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PRNCP D RADOTERAPA 369

G|org|o Arcange||, B|ancamar|a Sarac|no, Antone||a Amod|o


Pr|nc|p| d| rad|oterap|a
369
La radioterapia una modalit terapeutica che utilizza le radiazioni ionizzanti per trattare
pazienti in gran parte affetti da tumori maligni e talvolta anche da malattie benigne.
Lo scopo della terapia radiante quello di somministrare una precisa dose di radiazioni
ad un ben defnito volume tumorale, con il minor danno possibile ai tessuti normali
circostanti, in modo da ottenere l`eradicazione del tumore, una elevata qualit di vita ed
il prolungamento della sopravvivenza a costi competitivi. La radioterapia gioca anche
un grande ruolo nella palliazione o nella prevenzione dei sintomi della malattia. Circa il
60% di tutti i pazienti con cancro necessita di radioterapia in un qualche periodo durante
il decorso della malattia.
Elementi di hsica delle radiazioni
Le radiazioni elettromagnetiche producono il loro effetto biologico tramite l`eiezione
di un elettrone orbitale durante l`interazione con la materia, con il risultato di produrre
una ionizzazione o un`eccitazione degli atomi e delle molecole. La grandezza fonda-
mentale necessaria a descrivere l`interazione delle radiazioni con la materia, costituita
dall`ammontare della energia assorbita per unit di massa. Tale grandezza chiamata
dose assorbita e la sua unit di misura il rad o, come recentemente raccomandato, il
Gy (1Gy = 100 rad). La dose assorbita misurata in Joules per chilogrammo. Le radia-
zioni ionizzanti pi comunemente usate in terapia sono costituite da fotoni ed elettroni.
In alcuni centri specializzati vengono impiegati anche neutroni e protoni. Ognuno di
questi tipi di radiazioni possiede caratteristiche fsiche e biologiche che possono essere
vantaggiose in situazioni particolari.
I. Fotoni. I raggi X e i raggi gamma fanno parte dello spettro elettromagnetico che
comprende anche radiazioni a pi basse energie, come radio onde, infrarossi,
ultravioletti e luce visibile, che non producono ionizzazioni. La distinzione tra
raggi X e raggi gamma dipende dalla modalit con la quale vengono prodotti:
i raggi gamma si generano da un nucleo eccitato o instabile, mentre i raggi X
sono prodotti da un fascio di elettroni accelerati che nella collisione contro un
bersaglio di materiale metallico ad alta densit (tungsteno), trasferisce a que-
st`ultimo la sua energia cinetica causando l`emissione di fotoni. L`energia di
fotoni monocromatici espressa in kiloelettronvolts (KeV) e megaelettronvolts
(MeV). Poich i fasci di radiazioni pi comunemente usati in terapia consistono
in uno spettro di fotoni di diversa energia, i fotoni a pi elevata energia vengono
espressi in KVp (picco di kilovolts) o MV(megavolts). L`energia delle radiazioni
usate in clinica si estende da 50 KVp (radiazioni superfciali) a 25 MV ed oltre
(radiazioni ad elevata penetrazione). In tale spettro di energie, l`interazione e
l`assorbimento dei fotoni con la materia avviene mediante tre principali mecca-
nismi la cui prevalenza dipende dall`energia delle radiazioni.
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A. Effetto fotoelettronico. Predomina alle energie pi basse. Un fotone incidente
completamente assorbito da un elettrone di un orbita interna con la sua
conseguente eiezione (fotoelettrone). L`energia cinetica del fotoelettrone
uguale a quella del fotone incidente meno l`energia di legame dell`elettrone.
Il vuoto nell`orbita elettronica dell`atomo viene subito occupato da un altro
elettrone di un`orbita esterna dello stesso atomo o di un atomo diverso.
Durante tale processo tutta l`energia del fotone viene dissipata (Fig. 20.1).
B. Effetto Compton. Rappresenta l`interazione dominante nei tessuti per i fotoni
di elevata energia (megavoltaggio), impiegati nella moderna radioterapia. Con
tale meccanismo, il fotone cede solo parte della sua energia ad un elettrone;
il fotone risultante, di minore energia, continua il suo cammino incidendo
su un elettrone di un altro atomo, perdendo ulteriore energia, e cos via fno
alla completa dissipazione di energia (Fig. 20.2).
C. Effetto di coppia. Ad energie fotoniche maggiori di 1.02 MeV, i fotoni che
interagiscono vicino al forte campo elettrico del nucleo possono produrre
una coppia di elettroni, di cui uno positivo (positrone) che interagir con un
elettrone annichilendosi e producendo energia fotonica ad energia minore
(Fig. 20.3). Circa il 15% delle interazioni di un fascio di raggi di 24 MV
nell`acqua dovuta alla produzione di coppie. Gli elettroni liberi, formati
dai fotoni incidenti nell`interazione, continuano il loro camino nei tessuti
producendo cumuli di ionizzazioni mediante elettroni secondari di bassa
energia. Il danno al DNA viene prodotto dall`interazione diretta o indiretta
con questi elettroni. Il danno diretto si verifca quando queste particelle
cariche ionizzano direttamente il DNA senza l`intermediazione di radicali
liberi. Il danno indiretto prodotto, invece, tramite la ionizzazione delle
molecole d`acqua, con la conseguente formazione di radicali idrossilici che
poi ionizzano il DNA.
Radiazioni caratteristiche
e
-
(elettroni di Auger)
h (fotoni)
e
-
(fotoelettrone)
Fig. 20.1. Effetto fotoelettrico. Il fotone incidente scompare, e viene emesso un elettrone con energia
cinetica pari a quella del fotone incidente meno l`energia di legame dell`elettrone. Radiazioni caratteristiche
ed elettroni di Auger vengono emessi quale risultato della cascata di elettroni, al fne di occupare il vuoto
creato dalla emissione dell`elettrone (Modifcata da Perez CA, et al., Principles and Practice of Radiation
Oncology, 2004)
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II. Elettroni accelerati. Sono particelle cariche negativamente che producono una
ionizzazione diretta. A differenza dei fotoni che si attenuano in modo esponenzia-
le, la profondit della penetrazione delle particelle cariche pu essere controllata
in modo tale da non irradiare i tessuti che si trovano oltre la profondit scelta.
III. Neutroni. A scopo terapeutico vengono generati bombardando un bersaglio di
berillio con un fascio di protoni accelerati per mezzo di un ciclotrone. Come i
fotoni, i neutroni sono radiazioni a ionizzazione indiretta. L`interazione con i
tessuti avviene mediante collisioni neutroni-protoni e reazioni neutroni-nucleo
atomico, le quali mettono in movimento particelle pesanti cariche. A differenza
degli elettroni messi in movimento dai fotoni, le particelle pesanti cariche messe
h (fotone incidente)
e
-
(elettrone Compton)
h (fotone diffuso)
elettrone 'libero
Fig. 20.2. Effetto Compton. Il fotone incidente interagisce con uno degli elettroni esterni e l`energia viene
ripartita tra l`elettrone emesso ed il fotone diffuso (Modifcata da Perez CA, et al., Principles and Practice
of Radiation Oncology, 2004)
fotone h > 1.02 MeV
e
-
(elettrone)
fotone 0.51 MeV
e (positrone)
fotone 0.51 Mev
Fig. 20.3. Produzione di coppie. Il fotone incidente interagisce con il campo elettromagnetico nucleare. Il
fotone scompare e vengono prodotti un elettrone ed un positrone. Due fotoni di energia pari a 0.511 MeV
vengono prodotti per annichilazione quando il positrone interagisce con un altro elettrone (Modifcata da
Perez CA, et al., Principles and Practice of Radiation Oncology, 2004)
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in moto dai neutroni producono una elevata densit di ionizzazione lungo il loro
percorso, con il risultato di deporre energia ad alto trasferimento lineare (LET).
Le radiazioni ad alto LET inducono un danno diretto al DNA e mostrano una
efhcacia biologica relativa (RBE) maggiore delle radiazioni a basso LET come
i fotoni e gli elettroni; ci signifca che la dose di neutroni necessaria a produrre
un determinato effetto biologico pi bassa di quella richiesta per i fotoni o gli
elettroni. Essendo, inoltre, il danno indotto dai neutroni meno infuenzato, rispetto
alle radiazioni a basso LET, dall`ipossia e dai processi di riparazione del DNA,
grandi tumori a lenta crescita, come i tumori non resecabili delle ghiandole sali-
vari e i tumori ben differenziati della prostata, possono essere vantaggiosamente
trattati con fasci di neutroni.
IV. Particelle pesanti cariche positivamente. Sono costituite principalmente dai
protoni la cui penetrazione pu essere controllata, come con gli elettroni, in modo
da risparmiare i tessuti oltre la profondit determinata. Inoltre, mediante l`aggiusta-
mento del picco di Bragg, possibile incrementare la dose in prossimit della parte
fnale del range di penetrazione, riducendo la dose anche ai tessuti che si trovano
prima del bersaglio. Per raggiungere una penetrazione fno a 25 cm, necessario
accelerare i protoni a livelli di energia di circa 250 MeV mediante sincrotroni o
ciclotroni. I protoni possono essere utilmente impiegati per trattare tumori come
i cordomi e i melanomi uveali, situati in tessuti molto radiosensibili.
Sorgenti di radiazioni per terapia
I. Teleterapia (o radioterapia a fasci esterni)
A. Acceleratori lineari. Tali apparecchi sono cos chiamati perch accelerano,
mediante microonde, elettroni ad energie dell`ordine di megavolt, in camere
di risonanza lineari. Gli elettroni accelerati possono venire impiegati diret-
tamente per la radioterapia, oppure possono essere deviati su un bersaglio
di metallo ad alta densit (usualmente tungsteno) sul quale collidono e
si arrestano trasferendo tutta la loro energia cinetica, con la conseguente
emissione di fotoni. Per l`uso clinico, vengono prodotti fotoni ed elettroni di
energia comprese tra 4 e 25 MeV. La profondit della penetrazione del fascio
fotonico nei tessuti proporzionale alla sua energia. Ci rende tali apparecchi
molto versatili in quanto, disponendo i pi moderni di 2 energie, una pi
bassa e una pi alta, possono essere impiegati per il trattamento di tumori
sia di media che elevata profondit. Anche per gli elettroni, la profondit di
penetrazione proporzionale alla loro energia; tuttavia, a differenza dei fotoni,
essendo l`energia dissipata rapidamente, gli elettroni vengono impiegati per
il trattamento di lesioni cutanee o situate a pochi centimetri di profondit
dalla superfcie di incidenza. La versatilit dei moderni acceleratori lineari
tale, quindi, da poter essere impiegati in qualsiasi condizione clinica, e
per cui sono in grado di sostituire vantaggiosamente sia gli apparecchi di
roentgenterapia che di telecobaltoterapia (Fig. 20.4).
B. Telegammaterapia. L`apparecchio pi rappresentativo costituito dal
cobalto che il pi vecchio e semplice sistema di radioterapia moderna a
fasci esterni di elevata energia (megavoltaggio). In molti centri viene ancora
utilizzato nel trattamento dei tumori semi-superfciali quali quelli degli arti,
della mammella e della testa-collo. Attraverso il decadimento nucleare, il
cobalto radioattivo (60Co) emette 2 fotoni monocromatici di energia di 1, 17
e 1.33 milioni di elettronvolt, rispettivamente, la cui penetrazione nei tessuti
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comparabile a quella di fotoni di 4 MV di energia massima emessi da un
acceleratore lineare.
II. Brachiterapia. Con tale modalit, sorgenti radioattive sigillate vengono posizio-
nate in prossimit del tumore, all`interno di un organo cavo come l`utero, l`eso-
fago, ecc. (terapia intracavitaria) o direttamente all`interno del tumore, come
nel caso di tumori della lingua, mammella, prostata, ecc. (terapia interstiziale).
Tale approccio terapeutico si avvale della riduzione esponenziale della dose in
funzione della distanza delle sorgenti radioattive che, essendo molto vicine al
bersaglio, somministrano una elevata dose al sito tumorale minimizzando l`espo-
sizione ai tessuti normali. Materiali radioattivi naturali, come il radium o il radon,
impiegati inizialmente, sono stati attualmente sostituiti da isotopi artifcialmente
prodotti di pi facile impiego per la protezione del personale. Questi sono:
A. Cesio 137. Emette radiazione gamma di 0.66 MeV di energia e decade con un
periodo di emivita di 30 anni. Il cesio 137 viene principalmente impiegato per
la terapia intracavitaria dei tumori vaginali, della cervice e del corpo uterino.
B. Iridio 192. Produce raggi gamma di energia media di 0.34 MeV e decade con
una emivita di 74 giorni. Sorgenti fliformi di iridio vengono comunemente
usate, mediante impianti interstiziali rimovibili, per somministrare al tumore
una dose di circa 1000 cGy al giorno. Di uso pi recente sono piccole sorgenti
di iridio 192 ad elevata attivit, impiegate per la terapia ad elevato rateo di
dose (HDR) negli impianti endocavitari e interstiziali, per somministrare 1-5
frazioni settimanali di 5-10 Gy.
C. Iodio 125. Emette raggi gamma di bassa energia di 0.028 MeV e decade
con una emivita di 60 giorni. Viene in genere impiegato, mediante impianti
interstiziali permanenti, nei tumori cerebrali e della prostata.
Basi biologiche della radioterapia
I. Danno da radiazioni
A. Danno diretto. Gli effetti letali delle radiazioni derivano in piccola parte dalla
ionizzazione diretta di molecole del DNA da parte degli elettroni diffusi.
STAND
Sistemi di
circolazione
Guida d`onda
Klystron
Serbatoio
d`olio
Sistema di refrigerazione dell`acqua
Pompa
a vuoto
Cannone
elettronico
Gantry
Magnete
Testata
Struttura di
accelerazione
Fig. 20.4. Acceleratore lineare
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B. Danno indiretto. Rappresenta il meccanismo preponderante della distruzione
cellulare, mediante il quale le lesioni sul DNA vengono prodotte indiretta-
mente dai radicali idrossilici prodotti dalla ionizzazione del suo ambiente
idrico. L`effcacia biologica dei radicali liberi pu essere aumentata dalla
presenza di O
2
o, al contrario, ridotta mediante una loro 'depurazione da
parte di radicali sulfdrilici presenti in abbondanza nel nucleo cellulare.
II. Fenomeni biologici rilevanti: le 6 ~R
A. Radiosensibilit intrinseca. La sopravvivenza cellulare si riduce in modo
geometrico con l`aumentare della dose di radiazioni. Uguali incrementi di
dose producono una proporzionale e costante riduzione della sopravvivenza.
Tale relazione dose-sopravvivenza rifette un processo casuale di distruzione
cellulare e viene descritta in forma semilogaritmica da una curva di soprav-
vivenza cellulare la cui pendenza rappresenta la dose letale media (D37 o
Do), cio la dose che riduce la sopravvivenza di 1 logaritmo naturale (e -1),
e rappresenta una misura della radiosensibilit intrinseca.
