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Torquato Tasso

La Molza overo de lamore


Op. Grande biblioteca della letteratura italiana
ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli
Edizioni di riferimento
elettroniche
Liz, Letteratura Italiana Zanichelli
a stampa
Torquato Tasso, Dialoghi, a cura di E. Raimondi, Firenze, Sansoni, 1958
Design
Graphiti, Firenze
Impaginazione
Thsis, Firenze-Milano
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Op. Grande biblioteca della letteratura italiana
ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli
Torquato Tasso La Molza overo de l'amore
La Molza overo de lamore
Interlocutore: Forestiero Napolitano.
Io aveva gi pagato il nuovo debito dunantica servit, quantunque
la tardanza avesse accresciuto lobligo e peraventura diminuita la sodisfazione:
e mi ritrovava a la presenza de la illustrissima ed eccelentissima signora
donna Marfisa dEste, signora di lodevoli maniere e dalto intendimento e
di molta bellezza e di molta onest, dove maveva condotto il signore Ippolito
Gianluca per vincere in questa parte con la sua molta cortesia la mia con-
traria fortuna. E quantunque la signora donna Marfisa mavesse raccolto
cos domesticamente chio poteva depor ogni temenza, nondimeno tra la
riverenza e lumilt, doppo le prime parole, che furono assai brevi e sempli-
ci, non ardiva di parlar di cosa alcuna; laonde la signora Tarquinia Molza,
che le sedeva a destra, perch da laltra mano era la signora Ginevra Marcia,
mi disse chio ragionassi dalcuna cosa: e io risposi che le presenti mi porge-
vano maggior occasione di parlar che ciascunaltra chio avessi veduto o
udito molti anni sono, ma tutta volta il soggetto avanzava troppo le mie
forze. E replicando ella medesima, o pur la signora donna Marfisa, chio
dicessi qualche nuova diffinizione damore, mi fu portato da sedere a lin-
contro e mi fu imposto chio accettassi quel favore: perch io vergognosa-
mente il faceva per rispetto dalcune damigelle le quali erano in piedi; e
dapoi chio sedei, come volle chi poteva commandare, dissi: Nuova
diffinizione di quel che sia lamore, difficilmente si pu aspettare da vec-
chio amante, il quale non sia invecchiato ne lamore ma ne fastidi; nondi-
meno io far prova se cos a limproviso mene potesse sovvenire alcuna
degna de laudienza, ma non so certo se mi verr fatto di ritrovarla, perch
non ci ho prima pensato, e non ci ho pensato di molto tempo: laonde que
primi pensieri hanno ceduto a nuovi e si sono quasi dileguati.
Fate, disse la signora Tarquinia, prova di richiamargli; e io gli risposi:
Mi sforzer, signora, ma voi aiutate il mio sforzo con darmi qualche tem-
po; e accioch non vincresca lindugio, user un artificio che potrei tener
occulto, ma ve lo voglio scoprire con la solita semplicit. E qual artificio
questo? dimand la Molza. Quello, dissio, che sogliono usare in corte ne le
feste, ne le quali le vecchie molte fiate sono le prime a baciarsi, mentre le
giovinette sadornano: perch, quantunque sia passato quel tempo in cui
molte di loro arrivavano nel mezzo o inanzi al fine, non perduta nondi-
meno la memoria.
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E in qual parte, mi richiese di nuovo la signora Tarquinia, questo
artificio somigliante al vostro? In questo, dissi, che, mentre vo ricercando
alcuna nuova diffinizione damore, addurr prima quelle che sono state da
gli altri ritrovate,le quali paragoner a la mia, quasi giovenetta donna con
lattempate: perci vorrei che avesse quel privilegio che si suol concedere a
let giovenile, in cui tutti i diffetti si comportano pi facilmente e si loda-
no spesse volte. Senza dubbio, disse la signora Ginevra, per questa cagione
sar pi volentieri ascoltata.
