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Gv 1, 1-18
VEn
avrch/|
h=
n
o`
lo,goj
En arch
en
ho lgos
In principio
era
il Logos
1 BROWN, Giovanni, 4.
2 VIGNOLO, Il Logos in principio, 40.
Era (h=n). Non c il verbo al passato (fu, stato, era stato), come se
adesso non ci fosse pi. Nemmeno il verbo avvenne, accadde (eghneto3), cos
frequente nel linguaggio narrativo del NT, che indica una realt che inizia, che
accade. Il verbo allimperfetto pone il Logos al di fuori dei limiti dello spazio e del
tempo, indicando una condizione di preesistenza rispetto al creato. Il verbo era
comunica lidea della durata, della continuazione: si tratta di unazione che perdura.
Dunque non unazione che ha avuto un inizio nel tempo, come se prima non fosse
affatto posta in essere. unattivit perenne: il Logos esisteva da sempre. Non si
pu indagare in che modo la Parola giunse allesistenza, perch la Parola
semplicemente era4.
Ora la descrizione del Logos in cielo prima della creazione
straordinariamente breve, non c il minimo segno di interesse per le
speculazioni metafisiche circa le relazioni allinterno di Dio o per ci che la
teologia posteriore chiamer processioni trinitarie5.
Il Logos (lo,goj), tradotto con Verbum nella Vulgata, Parola in
italiano, tradotta anche con Verbo o Logos (calchi rispettivamente dal greco
e dal latino per esprimere che non si tratta di un concetto ma di una persona).
o`
h
=n
ka ho lgos
en
e il Logos
er
a
pro.j
qeo,n(
to.n
prs tn then,
presso/verso
Dio,
Il Logos era presso/verso Dio. Cosa si afferma del Logos oltre al fatto che
era? Si dice che non era semplicemente in se stesso, ma che era
presso/verso Dio. La frase variamente traducibile: rivolto a Dio 6, rivolto
verso Dio7, alla presenza di Dio8, con Dio9. Il Logos da sempre vive in
stretta relazione con Dio: si tratta della sua qualifica imprescindibile, eterna,
radicale. Le variazioni di traduzione dipendono dalla ricchezza della particella
pro,j, che significa sia con, sia verso. Nel primo caso avremmo con Dio;
pro,j introduce il complemento di compagnia: il Logos stava con, era assieme a
Dio. Nel secondo caso avremmo un senso dinamico, di relazione vivace: il Logos
proteso verso Dio (cf. v. 18: eivj to.n ko,lpon, verso il seno del Padre;
traduzione CEI: nel seno del Padre).
In ogni caso questo versetto dice al tempo stesso:
- la differenza tra il Logos e Dio: non coincidono, non sono la stessa cosa.
Abbiamo quindi una chiara distinzione di soggetti.
- la relazione: il Logos non staccato, indipendente da Dio; pur distinto da
Lui gli strettamente correlato. Si tratta di una relazione intima (la
relazione con Dio, infatti, precede la relazione con gli esseri creati).
Il riferimento al Dio creatore e salvatore spicca fin dai primi cinque versetti (1,1-5: cf. Gn
1.1.3-5). Che si tratti del Dio dIsraele lo si intende senzombra di equivoci per lulteriore
riferimento a Giovanni Battista, nonch alla Torah data tramite Mos (1,14.17). Ma nellidea
tradizionale di questo Dio vivificante, come creatore e salvatore, viene introdotta quella
nuova, in ultima analisi davvero inaudita (soprattutto per un orecchio greco, ma, pur in
misura minore, anche ebraico) di un Dio in se stesso dialogico, con il proprio eterno Logos,
di un unico Dio al tempo stesso Padre generante e Figlio generato. Che Dio sia il vivente e
vivificante, creatore e salvatore in forza della sua torah, sapienza e parola, Israele lha sempre
saputo. Ma [] che Dio en arch, prima di tutto e tutti, generi e abbia un Logos davanti a s
in cui riversare completamente se stesso con questo suo attributo di vivente/vivificante, ecco
(insieme a 1,14) la novit squisitamente cristiana di un monoteismo non monistico, bens
dialogico. Cos Giovanni nel prologo comunica con i suoi destinatari (originari e impliciti)
tramite unidea di Dio tradizionalmente giudaica, ma re-interpretandola in una chiave che
rimane momentaneamente binaria (limitata a Dio Padre e il Logos Figlio incarnato, Dio unico
generato), e solo in seguito si dispiegher come esplicitamente trinitaria10.
