d'allora in poi.


Ci che

il

garzon diceva,

VII.

Morte

di re

il

padre uda.

Kobd.

(Ed. Cale. p. 1616-1618).

Poi che del regno suo furon quaranta


Gli anni trascorsi, entrgli in core ambascia

Del d del suo morir. Scrisse un'epistola


Inclita e bella in

un

serico foglio,

In cifre di que* di, toccante

E degna

il

core

e acconcia, e lodi in pria vi fece

545

Dio giusto e verace, a lui che diede


e la f co' pregi tutti

La prudenza

Dell'alma nostra.

v'ha dubbio,

si

ci ch'ei dice, vero,


fa,

per via segi-eta

manifesta; e niun di Dio nel regno

Vede

principio,

n spregiato o abietto

quei che Iddio scegliea. Colui che vede

Le cifre di Kobd, nulla si accolga


Fuor che retti consigli entro la mente,

noi frattanto

Ksra abbandoniam che

il

seggio imperiale
si

n' degno,

Ch'egli sar, dopo la morte nostra.

fortunato regnator. Deh! piacciasi

Il

Iddio sovrano d'esto figlio mio,

di scompiglio e di

Sia

'1

spavento pieno

cor de' suoi nemici

Or

noi,

per questo

Suggello imperiai, questo cerchiamo


Da' sacerdoti e da' principi tutti

E da' soggetti: Del comando suo


Non perdasi da voi parola alcuna,
Per

lui gioite

ed

il

tesor colmate .

All'epistola sua d'oro

un suggello

Ei pose e l'aflad con dolce cura

sacerdote Ram-Berzin.

Erano

gli

Ma

intanto

anni di Kobd sovrano

Ottanta, n per gioia del

tempo

Chi mai
Del suo morir sua vecchia et.
Gioisce qui della sua morte? Quale
Esito sia del viver suo tapino,

Alcun non vede.

E
La

mora quel prence,

restava di lui nobil retaggio


signora dell'ampia terra, e intanto

Perdevansi con

lui tanto travaglio.

Tanto piacer, del viver suo la gioia,


Deh! chi raccoglie
L'altezza e lo splendor.
Buon frutto mai dal ricolmar tesori,

FiBDOSi, VI.

35


Se con vuote

Da questa

546

man

le

terra poi

Prence frattanto

partir

Ma

la gi

Fu d'un ammanto
E muschio intatto

si

dee

dell'estinto

fredda spoglia

ricoperta, e rose

e canfora lucente

Con dolce vin fr

le richieste cose
Pel rito funeral. Nohil sepolcro

Fu eretto allor d'imperiai costume


E d'auro un trono vi fu posto e un
Nobile ed

Poser l'estinto sire ed in eterno


Ghiuser l'accesso alla sua tomba.
Di re

serto

Su quell'aureo trono

alto.

volto

Il

Kobd non videro pi mai

Da quel giorno

viventi. Egli passava

Rapido come nembo in su la terra,


Detto avrest. Deh! perch dunque tanta
Hai sicurezza in cor per questa volta
Del cielo antica? Il giorno tuo supremo
Ella t'appresta, ne da ci v'ha scampo.
Poi che libero alfln dal grave lutto
Per l'estinto signor fu il sacerdote.
L'epistola regal sul seggio ei pose

Del re novello, quando gi d'intorno


Co' sacerdoti s'adunavan tutti

D'Irania

prenci e co' famosi saggi.

L'epistola regal nell'assemblea

Fu

letta allora e

con

Kobd

Alto levato di

letizia in

trono

l'erede.

Poi che sedette sul novello trono

Principe Kisra, l'appellaron

Novello

sire.

Benedicendo

tutti

Lui gridar signore


i

grandi insieme, e

il

fato

comando
Rinnovato il mondo

l'ampia terra al suo real

Andar

soggetti.

Fu per la gloria di quell'alto seggio,


E ad un sol rivo insiem lupi ed agnelli


Beveano

intanto.

547

Oh! viva in sempiterno,

Tutti dicean, questo gran re!

La sua

Maest imperiai superi e vinca


Per quella
Di re Gerashd la maest
Sua bont grande e per la sua giustizia,
Pel nobile costume e per la sua
Alta scienza e per l'intatta fede,
Di prence Nushirvn l'inclito nome
Gli die la gente, che novello amore
Egli mostrava con poter novello.
Di re Kobd or giunge al termin suo
!

Scritto

il

volume. D'ora in poi del nome

Di prence Kisra farem noi ricordo.

INDICE
re Ashkni.

I.

II.

....

Principio del racconto.

Sogno

Bbek

di

III.

Nascita di Ardeshir Bbekn

IV.

Fuga

"V.

di

Ardeshir con Gulnra

pag.

Persecuzione di Ardevn

VI. Vittoria di Ardeshir e morte di

Ardevn

VII. Guerra coi Curdi


VIII.

Leggenda

di

Heftvd e del verme

IX. Spedizione di Ardeshir contro di Heftvd

X. Uccisione del verme

di

Heftvd

XI. Morte di Heftvd

1.

I.

II.

Il

re Sassanidi.
re Ardeshir Bbekn.

