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Testi per lesame finale

Gv 1, 1-18

I Parte: il Logos diventa la luce del mondo (vv. 1-5)


v. 1a: In principio era il Verbo (Logos)

VEn
avrch/|

h=
n

o`
lo,goj

En arch

en

ho lgos

In principio

era

il Logos

In principio (evn avrch,) crea un parallelo facilmente riconoscibile con


Gn 1,1 LXX (anche se nel TM lespressione tyviarEB. / bereshit indica
linizio del creare: quando Dio cominci a creare il cielo e la terra). Tuttavia, in
Gv il termine principio non indica il principio della creazione, ma il periodo
precedente alla creazione, quando ancora cielo e terra non esistevano, ma cera
Dio solo. Si tratta, dunque, di una designazione pi qualitativa che temporale,
della sfera stessa di Dio1.
piuttosto che impegnarsi subito ad extra, cio nel rapporto creatore Dio/mondo, di per s
gi inaccessibile a qualunque mortale, Gv 1,1-18 spicca un pi audace balzo allindietro,
guardando ad intra, nientemeno che al mistero di Dio pulsante in se stesso, pur sempre
invisibile e rigorosamente uno, cui siamo iniziati attraverso il suo Logos, il Figlio unico
generato (1,1-2.18)2.

1 BROWN, Giovanni, 4.
2 VIGNOLO, Il Logos in principio, 40.

Era (h=n). Non c il verbo al passato (fu, stato, era stato), come se
adesso non ci fosse pi. Nemmeno il verbo avvenne, accadde (eghneto3), cos
frequente nel linguaggio narrativo del NT, che indica una realt che inizia, che
accade. Il verbo allimperfetto pone il Logos al di fuori dei limiti dello spazio e del
tempo, indicando una condizione di preesistenza rispetto al creato. Il verbo era
comunica lidea della durata, della continuazione: si tratta di unazione che perdura.
Dunque non unazione che ha avuto un inizio nel tempo, come se prima non fosse
affatto posta in essere. unattivit perenne: il Logos esisteva da sempre. Non si
pu indagare in che modo la Parola giunse allesistenza, perch la Parola
semplicemente era4.
Ora la descrizione del Logos in cielo prima della creazione
straordinariamente breve, non c il minimo segno di interesse per le
speculazioni metafisiche circa le relazioni allinterno di Dio o per ci che la
teologia posteriore chiamer processioni trinitarie5.
Il Logos (lo,goj), tradotto con Verbum nella Vulgata, Parola in
italiano, tradotta anche con Verbo o Logos (calchi rispettivamente dal greco
e dal latino per esprimere che non si tratta di un concetto ma di una persona).

v. 1b: e il Logos era presso/verso Dio


kai.
lo,goj

o`

h
=n

ka ho lgos

en

e il Logos

er
a

pro.j
qeo,n(

to.n

prs tn then,

presso/verso
Dio,

3 Il verbo evge,neto appare al v. 3 riferito alla creazione: essa s ha un


inizio a partire dal quale ha cominciato ad esistere.
4 BROWN, Giovanni, 5.
5 BROWN, Giovanni, 33.

Il Logos era presso/verso Dio. Cosa si afferma del Logos oltre al fatto che
era? Si dice che non era semplicemente in se stesso, ma che era
presso/verso Dio. La frase variamente traducibile: rivolto a Dio 6, rivolto
verso Dio7, alla presenza di Dio8, con Dio9. Il Logos da sempre vive in
stretta relazione con Dio: si tratta della sua qualifica imprescindibile, eterna,
radicale. Le variazioni di traduzione dipendono dalla ricchezza della particella
pro,j, che significa sia con, sia verso. Nel primo caso avremmo con Dio;
pro,j introduce il complemento di compagnia: il Logos stava con, era assieme a
Dio. Nel secondo caso avremmo un senso dinamico, di relazione vivace: il Logos
proteso verso Dio (cf. v. 18: eivj to.n ko,lpon, verso il seno del Padre;
traduzione CEI: nel seno del Padre).
In ogni caso questo versetto dice al tempo stesso:
- la differenza tra il Logos e Dio: non coincidono, non sono la stessa cosa.
Abbiamo quindi una chiara distinzione di soggetti.
- la relazione: il Logos non staccato, indipendente da Dio; pur distinto da
Lui gli strettamente correlato. Si tratta di una relazione intima (la
relazione con Dio, infatti, precede la relazione con gli esseri creati).
Il riferimento al Dio creatore e salvatore spicca fin dai primi cinque versetti (1,1-5: cf. Gn
1.1.3-5). Che si tratti del Dio dIsraele lo si intende senzombra di equivoci per lulteriore
riferimento a Giovanni Battista, nonch alla Torah data tramite Mos (1,14.17). Ma nellidea
tradizionale di questo Dio vivificante, come creatore e salvatore, viene introdotta quella
nuova, in ultima analisi davvero inaudita (soprattutto per un orecchio greco, ma, pur in
misura minore, anche ebraico) di un Dio in se stesso dialogico, con il proprio eterno Logos,
di un unico Dio al tempo stesso Padre generante e Figlio generato. Che Dio sia il vivente e
vivificante, creatore e salvatore in forza della sua torah, sapienza e parola, Israele lha sempre
saputo. Ma [] che Dio en arch, prima di tutto e tutti, generi e abbia un Logos davanti a s
in cui riversare completamente se stesso con questo suo attributo di vivente/vivificante, ecco
(insieme a 1,14) la novit squisitamente cristiana di un monoteismo non monistico, bens

6 VIGNOLO, Il Logos in principio, 39.


7 MOLONEY, Giovanni, 29.
8 BROWN, Giovanni, 4.
9 H. VAN DEN BUSSCHE, Giovanni. Commento del vangelo spirituale,
Cittadella, Assisi 1974, 71.

dialogico. Cos Giovanni nel prologo comunica con i suoi destinatari (originari e impliciti)
tramite unidea di Dio tradizionalmente giudaica, ma re-interpretandola in una chiave che
rimane momentaneamente binaria (limitata a Dio Padre e il Logos Figlio incarnato, Dio unico
generato), e solo in seguito si dispiegher come esplicitamente trinitaria10.

v. 1c: e Dio era il Logos


kai.
qeo.j

h=n o` lo,goj

ki thes

en ho lgos.

e Dio

era il Logos

Qui qeo,j senza articolo (o`). Quando sono implicati il Padre, Ges e lo
Spirito santo allora per parlare del Padre il NT usa larticolo: o` qeo,j. Questo
testo stato a lungo studiato, perch riguarda la divinit di Ges. La traduzione
il Logos era Dio corretta, ma non nel senso che il Logos coincida con il
Padre, quasi fossero un medesimo soggetto. Ci che era Dio lo era anche il
Verbo11 una parafrasi corretta, ed proposta da pi di qualche esegeta. Infatti
Dio non il soggetto della frase, perch soggetto lo il Logos; dio qui funge
da attribuzione12. In altre parole non si sta di dicendo che Dio (Padre) il Logos,
ma che il Logos Dio, cio per usare una espressione dogmatica successiva
di natura divina.
Questa affermazione della divinit di Ges fa da inclusione con Gv 20,8, in cui
Tommaso riconosce Ges mio Signore e mio Dio (o` ku,rio,j mou kai. o`

10 VIGNOLO, Il Logos in principio, 42.


11 MOLONEY, Giovanni, 29.
12 Due esempi: Il medico (soggetto) entr in casa per visitare il bambino suo zio Antonio era
medico (attribuzione). Un dolce (soggetto) era allapice dei miei desideri ed entrando in cucina vidi un
ombra sul tavolo: quella massa attraente era un dolce (attribuzione).

qeo,j mou). Lautore non si limitato a dire che Ges divino (avrebbe, cos,
potuto usare laggettivo qei/oj, divino, appunto), altrimenti avremmo due
entit divine distinte, col rischio di parlare di due dei.
Dicendo che il Logos era presso Dio e Dio era il Logos, lautore afferma che il
lo,goj e Dio sono al tempo stesso due e uno. Sono due soggetti differenti ma non
sono due divinit separate (cf. 14,9-10: Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come
puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre in
me?). Laffermazione che pi si avvicina al concetto di 1,1 si trova in 10,30:
Io e il Padre

siamo

evgw. kai. o`
path.r

evsmen

2 soggetti diversi

una cosa sola


(uno)
e[n

uno (ununica realt)

Gv dunque va oltre i suoi predecessori, dichiarando che il Logos non soltanto un essere
divino (theos), ma che Dio (thes). Il testo oscilla dal due verso luno e dalluno
verso il due. E questo caratterizzer il mistero della relazione Padre-Figlio; ma finch il
Logos non sar incarnato, diventando il Figlio, e finch Dio non sar chiamato Padre,
lunit che prevale sulla dualit. Al punto in cui siamo, pertanto, non si deve sovrapporre
senzaltro alla relazione Logos-Dio quella di Figlio-Padre che noi conosciamo. Ci che
appare chiaramente che lunicit di Dio non esige la sua riduzione a quella di un individuo;
essa suppone una relazione dinamica, quella di un essere in espansione. Solo la relazione
caratterizza lessere nella sua profondit. Non appena si dissociano i poli della relazione, si
cade nellerrore o si manifesta solo una parte del mistero della cui complessit le due
espressioni successiva (presso Dio era Dio) cercano di balbettare qualcosa 13.

v. 2 Egli (ou-toj, costui) era, in principio, presso Dio


Il v. 2 non fa che ripetere sostanzialmente quanto detto finora; concettualmente
non sembra aggiungere nulla (cf. era, in principio, presso/verso Dio, che
sono gli stessi identici elementi linguistici del v. 1). Tuttavia, c un dettaglio
piccolo ma estremamente prezioso: si tratta del pronome dimostrativo ou-toj

13 X. LON-DUFOUR, Lettura dellEvangelo secondo Giovanni (Ed. Paoline, Cinisello Balsamo) I,


117.