h=n o` lo,goj
ki thes
en ho lgos.
e Dio
era il Logos
Qui qeo,j senza articolo (o`). Quando sono implicati il Padre, Ges e lo
Spirito santo allora per parlare del Padre il NT usa larticolo: o` qeo,j. Questo
testo stato a lungo studiato, perch riguarda la divinit di Ges. La traduzione
il Logos era Dio corretta, ma non nel senso che il Logos coincida con il
Padre, quasi fossero un medesimo soggetto. Ci che era Dio lo era anche il
Verbo11 una parafrasi corretta, ed proposta da pi di qualche esegeta. Infatti
Dio non il soggetto della frase, perch soggetto lo il Logos; dio qui funge
da attribuzione12. In altre parole non si sta di dicendo che Dio (Padre) il Logos,
ma che il Logos Dio, cio per usare una espressione dogmatica successiva
di natura divina.
Questa affermazione della divinit di Ges fa da inclusione con Gv 20,8, in cui
Tommaso riconosce Ges mio Signore e mio Dio (o` ku,rio,j mou kai. o`
qeo,j mou). Lautore non si limitato a dire che Ges divino (avrebbe, cos,
potuto usare laggettivo qei/oj, divino, appunto), altrimenti avremmo due
entit divine distinte, col rischio di parlare di due dei.
Dicendo che il Logos era presso Dio e Dio era il Logos, lautore afferma che il
lo,goj e Dio sono al tempo stesso due e uno. Sono due soggetti differenti ma non
sono due divinit separate (cf. 14,9-10: Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come
puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre in
me?). Laffermazione che pi si avvicina al concetto di 1,1 si trova in 10,30:
Io e il Padre
siamo
evgw. kai. o`
path.r
evsmen
2 soggetti diversi
Gv dunque va oltre i suoi predecessori, dichiarando che il Logos non soltanto un essere
divino (theos), ma che Dio (thes). Il testo oscilla dal due verso luno e dalluno
verso il due. E questo caratterizzer il mistero della relazione Padre-Figlio; ma finch il
Logos non sar incarnato, diventando il Figlio, e finch Dio non sar chiamato Padre,
lunit che prevale sulla dualit. Al punto in cui siamo, pertanto, non si deve sovrapporre
senzaltro alla relazione Logos-Dio quella di Figlio-Padre che noi conosciamo. Ci che
appare chiaramente che lunicit di Dio non esige la sua riduzione a quella di un individuo;
essa suppone una relazione dinamica, quella di un essere in espansione. Solo la relazione
caratterizza lessere nella sua profondit. Non appena si dissociano i poli della relazione, si
cade nellerrore o si manifesta solo una parte del mistero della cui complessit le due
espressioni successiva (presso Dio era Dio) cercano di balbettare qualcosa 13.
v. 3
Quindi il Logos mediatore nella creazione, collabora con Dio nellatto creativo:
emerge lidea che il Logos sia co-creatore.
Il concetto simile a 1Cor 8,6: per noi c un solo Dio, il Padre, dal quale
tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Ges Cristo, in virt del
quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui e Col 1,16: perch in
lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle
invisibili.
A questo punto vale la pena un confronto col pensiero ellenistico: i greci (e gli
gnostici) pensavano che Dio non creasse la materia direttamente, per non essere
implicato con un realt negativa e in fondo malvagia. Dio non creava il mondo!
Lo creava un demiurgo, unentit sovra mondana ma subdivina. Solo il demiurgo
si sporcava le mani con la materia creata e Dio non era responsabile della
malvagit del mondo concreto (la materia! 15) perch non laveva creata lui
direttamente. Gv, invece, dicendo che il Logos congiunto a Dio (Padre), e che
Dio crea con la collaborazione del Logos, per mezzo del Logos, allora dichiara
che il mondo voluto da Dio e quindi buono.
Se, poi, la creazione avvenuta per mezzo della Parola-Logos, allora anche il
creato un atto comunicativo, un modo con cui Dio si rivela (i due libri con
cui Dio si auto comunica: mondo e Bibbia). Il v. 3 segna il passaggio
dallattenzione ad intra a quella ad extra.
Il passaggio dal v. 3 al v. 4 non del tutto chiaro, perch dipende da come si
legge ci che esiste.
v.
3
kai. cwri.j
auvtou/
evge,ne
to
e senza
di lui
stato
fatto
ouvde.
e[n
neppure
uno = nulla
o]
ge,gonen
v.
