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Anno XII - N. 2 Marzo/Aprile 2004 - 5 euro


Reg. Trib. Cremona n. 355 12.4.2000
Sped. A. P. D . L . 353/2003
(con. in L. 27/02/04 n46) art. 1, c. 1, DCB-CR

Democrazia
e socialismo

La guerra
terrorismo

di Lucio Magri

di Claudio Grassi

Caro direttore,
purtroppo il sopravvenire di due problemi
privati, non gravi ma ineludibili, mi impedisce di essere presente al vostro seminario.
Me ne scuso e me ne dispiaccio, perch
mi interessava ascoltare e anche intervenire.
I tre nodi problematici che mettete in discussione sono indubbiamente connessi
tra loro, ma mi parrebbe anche utile considerare distintamente questioni quali: rivoluzione e lotta armata, non violenza non
come principio e testimonianza ma come
obiettivo politico per cui battersi in un
contesto dato.
Democrazia e socialismo hanno per decenni attraversato e tormentato la storia
della mia vita, sia sul piano teorico che su
quello pratico. Su di essi ho cercato e ancora credo di aver qualcosa da dire di non
troppo banale. E anche diritto di parola.
Anche quando fui infatti radiato dal PCI,
soprattutto perch dopo Praga mi pareva
che fosse gi in corso una degenerazione
del socialismo reale destinato alla sconfitta, non ho mai considerato tale degenerazione un approdo gi tutto iscritto
nella Rivoluzione dOttobre, nel leninismo e tantomeno nel pensiero di Gramsci
o nella politica del comunismo italiano.
Sono stato partecipe alla nuova sinistra del
68 e del post 68 e fortemente critico della
politica di unit nazionale, ma ho contrastato senza incertezze culture e pratiche orientate alla violenza, non solo
nella forma estrema del terrorismo, ma
anche nella cultura e nelle pratiche che
lavevano mimato e poi giustificato, a differenza di tanti che oggi mi ritrovo nel saio

Quattrocento giorni di morte, di devastazioni, di crimini di guerra. Tanto tempo


trascorso da quel 20 marzo 2003 che
avrebbe dovuto segnare secondo le previsioni dei signori americani della guerra
e dei loro alleati linizio di un Blitzkrieg,
di una guerra lampo destinata a concludersi in poche settimane con la pacificazione dellIraq nel segno della democrazia e del libero mercato. I risultati
della decisione di attaccare Baghdad sono
sotto gli occhi di tutti. Decine di migliaia
di morti, in massima parte civili inermi,
che si aggiungono al milione di iracheni
per lo pi bambini uccisi dallembargo
e alle migliaia di vittime dei bombardamenti anglo-americani susseguitisi senza
interruzione nel corso degli ultimi quindici anni; citt distrutte; una popolazione
alla fame; un paese nel caos, dove la guerra
alimenta ogni giorno nuova violenza e
nuova disperazione. Un crimine contro
lumanit che ha pochi confronti nel pur
tormentato mezzo secolo che ci sta alle
spalle, perch deliberato a freddo dalla
leadership di un paese opulento, senzaltra
motivazione al di fuori della volont di impossessarsi di un altro paese, per mostrare
al mondo la propria irresistibile potenza
e la propria infinita tracotanza.
Nessuno pu illudersi: le popolazioni aggredite non dimenticheranno. LOccidente semina odio, alimenta una collera
inestinguibile, fornisce ragioni a quanti
predicano nuove guerre di religione. E
nemmeno noi dimenticheremo. Non dimenticheremo le menzogne di Bush e di
Blair che hanno accompagnato la preparazione di questa oscenit: gli inesistenti
collegamenti tra Saddam Hussein e bin

segue a pag. 2

segue a pag. 4

Democrazia e socialismo

Marzo - Aprile 2004

segue L. Magri da pag. 1

SOMMARIO
Dien Bien Phu!

11

S. Ricaldone

America Latina

14

G. Min

Antifascismo

17

Giorgio Bocca, Enzo Collotti

I nemici dellumanit

21

intervista a Giulietto Chiesa, di M. Graziosi

Iraq: contro i popoli e contro Dio

25

T. DellOlio

Guerra: gli americani contro

28

J. Catalinotto

Dopo il 20 marzo

35

S. Cararo

Contro la guerra e per lalternativa

39

A. Falomi

A l t e rnativa e diritti dei lavoratori

41

M. Zipponi

Attacco alle pensioni: cosa fa la sinistra?

43

P. P. Leonardi

Il nuovo miracolo italiano

45

R. Cambuti

Crack: non solo Parmalat

47

R. Picarelli

Costituzione italiana: lo stato delle cose 52


G. U. Rescigno

Palestina: le porte dellinfern o

54

B. Saleh

Sulle elezioni in Grecia, Spagna e Francia 57


F. S.

Serbia: a cinque anni dalla guerra

60

E. Vigna

Putin: quasi un plebiscito

67

M. Gemma

I comunisti e lEuropa / Dibattito

72

S. Amin, F. Giannini

Note sulla transizione al socialismo

78

F. Sorini

Sulla questione della violenza

82

M. Tronti

Il potere, la violenza, la resistenza

85

M. Del Toso

Sulla cultura dominante

88

L. Livio e A. Petrini

Paolo Volponi: a dieci anni dalla morte

91

E. Zinato

Vittorio Vidali
L. G. Sema

94

francescano o nel saari gandhiano.


Oggi, dopo tutto ci che accaduto,
trovo che sia non solo necessario,
ma anche possibile, mettere ancora
pi in primo piano il pacifismo, la
non violenza e la democrazia come
strumenti, e non come ostacoli, per
una trasformazione radicale della
societ nella quale i metodi si avvicinano meglio ai fini. E credo necessario per questo una riflessione
autocritica e coraggiosamente innovativa della nostra storia di comunisti, consapevoli certo delle
condizioni eccezionali che lhanno
sovrastata, ma anche di nodi teorici
irrisolti o di errori politici gravi. Se
il comunismo un movimento reale
che cambia lo stato presente delle
cose, esso non pu che applicare anche a se stesso limplacabile verifica
dei fatti. Ma per essere intellettualmente seria e politicamente feconda tale riflessione deve distinguersi, e anzi deve reagire, ad un liquidazionismo che oggi sta dilagando in tutta la sinistra. Al nuovo
inizio della Bolognina preferisco il
ricomincio da tre di Troisi: cio
uno sforzo per distinguere il grano
dal loglio, per non spezzare il filo
della memoria, per non riesumare,
come modernissime, tradizioni altrettanto antiche e ancor pi ingannevoli. Perci andiamo spregiudicatamente pure a fondo sui temi
di cui oggi discutete, si ripropongano tali temi con nuova radicalit, ma tenendo fermi alcuni
punti legati tra loro che distinguono
lautocritica dal pentimento, un
nuovo pensiero da una nuova
moda, e di cui avrei voluto parlare
e mi propongo di scrivere.
Solo per accennare a tali distinguo:
1) che si rifiuti, perch falsificante,
una ricostruzione della storia del
900 e del movimento comunista
che considera luna e laltro come
un cumulo di macerie da cui liberarsi, proprio in un momento in cui
siamo invece fin troppo costretti a
dover difendere conquiste che proprio quella storia ha prodotto. N
si consideri Gramsci e per certi
aspetti lo stesso Togliatti come
pensatori morti, non solo fisica-

mente;
2) che non si attribuisca ai comunisti una responsabilit, quasi prevalente, nellaver messo ai margini il
tema della pace. Un tema sul quale,
seppure con qualche deviazione
momentanea, i comunisti hanno
molte pi ragioni di essere orgogliosi che non sul tema dellorganizzazione del potere dopo la presa
del potere. I comunisti, in generale,
sono nati contro i crediti di guerra,
non hanno mai pensato ad esportare un modello sociale in altri paesi
con le armate, e quelli italiani non
sono vissuti in attesa di unora X per
linsurrezione, ma sono cresciuti
nella ricerca del consenso, nella costruzione di una egemonia, nella
conquista di casematte, e specificamente hanno dato, nellepoca
dellatomica, una centralit nuova
alla questione della pace in generale (non solo come difesa dellURSS) fino al rischio del parlamentarismo e del legalitarismo;
3) che non si astragga la questione
della non violenza da un lungo processo storico che, contraddittoriamente e lentamente, lha resa perseguibile, n dai contesti in cui si
colloca e che la qualificano. Penso
alla nascita di stati nazionali che
hanno fatto molte guerre ma anche
cominciato a regolare la violenza
col diritto; alla nascita delle Costituzioni che limitarono larbitrio
dellassolutismo; alla lenta conquista del suffragio universale, e infine
allorganizzazione di partiti e sindacati che garantivano certi diritti e
trasformavano la coscienza di massa
oltre il ribellismo. Su queste premesse sono nati materialmente e
soggettivamente il movimento operaio e quello democratico; sono cresciuti movimenti di liberazione anticolonialisti autonomi, ma non a
caso, a quel tempo, immuni dal fondamentalismio etnico e religioso. In
essa hanno operato per secoli anche minoranze e culture che la non
violenza consideravano un valore
assoluto, con radici religiose: sono
state premonitrici e preziose nel
contestare la violenza con cui i successivi sistemi di dominio e di classe

Marzo - Aprile 2004

si affermavo e tutelavano, ma sono


state represse o rovesciate nel loro
contrario fino a quando un processo generale ha offerto loro la possibilit di uscire dal ghetto della testimonianza.
E tuttavia, anche in tutta questa
lunga storia assurdo confondere
la violenza di chi aggrediva e voleva
opprimere una maggioranza e la resistenza anche armata di chi le si opponeva, oppure confondere il putchismo di fuochi guerriglieri che
pensavano di anticipare o surrogare
il popolo con lotte di popolo che si
rivolgevano contro apparati repressivi che negavano ogni spazio alla
lotta sociale e alla libert. Separare
il pacifismo da questo contesto, sublimarlo in un principio etico e
astratto da una realt determinata,
appare pi radicale e appassionante, ma in realt ne mortifica la
nuova attualit e ne limita i risultati;
4) infine che non si deduca, dalla
radicale critica della politica degenerata, come oggi si presenta, n dal
declino del ruolo degli stati nazionali, la conseguenza che la politica
come organizzazione permanente,
pensiero coerente e progetto consapevole e di lunga durata, non
serva pi. Oppure che lo Stato non
ci sia pi, i suoi poteri siano marginali, il dominio di classe si regga
solo sul mercato e si possa cos cambiare la societ solo dal basso e fidando solo sulla spontaneit di un
movimento reticolare. La realt dei
fatti del tutto diversa.
Gli Stati pesano ancora, si ordinano
in una gerarchia pi rigida tra loro,
non si cambia la societ se in ogni
fase non si incide sulle loro scelte e
non vi si incide senza una forza e

Democrazia e socialismo

un progetto adeguati. La societ


stessa porta ancora, anzi sempre di
pi, con s nel bene e nel male
il meglio e il peggio del sistema che
la costituisce. Porta in s la spontaneit della lotta e della speranza, ma
anche quella dellegoismo individualista, della violenza introiettata,
del degrado morale. La presa del
potere non pi certo, se mai lo
stata, unora X, ma diventa sempre
pi un processo sociale per tappe;
ma non per questo il problema del
potere pi essere rimosso ed esorcizzato. Gramscianamente, legemonia consenso corazzato da
forze: il problema quello di trasformare il consenso in partecipazione diffusa e permanente, addomesticare la forza entro i confini
della democrazia e della non violenza.
Per tutto ci, insomma, anche sapendo che la parola comunista costituisce oggi pi un tema di ricerca
che una soluzione compiuta, una
voce tra le altre necessarie, io continuo a definirmi un neo comunista
piuttosto che un riformista o un antagonista, anche se di antagonismo
c bisogno e di riforme pure. Resta
del tutto da discutere se e come una
tale identit possa diventare azione
politica concreta: ma non giustamente questo il tema della vostra
discussione di oggi, n io avrei avuto
titolo per intervenirvi.

questo lintervento inviato dal compagno


Magri al convegno organizzato da lernesto
(Il potere, la violenza, la resistenza) e tenutosi a Milano il 26 ed il 27 marzo scorsi

Errata Corrige
Nello scorso numero vi stato un errore di trascrizione che vorremmo segnalare ai nostri lettori e del quale ci scusiamo. Lerrore vi stato nellarticolo di Bianca Bracci Torsi
e Guido Cappelloni (Il Partito comunista e la rivoluzione, da pagina 15 a pagina
17). A pagina 16, seconda colonna, quarta riga, si dice, appunto erroneamente: la
nostra mozione capeggiata da Armando Cossutta e Sergio Garavini.
La giusta dicitura la seguente: quella dellopposizione, frutto della fusione tra la
mozione Ingrao e la mozione Cossutta.

Registr. del Tribunale di Cremona


n. 355 del 12/04/2000
Bimestrale
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in A. P.
D.L. 353/2003 (con. in L. 27/02/2004 n46)
art. 1, comma 1, DCB Cremona
Direttore responsabile Giovanni Lucini
Direttore Fosco Giannini
Redazione
Ancona via Monte Vettore 36
Tel./fax 071 42221
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Editore
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Via del Sale 19 Cremona
Hanno collaborato:
Samir Amin, Giorgio Bocca, Rosa Canbuti,
S e rgio Cararo, John Catalinotto, Giulietto
Chiesa, Enzo Collotti, Marco Del Toso, Tonio
DellOlio, Antonello Falomi, Mauro Gemma,
Claudio Grassi, Marcello Graziosi, Pier Paolo
Leonardi, Luigi Livio, Lucio Magri, Gianni
Min, Armando Petrini, Raffaele Picarelli,
Giuseppe Ugo Rescigno, Sergio Ricaldone,
Bassam Saleh, Licia Giuliana Sema, Fausto
Sorini, Mario Tronti, Enrico Vigna, Maurizio
Zipponi.
Per la realizzazione di questo numero non stato richiesto alcun
compenso. Si ringraziano pertanto tutti gli autori e collaboratori.

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26 aprile 2004
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3

Editoriale

Marzo - Aprile 2004

segue C. Grassi da pag. 1

Laden, le fantomatiche armi di distruzione di massa. Non dimenticheremo gli orrori ai quali assistiamo quotidianamente, n le vere
ragioni dellaggressione anglo-americana allIraq, di cui lItalia di
Berlusconi si resa complice.
Queste ragioni sono le straordinarie ricchezze naturali irachene (petrolio e gas), indispensabili per lo
sviluppo di altre potenze economiche (a cominciare dalla Cina e
dallUnione Europea); lautonomia di Baghdad dai d i k t a t d i
Washington (da ultimo Saddam
aveva deciso di accettare il pagamento in euro del petrolio iracheno); limportanza geopolitica
dellIraq nellarea del Golfo (tanto
pi cruciale dopo la perdita del con-

dal 1989 sono nate da questo stesso


insieme di cause: dalla volont di
impedire che altri poli di potenza
mondiale potessero contendere la
supremazia di Washington; dal tentativo di esportare con le armi la
crisi economica statunitense; dalla
pretesa di controllare i rubinetti del
petrolio e del gas, per il proprio consumo interno e per impedire lo sviluppo delle altre economie. Basta
guardare la carta geografica per capire che a collegare tra loro i teatri
di queste guerre il Medio Oriente
i Balcani, lAfghanistan il fatto
che essi si trovino in zone del pianeta ricche di risorse energetiche o
in aree strategiche per il passaggio
dei grandi oleodotti e gasdotti.

LA

GUERRA NON SOLO

FONTE DI TERRORISMO .

Non dimenticheremo gli orrori


ai quali assistiamo quotidianamente,
n le vere ragioni
dellaggressione anglo-americana
allIraq

trollo dellIran e la crisi dei rapporto tra Stati Uniti e Arabia Saudita); la scelta di sostenere la destra
israeliana in un folle disegno espansionista che minaccia di condurre al
genocidio del popolo palestinese;
da ultimo ma non per importanza
la crisi economica statunitense,
causata da un deficit commerciale
fuori controllo, che minaccia il
ruolo del dollaro come valuta di riferimento nel commercio mondiale.
Non si tratta di novit. una storia
che va avanti da quindici anni a questa parte, da quando, con la scomparsa dellUrss, venuto meno lordine bipolare uscito dalla Seconda
guerra mondiale. Finita la Guerra
fredda, il mondo avrebbe potuto
imboccare la strada della pace, ma
gli Stati Uniti hanno voluto altrimenti. Tutte le guerre verificatesi

TERRORISMO

A L L E N N E S I M A P O T E N Z A

A unaggressione illegittima ha
fatto seguito unoccupazione altrettanto illegittima. Quanto avvenuto
enorme. Uno Stato ha stracciato
tutti i trattati, tutte le convenzioni,
ha distrutto i fondamenti stessi del
diritto internazionale. Ha irriso le
richieste della comunit internazionale scatenando una guerra devastante e occupando un altro Stato
sovrano. E ora opera, seminando
ancora morte e terrore, per insediarvi un governo fantoccio, come
ha gi fatto in Afghanistan, e per
condurre a termine legalmente il
saccheggio compiuto sino ad oggi
senzaltra copertura che quella fornita dai mortai e dai carri armati.
Tutto a cominciare dal petrolio
viene privatizzato. Tutto trasferito
nel patrimonio delle imprese titolari degli appalti della ricostruzione: imprese in massima parte
americane e finanziatrici delle campagne elettorali dei Bush; ma anche
inglesi, anche italiane. Una guerra
di r a p i n a, come raramente in et
moderna era stata pianificata e realizzata. E una guerra terroristica, in
senso proprio, nella quale modernissimi eserciti (costituiti in gran

parte da mercenari, ormai la seconda forza sul terreno) minacciano di morte unintera popolazione per impossessarsi di tutto quel
che possiede. E dunque, tra tanto
discorrere di terrorismo, domandiamo: di quale altro terrorismo ha
senso parlare, se non si parte da questa evidenza?
Lo diciamo senza mezzi termini,
consapevoli del fatto che anche a sinistra si tende a sostenere tesi differenti. La guerra non solo fonte di
terrorismo: , essa stessa, essa per
prima, terrorismo allennesima potenza. Se non si prendono le mosse
da qui, tutte le analisi sono monche
e subalterne. Questo il punto essenziale dal quale cominciare ogni
discussione: i governi guidati da
Bush, Blair e Sharon attuano una
politica di guerra e di terrorismo.
Questa la vera centrale del terrore,
sulla quale la Corte Penale Internazionale dovrebbe appuntare le
proprie attenzioni.

L I N F O R M A Z I O N E

DI GUERRA

Si pone qui un altro problema, divenuto cruciale in questi tempi di


guerra. Tolte poche eccezioni, lapparato informativo si piega alla manipolazione, accetta di tradire la
propria ragion dessere per trasformarsi in un gigantesco strumento di
menzogna. Pensiamo alla rappresentazione dei nemici. Quanti
hanno ricordato la vera storia di bin
Laden, finanziato per anni dagli
Stati Uniti contro lUnione Sovietica, o quella di Saddam, armato sino
ai denti perch riconsegnasse agli
americani lIran caduto nelle mani
degli ayatollah? Tutti diventano
terroristi e dittatori quando si rivoltano contro la Casa Bianca: fino
a quel momento sono campioni di
democrazia, alfieri del mondo libero. Adesso la stessa cosa avviene
a rovescio con Gheddafi, dipinto
ancora ieri come un mostro e oggi
senza che nulla sia cambiato, salvo
la collocazione della Libia negli
schieramenti internazionali restituito a nuova verginit.

Marzo - Aprile 2004

E pensiamo a quel che ci dato di


vedere e a quanto invece ci viene sistematicamente nascosto. Pensiamo alle immagini trasmesse centinaia, migliaia di volte dalle Torri
di New York ai volti degli ostaggi catturati in Iraq e a quelle censurate,
invisibili, dunque cancellate dalla
discussione e dalla memoria collettiva. Chi ha visto i morti di Fallujah?
Mille persone massacrate di cui
vietato persino il ricordo. E chi ha
visto i volti dei loro familiari, chi ha
udito le loro grida di dolore? Oggi
pi che mai il mestiere di giornalista carico di responsabilit, per ci
che gli organi di stampa dicono e
per ci che nascondono. E non si
pu certo dire che sia un bello spettacolo quello offerto dai giornali e
dalle televisioni.

LA

GUERRA RAZZISMO

Mille morti invisibili, un ostaggio


ucciso e prontamente santificato.
Trasformato (suo malgrado) in
eroe nazionale, a beneficio di chi
ha stracciato la Costituzione antifascista per conquistare un posto al
sole e accomodarsi a prezzi di saldo
al tavolo dei vincitori. Di quanti
pesi e di quante misure disponiamo
nella nostra sconfinata creativit?
Ne deduciamo unaltra lezione. La
guerra non solo terrorismo, anche razzismo. C chi muore da italiano, cio da Uomo. E chi no. A
questo punto vorremmo proprio sapere come crepa invece un iracheno
e quale valore abbiano se ne
hanno la sua morte e la sua stessa
vita. Vorremmo ce lo spiegasse, per
esempio, il dottor Mauro, direttore
di Repubblica, un giornale nato con
lambizione di dar voce alla coscienza democratica di questo
paese, alla sua borghesia illuminata
e progressista. Ma vero: sono trascorsi quasi trentanni da quel lontano 1976. Il mondo cambiato,
oggi il principio di eguaglianza un
orpello retorico, noi siamo moderni e vogliamo un paese normale. Per questo intitoliamo a tutta
pagina Cos muore un italiano (la

Editoriale

Repubblica del 16 aprile 2004) e offriamo ai pi bassi istinti della nostra gente uno specchio nel quale rimirarsi con soddisfazione, dimenticando i motivi per cui gli italiani
stanno in Iraq e i crimini di cui si
rendono complici.
La guerra anche razzismo. Persino
gli ufficiali inglesi poco inclini, per
tradizione e cultura, a commuoversi
per le sofferenze dei popoli delle colonie hanno dichiarato di provare
imbarazzo dinanzi alle manifestazioni di disprezzo da parte delle
truppe americane nei confronti
della popolazione civile irachena.
Hanno detto di non condividere lopinione diffusa tra i marines secondo cui gli iracheni sono, testualmente, degli Untermenschen, dei
sotto-uomini, come dicevano i nazisti parlando degli ebrei. E hanno
aggiunto di non apprezzare i safari
che le truppe americane e mercenarie organizzano nelle citt irachene a caccia dei bad guys, i ragazzi
cattivi con la pelle scura da mandare allegramente allaltro mondo,
e vediamo stasera chi ne fa fuori di
pi.
Non c solo questo razzismo, per
dir cos conclamato. C anche il
razzismo implicito, che si nasconde
dietro la ragionevolezza di chi,
pure, ammette che la guerra era
sbagliata, ma poi subito aggiunge
che tuttavia non ci si pu ritirare
dallIraq perch non si possono abbandonare gli iracheni a se stessi.
Quanta supponenza, quanta superbia colonialista sottende queste dichiarazioni, rilasciate anche da
molti uomini politici di sinistra! Si
sono descritti scenari di guerra civile, e in effetti si fatto di tutto
perch una guerra civile scoppiasse.
Si predicato in lungo e in largo che
la guerriglia non ha progetto e
che, ove fosse lasciata arbitra delle
sue sorti, getterebbe il paese nel
caos. Gli osservatori imparziali riportano resoconti diversi, dai quali
emerge che il caos quello provocato dalle truppe di occupazione.
Raccontano di citt lasciate in preda
allo sciacallaggio. Parlano di un
fronte comune tra sciiti e sunniti,

di una coesione nazionale tra le maggiori componenti della popolazione irachena. Descrivono un
paese che reagisce, resistendo alloccupazione con dignit.

I N IR A Q
OPERA UNA RESISTENZA,
CONSEGUENZA DI UNA GUERRA
E D I U N O C C U PA Z I O N E
ILLEGITTIME

Resistenza: intorno a questa parola si


sta combattendo, nel civile Occidente, unaltra battaglia politica. Se
a sollevarsi contro loccupante sono
gli italiani, la loro si chiamer
Resistenza, con tanto di maiuscola.
Se a combattere contro linvasore
sono degli arabi, il loro sar invece
soltanto terrorismo, pura criminalit. Tanto pi se tra gli invasori ci
siamo anche noi.
Banditi, criminali e terroristi: cos
rinnovando i fasti della propaganda nazifascista definiscono la
resistenza irachena i teorici dellesportazione della democrazia a
suon di bombe, a cominciare dal geniale ministro americano della

Chi ha visto i morti di Fallujah?


Mille persone massacrate
di cui vietato persino il ricordo

Difesa, quel Donald Rumsfeld che


lanno scorso pronosticava la fine
delle ostilit in capo a due-tre settimane, un mese al massimo. Da ultima gli ha risposto per le rime
Naomi Klein, in una corrispondenza da Baghdad che pubblichiamo integralmente nellultima
pagina. Quella di Rumsfeld, ha
commentato Klein, una pericolosa illusione. La guerra contro loccupazione viene oggi combattuta in
campo aperto, da comuni cittadini

Editoriale

che difendono le loro case e i loro


quartieri: scoccata lora dellIntifada irachena.
Dicevamo che sarebbe bene che anche noi meditassimo su queste parole. Siamo stati sempre critici nei
confronti di uno slogan quello che
ha descritto la logica della guerra
irachena evocando limmagine di
una presunta spirale guerra/terrorismo che ci parso sin dallinizio impreciso e riduttivo. Oggi le ragioni della nostra critica sono ancora pi forti. Si dice che la guerra
la risposta bellica alla minaccia terroristica. Noi replichiamo che tale
spiegazione fuorviante, tant
vero che la strategia della guerra
preventiva e infinita concepita dai
consiglieri neo-conservatori di
Bush (attivi gi ai tempi della presidenza di Bush padre) precede di
gran lunga la sfida lanciata dal terrorismo internazionale. Come dicevamo in precedenza, questa strategia obbedisce a finalit del tutto
indipendenti da tale sfida. Non
solo. Anche il termine terrorismo
devessere approfondito. tuttaltro che pacifico che cosa esso designi (tant che nessuna legislazione
ne fornisce una definizione univoca
e condivisa), mentre chiaro che gli
atti correntemente definiti terrori-

Siamo stati sempre critici


nei confronti di uno slogan
quello che ha descritto la logica
della guerra irachena evocando
limmagine di una presunta "spirale
guerra/terrorismo" che ci parso
sin dallinizio impreciso e riduttivo
stici sono di varia natura e costituiscono un insieme assai eterogeneo.
Che coshanno in comune le stragi
messe a segno da al-Qaida (sulle cui
origini, struttura e finalit regna peraltro lo stesso fitto mistero che avvolge gli attentati dell11 settem-

bre) con le azioni dei kamikaze palestinesi (spinti alla disperazione


dalla guerra di annientamento scatenata da Sharon) o dello stesso
commando suicida di Nassiriya (diretto ci piaccia o meno contro
una forza di occupazione)? Ferma
restando la nostra dura opposizione
nei confronti di qualsiasi azione militare che colpisce vite innocenti, e
ribadite ancora una volta la condanna dei comunisti rispetto al terrorismo e la nostra estraneit a tutte
le forme di lotta che non si rapportano con le grandi masse popolari,
riteniamo incolmabile la distanza
che separa forme di lotta anche criticabili delle popolazioni invase e
prive di mezzi idonei, da una risposta militare in grande stile, che implica limpiego di un potente e sofisticato apparato bellico.
Al contrario, crediamo che molto
abbiano in comune con queste ultime proprio i bombardamenti effettuati da una forza di aggressione
come quella che il 20 marzo del
2003 scaten linferno su Baghdad
uccidendo migliaia di civili nello
spazio di una notte e gli assassini di
Stato perpetrati da Israele contro i
dirigenti di Hamas, lo sceicco Yassin
prima, il suo successore Rantisi poi.
Sharon e Bush sono in tutto e per
tutto parenti di bin Laden, e precisamente nella capacit di cogliere la
somiglianza delle loro strategie terroristiche passa oggi il discrimine
tra la sinistra e la destra.
Chi perde di vista queste differenze
e queste analogie non ha poi bussole per discernere e per giudicare.
Da una parte non pu cogliere la
vera ragion dessere di una guerra
che nasce dalla crisi di accumulazione del capitalismo americano (se
davvero esiste una spirale, questa
coinvolge semmai la guerra e il neoliberismo). Dallaltra, non pu
nemmeno riconoscere il ruolo
svolto dalla resistenza irachena, che
infatti la teoria della spirale
guerra/terrorismo cancella del
tutto. Il risultato di questa rimozione straordinariamente grave.
Non solo non si comprende che se
gli Stati Uniti sono in difficolt e

Marzo - Aprile 2004

debbono differire a data da destinarsi altre guerre di aggressione,


questo dovuto proprio alla tenuta
della resistenza irachena, cos come
ai suoi successi si debbono il rilancio del movimento per la pace che
il 20 marzo ha riempito le citt di
tutto il mondo e le speranze che
Bush faccia la fine di Aznar. C ancora dellaltro: c il fatto che evocare limmagine di un rapporto circolare tra terrorismo e guerra finisce con lo schiacciare il terrorismo
sulla resistenza, accreditando uno
degli aspetti salienti della interpretazione della guerra diffusa da
quanti la legittimano. Sono i
Rumsfeld e i Wolfowitz, sono le loro
caricature nostrane i Martino, i
Frattini, i Selva a non tollerare che
si parli di resistenza irachena, a ripetere istericamente che si tratta di
banditi, di terroristi. Lo stesso
fanno, assumendosi pesantissime
responsa bilit, i dirigenti del
Triciclo, coerenti con la decisione
sbagliata di non votare contro il rifinanziamento della missione italiana in Iraq.

RIFLETTERE
SULLA NOSTRA STORIA, S

L IQUIDARLA,

NO.

Questo discorso ci induce a tornare


sul dibattito apertosi nel nostro partito sul tema della nonviolenza.
evidente infatti che la valutazione
della resistenza irachena incrocia il
tema della violenza e della nonviolenza, e che questultimo tema (dibattuto sullo sfondo di una opinabile critica del potere) chiama in
causa la discussione sul Novecento.
Cerchiamo di mettere un po dordine in questa intricata materia, cominciando da unaffermazione del
Segretario rispetto alla quale ci troviamo in disaccordo.
Nel corso di una intervista al manifesto, Bertinotti ha dichiarato:
Penso che non solo Lenin, ma tutti
i grandi del movimento operaio del
900 siano morti e non solo fisicamente.
Non siamo daccordo a proposito

Marzo - Aprile 2004

della morte non solo fisica dei


massimi riferimenti teorici e politici
del movimento operaio e comunista del Novecento. Al contrario,
pensiamo che Lenin e Gramsci rimangano al pari dello stesso Marx
e di altri grandi pensatori e dirigenti
operai fonti insostituibili e indispensabili della nostra riflessione e
pratica politica. Crediamo che per
una condivisibile tensione verso
una ricerca autonoma e spregiudicata non servano giudizi cos liquidatori. Pensiamo anzi che lautonomia della ricerca presupponga il
massimo di accumulazione teorica,
dunque la pi concreta relazione
con le fonti ispiratrici di una riflessione. E riteniamo sbagliato il messaggio pedagogico che discende
da queste parole. Che cosa rischia
di desumerne un giovane che si avvicini al nostro partito o a un movimento di lotta avverso allo stato di
cose esistente? Rischia di trarne lidea dellautosufficienza del senso
comune, cio esattamente il contrario di quel che lasprezza del conflitto e la complessit dei contesti in
cui esso si dispiega impongono.
Gramsci quel Gramsci che noi
consideriamo ben vivo e alle pagine
del quale non cessiamo di fare ricorso, rinvenendovi sempre suggestioni di inestimabile valore era solito ricordare la necessit di uno studio costante, perseverante, metodico. Quanta modestia in quelle parole, che nulla toglievano alla grandezza di chi le scriveva: che, anzi, di
quella grandezza erano segno!
Questo rimane il modello al quale
guardiamo e al quale crediamo debbano continuare a ispirarsi le nuove
generazioni di compagni/e, tanto
pi in una fase storica come lattuale, nella quale si tratta di risalire
la china, di ricostruire riferimenti e
orientamenti dopo una sconfitta di
proporzioni epocali. Il motivo di
questo nostro convincimento semplice. La capacit di resistere alloffensiva dellavversario dipende in
gran parte dallaccumulazione di
esperienza, ma lesperienza non
solo quella che ciascuno pu fare di
persona. Questa sarebbe ben poca

Editoriale

cosa, a fronte dellenormit e della


difficolt del compito. Lesperienza
della quale ci si deve appropriare,
che dobbiamo far diventare nostro
patrimonio vivente, anche quella
compiuta da chi ci ha preceduto nel
cimento. Per questo i frutti dello
studio ne costituiscono una componente essenziale; per questo il
contributo che ciascun compagno
dar alla nostra lotta sar tanto pi
rilevante quanto pi esso risulter
dalla sua capacit di far vivere, riplasmandoli dentro la sua esperienza personale, gli insegnamenti
ricavati dalla lettura e dallapprofondimento delle opere fondamentali dei padri del movimento operaio, comunista e socialista.
C di pi. Abbiamo limpressione
che la precipitosa dichiarazione di
morte di cui stiamo discutendo si
collochi nel quadro di critica al
Novecento che da qualche tempo
costituisce un tema ricorrente della
discussione politica anche a sinistra.
Abbiamo gi avuto occasione di dire
la nostra a questo riguardo, ma la
persistenza del discorso ci obbliga a
ritornare brevemente sulla questione.
Anche in questo caso esprimiamo
una critica. Come si fa a non tenere
conto che parliamo di un intero secolo ricco di storia, di conflitti, di
contraddizioni: un secolo nel quale
lumanit ha compiuto anche
straordinarie esperienze di progresso e ha sperimentato, per la
prima volta nella propria storia, di
abitare un mondo, un solo immenso
teatro di lotte, di fatiche e di speranze? Il Novecento stato innanzi
tutto questo: il tempo nel quale venuto a maturit il sentimento dellunit del genere umano, il sentimento delluguaglianza, del diritto
inviolabile di ciascuno di essere riconosciuto e di vivere da essere
umano. Certo, ne sono risultate violenze sconvolgenti, alle quali si sono
accompagnati anche tragici errori
da parte del movimento operaio, errori che impongono analisi critiche
serie, riflessioni rigorose. Ma ci
accaduto proprio perch sconvol-

gente, dirompente, incontenibile


era la portata rivoluzionaria di questa novit, che ha segnato un punto
di non ritorno nella storia degli uomini.
Mandare al macero il secolo che si
appena chiuso significa fare terra
bruciata alle nostre spalle. Significa
anche non valorizzare le gigantesche conquiste del movimento operaio la vittoria sul nazifascismo, lemancipazione delle masse contadine in Cina, la liberazione di Cuba,
lo sviluppo dello Stato sociale e di
quelle lotte anticoloniali i cui risultati si vorrebbe oggi azzerare con le
nuove guerre imperialistiche nonch dimenticare le enormi responsabilit che gravano sullavversario,
le incommensurabili colpe di cui si
sono macchiate, nel corso del
Novecento, le borghesie europee.

Mandare al macero il secolo


che si appena chiuso
significa fare terra bruciata
alle nostre spalle
Ebbene, a simili vedute rispondiamo che il tempo delle autocritiche unilaterali per noi trascorso.
Ora basta davvero con i mea culpa a
senso unico: provvedano anche altri a mettere in discussione la propria storia.
Qualcuno ha mai chiesto, per esempio, allon. Casini di parlare della
storia della Democrazia Cristiana
nellAmerica Latina? Della compromissione con il fascismo in Cile
e in Salvador, con i massacri, le torture, le nefandezze degli squadroni
della morte? Qualcuno ha mai sentito qualche alto prelato parlare
delle scelte compiute da Pio XII
mentre milioni di ebrei passavano
per le camere a gas e i forni crematori? O dellattivit svolta dalla
Chiesa cattolica nel dopoguerra in
favore dei criminali nazisti riparati

Marzo - Aprile 2004

Editoriale

in Sud America? E che dire poi delle


ambigue e reticenti prese di distanza dellon. Fini dal fascismo?
Appena ieri Benito Mussolini era a
suo giudizio il pi grande statista del
Novecento.
Non siamo noi a doverci scusare.
Abbiamo passato questi ultimi quindici anni a far luce sui momenti bui
della storia del comunismo sovietico e asiatico. Continueremo senza
indulgenze in questa ricerca. Ma diciamo con chiarezza che i comunisti italiani non debbono chiedere
scusa di nulla a nessuno. Hanno costruito la democrazia di questo
paese. Hanno combattuto il fascismo pagando un prezzo altissimo in
termini di vite umane, di torture, di

Ci pare del tutto incomprensibile


questa posizione
secondo la quale i comunisti
non dovrebbero lottare
per conquistare il potere

anni di galera. Lo hanno liberato


dalla dittatura pi infame che la storia italiana ricordi. Hanno dato un
contributo fondamentale alla redazione di una Costituzione che tutto
il mondo ci invidia e che, non per
caso, gli eredi del fascismo e della
borghesia pi retriva di questo
paese intendono smantellare. Non
siamo noi a doverci scusare, sono i
nostri avversari che oggi ritengono
di poterci trascinare sul banco degli
imputati solo perch la forza delle
armi gliene fornisce, per il momento, la possibilit. Noi la nostra
storia la difendiamo senza incertezze. Anche da chi, a sinistra, tende
ad accodarsi allo spirito dei tempi.
Per tutte queste ragioni non vediamo nemmeno la necessit di procedere a una critica indiscriminata
nel confronti del potere. Non ci per-

suade lapproccio per cos dire metafisico che tende a ispirarla. E non
ci trovano concordi nemmeno i riferimenti storici che talvolta laccompagnano.
Si sostiene che il potere in quanto
t a l e genererebbe oppressione.
questa una impostazione classicamente anarchica, che non ci appartiene. Consideriamo il potere un
mezzo. E poich siamo ben consapevoli che sussiste inevitabilmente
uno stretto rapporto tra mezzi e fini,
riteniamo che la natura del potere
sia in larga misura determinata dagli obiettivi che si cerca di perseguire: cio dallidea di societ che si
vuole costruire. I comunisti si battono per una societ senza sfruttamento delluomo da parte di altri
uomini, senza dinamiche di dominio e di sopraffazione, per una societ che rispetti il diritto di ciascuno di vivere libero, cio disponendo dei mezzi necessari per soddisfare i propri bisogni e per realizzare le proprie aspirazioni. Serve un
potere per riuscire a cambiare la
forma di societ esistente con quella
alla quale aspiriamo? E serve un potere perch la nuova societ una
volta costituita possa svilupparsi
respingendo lattacco delle forze
che lavversano? Rispondiamo di s,
ad entrambe queste domande.
Proprio perch siamo convinti che
la societ capitalistica sia fondata
sulla sopraffazione, sappiamo che le
classi che oggi godono di questa organizzazione sociale non si lascerebbero sottrarre senza colpo ferire
i vantaggi di cui fruiscono. E non si
rassegnerebbero facilmente ad esserne deprivate.
Per questo ci pare del tutto incomprensibile questa posizione secondo la quale i comunisti non dovrebbero lottare per conquistare il
potere.Una critica indiscriminata
del potere porta con s gravi rischi
di subalternit. Non c mai, nella
realt, un vuoto di potere. Non ci
sono relazioni sociali, economiche,
politiche (e il femminismo ci ha insegnato: nemmeno relazioni personali, familiari, amorose) scevre da

elementi riconducibili a rapporti di


forza. Per tale ragione, perdere di
vista questo terreno o, peggio, decidere di astenersene, per rimanere
puri e incontaminati, significherebbe semplicemente rinunciare
alla lotta politica, abbandonare il
progetto della trasformazione rivoluzionaria di questa societ in vista
della liberazione di quanti oggi
masse sconfinate e crescenti lavorano sotto padrone, subordinati al
potere del capitale e, non di rado,
alla violenza delle armi che ne puntellano il dominio.

LA

NONVIOLENZA

C O M E S C E LTA P O L I T I C A
QUI ED ORA

La violenza: siamo cos al tema dei


temi, che ci ha impegnati in questi
mesi in una discussione intensa e
che stata al centro dei due convegni di Venezia, quello sulle foibe e
quello direttamente dedicato alla
nonviolenza. Come abbiamo gi
detto, abbiamo ritenuto sbagliata
questa accelerazione anche per le
modalit con cui si dispiegata. Nel
convegno sulle foibe il compagno
Bertinotti ha parlato di una nostra
presunta angelizzazione della
Resistenza che non ci trova concordi.
E per quanto concerne il convegno
di Venezia sulla nonviolenza, esso
stato pensato e promosso secondo
un discutibile stile di lavoro che non
vorremmo diventi usuale allinterno del nostro partito. Lo diciamo
con serenit ma anche, come sempre, con franchezza: non si organizza un convegno di approfondimento se non si programma di mettere a confronto posizioni diverse.
Tutto ci vale in generale, indipendentemente dalla natura dei temi
dibattuti. Ma tanto pi vero
quando si tratta di temi che rivestono un connotato strategico e che
coinvolgono snodi portanti delle
culture politiche che convivono nel
nostro partito, garantendo la ricchezza del suo dibattito interno.
Detto questo, siamo sempre pi

Marzo - Aprile 2004

convinti che il confronto tra noi


debba proseguire, al riparo da strumentalizzazioni e da precipitazioni
politiche immediate. Se davvero
pensiamo che le questioni di volta
in volta discusse siano rilevanti, dobbiamo fare tutti in modo che la ricerca si sviluppi senza forzature che
inevitabilmente la coarterebbero e
impoverirebbero. Nessuno pu
dirsi in possesso di certezze granitiche, nessuno quindi pu permettersi di considerare con sussiego le
posizioni altrui e tanto meno di
discriminarle.
Riguardo al merito della questione,
non vi torneremo qui ancora una
volta. I compagni hanno seguito il
dibattito sulle pagine di Liberazione
e del manifesto e hanno potuto tirarne le somme rileggendo i contributi raccolti nel libro pubblicato
dal quotidiano del partito. Ci limitiamo quindi a una considerazione.
Alla fine di questo grande dibattito
sulla nonviolenza, limpressione
che sia ben difficile comprendere il
senso di questa discussione. Non si
concordi nemmeno sul suo registro fondamentale: se cio si sia trattato davvero di una discussione politica, o se invece abbiano preso il
sopravvento prospettive di ordine
etico o addirittura religioso: indubbiamente legittime, ma distinte dal
campo del ragionamento politico
che compete a un partito. Diciamo
questo perch non siamo sicuri di
aver colto nemmeno la ragion dessere del dibattito, le sue motivazioni
di fondo. Potremmo dunque chiudere qui, dicendo semplicemente
che in questo momento lunico approccio pertinente alla questione
secondo noi lintransigente denuncia della illegittimit della guerra di
aggressione quintessenza della
violenza politica scatenata dagli
Stati Uniti e dai loro alleati contro
lIraq. Ma una considerazione ulteriore ci pare opportuna. Non vorremmo che tutta questa discussione
sulla nonviolenza si risolvesse in una
uscita estemporanea, come avvenuto con la discussione sullimperialismo sviluppatasi nei mesi che

Editoriale

precedettero lultimo Congresso


nazionale.
Allora i compagni lo ricordano
bene buona parte dei gruppi dirigenti del partito ritennero di assumere in modo immediato la tesi negriana della fine dellimperialismo,
concepita (da Negri) quale conseguenza del (presunto) esaurimento
della dimensione statuale della politica e dello sradicamento (altrettanto presunto) del capitale da
qualsiasi ancoraggio nazionale.
Questa tesi fu accolta da tanti compagni con tale entusiasmo che si
volle introdurla in un documento
congressuale, facendo di essa addirittura il quadro di riferimento delle
analisi internazionali del partito. Il
risultato che chi aveva assunto
questa ipotesi duramente confutata dagli eventi dovette assistere,
nel giro di poche settimane, a una
plateale retromarcia dello stesso
Toni Negri, approdato poco dopo
luscita di Impero a una ferma critica
dellimperialismo statunitense. Il
quale imperialismo evidentemente
era ed ancora ben vivo, come del
resto sanno perfettamente i rappresentanti di popoli, governi, associazioni e movimenti che si sono
riuniti a Bombay in occasione del
Social forum m ondiale, e che
hanno sottoscritto un documento
conclusivo nel quale la denuncia
dellimperialismo occidentale ne
costituisce lasse politico centrale.
Limperialismo esiste ancora e questo fatto dovrebbe indurci a maggiore cautela anche quando parliamo di globalizzazione. Esiste,
produce guerre e massacri. E ci ammonisce a non dare per scontato
nemmeno il fatto che in un paese
come il nostro la lotta di classe abbia definitivamente archiviato modalit oggi, per fortuna, inattuali.
Certo, lItalia non si trova attualmente nella situazione del
Venezuela di Chavez n della Cuba
di Fidel. Non esposta come accade invece a questi due paesi, ai
quali confermiamo la nostra solidariet internazionalista allimmediata minaccia di colpi di Stato o di
invasioni. Ma basta forse questo a

garantirci che posta dinanzi al rischio di essere spodestata la parte


pi reazionaria della borghesia italiana (che, non dimentichiamolo,
non ha esitato, ancora pochi anni
fa, a rispondere alle lotte operaie
con la strategia della tensione e
delle stragi) si astenga dal far ricorso alla violenza militare? Ci chiediamo allora che cosa ne sarebbe
in tale sciagurata eventualit di
tutto questo dibattito sulla nonviolenza. Cos come ci domandiamo
e domandiamo che cosa dovrebbero fare il governo venezuelano o
cubano qualora il conflitto dovesse
precipitare e le forze reazionarie
passare alle vie di fatto.

QUALE

PROGRAMMA

PER CACCIARE

BERLUSCONI

Non un caso che il discorso ci abbia ricondotto in chiusura alle


questioni internazionali e alla
guerra. Questultima costituisce la
cifra pi drammatica dellattuale situazione politica mondiale, ed
quindi inevitabile che ogni riflessione torni su di essa. In questo caso
anche utile, poich ci offre loccasione per poche considerazioni
conclusive in ordine allo scenario
politico interno e al problema della
costruzione di un fronte politico
delle opposizioni in grado di liberare il paese da Berlusconi e dal suo
governo.
Perch parlare della guerra ci conduce al contesto nazionale? Per il
fatto che uno degli aspetti pi sconcertanti e preoccupanti del panorama politico italiano in questi ultimi mesi rappresentato proprio
dalla titubanza con la quale gran
parte delle forze di opposizione (a
cominciare dai partiti che si rifanno
allUlivo) hanno avanzato critiche
nei confronti della guerra angloamericana e della scelta del governo
italiano di prendervi parte. Come
dicevamo, consideriamo grave la
decisione dei partiti del Triciclo di
non votare contro il rifinanziamento della missione italiana in
Iraq. Grave, ma purtroppo coerente

Editoriale

con molte altre recenti prese di posizione (dalla pseudo-manifestazione bipartisan al Campidoglio, allinvocazione di unit nazionale
da parte del presidente della
Commissione europea in margine
alla vicenda degli ostaggi italiani) e
del tutto in linea con le opzioni di
politica internazionale dei governi
ulivisti, dal vertice Nato di
Washington del 99 (che sanc la trasformazione in chiave offensiva dellalleanza atlantica) alla partecipazione italiana ai bombardamenti
umanitari sul Kosovo, poi rivendicati dal Manifesto per lEuropa di
Romano Prodi e celebrati dallon.
DAlema come la pagina pi bella
della storia italiana contemporanea. Dello stesso presidente dei Ds
ricordiamo una dichiarazione di
qualche mese fa. Nel corso di una
intervista rilasciata al Corriere della
Sera poco dopo la svolta di Rifondazione comunista, che ha riaperto la
prospettiva di un accordo delle opposizioni contro Berlusconi DAlema afferm di considerare non
negoziabile la politica estera dellUlivo. Bene. Vorremmo ora commentare queste sue parole, alla luce
degli ulteriori sviluppi della situazione internazionale e delle recenti
prese di posizione dei Ds e del
Triciclo.
Come abbiamo scritto, noi consideriamo la guerra contro lIraq uno
spartiacque. Riteniamo quindi pregiudiziale, in vista della ricerca di accordi di governo tra lUlivo e
Rifondazione comunista, che tutte
le forze del centrosinistra abbandonino ogni ambiguit ed esprimano
la pi ferma denuncia della illegittimit dellaggressione anglo-americana e della partecipazione italiana a questa guerra. Quanto allinsieme della politica estera, con-

10

sideriamo indispensabile che tutte


le opposizioni dichiarino intollerabili le continue violazioni del diritto
internazionale da parte di Israele e
si impegnino sin dora affinch il
nostro paese (come tale e in quanto
membro dellUnione Europea)
eserciti sul governo israeliano la
massima pressione perch venga
immediatamente interrotta la costruzione del Muro in Cisgiordania,
perch la parte gi costruita venga
subito smantellata, e perch venga
ufficialmente ritirato il piano di definitiva acquisizione di parte dei
Territori occupati promulgato da
Sharon in accordo con Bush.
Sin qui per quanto concerne la politica estera. Ma occorre anche
prendere tempestivamente posizione su tutte le questioni cruciali
dellagenda politica interna. Certo,
i risultati del test europeo e amministrativo sono di grande importanza in vista del prosieguo dei rapporti tra le forze politiche e sociali
dellopposizione al governo Berlusconi. Ma a maggior ragione, qualora dovesse determinarsi un risultato positivo per le opposizioni, diverrebbe improrogabile discutere
intorno a un programma condiviso
e realmente alternativo.
A questo riguardo, non possiamo
non giudicare negativamente la situazione attuale. Il dibattito, anche
tra le forze che si collocano alla sinistra del Triciclo, non decolla,
mentre vengono determinandosi
sviluppi preoccupanti. evidente
che preso atto del bilancio sempre
pi fallimentare del governo sul terreno politico ed economico la Cisl,
la Confindustria di Montezemolo e
influenti ambienti vaticani si stanno
riposizionando, lanciando segnali
pi o meno espliciti di apertura alle

Marzo - Aprile 2004

opposizioni. chiaro altres che


parti importanti del centrosinistra
sono sensibili a questi richiami. La
stessa Cgil, che continua a svolgere
un ruolo importante di opposizione
alle politiche neoliberiste del governo e di sostegno al movimento
per la pace, ha tuttavia segnalato
una evoluzione problematica attraverso recenti dichiarazioni (da
parte del suo Segretario generale)
di apprezzamento della nuova leadership confindustriale e di velata
critica dellattuale dirigenza della
Fiom.
Tanto pi urgente, in tale contesto, che Rifondazione comunista si
faccia carico di lanciare (insieme
alle altre forze della sinistra di alternativa) unoffensiva sui contenuti nella consapevolezza che dar
vita a un accordo di basso profilo,
dai contenuti arretrati, non compiutamente alternativo alla gestione reazionaria messa in campo
dalle destre, sarebbe devastante. Lo
sarebbe per il partito, che rischierebbe di smarrire il rapporto di fiducia con la propria base sociale, sin
qui mantenuto nonostante tante
difficolt. Lo sarebbe per la sinistra,
che si vedrebbe presto travolta dal
risentimento del proprio popolo,
deluso per lennesima volta da forze
politiche e sociali non abbastanza
determinate nel tutelarne diritti, ragioni e interessi. E lo sarebbe, infine, per tutto il paese, esposto al
concreto pericolo di ricadere in
mano a una destra non solo incapace di governare, ma anche come
si puntualmente verificato in ogni
passaggio delicato degli ultimi tre
anni disposta a gettare la democrazia italiana nella guerra e nellavventura.
21 aprile 2004

Marzo - Aprile 2004

Lotte dei popoli

Questo articolo, che sar


pubblicato sulla stampa vietnamita
il prossimo 7 Maggio, stato
scritto per lernesto e per
il Nam Dam, quotidiano
del PC del Vietnam

Dien Bien Phu!

di Sergio Ricaldone

50 ANNIVERSARIO DI UNA VITTORIA CHE RIMANE UNO DEI PUNTI DI


RIFERIMENTO PI ALTI PER LE LOTTE DI LIBERAZIONE DEI POPOLI. ATTUALIT
DI UNA PAGINA STORICA DEL POPOLO E DEI COMUNISTI VIETNAMITI CHE
NON POTERONO ESSERE GENTILI CONTRO GLI OPPRESSORI IMPERIALISTI

ien Bien Phu, 7 maggio 1954.


Nel tardo pomeriggio di quel
giorno i soldati di Giap sferrano il
loro ultimo attacco contro i francesi
asserragliati nel loro, ormai piccolo,
perimetro difensivo.
Poi un silenzio surreale cala su questo lontano altopiano del Tonchino
situato al confine con il Laos. Il
boato delle esplosioni ed il crepitio
delle mitragliatrici cessano. La foschia ed il caldo umido della foresta preannunciano, dopo due mesi
di sanguinose battaglie, un tranquillo tramonto tropicale. Non si
spara pi.
La battaglia di Dien Bien Phu finita, il generale francese De Castries
annuncia la resa delle sue truppe.
Unidea delle sue dimensioni riassumibile in poche cifre: quella
sola battaglia era costata al corpo di
spedizione francese la perdita di
16.200 uomini, tra cui un generale,
16 colonnelli, 1749 tra ufficiali e sottoufficiali, nonch labbattimento
di numerosi aerei.
Appena due m esi prim a, il 12
marzo, il comandante in capo del
corpo di spedizione francese, generale Navarre, accompagnato dal generale americano ODaniel, aveva
visitato la piazzaforte di Dien Bien
Phu.
Eravamo in piena guerra fredda e il
governo filoamericano LanielBidault era ansioso di ristabilire, a

qualsiasi costo, la sovranit dellimperialismo francese in tutti i territori doltremare.


Washington era disponibile, pi
che mai, a sostenere militarmente
Parigi.
Dotata di un efficiente aeroporto
militare, Dien Bien Phu era considerata una fortezza inespugnabile
e, perci, scelta come perno strategico di una operazione offensiva
che avrebbe, prima intrappolato e,
poi, annientato i guerriglieri del
Vietminh, costretti a combattere in
condizioni di inferiorit abissali, sia
sul piano militare che su quello
della logistica.
Fu concordato un piano denominato Vantour (avvoltoio) che si sarebbe dovuto tradurre in massicci
bombardamenti americani nellarea di Dien Bien Phu.
Loperazione venne in seguito annullata a causa del precipitare degli
eventi che ne dimostravano linutilit.
Nessuno immaginava che nel giro
di due mesi lesito di quella battaglia avrebbe invece segnato il crollo
dellimpero francese dIndocina e
avuto conseguenze cos rilevanti sul
futuro dei movimenti di liberazione
del terzo mondo.
Era passato un secolo dal 31 agosto
1858 quando la Francia di Napoleone III, in fase di espansione coloniale, iniziava, con un attacco na-

vale contro Danang, loccupazione


militare dellindocina.
Nei cento anni successivi il popolo
vietnamita non ha mai cessato di resistere alla violenza degli invasori ed
ha combattuto duramente per la
sua indipendenza: ribellioni popolari, tentativi insurrezionali (ben
117), scioperi e boicottaggi di massa
si sono susseguiti senza interruzione.
A partire dalla seconda guerra mondiale stato lunico popolo al
mondo a dover affrontare, con la
lotta armata, quattro delle cinque
maggiori potenze imperialiste della
storia moderna: Francia, Giappone,
Gran Bretagna e U.S.A.
Per le loro virt militari i vietnamiti
sono stati definiti, impropriamente,
i prussiani dellAsia. Nulla di pi
fuorviante: non mai stato il fucile
a guidare la politica, ma il suo contrario. Ma noto che la memoria di
molti debole e si dimentica che la
metafora zapatista della protesi applicata al fucile stata pronunciata,
qualche decennio prima, nella
giungla indocinese prima che in
quella del Chapas.
Il rapporto stretto tra lotta armata e
strategia politica dei comunisti vietnamiti sintetizzato dalle parole di
Giap pronunciate dopo la battaglia
di Dien Bien Phu:
Il nostro popolo ed il nostro esercito hanno vinto un nemico molto

11

Lotte dei popoli

potente grazie alla loro ferma determinazione di combattere e vincere per conquistare lindipendenza nazionale, perch fosse assegnata la terra ai contadini, per la
pace ed il socialismo.
La guerra di popolo condotta da un
esercito popolare pu essere considerata come una conquista decisiva,
pi importante di qualsiasi arma,
per i paesi dAsia, Africa e
dellAmerica Latina. Il popolo vietnamita, liberandosi, fiero di aver
contribuito alla liberazione dei popoli fratelli.
Sono certo che nella nostra epoca
nessun esercito imperialista, anche
il pi potente, nessun generale imperialista, anche il pi esperto, pu
vincere un popolo, seppure debole,
che sappia ergersi risolutamente e
lottare unito sulla base di una giusta linea politica e militare (.. )
Non bisogna lasciarsi impressionare dalla comparsa di armi moderne: il valore degli uomini che
in definitiva decide della vittoria.
Lo spirito che emerge da queste parole di Giap non certo quello di
chi, pur costretto a combattere una
guerra giusta, punta allannientamento del nemico. Al contrario.
Ne ho riparlato tanti anni dopo, seduti su una panchina dei giardini
del Louvre, con Henry Martin.
Il cielo di Parigi era grigio e laria
fredda ma al vecchio Henry brillavano gli occhi riparla ndo del
Vietnam.
Fu lui il coraggioso soldato francese
che, con il suo rifiuto nonviolento
di partecipare alla guerra coloniale,
aveva scatenato la furibonda reazione dello stato maggiore
dellArme e della destra colonialista francese.
Finito davanti alla corte marziale,
solo lui sa quanto gli sia costato quel
rifiuto e laccusa di diserzione.
Eppure quel suo gesto di disobbedienza temeraria contribu non
poco a sollevare il velo di mistero
che avvolgeva la spietata guerra in
corso nella giungla indocinese ed a
rendere ancora pi popolare la
lotta di massa in Francia ed in
Europa contro la salle guerre, la

12

sporca guerra dIndocina.


