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RADOLOGA NTERVENTSTCA 315

|u|g| T|pa|d|, Marco M|nnett|

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La radiologia interventistica (RI) comprende un insieme di tecniche e metodiche che
consentono fnalit terapeutiche para-chirurgiche prevalentemente percutanee, sincrone
o successive alla fase diagnostica, con l`utilizzo delle stesse apparecchiature usate per la
diagnosi (fuoroscopia convenzionale o digitale, ultrasuoni, tomografa computerizzata
e risonanza magnetica). Questa branca della radiologia ha conosciuto uno sviluppo cos
rapido nell`ultimo decennio che attualmente, grazie al continuo evolversi dei materiali,
delle tecniche di cateterismo e dei mezzi diagnostici a disposizione, affanca e spesso si
sostituisce all`intervento chirurgico, quasi sempre con costi assai minori e con minore
invasivit per il paziente. In oncologia tali tecniche permettono procedure diverse, cos
distinguibili: metodiche vascolari, metodiche ablative percutanee, metodiche palliative
bilio-digestive, urologiche e del sistema muscolo-scheletrico.
Metodiche vascolari
Mediante le tecniche del cateterismo vascolare possibile eseguire procedure di infusione
o di embolizzazione, utili nel trattamento delle neoplasie.
I. Infusioni. Comuni ad entrambi i distretti vascolari sono gli impianti sottocutanei
di accessi vascolari, radiologicamente guidati, per uso temporaneo o a lungo ter-
mine. Tali impianti, sviluppati inizialmente per le infusioni intravenose ripetute o
continue (port-a-cath), sono disponibili, sicuri e poco costosi anche negli accessi
arteriosi. Il posizionamento superselettivo di cateteri arteriosi di 4-5 French con
'reservoir impiantabile trova indicazione nella chemioterapia loco-regionale
somministrata dopo l`intervento chirurgico, nel trattamento di lesioni metasta-
tiche epatiche con o senza 'stop-fow portale, nella citoriduzione di neoplasie
estese e a puro scopo di palliazione. La terapia endoarteriosa locoregionale si
pu utilizzare nel trattamento dei tumori ginecologici con accesso transfemorale
e cateterismo selettivo dell`arteria iliaca interna o dell`uterina; nei tumori mam-
mari con accesso transbrachiale e cateterismo dell`arteria mammaria interna o
della toracica laterale; nei tumori epatici primitivi e secondari e nel carcinoma
pancreatico con introduzione del catetere dalla femorale, dall`ascellare o dalla
succlavia e posizionamento dello stesso nell`arteria epatica comune o in una sua
branca divisionale; nelle neoplasie della testa e del collo con accesso dalla succla-
via e cateterismo della carotide esterna, ecc. Le complicanze sono scarse e, come
per gli accessi venosi, essenzialmente di carattere trombotico (0.06%) e infettivo
(0.03%). Con tali accessi sono stati riportati buoni risultati in alcuni pazienti con
tumori recidivati o inoperabili nei quali altri trattamenti, come radioterapia o che-
mioterapia sistemica, erano risultati insuffcienti, non indicati o impossibili. Nel
versante venoso le procedure di interventistica vascolare in oncologia prevedono
anche il posizionamento di stent nelle ostruzioni cavali superiori o inferiori.
Rad|o|og|a |ntervent|st|ca
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II. Embolizzazioni. Le tecniche di embolizzazione si sono sviluppate grazie alla
disponibilit di cateteri sempre pi piccoli, di guide cave, di palloncini staccabili
e di materiali per occlusione sempre pi affdabili. A seconda del materiale in
uso, l`embolizzazione pu essere temporanea o permanente. Nel primo caso si
usano sostanze che possono essere lisate (riassorbibili) e quindi permettono la
riapertura del vaso a distanza di tempo variabile, come i coaguli omologhi, le
spugne di gelatina o fbrina e il collagene microfbrillare. Pertanto, esse sono
utili per affrontare situazioni di emergenza. Nel caso di embolizzazione per-
manente si utilizzano sostanze che provocano una occlusione permanente del
letto arterioso o venoso e possono essere liquide (alcool polivinilico, bucrilato),
metalliche (spirali) o costituite da palloncini staccabili montati su catetere. Da
un punto di vista clinico l`embolizzazione pu essere divisa in preoperatoria,
defnitiva e palliativa, quest`ultima effettuata spesso nei pazienti oncologici,
nei quali la chirurgia non sia risolutiva o non praticabile, ovvero nei pazienti
con sintomi gravi da controllare, come l`ematuria massiva nei tumori renali e
il dolore nelle metastasi ossee. Scopo precipuo delle embolizzazioni palliative
la riduzione delle dimensioni del tumore a scopo antalgico agendo sui vasi
afferenti alla massa e determinandone la necrosi. Esempi sono il trattamento
di metastasi ossee provocanti compressioni nervose, di metastasi epatiche con
dolore da compressione sul frenico o sui nervi intercostali, di dolori da tumori
retroperitoneali. Nell`ambito dei trattamenti palliativi rientra anche l`emboliz-
zazione in caso di sanguinamento di una neoplasia, come pu verifcarsi nelle
neoplasie pelviche e nei tumori renali.