4
evn
auvtw/|
zwh. h=n(
ci che stato
fatto = ci che
esiste
In lui era la
vita
Gv 8,12: Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminer nelle tenebre,
ma avr la luce della vita.
19 Risultano illuminanti anche altri passi: Ella [la Sapienza] in realt pi radiosa del sole e supera
ogni costellazione, paragonata alla luce risulta pi luminosa; a questa, infatti, succede la notte, ma la
malvagit non prevale sulla Sapienza (Sal 7,29-30);
La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano labisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle
acque. Dio disse: Sia la luce!. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separ la luce
dalle tenebre (Gn 1,2-4);
Ancora per poco tempo la luce tra voi. Camminate mentre avete la luce, perch le tenebre non vi
sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per
diventare figli della luce (Gv 12,35-36).
v. 9: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo
La luce autentica Ges. In questo versetto si comincia a parlare
dellincarnazione: il verbo venire allude al farsi uomo dal parte del Logos.
Limmagina della luce che viene nel mondo tipicamente messianica:
Is 9,1: Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro
che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse;
Is 42,6: ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle
nazioni .
v. 10: Era nel mondo e il mondo stato fatto per mezzo di lui; eppure il
mondo non lo ha riconosciuto
Viene ribadita lazione attiva del Logos nella creazione del mondo, il quale
tuttavia, pur avendo in s tracce del Logos (perch stato creato per mezzo di
Lui), non lo riconosce. Il mondo ha una sorta di marchio di fabbrica, perch il
qualche modo la creazione da parte del Logos ha lasciato come delle tracce nel
creato e nelle creature, ma le creature non riconoscono il Creatore 21. Il verbo
conoscere, usato al negativo (non lo ha riconosciuto) non indica una mancata
identificazione, ma un vero e proprio rifiuto da parte del mondo (il senso di
conoscere nel linguaggio biblico amare).
21 Cf. Rm 1,18-25: Infatti lira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empiet e ogni ingiustizia di
uomini che soffocano la verit nellingiustizia, poich ci che di Dio si pu conoscere loro manifesto;
Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e
divinit, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute.
Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perch, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno
glorificato n ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa
si ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio
incorruttibile con unimmagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
Perci Dio li ha abbandonati allimpurit secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i
propri corpi, perch hanno scambiato la verit di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le
creature anzich il Creatore, che benedetto nei secoli. Amen.
limitatamente si afferma un rifiuto da parte dei suoi. Prima si diceva che la luce
veniva nel mondo (v. 9), ora invece si afferma che viene fra i suoi, la sua gente.
venne fra i suoi,
eivj ta. i;dia h=lqen(
i;dioi
auvto.n
ouv
parallelismo
sinonimico:
24 Cf. ad es. la conclusione del Discorso della Montagna: egli infatti insegnava loro come uno che
ha autorit, e non come i loro scribi Mt 7,29.
Alcuni esegeti vi leggono una allusione al concepimento verginale: la Vetus latina legge al
singolare colui che fu generato, intendendo, cos, non i figli di Dio, ma il Figlio di Dio, il quale non
generato n da sangue n da volere di carne n da volere di uomo, sarebbe, appunto generato da Dio nel
grembo verginale di Maria. Ma si tratta di una posizione seguita da pochi. cf. BROWN, Giovanni, 16 e
LON-DUFOUR, Giovanni, 162-163.
lo,goj
kai.
h`mi/n
evskh,nwsen
evn
29 Rm 8,5-7: Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ci che carnale; quelli
invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ci che spirituale. Ora, la carne tende alla morte,
mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace; Gal 5,17-20: La carne infatti ha desideri contrari allo
Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne []. Del resto sono ben note le opere della carne:
fornicazione, impurit, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi,
divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere.
considerato una scintilla divina imprigionata nella materia e a disagio in unesistenza che
non le conforme. Non un movimento di immersione nella storia (che , appunto, il
cammino del Logos che si fa carne), ma al contrario, un movimento di ascesa, di liberazione
verso lalto. Ma per Giovanni sta proprio qui il senso della sua concezione teologica, com
detto anche nella prima lettera (cf. 1Gv 4,1-6). Probabilmente contro tendenze che pensavano
che il Cristo si fosse semplicemente rivestito di carne per rendersi visibile e mostrarsi
alluomo, nella prima lettera si afferma: Ogni spirito che riconosce in Ges il Cristo venuto
nella carne da Dio (1Gv 4,2)35.
nei vv. 6-8). Con laggiunta che a questo punto del Prologo Giovanni non
semplicemente testimone del Logos, ma del Logos incarnato; in qualche modo
il garante che davvero nella carne di Ges i discepoli hanno potuto contemplare
la gloria del Logos.
