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Anno scolastico 2011- 2012 Secondo semestre Corso di Filosofia della Religione

Lezione conclusiva
Lessenza della religione (excursus) Non pura proiezione antropologica Non semplice prodotto della psiche umana Non frutto della vita associata degli uomini Non prassi morale Non pure ricerca teoretica Non semplice esperienza estetizzante Non il suo travestimento/ travisamento Religio est essentialiter conscia et recta ordinatio hominis ad divinitatem

- Religione come incontro con un dato reale, dalle caratteristiche personali, per la precisione corrisponde alla risposta umana a tale incontro -

Confronta: - Adriano Alessi, Sui sentieri del sacro, Roma, LAS, 1998, pp. 295- 317.
Lesperienza religiosa (tratti riassuntivi del corso) Aree tematiche rilevanti Fede e razionalit Fede e antropologia - Homo capax Dei (sguardo positivo sulle - Una razionalit adeguata (fidarsi della ragione). Intelligibilit potenzialit umane) - Possibilit di adeguamento del pensiero alla - Uomo integrale (religione come esperienza realt. Autenticit complessiva) - Nessuna pregiudiziale chiusura o riduzione - Sguardo sapienziale complessivo nel processo conoscitivo (La verit tutta intera) alla esperienza umana in ambito religioso Aspetti ed evidenze di carattere storico Nella storia delle religioni Nella storia della filosofia - de- antropoformizzazione del divino - emergere del distacco della teologia dalla - de- strutturazione del politeismo filosofia - liberazione della barriera e dellambiguit di - indagini riduzioniste sullesperienza religiosa sacro e profano - tematizzazione dellateismo - lettura corretta del rapporto rivelazione - indebolimento della razionalit indagine filosofica Aspetti di sintesi - Lesperienza religiosa esperienza integrante: Componente intellettuale Componente volontaria Componente affettiva Componente attiva - Lesperienza religiosa esperienza del divino: Trascendenza ed immanenza Interiorizzata Mediata - Lesperienza religiosa dinamica: Inesauribile Rende una sana inquietudine Mai del tutto definibile Progressiva - Diversi piani dellesperienza religiosa: Sensibile/ sensoriale Sensibile/ spirituale Intellettuale/ - Esperienza religiosa ed esperienza cristiana.

Confronta: MAGNANI G., Filosofia della religione, Roma, Editrice Pont. Univ. Gregoriana, 1993, pp. 113 - 138. ZUCAL S., Perch un filosofo dovrebbe interessarsi di teologia?. Elaborare l'esperienza di Dio in Atti del Convegno, Parma 20-21 marzo 2009, www.http://mondodomani.org/teologia/.

Perch un filosofo dovrebbe interessarsi di teologia?


di Silvano Zucal (20-21 marzo 2009)