Allora io rincominciai: Se voglio prendere il principio da le opinioni
pi antiche, dir chamor sia un gran dio, come gi disse Orfeo, o grandis-
simo, come scrisse Euripide, e antichissimo oltre tutti gli altri; e se vorr
parlarne con felicissimi poeti, dir chamore giovenissimo e tenero e deli-
cato molto, ma voglio seguir lautorit dErisimaco, il quale afferm che
lamor buono sia la concordia e l reo la discordia; se con Empedocle, dir
chegli e la discordia siano princip; se con altri medici, conchiuder che sia
una sorte di malatia, la quale si pu curare come laltre, e col digiuno e con
lubbriachezza o co l trar del sangue fu da altri medicata. Ma sio matte-
nessi a lopinione dalcuni filosofi naturali, direi che lamore prima affe-
zione de la materia, la quale, essendo imperfetta ed informe, desidera la
perfezione e la forma. Se narrer lopinione di Fedro, dir chegli degno
di somma riverenza e giova molto a la virt; se le favole dAristofane volessi
raccontare, direi che prima gli uomini erano congiunti, ma dapoi furono
divisi per lira di Giove in guisa che ciascuno divenne il mezzo il quale a
laltro suo mezzo cerca di unirsi; ma sio mappigliassi a quello che Socrate
apprese da la sua maestra Diotima, direi che lamore pi tosto un gran
demone chun gran dio: egli non bello come sono gli iddii, n eterno, ma
mezzo fra le cose belle e le brutte e fra le mortali e le immortali: onde potrei
diffinirlo desiderio di bellezza; e perciochogni desiderio presuppone priva-
zione, finalmente direi chegli fosse privo de le cose belle. Ma sio numerassi
con laltre opinioni quella di Lucrezio, io direi che lamore desiderio di
trasportamento: perch lamante par che desideri di trapassar ne lamata. Se
quella di Ieroteo fra queste mescolassi, intendereste che lamore una certa
virt inestata, per la quale le cose superiori hanno la providenza de le infe-
riori e linferiori si volgono a le superiori e leguali si congiungono. Ma sa
queste aggiungessi la diffinizione dAurelio, lamor sarebbe un distendimento,
per il qual la volont si distende verso la cosa desiderata; o pur direi chamor
quella prima piacenza o quel primo piacere che abbiamo quando la cosa
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desiderabile ci occorre a la vista e ci diletta. Se doppo questa adducessi
lopinione di Plotino, si conoscerebbe che lamore un atto de lanima che
desidera il bene; se ultimamente recassi quella di Dante, udireste
Ch amore e l cor gentile sono una cosa.
E tutte queste diffinizioni sono talmente antiche che la pi nuova nacque
inanzi laccrescimento di questa lingua con la qual favelliamo, quando la
poesia toscana era ancora giovinetta. Ma secondo quella del Bembo assai
pi moderna,
Amore graziosa e dolce voglia;
n dopo questa naddurr alcuna altra.
Allora disse la signora Ginevra: Sono tante che possono far una festa,
come avete detto; ma qual vi piace pi de laltre? Perch dovreste aver giudicio
de le vecchie ancora, non solo de le giovane, massimamente quando son
belle come son queste. E io risposi: Ne far giudice la signora Tarquinia,
ch fornita di sottile avvedimento e ornata di molte lettere e di molta dot-
trina, e voi medesima, quantunque vi reputi anzi nemiche damore
chamiche. E la signora Tarquinia replic: Noi non vogliamo giudicare se
non sentiamo prima le ragioni de le parti, perch non paia che giudichiamo
a passione: ditecile dunque. Chi le sa meglio di voi, dissio, la qual avete
lette tutte le cose e tutte ve le ricordate? Ed ella soggiunse: Piacesse a Dio
che cos fosse; ma come si sia, le ragioni sascoltano da giudici, non saddu-
cono in favor a le parti, perch si dimostrarebbe listessa animosit. E io
dissi: Poich volete pur ascoltar quello che meglio di me sapete, restringer
in brevi parole quelle cose che mi paiono di maggior importanza. Dico
dunque che sei generi sono i principali, i quali sono assignati ne la diffinizione
damore: luno desiderio, la qual opinione seguita da Socrate nel Convito
e da molti Socratici, quantunque peraventura la sua propria si manifesti nel
Fedro, da Lucrezio e dal Bembo e da grandissimo numero de scrittori. Lal-
tra, chella sia infirmit; la terza, che sia virt, come volle Ieroteo, che in ora
ha pochi seguaci; la quarta pone che sia atto, e questa ancora non seguita
da alcuno, chio sappia; la quinta dice ch distendimento dela volont; e la
sesta che sia piacere o componimento, se pur questa diversa da la quarta,
la quale ha per seguaci tutti i seguaci di san Tomaso oltre quelli di
santAgostino. Ma dovendosi lamore ridurre ad alcuno di questi generi,
parr forse pi convenevole che si riduca al pi nobile o pi eccelente. E a
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voi che ne pare? Sio, rispose la Molza, dicessi a lincontro, oltre che
contradirei a la dottrina dAristotele, mi dimostrarei troppo nemica damo-
re: laonde il mio giudicio sarebbe sospetto.