B. Riparazione del danno subletale. Le curve di sopravvivenza a dosi uniche
di radiazioni sono caratterizzate da una prima parte a forma di 'spalla che
precede la porzione lineare logaritmica. Ci signifca che le cellule possono
accumulare una certa quantit di danno subletale che potr essere convertito
in danno letale continuando ad incrementare la dose. Il danno subletale pu
essere riparato dalle cellule dopo qualche ora di normale attivit metabolica.
La riparazione pu essere quantifcata dall`incremento della sopravvivenza
che si osserva aumentando progressivamente l`intervallo tra 2 frazioni di
una dose divisa a met. Tale capacit riparativa variabile tra i diversi tes-
suti, risultando maggiore nei tessuti a scarsa attivit proliferativa e a lenta
risposta quali il midollo spinale, il tessuto nervoso, i vasi sanguigni, ecc.,
che benefciano maggiormente del frazionamento rispetto ai tessuti a grande
attivit proliferativa e a pi rapida risposta, quali le mucose, la cute, il midollo
osseo, ecc., e ai tumori. Ne consegue che elevate dosi per frazione sono pi
dannose per i tessuti a lenta risposta.
C. Riparazione del danno potenzialmente letale. Tale fenomeno si evidenzia
mediante un maggior rateo di sopravvivenza di cellule che, dopo l`irradiazio-
ne, vengono mantenute per alcune ore in uno stato non proliferativo, rispetto
a quelle che progrediscono regolarmente nelle varie fasi del ciclo cellulare.
Tale tipo di riparazione pu spiegare il perch alcuni tessuti relativamente
ipocellulari, come la cartilagine e l`osso, possono tollerare dosi elevate di
radioterapia pur non usufruendo dell`effetto protettivo del ripopolamento nel
corso del trattamento. Pu, inoltre, costituire una delle cause di insuccesso
della radioterapia nel trattamento di tumori a bassa frazione di crescita.
D. Ripopolamento o rigenerazione. Costituisce l`altro importante meccanismo
con il quale un tessuto normale o tumorale recupera dal danno prodotto
dalle radiazioni. Tale fenomeno variabile tra i diversi tessuti e tumori
ad elevata attivit proliferativa e a pronta risposta, che meno si avvalgono
della riparazione del danno subletale e potenzialmente letale. chiaro che
la maggior diluizione del trattamento radiante risparmia i tessuti ad elevata
attivit proliferativa mentre di scarso o di nessun benefcio per i tessuti a
bassa proliferazione e a lenta risposta.
E. Ridistribuzione. La radiosensibilit cellulare varia durante le diverse fasi
del ciclo di replicazione; massima in fase G2-M e minima nella parte fnale
PRNCP D RADOTERAPA 375
della fase S. Una dose di radiazioni distrugger, quindi, selettivamente le
cellule che in quel momento si trovano nelle fasi pi sensibili. Le cellule
sopravviventi che si trovano nelle fasi pi resistenti, successivamente, si
ridistribuiscono tra le fasi del ciclo, con un progressivo accumulo nelle fasi
sensibili lasciate vuote dalla precedente dose di radiazioni. Ci induce una
netta autosensibilizzazione alla dose successiva e cos via dopo ogni frazione
di dose. Tale ridistribuzione non avviene, ovviamente, in una popolazione
di cellule a scarsa attivit proliferativa, tipica dei tessuti normali a lenta
risposta.
F. Riossigenazione ed effetto ossigeno. L`ossigeno il pi potente modifca-
tore della radiosensibilit. Il rapporto tra le dosi di radiazioni necessarie a
produrre lo stesso livello di sopravvivenza su cellule ipossiche e aerobiche
rappresenta il rapporto di sensibilizzazione dell`ossigeno (OER) che varia
tra 2.5 e 3 per le radiazioni a basso LET, e si riduce a 1.6 per i fasci neu-
tronici e molto vicino a 1 per le particella alfa. I tumori nei quali a causa
dei capillari poco effcenti il fusso ematico pu essere stagnante, con il
conseguente abbassamento dei valori della pressione arteriosa e venosa
di ossigeno, possono contenere una certa proporzione di cellule ipossiche
radioresistenti. Tuttavia, durante il corso della terapia frazionata, cellule
inizialmente ipossiche possono riossigenarsi e non costituire, pertanto, una
causa di insuccesso della radioterapia.
III. Frazionamento della dose in radioterapia. Poich le radiazioni distruggono sia
le cellule normali che tumorali, necessario somministrare la dose in modo da
utilizzare, in maniera differenziata, i fenomeni biologici che si verifcano spesso
in modo equivalente in entrambi i sistemi.
A. Effetti delle radiazioni
1. Effetti acuti. Sono prodotti essenzialmente dal depopolamento delle cel-
lule normali a rapido rinnovo, quali le cellule epiteliali cutanee e delle
mucose del tratto aereo-digestivo. Se la dose totale viene somministrata
troppo rapidamente, la loro capacit rigenerativa non suffciente a com-
pensare in tempi brevi la perdita cellulare determinata dalle radiazioni e si
manifestano effetti collaterali spiacevoli, con sovvertimento dello strato
epiteliale e conseguente perdita della sua funzione protettiva contro batteri
e enzimi.
2. Effetti tardivi. Sono dominati essenzialmente dall`effetto della ripara-
zione del danno subletale sulle cellule normali a scarsa o assente attivit
proliferativa, come il tessuto connettivo, i vasi ematici, il parenchima
polmonare, il tessuto nervoso. In generale, aumentando la dose per
frazione, la tolleranza di questi tessuti si riduce rapidamente per cui,
per evitare effetti collaterali spiacevoli che si manifestano tardivamente
(fbrosi sottocutanee, necrosi, ecc.), necessario ridurre la dose totale da
somministrare.
3. Effetto sui tumori. La maggior parte dei tumori umani origina da siste-
mi cellulari a rapido rinnovo, per cui mostra risposte simili a quelle dei
tessuti normali a rapido rinnovo, con una capacit rigenerativa variabile
ma spesso pi lenta della controparte normale.
B. Tipi di frazionamento adottati in clinica
1. Frazionamento standard. A causa dei limiti di tolleranza imposti sia
dagli effetti acuti che dai danni tardivi, una dose di 180-200 cGy, som-
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ministrata per 5 giorni alla settimana per un totale di 60-70 Gy, stata
universalmente riconosciuta di indubbia effcacia terapeutica e tollerabile
per la maggioranza dei pazienti, per cui tale frazionamento stato adottato
come trattamento standard. Tuttavia, in alcune situazioni cliniche, tale
frazionamento si rivelato non ottimale per cui, recentemente, sono state
sperimentate varie modifcazioni dello schema.
2. Trattamento iperfrazionato. Consiste nella somministrazione di dosi
per frazione minori (usualmente 110-120 cGy) conservando, tuttavia,
la stessa durata del trattamento standard. Ci si realizza impiegando 2
sedute al giorno di cui la seconda somministrata ad un intervallo non
inferiore a 5-6 ore. Tale schema terapeutico si propone di utilizzare la
migliore tolleranza dei tessuti a scarsa attivit proliferativa con l`impiego
di piccole dosi a seguito delle quali il danno subletale in gran parte
riparato. Con tale frazionamento, infatti, se si accetta una tolleranza
di entit uguale a quella di un trattamento standard, la dose totale pu
essere incrementata aumentando, in tal modo, la probabilit di controllo
del tumore.
3. Trattamento accelerato. Consiste nell`abbreviazione della durata com-
plessiva del trattamento. Lo scopo di tale schema terapeutico quello di
minimizzare il potenziale del ripopolamento tumorale durante la radio-
terapia. Tralasciando l`uso di elevate dosi per frazione, che producono
rilevanti danni tardivi, l`accorciamento del trattamento si realizza sommi-
nistrando un numero maggiore delle 5 frazioni alla settimana di 180-200
cGy impiegate nel frazionamento standard. L`entit della accelerazione
condizionata dalla tolleranza dei tessuti normali a rapida crescita presenti
nel volume trattato.
a. ~Concomitant boost o sovradosaggio concomitante. L`accelerazio-
ne pu essere limitata ad un volume minore rappresentato dal tumore
macroscopico che necessita di un dosaggio maggiore e pu realizzarsi
somministrando, 2 volte a settimana, una seconda frazione di 150-
200 cGy ad un intervallo maggiore di 6 ore dalla prima frazione, nel
contesto di un trattamento standard.
b. ~Split-course accelerated treatment o trattamento accelerato a
cicli interrotti. Un secondo schema per limitare l`entit degli effetti
acuti quello di introdurre una pausa nel ciclo terapeutico in modo da
consentire una suffciente rigenerazione dei tessuti normali a rapida
crescita purch la durata complessiva del trattamento risulti pi breve
del ciclo standard.
c. CHART ~Continuous hyperfractionated accelerated radiation
o radioterapia accelerata iperfrazionata ininterrotta. un altro
modo di accelerazione del trattamento con il quale si somministrano
51-54 Gy in frazioni di 140-150 cGy, 3 volte al giorno ad intervalli di
6 ore, per 12 giorni consecutivi. In tale caso, gli effetti acuti, intensi
ma transitori, si manifestano al termine del trattamento e vengono
superati dai pazienti con terapie di sostegno e nutrizione parenterale
o tramite sondino naso-gastrico.
4. Trattamento iperfrazionato accelerato. Potenzialmente sfrutta i benefci
sia del trattamento iperfrazionato che accelerato. Si realizza impiegando
dosi per frazione pi basse, pi volte al giorno, in modo da ridurre la
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durata complessiva del trattamento (ad esempio 3 frazioni al giorno di
100 cGy, oppure 2 frazioni al giorno di 150 cGy, sempre somministrate
a 5-6 ore di intervallo). Anche qui, in genere, si verifca una tossicit
acuta che richiede una pausa nel trattamento; comunque, se la pausa
ben programmata, la durata complessiva del ciclo terapeutico sempre
inferiore a quella di un ciclo standard.
5. Trattamento ipofrazionato. Consiste nella somministrazione di elevate
dosi per frazione, con riduzione del numero totale di frazioni, della dose
totale e della durata totale del trattamento. Incrementando la dose per
frazione, si riduce la riparazione del danno subletale, con conseguente
aumento della tossicit. Per contro, la riduzione del tempo totale di tratta-
mento determina un decremento del ripopolamento cellulare neoplastico.
Una particolare metodica di somministrazione di alte dosi per frazione o
in un`unica frazione rappresentata dall`irradiazione stereotassica con
fasci esterni collimati ('radiochirurgia). Tale tecnica consente la som-
ministrazione di elevate dosi per frazione a piccoli bersagli intracranici,
utilizzando 60Co ( -units), fotoni prodotti da acceleratori lineari oppor-
tunamente modifcati o particelle pesanti. Bench l`indicazione elettiva
della radioterapia stereotassica sia rappresentata dalle malformazioni
artero-venose, in casi selezionati pu essere vantaggiosamente utilizzata
nei tumori cerebrali benigni e maligni (primitivi, secondari e, soprattutto
nelle recidive in pazienti gi irradiati con tecnica convenzionale) purch
il volume della lesione non superi i 30 mm
3
. Generalmente si impiega un
elevato dosaggio in frazione unica ma, soprattutto quando si utilizzano
caschi riposizionabili, anche possibile frazionare la dose totale in 4-5
sedute. La metodica richiede un accurato sistema di immobilizzazione del
paziente, consistente in caschi fssati chirurgicamente al cranio o in caschi
riposizionabili, utilizzati sia nella fase di localizzazione del bersaglio con
RM o TC, sia durante l`esecuzione della terapia, mediante ancoraggio al
lettino dell`unit di diagnostica ed a quella di trattamento.
Il bersaglio viene localizzato per mezzo di un sistema di coordinate
rispetto all`apparato stereotassico ed il trattamento viene condotto
con una serie di irradiazioni pendolari non coplanari, tali che i piani
contenenti gli assi centrali dei fasci si intersechino all`isocentro del
bersaglio, risultandone una distribuzione tridimensionale della dose.
La terapia stereotassica consente, attraverso l`elevatissima precisione
nella determinazione del bersaglio, di somministrare dosi molto elevate
al volume bersaglio, minimizzando la dose ai tessuti immediatamente
circostanti.
Probabilit di controllo dei tumori e guadagno terapeutico
I. Tumori. Il controllo tumorale un evento probabilistico. Di conseguenza, livelli
diversi di dose radiante producono un controllo tumorale diverso. Nella Tabella
20.1 sono riportati i ratei di controllo tumorale ottenuti con dosi diverse nella
malattia subclinica. Il successo o il fallimento del controllo di un tumore dipende
dalla distruzione dell`ultima cellula clonogenica sopravvivente, il cui numero
proporzionale al numero iniziale di cellule poich ogni frazione uguale di dose
produce la distruzione di una uguale proporzione (e non di un uguale numero)
di cellule. La relazione tra la probabilit di controllo tumorale e la dose al di
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sopra di una certa soglia, descritta da una curva sigmoide. L`eterogeneit sia
dei tumori che dei trattamenti conduce ad una grande dispersione della risposta
tumorale ad una data dose, per cui le curve di probabilit di controllo dei tumori
umani risultano non particolarmente ripide, esprimendo la possibilit di guarigioni
occasionali a basse dosi e insuccessi occasionali ad alte dosi.
II. Tessuti normali. Le curve di probabilit delle complicazioni sono anch`esse sig-
moidi. Essendo i tessuti normali pi omogenei dei tumori sia nella composizione
che nella risposta alle radiazioni, le curve di probabilit della complicazioni sono
pi ripide di quelle del controllo tumorale.
III. Guadagno terapeutico. La dose ottimale quella in grado di produrre la massima
probabilit di controllo tumorale con la minima (ragionevolmente accettabile)
frequenza di complicazioni. La fgura 1 mostra le curve di dose-risposta per il
controllo tumorale e per le complicazioni in una situazione pi o meno favore-
vole. Maggiore la divergenza tra le curve, maggiore il guadagno terapeutico.
La scelta della dose deve naturalmente bilanciare la probabilit di gravi com-
plicazioni per ogni potenziale incremento del controllo tumorale. Nella Figura
20.5, le lettere A, B e C rappresentano 3 diversi livelli di dose che danno come
esito 3 differenti risultati: A risulter in un basso controllo tumorale ma senza
Tabella 20.1. Controllo della malattia subclinica nei tumori della mammella e della testa/collo
*Frazionamento standard (Modifcata da Fletcher GH, Textbook of Radiotherapy, 1980)
Dose (Gy)*
Rateo di controllo tumorale (%)
Mammella Testa/Collo
30-35 60-70 -
30-40 - 60-70
40 80-90 -
50 > 90 > 90
Fig. 20.5. Probabilit di controllo locale del tumore e di complicazioni in funzione della dose. Le cure
non complicate (curve tratteggiate) sono i risultati desiderati.
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complicazioni; C produrr il controllo di tutti i casi, ma tutti i pazienti avranno
complicazioni. La scelta ottimale il livello di dose B che risulter nel pi alto
numero di pazienti guariti con solo una minima probabilit di complicazioni.