Inoltre lavverbio mprosthen pu assumere due significati: temporale o
spaziale: egli era prima di me o egli mi ha preceduto. Lidea comunque che
Ges, comparso dopo il Battista, in realt lo precedeva, perch esisteva prima del
Battista (in quanto Logos era da sempre). Anche se successivo, Ges gode della
preminenza rispetto a Giovanni in forza della sua superiorit e preesistenza.
v. 16: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia sua grazia
La comunit intera (noi tutti) acclama il dono ricevuto dalla sua pienezza: una
grazia sovrabbondante (grazia su grazia: senso accrescitivo 37). I Padri
vedevano in queste due menzioni la grazia dellAT (infatti al v. 17 viene
chiamato in causa Mos) e quella del NT; altri invece la grazia universale del
Logos sarkos e quella definitiva del Logos incarnato38.
e rimane fondante, ossia non viene abolita; tuttavia Ges porta qualcosa di
nuovo. Egli, infatti, in quanto Logos incarnato ci ha fatto conoscere il Padre.
In una situazione senza via duscita, nella quale luomo non pu trovare
soluzioni, dal momento che con le sue sole forze non pu giungere a vedere Dio,
lunica possibilit di accesso ci data dal Figlio. Dio nessuno lo ha mai visto
pure una affermazione polemica contro ogni pretesa umana tanto ebraica
quanto gnostica, tanto filosofica quanto misterica di raggiungere Dio.
Limpossibilit di vedere Dio ribadita pi volte nella Scrittura; eccone solo
alcuni esempi:
Tu non potrai veder il mio volto, perch nessun uomo pu vedermi e restare
vivo (Es 33,20);
poi toglier la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si pu
vedere (Es 33,23);
Chi lo ha contemplato [Dio] e lo descriver? (Sir 43,31);
Il Signore vi parl dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate
alcuna figura: vi era soltanto una voce (Dt 4,12);
poich non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parl sullOreb dal
fuoco (Dt 4,15).
Lunica via di accesso ci regalata nel Figlio. Solo lui, infatti, essendo nel
seno del Padre (eivj to.n ko,lpon = rivolto verso il seno del Padre, intimo del
Padre) perfettamente competente per poterlo rivelare, narrare, raccontare,
spiegare a noi uomini. Ges Cristo-Logos incarnato pu fare lesegesi del Padre:
essendo il Logos, Dio40 con il Padre, ed essendo divenuto sa,rx, uomo con
noi. Finalmente un ponte stato gettato. Un ponte che mette in contatto
definitivo le due sponde.
Gv 1,14
1. Testo e traduzione
14
,
, ,
.
14
2. Contesto
Gv 1,14 si trova allinterno del Prologo giovanneo: 1,1-18. Considerato
un gioiello, una pietra preziosa, per la tradizione della Chiesa. Ci porta ad
un universo: en arch en o logos in quel principio che riecheggia il beriscit
veterotestamentario di Gn 1,1. Al principio della storia, ma in realt molto
prima di quel inizio cera gi la parola, qual cosa che personifica il Cristo.
Questo antico o primitivo INNO cristiano. Serviva per fare unintroduzione
al relato giovanneo, introduzione alla vita e al percorso della vita incarnata.
Altri autori dicono che fosse un credo, una confessione di fede, comunque
un poema affascinante, impressiona la solennit, porta una testimonianza
personale di fede. Inno alla parola, che luce e vita. Ci sono elementi della
40 Da notare la variante: nella traduzione CEI del 1971, seguendo la
Vulgata si diceva il Figlio unigenito, che nel seno del Padre, ora, in
quella del 2008, seguendo 66, 75, e i codici Vaticano e Sinaitico e la
testimonianza di molti Padri, si dice: il Figlio unigenito, che Dio
(monogenh.j qeo,j) ed nel seno del Padre.
3. Struttura
Il tema41 o il criterio tematico divide il prologo seguendo dei temi:
1. La creazione (vv.1-5)
2. Storia universale (vv.6-13)
3. Lincarnazione della comunit cristiana (vv.14-18)
Altri seguono delle prospettive letterarie, ma noi seguiremo questa
tematica di Fabris42.
abiter nella casa di Israele per sempre. Sir 24, 8 anche essa parla della
tenda. Percorso che continua nella morte verso la risurrezione.