Nel gruppo delle embolizzazioni terapeutiche rientrano quelle pre-chirurgi-
che in cui si vuole ottenere una necrosi completa del tumore e la possibilit di
una asportazione chirurgica in un campo esangue, con minori rischi generali e
di disseminazione neoplastica. Ultimamente si vanno diffondendo le tecniche
combinate, ossia le procedure di embolizzazione associate alla chemioterapia
loco-regionale transcatetere.
Le complicanze generali correlate all`embolizzazione delle neoplasie dipendono
soprattutto dall`estensione della necrosi, che provoca un`acidosi lattica ed una
sindrome infammatoria, con febbre e leucocitosi. Nel focolaio di embolizzazione,
inoltre, si pu sviluppare un ascesso per infezione post-necrosi.
A. Embolizzazione di singole neoplasie
1. Tumori del fegato e del pancreas. Nei tumori epatici primitivi e in
alcuni secondari la terapia di elezione la resezione chirurgica, che spes-
so tuttavia non possibile per l`estensione delle lesioni e le condizioni
generali del paziente. Terapie alternative sono l`infusione di cito-statici,
l`embolizzazione arteriosa (TAE, transcatheter arterial embolisation), la
chemioembolizzazione (TACE, transcatheter arterial chemo-embolisa-
tion) e le terapie ablative percutanee. Le prime tre si basano sul principio
anatomico che l`irrorazione del fegato sano fornita per l`80% dal circolo
portale e per il 20% dal circolo arterioso epatico; le lesioni neoplastiche
primitive o secondarie del fegato sono irrorate quasi esclusivamente
dall`arteria epatica. In tal modo si pu sfruttare il cateterismo selettivo
di tale arteria (Fig. 16.1) per eseguire infusioni o embolizzazioni del fe-
gato senza signifcativo danno per il parenchima sano. Con tale tecnica,
tuttavia, risultato spesso impossibile ottenere la completa necrosi del
tumore, soprattutto nei casi di masse con diffusione intracapsulare ed
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extracapsulare. Anche nei casi trattati con successo si osservano recidive
di malattia e la sopravvivenza a lungo termine bassa (15% e 6% rispet-
tivamente a 3 e 5 anni). L`embolizzazione nelle metastasi da neoplasie
endocrine del pancreas e da carcinoide pu determinare la riduzione e
spesso la risoluzione dei sintomi legati all`increzione di peptidi e amine
vasoattive, responsabili di rash cutaneo e diarrea profusa. Nei casi di lesio-
ni metastatiche emorragiche o con shunt artero-venosi l`embolizzazione
pu risolvere il quadro clinico.
Le complicanze della metodica sono legate alla sindrome post-emboliz-
zazione con febbre, dolore, vomito ed eventuale formazione di ascessi.
Pi grave pu risultare la necrosi ischemica della colecisti, che richiede
l`intervento chirurgico.
2. Tumori del rene. L`embolizzazione delle neoplasie renali ha conosciuto
circa due decenni orsono un momento di grande diffusione, poi i risultati
clinici controversi hanno contribuito alla progressiva perdita di indicazioni,
che attualmente sono limitate al controllo dell`ematuria, della policitemia,
dell`ipercalcemia ed alla possibilit di ridurre di volume masse neoplastiche
sintomatiche, anche per facilitarne la rimozione chirurgica. Per ottenere una
A B
C
Fig. 16.1. Chemioembolizzazione di epatocarcinoma. A.
Angiografa selettiva del tripode celiaco che dimostra
lesione nodulare dell`8 segmento, ipervascolarizzata. B.
Cateterismo superselettivo dell`arteria epatica destra per
iniezione selettiva della miscela lipiodol-doxorubicina.
Il controllo dimostra accumulo abbondante di lipiodol
nel nodulo neoplastico. C. Controllo agiografco dopo
embolizzazione con cateterismo selettivo dell`arteria
epatica comune evidenziante l`ostruzione dell`arteria
dell`8 segmento e l`assenza di vascolarizzazione del
nodulo di epatocarcinoma.
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buona necrosi tumorale a livello renale occorre effettuare una embolizzazione
delle arteriole con materiale che si distribuisce in periferia, come l`ivalon o
il gelfoam, associato a spirali metalliche per occludere i vasi pi centrali.
3. Tumori della vescica, prostata, utero, vagina, vulva. L`embolizzazione
di questi tumori ha lo scopo di trattare le emorragie imponenti correlate
alla presenza del tumore stesso. L`embolizzazione selettiva delle arterie
afferenti alla neoplasia spesso non praticabile per la tortuosit dei vasi e
allora si pu procedere all`occlusione prossimale delle arterie ipogastriche
con spirali metalliche.