Tuttavia il livello di dose B potrebbe non rappresentare la dose ottimale in quanto
si deve tener conto delle conseguenze sia del mancato controllo tumorale e sia
della natura e gravit delle complicazioni. Se la persistenza di malattia potesse
essere trattata con chirurgia di salvataggio e le eventuali complicazioni della ra-
dioterapia fossero gravi, permanenti e diffcili da trattare, come il cancro glottico
allo stadio T2 - T3, allora il livello di dose B da considerarsi veramente otti-
male. Se, invece, le complicazioni fossero facilmente rimediabili, ma il mancato
controllo tumorale fosse letale, come nel carcinoma della cervice uterina al II e
III stadio, il livello di dose pi appropriato sarebbe, allora, quello rappresentato
dalla linea C. Se le due curve di probabilit sono molto vicine, la percentuale di
cure non complicate sar piuttosto bassa; di conseguenza, la scelta ottimale sar
quella di impiegare altre modalit terapeutiche da associare alla radioterapia e/o
impiegare le seguenti tecniche particolari che contribuiscano a separare le curve
sigmoidi di risposta dei tumori e dei tessuti sani:
A. Manipolazione della relazione dose-tempo. Si basa essenzialmente sul-
l`alterazione del frazionamento della dose. Come si detto in precedenza,
il frazionamento sfrutta il diverso inizio e decorso dei fenomeni biologici tra
tessuti sani e tumore. A volte pu essere utile impiegare un trattamento acce-
lerato nei tumori a rapido accrescimento o un trattamento iperfrazionato nei
tumori a crescita pi lenta che si avvalgono di dosaggi totali pi elevati.
B. Manipolazione del volume bersaglio. Si basa su un progressivo restringi-
mento dei campi di irradiazione ('shrinking felds) in modo da somministrare
dosi progressivamente pi elevate al tumore macroscopico e dosi minori alla
periferia del tumore dove presente solo malattia subclinica.
C. Manipolazione della distribuzione della dose. Si basa sull`adozione di
tecniche particolari in grado di irradiare in modo molto selettivo il bersaglio
e ridurre, quindi, la dose al volume di transito (radioterapia conformazionale,
radioterapia stereotassica) o ai tessuti adiacenti (brachiterapia). La possibilit
di controllare il tumore localmente rappresenta tutt`ora un importante passo
per la guarigione e deve essere, pertanto, perseguita prima o insieme ad altri
trattamenti il cui scopo quello di controllare la diffusione metastatica. Sta-
tistiche aggiornate dell`American Cancer Society mostrano che, attualmente,
il mancato controllo locale del tumore costituisce la causa del decesso in
ancora un terzo dei pazienti deceduti per cancro.
Radioterapia conformazionale
La radioterapia conformazionale, resa possibile dalla rapida evoluzione tecnologica che
ha consentito di disporre di sistemi di pianifcazione 3D sempre pi sofsticati e di sistemi
di erogazione del trattamento controllati dal computer, ha modifcato radicalmente, negli
ultimi anni, il panorama della terapia radiante, ampliandone sensibilmente le indicazioni
e consentendo l`adozione di dosi totali pi elevate.
Le moderne indagini diagnostiche, quali TC, RM e PET rivestono un ruolo fondamentale
nella defnizione dei volumi di interesse, permettendo l`esatta individuazione, nei tre piani
dello spazio, della massa neoplastica e dell`intera regione anatomica, e consentendone
la ricostruzione tridimensionale.
I simulatori TC ed i sistemi di pianifcazione 3D hanno quindi sostituito sempre pi
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 380
estesamente i simulatori convenzionali e le tecniche di trattamento convenzionale (2D),
le cui limitazioni sono rappresentate da: a) una valutazione approssimativa del volume
neoplastico della dose assorbita dai tessuti sani; b) l`inadeguatezza degli algoritmi per il
calcolo della dose; c) l`impossibilit di calcolare la dose all`intero volume di interesse; d)
l`utilizzazione di fasci esclusivamente coplanari; e) l`inadeguatezza della stima dell`er-
rore; f) l`indisponibilit di programmi per confrontare differenti piani di trattamento; g)
l`inadeguata defnizione dei limiti geometrici necessari a comprendere le varie strutture
anatomiche; h) l`inadeguatezza di programmi atti a specifcare e verifcare l`accuratezza
del trattamento.
Il razionale di impiego delle pi moderne tecniche di irradiazione poggia sulla possibilit
di incrementare il controllo locoregionale delle neoplasie mediante la somministrazione
di pi elevate dosi alla massa tumorale ed alle regioni probabilmente interessate da ma-
lattia microscopica, senza consensuale aumento della tossicit dei tessuti sani. Appare
quindi indispensabile una corretta defnizione del volume neoplastico e degli organi a
rischio dose-limitanti.
Le basi concettuali sono quindi cos schematizzabili: a) il controllo locoregionale rap-
presenta il principale endpoint della radioterapia oncologica; b) esiste una relazione
diretta dose-risposta; c) il controllo locoregionale pu tradursi, in molte neoplasie, non
soltanto in una maggiore percentuale di sopravvivenza libera da malattia ma anche di
sopravvivenza generale; d) la minor incidenza di complicanze permette una migliore
qualit di vita del paziente.
La radioterapia conformazionale una tecnica che utilizza fasci esterni, in cui il volu-
me di trattamento conformato in maniera tale da circoscrivere, con stretto margine di
sicurezza, il volume bersaglio.
I. Procedura. Al fne di ottenere una precisa defnizione dei volumi di trattamento,
indispensabile l`utilizzo di adeguati mezzi di contenzione del paziente, che
consentano di minimizzare gli errori di set up ed il corretto riposizionamento
quotidiano. L`acquisizione dei dati relativi al bersaglio ed agli organi critici viene
effettuata mediante TC di centraggio, eventualmente dopo somministrazione di
mdc endovenoso e/o per os. I dati relativi alle immagini TC vengono trasferiti al
sistema di contornamento, dove il radioterapista delinea su ciascuna slide, previa
ricostruzione volumetrica, il tumore macroscopicamente evidente e le aree a rischio
di diffusione neoplastica, nonch tutti gli organi a rischio (Fig. 20.6). Le immagini
vengono successivamente trasferite al sistema di pianifcazione del trattamento
(TPS), dove si procede all`esecuzione ed all`ottimizzazione del piano di cura e delle
DRR (immagini radiografche digitali ricostruite) relative ai campi di trattamento
ed all`isocentro del piano di trattamento (isoplan) (Figg. 20.7 e 20.8).
La verifca radiografca del posizionamento del paziente e dei campi di trattamento
viene effettuata al simulatore, dove si procede all`individuazione dell`isocentro
del piano di trattamento, mediante spostamento nei tre piani dello spazio rela-
tivamente all`isocentro individuato alla TC di centraggio. Qualora si disponga
della TC-simulatore, si esegue la simulazione virtuale, in cui la determinazione
dell`isocentro del piano di trattamento viene effettuata direttamente dal radio-
terapista durante l`esecuzione della TC di centraggio, previo contornamento
del bersaglio sulle scansioni pi rappresentative e successiva interpolazione.
L`eventuale spostamento dell`isoplan rispetto all`isocentro TC viene effettuato
automaticamente con i laser mobili e direttamente contrassegnato sulla cute del
paziente mediante tatuaggio. La verifca del corretto posizionamento del paziente
PRNCP D RADOTERAPA 381
Fig 20.6. Adenocarcinoma prostatico: contornamento dei volumi di interesse CTV (5), PTV (6), parete
retto (4), parete vescica (3), testa femorale destra (1) e sinistra (2)
Fig. 20.7. Radioterapia conformazionale: DRR e Beam's Eye View relative ad un campo d`entrata
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 382
e dell`isocentro deve essere effettuata all`acceleratore lineare, in fase di set up e
durante il trattamento con cadenza almeno settimanale.
II. Dehnizione dei volumi di interesse. Secondo quanto stabilito dall`ICRU 62 (*)
(International Commission on Radiation Unit and measurement), si defniscono
i seguenti volumi (Tabella 20.2): a) GTV: Gross Tumor Volume; b) CTV: Clinical
Target Volume; c) ITV: Internal Target Volume; d) PTV: Planning Target Volume;
e) OR: Organ at Risk: f) PRV: Planning Organ at Risk Volume Landmarks.
Ai fni della corretta esecuzione del piano di trattamento, di fondamentale
importanza l`individuazione degli organi a rischio, e quindi dose-limitanti,
compresi nel campo di trattamento. La conoscenza della tolleranza dei diversi
tessuti normali permette di stabilire dei limiti di dose assorbita da determinate
percentuali di volume dell`intero organo, cos da costruire degli istogrammi
relativi a ciascun volume di interesse (GTV, CTV, PTV ed OR) indispensabili
per l`ottimizzazione ed il confronto di piani rivali.
III. Organi a rischio. Gli organi a rischio sono tessuti normali, la cui radiosensi-
bilit e situazione logistica, in vicinanza del CTV, pu infuenzare in maniera
signifcativa il piano di trattamento.
Fig. 20.8. Esempio di distribuzione di dose con radioterapia conformazionale con 6 campi d`entrata nel
carcinoma prostatico
GTV Neoplasia macroscopicamente evidenziabile
CTV GTV (o letto chirurgico, nei trattamenti adiuvanti postoperatori) ed aree limitrofe o linfonodali
sedi di probabile interessamento microscopico di malattia
ITV CTV + IM (Internal Margin, margine attorno al CTV che tiene conto delle variazioni di
ampiezza, forma e posizione di quest`ultimo)
PTV CTV + somma dell`IM e del SM (Set-up Margin, margine attorno al CTV + IM che tiene
conto delle incertezze di posizionamento)
OR Organi a rischio
PRV Margine attorno agli organi a rischio, che tiene in considerazione le variazione di forma e
volume ed il movimento degli organi in tutte le direzioni dello spazio
Tabella 20.2. Defnizione dei volumi di interesse
PRNCP D RADOTERAPA 383
Gli organi a rischio si dividono in: seriali, paralleli e seriali-paralleli, in funzione
della loro costituzione anatomica, che ne condiziona la tolleranza all`irradiazione.
Il midollo spinale rappresenta un tipico esempio di organo altamente 'relativa-
mente seriale, perch costituito da una serie di 'subunit disposte serialmente:
ci implica che una dose superiore al limite di tolleranza, anche se assorbita da
una piccola parte del volume, pu indurre un danno non riparabile all`intero
organo (mielite).
Di contro, il polmone un organo 'parallelo, costituito da 'subunit poste in
parallelo: conseguentemente, il danno funzionale polmonare, funzione della
percentuale d`organo che riceve una dose superiore al limite di tolleranza.
Il cuore pu essere invece considerato un organo con comportamento misto se-
riale-parallelo, essendo costituito da strutture seriali (come le arterie coronarie)
e da strutture parallele (come il miocardio) (Fig. 20.9).
IV. Radioterapia a modulazione di intensit (IMRT). La radioterapia a modulazione
di intensit (IMRT) una tecnica altamente sofsticata, ulteriore evoluzione della
radioterapia conformazionale (Fig. 20.10).
Nella radioterapia a modulazione di intensit, ciascun fascio di irradiazione
idealmente suddiviso in piccolissimi fasci (pencil beams) la cui intensit viene
opportunamente modulata, in modo indipendente, dallo 0 al 100%, cos da
individuare, per ciascun fascio d`entrata, un proflo di intensit (Fig. 20.11). Il
proflo di intensit viene generato in base alla vista del volume bersaglio da parte
del fascio (BEV), tenendo conto delle strutture critiche eventualmente presenti
lungo la direzione di propagazione del fascio stesso. L`elevata selettivit spaziale
dell`irradiazione richiede una defnizione molto accurata dei volumi di interesse,
ottenibile con diverse modalit di acquisizione dell`immagine, quali TC, RM e
PET e, ancor pi, con l`integrazione dei dati derivanti da ciascuna. Altrettanto
irrinunciabile l`adozione di adeguati sistemi di immobilizzazione del paziente,
che consentano il corretto posizionamento e ne garantiscano la riproducibilit
Fig. 20.9. Organizzazione dei tessuti: a) struttura seriale: midollo spinale; b) struttura parallela: polmone;
c) struttura parallela-seriale (cuore: miocardio, coronarie); d) combinazione di strutture parallele e seriali
(neurone)
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 384
nelle singole sessioni di trattamento, nonch di un sistema di verifca in tempo
reale dell`isocentro mediante immagini portali (EPID) e di valutazione della dose
di transito (dosimetria in vivo con TDL o diodi) (Tabella 20.2).
I piani di trattamento IMRT vengono elaborati mediante un processo di otti-
mizzazione automatizzato di 'pianifcazione inversa: mentre nella radioterapia
conformazionale convenzionale il processo prevede la scelta di una determinata
confgurazione di fasci e la verifca della distribuzione di dose ('pianifcazione
diretta), la pianifcazione inversa si attua mediante la ricerca della confgurazio-
ne dei fasci che determina esattamente la distribuzione di dose desiderata (Fig.
20.12).
L`ottimizzazione del piano di trattamento viene effettuato attraverso la defni-
zione di una 'funzione costo, che un indicatore di qualit del piano per una
determinata scelta della modulazione di intensit dei fasci.
Nella defnizione della funzione costo si possono considerare variabili fsiche
(distribuzione di dose) e/o variabili biologiche
(TCP: probabilit di controllo del tumore, ed
NTCP: probabilit di complicanze dei tessuti
normali). L`ottimizzazione raggiunta quando
il proflo di intensit dei fasci che determina il
rilascio desiderato di dose quello che mini-
mizza la funzione costo.
La funzione costo basata su vincoli dose-
volume, che vengono preventivamente fssati
dal radioterapista in accordo con i dati relativi
alla tolleranza dei tessuti sani, che si esprimono
come la dose massima o minima da rilasciare
all`interno di una determinata percentuale di
volume dell`organo considerato. La violazione
di un vincolo comporta una penalit (e quindi
un aumento della funzione costo) specifca per
quella regione di interesse.
Fig. 20.11. IMRT: Proflo di intensit relativo a
ciascun campo di irradiazione
Fig. 20.10. IMRT: Esempio di distribuzione di dose con radioterapia a modulazione di intensit con 5
campi d`entrata nel carcinoma prostatico
PRNCP D RADOTERAPA 385
Le tecniche di impiego clinico sono: a) multileaf dinamico (sliding window);
b) 'step and shoot; c) arcoterapia a modulazione di intensit (IMAT, Intensity
Modulated Arc Therapy); d) tomoterapia seriale (MIMIC, Multivane Intensit
Modulatine Collimator).
Il multileaf dinamico (sliding window) la tecnica pi frequentemente adottata,
in cui le lamelle si muovono in modo continuo e secondo un`unica direzione
(da sinistra a destra) durante l`erogazione, ad una velocit di almeno 2 cm/sec.
Ciascuna lamella si muove in modo indipendente, ad una velocit diversa dalle
altre, ricongiungendosi alla lamella opposta nella posizione fnale. L`erogazione
continua durante l`intero movimento delle lamelle (Fig. 20.13).