6.2. In mezzo a noi
Questo noi sono i testimoni, quelli che hanno accolto, visto e creduto.
6.3. La gloria del Signore
Endiade: Due nozione, di cui la seconda precisa il primo. La grazia della
verit: Es 34, 6: YHWH Dio ricco in misericordia e in verit; Dio tenero e
buono46.
Gv 1, 29-34
1. Introduzione
Siamo nei versetti che proseguono il Battesimo di Ges, diversamente
dallambito sinottico, non si percepisce una conoscenza di Ges da parte di
Giovanni Battista, prima del battesimo.
Gv 1,51; 3,13.14; 5,27; 6,27.53.62; 8,28; 9,35; 12,23.34c.34d; 13,31
Gv 3,13.14
Contesto antecedente: Questo capitolo terzo si inserisce nel discorso
con Nicodemo, capo fariseo che si presenta durante la notte. Tale
simbologia gi una anticipazione di tutto il discorso duale della lotta fra le
luce che porta Cristo e le tenebre che abitano molti uomini che presumono
per di possederla.
Prima parte del dialogo con Nicodemo, diventa un monologo di Ges,
dai v. 1-15. Dal v. 14 come Mos innalz il serpente nel deserto il
versetto che prepara il v. 16. Certamente non ci sono tematiche esplicite,
ma tematiche implicite, come quella di Mos nel deserto, il simbolismo del
serpente, trover il suo senso pieno. Diciamo che solo adesso questo testo
che non si era capito si pu spiegare, con ci siamo a quello che abbiamo
chiamato il compimento dei tempi.
(v. 3) In verit, in
verit ti dico: Se uno
non nato dall'alto,
non pu vedere il
regno di Dio.
(v. 5) In verit, in
verit ti dico: se uno
non nato dall'acqua
e dallo Spirito, non
pu entrare nel regno
di Dio.
Gv 8, 1-11
Dsfdsfsdf
Dsfdfsdfdsfsdf
Gv 13, 4-17: la lavanda dei piedi
Al cap. 13 inizia il cosiddetto libro della gloria, che porter Ges agli
ultimi avvenimenti della sua vita. La scena della lavanda 47 inserita nella
pericope di 13,1-38, che a sua volta fa parte di un insieme letterario pi ampio, i
cosiddetti discorsi daddio (13,117,26), composto di una parte narrativa (13,130), una pi discorsiva (13,3116,26) e una parte contrassegnata dalla preghiera
di Ges (17,1-26).
1. Introduzione (13,1-3)
Sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre,
dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li am sino alla fine. Ges
pienamente consapevole di ci che gli sta per accadere e due volte l'evangelista
ribadisce che Ges sa (vv. 1.3). Dunque pienamente padrone di quel che sta
avvenendo e non ne sorpreso48, anche se nella trama della passione si
intrecciano all'interno dell'unico progetto del Padre diverse libert ed iniziative:
secondo Giovanni, XVII Settimana Biblica della Diocesi di Padova (Libreria del Santo, Padova 2011)
235-256.
quella di Ges che offre la sua vita, quella di Giuda che consegna Ges, quella
del diavolo, che sta sullo sfondo dell'iniziativa di Giuda.
Ges pienamente consapevole dellimminenza della passione ed consapevole che la
croce il passaggio al Padre: non morte ma ascensione. La sottolineatura della
consapevolezza di Ges non tanto per mettere in luce la divinit del Cristo che tutto
conosce e vede, quanto cos mi sembra per mettere in luce la seriet e la libert con cui
egli affronta la morte. Ci che avviene non casuale, imprevisto, senza senso: rientra nel
piano di Dio ed voluto49.
Ges vive le sue ultime ore come un atto estremo di amore verso i suoi 50: Lui
se ne sta andando ma il suo amore rimane. Il contesto attraversato da diverse
tensioni conflittuali: il tradimento di Giuda e la tensione con Pietro causata dalla
sua incomprensione. In ogni caso lautore parla di un amore sino alla fine. Del
termine "fine" (te,loj) sono possibili almeno due traduzioni, che ci aiutano a
comprendere il tenore dell'amore di Ges: li am fino alla fine della vita (senso
temporale); li am fino all'estremo (fino allultimo, in modo assoluto: senso
qualitativo). L'evangelista, allora, ci vuol dire che nelle scene seguenti si
concentra tutta la capacit da parte di Ges di amare i suoi discepoli. E noi col
senno di poi sappiamo che la lavanda dei piedi la chiave di lettura di tutta
l'esistenza di Ges fino al suo gesto supremo, quello che gli costato di pi: la
morte in croce. Ma
Lespressione amare sino allestremo non pu riguardare solo il fatto della morteinnalzamento, perch questa la condizione per il dono dello Spirito ai discepoli (cfr. 7,39)
e per la loro partecipazione alla vita propria del Figlio. In definitiva, lamore estremo la
condivisione, da parte di Ges, della propria unione con il Padre 51.