1. Premessa
Mi sia permessa una annotazione di carattere biografico. Sono in Universit e nel mondo della ricerca da quasi trent'anni. Non ho mai studiato nella mia vita teologia ma se uno scorre le mie pubblicazioni potrebbe nutrire il sospetto di trovarsi dinanzi non a un filosofo ma a un teologo camuffato. Sia per gli autori su cui ho condotto le mie pi importanti ricerche, sia e ancor pi per le tematiche affrontate. Provo ad esemplificare. Ho iniziato le mie ricerche con Karl Rahner e la sua teologia della morte (teologo che ho avuto anche la fortuna di incontrare pi volte). Un tentativo -- il mio -- di verificare una storia degli effetti della tanatologia di Heidegger di cui Rahner era stato allievo partecipando ai suoi seminari negli anni 1934-1936. Per Rahner potrei per trovare una qualche forma di comprensione perch -- come si sa -- Rahner era comunque nato filosofo con la sua dissertazione per il dottorato in filosofia Geist in Welt (pubblicato poi a Innsbruck nel 1939), obbligato poi a diventare forzatamente teologo, per la bocciatura di quella dissertazione da parte del suo relatore Martin Honecker, lavoro giudicato troppo ardito nel suo approccio ermeneutico a Tommaso d'Aquino. Ho proseguito poi con Hans Urs von Balthasar proponendo un'analisi della sua interpretazione di Hegel soprattutto con riferimento all'importante opera giovanile del pensatore svizzero Apokalypse der deutschen Seele. Ho tentato di rileggere il rapporto tra teologia filosofica hegeliana, in tutte le sue molteplici implicazioni, e teologia cristiana in riferimento appunto alla particolare chiave interpretativa di Hegel che si pu cogliere nell'ottica critica di von Balthasar. Anche in questo caso potrei ritenermi parzialmente giustificato perch Balthasar nasce germanista e, a modo suo, filosofo per diventare poi solo successivamente un teologo in senso proprio. Ha poi assunto un rilievo particolare la mia ricerca pi che decennale su Romano Guardini, ricerca che tuttora prosegue. Mi sono occupato della sua concezione di Weltanschauung cristiana, dell'escatologia, della sua filosofia del silenzio e, soprattutto, ho preso in esame la sua analisi della metamorfosi del religioso e la correlata fenomenologia della fede che si pu rintracciare negli scritti di ermeneutica letteraria, in particolare in quelli dedicati a Hlderlin, Dostoevskij e Rilke e nella sua interpretazione di Nietzsche. Ne ho curato (con la collaborazione di Andrea Aguti) il secondo volume dell'Opera Omnia, relativo alla filosofia della religione, uscito nel 2008. Anche Guardini figura di confine per cui potrei sentirmi in certo qual modo tranquillo: la sua cattedra era infatti di filosofia della religione oltre che di Weltanschauung cristianacattolica. Mi sono dedicato poi al filosofo austriaco Ferdinand Ebner, che per in realt si autodefiniva pneumatologo, curando la prima edizione italiana della sua opera fondamentale, La parola e le realt spirituali. Frammenti pneumatologici e pubblicando una monografia introduttiva al suo pensiero oltre a coordinare scientificamente su di lui un convegno internazionale. Anche in tal caso, data l'autodefinizione ebneriana, sono evidentemente a rischio di un scivolamento in direzione teologica. Infine mi sono occupato anche di Dietrich Bonhoeffer cercando di rileggerlo in prospettiva polare-dialettica a vari livelli: nella polarit tra mondit e teologicit, tra sequela radicale e esistenza animale, fra la categoria della benedizione e quella della croce, tra radicalismo etico e compromesso, tra ultimo e penultimo. In tal caso Bonhoeffer indubbiamente teologo ma la sua prospettiva teologica offre staordinarie aperture alla riflessione filosofica. Ultimo tra gli autori pi importanti del mio percorso teorico il filosofo Carl Dallago, protagonista del Brenner-Kreisdi Innsbruck. Filosofo panenteista, radicalmente polemico nei confronti di ogni teologia. In tal caso, finalmente, le mie preoccupazioni di un'invasione di campo potrebbero essere tacitate. Per quanto riguarda invece i temi da me affrontati sono egualmente sospetti di una implicita derva teologica. Ho affrontato, dedicandovi una monografia, la problematica angelologica, proponendo una lettura complessiva di una tale tematica e, in specie, una sua contestualizzazione nel panorama filosofico del Novecento. Mi sono poi dedicato a un tema di confine filosofico-religioso quale quello della dialettica silenzio-parola, coordinando una ricerca unitamente al prof. Massimo Baldini, recentemente scomparso, e pubblicando su tale argomento alcuni saggi e una monografia. Una tale prospettiva di ricerca si successivamente orientata alla rilettura della tematica della parola cos come proposta nelle correnti del personalismo dialogico e in modo particolare nella filosofia dialogica cristiana di Ferdinand Ebner. Ancora sul terreno di una lettura filosofica della problematica religiosa, ha coordinato una ricerca sulla

cristologia filosofica contemporanea che ha coinvolto una sessantina di colleghi italiani e stranieri: con un progetto organico sono stati cos realizzati due tomi di cristologia filosofica dedicati rispettivamente all'Ottocento (Da Kant a Nietzsche) e al Novecento (Da Heidegger a Lvinas).