Fig. 20.12. IMRT: Pianifcazione inversa
Prescrizione di dose al PTV ed
agli organi normali
Defnizione dei vincoli dose/volume
Ottimizzazione computerizzata:
ricerca della confgurazione dei
fasci che determina la
distribuzione di dose desiderata
start
- le lamelle si muovono
in modo continuo ed
unidirezionale durante
l`erogazione, da sini-
stra verso destra, ad una
velocit 2 cm/sec;
- ogni lamella si sposta
a velocit diversa dalle
altre, ricongiungendo-
si alla lamella opposta
nella posizione fnale;
- l`erogazione continua
durante il movimento
delle lamelle;
stop
1 + .+ 3 +.+ 5 +. = matrice di fuenza fnale
Start (colore bianco = Intensit massima
Fig. 20.13. IMRT: Multileaf dinamico 'sliding window
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 386
Con la tecnica step and shoot, il proflo fnale di intensit viene ottenuto per
sovrapposizione di campi statici multipli ('segmenti), in cui ciascun segmento
realizzato da una determinata e specifca confgurazione delle lamelle. Il pas-
saggio da un segmento ad un altro avviene in assenza di erogazione ('step),
che avviene invece esclusivamente a lamelle ferme ('shoot).
L`assenza di erogazione durante il movimento delle lamelle condiziona tempi di
trattamento lievemente pi lunghi rispetto alla tecnica con multileaf dinamico
(Fig. 20.14).
Allorch si usa l`arcoterapia a modulazione di intensit (IMAT), il proflo
fnale di intensit viene realizzato mediante numerose irradiazioni ad arco, il cui
numero dipende dal grado di complessit del proflo richiesto. Per ciascun arco,
ad intervalli di 5, la posizione delle lamelle viene variata in funzione della BEV
del campo. I campi sono ad intensit uniforme e l`erogazione dell`irradiazione
continua.
La tomoterapia seriale (MIMIC) una tecnica concettualmente simile all`IMAT,
poich l`irradiazione viene effettuata per strati contigui, traslando lentamente il
paziente in senso longitudinale, in modo continuo, durante la rotazione del gantry.
Uno speciale collimatore consente la modulazione di intensit in un campo di
dimensioni 202 cm
2
('fenditura) all`interno del quale si muovono le lamelle.
Questa tecnica necessita di un lettino speciale, in grado di compiere movimenti
longitudinali di 0.1-0.2 mm, e di una estrema precisione nel posizionamento del
paziente, che ne fanno una modalit di diffcile attuazione (Fig. 20.15).
Start sovrapposizione di 4 campi statici (SEGMENTI)
asse
intervallo
di
fuenza
i
n
t
e
n
s
i
t

Proflo desiderato
- Il proflo d`intensit suddiviso
in intervalli discreti di fuenza ed
ottenuto dalla sovrapposizione di
campi statici multipli (segmenti);
- ciascun segmento realizzato da
una diversa confgurazione delle
lamelle;
- il passaggio da un segmento all`al-
tro avviene in assenza di erogazione
(STEP)
- l`erogazione avviene solo a lamelle
ferme (SHOOT);
Fig. 20.14. IMRT: 'step and shoot
PRNCP D RADOTERAPA 387
Fig. 20.15. IMRT: MIMIC (tomoterapia seriale)
- un collimatore speciale permette di modulare
in intensit un campo di dimensioni 20 2 cm
2
(fenditura)
- necessario utilizzare un lettino speciale, in
grado di compiere movimenti longitudinali di
0.1-0.2 mm (per una corretta sovrapposizione
delle distribuzioni di dose alla giunzione tra 2
slice contigue)
- per irradiare in successione una serie di strati
contigui, il paziente viene traslato longitudi-
nalmente dopo una rotazione di 360 del gan-
try attorno all`asse del lettino, oppure viene
traslato in modo lento e continuo durante la
rotazione del gantry
L`innovazione della IMRT risiede non soltanto nella possibilit di ottenere una
distribuzione di dose altamente conformata al volume bersaglio e di ridurre la
dose assorbita dagli organi a rischio, consentendo di incrementare la prescrizio-
ne di dose al bersaglio (dose escalation) per un miglior controllo sulla crescita
neoplastica (TCP) limitando i rischi di complicanze dei tessuti normali (NTCP),
ma soprattutto nella opportunit di ottenere una distribuzione di dose differente
in diverse regioni del bersaglio, sfruttando una voluta disomogeneit all`interno
del volume bersaglio. I vari volumi di interesse risultano quindi irradiati con
dosi totali e dosi per frazione differenti, in funzione della utilit clinica e della
situazione logistica degli organi a rischio.
Si ottiene, in tal modo, la 'scultura della dose, evoluzione non soltanto tecno-
logica ma soprattutto concettuale della radioterapia conformazionale.
La radioterapia ad intensit modulata stata utilizzata nella pratica clinica, a
partire dal 1994, prevalentemente nelle neoplasie prostatiche (in cui ha con-
sentito la dose escalation nel rispetto della tolleranza degli organi critici quali
il retto e la vescica), nei tumori della testa e del collo (in cui particolarmente
importante il rispetto degli organi sani e la possibilit di incrementare la dose al
target, soprattutto in presenza di malattia macroscopica, nell`ambito di trattamenti
combinati tesi alla preservazione d`organo) ed in tutte le localizzazioni primitive
o secondarie di malattia in stretta vicinanza con organi critici.
V. Impiego ed implicazioni cliniche. La radioterapia conformazionale trova attual-
mente vastissimo impiego clinico, grazie alla sua indiscussa utilit nella maggior
parte delle situazioni cliniche. Nei trattamenti elettivi, infatti, la possibilit di
incrementare la dose al tumore con notevole risparmio degli organi critici ha
consentito di utilizzare dosi totali pi elevate che, nella grande maggioranza delle
neoplasie, si traduce in una maggiore probabilit di controllo loco-regionale, e
quindi un aumento della sopravvivenza libera da malattia e, in molti casi, della
sopravvivenza generale. Le innovazioni tecnologiche hanno, pertanto, modifcato
lo stesso concetto di radiosensibilit: la responsivit del tumore indubbiamente
determinata dalle caratteristiche della neoplasia stessa ma verosimilmente anche
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 388
dalla possibilit di somministrare dosi elevate, in grado di controllare neoplasie
fnora ritenute radioresistenti.
Nei trattamenti con intento adiuvante, la radioterapia conformazionale ha con-
sentito, attraverso il decremento della dose agli organi a rischio, di ridurre la
tossicit acuta e cronica che, sommandosi a quella chirurgica, potrebbe indurre
sequele tali da compromettere, talvolta sensibilmente, la qualit di vita in pazienti
con elevata probabilit di sopravvivenza a lungo termine.
La possibilit di conformare la dose al target consente inoltre di eseguire tratta-
menti palliativi con schemi di ipofrazionamento che riducono al massimo i tempi
di ospedalizzazione in pazienti con aspettativa di vita breve, e controllando in
breve tempo i sintomi, nel rispetto della qualit della vita.
L`utilizzo clinico della radioterapia conformazionale stato reso possibile
dalla disponibilit di sistemi di pianifcazione computerizzati (TPS) di uso
commerciale, del display BEV (beam's-eye view) che consente la visualizza-
zione, relativamente a ciascun campo d`entrata, delle strutture presenti lungo
il decorso del fascio, dal punto di vista della sorgente, nonch della tomografa
computerizzata dedicata, con ricostruzione volumetrica della regione anatomica
in esame. Le maggiori conoscenze di tipo radiobiologico hanno sensibilmente
contribuito all`affnamento dei trattamenti radioterapici mediante lo sviluppo di
modelli relativi all`effcacia biologica (TCP e NTCP) che sono parte integrante
delle procedure di ottimizzazione dei piani di cura, e l`adozione di frazionamenti
non convenzionali.
Le prime esperienze cliniche con radioterapia conformazionale sono state condot-
te, negli anni `90, nel tumore della prostata, in cui la tecnica ben si adatta alla
anatomia della regione ed alla possibilit di ridurre la dose assorbita da strutture
critiche strettamente adiacenti, quali la vescica ed il retto.
Proprio nei tumori prostatici l`impiego di alte dosi totali con tecnica conforma-
zionale si concretizzato in percentuali di controllo loco-regionale e di soprav-
vivenza libera da malattia sensibilmente pi elevate, attualmente sovrapponibili,
nei bassi stadi, a quelle ottenibili con la chirurgia.
I dati clinici ottenuti nel carcinoma prostatico hanno confermato quelli sperimen-
tali, dimostrando inequivocabilmente che la probabilit di controllo neoplastico
e la probabilit di complicanze sono dose-dipendenti, e ci rappresenta la base
concettuale degli studi di dose escalation, resi possibili proprio dalle nuove tec-
niche di trattamento, che consentono di mantenere le curve relative al controllo
locale ai pi bassi livelli di dose relativi alle tossicit dei tessuti sani.
Uno degli studi fondamentali quello effettuato dal Memorial Sloan-Kettering
Cancer Center che ha mostrato come l`incremento di dose comportasse pi elevate
risposte cliniche e controllo neoplastico a lungo termine, mostrando un chiaro
effetto dose-risposta: risposte biochimiche complete (PSA 1 ng/mL) sono state
registrate nel 90% dei pazienti trattati con dosi comprese tra 75.6 e 81 Gy, rispetto
al 76% dei pazienti trattati con 70.2 Gy ed al 56% di quelli sottoposti a dosi totali
pari a 64.8 Gy, con differenza statistica altamente signifcativa (p<0.001).
La sopravvivenza attuariale libera da recidiva biochimica a 5 anni, nei pazienti
trattati con dosi 75.6 Gy era pari al 78% ed al 53%, rispettivamente nei pazienti
a prognosi intermedia ed a prognosi sfavorevole, rispetto al 54% ed al 17% nei
pazienti trattati con dosi 70.2 Gy.
Un altro dato di grande interesse, che supporta i risultati relativi alla relazione
dose-risposta, rappresentato dalla percentuale di biopsie prostatiche effettuate
PRNCP D RADOTERAPA 389
ad almeno 2.5 anni dal termine della radioterapia conformazionale, pari a solo
il 4% nei pazienti trattati con dose totale di 81 Gy, rispetto al 27%, al 36% ed al
57% nei pazienti che hanno ricevuto, rispettivamente, 75.6 Gy, 70.2 Gy e 64.8
Gy.
Nell`ultimo quinquennio, l`introduzione della tecnica a modulazione di intensit
ha enfatizzato questi risultati, grazie a protocolli di dose escalation che prevedono
dosi totali molto elevate al target, nel pieno rispetto dei vincoli di dose agli organi
a rischio.
Uno studio condotto da Ling ha comparato, in pazienti affetti da carcinoma pro-
statico stadio cT1c, la tecnica conformazionale con la radioterapia a modulazione
di intensit, dimostrando una maggiore conformazione della dose al target ed un
incremento della omogeneit di dose al target. Un`ulteriore, importante esperien-
za clinica del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center stata condotta in 232
pazienti affetti da adenocarcinoma prostatico, di cui 171 trattati con IMRT per
una dose totale pari ad 81 Gy al PTV e 61 trattati con tecnica conformazionale
convenzionale per una dose di 72 Gy, seguita da un sovradosaggio di 9 Gy in cui
il retto veniva escluso da ciascun campo di trattamento mediante schermatura.
I parametri relativi all`ottimizzazione includevano l`uniformit di dose al PTV
(100%) ed il limite del 40% e del 58% della dose prescritta alla parete rettale e
vescicale, rispettivamente. Nei pazienti trattati con IMRT la copertura del CTV
stata pari al 99%, verso il 94% riscontrato nei pazienti sottoposti a radioterapia
conformazionale convenzionale, ed una sensibile riduzione del volume rettale e
vescicale irradiati con alte dosi, come si evidenzia dall`analisi degli istogrammi
dose-volume, dimostrando ancora una volta l`importanza dell`effetto volume
nella tossicit dei tessuti sani.
La valutazione della tossicit acuta e tardiva, effettuata secondo la scala RTOG,
ha fatto registrare, infatti, un netto decremento della tossicit rettale di grado 2,
riducendo il rischio attuariale di sanguinamento di grado 2 e 3 dal 10%, relativo
alla radioterapia conformazionale convenzionale, al 2%.
Sulla scorta di risultati cos soddisfacenti, la medesima Istituzione ha proseguito
la dose escalation, raggiungendo una dose totale di 86.4 Gy ma, proprio in con-
siderazione dell`effetto volume relativo agli organi a rischio, la tecnica IMRT
stata ulteriormente implementata, al fne di ottimizzare la distribuzione e la
conformazione della dose. Lo studio stato condotto su 772 pazienti, 698 dei
quali trattati con 81 Gy e 74 con 86.4 Gy. La sopravvivenza libera da recidiva
biochimica a 3 anni, valutata nei tre gruppi prognostici, stata pari al 92% nel
gruppo a basso rischio, all`86% nel gruppo a prognosi intermedia e all`81% nel
gruppo a prognosi sfavorevole. Non sono state registrate differenze relative alla
dose totale somministrata. L`analisi della tossicit non ha evidenziato differenze
relative alla tossicit rettale nei pazienti trattati con 86.4 Gy rispetto a quelli cui
sono stati somministrati 81 Gy.
L`utilit della IMRT nelle situazioni cliniche che si avvantaggiano della sommi-
nistrazione di alte dosi quindi ormai incontrovertibile, ma appare importante
individuare, il plateau dose-risposta, per ottenere la maggior risposta clinica
con la minore tossicit possibile. Un ulteriore affnamento della tecnica si ha
grazie anche ad indagini funzionali, quali la RM con spettroscopia e la PET,
che consentano una sempre pi raffnata individuazione del tumore all`interno
della ghiandola, con risparmio delle restanti regioni, quale quella periuretrale.
La possibilit di ridurre la dose alla regione periuretrale ed al bulbo penieno,
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 390
se non interessate dalla neoplasia, si potrebbe concretizzare nella riduzione
dell`incidenza delle sequele uretrali ed in un sensibile risparmio della funzione
erettile, con il conseguente impatto sulla qualit di vita, endpoint particolarmente
importante in una fascia di pazienti con lunga aspettativa di vita.
Il raggiungimento di questi risultati nelle neoplasie prostatiche ha indotto un cre-
scente impiego della terapia radiante e l`estensione della tecnica conformazionale
a tutte le altre patologie neoplastiche ed a molte situazioni cliniche. Anche nei
tumori della testa e del collo stato possibile ottenere un sensibile decremento
della tossicit dei tessuti sani, quali le mucose od il midollo spinale, la cui ra-
diosensibilit ha condizionato per anni il raggiungimento di dosi totali elevate,
e di organi, come le ghiandole salivari, la cui irradiazione con dosi terapeutiche
comporta sequele (xerostomia) con importante impatto sulla qualit di vita. La
riduzione della tossicit ha consentito inoltre l`impiego sempre pi esteso di
differenti schemi di associazione radiochemioterapica, terapia elettiva per la
preservazione d`organo, di fondamentale importante in questo tipo di neoplasia,
nel rispetto della fsionomica, della funzionalit e quindi della qualit di vita.
La radioterapia a modulazione d`intensit, consentendo di somministrare dosi
differenti in diverse regioni del bersaglio, ha stressato i risultati ottenuti in queste
neoplasie, con conseguente crescente impiego clinico.