49 MAGGIONI B., La cruna e il cammello. Paradossi evangelici e umanit di Ges, Ancora 2006, 137.
50
dellamore, la predilezione e lappartenenza a Cristo. per unespressione da unire allaltra: che erano
nel mondo. In tal modo si intravede gi la situazione di solitudine, di persecuzione, di estraneit dei
discepoli nel mondo.
Lautore, poi, non colloca il gesto allinizio della cena, durante i convenevoli,
ma mentre cenavano (v. 2), dunque nel bel mezzo del pasto: in questo modo
labluzione viene posta sotto i riflettori, assumendo un significato pi forte di un
gesto gentile di accoglienza. Nel pasto infatti si realizza unintensit tale da
creare legami molto forti tra i commensali.
Levento della commensalit parte di un processo comunicativo, aggregativo, ma
anche differenziante. Quando, infatti, riservato soltanto a un gruppo di discepoli riuniti
attorno al proprio maestro o a una scuola filosofica, esso diventa uno dei momenti distintivi
della vita comune. A ci strettamente connesso il fatto che durante il convivio vengono
trasmesse e discusse dottrine e compiuti atti iniziatici caratterizzanti []. Gli studiosi della
Grecia antica hanno messo in luce il fatto che il simposio si presenta come un atto sacrale
che unisce partecipanti ed esclude gli estranei. Del resto, noto che diversi gruppi
dellambiente ebraico conservavano le loro differenze proprio attraverso il cibo e i pasti ed
esprimevano coesione e originalit per mezzo della commensalit 52.
2. La lavanda (13,4-5)
Dunque vediamo Ges in questo gesto, che ha perso oggi quel senso
domestico e quotidiano immediatamente percepibile ai suoi contemporanei 53.
Quello del lavare i piedi era un'azione riservata all'ospite che poteva giungere
dopo un viaggio fatto lungo strade polverose e impervie, che riducevano i piedi
in condizioni penose: sia per lo sporco accumulato sia per piccole contusioni o
lacerazioni provocate dai sassi o dal lungo camminare. Il pediluvio era dunque la
prima forma di accoglienza e segno di ospitalit e provocava nell'ospite un senso
di sollievo e di benessere: tonificava le palme dei piedi e ridava il buon umore.
Gi nellAT la lavanda dei piedi era conosciuta come gesto daccoglienza
(Gen 18,454) o come abluzione purificatrice prima di un atto di culto (Es 30,1955).
Di solito il lavaggio dei piedi era assegnata ai domestici ed era proibito
richiedere ad uno schiavo ebreo che lavasse i piedi ad un altro ebreo, perch era
ritenuta un'attivit umiliante, e per questo veniva destinata agli inferiori.
Abbiamo comunque testimonianze antiche che dimostrano come poteva essere
un gesto di rispetto, di venerazione o di amore che, invece di essere preteso da
uno schiavo, veniva offerto per puro amore, all'insegna della cura per la persona
venerata o amata56.
Il lavare i piedi un gesto consueto nel mondo antico e fa parte della ritualit domestica. La
letteratura antica ne offre molti esempi. Latto costituiva uno degli elementi essenziali
dellospitalit ed era dotato di un complesso valore simbolico. Esso, infatti, era legato
allingresso della casa e al passaggio dal fuori al dentro, dalla fatica al riposo, dal pericolo
alla sicurezza, dal mondo di tutti al proprio mondo. Non era solo connesso al mangiare in
quanto tale. Quando, infatti, un ospite era invitato a pranzo, i piedi gli erano lavati al
momento dellingresso in casa (anche se a volte ci avveniva concretamente nel triclinio
stesso) e allincirca allinizio della cena. Nominare un rito di lavaggio significa dunque
segnalare un ingresso o unadesione a un sistema di rapporti definiti allinterno di una
famiglia o di un gruppo. In altri termini, nellimmagine del lavaggio sono sottolineate le
differenze con lesterno e le comunanze con un mondo condiviso nel quale si viene
ammessi57.