Dunque, dissio, non ridurremo lamore al genere del desiderio, il
qual essendo una passione de lanima nostra, imperfettissima oltre tutte
laltre, e molto meno a linfirmit; ma la ridurremo a luno de gli altri tre: o
a la virt, come piacque a Ieroteo; o a latto, come volle Plotino; o a la
piacenza, come stima san Tomaso. Ad uno di questi tre senza fallo, rispose
la signora Tarquinia. Ma paragonando di nuovo, soggiunsio, queste tre
opinioni tra loro, quale stimeremo pi perfetta? E1cci alcuna cosa, dissella,
pi perfetta de la virt? La virt, risposi io, abito, e le cose che sono per
abito, peraventura sono men perfette di quelle che sono in atto o sono atto:
laonde per questa ragione sarebbe il genere de latto pi nobile. Sarebbe,
rispose la signora Tarquinia, per questa ragione. Tuttavolta, soggiunsi, la
virt de la quale parla Ieroteo non una de le nostre morali: la quale alcuna
volta ne lozioso che non opera o impedito ne loperare, ma sempre in
atto: e se pur abito, divino abito, il quale non disgiunto da loperazio-
ne; tal che a lei non sagguaglia di perfezione latto de lanimo che desidera
il bene, il quale non puro atto, ma atto che participa di potenza. Direm
dunque chil genere posto da Ieroteo sia perfettissimo; e voi, come giudice
giusta, confessarete chamore sia virt.
Allor disse la signora Tarquinia: Quando io penso a lamor chio por-
to a la signora donna Marfisa, non posso conchiudere altro, n credo chaltro
conchiuderebbe la signora Ginevra. Ed ella rispose: Tutto quello ch in me
di buono, se pur ce n alcuna parte, deriva da lamor a questa mia signora
o da quello che ella porta a me, che le son umilissima serva. La benevolenza
ch fra la signora Tarquinia e me nasce ancora da questa concordia: laonde
mi pare molto vero quello che disse questo vostro filosofo. Fu santo, dissio,
e teologo anzi che filosofo. Tanto meglio, rispose ella, perch per questa
ragione dovr prestargli maggior credenza; ma dove la vostra nuova
diffinizione? Mettetela al paragone di queste altre vecchie. Allora io soggiunsi:
Io mi vergogno che fra lantiche opinioni, che sono cos belle, si mostri
giovinetta di cos picciola belt; ma che posso altro che ubbidirvi? E dovrei
servirvi, se ci fossi atto; ma voi non mi commandareste cosa a la quale io
non fossi acconcio. Ed ella replic: Ors, dite. Dir, signora, risposi, ma
siate contenta chio non la cavi fuori a limproviso. Come a limproviso?
disse la signora Tarquinia; noi labbiamo tanto aspettata. Non vi spiaccia,
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allora dissio, dattenderla ancora, perch lindugio non sar a fatto noioso.
E che direte in questo mezzo? disse la signora Ginevra. Alcuna opinione de
gli altri, soggiunsi io, presso le quali questa chio vapparecchio sar pi
facilmente intesa.