Avventura
Ardevn

di

Ardeshir con

la

Nascita e riconoscimento di Shpr


di

Mihrek

la

figlia

69
75

di

...
....
....

79
82
87

102

V. Nascita di Ormuzd

VI. Riordinamento del regno


VII. Lodi di re Ardeshir
di re

63

figlio

Ardeshir

Messaggio a Kayd l'indiano


di Shpr con
IV. Avventura

Morte

di

pag.

III.

Vili.

figlia

Ardeshir

IX. Lodi di Dio e del sultano

105

Mahmd

114


3.

550

Undici re Sassanidi.

....

I.

II

re

Shpr

II.

II

re

III.

Il

re

IV.

II

re

V.

II

re

Ormuzd
Behrm
Behrm
Behrm

VI.

II

re Ners

VII.

Il

re

123

Ormuzd
figlio di Behrm
nipote di Behrm

figlio di

132

Nersi

figlio di

Shpr

IX. Rapimento della

figlio di

figlia di

Ormuzd

Nersi

X. Presa del castello


XI. Andata di Shpr in Grecia
XII. Fuga di Shpr
XIII. Riconoscimento di re Shpr
XIV. Assalto notturno di re Shpr
XV. Guerra di Shpr con Ynus
XVI. Conclusione della pace
XVII. Venuta di Mani
XVIII. Morte di re Shpr

XXI.

II

di

Ardeshir

re

Shpr

figlio di

re

Behrm

3.

I.

II.

III.

Il

figlio

147

152

5>

155

173

184

191

195
199

Shpr
di Shpr

201

204

'pag.

207

re Yezdeghird.

Principio del regno di Yezdeghird

Nascita di Behrm-gr e sua educazione

Behrm-gr
V. Carcerazione di Behrm-gr
VI. Morte di Yezdeghird
.

VII. Elezione del re

209

...

Prodezze di Behrm-gr alla caccia

IV. Ritorno di

220

225

230
234

...

238

247

255

Venuta di Behrm-gr
IX. Parlamento di Behrm-gr e degl'Irani
X. La corona reale raccolta fr i leoni

VIII.

145

181

II

142

170

XX.

161

XIX. Reggenza

136

138
139

Ormuzd

Vili. Nascita di

pag. 117

Shpr

figlio di

240


4.

I.

li.

III.

551

re Behrm-gr.

Il

pag. 265

Principio del regno di Behvm-gr

Mundhir e di Nomn
Avventura di Lanbek acquaiolo

Partenza

di

....

Abraham giudeo
Behrm

coi leoni

IV. Battaglia di

VI.

Vili.

Avventure delle

285

290

294

301

...
...
...
....
...

Gemshd rinvenuto

tesoro di

11

mugnaio

figlie del

274

villaggio distrutto e iicdifcato

Il

di

V. Avventura del giovane calzolaio

VII.

IX. Avventura del mercante

X. Uccisione

di

un drago

XI. Richiesta delle

figlie di

Avventura
XIV. Avventura

XV. La
XVI. La

Fershd-verd

di

XIX. Lettera

XX.

di

Cina

di

316

il

Behrm

339
357

362

368

377

383

Turan

392

395

Behrm-gr a Ners

di

Avvertimenti

314

confine segnato fra l'Iran e

II

caccia degli onagri

XVII. Guerra del principe


XVIII.

dello estirpator delle spine

caccia dei leoni

307

Berzin borgomastro 328

XII. Avventura del gioielliere


XIII.

260

401

agli ufiSciali

XXI. Udienza del messaggiero dell'Imperatore 409


XXII. Partenza del messaggiero
415
XXIII. Andata di Behrm-gr presso Shengul
.

421

in India

XXIV. Prodezze

Behrm-gr

di

corte

alla

di

Shengul

XXV. Un

431

lupo e un 'dragone uccisi

XXVI. Nozze

Behrm-gr con

di

la

figlia

Shengnl

XXVII.

XX Vili.

Lettera dell' imperatore di Gina

Fuga

Behrm-gr con

di

Riconoscimento

XXX.

Venuta

di

XXXI. II tributo
XXXII. Chiamata
XXXIII. Morte

Behrm-gr
re Shengul con altri
di

condonato

Behrm-gr

445
449

453

458

...
...

dei musici da piazza

di re

J|

la figlia 'di re

Shengul

XXIX.

438

di

sette re

465
472

478
482


5.

552

Quattro Be Sassanidi.

I.

11

re Yezdeghird figlio di

li.

11

re

III.

11

Behrm-gr pag. 485

Hormuz

re Prz

....

IV. Guerra coi Turani

11

Vili. Battaglia di Sfry e

1.

11.

Kobd

Parole di Kobd
Disgrazia di Sfry

Kobd
Kobd
V. Venuta di Mazdak
VI. Castigo di Mazdak
VII. Morte di re Kobd
III.

Prigionia di

IV. Ritorno di

492

497

500

re Balsh

Khoshnavz
di Khoshnavz

VII. Lettere di Sfry e di

6. Il re

487

489

V. Battaglia e morte di Pirz


VI.

figlio di Prz.

502

507

PK
64.56

I8P5
V.6

Ferdowsi
II libro dei re poema
epico

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