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102 Basi bibliche

come la vera vite, come il compendio della gioia che supera la quoti-
dianit banale (Gv 15,1.5), come la porta della salvezza (Gv 10,9). In
poche parole: egli la via, la verit e la vita (Gv 14,6; cfr. 11,25).
Quel che gli uomini cercano senza conoscerlo lo si trova in lui. Essi, i
ciechi nati, hanno bisogno di acquistar la vista incontrandolo ( Gv
9,3 9), di rinascere dal suo Spirito ( Gv 3 ,3-8) e di divenire liberi
mettendo in pratica le sue parole (Gv 8,31s.; 3,21; 7,17). La salvezza
offerta illimitatamente a tutti (Gv 8,12; 9,5).
In Giovanni la passione e la morte di Ges sono viste nella cornice
della cristologia inviato dal Padre nel mondo
ha il compito di comunicare al mondo la vita divina. Dopo aver assol-
to tale compito egli abbandona il mondo e torna al Padre per attrarre
tutti a s. La morte_ un passaggio e utza tappa_necess.aria lungo il cam-
mino che porta all'innalzamento (Gv 3,14; 12,28.32s.), anzi parte in-
tegrale del processo dell'innalzamento (non punto terminale dell'abbas-
samento in co u: uenza dell'incarnazione) e comp_imento vittorioso: il
sovrano(tutto compiuto\prende il posto del grido di abbandono
(Gv 19,30a; cfr. 8,29; 16,32). La morte di Ges pu dischiudere la vi-
ta eterna solo in quanto innalzamento, cio in quanto l'inviato del Pa-
dre giunge vittoriosamente presso di Lui, in modo tale da spodestare
il principe di questo mondo (Gv 12,31; 16,11.33), affidare e inviare
il proprio Pneuma ai suoi (Gv 19,30b; 7,39; 16,7). In questa concezio-
ne possono poi essere tranquillamente inseriti elementi della originaria
e tramandata visione cristiana della morte salvifica di Ges: l'Agnello
di Dio e il vero Agnello pasquale (Gv 1,29.36; 19,33.36), il dono della
vita per i suoi (Gv 10,11.15.17s.; 15,13; cfr. 13,1), mentre l'idea dell'e-
spiazione vicaria viene appena accennata (Gv 1,29; 11,50-52).
Il Figlio, che viene dal Padre e a lui ritorna ( Gv 16,28; cfr. 6,62;
13,1.3) , divino (the6s: Gv 1,1.18); alla fine Tommaso fa la sua pro-
fessione di fede in Cristo come nel suo Dio personale con l'appella-
tivo classico nell'antico Vicino Oriente del Dio personale (guida,
protettore e intercessore del suo protetto): mio Signore e mio Dio
(Gv 20,28). Ma il Dio (ho the6s) anche nel vangelo di Giovanni solo
il Padre; lui ha l'iniziativa, tutto viene da lui; il Figlio il suo ultimo
inviato e rivelatore, che nulla pu da se stesso ( Gv 5,19), tutto riceve
da lui e fa la sua volont (Gv 4,34; 5,30; 6,38-40): Il Padre pi gran-
de di me (Gv 14,28) . Ci malgrado Dio, il Padre, diventa realmente
accessibile nella figura di Ges, del L6gos e Figlio incarnato: Chi ve-
de me, vede il Padre (Gv 12,45; 14,9; l Gv 5,20). Infatti il Figlio
(termine usato in modo assoluto) sta in un rapporto unico con il Padre
Nascita e sviluppo della cristologia del NT
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(Gv 1,18; 3,16): lo e il Padrf!_IJ.mo una cosa sola (Gv 10,30); questa
espressione non indica ancora - come da Nicea in poi - una unit es-
senzial(! irztradivina (cosi come Gv 14,28 non indica una subordinazione
ssenziale), ma una unit in (atto di volor1J e di azione _nel_tgmpo. Tut-
tavia, a motivo della fusione giovannea dei piani del tempo e dell' eter-
nit, questa breve frase apre la vista sulla profondit metafisica della
relazione tra Ges e il Padre suo (R. Schnackenburg, ]ohannesevan-
gelium 2, 387 [trad. it., 513 ]). La presenza del Verbo e del Figlio pres-
so Dio, solo accennata nell'inno introduttivo (Gv 1,1.18), pot perci
suscitare un profondo presentimento, l'idea di un Dio vivente in se
stesso come dialogo eterno, in cui tutti devono essere coinvolti.
A quanto pare anche in ambienti delle comunit giovannee aveva
fatto la sua comparsa una cristologia docetico-gnostica, che negava
l'incarnazione reale del Figlio e la sua morte reale (cfr. l Gv 2,19). Di-
versamente non sarebbe stata necessaria la critica antidocetica di 1 Gv
2,18; 4,2s.; 5,6 e 2 Gv 7. Ogni esagerata cristologia della preesistenza e
della sovranit corre evidentemente il pericolo di attenuare, di fronte al-
la chiara sovranit di Ges, la bassezza della sua vita e la miseria della
sua morte e, quindz; di non prendere sul serio la sua esistenza umana
concreta e la reale incarnazione del L6gos di Dio.
2.4.3 (i) Il senso delle enunciazioni neotestamentarie
sulla preesistenza
Concepiamo nel modo giusto la preesistenza e l'incarnazione sol-
tanto se la divinit del Verbo eterno non svaluta il cammino terreno e
umano di Ges entrando in concorrenza con esso, bens lo rende pos-
sibile, lo fonda e lo sorregge. Il motivo della preesistenza e dell'invio in-
tende esprimere l' extra nos della nostra salvezza: quanto riscontria-
mo nell'uomo Ges non ha la sua origine in un qualcosa di intramon-
dano, ma proviene piuttosto da una realt semplicemente contrappo-
sta a tutto l'essere mondano. Nella storia di Ges Dio stesso ha ope-
rato per la nostra salvezza. La libert divina infrange il nesso delle fa-
tali connessioni cosmiche e ci libera affinch viviamo nella libert delle
figlie e dei figli di Dio. Pertanto le enunciazioni relative alla preesi-
stenza dell'unico Figlio tt.9n sono una astr..atta sul suo sta-
tus pretemporale, ma vogliono fondare la nostra figliolam;a_clllr.na e la
nostra salvezza.
- Oltreac!esse riflettono anche sul ra orto di Ges con il creato-
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