4. Tumori ossei. In questi casi l`embolizzazione pu essere pre-chirurgica,
per rendere esangue il campo operatorio, o palliativa per la riduzione dei
sintomi legati alla compressione, come nelle metastasi e nelle forme non
operabili per la sede.
III. Ecograha intravascolare. L`ecografa intravascolare (intravascular ultrasono-
graphy, IVUS) un esame ecografco su catetere ideato per migliorare la diagno-
stica ed il trattamento delle lesioni coronariche, aortiche e arteriose periferiche.
Viene eseguito allo stesso tempo operatorio dell`angiografa classica e consente
lo studio dettagliato della parete del vaso oltre alle strutture adiacenti, miglio-
rando l`accuratezza diagnostica. Il sistema emette e riceve onde ultrasonore; il
trasduttore collocato alla punta del catetere angiografco e pu lavorare a varie
frequenze, meglio se a 12 o 20 MHz. Viene cos consentita l`acquisizione sepa-
rata di 500-600 immagini per ogni centimetro di vaso esplorato, rappresentate
su monitor in scala dei grigi, come una comune immagine ecografca.
In oncologia la tecnologia IVUS riveste importanza sempre crescente nella
valutazione pre-operatoria del carcinoma pancreatico, ove esiste la necessit
di effettuare diagnostica di III livello, pi accurata e sensibile della vena porta,
della vena mesenterica superiore e delle strutture limitrofe allo scopo di studiare
in modo segmentarlo l`eventuale sede di infltrazione tumorale e delimitarne
l`estensione (Fig. 16.2). Ci di fondamentale importanza nella pianifcazione
chirurgica dei tumori pancreatici per valutare la necessit di un 'patch vascolare
e la fattibilit dell`anastomosi vascolare.
Fig. 16.2. Esame ecografco intravascolare (IVUS). evidente la presenza di tessuto infltrante e vegetante
nella vena porta (A, B: tra le ore 2 e 4). L`infltrazione pu essere agevolmente delimitata nella sua
estensione longitudinale, criterio utile per la pianifcazione chirurgica.
A B
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Dal punto di vista tecnico l`ecografa intravascolare della vena porta e della vena
mesenterica superiore si esegue con puntura percutanea di un ramo portale epatico
e introduzione di un catetere angiografco tipo 'Cobra per l`effettuazione di un
esame contrastografco degli stessi vasi (portografa e febografa mesenterica).
Su una guida metallica si posiziona quindi il catetere per IVUS e si esegue
l`esame ecografco intravasale, rilevando l`eventuale presenza di infltrazione
e/o trombosi neoplastica e valutandone l`estensione longitudinale.
A fronte di una bassa percentuale di complicanze tale esame consente una
accuratezza del 95%, una sensibilit del 97% ed una specifcit del 94% nella
defnizione dell`estensione longitudinale della infltrazione vasale e mostra buona
correlazione con i dati istopatologici.
Metodiche ablative percutanee
Riguardano essenzialmente il fegato, ma sono state di recente applicate anche in altri
distretti.
I. Procedure ablative epatiche. Il raffnarsi dei metodi di diagnostica per immagi-
ni ed i miglioramenti delle tecniche bioptiche con ago sottile hanno portato allo
sviluppo di metodi terapeutici percutanei, in cui l`agente terapeutico immesso
direttamente all`interno della lesione. Mentre l`effcacia clinica di alcune di
queste tecniche microinvasive, come l`instillazione percutanea di etanolo per
il trattamento dell`epatocarcinoma, stata chiaramente defnita, molti di questi
metodi utilizzano tecnologie in rapida evoluzione e quindi non si pu ancora
stabilire con certezza se siano di reale benefcio. Le terapie percutanee per il
trattamento delle lesioni epatiche comprendono l`uso di agenti chimici citotossici
e di metodiche che inducono un danno termico.
A. Agenti chimici. usata l`iniezione di composti chimici citotossici quali etanolo,
soluzione fsiologica bollente o acido acetico per indurre morte cellulare. Per
il trattamento di piccoli epatocarcinomi, l`iniezione percutanea eco-guidata
di etanolo (PEI, percutaneous ethanol injection) ha dimostrato ottimi risultati
(Fig. 16.3), con sopravvivenze maggiori anche rispetto alla chirurgia. Tuttavia,
nelle lesioni pi grandi di 3 cm l`omogenea iniezione intratumorale di etanolo
pu risultare diffcile a causa della resistenza offerta dalla consistenza stessa
della massa e dalla presenza di setti, che ostacolano la diffusione del liquido
necrosante, il che pu rendere il trattamento ineffcace. Recentemente sono state
utilizzate metodiche combinate di embolizzazione e di iniezione percutanea
di etanolo negli epatocarcinomi estesi, con l`85% di sopravvivenza a 3 anni.