Ma anche alcuni di coloro che sono
stati costretti a combatterla dalla
parte sbagliata ed a subirne gli orrori e la violenza, alla fine sono stati
contaminati dai valori e dagli ideali
del nemico che avrebbero dovuto
annientare.
Quanto Dien Bien Phu abbia contribuito a ricostruire un rapporto diverso tra vincitori e vinti di quella
guerra lho capito molti anni pi
tardi in un casuale incontro in terra
vietnamita.
Era il 21 giugno 1993, aeroporto di
Tan Son Nuth, Ho Chi Minhville.
Dopo aver assistito ad Hanoi al 7
congresso del PC Vietnamita ero in
attesa del volo che mi avrebbe portato a Kuala Lumpur in Malesia.
Come spesso accade nelle lunghe
attese aeroportuali iniziai a conversare con un vecchio signore francese, allapparenza mio coetaneo e
mi accorsi, ben presto, che stavo
parlando con un ex legionario che
40 anni prima aveva combattuto
(dalla parte sbagliata) fino alla resa
di Dien Bien Phu.
Mi accorsi subito che monsieur
Vilard (cos mi pare si chiamasse)
ed io provenivamo da storie e culture di segno totalmente opposto.
E, dunque, la conversazione, assunse ben presto lintensit ed il calore di un faccia a faccia un po kafkiano tra due anziani che mettono
a confronto parentesi della loro vita
che li ha visti, in epoca lontana, inconciliabilmente nemici.
Ma poi, conversando amabilmente,
ci accorgemmo che il mondo era
cambiato, che noi eravamo cambiati.
Dalle sue parole mi resi conto che
la lunga stagione di guerre e di violenze era ormai lontana e che il
tempo aveva stemperato e guarito
gli antichi antagonismi ideologici.
Anzi, scoprii che il nemico di un
tempo nutriva un sentimento di
grande simpatia, di profondo rispetto e di autentica solidariet
verso il Vietnam nel quale, appena
pu, ci ritorna da amico sincero pienamente ricambiato.
E ancora il vecchio Vilard mi rac-

Marzo - Aprile 2004

cont, tra una Gauloise e laltra, con


un velo di tristezza, le tappe delle
sue disavventure coloniali di par
francese in terra dIndocina e come
gli orrori di quella guerra, anzich
produrre odio, lo aiutarono invece
a capire le ragioni del suo nemico.
Era stato inviato laggi per coprirsi
di gloria contro guerriglieri barbari
e straccioni e fin per trovarsi intrappolato in una giungla piena di
insidie mortali sotto il tiro di un nemico quasi invisibile che seppe infliggere al brillante stratega francese di guerre coloniali che li comandava, De Lattre de Tassigny, una
lunga sequenza di sconfitte militari.
Da quella subita a Hoa Binh sul
fiume Nero, poi a Lai Chan, a
Kontun ed ancora in altri posti dai
nomi difficili da ricordare. Eccetto
uno che rimasto scolpito nella memoria di tutti: Dien Bien Phu.
Dai ricordi di quella conversazione,
che ci ha fatto diventare quasi amici,
difficilmente lex legionario scorder quel nome e quel giorno: 7
maggio 1954, quando, dopo un logorante assedio durato due mesi, il
suo comandante De Castries dovette accettare la resa.
Fu deponendo le armi quel mattino
che il giovane legionario, duramente provato dalla sconfitta, vide
per la prima volta in faccia i suoi nemici, quelli che lo avevano tartassato senza sosta per pi di sessanta
interminabili giorni ed erano arrivati, scavando gallerie come talpe
invisibili, fino a pochi metri dalla
sua postazione.
Erano i mitici soldati del Viet Minh,
i comunisti indocinesi guidati da
Ho Chi Minh e da Giap.
Gli erano apparsi laceri, coperti di
ferite sommariamente bendate, duramente provati da tante battaglie e
dalle immense fatiche di una logistica militare basata su sgangherate
biciclette e sentieri tagliati a colpi di
machete nella giungla.
Ma il loro sguardo era fiero, pieno
di orgoglio, ed erano loro, non lui,
a sembrare molto simili allesercito
di straccioni, suoi compatrioti, che
un secolo e mezzo prima, nel 1792,
avevano difeso la rivoluzione fran-

Marzo - Aprile 2004

cese a Valmy, sconfiggendo la disciplinata fanteria prussiana comandata dal duca di Brunsvick.
E stato cos, in quella spartana saletta dellaeroporto di Tan Son
Nuth, ancor semidistrutto dalla
guerra, che ci siamo accorti di condividere entrambi, lui ex legionario, io comunista non pentito del
novecento, un sentimento di
grande simpatia ed autentica ammirazione verso un paese che in
quel momento era, purtroppo, ancora vittima di un feroce embargo
economico, ultima spietata vendetta dellimperialismo americano,
il grande Golia, che malgrado il suo
gigantesco potenziale militare e tecnologico non era riuscito a piegare,
con la forza, la resistenza del piccolo
Davide vietnamita. Poi lembargo

Lotte dei popoli

USA finito ma quella infame aggressione ha lasciato un segno profondo nella stessa societ americana, assai difficile da metabolizzare in un paese cos poco propenso
ad accettare sconfitte.
Il malessere oscuro che lAmerica
ha introiettato stato chiamato sindrome vietnamita. Pi volte recidivo, riemerge in quel di Washington nei momenti in cui la soverchiante potenza distruttiva degli
Stati Uniti si dimostra impotente a
piegare la resistenza dei popoli aggrediti.
Bench costretto a misurarsi in
guerre cruente contro le pi grandi
potenze imperialiste ed a subire un
carico di violenze e di orrori, persino difficili da quantificare, credo
che il Vietnam sia uno dei pochi

paesi al mondo che sia riuscito, con


i suoi comportamenti, in guerra ed
in pace, a sollevare la stupefatta ammirazione dei suoi pi acerrimi nemici. Lintelligenza e lacume politico dei suoi grandi leaders, la genialit delle loro intuizioni strategiche, la capacit dei gruppi dirigenti
di aprirsi al mondo esterno e di costruire amicizia e solidariet anche
nel cuore delle cittadelle imperialiste, la loro lungimiranza nel ricostruire dopo la guerra un legame
con gli ex nemici interni ed esterni,
il superamento di sentimenti di vendetta contro gli aggressori, sono
virt politiche che spiegano anche
la sorprendente rapidit con cui
oggi il Vietnam, posato il fucile, stia
risalendo dal sottosviluppo e sconfiggendo la povert.

13

Lotte dei popoli

Marzo - Aprile 2004

L Utopia disarmata
di Jorge Castaeda
e linsurrezione armata
dei dannati della terra

America Latina:
violenze
e sfruttamento

di Gianni Min

CONTRO LOPPRESSIONE DEI POPOLI LA LICEIT DELLUSO DELLA LOTTA


E DELLA FORZA LIBERATRICE

el 1993 lo scrittore messicano Jorge


Castaeda, autore della pi scorretta biografia su Che Guevara mai
scritta, pubblic il saggio Lutopia
disarmata cercando di dimostrare il
tramonto dei movimenti armati che
avevano cercato di capovolgere il
corso della storia e di trapiantare accettabili democrazie in America
Latina. Pochi mesi dopo la pubblicazione di questo de profundis, il
primo gennaio 1994 nel Chiapas gli
eredi della civilt Maya si alzarono
in armi contro linsopportabile
sfruttamento e la repressione attuata nei loro confronti da decenni
e continuata dal governo del presidente Carlos Salinas de Gortari, che
promettendo di portare il Messico
nel primo mondo lo stava precipitando nel terzo con una selvaggia
politica neoliberista sancita dal
NAFTA, il trattato di libero commercio con Stati Uniti e Canada.
Jorge Castaeda che, anni dopo, sarebbe stato ministro degli esteri del
presidente Fox e il pi fiero sostenitore di una politica di inimicizia
con Cuba (dopo che in giovent era
stato un informatore dei servizi segreti della revolucion) non aveva,
evidentemente, capito nulla nemmeno del suo paese, e nemmeno
delle istanze e degli aneliti di tutta
la maggior parte dellAmerica
Latina che ancora lotta per la sopravvivenza, angariata da presunte

14

democrazie bugiarde o grottesche.


Nemmeno infortuni come questo
hanno fatto per cambiare idea a
chi, dallaltra parte delloceano atlantico, spesso ammalato di eurocentrismo, continua a pontificare,
dieci anni dopo, su quello che
lAmerica Latina dovrebbe fare e
come; senza rendersi conto che
quel continente ha gi preso autonomamente una sua via che prescinde, spesso, dalla vecchia logica
politica dei partiti e va avanti con le
idee dei movimenti di base e con
quella che, in Europa, con supponenza definiscono lutopia della
democrazia partecipativa.
lAmerica Latina del Brasile di
Lula, dellArgentina di Kirchner,
della Bolivia dei movimenti indigeni dopo che il paese si liberato
del nefasto presidente Sanchez de
Losada, dellUruguay che ha respinto con un referendum le privatizzazioni dei beni dello Stato e dove
la sinistra rappresentata dal Frente
amplio potrebbe, per la prima volta,
vincere le elezioni. Ma anche
lAmerica Latina del Venezuela del
discusso Hugo Chavez, dove alla democrazia, finora, ha attentato unoligarchia arrogante e un sindacato
del petrolio corrotto, e non il governo. Ed , ovviamente, anche
lAmerica Latina di Cuba, perch,
indipendentemente dai suoi integralismi e dalle sue durezze, spesso

dovute ai tentativi di destabilizzazione portati avanti dagli Stati Uniti,


lunico paese del continente dove
tutti i cittadini possono godere dei
diritti basici di un essere umano.
LEuropa, che discute invece sulla
liceit dei popoli di opporsi con la
forza alle prepotenze di governi falsamente democratici e, in diversi
casi, autori di politiche terroristiche, sembra non aver percepito
questo cambio del vento in America
Latina, e purtroppo anche molti leader dellInternazionale socialista
che hanno deciso di stare con Lula
quando ormai stava trionfando,
non hanno speso una parola per
Kichner, finch, a sorpresa, non ha
vinto le elezioni argentine, si sono
appiattiti addirittura sulle ultime
teorie del Dipartimento di Stato
nordamericano sul Ve n e z u e l a
(Chavez ospita dei terroristi) e, purtroppo, su pressione del governo
Bush, hanno perfino ricevuto, a
Bruxelles, limpresentabile presidente della Colombia Alvaro Uribe.
Questo campione di democrazia,
che governa con la collaborazione
dei paramilitari (gli squadroni della
morte prima capeggiati da Carlos
Castao e ora da Salvadore Mancuso, responsabili di mille uccisioni in
sei mesi), ha un passato assolutamente inquietante: quando era governatore della provincia di Antiochia, per difendere gli interessi dei

Marzo - Aprile 2004

terratenientes e della sua famiglia


autorizz una repressione che
caus oltre duemila morti fra i campesinos. Alvaro Uribe per il
grande paladino del Plan Colombia, il piano di militarizzazione del
paese, con la scusa della lotta al narcotraffico, dove gli Stati Uniti
hanno pi marines che in Afghanistan. Non a caso quel piano (antesignano di tutti i progetti economici imposti o previsti dalle multinazionali nordamericane per il sud
America) stato respinto dalla
Comunit Europea perch definito
pi militare che di sviluppo.
Che dovrebbero fare popoli come
quelli dellAmerica Latina (o dellAfrica o di una parte dellAsia) di
fronte a questa politica che poco
definire terroristica? Reagire con le
idee, come stanno facendo, ma purtroppo, qualche volta, anche con
lazione, come successo gi due
volte, in meno di quattro anni, in
Bolivia senza che gli analisti presunti socialdemocratici o riformisti
europei abbiano capito lessenza e
la portata di quello che accaduto.
Nel 2000 gli indigeni erano scesi
dalla montagna per bloccare a
Cochabamba linsensato progetto
del presidente Sanchez de Losada
di privatizzazione dellacqua (lultima risorsa del paese insieme al
gas) in favore di una multinazionale
nordamericana. Uniniziativa che
avrebbe definitivamente atterrato
ogni speranza di vita per popolazioni che masticano ancora la foglia
di coca per vincere i morsi della
fame. La polizia aveva sparato sulla
gente facendo decine di morti, ma
liniziativa era stata bloccata.
Tre anni dopo, il proconsole degli
interessi economici degli Stati uniti
nel paese, Sanchez de Losada (padrone di una vera fortuna depositata nelle banche nordamericane),
ci ha riprovato con il gas. La Repsol
Ypf (spagnola), la British Gas e la
Panamerican Energie nordamericana stavano per ricevere in dono
dal presidente il gas di cui ricco il
paese per pochi centesimi di dollaro al metro cubo, mentre sul mercato internazionale vale 5 dollari al

Lotte dei popoli

metro cubo. Ancora una volta per


unumanit dolente ma coraggiosa,
che per i rilevatori economici internazionali non esiste, scesa dalle
montagne e avendo come arma soltanto il proprio corpo riuscita a
fermare un obbrobrio, un altra infamia di quelleconomia neoliberista che si autodefinisce civile e democratica perch lascia fare al
mercato. S, perch Sanchez de
Losada aveva autorizzato le forze
dellordine a sparare sulla folla,
causando in due settimane 146
morti e oltre 500 feriti. Alla fine
per Sanchez de Losada, detto
Goni, aveva dovuto lasciare precipitosamente il paese, fuggendo, con
lo stile dei vecchi dittatori latinoamericani, a Miami.
In quei giorni dottobre 2003 mi
aspettavo che quotidiani dimportanza nazionale come La Repubblica
e il Corriere della Sera o altri valorizzassero la notizia in prima pagina,
perch non si trattava solo di uninversione di tendenza rispetto allo
sciagurato andazzo o allarroganza
delleconomia e della politica, negli
ultimi dieci anni in cui la finanza
speculativa si era permessa qualunque prepotenza.
Quella protesta, finita in strage, rappresentava anche il risveglio di
unumanit erede della cultura indigena che, esplicitamente, con lazione, con la legittima lotta al tiranno, come sosteneva San Tommaso, aveva imposto il suo diritto
alla vita pur non avendo, teoricamente, armi o strumenti adeguati
per farlo. Invece non stato cos; i
grandi mezzi dinformazione, che
pure avevano segnalato la piega dolorosa che la difesa dellultima ricchezza del paese stava prendendo,
scelsero di eludere la notizia finale
o, almeno, di nasconderla nelle pagine interne, al contrario di come
era avvenuto nei giorni precedenti
quando Sanchez de Losada, lalleato del governo Bush, era ancora
in sella.
Questa scelta stata, per me, un segnale in pi del tramonto non solo
dellidea di autonomia e indipendenza del giornalismo attuale nei

cosiddetti paese democratici, ma


anche la conferma di unormai insanabile diversit di vedute fra
lAmerica Latina che non si arrende
e lEuropa che si adeguata, nel
modo di interpretare il mondo che
viviamo, di leggere i suoi aneliti e i
suoi obiettivi e del modo di raggiungerli. E non parlo solo delle vedute degli intellettuali, parlo delle
speranze dei popoli del Sud del
mondo e del diverso significato che
hanno le parole libert, democrazia
e rispetto dei diritti se come ha
scritto Frei Betto, teologo della liberazione, nel libro Gli Dei non
hanno salvato lAmerica non abiti
in quello che chiamato primo
mondo.
Linternazionale socialista, il
mondo che si definisce riformista e
che si riconosce in certi prestigiosi
mezzi dinformazione, non ha detto
una parola, per esempio, per i quasi
3000 esseri umani (la maggior parte
cittadini Usa) scomparsi per le leggi
antiterrorismo nei luoghi di detenzione del paese senza che le famiglie ne sappiano nulla e senza che
un avvocato li possa difendere.
Bruce Jackson, professore di storia
am ericana, in un saggio su
Latinoamerica, la rivista che edito e
dirigo, non ha esitato a definire questi disgraziati i desaparecidos di
Bush, ma questo non ha commosso
chi pretende ancora di definirsi socialista, considera superata la lotta
dei popoli poveri, ma non trema di
fronte allabolizione negli Stati
Uniti (e quindi prossimamente nel
resto del mondo) dell habeas corpus,
la base di ogni diritto civile per la
quale devi almeno spiegare perch
mi stai arrestando. E allora lecito
chiedersi come ho scritto sul
Manifesto di cosa dibatta ormai
linternazionale socialista.
Perfino Piero Fassino, segretario
dei Democratici di Sinistra, il partito che viene dal movimento comunista italiano, intervistato a San
Paolo in occasione dellinternazionale socialista ha affermato di apprezzare il vento di rinnovamento
politico che soffia in Brasile, in
Argentina e in Uruguay ma non

15

Lotte dei popoli

quello che spira in Venezuela e in


Bolivia.
Quello che lascia perplessi che un
politico avveduto come Fassino non
abbia avvertito il pericolo di generalizzare, di confondere il contesto,
ma pi ancora che non abbia colto
limportanza e il messaggio insito
nella ribellione indigena in Bolivia
contro la politica sporca, terroristica, di un presidente, in teoria democraticamente eletto, ma che si
comportato fino allultimo come il
pi spietato dei tiranni. In questoccasione, come in altre che riguardano la violazione di diritti elementari perpetrata in Colombia, in
Per, in Messico, in Guatemala, in
Salvador, ad Haiti (per parlare solo
di casi di attualit in America Latina), il mondo del presunto socialismo riformista ha girato gli occhi
da unaltra parte, e in particolare gli
ex comunisti italiani, di cui Fassino
segretario, non hanno chiesto nessun dibattito parlamentare, n
hanno indetto una giornata dedicata allaccaduto come invece, un
anno fa, si erano affrettati a fare con
Cuba dopo la dura reazione del governo dellAvana alla campagna di
destabilizzazione tentata dallamministrazione Bush contro la revolucion. Eppure quello che era successo in Bolivia doveva consigliare
qualche riflessione sullattualit ancora drammatica della lotta dei popoli per la sopravvivenza.
E come possibile non rilevare la
contraddizione per la quale lItalia

16

e parte dellEuropa, pur consapevoli di queste realt imbarazzanti,


hanno deciso sanzioni (perfino culturali) solo verso Cuba per la durissima risposta del governo dellAvana, nella primavera del 2003, al
tentativo di destabilizzazione tentato come ho detto dagli Stati
Uniti nellisola (tre dirottamenti aerei e uno di un ferryboat in quindici
giorni e altri sedici pianificati) dimenticando per che, per il dodicesimo anno di seguito, lOnu, con
174 voti e 3 contrari (Stati Uniti,
Israele e Isole Marshall) ha votato la
condanna dellembargo nordamericano a Cuba?
il trionfo dellipocrisia, della doppia morale che fa ignorare i misfatti
dei governi convenienti alleconomia occidentale (compresa la feroce repressione dellarmata russa
in Cecenia o le migliaia di fucilati
ogni anno in Cina, o loccupazione
del Tibet) ma spinge perfino gli
eredi di quello che era il socialismo
sulle posizioni dellattuale governo
degli Stati Uniti, magari ritenendo
che questa mossa, anche se ambigua, potrebbe aiutare a fare accettare a Washington una coalizione di
centro sinistra che vincesse le prossime elezioni in Italia. Questo bisogno di assenso al proprio operato da
parte degli Stati Uniti, come ho sostenuto su Latinoamerica, il limite
attuale di molti rappresentanti dellinternazione socialista, incuranti
della logica grottesca di considerare
progressista un governo come

Marzo - Aprile 2004

quello di Tony Blair che ha attuato,


fino allultimo dettaglio, la politica
economica della Tatcher, e ha sposato lineluttabilit della guerra in
Iraq fino al limite di truccare le carte
sulle presunte armi di distruzione di
massa in mano a Saddam Hussein,
e fino al limite di far spiare Kofi
Annan e i delegati dei paesi che, al
Palazzo di vetro, avrebbero dovuto
decidere se dare, o no, la benedizione delle Nazioni Unite a questo
conflitto insensato e feroce.
Cosa rimasto dellidea socialista in
questi leader?
Tutelare socialmente le persone che
fanno pi fatica significa non accettare le politiche economiche e strategiche che il mercato neoliberista
impudicamente propone. Sono gli
uomini che hanno sostenuto lattuale logica della finanza speculativa a creare i presupposti per linsopportabilit per questo stato di
cose. Non c nessun Dio che impone questo sfruttamento. I meccanismi delleconomia capitalista li
decidono in pochi, e potrebbero essere cambiati senza che gli equilibri
del mondo rischino di tremare.
Anzi questi mutamenti aiuterebbero ad attenuare lattuale clima di
incertezza e di paura. una questione di etica e di coerenza, valori
che, una volta, erano la bandiera di
chi si dichiarava socialista, insieme
al sostegno alle lotte dei popoli per
la propria dignit e i propri diritti.
Ma gli importa ancora delletica
allInternazionale socialista?

Marzo - Aprile 2004

Antifascismo

Se non ci fosse violenza i padroni


comanderebbero per millenni,
senza nessuna contraddizione. Se il
concetto elementare che chi detiene il
potere detiene anche la violenza legale,
il potere della polizia e dellesercito, allora per abbatterlo cosa bisogna fare?

Oggi come ieri:


perch non
possiamo non dirci
antifascisti*

di Giorgio Bocca

BREVI RIFLESSIONI SULLA


SULLA VIOLENZA

valori della lotta partigiana e della


Resistenza sono oggi pi che mai necessari. Rappresentano la volont di
costruire unItalia che non c: un
Paese di persone libere, democratiche, che tengono fede alla parola
data. Osservando lItalia di oggi,
non posso far altro che dichiararmi
molto pessimista. Non tanto perch
temo il risorgere di un fascismo sul
modello di quello passato, ma perch vedo il riemergere di tutti i difetti dellitaliano medio. Un esempio per tutti la questione della libert dinformazione e il modo in
cui la stampa tratta qualsiasi argomento. estremamente deludente
perch, checch ne dicano i direttori, la maggioranza dei giornali in
fondo filoberlusconiana. I mass
media sono parte in causa di questo
progetto e leditoria non da meno.
Con il libro Il sangue dei vinti, Gianpaolo Pansa, che ha un fiuto per il
peggio del Paese, ha capito che in
Italia i fascisti sono pi numerosi di
quanto si pensi. Non tanto i fascisti
come gente che vorrebbe riportare
la dittatura, ma come gente che rifiuta il nuovo, i rapporti di potere
stabiliti dalla lotta partigiana e che
quindi rifiuta la Resistenza. Gente
che si domanda Ma chi erano questi
qui? Come si permettono di aver fatto la
guerra partigiana e di aver cercato anche di fare un po di pulizia?. Il successo del libro di Pansa ha una sola

RESISTENZA, SUL REVISIONISMO,

spiegazione: questo revisionismo,


questa caduta di antifascismo che
spinge gli animi pi subordinati a
fiutare il cambiamento dei tempi ed
usufruirne in termini personali.
Oggi, ad esempio, si dice che anche
i ragazzi di Sal avessero unanima, che andarono a morire per i
loro ideali : la verit che quando
Graziani invit gli ufficiali dellesercito Regio, che si era dissolto, a
rientrare in servizio promettendogli il raddoppio dello stipendio,
aderirono in 80 mila. I sostenitori
della Repubblica Sociale di Sal
adesso vantano dei numeri elevati,
ma in gran parte si trattava di persone che volevano semplicemente
uno stipendio.
Il revisionismo sempre stato un
pretesto per combattere qualsiasi
movimento democratico e progressista e per premiare lo status quo, la
c o n s e rvazione. La guerra partigiana stata una novit in Italia, una
guerra di popolo senza comandanti
e senza poteri ufficiali, per questo
ha rappresentato e rappresenta
qualcosa di contrario alla restaurazione. E per questo ne parlano male. Parlano male dei partigiani perch hanno rotto un rapporto secondo il quale i potenti hanno sempre ragione. Il revisionismo purtroppo era gi presente durante la
guerra di liberazione. Cera una
parte dellantifascismo che era per

lattesa, per la pace dei vescovi, per


Roma citt aperta. La contraddizione si manifest in occasione dellattentato di via Rasella, perch secondo alcuni a Roma non si doveva
far niente, mentre secondo altri
quellattentato rappresent unazione necessaria e positiva. Io mi
schiero, senza dubbio alcuno, con
questultima interpretazione.
Il revisionismo oggi ha portato a
speculazioni politiche vergognose
come quelle innescate dalla vicenda
della piazza di Mestre intitolata ai
martiri delle Foibe. Se il fatto che i
partigiani sloveni fossero contadini
feroci e vendicativi pu essere veritiero, non bisogna dimenticare che
dopo la prima guerra mondiale noi
italiani abbiamo occupato zone abitate dagli sloveni togliendogli luso
della lingua, le scuole e molto altro.
Non si pu dimenticare questa persecuzione, la quale ovviamente provoc la vendetta. Non si trattava di
fatti lontani nel tempo: tra la repressione fascista e le foibe sono trascorsi solo 10, 15 anni, quindi la memoria era ancora molto viva. Ci sono
anche delle ragioni storiche per cui,
per esempio, al confine tra il
Piemonte e la Francia non accaduto nulla di simile. In Francia gli
italiani erano andati per emigrare,
mentre nella Venezia Giulia, dove
cera un razzismo dei triestini tuttora presente, erano andati a colo-

17

Antifascismo

nizzare.
Rispetto al tentativo di conciliazione nazionale sul tema della resistenza e dellantifascismo bisogna
chiarire: se si parla di conciliazione
tra relazioni umane, questa avvenne
gi il 25 aprile del 45. La conciliazione fra idee moralmente e politicamente cos lontane, invece, non
potr mai avvenire.
Lultimo sdoganamento di An lesempio massimo del trasformismo
italiano elevato a sistema di vita, perch Fini pu anche fare i suoi calcoli di potere, ma un insulto che
stampa e opinione pubblica italiana
abbiano accettato senza protestare
un trasformismo di questo genere.
E un insulto non solo alla ragione
ma anche alla comune decenza che
questi nipotini di Sal neofascisti dicano che il fascismo stato il male
peggiore. Il terreno era stato preparato da parole come quelle di
Violante sul valore morale dei re-

18

pubblichini. Quelle affermazioni


mi fanno sospettare che in lui, da
uomo politico, la tattica politica prevalga sulla ragione morale. Chi vede
la vita solo dal punto di vista politico
pu essere indotto a queste semplificazioni. La tentazione elettorale
dei politici eterna.
Si deve fare attenzione a non mostrare il fianco al revisionismo.
Anche la questione della condanna
in assoluto della violenza io la ritengo un errore colossale. Da
quando esiste la lotta per il potere
stata sempre esercitata la violenza.
Quando mai le strutture profonde
del potere sono cambiate pacificamente? C sempre stato un uso
della violenza, che fa parte dellessere umano e della sua storia conflittuale. Se non ci fosse violenza i
padroni comanderebbero per millenni, senza nessuna contraddizione. Se il concetto elementare
che chi detiene il potere detiene an-

Marzo - Aprile 2004

che la violenza legale, il potere della


polizia e dellesercito, allora per abbatterlo cosa bisogna fare? I sogni
non bastano. Mi stupisce molto che
Bertinotti sostenga tali tesi, che per
me sono fantastiche e con le quali
sono in netto disaccordo. Una cosa
dire che in questa situazione politica alla sinistra italiana conviene
una lotta democratica e che in una
situazione di assoluto predominio
del capitale sia consigliabile non affrontare degli scontri che il capitale
vincerebbe certamente. Ma condannare ed escludere in linea di
principio la violenza come lotta e
mezzo di difesa dei popoli mi sembra un grave sbaglio.

* da un incontro/conversazione che il
giornalista e compagno Niccol Volpati,
per lernesto, ha avuto lo scorso 25
marzo con Giorgio Bocca

Marzo - Aprile 2004

Antifascismo

Dobbiamo ancora cercare


di capire perch riscuotano
tanto successo un libro
dedicato al sangue dei vinti
o levocazione
della memoria delle foibe

Il tempo
del revisionismo

di Enzo Collotti
Storico

LE FOIBE E LA

ome spesso avviene nelle polemiche sul passato quando alla presunta o reale rimozione di unaltra
epoca si vuole imporre la scoperta
di una storia dimenticata, il rischio dellenfatizzazione unilaterale costantemente in agguato. La
questione delle foibe quasi inopinatamente esplosa nelle ultime settimane dopo un decennio buono di
martellamento pi o meno propagandistico una di queste.
Dobbiamo ancora cercare di capire
perch riscuotano tanto successo
un libro dedicato al sangue dei
vinti o levocazione della memoria
delle foibe, episodi di per s assai
diversi e tuttavia rapportabili entrambi a quel cambiamento di memoria che oggi in atto nel nostro
paese e che, come tutti i fenomeni
collettivi di questa natura, non un
prodotto totalmente spontaneo ma
il frutto dellincontro di pi circostanze e della strumentalizzazione
da parte di determinate forze politiche. Nessuno ha mai negato lesistenza delle foibe. Il punto non
questo: il problema sempre stato
quello di dare a questo terribile
evento una collocazione nella storia di quegli anni lungo il confine
orientale, di definirne le dimensioni, di valutare se fosse o no accettabile che fascisti, neofascisti e
postfascisti ne facessero il simbolo
della storia della Venezia Giulia, e

CANCELLAZIONE DELLA MEMORIA STORICA

se fosse quindi giusto (politicamente oltre che storicamente) o


meno che questo simbolo avesse a
oscurare ogni altro nesso di rapporti, ogni complessit delle vicende che caratterizzarono la storia
del fascismo e della seconda guerra
mondiale al di qua e al di l del vecch io confine italo-jugoslavo.
Perch di questo in effetti si tratta,
e solo la decontestualizzazione del
problema foibe rispetto a questo
pi complesso nesso di rapporti
pu produrre, con il suo isolamento, leffetto di una lente di ingrandimento che sbalza in primo
piano quello che pur sempre un
particolare, per rilevante che sia,
per far passare in seconda linea
quello che deve essere il vero nodo
della riflessione cui tutti dovrebbero essere chiamati.
Non intendo rifare la storia della
lunga q u e re l l e sulle foibe, con la
quale, mistificando i fatti e amplificando limpatto emotivo che lespressione stessa evoca, in quanto si
riferisce a fatti resi tanto pi atroci
dalla naturale fisicit dei luoghi che
ne sono stati teatro, lestrema destra nazionalista ha costantemente
perpetuato la sua linea razzista di
odio antislavo. Vittime delle foibe,
nelle due diverse ondate nellautunno del 1943, dopo l8 settembre,
allatto della disgregazione in Istria
delle strutture dello stato italiano;

e nella primavera del 1945, intorno


alla liberazione di Trieste, al crollo
del sistema doccupazione tedesco
e alla presa di possesso dellarea da
parte delle forze jugoslave finirono alcune migliaia di cittadini italiani, sloveni e croati provenienti
dalle due parti del vecchio confine.
Statisticamente la dimensione
quantitativa del fenomeno non potr mai essere accertata al cento per
cento: di qui il balletto delle cifre,
che verosimilmente oscilla tra le
cinquemila e le diecimila unit. Il
volere gonfiare ad ogni costo le cifre pu rispondere soltanto al criterio di alzare il prezzo dellorrore
o di comprendere tra gli infoibati
categorie di persone e di combattenti deceduti per le pi diverse
cause prodotte dalla guerra e dallo
scontro tra eserciti nellarea considerata e inclusi in questa particolare, per accrescere limpatto emotivo che evoca la parola stessa e incrementarne quindi la pressione
propagandistica.
La prima ondata di violenze, quella
dellautunno del 1943, nel cuore
dellIstria, che gli studi tendono ad
inquadrare nel clima di una selvaggia rivolta contadina (PupoSpazzali), si rivers quasi esclusivamente su impiegati e funzionari
dello stato italiano e su esponenti
del partito fascista, nonch su esercenti e possidenti che avevano pre-

19

Antifascismo

sumibilmente profittato della repressione messa in atto dal regime


fascista contro la popolazione
croata, vessata fra laltro da un sistema fiscale che era entrato a far
parte della strumentazione di cui il
regime si serv nella sua duplice
guerra, etnica e di classe, contro le
minoranze slave.
Londata di violenze della primavera del 1945 ebbe radici e conseguenze pi complesse, sia perch fu
la resa di conti finale di una guerra,
sia perch in questo contesto si
scontravano resistenze di carattere
nazionale e istanze di conquista del
potere del movimento partigiano
jugoslavo. Le vittime non furono
solo italiane n soltanto fasciste, tra
di esse vi furono anche appartenenti ai CLN della zona e non solo
appartenenti a corpi militari e di
polizia al soldo dei tedeschi e della
R.S.I.; vi furono anche sloveni e
croati, in prevalenza presumibilmente appartenenti a unit o ad autorit collaborazioniste. La componente nazionale ebbe indubbiamente una parte di rilievo anche in
questo ciclo di violenze, ma prevalse probabilmente unottica epurativa di carattere politico, la posta
in gioco essendo ormai le possibilit di affermazione delle istanze di
un movimento partigiano che si era
identificato con un movimento rivoluzionario.
solo astraendo da questa complessa situazione che le foibe possono essere viste come un fatto che
riguarda soltanto la popolazione
italiana, al punto da legittimare per
lestrema destra lidentificazione
con un genocidio grazie ad una
menzognera operazione propagandistica.
chiaro infine che tutta questa vicenda resta quasi incomprensibile
se rimane schiacciata sullorizzonte
temporale del 1943-45, se non la si
colloca nel suo naturale retroterra
che rappresentato dalloppressione delle popolazioni slave praticata dal fascismo, dalla politica feroce di snazionalizzazione e di repressione da esso portata avanti per
un ventennio e dal culmine di que-

20

sta politica nellaggressione alla


Jugoslavia nel 1941, con la conseguente annessione al regno dItalia
della parte della Slovenia che i tedeschi avevano rinunciato ad aggregare al Terzo Reich.
Piuttosto che fare il mea culpa sulle
foibe e sullesodo dallIstria nei termini in cui si fatto, la sinistra farebbe bene a interrogarsi su come
sia possibile che a decenni dalla liberazione si continuino ad ignorare le responsabilit dellItalia e
del fascismo per laggressione
prima alle stesse popolazioni slave,
annesse senza che nessuno avesse
chiesto loro nessun parere, e poi
alla Jugoslavia. Se non si capisce che
lassetto di quellarea dopo il 1945
non stato che la diretta conseguenza della gestione fascista e
della consegue nte scon fitta
dellItalia, oltre che dellincrocio
delle influenze tra di loro conflittuali delle potenze vincitrici sul fascismo e sul nazismo, si finisce per
fare del vittimismo, per risuscitare
lo spettro degli slavi mangiaitaliani,
per appropriarsi dei luoghi comuni
di una destra nazionalista che ha
sempre ostacolato nei decenni
scorsi ogni gesto di pacificazione
con i vicini orientali.
Una piena assunzione di responsabilit nei confronti dei traumi e dei
problemi che hanno coinvolto e
travolto le popolazioni al confine
orientale a correzione di errori
commessi allora anche da forze
della sinistra, ha senso soltanto se si
consapevoli non solo degli sviluppi storici ma anche delle conseguenze politiche che un atto del
genere produce oggi.
La prima cosa da evitare sarebbe
proprio quella di dare il consenso
alla formalizzazione di un secondo
giorno della memoria, fra laltro a
due settimane dal 27 gennaio, che
non crea soltanto generica confusione, ma che si propone di fatto
come alternativa o contrapposizione al 27 gennaio, come fatto di
valore universale, contribuendo a
mistificare dimensioni e significati
di due ordini di eventi di ben diversa rilevanza: ci chiamiamo fuori

Marzo - Aprile 2004

dai crimini contro lumanit di cui


bene o male siamo stati corresponsabili per proclamarci a nostra volta
vittime dellodio altrui. Vi sono almeno tre ricadute negative che
vanno sottolineate in questo corto
circuito di memorie che si incautamente scatenato:
1) la sostituzione di memorie nello
spirito pubblico, che era per lappunto ci che si era voluto evitare
soprattutto nel 1976 allepoca del
processo della Risiera di S. Sabba,
quando lopinione pubblica nazionalista voleva imporre lequiparazione tra i delitti delle foibe e i crimini della Risiera;
2) il rischio che attraverso il recupero indifferenziato delle vittime
delle foibe (anche al di l delluso
estensivo del termine infoibati applicato a categorie di caduti che appartengono ad altro tipo di eventi,
comprese operazioni di guerra
guerreggiata) si voglia ottenere,
come del resto in passato gi stato
tentato anche in sede parlamentare, il pieno riconoscimento e la legittimazione della Repubblica sociale italiana;
3) come corollario ultimo delloperazione il capovolgimento delle
responsabilit, con la messa in stato
daccusa de lle forze della
Resistenza e la riabilitazione piena
e totale del collaborazionismo con
gli oppressori nazisti e i loro manutengoli.
Fin quando non verr detta una parola chiara su questi punti, qualsiasi
operazione di riconciliazione come
quella che stata portata a termine
non potr che essere foriera di
nuovi equivoci e di una nuova lettura strabica della storia, costringendo le forze della sinistra sempre
pi sulla difensiva, al posto di quella
offensiva culturale che sarebbe
estremamente necessaria per controbattere lo stravolgimento di valori e laffermazione di un senso comune che chiamare revisionismo
non ormai che un eufemismo che
non d pi fastidio a nessuno.

Marzo - Aprile 2004

Lotta per la pace

Occorre precisare che le offensive


contro Afghanistan ed Iraq
sono state pianificate, ben prima
non solamente dell11 settembre 2001,
ma addirittura del colpo di stato
elettorale del novembre 2000
che ha portato al governo Bush

Imperialismo USA:
un pericolo
per lumanit

a cura di Marcello Graziosi

AFGHANISTAN, IRAQ, CINA, RUSSIA, INDIA, MUMBAI,


L11 SETTEMBRE, GLI ATTACCHI MILITARI DEGLI USA, IL LORO SENSO
TATTICO E STRATEGICO, I POPOLI IN LOTTA E IL MOVIMENTO PER LA
PACE: UNINTERVISTA A TUTTO CAMPO A GIULIETTO CHIESA

onostante il prezzo pagato a Nassiriyah


per il sostegno allaggressione unilaterale di Stati Uniti e Gran Bretagna contro lIraq, il governo italiano ha deciso
linvio di un ulteriore contingente militare di 400 uomini in un altro paese
t e a t ro della guerra preventiva e permanente di Bush, lAfghanistan. Con
quali funzioni?
Ufficialmente con funzioni di ordine pubblico allinterno di un accordo Nato, in realt ci troviamo di
fronte ad una vera e propria spedizione militare, che agir nellovest
del paese allinterno della missione
statunitense Enduring Freedom,
con combattimenti e rastrellamenti. Legittimando in questo
modo una guerra di aggressione,
quella del 2002, e la successiva occupazione realizzate completamente al di fuori della legalit internazionale e pianificate dallattuale amministrazione Usa ben
prima del fatidico 11 settembre
2001.
Ci troviamo di fronte, insomma, ad
una vera e propria spedizione militare, che contrasta, come nel caso
dellIraq, con quanto disposto dallarticolo 11 della Costituzione
Italiana
Quali le ragioni geostrategiche della
guerra e delloccupazione del territorio
afghano tanto per gli Stati Uniti quanto
per lItalia?

SullItalia non vi nulla da sottolineare, si tratta semplicemente di


una pura e semplice operazione di
s e rvilismo rispetto agli Usa.
Evidentemente, tra Berlusconi e
Bush vi un accordo di reciproco
sostegno, oggi tocca al primo e domani, chiss, al secondo
Quanto agli Stati Uniti, occorre precisare che le offensive contro
Afghanistan ed Iraq sono state pianificate, ormai esistono prove sufficienti a tal proposito, ben prima
non solamente dell11 settembre
2001, ma addirittura del colpo di
stato elettorale del novembre 2000
che ha portato al governo Bush. Si
tratta di operazioni ragionate e realizzate a freddo, a partire dal 1998 e
sulla base delle teorie neoconservatrici relative al nuovo secolo Usa,
non sullonda emotiva di quanto accaduto alle Torri Gemelle di New
York. L11 settembre si rivelata,
semplicemente, una splendida occasione.
Sul piano strategico esiste, certamente, la volont di controllo di materie prime e fonti energetiche, con
relative sfere di influenza. Ma questo non basta per comprendere le
ragioni profonde alla base della
strategia della guerra preventiva di
Bush e dei disegni di dominio imperiale mondiale di Washington. Da
una parte, vi la volont di controllo
rigido sulla politica planetaria, nonostante la crisi della globalizzazione

capitalistica, e degli stessi Usa in testa, sia profondissima. Come dire,


pi diminuisce il consenso intorno
al modello Usa ed alla globalizzazione capitalistica, pi aumenta il
grado di coercizione, vale a dire la
risposta squisitamente militare.
Dallaltra, stanno emergendo giganti mondiali non omologati e potenzialmente concorrenti, che potrebbero in un futuro prossimo insidiare legemonia statunitense,
primo fra tutti la Cina. Tra 10 o 12
anni Pechino potrebbe riempire lo
spazio lasciato libero dalla caduta
dellUnione Sovietica, prospettiva
che gli Stati Uniti intendono stroncare con ogni mezzo. Washington
intende pertanto utilizzare lattuale
superiorit militare per ridurre la
Cina al ruolo di comprimaria o, ancora meglio, per annichilirla. Da
questo punto di vista, le guerre contro la Jugoslavia, utile per cambiare
le regole allinterno della Nato,
lAfghanistan, che ha dimostrato la
capacit di Washington di agire in
solitudine, e lIraq, con la relativa
demolizione delle Nazioni Unite,
lunilateralismo e la riduzione di
tutti al ruolo di comprimari, sono
preparatorie per il grande scontro
con la Cina. In questo contesto, la
guerra contro lAfghanistan ha consentito agli Usa di penetrare con
una presenza militare stabile nella
maggior parte delle repubbliche
dellAsia Centrale ex sovietica, a
21

Lotta per la pace

partire dalla Kirghisia, minacciando cos direttamente non solamente Pechino, ma anche Mosca.
Quanto allEuropa, per il momento
non costituisce elemento di grande
preoccupazione per gli Usa, anche
se, in prospettiva, potrebbe divenire
un alleato recalcitrante.
Andiamo con ordine. Il tuo giudizio
sull11 settembre estre m a m e n t e
duro
Ti voglio raccontare un aneddoto.
In un saggio del 1997 (attenzione
alle date) Gore Vidal ricostruisce un
dialogo realmente avvenuto nel
1948, ormai in piena Guerra
Fredda, tra il Presidente Truman ed
il suo Segretario di Stato Acheson.
Questultimo, tentando di rispondere al cruccio del presidente sulle
modalit di armare il paese senza incorrere in grandi proteste di massa,
teorizz semplicemente che il solo
sistema possibile era quello di terrorizzare
la
popolazione.
Cinquantanni dopo, nel 1998, gli
analisti neoconservatori consideravano con preoccupazione la lentezza con la quale procedevano le
trasformazioni rivoluzionarie del
quadro internazionale, con una
sola incognita auspicabile: solamente un evento simile a Pearl
Harbor avrebbe potuto velocizzarle
L11 settembre servito da pretesto
per un impressionante progetto di
riarmo da parte degli Stati Uniti,
che destinato ad accrescere ulteriormente la risposta coercitiva alla
crisi della globalizzazione ed a produrre ulteriori effetti negativi e distorsioni tanto sulleconomia statunitense quanto su quella globale.
Afghanistan ed Iraq, due territori occupati dopo guerre illegittime da tutti
i punti di vista. Quale la situazione in
entrambi?
In Afghanistan, gli Stati Uniti
hanno potuto contare su un esercito bene equipaggiato che lavorava
per loro, i tagiki, e su un governo,
quello dei Talebani, che godeva ormai di un consenso bassissimo da
parte della popolazione. Lattuale
parlamento, la Lloya Jirga, stato
22

letteralmente preso in affitto per


2/3 dagli Stati Uniti, e Karzai rappresenta solamente una parte della
comunit Pashtun. Ci troviamo, insomma, in una fase transitoria, dove
ciascuno fa i suoi calcoli. La sensazione, per, che le forze di occupazione controllino solamente
Kabul, trovandosi addirittura in una
condizione peggiore dei sovietici,
che almeno controllavano tutti i
grandi centri urbani. Quanto successo recentemente ad Herat, con
luccisione del Ministro dei
Trasporti ed i successivi scontri armati, dimostra che il fuoco cova
sotto la cenere, anche se un effetto
domino sul breve periodo assai improbabile. Pi semplicemente, i singoli signori della guerra agiscono
sulla base dellinteresse immediato,
il pi delle volte a sostegno di chi li
paga in quel momento.
Quanto allIraq, il contesto assai
differente. Gli Usa non avevano nessun appoggio sul terreno n, evidentemente, alcun piano per il dopoguerra, nessuna ipotesi di ricostruzione politica dopo la caduta di
Saddam Hussein. Pensavano, semplicemente, di essere accolti come
liberatori, sottovalutando il fatto di
trovarsi di fronte ad un paese con
una grande tradizione politica. Tra
i paesi arabi, lIraq senza dubbio
il pi maturo e ricco di politica, un
paese che ha avuto un grande
Partito Comunista ed un grande
partito Baath. Esiste un abisso tra
le masse afgane ed irachene sul
piano del livello politico ed organizzativo, quanto, senza voler offendere nessuno, tra i Bantu e la
Francia. Da qui una catastrofe politica, di dimensioni ancora tutte da
valutare, con gli Stati Uniti che non
hanno risolto nessuno dei problemi
sociali del paese, con un governo
che non rappresenta nessuno e con
una resistenza che gode di un vastissimo consenso popolare e che
destinata a svilupparsi nel tempo,
prolungando la propria azione. E
una sciocchezza confondere questa
resistenza col terrorismo: vi possono essere certo componenti fondamentaliste, ma in generale ci troviamo di fronte ad una guerriglia ar-

Marzo - Aprile 2004

mata e decentrata, con partecipanti


diretti e vaste coperture popolari. In
Iraq la gente vive peggio oggi di
qualche mese od anno fa, col dittatore Saddam e con lembargo economico. Gli sciiti sono rimasti calmi
per quasi un anno perch pensavano di vincere le elezioni e giungere per la prima volta al potere, elemento questo che sarebbe inaccettabile per i curdi. Daltro canto uno
stato autonomo di questi ultimi, anche in un contesto assai complesso
di Iraq confederato (e tripartito),
sarebbe inaccettabile per la
Turchia Pi rimangono le truppe
straniere di occupazione, pi le possibili soluzioni si allontanano e la
popolazione si esaspera ulteriormente.
Quali le ragioni alla base della sollevazione sciita di queste settimane, che
segna senza dubbio un salto di qualit
nella resistenza irachena alloccupazione?
Gli Stati Uniti avevano forse pensato
di poter saldare gli interessi di sciiti
e curdi a scapito dei sunniti, ma la
situazione si rivelata, come gi
detto, assai pi complessa. La comunit sciita, o almeno la parte pi
radicale e decisa di essa, che fa riferimento ad Al Sadr, ha capito che gli
Stati Uniti sono in Iraq per restarvi
a lungo e non disposta n a tollerare loccupazione n a farsi di
nuovo mettere ai margini nella gestione effettiva del potere.
Altro passaggio delicato riguarda gli
ostaggi catturati da diversi gruppi
della resistenza. Tra questi i quattro
italiani dipendenti di unagenzia di sicurezza privata statunitense, uno dei
quali stato ucciso nei giorni scorsi.
Sarebbe davvero interessante sapere che cosa effettivamente facessero i quattro italiani catturati in
Iraq, dove sono stati presi e perch.
Lelemento che trovo francamente
inaccettabile il ricorso alla canea
retorica e stucchevole di stampo nazional-populista, scomodando addirittura gli eroi. Allabiezione ed
alla stupidit, evidentemente, non
c limite: come spiegare altrimenti
le uscite del ministro Frattini ed il

Marzo - Aprile 2004

titolo di Repubblica del 16 aprile


(Cos muore un italiano), testata
che si ritiene di area riformista ma
che, evidentemente, ha la coscienza
sporca per aver sostenuto nel recente passato altre guerre pi o
meno umanitarie?
Sul piano generale, poi, del tutto
inutile tentare di rimuovere quella
che unamara realt di molti paesi
occidentali, compreso evidentemente il nostro. In diversi casi accertati, non possibile parlare n di
guardie del corpo e neppure di mercenari, ma di interi eserciti e veri e
propri squadroni della morte che
vengono assoldati, anche in Italia,
da societ private che operano nel
settore sicurezza per eliminare fisicamente chi crea problemi. Dove?
Dovunque, da l Mozam bico, al
Kenya, allo Zimbabwe, allAmerica
Centrale.
Tutti lo sanno, anche la maggior
parte dei giornalisti, ma lignavia la
fa da padrona. Quello che davvero
sbalorditivo lo stupore, come si
trattasse di un fulmine a ciel sereno
Iraq significa anche Medio Oriente.
Come valuti il quadro complessivo,
alla luce anche delleliminazione mirata da parte dellesercito israeliano
dello sceicco Yassin, fondatore di
Hamas?
Il termine esatto da utilizzare in questi casi assassinio politico di stato. Luccisione di Yassin dimostra
quanto poco gli Stati Uniti siano interessati sul piano generale a normalizzare la situazione in Medio
Oriente e quanto invece lo siano ad
accrescere inquietudine e destabilizzazione. Latteggiamento formalmente prudente a volte utilizzato da
Bush deve essere letto solamente in
chiave elettorale. In realt, lamministrazione Usa decisa a ridisegnare lintera area, un po come avvenuto nei Balcani, ridefinendo assetti e sfere di influenza. Per poter
procedere su questa via (i Balcani
insegnano), occorre prima innescare un gigantesco processo di destabilizzazione, allinterno del
quale lassassinio di Yassin costituisce un passaggio non secondario.

Lotta per la pace

Ho parlato degli Stati Uniti e non di


Israele perch Sharon non ha agito
da solo, e la simbiosi tra Washington
e Tel Aviv, nonostante brevi e sporadici dissensi, pare essere totale.
E veniamo allEuropa, argomento oggi
di grande attualit. UnEuropa che si
divisa sulla guerra in Iraq, insieme
alla stessa Nato. Con il gover n o
Berlusconi tra i protagonisti del fronte
favorevole allintervento militare
SullEuropa insistono oggi dinamiche sfavorevoli: la componente filostatunitense molto forte anche
dopo il voto spagnolo, rafforzata
dallingresso di alcuni paesi
dellEuropa Orientale ed ex sovietica, tutti subalterni a Washington.
Francia e Germania si sono opposte
per ragioni profonde alla strategia
Usa, dopo averne misurato la pericolosit. A noi giunta una caricatura delle posizioni franco-tedesche, mentre la resistenza di Parigi
e Berlino potrebbe rivelarsi forte
anche in prospettiva. Lattuale divisione dellEuropa costituisce un elemento acquisito, anche se il quadro
potrebbe subire modifiche interessanti. Da una parte, Gran Bretagna,
Francia e Germania stanno sperimentando una forza comune di intervento al di fuori della Nato, e questo potrebbe essere un segnale degno di nota, derivante forse dalla
precariet della posizione di Blair,
che potrebbe favorire una maggiore
apertura sul fronte europeo. Dopo
le elezioni in Spagna e le evidenti
difficolt di Berlusconi, gli equilibri
potrebbero mutare
La vittoria dei socialisti in Spagna segna un passaggio politico di grande importanza per tutti noi. Quali sono le ragioni della sconfitta del governo Aznar
e le prospettive future?
La sconfitta di Aznar legata allevento drammatico e terribile dell11
marzo, ma sarebbe sbagliato fermarsi qui. Dopo la strage di Madrid,
sarebbe stato forse pi prevedibile
unulteriore scivolamento a destra
dellelettorato spagnolo. In realt,
la differenza stata fatta dal forte
movimento popolare che si creato
contro la guerra in Iraq, con la mag-

gioranza dellopinione pubblica


spagnola contraria allintervento
militare, sostenuto invece da Aznar.
Anche per questo il governo spagnolo, secondo e grave errore, ha
tentato di occultare la verit sui veri
responsa bili delle bombe di
Madrid, manipolando pesantemente linformazione e chiss cosaltro. Non bisognerebbe sorvolare, come ha fatto invece la stampa
italiana, su quanto accaduto nella
notte precedente la data delle elezioni a Madrid. Anche perch non
detto che un quadro simile non
possa presentarsi anche in Italia
Questo sul piano generale. Dal punto
di vista economico, invece, chi pagher
i costi della crisi globale e del connesso
riarmo degli Stati Uniti?
Partiamo pure dal fatto che la Banca
Centrale Europea si trova in forte
disagio rispetto alla politica di Bush,
considerato il vero disturbatore
della quiete internazionale. Con la
svalutazione del dollaro che supera
ogni aspettativa, Washington dimostra la propria indisponibilit a pagare i debiti, scaricando cos i costi
sullEuropa e leuro. Per il momento, i gruppi dirigenti economici
e finanziari europei subiscono questa politica, ma fino a quando? I cinesi non hanno rivalutato la propria
moneta, lo yuan, nonostante le forti
e continue pressioni Usa. A pagare
i costi della guerra e delle politiche
statunitensi sono cos Europa e
Giappone. Intendiamoci, fino a novembre negli States le vacche saranno grasse, ma dopo le presidenziali pu succedere di tutto: lindebitamento di Washington si dilatato oltre ogni limite, e prima o poi
i conti si devono pur fare. E che cosa
accadrebbe se dovesse scoppiare
unaltra bolla di speculazione finanziaria globale? LEuropa seguir gli Usa fin dentro al baratro
con la logica che siamo tutti sulla
stessa barca?
Una domanda cattiva. Abbiamo parlato della subalternit del govern o
Berlusconi agli Stati Uniti. Anche
P rodi, per, nel suo Manifesto, legittima la guerra in Kosovo e conferma
23

Lotta per la pace

la necessit dellintegrazione nel contesto euro-atlantico di una futura Europa


unita
Domanda legittima. Io non sono
convinto che Prodi pensi esattamente quanto scritto in quella che
senza alcun dubbio la parte pi debole del documento, e non sembri
un paradosso. Egli paga un tributo
agli orientamenti attuali di parte del
centro-sinistra (Margherita e maggioranza DS), che non intendono
disturbare pi di tanto il manovratore di l dallAtlantico. Producendo una mediazione sbagliata, arretrata ed inaccettabile.
La guerra ha diviso la stessa Nato.
Contemporaneamente, a Francia e
Germania si aggiunta la Russia di
Putin a criticare decisamente la strategia di Bush.
Nel contesto della guerra preventiva di Bush il peso della Nato destinato a ridursi. Questultima in
realt, anche nelle sue nuove funzioni, si indebolita e potrebbe essere utilizzata a geometria variabile,
il pi delle volte come strumento di
copertura.
Per quanto concerne la Russia,
Putin ha intrapreso una linea non
equivoca di grande autonomia, fregandosene, in buona sostanza, delle
opinioni Usa, almeno sul piano interno. Egli pare non essere interessato a ricevere la patente di grande
democratico, contrariamente a
quanto avveniva con Eltsin, cavalcando la grande ondata nazionale
russa. Basti pensare che quasi tutti i
candidati alle elezioni presidenziali
erano schierati per la lotta contro
gli oligarchi e per la fine tanto della
dominazione occidentale quanto
del capitalismo a guida statunitense.Gli Stati Uniti stanno tentando di ridisegnare lintera geografia dell Asia, estendendo il loro
controllo, oltre a quanto si detto
in precedenza sullAsia centrale ex
sovietica, anche al Caucaso, a partire da Azerbajgian e, anche rispetto
ai recenti avvenimenti, Georgia. A
tal proposito, il silenzio russo non
deve essere interpretato come acquiescenza. Proprio in qu esti
24

giorni, poi, si sono tenute le pi


grandi esercitazioni navali ed aeree
degli ultimi quarantanni, con lutilizzo di sommergibili nucleari (nel
dicembre 2001 stato ultimato il
sommergibile nucleare Ghepard, il
pi avanzato tecnologicamente mai
costruito dai militari sovieticorussi), bombardieri strategici e missili balistici. Con Putin che ha assistito allintera esercitazione a bordo
di un incrociatore.
Quanto pu pesare la costruzione di un
Fronte Antimperialista in Asia per la
costruzione di un mondo multipolare,
a partire dal gruppo di Shanghai,
che vede unite Russia, Cina ed alcuni
paesi dellAsia Centrale ex sovietica, al
Forum Sociale Mondiale di Mumbai?
Moltissimo, anche e soprattutto in
riferimento a quanto si detto rispetto ai piani di penetrazione Usa
in Asia. I governi che si stanno contrapponendo alla strategia unilaterale statunitense esprimono interessi, non semplici alzate di testa, in
un contesto nel quale si allarga la
forbice tra gli interessi di
Washington e quelli del resto del
pianeta. Cancun stata, da questo
punto di vista, la prova del nove.
Terminata leuforia della globalizzazione e della ricchezza per tutti
(nessuno ha pi il coraggio di parlare della new economy), la crisi si
fatta aspra e non si intravedono segnali di modifica di nessun tipo al
modello dominante, a partire dalla
riforma del sistema finanziario globale. Persino uneventuale ripresa
economica potrebbe non bastare:
da un certo punto di vista, equivarrebbe ad aumentare la velocit di
una locomotiva che si sa essere destinata a schiantarsi contro un muro
di cemento armato.
Non dobbiamo stupirci se in un
contesto simile sempre pi paesi, a
partire da quelli del sud del mondo
ma non solo, tentano di coalizzarsi
e difendersi, mandando a farsi benedire istituzioni che parevano insopprimibili come il WTO.
Quanto al Forum di Mumbai, dobbiamo avere la consapevolezza del
peso che pu rivestire per il contesto generale la presenza in Asia di

Marzo - Aprile 2004

un movimento maturo ed articolato


contro i guasti della globalizzazione. Movimento che, con un
grande sforzo di unificazione intellettuale, ha prodotto un documento finale avanzato ed interessante. Anche se lottimismo, per la
verit, finisce qui. Soprattutto se riflettiamo sul fatto che il gruppo dirigente Usa il pi potente ed aggressivo mai conosciuto nella storia
dellumanit, che ha dimostrato il
cinismo necessario per portare
avanti i propri piani di dominio
mondiale nonostante le accresciute
resistenze.
Linterrogativo drammatico , ancora oggi, il come possiamo fermarli, prima che sia davvero troppo
tardi per tutti.
Oltre al ritiro dei militari italiani impiegati nelle missioni militari allestero, come rilanciare il movimento
contro la guerra nel nostro paese?
La richiesta del ritiro dei contingenti
militari italiani non solamente
dallIraq ma anche da Afghanistan e
Kosovo costituisce un fattore importante. Oltre a questo, per, dal momento che io credo nella forza dei
simboli, sarebbe opportuno rilanciare il movimento delle bandiere ai
balconi, elemento che ha costituito
e potrebbe costituire una propaganda di grande impatto ed effetto.
Oltre a questo, dato anche lapprossimarsi delle elezioni, dobbiamo riuscire a mobilitare ancora una volta
la nostra ricchissima societ civile,
determinando una possente e formidabile pressione, magari partendo proprio dai futuri eletti.
Perch non far sottoscrivere ai candidati disponibili una dichiarazione
comune nella quale si impegnano
solennemente al rigido rispetto dellarticolo 11 della Costituzione e a
non sostenere alcuna azione militare
funzionale alla guerra preventiva?
Oppure un appello che superi anche
i partiti di appartenenza di ciascun
candidato: chi sottoscrive il rispetto
dellarticolo 11 un nostro candidato, chi non lo fa diviene automaticamente un nostro avversario politico, al di l, ribadisco dei partiti di
appartenenza di ciascuno.