(hotos = costui). Questo piccolo elemento non al neutro (tou/to = questa


cosa), ma al maschile, permettendo una identificazione personale successiva. In
altre parole tale pronome maschile sta informando il lettore circa lidentificazione
del Logos: non si tratta di un concetto, di unastrazione, di unentit, o di una
realt indeterminata, ma una persona; persona identificabile, addirittura di sesso
maschile. Chi conosce gi il prologo sa ovviamente che si tratta di Ges, ma chi
lo legge per la prima volta no. indotto ad attendere ulteriori informazioni per
poterlo identificare. Il pronome guarda allindietro al termine maschile logos e
anche in avanti a una figura con una storia umana. Chi potr essere questo
uomo?14. Al v. 6 si parla di un uomo concreto con un nome preciso (Venne un
uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni): che sia lui?
Il v. 2, in ultima analisi, potrebbe sembrare ripetitivo in un ragionamento e
ridondante in una descrizione; in un inno, invece, pu fungere da inclusione (o da
ritornello), e, quindi, la sua presenza non fuori luogo!

v. 3

Tutto (pa,nta) stato fatto (evge,neto) per mezzo


di lui

e senza di lui nulla stato fatto (evge,neto) di ci


che esiste

Secondo luso semitico due frasi sono giustapposte: la prima affermativa, la


seconda che nega il suo contrario (litote). Dunque, un unico concetto ne esce
ribadito: il Logos principio attivo di creazione. Se prima si considerava il Logos
in rapporto a Dio, ora lo si considera in rapporto con lintero creato (pa,nta). Il
verbo utilizzato esprime in questo caso un atto creativo: cf. Gn 1,3: Dio disse:
Sia la luce!. E la luce fu (evge,neto).
Il v. 3 conserva da una parte lidea che la fonte ultima dellatto creativo Dio,
infatti si usa il passivo divino stato fatto (evge,neto), quindi la scaturigine
ultima degli esseri creati Dio, ma si aggiunge che nulla di quanto stato creato
lo stato senza il Logos.
Con Gn 1,3 il legame non solo letterario ma anche concettuale; ivi, infatti,
Dio crea mediante la forza della sua parola (Dio disse e la luce fu); qui in Gv 1,3
Dio crea mediante la sua Parola-Logos. Ma, mentre in Gn 1,3 la parola lo
strumento con cui Dio crea, qui la Parola-Logos non strumento ma soggetto.

14 MOLONEY, Giovanni, 31.

Quindi il Logos mediatore nella creazione, collabora con Dio nellatto creativo:
emerge lidea che il Logos sia co-creatore.
Il concetto simile a 1Cor 8,6: per noi c un solo Dio, il Padre, dal quale
tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Ges Cristo, in virt del
quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui e Col 1,16: perch in
lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle
invisibili.
A questo punto vale la pena un confronto col pensiero ellenistico: i greci (e gli
gnostici) pensavano che Dio non creasse la materia direttamente, per non essere
implicato con un realt negativa e in fondo malvagia. Dio non creava il mondo!
Lo creava un demiurgo, unentit sovra mondana ma subdivina. Solo il demiurgo
si sporcava le mani con la materia creata e Dio non era responsabile della
malvagit del mondo concreto (la materia! 15) perch non laveva creata lui
direttamente. Gv, invece, dicendo che il Logos congiunto a Dio (Padre), e che
Dio crea con la collaborazione del Logos, per mezzo del Logos, allora dichiara
che il mondo voluto da Dio e quindi buono.
Se, poi, la creazione avvenuta per mezzo della Parola-Logos, allora anche il
creato un atto comunicativo, un modo con cui Dio si rivela (i due libri con
cui Dio si auto comunica: mondo e Bibbia). Il v. 3 segna il passaggio
dallattenzione ad intra a quella ad extra.
Il passaggio dal v. 3 al v. 4 non del tutto chiaro, perch dipende da come si
legge ci che esiste.

3tutto stato fatto per mezzo di lui

e senza di lui nulla stato fatto di ci che esiste.


4In lui era la vita

v.
3

kai. cwri.j
auvtou/

evge,ne
to

e senza
di lui

stato
fatto

ouvde.
e[n
neppure
uno = nulla

o]
ge,gonen

v.
4

evn
auvtw/|
zwh. h=n(

ci che stato
fatto = ci che
esiste

15 Addirittura fra non molti versetti dir che il Logos si fa materia,


divenuto carne!

In lui era la
vita

A seconda di come si colloca ci che esiste (se si riferisce a quanto precede


o a quanto segue) si possono avere due traduzioni diverse: quella seguita dalla
CEI: senza di lui nulla stato fatto di ci che esiste, oppure Ci che stato
fatto in lui era vita16.

v. 4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini


Come va inteso il termine zwh, (vita)? Vita naturale (biologica), visto che nel
v. 3 si parla di creazione, oppure vita spirituale? Per la Bibbia solo Dio il
vivente in senso assoluto e tutto ci che vive dipende da Lui; senza Dio non vi
che morte. Di conseguenza, la vita che Dio ha suscitato, per poter mantenersi
nelluomo, deve restare senza interruzione in contatto con Lui, sua sorgente 17.
Dunque la distinzione vita biologica e vita spirituale nellorizzonte biblico non ha
senso, perch formano un tuttuno. Quindi la parola vita si riferisce non solo
alla conservazione nellessere, ma alla relazione esistenziale con Dio attraverso il
Logos. Il Logos fonte permanente di vita. Il tema ritorna poi in 5,26; 10,10;
14,618.
Gv stesso, immediatamente dopo, definisce questa vita come luce degli
uomini. IL concetto di luce strettamente connesso con quello di vita: senza
luce non c vita e con loscurit c solo morte. Venire alla luce significa
nascere, venire alla vita. Il simbolismo della luce, poi, apre ad una gamma
molto vasta di significati: salvezza, conoscenza, condotta (illuminata) morale,
illuminazione che viene dalla Parola di Dio; non escluso, poi, il significato
mistico. Solo alcuni esempi (in alcuni dei quali vita e luce sono associate):
Sal 27,1: Il Signore mia luce e mia salvezza: di chi avr timore?;
Sal 36,10: in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce;

16 Cf. BROWN, Giovanni, 8.


17 LON-DUFOUR, Giovanni, 127.
18 5,26: Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, cos ha concesso anche al Figlio di avere la vita
in se stesso; 10,10: Io sono venuto perch abbiano la vita e labbiano in abbondanza; 14,6: Io sono
la via, la verit e la vita.

Gv 8,12: Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminer nelle tenebre,
ma avr la luce della vita.

v. 5 La luce splende nelle tenebre e le tenebre non lhanno vinta


(kate,laben).
Il verbo katalamba,nw di difficile traduzione, perch ha diversi significati
(da notare che gli uomini collettivamente intesi nel loro rifiuto vengono definiti a
partire dalla loro situazione di oscurit: essi sono tenebre, proprio perch in
opposizione alla Luce, che il Logos):
1) afferrare, comprendere: gli uomini non hanno capito/compreso questa luce;
non sono giunti ad una comprensione intellettuale del Logos.
2) accogliere, ricevere, accettare, apprezzare: gli uomini hanno respinto la
luce, lhanno disprezzata, rifiutata.
3) sorprendere, vincere: gli uomini non sono riusciti a sopraffare la luce, pur
essendo ostili e Lei, non sono stati capaci di avere la meglio.
4) dominare: gli uomini non sono riusciti a dominarla ( un significato assai
simile a 3).
Lidea di fondo potrebbe essere al seguente: anche se lumanit risponde
negativamente, come dicono i vv. 10-11, la luce continua a splendere. Nonostante
lostilit degli uomini il Logos continuer nella sua ostinazione di dono di vita
per gli uomini19.

19 Risultano illuminanti anche altri passi: Ella [la Sapienza] in realt pi radiosa del sole e supera
ogni costellazione, paragonata alla luce risulta pi luminosa; a questa, infatti, succede la notte, ma la
malvagit non prevale sulla Sapienza (Sal 7,29-30);
La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano labisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle
acque. Dio disse: Sia la luce!. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separ la luce
dalle tenebre (Gn 1,2-4);
Ancora per poco tempo la luce tra voi. Camminate mentre avete la luce, perch le tenebre non vi
sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per
diventare figli della luce (Gv 12,35-36).

La creazione, dunque, appare come una progressiva invasione della luce


nelle tenebre, le quali non sono in grado di arrestarla. La tenebra rimane,
una realt misteriosa che nel cuore delluomo e della storia tenta di
arrestare la luce, ma non ci riesce. C per una differenza tra la tenebra
degli inizi e quella attuale. Mentre la prima era, per cos dire, neutra,
trattandosi di un buio innocente, qui la tenebra non pi una semplice
assenza di luce, ma una potenza negativa in azione, in opposizione. C di
mezzo la libera scelta degli uomini, che hanno preferito la tenebra alla luce.
Difficile dire se gi si alluda al buio della morte (croce), frutto dellostilit
degli uomini verso Ges, tenebra che non riesce a vincere, perch con la
risurrezione Ges esce vittorioso dal sepolcro (anche al morte per Gv una
vittoria); rimane, comunque, una buona allusione.

II Parte: lincarnazione del Logos (6-14)


vv. 6-8: 1a inserzione su Giovanni Battista
6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,
perch tutti credessero per mezzo di lui.
8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.

Nel Prologo compare la prima figura storica: il Battista, di cui si riassume in


breve la testimonianza. Figura straordinariamente importante, tanto da poter
essere confusa col messia stesso. Che sia lui il Logos (cf. ou-toj, costui del v.
2)? No, Giovanni non il messia: non era lui la luce (v. 8); egli ne il
testimone (v. 7). Forse il retroterra costituito da una controversia tra i discepoli
del Battista e quelli di Ges: solo a questultimo si pu riconoscere il titolo di
luce20. Infatti la luce vera solo Ges (cf. v. 9).