I tumori cerebrali rappresentano un altro importante esempio di neoplasie in cui
la defnizione molto pi accurata del target, ottenibile con metodiche di fusione
di immagini (TC, RM, PET), ha contribuito all`incremento dell` omogeneit e
della dose totale a volumi molto pi limitati, consentendo inoltre l`effettuazione
di trattamenti palliativi ipofrazionati, con riduzione dei tempi di ospedalizzazione
e conseguente incremento della qualit di vita in pazienti con breve aspettativa
di vita.
Anche nei tumori polmonari, l`impiego della radioterapia conformazionale ha
consentito di limitare consistentemente la disomogeneit all`interno del volume
bersaglio, con conseguente riduzione della dose totale necessaria per il controllo
locoregionale di malattia ed il volume totale di tessuto polmonare sano irradiato,
variabile fondamentale della probabilit di comparsa della polmonite attinica,
la pi frequente e temuta complicanza relativa all`irradiazione toracica (Fig.
20.16).
Fig. 20.16. Radioterapia conformazionale nelle neoplasie polmonari: individuazione e ricostruzione
tridimensionale del bersaglio e delle strutture critiche
PRNCP D RADOTERAPA 391
L`irradiazione delle neoplasie addominali, prevalentemente pancreatiche e
gastriche, oggi largamente attuabile con dosi totali elevate e chemioterapia
concomitante con ottima tollerabilit; ci ne ha consentito l`impiego con intento
adiuvante nell`ambito di protocolli e studi controllati, e non pi soltanto come
trattamento di salvataggio o con intento palliativo nei casi localmente avanzati.
La radioterapia conformazionale ha reso possibile il trattamento dei tumori epato-
biliari con irradiazione di porzioni limitate di fegato anche con dosi elevate e, in
casi selezionati, di metastasi epatiche da neoplasie del colon-retto, in associa-
zione con chemioterapia intraarteriosa regionale (fuorodesossiuridina), facendo
registrare risposte obiettive dell`ordine del 50% e tossicit acuta transitoria e di
moderata entit (nausea ed elevazione dei valori di funzionalit epatica).
L`impiego della radioterapia ad intensit modulata si sta inoltre rilevando di
grande utilit nelle neoplasie pelviche e di molte altre sedi in cui sia necessario
irradiare, a scopo terapeutico o adiuvante, la neoplasia primitiva e le stazioni
linfonodali di drenaggio con dosi totali e dosi per frazione differenti, confor-
mando la dose molto pi precisamente anche attorno a bersagli di forma molto
irregolare, evitando strutture sane dose-limitanti, quali le anse intestinali.
Sono di particolare interesse, inoltre, le prospettive terapeutiche che queste
nuove metodiche rendono possibili nei ritrattamenti di regioni precedentemente
irradiate, nei casi di recidiva o persistenza di malattia non aggredibile chirurgi-
camente: ci particolarmente importante in considerazione dell`allungamento
della sopravvivenza registratosi in molte patologie neoplastiche, che condiziona
una pi elevata probabilit, negli anni, di ripresa loco-regionale.
Gli orizzonti della terapia radiante appaiono oggi molto pi vasti rispetto a sol-
tanto pochi anni fa, ed i risultati clinici autorizzano a ritenerla, a quasi un secolo
dalla sua nascita, un`arma terapeutica ancora promettente, suscettibile di grandi
affnamenti tecnici e clinici.
Radioterapia con particelle pesanti
Le radiazioni di particelle pesanti usate in clinica comprendono neutroni, protoni, ioni
elio, ioni pesanti (carbonio, neon, argo) e pioni negativi, e appartengono al gruppo di
particelle chiamate adroni. Tali tipi di radiazioni posseggono una o entrambe delle se-
guenti caratteristiche: a) un effetto maggiore sulle cellule tumorali rispetto alle cellule
normali; b) una migliore capacit di distribuzione della dose al tumore che consente la
somministrazione di dosaggi pi elevati. Queste radiazioni si distinguono dai raggi X e
dagli elettroni per avere una maggior massa per cui, essendo la loro produzione e il loro
controllo diffcili e impegnativi, l`impiego clinico ne molto limitato.
I. Protoni e ioni elio. Sono, come i fotoni e gli elettroni, radiazioni a basso LET
(per la defnizione di LET vedi cap. 4). Tuttavia, a differenza di questi, sfruttano
la possibilit di una migliore distribuzione della dose. L`energia cinetica di queste
particelle trasferita alla materia per mezzo dei raggi delta, che sono elettroni
energetici secondari espulsi dagli atomi, e delle eccitazioni atomiche e moleco-
lari. La perdita di energia per unit di lunghezza inversamente proporzionale
al quadrato della velocit, per cui la dose depositata nella materia mantiene un
valore costante man mano che aumenta la profondit di penetrazione fno a che
non incrementa bruscamente allorch le particelle rallentano e si arrestano (effetto
di Bragg) (Fig. 20.17). Per un fascio protonico da 150 MeV la dose cade dal
90% al 10% in circa 1 mm. Ci costituisce un grande vantaggio per il risparmio
dei tessuti sani.
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 392
A. Sorgenti di radiazioni. La nuova generazione di macchine stata progettata
per gli usi clinici. Il fascio di protoni pu essere generato da acceleratori
lineari, ciclotroni e sincrotroni.
B. Applicazioni cliniche. Al momento, circa 5000 pazienti sono stati trattati
in tutto il mondo con protoni o ioni elio.
1. Melanomi uveali. Pi di 2500 pazienti sono stati al momento trattati
e hanno ricevuto l`equivalente di 70 Gy in 5 sedute in 8 o 9 giorni. Lo
scopo del trattamento quello di eradicare il melanoma conservando la
visione in un occhio intatto dal punto di vista estetico. Il controllo locale
a 5 anni superiore al 95%, con conservazione dell`occhio in oltre l`89%
dei pazienti e una sopravvivenza senza metastasi al di sopra del 75%. Tali
risulti sono paragonabili a quelli ottenuti con l`enucleazione.
2. Cordomi e condrosarcomi situati in prossimit della base cranica.
Nonostante la rarit di tali tumori, oltre 350 pazienti sono stati al momento
trattati. Questi tumori sono localmente aggressivi e sono situati molto
vicini a strutture critiche come il tronco cerebrale, il midollo spinale, i
lobi temporali, i nervi ottici ed il chiasma. La resezione chirurgica , in
genere, incompleta e la radioterapia postoperatoria con fotoni produce un
controllo locale in solo il 35%-40% dei pazienti. La possibilit di som-
ministrare dosi pi elevate con le particelli pesanti risulta in un controllo
locale a 5 anni del 60%-77% e una sopravvivenza del 62-88%.
3. Prostata. sI risultati di uno studio randomizzato condotto su 202 pazienti
per confrontare l`effcacia della radioterapia conformazionale con fotoni
e con protoni non ha evidenziato alcuna differenza in termini di controllo
locale e sopravvivenza. chiaro che necessitano pi dati per stabilire
eventuali benefci della terapia con particelle pesanti.
II. Neutroni. A differenza dei protoni e dei fotoni, i neutroni sono radiazioni ad
alto LET, cio densamente ionizzanti, e pertanto in grado di sfruttare l`effetto
biologico differenziale tra le cellule tumorali e normali anche se non possibile
ottenere una distribuzione della dose precisa come quella prodotta dai protoni
e dagli ioni elio. Protoni di rimbalzo prodotti dalla collisione dei neutroni con
nuclei di idrogeno e con atomi pi pesanti costituiscono il meccanismo primario
Fig. 20.17. Picco di Bragg
PRNCP D RADOTERAPA 393
del trasferimento di energia da un neutrone veloce alla materia (dispersione
elastica). Altri meccanismi di assorbimento di energia sono costituiti dalla di-
spersione inelastica, mediante la quale il neutrone eccita un nucleo con conse-
guente produzione di raggi gamma, dalla dispersione non elastica, mediante
la quale le interazioni nucleari risultano nell`emissione di altre particelle, e dalla
cattura dei neutroni, con la quale il neutrone assorbito da un nucleo con
conseguente emissione di un raggio gamma e di altre particelle. chiaro da ci
che, pur essendo i neutroni considerati radiazioni ad alto LET, da un punto di
vista microdosimetrico il trasferimento di energia un miscuglio di radiazioni
ad alto e a basso LET. La distribuzione della dose dei neutroni comparabile a
quella dei fotoni in quanto la radiazione primaria deposita l`energia in maniera
esponenziale in funzione della profondit. Ad esempio, i neutroni di 14.1 MeV
emessi da un generatore deuterio-tritio hanno una curva di dose in profondit
molto simile a quella dei raggi gamma del cobalto 60, e i neutroni di energia
media di 20 MeV, prodotti da reazione protoniche di alta energia, hanno una
curva di dose in profondit come quella dei raggi X da 6 MeV.
A. Sorgenti di radiazioni
1. Generatori deuterio-tritio (dT). Producono neutroni mediante una
reazione tra un fascio di deuteroni incidente su un bersaglio di tritio. La
reazione produce neutroni monoenergetici di 14 MeV, pi un atomo di
elio.
2. Acceleratori di particelle. Accelerano un fascio di protoni ad alta energia
e poi li convogliano a collidere su un bersaglio di berillio. Tali reazioni
producono neutroni con un ampio spettro energetico, da meno di 1 MeV
fno all`energia delle particelle incidenti.
B. Effetti biologici. I neutroni, insieme ai pioni e agli ioni pesanti, sono radia-
zioni che producono un`alta densit di ionizzazioni per unit di lunghezza
lineare e sono, quindi, radiazioni ad alto LET. Rispetto a quelle a basso LET,
le radiazioni ad alto LET possono avere dei vantaggi attraverso la loro diversa
azione su alcuni fenomeni biologici:
1. Ipossia delle cellule tumorali. L`OER con le radiazioni a basso LET varia
tra 2.5 e 3 mentre per quelle a basso LET signifcativamente minore
(1.4-1.7); ci signifca che quest`ultime sono circa 2 volte pi effcaci
delle prime sulle cellule ipossiche. Tuttavia non tutti i tumori contengono
frazioni signifcative di cellule ipossiche; d`altronde, la riossigenazione
che si pu verifcare durante gli intervalli tra le frazioni di dose riduce
l`infuenza dell`ipossia sulla radioresistenza tumorale.
2. Efhcacia biologica relativa L`effcacia biologica relativa (RBE) mag-
giore poich il danno prodotto dalle radiazioni ad alto LET interamente
letale contrariamente alle radiazioni a basso LET in cui una parte del
danno subletale e riparabile.
3. Cinetica delle cellule tumorali. Con le radiazioni ad alto LET le varia-
zioni della radiosensibilit nelle varie fasi del ciclo minore rispetto
alle radiazioni a basso LET; ci pu costituire un vantaggio nei tumori
a lenta crescita, nei quali la ridistribuzione delle cellule nel ciclo quasi
assente.
4. Riparazione del danno potenzialmente letale Essendo le cellule tumo-
rali ipossiche e in cattivo stato nutrizionale in grado di riparare il danno
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 394
potenzialmente letale prodotto delle radiazioni a basso LET, danno non
riparabile, invece, delle cellule proliferanti dei tessuti normali, ovvio
il vantaggio terapeutico che pu ottenersi su questo tipo di tumori con
le radiazioni ad alto LET che inducono un danno interamente letale e,
quindi, non riparabile sia sui tessuti normali che sui tumori.
C. Applicazioni cliniche. Al momento, circa 20.000 pazienti sono stati trattati
con neutroni in 39 centri sparsi nel mondo. I primi studi clinici hanno ripor-
tato un numero considerevole di tossicit gravi acute e tardive che, tuttavia,
hanno contribuito in modo sostanziale a stabilire la tolleranza clinica dei
diversi tessuti normali alle radiazioni neutroniche.
1. Tumori delle ghiandole salivari. I tumori a lenta crescita sono pi sen-
sibili alle radiazioni ad alto LET rispetto a quelle a basso LET. Uno dei
tumori che ha mostrato la pi elevata RBE (Effcacia Biologica Relativa)
il carcinoma adenoideo cistico. In questo tumore, 20 Gy di neutroni
(nGy) sono equivalenti a 160 Gy di fotoni, mentre nei tessuti normali
20 nGy hanno la stessa effcacia di 60-66 Gy di fotoni, con un fattore di
guadagno terapeutico di circa 2.5. Al momento, la terapia neutronica o
mista (fotoni + neutroni) trova indicazione nei tumori avanzati o recidivi
che non possono essere completamente asportati o in quelli in cui la
resezione chirurgica comporterebbe un danno del nervo facciale.
2. Cancro della prostata. Per le stesse ragioni dei tumori delle ghiandole
salivari, anche per i tumori della prostata l`irradiazione con neutroni ri-
sulta vantaggiosa, specie se si impiegano le apparecchiature pi recenti
che hanno notevolmente ridotto la gravit della tossicit locale. Gli studi
sino ad ora condotti hanno mostrato un signifcativo vantaggio, in termini
di controllo locale, dei neutroni sui fotoni, anche se un miglioramento
della sopravvivenza deve essere ancora confermato.
3. Sarcomi. Sebbene non siano stati condotti studi di fase III sul ruolo dei
neutroni nel trattamento dei sarcomi ossei e cartilaginei, i risultati della
terapia neutronica hanno mostrato un consistente miglioramento del
controllo loco-regionale rispetto ai risultati storici.
III. Ioni pesanti (neon) e pioni. Entrambi i tipi di radiazioni offrono il doppio van-
taggio di una migliore distribuzione della dose e di un migliore effetto biologico
differenziale. La pi rilevante differenza, rispetto ai protoni e ai neutroni,
dovuta al fatto che la maggiore massa ionica rende molto pi diffcile e costosa
la produzione di un fascio capace di penetrare 20-30 cm nel tessuto. Per tale
motivo il numero di centri in grado di eseguire tali terapie molto limitato e, in
genere, costituito da laboratori dedicati ad esperimenti fsici con disponibilit
alla utilizzazione dei fasci di radiazioni anche per scopi biomedici.
A. Sorgenti di radiazioni. I fasci di ioni pesanti vengono generati da un sin-
crotrone; i pioni vengono prodotti da acceleratori progettati per produrre fasci
di protoni di alta energia che possono produrre pioni dopo la collisione in un
materiale bersaglio.
B. Applicazioni cliniche
1. Ioni neon. Sono stati impiegati su un numero limitato di pazienti con
tumori della prostata, delle ghiandole salivari, dei seni paranasali, del tratto
biliare, e con sarcomi ossei e dei tessuti molli, con un apparentemente
buon controllo locale.
PRNCP D RADOTERAPA 395
2. Pioni o mesoni pi negativi. Studi clinici sono in corso al Paul Scherer
Institute, in Svizzera, su gliomi maligni, sarcomi e carcinomi prostatici.