Marzo - Aprile 2004

Lotta per la pace

La gente ha compreso
molto in anticipo
sui propri rappresentanti
nelle istituzioni che la guerra
uno strumento obsoleto

Iraq:
contro i popoli
e contro Dio

di don Tonio DellOlio


Coordinatore nazionale Pax Christi

LUNICO MESSAGGIO QUELLO DEL 20 MARZO.


LA SPERANZA PI GRANDE IL POPOLO DELLA PACE

ensavamo che la data del 15 febbraio 2003 sarebbe rimasta indelebilmente scolpita nella coscienza
della gente che ama la pace in questo Paese e nel mondo come la giornata del risveglio e della ribellione,
della resistenza contro la guerra e
della mobilitazione, attiva quanto
mai, contro un governo in procinto
di far scendere in campo le proprie
guarnigioni in spregio del diritto internazionale a fianco di un esercito
invasore. Pensavamo tutti (ma nessuno aveva lardire di dirlo ad alta
voce) che quellevento fosse eccezionale e che avesse segnato un momento apice nella storia delle manifestazioni in Italia (e nel mondo).
Lo pensavamo non soltanto per il
numero di persone che avevano
partecipato alla manifestazione romana, ma anche per lintensit di
quella partecipazione, il coinvolgimento emotivo, la condivisione
della riflessione e la corresponsabilit palpabile di fronte al rischio
della guerra. Finch vivo non potr
cancellare dalla mia memoria il
volto di Pietro Ingrao che sul palco,
subito dopo aver mostrato alla folla
la bandiera arcobaleno tenuta con
Oscar Scalfaro, voltandosi mi regala
un abbraccio e piangendo mi singhiozza: Sono anziano al punto
daver visto tante cose e daver organizzato e partecipato a tante ma-

nifestazioni, ma questa credimi


la pi bella di tutte. Ebbene dobbiamo essere sinceri e ammettere
che forse nessuno tra gli stessi organizzatori della manifestazione
dello scorso 20 marzo si aspettava
una partecipazione corale del tipo
che s verificata. Ancora una volta
la sorpresa non arrivata dalle
grosse organizzazioni che avevano
predisposto la partecipazione dei
propri aderenti e simpatizzanti,
quanto da quella marea di partecipanti spontanei, giunti magari con
le rispettive famiglie in treno dopo
lunghe ore di viaggio Insomma
siamo riusciti a replicare un successo inaspettato almeno nelle proporzioni in cui avvenuto. Ci sarebbe da chiedersi che cosa spinge
la gente ad accogliere linvito a scendere per le strade. Sono convinto
che anche nella verifica che abbiamo fatto convocando unapposita riunione tra le realt che compongono il cartello del Comitato
Fermiamo la guerra, non sono
emerse tutte le ragioni profonde
che spingono la gente ad uscire di
casa per dire NO al rigurgito della
guerra e a tutte le sue conseguenze.
Nella manifestazione del 20 marzo
poi, apparso ancora pi interessante verificare come i partecipanti
mostrassero una maturit maggiore
sia della classe politica ripiegata in

un dibattito della vigilia che poneva


a confronto due manifestazioni inconfrontabili, sia il risalto dato ai
veti incrociati sulla partecipazione
degli esponenti di partito che avevano votato strano sul rifinanziamento della missione militare italiana in Iraq e altrove per il mondo.
La verit che la gente ha compreso
molto in anticipo sui propri rappresentanti nelle istituzioni che la
guerra uno strumento obsoleto e
che non solo non serve pi a dirimere le crisi internazionali, le aggrava mietendo vittime, prima tra
tutte la verit. In questa vicenda irachena il mucchio di menzogne che
hanno preparato ed accompagnato
lintervento militare sono state ancora pi evidenti.
Per quanto riguarda i cattolici che
si accompagnano il cammino del
popolo della pace, oggi non possiamo fare a meno di rilevare che il
loro numero cresciuto a dismisura
e coinvolge non pi soltanto quelle
realt le cui sensibilit e attenzioni
erano note e provate.
Oggi ci sono istituti religiosi, oratori, parrocchie, centri giovanili,
istituti missionari che contribuiscono col valore aggiunto delle loro
esperienze, conoscenze, sensibilit.
Si tratta di realt il cui NO alla
guerra radicale e intransigente,
senza se e senza ma. Deludente le-

25

Lotta per la pace

ditoriale di un anno fa di Ernesto


Galli Della Loggia che riconosceva
questo schieramento come determinato e deciso ma lo attribuiva al
diapason del Papa contro la
guerra che aveva accordato gli strumenti di tutti i cattolici. Se solo lintellettuale del Corriere pensasse a
quanti altri insegnamenti del Papa
(ad esempio in materia di morale
sessuale) non vengono seguiti dai
cattolici, si renderebbe conto che le
motivazioni di quella presenza devono essere cercate altrove. Proprio
nella menzogna rivelata da questa
guerra. Ricordiamo tutti che la pretesa iniziale per legittimare (?) lattacco armato era il non rispetto da
parte dellIraq della risoluzione
dellONU che prevedeva le ispezioni. Ebbene vero che lIraq ha
contravvenuto molte volte alle
Risoluzioni dellONU, ma stato
calcolato che le violazioni delle
Risoluzioni sono avvenute 91 volte,
e 59 volte sono state commesse da
Stati alleati degli Stati Uniti: Israele
e Turchia.
Israele non ha rispettato 32
Risoluzioni del Consiglio di
Sicurezza dellONU: lultima la
n. 1435 del 2002 esige "il ritiro
rapido delle forze israeliane dalle
citt palestinesi e il ritorno alle posizioni occupate prima del settembre 2000"; ma, come le precedenti,
rimasta lettera morta. La Turchia
ha violato 24 Risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite tutte riguardanti Cipro, occupata a Nord dalle truppe turche,
delle quali lONU ha chiesto invano
il ritiro.
A sua volta, il Marocco non ha osservato 16 Risoluzioni dellONU riguardanti il Sahara occidentale.
Ora per nessuna di queste violazioni
delle Risoluzioni dellONU gli Stati
Uniti sono intervenuti militarmente. Daltra parte, lIraq ha accettato lultima Risoluzione delle
Nazioni Unite la n. 1441 dell8
novembre 2002 permettendo
agli ispettori di accedere a tutti i siti
che desideravano visitare (Fonte:
Civilt Cattolica, gennaio 2003). E

26

cos cadono tutte le altre motivazioni riguardo il possesso di armi di


distruzione di massa, la particolare
crudelt del regime di Saddam
Hussein, la mancanza di democrazia, lappoggio dato al terrorismo.
Alcune di queste imputazioni non
sono mai state provate e altre purtroppo ricorrono frequentemente
nella storia e nella geografia senza
che da parte degli Stati Uniti si sia
scelto di ricorrere alluso unilaterale della forza, se non in taluni casi
per sostenerne il regime. Ci che
giustifica quellintervento il controllo da parte americana di unarea nella quale si estrae il petrolio
di cui gli americani hanno assoluto
bisogno. Per soddisfare le esigenze
degli USA, la capacit produttiva
dei pozzi dellArabia Saudita dovrebbe superare, a partire dal 2010,
i 14 milioni di barili al giorno: ci
che lArabia Saudita non sembra in
grado di fare. Di qui la necessit per
gli Stati Uniti di avere accesso sicuro
al petrolio iracheno, le cui riserve
accertate sono di 112 miliardi di barili (l11% di quelle mondiali), seconde sole a quelle dellArabia
Saudita; ma probabile che siano il
triplo.
La produzione massima attuale di
2,8 milioni di barili al giorno; ma in
cinque anni potrebbe raddoppiare.
Di fronte alluso sistematico della
menzogna come strumento di annientamento di massa che fa uso
delle televisioni e dellinformazione in generale, di fronte alla propaganda stucchevole e retorica che
ha preso il posto del silenzio rispettoso che si doveva nei confronti
delle vittime di Nassirya, rispetto
alla manipolazione palese per cui i
soldati italiani spuntano in televisione durante la Domenica Sportiva
e Sanremo ci sarebe stato bisogno
di una pi tenace opposizione politica che rappresentasse degnamente la volont della genete e di
tanti cattolici in particolare.
E un errore miope e di basso profilo non aver saputo creare un ponte
tra il dissenso diffuso nellopinione
pubblica sulla guerra e le istituzioni.

Marzo - Aprile 2004

Personalmente non mi importa


tanto di incoraggiare una visione
politica o una forza di partito,
quanto piuttosto di arginare questo
dilagante rigurgito della cultura
della guerra che, se fosse legittimata
dal consesso internazionale sotto le
spoglie dello strumento preventivo,
sarebbe una sciagura per tutti. In
questo senso auspichiamo tutti una
politica capace di volare alto, di pensare in grande, di intercettare queste derive pericolose e di spendersi
senza sosta per scongiurarle. Le
tempeste nel bicchiere della sinistra
italiana sono davvero poca cosa di
fronte ad una tale minaccia. Non c
che da riporre fiducia e speranza
nella base di ciascuna parte (compresa quella cattolica) affinch contagino di questa sete di pace le
donne e gli uomini che siedono a
Montecitorio, a Strasburgo, nei
consigli comunali e, perch no, anche a Palazzo Chigi oggi e domani.
Post scriptum : il 16 aprile. Aggiungiamo queste note mentre in Iraq la
guerra estende il suo fuoco e il suo
orrore, sino a divenire un inferno,
dopo che anche lesercito italiano e
i suoi bersaglieri, a Nassirya, sono
entrati tragicamente in guerra e
dopo che il giovane italiano
Fabrizio Quattrocchi stato atrocemente ucciso.
Chi ha deciso questa guerra ne risponder alla propria coscienza, a
Dio e allumanit. Chi ha deciso che
perfino i luoghi di preghiera sono
obiettivi strategici, chi ha deciso di
bombardare anche una moschea in
Iraq per uccidere coloro che vi si
sono rifugiati ha definitivamente
deciso che non esistono santuari di
pace, spazi di riconciliazione, luoghi di intima ricomposizione, di sofferta invocazione, di coraggiosa e
profetica verifica del nostro agire.
Luomo non ha pi dove rifugiarsi,
non ha pi dove essere accolto, non
ha pi dove riconoscere gli errori e
ricominciare, luomo non ha pi
dove sognare e progettare, luomo
non ha pi dove ascoltare il proprio
Dio e abbracciarlo.

Marzo - Aprile 2004

Alluomo resta solo la fuga, la paura,


la rabbia e il desiderio di vendetta.
Non possiamo pi permettere che
siano solo le armi a risolvere le crisi.
Ecco perch il 9 aprile, venerd
santo, giorno della Passione di
Ges, guardando al crocifisso abbiamo denunciato un divario, evidente e insormontabile, fra chi,
nella propria debolezza, vive ed
esercita la forza dellamore per gli
uomini e per Dio e chi, nello spiegamento della propria forza militare e mortale, vuole rendere gli altri deboli e, in definitiva, vuole eli-

Lotta per la pace

minare anche Dio. C una distanza


incolmabile fra chi disposto a
spendere la vita per il bene di ogni
uomo e di ogni donna e chi
pronto ad immolare la vita ( propria
e degli altri) sullaltare degli interessi, delleconomia, del potere,
della supremazia.
Questo vogliamo testimoniare ai
nostri fratelli mussulmani e cristiani, nientaltro che il Vangelo di
Ges.
Non possibile questo ripetersi continuo di ingiustizia e di morte; per
noi cristiani questo il tempo della

speranza, la Pasqua il simbolo concreto della pacificazione tra luomo


e Dio, la passione di Cristo in queste giornate cos cariche di violenza
ancora una volta la passione dei
popoli che vivono il terrore della
guerra.
Facciamo un invito alle comunit
cristiane: offrite un gesto di solidariet e vicinanza ai fratelli musulmani portando alle loro moschee
un segno di riconciliazione, un
ramo dulivo e una bandiera con i
colori della pace, primavera delluomo.

27

Marzo - Aprile 2004

Lotta per la pace

Cresce lopposizione a Bush


e allinvasione dell Iraq

Il movimento degli
USA contro le
guerre e le politiche
imperialiste

di John Catalinotto*

CON QUESTO ARTICOLO JOHN CATALINOTTO, UNO DEI PI POPOLARI


ESPONENTI DEL MOVIMENTO PER LA PACE NORD AMERICANO, INIZIA
LA SUA COLLABORAZIONE CON LERNESTO

New York
on le manifestazioni unitarie svoltesi in oltre 250 citt, lo scorso 20
marzo il movimento contro la
guerra degli Stati Uniti ha mostrato
non solo la propria vitalit, ma anche la propria crescente consapevolezza nella sfida per porre fine alloccupazione dellIraq.
Il numero dei partecipanti che sono
scesi in piazza ha superato ogni
aspettativa degli organizzatori:
100.000 a New York, 50.000 a San
Francisco, 20.000 a Los Angeles,
10.000 a Chicago, altre migliaia e
centinaia in decine e decine di citt
e numeri inferiori nel resto delle
citt in cui si manifestato. Forse i
manifestanti sono stati 250.000300-000 in tutto.
Sebbene le manifestazioni non
siano state imponenti come quelle
che lanno scorso chiedevano di fermare la guerra, il loro esito stato
sorprendentemente forte per uniniziativa in opposizione alloccupazione.
Vi sono inoltre stati promettenti sviluppi, come liniziativa dei portuali
della baia di San Francisco che il 20
marzo hanno bloccato il porto di
Oakland/San Francisco, la manifestazione delle famiglie dei militari a
Fort Bragg e la partecipazione alle
manifestazioni di militari in servizio
e della riserva.

28

Come a Roma e in altre citt europee, allinterno del movimento si


verificato un dibattito per determinare le principali parole dordine
delle manifestazioni e lindizizzo
del movimento. La coalizione ANSWER ha spinto per gli slogan
Portiamo a casa le truppe, subito
e Fine delloccupazione in Iraq,
Palestina, Haiti, ovunque. Laltra
coalizione United for Peace and
Justice ha promosso lo slogan Il
mondo dice ancora no alla guerra.
Le due coalizioni hanno agito poi
unitariamente per realizzare una
pi forte mobilitazione capace di
crearsi uno spazio per continuare la
battaglia politica.
Se le precedenti manifestazioni nazionali negli Stati Uniti, tenutesi il
25 Ottobre 2003 a Washington, San
Francisco e Los Angeles avevano
mostrato che il movimento dello
scorso anno era ancora vivo, il 20
Marzo hanno dimostrato che esso
in continua crescita e che si sviluppa, anche nel bel mezzo della
campagna elettorale.
La portata delle manifestazioni del
20 Marzo ha mostrato che la resistenza del popolo iracheno ha imposto negli Stati Uniti il tema delloccupazione dellIraq come tema
scottante delliniziativa politica.
Indubbiamente la reazione degli
elettori spagnoli, di rifiuto e di sconfitta per il governo di destra di

Aznar, spinger ancora in avanti il


movimento negli Stati Uniti.

LA

MACCHINA

D E L L A P R O PA G A N D A

La pi grande macchina di propaganda che il mondo abbia mai conosciuto, lapparato mediatico dominante negli USA, in un duplice
senso menzognera. Mente e distorce gli eventi mondiali, al fine di
giustificare la politica USA. Inoltre
presenta la popolazione americana
come se allunanimit appoggiasse
la politica estera di Bush. A causa di
queste distorsioni, anche persone
progressiste e politicamente consapevoli, tanto negli Stati Uniti che allestero, possono seriamente sottovalutare il potenziale di resistenza
alla politica USA da parte della popolazione degli Stati Uniti.
Tuttavia, malgrado il basso livello dicoscienza di classe e politica della
popolazione, malgrado la crescente
intimidazione e repressione attraverso il Patriot Act, un movimento
di massa sorto, prima contro la
guerra USA e ora contro loccupazione dellIraq. Questo articolo
vuole cercare di spiegare come ci
possa essere accaduto, introducendo alle differenti tendenze presenti negli Stati Uniti nel movimento contro la guerra, alle que-

Marzo - Aprile 2004

stioni che vi si dibattono e i suoi progetti per le future mobilitazioni.


Una delle maggiori forze presenti
nel movimento contro la guerra la
coalizione ANSWER. ANSWER
lacronimo di Act Now to Stop War
and End Racism (Agire subito per
fermare la guerra e metter fine al
razzismo). Lo scorso giugno ANSWER ha iniziato a chiamare alla
mobilitazione per la dimostrazione
del 25 Ottobre. La coalizione
United for Peace and Justice
(UfPJ), unaltra fra le maggiori organizzazioni contro la guerra, si
unita nellappello nello scorso settembre e ha condiviso la piattaforma del raduno di Washington.
La protesta del 25 Ottobre stata la
prima dimostrazione nazionale unitaria di queste due grandi coalizioni
contro la guerra, cosa che ha rappresentato un passo in avanti per il
movimento.2
La coalizione ANSWER chiede limmediato ritiro delle truppe straniere dallIraq e la fine delloccupazione. Anche la coalizione UfPJ
ha sostenuto questi slogan a partire
dalla manifestazione del 25
Ottobre, ma alcuni gruppi interni
allUfPJ propongono un piano per
un graduale passaggio nelloccupazione alle forze dellONU. Entrambe le coalizioni hanno chiamato alla
mobilitazione per la manifestazione
del 20 Marzo 2004, giornata globale
contro la guerra indetta dal documento finale del Forum Sociale
Europeo del 16 novembre 2003.
La grande sfida organizzativa che
sta ora di fronte agli attivisti del movimento contro la guerra consiste
nel continuare ad allargare ed approfondire il movimento contro
loccupazione, nel collegare questo
movimento con la lotta dei lavoratori per il lavoro e i diritti sociali, nel
prendere contatto con le faniglie
dei militari e con i militari stessi, e
coinvolgerli attivamente nel movimento contro la guerra. Allo stesso
tempo, si tratta di combattere la repressione della macchina di stato
capitalista.
Una sfida particolare consister nel
riuscire a consolidare un movi-

Lotta per la pace

mento indipendente dai due partiti


capitalisti nel corso delle elezioni
nazionali. Con un presidente di
estrema destra come George W.
Bush, molte forze contro la guerra
vengono trascinate nella campagna
elettorale di qualche candidato del
Partito democratico. Esse potranno
ritenere che lo slogan Chiunque
purch non sia Bush possa ridurre
i pericoli di nuove guerre o porre
pi velocemente fine alloccupazione dellIraq. Allinizio della campagna elettorale i media indicavano
il generale Wesley Clark, responsabile del bombardamento su obiettivi civili in Yugoslavia nel 1999,
come un candidato della pace.
Ora il probabile candidato democratico, John Kerry, viene indicato
come se fosse un campione della
pace, anche se stato un sostenitore
dellinvio di pi truppe in Iraq ma
con pi alleati.

la solidariet degli utenti. Le sezioni


locali della coalizione ANSWER
sono state in grado di intervenire
durante lo sciopero al fianco dei lavoratori, aiutandoli a raggiungere
lopinione pubblica. ANSWER ha
tenuto incontri nelle aree dei supermarket chiedendo ai clienti di
appoggiare i lavoratori in sciopero3.
I sindacati negli Stati Uniti non
hanno avuto un grande ruolo nel
movimento contro la guerra, come
invece lhanno avuto in Italia e In
Gran Bretagna. Ma questo potrebbe
cominciare a cambiare, se laumento del budget militare combinato con i tagli ai servizi sociali mostrasse chiaramente la loro intima
connessione.

Nonostante questo problema delle


elezioni, il movimento contro la
guerra statunitense ha organizzato
la giornata del 20 Marzo 2004, e
azioni globali sono continuamente
allestite, con raduni e proteste contro loccupazione. ANSWER ha iniziato a consolidare le proprie strutture formando i comitati locali
Portiamo a casa le truppe, subito
in paesi, citt e campus universitari
nel paese. Ha pure iniziato i contatti
con altri settori della societ americana per mobilitare contro fenomeni di regresso sociale causati dal
dirottamento di fondi governativi
verso le spese di guerra. Per esempio, circa 70,000 lavoratori dei supermercati nella California meridionale sono stati in sciopero a partire dall11 Ottobre 2003 o progettavano di farlo farlo, fino al 2004
quando finalmente si risolto. Lo
sciopero ha coinvolto un gran numero di lavoratori sottopagati,
molti dei quali immigrati o figli di
immigrati. Dal momento che lo
sciopero ha avuto un impatto immediato sulla gente che fa la spesa
in questi supermercati, era importante per il sindacato dei lavoratori
conquistare in un modo o nellaltro

Dopo aver visto in televisione scene


di soldati USA far fuoco su civili iracheni o invadere le loro case, potrebbe apparire difficile immaginare che questi stessi soldati possano avere un ruolo nel movimento
contro la guerra. Ma allora si dimenticherebbe quanto sia contraddittorio il ruolo dei soldati ordinari.
Essi sono giovani della classe operaia americana, molti di loro provengono dagli ambienti pi oppressi della societ USA, come le comunit afroamericana, latinoamericana e degli immigrai. Ciononostante essi vengono spediti ad occupare un altro paese e a commettere
crimini di guerra contro la popolazione locale, proprio come avvenne
con le truppe italiane un tempo inviate ad occupare lEtiopia o con le
truppe tedesche che occuparono
un tempo lItalia.
Durante la guerra contro il Vietnam, molti militari USA commisero
analoghi crimini contro il popolo
vietnamita. Al tempo stesso, molti
singoli sodati sopposero a diventare parte della macchina da guerra.
Quando la guerra scoppi, intere
unit rifiutarono di andare in battaglia. La disillusione delle truppe

S O D AT I

USA

RIFIUTERANNO DI COMMETTERE
CRIMINI DI GUERRA ?

29

Marzo - Aprile 2004

Lotta per la pace

ordinarie nei confronti della guerra


svolse un ruolo concreto nello spingere Washington a lasciare il Sudest
asiatico.
Potrebbe qualcosa di simile accadere in Iraq? Il 15 novembre corso
un gruppo di attivisti contro la
guerra si recato a Jacksonville, nel
North Carolina, presso la grande
base della Marina denominata
Camp Lejeune, per unazione che
intendeva saggiare il morale di
quello che viene solitamente considerato il ccorpo pi patriottico e militarista delle forze armate USA, i
marines.
I dimostranti erano and ati a
visitareSteven Funk, un marine oppositore alla guerra, condannato a
sei mesi di prigione per essere stato
assente senza permesso e per aver
dichiarato la propria opposizione
alla guerra in Iraq. Funk, la cui madre originaria delle Filippine,

In occasione della protesta del


25 Ottobre scorso, ANSWER
ha pubblicato un tabloid
di quattro pagine contenente
le argomentazioni del proprio slogan
Portiamo a casa le truppe, subito

pure apertamente gay. Si potrebbe


pensare che fosse il bersaglio di ingiurie da parte degli altri militari.
Invece la delegazione ha scoperto
che Funk aveva pi amici che nemici nella prigione. Egli ha condiviso molte delle 700 lettere che ha
ricevuto un po da tutto il mondo
con i compagni di prigione, alcuni
dei quali non ricevono lettere. Essi
discutevano di questioni politiche e
della guerra con lui. Un prigioniero
diceva di essersi rifiutato di far fuoco
su civili in Iraq.
Dal momento che solo quattro della
delegazione erano andati a visitare
Funk, gli altri atttivisti avevano-

30

messo in piedi una piccola dimostrazione nel locale centro commerciale WalMart. Anche l, in
mezzo alla cittaella militare, essi
hanno trovato molti pollici alzati da
parte di sostenitori come pure gesti
osceni da parte di oppositori.
Contemporaneamente alla visita e
alla manifestazione, alcuni altri attivisti hanno proiettato nel college
della comunit locale un video-film,
Metal of Dishonor, a un gruppo
composto soprattutto di militari. Si
tratta di un ilm sullutilizzo da parte
del Pentagono di armi ad uranio impoverito e del pericolo per chiunque vi rimanga esposto, militari
compresi. La proiezione ha suscitato grande interesse fra i marines
presenti, preoccupati del fatto che
essi e il loro equipaggiamento non
fossero contaminati da uranio impoverito.4
Chiunnque ne abbia esperienza sin
dal tempo della guerra in Vietnam,
sa come sia difficile trovare appoggio in questa base. Il tipo di risposte
riscontrate a Jacksonville un segno
importante del crescente scontento
fra i militari. Attua lmente il
Pentagono ha posto 60,000 membri
della Riserva in attesa di chiamata.
Questi militari della Riserva sono solitamente pi anziani di quelli in
servizio attivo, hanno famiglia e
professioni civili, e possono trovare
davvero spiacevole questa richiesta
di nuovi sacrifici. Essi possono essere inviati in Iraq per sostituire
troppe che sono state l negli ultimi
sei-nove mesi e destinate al ritorno.
I militari sostituiti, non pi a lungo
soggetti ad una situazione di disciplina di guerra, possono essere incontrati per poter iniziare a parlare
francamente delloccupazione.
In occasione della protesta del 25
Ottobre scorso, ANSWER ha pubblicato un tabloid di quattro pagine
contenente le argomentazioni del
proprio slogan Portiamo a casa le
truppe, subito, materiale organizzativo per i sostenitori e articoli per
presentare le posizioni di ANSWER
su altri rilevanti argomenti. Fra questi vi lappoggio di ANSWER alla
liberazione del popolo Palestinese,

la difesa della Cuba socialista contro gli attacchi dellimperialismo


USA, compresa la solidariet per i
cinque cubani condannati negli
USA per preteso spionaggio, la solidariet al prigioniero afroamericano condannato a morte Mumia
Abu Jamal, e in opposizione alla globalizzazione imperialista5. Per la
manifestazione del 20 Marzo ANSWER ha pubblicato un analogo tabloid di otto pagine.

LA

STORIA DI

ANSWER

Per comprendere come questa organizzazione anti-imperialista sia


stata in grado di raggiungere un
ruolo di punta allinterno del movimento contro la guerra negli Stati
Uniti, si deve tornare indietro,
all11 settembre 2001, La storia di
ANSWER inizia appunto dopo quel
fatale 11 Settembre, quando lamministrazione Bush ha iniziato a
sfruttare gli attacchi al World Trade
Center e al Pentagono per scatenare la guerra infinita. Precedentemente all11 Settembre, un ampio
fronte di organizzazioni aveva pianificato una manifestazione per il
29 Settembre a Washington contro
la Banca Mondiale e il FMI.
Una di queste organizzazioni
eralInternational Action Center
(IAC), il cui membro fondatore
lex ministro della giustizia USA
Ramsey Clark. La sede nazionale
dellIAC si trova a Manhattan, a New
York. Molti membri e amici lavorano nelle torri del World Trade
Center o nei paraggi. Quando le
torri vennero abbattute, alcuni arrivarono alla sede dellIAC, quel
giorno tutta piena di polvere e di fuliggine. Qualche altro non lo
avrebbe mai pi fatto, e si trova fra
le migliaia di scomparsi le cui foto
sono appiccicate su ogni lampione
e autobus della citt. Altri erano fra
i lavoratori dellemergenza medica
e dottori che cominciavano a lavorare per soccorrere i feriti. Mentre
era ancora difficile rimanere nella
strada prospicente la sede dellIAC
con laria irrespirabile per la pol-

Marzo - Aprile 2004

vere e la fuliggine, gli organizzatori


dellIAC potevano immaginarsi che
questo sarebbe stato un evento della
massima portata. Preso sarebbe
stato chiaro che lamministrazione
Bush si sarebbe messa alla testa di
una guerra in Afghanistan e poi nel
Medio Oriente.
Prima che le bombe cominciassero
a cadere in Afghanistan, unaltra
guerra ebbe inizio su vari fronti negli Stati Uniti. Nelle settimane seguenti l11 Settembre, centinaia se
non migliaia di assalti ebbero luogo
contro arabi, asiatici, mussulmani,
sikh. Il governo federale diede pure
inizio ad unimmeiata intensificazione dei suoi poteri di polizia interna, facendo stazionare truppe di
polizia e Guardia nazionale in tutte
le citt, operando pi di 1,000 arresti soprattutto fra cittadini di origine medio-orientale o dellAsia
meridionale.
Gli attacchi dell11 Settembre e loffensiva sciovinista dellamministrazione Bush stordirono molte delle
organizzazioni che stavano preparando la protesta a Washington per
il 29 Settembre 2001, e molte si ritirarono. I gruppi rimanenti, compreso lInternationa l Action
Center, decisero che era di cruciale
importanza andare avanti, ma riorientando e trasformando la manifestazione. Essi si concentrarono
su una piattaforma contro la guerra
e riunirono tutti creando il comitato di direzione della coalizione
ANSWER. Della coalizione fanno
parte le organizzazioni Free
Palestine Alliance, International
Action Center, IFCO Pastors for
Peace, Kensington Welfare Rights
Union, Korea Truth Commission,
Nicaragua Network, Partnership for
Civil Justice, Middle East Children's
Alliance e la Mexico Solidarity
Network of U.S./Canada. Qualche
mese dopo la Bayan USA/International e la Muslim Student Association of U.S./Canada sono entrate
nel comitato di direzione di ANSWER.
Ne risultato che, a dispetto della
mobilitazione sciovinista, gli attacchi dell11 Settembre risvegliarono

Lotta per la pace

anche linteresse fra i giovani americani e stimolarono quel che pu


essere descritto come un sentimento pacifista. Il 29 Settembre
2001 ci sono stati circa 25,000 dimostranti a Washington, e altri
15,000 a San Francisco. ANSWER
nata negli Stati Uniti in questo contesto politico, caratterizzato dallondata di sciovinismo favorevole
alla guerra e dagli attacchi razzisti
contro i mussulmani. Dai suoi inizi
ANSWER stata sia un movimento
per la giustizia sociale, quanto un
movimento contro la guerra. La
prima ferma risposta alla campagna
di propaganda di guerra di Bush,
quando questa esercitava una tremenda pressione a ritirarsi e a nascondersi, ha fatto guadagnare
molta credibilit a ANSWER allinterno del movimento progressista
negli Stati Uniti e nel mondo.

PA L E S T I N A

LIBERA !

Sette mesi dopo la protesta del 29


Settembre, ANSWER ha dato vita
alla pi ampia dimostrazione in appoggio al popolo palestinese della
storia degli Stati Uniti. Pi di
100,000 dimostranti a Washington
il 20 Aprile 2002. La dimostrazione
stata anche il risultato unitario di
un fronte fra ANSWER e diversi
gruppi per la pace. La dimostrazione era stata indetta inizialmente
per protestare contro loccupazione dellAfghanistan e i piani di
attacco allIraq. Ma gli eventi mondiali intervenuti avevano modificato lobiettivo. Quando, il 29
Marzo 2002, lesercito israeliano ha
invaso la West Bank e mosso con
forza omicida contro la citt di
Jenin, la solidariet con la Palestina
divenuta lobiettivo principale
della protesta di ANSWER. Le moschee hanno organizzato centinaia
di autobus per recarsi a Washington
per questa protesta. Nonostante la
repressione, fra le 30,000 e le 40,000
persone delle comunit arabe e
mussulmane sono intervenute per
unirsi con altri in quello che stata
una veramente storica manifesta-

zione di solidariet con la Palestina.


Quando i piani dellamministrazione Bush per invadere lIraq si
sono fatti evidenti, ANSWER si
concentrata sulla mobilitazione per
fermare la guerra prima che
parta. Il 26 Ottobre 2002, circa
200,000 persone hanno circondato
la Casa Bianca, e altre 150.000
hanno marciato a San Francisco,
convocate da ANSWER con lappoggio di altre forze contro la
guerra. Il New York Times, un cui
primo articolo cercava di sottostimare e sminuire la protesta, stato
poi costretto a smentirsi pochi
giorni dopo. Si trattato della
prima ammissione da parte dei me-

Gli attacchi dell11 Settembre


e loffensiva sciovinista
dellamministrazione Bush
stordirono molte delle organizzazioni
che stavano preparando
la protesta a Washington
per il 29 Settembre 2001,
e molte si ritirarono
dia controllari dal potere che
unopposizione di massa alla guerra
esiste.6
Quando il numero dei dimostranti
ha raggiunto le quasi 500,000 persone alla successiva manifestazione
di ANSWER il 18 Gennaio 2003 a
Washington con pi di centinaia
di migliaia di dimostranti lo stesso
giorno a San Francisco la corporazione dei media ha finalmente
dato ampia risalto al fatto che un imponente movimento contro la
guerra si era improvvisamente alzato contro i piani di guerra di Bush
contro lIraq7. Nel frattempo, a partire dall11 Settembre 2001, il governo USA aveva ingaggiato una crimina le guerra aerea contro
lAfghanistan, aveva dato semaforo
verde ai devastanti attacchi di Ariel
Sharon contro il movimento nazio-

31

Lotta per la pace

nale palestinese, aveva inviato


truppe nelle Filippine e in Nord
Africa, e aveva sguinzagliato il bigotto razzista John Ashcroft, il
Dipartimento di Giustizia e lINS in
una campagna di repressione e intimidazione razzista, calpestando i
diritti democratici. E stava preparando la campagna di conquista
dellIraq.

LA

CLASSE DIRIGENTE

USA

APPOGGIA LA GUERRA
AL

100

PERCENTO

Di questa guerra e delle relative intimidazioni, tutto viene appoggiato,


con maggiore o minore grado dentusiasmo, dalla monolitica macchina della propaganda e dallintero establishment politico di entrambi i partiti capitalisi, Democratico e Repubblicano. Non vi
stato lungo tutto questo periodo e
durante lestate 2003 alcuna incrinatura nellunit di classe fra i capi
politici, i banchieri e le loro rappresentanze. Nessun ambiente dis-

Negli Stati Uniti, tuttavia,


un profondo movimento cresce
lottando contro tutto il peso
dellopinione pubblica capitalista,
in questo periodo
veramente reazionaria
sidente della borghesia imperialista
si levato per dare il pur minimo incoraggiamento o copertura a chi si
oppone alla guerra.
Questa situazione contrasta con
quella presente in Europa, dove
non solo vi sono masse di lavoratori
che si oppongono alla guerra, ma
pure ampi settori della borghesia
imperialista europea si sono per
motivi propri opposti ai piani americani di guerra contro lIraq. I

32

grandi monopoli in Francia e in


Germania hanno molto da rischiare se la guerra di USA e Gran
Bretagna contro lIraq dovesse andar male. Ma essi hanno pure da
perdere anche se avesse successo, in
quanto lascerebbero allimperialismo USA il controllo del maggior
produttore mondiale di petrolio.
Anche in paesi come la Spagna e
lItalia, dove i regimi di Aznar e di
Berlusconi hanno deciso di appoggiare laggressione Anglo-americana nella speranza di raccogliere le
briciole dalla tavola dei padroni, sezioni della classe dirigente si sono
opposte alla guerra. In ogni parte
dEuropa questa divisione nella
classe dirigente offre aperture alla
mobilitazione di larghe masse contro la guerra. Ma questo vuol anche
dire che le forze socialdemocratiche e pacifiste intendono svolgere
un ampio ruolo in queste mobilitazioni, spesso di guidarle e di diluirne limpatto politico, specialmente in Francia e in Germania.
Negli Stati Uniti, tuttavia, un profondo movimento cresce lottando
contro tutto il peso dellopinione
pubblica capitalista, in questo periodo veramente reazionaria.
Questo significa che le forze socialdemocratiche negli Stati Uniti non
hanno accesso ai politici della classe
dirigente o ai sostenitori che essi potrebbero trovare in altri momenti,
solitamente nellala sinistra del
Partito Democratico. Manifestazioni spontanee vengono organizzate in centinaia di citt, paesi e
campus universitari, ma lesistenza
di un movimento nazionale necessariamente assistita dalle iniziative
della coalizione ANSWER.
A partire dallOttobre e Novembre
2002 hanno iniziato ad apparire articoli su riviste come The Nation,
Mother Jones e sulla rivista telematica
Salon.com che attaccavano la leadership di ANSWER. Bench gli autori di questi articoli presentassero
le loro proposte come consigli rivolti al movimento contro la guerra
utili ad una maggiore efficacia organizzativa, molti di essi avevano laria di antiquate lusinghe anti-co-

Marzo - Aprile 2004

muniste. I consigli erano che ANSWER avrebbe allontanato le masse


contro la guerra presentando oratori che vorrebbero liberi Mumia
Abu Jamal e il prigioniero politico
pellerossa Leonard Peltier e che difendono i 5 cubani imprigionati,
che ANSWER sarebbe antisionista. Molti membri del gruppo dirigente di ANSWER sono stati attaccati semplicemente per il loro essere membri del Workers Wo r l d
Party, il quale ha difeso la Yugoslavia
contro la NATO e vuol difendere il
geverno della Korea del Nord contro laggressione USA.8
Workers World ha risposto cos a
questi attacchi: Potr seccare ai
grandi saggi che il Workers World
rifiuti di prestar fede ad ogni pretesa del governo imperialista USA di
presentare i suoi interventi in tutto
il mondo come animati dalla volont di estendere democrazia e sviluppo, o per lo meno di sconfiggere
dittature sanguinarie e pericolose.
Workers World non pu certo condividere tutte le posizioni politiche
di qualsiasi regime le cui sovranit
e risorse siano subendo gli attacchi
dellimperialismo. Ma sa che una sostituzione di regime imperialista
non mai la soluzione; che linsediamento di un regime fantoccio
neocoloniale, non importa come
camuffato e reso presentabile, rappresenta la morte dell autodeterminazione dei popoli e di ogni genuina democrazia. Tocca al popolo
di questi paesi, non agli interventisti costruttori di imperi, scegliere
quale tipo di governo essi vogliono
e chi devono essere i loro leader.9
stato in questo medesimo periodo
durante il weekend del 26 Ottobre
2002 che alcune formazioni del
movimento contro la guerra hanno
dato vita a quel che diventata la coalizione United for Peace and
Justice, che qualcuno definisce
come lalternativa pi mainstream ad
ANSWER.
La caratteristica di ANSWER stata
quella di allargare e di unire il movimento offrendo una piattaforma
ad ogni genuina azione contro la
guerra, incurante dellimmagine

Marzo - Aprile 2004

politica. Allo stesso tempo, comunque, ha garantito che le voci di neri,


latini, asiatici e dei popoli nativi
americani, come pure quelle dei popoli in lotta per la loro liberazione
contro il governo USA in tutto il
mondo, potessere essere udite
chiare e forti. Molti di questi gruppi
sono rappresentati nel comitato di
direzione di ANSWER e svolgono
un importante ruolo con la loro capacit di raggiungere le comunit
di immigrati. ANSWER ha concretamente dimostrato che non vi
contraddizione fra il dar voce alla
lotta contro limperialismo e lallargamento del movimento.
La manifestazione del 15 Febbraio
2003 a New York stata organizzata
sotto impulso della coalizione
United for Peace and Justice. ANSWER si attivamente mobilitata
per essa sulla Costa orientale. Sulla
Costa occidentale, ANSWER, UfPJ
e altre coalizioni, come Not in Our
Name, hanno congiuntamente
sponsorizzato la manifestazione.
Circa 500,000 persone hanno dimostrato a New York, insieme a circa
14 milioni in tutto il mondo. ANSWER si mobilitata il 15 Marzo a
Washington, appena prima che la
guerra iniziasse. LUfPJ, con il
pieno sforzo organizzativo da parte
di ANSWER, ha organizzato la marcia del 22 Marzo a New York. Anche
sulla Costa orientale questa stata
uniniziatica congiunta. Poi, dopo
che lesercito USA ha conquistato
Baghdad il 9 Aprile, ANSWER ha risposto con unaltra manifestazione,
a Washington, il 12 Aprile 2003, con
decine di migliaia di persone che
marciavano allinsegna di Loccupazione non liberazione.
Insieme allorganizzazione contro
loccupazione, ANSWER sta pure
lottando contro il tentativo del governo di intimidire e reprimere il
movimento. Nel Novembre 2003
ANSWER ha iniziato una campagna
denominata Sottoscrivere per difendere il Primo Emendamento,
Opporsi agli obiettivi dellFBI contro il movimento contro alla
guerra. Si tratta della risposta ad un
articolo di prima pagina del New

Lotta per la pace

York Times del 23 Novembre intitolato: LF.B.I. esamina a fondo le riunioni contro la guerra Posizioni
ufficiali sugli sforzi per individuare
gli elementi estremisti. Larticolo
cita un m em orandum interno
allFBI circolato dieci gorni prima
della ma nifestazione dei 25
Ottobre. La campagna di ANSWER
finalizzata alla raccolta di firme in
difesa dei diritti dei dimostranti.10
IL

D I B AT T I T O S U L R U O L O

DELLE

NAZIONI UNITE

Riguardo al dibattito nel movimento sul possibile ruolo dellONU,


facendo riferimento a quanto pubblicato da Il Manifesto del 23
Novembre 2003, questo sta avvenendo anche in Italia, ANSWER ha
espresso chiaramente le sue posizioni. In una dichiarazione in proposito, il membro del comitato di
direzione di ANSWER Brian
Becker, ha scritto:
Il problema di fondo della posizione che vorrebbe il passaggio
allONU della responsabilit in
tema di sicurezza e ricostruzione in
Iraq, che questa richiesta in contrasto con il fondamentale diritto
del popolo iracheno di decidere autonomamente il proprio destino.
LIraq stato formalmente un paese
sovrano per 80 anni e poi un paese
autenticamente sovrano negli ultimi 45, a partire dalla rivoluzione
irachena del 1958. La sua sovranit
stata sospesa unicamente da unillegale invasione e occupazione.
Coloro che invocano un passaggio
di mano allONU delloccupazione,
argomentano che senza una forza
di supervisione neutrale esterna, e
che possa provvedere alla ricostruzione delle risorse, lIraq cadr in
un ulteriore stato danarchia e di
caos. Tale argomento, che sembra
basarsi sulla ricerca del male minore, si fonda tuttavia su due assunti errati: 1) che lattuale ONU possa
svolgere un ruolo indipendente e
progressista in Iraq, e, 2) che il popolo iacheno possa accontentarsi di
qualsiasi cosa tranne che della completa indipendenza del proprio

paese. loccupazione da parte


delle forze USA e britanniche la
cui autorit stata ratificata il 22
Maggio dalla Risoluzione del
Consiglio di Sicurezza dellONU n.
1483 che ha portato alla condizione che essi stessi definiscono di
caos e anarchia. Quando lIraq
stava sotto lautorit irachena, questa condizione non esisteva. (...)
I soldati USA e i loro famigliari,
molti dei quali hanno marciato a
Washington il 25 Ottobre, si stanno
avvicinando al movimento contro la
guerra perch si stanno rendendo
conto di essere stati ingannati dallamministrazione Bush. Molti
erano disposti a rischiare la vita e di
essere feriti quando credevano allaffermazione del presidente che
lIraq rappresentava un grave e imminente pericolo per il popolo degli Stati Uniti. Avendo compreso
che si trattava di una menzogna, lidea di sacrificare ancora anche una
sola vita diventata troppo da sopportare. Perch mettere i soldati
USA o qualsiasi altro soldato straniero in una situazione in cui essi

Con innumerevoli forme di resistenza,


sia armate che pacifiche,
il popolo iracheno mostra
la sua volont che
loccupazione straniera
del suo paese finisca subito

possono uccidere ed essere uccisi


per uno sfacciato progetto coloniale? Questi soldati devono tornare a casa, non domani ma oggi.
Con innumerevoli forme di resistenza, sia armate che pacifiche, il
popolo iracheno mostra la sua volont che loccupazione straniera
del suo paese finisca subito.
Abbracciando lo slogan Portiamo a
casa le truppe subito; mettere fine
alloccupazionedellIraq, il movi-

33

Lotta per la pace

mento contro la guerra invia un


messaggio ad entrambi, al popolo
iracheno e ai soldati americani.
Afferma lappoggio al diritto fondamentale allautodeterminazione
dellIraq, mentre contemporaneamente dice ai militari USA: Questa
una guerra dei ricchi. La vostra vita
e la vostra dignit sono troppo preziose per essere usati come carne da
cannone dallimperialismo.11

Note
1 Washington Post, 25.10. 2 003.

http://www.internationalanswer.org/news
/update/102603o25wpost.html
2 Documento unitario di UfPJ e ANSWER
per la manifestazione del 25 Ottobre 2003.
http://www.internationalanswer.org/news
/update/090503o25unity.html
3 Lo sciopero dei lavoratori dei supermercati

34

s i t o re imprigionato, By Minnie Bru c e


Pratt, 2 7.10 . 20 03 , Workers Wo r l d ,
h t t p : / / w w w. j o i n - s n a f u . o r g / n e w s / p i ckets112703.htm
5 Tabloid a cura di ANSWER per la mani-

festazione del 25 Ottore 2003.


http://www.internationalanswer.org/pdf/o
25tabloid.pd
6 New York Times. 30.10.2002, Adunata
indetta a Washington per rafforzare il movimento contro la guerra. http://www.intern a t i o n a l a n s w e r. o r g / n e w s / u p date/103002nyto26.html; Manifestazione
di 100.000, Marcia contro la guerra in
Iraq, Washington Post, 27.10. 2002,
http://www.internationalanswer.org/news
/update/102702washpost.html
7 New York Times 20.1.2003, editoriale

Unagitazione nella nazione.


http://www.internationalanswer.org/news
/update/012003nyted.html

contunua/Attivisti contro la guerra lanciano una campagna di solidariet, By


Preston Wood, Workers World, 27.10. 2003,
http://www.workers.org/ww/2003/ufcw11
27.php

8 Polemica anti-comunista travestita da consigli al movimento contro la guerra, Dietro


il manifesto /Le strane origini dellodierno
movimento contro la guerra, David Corn in
LA We e k l y, 1-7,11.2002. http://www. l aweekly.com/ink/02/50/news-corn.php

4 Picchetti in appoggio ad un marine oppo-

9 D i v i d e re e conquistare non lavorare,

Marzo - Aprile 2004

Deirdre Griswold, Workers World,6/2/2003.


h t t p : / / w w w. w o r k e r s . o r g / w w / 2 0 0 3 / re dbait0206.php
1 0 S o t t o s c r i v e re in difesa del Primo
Emendamento, Opporsi agli obiettivi
dellFBI contro il movimento contro alla
guerra, http://www.internationalanswer.
org/campaigns/fbi/index.html
11 Portariamo a casa le truppe, subito!
Perch questo lo slogan giusto per il movimento contro la guerra!, di Brian Becker,
19.11.2003, http://www.iacenter.org.

* Biografia dellautore.
John Catalinotto editore delegato del giornale Workers World, coordina la corrispondenza internazionale pe lIntern a t i o n a l
Action Center. Durante la guerra in Vietnam
ha aiutato ad organizzare l A m e r i c a n
Servicemen's Union, una organizzazione di
soldati che promuoveva i diritti per i soldati
USA, incluso il diritto a rifiutare lobbedienza
in una guerra illegale. co-editore del libro
del IAC Metal of Dishonor, riguardante
luranio impoverito e tradotto in italiano, e
del libro Hidden Agenda: the U.S./NATO
Takeover of Yugoslavia.

Marzo - Aprile 2004

Lotta per la pace

Se vero che il Parlamento


ha approvato il mantenimento
della missione militare in Iraq,
sarebbe inaccettabile ritenere
questa partita come conclusa

Aspettative e realt
del movimento
contro la guerra

di Sergio Cararo
direttore di Contropiano

PROPOSTE E NODI DA SCIOGLIERE DOPO IL 20 MARZO

d aprile dello scorso anno, in troppi


avevano prematuramente ritenuto
che la guerra in Iraq fosse finita. A
dimostrare il contrario sono state le
contraddizioni seguite alloccupazione militare della coalizione guidata dagli Stati Uniti (Italia inclusa)
e la sorprendente resistenza popolare che in Iraq si sta opponendo a
questa occupazione. La realt ci ha
dimostrato che la guerra permanente continua ad essere lo snodo
drammatico delle relazioni internazionali e delle loro ripercussioni interne ad ogni paese, incluso il nostro. decisivo che il movimento di
massa contro la guerra, che abbiamo visto riempire le strade di
Roma un anno dopo la straordinaria manifestazione del 15 febbraio
2003, non si disperda nuovamente
e non dichiari esaurita la sua azione
dopo la giornata del 20 marzo.
P ROPOSTE

IN AGENDA

Il movimento per la pace deve al


contrario aprire una riflessione di
programma, capace di dare continuit alla sua iniziativa e che lo
renda autonomo dalle ipoteche
della governabilit e delle compatibilit internazionali che vincolano
tuttora il nostro paese.
a) In primo luogo la partita del rtiro
del contingente militare italiano in
Iraq va giocata fino in fondo. Se

vero che il Parlamento ha approvato


il mantenimento della missione militare, sarebbe inaccettabile ritenere questa partita come conclusa.
Milioni di persone in Italia sono a
favore del rientro dei militari italiani, sono contrarie al coinvolgimento del nostro paese nella
guerra, e che, dopo gli attentati di
Madrid, cominciano a vederne e temerne le conseguenze anche sul nostro territorio. Spetta al movimento
dare espressione politica a questa
domanda. I fatti di Madrid, la capacit di reazione popolare agli attentati e alle manipolazioni del governo Aznar e lesito elettorale in
Spagna ne dimostrano sia le possibilit che la funzione positiva che
pu essere svolta da una soggettivit
attiva del movimento. Dobbiamo
chiederci e risponderci sul come
mai questa capacit soggettiva in
Italia non ci sia stata in occasione
dei fatti di Nassirya. Aver accettato
la lettura dominante del fenomeno
e della categoria del terrorismo, ha
impedito al movimento per la pace
che pure ha tra i suoi obiettivi il ritiro del contingente militare italiano dallIraq di rovesciare le responsabilit dellaccaduto sul governo.
In tal senso, appare decisiva la costituzione unitaria del Comitato
Nazionale per il ritiro delle truppe
italiane dallIraq, con una conse-

guente campagna di massa che rovesci contro la maggioranza parlamentare che ha voluto mantenere
le truppe in Iraq la maggioranza sociale che chiede il ritiro del contingente militare italiano, ed una diversa politica internazionale verso il
Medio Oriente (incluso lo scenario
palestinese). E questo passaggio va
fatto entro quella data del 30 giugno che segna ormai una scadenza
su cui il movimento non pu far
finta di niente, se non vuole annullare i risultati della manifestazione
del 20 marzo.
b) In secondo luogo, doveroso segnalare come i governi italiani negli ultimi dieci anni abbiano sistematicamente trincerato la propria
subalternit e le loro ambizioni geopolitiche nei Balcani e in Iraq dietro gli automatismi dei trattati internazionali (vedi la NATO o lalleanza storica con gli Stati Uniti).
successo cos che le basi militari, i
corridoi di sorvolo, i porti e gli aeroporti siano stati resi funzionali
alla guerra senza alcun mandato. Lo
stesso Parlamento ne ha potuto discutere a cose fatte. accaduto nel
1995 per i bombardamenti NATO
sulla Bosnia che partivano da
Aviano, accaduto nel 1999 per laggressione NATO contro la Jugoslavia con la piena corresponsabilit del governo DAlema, si ripetuto negli ultimi tre anni con il

35

Marzo - Aprile 2004

Lotta per la pace

governo Berlusconi.
Si ripone dunque con forza la questione dello smantellamento delle
basi militari straniere in Italia. Gli
Stati Uniti e la NATO stanno allargando le basi militari della Maddalena, di Camp Darby, stanno costruendo nuove basi militari a Taranto, Malpensa e Brindisi, stanno
stoccando segretamente le scorie
nucleari in diversi siti. decisivo coordinare le realt locali che si battono contro le basi militari al movimento per la pace a livello nazionale, e coordinarlo con la rete internazionale contro le basi statunitensi che si costituita al Forum
Sociale Mondiale di Mumbay.
c) In terzo luogo, il contesto internazionale vede avviarsi una corsa al
riarmo a livello globale. Le spese militari stanno ormai aumentando
non solo negli Stati Uniti o in Asia,
ma anche in Europa. Le richieste di
scorporo delle spese per la difesa dai
vincoli del Patto di Stabilit europeo avanzate da Francia e Germania
ma anche dal Ministro della Difesa
italiano Martino, sono indicativi di
questa tendenza.
Le risorse sottratte alle spese sociali
servono a finanziare leconomia di
guerra e lapparato militare statunitense, ma non possiamo nasconderci che servono anche a finanziare il progetto di esercito europeo, la cui attuale dottrina militare
si ispira alla medesima logica della
guerra e della proiezione offensiva
sui teatri di crisi. Cos come non
possiamo nasconderci che insieme
alle spese militari stanno aumentando le spese per la sicurezza,
una categoria intesa ormai come
fronte interno della guerra preventiva, che tende a rafforzare la repressione dei movimenti sociali e la
militarizzazione della societ .
Coinvolgere su questo il movimento
sindacale ed i movimenti sociali, significa aprire una vertenza di paradigma contro il sistema di guerra
che va ormai permeando ogni ambito istituzionale, politico ed economico. C da lavorare molto nel
sindacato, perch se il No alla guerra era tra i punti della piattaforma

36

dello sciopero generale dei sindacati di base, questo era del tutto assente in quella dello sciopero generale dei sindacati confederali.
Per porre con forza la discussione e
lazione su questi contenuti siamo
stati in piazza unitariamente il 20
marzo, ma abbiamo anche rilanciato la discussione ed alcune proposte nella assemblea nazionale, unitaria e di movimento, di domenica
21 marzo che aveva lobiettivo di
dare continuit alla mobilitazione
contro la guerra. La guerra non finita. Questa volta la mobilitazione
non deve finire il 20 marzo.

DELLO

LA RIMOZIONE
S P I R I T O D I M U M B AY

La scarsa pubblicit e la ridotta enfasi intorno al Forum Sociale Mondiale di Mumbay rispetto a quelli tenutisi a Porto Alegre, suscita e deve
suscitare una profonda riflessione
dentro il movimento che si
espresso in questi anni sul paradigma minimo del no alla guerra e
al liberismo.
Colpisce che i numeri di febbraio e
marzo di Le Monde Diplomatique, che
pure tra gli animatori principali di
Porto Alegre, non abbiano trovato
il tempo e lo spazio per un minimo
di resoconto e riflessione sul Forum
Sociale Mondiale di Mumbay.
LIndia era forse troppo distante dai
centri dellelaborazione politica e
teorica del movimento no global?
Eppure, in termini di distanze e di
ore di volo, Mumbay pi vicino
allEuropa di Porto Alegre. Le ragioni dunque devono essere altre.
I resoconti e le testimonianze di chi
ha partecipato al Forum di Mumbay
concordano su un aspetto: leurocentrismo, male antico e incurato
della sinistra europea, uscito demolito dalla edizione indiana del
Forum Sociale Mondiale. I pi furbi, i pi disattenti, i pi superficiali
hanno visto questa contraddizione
solo nellentrata in campo prorompente di soggetti sociali distanti
anni luce dalla composizione di

classe che siamo abituati a conoscere: i dalit, le donne, gli effetti dellorganizzazione della societ in caste, i conflitti etnici e religiosi, i quali
hanno imposto una loro obiettiva
priorit allagenda delle discussioni
a Mumbay. Limpatto con le contraddizioni di un altro universo sociale, ha indubbiamente messo a
dura prova le categorie maneggiate
dalla sinistra europea che, nel migliore dei casi, era riuscita ad appassionarsi in questi ultimi dieci
anni alla questione indigena in
America Latina.
Ma leurocentrismo stato messo
alla gogna non solo sul piano della
oggettivit ma anche su quello della
soggettivit.
Le categorie della lotta politica
usate ed abusate in Europa, negli
Stati Uniti e in alcuni ambiti dell
America Latina pi integrati nella
sinistra europea, sono state messe
alla gogna dalla realt sociale e politica in cui operano e vivono i due
terzi dellumanit. Lantiliberismo
leggero della sinistra europea ha
potuto misurare con mano il peso
politico di chi come recitava una
scritta sui muri di Mumbay, ogni
mattina si sveglia dal lato sbagliato
del capitalismo- o che si oppone al
liberismo non nel cuore ma alla periferia dellimperialismo.
In situazioni come quelle di un
paese/continente come lIndia o
come lAsia nel suo insieme, le giaculatorie sulla non violenza, il terrorismo o sulla religione, sulla governance come sintesi ideale tra
crisi e conflitti sociali che qui in
Europa sembrano appassionare
tanto, scivolano via senza lasciare
traccia, incluso il maldestro tentativo di rielaborazione europea dellesperienza gandhiana che proprio
una realt come quella dellIndia ha
ormai abbondantemente rimosso.

