Sei sulla pagina 1di 30

Sparta e i Sudisti

nel pensiero di
Maurice Bardche

La figura di Maurice Bardche


maledettamente scomoda ancora
oggi, a diversi anni dalla sua
scomparsa (avvenuta nel 1998;
era nato nel 1907); la sua una di
quelle figure talmente scorrette
politicamente, che quasi
impossibile parlare di loro nel
salotto buono della cultura francese, in questo caso; e ancora
pi
difficile

parlarne
serenamente, senza prestarsi al
gioco di un revisionismo che non
si propone di riportare in luce
verit nascoste e dimenticate, ma

che si esaurisce tutto in chiave


nostalgica e reazionaria.
Cognato di Robert Brasillach,
fucilato al termine della seconda
guerra
mondiale
per
aver
collaborato coi nazisti; allievo di
quel Charles Maurras, che il Nolte
ha giudicato, insieme a Hitler e
Mussolini, la pi rappresentativa
figura del fascismo a livello
europeo; fermo sostenitore del
governo di Vichy e della politica
del maresciallo Ptain: tutto
questo e altro ancora stato
Maurice
Bardche,
saggista,
giornalista e critico darte di

levatura
nazionale
e
internazionale,
ma
fascista
impenitente, che si firmava
appunto come scrittore fascista.
Avendo votato la sua vita, dopo la
Liberazione (o sedicente tale), alla
riabilitazione della memoria di
Brasillach - la cui esecuzione
aveva definito un assassinio
legalizzato - e, in genere, alla
riabilitazione
del
collaborazionismo di Vichy e del
fascismo in quanto tale, dovette
subire lostracismo della cultura
ufficiale e fondare una propria
casa editrice, per mezzo della

quale condusse una battaglia


incessante per diffondere i suoi
ideali.
Egli ebbe il coraggio di fare
apertamente quello che altri
fecero un po di soppiatto o che
addirittura rinnegarono: continu
a professare i valori di un tempo e
non venne mai a patti con
lideologia dei vincitori. Non
intendiamo qui fare lapologia
delle sue idee, anche perch ogni
apologia una operazione
supremamente stupida in se
stessa; ma rendere doverosamente
atto
della
sua
coerenza

intellettuale e della sua onest


civile.
Come storico e saggista, fu tra i
primi a contestare la legalit del
processo di Norimberga e a
mettere in dubbio il diritto
giuridico e morale dei vincitori di
ergersi a giudici dei vinti, magari
per dei reati che, allepoca dei
fatti, non erano considerati tali in
nessuna legislazione del mondo;
cos come fu uno dei primi a
parlare in termini critici della
distruzione di Dresda e delle
esecuzioni sommarie avvenute
dopo la Liberazione, da lui

equiparate a crimini di guerra. Fu


pure multato per essersi occupato
dellOlocausto in una forma
vicina a quella di Robert
Faurisson, che non piacque alla
Vulgata
democratico-resistenziale, la sola
ufficialmente ammessa. Venne
inoltre condannato a un anno di
prigione per apologia dei crimini
di guerra ed usc solo perch gli
venne concessa la grazia dal
Presidente della Repubblica, Ren
Coty.
Come presidente del Movimento
Sociale
Europeo,
coagul

esponenti della destra europea


quali Oswald Mosley, ex capo dei
fascisti
inglesi,
il
tedesco
Karl-Heinz Priester, lo svedese
Per Engdahl e litaliano Ernesto
Massi. Concentr poi la sua
attenzione
di
studioso
sullesperienza della Repubblica
Sociale Italiana (che, da noi,
tuttora considerata alla stregua di
una
misera
e
sanguinaria
appendice
del
Ventennio,
consumatasi
allombra
del
tedesco invasore e quindi come
tipico
esempio
di
Stato
collaborazionista fantoccio), e ne

fece la base per una sua rinnovata


proposta politica, che egli stesso
denomin
fascismo
perfezionato.
N ha giovato alla sua fama o alla
sua memoria il fatto che, dopo la
sua scomparsa, a tesserne lelogio
sia stato Jean-Marie Le Pen, capo
del Fronte Nazionale Francese e
considerato dalla cultura politica
progressista nientaltro che il
leader di un partito xenofobo e
reazionario.
Nel suo saggio Sparte et les
Sudistes (Les Sept Couleurs,
1969; traduzione italiana di