Ges compie azioni che indicano una precisa inversione di status60. Solo che, a
differenza di tutti i rituali di inversione, in cui le parti venivano scambiate per soli
pochi giorni61, qui Ges chiede ai suoi di assumere la condizione di servitori come
condizione permanente.
4. Spiegazione (13,12-18)
S gi osservato che Ges non fornisce spiegazioni sulla lavanda ma si
preoccupa che i discepoli facciano altrettanto: Sapete ci che vi ho fatto? Voi mi
chiamate Maestro e Signore e dite bene, perch lo sono. Se dunque io, il Signore
e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli
altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perch come ho fatto io, facciate anche voi (v.
12-15).
Il termine "esempio" (u`po,deigma) in greco suona pi forte: non indica
solo un modello da ripetere ma una realt rivelata che genera un comportamento
nuovo. In altre parole si potrebbe riformulare nel modo seguente: Vi ho
mostrato, rivelato come agisco io, in quanto figlio di Dio, perch abbiate la forza
e la gioia di agire nello stesso modo oppure Agendo cos io vi faccio il dono di
agire allo stesso modo. Lo stile di vita del discepolo si innesta e prende forza
dallo stile di vita del Maestro. Lespressione gli uni gli altri indica
luguaglianza tra i discepoli, i quali tutti debbono prestarsi servizio
reciprocamente.
Giovanni avrebbe potuto dire: Lav loro i piedi. Avremmo capito. E invece no: i gesti
sono elencati uno ad uno, in una sorta di visione al rallentatore: Si alz da tavola, ripose le
vesti, prese un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita, poi vers dellacqua nel catino,
cominci a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con lasciugatoio di cui si era cinto (Gv
13,4-5). La lenta narrazione di questi gesti costruisce un quadro di grande valore poetico.
Sono gesti che hanno un valore rivelativo. Svelano chi Ges. Meglio ancora: rivelano la
figura di Dio che egli venuto a mostrare. Non si tratta semplicemente di un gesto di umilt,
o di un buon esempio che insegna ai discepoli ad amarsi lun laltro. Lavando i piedi ai
discepoli Ges non ha nascosto la sua grandezza divina, ma lha svelata: una grandezza che
a differenza di quella che gli uomini immaginano fatta di amore, di servizio e di umilt.
La grandezza che si manifesta elevandosi, distanziandosi, facendosi servire anzich servire,
lhanno inventata gli uomini. una brutta grandezza. La grandezza di un Figlio di Dio che
lava i piedi invece qualcosa di sorprendente e bellissimo. Una grandezza capovolta e
paradossale, e tuttavia profondamente vera. Ges non compie il suo gesto di servizio
nonostante la consapevolezza della propria dignit, ma lo compie proprio perch ne
consapevole. Non offusca la sua dignit, ma la rivela: come avverr, appunto, sulla croce. Il
gesto di Ges, in altre parole, non come un disegno fatto alla lavagna, per spiegare
chiaramente e didatticamente un concetto. Sarebbe stato in tal caso un gesto esteriore alla sua
persona. Invece un gesto che nasce dalla profondit della sua persona. Non una figura
inventata per dare nome a una norma di vita ecclesiale. la norma ecclesiale che deriva dalla
figura di Ges e dal suo modo di vivere, non viceversa 66.
Potremmo dire che con questo gesto Ges ha stilato la costituzione del suo
gruppo e ne ha firmato l'atto di fondazione. Proprio perch Ges servo i
discepoli devono servire: non si tratta di fare qualche gesto di servizio, ma si
tratta di essere servi67.
La lavanda dei piedi comporta la costituzione dei discepoli come inviati e ha quindi il
valore di una trasmissione di potere. Per farsi servi occorre essere stati investiti di una
signoria, come Ges che Signore perch il Padre lo ha inviato e gli ha dato il potere e,
inginocchiato davanti ai piedi degli apostoli, trasmette loro qualcosa della loro signoria 68.
Inoltre lessere servi riserva una beatitudine: sapendo queste cose, sarete
beati se le metterete in pratica (v.17). Al v. 12 Ges aveva chiesto se essi
sapevano; ora lo sanno e lo debbono anche realizzare. La beatitudine consister
in prima istanza nella continuit tra la prassi di Ges e quella dei discepoli.
Sembra che il segreto della vera gioia della Chiesa la garanzia autentica della
sua beatitudine stia tutto qui: nel farsi serva, nel dare la vita, come Ges.