L A S S E M B L E A
E I L 20

DI

BOLOGNA

MARZO:

I L D I B AT T I T O N E L M O V I M E N T O

Londa lunga del FSM e del documento di Mumbay, nonostante i ten-

Marzo - Aprile 2004

tativi di rimozione e occultamento,


arrivata anche in Italia. Lo si visto nellassemblea nazionale delle
reti e dei forum sociali italiani a
Bologna (7 e 8 febbraio) e nella discussione sul documento di convocazione della manifestazione nazionale del 20 marzo contro la guerra.
Il tentativo di imporre la scelta della
non violenza e del no al terrorismo come discriminanti principali
del movimento si infranta contro
una posizione alternativa, niente affatto minoritaria, che ha rigettato
ogni ambizione dogmatica.
Una amplissima parte di questo movimento ritiene che le forme di lotta
vengono determinate dalla condizione concreta in cui la lotta avviene. Se in Italia la lotta politica in
forma pacifica possibile ancora
negli spazi consentiti dalla democrazia rappresentativa, ci pu non
essere valido se questa condizione
viene meno o in realt dove la lotta
pacifica impossibile o addirittura
inefficace. Questa posizione, vista
da Mumbay o dalle assemblee dei
movimenti sociali di Porto Alegre,
ampiamente maggioritaria; al contrario sono altre le posizioni che appaiono minoritarie viste da ed in
quel contesto.
Laspro dibattito che c stato a Bologna non atteneva solo alla gestione del processo per i fatti di
Genova 2001 (e quindi alla rivendicazione del diritto allautodifesa e
della decisione comune di forzare
la zona rossa), ma anche a questioni come il riconoscimento del
diritto alla resistenza dei popoli occupati e allautonomia dei contenuti espressi in questi movimenti
sul terreno della lotta alla guerra e
al liberismo come elementi di autonomia dal politico.
La resistenza irachena alloccupazione coloniale anglo-americana
(ma anche italiana) o quella palestinese alloccupazione coloniale
israeliana, hanno posto con forza
tale questione. Una parte del movimento ritiene legittima questa resistenza, una parte la vive come una
difficolt, unaltra come linterfaccia del terrorismo internazionale in-

Lotta per la pace

teso come il secondo anello della


spirale speculare alla guerra che
il movimento dovrebbe combattere.
Questa discussione rimbalzata
nella discussione che ha preparato
il documento per la manifestazione
italiana della mobilitazione mondiale contro la guerra del 20 marzo.
La piattaforma della mobilitazione
mondiale contro la guerra del 20
marzo ha ruotato intorno a due
obiettivi fondamentali: la richiesta
di ritiro di tutte le truppe di occupazione dallIraq e il riconoscimento del diritto di autodeterminazione del popolo iracheno.
A Mumbay, lunica delegazione che
ha insistito affinch nel documento
finale ci fosse la condanna del terrorismo stata quella italiana. Ed
curioso, perch il problema non
lo hanno posto gli statunitensi (che
pure qualche problema in tal senso
potrebbero averlo), n gli indiani
(che pure fanno i conti con lo stillicidio di attentati causati dai conflitti religiosi ed etnici), n gli spagnoli o altri europei. Dovendo essere conseguenti e coerenti con
lappello lanciato dai pacifisti statunitensi e con il documento approvato a Mumbay, il documento per la
manifestazione del 20 marzo conteneva un paragrafo in cui si ripudia
il terrorismo, sia da parte di organizzazioni ed individui sia da parte
degli Stati, e si denuncia luso antipopolare ed antidemocratico che
viene fatto della campagna antiterroristica da parte dei governi.
Pi avanti nel documento che ha
convocato la manifestazione del 20
marzo, cera un altro paragrafo che
riconosce agli iracheni il diritto di
resistere alloccupazione. Far accettare questo secondo punto diverso
per storia, sostanza e progetto dal
primo non stato facile; anzi, su
questo c stato un dibattito prolungato e il tentativo di depotenziare il punto in questione. Il tentativo non riuscito perch lo sviluppo della situazione reale ha reso
evidente la incongruenza delle
forze e delle posizioni che riducono
la fase storica e la realt che viviamo

ad una spirale tra guerra e terrorismo. Questa lettura ormai fuorviante, diseducativa e del tutto inadeguata ad affrontare le conseguenze della competizione globale
in corso tra i poli imperialisti e tra
questi e i movimenti popolari nella
periferia, incluso il terrorismo globale utilizzato apertamente e pesantemente da una delle frazioni
impegnate in questa competizione
(la nuova borghesia islamica che
sottende ad Al Qaeda).
Aver rimosso nellultimo ventennio
lanalisi dei processi reali, ha portato la sinistra europea a confondere continuamente lalbero con la
foresta e, in finale, ad adagiarsi su
una sistema di pensiero subalterno
a quello dominante.
La rottura della concertazione
mondiale avvenuta a Seattle, a
Durban e a Genova, hanno trovato
nel Forum Sociale Mondiale di
Mumbay una sintesi quasi naturale,
destinata ad ingombrare lo scenario
politico dei prossimi anni. E una sintesi resa forte dai fatti (la guerra, la
crisi economica, la competizione interimperialista), ed i fatti come noto
hanno la testa dura. Ci spiega la rimozione del FSM di Mumbay negli
ambiti tradizionali del movimento e della sinistra europea, ma
rende visibile anche la crescente sintonia tra le forze sociali reali in
campo a livello globale e la sinistra
di classe in Europa.
Ritengo inutile soffermarsi sulla
questione relativa alla contestazione avvenuta nella manifestazione del 20 marzo a Fassino. Il dubbio sulla strumentalit dellaccadimento resta tuttora forte. In realt
c una questione pi complessa
che viene avanzando.
Il 24 marzo stato il quinto anniversario della pagina pi vergognosa della storia recente del centro-sinistra in Italia: linizio dei bombardamenti della NATO su Belgrado e la Jugoslavia nel 1999. Al governo allora cera Massimo DAlema, e le bugie di guerra date in pasto allopinione pubblica cinque
anni fa, non erano le armi di distruzione di massa mai trovate in

37

Lotta per la pace

Iraq ma le fosse comuni mai trovate in Kosovo.


Forse alla base del differenziale di
fondo tra il movimento pacifista e la
leadership dei DS c proprio la rimozione del e dal dibattito su quella
scelta, su quel ruolo voluto e giocato
dai DS al governo del paese con cui
vennero presentate le credenziali ai
poteri forti della guerra (la NATO,
gli USA).
Questi poteri forti della guerra oggi
sono divisi tra lopzione statunitense della guerra preventiva e
quella europeista dellintervento
militare multilaterale. Ci spiega, in
parte, la riluttanza dellUlivo a
schierarsi apertamente per il ritiro
delle truppe italiane dallIraq e la ri-

38

vendicazione del ruolo positivo


delle altre missioni militari allestero, Afganistan, Kosovo e Bosnia
incluse. Una posizione questa assai
discutibile e altrettanto distante e
diversa da quella invocata dal popolo della pace sceso in piazza massicciamente il 20 marzo, un popolo
della pace che dobbiamo ammettere era stato assai pi ristretto, incerto e per molti versi ambiguo cinque anni fa, quando le bombe
umanitarie cadevano sulle citt jugoslave, falciavano le colonne dei
profughi o contaminavano di uranio ed altre sostanze tossiche i territori e i fiumi balcanici. Alcuni dei
partiti di governo di allora (PdCI,
Verdi, minoranza DS) hanno preso

Marzo - Aprile 2004

le distanze da quelle scelte schierandosi oggi apertamente contro la


guerra, ma anche in questi ambiti
una riflessione pubblica portata pi
a fondo sul maledetto 24 marzo
1999 non guasterebbe.
Piero Sansonetti sullUnit si chiedeva come mai un movimento capace di portare in piazza tanta gente
avesse una rappresentanza parlamentare cos esigua (solo 152 senatori e deputati su 955 hanno votato
a favore del ritiro delle truppe
dallIraq). La posta in gioco dei
prossimi mesi appare proprio questa: la divaricazione tra le aspettative
del popolo della sinistra e la rappresentanza politica oggi a disposizione.

Marzo - Aprile 2004

Lotta per la pace

Di fronte a una guerra


nata dalla menzogna
non avrebbe dovuto essere difficile
per una forza della sinistra
gridare il suo No
senza "se" e senza "ma".
Perch questo non accaduto?

Contro la guerra
e per lalternativa

di Antonello Falomi

IL PERICOLO DELLA DERIVA MODERATA DEL CENTRO SINISTRA E


LESIGENZA DI BATTERE LE DESTRE SUL TERRENO DELLA LOTTA PER
LA PACE E PER I DIRITTI DEI LAVORATORI

ono trascorsi due mesi dalla mia decisione di non rinnovare per il 2004
la tessera di iscrizione ai DS e di dimettermi dall'incarico di vicepresidente del gruppo dei Senatori DS
oltre che dal gruppo stesso.
I fatti successivi, cio il voto di astensione dei DS sul rifinanziamento
della missione militare italiana in
Iraq sia al Senato che alla Camera
dei deputati e il varo ufficiale della
Lista DS, Margherita e SDI, hanno
reso ancor pi convinta la mia scelta
di interrompere una lunga militanza politica prima nel PCI, poi nel
PDS e infine nei DS.
Quanto sta accadendo in questi
giorni in Iraq, una vera e propria resistenza di sciiti e sunniti contro le
truppe occupanti, dimostra l'erroneit del giudizio che, tra molti
equilibrismi verbali, aveva portato i
DS a sostenere la necessit della permanenza delle nostre truppe in
Iraq.
Non vero, come invece stato autorevolmente sostenuto dai DS, che
la guerra in Iraq sia finita. La presa
in ostaggio di quattro italiani e l'uccisione di uno di loro sta l a dimostrarci il contrario
N sostenibile, dopo la sparatoria
di Nassyria con il suo pesante carico
di civili uccisi dalle nostre truppe,
che si possa ancora parlare di missione umanitaria.
L'Italia, in violazione dell'articolo

11 della nostra Costituzione, a tutti


gli effetti, un Paese occupante che
conduce le proprie operazioni militari in conformit ad ordini del comando anglo-americano.
Di fronte a una guerra nata dalla
menzogna della presenza in Iraq di
armi di distruzione di massa e che
continua ancora ad un anno di distanza dalla sua fine "ufficiale", non
avrebbe dovuto essere difficile per
una forza della sinistra gridare il suo
No senza "se" e senza "ma".
Perch questo non accaduto?
Cos' che ha impedito che nel voto
per il rifinanziamento della missione italiana in Iraq si mantenessero le posizioni largamente unitarie che avevano caratterizzato il voto
del centro-sinistra al momento della
decisione del Governo Berlusconi
di inviare un contingente di 3000
uomini?
Nel luglio del 2003 l'intera opposizione di centro-sinistra, con l'eccezione dello SDI e dell' Udeur che si
erano astenuti, aveva detto no secco
all'invio in Iraq dei nostri soldati.
Poich in Iraq, sul campo, la situazione, nel frattempo, non solo non
migliorata ma ulteriormente
peggiorata, del tutto naturale pensare che la rottura della larga unit
esistente all'inizio contro l'avventura irachena del Governo
Berlusconi sia da ascrivere essenzialmente al lancio dell'operazione

"triciclo" e ai caratteri politici che


essa andata assumendo.
Tra le due questioni la connessione
strettissima.
Fin dall'inizio la parte maggioritaria
dei DS ha immaginato la lista "unitaria" come momento di passaggio
per la costruzione di un soggetto politico riformista che fungesse da partito-guida di una pi larga coalizione di centro-sinistra giudicata,
come tale, non credibile come alternativa al Governo Berlusconi.
Per i dirigenti politici che hanno
dato vita al "triciclo" non era pi sufficiente evitare l'errore catastrofico
della esclusione di Di Pietro e di
Bertinotti che aveva portato alla vittoria di Berlusconi nel 2001.
Occorreva certo allargare, come si
fatto e si fa nelle elezioni amministrative, la coalizione anche al PRC
e all'IdV, ma senza un nucleo riformista forte lo schieramento di centro-sinistra sarebbe stato soltanto
una "armata brancaleone" scarsamente credibile agli occhi di quell'elettorato moderato sempre pi a
disagio e in rotta con la CdL.
Anzich lavorare alla costruzione
diun comune programm a di
Governo tra tutte le forze del centro-sinistra come la sola strada capace di evitare la negativa esperienza fatta nel 1996 con il patto di
desistenza con il PRC e al tempo
stesso come attributo forte per una

39

Lotta per la pace

rinnovata credibilit dello schieramento di centro-sinistra, i DS, la


Margherita e lo SDI si sono gettati
a capofitto nell'impresa di dar vita
ad un aggregato politico dai connotati moderati, i soli ritenuti in
grado di raccogliere l'insofferenza
e il disagio crescente nelle fila elettorali del centro-destra.
Dimenticati gli oltre tre milioni di
elettori di centro-sinistra che nel
2001 avevano, con la loro astensione, portato alla vittoria di
Berlusconi e ignorando al tempo
stesso i pensionati, le casalinghe, i
giovani lavoratori e i disoccupati
che nel 2001 avevano creduto alle
promesse di Silvio Berlusconi e che
oggi constatano sulla loro pelle che
la loro vita peggiorata, i dirigenti
del "triciclo" si sono lanciati all'inseguimento delle componenti moderate del centro-destra.
Contendere elettori allo schieramento avversario non di per s
cosa sbagliata. Ma occorre farlo
senza creare fratture e divisioni nel
proprio campo.
Tutto il contrario di quanto sta accadendo.
La "lista unitaria" anzich essere fat-

40

tore e strumento di una pi vasta


unit del centro-sinistra, sta producendo a sinistra nuove tensioni e
nuovi conflitti. Il caso dell'Iraq
sotto gli occhi di tutti a dimostrarlo.
Ma non si tratta solo dell'Iraq.
Si ha l'impressione che la credibilit
che si ricerca non quella perduta
nel 2001 nell'astensionismo o nel
voto di fasce popolari al centro-destra, ma quella nei confronti dei poteri nazionali e internazionali che
contano.
Su questa strada non andremo
molto lontano. Su questa strada si
preparano, dopo quella del 2001,
nuove e pi pesanti sconfitte elettorali.
Ecco perch ho scelto di interrompere la mia militanza nei DS e
adesso sono politicamente impegnato, assieme ad Achille Occhetto,
a Di Pietro, a Giulietto Chiesa, a
Pancho Pardi, a Diego Novelli, a
Tana De Zulueta e a tanti altri nella
Lista Di Pietro-Occhetto.
Una lista che non un nuovo partito della sinistra. E', invece, il tentativo di dare rappresentanza politica ad un insieme di temi, di valori
e di battaglie che le forze principali

Marzo - Aprile 2004

dell' Ulivo sembrano aver dimenticato o considerato poco importanti.


Dopo la sconfitta dell'Ulivo nelle
elezioni politiche del 2001 e l'insediamento al Governo del Paese di
una delle peggiori destre esistenti in
Europa, l'Italia ha visto nascere e svilupparsi nel Paese uno dei pi
straordinari e articolati movimenti
di opposizione.
Dalle grandi lotte della Cgil in difesa dell'articolo 18 dello statuto dei
lavoratori, alla crescita impetuosa
del movimento per la pace contro
la guerra neo-coloniale di Bush in
Iraq, al movimento dei Girotondi
in difesa della legalit, della libert
di informazione e della democrazia,
fino al milione di firme raccolte dal
movimento di Di Pietro contro la
vergogna del "lodo Schifani" e per
rimettere al centro della vita politica la "questione morale".
E' a questo patrimonio di lotte che
noi tentiamo con la lista Di PietroOcchetto-Societ civile di dare una
risposta. Un voto contro Berlusconi
e la sua politica ma anche un voto
per cambiare il centro-sinistra bloccandone una pericolosa deriva moderata.

Marzo - Aprile 2004

Lavoro

Un sindacato serio sente


il dovere di discutere
del suo operato e della
linea futura quando nel mondo
del lavoro irrompono
novit devastanti come
gli accordi separati e la Legge 30

Alternativa
e diritti
dei lavoratori

di Maurizio Zipponi
segretario generale Fiom Milano

SALARI, CONTRATTI, DEMOCRAZIA SINDACALE, CONGRESSO


LINEA CGIL

essuno si aspettava un risultato elettorale come quello che gli spagnoli


ci hanno regalato.
Evidentemente il ripudio della
guerra e, soprattutto, lindisponibilit a farsi prendere in giro si sono
diffusi ben pi di quanto ci aspettassimo. Sono state la menzogna
scoperta e larroganza di Aznar e del
suo governo, infatti, a ribaltare un
risultato elettorale che i sondaggi
davano per scontato.
In questo caso, infatti, la maggioranza degli spagnoli ha utilizzato lo
strumento del voto non tanto premiare ma per punire. Per punire un
governo che non ha voluto ascoltare
il no alla guerra gridato a gran
voce nelle piazze; per punire un governo che l11 marzo, nel momento
del lutto, ha pensato di utilizzare cinicamente il dolore del suo popolo
per risolvere un problema interno,
incolpando lEta dei tragici attentati di Madrid.
In questi ultimi anni sono stati scritti
saggi sulla disaffezione dei cittadini
nei confronti della politica e dei partiti. Ebbene, quellallontanamento,
che reale, ha prodotto sul piano
elettorale due effetti. Il primo, negativo per la sinistra e per chi crede
davvero nella democrazia, lastensionismo. Il secondo il rifiuto alla
delega in bianco, al voto per una o
laltra forza politica a prescindere
dalle affermazioni e dalle azioni dei

loro leader.
Con entrambi indispensabile fare
i conti. Dovrebbe averlo capito chi,
dopo aver proposto una manifestazione di unit nazionale contro il
terrorismo e in contrapposizione allappuntamento del 20 marzo a
Roma, si ritrovato circondato solo
da cronisti il 18 pomeriggio in
piazza del Campidoglio.
Evidentemente anche nel nostro
paese, come in Spagna, cresce il numero delle donne e degli uomini
che non accettano pi di farsi prendere in giro.
Cos sulla questione grande del rifiuto della guerra, cos anche sulla
questione grande del lavoro.
Come si spiega, altrimenti, la cocciutaggine con cui i lavoratori metalmeccanici hanno continuato a
scioperare, a manifestare, ad opporsi allaccordo sul contratto nazionale che la Fiom non ha siglato?
Come si spiega, altrimenti, il prolungarsi nel tempo di un conflitto
che ruota attorno al rifiuto della
precariet, alla richiesta di un salario dignitoso e della possibilit di
esercitare compiutamente la democrazia nei luoghi di lavoro?
Perch la maggioranza dei lavoratori metalmeccanici da oltre due
anni accoglie le proposte della Fiom
e si mobilita pure in assenza di risultati eclatanti?
Perch la Fiom chiede che il loro

FIOM E

voto sia vincolante sulle piattaforme


e sugli accordi. Perch ha scelto di
dire loro la verit. Perch un sindacato serio, che discute alla luce
del sole e compie scelte condivise
dai lavoratori. E un sindacato serio
sente il dovere di discutere del suo
operato e della linea futura quando
nel mondo del lavoro irrompono
novit devastanti come gli accordi
separati e la Leg-ge 30.
Cos la Fiom ha deciso di riflettere
utilizzando lo strumento pi capillare e, insieme, pi autorevole e vincolante di cui disponga: un congresso straordinario.
Stanno per iniziare le assemblee nei
luoghi di lavoro dove si confronteranno due tesi congressuali. La prima, fatta propria dalla maggioranza
del comitato centrale della Fiom,
parte da un dato di realt: laccordo
del luglio 1993 saltato e non pi
riproponibile, non solo perch il padronato lo ha disatteso ma, soprattutto, perch il suo bilancio negativo.
Dal 1993 ad oggi, infatti, il 10% della
ricchezza prodotta passata dai salari alle rendite (dal 50,2% nel 1993
al 40,2% nel 2003), mentre il potere
di intervento dei lavoratori e delle
loro organizzazioni nei processi di
ristrutturazione andato via via diminuendo.
Laccordo del luglio 93, in sintesi,
non riuscito neppure ad equili-

41

Marzo - Aprile 2004

Lavoro

brare la perdita del potere dacquisto dei salari con il mantenimento


della possibilit del sindacato di influenzare le scelte delle imprese e
decidere delle condizioni di lavoro.
Cos negli ultimi dieci anni le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori sono peggiorate; il lavoro diventa sempre pi povero e precario,
il sistema industriale declina.
Il declino industriale, in assenza di
un intervento pubblico, si traduce
in ristrutturazioni selvagge, chiusura delle fabbriche e licenziamenti. Il crollo della grande impresa (la Fiat), gli scandali finanziari Parmalat e Cirio e, contemporaneamente, la crisi di un modello fondato sulle piccole e medie
imprese riportano al centro del dibattito la necessit di una vera politica industriale ed economica pubblica e di norme che intervengano
sulla speculazione finanziaria.
In questo scenario si inseriscono i

pesanti attacchi ai diritti dei lavoratori e, soprattutto, al contratto nazionale.


il contratto nazionale, infatti, la
rete che unifica i lavoratori. Ma il
mondo del lavoro che vuole limpresa, composto da schegge sempre
pi piccole ed isolate, non sopporta
pi quel collante.
possibile conquistare per i lavoratori migliori condizioni e salari che
abbiano come riferimento linflazione reale (pi una quota della ricchezza prodotta) attraverso lo strumento del contratto nazionale?
Oppure si possono siglare pessimi
contratti nazionali (che di fatto cancellano il contratto nazionale) che
stabiliscono parametri accettati di
buon grado dalle imprese per poi
cercare di stappare regione per regione, zona per zona, realt per
realt condizioni migliori (come
nel caso del contratto degli artigiani)?

E, ancora: lunit sindacale un valore a prescindere, oppure i rapporti tra le confederazioni devono
essere fondati su precise regole democratiche?
Il voto dei lavoratori deve essere vincolante sulle piattaforme e sugli accordi, oppure si possono siglare intese come quelle degli autoferrotramvieri senza il pronunciamento
di tutti i diretti interessati?
Il conflitto sociale un fastidioso fenomeno da sedare, oppure la leva
di rivendicazioni e azioni che portino a risultati positivi?
Ecco le domande su cui si concentra la riflessione allinterno del congresso della Fiom. Ma prima o poi
toccher allintera Cgil affrontare
questi nodi e decidere, scegliere
una linea piuttosto che unaltra.
Si tratta di una scelta che segner,
almeno per una lunga fase, la natura del sindacato e la realt del
mondo del lavoro.

per lalterna-

Quante Italie?
Temi e sviluppi della questione meridionale

Alberto Burgio
responsabile nazionale giustizia Prc

Luigi Cavallaro
magistrato

Francesco Garufi
CGIL

Salvatore Lupo
storico

Federico Martino
docente universitario

Armando Sorrentino
avvocato
coordina:

Salvatore Distefano
Comitato Politico Nazionale Prc

PALERMO, VENERD 14 MAGGIO, ORE 17,30


Palazzo delle Aquile - Sala delle lapidi

www.lernesto.it - redazione@lernesto.it

42

Marzo - Aprile 2004

Lavoro

dallattenzione che un paese pone


alla qualit della vita di chi ha lasciato
il lavoro che si pu desumere
se quel paese ha acquisito
un livello di civilt degno di tale nome.
Possiamo dire che lItalia, da tempo,
scaduta nel proprio grado di civilt

Attacco
alle pensioni:
cosa fa la sinistra?

di Pier Paolo Leonardi


Coordinamento Nazionale RDB/CUB

LA DIFESA DEI DIRITTI E DELLE CONDIZIONI DI VITA DI CHI HA LAVORATO


TUTTA UNA VITA DEVE ESSERE UNO DEI CARDINI DELLALTERNATIVA ALLE
DESTRE

a questione previdenziale anzitutto questione che attiene al grado


di civilt di un Paese. proprio dallattenzione che un paese pone alla
qualit della vita di chi ha lasciato il
lavoro che si pu desumere se quel
paese ha acquisito un livello di civilt degno di tale nome. Se questa
affermazione vera, allora possiamo dire che lItalia, da tempo,
scaduta nel proprio grado di civilt.
Partire da una simile apodittica considerazione serve a tentare di rovesciare lapproccio con cui finora si
discusso delle pensioni e del sistema previdenziale. Approccio ovviamente necessario a chi vuole dismettere il sistema previdenziale
pubblico e ha necessit di ottenere
il massimo consenso possibile intorno a tale operazione. Parimenti
va ricordato, per chi ne avesse bisogno, che lapproccio in questione
stato ed rimasto rigorosamente bipartisan. La scommessa su cui si
giocata finora tutta la partita delle
pensioni stata quella di convincere
luniverso mondo che la questione
previdenziale attenesse allandamento macroeconomico delleconomia e non alla civilt. Non un
caso, infatti, che tutta la discussione
si sia incentrata sul peso che le pensioni hanno sulla determinazione
del PIL e non sul diritto ad una esistenza dignitosa anche nel periodo
postlavorativo di uomini e donne in

carne ed ossa che hanno trascorso


decine di anni della propria vita
nelle fabbriche e negli uffici a contribuire alla costruzione della ricchezza del paese.
ovvio che, seguendo il ragionamento cos impostato, le pensioni,
ma anche la sanit e la scuola, diventano un peso intollerabile in
quanto mangiano una parte consistente del prodotto interno lordo!
quindi evidente che, se si vuole difendere il welfare nel suo complesso, necessario non accettare
questa impostazione che porterebbe inevitabilmente a ragionare
sulla possibile riduzione del danno, introducendo qualche pannicello caldo utile solo a temperare
limpatto delle riforme. sostanzialmente lapproccio che stanno
utilizzando il sindacato concertativo e il centro sinistra che, lungi dal
rovesciare limpostazione economicista, cercano unicamente di contenere i danni e, soprattutto, di mantenersi un ruolo e trovare un tornaconto. Le argomentazioni con cui
nelle scorse settimane si tentato da
parte loro di contrastare il progetto
Maroni/ Berlusconi di ulteriore riforma attraverso la Legge delega,
sono state tutte incentrate sul rispetto delle scadenze previste dalla
legge Dini, cio sulla verifica di
quanto quella riforma fosse riuscita
a contenere in termini di spesa pre-

vista nel 2005 e su quella data si sono


attestati. Un tentativo miserabile di
prendere tempo, non la forte, determinata opposizione alla delega.
Il tutto condito da varie esternazioni
di esponenti sindacali e politici del
centro sinistra che suggerivano e
proponevano suadenti modifiche
alla delega senza metterne in discussione limpianto. Ultima in ordine di tempo, dopo quella di
Rutelli ma da attribuire a Treu
luscita di DAlema che ha solennemente affermato che la riforma
delle pensioni se non la far questo governo la faremo noi! Non ritengo necessario qui entrare nel
merito di tutte le modifiche gi apportate o in via di definizione al sistema previdenziale, dandole per
conosciute dai nostri lettori; voglio
per affrontare un po pi da vicino
la questione del TFR che sembra essere la meno dibattuta ed invece
probabilmente lelemento cardine
su cui si lavorato gi dai governi
tecnici di Ciampi, Amato e Dini. La
questione del TFR infatti lo snodo
che consente il definitivo smantellamento del sistema previdenziale
pubblico. Senza la sua scomparsa,
non possibile anche tecnicamente
ridurre il quantum delle pensioni,
e viceversa non si pu ridurlo senza
aver individuato una nuova modalit di utilizzo di quelle risorse.
Quando si cominciato a ragionare

43

Lavoro

sulleccessivo peso delle pensioni


sul PIL, e quindi della necessit di
individuare meccanismi capaci di ridurne limpatto, immediatamente emerso il problema di trovare forme di compensazione allinevitabile diminuzione del grado di
copertura che ne sarebbe derivato,
cos come si deciso di mettere
mano alle pensioni riducendone il
peso, per lanciare lintroduzione
dei fondi pensione. Un intreccio inscindibile che alla base di ogni ragionamento. La finanziarizzazione
delleconomia non poteva accettare
che migliaia di miliardi di risparmi
accantonati dai lavoratori per la
propria liquidazione non venissero
utilizzati per foraggiare un mercato
finanziario nazionale decisamente
asfittico attraverso linvestimento di
queste risorse nei fondi pensione.
Ma in un sistema come quello italiano in cui il sistema previdenziale,
con tutte le sue pecche, i suoi ritardi
e le sue farraginosit, aveva comunque garantito una copertura previdenziale larga e diffusa, lintroduzione dei fondi pensioni stentava a
penetrare e ad essere considerata
dai lavoratori come uno strumento
del risparmio, soprattutto in una
fase di forte depressione del valore
dei salari. Insomma non ci sarebbe
stato futuro nel nostro paese per i
fondi pensione se non si fossero costretti i lavoratori a ricorrervi per
evitare una vecchiaia di stenti. Di
qui la scelta, ammantata da nere
previsioni macroeconomiche tra
laltro vergognosamente piegate ai
propri fini di tagliare nettamente
i rendimenti pensionistici attraverso pi strumenti, lintroduzione
del sistema contributivo in primo
luogo, e quindi rendendo pressoch indispensabile soprattutto per i
pi giovani cercare altre forme di tutela previdenziale attraverso i fondi
pensione. Ma mancava un tassello a
questo quadro: dove avrebbero trovato i soldi necessari a costruirsi una
pensione integrativa quei lavoratori
i cui salari, grazie alla politica dei
redditi e alla concertazione, non tenevano nemmeno il sempre pi magro bilancio familiare? Ecco uscire

44

dal cilindro gli accantonamenti del


TFR, che fino ad oggi sono stati
nella disponibilit delle imprese
che avrebbero dovuto accantonarli
e che invece li utilizzavano come finanziamento diretto dei lavoratori
alle imprese. Proprio la sottrazione
di questi fondi alla disponibilit
delle imprese stato il cavallo di battaglia dei sindacati concertativi per
convincere i lavoratori della bont
della ricetta che proponevano, cercando di solleticare quel sentimento di giusto odio di classe dei lavoratori verso i padroni che, nonostante loro, per fortuna ancora sopravvive! Lopzione che veniva presentata era molto semplice: rimanere nella padella o finire nella
brace? E cos, pur senza molta convinzione da parte della stragrande
maggioranza dei lavoratori, ci si avvia a spostare il TFR dalle casse delle
imprese a quelle dei fondi pensione. I fondi pensione per per poter avere rendimenti tali da garantire il pagamento delle pensioni integrative devono necessariamente
investire nel mercato azionario, facendo diventare i soldi dei lavoratori capitale di rischio. E in questo
paese, dopo le vicende Cirio,
Parmalat ecc. quando parliamo di
rischio, sappiamo esattamente di
cosa parliamo. Riassumendo, la filiera questa: il mercato azionario
asfittico, le pensioni pubbliche costano troppo, c il TFR inutilizzato;
quindi riduciamo la copertura pensionistica, rendiamo indispensabile
per i lavoratori una forma integrativa di previdenza, utilizziamo il
TFR per farla attraverso i fondi pensione che investono sul mercato
azionario e cos i soldi dei lavoratori
faranno da volano alla finanziarizzazione delleconomia. E se per
caso ci fosse qualcuno dubbioso sul
fatto di mettere i propri soldi in
mano al mercato finanziario, gli togliamo ogni velleit introducendo il
meccanismo del silenzio assenso
sullutilizzo del TFR, e voil il gioco
fatto! Centro destra, centro sinistra, cgil, cisl, uil, padroni, banchieri e assicuratori sono tutti ovviamente entusiasti di questa pro-

Marzo - Aprile 2004

spettiva. In particolare lo sono Cgil,


Cisl e Uil, che entrano di diritto nei
consigli di amministrazione dei
fondi pensioni chiusi quelli cio
costituiti con i contratti collettivi nazionali di lavoro per i dipendenti di
ogni specifica categoria e potranno cos realizzare ancora di pi
la propria vocazione agli enti bilaterali con la scusa che la loro presenza sar utile a garantire la trasparenza nellutilizzo dei soldi dei
lavoratori. Quale trasparenza ci sia
nel mercato finanziario noto a
tutti! Ma non contenti di tale regalo
di migliaia di miliardi da controllare
e da allocare, i sindacati concertativi stanno per ottenere un altro regalo da Maroni che sta studiando la
possibilit di far entrare le parti sociali anche nei CdA dei fondi pensione aperti, quelli cio in mano
alle banche e alle assicurazioni e di
rendere detassabili i rendimenti del
TFR conferito ai fondi pensione.
C ancora una piccola questione
che va sottolineata e cio che i fondi
pensione, avendo a disposizione
una massa finanziaria consistente
da collocare sul mercato, potranno
diventare determinanti per la sopravvivenza di molte aziende in crisi
oppure, specularmente, decretarne
la morte a seconda delle scelte che
faranno in tema di investimenti.
Salta quindi agli occhi in maniera
assai evidente che dietro laggressione al sistema previdenziale, e al
welfare nel suo complesso, non ci
sono motivi di crisi del sistema dovuti allallungamento della speranza di vita o allinsostenibilit finanziaria del sistema stesso, ma
lonnipresente necessit del dio
mercato di guadagnare sulla pelle
della gente, senza nulla cedere alle
necessit dei lavoratori. Di qui la esigenza imprescindibile, oltre che di
lottare con tutte le forze contro i
progetti di riforma, siano essi del
centro destra o del centro sinistra,
di ribaltare, anche nella testa dei lavoratori, lapproccio economicistico dei nostri avversari, per rimettere al centro i diritti inalienabili
conquistati dal movimento dei lavoratori.

Marzo - Aprile 2004

Lavoro

Gioved 4 marzo, Brescia:


una tavola rotonda de lernesto
con Dino Greco, Bruno Casati,
Antonio Panzeri, Riccardo Bellofiore
e Dino Bozzi

Il nuovo
miracolo italiano

di Rosa Canbuti

PRECARIET, PRIVATIZZAZIONI

a domanda retorica caricata di


amaro sarcasmo, ma il dibattito lha
presa sul serio. Il dibattito (Il nuovo
miracolo italiano) quello che si
svolto, nel ciclo delle Ta v o l e
Rotonde organizzato dal lernesto,
presso la storica Camera del Lavoro
di Brescia.
Con la presidenza di Dino Bozzi, gi
segretario di questa Federazione
del PRC, vi hanno partecipato:
Riccardo Bellofiore, docente
allUniversit di Bergamo, Antonio
Panzeri, leader dei cosiddetti 49
della CGIL e, per la stessa Confederazione, responsabile delle politiche europee, Dino Greco, segretario generale della Camera del
Lavoro ospitante e Bruno Casati, responsabile Nazionale delle politiche industriali del PRC. Si partiti,
gi con lapertura di Bozzi, da una
analisi della situazione economica,
sociale e politica. Con diversi accenti ma, sullanalisi, tutti daccordo. Il dibattito diventa vivace
quando si tratta di dire come uscire
da questa situazione o, per mettere
i piedi nel piatto, quando si tratta di
dire cosa fare dopo aver cacciato
Berlusconi. E gi questa del cacciarlo non sar impresa semplice.
Non scontato nulla anzi, per usare
un luogo comune, ne vedremo
delle belle gi nei prossimi mesi.
Il miracolo italiano, quello vero ed
Bruno Casati a rammentarlo

E NUOVE POVERT

invece quello che decoll a cavallo


dei primi anni 60, quando nel Paese
si invest sia nella grande industria
tradizionale dallauto alla siderurgia, dalla cantieristica navale allelettromeccanica pesante che nellindustria allora innovativa, come
linformatica dellOlivetti, accompagnando quei processi, che portarono lItalia del tempo in collocazioni preminenti in Europa, con un
forte impulso impresso alla ricerca,
alla programmazione economica e
alle grandi riforme, come quella
della nazionalizzazione delle imprese elettriche private, della scuola
media dellobbligo, delle pensioni.
Erano quelli i tempi dell economia mista, che Antonio Pesenti
seppe poi analizzare acutamente
anche nelle sue contraddizioni.
Altri tempi, si dir, altri imprenditori, ma anche altro sindacato. e
altro partito. Tempi brevi per,
quelli del miracolo: con le deindustrializzazioni e poi le privatizzazioni successive si preparato quel
declino che, via via, diventato dissesto, ed oggi crisi. Dino Greco
che sviluppa lanalisi del declino
oltre il declino che, con le destre al
governo, diventa il fallimento di un
modello, quello che (richiamando
la campagna elettorale di Berlusconi ed il suo contratto con gli italiani) fu indicato come il nuovo
miracolo italiano. Il modello par-

lava di: meno tasse, meno vincoli,


meno Stato, meno sindacato. Il miracolo avrebbe dovuto rappresentarsi in pi lavoro, pi sviluppo, pi
ricchezza e benessere per tutti. La
realt unaltra e, nel Convegno, si
fatto ricorso ai dati IRES-CGIL per
rappresentarla: nel 1972 (32 anni
fa) la quota di reddito da lavoro dipendente era, in Italia, il 50% del
PIL, oggi il 40%; per Francia e
Germania mantengono il 50%,
lInghilterra attestata addirittura
al 55%, pur avendo subito un taglio
di ben tre punti con la Ta t c h e r.
LItalia del salario non al passo con
lEuropa. Il declino insomma scaricato solo sui salariati (e sui pensionati). Con un effetto derivato da
questo, che poi uno spostamento
immane di valore dal monte salari a
rendite e profitti. Ed appunto
Riccardo Bellofiore a sollevare la
questione della contrazione, oggi
del tutto evidente, dei consumi legati ai bisogni primari, ma, parallelamente, a rimarcare lesplosione
parallela dei consumi del superlusso: solo nellultimo anno raddoppiata la domanda di yatcht, solo
nellultimo anno la domanda di
Ferrari aumentata di 1/3. Si potrebbe dire forse meglio e cos: si impoveriscono i proletari, si proletarizzano i ceti medi, si arricchiscono
i gi ricchi che oggi hanno trovato
il loro governo. Il miracolo, perci,

45

Lavoro

solo per questi ultimi, e si chiama


condoni, detassazioni, cartolarizzazioni. Per tutti gli altri siamo al
dramma. Ed ancora Bruno Casati
che illustra il caso Milano, citt
duale in cui crescono insieme, allontanandosi, ricchezza e povert;
citt in cui il pensionato scopre il
fenomeno ultima settimana
(quando la pensione si dissolta),
e il giovane se ne sta protetto nellammortizzatore-famiglia e, se laureato ad esempio, costretto o ad
emigrare o a fare il centralinista nel
call center a 500/600 euro al mese.
Come far mai costui a farsi una casa
sua, ma chi gli dar mai un mutuo,
come si costruir la pensione?
Questo il dramma dei tanti, speculare al miracolo dei pochi. E, intanto, che fanno gli imprenditori
del terzo millennio? O fuggono dal
mercato liberalizzato verso le utilities privatizzate e a cliente garantito,
o se ne stanno acquattati nella competizione di prezzo, ove cercano di
comprimere ancora per un po il costo del lavoro e, con la Legge 30,
cancellare ogni diritto. E lItalia diventa, con questi imprenditori e
con questo governo, il paese dei
sub-fornitori e del solo terziario, il
paese dei 200 distretti del piccolo
(che era) bello, specializzato laddove la domanda destinata a calare paese ancora forte, ma nei settori deboli del legno, del turismo,
del tessile e abbigliamento, della
componentistica senza valore aggiunto ma assai debole nei settori
destinati a crescere, dove appunto
alta la componente conoscenzaqualit-innovazione e ricerca, come
lindustria davanguardia, la sanit,
i nuovi materiali. Settori che vogliono massa critica competitiva e
forti indirizzi pubblici. Che, in
Italia, non ci sono.
Lanalisi di Greco e Bellofiore si fa

46

impietosa. Questa Italia si avvia a diventare una colonia: ha venduto


Fiat Avio agli americani e non entrata nel Consorzio Airbus; ha venduto Fiat Ferroviaria ai francesi;
esce dallauto e chiuder addirittura Mirafiori; Riva e Lucchini, dopo
essersi impadroniti delle acciaierie
un tempo delle PPSS, pensano di delocalizzarle in Polonia e Romania;
Merloni, con lUcraina, pensa la
stessa cosa con gli elettrodomestici;
il governo vuole privatizzare
Fincantieri e, ahim, il triciclo lo
spinge in questa direzione; Tronchetti Provera lascia i copertoni
per i telefoni e Benetton i maglioni
per le autostrade (i padroni ad un
certo punto diventano per davvero
tagliatori di cedole, proprio come
prevedeva Marx); Tanzi e Cagnotti,
in verit, hanno preso unaltra
strada. Leconomia italiana diventa
sempre pi povera ma e ha ragione
Sylos Labini limprenditore sempre pi ricco. E lItalia dei distretti,
nellillusione della loro autosufficienza, cancellata dalla concorrenza straniera che, il pi delle
volte, sostenuto dai loro Stati (altro che meno Stato pi mercato!), e
gi si avvicina quell immenso superdistretto che la Cina. Come salvare
il salvabile, come risalire sul piano
inclinato della crisi? Questo il
punto, perch oggi la battaglia per
unaltra economia si deve comporre
con quella dei diritti dei lavoratori.
Non si scappa: si risale solo con i lavoratori. Bruno Casati molto preciso: Quandanche si riuscisse a
cancellare la Legge 30 e a riconquistare il diritto alla contrattazione
e non sar semplice, visti i Rutelli e
i Bersani in agguato potrebbe risultare, questa, addirittura uninutile conquista se, nel contempo, si
saranno dissolti i luoghi della produzione in cui appunto fruire dei di-

Marzo - Aprile 2004

ritti riconquistati. E ad Antonio


Panzeri che, in polemica con il congresso della FIOM, ribadisce tuttora
la validit, di converso, della politica
dei redditi e della concertazione
che, parso di capire, non va gettata
oggi perch tornerebbe buona domani con il governo amico, rispondono di brutto un po tutti.
Molto efficace lintervento, dal pubblico, di un operaio del tondino:
Fate molta attenzione compagni
perch se oggi assolutamente indispensabile mandare a casa
Berlusconi, altres indispensabile
non imbrogliare i lavoratori in
quanto, dobbiamo sempre ricordarcelo, se oggi Berlusconi sta stracciando le relazioni sindacali, la
Costituzione ed i contratti collettivi,
dovuto solo al fatto che, ieri, il governo Prodi non ha sostenuto quella
Legge delle rappresentanze che lo
avrebbe impedito.
la sintesi del Convegno: ci vuole
un programma, limpido e alternativo, e va conquistato con i movimenti. Poche cose ma nette: via
dallIraq, cancellare la Legge 30, varare la legge sulle rappresentanze,
ritorno della mano pubblica in economia. Ma ce n anche per Rifondazione Comunista. Ed Riccardo
Bellofiore, nellultimo intervento,
che va gi duro a proposito dellesigenza del programma limpido ed
alternativo che se non apparisse, e
Rifondazione si adeguasse, non si
capirebbe come mai Bertinotti
dice Bellofiore sia a suo tempo
uscito da sinistra dal sostegno a
Prodi per tornare cinque anni
dopo, e con lo stesso Prodi, ma (se
non c un programma) da destra!
Aspro ma chiarissimo. Ci aspetta insomma un gran lavoro e che la
forza (del movimento) sia con
noi!. A partire dalla forza del movimento operaio ben sintende.

Marzo - Aprile 2004

Economia

Finanziaria ormai
in larga misura
la logica dominante
delle operazioni di acquisizione
e fusione di societ e gruppi

Crack:
non solo Parmalat

di Raffale Picarelli
economista

TRA FINANZIARIZZAZIONE CAPITALISTICA INTERNAZIONALE


E FONDAMENTALISMO LIBERISTA

ella vicenda Parmalat convivono, si


intrecciano e si scontrano una serie
di processi economici, finanziari,
sociali e politici di notevole rilevanza, il cui esito non ancora
chiaro e che utile esaminare partitamene in s e nella coscienza che
dei medesimi hanno gli esponenti
del capitalismo e della politica nazionali.
Il quadro nel quale la vicenda
Parmalat si pone quello della finanziarizzazione (florida da oltre
un trentennio) delleconomia capitalistica internazionale. Per finanziarizzazione, in senso generale, si
indica, da un lato, il fenomeno della
crescita con progressione geometrica del valore della quantit del capitale monetario ormai lontano
multiplo dellaccumulazione reale
impiegato (in uno con il risparmio) in operazioni finanziarie (su
valute, titoli azionari, obbligazioni,
sulla congerie dei vari strumenti finanziari offerti sul mercato, sui
prodotti derivati), dallaltro, la incredibile proliferazione dei soggetti
operanti nel campo finanziario
(banche, imprese, societ di gestione del risparmio, fondi comuni
di investimento, fondi pensione,
hedge funds ed altro). Lo scopo
quello di preservare la valorizzazione del capitale attraverso il circuito
abbreviato (D-D1); mentre per il risparmio la finalit la sua pi o

meno stabile veicolazione attraverso i fondi pensione ed altro dallambito della circolazione del reddito a quella della circolazione del
capitale. Strettamente connessi alla
finanziarizzazione sono lincremento esponenziale del capitale da prestito erogato da soggetti bancari e
non, e, di riflesso, il crescente utilizzo del capitale di terzi da parte dei
grandi gruppi industriali e commerciali e delle PMI industriali,
commerciali e artigiane per lattuazione della loro attivit produttiva e
distributiva (e quindi il loro crescente indebitamento). Lesposizione debitoria dei soggetti non capitalistici, anchessa crescente, ha natura molto varia a seconda dei
gruppi interessati; certamente riconducibile allimpoverimento relativo e assoluto lindebitamento
crescente di larghi strati della popolazione lavoratrice, dei salariati e
dei pensionati degli stessi paesi capitalistici avanzati.
Finanziaria ormai in larga misura
la logica dominante delle operazioni
di acquisizione e fusione di societ e
gruppi. Si tratta cio di operazioni
che avvengono in unottica di dismissione a breve (naturalmente sussistendone le condizioni) e con lo
scopo di realizzare rapidi guadagni:
tipica della specie in Italia la vicenda Telecom di Colaninno (il capitano coraggioso di DAlema).

Non questa la sede per parlare


delle cause e dei processi profondi
che hanno portato a tutto ci, anche se questo uno snodo decisivo
al quale la riflessione dei comunisti
non si pu sottrarre a lungo se essi
ritengono necessario (o utile) costruire una teoria della societ capitalistica odierna.
La finanziarizzazione opera sopra
un sostrato costituito da quelle vere
e proprie stanze di compensazione
extralegale di enormi flussi finanziari che sono i centri offshore,
cio i cosiddetti paradisi fiscali
(che, non bisogna dimenticarlo,
sono destinatari, in misura tuttaltro
che trascurabile, di flussi di provenienza criminale). I siti offshore
sono elementi strutturali della finanziarizzazione. Da essi si smistano, pi o meno nel completo
anonimato, grandi masse di liquidit destinate a investimenti finanziari. Con le societ in essi costituite si realizzano complesse operazioni infragruppo, che rappresentano da sempre i mezzi pi usati
per la falsificazione dei bilanci della
grandi multinazionali.
Nella vicenda Parmalat questa funzione descritta con chiarezza dallex direttore finanziario della societ in dissesto. Le societ dei paradisi fiscali erano utilizzate, dice al magistrato lex manager, per scaricare
le perdite del gruppo [soprattutto in ope-

47

Economia

razioni di acquisizione/fusione in Sud


America, Canada e Usa]. Scaricare le
p e rdite significava soprattutto aggiustare i bilanci di diverse societ. Di conseguenza, il problema dellalterazione
della contabilit era complessivo, cio coinvolgeva lintero gruppo1.
La gestione di questo sostrato strutturale, anonimo, oscuro e spesso
puramente e semplicemente criminale del sistema capitalistico esercitata dai paesi OCSE e, in particolare, dagli Usa, dalla Gran Bretagna
e dalla Svizzera, senza trascurare il
Lussemburgo, Olanda, Irlanda,
Canada, Italia, Francia ed altri ancora. Secondo un rapporto dello
studio legale internazionale Stikeman Eliott, effettuato su commissione della Society of trust and estate practitioners su Il Sole-24 Ore del
21.1.2004, mentre molte legislazioni offshore avrebbero fatto ragguardevoli passi verso la trasparenza, a l t rettanto non si pu dire dello
stato americano del Delaware o della
Svizzera ove [] abbondano le opportunit per celare conti correnti, propriet
ed attivit illegali. Opportunit che
abbondano soprattutto nei paesi
OCSE, ovvero i pi industrializzati e ricchi del mondo, a cominciare da Usa e
Regno Unito. Nello stato americano
del Delaware, prosegue il rapporto,
ci sono 730mila abitanti e oltre
500mila societ incorporate; 675
delle 2000 societ del gruppo Enron
erano incorporate in questo stato.
La Parmalat aveva nel Delaware un
numero imprecisato di societ (allo
stato sono note solo la Boston
Holding e la Nyte Investments). Il
Delaware ricava 400 milioni di dollari allanno dalla sola registrazione
delle Limited liability company, le
societ a responsabilit limitata con
sede nel suo territorio. In due ore e
con meno di 100 dollari si pu registrare una societ anonima, in cui
sar impossibile risalire al beneficiario: infatti, allatto della costituzione, non vengono richieste informazioni sulla propriet delle L.l.c.
(ci si accontenta del nome del richiedente, che quasi sempre un
prestanome). In questo paradiso fiscale non sussiste legislazione al-

48

cuna sulle autorit di controllo, non


vi obbligo di deposito dei bilanci
delle societ, non prevista la revisione dei bilanci medesimi, sono
ammesse le azioni al portatore.
Grazie al fatto che non vi imposizione fiscale sui capitali in entrata,
il Delaware compete a pieno titolo
con i centri offshore del Pacifico o
dei Carabi.
Anche la Gran Bretagna ha i suoi
trusts ed i suoi protettorati offshore
(le isole di Man, Jersey, Guernsey, le
Cayman ed altre ancora). Oltre
Lussemburgo, Olanda, Nuova
Zelanda, Irlanda, Singapore e
Canada, che hanno una struttura
nazionale organizzata per loffshore, non si pu dimenticare limportanza di questi centri in Italia
(San Marino) e in Francia (Montecarlo) e la loro vera e propria identificazione con lo stato per Malta e
Cipro, prossimi membri dellUnione Europea.
Secondo lo studio sopra citato, le
piazze finanziarie di New Yo r k ,
Londra e Tokio controllano il 60%
del mercato dei servizi offshore, e
questa percentuale sale all80% se si
considera lintera OCSE.
I grandi gruppi pi finanziarizzati
a base italiana (come era Parmalat)
e non, presentano da molti anni un
indebitamento che ha assunto carattere strutturale. Si esteso lutilizzo di capitali di terzi (obbligazionisti, banche e consociate) nellattivit caratteristica e in quella crescente di natura finanziaria. Sembra
sussistere un nesso tra declino relativo dellaccumulazione reale, incremento della finanziarizzazione e
crescita dellindebitamento in primis dei gruppi oligopolistici e poi
delle altre societ. Alla maggioranza
degli analisti finanziari (per non
parlare delle societ di revisione e
di quelle di rating, pi o meno colluse) era sembrata cosa del tutto
normale che da anni la Parmalat denunciasse un crescente ricorso allindebitamento (5,3 miliardi di
euro a fine giugno 2003) e non attingesse, per ridurlo, ai 3,5 miliardi
di liquidit di cassa dichiarata (sem-

Marzo - Aprile 2004

pre al giugno 2003), giudicando migliore lutilizzo della stessa liquidit


in proficue attivit finanziarie2.
I grandi gruppi industriali italiani,
tra i quali si annoverava Parmalat,
cio 12 dei 30 gruppi a maggiore capitalizzazione di borsa, espongono
al 30.9.2003 debiti finanziari pari a
4 volte e mezzo il patrimonio netto
tangibile, cio il patrimonio netto
meno gli attivi immateriali3.
Il totale delle societ quotate in
borsa ha un indebitamento finanziario (verso banche, verso obbligazionisti e verso consociate) sostanzialmente pari al patrimonio netto
tangibile4.
Elaborando i dati Mediobanca, si
evince che dal 1998 rallentano i profitti ed aumentano i debiti finanziari, che passano dal 40% del capitale totale investito nel 1998 al
48,9% del 2002. Di grande interesse
il parallelismo tra il ricorso al credito bancario e lemissione di obbligazioni. Pi scende il primo e pi
sale la richiesta di risorse finanziarie attraverso i bonds societari.
Lesposizione bancaria scende dal
21,6% del capitale investito del 1993
al 7,7% del 2002. Al contrario, le obbligazioni coprono quote crescenti
dei debiti finanziari delle societ
quotate e crescono in modo visibile
dal 2000 fino ad arrivare al 16,5%
del capitale investito del 20025.
A questo punto agevole trarre una
conclusione. Le politiche deflattive,
o comunque disinflazionistiche
dellU.E., hanno portato ad una
tendenziale riduzione dei tassi di interesse. Le grandi banche e i grandi
gruppi commerciali e industriali a
base italiana (abbastanza fusi), cio
il capitale finanziario in senso leninista, hanno dato una risposta abbastanza leggibile ai rispettivi bisogni. Da un lato le banche, che
hanno visto progressivamente assottigliarsi i profitti da intermediazione per effetto del calo dei tassi e
delle difficolt negoziali verso i
grandi gruppi, si sono progressivamente disimpegnate dagli impieghi
creditizi, riducendo i propri rischi e
le proprie esposizioni. Nel contempo esse hanno ampiamente so-

Marzo - Aprile 2004

stituito il calo dei profitti da investimento con la produzione e vendita di strumenti finanziari e con
lattivit oltremodo ampliatasi di allocazione di assets e, pi in generale, di merchant. Ci si reso possibile a seguito della liberalizzazione
del sistema bancario, conseguente
al processo di unificazione economica e monetaria europea, ed alla
conseguente nascita delle cosiddette banche universali. Dallaltro
lato, gli oligopoli industriali e commerciali hanno trovato soddisfazione al crescente fabbisogno finanziario sul mercato dei bonds, a
tassi convenienti e con operazioni
meno invasive per le gestioni
aziendali di quanto non lo siano, almeno in potenza, le operazioni di
aumento di capitale. Il mercato
era daltronde pronto a prestare
soldi, in considerazione del calo verticale dei rendimenti dei tradizionali titoli finanziari pubblici.
I gruppi sociali a carico dei quali si
operato questo rovesciamento
del rischio, e che hanno subto i
danni dei vari crack degli ultimi
anni, sono stati e sono soprattutto
i ceti portatori delle varie tipologie
di rendita (immobiliare, fondiaria
ecc.), i ceti professionistici e manageriali, segmenti di piccola e media
impresa commerciale, artigiana e
industriale, in particolare del nordest e del centro del paese (in misura
molto minore e frazionale lavoratori e pensionati); si tratta in larga
misura dei cosiddetti scudati, o
pirati della lira, cio dei beneficiari dei provvedimenti BerlusconiTremonti sul rientro con garanzia
di impunit e nellanonimato dei
capitali a suo tempo illecitamente
esportati allestero. Questi gruppi
sociali, con il loro malcontento per
gli affaires Cirio, Parmalat, Bipop,
Giacomelli ed altri, sono nel medesimo tempo il riferimento elettorale
soprattutto dei partiti della compagine governativa e la massa di manovra per le operazioni di ristrutturazione capitalistica in corso, di cui
meglio diremo dopo, operazioni
che hanno tratto una forte accelerazione dai crack citati. Questi

Economia

gruppi trovano tuttavia, in maniera


trasversale, ed al pari delloligarchia
finanziaria, le loro sponde in entrambi gli schieramenti politici (cosiddetta Casa delle libert, Ulivo pi
PRC). Se questa la base materiale
della polemica demagogica contro
i poteri forti, appare chiaro che il
menzionato rovesciamento del rischio contribuisce a conferire maggiore fragilit, per le ricadute sociali
che produce, al sistema nel suo
complesso.
Un altro e non meno importante
processo messo in evidenza dal
crack Parmalat quello della messa
in discussione da parte di settori
consistenti del personale dirigente
borghese del modello della cosiddetta banca universale. Come
noto, negli anni 30 del secolo
scorso erano stati introdotti nel sistema capitalistico internazionale, a
seguito della grande paura del
29, una serie di elementi di stabilizzazione. In Italia ebbero importanza notevole le misure adottate
nel campo creditizio, quali la separazione del credito a breve da quello
a medio-lungo termine, la separazione fra banca e industria, il ruolo,
la composizione e i poteri dellautorit di vigilanza sul credito. Fu varata la legge bancaria del 1936. Si
trattava, tra gli altri, del tentativo di
risolvere le vecchie e nuove contraddizioni, rispettivamente acuite
e generate dalla crisi capitalistica,
nellambito stesso del modo di produzione vigente. In questo senso i
provvedimenti di stabilizzazione
dellordinamento creditizio erano,
per dirla con Marx, delle forme antitetiche dellunit sociale.
I complessi processi di cui qui non
il caso di parlare che hanno portato in ambito mondiale alla sostanziale liquidazione del capitalismo monopolistico di stato, hanno
avuto come effetto, fin dai primi
anni 90, anche la liberalizzazione
del sistema bancario: ora le banche
possono acquisire depositi, impiegare denaro a breve e a mediolungo termine, fare intermediazione finanziaria, produrre strumenti finanziari, operare da m e r-

chant ed altro. Rimane per incompiuta in alcune aree (Europa,


Giappone, Cina) lunificazione del
mercato bancario, cio la liberalizzazione internazionale dei movimenti di capitale finalizzata alla partecipazione e al controllo del sistema bancario e finanziario dei vari
paesi. Se le dinamiche della liquidazione del capitalismo di stato
(con acquisizione del suo patrimonio da parte degli oligopoli a base
privata), a partire dal cosiddetto
shock petrolifero dei primi anni
70, non hanno rimediato alla crisi
di sviluppo di larga parte del sistema
capitalistico ed hanno peggiorato le
condizioni di vita di una grande
parte dellumanit, la banca uni-

Un altro e non meno importante


processo messo in evidenza dal crack
Parmalat quello della messa
in discussione da parte
di settori consistenti del personale
dirigente borghese del modello
della cosiddetta banca universale

versale, nata dalla stessa logica, ha


generato in Italia (e naturalmente
non solo in Italia), in un solo decennio, disordine e in alcuni momenti caos finanziario.
Le vicende Parmalat, Cirio e le altre
simili, con i loro intrecci di attivit
di investimento, di collocamento
bancario dei bonds societari, di incrocio di partecipazioni azionarie e
di assenza di regole e controlli, ne
sono lespressione macroscopica.
Come dicevamo, parte del personale dirigente borghese ha una percezione, seppure deformata, del fenomeno e lo colloca nel contesto
del conflitto di interesse. Lesperienza ci dice che la banca pigliatutto, afferma lex presidente di Mediobanca, ex ministro ed attuale deputato
della Margherita Antonio Maccanico, crea pi problemi di quanti ne ri-

49

Economia

solva []. La banca universale allorigine di molti conflitti di interesse e della


sovrapposizione tra banca commerciale
e banca daffari. da valutare se non
sia il caso di tornare alla separazione tra
credito a breve e credito a lungo termine.
So benissimo che la banca universale
non uninvenzione italiana, ma non
mi pare che anche altrove abbia dato
buona prova di s: basta vedere cosa sta
succedendo in America, dove qualcuno
comincia a avere dubbi sulla liberalizzazione bancaria e sulla confusione dei
ruoli6. Sulla stessa linea si muove
Franco Bernab, ex amministratore
delegato di Telecom ed Eni, secondo il quale lo scandalo Parmalat
il frutto del conflitto dinteresse nato da
una liberalizzazione che ha portato alle

Una delle partite pi importanti


che si giocata stata
quella del trasferimento della tutela
della concorrenza nel settore
creditizio dalla Banca dItalia
allAutorit garante della concorrenza e del mercato,
cio alla Autorit antitrust
banche tuttofare e che sta creando problemi anche da noi, dove sarebbe ora di
superare anche per legge la banca universale tornando alla specializzazione
degli istituti7.
Un altro importante processo
stato accelerato d alla vicenda
Parmalat, ed quello che, secondo
Padoa Schioppa, consigliere BCE,
doveva gi da anni portare ad un
settore bancario europeo. La stucchevole polemica Tremonti/Fazio
in realt lo schermo dietro al quale
si svolgono vari processi pi o meno
importanti. Senzaltro importante
quello della ristrutturazione europea del settore bancario, che dovrebbe portare secondo la prospettiva della componente che potremmo definire del fondamentalismo liberista rappresentata dal

50

commissario UE alla concorrenza


Monti, da Giuliano Amato, dal presidente dellAntitrust Tesauro, e, sia
pure ambiguamente, da Pera alla
rottura di ogni barriera alla penetrazione straniera nel sistema finanziario italiano. In questo senso
Tremonti e il governo Berlusconi
sono gli epigoni dei processi di liberalizzazione in ambito UE, mentre Bankitalia (alla quale stata rimproverata aspramente, da settori
economici e politici, la recente opposizione alla scalata per il controllo delle Generali tramite
Mediobanca da parte di gruppi finanziari francesi), tenderebbe a garantire, attraverso una sorta di protezionismo, il consolidamento degli
oligopoli bancari nazionali, per i
quali un regime totalmente liberalizzato potrebbe essere ancora un rischio.
Una delle partite pi importanti
che si giocata in queste settimane
stata quella del trasferimento della
tutela della concorrenza nel settore creditizio dalla Banca dItalia
allAutorit garante della concorrenza e del mercato, cio alla Autorit antitrust. La posizione di Tesauro, il presidente dellAutorit citata, espressa nel corso dellaudizione davanti alla commissione bicamerale, chiara. Sono unanimale
comunitario, il nostro settore creditizio
patologico; non mi risulta fra i pi
avanzati per competitivit. E le barriere
allingresso dei capitali sono barriere che
vanno rimosse []8. Ancora pi
chiaro stato Eugenio Scalfari, che
pure favorevole in linea di massima ad assegnare allAntitrust la
competenza per la tutela della concorrenza bancaria. Nel giro di due
o tre anni la propriet cambierebbe bandiera. Dopo aver perso la chimica,
linformatica, la farmaceutica, lindustria aerospaziale e forse, tra
poco, anche quella automobilistica,
questo il timore di Scalfari, anche il
sistema creditizio cesserebbe di far parte
del sistema paese9.
La soluzione data alla questione dal
disegno di legge governativo approvato lo scorso 3 febbraio dal consiglio dei ministri sembrerebbe dar

Marzo - Aprile 2004

ragione agli iperliberisti (art. 29


Ddl). Soprassedendo, per questioni
di spazio, ad un compiuto esame del
menzionato provvedimento governativo costituito da 50 articoli, non
si pu sottacere che esso sancisce la
tripartizione funzionale delle autorit di controllo (stabilit, trasparenza, concorrenza), depotenzia
significativamente Bankitalia, alla
quale sono sottratte, oltre alla tutela
della concorrenza nel settore bancario, le competenze di controllo
sulle emissioni di valori mobiliari,
sulle emissioni finanziarie delle
banche, sulla trasparenza delle condizioni contrattuali (aggiungiamo,
per inciso, che nulla viene detto sui
controlli e le sanzioni interne allimpresa, e sul falso in bilancio; risibile inoltre il contenuto della
norma sui centri offshore).
C una cosa importante da evidenziare. Agli elementi di destrutturazione del sistema bancario, il disegno di legge affianca un forte elemento di autoritarismo, rappresentato dai poteri nuovi ed inusitati
conferiti al CICR (comitato interministeriale del credito e risparmio) dallart. 30 del provvedimento. Il CICR un organo di emanazione politica, e ad esso ora attribuita lalta vigilanza in materia di
credito e risparmio []. Nellesercizio di
tale compito pu chiedere dati, notizie e
informazioni generali alle autorit indicate allart. 26 [autorit per la tutela del risparmio, antitrust, Bankitalia] ed emanare atti di carattere generale sui criteri dellattivit di vigilanza
delle autorit []. indubbia la volont politica del governo, anche attraverso la nomina del presidente
della costituenda autorit per la tutela del risparmio, di mettere mano
autoritariamente alla gestione del
settore del credito. Questo mix di
destrutturazione ed autoritarismo
suggerisce un parallelismo con la
devolution e il cosiddetto premierato forte della riforma costituzionale in cantiere, elementi questi che, lungi dallessere in contraddizione, si integrano rappresentando il premierato la cornice autoritaria che garantisce e dentro la

Marzo - Aprile 2004

quale si realizza la devoluzione.