Orsola Nemi col titolo Fascismo


70. Sparta e i Sudisti, Edizioni
del Borghese, 1970, pp. 81-86),
egli cos sintetizza il proprio
pensiero politico:
Insegnare di nuovo agli uomini il
gusto e il rispetto delle qualit
umane, ricondurre la vita e le
anime verso il corso naturale delle
cose, ecco le due massime che
dovrebbero
guidare
quanti
pensano che luomo pu ancora
mettere il morso al cavallo che gli
ha preso la mano e che noi
chiamiamo la nostra civilt.

Quella che io chiamo SPARTA


la patria in cui gli uomini sono
considerati in ragione delle loro
qualit virili poste al di sopra di
tutte le altre. Quelli che io chiamo
i SUDISTI sono gli uomini i quali
si sforzano di vivere secondo la
natura delle cose, e pretendono
di
correggerla
aggiungendo
soltanto la cortesia e la generosit.
In ciascuno di noi si trova una
qualche aspirazione che ci
trascina a volte verso SPARTA, a
volte verso iSUDISTI. Per lo pi,
sono le circostanze che ci
inducono a sostenere un concetto

spartano pur rimpiangendo che


non faccia maggiori concessioni
ai SUDISTI o, inversamente, ad
avvicinarci
a
qualche
prospettivaSUDISTA, pur
augurandoci
che
conservi
qualcosa
diSPARTA. Queste
intermittenze spiegano forse le
contraddizioni di quel che si
chiama
arbitrariamente
La
Destra, la quale presenta tutte le
sfumature
di
questi
due
atteggiamenti. Le due posizioni
non sono tuttavia inconciliabili.
Coincidono e si sposano tanto
facilmente in ciascuno di noi

perch sono luna e laltra


naturali, il rispetto delle qualit
umane essendo cos conforme alla
legge
naturale
come
la
conformazione al corso naturale
delle cose. Ma luno e laltro di
questi atteggiamenti comportano
rischi in cambio dei loro
vantaggi: SPARTA rischia
di
essere
inabitabile,
i SUDISTISPARTANI possono
finire col divenire gendarmi,
il SUDISMO pu
finire
nellegoismo e nellinsolenza. Noi
dobbiamo chiederci che cosa si
pu
conservare

di SUDISTA a SPARTA o
che
cosa
dobbiamo
serbare
di SPARTA per
impedire
ai SUDISTI di essere soltanto
uomini di mondo. rischiano di
addormentarsi; gli
Non bisogna fidarsi ciecamente
dei libri illustrati. SPARTA non
una citt dove non si sente che
rumore di sproni e dove nessuno
dei passanti sorride. Il precetto del
coraggioera chiaro e risolveva
tutte le difficolt. Il coraggio dava
accesso allaristocrazia e si era
esclusi dallaristocrazia se non si
aveva coraggio. La casta dei

guerrieri governava la citt,


nessunaltra voce aveva diritto di
farsi intendere. Era la casta che
portava da sola il fardello della
difesa del Paese e lo portava per
tutta la vita. Ma gli altri, protetti
dal suo servizio, non si sentivano
stranieri.
Il
coraggio
era
ricompensato fra loro, e chi aveva
dato prova di possedere le virt
del soldato, partecipava ai
privilegi del soldato. Anche gli
iloti, se si erano distinti per una
azione meritoria, avevano diritto
di partecipare al combattimento,
Quelli che si erano battuti al