Dico adunque che san Tomaso ed Egidio e i seguaci de luno e de
laltro pongono tre quasi gradi de gli affetti e de le passioni; e quantunque
siano diversi, nondimeno in questa sono concordi; percioch subito che
sappresenta loggetto amabile a lanima nostra, se ci piace, nasce lamore, il
quale il primo compiacimento; ma se lanimo cerca di conseguir la cosa
amata, ne desta il desiderio: e, giungendola, sha diletto di seguirla. Queste
tre passioni adunque sono ne lanimo nostro per rispetto de lobietto ama-
bile o del piacevole: luna il compiacimento, il quale amore; laltra il
desiderio che segue lamore; e la terza il diletto nel quale sacqueta. E tre ne
sono ancora, se si risguarda quel che dispiace e che sabborrisce: perch, se
loggetto spiacevole sofferisce a lanimo, egli si ristringe in se stesso a somi-
glianza del loto o daltra pianta, la quale spiega i fiori al sole e gli raccoglie
nel suo partire: e in questo raccoglimento e, per cos dire, ristringimento de
la volont riposto lodio, s come lamore ne lestensione. Ma se loggetto
spiaciuto sappressa, lanimo il fugge: e questo affetto si dice fuga, ch
contraposta al desiderio; e finalmente ne nasce il dolore, ch contrario al
piacere. Vedete dunque che ne lanimo nostro sono da quella parte che si
volge al piacere tre quasi termini o gradi, se pur non vogliamo chiamarli
passioni con proprio nome, e tre da laltra da cui sofferisce quel che dispia-
ce. Tanti sono veramente, rispose la signora Tarquinia.
Allora soggiunsi io: Ma ne primi opposti gli scolastici pongono lamore
e lodio, nel secondo il desiderio e la fuga: assai diversamente da Platonici,
i quali volevano che lamore fosse desiderio. Ora, volendo io addurre la mia
opinione, mi pare di riempire quel terzo grado e di porre lamore ne la
quiete. Come, disse la signora Ginevra, lamore ne la quiete? Chi fu mai
pi inquieto de gli amanti? Non mi date il torto cos tosto, dissio, ma
ascoltate, se vi piace, la mia opinione. Lamore senza fallo contrario a
lodio, ma lodio affetto invecchiato e ira invecchiata, come parve alcuna
volta ad Aristotele; onde conviene che lamore ancor sinvecchi. Convien
senza fallo, rispose la signora Tarquinia, per questa ragione; e io soggiunsi:
Ma se lamor fosse il primo piacere, non sinvecchiarebbe giamai; anzi,
subito nato il desiderio, egli si morrebbe, e l suo figliuolo sarebbe micidiale
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del padre, come sono i figliuoli de la vipera. Cos averrebbe disse; e io
replicai: Desiderio giamai non estinse amore, ma laccrebbe, s come fiam-
ma non sestingue per fiamma,
Ma sempre lun per laltro simil poggia.
Dunque io direi pi tosto che lamore in fasce e quasi in culla fosse la prima
piacenza, ma che, poi chegli, avendo bevuto il latte de la speranza, dive-
nuto grande e ha messo lali e vola come augello, non pi quel primo
piacere, ma l desiderio, con le cui saette egli ci trafigge volando: e segli
tanto vola che giunga la cosa amata e la posseda, sacqueta nel piacevole; n
per questo muore, altramente tutti gli amanti che hanno goduto de loro
amori lascerebbono damare, ma perpetua nel godere e ne lamare parimente.
Dunque que tre de quali abbiamo ragionato, il compiacimento, dico, il
desiderio e l diletto, non sono altro che le tre diverse et de lamore: percioch
ne la prima bambino, ne la seconda amore gi cresciuto per lo nascimento
del fratello, detto Anterote, ne la terza amore invecchiato, come si cono-
sce dal suo contrario, che sinvecchia similmente; anzi, sin alcuna et egli
merita propriamente il nome damore, gli si conviene in questa terza per
mio parere.
Questo vostro amore, disse la signora Tarquinia, mi pare in parte
simile a quel del Petrarca, in parte diverso: simile, perch sinvecchia come
il suo; diverso, perch quello del quale egli ragiona fu
Mansueto fanciullo e fiero vecchio;
ma questo sar vecchio mansuetissimo. Io soggiunsi: Lamor che sinvec-
chia senza conseguir il suo fine, diventa fiero per lunga passione e
sincrudelisce, per cos dire, ne tormenti; ma quello il quale possessore de
la cosa amata piacevolissimo oltre tutti gli altri, e non ucciso dal piacere,
come alcuni credono, ma conservato il pi de le volte: perch troppo rea e
maligna sarebbe la natura del diletto, sella uccidesse lamore. E se vogliam
prendere la similitudine del fuoco, il quale pare che sassimigli a lamore
pi di tutte laltre cose, noi veggiamo chegli si genera nel seno de la terra, e,
levandosi in alto per sua natura, non sestingue, ma pi sinfiamma, e dapoi
chegli nel suo proprio luogo, quantunque egli perda il primo moto, non
rimane per desser fuoco, anzi divien perfetto e tanto acquista de la forma
quanto de la perfezione; ma, essendo mosso con altro movimento, pare che
in un certo modo sacqueti ne la sua sfera, ne la quale si conserva immorta-
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le. Similmente lamore nasce ne lanimo ch desto dal piacevole, e verso lui
si muove a guisa di fiamma, che per la sua forma atta a salire, desiderando
di conseguire la posseduta bellezza; e dapoi chegli n fatto signore, non si
muove pi con s fatto movimento, ma con un altro assai diverso, il quale
non altro che desiderio di perpetuare ne la possessione, e non distrugge
lamore e non impedisce la contentezza de lamante.