20 Cf. Mc 1,7-8: Viene dopo di me colui che pi forte di me: io non


sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho
battezzato con acqua, ma egli vi battezzer in Spirito Santo.

v. 9: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo
La luce autentica Ges. In questo versetto si comincia a parlare
dellincarnazione: il verbo venire allude al farsi uomo dal parte del Logos.
Limmagina della luce che viene nel mondo tipicamente messianica:
Is 9,1: Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro
che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse;
Is 42,6: ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle
nazioni .

v. 10: Era nel mondo e il mondo stato fatto per mezzo di lui; eppure il
mondo non lo ha riconosciuto
Viene ribadita lazione attiva del Logos nella creazione del mondo, il quale
tuttavia, pur avendo in s tracce del Logos (perch stato creato per mezzo di
Lui), non lo riconosce. Il mondo ha una sorta di marchio di fabbrica, perch il
qualche modo la creazione da parte del Logos ha lasciato come delle tracce nel
creato e nelle creature, ma le creature non riconoscono il Creatore 21. Il verbo
conoscere, usato al negativo (non lo ha riconosciuto) non indica una mancata
identificazione, ma un vero e proprio rifiuto da parte del mondo (il senso di
conoscere nel linguaggio biblico amare).

v. 11: Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto


Il discorso si precisa e lo sguardo si focalizza, perch non si parla pi del
rifiuto da parte del mondo, in un considerazione onnicomprensiva, ma pi

21 Cf. Rm 1,18-25: Infatti lira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empiet e ogni ingiustizia di
uomini che soffocano la verit nellingiustizia, poich ci che di Dio si pu conoscere loro manifesto;
Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e
divinit, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute.
Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perch, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno
glorificato n ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa
si ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio
incorruttibile con unimmagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
Perci Dio li ha abbandonati allimpurit secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i
propri corpi, perch hanno scambiato la verit di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le
creature anzich il Creatore, che benedetto nei secoli. Amen.

limitatamente si afferma un rifiuto da parte dei suoi. Prima si diceva che la luce
veniva nel mondo (v. 9), ora invece si afferma che viene fra i suoi, la sua gente.
venne fra i suoi,
eivj ta. i;dia h=lqen(

venne nelle sue cose proprie (t


dia)

e i suoi non lo hanno accolto


kai. oi`
pare,labon

i;dioi

auvto.n

ouv

Ma i suoi (hoi dioi) non lhanno


accolto

Chi sono i suoi? Si aprono, qui, due possibilit:


a) Venne in casa propria (Israele) eppure il suo popolo non laccolse. Si
tratterebbe quindi del rifiuto storico di Israele, culminato nella condanna a
morte22.
b) Venne tra coloro che sono stati creati per mezzo di Lui, ma gli uomini non
laccolsero. In questo caso si tratterebbe dellumanit intera, che, com
detto al v. 10, non lo ha riconosciuto23.
Ma lespressione hoi dioi e t dia indica gli intimi: cf 13,1: avendo amato i
suoi (tos idous) che erano nel mondo e 19,26-27: Donna, ecco tuo figlio!.
Poi disse al discepolo: Ecco tua madre!. E da quellora il discepolo laccolse
con s (eis t dia). Quindi i suoi, significa quelli della sua cerchia; ora in 1,11
non sono i suoi discepoli, ma i suoi concittadini, i suoi connazionali.
Quindi si sta parlando del rifiuto di Israele (in Gv la categoria i Giudei indica
gli avversari di Ges).

v. 12: A quanti per lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di


Dio: a quelli che credono nel suo nome
Accogliere si trova in contrasto con il non accogliere del v. precedente, e,
trovandosi in parallelo col verbo credere, indica laccoglienza di fede, il
credere nel Logos.

22 Cos BROWN, Giovanni, 14.


23 Cos LON-DUFOUR, Giovanni, 152.

parallelismo
sinonimico:

a quanti lo hanno accolto


a quelli che credono nel suo
nome

Accogliere il Logos non mette in relazione solamente con Lui, ma apre


immediatamente alla relazione con Dio: poter diventare figli di Dio. Non si
diventa solo amici del Logos, ma anche figli di Dio. Dunque, laccoglienza del
Logos condizione per esser introdotti nella figliolanza divina. Se il Logos in
un rapporto particolarmente stretto con Dio (cf. 1,1: prs tn then), allora chi lo
accoglie e crede nel suo nome viene introdotto in un rapporto filiale con Dio
stesso. Il Logos fa accedere a Dio.
Ma non si dice semplicemente che sono diventati figli, si afferma che hanno
ricevuto da dio il potere (evxousi,a) di diventarlo. Exousa significa autorit,
in questo caso conferita da un superiore a un inferiore 24: implica quindi lidea di
una dignit, di un cambiamento verso una condizione pi elevata. Non ha
comunque mai il senso banale di poter fare questa o quella cosa25.

v. 13: i quali, non da sangue n da volere di carne n da volere di


uomo, ma da Dio sono stati generati
Si figli di Dio non per iniziativa propria ma per generazione divina: Dio
stesso che genera i suoi figli. Infatti i termine sangue, carne e volere
duomo sono tre elementi che riassumono la sfera umana, il naturale,
contrapposto alla sfera dello Spirito, la cui pertinenza non delluomo, ma di Dio
solo26.

24 Cf. ad es. la conclusione del Discorso della Montagna: egli infatti insegnava loro come uno che
ha autorit, e non come i loro scribi Mt 7,29.

25 LON-DUFOUR, Giovanni, 157.


26

Alcuni esegeti vi leggono una allusione al concepimento verginale: la Vetus latina legge al

singolare colui che fu generato, intendendo, cos, non i figli di Dio, ma il Figlio di Dio, il quale non
generato n da sangue n da volere di carne n da volere di uomo, sarebbe, appunto generato da Dio nel
grembo verginale di Maria. Ma si tratta di una posizione seguita da pochi. cf. BROWN, Giovanni, 16 e
LON-DUFOUR, Giovanni, 162-163.

Gli antichi vedevano nella generazione di un bambino il risultato della coagulazione


meccanica del sangue della donna che si mescolava con il seme maschile. Ma i figli di Dio
non nascono dal sangue. I figli vengono inoltre generati per effetto della concupiscenza
umana, ma i figli di Dio non nascono dalla carne. Ci sono momenti in cui i genitori
decidono che vogliono avere un bambino e si comportano di conseguenza, ma i figli di Dio
non nascono dal volere di uomo. I figli di Dio sono generati da Dio (ek theou
egennthesan)27.

La conferma di questa concezione antica della fecondazione viene


probabilmente anche dalloriginale, che, di per s, non dice da sangue ma dai
sangui (evx ai`ma,twn), alludendo alla mescolanza del sangue femminile a
quello maschile.

v. 14: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi


E il Verbo si fece carne
Kai.
o`
evge,neto

lo,goj

e venne ad abitare in mezzo a noi


sa.rx

kai.
h`mi/n

evskh,nwsen

evn

Molti esegeti considerano tale espressione come il punto culminante del


Prologo, anche se lindicazione che il Logos veniva nel mondo si trova gi nei
vv. 3c-4.9.11. Comunque, laffermazione originalissima, se non addirittura
scandalosa, infatti nessun pensatore ellenistico o gnostico riuscirebbe ad
intendere lIncarnazione come un culmine: per loro sarebbe del tutto
inconcepibile affermare che il Logos si fece carne.
Notiamo il vertiginoso cambio di prospettiva: al v. si diceva che il Logos era,
ora al v. 14 si dice che divenne; al v. 1 egli era alla presenza di Dio, ora fra noi;
al v. 1 si diceva che il Logos era Dio, qui che divenne carne.
Innanzitutto si parla di un avvenimento, un fatto che cambia lo stesso modo
dessere del Logos e che lo fa entrare nella storia: il Logos, che da sempre era
(h=n) presso Dio ed era Dio, ora diviene (evge,neto) carne. Si tratta di una
novit assoluta per il Logos, che non segna solo il suo ingresso nel mondo, ma
inaugura una modificazione nel modo della presenza e della manifestazione 28.

27 MOLONEY, Giovanni, 34.


28 LON-DUFOUR, Giovanni, 166.

Non pi semplicemente il Logos, ma il Logos divenuto carne. Il testo, infatti,


non dice che il Logos entrato nella carne, o che ha abitato nella carne, ma che
divenuto carne. Il termine sa,rx inserisce nellinno un senso di forte realismo
(non dice che divenuto uomo, nemmeno che ha solamente assunto un
corpo). Carne non ha il senso negativo che invece esprime in Paolo 29, ma,
in contrasto con la condizione imperitura e incorruttibile del mondo di lass,
designa la condizione misera, debole, precaria del mondo di quaggi 30. Quindi,
sa,rx, nel linguaggio giovanneo, sta per luomo nella sua situazione di fragilit,
caducit e mortalit. Cos nella persone di Ges due grandezze di per s
lontanissime e incompatibili tra loro potenza del Logos e fragilit creaturale
arrivano a coincidere.
Con quali conseguenze? Certamente per il Logos una knosis: assumendo la
carne diventa mortale; ma per il mondo (gli uomini) una sorta di guadagno:
ha cos trovato il modo pi efficace per esprimere se stesso agli uomini. Quindi, col
diventare carne la Parola non cessa di essere la Parola, ma esercita in pieno la sua funzione
di Parola31.

Di solito, nelle epifanie della mitologia classica, quando una divinit si


manifestava nel mondo, lo faceva, appunto, in modo divino, suscitando il
tremendum e mediante la qualifica del fascinas; oppure mascherandosi sotto
qualche forma terrestre. Cos Zeus pu apparire in forma duomo, ma si tratta di
apparenza, perch egli rimane un dio e delluomo assume non la realt, ma,
appunto, lapparenza. La carne del Logos, invece, oltre a non esser aborrita
perch negativa, diviene non schermo, ostacolo ma manifestazione del Logos,
sua autocomunicaizone. Inoltre, questo sublime atto di comunicazione non
passeggero, perch il Logos ha posto [stabilmente] la sua tenda fra noi

29 Rm 8,5-7: Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ci che carnale; quelli
invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ci che spirituale. Ora, la carne tende alla morte,
mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace; Gal 5,17-20: La carne infatti ha desideri contrari allo
Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne []. Del resto sono ben note le opere della carne:
fornicazione, impurit, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi,
divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere.