2. Invasione di campo o necessaria valorizzazione/interazione?


Questa lunga premessa, anche un poco imbarazzante per gli eccessivi riferimenti personali, credo sia per funzionale ad illuminare il problema che intendo affrontare. Ovvero: il filosofo legittimato a occuparsi di teologia? Se lo fa vien meno allo statuto della sua disciplina? S'annette un mbito disciplinare che non gli appartiene? Realizza un'impropria invasione di campo? Io credo di poter anzitutto condividere un'affermazione di questo tipo: In un clima propizio al generale disconoscimento di privilegi e di primati epistemici, in una situazione che non consente facili giustificazioni per reciproche preclusioni di principio, ci si pu chiedere quasi programmaticamente: pu configurarsi un obbligo critico della filosofia che la indirizzi non solo, come si ritiene per lo pi, in direzioni metalinguistiche di tipo estetico o analitico o epistemologico, ma anche in una nuova dirittura di problematico incontro con le questioni teologiche?.1 Wolfhart Pannenberg, in un testo classico sull'argomento, argomenta come filosofia e teologia siano state concepite ora come opposti inconciliabili, ora identificate l'una con l'altra e -- a seconda dell'epoca -- sovra o subordinate l'una all'altra.2 In modo assolutamente schematico si pu dire che dall'antichit il loro rapporto si articolato dapprima nel senso di una differenziazione interna in filosofia e teologia per poi arrivare a due modi di conoscenza progressivamente distinti (e distanti) che si sono autocompresi sempre pi come scienza. Se per la Patristica e per il Medioevo i concetti metafisico-filosofici erano il presupposto indiscusso per la riflessione teologica, con l'epoca moderna e con la precisazione del concetto di rivelazione si apre la grande questione del rapporto che si pu istituire fra ragione filosofica e rivelazione. Con la seconda modernit e con l'Illuminismo la questione si va a declinare in un confronto polemico tra filosofia e teologia, fra ragione e fede. Sar il concetto romantico-idealistico dell'autorivelazione di Dio nella storia (pensiamo alla schellinghiana continua, progressiva rivelazione dell'Assoluto), fondamentale per la determinazione del rapporto tra ragione e rivelazione, a superare la polemica moderno-illuministica all'interno della critica della rivelazione. Ma anche ad annullare la positiva e feconda tensione tra i due mbiti, quello filosofico e quello teologico. Come ha giustamente asserito Massimo Cacciari questo rapporto o tensione critica continua tutt'oggi, nonostante alcuni teologi e filosofi contemporanei ritengano di poter fare a meno di questo confronto, che invece arricchisce e specifica dialetticamente i due diversi campi di indagine, pur nella diversit delle rispettive metodologie (e -- ovviamente -- dei diversi punti di partenza). La svolta decisiva in questo dialettico rapporto (diversamente da epoche precedenti) per giustamente clta da Cacciari quando afferma che oggi non pi la consonanza ma la differenza che rende tra loro inseparabili filosofia e teologia.3 Meglio -- potremmo dire noi -- se in epoca medievale o pre-moderna era una differenza tra i due mbiti nella consonanza, oggi piuttosto una differenza nella possibile (anche se non necessariamente scontata) dissonanza. Ma differenza e dissonanza non rendono meno rilevante -- forse anche rendono cruciale -l'apertura del filosofo al teo-logico. Questa tesi deve superare il pregiudizio heideggeriano (una vera e propria scuola del sospetto) che tanto ha influenzato i rapporti tra le due scienze nel Novecento. Heidegger, non senza un tono sprezzante che intendeva rompere drasticamente con i suoi precedenti teologici giovanili, ebbe infatti ad affermare: Concezioni gnoseologiche, relative alla teoria della conoscenza storica, mi hanno reso problematico e inacettabile il sistema del cattolicesimo4 e, con esso, la sua teologia. Ci porter poi all'affermazione di un necessario divorzio espresso nella famosa conferenza di Tubinga del 9 marzo 1927, Fenomenologia e teologia, ove intendeva asserire l'assoluta incompatibilit tra la teologia che egli intende e qualifica come scienza positiva e la filosofia che invece ricerca e asserzione della problematicit radicale del Dasein: La nostra tesi che la teologia una scienza positiva, e quindi, come tale, si distingue dalla filosofia in modo assoluto. Dobbiamo pertanto chiederci -- afferma Heidegger -come, ferma restando questa diversit assoluta con la filosofia, la teologia stia in rapporto con essa. Dalla tesi ora enunciata si ricava immediatamente che la teologia, in quanto scienza positiva, fondamentalmente pi vicina alla chimica e alla matematica che alla filosofia. Formuliamo cos, nel modo pi radicale, il rapporto tra teologia e filosofia, in opposizione alla concezione ordinaria per la quale entrambe le scienze tematizzano in certo modo lo stesso mbito -- e cio la vita umana e il mondo -- soltanto che ciascuna segue il filo conduttore di una determinata modalit del cogliere, che per l'una il principio della fede e per l'altra il principio della ragione. In base alla nostra tesi, ribadiamo che la teologia una scienza positiva e, come tale, si distingue dalla filosofia in modo assoluto. Il compito che ne risulta per la nostra discussione il