La minoranza parlamentare nelle
sue varie componenti, comprese
quelle radicali, del tutto sorvolando per volont o incomprensione sui processi strutturali che
sottendono il crack Parmalat, appunta le proprie critiche sugli
aspetti politici esterni (poteri del
CICR e volont di controllo governativo del credito), e finisce in tal
modo per diventare pur negandolo parte della contesa Fazio/
Tremonti.
Daltronde da tempo Bankitalia critica aspramente la politica economica del governo, denunciando le
cause del declino industriale del
paese (tema caro alla CGIL) e a pi
riprese contestando il governo nella
questione delle fondazioni bancarie e degli accordi di Basilea 210.
Sono significativi, al riguardo, alcuni passi tratti da articoli comparsi
su il manifesto nelle ultime settimane. Il crack Parmalat diventa un
pretesto per spogliare Bankitalia (istituzione diventata scomoda da quando si
permette di criticare il governo) dei suoi
poteri di controllo sulla concorrenza nel
settore bancario che con il caso Tanzi non
centrano nulla. Ma centrano invece
con la voglia di Tremonti di mettere le
mani sul sistema bancario che, nonostante tutto, appare solido e con buone
p rospettiv e di crescita e re d d i t ivit[]11.
Sul caso Parmalat c una spaccatura
tra chi difende i poteri forti e chi difende

Economia

i risparmiatori. Apparentemente paladina dei risparmiatori la destra, mentre in trincea con i poteri forti c il centrosinistra. Ma stanno proprio cos le
cose? No: il Parmacrack per il governo
solo un diversivo per i fallimenti della
politica economica, mentre sul versante
opposto c la percezione che lattacco ai
poteri forti sia solo lultima spallata ai
p recari equilibri istituzionali che rappresentano la borderline tra democrazia e presidenzialismo autoritario[]12.
Il governo non ama la separazione dei
poteri, lindipendenza della magistratura, le autorit indipendenti. Daltra
parte il nostro ministro seguace di
Colbert, cio del controllo del monarca su
tutto il sistema economico13.
Come si vede ci troviamo di fronte
ad un approccio tutto politicistico
al fenomeno, che costringe a schierarsi con uno o laltro dei settori
economico-politici capitalistici in
contesa.
Il punto di vista comunista aiuta invece a collocare la questione allinterno dei processi di finanziarizzazione delleconomia capitalistica
nella fase dellimperialismo, allinterno dei processi contraddittori
della ristrutturazione capitalistica
nel percorso dellUnione Economica e Monetaria europea e allinterno della crisi capitalistica generale di cui la costruzione e distruzione delle forme antitetiche dellunit sociale un significativo riflesso.

Note
1 F. Tonna, ne Il Sole-24 Ore
dell8.1.2004.
2 Il Sole-24 Ore del 13.11.2003.
3 Dati elaborati da Mediobanca e riportati
su Il Sole-24 Ore del 10.12.2003.
4 Dati elaborati da Mediobanca e riportati
su Il Sole-24 Ore del 10.1.2004.
5 Le emissioni obbligazionarie Parmalat negli ultimi anni sono state 31 secondo il circuito Reuters, per un valore di emissione di
circa 8 miliardi di euro (di queste, solo tre risultano quotate nel mercato ufficiale MOT,
con prospetto Consob). Le societ emittenti
sono per lo pi situate nei centri offshore:
Parmalat Finance Corporation e Parmalat
Capital Netherlands in Olanda, Parmalat
S o p a rfi S.A. in Lussemburgo, Parm a l a t
Capital Finance a Malta; solo la Parmalat
Finanziaria s.p.a. ha sede in Italia.
6 Il Sole-24 Ore del 24.1.2004.
7 Il Sole-24 Ore del 10.1.2004.
8 Il Sole 24-Ore del 30.1.2004.
9 Lotta Comunista, gennaio 2004.
10 Accordi che entreranno in vigore allinizio del 2007 e che prevedono precisi rating
per lerogazione del credito dalle banche alle
imprese. Tremonti, ergendosi a paladino
della piccola e media impresa, a pi riprese
ha paventato il rischio di una restrizione del
credito.
11 il manifesto dell 8.1.2004.
12 Ivi, 14.1.2004.
13 Ivi, 16.1.2004.

51

Marzo - Aprile 2004

Stato/Istituzioni

Nel 1963, sulla base dellart. 43


della Costituzione, fu possibile
la nazionalizzazione dellenergia
elettrica; oggi lUnione europea
ci ha impostola liberalizzazione
in tema di produzione
di energia elettrica

Costituzione
italiana:
lo stato
delle cose

di Giuseppe Ugo Rescigno


Docente di Diritto Costituzionale
Universit La Sapienza di Roma

TRA IL DOCUMENTO SCRITTO E FORMALMENTE IN VIGORE E LA SUA


APPLICAZIONE NELLA REALT DELLE COSE

l titolo di questo articolo, e quindi


loggetto e le ragioni di esso, si spiegano ricordando la distinzione tra
la Costituzione come documento
scritto formalmente in vigore e la
Costituzione come realt costituzionale oggettivamente documentabile in base ad indagine empirica.
Tra le due cose pu esservi piena o
parziale corrispondenza, o totale
non corrispondenza.
Si ha piena corrispondenza quando
alle parole scritte corrispondono
fatti indubitabili (cos alla previsione costituzionale che hanno da
esservi un Parlamento bicamerale
eletto con suffragio universale, un
Governo che deve godere della fiducia del Parlamento, un Presidente della Repubblica, una Corte
costituzionale, corrisponde la constatazione che effettivamente esistono un Parlamento bicamerale
ecc. ecc.; vale la pena di sottolineare
che questo giudizio vero solo se rimaniamo al livello globale al quale
si collocano le parole usate; se lanalisi pi approfondita e articolata, e ci chiediamo ad esempio se
nellesercizio delle loro competenze gli organi costituzionali si
comportano sempre in modo conforme alla Costituzione scritta, allora questa piena corrispondenza
scompare, o pu non darsi: lanalisi che deve mostrare come stanno
le cose pi minute e particolari).

52

Si ha parziale corrispondenza in
tutti quegli innumerevoli casi nei
quali possibile concludere che la
legislazione e tutte le altre attivit
giuridiche tengono conto delle regole e dei principi contenuti nella
Costituzione e cercano di attuarle in
una misura significativa, anche se
molto resta ancora da fare e molto
di pi si potrebbe fare (per questo
aspetto il giudizio pu essere molto
diverso secondo il periodo che esaminiamo: cos non c dubbio che
il tentativo di dare attuazione alla
Costituzione era forte e convinto
negli anni sessanta e settanta, diviene tiepido e incerto negli anni ottanta, si inverte, come vedremo, dagli anni novanta in poi).
Si ha totale non corrispondenza
quando alle parole del testo non
corrisponde assolutamente nulla
nella realt: cos, alle parole dellart.
39, dal secondo comma alla fine, secondo cui i contratti collettivi stipulati secondo le regole e le procedure genericamente indicate in
questo articolo avrebbero avuto valore erga omnes, non corrisponde
nulla, perch la legge di attuazione
non mai stata emanata, e tutti oggi
sono daccordo che non verr mai
emanata, ed ai contratti collettivi di
lavoro di diritto privato si applica la
disciplina del codice civile (con quegli accorgimenti basati su altre
norme costituzionali che hanno

permesso di dare parzialmente una


efficacia generale anche a questi
contratti).
Se cerchiamo di applicare il criterio
di metodo esposto nel precedente
paragrafo allo stato attuale della
Costituzione italiana, conviene dividere la materia Costituzione in
due parti, grosso modo corrispondenti alle due parti che strutturano
espressamente il testo ufficialmente
(formalmente) vigente: una prima
parte che elenca e stabilisce i principi fondamentali per quanto attiene ai diritti e doveri dei cittadini
(e degli uomini in generale residenti in Italia), e formula i programmi da realizzare; una seconda
parte che organizza le strutture fondamentali dei poteri pubblici e disciplina i principi che presiedono allesercizio delle loro funzioni.
Per quanto riguarda la seconda
parte per cos dire ufficiale che
essa provvisoria, non solo perch
tutti i principali partiti dicono continuamente e costantemente che
essa va cambiata, ma anche e soprattutto perch il titolo V di questa
seconda parte (quello che tratta
delle Regioni e degli enti locali)
stato totalmente riformulato con
leggi costituzionali (la principale
delle quali la legge costituzionale
n. 3 del 2001), in profonda opposizione, almeno nelle intenzioni e
nelle parole scritte, con il prece-

Marzo - Aprile 2004

Stato/Istituzioni

dente testo; perch attualmente in


discussione un progetto di legge costituzionale presentato dal Governo
che rivoluziona lintera seconda
parte; perch la pratica dei soggetti
politici, come inevitabile alla luce
delle loro posizioni, per quanto
oggi costretta nelle maglie del vecchio testo, cerca continuamente, e
spesso riesce a realizzare nei fatti il
modello costituzionale prefigurato
nel progetto governativo (e in
molte parti condiviso anche dalle
opposizioni, anche se beninteso restano differenze non piccole tra i
due schieramenti).
La tendenza dominante, e lo spirito
che anima le riforme in corso, possono essere cos sintetizzati.

trazione del potere decisionale in


un solo uomo, che, sia per ragioni
politiche (il suffragio universale
concentrato su una persona pesa
politicamente in modo enormemente superiore rispetto al suffragio diviso tra molte persone), sia per
ragioni istituzionali (la regola introdotta in Costituzione per cui,
quale che sia il motivo, la cessazione
dalla carica del Presidente della
Regione determina il contemporaneo scioglimento del Consiglio; la
stessa regola non per caso il progetto di legge Berlusconi vuole introdurre a livello statale), comanda
incondizionatamente sulla assemblea cosiddetta rappresentativa del
popolo.

a) Domina incontrastata lideologia


del principio maggioritario, che si
traduce in meccanismi elettorali tali
per cui vince le elezioni la minoranza pi forte, difficilmente pu
sussistere un terzo partito o blocco
di partiti (cosicch la competizione
si risolve in forza delle norme nel
confronto tra due schieramenti ambedue minoritari ma pi forti di
tutti gli altri), la partecipazione
viene apertamente o nascostamente scoraggiata (due esempi: le
leggi elettorali di Camera e Senato
chiamano diritto di voto quello che
invece il testo costituzionale chiama
dovere di voto; il meccanismo apparentemente tecnico per cui la
scheda elettorale non viene pi consegnata a casa ad ogni tornata elettorale ma sostituita da un documento da tenere in casa e da utilizzare per un certo numero di elezioni ottiene il risultato evidente, e
voluto, di selezionare quelli che
sono interessati alle elezioni e che,
in caso di smarrimento del documento, molto probabile, si daranno
da fare per ottenerne un duplicato,
e quelli invece che, di fronte ad elezioni nelle quali il proprio partito
ha scarse probabilit di successo o
comunque non si riconoscono n
nelluno n nellaltro dei due schieramenti prevalenti, rinunceranno);
b) Domina lideologia del presidenzialismo, e cio della concen-

c) Si consumata la crisi dei partiti


di massa (e cio dellunica forma di
organizzazione finora inventata e
sperimentata per permettere a
grandi masse di partecipare alla vita
politica): i partiti si riducono a simboli e mere macchine organizzative,
al servizio di personaggi che trovano altrove la forza per emergere
politicamente (nel danaro, nei mezzi di comunicazione di massa, nella
visibilit gi conquistata, nei gruppi
di pressione pi forti); le procedure
per selezionare i candidati sono
opache e totalmente lontane dalle
grandi masse; il numero e la qualit
di coloro che possono essere eletti
estremamente ristretta (a livello
nazionale poche centinaia di persone, che sono comunque o imprenditori, o avvocati, o medici, o
artisti e simili; gli operai, le casalinghe, i poveri sono esclusi in radice).
d) La concorrenza (e cio la lotta di
tutti contro tutti, e quindi anche la
lotta di gruppi contro gruppi, e il
formarsi e lo sciogliersi continuo di
alleanze), da elemento fondamentale dei mercati, sostenuta e protetta dal diritto e dai poteri cosiddetti pubblici, entra anche nelle istituzioni, tra di loro ed al loro interno: la politica una guerra per
bande, la cui posta intermedia la
conquista dei punti di forza istituzionale, e lobbiettivo accrescere

le proprie risorse a danno degli altri (proprio per questo ritornano


con forza ideologie e pratiche ispirate alla elemosina, alla vecchianuova carit): le nuove regole del
nuovo titolo V sono la traduzione
istituzionale di questo meccanismo
concorrenziale, delle regioni contro lo stato, delle regioni tra loro,
delle regioni contro comuni e province, delle province e comuni tra
loro (per la verit questa traduzione
in termini istituzionali appare goffa
e piena di contraddizioni: la cosa
per favorisce proprio questo tipo
di guerra: maggiore la confusione
istituzionale, maggiori sono le probabilit di vittoria dei pi forti).
Apparentemente la prima parte del
testo costituzionale sembra esclusa
da questo terremoto. Nella realt
proprio la prima parte che gi
morta o moribonda: esiste nei fatti
una costituzione silenziosa che la sta
distruggendo sistematicamente, cosicch restano le parole come guscio vuoto (a consolazione di coloro
che vogliono illudere o illudersi).
Anzitutto tutte le disposizioni sulla
economia, se mantengono ancora
una qualche forza giuridica, la mantengono se e nella misura in cui
sono conformi al diritto comunitario: il diritto comunitario prevale
anche sulla Costituzione, dicono i
giuristi e dice la Corte costituzionale (e dicono tranquillamente i
politici), salvo, dice la Corte e dicono quasi tutti i giuristi, i principi
fondamentali, tra quali per non
stanno i principi costituzionali in
materia di economia.
Alcuni esempi: nel 1963, sulla base
dellart. 43 della Costituzione, fu
possibile la nazionalizzazione dellenergia elettrica; oggi lUnione
europea ci ha imposto (ma le
forze politiche dominanti erano e
sono del tutto daccordo) la liberalizzazione in tema di produzione di
energia elettrica; se la Repubblica
italiana volesse di nuovo nazionalizzare lenergia elettrica (o nazionalizzare servizi pubblici essenziali
o fonti di energia o situazioni di monopolio, come continua a prevedere lart. 43) non potrebbe farlo:

53

Stato/Istituzioni

lart. 43 resta scritto come prima


(come era scritto nel 1963), ma non
ha alcuna corrispondenza con la
realt.
Negli anni sessanta e settanta si parlava di programmazione economica
(come prevede lart. 41 della Costituzione) e si cerc di attuarla (anche se con scarsissimi risultati): oggi
impensabile solo parlarne.
Lart. 3, secondo comma continua
a dire che compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libert e leguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona
umana e leffettiva partecipazione
di tutti i lavoratori allorganizzazione politica, economica e sociale
del Paese: ma il nuovo art. 118, nel
quarto comma proclama che Stato,
Regioni, Citt m etropolitane,
Province e Comuni favoriscono
lautonoma iniziativa dei cittadini,
singoli e associati, per lo svolgimento di attivit di interesse generale, sulla base del principio di sussidiariet, cio dice esattamente il
contrario di quanto sostiene il secondo comma dellart. 3, e tutti vedono che oggi, in materia di scuola,
di sanit, di previdenza, di avviamento al lavoro, tutte le leggi recenti tendono a privilegiare lautonoma iniziativa dei privati (che poi
quasi sempre vuol dire iniziativa dei
capitalisti), restringendo lintervento dei poteri pubblici.
Lart. 4 continua a dire che La
Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro: vero che
lo stesso articolo si affretta ad ag-

54

giungere e promuove le condizioni


che rendono effettivo questo diritto, ma non credo di dover spendere parole per constatare che questo impegno , se forse esistito, per
quanto debole e impotente, oggi
non esiste.Restano fermi della
prima parte della Costituzione i tradizionali diritti di libert e il diritto
di propriet: ma come dubitarne, se
dalla rivoluzione francese in poi
questi sono i pilastri della societ capitalistica? Oggi vi unorgia di diritti (diritti umani forse lespressione pi usata e invocata, anche e
soprattutto quando si usano aerei e
cannoni per maciullare poveri disgraziati in nome dei loro inalienabili diritti umani): i diritti umani,
per ripetere cose arcinote e dette infinite volte, ma che bene sempre
ripetere, sono quelle tali cose per
cui il pi ricco banchiere e il pi povero barbone hanno luguale diritto
alla casa: la piccola differenza sta nel
fato che il ricco banchiere ha sufficiente danaro per comprare e godere una villa, il barbone dorme
sotto i ponti (ma, perbacco, nessuno pu togliergli il diritto a comprare una casa, se vuole comprarla;
che non abbia i soldi necessari irrilevante per quanto riguarda lesistenza del suo diritto; sul piano giuridico proprio cos: naturalmente
limbroglio sta nel confondere nella
stessa parola due cose profondamente diverse, e cio lastratta capacit giuridica, per cui si ha diritto
a divenire titolari di diritti se sussistono le condizioni previste dal diritto, con pretesa protetta dalla
forza nei confronti di un obbligato:

Marzo - Aprile 2004

diritto al lavoro, o diritto alla casa,


non vogliono dire che c qualcuno
che ha lobbligo di assumerti al lavoro o di darti una casa, ma che hai
la capacit giuridica di stipulare
contratti di lavoro, se qualcuno ti d
lavoro, o di affittare una casa, se il
padrone di casa daccordo ed hai
il danaro sufficiente).
Lanalisi fatta, per quanto breve ed
essenziale, ha messo in luce un dato
importante: in questo momento
non esiste una Costituzione italiana,
nel senso che le forze dominanti intendono cambiare radicalmente la
seconda parte, e perseguono fini e
programmi incompatibili con
quanto sta scritto nella prima parte,
epper non hanno ancora cambiato la porzione pi importante
della seconda parte (la forma di governo nazionale), e non hanno il coraggio di approvare una nuova
prima parte (temono le violente
reazioni che vi sarebbero se avessero
il coraggio di proclamare in modo
aperto e solenne quello che intendono, senza nascondersi dietro le
attuali menzogne).
in corso una lotta per la
Costituzione (per la Costituzione vivente, quella che effettivamente
struttura e orienta stabilmente, almeno per un certo periodo, una intera collettivit): non detto che in
questa lotta, sia sulla seconda parte,
sia sulla prima, non prendano coraggio e consistenza forze sociali e
politiche capaci di contrastare con
efficacia le tendenze attualmente
dominanti, e di ridurre i danni, se
proprio non possibile rovesciare
tali tendenze.

Marzo - Aprile 2004

Internazionale

Non si sa n quando, n come,


n dove, ma sicuramente
vedremo altre vittime innocenti
ed altri lutti, in Israele
come in Palestina

Le porte
dellinferno

di Bassam Saleh`
Presidente della Comunit palestinese di Roma e del Lazio

AHAMAD YASSIN E ABDEL AZIZ:


GLI ASSASSINII DI ISRAELE CONTRO OGNI SOLUZIONE DI PACE

on luccisione dello sceicco Ahamad Yassin, leader e capo spirituale


di Hamas, avvenuta con una incursione dellaviazione israeliana allalba del 22 marzo, e la successiva
uccisione del nuovo leader di
Hamas Abdel Aziz Al Rantisi, avvenuta pochi giorni dopo, si sono spalancate le porte dellinferno. Sharon ed il suo governo di estrema destra vogliono coprire il loro fallimento politico. Sharon aveva promesso: datemi 100 giorni e vi porter pace e sicurezza! Sono passati
circa tre anni, e gli israeliani non
hanno visto n pace n sicurezza
anzi stanno molto peggio di quattro
anni fa sul piano economico, morale e psicologico.
Con questo assassinio hanno dato
alle organizzazione palestinesi pi
integraliste e non, la luce verde per
compiere nuovi attentati.
Non si sa n quando, n come, n
dove, ma sicuramente vedremo altre vittime innocenti ed altri lutti, in
Israele come in Palestina.
Siamo precipitati in tempi oscuri,
neri, nei quali il buon senso e la responsabilit politica e morale sembrano non trovare posto. In questi
tempi crescono odii e rancori e
tanta voglia di vendetta, sia da una
parte che dallaltra. Si mescolano le
carte e diventa sempre pi lontana
la prospettiva di una soluzione politica del conflitto israelo-palesti-

nese per una pace giusta. Tutto ci


voluto con determinazione da
Sharon e del suo ministro della difesa che, malgrado la condanna
quasi unanime del mondo, compresa quella da parte della sinistra e
della societ civile israeliana, continuano a dire che questo solo linizio di una catena di assassini mirati, o meglio di terrorismo di
Stato, che non risparmieranno nessuno: altri dirigenti di Hamas o dellAutorit Nazionale Palestinese
(ANP), nonch il capo dell
Hezbollah libanese. Questa determinazione della estrema destra
israeliana apre uno scenario catastrofico in tutto il Medio Oriente.
Il governo Sharon, da quasi tre anni,
con il pretesto della sua guerra al
terrorismo e di non trovare un interlocotore palestinese per la pace,
ha distrutto quasi tutta linfrastruttura dellANP (eliminazioni mirate,
rioccupazione di quasi tutta la
Cisgiordania), rafforzando cosi le
organizzazione religiose a scapito
della parte progressista e laica nella
societ palestinese.
sufficiente ricordare che i vari governi israeliani, con lappoggio Usa
e di qualche paesi arabo loro alleato, hanno fatto di tutto per trovare unalternativa allOLP e ad
Arafat. Quando questo piano parzialmente riuscito, si sono trovati davanti, organizzazioni forti e radicate

fra la gente, e con una capacit militare capace di colpire anche dentro lo stesso stato dIsraele.
Gli assassinii dello sceicco Ahmad
Yassin e di Abdel Aziz Al Rantisi,
contrariamente alle intenzioni di
Sharon, hanno rafforzato lunit
del popolo palestinese nella sua
lotta contro loccupazione israeliana, ed hanno anche consolidato
un pensiero diffuso fra i palestinesi,
che essi sono tutti (laici, religiosi,
progressisti, moderati o estremisti)
nel mirino del esercito dIsraele.
Linterrogativo : quale sar la prossima mossa di Sharon e del suo governo? Assassinare Arafat? O trasferirlo insieme a tutta lANP fuori dai
territori occupati? I militari israeliani non commentano ma non
escludono che Arafat sia nel mirino,
visto anche che secondo i risultati
dellultimo sondaggio, il 60% degli
israeliani vorrebbero vederlo finire
come lo sceicco Yassin.
Trasferire Arafat a Gaza, dopo lo
smantellamento delle colonie e il
ritiro unilaterale israeliano, significa in questo momento consegnare
Gaza nelle mani dei gruppi islamici.
Questo piano stato abbandonato
o messo da parte da Sharon dopo
luccisione dello sceicco Ya s s i n .
Quale il ruolo che potrebbero giocare lEgitto e la Giordania? Il primo
potrebbe riprendere Gaza sotto il
suo mandato, come lo era prima del

55

Marzo - Aprile 2004

Internazionale

1967. La visita di Osama El Baz il


consigliere politico di Mubarak,
pu rientrare in questo nuovo scenario? Anche la visita di re Abdallah
di Giordania in Israele, che doveva
essere segreta, serviva a scongiurare
il piano di Trasferimento dei palestinesi in Giordania o per trovare un
accordo che mette la Cisgiordania
di nuovo sotto il suo controllo?
Lannuncio del presidente americano Bush, avvenuto dopo la visita
del primo ministro israeliano
Sharon, relativo allapprovazione
ufficiale dei piani dell estrema destra israeliana per Gaza e Cisgiordania, rappresenta il colpo finale e
definitivo ad ogni possibilita di soluzione politica e negoziata del problema palestinese. Bush ha avallato
non solo la costruzione del muro
dellaparthied, ma anche lannessione da parte di Israele della maggior parte della Cisgiordania,compresa Gerusalemme, il che rende ridicola ogni sua affermazione in merito alla creazione di uno Stato palestinese. Si tratta di una svolta storica, in quanto fino ad oggi nessuna
amministrazione statunitense per

quanto legata a doppio filo ad


Israele aveva mai dichiarato apertamente di considerare carta straccia le Risoluzioni dellONU che
condannano loccupazione israeliana della Palestina e riconoscono
il diritto al ritorno dei profughi palestinesi cacciati con la forza dalle
loro terre dalla pulizia etnica israeliana. La sola prospettiva aperta
dalle scelte dellamministrazione
Bush quella dellannientamento
del popolo palestinese. Non difficile immaginare che queste scelte
porteranno inevitabilmente ad
unulteriore escalation di violenza
da parte del governo Sharon, che ha
dimostrato ancora una volta di essere il vero padrone delle chiavi
della Casa Bianca, visto che tutti gli
o s s e rvatori concordano sul fatto
che il presidente Bush deve sottostare alle condizioni della potentissima lobby ebraica negli Stati Uniti.
In questo scenario, il ruolo
dellEuropa si conferma fondamentale, non fosse altro per il fatto
di essere il primo partner commerciale di Israele. Esattamente due
anni fa il Parlamento Europeo si

"Un mattone
per una scuola cubana"

56

LUnione Europea potrebbe e dovrebbe giocare un ruolo di rilievo,


non solo come parte del Quartetto (il piano di pace voluto da
Usa, Russia, UE e Onu), ma per i legami storici, culturali e geografici
con questa parte del Mediterraneo
di grandi interessi strategici e economici, anche per lItalia.
La condanna non pi sufficiente,
bisogna adottare misure concrete,
contro chi viola il diritto internazionale, applicando le sanzioni politicodiplomatiche e economiche
nei confronti dIsraele, uscire dalla
ambiguit, e dalla politica dei due
pesi e due misure. E chiedere
allONU, prima che sia troppo
tardi, di inviare forze di interposizione fra le parti.

Viaggio a Cuba

L'associazione impegnata nel


progetto contro il blocco economico che dura da 43 anni e con lo
scopo di aiutare chi ha pi bisogno, sensibilizzando i nostri figli, sicuramente pi fortunati.
Gli obiettivi del progetto: raccogliere materiale didattico da inviare nelle scuole del municipio di
Artemisia (L'Avana); raccogliere fondi per effettuare la ristrutturazione parziale della scuola e favorire lo scambio culturale tra gli studenti italiani
e quelli cubani.

Per informazioni Umberto Rocca


3383317403.

pronunciato per la sospensione dellaccordo commerciale fra Israele e


lUnione Europea, ma i governi si
sono ben guardati dal prendere
provvedimenti conseguenti e tuttora Israele non ha subito nessuna
sanzione, nonostante levidenza
delle violazioni delle clausole dello
stesso accordo sui diritti umani.

Nellambito
del progetto di solidariet
"Un mattone
per una scuola cubana"
Il viaggio partir da Roma il 15 luglio durer 15
giorni (8 giorni di tour, 7 giorni di mare).
Nel tour si visiteranno le citt di L'Avana, Santa
Clara, Trinidad, Cienfuegos, Guam; il soggiorno al mare sar a Varadero.
Il costo di 1.400 euro

Associazione di volontariato
"VOLO Pontemammolo",
Via Rivisondoli 9, 00156 Roma
tel 06/86896112 - 3383317403
fax 06/9409835
email: umbrocca@tiscali.it

Per informazioni e prenotazioni contattare lassociazione.

Marzo - Aprile 2004

Internazionale

Comunisti in ripresa,
crisi delle formazioni
di nuova sinistra

Sulle elezioni
in Grecia,
Spagna e Francia

di F. S.

NEL LORO INSIEME I RISULTATI SMENTISCONO LA TESI DEL DECLINO


INESORABILE DEI PARTITI COMUNISTI E DELLA NECESSIT QUINDI DI UNA
LORO MUTAZIONE IN FORMAZIONI DI SINISTRA ALTERNATIVA.
ININFLUENTE IL TEMA DEL PARTITO EUROPEO

risultati complessivi delle recenti


elezioni politiche in Grecia (vittoria
del centro-destra) e in Spagna (vittoria dei socialisti di Zapatero) e
delle regionali in Francia (vittoria
schiacciante delle sinistre) sono gi
stati abbondantemente e seriamente commentati sulla stampa italiana. Non vi ritorneremo. Mettiamo invece la lente dingrandimento
su un aspetto rimasto un po in ombra nella pi parte dei commenti, e
cio lesito delle liste comuniste e di
sinistra alternativa, collocate a sinistra dellInternazionale socialista
e volte a non farsi assorbire nella
morsa bipolare.
Nelle elezioni politiche in Grecia
del 7 marzo scorso, nonostante lacuta bipolarizzazione del voto, si
avuta una significativa avanzata del
Partito comunista (Kke), che sfiora
il 6% (5,91) rispetto al 5,5 delle precedenti politiche e passa da 11 a 12
deputati; e una conferma del precedente risultato del Synaspismos
(formazione eco-socialista, di sinistra socialdemocratica rosso-verde)
che si attesta al 3,2% (+0,05) con 6
deputati, mentre una lista espressione di settori del movimento noglobal influenzata da gruppi trotzkisti e denominata Alleanza anticapitalista-Genova 2001, ottiene lo
0,11%. Lavanzata del Kke consolida il suo insediamento operaio,

popolare e di classe, come testimoniano alcuni picchi significativi registrati nei quartieri popolari dei
maggiori centri urbani, ad Atene
(8,8%), al Pireo (11,1), a Salonicco
(6,7), con avanzamenti dell1-1,5
%. Il suo 12 deputato il Kke lo conquista proprio nei quartieri proletari del Pireo (il porto di Atene), sottraendolo al Synaspismos, che recupera il suo 6 in unaltra circoscrizione.
Il Kke presentava nelle sue liste il
20% di indipendenti, e tra questi
elegge uno dei suoi deputati, una
donna, che una ex esponente del
Pasok (socialisti); mentre i deputati
del Synaspismos fanno tutti parte
del partito, e ci ha determinato
dopo le elezioni una forte polemica con quei settori del movim ento no-global a cui il
Synaspismos aveva chiesto il voto,
presentando nelle sue liste alcuni
suoi esponenti, senza eleggerli.
Il Kke, partito che una certa pubblicistica presenta a volte in forma
caricaturale come ultra-settario e
stalinista, il pi lontano da pratiche e culture innovative, dimostra
in realt una capacit di espansione
e radicamento nel mondo del lavoro e tra i movimenti giovanili, in
una fase che non certo semplice
per lavanzata elettorale dei partiti
comunisti in generale. Inoltre, tra i
partiti del Gue (gruppo parlamen-

tare europeo dei comunisti e delle


sinistre alternative), il Kke certamente il pi critico del progetto
oggi in campo di partito della sinistra europea; mentre il Synaspismos ne non solo uno dei pi accesi sostenitori, ma ha promosso ad
Atene, in piena campagna elettorale, un incontro dei promotori di
tale progetto, ed il proprio giornale
ha titolato a caratteri cubitali che il
nuovo partito europeo nasceva in
quei giorni ad Atene su sua iniziativa. E che il Synaspispos dimostrava
con ci di godere del sostegno della
sinistra alternativa europea, a
fronte di un presunto isolamento
del Kke. Il tema del partito europeo stato cio speso a piene mani
nella campagna elettorale, con risultati che ognuno pu valutare da
s. Oggi, in Grecia, neppure il
Synaspismos ne parla pi.

CR I S I

DI

IZQUIERDA UNIDA

Nelle elezioni politiche del 14


marzo in Spagna, in un contesto segnato da una prepotente crescita
dei votanti (+8% rispetto al 2000),
Izquierda Unida (IU) - formazione
politica a cui sovente (ed erroneamente) si guardato anche in settori di Rifondazione come ad un
modello - registra una flessione significativa (dal 5,45% al 4,96%),

57

Internazionale

che in realt pi ampia se si considera anche lo 0,51% che aveva


conseguito nelle precedenti elezioni Iniziativa per Catalogna- Verdi
(ICV), presentatasi insieme ad IU in
questa tornata elettorale. La coalizione IU-ICV passa da nove a cinque
deputati (e nel suo ambito IU passa
da otto a tre deputati, perch due
sono di ICV) ed evidenzia una crisi
politica che riporta questa formazione al di sotto del suo minimo storico, ad un livello simile alla dbacle del Partito comunista di Spagna
nel 1982 (quando furono eletti solo
quattro deputati), provocata dalla
politica disastrosa delleurocomunista Santiago Carrillo. Da quelle
ceneri fu tentata una rinascita fondata sulla progressiva diluizione dellautonomia dei comunisti nella coalizione rosso-verde di Izquierda
Unida, che dopo alterne vicende ed
anche taluni successi elettorali, sembra oggi purtroppo vicina al capolinea, dopo essere passata negli ultimi 8 anni dal 10,5 al 4,4%, e da 21
a 3 deputati (di cui uno ecologista
indipendente).
Come era prevedibile la sconfitta ha
aperto in IU un confronto durissimo, dallesito incerto, tra la componente PCE, guidata dal segretario Paco Frutos, che punta dichiaratamente ad un rilancio dellautonomia del partito comunista ed ad
un recupero delloriginaria vocazione e identit anti-capitalista e antimperialista di IU (nata proprio
sullonda della campagna referendaria contro la scelta del Psoe e della
destra di portare la Spagna nella
NATO, e dove il no alla NATO oltrepass la soglia del 40%); e la componente eco-socialista, che fa
capo al leader di IU (uno degli sponsor pi significativi del partito europeo), Gaspar Llamazares, che
vuol fare di IU una formazione di sinistra socialdemocratica, sempre
pi lontana dalla identit comunista, anti-capitalistica e antimperialista che ne caratterizz limpronta
originaria (una discussione che conosciamo bene anche in Italia).
Lalleanza elettorale con la catalana

58

ICV, la formazione con essa di un


unico gruppo parlamentare confederale (3+2) nel Parlamento nazionale, per giunta sbilancia ancora
pi a destra la politica di IU. ICV
rappresenta infatti un orientamento politico e ideologico di matrice socialdemocratica, a mezza via
tra IU e il PSOE, che fu presente in
IU nel corso degli anni 90 con la
componente del PdNI (Partito della
Nuova Sinistra) e che usc poi da IU
per confluire nel PSOE (chi non ricorda, tra gli addetti ai lavori, il mitico Carlos Carnero, gi responsabile esteri di IU negli anni di Anguita, poi approdato al Psoe). Come giustamente si chiedono i comunisti spagnoli, dentro e fuori IU:
in un contesto segnato da un accentuato bipolarismo (che non pu
essere utilizzato a giustificazione dei
propri insuccessi, dato che esso agisce anche in Grecia, Francia,
Portogallocon esiti differenziati),
quale spazio politico, quale attrattiva elettorale pu avere una formazione politica come IU che sempre meno appare distinguibile, sul
piano politico e identitario, dalle
correnti socialdemocratiche di sinistra del PSOE del dinamico
Zapatero? E chiaro che, nel dubbio, lelettore incerto preferir loriginale (grande) alla fotocopia
(sempre pi piccola).

LE

RAGIONI DELLA RIPRESA

DEI COMUNISTI FRANCESI

Analoghe conferme del ragionamento che siamo venuti fin qui sviluppando le ritroviamo nelle elezioni regionali francesi di fine
marzo. Dove, se non ci si accontenta
di un approccio superficiale, non
esatto dire che allorigine del successo del PCF vi sarebbe la linea
politica vincente della segretaria
Marie-George Buffet (che dopo
lultimo congresso gode del sostegno sia pur condizionato dei rifondatori francesi e di una maggioranza congressuale politicamente valutabile attorno al 55%).
Al primo turno delle regionali, il

Marzo - Aprile 2004

PCF era presente con liste autonome in 8 regioni su 22. In alcune


di esse il PCF ha presentato liste non
di partito, ma di sinistra popolare
e di cittadinanza(di sinistra alternativa, diremmo noi) insieme
a l l Associazione della Sinistra
Repubblicana e ai Collettivi Alternativi
di Cittadinanza. Ci a partire dallIle
de France, la regione di Parigi, dove
il carattere non strettamente di partito della lista era compensato dal
fatto che capolista era la segretaria
nazionale del PCF, M-G. Buffet. In
altre regioni, invece, contro il parere della segreteria nazionale,
sono state presentate liste di partito,
con un forte connotato identitario,
operaio e di classe, i cui capilista
erano leader pi o meno critici nei
confronti della segreteria nazionale, sostenuti dai settori neo-leninisti e di sinistra del partito (allopposizione) e da settori critici interni alla stessa maggioranza congressuale.
Complessivamente nelle 8 regioni,
il risultato del PCF molto positivo:
la media sfiora l8%, il partito recupera la met del proprio elettorato
rispetto al dato nazionale fortemente negativo del 2002 (presidenziali =3,9% ; politiche = 4,8%).
Se consideriamo per i risultati
delle 8 regioni in modo differenziato, il successo del PCF non risulta
omogeneo:
- il risultato delle liste di alternativa positivo nella sola Ile de
France (7,2%, contro il 5,9% delle
politiche 2002, +1,3%). Nelle altre
regioni dove erano presenti, queste
liste hanno ottenuto risultati negativi (3,8% in Alsazia, 4,2% nella
Franche-Comt, 4% in Aquitania);
-il risultato delle liste identitarie
invece assai pi positivo, ovunque:
9,2% nellAuvergne (+1,7% rispetto alle politiche del 2002);
10,7% nel Nord-Pas de Calais
(+2,5%), dovera candidato Alain
Bocquet, presidente del gruppo comunista allAssemblea Nazionale;
10,9% in Picardie (+4,4%), dove il
capolista Maxime Gremetz, esponente di spicco dell opposizione

Marzo - Aprile 2004

interna di sinistra, supera anche il


risultato delle regiona li 1998
(+1,3), quando la media nazionale
del PCF viaggiava attorno al 10%.
Un discorso a parte andrebbe fatto
per la particolarissima situazione
della Corsica (ma non mi addentro).
Quello che voglio evidenziare, che
i successi e gli incrementi maggiori
si registrano nelle tre regioni dove
sono state presentate liste identitarie e di classe, che in massima parte
determinano lincremento complessivo del PCF. Senza il contributo
di queste tre regioni , infatti, la media complessiva del PCF nelle regioni dove sono state presentate liste di alternativa (Ile de France,
Aquitania, Alsazia, Franche-Comt)
sarebbe stata pari al 4,8% del 2002,
senza cio alcun incremento complessivo rispetto al punto di massima crisi segnato in quellanno.
E appena il caso di ricordare, a proposito del partito europeo, che il
Pcf sicuramente il pi esitante tra
i suoi promotori. Sostenuto con
forza dai rifondatori, che per altri
versi chiedono da tempo lo scioglimento del PCF e la formazione di
un polo radicale di sinistra, il progetto in campo di partito europeo
vede il sostegno esitante della se-

Internazionale

gretaria, le forti perplessit e critiche del gruppo che fa capo allex segretario Robert Hue (che per esita
su questo punto a rompere con la
segretaria), e lopposizione aperta
di quel 45% del partito che al congresso si pronunciato sui due documenti di sinistra, che si rifanno
a posizioni neo-leniniste, antimperialiste e di classe. A fine aprile si
svolger nel PCF una consultazione
tra tutti gli iscritti sulladesione o
meno al partito europeo.
Vedremo. Ma nel contesto di un
breve commento sui risultati elettorali, va ricordato che il tema non
stato presente in alcun modo nel dibattito elettorale; e se esso lo sar
nella camp agna elettorale in
Francia per le elezioni europee, valuteremo la sua incidenza sulla base
dei fatti e dei risultati.
IL

VOTO

ALLE LISTE TROTZKISTE

Quanto al voto trotzkista nelle regionali francesi, le due liste, Lutte


O u v r i re (LO) e Lega Comunista
Rivoluzionaria (LCR), si sono presentate unite in tutti i collegi sulla
base di un accordo elettorale valido
anche per le prossime elezioni europee di giugno. Insieme hanno ot-

tenuto il 4,6% : risultato negativo se


confrontato con lexploit del primo
turno delle elezioni presidenziali
della primavera 2002, quando i due
partiti ottennero rispettivamente il
5,7 e 4,2%; risultato di tenuta se si
confronta il dato con le precedenti
regionali del 98, quando le due formazioni politiche si presentarono
separatamente ed ottennero in totale il 4,3%; risultato di avanzamento rispetto alle politiche del
giugno 2002, con LO all1,2 ed LCR
all1,3%.
Un risultato complessivo che, ad
ogni modo, conferma un discreto
insediamento sul territorio, ma che
risulta molto al di sotto delle aspettative dei promotori e dei sondaggi
della vigilia (7-8%).
In conseguenza della nuova legge
elettorale e della scelta isolazionista
di rifiutare qualsiasi apparentamento al secondo turno (sostenuta
soprattutto da LO, mentre la LCR
ha dato indicazioni di votare i candidati della Gauche per impedire la
vittoria dei candidati della destra),
le due formazioni passano dai 24
Consiglieri regionali del 1998 (20
LO e 4 LCR) ad uno soltanto. E appena il caso di dire, anche in questa
occasione, che il settarismo non
paga.

59

Internazionale

Marzo - Aprile 2004

Da Kragujevac:
intervista a Ruzica Milosavljevic
e Cedomir Pajevic,
del Sindacato Samostalni
della Zastava

Serbia:
a 5 anni
dai bombardamenti
NATO

di Enrico Vigna
Presidente di SOS Jugoslavia

LE QUESTIONI SOCIALI E LE CONDIZIONI DEI LAVORATORI


DOPO LA DEVASTAZIONE DELLA GUERRA

a citt di Kragujevac, che definita dai


giornali la pianura della fame, la
citt con la pi alta concentrazione operaia, non solo della Serbia ma dei
Balcani; oltre alla presenza della
Zastava (che era la pi grande fabbrica
metalmeccanica dei Balcani e al cui interno vi erano lavoratori di 26 etnie diverse), vi erano industrie tessili, alimentari, oltre allindotto produttivo direttamente legato alla Zastava. Oggi la
situazione in numeri questa: dei
36.000 dipendenti ne restano ufficialmente 16.500, gli altri sono stati licenziati o indotti alle dimissioni. Questi
16.500 lavorano a rotazione, mediamente 4-5.000 ogni mese; quando lavorano percepiscono un salario medio di
165 euro mensili, e nel periodo di non
lavoro 70-80 euro mensili. Secondo le
statistiche ufficiali, il paniere cio la
spesa per soli generi di prima necessit
per una famiglia di quattro persone in
Serbia oggi di 270 euro.
Con le privatizzazioni acqua, elettricit,
prezzi, affitti, riscaldamento hanno subito dal 2000 ad oggi aumenti medi del
60-65%. La stragrande maggioranza
delle famiglie passa gli inverni senza riscaldamento o vivendo in una sola
stanza riscaldata a legna, non potendo
p a g a re le bollette (con temperature invernali che arrivano anche a 20 gradi
sottozero). Ora devono pagare anche gli
arretrati delle bollette energetiche che il
precedente governo aveva condonato,
in quanto riteneva assurdo far pagare

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bollette a famiglie che, tra embarghi, sanzioni e conflitti, non avevano salari insufficienti per arrivare a fine mese.
Anche la scuola, in avanzato stato di
privatizzazione, sta diventando un
lusso, non avendo le famiglie soldi per
le tasse, il materiale scolastico e i trasporti quotidiani, che prima erano praticamente garantiti dallo stato o contenuti da programmi di difesa sociale. La
stessa universit ha ormai, a seconda
delle facolt, un costo che va dai 700 ai
1.500 euro.
I dati ufficiali sulloccupazione riferiti
allanno passato sono questi: su una popolazione di circa 10.000.000 di persone (non potendo calcolare il numero
dei profughi nel paese, che si aggira intorno al milione) 981.340 sono i disoccupati, 1.269.350 risultano occupati
con una media giornaliera di 3,5 ore e
mediamente oltre 200.000 lavoratori
non ricevono lo stipendio regolarmente.
I 2/3 della popolazione serba spende mediamente 1,5 euro al giorno pro-capite;
1/3 di questi spende 0,50 euro al giorno,
vivendo quindi in uno stato di povert
grave. Il 60% di questa spesa se ne va
per il cibo.
Su tali questioni abbiamo incontrato Cedomir Pajevic, vice segretario del Sindacato Samostalni della
Zastava e Ruzica Milosavljevic; che
dello stesso sindacato stata segretaria generale.
( E.V.)

Qual la situazione nel paese dal vostro punto di vista e dallinterno del movimento dei lavoratori e alla Zastava
in particolare?
R. M.: La coscienza tra i lavoratori,
ancora confusa e contraddittoria,
perch le privatizzazioni erano state
presentate dal nuovo governo,
dopo gli avvenimenti dellottobre
20001 come la soluzione ai problemi del dopo guerra e agli embarghi. Una massiccia campagna
mediatica aveva di fatto convinto e
illuso gran parte dei lavoratori che
lunica soluzione stava in questa riforma, e che pi profonda e spregiudicata fosse stata, tanto maggiormente avrebbe attirato gli investitori stranieri. Dopo dieci anni
di embarghi, sanzioni e guerre, le
condizioni di vita e morali dei lavoratori erano ormai allo stremo, e
questo discorso venne recepito
come speranza di un miglioramento, o perlomeno come un tentativo che li facesse uscire da un
lungo stato di difficolt.
Lo scorso anno la produzione industriale in Serbia ha subito un
crollo del 5%, quella agricola del
12%; il deficit del commercio estero
nei soli due anni tra il 2001 e il 2003
stato di 9.215 dollari, il debito pubblico a dicembre ha raggiunto i 19
miliardi di dollari. Siamo di fatto caduti in uno stato di schiavit da in-

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debitamento, e leconomia stagnante non in grado di far fronte


a impegni che hanno superato il totale della produzione nazionale
lorda. Lutilizzo delle capacit produttive inferiore al 40 per cento e
l80% degli impianti ormai obsoleto.Il tasso di crescita economica
del 2003 stato dell1%, e secondo
i calcoli degli esperti saranno necessari 30 anni per raggiungere i
dati del 1989.
Si parla di 34.000 imprese che devono andare in fallimento, con la
conseguenza di altri 450.000 lavoratori che resteranno senza lavoro.
Sulla Serbia incombe unesplosione
sociale simile a quella avvenuta in
Argentina, cos lodata dai finanzieri
internazionali per dieci anni finch
non avvenuto il tracollo economico. Invece dello sviluppo economico abbiamo ottenuto una recessione da transizione, una drammatica caduta degli standard di vita,
crescita dei debiti e del deficit ed
una economia senza liquidit.
La situazione, in particolare alla
Zastava, nonostante scioperi e proteste senza sbocchi reali. Il continuo processo di scomposizione dei
reparti produttivi, prospettato
come necessario per rendere pi
appetibile la vendita dellazienda,
non ha prodotto nulla se non disoccupazione, crollo della produzione e smantellamento delle potenzialit strutturali del gruppo.
Proprio in questi giorni stato pubblicizzato lennesimo progetto fantasma (periodicamente si fanno trapelare notizie e piani di acquisizione di investitori stranieri, che dovrebbero rilanciare la fabbrica e
quindi il lavoro, con lobbiettivo nascosto di contenere il malcontento
e sopire la disperazione e la rabbia)
. Questo nuovo progetto riguarderebbe la produzione di un nuovo
modello di vettura con la Toyota, la
quale dovrebbe mettere il motore,
mentre le scocche e i pezzi di ricambio sarebbero Zastava.
Ennesima notizia fasulla, in quanto
le scocche Zastava che dovrebbero
essere utilizzate sono quelle prodotte in questi anni senza motori e

Internazionale

la maggior parte di esse non pu pi


essere utilizzata, in quanto secondo
le regolamentazioni internazionali
una scocca prodotta da pi di due
anni classificata come scaduta,
quindi senza garanzia e non pu essere montata. E la Zastava non ha
fondi per produrne di nuove. Il nostro pessimismo sulla situazione del
paese legato ad un dato che
come uno specchio in cui leggere il
nostro futuro: se la Zastava chiude,
la Serbia perde il 40% della propria
produzione industriale, come lo
sprofondare in un abisso per un
paese. Ma purtroppo questo lo scenario che i fatti ci indicano, E se questa prospettiva, ormai evidenziata
sia dai fatti che da dati oggettivi indipendenti da volont soggettive,
non sar ribaltata, questi saranno gli
scenari futuri per i lavoratori della
ex Repubblica Federale Jugoslava.
Quali sono state in questi mesi le maggiori proteste e lotte nel paese, e qualche esito hanno ottenuto per i lavoratori?
R. M. : Praticamente in ogni settore
lavorativo vi sono continui scioperi
o proteste, dal settore delle telecomunicazioni a quello dei lavoratori
postali e delle banche, scesi pi
volte in lotta contro licenziamenti
di massa, per il pagamento dei salari e contro le ristrutturazioni e le
privatizzazioni. A Smederevo e
Sabac lotte nelle fabbriche contro
licenziamenti e per aumenti salariali. Nelle acciaierie di Smederevo,
le pi grandi del paese, la lotta era
contro i nuovi padroni americani
che, dopo aver acquisito lazienda
avevano immediatamente licenziato circa 1.000 lavoratori, imponendo una paga oraria di 0,40 dollari allora. Dopo uno sciopero generale durato settimane, che ha anche coinvolto la citt, i lavoratori
hanno ottenuto una grande vittoria
per questi tempi: un accordo circa
i licenziamenti, in parte rientrati e
in parte ridefiniti presso lufficio
collocamento con il sussidio mensile di 60 euro, un aumento salariale
che ha portato la paga oraria a 1 dol-

laro, e la cacciata del manager americano T.Kelly, facente funzione di


direttore della fabbrica. Ma anche
una vittoria pi profonda e importante per il futuro: la Commissione
Anticorruzione, dopo le denunce
dei lavoratori e del Sindacato, ha
bloccato il processo di privatizzazione della fabbrica per presunti illeciti, falsi e truffe avvenute nella
compravendita2.
Scioperi e lotte ci sono stati anche
a Nis nelle fabbriche MIN e EI, dove
dei 28.000 lavoratori fino al 2000 ne
sono ormai rimasti solo 6500, di cui
solo 700 percepiscono un salario intero e il resto lavora solo a chiamata
per alcuni giorni al mese. Qui la protesta ha per ora solo bloccato i piani,
ma non si ottenuto altro; le trattative continuano. Ci sono stati scioperi anche alla fabbrica Zvevda e
alla DES, dei lavoratori del consorzio PKB e dei Centri commerciali.
Si temporaneamente conclusa la
lotta dei minatori dei pi grandi
centri minerari dei Balcani, che
hanno ottenuto aumenti salariali,
un miglioramento delle condizioni
di lavoro che erano peggiorate notevolmente dallottobre 2000,
blocco del processo di privatizzazione ed in alcuni casi addirittura di
chiusura di alcuni centri. stata anche ottenuta dal Sindacato una vittoria contro lo scorporo della categoria minatori da quella del settore
elettrici, che avrebbe drasticamente
indebolito entrambe le categorie favorendo i successivi piani di smantellamento gi previsti in tutti e due
i settori. Questo nel paese stato salutato come una grossa vittoria sindacale in difesa degli interessi generali dei lavoratori.
Qual in questo momento la situazione
organizzativa del Sindacato
Samostalni e quali le sue dinamiche interne?
C. P. : Dopo lottobre 20003 la nuova
dirigenza sindacale venne scelta
sulla base di lottizzazioni partitiche
delle forze DOS. Questo stato in
questi anni un limite e un problema
notevole, perch il dibattito interno

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Internazionale

era caratterizzato da scontri di interesse legati a esponenti di partiti e


alle loro contraddizioni. Questo ha
penalizzato gli interessi reali dei lavoratori e il bisogno di una strategia
capace di contrastare la devastazione sociale avvenuta in questi ultimi tre anni e mezzo. Nel frattempo
molti vecchi sindacalisti sono stati rieletti dai lavoratori. La crescita dei
problemi e lassenza di risposte forti
hanno costretto anche molti nuovi
delegati onesti a chiedere con sempre pi forza programmi e proposte di lotta chiaramente connotati
contro le politiche governative, fino
a far schierare pubblicamente il sindacato, nelle scorse elezioni, per la
caduta del precedente governo,
nonostante la quasi totalit della dirigenza nazionale sia espressione
dei partiti governativi. Ma la spinta
ed il malcontento sono omai cos
alti che il timore di perderne il controllo ha fatto portato a scegliere
lopzione di assecondare questa
rabbia, perlomeno a livello elettorale. Non c oggi nella dirigenza
del Sindacato Samostalni una
chiara e precisa strategia in favore
della lotta e il cambiamento, non c
attualmente n la volont n la possibilit di muoversi in direzione di
riforme attuate negli interessi dei lavoratori e per uno sviluppo che
tenga conto delle prospettive e delle
condizioni dei lavoratori. Questo
per la situazione nel paese molto
grave, perch produce continui patteggiamenti e rimandi delle situazioni sociali tra dirigenza sindacale
e governo, reciprocamente intenti
non a trovare risposte di prospettiva
e strutturali allo sfacelo economico
e sociale ma semplicemente a garantire la propria esistenza. E questo rende cupo e incerto il futuro,
perch non lascia intravedere neppure in prospettiva una qualche
possibile fuoriuscita dalla crisi.
Nonostante tutto e nonostante continui tentativi di spaccarlo e indebolirlo, dal punto di vista organizzativo il Sindacato Samostalni resta il
pi grande sindacato del paese. Gli
ultimi dati dello scorso anno gli davano l85% di rappresentativit fra

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i sindacalizzati a livello nazionale e


il 90% alla Zastava. E questo nonostante in questi anni vi sia stato un
proliferare di sindacatini indipendenti e con grandi disponibilit finanziarie di cui spesso non si riesce
a capire la provenienza, vista la situazione e le enormi ristrettezze che
ci costringono persino a economizzare pure sui quantitativi dei volantini. Oppure vi sono situazioni tragicomiche, come nel caso di uno di
questi sindacatini il cui segretario
generale era anche ministro del lavoro del precedente governo, praticamente la controparte di se stesso.
La scorsa primavera, in piena fase di
emergenza dovuta alluccisione del
primo ministro, stata varata la nuova
Legge del lavoro. Quali sono gli
aspetti pi marcatamente anti operai
e regressivi per gli interessi dei lavoratori?
R. M. : Uno sicuramente quello di
una completa liberalizzazione dei licenziamenti, anche questo spacciato come una necessit per favorire gli investimenti stranieri e
quindi teoricamente per creare posti di lavoro. Un altro, che ha gi
conseguenze disastrose e ridimensiona completamente il rapporto
tra le parti sociali, governo e sindacati, quello relativo allabolizione
del Contratto collettivo nazionale,
che di fatto significa che il sindacato
non ha pi alcuna possibilit di influire sulle decisioni del governo.
Nella vecchia legislazione. dove vigeva il Contratto collettivo nazionale,vi era per esempio una clausola
dove era sancito che un eventuale
contratto locale o aziendale poteva
avere solo condizioni e intese migliori di quelle stabilite a livello nazionale, e che se erano peggiori o
regressive degli interessi dei lavoratori non poteva essere ratificato.Tutto questo oggi non esiste pi.
Ecco altri esempi che rendono lidea: nella vecchia legge la parte riguardante il diritto alla protezione
del lavoro il Sindacato era titolare
diel diritto a trattare e a poter rifiutare qualsiasi decisione in merito

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presa dalle direzioni aziendali. Oggi


questo non esiste pi. Nella precedente legge nessun aspetto o controversia di natura sia economica o
disciplinare o produttiva riguardante singoli lavoratori, poteva essere presa senza la presenza e accettazione del Sindacato. Oggi il sindacato non viene neanche pi consultato. sancito che legislativamente unicamente riconosciuto il
rapporto tra lavoratore e datore di
lavoro. Nella precedente legge i licenziamenti erano quasi impossibili
se non legati ad aspetti di legislazione penale (azioni illegali), e pure
questi dovevano essere vagliati e accettati dal Sindacato, che aveva il
compito di verificare e garantire
che fossero applicati tutti i diritti in
difesa e tutela del lavoratore. Oggi
ciascun lavoratore, essendo solo nel
rapporto con lazienda, di fatto
senza pi protezioni sociali e senza
pi alcun potere contrattuale.
Inoltre stato sancito il diritto al
licenziamento legato ad esigenze
aziendali. In pieno liberismo selvaggio, di fatto ogni lavoratore alla
merc del proprio datore di lavoro.
Le conseguenze dirette e concrete
sulla vita dei lavoratori si possono vedere in questi due esempi di situazioni di lavoro alla Zastava, che neppure durante embarghi e bombardamenti erano mai accaduti e sarebbero stati anzi considerati illegali. Uno riguarda la Zastava automobili, dove attualmente sono occupati come dipendenti ancora
3600 lavoratori, e dove ogni mese
vengono chiamati a rotazione
dallUfficio di collocamento 800 lavoratori disoccupati per integrare il
sussidio mensile di disoccupazione
(45% del salario, mediamente circa
60 euro mensili, che tra laltro scadr nel 2005, e allora questi iscritti
al collocamento non avranno neppure questa minima entrata). Essi
accettano di lavorare a queste condizioni: senza nessun contratto specifico se non la conoscenza dellammontare del salario a fine mese
stabilito dallazienda, nessun diritto
sindacale, orario legato esclusivamente alle esigenze aziendali, nes-

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Internazionale

suna paga o retribuzioni ufficiali ma


stabilita di volta in volta, niente maturazione di ferie, nessun diritto alla
mutua malattia se un lavoratore si
assenta viene sostituito da un altro
, nessun diritto ad usufruire delle
leggi di protezione della sicurezza.
Laltro esempio riguarda un reparto Zastava che si chiama TER
COM, composto da lavoratori invalidi di cui l80% provengono dallufficio di collocamento disoccupati: la maggioranza sono donne, e
tutte hanno malattie come leucemia e tumori, le condizioni di lavoro
sono spaventose, ma il ricatto che
se qualcuno protesta perde anche
quei pochi soldi e si ritrova di nuovo
senza salario. Noi stessi come responsabili sindacali non possiamo
fare nulla pur sapendo qual la situazione, perch gli stessi lavoratori
ci chiedono di non muoverci per il
terrore di perdere anche questo.
Tutti coloro che lavorano qui
hanno problemi di salute, o perch
invalidi o perch malati accertati,
ma nessuno di essi ha mai presentato finora alcun certificato medico,
spesso occultando il proprio stato
per paura di non lavorare4. Questa
la realt della classe lavoratrice
serba nel 2004; solo quattro anni fa
nessuno di noi avrebbe neanche
lontanamente immaginato che un
lavoratore avrebbe potuto conoscere un simile stato di degradazione sociale e perdita di dignit.
Ma questo ci che ci hanno portato i cambiamenti del nuovo
corso, e con questo dobbiamo convivere quotidianamente e combattere in una vera e propria lotta per
la sopravvivenza.

struzione stata terminata?