30 LON-DUFOUR, Giovanni, 166.


31 BROWN, Giovanni, 44.

(evskh,nwsen). Ora questo richiamo del dimorare mediante la tenda fa


scattare forti reminiscenze veterotestamentarie, legate alla Tenda, intesa come
santuario mobile durante lesodo (cf. Es 25,8-932)33.
La radice greca skn (tenda) richiama la shekinah, termine tecnico della
teologia rabbinica che indicava la presenza di Dio nel tempio e nel suo popolo.
Concetto questultimo contiguo a quello di gloria (do,xa). La carne del
Logos, infatti, non un involucro da attraversare e superare per raggiungere la
gloria; piuttosto, grazie alla carne che la gloria divina si rende accessibile agli
uomini. perfettamente possibile che nelluso di sknoun nel Prologo si rifletta
lidea che Ges ormai la shekinah di Dio, il luogo di contatto tra il Padre e
quegli uomini fra i quali sua delizia essere34.
Il prologo giovanneo apre il racconto della storia di Ges, ma in un certo vero senso
lapre partendo dalla sua conclusione. Riflettendo sulla storia e la persona di Ges, Giovanni
ha compreso che il Verbo da sempre presso Dio (1,1), da sempre proteso verso il seno del
Padre (1,18), da sempre luce e vita del mondo. Lessere rivolto e proteso verso il Padre non
unintuizione applicata al Cristo terreno partendo dal Logos nella sua preesistenza, ma stata
applicata al Logos partendo dal Cristo terreno e dalla sua obbedienza. Il Verbo si fatto
carne: carne, senza specificazioni, non semplicemente uomo, ma uomo legato alla terra
(3,6), debole e caduco. Si direbbe che levangelista Giovanni abbia voluto sottolineare in
questa grande affermazione del prologo tutta la diversit e la distanza fra il divino e lumano.
Al posto di presso Dio si dice fra noi, che non indica la cerchia dei credenti, ma
lumanit. Per percepire la risonanza scandalosa e sorprendente al tempo stesso della
lapidaria affermazione di Giovanni, la si confronti con le parole del profeta: Ogni carne
come lerba.., lerba secca, il fiore appassisce, ma la parola di Dio rimane per sempre (Is
40,6-8). Per Giovanni il fossato colmato: la Parola divenuta carne, ci che permane ha
assunto ci che caduco. Laffermazione certamente paradossale e polemica. Per molti (o,
forse, per tutti) lassunzione della natura umana da parte del Logos divino suona come
unassurdit. Per molti spiriti religiosi luomo invitato a liberare il proprio spirito,

32 Es 25,8-9: Essi mi faranno un santuario e io abiter in mezzo a loro.


Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrer, secondo il modello della
Dimora (skhnh, = tenda) e il modello di tutti i suoi arredi.
33 Cf. il testo gi menzionato, relativo alla Sapienza Sir 24,8: Fissa la
tenda (kataskh,nwson) in Giacobbe.
34 BROWN, Giovanni, 46-47.

considerato una scintilla divina imprigionata nella materia e a disagio in unesistenza che
non le conforme. Non un movimento di immersione nella storia (che , appunto, il
cammino del Logos che si fa carne), ma al contrario, un movimento di ascesa, di liberazione
verso lalto. Ma per Giovanni sta proprio qui il senso della sua concezione teologica, com
detto anche nella prima lettera (cf. 1Gv 4,1-6). Probabilmente contro tendenze che pensavano
che il Cristo si fosse semplicemente rivestito di carne per rendersi visibile e mostrarsi
alluomo, nella prima lettera si afferma: Ogni spirito che riconosce in Ges il Cristo venuto
nella carne da Dio (1Gv 4,2)35.

e noi abbiamo contemplato la sua gloria (do,xa), gloria come del


Figlio unigenito (monogenh,j) che viene dal Padre, pieno di grazia e di
verit.
Proprio perch la carne non schermo che intralcia la comunicazione,
lincarnazione permette agli uomini (noi) di contemplare la gloria, gloria da
intendersi come la manifestazione del rapporto che lega Dio e il Logos; rapporto
annunciato nei vv. 1-2 e qui precisato come relazione Padre-Figlio 36. La carne del
Logos lascia trapelare il mistero di Dio stesso. Infatti, Ges pieno della
verit, cio egli il Rivelatore della verit del Padre. E questa grazia, cio dono
gratuito che solo Lui pu fare.

III Parte: Il rivelatore (vv. 15-18).


v. 15: 2a inserzione su Giovanni Battista
Giovanni gli d testimonianza e proclama: Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me avanti (e;mprosqen) a me, perch era prima
(prw/toj) di me.

Incontriamo la seconda inserzione relativa al Battista: in cui viene ribadito il


ruolo di testimone nei confronti di Ges e la sua inferiorit rispetto a Ges (come

35 B. MAGGIONI, Mio Signore e mio Dio, Parole di Vita 6(2004), 49-50.


36 Unigenito: monoghens significa unico generato, quindi unico. Vetus Latina e Girolamo lo
tradusse con unicus. Riflette lebraico yhid (dyxiy"), che significa unico prezioso (cf. Gn
22,2.12.16). Va ricordato che si tratta di uno degli aggettivi della sapienza: Sap 7,22: In lei [la Sapienza]
c uno spirito intelligente, santo, unico (monogene,j).

nei vv. 6-8). Con laggiunta che a questo punto del Prologo Giovanni non
semplicemente testimone del Logos, ma del Logos incarnato; in qualche modo
il garante che davvero nella carne di Ges i discepoli hanno potuto contemplare
la gloria del Logos.
Inoltre lavverbio mprosthen pu assumere due significati: temporale o
spaziale: egli era prima di me o egli mi ha preceduto. Lidea comunque che
Ges, comparso dopo il Battista, in realt lo precedeva, perch esisteva prima del
Battista (in quanto Logos era da sempre). Anche se successivo, Ges gode della
preminenza rispetto a Giovanni in forza della sua superiorit e preesistenza.

v. 16: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia sua grazia
La comunit intera (noi tutti) acclama il dono ricevuto dalla sua pienezza: una
grazia sovrabbondante (grazia su grazia: senso accrescitivo 37). I Padri
vedevano in queste due menzioni la grazia dellAT (infatti al v. 17 viene
chiamato in causa Mos) e quella del NT; altri invece la grazia universale del
Logos sarkos e quella definitiva del Logos incarnato38.

v. 17: Legge e verit


Perch la Legge fu data per mezzo di Mos,
la grazia e la verit vennero per mezzo di Ges Cristo.

Da notare il parallelismo tra la Legge data da Mos (la Torah) e la grazia e la


verit date per mezzo di Ges. Si tratta di due doni che vengono da Dio: Legge e
verit. Tra queste non c opposizione ma progressione; tra AT e NT non c
contrasto ma continuit e compimento39. Infatti la Legge non cessa di essere dono

37 Lespressione ca,rin avnti. ca,ritoj di difficile comprensione e


ha dato del filo da torcere agli studiosi di ogni generazione: avnti,
significa letteralmente contro, al posto di: grazia contro grazia, o grazia
al posto di grazia.
38 LON-DUFOUR, Giovanni, 187.
39 Cf. Mt 5,17: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i
Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.

e rimane fondante, ossia non viene abolita; tuttavia Ges porta qualcosa di
nuovo. Egli, infatti, in quanto Logos incarnato ci ha fatto conoscere il Padre.

v. 18: il Figlio ci racconta il Padre


Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che Dio
ed nel seno del Padre, lui che lo ha rivelato (evxhgh,sato
= spiegato)

In una situazione senza via duscita, nella quale luomo non pu trovare
soluzioni, dal momento che con le sue sole forze non pu giungere a vedere Dio,
lunica possibilit di accesso ci data dal Figlio. Dio nessuno lo ha mai visto
pure una affermazione polemica contro ogni pretesa umana tanto ebraica
quanto gnostica, tanto filosofica quanto misterica di raggiungere Dio.
Limpossibilit di vedere Dio ribadita pi volte nella Scrittura; eccone solo
alcuni esempi:
Tu non potrai veder il mio volto, perch nessun uomo pu vedermi e restare
vivo (Es 33,20);
poi toglier la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si pu
vedere (Es 33,23);
Chi lo ha contemplato [Dio] e lo descriver? (Sir 43,31);
Il Signore vi parl dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate
alcuna figura: vi era soltanto una voce (Dt 4,12);
poich non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parl sullOreb dal
fuoco (Dt 4,15).

Lunica via di accesso ci regalata nel Figlio. Solo lui, infatti, essendo nel
seno del Padre (eivj to.n ko,lpon = rivolto verso il seno del Padre, intimo del
Padre) perfettamente competente per poterlo rivelare, narrare, raccontare,
spiegare a noi uomini. Ges Cristo-Logos incarnato pu fare lesegesi del Padre:

essendo il Logos, Dio40 con il Padre, ed essendo divenuto sa,rx, uomo con
noi. Finalmente un ponte stato gettato. Un ponte che mette in contatto
definitivo le due sponde.

Gv 1,14

1. Testo e traduzione
14

,
, ,
.
14

E il Verbo si fece carne


e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verit.

2. Contesto
Gv 1,14 si trova allinterno del Prologo giovanneo: 1,1-18. Considerato
un gioiello, una pietra preziosa, per la tradizione della Chiesa. Ci porta ad
un universo: en arch en o logos in quel principio che riecheggia il beriscit
veterotestamentario di Gn 1,1. Al principio della storia, ma in realt molto
prima di quel inizio cera gi la parola, qual cosa che personifica il Cristo.
Questo antico o primitivo INNO cristiano. Serviva per fare unintroduzione
al relato giovanneo, introduzione alla vita e al percorso della vita incarnata.
Altri autori dicono che fosse un credo, una confessione di fede, comunque
un poema affascinante, impressiona la solennit, porta una testimonianza
personale di fede. Inno alla parola, che luce e vita. Ci sono elementi della
40 Da notare la variante: nella traduzione CEI del 1971, seguendo la
Vulgata si diceva il Figlio unigenito, che nel seno del Padre, ora, in
quella del 2008, seguendo 66, 75, e i codici Vaticano e Sinaitico e la
testimonianza di molti Padri, si dice: il Figlio unigenito, che Dio
(monogenh.j qeo,j) ed nel seno del Padre.

cultura greca, ma molto pi ricca di tradizione neotestamentaria, nei testi


della letteratura sapienziale e profetica. Sapienza creatrice, i salmi
contemplano a un Dio in azione, dinamico, attivo nella natura e nella storia.
Un parallelo possibile con la 1Gv e Ebrei. Non c per in realt
nessun parallelo autentico in tutto il N. T.
Qui si annunciano i temi che si svilupperanno in tutto il vangelo:
preesistenza, luce del mondo, opposizione tra luce-tenebre, visione della
gloria, cos il lettore portato dal logos a Ges Cristo. In mezzo a tutta
questa tematica c una figura centrale: la Parola, bench compaia solo al
v.1 e al v.4. Ecco perch lautore viene paragonato con laquila, vola
altissimo con il suo libro.
Non un programma teologico: logos e Dio; logos e luomo; logos e il
credente. Allora cosa ? un racconto, una teologia narrativa, poetica. Fa
una divisone, fa un spartiacque fra un prima e un dopo la storia umana di
questo logos.
Cosa cerca allora il libro? Il libro ha lo scopo di capire questa Parola.