Io aspettava, disse la signora Tarquinia, che voi diceste chegli
sacquetasse nel moto come il cielo, o pur come lintelletto nostro ne lin-
tendere, ch sua operazione. In questa guisa, dissio, sacquetano gli amori
intellettuali; ma quelli i quali lasciano alcuna parte al senso e a le fiamme
amorose, sono pi simili al fuoco, ch sotto il cielo de la luna. Comunque
sia, io direi pi tosto che lamore fosse una quiete nel piacevole che un
movimento verso il piacevole, come alcuni hanno detto, percioch il genere
de la quiete pi nobile de laltro; laonde Senocrate, che diffin lanima un
numero che si muove per se stesso, fu ripreso dAristotele, il qual disse che
lanimo era uno stato, e, come lo stato listesso che la quiete o pur di
natura molto somigliante, cos lamor e lanimo: per fu detto
Amore e cor gentile sono una cosa.
E dunque lamor quiete: e allora veramente amore chegli divenuto
signor nel suo regno.
E quale questo suo regno? disse la signora Ginevra. - Io porrei la sua
reggia nel core, tutto che alcuni poeti, fra quali sono Omero e Sofocle,
lalbergassero nel fegato e nel polmone. Questi, disse la signora Tarquinia,
il fanno pi tosto bestiale che ragionevole, separandolo co l cinto ch detto
septotransverso da la parte pi nobile e legandolo a guisa di cavallo o daltra
bestia ne la stalla; ma, sionho inteso il vero, non parlano dogni amore, ma
del sensuale solamente. Platone, dissi io, ragion de la parte concupiscibile,
ne la quale alberga questo affetto, che merita pi tosto il nome di cupidigia
che damore; ma concede lira al core, la qual forse si potrebbe chiamar la
reggia di quello amore che signoreggia ne gli uomini. Voi contradicete a voi
medesimo, disse la signora Tarquinia, perch in qualche vostra composizio-
ne dite che l tempio damore nel vostro core, ma la reggia ne gli occhi
de la vostra donna. E io risposi: Voi chiamate a sindicato gli scherzi di
poeta. Le adulazioni pi tosto, disse la signora Ginevra, o le lusinghe che
vogliate dire; e io replicai sorridendo: Niuna cosa ho detto che non sia
ragionevole: percioch amore re somigliante a gli altri re, e particolarmen-
te a quelli de Persiani, i quali cangiavano albergo secondo le stagioni de
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lanno, e la state abitavano in Ecbatana di Media, dove laria fredissima,
ma l verno dimoravano in Susa e in Babilonia e alcuna volta in Battro;
laonde non sconvenevole che lamor abbia molti palagi e molti alberghi. E
sio volessi ragionar di lui non come fece Diotima con Socrate, ma come
ragiona Socrate con Fedro, io mi lasciarei rapir sin in cielo, dove veramente
egli nacque e dove ci riconduce: n in alcun modo pi convenevole se ne
pu ragionare a la presenza de la eccelentissima signora donna Marfisa, ch
signora di tanto merito e di tanto valore; ma io non posso n purgare i
pensieri n inalzar le parole quanto si converrebbe a la dignit del soggetto
e a la nobilt de le ascoltatrici.
Allora la signora donna Marfisa, levandosi, fu cagione chio sorgessi
per onorarla; e dapoi di nuovo torn a sedere e, fattomi dare una sedia
appresso un instromento di musica, mi disse chio scrivessi alcuna cosa
damore. E io, prendendo la penna, feci alcuni versi, ne quali non com-
piacqui a me stesso; laonde io le dissi: Eccelentissima signora, io son poco
felice poeta, n posso comporre se non tardi e con molta difficolt. Seguite
dunque, disse la signora Tarquinia, il vostro ragionamento. E io soggiunsi:
Nulla mavanza che dire, avendo prima narrate lopinioni de gli altri e poi
detta la mia; ma soltre le cose pensate ne debbo aggiunger alcunaltra, io
cercher di prenderla da buon luogo, acciochella sia degna de laudienza.