Subito dopo la fine dei bombardamenti


a giugno 99 lex governo aveva stanziato un sesto del budget federale della
Repubblica serba per il Progetto di ricostruzione della Zastava, ritenendo
prioritario per il futuro del paese il rilancio della fabbrica e della pro d uzione, insieme alla ricostruzione dei
ponti e delle infrastrutture. Il progetto
stabiliva 3 fasi di ricostruzione, Ad ottobre 2000 erano completate quasi due
fasi su tre, Da allora a oggi, la rico-

R. M.: Per quanto riguarda i lavoratori Zastava vi erano una serie di diritti che contribuivano alla difesa
dei salari, per esempio un pasto gratuito al giorno, il 50% delle spese
dei trasporti erano rimborsate, i lavoratori che erano in ambiti di lavoro pi disagiati avevano diritto a
forniture di alimenti specifici contenenti vitamine e proteine, nel
contratto collettivo erano contemplati controlli sanitari periodici e si-

C. P.: In parte abbiamo gi risposto.


Per quanto riguarda la ricostruzione molto semplice: la ricostruzione si fermata ad ottobre 2000,
da allora tutto si fermato, Il governo successivo non ha pi investito nella ricostruzione della
Zastava, non ritenendola una scelta
economica strategica e funzionale
alla ripresa economica, anzi giudicandola unazienda ormai obsoleta.
Non solo, dallottobre 2000 cominciato il processo di scomposizione del gruppo, per permetterne
la privatizzazione e la vendita. Dopo
tre anni e mezzo i risultati sono sotto
gli occhi di tutti.. Dei 36.000 lavoratori presenti nellottobre 2000,
16.000 sono stati licenziati nei mesi
successivi e 11.000 sono iscritti
allUfficio Collocamento Zastava5.
Oggi gli iscritti allUfficio
Collocamento Zastava sono 6750,
in quanto 4250 si sono autolicenziati o sono stati incentivati alle dimissioni. Per quanto riguarda la
produzione, fino al 1990 uscivano
220.000 vetture allanno. Il dato pi
rilevante per dare lidea dello sfascio dellattuale situazione che la
produzione durante gli anni 91-99
anni dello sfascio della Jugoslavia,
di embargo e sanzioni era di
20.000-30.000 annue, mentre per
esempio nel 2003 il Piano prevedeva 23.000 vetture ma in realt ne
sono poi state prodotte 8.000.
Quali erano le difese e gli ammortizzatori sociali prima dei bombardamenti
umanitari, e qual la situazione attuale?

stematici da parte del presidio sanitario dellazienda. Inoltre nel periodo di malattia il lavoratore percepiva l80% del salario; ora il 60%,
ma praticamente nessuno si mette
in malattia per timore di essere licenziato. Ad ogni lavoratore assunto che proveniva da un'altra citt
veniva assegnato una sistemazione
nel quartiere delle case operaie
Zastava in legno, e ovviamente negli ultimi anni sempre pi disagiate,
in attesa di un alloggio in citt; ogni
lavoratore aveva diritto per lui e la
sua famiglia ha tutta una serie di attivit ricreative, sportive e culturali
aziendali praticamente gratuite. Di
tutto questo ora non resta pi nulla.
Per quanto riguarda misure pi generali e sociali come le mense popolari dove si poteva mangiare a costi simbolici, oggi non esistono pi.
Negli ultimi dieci anni le bollette
energetiche non erano state riscosse per non affossare le condizioni minime di vita del popolo; ora,
con le privatizzazioni, alle famiglie
stato imposto il pagamento di tutti
gli arretrati, pena la sospensione
delle erogazioni. Per cui le famiglie
si trovano senza salari e con debiti
pregressi da pagare in rate mensili
per gli anni futuri. Per quanto riguardava prezzi, affitti e sanit, il governo trattava con il Sindacato e stabiliva programmi sociali a costi calmierati contrattati tra le parti sociali. Ora tutto stato liberalizzato,
e non c pi nessun controllo o limite.
Com la situazione sanitaria tra i lavoratori?
R. M.: Purtroppo i bombardamenti
umanitari della Nato, oltre alla
miseria e al degrado umano e morale, ci hanno anche lasciato unaltra terribile conseguenza : i danni
causati dalle bombe alluranio impoverito sulle persone e nellambiente. Su questo argomento purtroppo i dati ufficiali e le documentazioni precise sono molto carenti se non assenti. Per vari e ovvi
motivi: in primo luogo perch a livello governativo e dei media non

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Internazionale

c interesse a rendere pubblici dati


che potrebbero dare lidea della tragedia che incombe sulla vita del popolo serbo, anche e soprattutto per
il futuro. Ma su questo vi sono certamente persone pi documentate
di noi per rispondere. Di certo vi
che, tra il migliaio di lavoratori volontari che hanno partecipato alla
sgombero delle macerie sono gi 63
i deceduti e centinaia di altri sono
affetti da tumori e leucemie. Nel
presidio sanitario della Zastava i farmaci pi richiesti sono psicofarmaci, antidepressivi e i medicinali
per le malattie di natura epatica. Gi
questo pu essere considerato un
dato indicativo. Cos come ufficiale che larea della Zastava stata
dichiarata nel 2000 ambiente degradato e a rischio da parte
dellONU. Un dato ufficiale filtrato
negli ultimi mesi dice che nella regione della Sumadija, che ha in
Kragujevac il capoluogo, si sono rilevati oltre 1.000 nuovi casi di ammalati di tumori e malattie epatiche.
Quale tipo di attivit e lavoro sindacale svolgete e in quali condizioni?
R. M. : Prima di tutto occorre far capire in quale condizioni oggettive si
svolge il lavoro sindacale, in quanto
i lavoratori e ancor di pi i disoccupati, hanno una dispersione anche
territoriale che rende molto difficili
e rari i contatti. La stragrande maggioranza vive in quartieri o agglomerati periferici o addirittura fuori
dalla citt. Per scendere alla fabbrica spesso fanno chilometri a
piedi perch non possono spendere
i soldi per i trasporti. Molti di loro
vanno a fare lavori in campagna o
come occasionali a giornata, ovviamente in nero e pagati pochi euro
al giorno, anche in altre citt o regioni, per cui non sempre si possono rintracciare o hanno la disponibilit ad essere presenti sia moralmente che fisicamente. Quello
che si deve capire, perch condiziona totalmente ogni altro aspetto,
che in questi anni in Serbia la lotta
dei lavoratori e del popolo sem-

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plicemente una lotta e una vita per


la sopravvivenza, con tutto ci che
questo comporta in ogni aspetto
della vita quotidiana. Non sappiamo se potete capire veramente
fino in fondo cosa significa alzarsi
ogni mattina e non sapere quale
sar la tua giornata, non sapere cosa
comprare perch con una disponibilit di 4 o 5 euro al mese, quando
ci sono, bisogna mangiare, vestirsi,
curarsi, pagare la scuola per i bambini, i trasporti, scaldarsi ecc.
Provate a immedesimarvi e a pensare come sarebbe la vostra vita di
tutti i giorni. Queste sono le condizioni dei lavoratori. Va aggiunto
aanche un altro dato, che quello
della ma ncanza di fondi del
Sindacato stesso, per cui anche solo
fare un volantino qualsiasi ha spesso
costi quasi impossibili da affrontare.
Nonostante questo, i delegati veri e
pi vicini ai lavoratori, ai loro interessi, ai loro bisogni, cercano innanzitutto di non perdere i contatti
con essi, di essere sempre pronti e
disponibili a recepire le loro richieste e problemi diretti, a sostenere
loro esigenze specifiche. Cerchiamo di denunciare continuamente
situazioni e problemi che opprimono la condizione dei lavoratori,
cerchiamo di sostenere, organizzare e rafforzare ogni protesta e conflittualit anche spontanea nei reparti o fuori dalla fabbrica, ma purtroppo non tutti i nuovi dirigenti e
delegati hanno questo atteggiamento, e molti sono in realt burocrati adagiati nella loro posizione non certo organizzatori delle
lotte. E questo un grande problema che si somma a quelli gi
detti. Una cosa in cui comunque
crediamo fermamente e ribadiamo,
al di l dei giudizi e delle valutazioni
sulle attuali dirigenze e programmi,
che questo Sindacato lunica
arma seppur limitata che hanno i lavoratori e va assolutamente salvaguardata la sua esistenza organizzata, perch questa sar anche lunica possibilit per cercare di rovesciare e cambiare il futuro dei lavoratori della Serbia. Oggi abbiamo
solo degli stracci addosso, ma senza

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di esso saremmo completamente


svestiti.
Una vostra riflessione finale sulle prospettive e su un futuro che, alla luce
della situazione descritta, appare
molto difficile per il popolo serbo.
R. M.: Quanto esposto pu solo avvicinare coloro che leggeranno a
comprendere qual la vita quotidiana e le condizioni in cui vivono i
lavoratori. La realt da vivere sicuramente anche pi difficile. Gi
solo il dato ufficiale, frutto di unindagine governativa, che dice che
l80,3% dei giovani vuole andare via
dalla nostra patria, e solo il 17,7%
ha ancora speranza che qualcosa
cambi e gli permetta cos di restare,
deve far capire quanto tremenda
la situazione del nostro paese, perch la giovent significa futuro, e
senza giovent nessun paese pu
avere un futuro. Per questo diventato drammaticamente urgente
pensare e lavorare a un cambiamento, a dei programmi economici
e politici e a una leadership. Se non
accadr questo, il nostro futuro sar
molto molto difficile. Tutti i giorni
si parla soltanto di svendite, chiusure, fallimenti, non si parla mai di
una qualche soluzione trovata ad un
problema. Si parla continuamente
di scorpori, e pezzo per pezzo questi rendono ogni azienda sempre
pi piccola e marginale. E poi sar
forse venduta, ma in questa progettualit non c futuro, perch significa di fatto cancellare la potenzialit produttiva d i un paese.
Significa, per chiunque abbia un
minimo di cognizioni economiche
o del mondo del lavoro, proporre
unagonia, magari non cruenta ma
una lenta agonia. Negli ultimi mesi
sono persino arrivati a ventilare ai
lavoratori un ulteriore scenario
darchitettura sociale: la Zastava,
quella che per decenni stata una
grande e immensa fucina di lavoro,
di vita, di speranze, di dignit, potrebbe diventare una grande area
economica, commerciale, di uffici,
negozi, magazzini, ma senza pi i
36.000 lavoratori e famiglie che lhanno popolata e resa una fonte di

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vita e di futuro per mezzo secolo,


senza pi produzione di nulla.
Forse, se tutto va bene, dicono, qualche centinaio di posti di lavoro
nuovi si creeranno. E gli altri?
Questanno la novit stata la notizia che la Fiat si rifatta viva dopo
anni di disinteressamento e silenzio, ma non per qualche ipotesi di
rilancio o investimento, ma per
chiedere il rimborso dei debiti pregressi e la valutazione finanziaria
del suo pacchetto azionario. Come
dire, unaltra tegola su qualsiasi ipotesi di trovare acquirenti o investitori che facciano ripartire la fabbrica. Di fatto questo rende impossibile immaginare la possibilit che
qualcuno compri unazienda che
gi prima di fare un investimento ha
gi debiti da saldare. L i n s i e m e
delle situazioni d forse il senso di
una situazione talmente attorcigliata attorno a contraddizioni e
problemi che riesce veramente arduo npn pensare ad un futuro nero
per i lavoratori della Zastava e forse
della stessa classe lavoratrice della
Serbia, che probabilmente ha ancora davanti a s periodi non certo
facili. Per impedire tutto questo c
una sola strada: cambiare le riforme
e cambiare i dirigenti. Se i lavoratori riusciranno ad imporre questo,
la speranza ritrover una ragione di
essere.
Queste le valutazioni e riflessioni di due
riconosciuti e stimati esponenti sindacali che, senza remore, ci hanno descritto
la realt che ogni giorno milioni di lavoratori della Serbia affrontano, causa
uno strangolamento economico durato
quasi dieci anni prima e una criminale
guerra umanitaria. Per chi da anni
conosce e documenta questa situazione
anche attraverso Progetti di Solidariet
con i figli dei lavoratori disoccupati
della Zastava, con i figli dei profughi
del Kosovo Metohija, con gli orfani delle
guerre imposte a questo popolo, queste
analisi sono confermate sempre in peggio ad ogni viaggio. Sulle macerie di un
dignitoso e forte paese cresce un esercito
fatto di disoccupati, di emarginati, di
poveri, di uomini, donne, giovani senza
pi diritti, senza pi futuro. Sono com-

Internazionale

pletamente uscite dalla loro vita parole


come gioia, interessi, serenit, cioccolato,
abiti decenti, spensieratezza.
Parallelamente cresce il numero dei
nuovi ricchi, di una nuova borghesia
parassitaria, che si forma spesso da un
giorno allaltro, attraverso speculazioni
di guerra, banditismo bancario, rapine
delle propriet pubbliche, contrabbandi,
ruberie e ricatti politici ed economici.
Molti di loro hanno trovato nella politica la carta vincente per perpetuare il
loro dominio ed esistenza, molti di loro
governano quelli che ormai sono i resti
di un paese che fino a pochi anni fa cercava di rendere partecipi e soggetti attivi
i propri cittadini, i propri lavoratori.
C e rtamente molte responsabilit ed errori sono stati commessi, e sicuramente
i risultati ottenuti non erano ottimali,
come normale che sia in qualsiasi processo storico e sociale; cos come era evidente la necessit di cambiamenti, ma
in funzione degli interessi popolari, cio
della maggioranza di una societ.Le ingiustizie che oggi si riversano sui lavoratori e sul popolo serbo e jugoslavo non
dipendono solo da ci che questinuovi
arrivati sono riusciti ad accaparrare per
s stessi, ma anche dal fatto che essi decidono come devono essere il sistema sanitario, linsegnamento, la vita quotidiana di milioni di persone. Questa la
felicit capitalista che avevano promesso
sventolando la bandiera della libert e
della democrazia. Il loro unico obbiettivo
era la distruzione di ci che poteva turbare lo svolgersi dei loro traffici, dello
sfruttamento, dei loro disegni geopolitici.
Questo il prezzo pagato dai lavoratori
serbi e jugoslavi per avere una falsa felicit. Perch questa felicit sbandierata
non riguarda la gente normale ed onesta; ad essa riservata soltanto la sofferenza ed il peso da portare per permettere
a questa nuova borghesia di raggiungere i suoi obbiettivi. Volevano distruggere un sistema sociale e ci sono riusciti.
Ora la stragrande maggioranza della
popolazione vive in condizioni molto
peggiori di quel male di cui essi parlavano e contro cui si sono scagliati con
la loro scientifica opera di distruzione e
asservimento.
Nelle parole dei due dirigenti sindacali
lamarezza e il senso di sconfitta, sono
netti e realistici; eppure la speranza che

dalla terra cementata dai banditi neoliberisti, dallerba investita dalle radiazioni, dalla terra violentata dalle bombe
alluranio impoverito, i germogli della
speranza, della nuova vita, di nuove
lotte per una riconquistata dignit rompano tutti i reticolati in cui sono oggi
imprigionati, ed i lavoratori serbi riprendano in mano il loro destino ed il
loro futuro.
Fino a quel giorno anche noi abbiamo
un compito, quello di mantenere un informazione costante e di offrire una solidariet concreta, che non mostri solo la
nostra indignazione per i nostri governi
guerrafondai, ma porti segni tangibili
anche se modesti. Non risolveremo il problema, ma almeno non lasciano morire
la speranza e riproporremo una solidariet internazionalista capace di ricostruire ponti di amicizia e pace tra i popoli ed i lavoratori. Non lasciamoli soli,
e soprattutto non dimentichiamo che
sono in questa situazione perch hanno
cercato di resistere al FMI e alla Nato,
non per scherzi del destino.
La condizione in cui sono stati relegati
un monito per qualsiasi paese e popolo
che non accetti i diktat dellimperialismo
USA. Ed essere oggi a fianco del popolo
iracheno e palestinese nella loro lotta per
la sopravvivenza, essere impegnati nella
battaglia per la pace contro le guerre infinite, va fatto senza dimenticare il popolo serbo e jugoslavo colpevole di resistenza alle aggressioni e alle imposizioni e di dignit nazionale. Questo limpegno ed i compiti che la nostra
Associazione SOS Yugoslavia si data
insieme ad altre, e che da cinque anni
mantiene nella misura delle proprie forze
e possibilit.
Fai anche tu la tua parte:
contattaci al 338/1755563
oppure a posta@resistenze.org

Note
1. Data dellassalto al parlamento e della destituzione di fatto del precedente governo di
unit nazionale da parte delle forze di opposizione filo occidentali, della DOS. ndr
2. In sintesi successo che per ristrutturare
la Sartik sono stati spesi tre anni fa 2 mi-

65

Internazionale

liardi di dollari, quindi altri 700 milioni di


dollari lo scorso anno per ammodernarla e
poterla vendere poi al prezzo di 35 milioni
di dollari allacquirente americano. Il quale,
dopo denunce e indagini, si rivelato un semplice complice e prestanome di alcuni esponenti del governo DOS. Ora anche le banche
che avevano garantito i prestiti si sono rivolte
al Tribunale Internazionale per andare fino
in fondo alla vicenda. ndr.
3. Per chi non conoscesse bene la situazione,
va ricordato che dopo gli avvenimenti del 5
ottobre 2000, culminati con lassalto al parlamento, vi fu in tutto il paese una vera e
propria campagna intimidatoria e violenta,
di cacciata e allontanamento di quasi tutti i
dirigenti sindacali, accusati di far parte del
vecchio regime e quindi dimessi spesso con la
forza, e sostituiti dufficio da nuovi dirigenti
espressi per lottizzazioni partitiche della DOS,
salvo poi, in molte situazioni, essere reintegrati dai lavoratori alle prime scadenze elettorali nei posti di lavoro. Su questi avvenimenti abbiamo come Associazione moltissima
documentazione anche video, che testimonia
le violenze e le prevaricazioni. Su quel periodo
io stesso ho prodotto molti articoli e resoconti
degli avvenimenti, alcuni di cui sono stato
testimone diretto, uno in particolare riguarda
il coraggio e la fermezza della stessa R.
Milosavljevic, aggredita e minacciata da picchiatori della DOS, senza che essa facesse un
passo indietro. Per chi volesse avere la documentazione, contattarmi o vedere nel sito
www.resistenze.org. ndr.
4. Sono riuscito personalmente a entrare in
contatto con una lavoratrice del reparto, che

66

mi ha affidato la lettera che riporto. Non servono altre parole nel rendere lidea della situazione. Ndr.
Lettera di una lavoratrice della Zastava
ho deciso di scrivere questa lettera
per raccontarle la mia vita. Sono una lavoratrice della Zastava automobili e
come invalida di 3 categoria lavoro nellofficina cosiddetta TER COM (Costituita per invalidi ).
Lavoro al ritocco dei particolari siccome
a causa della guerra non abbiamo lavorato per lungo tempo. Poi abbiamo cominciato a fare qualsiasi lavoro, anche
quelli che non competono agli invalidi.
Abbiamo ripulito i reparti bombardati,
e si sa benissimo che questi sono posti
radioattivi.
Mentre facevo questi lavori parecchie
volte ho avuto delle allergie e sono stata
sottoposta a terapie. Poi ho lavorato
dove vi il PCB-Piralene lasciato nellambiente dalle bombe, ed avevo problemi di respirazione. Sono andata dal
medico e mi ha trovato delle cisti in gola
e al seno.
Ma questo non stato sufficiente ai dirigenti, e per lennesima volta hanno
portato nel nostro reparto altre sostanze
chimiche per le lavorazioni. Mi hanno
poi portata due volte al Pronto soccorso,
e cos anche altre mie colleghe. Lultima
volta, nel mese di febbraio, mi hanno
salvato la vita per un soffio.
Adesso sono in malattia fino a fine mese,
poi dovr tornare al lavoro. Ma sono
molto preoccupata, perch so che un

Marzo - Aprile 2004

giorno mi troveranno morta. L a mbiente di lavoro disastroso e anche le


condizioni di vita in esso sono disastrose.
Io devo lavorare per sostenere la mia famiglia, perch mio marito stato licenziato ed anche lui malato; una figlia va
a scuola e laltra ha finito di studiare ma
disoccupata perch non c lavoro
io la prego di leggere questa mia lettera
ad altri.
Se vuole pu verificare tutto quanto ho
scritto.
Il mio lavoro consiste nella pulizia di
particolari e componenti bombardati,
lavaggio pezzi, scelta delle viti da montare e scarto di quelle non pi utilizzabili,e della pulizia dei reparti. Non posso
rifiutare di fare questi lavori nonostante
si sappia che sono radioattivi. Ci sono
anche altre mie colleghe che sono ammalate. Io penso che tutto sia conseguenza dei bombardamenti. Io sono invalida, ma queste malattie le ho avute
dopo. La ringrazio dellaiuto e la prego,
se possibile, di attivarsi anche tramite
qualche organizzazione che lavora nel
campo della protezione delle vite
umane e di provare ad aiutarci S.M.
5. Si tratta di una lista di lavoratori della
Zastava che, pur non lavorando, risultano
ancora dipendenti e che avrebbero la precedenza in una eventuale riassunzione. Da
non confondersi con lUfficio di collocamento
cittadino che riguarda i disoccupati in generale , circa 30.000, di cui le donne sono il
33% in pi degli uomini. ndr.

Marzo - Aprile 2004

Internazionale

Con una partecipazione al voto


del 61,2% degli aventi diritto,
il presidente uscente
ha ottenuto circa
50 milioni di suffragi,
pari a ben il 71,2%

Putin:
quasi un plebiscito

di Mauro Gemma

IL RESPONSO DELLE PRESIDENZIALI RUSSE RIAPRE ANCHE NEL PCFR


IL DIBATTITO. PUTIN: AUTOCRATE O DIFENSORE DELLA NAZIONE?

l 14 marzo si sono svolte in Russia le


elezioni presidenziali e, come era
nelle aspettative, il presidente
uscente Vladimir Putin ha ottenuto
la conferma del suo mandato con
un risultato che assume, per molti
versi, caratteristiche plebiscitarie.
Lappello al boicottaggio lanciato
agli elettori da alcuni settori del
mondo politico russo in particolare quelli pi legati al destino dei
grandi magnati stato sostanzialmente accolto pi nei quartieri borghesi delle grandi citt che altrove.
Con una partecipazione al voto del
61,2% degli aventi diritto, il presidente uscente ha ottenuto circa 50
milioni di suffragi, pari a ben il
71,2%.
Il candidato presentato dal Partito
Comunista della Federazione
Russa, Nikolay Kharitonov, lo segue
a grande distanza, con 9,5 milioni di
voti e il 13,7%. Al terzo posto si
piazzato Sergey Glazjev, gi tra i protagonisti della smagliante affermazione della coalizione di centro-sinistra Rodina nella consultazione
politica, fino a qualche giorno
prima considerato da alcuni come
il possibile secondo piazzato nelle
elezioni presidenziali Glazjev non
ha raccolto nemmeno la met dei
voti ottenuti dal suo blocco elettorale alle politiche, non superando il
4,1%. La miliardaria liberale Irina
Khakamada, autodefinitasi lunica

candidata democratica di queste


elezioni (dopo che i due partiti liberali hanno rinunciato a competere) e indicata addirittura come
pacifista dai media occidentali
(anche di sinistra) in virt della sua
opposizione alla guerra in Cecenia,
ha racimolato il 3,9% dei voti. In
realt Khakamada fa parte del
gruppo pi oltranzista dello schieramento liberista direttamente legato al capitalismo oligarchico, che
si reso responsabile delle misure
pi odiose di riforma economica
che hanno caratterizzato il regime
di Eltsin e che ha ispirato il colpo di
stato del 1993, conclusosi con il massacro dei difensori del Parlamento
russo. Il candidato del Partito liberal-democratico russo di estrema
destra, Oleg Malyshkin (gi guardia
del corpo del leader del partito
Vladimir Zhirinovskij) si dovuto
accontentare di uno striminzito
2,1%, con una perdita di circa il
10% rispetto al brillante risultato
che il PLDR aveva ottenuto nella
consultazione politica di tre mesi
prima. Lultimo candidato era
Seghey Mironov speaker del
Consiglio della Federazione e molto
vicino a Putin che, come del resto
era previsto, non andato oltre lo
0,8%. Contro tutti si espresso il
3,5% degli elettori che hanno deciso di recarsi alle urne (una parte
di quelli che hanno seguito le indi-

cazioni a delegittimare il risultato,


utilizzando questa forma originale
di voto consentita dalla legislazione
elettorale russa).
Gli osservatori internazionali, al
contrario di quanto avveniva con
Eltsin, si sono dilungati nellelencare le violazioni della legge elettorale e i brogli che avrebbero caratterizzato il corso della campagna e
della consultazione. In effetti, il risultato conseguito da Putin in alcune delle regioni pi arretrate
della Federazione (a cominciare da
quelle del Caucaso), che raggiunge
e, a volte, anche supera il 90% dei
suffragi, fa sorgere seri dubbi circa
la piena correttezza delle modalit
di votazione e scrutinio. Ma questo
non rappresenta certo una novit
attribuibile al solo Putin. In passato
si sono verificate violazioni ben pi
gravi.
Ad esempio, nelle presidenziali del
1996 non furono pochi coloro che
attribuirono laffermazione di
Eltsin sul comunista Zjuganov (che
peraltro riconobbe subito la vittoria
del suo rivale) ai giganteschi brogli
che avrebbero caratterizzato il ballottaggio. Oggi, invece, i diversi conteggi paralleli dei voti, effettuati dai
candidati avversari e dai comitati
per il boicottaggio, non hanno evidenziato rilevanti differenze (a
volte gli scrutini alternativi si sono
rivelati meno vantaggiosi per lop-

67

Internazionale

posizione!) rispetto al risultato comunicato ufficialmente.


Comunque siano andate le cose,
spiegare esclusivamente in tal modo
le ragioni del successo elettorale
come hanno fatto gli esponenti dellopposizione russa di destra e di sinistra e (in modo alquanto sospetto) molti commentatori occidentali a nostro avviso sicuramente riduttivo.
Forse per comprendere a fondo le
ragioni per le quali 50 milioni di
russi hanno deciso di rinnovare per
altri quattro anni la fiducia verso
Putin, occorrerebbe rendersi conto
di quanto il mandato presidenziale
ottenuto nel 1999 dallallora giovane ex funzionario del KGB (a suo
tempo tra i collaboratori di Andropov) abbia rappresentato, nella
consapevolezza collettiva, una rottura con quello che, non a torto,
stato considerato il periodo pi
oscuro e rovinoso (i cui effetti catastrofici sarebbero stati, per alcuni
studiosi, addirittura superiori a
quelli degli spaventosi anni della seconda guerra mondiale) della storia russa nella seconda met del secolo scorso.
Leredit lasciata da Eltsin era pesantissima: il paese era allo sbando
e rischiava la disgregazione ad
opera di poteri regionali, attraversati da un forte sentimento secessionista e a volte intenzionati a seguire la strada del separatismo ceceno, che agivano a rimorchio degli
interessi economici e politici
dellOccidente; lamministrazione
presidenziale, in mano ad un personale corrotto e legato agli interessi della famiglia del presidente,
era diretta, nei fatti, da un pugno di
grandi oligarchi, arricchitisi in virt
dellintroduzione scriteriata dei
meccanismi del capitalismo selvaggio che hanno accompagnato il
processo di privatizzazione; lapparato produttivo era allo sbando e
svenduto a prezzi da mercato delle
pulci; le fortune dei nuovi russi
venivano consolidate nella logica
compradora dellintesa con le
multinazionali occidentali, che ottenevano il via libera al saccheg-

68

gio dissennato delle materie prime


del paese, in forme analoghe a
quelle che si manifestano nei paesi
del terzo mondo; per tutto il decennio degli anni 90 il PIL registrava una diminuzione del 6% mediamente ogni anno e le condizioni
sociali della popolazione subivano
un deterioramento tale da produrre
circa 50 milioni di poveri al di sotto
della sussistenza e una diminuzione
dellaspettativa di vita di oltre 10
anni.
C allora da affermare, sulla base
dei risultati conseguiti, che il nuovo
presidente certo giunto al potere
con lappoggio del clan di Eltsin,
preoccupato dallimpetuosa ascesa
del consenso attorno ai comunisti
ha saputo, dimostrando in ogni occasione una grande capacit di manovra, emanciparsi progressivamente dalla subordinazione alla famiglia e, seppur tra innumerevoli
contraddizioni (determinate dai
rapporti di forza esistenti, di volta in
volta, tra i vertici del potere), dare
limpressione di voler imprimere
una svolta negli indirizzi di fondo
della politica russa.
Da subito, per porre un freno alle
tendenze separatiste, che rischiavano di sottoporre la Federazione
Russa a un processo di disgregazione ana logo a quello subito
dallURSS, Putin non si limitato ad
intervenire con energia in Cecenia,
ma ha avviato la riorganizzazione
del sistema federale, attraverso la
creazione di sette macroregioni,
con a capo governatori direttamente eletti dal presidente, con il
risultato di limitare fortemente le
pretese dei potentati locali, appoggiati dalle lobby straniere interessate al controllo delle materie
prime.
Tale processo si accompagnato ad
unoperazione di recupero di quei
valori patriottici, di richiamo allorgoglio nazionale (con frequenti
riferimenti anche al passato sovietico), umiliato nel decennio eltsiniano da una pratica di totale subordinazione, anche culturale,
allOccidente e allavvio di un
nuovo corso di politica internazio-

Marzo - Aprile 2004

nale (attraverso lelaborazione, nellestate del 2001, della cosiddetta


Dottrina della politica estera della
Federazione Russa) che si propone di
mettere al primo posto la difesa degli interessi nazionali del paese e
di contribuire alla costruzione di un
mondo multipolare, e che entrata
spesso in rotta di collisione con gli
indirizzi strategici dellimperialismo USA.
Inoltre, pur proseguendo sul cammino delle riforme con concessioni anche rilevanti (come avvenuto nel caso della legge sulla privatizzazione della terra) ai settori
liberisti del governo diretto da
Mikhail Kasjanov, in carica fino al
2004, Putin finora non ha ceduto
alla richiesta di procedere definitivamente allo scorporo e alla privatizzazione delle pi importanti tra
le aziende strategiche come Gasprom, il gigante del gas, oppure
Transneft, che esercita il controllo
sullimmensa rete di trasporto delle
risorse energetiche del paese, di cui
le multinazionali del petrolio
hanno ancora recentemente chiesto la liberalizzazione.
Con il procedere degli anni, in
modo inesorabile abbiamo assistito
alla progressiva emarginazione dai
gangli vitali del potere di quasi tutti
quei personaggi (lultimo proprio
il premier Kasjanov, sostituito da un
uomo, Fradkov, cresciuto politicamente allombra dellattuale ministro della difesa Serghey Ivanov,
considerato la personalit pi vicina
agli interessi di quella borghesia
nazionale, tuttora alla direzione
del potente anche se ridimensionato complesso militare-industriale) che avevano legato le loro
fortune politiche ai destini di Eltsin
e del suo clan. Molti dei magnati
(Berezovskij, Gusinskij, Khodorkovskij, ecc.) che, approfittando
delle privatizzazioni selvagge, avevano costruito imperi economici, attraverso la dilapidazione del patrimonio pubblico, sono stati emarginati dai processi decisionali e, in alcuni casi, addirittura perseguiti penalmente, in un clima di generale
consenso popolare.

Marzo - Aprile 2004

Per meglio comprendere le ragioni


dellimpatto che liniziativa di Putin
ha avuto nellopinione pubblica, e
in particolare tra gli strati meno privilegiati del paese, forse vale la pena
riprendere quanto ha scritto recentemente Dmitrij Jakushev, un intellettuale marxista russo. Scrive appunto Jakushev in un articolo ripreso anche dal sito del PCFR 1:
Negli anni 90, la Russia era un paese
senza un bilancio statale, di fatto senza
uno stato unitario, senza esercito, con
un enorme debito estero, che sembrava
impossibile restituire, con regioni che
non facevano pi riferimento al centro e
che addirittura avevano cominciato ad
emettere una propria moneta, con una
direzione esterna esercitata dal FMI, che
controllava il budget e tutte le spese del
governo centrale. La guerra in Cecenia
r a p p resentava la continuazione della
politica di annientamento della Russia
in quanto stato unitario.
Jakushev, entrando cos in aperta
polemica con la parte oggi maggioritaria della sinistra russa che contro Putin ha condotto una durissima
campagna elettorale, convinto
che se non ci fosse stato Putin, non ci
sarebbe pi la Russia. Non ci sarebbe pi
unindustria, n la classe operaia, e neppure ordini del giorno su cui qualche
sinistra possa interv e n i re. Il sud del
paese sarebbe controllato dai banditi e a
guardia del petrolio e dei gasdotti ci sarebbero le truppe della NATOQuesta
non fantasia, perch quattro anni fa
le cose stavano proprio cos.
Jakushev, senza mai nascondere il
suo dissenso verso lattuale linea del
PCFR che rimprovera a Putin le
stesse cose che rimproverava a
Eltsin, vale a dire la mancanza di
una politica in difesa degli interessi
nazionali, cos prosegue: Forse che
il mantenimento dellunit e dellindipendenza della Russia, la fuoruscita
dalla situazione in cui essa versava alla
fine degli anni 90, non rappre s e n t avano un compito di interesse nazionale?
Putin si dedicato a questo compito e lo
ha risolto, agendo in fretta, con decisione
ed efficacia. Il risultato stato che il
paese ha evitato la rovina: stato soffocato il separatismo dei governatori,
stato creato un terreno legislativo uni-

Internazionale

tario, stata creata una cospicua riserva


valutaria. La Russia si sottratta al
giogo del debito ed diretta da un governo nazionale e non dagli esperti del
FMI.
In questo contesto allora, secondo
lintellettuale russo, andrebbero
cercati i veri motivi del successo di
Putin e della vasta popolarit di cui
lenergico presidente russo gode in
questo momento. sempre Jakushev ad affermare che le grandi masse della Russia sembrano aver compreso (c solo da rallegrarsi che il popolo si sia raccolto dietro a Putin, come
gli ebrei dietro a Mos) ci che non
viene riconosciuto dalla stessa sinistra, anche se essa dovrebbe essere
assolutamente interessata a che
questo stato borghese non scompaia nellabisso del separatismo, dellestremismo
religioso, delloscurantismo medievale e
dellimperialismo che sta dietro a tutti
questi fenomeni.
Le affermazioni di Jakushev, che potranno lasciare perplessi, per la loro
nettezza, molti nella sinistra occidentale, in verit sembrano confermate dal comportamento assunto
dalla borghesia compradora nel
corso dellultima campagna elettorale.
Innanzitutto, i due partiti liberali
(Mela e Unione delle forze di destra), usciti sconfitti dalle elezioni
politiche di dicembre 2003, hanno
cercato fin dal primo momento di
delegittimare il risultato delle presidenziali, facendo appello al boicottaggio. A tale decisione non si
associata Irina Khakamada, che ha
preferito puntare su una campagna
elettorale (costata, per sua stessa
ammissione, decine di milioni di
euro) che segnalasse, anche agli interlocutori occidentali (varie istituzioni occidentali, del resto, al contrario di quanto avveniva con Eltsin,
hanno spesso interferito con pesantezza nella campagna elettorale), il carattere antidemocratico
della consultazione e le tendenze
autocratiche del presidente uscente, la compressione della libera iniziativa e della societ civile, e il
carattere imperiale ed aggressivo
della politica russa, con una parti-

colare enfasi sui crimini della


guerra in Cecenia, che le ha guadagnato la nomea di difensora dei diritti umani. Khakamada certamente non ha recuperato la disfatta
subita dalla destra liberista alle elezioni politiche, ma unanalisi pi
particolareggiata del voto dimostra
che attorno a lei si raccolto quel
settore di borghesia compradora,
in gran parte legato agli interessi
dellimperialismo USA, e la parte
pi significativa di quei nuovi russi
che hanno ignorato gli inviti al boicottaggio, ma che hanno negato il
proprio voto a Putin. Nei quartieri
pi eleganti di Mosca e San
Pietroburgo, ad esempio, la candidata liberale ha ottenuto percen-

Jakushev: se non ci fosse stato Putin,


non ci sarebbe pi la Russia.
Non ci sarebbe pi unindustria,
n la classe operaia,
e neppure ordini del giorno
su cui qualche sinistra
possa intervenire
tuali anche del 20%, mentre nelle
zone proletarie il consenso al presidente, accompagnato da un buon
risultato per i comunisti, stato superiore alla media nazionale.
A sinistra ha solo parzialmente sorpreso il mediocre risultato ottenuto
dalleconomista Serghey Glazjev
che, nellautunno del 2003 aveva,
insieme a numerose personalit e
organizzazioni di orientamento socialista e nazionalista di sinistra,
rotto lunit con il PCFR nellambito del fronte unitario Unione
Popolare Patriottica di Russia,
dando vita al blocco elettorale
Rodina e ottenendo alle elezioni
politiche un successo inaspettato
(9%), attribuibile essenzialmente
alladozione di un programma sociale molto avanzato e (elemento di
notevole frizione con i comunisti, ri-

69

Internazionale

velatosi vincente) a una valutazione


complessivamente positiva del
ruolo di Putin nella lotta contro il
capitalismo oligarchico. Ma gi subito dopo la costituzione del
gruppo parlamentare, sono venute
esplicitandosi le numerose differenze che caratterizzano leterogeneo movimento e, in particolare, il
dissidio tra il socialista Glazjev e
laltro leader del movimento, il nazionalista Rogozin. Cos, allannuncio di Glazjev di partecipare comunque alla competizione presidenziale, con un programma fortemente caratterizzato, i due terzi del
gruppo parlamentare, guidati appunto da Rogozin e dal leader di
Volont Popolare Baburin e

Il lusinghiero risultato del PCFR


non ha comunque interrotto
il tumultuoso dibattito avviatosi
nelle file del partito
allindomani del rovescio
elettorale di dicembre

orientati a sostenere da sinistra


Vladimir Putin, lo hanno immediatamente sfiduciato, invitandolo
prima a ritirare la candidatura e in
seguito, dopo il suo rifiuto, allontanandolo praticamente dal movimento. Glazjev (sostenuto anche
dallex leader sindacale, il socialista
di sinistra Oleg Shein a capo del
Partito russo del Lavoro) ha cos
dato vita ad una seconda Rodina,
che andata incontro ad un clamoroso insuccesso. Dopo la consultazione, lo stesso Glazjev non ha nascosto la sua delusione, manifestando propositi di abbandono
della carriera politica, anche se corrono insistenti le voci di un suo possibile riavvicinamento al PCFR,
dopo che un invito in tal senso gli
stato rivolto dallo stesso candidato
comunista Nikolay Kharitonov.

70

Al di sopra delle aspettative stato,


invece, il risultato ottenuto proprio
da Nikolay Kharitonov, gi dirigente
del Partito Agrario, presentato
(per la verit, senza eccessivo entusiasmo, vista la sua non totale sintonia con Zjuganov) dal PCFR, a cui i
sondaggi pi generosi non attribuivano pi del 5%. Il 13,7% raccolto
dal candidato dei comunisti, anche
se nel contesto di un recupero solo
parziale del grave rovescio subito
alle elezioni politiche, serve comunque a rafforzare il primato del
PCFR tra le forze della sinistra russa.
Le percentuali ottenute dai comunisti nelle regioni tradizionalmente
rosse (ad esempio, fino a quasi il
30% in alcune localit della Russia
centrale e una buona affermazione
nelle zone industriali della Siberia)
indicano lesistenza di uno zoccolo
duro, assicurato da un discreto radicamento in ogni regione del
paese, che fa s che si possa affermare, riprendendo le parole di uno
dei pi autorevoli politologi russi2,
che il PCFR, tra le forze dellopposizione russa, lunica che possa
chiamarsi a pieno titolo partito, a differenza di altre formazioni.
Il lusinghiero risultato del PCFR
non ha comunque interrotto il tumultuoso dibattito avviatosi nelle
file del partito allindomani del rovescio elettorale di dicembre. Lo
scontro tra la maggioranza, guidata
dal presidente Zjuganov, attestata su
una linea di dura contrapposizione
a Putin e la sua amministrazione, e
un nutrito gruppo di compagni (il
presidente del comitato esecutivo
dell Unione Popolare Patriottica
di Russia Semighin, lex numero
due del partito Kuptzov, gli autorevoli dirigenti Potapov e Shabanov)
che rimproverano la mancanza di
una visione pi dialettica degli scontri interni agli assetti di potere, ha
dato luogo nelle ultime settimane a
violente schermaglie polemiche, in
attesa dello scontro finale che dovrebbe avvenire nel corso del congresso fissato per i primi di luglio.
Per quella scadenza, molti osservatori non escludono addirittura la
possibilit dellallontanamento

Marzo - Aprile 2004

dalla leadership del partito dello


stesso Zjuganov: ipotesi che potrebbe essere confermata dal fatto
che la relazione allultimo comitato
centrale del 27 marzo (che pure
non introduceva novit significative
nella linea politica del partito) sia
stata affidata allattuale vicepresidente Ivan Melnikov.
Nel PCFR sono anche presenti, in
particolare tra la generazione pi
giovane di militanti (ben rappresentata dal responsabile della sezione informatica del CC Ilya
Ponomariov), dirigenti che, in
nome della lotta per la democrazia
e contro le presunte tendenze autoritarie di Putin, non nascondono
la propria disponibilit ad alleanze
pi che disinvolte con i settori pi
agguerriti dello schieramento liberista e filoccidentale, fino ad impegnarsi in iniziative pubbliche comuni con Mela, l Unione delle
forze di destra e alcune organizzazioni per i diritti civili e contro la
guerra in Cecenia (collegate anche
con i radicali italiani, che da tempo
conducono una violentissima campagna antirussa), che tutti sanno finanziate da Washington. Ponomariov ha illustrato con disarmante
chiarezza questa posizione in un suo
articolo apparso negli organi di
stampa del PCFR3: Si deve sottolineare che la posizione del nostro partito
rispetto al sistema capitalistico oligarchico che si sviluppato nel paese molto
dura. Personalmente ritengo che proprio
questa sia la causa della povert del nostro popolo e che tutte queste persone,
Khodorkovskij, Ciubajs, Berezovskij,
Potanin ed altri, portino una personale
responsabilit. Ma perch non capire che
costoro, in questo momento, rappresentano il nostro alleato oggettivo, lunica
alternativa al Cremlino? () Ci pone
le condizioni per la creazione di unopposizione di sinistra-destra.
Contro questa posizione (che, in
qualche modo, ricorda quella che,
pur in altro contesto, ha tenuto il PC
iracheno alleandosi in funzione
anti-Saddam con loccupante americano, e che sembra trovare consensi anche tra personalit della
nuova sinistra come, ad esempio,

Marzo - Aprile 2004

Boris Kagarlitzkij, un intellettuale


molto ascoltato nel movimento altermondialista) si scagliato con
durezza il gi citato Dmitrij Jakushev: Questo il programma concreto
che limperialismo, per bocca di
P o n o m a r i o v, propone alla sinistra
russa. E questo programma si sta realizzando a tutti i livelli. Alcuni esponenti del partito comunista, cercando di
giustificare unioni senza principi, si affannano a convincere il pubblico che
Putin avrebbe riunito attorno a s tutta
la borghesia e che, quindi, tutto ci che
si rivolge contro Putin contro il capitalismo. Naturalmente non cos.
Parlare di blocco della borghesia attorno
a Putin, in presenza della massiccia pressione che limperialismo sta oggi esercitando sulla Russia e su Putin, semplicemente ridicolo. Sarebbe piuttosto il
caso di parlare di blocco della grande borghesia contro Putin(...) Circola anche

Internazionale

nella sinistra una leggenda del genere:


la Russia una potenza imperialista
aggressiva, Putin un tiranno. Lessenziale abbatterlo, restaurando la democrazia. Di per s stessa tale posizione
del tutto falsa, e spinge la sinistra a
fare fronte comune con limperialismo.
Jakushev, che ritiene quanto mai
probabile addirittura uno scontro
militare con limperialismo (in particolare nella regione caucasica),
invece convinto che se la sinistra ha
una ragione per criticare Putin, non
certo perch egli un tiranno e un imperialista, ma piuttosto perch egli un
democratico-borghese e, di conseguenza,
non pu essere un combattente deciso e
determinato contro limperialismo. Ma
fin dallinizio sarebbe stato necessario sos t e n e re Putin contro unopposizione
creata dallimperialismo. Per questa ragione necessario collocarsi alla sinistra
di Putin, mettendo in rilievo la man-

canza di coerenza e lindecisione del suo


antimperialismo, della sua lotta contro
gli oligarchi; occorre esigere passi pi decisi in difesa degli autentici interessi nazionali, che sono allo stesso tempo gli interessi di classe del proletariato e gli interessi generali dellumanit.

Note
1 Dmitrij Jakushev, Putin, limperialismo e
i comunisti http://www. k p rf . ru / a rt icles/21530.shtml
La traduzione del testo pressoch integrale
dellarticolo di Jakushev apparsa nel numero 73 di Nuove Resistenti (20 marzo
2004), giornale del sito www.resistenze.org
2 Aleksey Makarkin, Il plebiscito presiden-

ziale www.politcom.ru , 15 marzo 2004


3 Ilya Ponomariov, La sinistra ha unop-

portunit www.kprf.ru

71

Marzo - Aprile 2004

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

Dopo i contributi di Andrea Catone,


Nico Perrone, Luigi Vinci,
Sergio Cararo e Fausto Sorini,
il dibattito prosegue
con gli interventi di Samir Amin
e Fosco Giannini

LUnione Europea
e il partenariato
Euro - Mediterraneo

di Samir Amin

USCIRE DALLATLANTISMO: LEUROPA SAR DI

erosione dei regimi a nazionalismo


populista e il venir meno del sostegno sovietico, hanno offerto agli
Stati Uniti loccasione di una messa
in opera per progetti per la regione, senza trovare sino ad ora ostacoli incapaci di contrastarli.
Il controllo del Medio Oriente certamente uno dei progetti degemonia mondiale di Washington. In
quali modi gli Stati Uniti immaginano di assicurarsene il controllo?
Gi da una decina di anni
Washington ha preso liniziativa
avanzando il curioso progetto di un
mercato com une del Medio
Oriente, allinterno del quale alcuni paesi del Golfo avrebbero fornito i capitali, gli altri paesi arabi la
manodopera a buon mercato, e riservando a Israele il controllo tecnologico e le necessarie funzioni
dintermediazione. Accettato dai
paesi del Golfo e dallEgitto, il progetto s tuttavia scontrato con il rifiuto di Siria, Iraq e Iran. Per procedere era dunque necessario abbattere i regimi di questi tre paesi.
Ed quanto stato fatto ora con
lIraq.
La questione allora quella di sapere quale tipo di regime politico,
in grado di sostenere il progetto
americano, debba essere insediato.
I discorsi di facciata della propaganda di Washington parlano di
democrazie. Di fatto Washinton

72

non simpegna a nullaltro che nella


sostituzione di isolate autocrazie dal
populismo obsoleto con delle autocrazie oscurantiste fatte passare per
islamiche (in obbligo al rispetto
della specificit culturale delle comunit). La rinnovata alleanza con
un Islam politico cosiddetto moderato (vale a dire in grado di padroneggiare la situazione con sufficiente efficacia nellostacolare le
derive terroriste quelle dirette
contro gli Stati Uniti e ben inteso
solo quelle), costituisce lasse portante dellopzione politica di
Washington, o rimane la sua sola opzione possibile. in questa prospettiva che la riconciliazione con
larcaica autocrazia del sistema saudita verr ricercata.
Di fronte al progetto degli Stati
Uniti, gli europei hanno inventato
un proprio progetto, battezzato
partnerariato euro-mediterraneo. Un progetto assai poco coraggioso, imbastito da chiacchere
senza fine, ma che, lui pure, si proponeva di riconciliare i paesi arabi
con Israele, mentre escludendo i
paesi del Golfo dal dialogo euromediterraneo gli europei stessi riconoscevano di fatto che la gestione
di questi paesi rientrava nellesclusiva competenza di Washington.
Il sorprendente contrasto fra laudacia temeraria del progetto americano e la debolezza di quello

SINISTRA O NON SAR

dellEuropa indica bene come latlantismo realmente esistente ignori


lo sharing (la condivisione delle
responsabilit e lassociazione nella
presa delle decisioni, ponendo su
un piede di parit gli Stati Uniti e
lEuropa). Tony Blair, che si fatto
paladino della costruzione di un
mondo unipolare, crede di poter
giustificare tale opzione poich latlantismo che la permetterebbe sarebbe fondato sullo sharing.
Larroganza di Washington smentisce ogni giorno di pi questa illusoria speranza, e non il solo modo
di sbeffeggiare le opinioni europee.
Il realismo della battuta di Stalin,
che ai suoi tempi diceva dei nazisti
che essi non sapevano dove bisognava fermarsi, applicabile alla
lettera alla giunta che governa gli
Stati Uniti. E le speranze che Blair
tenta di rianimare assomigliano
sempre di pi a quelle che Mussolini
riponeva nella propria capacit di
rendere ragionevole Hitler!
possibile unaltra opzione europea? Si sta delineando? Il discorso
di Chirac che oppone al mondo atlantico unipolare (che egli ben
comprende, sembra, come sinonimo di unegemonia unilaterale
degli Stati Uniti che ridurrebbe il
progetto europeo a niente di pi di
un commento al p rogetto di
Washington) la costruzione di un
mondo multipolare annuncia

Marzo - Aprile 2004

forse la fine dellatlantismo?


Perch questa possibilit divenga
realt, occorrerebbe che lEuropa
sapesse uscire dalle sabbie mobili
sulle quali cammina.