Agenti radiosensibilizzanti
Gli effetti biochimici delle radiazioni possono essere modifcati da agenti chimici (sen-
sibilizzanti, protettori, antiblastici) che possono agire in modo selettivo sul tumore,
rispetto al tessuto normale. Anche variazioni delle condizioni fsiologiche della cellula,
quali l`ossigenazione iperbarica, la restrizione del fusso ematico e l`ipertermia, possono
modifcare la risposta tissutale alle radiazioni. L`insuccesso loco-regionale responsabile
di circa il 40% delle morti da neoplasia. evidente, pertanto, l`importanza di ottenere un
incremento del controllo locale della neoplasia. L`impiego degli agenti radiosensibilizzanti
mira ad ottenere ci senza un incremento consensuale della tossicit sui tessuti sani. Il
razionale del loro uso considera quanto segue: a) microambiente ipossico intracellulare;
b) radioresistenza delle cellule ipossiche; c) identifcazione di composti elettroaffni che
mimano la radiosensibilizzazione indotta dall`ossigeno; d) incremento dell`effcacia (in
vitro ed in vivo) delle radiazioni in presenza di sensibilizzanti delle cellule ipossiche;
e) risultati clinici positivi ottenuti in molte neoplasie, mediante l`impiego di ossigeno
iperbarico od emotrasfusioni
L`ossigeno rappresenta il miglior radiosensibilizzante quando si impiegano radiazioni a
basso LET, purch sia presente durante l`irradiazione. Le cellule tumorali possono pre-
sentare un basso tasso di ossigenazione per carenza di apporto ematico e/o per consumo
metabolico. L`ossigeno, altamente elettroflo, produce radiosensibilizzazione cellulare
fssando chimicamente (ossidazione) il danno indotto dai radicali liberi prodotti dalla
radiolisi dell`acqua sulle macromolecole cellulari (DNA) e rappresenta l`accettore fnale
dell`elettrone in eccesso, poich il suo potenziale redox maggiore di quello della gran
parte dei radiosensibilizzanti. Il danno prodotto pu essere riparato mediante l`impiego
di radioprotettori, quale il glutatione ridotto. Anche i radiosensibilizzanti elettroaffni mo-
strano la capacit di indurre ossidazione dei radicali liberi, incrementando la distruzione
delle cellule ipossiche. I radiosensibilizzanti ossigenomimetici diffondono facilmente
e rapidamente attraverso i tessuti neoplastici e non vengono altrettanto velocemente
metabolizzati.
I. Radiosensibilizzanti
A. Dehnizioni
1. OER (oxygen enhancement ratio). il rapporto tra la dose di radiazioni
necessaria a produrre un determinato effetto biologico in condizioni di
ipossia e la dose richiesta per produrre il medesimo effetto in condizioni
di normale ossigenazione. generalmente pari a 2.5 - 3.
2. SER (sensitizer enhancement ratio). il rapporto tra le dosi di radiazioni
necessarie a produrre lo stesso livello di sopravvivenza o lo stesso effetto
biologico, in assenza ed in presenza del radiosensibilizzante.
B. Agenti in uso
1. Ossigeno iperbarico. Procedura di diffcile applicazione clinica, ormai
abbandonata, anche per la necessit di ridurre il numero di frazioni di
radioterapia. Gli studi effettuati in diversi tipi di patologie neoplastiche,
quali carcinomi della testa e del collo, del polmone e della cervice uterina,
sembrano indicare un incremento dell`effcacia.
2. Agenti radiosensibilizzanti. Alcuni composti sono dotati di elevata elet-
troaffnit, con effetto simile a quello dell`ossigeno per cui sono defniti
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 396
agenti ossigenomimetici. Il loro impiego clinico, gravato da tossicit molto
spesso rilevanti, tuttora oggetto di studio.
a. Tossicit e attivit clinica
(1) Gruppo del 5-nitroimidazolo. Metronidazolo: tossicit neuro-
logica dose limitante; nimorazolo: tossicit gastroenterica dose-
limitante. Probabile incremento del controllo loco-regionale.
(2) Gruppo del 2-nitroimidazolo. Misonidazolo: tossicit: neuropa-
tie centrali e periferiche. Maggior effcacia sperimentale rispetto
al 5-nitroimidazolo, bench non appaia clinicamente rilevante;
desmetilmisonidazolo: metabolita endogeno del misonidazolo,
mostra minor tossicit neurologica di quest`ultimo negli animali
da esperimento; etanidazolo: minor tossicit neurologica rispetto
al misonidazolo. Gli studi fnora condotti non hanno mostrato
alcun miglioramento in termini di controllo locoregionale o so-
pravvivenza. Sono in corso studi di associazione tra un`unica alta
dose di etanidazolo e brachiterapia o radiochirurgia.
(3) Sensibilizzanti con duplice funzione (Nitroimidazolo). Sono
sostanze la cui funzione si esplica in modo simile a quella degli
agenti alchilanti. Poich possiedono anche attivit citotossica
diretta, il SER pu essere maggiore dell`OER. In condizioni di
ipossia, il gruppo azotato e l`anello aziridinico vengono attivati,
producendo un agente bifunzionale che attacca il DNA.
b. Meccanismo d`azione
(1) Agenti ipossici e citotossici. Sono composti impiegati in via speri-
mentale da molti anni che, a differenza dei radiosensibilizzanti
ossigenomimetici, richiedono attivazione metabolica. La mitomi-
cina C ed il suo analogo porhromicina sono stati adottati quali
agenti citotossici attivati in ambiente ipossico. La tirapazamina
esplica attivit citotossica, mediata dal danno a livello della doppia
elica del DNA, 100 volte superiore in condizioni di anaerobiosi
rispetto a quella esplicata in aerobiosi. Al fne di esplicare la
propria attivit, la tirapazamina deve essere somministrata prima
o subito dopo l`irradiazione.
(2) Analoghi delle pirimidine (bromodeossiuridina BudR, iodo-
deossiuridina IudR). Sono analoghi della timidina, che possono
essere incorporati nel DNA delle cellule ciclanti, rendendole pi
sensibili al danno da radiazioni. Il meccanismo d`azione non
completamente chiarito, ma risiede probabilmente nell`incre-
mento del danno radioindotto sulla doppia elica del DNA, con
riduzione della riparazione del danno stesso (analogamente a
quanto riscontrabile nell`impiego degli antiblastici con intento
radiosensibilizzante). Poich l`azione delle pirimidine alogenate
dipende dall`incorporazione nel DNA, importante che le cellule
siano esposte ad esse, per un tempo suffciente, durante la sintesi
di quest`ultimo. La tossicit di maggior rilievo rappresentata
dalla mielodepressione. Gli studi clinici mostrano risultati inco-
raggianti, ma di fondamentale importanza un`attenta valutazio-
ne dell`indice terapeutico, poich le alopirimidine sensibilizzano
anche i tessuti normali.
PRNCP D RADOTERAPA 397
c. Incremento della disponibilita o del rilascio dell`ossigeno. Tra
le metodiche atte ad incrementare la disponibilit dell`ossigeno, si
possono annoverare l`ossigenazione iperbarica, le emotrasfusioni, la
somministrazione di eritropoietina, il carbogeno combinato con va-
sodilatatori (nicotinamide) ed il perfuorocarbonio. Quest`ultimo pu
fungere da trasportatore di ossigeno, legando molecole di ossigeno in
soluzioni ad elevata tensione di ossigeno e rilasciandole in ambienti in
cui la tensione sia bassa. I primi risultati clinici relativi all`utilizzazione
di tali farmaci sembrano molto promettenti.
d. Modihcatori di tioli. I tioli sono sostanze ad azione radioprotettiva.
L`effetto della deplezione dei tioli modulato dal glutatione. Il gluta-
tione (comportandosi come donatore di elettroni in una vasta serie di
reazioni cellulari) il principale agente non proteico legante i sulfdrili,
esplicando cos un ruolo importante nel determinare la radiosensibilit
intrinseca delle cellule. La sua azione protettiva determinata dalla
capacit di donare un protone, riparando i radicali radioindotti e com-
petendo, quindi, con l`ossigeno ed i composti ossigenomimetici. L`ef-
fcacia dei radiosensibilizzanti (nonch degli agenti ipossici-citotossici
e degli antiblastici) pu essere quindi incrementata dalla deplezione
del pool intracellulare del glutatione, prima dell`irradiazione. Molti
composti sono stati identifcati ed adottati quali inibitori della sintesi
(L-butionina sulfoximina) o depletori della concentrazione intracel-
lulare del glutatione (dietilmaleato).
II. Chemioterapia
Anche i farmaci antiblastici, impiegati in concomitanza con la radioterapia,
possono essere annoverati tra i 'radiosensibilizzanti, proprio perch, in tali
condizioni, viene sfruttato l`incremento di effcacia che l`associazione comporta
rispetto al solo trattamento radiante. oggetto di studio, inoltre, una nuova classe
di agenti alchilanti (noti come citotossine bioriducibili) che vengono metabo-
lizzati ed attivati enzimaticamente preferenzialmente nelle cellule ipossiche,
su cui esplicano selettivamente la loro azione tossica. L`impatto clinico delle
associazioni radiochemioterapiche maggiore di quello relativo all`impiego dei
radiosensibilizzanti propriamente detti, ed in molte patologie (prevalentemen-
te in quelle in cui un incremento del controllo locale comporta una maggiore
probabilit di sopravvivenza) l`associazione radiochemioterapica sta facendo
registrare risultati estremamente incoraggianti. Il parametro per la valutazione
dell`incremento dell`effcacia dei trattamenti radiochemioterapici denominato
DEF (chemotherapy-dependent dose-enhancement factor). Questo il rap-
porto tra la dose di radiazione richiesta per un determinato effetto biologico e
la dose di radiazione necessaria per ottenere il medesimo effetto quando viene
associata al trattamento chemioterapico. Un DEF >1 indica una maggior effca-
cia e quindi un effetto radiosensibilizzante; un DEF <1 indica minor effcacia e
quindi un effetto protettivo. Il DEF pu essere misurato per i tessuti neoplastici
e per quelli normali: se ne pu quindi derivare l`indice terapeutico TGF (thera-
peutic gain factor). Teoricamente, in qualsiasi caso in cui il TGF sia >1 l`effetto
terapeutico sar superiore a quello tossico, pur tenendo presente che si tratta di
un dato puramente indicativo, che necessita di volta in volta di verifca clinica.
I trattamenti radiochemioterapici possono essere effettuati secondo differenti
modalit: concomitanti, sequenziali o alternati.
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 398
Le prime due metodiche sono quelle che trovano maggior impiego clinico. Nei
trattamenti concomitanti, vi sono interazioni dirette biochimiche ed interazioni
molecolari che sono probabilmente alla base dell`effetto tumoricida superadditivo.
La maggior tossicit delle associazioni non deve, peraltro, essere tale da indurre
sospensioni del trattamento associato, che vanifchino il vantaggio teoricamente
ottenibile. L`infusione continua dei farmaci ne riduce la tossicit, eliminando il
picco di concentrazione ematica, caratteristico della somministrazione in bolo,
ed incrementa l`effcacia grazie ad una pi prolungata esposizione al farmaco
stesso. La somministrazione sequenziale comporta talora minor tossicit, ma
prolunga il tempo di trattamento, dilazionando, peraltro, l`inizio di una delle due
modalit terapeutiche. L`associazione radiochemioterapica alternante prevede
cicli di radioterapia ('split course) alternati a cicli chemioterapici. Bench tale
modalit di associazione comporti un decremento della tossicit, lo schema di
somministrazione della radioterapia condiziona spesso una riduzione dell`effetto
tumoricida.
A. Basi biologiche delle associazioni radiochemioterapiche. Vanno considerati
i seguenti aspetti importanti.
1. Prevenzione dell`insorgenza di cloni cellulari resistenti. Le cellule
resistenti ad una modalit terapeutica possono essere uccise dall`altra
(ipotesi di Goldie e Coldman).
2. Cooperazione spaziale. la probabilit di eradicare un sito di malattia
con una modalit e le restanti localizzazioni con l`altra modalit. Nella
cooperazione spaziale non c` interazione reale tra le due modalit (per
esempio: eliminazione di 'santuari di malattia)
3. Incremento della risposta. La combinazione delle due modalit produce
effetti maggiori della somma dell`effcacia dei singoli trattamenti. Si
tratta di una radiosensibilizzazione vera e propria, che implica mecca-
nismi diversi, quali: sincronizzazione delle cellule nel ciclo (paclitaxel),
riossigenazione di cellule ipossiche (cisplatino), citotossicit diretta sulle
cellule ipossiche (mitomicina C), inibizione della riparazione del danno
subletale e potenzialmente letale (cisplatino, 5-fuorouracile, doxorubi-
cina). L`effetto prodotto da tali combinazioni sinergico o superadditi-
vo.
4. Riduzione della dose di radioterapia. Utile soprattutto al fne di ridurre
la dose totale (e quindi la tossicit tardiva) nelle patologie neoplastiche
infantili
5. Inibizione del ripopolamento. Il ripopolamento avviene durante la
radioterapia frazionata. La chemioterapia concomitante in grado di
rallentare il ripopolamento, incrementando l`effcacia del trattamento.
Ovviamente, ottenibile un vantaggio terapeutico esclusivamente quando
le cellule neoplastiche proliferano pi attivamente delle cellule dei tessuti
sani (non applicabile per tessuti normali in attiva proliferazione, quali la
cute e la mucosa del tratto gastroenterico)
6. Riduzione della tossicit. L`impiego dei trattamenti integrati sequen-
ziali consente, nei casi in cui la chemioterapia abbia ottenuto una
riduzione volumetrica della massa neoplastica, l`adozione di campi
di irradiazione meno estesi, con decremento della tossicit. La ridu-
zione chemioindotta della neoplasia comporta, inoltre, un incremento
PRNCP D RADOTERAPA 399
relativo dell`apporto ematico, la riossigenazione e quindi una maggior
radiosensibilit. Tale tipo di associazione non comporta un`interazione
tra le due modalit e, pertanto, in grado di produrre solo un effetto di
tipo additivo.
B. Principali meccanismi di interazione radiochemioterapica. Possono essere
considerate le seguenti interazioni.
1. 5-Fluorouracile + radioterapia. Il 5-fuorouracile viene incorporato nel
DNA delle cellule ciclanti. Il reale meccanismo di interazione tuttora
sconosciuto, bench sia l`associazione pi usata da decenni. L`effetto
superadditivo massimo si verifca quando il farmaco viene somministrato
per almeno 8-16 ore prima o dopo l`irradiazione (come si pu eviden-
ziare dalla variazione della pendenza della curva di sopravvivenza) e
soprattutto in infusione continua (per 8 o pi ore dopo l`irradiazione
e massimamente per 96-120 ore). Il 5-FU agisce in aerobiosi come in
anaerobiosi e pu quindi essere utilmente utilizzato anche in cellule
ipossiche. L`infusione continua di 5-FU incrementa signifcativamente
l`effcacia della radioterapia, bench determini una maggior tossicit a
livello ematologico e mucoso. L`effetto radiosensibilizzante si manifesta
anche sulle cellule resistenti al farmaco ed quindi indipendente dalla
sua azione citotossica.