3. Struttura
Il tema41 o il criterio tematico divide il prologo seguendo dei temi:
1. La creazione (vv.1-5)
2. Storia universale (vv.6-13)
3. Lincarnazione della comunit cristiana (vv.14-18)
Altri seguono delle prospettive letterarie, ma noi seguiremo questa
tematica di Fabris42.

4. Contesto precedente al v.14


v.1: Contesto precedente: quel modo di iniziare en arch fa pensare a un
principio, orizzonte aperto allinfinito.
v.2: Vita senza fine, aperto ad un ente che si chiama Parola. Dio che si trova
verso Dio. Dallinizio, tutto quel che c stato creato per questa Parola.
41 Cf. R. FABRIS, Giovanni.
42 Diversamente, X. Len Dufuor, struttura linno giovanneo seguendo
adotta una ripetizione delle unit minori seguendo la prosodia greca. Lo fa
sulla scia di J. Irigon e H. Gese. Cf. X. LON-DUFOUR, Lettura
dellevangelo secondo Giovanni, I, 78-84.

v.3: Un Dio in azione. Non c niente senza di lui.


v.4: Zoe: In lui cera la vita, non bios in quanto vita naturale, molto di
pi, zoe, ripreso in 14, 6: Io sono la via, la verit e la vita (zoe). qui la
prima volta. Nello stesso versetto ci viene detto che la vita di Dio la luce
degli uomini.
v.5: Contrasto: il vangelo giovanneo fatto di contrasti. Qui abbiamo lotta
fra luce e tenebre. Per Paolo lotta contro le tenebre, Rm 7. Realt offerta,
laltra minaccia. Dono e tentazione. Ma vinte dalla luce.
v.6: si apre una parentesi. Antropos senza articolo, un uomo, appare un
uomo, ruolo importante. Uomo inviato da Dio, si chiamava Giovanni, la
presenza di questo uomo legata a una missione. venuto per rendere
testimonianza. Viene a fare testimonianza della luce. Anche noi credenti,
abbiamo la missione di rendere testimonianza della luce. Che vedendo voi
possano rendere testimonianza. La finalit che tutti possano credere
grazie a lui, per mezzo di lui. Lui non era la luce. Due volte:
testimonianza sulla luce ben 2x.
La luce la luce vera, vuol dire che a volte ci sono luci che abbagliano, ma
questa vera, illumina ad ogni uomo. Sembra luce pero non c.
v.11: era nel cosmos (luogo dove abita luomo) ma qui un luogo di
impostazione di una certa attitudine, luogo della sarx, dellamartya. Il
mondo per Giovanni in senso negativo.
Non cera posto per loro. I suoi non lhanno accolto. Noi siamo tekna,
figli per adozione, ma per natura Ges, quindi uios. Ma questo dono
dato se accogliamo Ges.
v.13: problemi di Apparato Critico43: Si pensa che non dovrebbe esserci al
plurale ois ma al singolare e anche il verbo al singolare. Ma sappiamo che
si scegli la forma difficiliur. Quindi resta al plurale.

5. Prospettiva secondo Xavier Lon-Dufour


Interessante la prospettiva che si apre, grazie al v.14. La domanda 44 che
si fanno gli esegeti e che L. Dufuor cerca di affrontare la seguente: Vi si
parla di Ges Cristo fin dallinizio o solo dal v.14 dove si proclama
lincarnazione del logos?
Quello che si cerca di dischiudere se nella prospettiva del Prologo, il
43 Della Patteri
44 X. LON-DUFOUR, Lettura dellevangelo secondo Giovanni, 84-87.

Logos divenuto Ges Cristo o Ges Cristo il Logos?


Se il Logos divenuto Ges Cristo, allora nel prologo si starebbe
raccontando la storia della sua preesistenza e il suo agire nel mondo in
quanto sarkos che poi ha assunto la nostra carne, divenendo
nsarkos.
Se invece Ges Cristo il Logos allora esso si riferirebbe al suo agire nel
mondo. // Fil 2,6-11; Col 1,15.
Sulla scia di A. Durand sappiamo che la maggior parte dei critici sostiene
che le attivit del logos sono distinte allinterno del logos:
Attivit del logos preesistente: vv.1-5
Attivit del logos che irradia la sua luce sugli uomini: vv. 6-13
Attivit del logos incarnato: vv. 14-18
Le difficolt di questa divisione sorge di fronte alla testimonianza del
Battista fra i vv. 6-8 nei quali il riferimento a Ges chiaro, anche i vv.9-11
hanno come soggetto di quel venendo nel mondo la figura di Ges; non
di meno il v.5 in riferimento alla luce che ha il verbo al presente, quindi
addirittura gi in atto perenne.

6. Elementi del v.14


Il Padre Gerrie OKollins, prof. di cristologia ha scritto Incarnation:
Dallinizio non tentare di capire, perch non capiremmo. Gv 3, 16: cos
Dio ha amato il mondo da inviare il suo Figlio. Lunica spiegazione
lagape.
6.1. Sarx
Luomo intero, lumanit nella sua condizione di debolezza e mortalit.
3.6; 17,2; Gn 6,3; Sal 56, 5; Is 46. Fil 2,6-8. La sfera umana y mondana,
futile e corrotto45. Alla visibilit di Ges gli manca visibilit. Qui c un
sommario dellincarnazione. Rm1,3. Assumendo la forma di servo.
Nellepoca classica greca, cera laspirazione di liberarsi della materia.
Ma il verbo assume questa condizione di carne.
Il popolo di Israele, si sentivano privilegiati perch in mezzo a loro betoc
cera Dio, abitava con loro. Lui costruisce la sua presenza in mezzo a noi,
la carne il nuovo tempio.
Zac 2,14: Gioisce figlia di Sion. Perch io vengo ad abitare in mezzo a
te. Ez 43, 7: Dio abiter in mezzo al suo popolo per sempre. Il mio nome
45 Bultmann intende per carne.

abiter nella casa di Israele per sempre. Sir 24, 8 anche essa parla della
tenda. Percorso che continua nella morte verso la risurrezione.
6.2. In mezzo a noi
Questo noi sono i testimoni, quelli che hanno accolto, visto e creduto.
6.3. La gloria del Signore
Endiade: Due nozione, di cui la seconda precisa il primo. La grazia della
verit: Es 34, 6: YHWH Dio ricco in misericordia e in verit; Dio tenero e
buono46.

Gv 1, 29-34

1. Introduzione
Siamo nei versetti che proseguono il Battesimo di Ges, diversamente
dallambito sinottico, non si percepisce una conoscenza di Ges da parte di
Giovanni Battista, prima del battesimo.
Gv 1,51; 3,13.14; 5,27; 6,27.53.62; 8,28; 9,35; 12,23.34c.34d; 13,31

Gv 3,13.14
Contesto antecedente: Questo capitolo terzo si inserisce nel discorso
con Nicodemo, capo fariseo che si presenta durante la notte. Tale
simbologia gi una anticipazione di tutto il discorso duale della lotta fra le
luce che porta Cristo e le tenebre che abitano molti uomini che presumono
per di possederla.
Prima parte del dialogo con Nicodemo, diventa un monologo di Ges,
dai v. 1-15. Dal v. 14 come Mos innalz il serpente nel deserto il
versetto che prepara il v. 16. Certamente non ci sono tematiche esplicite,
ma tematiche implicite, come quella di Mos nel deserto, il simbolismo del
serpente, trover il suo senso pieno. Diciamo che solo adesso questo testo
che non si era capito si pu spiegare, con ci siamo a quello che abbiamo
chiamato il compimento dei tempi.

46 Gv 1, 29-35: preparare e leggere.

Per il Brown questi versetti che ci raccontano lincontro con Nicodemo,


sono in realt il vero primo accenno da parte dellautore circa i principali
temi teologici da lui svolti allo largo di tutto il suo vangelo, per questo
funge per lui da introduzione.
Prima di arrivare al v. 16 per il cammino sempre in salita,
progressivo, non per questo meno faticoso, cos B. ci presenta il cammino
fatto da Ges come buon compagno di viaggio del maestro Nicodemo e che

(v. 3) In verit, in
verit ti dico: Se uno
non nato dall'alto,
non pu vedere il
regno di Dio.

(v. 5) In verit, in
verit ti dico: se uno
non nato dall'acqua
e dallo Spirito, non
pu entrare nel regno
di Dio.

(v. 11) In verit, in


verit ti dico: noi
parliamo di ci che
sappiamo e
testimoniamo ci che
abbiamo visto, ma voi
non accogliete la
nostra testimonianza.

io attraverso questa scala dimostro:


Gv 3, 14
-: sar innalzato Gv 12, 32: Io quando sar innalzato da terra
attirer tutti a me.
Ci sono tre elementi di INNALZAMENTO:
Primo: LA CROCE:
segno di guarigione.
Secondo: RISURREZIONE: Il
Padre lo innalzer dai morti.
Terzo: ESALTAZIONE di Ges
in cielo.
- : allusione, riferimento a quel conviene che:
proietto divino; provvidenza
di Dio.

PIANO TEOLOGICO: intervento divino.

- : allusione alla volont umana di Ges, ma


anche alla sua dignit. Decisione del Verbo di farsi uno di noi, con la
natura umana.

Gv 8, 1-11
Dsfdsfsdf
Dsfdfsdfdsfsdf
Gv 13, 4-17: la lavanda dei piedi
Al cap. 13 inizia il cosiddetto libro della gloria, che porter Ges agli
ultimi avvenimenti della sua vita. La scena della lavanda 47 inserita nella
pericope di 13,1-38, che a sua volta fa parte di un insieme letterario pi ampio, i
cosiddetti discorsi daddio (13,117,26), composto di una parte narrativa (13,130), una pi discorsiva (13,3116,26) e una parte contrassegnata dalla preghiera
di Ges (17,1-26).