B. Danno termico. I metodi che inducono danno termico comprendono radiofre-
quenza, laser, crioterapia, ultrasuoni focalizzati e microonde. Tutti determina-
no, con meccanismi diversi, la morte cellulare per necrosi coagulativa.
Per l`utilizzo degli ultrasuoni focalizzati e delle microonde occorrono ulte-
riori progressi tecnologici e pi estese esperienze cliniche. Tra le tecniche
percutanee che inducono danno termico tessutale rivestono attualmente
maggiore importanza nella terapia delle lesioni epatiche il laser e la radio-
frequenza, risultando la crioterapia di eminente pertinenza chirurgica, poich
necessario il ricorso alla laparotomia.
1. Laser. La fotocoagulazione interstiziale laser induce coagulazione termo-
mediata mediante sottili fbre ottiche (Nd.YAG) inserite per via percutanea
nel bersaglio, sotto guida ecografca. La percentuale di successi (intesa
come presenza di necrosi totale e controllo della crescita tumorale) va
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dal 45% al 75%, specie nelle metastasi epatiche da colon-retto, con un
2-3% di complicanze.
2. Radiofrequenza. La terapia ablativa percutanea mediante radiofrequenza
(RF) consiste nell`introdurre sotto guida ecografca nella lesione da trattare
un ago-elettrodo collegato ad un generatore, che riesce ad emettere nel tes-
suto un`onda elettromagnetica di circa 500 Khz di frequenza, che provoca
agitazione molecolare, ossia calore. Per un certo raggio attorno alla punta
dell`elettrodo si superano le temperature letali per la cellula, con conseguente
morte cellulare. L`ipertermia lieve attiva nella cellula il meccanismo del-
l`apoptosi, l`ipertermia pi elevata provoca morte cellulare per necrosi.
a. Metastasi da carcinoma colorettale.Si prestano al trattamento loco-
regionale con termoablazione a RF in virt delle peculiari caratteristi-
che biologiche. Esse tendono, infatti, ad essere poco numerose, a lenta
velocit di crescita e a sviluppo espansivo fno a grossi volumi; sono
generalmente poco vascolarizzate, fatto importante perch il fusso
ematico ostacola l`incremento della temperatura tessutale, aumentando
la dispersione del calore per convezione; hanno scarsa tendenza alla
diffusione extraepatica. La sopravvivenza complessiva ad 1 anno di
circa il 100%, a 2 anni di circa il 61%.
b. Neoplasie epatiche primitive.In questi tumori, la termoablazione con
RF rappresenta una metodica semplice ed effcace. Le percentuali di
A B
C
Fig. 16.3. Alcolizzazione di epatocarcinoma. A.
Dimostrazione ecografa di nodulo ipoecogeno,
solido rappresentante un epatocarcinoma. B.
Iniezione di etanolo eseguita con centraggio e
guida ecografa con dimostrazione della diffusione
dell`agente chimico in tutto il nodulo che assume
caratteristiche ecografiche di iperecogenit.
C. Controllo TC a 6 mesi dalla alcolizzazione
evidenziante necrosi completa del nodulo.
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sopravvivenza, di circa il 94% ad 1 anno per gli epatocarcinomi di vo-
lume non superiore ai 4 cm, sono incoraggianti e sembrano equivalenti
a quelle raggiunte con la resezione chirurgica. La RF, utilizzata in tale
patologia inizialmente solo nel trattamento del tessuto vitale residuo
dopo alcolizzazione o chemioembolizzazione, si sta progressivamente
imponendo come terapia di scelta in singola sessione nell`epatocar-
cinoma di dimensioni medio-piccole. Gli avanzamenti tecnologici
hanno inoltre permesso di sviluppare dispositivi che consentono il
trattamento di lesioni epatiche pi grandi grazie alla possibilit di
ottenere volumi di necrosi maggiore, come gli elettrodi ~a perfu-
sione o aghi freddi. Con tali aghi, raffreddati alla punta per mezzo
di acqua distillata che scorre in un sistema coassiale, si raggiunge
il giusto grado di temperatura all`interno della lesione e si evita la
carbonizzazione tessutale, che rappresenta un ostacolo alla diffusione
radiale dell`energia. Si possono cos trattare lesioni pi grandi con
maggior grado di accuratezza terapeutica. I risultati del trattamento
vanno valutati con TC spirale e RM con mezzo di contrasto, dato
che l`ecografa non permette di differenziare il tessuto necrotico da
quello tumorale ancora vitale eventualmente presente. Una risposta
completa indicata alla TC e alla RM da aree ben demarcate di bassa
densit ed iposegnale prive di potenziamento contrastografco. Nelle
lesioni in cui la risposta stata parziale la porzione di tessuto tumo-
rale vitale di solito localizzata alla periferia della lesione trattata o
in prossimit dei grossi vasi sanguigni, che aumentano la dispersione
del calore ostacolando un adeguato incremento della temperatura. Le
complicanze del trattamento sono limitate a modesto dolore locale o
senso di fastidio; raro l`emoperitoneo. Le controindicazioni al tratta-
mento sono la coesistenza di diffusione extraepatica della malattia, la
presenza di trombosi portale neoplastica, una grave coagulopatia.