seguente: bisogna connotare la teologia come scienza positiva e, in base a questa caratterizzazione, chiarire il suo possibile rapporto con la filosofia, da essa assolutamente diversa.5 La teologia cristiana si configura dunque per Heidegger come una scienza positiva intendendo per scienza positiva lo svelamento fondante di un ente dato e in qualche modo gi svelato. [... Se] per la teologia cristiana il dato il cristianesimo come evento storico attestato dalla storia delle religioni e dello spirito [...] il cristianesimo il positum dato, dunque la teologia la scienza del cristianesimo.6 In tale prospettiva il filosofo sarebbe completamente fuori gioco perch sarebbe, impropriamente, uno storico delle religioni. Comunque l'area della teologia andrebbe circoscritta, per Heidegger, all'mbito della fede, dei credenti, essendo scienza di ci che si svela nella fede ovvero di ci che si crede: La fede in quanto rapporto d'esistenza con il crocifisso, una modalit dell'esserci storico, dell'esistenza umana, e precisamente dell'essere storico in una storia che si rivela solo nella fede e per la fede [...]. In quanto autointerpretazione concettuale dell'esistenza che ha fede, cio in quanto conoscenza storica, la teologia mira unicamente alla trasparenza dell'evento cristiano rivelato nella fede e da quest'ultimo delimitato.7 Che senso avrebbe allora un'incursione filosofica nel teo-logico? Soltanto -- per Heidegger -- una forma di camuffata teologia, di apologetica. Se la filosofia cristiana per lui un ferro ligneo 8 (fondandosi su presupposti attinti a una fede religiosa), l'apertura del filosofo (credente o meno) a ci che propriamente teologico un ferro ligneo raddoppiato, un'ambiguit radicale. Il sospetto che Heidegger, in virt dei suoi trascorsi teologici giovanili, abbia una concezione della teologia come luogo (assolutamente) pacificato, di mera mediazione teorica di un fatto. Una teologia neo-scolastica (in senso deteriore) che non abbia pi in s la bellezza di cui parlava Karl Barth: Si pu ben affermare che la teologia una scienza di eccezionale bellezza. Si pu anche dire senza timore che, tra tutte le scienze, essa la pi bella. sempre un segno di barbarie annoiarsi della scienza. Ma doppia barbarie, quando la teologia che annoia o che pu annoiare qualcuno. Non si pu che essere felici e contenti di essere teologi: diversamente non si teologi. Facce acide, pensieri tristi e conversazioni annoiate sono del tutto intollerabili in questo ramo del sapere. Che Dio ci preservi dal quello che la teologia cattolica annovera come uno dei sette vizi di un monaco: il taedium, ossia quella ripugnanza interiore circa le grandi verit spirituali di cui tratta la teologia. Noi dobbiamo tuttavia renderci conto che solo Dio ce ne pu preservare.9 Bella la teologio solo perch (e allorch) inquietante, come giustamente annota Cacciari: Heidegger ritiene la teologia filosoficamente estranea perch parte dall'infondato presupposto che la teologia non abbia a che fare con quella Bekmmerung, con quella inquieta attenzione, affatto irriducibile ad ogni forma di religio, che, per Heidegger, marca [invece] il cuore della ricerca filosofica.10 La teologia s estranea alla filosofia se quella radicale inquietudine (pi o meno completamente) smarrita,11 se essa diventa -- direbbe Ferdinand Ebner -- del tutto autoreferenziale e presume un'oggettivit impropria: Il teologo, in quanto pratica la teologia appunto come una scienza che si presenta oggettivamente, pu divenire vittima spirituale della tendenza alla sostanzializzazione. vero che il suo pensare ha come punto di partenza la fede nel carattere personale dell'esistenza di Dio; egli opera poi del tutto spensieratamente, dimentico di tale punto di partenza, con il concetto di sostanza divina, come se la personalit e la sostanzialit dell'esistere -- la prima un fatto non ulteriormente spiegabile della vita spirituale nella sua realt, la seconda null'altro che un'oggettiva necessit speculativa -- fossero riconducibili ad armonia nella riflessione. A rigor di logica un tale teologo dovrebbe coerentemente tendere a ridurre Dio e il suo rapporto con l'uomo e con il mondo, la sua incarnazione nella vita di Ges e la redenzione dell'uomo per tramite di questa, ad una formula matematica, nella quale ovviamente non sarebbe eliminata la sua stessa esistenza, bens anche quella di Dio. Il che naturalmente non pu avvenire, n nell'uno n nell'altro caso.12 Solo se la teologia si libera dall'illusione di un linguaggio oggettivante analogo a quello oggettivante e calcolante delle scienze positive e naturali potr ritrovare quel modo di pensare e quel linguaggio che -direbbe Heidegger -- non consiste pi nel rappresentare qualcosa come un oggetto ma nel poetare e nell'avvertire sul piano esistenziale lo Smisurato che non pu essere oggetto di utilizzazione.13 In tale ottica il divorzio radicale tra filosofia e teologia non pi necessario ma entrambe sono accomunate dalla ricerca del rapporto con lo Smisurato, dall'ermeneutica d'esso. E la necessit della filosofia di affrancarsi dalla teologia (o dalle tematiche teologiche) rimane un pre-giudizio. Pre-giudizio da cui rifuggita, in modo paradigmatico, una pensatrice raffinata come Mara Zambrano.