1. Introduzione (13,1-3)
Sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre,
dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li am sino alla fine. Ges
pienamente consapevole di ci che gli sta per accadere e due volte l'evangelista
ribadisce che Ges sa (vv. 1.3). Dunque pienamente padrone di quel che sta
avvenendo e non ne sorpreso48, anche se nella trama della passione si
intrecciano all'interno dell'unico progetto del Padre diverse libert ed iniziative:

47 Sostanzialmente si riprendono le osservazioni di

MARTIN A., La lavanda dei piedi, Vangelo

secondo Giovanni, XVII Settimana Biblica della Diocesi di Padova (Libreria del Santo, Padova 2011)
235-256.

48 WENGST K., Il vangelo di Giovanni, Queriniana 2006, 523.

quella di Ges che offre la sua vita, quella di Giuda che consegna Ges, quella
del diavolo, che sta sullo sfondo dell'iniziativa di Giuda.
Ges pienamente consapevole dellimminenza della passione ed consapevole che la
croce il passaggio al Padre: non morte ma ascensione. La sottolineatura della
consapevolezza di Ges non tanto per mettere in luce la divinit del Cristo che tutto
conosce e vede, quanto cos mi sembra per mettere in luce la seriet e la libert con cui
egli affronta la morte. Ci che avviene non casuale, imprevisto, senza senso: rientra nel
piano di Dio ed voluto49.

Ges vive le sue ultime ore come un atto estremo di amore verso i suoi 50: Lui
se ne sta andando ma il suo amore rimane. Il contesto attraversato da diverse
tensioni conflittuali: il tradimento di Giuda e la tensione con Pietro causata dalla
sua incomprensione. In ogni caso lautore parla di un amore sino alla fine. Del
termine "fine" (te,loj) sono possibili almeno due traduzioni, che ci aiutano a
comprendere il tenore dell'amore di Ges: li am fino alla fine della vita (senso
temporale); li am fino all'estremo (fino allultimo, in modo assoluto: senso
qualitativo). L'evangelista, allora, ci vuol dire che nelle scene seguenti si
concentra tutta la capacit da parte di Ges di amare i suoi discepoli. E noi col
senno di poi sappiamo che la lavanda dei piedi la chiave di lettura di tutta
l'esistenza di Ges fino al suo gesto supremo, quello che gli costato di pi: la
morte in croce. Ma
Lespressione amare sino allestremo non pu riguardare solo il fatto della morteinnalzamento, perch questa la condizione per il dono dello Spirito ai discepoli (cfr. 7,39)
e per la loro partecipazione alla vita propria del Figlio. In definitiva, lamore estremo la
condivisione, da parte di Ges, della propria unione con il Padre 51.

49 MAGGIONI B., La cruna e il cammello. Paradossi evangelici e umanit di Ges, Ancora 2006, 137.
50

MAGGIONI B., La cruna, 137-138: Lespressione i suoi caratteristica: indica lintensit

dellamore, la predilezione e lappartenenza a Cristo. per unespressione da unire allaltra: che erano
nel mondo. In tal modo si intravede gi la situazione di solitudine, di persecuzione, di estraneit dei
discepoli nel mondo.

51 LON-DUFOUR X., Lettura dellEvangelo secondo Giovanni. III.


Capitoli 13-17, San Paolo 1995, 27.

Lautore, poi, non colloca il gesto allinizio della cena, durante i convenevoli,
ma mentre cenavano (v. 2), dunque nel bel mezzo del pasto: in questo modo
labluzione viene posta sotto i riflettori, assumendo un significato pi forte di un
gesto gentile di accoglienza. Nel pasto infatti si realizza unintensit tale da
creare legami molto forti tra i commensali.
Levento della commensalit parte di un processo comunicativo, aggregativo, ma
anche differenziante. Quando, infatti, riservato soltanto a un gruppo di discepoli riuniti
attorno al proprio maestro o a una scuola filosofica, esso diventa uno dei momenti distintivi
della vita comune. A ci strettamente connesso il fatto che durante il convivio vengono
trasmesse e discusse dottrine e compiuti atti iniziatici caratterizzanti []. Gli studiosi della
Grecia antica hanno messo in luce il fatto che il simposio si presenta come un atto sacrale
che unisce partecipanti ed esclude gli estranei. Del resto, noto che diversi gruppi
dellambiente ebraico conservavano le loro differenze proprio attraverso il cibo e i pasti ed
esprimevano coesione e originalit per mezzo della commensalit 52.

Ges il plenipotenziario del Padre (v.3a) e questa affermazione si trova in


netto contrasto con la menzione del tradimento di Giuda: come sar possibile che
Ges divenga oggetto degli intrighi proditorii degli uomini quando il detentore
del potere divino? Inoltre linviato di Dio: da Lui viene e a Lui ritorna (v. 3b).
Dunque anche il tradimento rientra nel modo con cui Dio sta compiendo la sua
opera, o detto altrimenti fa parte del cammino/itinerario che Ges affronta nel
ritorno a Colui dal quale proviene.
Nel vangelo di Gv non abbiamo il racconto dell'ultima cena con l'istituzione
dell'eucarestia, ma incontriamo un lunghissimo discorso d'addio inaugurato,
appunto, dal gesto emblematico di questo singolare "pediluvio" che Ges
allestisce per i suoi. L'azione di lavare i piedi era usuale nell'antico Oriente e non
abbisognava di nessuna spiegazione. Infatti nel brano ci viene offerta
un'applicazione, ma non una spiegazione. Ges chiede ai suoi di imitare il suo
gesto, di ripeterlo tra di loro, ma non sente nessuna necessit di fornire
spiegazioni. Tocca allora a noi sciogliere l'enigma.

2. La lavanda (13,4-5)
Dunque vediamo Ges in questo gesto, che ha perso oggi quel senso
domestico e quotidiano immediatamente percepibile ai suoi contemporanei 53.
Quello del lavare i piedi era un'azione riservata all'ospite che poteva giungere
dopo un viaggio fatto lungo strade polverose e impervie, che riducevano i piedi
in condizioni penose: sia per lo sporco accumulato sia per piccole contusioni o

52 PESCE, Il lavaggio dei piedi, 239-240.


53 Il gesto ci familiare grazie alla liturgia in coena Domini del gioved
santo, in cui la lavanda si ripete in forma rituale.

lacerazioni provocate dai sassi o dal lungo camminare. Il pediluvio era dunque la
prima forma di accoglienza e segno di ospitalit e provocava nell'ospite un senso
di sollievo e di benessere: tonificava le palme dei piedi e ridava il buon umore.
Gi nellAT la lavanda dei piedi era conosciuta come gesto daccoglienza
(Gen 18,454) o come abluzione purificatrice prima di un atto di culto (Es 30,1955).
Di solito il lavaggio dei piedi era assegnata ai domestici ed era proibito
richiedere ad uno schiavo ebreo che lavasse i piedi ad un altro ebreo, perch era
ritenuta un'attivit umiliante, e per questo veniva destinata agli inferiori.
Abbiamo comunque testimonianze antiche che dimostrano come poteva essere
un gesto di rispetto, di venerazione o di amore che, invece di essere preteso da
uno schiavo, veniva offerto per puro amore, all'insegna della cura per la persona
venerata o amata56.
Il lavare i piedi un gesto consueto nel mondo antico e fa parte della ritualit domestica. La
letteratura antica ne offre molti esempi. Latto costituiva uno degli elementi essenziali
dellospitalit ed era dotato di un complesso valore simbolico. Esso, infatti, era legato
allingresso della casa e al passaggio dal fuori al dentro, dalla fatica al riposo, dal pericolo
alla sicurezza, dal mondo di tutti al proprio mondo. Non era solo connesso al mangiare in
quanto tale. Quando, infatti, un ospite era invitato a pranzo, i piedi gli erano lavati al
momento dellingresso in casa (anche se a volte ci avveniva concretamente nel triclinio
stesso) e allincirca allinizio della cena. Nominare un rito di lavaggio significa dunque
segnalare un ingresso o unadesione a un sistema di rapporti definiti allinterno di una
famiglia o di un gruppo. In altri termini, nellimmagine del lavaggio sono sottolineate le

54 Gen 18,1-6: Poi il Signore apparve a lui [Abramo] alle Querce di


Mamre, mentre egli sedeva allingresso della tenda nell`ora pi calda del
giorno. Egli alz gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di
lui. Appena li vide, corse loro incontro dallingresso della tenda e si prostr
fino a terra, dicendo: Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non
passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po di
acqua, lavatevi i piedi.
55 Es 30,17-21: Aronne e i suoi figli vi attingeranno per lavarsi le mani e i piedi. Quando entreranno
nella tenda del convegno, faranno una abluzione con l`acqua, perch non muoiano; cos quando si
avvicineranno all`altare per officiare, per bruciare unofferta da consumare con il fuoco in onore del Signore,
si laveranno le mani e i piedi e non moriranno.

56 Cf. BROWN, R. E., Giovanni (Cittadella, 1979), 673 per il caso di


Asenath e Giuseppe, e WENGST, Giovanni, 526.

differenze con lesterno e le comunanze con un mondo condiviso nel quale si viene
ammessi57.