2. Cisplatino + radioterapia. Il cisplatino interagisce col DNA, creando
legami mono e bifunzionali con le basi azotate (soprattutto con la guanina);
tale interazione inoltre incrementata dall`ipossia. Ne risulta un`inibizione
della riparazione del danno subletale e del danno potenzialmente letale. Un
effetto molto simile viene esplicato dall`analogo carboplatino. L`effetto
radiosensibilizzante del cisplatino sembra essere maggiore quando l`irra-
diazione venga somministrata con frazionamento multiplo giornaliero, per
inibizione della riparazione del danno subletale. Anche per quanto riguarda
il cisplatino, l`attivit antineoplastica maggiore quando somministrato
in infusione continua, poich esplica la sua azione prevalentemente nella
fase G1 del ciclo cellulare e viene eliminato il problema della emivita
relativamente breve. La somministrazione in infusione continua riduce,
inoltre, la nefrotossicit del farmaco.
3. Doxorubicina + radioterapia. Il meccanismo di interazione non ben
noto. La doxorubicina un inibitore della respirazione cellulare (azione
mediata dal danno mitocondriale), determina deplezione di ossigeno nelle
cellule neoplastiche ed incrementa la radiosensibilit delle cellule ipossi-
che. Sembra, inoltre, inibire la riparazione del danno radioindotto nella
singola elica del DNA. Il massimo effetto radiosensibilizzante si ottiene
somministrando la doxorubicina durante o subito dopo l`irradiazione.
L`infusione continua riduce la tossicit cardiaca del farmaco.
4. Mitomicina C + radioterapia. L`azione alchilante della mitomicina C
maggiore sulle cellule ipossiche che su quelle in condizioni di aerobiosi:
questa propriet ne rende particolarmente utile l`associazione con la
radioterapia. Un effetto superadditivo si verifca quando la mitomicina
C viene somministrata da 15 minuti a 24 ore prima dell`irradiazione; se,
invece, il farmaco viene somministrato dopo l`irradiazione si ottiene un
effetto semplicemente additivo. L`associazione non incrementa la tossici-
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t sui tessuti sani, poich questi non contengono cellule ipossiche su cui
si esplica specifcamente l`azione del farmaco. Risultati incoraggianti si
sono ottenuti (con incremento statisticamente signifcativo del controllo
loco-regionale) nelle neoplasie della testa e del collo.
5. Idrossiurea + radioterapia. L`idrossiurea un agente fase-specifco (fase
S), la cui azione si esplica mediante l`inibizione della ribonucleotide-re-
duttasi e, quindi, della sintesi del DNA. L`associazione tra idrossiurea e
radioterapia ha effetto additivo, incrementando l`effetto citocida durante
la fase S, relativamente radioresistente.
6. Paclitaxel + radioterapia. Stabilizzando i microtubuli, il farmaco pre-
viene la mitosi, bloccando le cellule nella fase G2/M. L`effetto radiosen-
sibilizzante potrebbe risiedere proprio nella sincronizzazione cellulare
nella fase G2/M, che rappresenta la fase pi radiosensibile del ciclo.
La somministrazione del paclitaxel 48 ore prima dell`irradiazione nel
carcinoma ovarico sembra incrementare signifcativamente l`effetto ra-
diosensibilizzante rispetto alla somministrazione effettuata 24 ore dopo
l`irradiazione.
C. Tossicit dei trattamenti integrati radiochemioterapici. I trattamenti inte-
grati radiochemioterapici possono comportare (parallelamente all`incremento
dell`effcacia) un aumento della tossicit, rispetto alla sommazione della
tossicit legata alle singole modalit terapeutiche. Il maggior danno pu
essere il risultato di effetti additivi di ciascuna terapia a carico del medesimo
tessuto o dell`effetto tossico su differenti tessuti sani. La chemioterapia esplica
la sua azione tossica prevalentemente sui tessuti rapidamente proliferanti,
determinando reazioni acute e risparmiando, generalmente, il microcircolo.
La radioterapia, come la chemioterapia, produce una tossicit acuta ma re-
versibile sui tessuti a rapida crescita (che riparano il danno prevalentemente
mediante il ripopolamento) ed una tossicit tardiva e irreversibile sui tessuti
lentamente proliferanti e sui parenchimi, con conseguente ipoplasia e danni
vascolari. La tossicit dei trattamenti integrati la risultante di tossicit
additive o superadditive e dipende prevalentemente dal tipo di tessuti coin-
volti, dal tipo e dalle modalit di somministrazione del farmaco, dal timing
della associazione, dalla dose totale e dalla dose per frazione del trattamento
radiante.
III. Radioprotettori
Un ulteriore meccanismo di incremento dell`effcacia dell`irradiazione rap-
presentato dall`utilizzo di composti che proteggono i tessuti normali senza con-
comitante riduzione dell`effetto citotossico sui tessuti neoplastici. La vitamina
E, la vitamina C ed i beta-caroteni esplicano azione protettrice sulla struttura
lipidica di membrana dall`azione dei radicali liberi. L`azione diretta delle ra-
diazioni ionizzanti sull`acqua intracellulare d luogo ad una serie di prodotti
altamente reattivi, mentre l`azione indiretta risulta dall`interazione di tali prodotti
(soprattutto il radicale libero idrossilico OH) con le macromolecole. I radicali
liberi delle macromolecole vengono inattivati dall`ossidazione ad opera del-
l`ossigeno molecolare disciolto. I composti sulfdrilici proteggono le cellule dal
danno radioindotto, eliminando i prodotti della radiolisi dell`acqua e riparando
i siti critici delle macromolecole mediante la donazione di un atomo di idroge-
no al radicale libero. Il glutatione intracellulare un radioprotettore naturale
intracellulare. La competizione tra glutatione ed ossigeno nella reazione con i
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radicali liberi , normalmente, a vantaggio dell`ossigeno, per cui necessaria
una concentrazione intracellulare di gruppi sulfdrilici in eccesso per esplicare
un`azione protettrice completa. La superossidodismutasi catalizza il legame tra
radicali liberi, ossigeno ed idrogeno, dando luogo a perossido di idrogeno ed
ossigeno; il perossido di idrogeno viene quindi ridotto ad acqua dalle catalasi
o dalle perossidasi intracellulari. Un effetto radioprotettivo esercitato anche
dall`amifostina.
Terapia fotodinamica
Gli esperimenti di Oscar Raab sugli effetti letali della luce sul paramecio in presenza di
acridina, costituiscono la prima dimostrazione di un danno tissutale fotoindotto, mediato
dalla presenza di un agente fotosensibilizzante. Negli stessi anni, intorno al 1900, venne
riconosciuto il ruolo dell`ossigeno nelle reazioni fotochimiche responsabili della necrosi
dei tessuti e fu coniato il termine effetto fotodinamico per indicare l`intero fenomeno.
La rilevazione di localizzazioni tumorali mediante illuminazione con luce ultravioletta
dopo iniezione di un derivato dell`ematoporfrina, consent nel 1961 di riconoscere il
potenziale diagnostico degli agenti fotosensibilizzanti. Nel 1972, Diamond dimostr,
invece, che l`effetto fotodinamico pu essere utilizzato anche con fnalit terapeutiche,
allorch viene utilizzata luce visibile. Nel suo esperimento, Diamond, osserv la fotone-
crosi di un glioma impiantato in un ratto, cui era stata somministrata ematoporfrina. La
scoperta che cellule contenenti un fotosensibilizzante possono diventare fuorescenti o
andare incontro a lisi, a seconda della lunghezza d`onda della luce cui vengono esposte,
rappresenta un punto cruciale nella storia delle applicazioni cliniche dell`effetto fotodi-
namico. Le prime esperienze di terapia fotodinamica nell`uomo risalgono alla seconda
met degli anni `70, allorch Kelly e Snell segnalarono la regressione di un carcinoma
vescicale recidivo e Dougherty pubblic i risultati pi che incoraggianti di uno studio
clinico nel quale erano stati arruolati 25 pazienti con lesioni a localizzazione cutanea o
sottocutanea, con diverse istologie. A partire dal 1980, con l`introduzione dei fotosensi-
bilizzanti di seconda generazione, le potenzialit curative della terapia fotodinamica si
sono notevolmente accresciute.
Principi generali
I. Meccanismi di azione antitumorale. La terapia fotodinamica un tipo di foto-
chemioterapia che richiede la presenza di ossigeno, oltre che l`esposizione alla
luce e la somministrazione di un fotosensibilizzante. Quest`ultimo, attivato dalla
luce, interagisce con l`ossigeno molecolare in una reazione fotochimica dalla qua-
le viene liberato ossigeno allo stato di 'singoletto (
1
O
2
) che, essendo altamente
reattivo, determina un danno citotossico diretto e mediato da altre molecole che
reagiscono con esso. Questo tipo di reazione detta fotoossidazione di tipo 2.
Per fotoossidazione di tipo 1 si intende, invece, la reazione del fotosensibiliz-
zante attivato con una molecola biologica, con conseguente liberazione di radicali
liberi i quali, a loro volta, reagiscono con l`ossigeno molecolare (Fig. 20.18).
Queste reazioni fotochimiche si traducono in un danno tissutale selettivo per
le cellule neoplastiche in quanto il fotosensibilizzante viene trattenuto in misura
maggiore e pi a lungo in queste, rispetto alle cellule normali. L`azione litica
nei confronti del tessuto tumorale si esplica sia mediante un`azione citotossica
diretta, sia mediante alterazione del sistema microvascolare che fornisce il
supporto trofco alla neoplasia. L`incorporazione del fotosensibilizzante nelle
membrane cellulari responsabile dell`azione citotossica: rigonfamento delle
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membrane, inibizione degli enzimi di membrana, alterazioni a carico dei mito-
condri, dei lisosomi, dell`apparato di Golgi, del reticolo endoplasmatico rugoso,
si osservano comunemente in cellule sottoposte all`effetto fotodinamico. Altri
bersagli della terapia fotodinamica sono il DNA ed i microtubuli, con arresto
delle cellule in metafase. L`azione sul sistema microvascolare mediata da una
serie di meccanismi, diversi a seconda del fotosensibilizzante usato, tra i quali
i pi importanti sono l`attivazione e l`aggregazione piastrinica e il danneggia-
mento dell`endotelio. Recenti osservazioni suggeriscono, inoltre, che la terapia
fotodinamica possa promuovere l`apoptosi mediante attivazione delle caspasi
e danno mitocondriale fotoindotto, ed innescare una risposta immunitaria nei
confronti di antigeni liberati dalle cellule andate incontro a lisi.
II. Selettivit dell`attivit antitumorale. Non sono del tutto noti i meccanismi
mediante i quali vi un accumulo preferenziale degli agenti fotosensibilizzanti
nel sito tumorale rispetto ai tessuti normali. Tra i meccanismi ipotizzati vi una
specifca interazione tra questi e molecole iperespresse sulle superfcie delle
cellule tumorali. Gli agenti fotosensibilizzanti si legano alle lipoproteine a bassa
densit (LDL) e vengono captati dalle cellule mediante legame del complesso
ai recettori per le LDL localizzati sulle membrane. La densit di tali recettori
Fig. 20.18. Fotoossidazione di tipo I e II. (Modifcata da: Hsi RA et al., Drugs 1999).
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sulle cellule tumorali maggiore rispetto alle cellule normali; ci comporta una
maggiore concentrazione del fotosensibilizzante nelle cellule neoplastiche. Altri
fattori che favoriscono una captazione preferenziale sono il pi basso pH delle
cellule tumorali e la maggiore permeabilit vascolare. Per favorire la distribuzione
selettiva nel sito tumorale, gli agenti fotosensibilizzanti possono essere inoltre
legati ad anticorpi monoclonali (fotoimmunoconiugati) o ai ligandi naturali di
molecole recettoriali espresse sulle cellule tumorali. Cos, sono state condotte
le prime esperienze con fotosensibilizzanti legati ad EGF, LDL, transferrina.
Agenti utilizzati nella terapia fotodinamica
I. Fotosensibilizzanti
A. Fotosensibilizzanti di prima generazione. I derivati dell`ematoporfrina
sono stati i primi fotosensibilizzanti utilizzati nella terapia fotodinamica.
Dalla purifcazione dell`ematoporfrina con acido solforico al 5% in acido
acetico a temperatura ambiente si ottiene il cosiddetto derivato dell`ema-
toporfrina al I stadio (Hematoporphyrin Derivative Stage I, HpD Stage I).
Questo viene poi trattato con alcali e neutralizzato con acido cloridrico fno
a raggiungere il pH 7.4. Si ottiene cos il derivato dell`ematoporfrina al II
stadio, che costituito da un insieme di monomeri ed oligomeri porfrinici.
Gli oligomeri, detti frazione D dell`HpD Stage II, sono i principali respon-
sabili dell`attivit biologica. Essi rappresentano l`elemento costituente i vari
prodotti commerciali, tra i quali il pi noto il porhmer sodium. Anche se
ampiamente utilizzati, i derivati dell`ematoporfrina non possono essere consi-
derati dei fotosensibilizzanti ideali. Si tratta, infatti, di un insieme eterogeneo
di oligomeri, alcuni dei quali con modesta attivit fotosensibilizzante, non
suffcientemente selettivi. La fotosensibilizzazione cutanea pu persistere a
lungo e, pertanto, i pazienti devono essere protetti dalla luce solare per un
periodo di 4-6 settimane dopo la somministrazione del farmaco. Il porfmer
sodium, inoltre, viene attivato da luce, la cui lunghezza d`onda (630 nm) non
consente un`ottimale penetrazione tissutale.
B. Fotosensibilizzanti di seconda generazione. I fotosensibilizzanti di seconda
generazione hanno, rispetto ai derivati dell`ematoporfrina, un migliore indice
terapeutico. Essi, infatti, hanno una maggiore selettivit per le cellule tumorali,
una farmacocinetica comunemente pi rapida e vengono attivati da luce di lun-
ghezza d`onda che consente una maggiore penetrazione tissutale. Includono le
clorine, le ftalocianine, le texapirine, le porporine e l`acido aminolevulinico.
1. Clorine. I fotosensibilizzanti clorinici possono essere ottenuti per via
semisintetica mediante modifcazione della cloroflla a, o per via sintetica.
Tra le clorine sintetizzate chimicamente va menzionata la metatetrai-
drossifenilclorina (temoporfn), gi in fase di sperimentazione clinica
nel mesotelioma, nelle neoplasie del tratto aerodigestivo superiore e nel
carcinoma prostatico. Si tratta di un potente agente fotosensibilizzante,
attivo anche a dosi molto basse, che induce una sensibilizzazione cuta-
nea di durata limitata a 1-2 settimane. Esso viene attivato da luce la cui
lunghezza d`onda pari a 652 nm o da luce verde di 514 nm. Particolar-
mente interessanti sono i dati relativi al derivato della benzoporhrina
monoacido A (verteporfn), attualmente in fase di studio nelle neoplasie
cutanee ed endometriali. Nelle applicazioni cliniche viene utilizzata la
formulazione liposomiale di questo agente fotosensibilizzante, che ha una
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particolare attivit sui vasi neoformati. L`attivazione con luce di 690 nm
consente una penetrazione tissutale di circa 1 cm; la fotosensibilizzazione
cutanea persiste solo per una settimana.