II. Procedure ablative extraepatiche. Del tutto recentemente, sulla scorta degli
ottimi risultati ottenuti a livello epatico, alcune serie cliniche hanno riguardato
l`utilizzo dell`ablazione a radiofrequenza nel trattamento dei tumori renali, pol-
monari, ossei, della mammella e della prostata.
Nei tumori renali e nel carcinoma prostatico localizzato i risultati della radio-
frequenza appaiono promettenti, ma occorrono casistiche pi ampie e risultati
controllati sull`effcacia a lungo termine. Le procedure vengono effettuate nei
tumori renali con guida TC e in quelli della prostata per via transperineale sotto
controllo ecografco transrettale biplanare.
L`uso della radiofrequenza nei tumori polmonari necessita di basso wattaggio e
minore energia rispetto al trattamento delle lesioni epatiche. La tecnica simile
a quella per le biopsie polmonari ed eseguita sotto controllo TC ed assistenza
anestesiologica. Vari protocolli nel follow-up prevedono lo studio del decremento
volumetrico del tumore e l`assenza di captazione del contrasto per la valutazione
dei risultati del trattamento. In futuro l`uso della PET potr essere di ausilio per
valutare l`effcacia della radiofrequenza.
Per quanto concerne gli altri organi il trattamento con radiofrequenza va ideato
sulla base della diversa specifca morfologia, vascolarizzazione e conducibilit
elettrica delle sedi bersaglio, tenendo conto che, allo stato, tali opzioni vanno
riservate ai pazienti non candidati all`intervento chiurgico.
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Metodiche palliative bilio-digestive
I. Trattamento dell`ittero ostruttivo. Gli interventi palliativi su pazienti affetti
da ittero ostruttivo neoplastico possono essere eseguiti con tecnica chirurgica
(derivazioni bilio-digestive), endoscopica o percutanea, con ricanalizzazione
transtumorale della via biliare o con drenaggio biliare esterno.
La derivazione biliare percutanea stata introdotta nella pratica clinica da cir-
ca 30 anni e, da allora, il continuo miglioramento della tecnica e dei materiali
l`hanno resa metodica affdabile e sicura nel trattamento di tale patologia.
A. Indicazioni. Le indicazioni agli interventi derivativi biliari sono diverse a
seconda della localizzazione della ostruzione.
1. Ostruzioni basse. Le ostruzioni basse (interessanti il terzo medio o il
terzo distale della via biliare principale) sono dovute prevalentemente a
neoplasie del pancreas, della papilla, della via biliare stessa e a linfopatie
ripetitive delle stazioni peripancreatiche o del legamento epatoduodenale.
In questi pazienti possono essere eseguite tutte le tecniche di derivazione,
per cui la scelta deve riguardare altri parametri, come la possibilit di lunga
sopravvivenza (superiore ad 1 anno) e la tollerabilit della procedura.
Nei pazienti con lunga aspettativa di vita e/o con necessit di eseguire
anche una derivazione digestiva per possibile ostruzione del duodeno
(gastro-enteroanastomosi), in buone condizioni generali, indicata la
tecnica chirurgica di derivazione biliare che presenta, a distanza, una
minore incidenza di complicanze. In tutti gli altri pazienti le procedure
endoscopiche e radiologiche sono alternative che assicurano risultati e
complicanze sovrapponibili. La scelta tra le due tecniche , pertanto,
piuttosto legata all`esperienza degli operatori dei centri di riferimento che
ai vantaggi propri delle due metodiche. Nei pazienti che hanno gi subito
interventi chirurgici di anastomosi gastroenteriche o sulle vie biliari, la
tecnica percutanea radiologica la pi indicata. In tali pazienti l`approccio
endoscopico infatti molto diffcoltoso, spesso impossibile, e la tecnica
chirurgica gravata da un elevato numero di insuccessi e da complicanze
a distanza, dovuti agli esiti fbrotico-cicatriziali.