Ora il fatto che lautore ricordi i tratti di maest di Ges (inviato e


plenipotenziario e, poi, maestro e Signore, vv. 13-14) mette ancor pi in luce il
contrasto con lassunzione volontaria di un compito da schiavo. Potere divino e
lavoro servile: un accostamento paradossale58!
In ogni caso atto importantissimo perch introdotto con molta solennit: la
sequenza scandita cos bene assomiglia pi ad un gesto ieratico, molto solenne,
descritto tra laltro con dovizia di particolari. In termini cinematografici
potremmo dire che la descrizione procede al rallenty (vv. 3-4): Ges sapendo
che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio
ritornava, si alz da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse
attorno alla vita.
In prima battuta vien offerta la motivazione teologica: Ges il
plenipotenziario di Dio (il Padre gli aveva dato tutto nelle mani). Inoltre sta per
morire e questa morte non una sconfitta, ma il ritorno al luogo da cui era
partito (era venuto da Dio e a Dio ritornava). Infatti deporre e reindossare le
vesti indicano simbolicamente il dare e riprendere la vita, cio la morte e la
risurrezione. Deporre le vesti reso nel testo originale con il verbo tthemi, e
indica il dono della vita, e riprendere le vesti reso con lambno, che significa
la risurrezione. Tale interpretazione suffragata dalluso degli stessi verbi nel
cap. 10, in cui descritta lazione del buon/bel Pastore di dare la vita (cf.
10,11.15.17.1859).
10,17: Io offro (ti,qhmi) la mia vita, per poi riprenderla (la,bw) di nuovo;
10,18: Nessuno me la toglie, ma la offro (ti,qhmi) da me stesso, poich ho il
potere di offrirla (qei/nai) e il potere di riprenderla (labei/n) di nuovo.
13,4: si alz da tavola, depose le vesti (ti,qhsin) e, preso un asciugatoio, se lo cinse
13,12: Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti (e;laben), sedette di
nuovo

Ges compie azioni che indicano una precisa inversione di status60. Solo che, a
differenza di tutti i rituali di inversione, in cui le parti venivano scambiate per soli

57 PESCE M., Il lavaggio dei piedi, Opera giovannea (Logos 7, LDC,


Torino 2003) 236-237.
58 Come non ricordare che in Fil 2 Ges, pur essendo nella morph
theo, assunse la morph dolou?
59 Gv 10,11: Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre (ti,qhsin) la vita per le pecore; 10,15:
come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro (ti,qhmi) la vita per le pecore.

pochi giorni61, qui Ges chiede ai suoi di assumere la condizione di servitori come
condizione permanente.

3. Reazione di Pietro (13,6-11)


Pietro reagisce, opponendosi ad un atteggiamento disdicevole per il Maestro:
non tollera che Ges lo serva e vuole ristabilire i ruoli nella modalit che ritiene
pi giusta. Pietro non ancora entrato nella logica del Maestro e fino alla fine
continua a rimanere fedele alle proprie prospettive ed aspettative nei confronti di
Ges, ma cos non riesce a capirlo.
Ci che a Simon Pietro "brucia" maggiormente sopportare la pazienza di attendere
spiegazioni. Spiegazioni che il Maestro stesso non d alla richiesta del discepolo. Prima si
ama, poi si sa. la logica di Ges62.

Ci sar un momento in cui arriver a capire, ma solo dopo. Quello che io


faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo. Dopo cosa? Dopo la morte e
risurrezione egli potr comprendere che Ges nel gesto di lavare i piedi ai
discepoli altro non che Ges nellatto di donare la vita per loro sulla croce.
Poi di fronte alla promessa di Ges, che lui ancora una volta fraintende,
Pietro acconsente ma in modo esuberante ed esagerato. Pietro allora crede di
capire; probabilmente pensa che il gesto di Ges abbia una sfumatura di
purificazione, allora pretende di essere lavato tutto 63. Ma Ges replica con la
testificazione di una purificazione gi avvenuta: i discepoli sono gi
mondi/purificati, perch hanno vissuto con Ges ed hanno ascoltato la sua Parola
(cf. 15,3: Voi siete gi mondi, per la parola che vi ho annunziato). Un primo
bagno purificatore gi avvenuto, dunque. In forza della Parola annunciata.

60 Cf. le splendide pagine di Tonino Bello, La stola e il grembiule, 27 ss.


in cui dice che l'unico paramento sacerdotale usato da Ges nella sua prima
messa stato un semplice grembiule, come quello delle casalinghe.
61 Bisogna menzionare al riguardo come i rituali di inversione di status
attraversano in qualche modo moltissime culture, e si esprimono con il
momentaneo rovesciamento dei ruoli: giochi buffoneschi, scambi di parte tra
uomo e donna, fra capi o re e sudditi, ecc. Basti menzionare il mascherarsi
delle feste di carnevale. Cf. PESCE, Il lavaggio dei piedi, 243-246.
62 D'AGOSTINO M, Si alz da tavola, depose le sue vesti. Una trasfigurazione in Gv 13,1-15?,
Parole di Vita, 4 (2004) 14.

63 Secondo WENGST, Giovanni, 530 nella richiesta di Pietro si cela il


desiderio di un gesto preferenziale da parte di Ges nei suoi confronti.

Ci che manca loro il bagno partecipativo, unimmersione cio nel


mistero pasquale64. La lavanda dei piedi, quindi, mira alla partecipazione
esistenziale alla vicenda di Ges, condividendo il suo destino di spoliazione
prima e di gloria poi (= morte e risurrezione) Se non ti laver, non avrai parte
con me. Aver parte con Ges significa aderire alla passione-morterisurrezione non da spettatori ma da partecipanti attivi.
Sottomettersi a un lavacro fatto da Ges con lintento di une purificazione totale
la disposizione danimo giusta per partecipare al dramma sacrificale che seguir. Farsi fare
il bagno da Ges significa essere coinvolto simbolicamente nellevento della croce 65.

4. Spiegazione (13,12-18)
S gi osservato che Ges non fornisce spiegazioni sulla lavanda ma si
preoccupa che i discepoli facciano altrettanto: Sapete ci che vi ho fatto? Voi mi
chiamate Maestro e Signore e dite bene, perch lo sono. Se dunque io, il Signore
e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli
altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perch come ho fatto io, facciate anche voi (v.
12-15).
Il termine "esempio" (u`po,deigma) in greco suona pi forte: non indica
solo un modello da ripetere ma una realt rivelata che genera un comportamento
nuovo. In altre parole si potrebbe riformulare nel modo seguente: Vi ho
mostrato, rivelato come agisco io, in quanto figlio di Dio, perch abbiate la forza
e la gioia di agire nello stesso modo oppure Agendo cos io vi faccio il dono di
agire allo stesso modo. Lo stile di vita del discepolo si innesta e prende forza
dallo stile di vita del Maestro. Lespressione gli uni gli altri indica
luguaglianza tra i discepoli, i quali tutti debbono prestarsi servizio
reciprocamente.
Giovanni avrebbe potuto dire: Lav loro i piedi. Avremmo capito. E invece no: i gesti
sono elencati uno ad uno, in una sorta di visione al rallentatore: Si alz da tavola, ripose le
vesti, prese un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita, poi vers dellacqua nel catino,
cominci a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con lasciugatoio di cui si era cinto (Gv

64 Altri pensano ai discepoli di Giovanni entrati nella comunit dei


discepoli di Ges: essi che gi avevano ricevuto unabluzione dalle sue
mani (battesimo di Giovanni) avevano la necessit di un altro lavacro
(simboleggiato dalla lavanda di Ges), cf. PERRONI M., Il racconto della
lavanda dei piedi (Gv 13), Il vangelo secondo Giovanni. Nuove proposte di
esegesi e teologia. Scritti per i settantanni di Giuseppe Segalla (Studia
Patavina, 2003) 81.
65 G. SLOYAN, Giovanni (Strumenti 38, Torino 2008) 207.

13,4-5). La lenta narrazione di questi gesti costruisce un quadro di grande valore poetico.
Sono gesti che hanno un valore rivelativo. Svelano chi Ges. Meglio ancora: rivelano la
figura di Dio che egli venuto a mostrare. Non si tratta semplicemente di un gesto di umilt,
o di un buon esempio che insegna ai discepoli ad amarsi lun laltro. Lavando i piedi ai
discepoli Ges non ha nascosto la sua grandezza divina, ma lha svelata: una grandezza che
a differenza di quella che gli uomini immaginano fatta di amore, di servizio e di umilt.
La grandezza che si manifesta elevandosi, distanziandosi, facendosi servire anzich servire,
lhanno inventata gli uomini. una brutta grandezza. La grandezza di un Figlio di Dio che
lava i piedi invece qualcosa di sorprendente e bellissimo. Una grandezza capovolta e
paradossale, e tuttavia profondamente vera. Ges non compie il suo gesto di servizio
nonostante la consapevolezza della propria dignit, ma lo compie proprio perch ne
consapevole. Non offusca la sua dignit, ma la rivela: come avverr, appunto, sulla croce. Il
gesto di Ges, in altre parole, non come un disegno fatto alla lavagna, per spiegare
chiaramente e didatticamente un concetto. Sarebbe stato in tal caso un gesto esteriore alla sua
persona. Invece un gesto che nasce dalla profondit della sua persona. Non una figura
inventata per dare nome a una norma di vita ecclesiale. la norma ecclesiale che deriva dalla
figura di Ges e dal suo modo di vivere, non viceversa 66.

Potremmo dire che con questo gesto Ges ha stilato la costituzione del suo
gruppo e ne ha firmato l'atto di fondazione. Proprio perch Ges servo i
discepoli devono servire: non si tratta di fare qualche gesto di servizio, ma si
tratta di essere servi67.
La lavanda dei piedi comporta la costituzione dei discepoli come inviati e ha quindi il
valore di una trasmissione di potere. Per farsi servi occorre essere stati investiti di una

66 MAGGIONI B., La cruna, 139-140.


67 Qui forse comprendiamo perch Gv non racconta l'istituzione dell'Eucarestia, come fanno invece
gli altri evangelisti. Prendendo il pane, rompendolo a pezzi e condividendolo, Ges dice: Questo sono
io. Il pane condiviso sono io. Questo il mio corpo. nell'atto del condividere il pane e non nel
trattenerlo per s come garanzia per il futuro che Cristo rivela il senso della sua morte e garantisce la
sua perenne presenza nell'eucarestia. Cos nell'atto del servire, nel dare s stesso per gli altri senza
trattenere nulla per s che Cristo garantisce la sua presenza fra gli uomini. Tra la lavanda dei piedi e
l'eucarestia c' differenza nei segni, ma identit nella sostanza: si tratta in entrambi i casi, infatti, di una
inaspettata inversione di ruoli. Di solito un Dio lo si venera e lo si serve, qui invece Ges a servire
(lava i piedi); alla divinit solitamente si offrono le vittime sacrificali e le offerte in cibo, nell'eucarestia
invece Ges ad offrire se stesso in cibo.

signoria, come Ges che Signore perch il Padre lo ha inviato e gli ha dato il potere e,
inginocchiato davanti ai piedi degli apostoli, trasmette loro qualcosa della loro signoria 68.