fianco delle celebri falangi non


erano mai pi schiavi, divenivano
uomini liberi, erano onorati. Si
afferma anche che gli stranieri
potevano ricevere il titolo di
Spartani, se accettavano di vivere
secondo la regola che gli Spartani
si erano imposta. E, al contrario, i
giovani della casta guerriera che
si
dimostravano
vili
nel
combattimento
o
non
si
sottomettevano alla disciplina
della Citt, erano degradati ed
esclusi dalla vita pubblica.
Leducazione on aveva altro
scopo che lesaltazione del

coraggio e della energia. I ragazzi


vivevano tra loro il pi presto
possibile, in truppe analoghe a
quelle dei balilla dellItalia
fascista o della Hitlerjgend, di
cui facevano parte dalla et di
sette anni. []
Spesso riprovato il culto del
coraggio
e
della
virilit
accusandolo di durezza e aridit.
uninterpretazione da moralisti
che la vita privata a Sparta non
conferma su tutti i punti,. Si trova
sotto la rudezza di Sparta una
specie di bonomia tedesca la
quale suggerisce che le cose non

sono tanto semplici. Plutarco


descrive Agesilao che giuoca ai
cavalli coi suoi bambini, come si
racconta del nostri re Enrico IV;
Antalcida manda la sua famiglia a
rifugiarsi a Citera, quando teme
uninvasione; lassemblea degli
Spartani piange di commozione
udendo
recitare
un
coro
dellElettra e sono appena usciti
dalla guerra contro Atene: gli
Spartani avevano anche un gusto
innato
e
un
sentimento
abbastanza vivo della musica, il
che stupiva i loro contemporanei.
In quanto al loro orgoglio di casta,

che bisogna pensarne, quando


sentiamo dirci che i giovani
Spartani avevamo ciascuno un
fratello di latte scelto tra i figli dei
suoi iloti, il quale riceveva la sua
medesima educazione, prendeva
parte con lui ai pasti collettivi,
portava le armi accanto a lui nei
combattimenti e condivideva i
suoi stessi privilegi? Quale
democrazia ha accordato questa
eguaglianza autentica ai figli dei
mezzadri? Gli iloti e i perieci
vissero duecento anni sotto il
giogo di Sparta e non vi furono
ammutinamenti se non in

circostanze el tutto eccezionali e


per cause estranee al regime.
difficile credere che abbiano
vissuto durante tutto questo tempo
in una continua e insopportabile
umiliazione.
Lidea
che
ci
facciamo
di SPARTA dunque spesso
unidea del tutto letteraria;
riduciamo arbitrariamente Sparta
a una esperienza di laboratorio.
Ne facciamo uno stato nel quale
regna solo lenergia. Quel che
definisce Sparta non la caserma,
come troppo spesso si crede, ma il
disprezzo dei falsi beni.

Sparta non solo il ragazzo dalla


volpe. Lenergia non che una
conseguenza, non che un segno
di Sparta. Prima di tutto, Sparta
una particolare idea del mondo,
una particolare idea delluomo.
Per questo fa paura. Sparta crede
che in definitiva sia la spada a
decidere. Non si pu sfuggire al
suo verdetto. Il numero dei
vascelli e i marmi dei portici, i
palazzi, le sete, le sontuose
lettighe, il prestigio, lo splendore
non sono che girandole, palline di
vetro, lampioni che una tempesta
pu a un tratto spegnere e

spezzare: bisogna essere pronti


per questa tempesta. Senza di ci,
non si ha libert; le citt le quali
dimenticano che la libert si
difende in ogni istante, si
guadagna in ogni istante, sono
gi, senza saperlo, citt schiave. Il
culto dellenergia, del coraggio,
della forza sono soltanto l
conseguenze di questa concezione
della citt.
Non sar sfuggito al lettore che, a
dispetto della piacevolezza dello
stile, la tesi di Bardche appare
viziata da una forzatura ideologica