3. Conclusione: ermeneutica e ricerca di un senso


Con tali premesse, proprio l'accentuazione della valenza ermeneutica della filosofia, porta a riconsiderare esperienze come quella religiosa -- con la corrispondente mediazione a livello teologico -- come un mbito fors'anche privilegiato di applicazione della ricerca e della riflessione filosofica. Si tratterebbe -- in altri

termini -- di un tentativo di cogliere nell'evento religioso e nelle sue mediazioni linguistiche e razionali una fonte ricca e singolare di interrogativi sul piano antropologico ed un corrispondente orizzonte di risposte sul terreno del senso che meritano egualmente d'essere illuminati, evidenziati e portati sul terreno di un adeguato discernimento speculativo. In caso contrario la filosofia rischia di cadere in una sorta di autocensura preventiva. Cacciari giustamente si chiedeva se la filosofia pu essere fedele a se stessa, rinunciando a comprendere [ermeneuticamente] il teo-logico.14 La separazione forzosa pecca di una voluta astrattezza: Al di l di ogni astratta conciliazione, cos come di ogni astratta separazione, filosofia e teologia si riguardano essenzialmente.15 Per quanto mi riguarda, la teologia come depositum fidei mediato sul piano razionale offre al lavoro ermeneutico del filosofo uno straordinario mbito applicativo. La possibilit di ampliare lo spettro del lavoro filosofico che -- accanto all'ermeneutica dell'artistico (estetica filosofica), dei costumi (etica filosofica), del politico (filosofia politica) ... -- potr incrociare con l'ermeneutica del teologico la sfida ultima del senso. Nulla in contrario, anzi, all'istituzione in mbito accademico di cattedre di storia della teologia cristiana (o delle istituzioni teologiche) ma sarebbe ben triste che un filosofo in quanto tale non si misurasse mai, ad esempio, con gli abissi teorici del Vangelo di Giovanni. E per non farlo completamente da dilettante non si misurasse con la teo-logia che intorno a quel testo si andata a costruire nei secoli. Una filosofia totalmente separata dal teo-logico una patologia per la teologia (condannata a forme di patetico emozionalismo o di esegetismo filologico fine a se stesso) ma anche un rattrappirsi preoccupante per la filosofia. Un processo di separazione della filosofia dalla teologia parte dall'assunto che la filosofia -- ogni filosofia -- si elabora (deve essere elaborata) programmaticamente a prescindere dalla fede. Vero, se per questo si intende che la filosofia ambisce a una riflessione aperta (potenzialmente universale), che non chiede adesioni se non alla forza delle proprie argomentazioni. Ci non toglie che il filosofo credente, per una forma di Einfhlung con le teologie che mediano la sua fede, pu sapere cogliere in esse e di esse potenzialit teoriche straordinarie che poi offre alla comune riflessioni. avvenuto cos per i grandi filosofi dell'Ebraismo del Novecento (sempre aperti al teo-logico della loro tradizione) come Martin Buber, Franz Rosenzweig, Emmanuel Lvinas. Che non chiedono/chiedevano ai loro allievi conversioni all'Ebraismo e non le chiedono a noi. Ma costruiscono piste teoriche straordinarie che alimentano la