2. Ftalocianine. Fotosensibilizzanti di sintesi, le ftalocianine vengono
attivate con luce la cui lunghezza d`onda di 650-776 nm. Il legame
ad alcuni ioni metallici, quali l`alluminio e lo zinco, ne incrementa la
fototossicit. Vengono eliminate rapidamente dall`organismo e danno
una fotosensibilizzazione cutanea di breve durata.
3. Texapirine. Le texapirine hanno un elevato potere di penetrazione tis-
sutale, essendo attivate da luce di 730-770 nm. La durata della fotosen-
sibilizzazione cutanea inferiore alle 72 ore. La prima sperimentazione
clinica stata condotta in pazienti con localizzazioni cutanee e sottocu-
tanee. Risultati incoraggianti sono stati riportati nelle recidive cutanee da
carcinoma mammario, nel melanoma e in altre neoplasie cutanee.
4. Porporine. SnET2, il principale fotosensibilizzante di questa classe, as-
sorbe luce la cui lunghezza d`onda pari a 660 nm. Ha una promettente
attivit nel sarcoma di Kaposi, nel basalioma e nelle metastasi cutanee
da carcinoma mammario. Un`altra possibile applicazione rappresentata
dal carcinoma prostatico.
5. Acido aminolevulinico. il solo agente fotosensibilizzante che agisca come
profarmaco. Somministrato per via endovenosa, orale o anche topica, viene
convertito mediante reazioni enzimatiche in protoporfrina IX. Quest`ul-
tima viene attivata da luce di 630 nm e provoca una fotosensibilizzazione
cutanea di 24-48 ore. A differenza di altri fotosensibilizzanti, si localizza
nelle cellule tumorali dove viene metabolizzato, piuttosto che nei vasi.
L`acido aminolevulinico stato fnora utilizzato nel trattamento di lesioni
precancerose e cancerose della mucosa orale e dell`esofago e, in un`ampia
sperimentazione in pazienti con carcinoma basocellulare, somministrato per
via topica, ha prodotto l`87% di remissioni complete. Recentemente sono
stati utilizzati anche esteri dell`acido aminolevulinico, che consentono un
migliore assorbimento per via topica. Particolarmente interessanti sono le
applicazioni diagnostiche dell`acido aminolevulinico che consente di indi-
viduare lesioni precancerose o cancerose in una fase precoce, localizzate a
livello della cavit orale, vescica, cervice uterina, apparato gastrointestinale.
L`acido aminolevulinico pu essere utilizzato, inoltre, per individuare i
margini tumorali migliorando cos la radicalit chirurgica. Promettenti sono
a tal proposito i risultati ottenuti nella chirurgia dei gliomi maligni.
II. Sorgenti luminose. Anche se tutti i tipi di sorgente luminosa possono essere
utilizzati per la terapia fotodinamica, il laser, per le sue specifche propriet, rap-
presenta quella pi idonea. Il raggio laser costituito, infatti, da protoni che hanno
le seguenti caratteristiche differenziative: sono monocromatici, ovvero hanno lun-
ghezza d`onda ed energia costanti, coerenti, ovvero le onde sono tra loro in fase
temporo-spaziale, e collimanti, ovvero i raggi sono tra loro paralleli. La capacit
di penetrazione della luce condizionata dalla lunghezza d`onda (2-3 mm per
lunghezza d`onda di 630 nm, circa il doppio per luce di 700-850 nm), ma anche
dalle caratteristiche tissutali e in particolare dalla presenza di cromofori endogeni.
Lo stesso fotosensibilizzante pu assorbire la luce limitandone la penetrazione
nel tessuto (fenomeno del self shielding). Molti di questi agenti, inoltre, vanno
incontro a fotodistruzione durante l`esposizione alla luce (photobleaching).
PRNCP D RADOTERAPA 405
Applicazioni cliniche
La terapia fotodinamica un trattamento locoregionale con promettente attivit terapeutica
in oncologia. La limitata capacit di penetrazione pu essere considerata un vantaggio
o uno svantaggio in diverse condizioni cliniche: essa rappresenta un limite in presenza
di masse neoplastiche di grandi dimensioni, mentre un vantaggio per il controllo di
lesioni precancerose o cancerose a diffusione superfciale o per eradicare foci micro-
scopici residuati dopo chirurgia. Il breve raggio d`azione consente, inoltre, di limitare
gli effetti tossici a carico dei tessuti sottostanti la neoplasia. il caso, ad esempio, del
mesotelioma o di altri tumori a localizzazione pleurica, in cui la terapia fotodinamica
potenzialmente in grado di controllare la malattia con effetti citotossici trascurabili sul
parenchima polmonare sottostante.
I. Lesioni precancerose
A. Esofago di Barrett. Alcune esperienze cliniche con porfrem sodium hanno
dimostrato che la terapia fotodinamica pu essere curativa in pazienti che pre-
sentino metaplasia intestinale della mucosa dell`esofago distale con displasia
grave o anche con trasformazione adenocarcinomatosa negli stadi pi precoci.
In uno studio di Overholt e Panjehpour, la completa regressione delle lesioni
displastiche e/o carcinomatose si osservata nel 93% dei pazienti trattati e
l`estensione della mucosa di Barrett si ridotta in misura pari al 75-80%.
La stenosi esofagea rappresenta la principale complicanza di questo tipo di
trattamento e pu richiedere ripetuti interventi di dilatazione endoscopica.
B. Displasia della mucosa orale. In queste lesioni precancerose, frequentemente
multifocali, la terapia fotodinamica rappresenta un mezzo terapeutico effcace
in quanto consente un trattamento superfciale di ampie aree mucose che pu
essere ripetuto anche pi volte nel tempo.
II. Neoplasie intracavitarie. In neoplasie con ampia estensione superfciale, quali
il mesotelioma pleurico o peritoneale e la carcinosi peritoneale, la terapia fotodi-
namica pu rappresentare un mezzo terapeutico effcace, con tossicit limitata.
A. Neoplasie intraperitoneali. Esperimenti preclinici hanno dimostrato che la
terapia fotodinamica pu controllare l`ascite neoplastica nei topi: il fotosensibi-
lizzante HpD, somministrato per via intraperitoneale 2 ore prima del trattamento
con luce laser, determina un danno selettivo alle cellule tumorali, nelle quali
raggiunge concentrazioni 5-12 volte superiori rispetto alle cellule normali. Il
trattamento risulta curativo nell`85% dei casi. Questi risultati hanno indotto a
sperimentare questa modalit terapeutica nell`uomo, in pazienti affetti da varie
neoplasie intraperitoneali (carcinoma ovarico, tumori gastrointestinali, sarcomi,
ecc). In uno studio di fase I condotto presso il National Cancer Institute, l`intera
superfcie peritoneale stata esposta, dopo chirurgia citoriduttiva, a luce della
lunghezza d`onda di 630-514 nm. Il fotosensibilizzante usato stato il porfmer
sodium. Nei pazienti esposti a luce rossa vi stata una maggiore incidenza di
complicanze e in 3 casi si avuta perforazione intestinale. Sono attualmente
in corso studi con fotosensibilizzanti di seconda generazione, quali il temo-
porfn. Interessanti sono anche i risultati delle prime esperienze precliniche
con fotoimmunoconiugati nella carcinosi peritoneale da carcinoma ovarico.
B. Mesotelioma pleurico. Il contributo della terapia fotodinamica intraoperatoria
nel controllo del mesotelioma pleurico stato valutato in uno studio rando-
mizzato, nel quale i pazienti sono stati sottoposti a pleurectomia o pleurop-
neumonectomia terapia fotodinamica con porfmer sodium e a trattamento
adiuvante con cisplatino, interferon-2b e tamoxifene. Tra i due bracci di
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trattamento non si rilevata differenza in termini di intervallo libero da pro-
gressione e sopravvivenza. Un miglioramento dei risultati potrebbe derivare
dall`uso dei fotosensibilizzanti di II generazione. In uno studio pilota, nel quale
sono stati arruolati 4 pazienti con mesotelioma pleurico, stato utilizzato il
fotosensibilizzante temoporfn, attivato da luce di 652 nm, cui veniva esposta
l`intera superfcie dell`emitorace. Particolare attenzione stata posta in que-
sto studio alla dosimetria della luce erogata, che veniva effettuata mediante
monitoraggio in situ. Le tecniche dosimetriche, rappresentano, infatti, uno
degli aspetti della terapia fotodinamica suscettibili di miglioramento.
III. Neoplasie del distretto cervico-facciale. La terapia fotodinamica un tratta-
mento potenzialmente curativo e con tossicit limitata per carcinomi della testa e
del collo con estensione limitata; in fase di valutazione anche quale trattamento
adiuvante o per neoplasie recidivate dopo trattamenti convenzionali.
IV. Carcinoma dell`esofago. Il trattamento palliativo delle neoplasie esofagee la
prima indicazione riconosciuta dall`FDA per la terapia fotodinamica. In uno studio
multicentrico di fase II, nel quale sono stati arruolati 226 pazienti randomizzati a
ricevere un trattamento disostruttivo con laser o mediante terapia fotodinamica con
porfmer sodium, si osservato che le due modalit terapeutiche hanno un`attivit
sovrapponibile nel controllo della disfagia, ma la terapia fotodinamica determina
una maggiore percentuale di risposte obiettive ed associata ad un minor numero
di complicanze. Per lesioni superfciali, il controllo tumorale pu essere ottenuto
anche con luce verde (514 nm), la cui utilizzazione riduce ulteriormente il rischio
di perforazioni. Il trattamento pu essere ripetuto fno a un massimo di 3 volte
con un intervallo di almeno 30 giorni tra un`applicazione e l`altra e consente di
ottenere la regressione di neoplasie il cui spessore massimo di 3-4 cm.
V. Neoplasie delle vie biliari. La terapia fotodinamica attualmente considerata
un trattamento standard in pazienti affetti da colangiocarcinoma non operabile
in considerazione dei risultati di un recente studio randomizzato che ha dimo-
strato un vantaggio in sopravvivenza e qualit della vita per pazienti sottoposti
a posizionamento di drenaggio biliare seguito da terapia fotodinamica, rispetto
al solo drenaggio biliare.
VI. Neoplasie polmonari. Analogamente alle lesioni esofagee, i tumori polmonari a
localizzazione centrale, possono essere trattati mediante fbre ottiche che raggiun-
gono il sito tumorale per via endoscopica. La terapia fotodinamica viene utilizzata
prevalentemente per lesioni agli stadi precoci, nelle quali i risultati sono molto
incoraggianti. In un`ampia casistica presentata da un gruppo di ricercatori giap-
ponesi, la percentuale di risposte complete in pazienti con carcinoma polmonare
non microcitoma con estensione limitata stata pari all`83%. Pi recentemente
questa modalit terapeutica stata utilizzata anche per neoplasie di piccole di-
mensioni a localizzazione periferica. In alcuni studi clinici la terapia fotodinamica
stata impiegata come trattamento neoadiuvante, con l`intento di aumentare il
numero di resezioni chirurgiche e consentire un maggior numero di interventi
conservativi. Interessanti sono i risultati di uno studio nel quale la terapia foto-
dinamica preoperatoria, con porfmer sodium quale agente fotosensibilizzante,
ha consentito un intervento conservativo in 18/20 pazienti inizialmente candidati
alla pneumonectomia e ha reso resecabili 4/5 pazienti che erano stati giudicati
inoperabili. Un trattamento fotodinamico intraoperatorio stato utilizzato in
uno studio clinico in 22 pazienti con neoplasia polmonare non microcitoma con
interessamento pleurico. I risultati della sperimentazione sembrano interessanti:
PRNCP D RADOTERAPA 407
il controllo locale della malattia a 6 mesi si ottenuto nel 73% dei casi, con una
sopravvivenza mediana di 21.7 mesi. La terapia fotodinamica pu essere, infne,
utilizzata con intento palliativo per neoplasie stenosanti il lume bronchiale.
VII. Neoplasie cutanee. Risultati incoraggianti sono stati riportati in diversi studi
clinici in pazienti con neoplasie cutanee quali il basalioma e il carcinoma a
cellule squamose.
VIII. Neoplasie uroteliali. Nel trattamento del carcinoma in situ o invasivo microsco-
pico della vescica o delle vie urinarie superiori, la terapia fotodinamica consente
di ottenere un`elevata percentuale di remissioni complete. Limitato , invece, il
potenziale terapeutico per lesioni di diametro superiore a 1.5 cm, nelle quali la
percentuale di risposte complete pari al 33%.
IX. Trattamento interstiziale di neoplasie solide. Questa tecnica pu teoricamente
consentire di utilizzare la terapia fotodinamica anche per neoplasie a localizza-
zione profonda. Un limite della metodica rappresentato, per, dalla diffcolt
di effettuare accurate valutazioni dosimetriche della luce erogata. Risultati in-
coraggianti sono stati riportati in pazienti con carcinoma prostatico recidivato
dopo radioterapia, nei quali il trattamento fotodinamico consente il controllo della
malattia in un`elevata percentuale di casi, con ridotta incidenza di complicanze
quali impotenza ed incontinenza, rispetto a quanto riportato con altre terapie di
salvataggio. Altre possibili applicazioni della terapia fotodinamica interstiziale
sono rappresentate da neoplasie polmonari a localizzazione periferica, tumori
pancreatici, epatici e gliomi.
X. Altre indicazioni. Alcune esperienze cliniche indicano una possibile applicazione
della terapia fotodinamica nell`early gastric cancer e in alcune neoplasie ginecolo-
giche. In pazienti con recidiva della parete toracica da carcinoma mammario,
la terapia fotodinamica rappresenta un trattamento potenzialmente effcace, con
tossicit limitata. Nei primi studi clinici, la completa regressione delle lesioni
della parete toracica, stata riportata nella maggior parte delle pazienti trattate.
Tossicit
Il principale effetto collaterale della terapia fotodinamica rappresentato dalla foto-
sensibilizzazione, che richiede l`adozione di una serie di accorgimenti che mirano a
proteggere il paziente da sorgenti luminose per un periodo di tempo variabile a seconda
del fotosensibilizzante usato. Al termine di questo periodo, l`esposizione alla luce deve
essere comunque graduale. Si pu verifcare, inoltre, eritema e dolore nella zona trat-
tata e, meno frequentemente, febbre e stipsi. Nausea, vomito, dispnea, versamento
pleurico, algie addominali e anemizzazione secondaria al sanguinamento tumorale,
possono presentarsi in pazienti sottoposti a terapia fotodinamica per neoplasie esofagee.
Sono stati segnalati, inoltre, alcuni episodi di tachicardia e hbrillazione atriale.
Prospettive future
Il ruolo della terapia fotodinamica nell`oncologia clinica ancora in fase di defnizione.
Fatta eccezione per alcune condizioni cliniche nelle quali viene utilizzata prevalentemente
con intento palliativo, questa modalit terapeutica resta un approccio sperimentale che
deve essere validato in studi clinici che tengano in considerazione, tra l`altro, gli aspetti
dosimetrici. , infatti, diffcile valutare l`attivit di un trattamento in assenza di un`ade-
guata misurazione della dose di luce erogata. L`integrazione della terapia fotodinamica
con le altre modalit terapeutiche locoregionali o sistemiche (chirurgia, radioterapia,
chemioterapia, immunoterapia) un altro aspetto che deve essere valutato.
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