che lo porta ad accostamenti


storici quanto meno opinabili,
come quello fra gli Spartitati ed i
Balilla fascisti o i membri della
Hitlejgend; laddove facile
vedere come le somiglianze siano
pi esteriori che sostanziali,
specialmente nel primo caso.
E tuttavia, per quanto la volont
di dimostrare una tesi precostituita
faccia velo allAutore, difficile
rifiutare in blocco la sua analisi
del
fenomeno
sociale
rappresentato dallantica Sparta e
ancor
pi
quello
della
Confederazione sudista (che noi,

per ragioni di spazio, abbiamo


dovuto omettere).
Meglio: difficile rifiutare in
blocco la sua tesi circa la solidit
e, si vorrebbe dire, la perennit di
quella componente aristocratica,
nel miglior senso della parola, che
caratterizza non tanto questa o
quella esperienza storica di
governo, ma lidea del governo in
generale, cos come Platone lha
delineata nella Repubblica e
nelle Leggi, ma che i pensatori
politici moderni, da Locke in poi,
non
riescono
neppure
ad
immaginare.

A noi che siamo cresciti nella


apparente ovviet del sistema
democratico,
sfugge
come
lumanit abbia potuto governarsi
per millenni senza di esso, pur
realizzando opere egregie; e
sfugge come il cosiddetto
miracolo greco non consista solo
nella democrazia ateniese, ma
anche nella oligarchia spartana,
fondata su un valore che non
quantificabile
in
termini
economici, ma solo e unicamente
in termini di onore, dovere e
spirito di sacrificio.

Solo una lettura frettolosa e


parziale, inficiata da pregiudizi
tipicamente moderni, potrebbe
vedere nella costituzione spartana
nullaltro che arbitrio, oppressione
dei pi deboli e brutale esercizio
di un potere militaresco.
E solo uno spirito politicamente
fazioso potrebbe negare quanto di
perenne e di nobilmente spirituale
vi sia in una idea del governo che
pospone ogni altro valore, a
cominciare
da
quello
dellinteresse materiale, ad un
severo ascetismo virile, tutto
rivolto al bene supremo della

Patria e spregiatore di quello


spirito di parte dietro il quale
sogliono camuffarsi gli egoistici
interessi personali.
In questo senso fuori di dubbio
che noi pure avremmo qualche
cosa da imparare dal modello
spartano, cos come avremmo
qualcosa da imparare dal modello
sudista: non certo in un ricupero
del razzismo o magari dello
schiavismo,
ma
nel
riconoscimento che troppo spesso,
nei sistemi democratici, il merito
non riesce ad affermarsi e il bene
dellintera societ soccombe

davanti al prevalere delle logiche


di parte.
Per quanto il ragionamento di
fondo del Bardche non ci
convinca, laddove egli vorrebbe
fare del principio aristocratico un
fatto di natura positivo in se stesso
- anche perch in tal modo
verrebbero banditi o fortemente
sminuiti ideali essenziali, quali la
compassione e la sollecitudine per
i pi deboli - tuttavia certo che il
suo discorso contiene un monito a
non lasciarsi prendere la mano
dalla demagogia e dal populismo
a buon mercato.

Una giusta idea della politica


dovrebbe partire, come cosa
ovvia, dallo spirito di servizio e
dalla priorit del bene comune;
dovrebbe
inoltre
recuperare
limportanza di concetti quale
onore, valore, dedizione, lealt e
magnanimit.
Si obietter che codesti valori
sono quelli tipici della societ
cavalleresca e che, da quando la
borghesia si affermata come
classe
egemone
a
livello
mondiale, non vi pi posto per
essi e nemmeno potrebbe esservi.
Forse.

Ma siamo sicuri che onore,


valore, dedizione, lealt e
magnanimit siano valori legati
esclusivamente ad un certo
modello economico e sociale e
non, piuttosto, valori perenni
dellumanit, senza i quali
nessuna
societ
potrebbe
contemperare in se stessa le
inevitabili spinte centrifughe?

Potrebbero piacerti anche