LE

SABBIE MOBILI DEL PROGETTO EUROPEO

Tutti i governi degli stati europei


aderiscono tuttora alle tesi del liberalismo. Questa adesione degli Stati
europei non significa nulla di meno
dellannullamento del progetto europeo, il sua duplice annacquamento, economico (i vantaggi dellunione economica europea si dissolvono nella mondializzazione
economica) e politico (lautonomia
politica e militare europea scompare). Non vi , attualmente, alcun
progetto europeo. Lo si sostituito
con un progetto nord-atlantico (o
eventualmente della Triade) sotto
direzione americana.
Le guerre made in USA hanno
certamente risvegliato le opinioni
pubbliche ovunque in Europa
contro luktima, quella contro
lIraq e pure alcuni governi, in
primo luogo quello francese, ma
pure quelli tedesco, della Russia e
della Cina. Rimane il fatto che questi stessi governi non hanno affatto
rimesso in causa il loro fedele allineamento alle esigenze del liberalismo. Questa contraddizione dovr
essere superata in un modo o nellaltro, o con un sottomettersi alle
esigenze di Washington, oppure
con una vera rottura che metta fine
allatlantismo.
La conclusione politica pi importante che traggo da questa analisi,
che lEuropa non potr fuoriuscire
dallatlantismo fintanto che le alleanze politiche che definiscono i
blocchi al potere rimarranno centrati sul capitale transnazionale dominante. Accadr unicamente se le
lotte sociali e politiche giungeranno a modificare il contenuto di
questi blocchi e ad imporre nuovi
storici compromessi fra il capitale e
il lavoro, che lEuropa potr allora
prendere una qualche distanza nei

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

confronti di Washington, permettendo cos il rinnovarsi di un eventuale progetto europeo. In tali condizioni lEuropa potrebbe e dovrebbe anche pure impegnarsi
sul piano internazionale, nelle sue
relazioni con lEst e il Sud, su una
via alternativa a quella tracciata
dalle esclusive esigenze dellimperialismo collettivo, dando cos avvio
alla sua partecipazione alla lunga
marcia oltre il capitalismo. In altre parole, o lEuropa sar di sinistra (il termine sinistra viene preso
qui sul serio), o non sar.
Conciliare ladesione al liberalismo
con laffermazione di unautonomia politica dellEuropa o degli stati
che la costituiscono, rimane lobiettivo di alcune componenti delle
classi politiche europee, preoccupate di mantenere le posizioni
esclusive del grande capitale.
Potranno riuscirci? Ne dubito assai.
Per contro, le classi popolari in
Europa, almeno qui e l, saranno capaci di superare la crisi che le affligge? Lo credo possibile.
Precisamente per le ragioni che
fanno s che, almeno in alcuni di dei
paesi europei, la cultura politica sia
differente da quella degli Stati
Uniti, e che potrebbero produrre
questa rinasita della sinistra. La condizione, evidentemente, che questultima si liberi dal virus del liberalissmo.
Il progetto europeo nato come il
commento europeo al progetto atlantista degli Stati Uniti, concepito
allindomani della seconda guerra
mondiale, nello spirito della
guerra fredda messa in opera da
Washington. Progetto al quale le
borghesie europee tanto indebolite quanto timorose nei confronti delle rispettive classi operaie hanno aderito praticamente
senza condizioni.
Tuttavia lo svilupparsi stesso di questo progetto forse a causa della
propria origine incerta ha progressivamente modificato dati importanti del problema e delle sfide.
LEuropa occidentale giunta a recuperare sul proprio ritardo economico e tecnologico in rapporto

agli Stati Uniti, o comunque ad


averne i mezzi. Inoltre il nemico sovietico non c pi. Daltra parte il
dispiegarsi del progetto ha cancellato le principali e violente avversit
che avevano segnato un secolo e
mezzo di storia europea: i tre maggiori paesi del continente la
Francia, la Germania e la Russia
sono oggi paesi riconciliati. Tutte
queste condizioni sono a mio avviso
positive, e ricche di possibilit ancor
pi positive. Certo, questo sviluppo
si inscritto su basi economiche
ispirate ai principi del liberalismo,
ma di un liberalismo che stato temperato fino allaa fine degli anni 80
dalla dimensione sociale assunta
dal e attraverso il compromesso
storico socialdemoctatico, che ha
costretto il capitale ad adeguarsi alla
domanda di giustizia sociale
espressa dalle classi lavoratrici. In
seguito poi proseguito in un quadro sociale nuovo, ispirato dal liberalismo allamericana, anti-sociale.
Questultima virata ha immerso le
societ europee in una crisi dallea
molteplici facce. In primo luogo vi
la crisi economica in quanto tale,
immanente allopzione liberale.
Una crisi aggravata dallallineamento dei paesi europei alle esigenze economiche del leader nordamericano, che ha fatto s che fino
ad ora lEuropa finanziasse il debito
americano a detrimento dei propri
interessi. Inoltre vi una crisi sociale, accentuata dalla crescita delle
resistenze e dalle lotte di classe e popolari contro le fatali conseguenze
dellopzione liberale. Infine, vi il
manifestarsi dei sintomi di una crisi
politica, evidenziato dal rifiuto di allinearsi, pi o meno senza condizioni, allopzione americana di
guerra senza fine contro il Sud.
Come fanno e come faraanno
fronte i popoli e gli stati europei a
questa triplice sfida?
Di massima gli europeisti si suddividono in tre aree abbastanza distinte.
- Coloro che difendono lopzione liberale e che accettano la leadership
degli Stati Uniti pi o meno incondizionatamente..

73

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

- Coloro che difendono lopzione liberale, ma sostenendo unEuropa


politica indipendente, uscita dallo
schieramento americano.
- Coloro che sostengono (e lottano
per) una Europa sociale, vale a
dire per un capitalismo temperato
da un nuovo compromesso sociale
fra capitale e lavoro operante a livello europeo, e contemporaneamente unEuropa politica che pratichi altre opzioni (sottinteso amichevoli, democratiche e pacifiche)
con il Sud, la Russia e la Cina.
Lopinione pubblica generale in
tutta lEuropa ha espresso, al Forum
Sociale Europeo (Firenze 2002)
come in occasione della guerra contro lIraq, la propria simpatia di massima per questa posizione.
Vi sono inoltre certamente dei non
europeisti, nel senso che non condividono n come augurabili n
come possibili nessuna delle tre opzioni degli europeisti. Costoro
sono, per il momento, fortemente
minoritari, ma sono sicuramente
destinati a rafforzarsi, secondo linee
d'altronde caratterizzate da due opzioni di fondo assai differenti.
- Unopzione populista di destra,
che rifiuta laumento dei poteri politici e forse anche economici sovranazionali, ad eccezione evidentemente di quelli del capitale transnazionale.
- Unopinione popolare di sinistra,
nazionale, democratica e sociale.
Su quali forze si fonda ciascuna di
queste tendenze, e quali sono le
loro rispettive possiblit?
Il capitale dominante liberale, per
natura. Per questo egli portato, in
coerenza con se stesso, a sostenere
la prima delle quattro opzioni. Tony
Blair rappresenta lespressione pi
coerente di quel che ho definito
come imperialissmo collettivo
della triade. La classe politica allineata dietro la bandiera a stelle e
strisce disposta, se necessario, a
sacrificare il progetto europeo
quantomeno a dissipare qualsiasi illusione in proposito mantenendolo nella costrizione delle sue ori-

74

gini: essere la copertina europea del


progetto atlantista. Ma Bush, come
Hitler, non concepisce altri alleati
che quelli subordinati e allineati
senza condizioni. questa la ragione per cui alcuni importanti segmenti della classe politica, compresa quella di destra e pure fra
coloro che in linea di principio sono
fra i difensori degli interessi del capitale dominante si rifiutano di allinearsi supinamente alle posizioni
degli Stati Uniti oggi, come ieri a
quelle di Hitler. Se c un possibile
Churchill in Europa, questo sarebbe Chirac. Lo sar?
La strategia del capitale dominante
pu adattarsi a un anti-europeismo
di destra, il quale si accontenter
allora di retoriche nazionalistiche
demagogiche (agitando per esempio il tema degli immigrati del
Sud, beninteso), mentre nei fatti si
sottometter alle esigenze di un liberalismo non specificamente europeo ma mondializzato. Aznar e
Berlusconi sono i prototipi di questo tipo di alleati di Washington. Le
servili classi politiche dellEuropa
orientale, pure.
Per tutto ci ritengo che la seconda
opzione sia difficile da mantenere.
Essa tuttavia quella dei due pi
grandi governi europei, il francese
e il tedesco. Esprime le ambizioni di
un capitale sufficentemente potente da essere in grado demanciparsi dalla tutela degli Stati Uniti?
una domanda per la quale io non
ho risposte. possibile, ma intuitivamente lo direi poco probabile.
Tale opzione tuttavia quella di alleati che si trovano di fronte allavversario nondamericano che costituisce il nemico principale di tutta
lumanit. Dico appositamente di
alleati, poich sono persuaso che, se
essi persistono nella loro opzione,
saranno portati a uscire dalla sottomissione alla logica del progetto
unilaterale del capitale (il liberalismo) e a cercare delle alleanze a sinistra (le sole che possano dare
forza a al loro progetto dindipendenza di fronte a Wa s h i n g t o n ) .

Marzo - Aprile 2004

Lalleanza fra gli insiemi della seconda e della terza opzione non
impossibile. Come del resto lo fu la
grande alleanza anti-nazista.
Se tale alleanza prende forma, dovr e potr operare allora esclusivamente nel quadro europeo, posto
che tutti gli europeisti sono incapaci
di rinunciare alla priorit data da
tale quadro?
Non lo credo, poich tale quadro,
tale qual e rester, non favorisce
sistematicamente che lopzione del
primo gruppo filo-americano.
Bisogner allora far esplodere
lEuropa e rinunciare dfinitivamente al suo progetto?
Io formulerei qui una priorit assoluta nella costruzione di una alleanza politica e strategica fra
Parigi-Berlino-Mosca, prolungata se
possibile fino a Pechino e Delhi.
Dico appositamente politica, con
lobiettivo di ripristinare tutte le
loro funzioni al pluralismo internazionale e allONU. E strategica: costruire insieme delle forze militari
allaltezza della sfida americana.
Queste tre o quattro potenze ne
hanno tutti i mezzi, tecnologici e finanziari, rafforzati dalle loro tradizioni di capacit militare, di fronte
alle quali gli Stati Uniti fanno una
pallida figura. La sfida americana e
le sue ambizioni criminali limpongono. Ma tali ambizioni sono smisurate. Bosogner provare. Costruire oggi un fronte anti-egemonico ,
come stata ieri la costruzione dellalleanza anti-nazista, la priorit assoluta.
Questa strategia riconcilierebbe i
filo-europeisti della seconda,
terza e quarta opzione e i non-europeisti di sinistra. Essa crerebbe
dunque le condizioni favorevoli per
una successiva ripresa di un progetto europeo, capaace probabilmente dintegrare pure una Gran
Bretagna liberata dalla sua sudditanza agli Stati Uniti e unEuropa
orientale che si sia sbarazzata dalla
sua cultura servile. Cerchiamo dessere pazienti, tutto ci prender
molto tempo.

Marzo - Aprile 2004

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

La prima questione che ci


sentiremmo di mettere in chiaro,
a mo di puntualizzazione
rispetto ad una ambiguit semantica
non certo ingenua, che lUe
non lEuropa, n in termini
geografici, n in termini geo-politici

Un progetto
alternativo oltre
lUnione Europea

di Fosco Giannini

ANTILIBERISMO, ALLARGAMENTO AGLI ALTRI PAESI EUROPEI, RIFIUTO


DELLA MILITARIZZAZIONE, PI FORTI RELAZIONI COL POLO ASIATICO:
LE STRADE PER UNEUROPA NON PI EURO-AMERICANA

prendo una riflessione sullUnione


europea (Ue) la prima questione
che ci sentiremmo di mettere in
chiaro, a mo di puntualizzazione
rispetto ad una ambiguit semantica
non certo ingenua, che lUe non
lEuropa, n in termini geografici, n in termini geo-politici.
LUe sorta come progetto di integrazione sovranazionale guidato
dai gruppi dominanti delle maggiori potenze capitalistiche e imperialistiche dellEuropa occidentale,
progetto volto a rendere questarea
capitalistica pi forte, dinamica e
concorrenziale nella competizione
internazionale e nella lotta contro
il movimento operaio dei rispettivi
Paesi e contro le forze rivoluzionarie e antimperialiste su scala mondiale.
I capisaldi politico-programmatici e
strategici (non congiunturali) di
questo progetto, imperniato in
primo luogo sullasse franco-tedesco (che al tempo stesso il pi forte
e il pi autonomo dagli Usa), possono essere, sinteticamente, cos
elencati :
- per ci che riguarda il terreno economico e sociale : un disegno neoliberista ( per un neoliberismo pi
o meno regolato), segnato da priva tizzazioni massicce, m oneta
unica, Banca centrale, patto di stabilit, ridimensionamento dello
Stato sociale, flessibilit del mercato

del lavoro;
- sul terreno politico-istituzionale :
la costruzione di un potere politico
sovranazionale, un semi-Stato di
tipo federale (con ipotesi federali
pi o meno accentuate), con una
sua formalizzazione costituzionale;
ovvero, un direttorio subordinato
al controllo dei gruppi economici e
finanziari e delle potenze imperialiste pi forti, in cui la sovranit degli Stati e dei Parlamenti nazionali
dei Paesi piccoli e medi sia ridimensionata, a favore di un nucleo
centrale di poteri forti che si strutturano su scala sovranazionale;
- sul terreno della difesa e della sicurezza : costruzione, nellambito
della solidariet atlantica, di un pilastro europeo della Nato, di un potere militare pi autonomo dagli
Usa, a sostegno di una politica
estera meno subalterna a quella
americana, con una capacit di
proiezione internazionale e di intervento militare fuori dai propri
confini, a difesa degli interessi del
capitalismo europeo, dei suoi
gruppi pi forti e aggressivi nella
competizione globale (vedi ad
esempio la competizione interimperialistica tra Francia e Usa in
Africa, o tra Germania e Usa nei
Balcani).
Questi capisaldi strategici sono sostanzialmente fatti propri sia dalle

forze di centro-destra che dalle


forze di centro-sinistra (dai settori
largamente maggioritari della socialdemocrazia europea), sia pure
con accentuazioni diverse alle quali
i comunisti non sono certo tatticamente indifferenti (soprattutto di
fronte al pericolo rappresentato
dallattuale politica estera Usa), ma
ai quali non debbono essere strategicamente subalterni, se non vogliono diventare una variante di sinistra della socialdemocrazia europea e in essa essere riassorbiti (una
eventualit che per alcuni partiti comunisti europei appare tuttaltro
che fantascientifica).
La socialdemocrazia europea accetta (nella sua grande maggioranza) questi capisaldi, come condizione necessaria per potersi candidare ad essere forza di governo
nei Paesi dellUnione europea, in
una fase storico-politica di non
breve periodo e con rapporti di
forza e di classe in questa parte del
mondo, in cui le forze dominanti
del capitalismo dettano le compatibilit e sono largamente egemoni rispetto ai movimenti operai e a quei
settori minoritari della sinistra (comunista e non) portatori di un progetto alternativo di societ e di
Europa.
Anche nel Parlamento Europeo
(PE), tali compatibilit strategiche sono condivise e presumibil-

75

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

mente lo saranno per una fase non


breve, da un arco di forze che
esprime il 70-80% di tale organismo, mentre i comunisti e le forze
cosiddette della sinistra di alternativa, peraltro assai divisi, con fatica
esprimono un 10%. E la situazione
nel prossimo PE non sembra certo
destinata a migliorare, anzi.
E vero che, in conseguenza della
politica di Bush, sono emerse
nellUe, nella Nato e nei rapporti
con gli Usa divisioni profonde sulla
guerra allIraq e sulla politica estera
unipolare degli Usa e che tali divergenze sono destinate a durare nel
tempo (e non saranno certo i comunisti a sottovalutare la necessit
di sfruttare ogni contraddizione interimperialistica per isolare le forze
pi pericolose in materia di pace e
guerra). Ad esempio : in Italia ci
ben chiaro che il governo
Berlusconi un pilastro della politica Usa in Europa e che la caduta
di questo governo e la formazione
di un governo anche moderato di
centro-sinistra creerebbe condizioni pi favorevoli allo schieramento internazionale che si oppone alla guerra infinita. E la
stessa cosa si potrebbe dire per la
Spagna. Ma altrettanto chiaro che
un governo come quello della
Francia di Chirac, o quello della
Germania di Schroeder, nonostante
lapprezzabile atteggiamento critico verso Bush, non sono certo portatori di un progetto alternativo di
Europa, e si muovono con assoluta
coerenza dentro le compatibilit capitalistiche e neo-imperialiste sopra
descritte a proposito del progetto
Ue, ne sono anzi i pi coerenti sostenitori. Vi , addirittura, da chiedersi : se in Francia vi fosse stato
Jospin al posto di Chirac, la determinazione nella critica alla guerra
Usa in Iraq sarebbe stata altrettanto
ferma?
Le forze progressiste, in primo
luogo i comunisti, che vogliono
unEuropa davvero autonoma dagli
Usa e dal suo modello di societ,
debbono pensare ad un progetto alternativo, che vada oltre lUnione

76

europea e le basi su cui essa venuta


formandosi, dai trattati di
Maastricht alla nuova Costituzione
europea, fino al recente vertice di
Salonicco.
Va elaborato cio un progetto credibile, oggi quasi del tutto assente,
di unEuropa che comprenda tutti
i paesi del continente (anche
Russia, Ucraina, Bielorussia,
Moldavia). Un progetto che:
- sul piano economico contrasti la linea delle privatizzazioni e prospetti
la formazione di poli pubblici sovranazionali (interessante la proposta, in altro contesto, che il presidente venezuelano Hugo Chavez ha
sottoposto a Lula per la formazione
di un polo pubblico continentale
per la gestione delle risorse energetiche, collegato ad una banca pubblica regionale che serva a finanziare progetti di sviluppo e con finalit sociali);
- sul piano politico-istituzionale,
contrasti ipotesi federali volte a
svuotare la sovranit dei Parlamenti
nazionali (si pensi al dibattito sul diritto di veto) e sostenga unipotesi
di Europa fondata sulla cooperazione tra Stati sovrani, non subalterna ai poteri forti delle maggiori
potenze imperialistiche che dominano lattuale Ue, con una comune
e coordinata collocazione di pace e
di cooperazione multilaterale in
campo internazionale (il che suppone che orientamenti di questi
tipo si affermino innanzitutto nei
singoli paesi);
- sul terreno (delicatissimo) della dimensione militare, preveda un
patto di sicurezza e di difesa pan-europeo, alternativo alla Nato, comprensivo della Russia (una sorta di
Onu europea), che gi oggi considerando il potenziale nucleare di
Francia e Russia disporrebbe di
una forza difensiva sufficiente a dissuadere chiunque da unaggressione militare allEuropa. Un patto
di sicurezza, non un esercito Ue, per
cui se un Paese del continente viene
attaccato militarmente, gli altri si
impegnano a venire in sua difesa.
Dunque, un progetto opposto a

Marzo - Aprile 2004

quello di un riarmo dellUnione europea, di una sua militarizzazione


e vocazione imperialistica, volta a
rincorrere gli Usa sul loro stesso terreno.
La tesi di un riarmo dellUe presente anche a sinistra, con largomento in s vero che oggi limperialismo europeo (franco-tedesco) assai meno pericoloso per la
pace mondiale di quello americano.
Largomento giusto, ma sbagliata
e pericolosa la terapia: un riarmo
di questa Ue, un polo dal carattere
chiaramente imperialista, costituitosi essenzialmente attraverso lunificazione del grande capitale transnazionale europeo, dalle istituzioni
ancora non democratiche e completamente altra cosa dai popoli
europei, rischierebbe fortemente di
consegnare alle politiche di espansione economica dellUe un braccio
armato dalla natura aggressiva e neo
colonialista e al governo dellUe un
formidabile strumento di repressione contro le lotte dello stesso movimento operaio e pacifista europeo. Occorre capire che sul piatto
della bilancia oggi pesa molto di pi
questo pericolo che leventuale elemento positivo di una militarizzazione europea in grado di contrapporsi agli Usa. Essenzialmente: i
movimenti operai e i popoli europei, e qualsivoglia progetto di
Europa sociale e democratica, verrebbero colpiti al cuore da una politica di riarmo del continente su
basi neo-imperialistiche. A parte
ogni altra considerazione, chi pagherebbe il costo di una crescita
esponenziale delle spese militari, in
unEuropa neo-liberista dove gi
oggi vengono colpite duramente le
spese sociali? Che fine farebbe quel
poco che rimane dellEuropa del
Welfare?
Il progetto di unaltra Europa non
realizzabile a breve termine.
Richiede lotte, accumulazione di
forze, iniziative politico-diplomatiche lunghe e pazienti; presuppone
una conquista graduale della maggioranza dellopinione pubblica eu-

Marzo - Aprile 2004

ropea e il sostegno di una parte


delle classi dirigenti dei maggiori
paesi del continente, Russia compresa. Su di esso pu realizzarsi nel
tempo una convergenza tra forze
politiche e sociali assai diverse,
dellEst e dellOvest. Su di esso vale
la pena di cominciare a ragionare
in modo meno vago di quanto non
si sia fatto finora, a partire dai comunisti europei. Ma cio presuppone che ci si ponga in modo strategicamente alternativo allUnione
europea. Non nel senso di sostenere
tesi autarchiche, o di chiedere luscita dei rispettivi Paesi dallUe (una
tesi che, almeno in Italia, dove prevale anche a sinistra un europeismo
acritico, non sarebbe compresa).
LUnione europea esiste e va assunta come terreno imprescindibile di iniziativa e di lotta, ma non
ponendosi allinterno delle sue
compatibilit strategiche e della sua
logica (come fa la socialdemocrazia
e anche qualche settore di sinistra
alternativa), ma sempre prospettando un progetto alternativo che
comprenda tutto il continente.
Ci vale anche per le relazioni tra le
forze politiche. Un partito euro-

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

peo della sinistra di alternativa


che nascesse precipitosamente e
senza queste discriminanti strategiche, destinato a determinare divisioni profonde nel movimento comunista europeo unitariamente inteso, e cio comprensivo dei partiti
dellEuropa dellEst, della Russia,
delle repubbliche europee dellex
Urss, dove oltretutto i comunisti
sono assai pi forti e influenti che
in Europa occidentale.
Divisioni tra partiti e allinterno di
molti partiti. Un tale partito europeo rappresenterebbe poco pi
che una variante di sinistra della socialdemocrazia dell Ue, una sua
componente esterna, oltretutto
poco influente. Sarebbe una sorta
di replica su scala Ue di quello che
ad esempio in Grecia il rapporto
tra Synaspismos e Pasok.
Anche sul terreno immediato delle
relazioni internazionali e del rapporto con gli Usa, lUe non pu fare
da sola.
Se vuole reggere il confronto con gli
Stati Uniti ed uscire dalla morsa
della subalternit transatlantica,
deve essere aperta ad accordi di cooperazione e di sicurezza con la
Russia (che parte dellEuropa), la

Cina, lIndia; e con le forze pi avanzate e/o non allineate che si muovono in Africa, in Medio Oriente,
nel Mediterraneo, in America
Latina.

U N E U R O PA

E U R O - A S I AT I C A

E NON EURO - AMERICANA.

Infine, ma in modo solo accennato:


solo una rete di unioni regionali,
non subalterne agli Usa (di cui
lEuropa sia parte essenziale), per
un mondo multipolare, pu modificare i rapporti di forza globali e
condizionare la politica Usa.
Anche sul piano del deterrente militare (convenzionale e nucleare),
la presenza in questa rete di paesi
come Russia, Cina, India, Francia,
Germania, Brasile, Sudafrica
avrebbe una forza tale da poter credibilmente negoziare con gli Usa,
da posizioni di non eccessiva debolezza. Partendo dal fatto che la politica degli Usa, la sua irrefrenabile
pulsione alla guerra , come stato
detto, una lucida follia, che rimarrebbe per solo follia, follia
pura, se gli Usa dichiarassero guerra
al mondo intero.

77

Marzo - Aprile 2004

Theresis

Diversamente dalle previsioni di Marx ed


Engels, le prime esperienze socialiste
non si sono affermate nei Paesi capitalistici sviluppati.

Note sulla
transizione
al socialismo

di Fausto Sorini

PIANO E MERCATO, PUBBLICO E PRIVATO, ECONOMIA MISTA: SU


QUESTI TEMI SI CONCENTRA LA RIFLESSIONE CONTEMPORANEA E LA
SPERIMENTAZIONE PI AVANZATA DEI COMUNISTI SULLA TRANSIZIONE

Tutta la riflessione di Marx e di


Engels legata allidea che il socialismo si sarebbe affermato innanzitutto nei paesi capitalistici pi sviluppati. Dove cio sarebbe stato il
capitalismo stesso, nel suo stadio
pi avanzato di sviluppo, a risolvere
problemi quali l'efficienza della
produzione, l'aumento della produttivit del lavoro, il dinamismo indotto dalla concorrenza e dal mercato, l'innovazione scientifica e tecnologica. Affermandosi in questi
paesi, nei punti alti dello sviluppo,
il socialismo avrebbe poi trainato il
resto del mondo, le colonie, i paesi
pi arretrati dal punto di vista dello
sviluppo delle forze produttive.
Marx legava la possibilit del superamento della produzione mercantile (prevedibile in una fase avanzata della transizione al comunismo) non soltanto allesistenza
della propriet sociale, ma anche ad
un elevatissimo livello di sviluppo
delle forze produttive e dellautomazione del lavoro, in cui luomo
avrebbe partecipato sempre meno
direttamente alla produzione materiale. Ci avrebbe dovuto avere
come presupposto uno sviluppo
della scienza e della tecnica, ad un
livello che ancora non stato neppure oggi raggiunto in alcuna parte
del mondo. E che certamente non
era proprio delle prime esperienze

78

di tipo socialista sperimentate nel


900, n di quelle ancora in corso,
ma che appartiene ad un loro lontano futuro.
Marx dir una volta (cito a memoria) : il socialismo richiede un alto grado
di sviluppo delle forze produttive e della
ricchezza sociale : altrimenti si socializzerebbe solo la miseria e ricomincerebbe
la lotta per la vecchia merda!
E assente in Marx e in Engels, al di
l di qualche cenno frammentario,
privo di pregnanza teorica generale, una riflessione sistematica
sulla eventualit e sulle problematiche di una transizione al socialismo
che possa iniziare nei paesi pi arretrati.

LE N I N

E LA

NEP

2) Fu Lenin - soprattutto negli ultimi anni di vita, quando era ormai


chiaro che la rivoluzione non
avrebbe vinto in Occidente - a misurarsi per primo, sul piano teorico
e pratico, con le problematiche inedite di una "rivoluzione contro il
Capitale". Anche se Lenin, che mor
nel 1924, pot solo abbozzare il problema che si concretizz nella sperimentazione della NEP.
Era implicita nell'approccio leniniano - a volte esplicitamente dichiarata - l'idea che in un paese arretrato, tanto pi dopo la sconfitta

della rivoluzione in Occidente, la


transizione al socialismo non sarebbe stato un processo di breve periodo, e che esso avrebbe visto, nell'economia, la compresenza di
piano e mercato, di pubblico e privato, di elementi di socialismo e di
capitalismo, con l'inevitabile conflitto sociale e di classe che ci
avrebbe determinato. E che il problema del potere politico socialista,
utilizzando gli elementi di socialismo in economia (il settore pubblico), sarebbe stato quello di governare la transizione e di dominare
gli elementi di mercato e di capitalismo, per utilizzarli e guidarli (non
sopprimerli volontaristicamente)
verso un loro graduale controllo e
poi riassorbimento dentro le compatibilit del socialismo.
Ovvero, che toccava al potere socialista, tenendo conto dell'arretratezza della Russia, promuovere e governare alcuni fattori di sviluppo
delle forze produttive che nei paesi
pi evoluti erano stati affrontati e risolti dal capitalismo; evitando al
tempo stesso che essi diventassero
prevalenti e rovesciassero il carattere e la prospettiva socialista della
rivoluzione russa.
Lenin immaginava a tale propositoun processo dai tempi lunghi. E
scriver in proposito : Tra capitalismo e comunismo vi una fase di
transizione che abbraccia una in-

Marzo - Aprile 2004

tera, lunghissima e complessa


epoca storica. In cui, in campo economico, convivono elementi di socialismo ed elementi di capitalismo. Questo periodo sar tanto
pi lungo quanto meno questa societ sviluppata.
Lenin mette in guardia contro le illusioni di facili scorciatoie. La
presa del potere solo il primo
passo di una lunga transizione.
Ovvero : dopo la rottura rivoluzionaria (non vi qui alcuna confusione possibile con un gradualismo
di tipo riformista) il socialismo
vince passando attraverso una lunga
competizione tra elementi di socialismo e di capitalismo, entrambi
presenti nella transizione, e vince
quando i primi prevalgono compiutamente sui secondi.
3) Le circostanze storiche eccezionali e le scelte prevalenti nel gruppo
dirigente bolscevico dopo la morte
di Lenin, imposero un modello di
industrializzazione accelerata e di
forzata collettivizzazione che si cristallizz nei decenni in un modello
statalista integrale, e per molto
tempo le problematiche insite nella
riflessione dellultimo Lenin sulla
Nep furono sostanzialmente rimosse. Riemersero qua e l, in
modo frammentario, nel dibattito
sulla riforma economica degli anni
'60 (nell'Unione Sovietica, in alcuni
paesi dellEst europeo), ma non
riuscirono mai, in quel periodo, a
tradursi in un progetto organico di
riforma.
Mentre il guevarismo a Cuba e il
maoismo e la Rivoluzione culturale
in Cina spingevano in direzioni opposte, ponendo laccento sul fattore
soggettivo.
4) Per la verit, una riflessione di
grande interesse emerge nel movimento comunista, appena dopo la
2 guerra mondiale, a proposito
delle cosiddette democrazie popolari nei paesi dellEst europeo. In
un lungo saggio su Rinascita (la rivista teorica del Pci) del giugno
1947, che si intitola : Che cosa la
democrazia di nuovo tipo, (un te-

Theresis

sto che varrebbe la pena di riprendere analiticamente) leconomista


e rivoluzionario ungherese Eugenij
Varga (quadro storico dellInternazionale comunista, uomo di fiducia
di Stalin, certamente non un eretico) scrive :

D EMOCRAZIA

DI NUOVO TIPO

Il regime sociale di questi stati si


differenzia da tutti gli stati da noi conosciuti finora : qualcosa di assolutamente nuovo nella storia dellumanit.In essi esiste il sistema della propriet privata sui
mezzi di produzione; ma le grandi
imprese industriali, il trasporto e il
credito sono nelle mani dello stato
e lo stato stesso e il suo apparato di
repressione non servono gli interessi della borghesia monopolistica,
ma gli interessi dei lavoratoriCon la nazionalizzazione dei
principali mezzi di produzione e col
carattere stesso di questi Stati sono
state gettate le basi per il loro passaggio al socialismo. Essi possono,
mantenendo il potere statale attuale, passare gradualmente al socialismo sviluppando sempre pi le
organizzazioni di tipo socialista che
gi esistono accanto alle aziende
mercantilie capitalistiche che
hanno perso la loro posizione preminenteCos la struttura sociale negli Stati democratici di
nuovo tipo non la struttura socialista, ma una nuova forma originale
di transizione. Le contraddizioni tra
le forze produttive e i rapporti di
produzione si attenuano man mano
che aumenta il peso specifico del
settore socialista.
Quello che si prefigura qui dunque un processo di transizione nellambito di una economia mista,
con un potere politico orientato al
socialismo.
5) La stessa problematica si ritrova
anche nella elaborazione del Pci di
quegli anni sulla democrazia progressiva e sulla via italiana al socialismo. Nella Dichiarazione programmatica varata nel 1956 dall8 con-

gresso, si pu leggere :
La costruzione di una societ socialista deve prevedere, data la struttura economica italiana, tanto la
protezione e lo sviluppo dellartigianato, quanto la collaborazione
con una piccola e media produzione che, non avendo carattere
monopolistico, pu trovare in un regime socialista condizioni di prosperit per lunghi periodi, prima
del passaggio a forme di produzione superiori, sempre sulla base
del vantaggio economico e del libero consenso.
Come si vede gli spunti non mancano, ma anche qui, per diverse ragioni(oggettive e soggettive), a partire dal condizionamento operato
dalla guerra fredda e dalle rigidit
politiche e ideologiche che essa
porta inevitabilmente con s, il tutto
non si trasforma in una riflessione
e soprattutto in una sperimentazione organica. E anche le nuove intuizioni riguardanti la transizione al
socialismo nelle democrazie popolari,
vengono riassorbite dentro lallineamento di campo al modello
sovietico e alla nuova militarizzazione delle relazioni internazionali,
imposta dallimperialismo e dalle
minacce di una nuova guerra (nucleare) contro lUnione sovietica e
il campo socialista.
6) L'originalit delle riflessioni che
si affermano nel Partito comunista
cinese nel 1978, dopo la morte di
Mao e la sconfitta della "banda dei
quattro", sta proprio - a mio avviso nella forte riproposizione, attualizzazione e sistematizzazione del temi
sollevati da Lenin nella Nep, sia
pure nell'ambito di una riflessione
che parte dal contesto cinese, senza
pretese generalizzatrici, senza la velleit di indicare un modello.
Sono riflessioni che vengono da lontano.
Il nuovo gruppo dirigente cinese riflette sul fallimento del "soggettivismo" e del "volontarismo" economico della Rivoluzione culturale,
ma ha ben presente anche la stagnazione economica che comincia
a caratterizzare il sistema sovietico.

79

Marzo - Aprile 2004

Theresis

Si afferma il tentativo di un primo


bilancio critico complessivo dell'esperienza del socialismo reale in
economia, che trover ulteriore incoraggiamento e impulso con il fallimento della perestrojka gorbacioviana.
L'idea guida che la crisi del socialismo reale prima di tutto economica, di difficolt a reggere la competizione economica e tecnologica
con i paesi capitalistici pi sviluppati. Per cui, se il socialismo non riesce a reggere tale sfida, esso destinato a soccombere. E cos pure se
esso non riesce a reggere la sfida
della modernizzazione capitalistica
e della competizione mondiale, a
cui non realistico pensare di poter sfuggire con economie chiuse,
semi-autarchiche, n con forme di
esasperato protezionismo; tanto pi
in paesi ancora in via di sviluppo,
come la Cina.
E quindi le societ di ispirazione socialista sopravvissute al crollo del sistema sovietico, devono trovare le
forme adeguate per introdurre elementi di forte dinamizzazione nello
sviluppo delle forze produttive, imparando anche dalle esperienze pi
avanzate dei paesi capitalistici, utilizzandole e assumendone quegli
aspetti che possono rivitalizzare il
processo di costruzione socialista.
Tanto pi se esso avviene in paesi ancora in via di sviluppo, come appunto la Cina. Dove, secondo lapproccio denghista, il processo di costruzione del socialismo comporta
un lungo processo di transizione,
destinato a durare per una lunga
fase storica, prima di pervenire ad
una societ socialista sviluppata degna di questo nome, che possa credibilmente proporsi la realizzazione compiuta degli obiettivi e
delle finalit di ci che da Marx in
poi chiamiamo "comunismo".
7) A chi con impazienza obbietta sul
loro millenarismo, i comunisti cinesi rivolgono garbatamente linvito a non scambiare i desideri con
la realt e replicano che anche la
formazione delle societ capitalistiche pi evolute il frutto di un

80

lungo processo storico di transizione durato alcuni secoli; e non si


comprende per quale magia la costruzione compiuta del socialismo
su scala mondiale, e segnatamente
nei paesi pi arretrati, dovrebbe avvenire in tempi brevi.
Anzi, l'obiezione che si avanza all'insieme della riflessione teorica
del movimento comunista del novecento proprio quella di averlo
considerato, volontaristicamente,
come il secolo della crisi generale e
conclusiva del capitalismo e della
vittoria finale del socialismo.

TEMPI

LUNGHI

Il processo di transizione al socialismo su scala mondiale si invece rivelato, alla luce dellesperienza storica, assai pi lungo e tortuoso di
quanto non fosse nelle concezioni
e previsioni dei fondatori del socialismo scientifico e dei maggiori
esponenti del movimento comunista del 900. I quali, tutti, pi o meno
esplicitamente e a partire da concezioni e strategie molto diverse (coesistenza pacifica, rivoluzione nel
terzo mondo, inevitabilit di una
terza guerra mondiale, ecc) ritennero che il 20 secolo avrebbe visto la crisi risolutiva del sistema capitalistico e la vittoria del socialismo
su scala mondiale (chi attraverso la
competizione pacifica, chi attraverso la rivoluzione del Te r z o
Mondo, chi attraverso un nuovo
conflitto mondiale): con una sottovalutazione, alla prova dei fatti,
delle potenzialit espansive, di sviluppo e di auto-regolazione del sistema capitalistico e una sopravvalutazione delle potenzialit delle
prime esperienze storiche di transizione.
La transizione va dunque intesa
come un lungo processo storico,
ricco di fasi intermedie di avanzata
e arretramento.
Va superata lidea di una societ socialista come cristallizzazione di una
fase intermedia ma conchiusa della
transizione, con proprie leggi generali staticamente intese, sempre

pi omogenea e priva al suo interno


di contraddizioni anche antagoniste, cos come per decenni - soprattutto negli anni 60-70 - il socialismo sovietico (con un approccio assai poco marxista) ha rappresentato
se stesso, coniando - nellera brezneviana - la nozione di societ socialista sviluppata.
8) Per quanto sia problematico fare
delle previsioni (chi avrebbe potuto, 20 anni fa, prevedere lampiezza, la radicalit e la rapidit dei
sommovimenti che di l a poco
avrebbero investito i paesi del socialismo reale?), credibile ritenere che il sistema capitalistico abbia
prolungato di molto la propria soglia storica di sopravvivenza (Fidel Castro).
Per cui la fase non contingente che
si apre innanzi a noi non si presenta
come quella della crisi generale e
conclusiva del capitalismo (n, peraltro, come quella di una sua stabilizzazione organica e permanente), bens come una lunga e
complessa fase, di acuti conflitti sociali e politici, in cui gli ineludibili
antagonismi di classe e di sistema
continueranno ad operare e ad intrecciarsi con esigenze e possibilit
nuove di costruzione di equilibri
pi avanzati.
Il problema fondamentale quello
di chi guider nei prossimi decenni
la crescente interdipendenza delle
relazioni mondiali, se i gruppi dominanti dellimperialismo e di
grandi potenze imperialiste, o se invece sapr crescere una convergenza internazionale di forze progressive, popoli, Stati non omologati al dominio imperialistico, capaci di incidere e condizionare levoluzione del mondo. Per non parlare della eventualit di scenari assai pi catastrofici, da terza guerra
mondiale, che non possono essere
aprioristicamente esclusi.
9) Si tratta inoltre di superare una
concezione per cui la crisi del socialismo sovietico avrebbe sostanzialmente la sua origine in un deficit di democrazia politica (che pure
vi fu). Il fallimento della pere-

Marzo - Aprile 2004

strojka, da un lato, e la rivitalizzazione di esperienze di transizione


come quella cinese o vietnamita,
dallaltro, evidenziano invece la
centralit delle questioni strutturali, del modello di sviluppo, delle
forme di propriet e di gestione dei
processi produttivi; senza che ci
conduca ad una rimozione delle altre.
10) Le esperienze di costruzione del
socialismo che hanno segnato la storia del XX secolo, hanno messo in
luce in proposito limiti profondi e
strutturali di un modello, che per
decenni ha avuto come assi portanti:
la statalizzazione pressoch integrale della vita economica e sociale
e il mancato riconoscimento del
ruolo non marginale del settore privato nella transizione, tanto pi nei
paesi ancora alle prese con problemi primordiali dello sviluppo a
causa della loro arretratezza;
una pianificazione rigidamente
centralizzata e gerarchica e un dirigismo aziendale che ha sostanzialmente escluso i lavoratori (i produttori) dalla partecipazione responsabile alla gestione delle unit
produttive e alla elaborazione democratica del piano, determinando
una oggettiva separazione dei produttori dai mezzi di produzione
(statalizzazione senza socializzazione);
linadeguatezza di un sistema di
incentivi (per i singoli, per le im-

Theresis

prese, per i collettivi aziendali), capace di premiare quantit, qualit e


spirito di iniziativa del lavoro
umano.
Tali problematiche sono in ultima
analisi riconducibili alla grande
questione del rapporto tra piano e
mercato, tra economia pubblica e
privata, con una presenza del settore pubblico che sia sufficiente
per estensione, qualit ed efficienza
ad orientare le scelte strategiche
dello sviluppo.

ECONOMIA

M I S TA

E TA R N S I Z I O N E

Si tratta cio di riconoscere il ruolo


di un mercato socialista (definizione tutta da riempire di contenuti
e concrete sperimentazioni) per
una lunga fase di transizione, prima
del passaggio a forme pi avanzate
di socializzazione, oggi non prefigurabili. Un tema questo che oggi
al centro del dibattito di quasi tutti
i maggiori partiti comunisti al
mondo, siano essi al potere, al governo o allopposizione. Da questo
punto di vista, per fortuna, lo stato
prevalente del dibattito, assai arretrato e superficiale, nel movimento
comunista dellEuropa occidentale
di matrice post-eurocomunista, non
fa testo. Mentre sono di grande interesse le sperimentazioni economiche differenziate in pieno svolgimento in paesi come Cuba,
Vietnam, Cina, Corea..., sulle quali

sarebbe assai presuntuoso e incauto


pretendere di dare valutazioni conclusive.
11) Rispetto ad alcune tesi liquidatorie dellesperienza storica del socialismo del 900, vorrei ricordare
quello che ha detto recentemente
in una intervista il presidente del PC
giapponese, Tetsuwo Fuwa (che
pure un liquidatore feroce dellesperienza sovietica); e cio quanto
sia oggi ancora prematuro fare un
bilancio del 20 secolo in relazione
al socialismo.
Nel 20 secolo lUrss e i paesi
dellEuropa dellEst non sono stati
gli unici paesi ad abbandonare il capitalismo per diventare paesi socialisti. Al contrario, in termini di popolazione sono solo una minoranza
tra quei paesi che hanno tentato di
costruire il socialismo.
(Precisamente : su circa 1 miliardo e 800
milioni di esseri umani che nel secolo
scorso hanno intrapreso la costruzione
del socialismo, un miliardo e 500 milioni ancora ci stanno provando, e rappresentano poco meno di un quarto dellumanit intera - NdR).
Ho visitato la Cina e il Vietnam. A
seconda delle strade che percorreranno nel 21 secolo per diventare
paesi socialisti e dei risultati che otterranno, la valutazione del 20 secolo in relazione al socialismo sar
molto diversa. E infatti troppo presto per trarre un bilancio del 20 secolo, basandosi solo sulla fine
dellUnione Sovietica e dei sistemi
dellEuropa orientale.

81

Marzo - Aprile 2004

Theresis

Ha ragione chi, come Rossana


Rossanda, ricorda che la violenza
non solo guerra, ma anche
sfruttamento del lavoro, precarizzazione
della vita, alienazione della persona,
discriminazione di razza, disparit
di opportunit, subordinazione di genere

Sulla questione
della violenza

di Mario Tronti

ALLORDINE DEL GIORNO NON VI PU ESSERE UN ULTERIORE


AUTOCRITICA AL MOVIMENTO OPERAIO, MA LA CRITICA
DEL CAPITALISMO CONTEMPORANEO

o non ho capito perch si sia sollevato adesso questo discorso su violenza e non violenza allinterno
delle tradizioni e delle politiche
della sinistra. Non ne ho capito n
la necessit n lurgenza. Mi pare ci
siano cose ben pi importanti e
pressanti su cui confrontarsi e su cui
decidere. Ad esempio lanalisi della
fase che attraversa il capitalismo italiano, nellattuale orizzonte europeo e mondiale. E qui dentro, la ricerca delle forze soggettive in grado
di contestarne indirizzi e sviluppi,
derive e decadenze. E poi, lanalisi
del sistema politico italiano, istituzioni e partiti, fuori dellossessione
berlusconiana e pi addentro alle
contraddizioni strategiche della politica contemporanea: per offrire soluzioni ai problemi quotidiani e di
prospettiva della nostra gente e per
cambiare, dal fondo, la logica delle
cose presenti. Qui mi pare ci sia lurgenza e la necessit, e si parla invece
daltro, correndo dietro, in modo
subalterno, a temi mediatici di opinione.
Ma vediamolo ancora per un momento, e chiudiamolo, il problema
della violenza nella storia. Tra laltro, come dibattito, partito male.
Perch ha assunto subito limmagine dellennesima offerta di autocritica sul passato del movimento
operaio, soprattutto novecentesco,
che ormai ha una cos vasta lettera-

82

tura, da non aver certo bisogno di


un capitolo aggiuntivo. Ma davvero
lerrore fondamentale del movimento operaio stato quello di aver
militarizzato le proprie pratiche politiche? Io credo, anche qui, che altri siano stati gli errori del nostro
Novecento. La bella stagione del
marxismo occidentale degli anni
Venti, quella del giovane Lukcs e
di Korsch, non stata sufficiente per
rovesciare il processo di impoverimento dogmatico di tutta lanalisi
marxista dentro la costruzione del
socialismo in un paese solo. Le conseguenze sono state pesanti: il rapporto di produzione non capitalistico non decollato, la costituzione
dello Stato operaio non si data, la
forma del partito al potere degenerata. Di qui, conseguenze negative a catena su tutto il resto del movimento comunista mondiale. Qui
ci furono le scelte sbagliate, anche
se profondamente condizionate dal
contesto storico. La pratica, e il linguaggio, della violenza non furono
nemmeno delle scelte, semmai delle risposte. Si dimentica che c stato
qualcosa, opportunamente chiamato et delle guerre civili europee e mondiali, aperta nel 1914 e
chiusa non nel 1945, ma nel 1989,
anzi, secondo me, nel 1991. Se la caduta del muro di Berlino la data
simbolo, il crollo dellURSS la data
storica che segna la fine di quellet,

anche se unaltra diversa et delle


guerre si riapre subito dopo.
Su questultimo punto c da fare
una riflessione. Il concetto di
guerra infinita il programma politico, considerato infamante, dei
neoconservatori oggi al governo negli USA. In realt la prassi politica
del capitalismo moderno. I ceti borghesi di governo democratico-progressisti lo mascherano ideologicamente con parole pi accettabili.
Ultimamente lhanno ad esempio
chiamato guerra umanitaria. In
altre fasi, o epoche, hanno tentato,
o tentano ancora, specificatamente
in Europa, di continuare la guerra
con altri mezzi, economici, finanziari, sociali. Ma quello : stato di
guerra permanente. Il capitalismo
un sistema del disordine: questo
la forza del suo sviluppo e al tempo
stesso il male della sua esistenza.
Impone ordine politico, quando
pu, con la cattura del consenso, attraverso le istituzioni liberaldemocratiche; quando non pu, con il comando assoluto, come stato nellet dei totalitarismi e come nelle
situazioni di confine, pi arretrate
e meno manovrabili. La scelta della
violenza, quando e come fa comodo, sta tutta da questa parte. E ha
ragione chi, come Rossana Rossanda, ricorda che la violenza non
solo guerra, ma anche sfruttamento del lavoro, precarizzazione

Marzo - Aprile 2004

della vita, alienazione della persona, discriminazione di razza, disparit di opportunit, subordinazione di genere. Il capitalismomondo, cio la cosiddetta mondializzazione, perpetua, stabilizza, aggrava questa scelta di violenza diffusa. Non c nessuna meraviglia in
questo. Se ne pu meravigliare soltanto chi crede che lattuale rapporto di produzione, di scambio, di
consumo, possa effettivamente armonizzarsi con una societ di individui liberi e di cittadini autonomi.
Il rapporto di capitale poggia su una
societ divisa, su inconciliabili interessi di parte, che non possono che
essere tra loro in conflitto. Come si
fa a parlare di violenza e non violenza a prescindere da questo contesto storico di fatto?
Il movimento operaio ha risposto
alle condizioni in cui si trovato ad
operare con una grande storia di
lotte e di organizzazione. Le forme
proposte, le forme scelte, sono state
al suo interno diverse. E anche su di
esse c stata inevitabile lotta. Io
penso che oggi bisognerebbe farsi
eredi di tutta intera questa storia.
Non ricomporre ci che stato separato, ma superare, andare oltre,
le rispettive tradizioni. Perch oggi
il pericolo maggiore con un intento pi o meno apertamente dichiarato di fuoriuscire da questa
storia, nel senso di abbatterla, di azzerarla, con varie mosse, o di archiviazione o di demonizzazione. Si ritorna allovile democratico-progressista, da cui, con lopera di Marx
e prima ancora, con le lotte sulla
giornata lavorativa, lesistenza proletaria era gi definitivamente
uscita. unoperazione di restaurazione, per una sorta di capitalismo
senza operai o, ed la stessa cosa,
con operai senza fabbrica. Fuori del
rapporto di capitale rimarrebbe
solo o la gente, mediaticamente
integrata, oppure la moltitudine
selvaggiamente in rivolta. Contro
tutto questo, si tratta, a mio parere,
di ricostruire il filo di una storia
lunga, quella delle classi subalterne,
con lirruzione in essa del soggetto
operaio, che rovescia la subalternit

Theresis

in volont di liberazione umana,


con lorganizzazione della propria
forza in alternativa alla violenza capitalistica. Questo filo va ripreso, riallacciato e continuato. Dopo il passaggio operaio, la storia delle classi
subalterne non pi quella di
prima. Esse devono farsi classi potenzialmente egemoni, in grado di
dirigere i grandi processi di mondializzazione sia delleconomia che
della politica, indirizzandoli ad altri
fini, di utilit collettiva, di interesse
pubblico, producendo cultura alternativa di governo e pratica di
azioni positive. Per questo per
necessaria la condizione preliminare di un mutamento, se non di un
rovesciamento, dei rapporti di forza
allinterno delle strutture di potere.
Come si realizza questa condizione?
la non violenza il nuovo strumento di questa realizzazione?
Se ponessimo il problema in questo
modo, gi la discussione farebbe un
passo avanti. Pu darsi che ci sia
stata una contraddizione tra mezzi
e fini nel nostro passato novecentesco. ben detta nei tanto citati versi
di Brecht: noi, che volevamo portare nel mondo la gentilezza/ noi,
non potemmo essere gentili. Il che
vuol dire: non noi ci siamo militarizzati, noi piuttosto siamo stati militarizzati. Costretti alla guerra di
classe, nellet in cui tutto, a cominciare dalla politica, era solo
guerra. La scelta dei mezzi riguarda
lefficacia dellazione. Domando a
tutti se si poteva essere non violenti,
non dico negli anni Trenta, ma negli anni Cinquanta, con il mondo diviso in due blocchi militari contrapposti, in uno stato di guerra civile interna e internazionale.
Qualche singola figura, rispettabile,
di pacifista integrale c stata, ma
come testimonianza di verit, non
come organizzazione di una lotta. E
l dove la non violenza ha vinto,
come nella conquista dellindipendenza di un sia pur grande paese,
era perch quel processo andava comunque, l come in altri luoghi, a
vincere nel tempo. Ma andate a toccare, allora come oggi, il rapporto
di classe e vedrete se la pratica della

non violenza serve a minimamente


intaccare il livello esistente di potere.
Questo per limmediato passato.
vero che oggi le cose si pongono in
modo diverso. Ma si tratta, secondo
me, non di un diversit radicale, tale
da rovesciare i termini storici del
problema. in atto un mutamento
nelle forme della guerra. E non da
oggi. Il passaggio fondamentale
stata la scoperta e lutilizzazione dellarma totale, quella s di distruzione di massa. Latomica ha concluso una guerra mondiale e ne ha
aperta unaltra, in altra forma. La
guerra fredda prevedeva tante
guerre, locali, ma condotte da potenze mondiali. Questa forma della
guerra si andata ripetendo fino ad
oggi. Con una novit intervenuta
negli ultimi anni: una delle potenze
mondiali, il terrorismo, non risulta
pi strutturata in unalleanza militare di Stati, di nazioni, con eserciti
regolari, a loro volta regolati da sia
pur formali norme di diritto internazionale. La guerra non solo ha
cambiato forma, ma non pi
messa in forma. A tal punto che la
risposta al terrorismo acquista anchessa un carattere terroristico.
Che cos la guerra preventiva se
non un atto di terrore messo selvaggiamente in atto dallalto
dellImpero? Qui la scelta della non
violenza pu conquistare un senso.
A due condizioni. Se si accompagna
a un richiamo forte alla soluzione
politica dei conflitti in campo. E se
questo richiamo ha veramente la
forza di farsi sentire. Un ritorno di
politica internazionale, un nuovo
primato della politica estera, una sovranazionalit ormai dellinteresse
pubblico, devono essere non predicati ma imposti allarroganza del
potere unico da una dimensione
mondiale di potenza, che non pu
essere quella sola dei pacifisti, ma di
tutti i movimenti di lotta che mettono in questione lattuale organizzazione sociale e i presenti equilibri
politici del pianeta.
Attenzione. Come la violenza non
riducibile alla guerra, cos il capitalismo non riducibile a guerra. Se

83

Theresis

vero che la violenza, su base capitalistica, si esprime in tanti modi,


anche vero che c una sorta di
modo non violento del capitalismo.
Lo Stato di diritto nato qui, lo Stato
sociale anche, quello che oggi si
chiama politicamente corretto
pure, e cos la tolleranza del diverso,
il rispetto delle norme, e il famoso
pluralismo culturale e il multicentrismo internazionale. Tutte dimensioni dellorizzonte borghese,
non da esso pacificamente acquisite, ma ad esso imposte da lotte, da
mobilitazioni, da spinte di movimento, anche da iniziative di partito. Le componenti classiche del
movimento operaio, sia quella socialdemocratica che quella comunista, hanno sempre considerato
pi favorevoli al conflitto di classe le
condizioni avanzate: meglio il terreno sociale del capitalismo pi sviluppato che quello pi arretrato,

meglio il terreno politico liberaldemocratico che quello totalitario. In


questo coerentemente sono state
grandi forze motrici di progresso e
di libert. Negli ultimi decenni accaduto che la sinistra, nelle sue maggioranze, con questa faccia bella
del capitalismo si praticamente
identificata. Il processo, gi in atto
prima, si accelerato e quindi concluso con il crollo dellURSS. La cosiddetta fine del comunismo internazionale ha portato quel che restava delle socialdemocrazie a definitivamente abbandonare qualsiasi
opzione socialista. la prova che il
movimento operaio era qualcosa di
unico, cosa che la sinistra attuale
non riesce ad essere. Senza il comunismo non c lotta per il socialismo. Io chiedo sempre: senza le
guerre di Bush, il capitalismo americano vi andrebbe bene? La stessa
domanda qui da noi: tolto di mezzo

Marzo - Aprile 2004

Berlusconi, tutto il resto andrebbe


a posto?
Ecco perch il tema allordine del
giorno non lautocritica del movimento operaio, ma una nuova critica del capitalismo contemporaneo. lanalisi, la ricerca, la riorganizzazione delle forze di contrasto
allinterno del suo mondo. la ricomposizione di una prospettiva
strategica, che leghi il passato al presente e il presente al futuro. Non basta dire: un altro mondo possibile.
Bisogna dire: come vogliamo che sia
fatto questo nuovo mondo. Rendere visibile, afferrabile, praticabile
lalternativa e fare serio, maturo, necessario lantagonismo. Solo questo
tipo di lavoro, pratico e teorico, pu
ricaricare la speranza, motivando le
azioni e mobilitando le coscienze.
La violenza diventa inutile quando
si ha abbastanza forza e conoscenza
e consapevolezza.

Ricordando Umberto
A un anno dalla sua morte, la redazione de lernesto ricorda con affetto fraterno Umberto Merchiori. A lui va il pensiero di tanti di noi che lo hanno conosciuto, hanno diviso con lui unamicizia solidale che il suo carattere sollecitava e
un impegno militante non comune, tratto identitario di quei comunisti che necessiterebbero di vite lunghissime ma che la
realt dellesistenza materiale non risparmia, neppure allet cos giovane di Umberto. Come succede troppo spesso, anche
lui stato privato, nel modo pi tragico e prematuro, della sua possibilit di farcela, di vedere realizzato il suo bel progetto di mondo diverso. Ma il suo progetto il nostro: lo terremo nel cuore e nella mente, come i tanti, donne e uomini,
giovani e vecchi, comunisti che non ci sono pi ma che ci accompagnano, nella lotta quotidiana che sappiamo indispensabile per chi verr dopo di noi.
Come un anno fa il nostro pugno chiuso si alza per te caro Umberto, con il dolore rinnovato dalla ricorrenza, ma con lo
stesso sorriso che non ci hai mai fatto mancare.

84

Marzo - Aprile 2004

Theresis

La manifestazione, seguita
complessivamente da circa 400
tra compagne e compagni,
ha visto la partecipazione, in veste
di relatori, di figure di spicco della
cultura comunista, della sinistra critica,
dellarea cattolica e del movimento

Il potere,
la violenza,
la resistenza

di Marco Del Toso

26 E 27 MARZO: CONVEGNO DE LERNESTO

i svolto venerd 26 e sabato 27


marzo scorsi, presso la storica casa
della Cultura a Milano, il convegno
organizzato dalla rivista l e rn e s t o
(con la collaborazione del Centro
culturale Concetto Marchesi di
Milano) sul tema Il potere, la violenza, la resistenza. La manifestazione, seguita complessivamente da
circa 400 tra compagne e compagni,
ha visto la partecipazione, in veste
di relatori, di figure di spicco della
cultura comunista, della sinistra critica, dellarea cattolica e del movimento. La serata di venerd 26
stata aperta, e poi coordinata, dal direttore Fosco Giannini, che ha offerto una cornice per la discussione
e ha affermato: La scelta di organizzare una discussione libera, un
confronto aperto tra scuole, pensieri, orientamenti comunisti e di sinistra tra loro diversi , a differenza
ci permettiamo di dire del convegno autoreferenziale recentemente organizzato dal nostro partito a Venezia, rimanda in verit alla
natura politica e culturale stessa
della nostra rivista, lernesto, una rivista che vuol dare il suo contributo
al rilancio di una teoria e di una
prassi comuniste, antimperialiste e
anticapitaliste; il rilancio di un progetto che passi innanzitutto attraverso lanalisi critica del capitalismo
contemporaneo e che non faccia n
della nostalgia n del liquidazioni-

smo delle nuove e false coscienze,


ma punti alla definizione di una
identit comunista allaltezza dei
tempi e dellattuale scontro di
classe.
Dopo lintroduzione di Giannini si
aperta la tavola rotonda, con una
primo intervento di Claudio Grassi,
seguito dagli intervenuti di Piero
Bernocchi, Rina Gagliardi e Valentino Parlato.
Grassi, dopo aver contestato la spirale guerra-terrorismo, ha ricordato
che la guerra non causata dal terrorismo ma dalla crisi del capitalismo e dalle sue politiche economiche spogliatrici. Dopo aver ribadito
come la guerra alimenti il terrorismo che uccide lidea di trasformazione sociale e anche per questo
avversato dai comunisti, ha poi
messo in luce la differenza tra la critica (necessaria) al comunismo
del 900 e la sua condanna totale,
che cancellerebbe la stessa storia
dei comunisti rendendoli senza futuro. Soffermandosi poi sulla legittimit della resistenza irachena ha
rilevato come sia giunta lora di
avere meno pentimenti e pi forza
nel denunciare le violenza dellimperialismo e dei padroni, dal 900 ai
nostri giorni. Grassi, infine, rammentando lo strapotere dei pochi
centri capitalistici sui popoli del
mondo, ha sottolineato come non

MILANO

possa essere elusa, da parte dei comunisti, la questione del potere.