Cos la scena della lavanda dei piedi si colloca su uno sfondo di
adesione/partecipazione alla logica del Maestro, ponendo in qualche modo un
segno di distinzione tra chi si lascia coinvolgere e chi se ne tira fuori, tra chi
prende parte e chi invece rimane attaccato ad una logica estranea a quella di
Ges. Infatti il brano collocato in un conteso di tradimento, sia per limmediata
menzione del voltafaccia di Giuda (v. 2; la scena seguente si occupa diffusamente
di questo tema: vv. 21-30), sia per la predizione successiva del rinnegamento di
Pietro (vv. 37-38). Il richiamo alla Scrittura (Sal 41,10) e la formula di
rivelazione Io sono esprimono la consapevolezza che il tradimento di Giuda,
lungi dal poter essere un argomento a sfavore dellautorevolezza di Ges che
appunto avrebbe fatto la scelta sbagliata di chiamare fra i suoi colui che lo
avrebbe tradito in realt risponde al progetto eterno di Dio. Anzi, si realizza una
sorta di auto rivelazione di Ges, che con il Padre condivide la condizione divina:
nellIo sono di Ges riecheggia lIo sono di Dio di Esodo (cf. 3,14).
La comunit che legge e ascolta il vangelo deve avere la certezza che in questa vittima
del tradimento e della successiva esecuzione capitale ci vien incontro niente meno che Dio
stesso69.
5. Per unattualizzazione
Lavarsi i piedi significa qui di pi che servirsi semplicemente a vicenda. Come Ges
dobbiamo inchinarci, abbassandosi, sui nostri fratelli, e toccarli l dove sono sporchi, dove
essi stessi non riescono ad accettarsi. Dobbiamo purificarli con il nostro amore. Chi sa di
essere amato si sente puro e schietto, smettendo di dilaniarsi con i sensi di colpa. L'amore
incondizionato lo libera dalla sua autosvalutazione e dal disprezzo di s. E dobbiamo
toccarci l'un l'altro nelle nostre ferite. Chi tocca la ferita purulenta dell'altro si sporca le mani,
ma perch le ferite possano guarire ci vuole uno che tocchi in modo amorevole e affettuoso,
uno che unga con l'olio dell'amore. Ges invita i suoi discepoli a un comportamento nuovo.
Egli desidera una comunit di amici che si rendono l'un l'altro, in amicizia, il servizio della
lavanda dei piedi. Desidera una comunit di fratelli e sorelle che si amano e accolgono l'un
Gv 13, 33-35
33
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34
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35
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1. Contesto
Ci troviamo ancora in questi due momenti drammatici: Tradimento e
rinnegamento. Giuda sparisce nella notte, la notte simbolicamente
entrata, iniziata la notte pi buia del mondo che tre giorno dopo far
venire il giorno pi luminoso. Siamo nel libro della GLORIA.
- Prospettiva: separazione imminente. Il discorso carico di sentimenti
ambigui, dolore, angoscia, separazione.
- Un testamento: ultima volta. Arriver la sua eredit, entolen, sta ad
indicare non solo un peso, ma la espressione della volont di Dio, che
significa normalmente come un dono. La tor non un peso, un dono,
grande regalo, dove Dio ha comunicato loro la propria volont.
unistruzione, insegnamento, che diventa luce, la parola una luce per i
miei passi per questo i racconti storici sono legge perch dimostrano la
strada da seguire, molto allargato il significato. Non solo un precetto,
ma una sua volont, testamento, quello che vorrebbe lasciare come regola
di vita. Si tratta di una nuova economia, organizzazione, progetto di vita,
ormai cominci a una tappa nuova, non solo dottrina nuova, ma etica, vita
nuova, che diventa istituzione, come per Israele, il nuovo Sinai.
70 GRN A., Ges porta della vita, 131-132.
-1 Cor 13, 4-7: Oggi abbiamo una tradizione con dei sostantivi che
nelloriginale erano verbi, 15 verbi. un programma di vita, un dono, con
lo spirito riusciamo a farlo. In 1 Cor 11, 31: esaminare s stesso davanti
alleucaristia. Dove vero che ci riconosciamo lontani, ma riconosciamo
anche lamore di Dio.
-Un linguaggio universale: Lamore un linguaggio universale.
Lamore fa risplendere sulla terra il volto, la gloria del Padre (S. Fausti).
Diventa reale il palpito della vita di Dio in noi.
Gv 19.12-22.28-30
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Gv 20,11-18