Inoltre lessere servi riserva una beatitudine: sapendo queste cose, sarete
beati se le metterete in pratica (v.17). Al v. 12 Ges aveva chiesto se essi
sapevano; ora lo sanno e lo debbono anche realizzare. La beatitudine consister
in prima istanza nella continuit tra la prassi di Ges e quella dei discepoli.
Sembra che il segreto della vera gioia della Chiesa la garanzia autentica della
sua beatitudine stia tutto qui: nel farsi serva, nel dare la vita, come Ges.
Cos la scena della lavanda dei piedi si colloca su uno sfondo di
adesione/partecipazione alla logica del Maestro, ponendo in qualche modo un
segno di distinzione tra chi si lascia coinvolgere e chi se ne tira fuori, tra chi
prende parte e chi invece rimane attaccato ad una logica estranea a quella di
Ges. Infatti il brano collocato in un conteso di tradimento, sia per limmediata
menzione del voltafaccia di Giuda (v. 2; la scena seguente si occupa diffusamente
di questo tema: vv. 21-30), sia per la predizione successiva del rinnegamento di
Pietro (vv. 37-38). Il richiamo alla Scrittura (Sal 41,10) e la formula di
rivelazione Io sono esprimono la consapevolezza che il tradimento di Giuda,
lungi dal poter essere un argomento a sfavore dellautorevolezza di Ges che
appunto avrebbe fatto la scelta sbagliata di chiamare fra i suoi colui che lo
avrebbe tradito in realt risponde al progetto eterno di Dio. Anzi, si realizza una
sorta di auto rivelazione di Ges, che con il Padre condivide la condizione divina:
nellIo sono di Ges riecheggia lIo sono di Dio di Esodo (cf. 3,14).
La comunit che legge e ascolta il vangelo deve avere la certezza che in questa vittima
del tradimento e della successiva esecuzione capitale ci vien incontro niente meno che Dio
stesso69.

Infine, nellinviato c lInviante; chi infatti accoglie chi mandato da Ges


ha la gioia di accogliere lo stesso Ges.

5. Per unattualizzazione
Lavarsi i piedi significa qui di pi che servirsi semplicemente a vicenda. Come Ges
dobbiamo inchinarci, abbassandosi, sui nostri fratelli, e toccarli l dove sono sporchi, dove
essi stessi non riescono ad accettarsi. Dobbiamo purificarli con il nostro amore. Chi sa di
essere amato si sente puro e schietto, smettendo di dilaniarsi con i sensi di colpa. L'amore
incondizionato lo libera dalla sua autosvalutazione e dal disprezzo di s. E dobbiamo
toccarci l'un l'altro nelle nostre ferite. Chi tocca la ferita purulenta dell'altro si sporca le mani,
ma perch le ferite possano guarire ci vuole uno che tocchi in modo amorevole e affettuoso,
uno che unga con l'olio dell'amore. Ges invita i suoi discepoli a un comportamento nuovo.
Egli desidera una comunit di amici che si rendono l'un l'altro, in amicizia, il servizio della
lavanda dei piedi. Desidera una comunit di fratelli e sorelle che si amano e accolgono l'un

68 PERRONI, Il racconto della lavanda dei piedi, 72.


69 WENGST, Giovanni, 535.

l'altro in modo incondizionato, affinch ciascuno in questa comunit si senta limpido e


schietto, affinch ciascuno si sperimenti come dopo un bagno completo: rinfrescato,
cosparso di olio, consapevole della propria bellezza, capace di emanare un profumo
fragrante70.

Gv 13, 33-35
33

, ,
,
.
34
, ,
.
35
,
.

1. Contesto
Ci troviamo ancora in questi due momenti drammatici: Tradimento e
rinnegamento. Giuda sparisce nella notte, la notte simbolicamente
entrata, iniziata la notte pi buia del mondo che tre giorno dopo far
venire il giorno pi luminoso. Siamo nel libro della GLORIA.
- Prospettiva: separazione imminente. Il discorso carico di sentimenti
ambigui, dolore, angoscia, separazione.
- Un testamento: ultima volta. Arriver la sua eredit, entolen, sta ad
indicare non solo un peso, ma la espressione della volont di Dio, che
significa normalmente come un dono. La tor non un peso, un dono,
grande regalo, dove Dio ha comunicato loro la propria volont.
unistruzione, insegnamento, che diventa luce, la parola una luce per i
miei passi per questo i racconti storici sono legge perch dimostrano la
strada da seguire, molto allargato il significato. Non solo un precetto,
ma una sua volont, testamento, quello che vorrebbe lasciare come regola
di vita. Si tratta di una nuova economia, organizzazione, progetto di vita,
ormai cominci a una tappa nuova, non solo dottrina nuova, ma etica, vita
nuova, che diventa istituzione, come per Israele, il nuovo Sinai.
70 GRN A., Ges porta della vita, 131-132.

Gal 6, 2: Legge di Cristo, collegare il modo di vivere con la volont di


Cristo.
// In Lev 19, 18: comandare al prossimo come te stesso. I rabbini
commentavano sul prossimo, arrivando a pensare solo ai compaesani,
dello stesso popolo, a uno dei miei, sfigurando cos il comandamento. Ges
proclama un agape universale, anche il nemico, come per Dio amare i
peccatori, cosa assai difficile per noi.
- kathos: significato con valore teologale, amore diverso di qualsiasi
altro amore a livello umano. Lesempio di Ges diventa una norma vera e il
suo fondamento, non solo quel che legge, ma qualcosa di vedere, non
solo vedere ma con lesempio.
- La carit fraterna diventa un amore formalmente cristiano. Originale
dei cristiani, non esclusivo per. la nostra identit. Diventer il segno
universale dei discepoli di Ges, deve essere visibile, constante e
indiscutibile. Il mondo deve percepirlo, deve essere autenticazione dei
cristiani.
- Il nuovo comandamento: un dono.
- Lamore per Dio e lamore per luomo: 1 Gv 3, 16: inscindibile.
- 1 Cor 13, 4-7: cosa lagape: 15 verbi, definito.
- Un dono trasformante.
Rintracciare i testi con lelemento da approfondire, in questo caso il tema
dellagape. Oggi siamo partiti parlando della ricerca del significato, cio
lanalisi semantica, insieme ad unanalisi pragmatica, cio a cosa ci porta
questo testo, lintenzionalit, dinamismo del testo, collegata alla vita della
Chiesa, in una prospettiva antropologica e sociale, una parola viva,
performativa. Qual immagine duomo ne viene fuori, in quale societ.
Analisi contestuale, pragmatica, dinamica, nella prospettiva antropologica
sociale, proiezione attuale.
-Il discepolo giovanneo: chi sono questi masetai, cristianamente
parlando un onore, per il mondo greco: la persona che riceve lezione da
un rettore, che impara da un filosofo, oratore. Nel mondo rabbinico uno
che abita col suo maestro, assimila da lui non solo una disciplina, ma un
modo di vivere, una fede, impara una forma, uno stile di vita, una
tradizione, qualcosa che lo vincola col suo maestro, lo segue, condivide la
sua sorte, si identifica con la sua persona, pi di un maestro di scuola.

-I discepoli di Ges non solo vivono con lui, ma seguono il maestro, si


consegna a lui, perch diventano testimoni. Il rapporto fra loro di
appartenenza, ecco il termine i suoi (emoi).
-A quelli li ha chiamati, sono i continuatori, proseguiranno la missione di
Ges. Loro continuano lepifania dellagape nel mondo. La storia della
chiesa primitiva la storia di una comunione di carit.
-Att 2, 44. Lapostolo Giovanni, nellepistola sui Galati, da Crisostomo.
La novit del comandamento di Ges: un precetto nuovo, rinnovamento
delluomo vecchio alluomo nuovo, nuovo perch ultimo, escatologico,
ma in realt si trova nella natura dellamore stesso, la natura stessa
diversa, un amore collegato alla croce. 1 Gv 3, 16: Da questo abbiamo
conosciuto lamore, egli ha dato la vita per noi, noi amiamo perch lui ci ha
amato per prima.
-Nella discussione testuale, amiamo, in che senso? un imperativo, un
desiderativo, un congiuntivo? Per L. B pi che altro un desiderio
esortativo.
- Questo comandamento la legge e i profeti per noi il comandamento
del amore Gv 13, 34-35. Tutto va ricapitolato in esso, costitutivo della
chiesa come leucaristia, la carit e leucaristia sono una sostituzione del
Cristo visibile, anche la pratica dellagape costituisce un sostituto della
presenza reale di Ges; una e laltra sono state costituite in una cena.
- Ha un senso causale, noi amiamo cos...perch lui ha amato cos.
- Un comandamento fra due momenti di dolore: tradimento e
rinnegamento.
- Ges non chiede niente per s... X Juan Mateos: Nel suo
comandamento Ges non chiede nulla per s stesso, Dio non assorbente,
ma espansivo dellamore, un movimento che si stende ogni volta di pi.
Tutto quanto una espressione diversificata di quellamore. Al posto della
cena pasquale cio questo comandamento dellamore, un nuovo modo di
vivere questa libert, Mos offre la libert dei 10 comandamenti, Ges
nellamore. Il comandamento antico sempre nuovo, cf. Ezechiele, con
un cuore nuovo ed uno spirito nuovo.
-1 Gv 3, 16: Amore che non si pi separare. Amore per noi e per i
fratelli. Il linguaggio nuovo quello dellamore.

-1 Cor 13, 4-7: Oggi abbiamo una tradizione con dei sostantivi che
nelloriginale erano verbi, 15 verbi. un programma di vita, un dono, con
lo spirito riusciamo a farlo. In 1 Cor 11, 31: esaminare s stesso davanti
alleucaristia. Dove vero che ci riconosciamo lontani, ma riconosciamo
anche lamore di Dio.
-Un linguaggio universale: Lamore un linguaggio universale.
Lamore fa risplendere sulla terra il volto, la gloria del Padre (S. Fausti).
Diventa reale il palpito della vita di Dio in noi.
Gv 19.12-22.28-30
sdsdfsfsdfsd

Gv 20,11-18

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