riflessione di tutti. Cos pu egualmente accadere -- credo -- per chi ha una frequentazione, da filosofo, delle teo-logie cristiane. La radicalit dell'impresa filosofica non pu che fare i conti -- pena il venire meno di una tale radicalit -- con il discorso sulla fede, con la narrazione teorica sulla fede (se vogliamo dare un altro nome al teo-logico). La sua stessa radicalit o spregiudicatezza teorica non pu permettere (e non pu permettersi) che esistano, per cos dire, dei territori franchi che presumono di sottrarsi alla sua indagine o che essa deliberatamente intende lasciar fuori dalla sua indagine. Indagine che intende -- in quanto radicale, totale e (letteralmente) spregiudicata -- applicarsi all'intera esistenza umana, ai suoi vissuti, alle sue credenze. Il rischio culturale generale che da un lato il pensiero filosofico si assolutizzi non trovando un oltre a cui applicarsi con la fatica del concetto e con la pazienza ermeneutica e che il pensiero teologico sia condannato a una forma progressiva di ghettizzazione. Quelle che gi avvenuto nelle Universit italiane con l'esclusione delle facolt teologiche pu determinarsi anche sul terreno culturale generale. Teologi chiusi nelle facolt teologiche (solo) confessionali, teologia minata dal virus dell'autoreferenzialit; filosofi che non incontrano mai in vita un teologo (e teologi che non incontrano filosofi che non siano quelli delle facolt teologiche), filosofia minata dal virus dell'autosufficienza presuntuosa. Manca l'incontro, fruttuoso per tutte e due le prospettive disciplinari e per i loro protagonisti, tra la riflessione filosofico-antropologica e la prospettiva della proposta teologica che si basa su una (presunta dice il filosofo anche credente quando fa il filosofo) rivelazione. Emblematico in tal senso il discorso cristologico. Se la fede cristiana in Ges Cristo viene concepita teologicamente come fede nell'autorivelazione incondizionata e definitiva di Dio, come amore incrollabile e fedele verso tutti gli uomini, allora un pensiero filosofico che cerca di comprendere ermeneuticamente il significato di un tale evento, dovr assolvere diversi compiti. Di fronte a tale evento che la teologia definisce disposto da Dio (un evento fondativo in modo incondizionato, definitivo, universale)16 la filosofia sar interpellata da tutta una serie di questioni. Proviamo a segnalarne alcune. La questione del fine dell'uomo, il concetto stesso di rivelazione, la questione della capacit umana di ascoltare un'eventuale rivelazione connessa a quella della possibilit -- in tal modo implicitamente affermata -- di conoscere quella rivelazione, la possibilit stessa di una rivelazione definitiva all'interno di una storia contingente e aperta. O ancora, dato oggi il consenso sul fatto che il fondamento per l'eventuale adesione ad una rivelazione implica il soggetto toccher alla filosofia indagare e discutere come e con quali categorie dovr essere interpretata l'orgine di una tale soggettivit anche e soprattutto in rapporto all'Assoluto che la precede. In altri termini: quale struttura del soggetto potr determinare (o meglio consentire) il concetto o l'idea di un senso definitivo.