2. Ostruzioni alte. Le ostruzioni alte interessano il dotto epatico comune,
il carrefour dei dotti epatici e le vie biliari intraepatiche, con settorializ-
zazione a vari livelli dell`albero biliare. Queste ostruzioni sono dovute
principalmente a neoplasie della colecisti, delle vie biliari, lesioni nodulari
primitive e secondarie del fegato o a linfopatie delle stazioni del legamento
epato-duodenale. Il trattamento di queste ostruzioni pi diffcoltoso e
solo raramente fattibile con tecniche chirurgiche di polidutto-digiuno-
stomia. Queste vengono effettuate soltanto nel caso di interventi con
intento radicale, mentre non sono indicate nelle derivazioni palliative. Il
trattamento di scelta quello radiologico percutaneo (Fig. 16.4), che
in grado di fornire buoni risultati in un numero elevato di casi. Talvolta
possono essere indicate tecniche combinate percutanee ed endoscopiche,
allo scopo di assicurare un drenaggio biliare interno soddisfacente con
ricostruzione con una o pi endoprotesi della porzione interessata del-
l`albero biliare. Le derivazioni biliari percutanea o endoscopica possono
anche essere indicate nei pazienti con ittero molto elevato in preparazione
all`inter-vento chirurgico allo scopo di ridurre i valori di bilirubinemia e
consentire un miglioramento delle condizioni generali.
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B. Tecnica di esecuzione. Il drenaggio biliare percutaneo viene, di regola,
eseguito in sala radiologica con guida fuoroscopica, eventualmente previo
centraggio ecografco. Il paziente viene posizionato in decubito supino con
braccio destro sollevato. Si prepara sterilmente l`area addominale e si effettua
anestesia di superfcie con 1 ml di carbocaina o xilocaina al 2% nel punto
di introduzione dell`ago, scelto preventivamente. L`approccio pu essere
effettuato sia con puntura del lobo destro che del lobo sinistro, a seconda
della localizzazione dell`ostruzione. In caso di ostruzioni che settorializzano
l`albero biliare possono essere necessari due o pi cateteri di drenaggio. In
caso di ostruzioni basse indifferente introdurre l`ago-cannula da destra o
da sinistra; viene utilizzato prevalentemente l`approccio destro perch pi co-
modo e sicuro per l`operatore mentre la sinistra una via pi diretta e risulta
pi semplice il superamento di ostruzioni neoplastiche. L`esame inizia con
l`introduzione di un ago di Chiba da 21-22 gauge con o senza guida ecogra-
fca per reperire un dotto biliare ed eseguire una colangiografa percutanea
Fig. 16.4. Drenaggio biliare interno per ittero ostruttivo da neoplasia primitiva della via biliare con
interessamento del carrefour dei dotti epatici comuni. A. Col angiografa per cutanea che dimostra la
dilatazione dell`albero biliare e l`assenza di comunicazione tra l`albero biliare destro e il sinistro. La
neoplasia misura circa 4 cm di diametro. B. Superamento dell`ostruzione con approccio dall`albero
biliare sinistro e posizionamento di catetere di drenaggio con estremo distale in duodeno e fori laterali
nella via biliare principale e nell`albero biliare sinistro. C. Superamento dell`ostruzione con approccio da
destra e dimostrazione di drenaggio funzionante a sinistra e di dilatazione delle vie biliari di destra. D.
Posizionamento di drenaggio interno da destra. Il controllo dimostra che i cateteri di drenaggio sono ben
posizionati e funzionanti con drenaggio dell`intero albero biliare.
A B
C D
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per una appropriata valutazione della disposizione dei dotti biliari, della
dilatazione e del livello della stenosi o della ostruzione. L`operatore sceglie
il dotto biliare pi idoneo ed introduce, con guida fuoroscopica, un ago o
un ago-cannula nel dotto prescelto, in grado di permettere l`incannulamento
con guida metallica da 0.35 pollici. Raggiunto il livello della ostruzione con
guida e catetere, si tenta il superamento della stessa. Qualora non si riesca
a superare l`ostruzione, si posiziona un catetere di drenaggio biliare esterno
da 10-12 French conformato a 'coda di maiale a fori multipli, che permette
alla bile di defuire in una sacca collegata con un raccordo al catetere. Nei
casi in cui si supera l`ostruzione (90% dei casi) e si raggiunga il duodeno, si
effettuano dilatazioni con cateteri a palloncino o scalari del tratto stenotico
e si posiziona un catetere con fori multipli laterali e puntali. Questo drenag-
gio, defnito interno-esterno, consente il defusso della bile nell`intestino e
in alternativa, all`esterno. Dopo circa 12 settimane dal posizionamento di
quest`ultimo drenaggio, quando il tramite cute-dotto biliare suffcientemente
stabilizzato, pu essere posizionata una endoprotesi di materiale plastico o
di metallo autoespansibile, che consente il solo drenaggio biliare interno.
Tutte le procedure descritte possono essere eseguite in anestesia locale.
Soltanto il posizionamento del drenaggio iniziale e la dilatazione del tratto
patologico possono essere dolorose al punto di richiedere saltuariamente
una sedazione profonda. Il drenaggio biliare richiede un`ospedalizzazione
di 24-48 ore, mentre il posizionamento di endoprotesi pu essere eseguito
anche ambulatorialmente.