Bernocchi, dopo aver sottolineato
come non vi sia alcuna emergenza
violenza nel nostro paese, si dichiarato stupito della condanna in
astratto della violenza, che significherebbe, in ultima analisi, la rinuncia alla lotta da parte dei popoli
e ad ogni trasformazione rivoluzionaria.
Rina Gagliardi si soffermata sullopzione politica della non violenza circoscrivendone la validit al
qui e ora riconoscendo,inoltre, sia
la difficolt che la necessit di coniugarla allidea e alla pratica del
comunismo. Dopo essersi chiestaperch il movimento operaio nel
corso del 900 abbia perso, ha sottolineato la necessit di compiere
una approfondita riflessione interna ed esterna al partito che indaghi le ragioni della sconfitta. Il
comunismo ha concluso la compagna Gagliardi non pu ridursi a
una nostalgia, qualcosa cio a cui rimanere fedeli. Anche il leninismo,
che non ho mai condiviso, stato
capace di grandi innovazioni.
Valentino Parlato, in dissenso con
Rina Gagliardi (che lha accusato
bonariamente di continuismo), si
interrogato sul perch delloperazione politica relativa alla non violenza compiuta dal gruppo dirigente di Rifondazione. Il pericolo

85

Theresis

ha detto Parlato rompere con


tutta la tradizione comunista.
Luso della forza ha proseguito
talvolta indispensabile e bisogna
stare attenti a non ripetere loperazione che Craxi fece con Proudhon.
Nella giornata di sabato si svolto il
seminario di approfondimento storico teorico che ha visto la partecipazione, fra gli altri, del comandante partigiano Giovanni Pesce, di
dirigenti sindacali come Franco
Arrigoni (FIOM), intellettuali
come Giuseppe Prestipino, Franco
Russo, Andrea Catone, Lidia Menapace, Jos Luis Del Roio, Fausto
Sorini e Alberto Burgio, di militanti
femministe e comuniste come Lidia
Cirillo ed esponenti del mondo cattolico come don Renato Sacco e infine con la lettura dei contributi di
Lucio Magri, Angelo Del Boca,
Giorgio Bocca, Enzo Collotti e Gianni Min.
La giornata seminariale stata aperta dalla lettura dellintervento di
Magri, che ha ribadito la necessit
di un approccio critico con il socialismo realizzato, ma ha anche affermato che occorre reagire ad un liquidazionismo che oggi sta dilagando in tutta la sinistra e che si
rifiuti, perch falsificante, una ricostruzione della storia del 900 e del
movimento comunista che considera luno e laltro come un cumulo
di macerie.
Prestipino ha ricordato, con Croce,
che il giudizio storico deve essere
autonomo, svincolato dalle contingenze politicistiche.
Russo ha affrontato il tema delle vie
del potere, e dopo aver affermato
come Togliatti liquid il leninismo
con lipotesi della via nazionale al
socialismo, si soffermato sulla destrutturazione del potere in Lenin,
mettendo a confronto, in tema di
garanzia dei diritti universali, le
esperienze del potere rivoluzionario e dellassemblea costituente. Per
Russo la diminuzione di sovranit
dello Stato oggi messa in discussione dalla centralit del mercato e
dalla lex mercatoria : oggi ad esem-

86

pio lo Stato e le imprese delegano


alla WTO la regolamentazione del
commercio e occorre porsi il problema del superamento dello Stato
tramite forme di democrazia deliberativa partecipata.
Andrea Catone, dopo aver invitato
ad osservare la questione della violenza nellambito dei rapporti di
produzione(Engels) si soffermato sul concetto di violenza levatrice di ogni societ cos come argomentato nel primo libro del
Capitale di Marx a proposito dellaccumulazione originaria capitalistica della borghesia tramite lesproprio e il ricorso alluso della
forza (Gewalt). Dopo aver messo a
fuoco la natura e la consistenza del
nesso che lega la conservazione degli assetti di potere dati allimpiego
della coercizione e di quella che
Marx definiva coazione extra-economica, Catone ha affermato lindissolubile legame fra capitalismo e
Stato. Infine, dopo aver osservato
che gli uomini fanno la storia in
base alle circostanze che trovano davanti a s e che il proletariato non
pu scegliere da s il terreno di
lotta, ha rilevato come non ci sia
mai stata, per il movimento operaio
italiano, una visione catartica e
purificatrice della violenza, come
invece avvenne nel fascismo.
Fausto Sorini ha svolto una relazione sul tema Violenza, terrorismo e lotta armata nellazione del
Partito Comunista dItalia clandestino nel dibattito che si svilupp
allinterno del partito comunista
alla conferenza di Basilea nel 1928.
Dopo aver esaminato le posizioni di
Ottavio Pastore, Ruggiero Grieco e
Palmiro Togliatti , Sorini ha ricordato la critica di Secchia al terrorismo individuale e la sua indicazione, a nche in dissenso con
Togliatti, di far crescere anche nel
corso di dimostrazioni pacifiche agitazione laddove cera fermento.
Lidia Menapace ha motivato il suo
pacifismo assoluto ricordando alcune forme di lotta non violente efficaci utilizzate dal movimento operaio nel corso della sua storia (scioperi, boicottaggi, occupazioni,

Marzo - Aprile 2004

azioni radicali, spesso illegali, ma


mai violente). Con forte passione civile,ha infine ricordato la natura razionale e volutamente anti-eroica
della resistenza italiana.
Del Roio, ricordando i guasti profondi del neoliberismo in America
Latina, ha severamente criticato
quei settori della sinistra europea
che arricciano il naso quando parlano del Venezuela di Chavez.
Lidia Cirillo, dopo essersi dichiarata
daccordo con una parte della relazione di Grassi, si soffermata sulle
differenze in tema di ricostruzione
di un soggetto di classe: il movimento dei movimenti va accolto
come una positiva novit politica, in
considerazione della sua natura giovanile, internazionale e di critica al
liberismo. Oggi occorrerebbe tentare di riadeguare il partito alla societ senza rimanere una forza meramente identitaria.
L i n t e rvento di Enzo Collotti ha
trattato il tema della vicenda drammatica delle foibe, contestualizzandola storicamente nellambito delle
violenze commesse dai fascisti e dai
nazisti nei confronti delle popolazioni slave dellIstria negli anni
compresi fra il 1939 e il 1944.
Le note di Angelo Del Boca ha ricordato le cifre della resistenza italiana (tratte dal rapporto del generale Clark: 44.ooo morti, 364.ooo
combattenti) ed hanno sottolineato
limportanza di opporsi al tentativo
di mettere sullo stesso piano repubblichini di Sal e partigiani,vittime
e carnefici, in nome di una riconciliazione di tipo revisionistico. Del
Boca ha rammentato nel suo intervento il 60 anniversario ( 20 giugno
1944) delleccidio nazifascista di
Fondotoce (Val dOssola), dove furono barbaramente torturati e poi
trucidati 42 partigiani, e partendo
da tale anniversario il grande storico ha messo in luce lo scarto tra la
grandezza della lotta partigiana e
lattuale fase revisionista.
Don Renato Sacco (con il quale ci
scusiamo per lerrata sintesi del suo
i n t e rvento apparsa su Liberazione, di cui siamo responsabili) ha
raccontato della sua esperienza in

Marzo - Aprile 2004

Iraq e ha messo a fuoco le questioni


che sono alla base della guerra : leconomia, la finanza, il petrolio, gli
interessi dellENI, parlando poi dellesigenza della non violenza , del
perdono e della necessit che abbiamo di liberarci dalla cultura di
guerra che circonda tutta la nostra
vita, concludendo significativamente lintervento con una citazione di Ilario di Poitiers, del V secolo dopo Cristo: Noi non abbiamo
pi un imperatore anticristiano che
ci perseguita, ma dobbiamo lottare
contro un persecutore ancora pi
insidioso, un nemico che ci lusinga, non ci flagella la schiena
ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci cos la vita), ma
ci arricchisce per darci la morte:
non ci spinge verso la libert mettendoci in carcere, ma verso la schiavit invitandoci e onorandoci nel
palazzo; non ci colpisce il corpo, ma
prende possesso del cuore; non ci
taglia la testa con la spada, ma ci uccide lanima con il denaro.
La relazione di Gianni Min ha chiarito come in America Latina luso
della forza sia necessario, sia per
mantenere le conquiste sociali realizzate a Cuba, in Venezuela e in altri paesi, che per difendersi dallaggressione imperialista.
Nel suo intervento Giorgio Bocca,
dopo aver criticato il revisionismo
storico imperante e ricordando la
necessit etica della lotta dei popoli,
si dichiarato in disaccordo con

Theresis

Bertinotti rispetto alla questione


della non violenza. La compagna
Luisa Morgantini, che era invitata al
convegno e non ha potuto parteciparvi per un impegno in Turchia, ha
voluto telefonare da Dyarbakir
(Kurdistan turco) per salutare le
compagne e i compagni e per esprimere ed ottenere un messaggio di
solidariet per Ocalan.
Un saluto ai lavori venuto anche
dal costituzionalista Gianni Ferrara.
Il convegno stato anche caratterizzato dagli interventi delleconomista Joseph Halevi, che ha trattato
il tema Imperialismo Usa e Medio
Oriente e di Jaime Ballesteros, presidente dellOrganizzazione per la
Solidariet ai Popoli dellAsia,
dellAfrica e dellAmerica Latina
(OSPAAAL) e gi vice segretario generale del Partito comunista di
Spagna, che ha affrontato il tema
Assetti geopolitici e guerre imperialiste. Un significativo saluto al
convegno stato portato da Hugo
Ramos Milanes (dellAmbasciata di
Cuba in Italia), da Bassam Saleh
(rappresentante della Comunit
palestinese a Roma) e da Le Vinh
Thu (Ambasciatore della Repubblica del Vietnam in Italia).
Lintervento conclusivo di Alberto
Burgio ha infine ripercorso lo svolgimento dei lavori, ponendone in
risalto lapertura e la ricchezza e soffermandosi su alcuni nodi cruciali
del dibattito. Tre in particolare: la
discussione sulla guerra americana

contro lIraq (a questo proposito


Bugio ha sottolineato come in tutti
gli interventi la rigorosa critica al
terrorismo si sia intrecciata alla problematizzazione di questultimo
concetto, e ha quindi messo laccento sul generale riconoscimento
dellimportanza della resistenza irachena,oltre che della sua legittimit); la questione della non violenza(osservando come quasi tutti i
relatori labbiano affrontata contestualmente al tema dei rapporti di
forza e ricordando che lintera storia recente del movimento operaio
almeno in tutto il second o
Novecento testimonia della consapevolezza della natura disseminata del potere politico); il problema del potere, tematizzato, in
pi di un intervento, nei termini di
una critica della sovranit e della
centralit dello Stato. Riguardo a
tali questioni Burgio ha richiamato
lattenzione sui presupposti analitici di questa critica (a cominciare
dalla ricorrente propensione ad
identificare lo Stato con la specifica
statualit borghese capitalistica) e
sulla subalternit allideologia liberale che essi talvolta tradiscono.
Del convegno verranno pubblicato
gli atti, da prenotarsi presso la redazione de l e rn e s t o ( i n f o @ l e r n esto.it ).

per lernesto e per Liberazione

87

La cultura

Marzo - Aprile 2004

Coloro che vorrebbero liquidare


il novecento come un secolo di barbarie
non tengono assolutamente conto
che tra le tante cose positive
di quel secolo c anche indubitabilmente
lelaborazione di un pensiero critico
della e sulla modernit

Il compito della
critica nellepoca
contemporanea

di Luigi Livio, Docente di Storia e arte dellattore


Universit di Torino e Armando Petrini, R i c e rc a t o re
di Discipline dello spettacolo Universit di Torino

APPUNTI PER LAPERTURA DI UNA DISCUSSIONE SULLA CULTURA


DOMINANTE E SULLESIGENZA DELLA MESSA IN CAMPO DI UNA
CULTURA CRITICA

e poche righe che seguono certo, poche per un argomento cos importante
non pretendono affatto di sviluppare
un pensiero compiuto.
Il loro compito solamente quello di impostare un discorso in un momento in
cui i fondamenti metodologici della critica risultano piuttosto impressionistici
e basati su un concetto di gusto ambiguo che Livio e Petrini si prefiggono
di sviluppare attraverso lanalisi critica concreta di quelle opere che si presenteranno allattenzione dei nostri
giorni. F.G.

La circolazione delle merci, che costituisce la struttura portante della


societ capitalistica, si rispecchia
nei mutamenti legati alla moda in
modo cos profondo che si potrebbe scrivere una storia della
prima indagando le vicende della
seconda. La cosa risulta subito evidente se si prendono in considerazione le oscillazioni del gusto a proposito dei beni materiali, dal momento che la struttura economica
propria del libero mercato non pu
non ricorrere alla sovrastruttura
culturale per favorire il rinnovamento degli scambi delle merci.
Basta pensare a ci che succede ai
beni materiali legati pi direttamente a questioni di ordine estetico
come labbigliamento, larreda-

88

mento, il design delle automobili e


degli oggetti vari, larchitettura, eccetera.
Sul piano culturale le cose sembrerebbero stare in modo diverso ma,
approfondendo il discorso, ci accorgeremo che non stanno poi in
un modo cos diverso. Bisogna per,
a questo punto, distinguere tra cultura propriamente intesa e cultura
antropologica. Il secondo termine
riguarda ci che fa luomo in
quanto uomo: mangiare, dormire,
fare lamore, eccetera. Tutto ci che
fa luomo culturale: ci che lo
distingue dagli animali e, in quanto
culturale, non assolutamente uguale nel tempo: oggi si mangia, si dorme, si fa lamore eccetera in modo
diverso da come lo facevano gli antichi greci e romani: non c quasi
pi nulla che accomuni, da un
punto di vista culturale, appunto, la
cena di Trimalcione, il famoso banchetto descritto da Petronio alla met del I secolo dopo Cristo, ai nostri
affrettati pranzi consumati nei fast
foods. Per cultura propriamente intesa ci riferiamo invece ai prodotti
del pensiero delluomo, allarte,
alla filosofia, alla critica, eccetera;
quellinsieme di pensieri e di tecniche che luomo utilizza per analizzare il proprio essere nel mondo, e
in un certo mondo, in quello in cui
ci toccato vivere.
Quelli culturali, della cultura pro-

priamente intesa, non sono prodotti immediatamente riconoscibili


come materiali, anche se nel grande mercato borghese nulla sfugge
alla mercificazione. La trasmissione
della cultura affidata, infatti, alle
case editrici, agli editori di quotidiani e riviste, allindustria cinematografica, a quella televisiva, al mercato delle arti figurative e a quello
della musica, eccetera: da questo
punto di vista le cose della cultura
stanno nello stesso modo in cui si
realizzano per i beni materiali. Ma
questi sono solo i supporti fisici
che permettono la trasmissione
delle idee. E le idee, in quanto apparentemente sganciate dalla materialit sembrerebbero comportarsi nei confronti della moda in
modo diverso. Il fatto che le cose
non stanno per nulla cos.
noto che Marx ed Engels, che
molto si sono occupati di cultura antropologica, poco si sono occupati
di questioni artistiche. Ma nel novecento una riflessione sullarte
profondamente ispirata ai principi
marxiani, e di questi autentica traduzione nella capacit di mettere a
punto strumenti adeguati per la critica dellarte, quella di Gramsci, di
Brecht e dei Francofortesi (Adorno
e Benjamin). Non certo un caso
che questi pensatori siano oggi passati di moda e quindi siano usciti
da quello che si suole chiamare ca-

Marzo - Aprile 2004

none e cio quellinsieme di nozioni fondamentali costituenti la


base dello spirito del tempo. Coloro
che vorrebbero liquidare il novecento come un secolo di barbarie
non tengono assolutamente conto
che tra le tante cose positive di quel
secolo c anche indubitabilmente
lelaborazione di un pensiero critico della e sulla modernit, che pu
passare di moda soltanto nella misura in cui si intenda eliminare leversivit di quel pensiero in favore
di una accettazione, pur con tutti gli
aggiustamenti del caso, del mondo
cos com.
Risulta quindi evidente che in casi
come questi la moda, proprio come
per ci che riguarda i beni materiali, espressione del potere.
Infatti se c una cosa che il potere
borghese non pu tollerare la critica che ineluttabilmente svelerebbe di che lacrime grondi e di che
sangue quel potere. Ma le cose non
stanno in modo cos schematico, dal
momento che questo potere deve
pur mostrarsi liberale, poich tale si
professa; e quindi ha bisogno non
soltanto di intellettuali servi ma anche di pensatori, che possono essere
anche di alto livello culturale, apparentemente critici. Sui primi non
il caso di dilungarsi: si tratta di un
fenomeno noto a tutti i tempi e a
tutti i regimi, e cio di persone, magari anche molto intelligenti, che
mettono il proprio pensiero e la
propria attivit al servizio dellideologia dominante, che come ci insegna Marx lideologia della classe
dominante.
Pi complicato il secondo caso,
quello costituito da intellettuali che
sono effettivamente portatori di un
pensiero, che per non risulta critico pur mostrandosi come tale. Si
tratta di coloro che elaborano teorie e ipotesi pratiche che non sono
immediatamente riconducibili ai
canoni dominanti in una determinata societ, ma che veicolano, attraverso una certa raffinatezza di
pensiero, tematiche che in realt
non solo non intaccano il potere,
ma, al contrario, servono a rafforzarlo. Un esempio importante po-

La cultura

trebbe essere costituito dal cosiddetto pensiero debole. Lelaborazione di questo ha comportato un
apparente anticonformismo filosofico: il pensiero debole, opponendosi a qualsiasi costruzione metafisica, tende a distruggere tanto il
marxismo come la metafisica vera e
propria, come qualsiasi altro sistema filosofico a base forte; ma il
risultato poi, come sempre, costituito dal suo attacco al marxismo, liquidato tout-court come ineluttabile
stalinismo (in quanto costruzione
filosofica forte non potrebbe, secondo questi pensatori, non sfociare nellautoritarismo), dal momento che la religione (la metafisica vera e propria) si basa sulla fede
e la fede non teme lelaborazione filosofica, mentre il liberalismo trova
la sua realizzazione nellaccumulazione di denaro e pu tranquillamente fare a meno questa volta
non per ragioni spirituali (la fede)
ma per ragioni materiali (i soldi)della filosofia. Ecco cos che lapparente anticonformismo di quei pensatori si rivela come il suo contrario.
Il vero pensiero critico di necessit un esercizio crudele, anche perch nel sottointendere nelle proprie analisi sempre una societ liberata (liberata dallo sfruttamento
delluomo sulluomo e da tutto ci
che questo comporta) spinto da
una terribile sofferenza nel conoscere la societ cos com: la raccolta di pensieri filosofici di Adorno
che porta il titolo di Minima moralia
ha come sottotitolo Meditazioni della
vita offesa. Daltro canto questa meditazione crudele gi tutta contenuta nella famosa formula gramsciana che invita a guardare alla politica con il pessimismo dellintelligenza e lottimismo della volont.
Questa contrapposizione tra intelligenza e volont in qualche
modo disperante, anche se salva la
speranza affidandola a un atto di volizione: lintelligenza, infatti, ci
svela i mali del mondo in cui viviamo
e proprio la crudele disperazione di
questa rivelazione ci spinge a contraddire lesistente attraverso una
prassi politica basata, appunto, sulla

volont che, in un certo senso, si rivolta contro lintelligenza che sconsiglierebbe questo impeto di progettualit scagliato verso il futuro in
opposizione al presente.
La dannazione dellarte, infatti,
nella societ moderna quella di essere costretta, senza possibili alternative, a opporsi a quella che definiamo arte ufficiale, arte ufficiale
che di artistico ha ben poco. Si tratta
di quei movimenti che il potere usa
per veicolare la propria ideologia
che non pu non essere conciliante e rasserenante e, contemporaneamente, spuntare le armi
dellarte vera che , al contrario, inquietante e svelatrice dellideologia. Larte ufficiale, dunque, sotto
qualsiasi regime ha sempre il compito di velare l dove larte svela.
Adorno, nel suo Filosofia della musica
moderna, parlando dellarte ufficiale
ai tempi del nazismo, scrive: Hitler
e Rosenberg hanno deciso le contese culturali allinterno del partito a favore del sogno piccolo
borghese di colonnati, nobile semplicit e calma grandezza: come si
vede Adorno scava con crudelt allinterno di quelli che sono i gusti
dominanti perch ha la perfetta coscienza del fatto che il gusto dominante fino a ora uscito vincitore
dalla contesa con larte di contraddizione, contesa che questultima
potrebbe vincere soltanto grazie a
un ribaltamento della situazione socio-economica. Adorno inoltre, per
opposizione, ha ben presente il
fatto che larte vera contiene in s
una carica rivoluzionaria nello svelare le miserie del mondo in cui viviamo e nel prospettare, se pure in
negativo, una societ liberata.
Hitler, per rimanere a ci che successe allepoca del nazismo, definito da Brecht limbianchino, lo
sapeva molto bene, al punto da definire larte critica come arte degenerata. Le cose non sono cambiate se non, forse, in peggio. Tutto
il fermento artistico, che di solito si
suole definire come avanguardia,
non riuscito a intaccare il gusto dominante, se non offrendo spunti di
semplice ammodernamento attra-

89

La cultura

verso sperimentalismi puramente


formali desunti furbescamente
dalle opere davanguardia. Gusto
dominante che ha il vantaggio, ben
conosciuto dal potere, di non essere
inquietante. Il concetto di divertimento che lepoca e il grande mercato borghese hanno veicolato
quello di affidare allarte il compito
di distrarre luomo dalla fatica quotidiana per rendere sopportabile
linvivibilit della vita, che poi ci
che Marx definiva come alienazione. Questo concetto di divertimento, che serve a riposare luomo dei nostri giorni nel momento
in cui lo separa da se stesso attraverso un sogno impossibile e perci
disumano, molto partecipato
perch facile, e cio veicolato da
una forma immediatamente comprensibile perch la forma dominante: e cio, ancora una volta, lespressione della classe dominante.
In opposizione larte critica costretta, per svelare la corruzione dellarte ufficiale e del mondo, a costruirsi un linguaggio che ha due caratteristiche: 1) quello di non poter
non essere nuovo, dal momento che
si oppone a un linguaggio consolidato e 2) quello di essere rotto, franto, spezzato per mostrare luomo
scisso e alienato. Schnberg, attaccato per linnovazione dodecafonica che mostrava, nella musica,
quella scissione e quella alienazione, in un suo appunto scrive: Ho
sempre trovato sorprendente il
fatto che persone dotate o no di musicalit considerino come qualcosa
di orripilante unottava eccedente o
una settima maggiore, mentre trovano gradevolissimo lascolto di
terze male intonate. Per simili distinzioni costoro non adoperano n
i sensi n il cervello, n gli orecchi

90

n le nozioni: hanno dei principi e


sanno come applicarli. I principi di
cui parla Schnberg sono appunto
quelli del gusto dominante e del
senso comune, che nonostante il
gusto dominante e il senso comune
tentino di fare apparire come naturali, a ben vedere naturali non lo
sono affatto: Di nulla sia detto:
naturale/ in questo tempo di anarchia e di sangue,/ di ordinato disordine, di meditato arbitrio,/ di
umanit disumanata,/ cos che
nulla valga/ come cosa immutabile
(Bertolt Brecht).
Compito di una critica che si muova
nel solco di un pensiero materialistico dialettico quello di mettere
costantemente in luce quella potenzialit rivoluzionaria che si nasconde nelle opere davanguardia e
che viene veicolata da quella forma
di cui abbiamo detto. Da questo
punto di vista chi lavora in questa
prospettiva si propone, come scopo
ultimo di unutopia propulsiva, di
cambiare il gusto dominante, pur
sapendo che ci sar possibile soltanto nel momento in cui luomo
verr liberato dallo sfruttamento di
un altro uomo. Ma ben sapendo anche che il rapporto struttura-sovrastruttura non rigido ma ancora
una volta dialettico, e che la sovrastruttura culturale e artistica ha la
possibilit di preparare svolte e ribaltamenti strutturali. Marx, da
questo punto di vista, chiaro:
Evidentemente larma della critica
non pu sostituire la critica delle
armi, la forza materiale non pu essere abbattuta che dalla forza materiale, ma anche la teoria si trasforma
in forza materiale non appena penetra fra le masse. E tante rozze
schematizzazioni, che leggono la sovrastruttura artistica e culturale

Marzo - Aprile 2004

come direttamente dipendente


dalla struttura economica, si sarebbero potute evitare se si fosse meditato, oltre a quello appena citato di
M a rx, questaltro pensiero di
Gramsci: Non vero che la filosofia della praxis stacchi la struttura
dalle superstrutture, quando invece
concepisce il loro sviluppo come intimamente connesso e necessariamente interrelativo e reciproco. E
anche Mao Tse-tug in opposizione
al materialismo meccanicistico si
espresso in questo modo: Certo le
forze produttive, la pratica e la base
economica, svolgono in generale il
ruolo principale, decisivo, e chiunque lo neghi non un materialista;
ma bisogna riconoscere che in condizioni date i rapporti di produzione, la teoria e la sovrastruttura
possono, a loro volta, svolgere il
ruolo principale, decisivo.
Ovvia, quindi, limportanza da attribuire alla cultura e allarte come
portatrici della possibilit di istituire un nuovo panorama di gusto.
Ma perch questa non sia soltanto
una patetica illusione, necessario
mettere in opera una strumentazione critica che riesca a farsi capire
da chi potenzialmente in grado di
capire pur non essendo ancora arrivato alla coscienza della conoscenza: si tratta di coloro che oggi
sono doppiamente sfruttati: sul loro
posto di lavoro e, culturalmente, attraverso la martellante propaganda
dei mezzi di comunicazione di
massa che strutturano le idee dominanti, nel tempo libero.
Il pessimismo dellintelligenza ci
dice che si tratta di una lotta disperata e disperante cui oggi importante, ancora e sempre nel nome di
Gramsci, opporre lottimismo della
volont.

Marzo - Aprile 2004

La cultura

Ci che resta del pensiero critico


italiano avrebbe insomma molto
da guadagnare riconsiderando
l eredit di Volponi: guardando
dritte in faccia le sue scomode verit,
le sue inusuali congiunzioni e antinomie

Leredit
di Paolo Volponi:
utopia industriale e
invenzione letteraria

di Emanuele Zinato
Curatore, per la casa editrice Einaudi,
dellopera completa di Paolo Volponi

A DIECI ANNI DALLA MORTE DEL GRANDE SCRITTORE URBINATE, UNA


BREVE BIOGRAFIA E UN BILANCIO DELLOPERA

Mi piace chiamarmi Volponi e penso


a l l e roismo della volpe che, presa in
trappola, si morde la zampa pur di
scappare. Io sono cos, non riesco a rimanere chiuso in trappola e mi strappo
la gamba pur di scappare

La smisurata eredit che la cultura


e il pensiero critico italiano potrebbero raccogliere da Paolo Volponi
forse pu essere condensata in poche parole-chiave: autotrascendersi,
fuoriuscire, cercare un varco.
Volponi nato il 6 febbraio 1924 a
Urbino, dove il nonno paterno
aveva fondato una fornace di mattoni. La sua adolescenza, chiusa in
una provincia mezzadrile, sigillata
dalla retorica fascista, trov in quellattivit protoindustriale e nel passato illustre del Montefeltro, dei
varchi, dei punti di fuga. La fornace con la trasformazione delle
crete e con la presenza dei lavoranti,
fra cui erano radicate lideologia
anarchica e quella repubblicana, lasci un segno importante nella formazione del senso di realt di Volponi. Dal canto suo, anche Urbino,
splendido relitto rinascimentale,
al centro di unintera rete di figure
ossessive nellopera narrativa e poetica di Volponi: in lui Citt ideale
e Citt nemica si sovrappongono
di continuo, in un doppio movimento negativo-affermativo di ri-

composizione e deflagrazione.
Nel settembre 1943, ricevuta la cartolina del distretto militare di
Pesaro, prese la decisione di non
servire nellesercito della neonata
Repubblica Sociale Italiana e si allontan da Urbino con una improvvisata formazione partigiana
che si sband dopo il primo scontro
con le pattuglie nazifasciste. Il padre lo nascose nella casa dei nonni
materni a San Savino, da dove
Volponi scapp nel 1944 per raggiunse il fronte e unirsi ai reparti alleati, in compagnia dei quali fece ritorno a Urbino. Limmagine della
citt natale violata dai mezzi corazzati e dal miscuglio multietnico degli eserciti, rappresent il primo
rovesciamento del mondo, lemblema della fine di unepoca, il segno dellavvio di una modernizzazione liberatrice, leggendaria e inevitabile. Lepopea del dopoguerra
spinse Volponi fuori dalla citt natale. Nel momento di uscire da
Urbino, egli laureato in legge e
poeta si configura come unintellettuale del tutto atipico nel contesto culturale quarantottesco: nellItalia stretta dalla restaurazione
clericale e dello zdanovismo insegue una ricostruzione aderente ai
bisogni delluomo, sogna un rinnovamento che immetta in Italia la
spinta innovativa della modernit
industriale valorizzando al con-

tempo tutte le ragioni di un passato


illustre e secolare.
Dopo aver pubblicato le sue poesie
giovanili, con titolo Il ramarro, Volponi lascia Urbino e si impegna, fra
il 1950 e il 1954, in una serie di inchieste sociali in Calabria, in Abruzzo, in Sicilia e in Basilicata a fianco
dellEnte di edilizia pubblica Casas
(Comitato amministrativo di soccorso ai senza tetto) presieduto da
Adriano Olivetti. Questa fuoriuscita
dal grembo della citt natale gli permise di sperimentare sul campo gli
elementi sedimentati fin dallinfanzia e catalizzati dalla Liberazione: il
rapporto citt-campagna, il lavoro,
la progettazione democratica, lindustria. Nel 1954 inoltre, trasferitosi
a Roma per collaborare con il CEPAS (Centro educativo per assistenti sociali) ebbe modo di incontrare
Pier Paolo Pasolini e di frequentare
il gruppo bolognese di Officina
(Roversi, Leonetti, Fortini, Scalia,
Roman).
Alla fine del 1956 fu convocato a
Ivrea per assumere la direzione dei
Servizi Sociali dellOlivetti: allindustria attribu funzioni di progettazione di nuovi mondi, dinvenzione di realt sociali pi avanzate,
non di mero accumulo di profitti.
Rispetto alle accuse di principesco
paternalismo rivolte dalla sinistra di
allora al modello olivettiano,
Volponi si colloc strabicamente: in

91

La cultura

modo pi moderato e al contempo


ben pi radicalmente contestatore.
Dal 1955 Adriano, fortemente avversato da Confindustria, sta attuando una politica di alti salari e di
riduzione dellorario di lavoro. Una
quipe coordinata da Roberto
Olivetti sta inoltre impegnandosi
nel settore pionieristico dellelettronica (in seguito interamente colonizzato dai capitali statunitensi)
in una ricerca che porter, nel 1958,
alla creazione dellElea, il primo
calcolatore italiano. Dunque, mentre alla Fiat di Valletta, gerarchica e
verticale, si istituivano i reparti-confino, a Ivrea continuava a sussistere
un modello di autentica democrazia industriale a cui Volponi partecip con passione. Al contempo,
per, egli delega allambito, intrinsecamente ambiguo, dellinvenzione letteraria la verifica della tenuta del modello di democrazia industrale entro le complesse contraddizioni del miracolo, fuoriuscendo dai canoni documentaristici
del romanzo neorealistico e industriale con una vicenda in prima
persona e con un personaggio dolente, solitario e diviso.
Dopo la pubblicazione di Memoriale
(1962) Volponi diventa un grande
narratore e poeta. Le sue due attivit per il momento si fronteggiano
criticamente, con pari dignit conoscitiva, dividendo zone, tempi e
gradi dellintervento dellautore.
La scelta di un personaggio operaio
nevrotico e visionario funziona
come contestazione corporale, irriducibile a ogni riformismo aziendalistico ma anche eversiva rispetto al sindacalismo e alla politicizzazione. Analogamente, lo smisurato personaggio che dice io nel
secondo romanzo, La macchina mondiale, pubblicato nel 1965, un filosofo-contadino che, nelle forme
monologanti di una lucida follia, riformula in termini premoderni il
rapporto uomo-macchina e ripropone, in modi radicalissimi e stranianti, la questione utopica della
pubblica felicit.
Mentre nasce e si estende nelle fabbriche lesperienza dei consigli, nel-

92

lazienda di Ivrea nel 1971 Bruno


Visentini propone a Volponi la massima carica manageriale. Nelle discussioni immediatamente precedenti laccettazione di quel prestigioso incarico, Volponi ebbe modo
di esporre a Visentini i propri intenti, riconfermando la lezione ereditata da Adriano. Spaventato dalla
carica innovativa del progetto,
Visentini, forse su pressioni degli
azionisti, decise dun tratto di affiancare a Volponi lex ammiraglio
Ottorino Beltrami, stravolgendo in
senso finanziario e aziendalista il disegno democratico volponiano. In
quel preciso momento lOlivetti imbocc la via che, per successivi
piani di risanamento, la condusse
nelle mani di Carlo De Benedetti a
cui, nel 1978, furono sufficienti
quindici miliardi e una vecchia compagnia di pellami trasformata in finanziaria per controllare lazienda.
Volponi rassegn le dimissioni e
usc repentinamente dall azienda.
Questa traumatica espulsione lasci
pi spazio alla conclusione di un
magmatico capolavoro: il romanzo
Corporale (1974), una delle poche
opere della letteratura italiana capace di reggere il confronto col grande romanzo europeo del Novecento. Scritto durante gli anni caldi, a
cavallo del 68, Corporale a prima
vista non sembra riflettere che in
minima parte le tensioni, le speranze e i conflitti di quellepoca.
Eppure il protagonista, un fallito intellettuale di sinistra, vive nelle proprie viscere una duplice lacerazione: psichica e sociale. La sua
paura della bomba nucleare e le sue
incoerenze ideologiche alludono a
una gi avvenuta deflagrazione sociale, quella relativa allavvio del
postmoderno nostrano, col dilagare dei ceti medi e dei consumi culturali di massa, e con lestinzione
dellItalia popolare.
Appresa la notizia dellu s c i t a d i
Volponi dallazienda di Ivrea,
Umberto Agnelli lo invit a Torino
e gli propose la consulenza del presidente della Fiat per i temi del rapporto fra lindustria e la citt e, in
seguito, la segreteria generale della

Marzo - Aprile 2004

Fondazione Agnelli; ma quando,


con un articolo sullUnit, lo scrittore-dirigente rese pubblica la propria decisione di votare per il Partito
comunista, dalla dirigenza Fiat
venne la richiesta di immediate dimissioni: epilogo distruttivo e desolante, che pose definitivamente una
pietra sopra a ogni ulteriore tentativo di autonoma negoziazione intellettuale entro il mondo aziendale.
A partire dallespulsione dalla Fiat,
Volponi accentu il proprio impegno politico, che culminer nel
1983 con lelezione al Parlamento
come indipendente nelle liste del
PCI. I numerosi articoli pubblicati
nella seconda met degli anni 70
sul Corriere su moneta, crisi, costo del lavoro e piano, non consentono di essere letti come mera
invocazione della razionalizzazione
del capitale, entro il quadro liberaldemocratico della supremazia dellimpresa. Le politiche fordiste
subiscono nella pagina volponiana
un processo di spostamento figurale
e finiscono per liberare logiche non
accettate e socialmente represse dal
modo di produzione ormai dominante: in primo luogo quella inerente la contraddizione fra forma
privata dellappropriazione e sua
potenziale socializzazione. In quel
momento nel paese si consumava
inoltre la frattura tra il movimento
giovanile e il PCI, il primo sempre
pi portato verso atteggiamenti sovversivi e disperati, il secondo sempre pi zelante difensore dellordine istituzionale. Il paragone tra i
giovani in rivolta e gli animali in
fuga negli articoli di Volponi del
1977 rende ragione delle nuove figure che andavano coagulandosi
nellimmaginario volponiano alla
vigilia della stesura del romanzo fantascientifico e allegorico Il pianeta
irritabile (1978).
Volponi arriv in Senato nel luglio
1983, eletto nel collegio di Urbino
come indipendente nelle liste del
PCI, e vi port tutta la propria tensione utopica, il suo sogno di buon
governo, celato sotto le maschere
dellimpazienza e dellansia, del

Marzo - Aprile 2004

gioco verbale e della rivolta morale.


Dal 1983, dopo uninvestitura pressoch plebiscitaria, Craxi divenne
presidente del Consiglio fino al 1987.
Spazzati via tutti i movimenti antagonisti, leconomia italiana visse momenti di cieca euforia: si form un
nuovo ceto di arrampicatori, la Borsa
di Milano aument di quattro volte
la propria capitalizzazione, creando
per la prima volta un legame diretto
fra masse di risparmiatori e sorti del
capitale, giunsero alla ribalta nuovi
spregiudicati condottieri come
Raul Gardini nel campo della chimica o Silvio Berlusconi in quello dei
media, e si diffusero a ritmo esponenziale ruberie, malversazioni, truffe,
estorsioni. Volponi fece parte della
Commissione Industria e in seguito
della Commissione Affari Esteri del
Senato. Le sue battaglie pi accanite
furono, nel marzo-giugno 1984,
quella contro il Decreto Legge di
San Valentino, voluto da Craxi, che
tagliava dimperio tre punti di scala
mobile, linvettiva sul Mezzogiorno e
sullunit delle culture nel novembre 1984, la battaglia contro la legge
Russo-Jervolino sulle tossicodipendenze nel novembre 1989, e la lotta
contro la Legge Mamm sui media
nellagosto 1990.
Fin dallespulsione dallindustria
Volponi aveva iniziato ad accumulare
una grande quantit di appunti riguardanti due romanzi di ambientazione industriale, che rivelano la sua
ansiosa capacit di raccontare le convulsioni della societ italiana dal declinare degli anni Settanta in poi. Si
trattava di un progetto narrativo sui
detriti di quella che era stata la centralit operaia, affiancato da unaltra
storia parallela, quella del manager
di unimpresa automatizzata, che trover, con progressive trasformazioni,
la sua veste definitiva nello straordinario affresco de Le mosche del capitale
(1989).
Contemporaneamente, Vo l p o n i
compose i poemetti raccolti in Con
testo a fronte (1986), vero laboratorio
di figure, di cumuli di immagini, interno e contiguo alla stesura dei romanzi. Il referente extratestuale attorno a cui ruotano i poemetti e il romanzo lepica stravolta della riarti-

La cultura

colazione informatica del lavoro e


della globalizzazione.
Gli ultimi anni di coraggioso impegno politico, fra il 1989 e il 1992,
dopo la morte del figlio Roberto in
un disastro aereo a lAvana, sono segnati da una lotta con il dolore anginoso, sempre pi acuto e incalzante.
Nonostante il peggioramento nelle
condizioni di salute, lars praedicatoria volponiana alla fine degli anni ottanta si intensific anche fuori dallaula parlamentare. Divenuto Presidente della cooperativa lettori dellUnit, moltiplic le occasioni di dialogo diretto col popolo comunista.
Nei comizi si spese interamente:
come un tribuno, inesausto, con voce
baritonale, era solito arricchire i propri discorsi di frequenti accensioni
poetiche, digressioni diegetiche, rimandi fonici che incantavano il pubblico e lasciavano sempre limpressione di un limpido, inattuale esercizio della verit. Nel febbraio 1991 a
Rimini, a conclusione dellultimo
congresso del PCI, mentre lUrss si
sgretolava, nacque il Partito democratico della sinistra: Volponi, da pochi mesi iscritto al PCI appositamente per poter prendere parte al
confronto fra le mozioni contrapposte, abbandon il congresso e fu tra
i fondatori del movimento di Rifondazione comunista.
La posizione da lui espressa riguardo
al crollo del comunismo non lascia
dubbi sulla sua schietta diffidenza
per le mode, le banalizzazioni e i luoghi comuni. Noi riteniamo che il comunismo che morto non era il comunismo ma una sottospecie totalitaria e fissa del capitalismo, bloccatosi come ossessione statale. Il comunismo, invece, la sua teoria di liberazione , la pratica di opposizione
ad ogni spreco e alienazione(...)
avrebbe potuto salvare questa civilt.
Solo che questa si fosse mostrata disposta a capire e a dibattere, a reagire
insieme con i fermenti di una pi
larga partecipazione, della creativit
di un lavoro liberato. (P. Volponi
Questa civilt in F. Bettini, R. Di
Marco, Terza ondata, Bologna, Synergon, 1993). Il comunismo di Volponi non diverso, in sostanza, dal suo
ideale di riforma industriale demo-

cratica. Per il politico cos come per


il dirigente olivettiano sono fondamentali la capacit di ascolto e di relazione coi lavoratori. Tuttavia limpresa riconquista ormai il pieno dominio sulla forza lavoro e tutta la societ italiana si ripiega su se stessa e
accetta il primato del mercato. Per
lindustria si apre lera delle grandi
ristrutturazioni.
Si annunciano gli esuberi, si chiudono gli impianti, la cassa integrazione dilaga. La politica si dimentica
in fretta degli operai e guarda alla finanza: per tutti c il miraggio della
borsa. Il neoliberismo impone vincoli monetari strettissimi, i bilanci si
risanano tagliando il welfare, il lavoro deve essere sempre pi precario
e flessibile. Volponi ancora una volta
esige ansiosamente un varco: a
fronte o ai margini dellattivit politica cerca di rappresentare la traumatica trasformazione subta dalla
societ italiana nei decenni che seguirono la fine della seconda guerra
mondiale. Riprende in mano e pubblica nel 1991 un romanzo giovanile,
lasciato per trentanni nel cassetto: La
strada per Roma con cui rappresenta
la modernizzazione vista sia come
crescita necessaria e sperata che
come progetto fallito, utopia tradita
e, infine, vera e propria catastrofe
culturale.
Ci che resta del pensiero critico italiano avrebbe insomma molto da
guadagnare riconsiderando l eredit di Volponi: guardando dritte in
faccia le sue scomode verit, le sue
inusuali congiunzioni e antinomie.
Certo, si corre il rischio di restare travolti dalla grandezza del sentire di
questo intellettuale, dal suo grado di
tensione psichica e di passione civile.
La sovrabbondante figuralit che
contraddistingue la pagina volponiana infatti segno e sintomo di terribili contraddizioni e di incontenibili speranze.
Volponi ci rammenta che la ricerca
politica per il bene comune deve saper sortire dallesistente, dal banale
e dallovvio, e che la grande letteratura non mai ancella di unideologia, ma viceversa preziosa custode di irriducibili ragioni di libert.

93

Memoria

Marzo - Aprile 2004

Dove c da combattere
per la giustizia,
contro le illegalit,
per i diritti degli oppressi
e degli sfruttati, l Vidali.
un patriota di tutte le patrie

Nostra patria
il mondo intero

di Licia Giuliana Sema


Comitato Politico Nazionale Prc

VITTORIO VIDALI: BREVE BIOGRAFIA DI UN RIVOLUZIONARIO

egli ultimi mesi nel Paese e nel nostro


Partito si avviato un dibattito molto acceso sulle vicende che hanno caratterizzato alla fine della guerra il confine orientale, con particolare riferimento alle foibe
e allesodo degli istriani, nonch alla politica del Partito Comunista di Trieste.
Un compagno mi ha chiesto chi era
Vittorio Vidali. Da questa domanda ho
capito che anche tra di noi la conoscenza
di quelle vicende semplicemente non esiste. Quanto segue rappresenta la memoria raccolta dai compagni che hanno condiviso questo periodo di storia con Vidali.

Vittorio Vidali era nato a Muggia il


27 settembre 1900. La sua famiglia
era originaria dalla Carnia; aveva
lontani parenti in Istria, a Verteneglio, un nipote a Muggia e un fratello
ingegnere navale a Monfalcone. Il
suo carattere combattivo e coraggioso si dimostra nelle prime lotte
per la pace e i diritti dei lavoratori,
fin dagli scioperi di Trieste e Muggia
nel 1917. Con la fine della guerra
partecipa alle lotte degli Arditi
Rossi nella sua citt e nella Venezia
Giulia. uno dei fondatori del PC
dItalia dopo il Congresso di
Livorno. attivo dirigente nelle
prime lotte contro i fascisti, a Trieste;
sul Carso e in Istria, viene spesso arrestato e torturato.
Deve abbandonare Trieste; partecipa alla lotta antifascista in Piemonte. I fascisti di Alessandria lo massa-

94

crano di botte e sono convinti di


averlo ammazzato. Comincia presto
la sua esperienza nella battaglia internazionalista in vari paesi
dEuropa: in Germania (ancora arrestato e torturato), in Francia, in
Belgio, in Cecoslovacchia, ecc. e anche in Africa Settentrionale.
Dove c da combattere per la giustizia, contro le illegalit, per i diritti
degli oppressi e degli sfruttati, l
Vidali. un patriota di tutte le patrie
in cui sia necessaria lopera di un dirigente energico, esperto, un comunista abile nel lavoro cospirativo e
nei movimenti di massa.
Negli Stati Uniti dirige lAlleanza
Antifascista dellAmerica del Nord,
collaborando con i partiti dellarea
antifascista e lavorando assieme agli
emigrati, i cittadini americani e latinoamericani. Dirige anche la Federazione Comunista italiana. Dopo la
generosa lotta per salvare la vita ai
due anarchici italiani, Sacco e Vanzetti, gli Stati Uniti ne decretano lespulsione: costretto a trasferirsi in
Messico, dove continua la lotta come
giornalista, come dirigente sindacale, come agitatore.
Prima di riparare in Unione Sovietica, partecipa alla lotta clandestina
contro il nazismo. Passando per tanti
Paesi, viene a conoscere centinaia di
uomini politici, poeti, artisti ed impara le lingue: inglese, tedesco, spagnolo.
Quindi lepopea di Spagna, dove

giunge fra i primi, organizzando col


nome di Carlos il V Reggimento.
Partecipa alla battaglia a Guadalajara, gravemente ferito alla difesa
di Madrid. Anche dopo la grave ferita continua la sua attivit come
commissario politico della Divisione
Lister.
Di nuovo in Messico. In URSS uno
dei massimi dirigenti di Soccorso
Rosso, che ha il compito di aiutare le
famiglie dei perseguitati politici in
tutto il mondo. Solo nel 1947 riesce
a tornare in Italia, e si stabilisce definitivamente a Trieste, con lincarico di Togliatti di ricostituire un
vero Partito Comunista italiano.
Togliatti ha informato esattamente
Vidali sulla situazione della citt e
della Venezia Giulia. La situazione
confusa, il Trattato di pace con
lItalia prevede la costituzione di un
Territorio Libero senza truppe di occupazione. Ma la diplomazia delle
grandi potenze non riesce, non
vuole riuscire, a dare un assetto definitivo al territorio, per cui si giunge
alla sua suddivisione in due zone,
una con Trieste (Zona A) amministrata dagli angloamericani, laltra
(la Zona B), amministrata dalle
truppe jugoslave. In questo marasma
di attese e di intrighi la citt sta deperendo economicamente, percorsa da tumultuose dimostrazioni
di strada, di scontri nazionalistici che
favoriscono le forze pi reazionarie
e i fascisti.

Marzo - Aprile 2004

Gi nellaprile del 1946, un anno


prima che Vidali arrivasse a Trieste,
Togliatti aveva scritto a Tito e a
Thorez, segretario del PC francese
,una importantissima lettera (ignorata dagli storici) che rappresentava
il quadro della situazione in cui si sarebbe trovato ad operare Vidali.
Scrive tra laltro Togliatti: Trieste
italiana e voi del Partito francese e
quello jugoslavo, state sbagliando in
questo problema e stanno sbagliando i compagni del Partito a
Trieste che puntano sullannessione Tutto il nostro lavoro distrutto. I partiti italiani non comunisti
sono sospinti verso il nazionalismo
Raggiungiamo un accordo per
unorganizzazione autonoma sotto
legida comune dei due Partiti.
Senza informare, i compagni jugoslavi creano un Partito cosiddetto indipendente che in realt sezione
del partito jugoslavo e dichiarano
che la presenza di un compagno del
nostro Comitato centrale da essi
considerato un atto di ostilit.
Labbandono di questa linea, concordata tra i due partiti, ha provocato le conseguenze che noi vediamo. La influenza totale che avevamo nei confronti dei ceti medi
compromessa ed essi sono sospinti
verso il nazionalismo e il fascismo. La
classe operaia sempre pi isolata
ed esistono i primi sintomi di divisione della classe operaia. Ed questa la conseguenza di avere voluto
svolgere nella citt nei confronti
della popolazione una politica di nichilismo nazionale. Trieste in
mano degli angloamericani, non esiste nessun governo popolare nella
citt diventata un focolare di propaganda antisovietica e di provocazione alla guerra.
Questo il quadro preoccupante in
cui dovr operare Vidali: divisione
tra la classe operaia, spinte nazionalistiche, perdita di fiducia da parte
dei ceti medi, centro di provocazione antisovietica, inesistenza di un
proclamato potere popolare, inesistenza di un vero Partito in cui possano operare fraternamente i due
partiti comunisti. Vidali accolto
con diffidenza, fa parte del direttivo

Memoria

del PC del TLT (Territorio Libero di


Trieste), non ha la tessera del
Partito, circondato da sospetti e
ostilit visibili. Prima di impegnarsi
in qualche attivit cerca il contatto
con i vecchi compagni del 1919-22,
italiani e sloveni, di Trieste, di
Muggia, del Carso e dellIstria.
Vuole conoscere dalla loro viva voce
e dallesperienza del carcere, del
confino, della lotta di Liberazione.
Ma prende parte a comizi, a dibattiti, in cui fa sentire la voce del
Partito nuovo, di massa, voluto da
Togliatti. Parla a folle di comunisti
istriani, finch non gli impediscono
di tornare a Pirano, a Isola, a
Capodistria. Era una ventata di verit e di novit, la gente aveva finalmente cominciato a sentire ci che
voleva sentirsi dire e principalmente
la lotta contro il nazionalismo e lesaltazione
delle
conquiste
dellUnione Sovietica.
Nel Direttivo critica aspramente i
metodi dittatoriali, il settarismo, il
nazionalismo imperanti. Espone ufficialmente le sue critiche ai dirigenti, ed a un certo momento chiede
di essere richiamato a Roma o altrove. Solo linsistenza di Togliatti lo
decide a tornare a Trieste.
Con la dichiarazione dellUfficio del
Cominform prende immediatamente posizione, approvandolo incondizionatamente. Riesce a raccogliere intorno a s la grandissima
parte dei compagni italiani e sloveni,
strutturando il partito sul tipo del
PCI, cio in un partito di massa,
creando nuovi quadri soprattutto fra
i giovani. Gode di una grande simpatia, e anche fra gli intellettuali allarga le posizioni tra la classe operaia. Dedica parte notevole della sua
attivit oltre che alla politica allelevamento culturale, contribuendo
alla sprovincializzazione del mondo
culturale sia invitando storici, poeti,
scrittori, artisti nelle sedi culturali
cittadine e nei circoli di cultura, sia
invitando a parlare nelle conferenze
i pi prestigiosi dirigenti del PCI.
Daltra parte coglie ogni occasione
(gite, incontri, congressi, ecc. e campagne elettorali) inviando per settimane e mesi alcuni compagni gio-

vani e anche non giovanissimi per far


conoscere nello scontro politico
elettorale lambiente sociale e politico dellItalia, in Sicilia, in Sardegna, nel Veneto, in Toscana e nel Lazio.
Con la costituzione della Federazione autonoma del PC, ne diventa
segretario. Sar per 10 anni consigliere comunale, in un periodo in
cui, non essendoci state ancora elezioni per il Senato e per la Camera
dei Deputati, il Consiglio comunale
lunica palestra politica rilevante
nella citt giuliana.
Con gli altri tredici consiglieri italiani e sloveni rappresenta una agguerrita pattuglia che dibatte non
solo i problemi cittadini ma soprattutto le questioni pi importanti
della situazione internazionale e il riflesso sullavvenire della citt. Sotto
la sua guida, la Federazione diventata una robusta realt, finalmente
una vera organizzazione periferica
del PC italiano.
Vidali inflessibile nella disciplina
del Partito, non ammette bugie e debolezze; qualche volta eccede nella
polemica, ma sempre disposto a riconoscere i propri errori. Lo fa nei
piccoli e nei pi seri problemi che lo
hanno coinvolto. Difende con energia il documento del Cominform,
ma riconoscer che i Partiti comunisti si sono comportati ingiustamente con la Jugoslavia e la sua Lega
dei Comunisti, anche se nel documento cerano anche delle tesi accettabili. Ed anche nella questione
della realt sovietica e del comunismo reale ebbe un comportamento
indipendente e autonomo, come risulta dal suo libro sul Ve n t e s i m o
Congresso, e in genere in tutti i suoi
libri.
Fu senatore della Repubblica per
due mandati, occupandosi di tutti i
problemi della citt, della sua economia, dei cantieri, delle responsabilit del fascismo e dei diritti della
comunit slovena. Fu candidato
nelle elezioni europee. Quando dovette diminuire la propria attivit per
ragioni di salute, si dedic al lavoro
culturale e fu presidente del Circolo
Che Guevara.

95

Intifada dIraq*
Lautrice di No Logo a Sadr City, il sobborgo sciita.
Ecco il suo racconto di come il governatore Usa, Paul Bremer, ha causato la rivolta con i propri errori

di Naomi Klein da Baghdad

Caduta nelle mani degli americani il 9 aprile del 2003, a un anno di distanza Baghdad sta insorgendo contro di loro. Secondo il ministro della
Difesa, Donald Rumsfeld, la resistenza sarebbe composta da un pugno di
criminali, banditi e terroristi. Ma una pericolosa illusione. La guerra
contro loccupazione viene oggi combattuta in campo aperto, da comuni
cittadini che difendono le loro case e i loro quartieri: scoccata lora dellintifada irachena.
Ci hanno rubato il posto per giocare, mi ha detto un ragazzino di otto
anni di Sadr City, indicando sei carri armati parcheggiati in un campo sportivo, accanto a un castello di tubi metallici arrugginiti dove si arrampicano
i bambini. Si tratta di un prezioso fazzoletto di verde in una periferia circondata da acque putride e cumuli dimmondizia.
Questo sobborgo di Baghdad ha beneficiato ben poco delle ingenti risorse
stanziate per la ricostruzione, il che spiega in parte come mai Moqtada
al Sadr e le sue milizie godano qui di molte simpatie. Prima che il proconsole americano, Paul Bremer, spingesse il leader sciita allo scontro armato chiudendo il suo giornale e arrestando e uccidendo i suoi luogotenenti, lesercito di Mahadi non combatteva contro le forze della coalizione,
ma le affiancava. Il governo provvisorio alleato, che controlla ormai da un
anno la capitale irachena, non ancora riuscito a far funzionare i semafori
n a garantire un minimo di sicurezza alla popolazione civile. Cos a Sadr
City, capita di assistere allo spettacolo delle milizie fuorilegge di
Moqtada impegnate in attivit sovversive quali dirigere il traffico e proteggere le fabbriche dai saccheggiatori. In un certo senso, lesercito di
Mahdi figlio di Bremer quanto di al-Sadr: il governatore americano ha
abbandonato la citt a se stessa, creando un vuoto che il leader sciita ha
semplicemente riempito.
Ma con lavvicinarsi del passaggio dei poteri agli iracheni, previsto per
fine giugno, Bremer vede al-Sadr e le sue milizie come nemici da schiacciare, insieme alle popolazioni che se ne fanno scudo. Ecco perch loccupazione dei campi di gioco stata solo linizio di quel che mi capitato
di vedere a Sadr City la settimana scorsa.
Allospedale di Al-Thawara, ho incontrato Read Daier, 36 anni, guidatore
di unautoambulanza colpito al basso addome da una delle dodici pallottole sparate contro la sua vettura da una jeep americana. Secondo le autorit sanitarie, quando stato attaccato, stava trasportando sei persone ferite dai soldati americani, fra le quali una donna incinta che era stata colpita allo stomaco e aveva perso il suo bambino.
Ho visto automobili carbonizzate che, secondo decine di testimoni oculari, erano state sventrate da missili Usa e i loro conducenti, stando alle
notizie confermate dagli ospedali locali, erano bruciati vivi. Ho visitato
inoltre lisolato numero 37 del distretto di Chuadir, a Sadr City: una fila
di case dove ogni porta, come hanno raccontato i residenti, era stata crivellata dai proiettili sparati dai carri armati americani che sfilavano lungo
la strada. Cinque persone sono rimaste uccise, fra le quali un bambino di
4 anni, Murtada Hammad.
Gioved, 8 aprile, ho notato qualcosa che mi ha fatto ancor pi spavento:
una copia del Corano forata da una pallottola. Giaceva fra le rovine dellex quartier generale di Moqtada a Sadr City. Poche ore prima, secondo
alcuni testimoni, due cingolati americani avevano abbattuto i muri delledificio mentre due missili telecomandati avevano sfondato il tetto, lasciando enormi crateri nel pavimento e un cumulo di macerie.
Ma i danni peggiori sono stati compiuti a mani nude. Stando al racconto

di chi si trovava negli uffici di al-Sadr, i soldati americani sono piombati


allimprovviso e hanno fatto brandelli delle fotografie dellayatollah alSistani, la massima autorit religiosa sciita in Iraq. Quando ho visitato i
locali messi a soqquadro, il pavimento era cosparso di libri strappati, fra
cui varie copie del Corano lacerate e sforacchiate da proiettili. E ai religiosi sciiti qui presenti non era sfuggita la notizia che, poche ore prima,
era stata bombardata la moschea sunnita di Falluja. Per mesi interi la Casa
Bianca ha avanzato sinistre previsioni di una guerra civile fra la maggioranza sciita, convinta che sia giunta la sua ora per assumere la guida
dellIraq, e la minoranza sunnita, che vuole conservare i privilegi ottenuti
sotto il regime di Saddam Hussein. Ma nei giorni scorsi avvenuto invece
il contrario.
Sciiti e sunniti hanno assistito ad attacchi contro le rispettive zone dinsediamento e i propri luoghi religiosi dissacrati. Insorti contro uno stesso nemico, stanno cominciando a unire le loro forze per opporsi alloccupazione. E anzich massacrarsi a vicenda, stanno per dar vita a un fronte comune.
Lo si visto gioved 8 aprile nelle moschee di Sadr City, dove migliaia di
sciiti facevano la fila per donare il sangue ai sunniti feriti in seguito agli
attacchi contro Falluja. Dobbiamo ringraziare Paul Bremer, mi ha detto
Salih Ali. E riuscito a unire finalmente lIraq. Contro di lui.
*tratto dal settimanale Lespresso del 22 aprile 2004
traduzione di Mario Baccianini

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