Al di l della problematica cristologica, potremmo offrire a mo' d'esempio anche un altro indice di tematiche filosofiche emergenti in rapporto al teologico. Le diverse qualificazioni della struttura originaria del soggetto aperto all'Assoluto o sua immagine, come libert razionale o come autocoscienza preriflessiva nel loro rapporto con le corrispondenti idee di Dio. La discussione intorno alla ellenizzazione del cristianesimo. La ricezione della filosofia e del pensiero ebraici e il loro rapporto con il cristianesimo. La teodicea e -- pi in generale -- il discorso sulla fine dell'uomo e sulla fine della storia. Il rapporto tra monoteismo e politeismo. La teologia politica in rapporto al teologico rivelato. Il rapporto tra una teologia filosofica che eventualmente approdi all'asserzione argomentata della trascendenza di Dio e la riflessione teologica sull'evento della rivelazione divina. Il tema del nichilismo e quello della gnosi. Il problema del mito. Un filosofo non pu dunque che aprirsi al teologico superando l'avvertimento di Heidegger e, insieme, il ritorno a forme di idealismo filosofico che ingloberebbero il teologico in mbito totalmente filosofico (come in Hegel che -- affermava Barth -- aveva realizzato compiutamente una filosofia che avrebbe fatto della ragione umana la ragione di Dio). Con taglio ermeneutico il filosofo arricchir il proprio profilo e percorso teorico avendo assunto e posto a tema un'eccedenza abissale che non pu che fecondamente inquietarlo. Non potr che scandagliare insonnemente (espressione di Italo Mancini) il confronto tra ci che mondano e penultimo e ci che potrebbe essere ultramondano e ultimo pur nella consapevolezza della problematicit permanente del suo procedere: Sono stato insonnemente tentato (o salvato) dalla domanda: quale e quanta filosofia pu sopportare il Kerigma cristiano o (quanta filosofia) [...] pu sopportare ogni forma di religione figlia del libro e della parola che, in tal caso, ha lo statuto kerigmatico?.17 Sulla scia di Mancini occorre indubbiamente essere consapevoli della difficolt cui va incontro una trattazoine filosofica del teo-logico, del senso cristiano e dell'oggetto teologico nella sua ricchezza comunque sempre imprevedibile e sovrumana. Il rischio, sempre dietro l'angolo, in cui incorre una trattazione-determinazione filosofica del kerigma cristiano e dell'Oggetto teologico quello riduzionistico: ridurre l'incoordinabilit, straordinariet, autosufficienza e totale apriorit del kerigma: Il dato non mai totalmente dato, ma va interpretato e la comprensione un atto deuteronomico al darsi (fides ex auditu). In altre parole nella filosofia [...] come qui viene concepita, il verbo chiave non il pensare, ma il riconoscere, e la questione sta anche nel misurare quanto pensare, per modo di precomprensione, sta in questo riconoscere.18 E, pur con tali puntualizzazioni manciniane, legate alla sua logica dei doppi pensieri (ovvero la duplice istanza della ricerca filosofica sul teologico con i suoi limiti e della contestuale paradossalit e imprevedibilit della libera e incompribile iniziativa divina che si autorivela all'uomo),19 appaiono essere convincenti, queste parole di Bruno Forte: La filosofia pu tradursi in un puro commento dell'ora presente, e quindi risolversi in giustificazione ideologica dell'adesso, se non si lascia provocare dall'alterit irriducibile, dalla novit imprendibile della differenza, non risolvibile in identit. [...] La lama del dolore del tempo, cui ci dato di appartenere, non pu non interrogare tutti con pari forza e radicalit, filosofi e teologi. In queste condizioni, si presenta pi che giustificata la [...] domanda: Pu la filosofia essere fedele a se stessa, rinunciando a comprendere il teologico? [...] La risposta va cercata nei luoghi dell'incontro (la questione dell'Altro), del confronto (il pensiero di Dio)20 e della differenza, che unisce filosofia e teologia nella storia dell'Occidente e nel nostro presente (la sfida della Croce).21 Il pensiero filosofico in Occidente infatti ancora sfidato dalla croce, provocato dallo scandalo del Dio incarnato e crocifisso22 per cui -- come affermava Luigi Pareyson -- ancor oggi per il filosofo il cristianesimo non cosa davanti a cui si possa restare indifferenti. Bisogna scegliere o pro o contro. Non c' via di mezzo: ogni posizione intermedia stata spazzata via dalla crisi della cultura moderna.23 ZUCAL S., Perch un filosofo dovrebbe interessarsi di teologia?. Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno, Parma 20-21 marzo 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [35 KB].