C. Risultati e complicanze. La tecnica percutanea quella che consente il
drenaggio nella maggioranza dei casi e, quindi, il miglioramento delle con-
dizioni generali del paziente e l`abbattimento dei valori di bilirubinemia (in
media di 3-4 punti nei primi due giorni e di 1 punto al giorno fno a livelli
normali quando drenato l`intero albero biliare). Il drenaggio biliare esterno
normalmente mal tollerato dal paziente, sia per la presenza della sacca ester-
na sia per il mancato passaggio di bile nell`intestino, che provoca problemi
digestivi. Il drenaggio biliare interno-esterno ha una buona tollerabilit e
consente di avere una via facilmente accessibile sia per il cambio di catetere
che per procedure diagnostiche colangiografche. La migliore tollerabilit
si ottiene con le endoprotesi biliari, che consentono ai pazienti una normale
vita di relazione; tuttavia tali protesi vanno incontro a frequenti ostruzioni,
che rendono necessaria la sostituzione o la disostruzione, non sempre age-
vole. Le complicanze pi importanti della metodica sono rappresentate dalle
emorragie, dall`emoperitoneo e dal bileperitoneo in fase acuta e dalla ostru-
zione/dislocazione dei cateteri o delle protesi a distanza. La procedura ha,
nel complesso, una mortalit pre-operatoria inferiore al 2% e una morbilit
del 10-15%. Il tempo di ricovero medio di 4 giorni. Le complicanze a
distanza, quali le dislocazioni, sono molto pi frequenti nei drenaggi esterni
e interno-esterno, mentre sono rare nelle endoprotesi (inferiori al 5%). Le
ostruzioni incorrono in misura direttamente proporzionale al tempo di perma-
nenza e superano il 50% dopo gli 8 mesi dal posizionamento, richiedendo la
sostituzione della endoprotesi plastica o la ricanalizzazione dellaendoprotesi
metallica. opportuno trattare il paziente portatore di drenaggio biliare con
farmaci fuidifcanti della bile e con terapia antibiotica preventiva di una
settimana ogni mese.
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II. Gastrostomia percutanea. La gastrostomia consiste nella creazione di un tramite
trans-addominale con lo stomaco per un supporto nutritivo nei casi ove sia im-
possibile l`alimentazione per bocca ovvero a scopo decompressivo preoperatorio,
nei rarissimi casi di ostruzione organica a valle, nei quali non risulti possibile
l`applicazione di un sondino naso-gastrico.
La gastrostomia percutanea una metodica radiologica che consiste nella in-
troduzione di un catetere nel lume gastrico per via transcutanea attraverso la
parete antero-laterale dell`addome, con tecnica 'Trocar o di Seldinger, previa
distensione gassosa dello stomaco con polveri effervescenti o con sondino naso-
gastrico. I cateteri per gastrostomia devono avere conformazione tale da impedire
la dislocazione. Le indicazioni principali riguardano il supporto nutrizionale nei
soggetti debilitati per l`impossibilit di alimentarsi per bocca, come nel caso di
pazienti con neoplasie esofagee o del distretto cervico-cefalico. Le complicanze
sono simili a quelle chirurgiche (emorragie, peritoniti, perforazioni gastriche).
Metodiche interventistiche urologiche
Lo scopo di tali procedure il ripristino della regolare canalizzazione e la decompressione
del sistema escretorio renale. Il ruolo della radiologia interventistica nelle condizioni
neoplastiche del sistema urogenitale riveste nella maggioranza dei casi carattere pallia-
tivo. Tali metodiche comprendono la nefrostomia percutanea ed il posizionamento di
stent ureterali.
I. Nefrostomia percutanea. La nefrostomia percutanea consiste nella puntura di-
retta sotto guida radioscopica o ecografca o TC delle cavit calico-pieliche renali
ed il successivo posizionamento di un drenaggio nefrostomico, con tecnica di
Seldinger o, con maggiore rapidit, tramite sistemi di puntura diretta con ago man-
drinato su cui montato direttamente il catetere nefrostomico (sistema one-stick),
nel gruppo caliceale desiderato, di solito il postero-inferiore. Le complicanze di
tale procedura non sono superiori al 3% e sono principalmente di tipo emorragico,
minori, come le piccole lesioni di continuo della pelvi renale, o maggiori, come la
puntura di vasi sanguigni pi grandi, che pu richiedere l`esecuzione di un esame
angiografco con successiva embolizzazione o intervento chirurgico. In rapporto
alla natura dell`ostruzione, la nefrostomia pu essere considerata quale tempo
preliminare a successive manovre percutanee (ricanalizzazione, posizionamento
di endoprotesi ureterali, ureteroplastica) o avere carattere defnitivo palliativo nei
casi in cui non esistano spazi chirurgici.