Dico dunque chamore quel chavete udito, e quale; ma de le sue qualit
si potrebbono dir molte cose: perciochalcuni vogliono che da lamore di se
stesso nascan tutti i mali; altri chamor sia semenza in noi dogni virtute e
dogni operazione che meriti pena, e distingue quelle del purgatorio secon-
do la qualit de peccati commessi de lamore: il quale, segli si volge a le
cose create, erra o per troppo o per poco di vigore.
Allora disse la signora Tarquinia: Poteva anco compartire i premi del
paradiso e labitazioni de beati secondo le diverse virt de lamore: n so
per qual cagione seguisse altra divisione. Non lo fece in guisa diversa, dissio,
che non accenni che la carit quella la quale d i luoghi pi alti e pi bassi:
e, come voi sapete, la carit lamore. E1 senza fallo, rispose, amor illumi-
nato da Dio, il qual cagione de la vera beatitudine; ma questo, nel qual
voi ponete la quiete, cagione di tutte quelle pene le quali si purgano nel
purgatorio. E io soggiunsi: Questo torto che mi fate; ma pur, essendomi
conceduto linterpretar la mia opinione, posso dir che la quiete nel piacevo-
le si deve intendere di quella quiete ch veramente riposo e di quel piace-
vole che non mescolato dalcuna amaritudine.
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Ma la signora Marfisa, quasi volesse aiutarmi, soggiunse: Dichiarate
la vostra intenzione con vostri versi medesimi, ne quali dite che la speranza
e la fede non entrano nel cielo, ma solo a lamor conceduto dentrarvi:
perch, segli entra nel cielo, conviene che l vero amore sia vera quiete.
Questo aiuto, dissio allora, cos buono che niuno teologo lo potrebbe dar
migliore; ma samore entra solo, direm che nel ritorno egli vada solo o pur
a guisa di capitano vittorioso? Solo entra secondo voi, disse la signora Gine-
vra; e io soggiunsi: Ma non parte solo; perch egli ha seco la fede e la
speranza e tutte laltre virt parimente, come si legge nel Petrarca:
Con molte sue virt in lei ristrette;
perch tutte le ordina lamore in una bella schiera; anzi la virt medesima
non altro che ordine damore. Maraviglioso ordine questo veramente,
disse la signora Tarquinia; ma come e in qual guisa sono ordinate? E io rispo-
si: Io non ho veduto chi le descriva; tutta volta Dante ce ne pu dar qualche
luce, dicendo che lamor, il qual si volge al primo bene o ne secondi misuri se
stesso, non possa esser cagione di mal diletto. Allora disse la signora Ginevra:
Fate che questa luce vi illustri, overo che tutte cillumini. E io ripigliai il
ragionamento in questo modo: Amor, volgendosi al primo bene, la carit, la
quale ne gli altri modera se medesima: e questa la prima virt ne la schiera
de le teologiche, ma non sola, perch accompagnata da la fede e da la
speranza, le quali similmente nascono in questo rivolgimento de lanima a
Dio.Ma se lamor si volge a le cose create, produce la prudenza, la giustizia, la
temperanza e la fortezza, la liberalit, la mansuetudine, la modestia e laltre, le
quali sono in guisa congiunte che luna non pu star senza laltra, percioch
in ogni ordine c una communanza e quasi una congiunzione, la quale di-
scende da la unit ne la moltitudine, e ogni moltitudine si riduce ne lunit.
Se questo , disse la signora Marfisa, il Petrarca, quando descrisse il trionfo di
Laura e la schiera de le sue belle virt, poteva fare chella trionfasse con Amo-
re: tutta volta trionfava dAmore. Trionfava di quellAmor, dissio, il qual
nutrito di pensieri dolorosi e lascivi,
Fatto signore e dio di gente vana,
a cui lungamente era stato soggetto. Ma l vero trionfo dAmore quello de
la Divinit, co l qual nome egli per aventura volle velar gli occulti sensi del
suo poema in quella guisa che alcuni solevano fare ne misteri. Laus Deo.

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