Note
1)Cfr. Editoriale della rivista Filosofia e teologia, n. 1. Pi in generale su questa tematica prezioso lo studio di Angelo Marchesi, Filosofia e teologia. Quale rapporto?, Franco Angeli editore, Milano 1999. 2)Cfr.Wolfhart Pannenberg, Theologie und Philosophie. Ihr Verhltnis im Lichte ihrer gemeinsamen Geschichte, Vandenhoeck & Ruprecht, Gttingen 1996, p. 20. 3)Cfr. Massimo Cacciari, Filosofia e teologia, in Aa. Vv., La Filosofia, Utet, Torino 1985 (4 voll.), vol. II. pp. 365-421. 4)Cfr.Bernhard Casper, Martin Heidegger und die Theologische Fakultt Freiburg, in Freiburger Dizesanarchiv C (3 serie, XXII), 100 (1980), pp. 534-541, tr. it. in Franco Volpi, Heidegger e Aristotele, Daphne, Padova 1984. 5)Cfr. Martin Heidegger, Phnomenologie und Theologie, in Wegmarken, Gesamtausgabe, vol. IX, Klostermann, Frankfurt 1976, tr.it.a cura di Franco Volpi, Segnavia, Adelphi, Milano 19943, p. 7. 6)Ivi, p. 9. 7)Ivi, p. 13. 8)Cfr. ivi, p. 22. 9)Karl Barth, KD, II, 1, p. 740. 10)Massimo Cacciari, Filosofia e teologia, cit. , p. 366. 11)Cfr. ivi, p. 367. 12)Ferdinand Ebner, Schriften, vol. I, pp. 228-229. 13)Cfr.Martin Heidegger, Fenomenologia e teologia, cit., pp. 30-31. 14)Massimo Cacciari, Filosofia e teologia, cit., p. 365. 15)Ibidem. 16)Cfr. Hansjrgen Verweyen, Gottes letztes Wort. Grundriss der Fundamentaltheologie, Friedrich Pustet Verlag, Regensburg 2000, p. 24. 17)Italo Mancini, in Introduzione a Luigi Sartori (ed.), Essere teologi oggi, Marietti, Casale Monferrato 1986, p. 27. 18)Italo Mancini, Teologia dei doppi pensieri, in Luigi Sartori (ed.), Essere teologi oggi, cit., pp. 81-95, qui p. 82. 19)Per Mancini la filosofia ha il compito di rettificare (parola di Kant) l'oggetto teologico e di renderci esigenti; ha la capacit di presentarci lo schema di possibilit del Kerigma che poi si presenter nella sua positivit, ma il passaggio dal possibile al reale una delle cose pi difficili e non so se ho raggiunto un traguardo sicuro (Italo Mancini, Teologia dei doppi pensieri, cit., p. 83). 20)In modo in parte discutibile Forte afferma che se la questione di Dio, la cogitatio Dei impegna sia la filosofia che la teologia il genitivo di Dio nel caso della filosofia sarebbe un genitivo oggettivo mentre per la teologia sarebbe un genitivo soggettivo ovvero mentre la filosofia disputerebbe intorno a Dio (de Deo) come di un oggetto, la teologia sarebbe invece ascolto di Dio, riflessione e colloquio con Dio. Cfr. Bruno Forte, Teologia in dialogo, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999, p. 63. Ferdinand Ebner affermava invece l'opposto ovvero che proprio la teologia disputa intorno a Dio in terza persona come di un oggetto mentre la filosofia pneumatologico-dialogica da lui postulata prevede un Wissen um Gott, un sapere Dio/di Dio solo in virt di un dialogo interiore con Dio e in virt del suo venire incontro dialogico all'uomo. Lo stesso Forte per ammette che talora esiste una teologia che interpreta il genitivo della cogitatio Dei in senso meramente oggettivo; quella che Lutero chiama la theologia gloriae, una teologia cio che parla di Dio come del suo oggetto, di cui disporre e decidere, e rispetto al quale argomentare; quanto Heidegger definisce onto-teologia, pensiero che riduce Dio a ente (Bruno Forte, Teologia in dialogo, cit., p. 63). Interessante su questo punto la posizione di Italo Mancini: Se vero, infatti, che il massimo di filosofia quello di poter parlare di Dio, il minimo di teologia quello di poter parlare con Dio. Per cui sono molto incline a ritenere che la possibilit della preghiera rappresenti lo spartiacque tra il massimo filosofico del parlar di Dio, il portento della ragione, e il minimo teologico del parlare con Dio, che solo il dono dall'alto pu assicurare e legittimare (Italo Mancini, Teologia dei doppi pensieri, cit., p. 86). 21)Bruno Forte, La Parola della fede. Introduzione alla Simbolica ecclesiale, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1996, pp. 71-72. 22)Cfr. ivi, p. 80. 23)Luigi Pareyson, Esistenza e persona, Il Melangolo, Genova 19854, p. 11.

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