II. Protesi urinarie (stent). Solitamente il tentativo di superare una stenosi neoplastica
dell`uretere per posizionare una protesi urinaria segue di 5-7 giorni una nefrostomia
percutanea, permettendo cos la riduzione dell`edema e dell`ematoma nella sede di
puntura, il consolidamento del tragitto parenchima renale-cute, la riduzione della
componente fogistica inevitabilmente associata e il miglioramento della condizione
uropoietica del paziente. Le indicazioni al posizionamento dell`endoprotesi urinaria
risiedono nel ripristino del fsiologico defusso di urina dalle cavit escretrici renali
in vescica o nella neovescica chirurgica o all`esterno nelle ureterocutaneostomie. In
pazienti con patologia neoplastica, una protesi temporanea pu essere posizionata
anche per differire l`intervento chirurgico o per preservare la funzionalit renale du-
rante trattamenti chemio-radioterapici. Nei pazienti non suscettibili di terapia radicale,
invece, il posizionamento delle protesi defnitive permette di evitare interventi invali-
danti come l`ureterocutaneostomia o le ureteroileostomie su ansa defunzionalizzata
e risulta attualmente la soluzione terapeutica palliativa di prima scelta.
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 326
La tecnica di posizionamento dello stent ureterale (Fig. 16.5) prevede quale tempo
preliminare la nefrostomia percutanea; mediante guide idrofliche si procede
al superamento dell`ostruzione e si porta in vescica un catetere angiografco;
poi si sostituisce la guida idroflica con una rigida (superstiff), che agevola
l`introduzione dello stent. Su tale guida viene montato il sistema vettore della
endoprotesi e la si rilascia con l`estremo distale in vescica ed il prossimale nella
pelvi renale, previo controllo del defusso urinario transprotesico. Generalmente
si lascia a protezione anche un catetere nefrostomico, per qualche giorno, utile
per il drenaggio e la lisi di eventuali coaguli. Le endoprotesi ureterali sono simili
a quelle impiegate nel sistema biliare e costituite di resine siliconiche; hanno
A B
C D
Fig. 16.5. Posizionamento di stent ureterale in paziente con idronefrosi destra da adenopatia metastatica
iliaca. A. Esame TC dell`addome con paziente in decubito prono evidenziante idronefrosi destra. Presenza
di ago cannula inserito con guida TC nella pelvi renale preliminarmente alla nefrostomia. B. Controllo
di nefrotomia per cutanea con dimostrazione di ostruzione da compressione estrinseca del tratto pelvico
dell`uretere. C. Posizionamento dello stent ureterale a doppio J con estremo superiore nella pelvi renale. D.
Estremo inferiore in vescica normalmente posizionato. La presenza di mdc in vescica dimostra il regolare
funzionamento dello stent ureterale.
RADOLOGA NTERVENTSTCA 327
calibro compreso tra gli 8 ed i 10 French e lunghezza differenziata; la durata
minima di 6-8 mesi.
Metodiche interventistiche muscolo-scheletriche
Comprendono una serie di tecniche utilizzate per effettuare terapie palliative delle lesioni
ossee metastatiche, come l`alcolizzazione o la radiofrequenza di lesioni dello scheletro
appendicolare e la cementoplastica percutanea, sia per le alterazioni metameriche (ver-
tebroplastica) che del bacino.
L`alcolizzazione pu essere proposta come metodica alternativa per il controllo del
dolore nel caso di terapia ineffcace o nei trattamenti oppioidi troppo prolungati. Uno
dei maggiori vantaggi dell`alcolizzazione delle metastasi ossee la rapida riduzione del
dolore, nelle prime 24 ore.
Le indicazioni della radiofrequenza sono: a) metastasi ossee dolorose non trattabili con
alcol (rischio di leakage intra-articolare, rischio di neurolisi accidentale); b) ablazione di
metastasi ossee da neoplasia tiroidea in associazione con
131
Iodio; c) ablazione di grandi
osteomi osteoidi o osteoblastomi.
Scopo della cementoplastica la riduzione del dolore ed il consolidamento di lesioni me-
tameriche o acetabolari osteolitiche in pazienti non suscettibili di intervento chirurgico.
La vertebroplastica una procedura mini-invasiva per il trattamento antalgico e sta-
bilizzatore di lesioni vertebrali o fratture secondarie e per la terapia di tumori benigni
o maligni del rachide (angiomi, metastasi, mieloma multiplo). La procedura consiste
nell`iniettare cemento a bassa viscosit (polimetilmetacrilato, PMMA) all`interno del
corpo vertebrale leso, determinando nella quasi totalit dei casi la riduzione o scomparsa
della sintomatologia algica, anche in associazione con le altre opzioni terapeutiche. Si
effettua mediante iniezione transpeduncolare o costotrasversaria metamerica del PMMA
sotto controllo fuoroscopico, previa anestesia e centraggio con TC.
Le complicanze (5-10% nei pazienti con sostituzione neoplastica) comprendono la
compressione del midollo spinale da stravaso di cemento (che necessita raramente di
decompressione chirurgica) e l`embolia polmonare (il pi delle volte asintomatica).
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