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Fabio Treppiedi (Universit di Palermo)

Il problema dellimmagine del pensiero nella filosofia di Gilles Deleuze


Relazione per il seminario Il potere delle immagini a cura dellassociazione SYZETESIS Dipartimento di Filosofia delluniversit La Sapienza di Roma (04/03/2011)

[Saluti e ringraziamenti] Per iniziare a comprendere il senso in cui un problema a vasto spettro come il potere delle immagini si declina specificamente nella filosofia di Deleuze, possiamo prendere le mosse dallultima occasione in cui Deleuze parla esplicitamente dellimmagine del pensiero. Si tratta della prefazione alledizione americana di Differenza e ripetizione, testo fondamentale del 1968 pubblicato per negli Stati Uniti solo nel 1994 (Deleuze morir un anno dopo). In questa brevissima prefazione, riassumendo i cinque problemi fondamentali affrontati in Differenza e ripetizione, Deleuze a proposito del capitolo III, intitolato appunto limmagine del pensiero, afferma:
Con questo libro, mi sembrato che non si potesse giungere alle potenze della differenza e della ripetizione se non mettendo in discussione limmagine che ci si fa del pensiero. Voglio dire che noi non pensiamo soltanto in rapporto a un metodo ma che vi sia piuttosto unimmagine del pensiero, pi o meno implicita, tacita e presupposta, che determina i nostri fini e i nostri mezzi quando noi ci sforziamo di pensare. Per esempio, si suppone che il pensiero possieda una buon natura, e il pensatore, una buona volont (quella di volere naturalmente il vero); ci si d come modello il riconoscimento,vale a dire il senso comune, luso congiunto di tutte le facolt su un oggetto che si suppone sia lo stesso; si designa il nemico da combattere, lerrore, nientaltro che lerrore; e si suppone che il vero riguardi le soluzioni, cio proposizioni capaci di servire da risposta. Tale limmagine classica del pensiero, e finch non si porta la critica al cuore di questimmagine, risulter difficile condurre il pensiero verso problemi che oltrepassano il modo proposizionale, di far fare ad esso degli incontri che si sottraggono ad ogni riconoscimento, di fargli affrontare i suoi veri nemici che sono tuttaltro che lerrore, e di giungere a ci che costringe a pensare, o a ci che scuote il pensiero dal suo torpore naturale, dalla sua nota cattiva volont. Una nuova immagine del pensiero, o piuttosto una liberazione del pensiero dalle immagini che lo imprigionano, era ci che avevo gi cercato in Proust. Ma l, in Differenza e ripetizione, questa ricerca diviene autonoma, e diviene la condizione per la scoperta dei due concetti. Ed il terzo capitolo che mi sembra ancora adesso il pi necessario e il pi concreto, esso introduce i libri successivi.

Muovendo problematicamente dalla struttura teoretica della filosofia di Deleuze, nel corso della mia relazione, intendo mostrare il ruolo chiave che in essa gioca limmagine del pensiero. Alla luce poi di alcuni riferimenti kantiani, vedremo che il discorso deleuziano sullimmagine del pensiero, nel reagire al potere di questimmagine, ne mette in luce linesauribile potenza. I_ Non si soliti associare il concetto di immagine del pensiero alla filosofia di Gilles Deleuze con la stessa immediatezza con cui, pi frequentemente, vengono associati ad essa concetti pi noti e celebrati come differenza, rizoma, corpo senzorgani, macchina desiderante, schizoanalisi ecc. Ci dovuto probabilmente al fatto che, nellopera di Deleuze, lespressione immagine del pensiero ricorre non pi di quattro o cinque volte. Eppure possibile sostenere, come gi fatto da alcuni interpreti, la centralit del problema dellimmagine del pensiero nella filosofia di Deleuze. Intendo per centralit, in questo caso, il ruolo per cos dire propulsore che il problema dellimmagine del pensiero assume nella filosofia di Deleuze. Limmagine del pensiero infatti per Deleuze, non un problema fra altri, ma il problema della filosofia, tanto da impegnare lambito pi intimo del suo pensiero e costituirne il Milieu, un nucleo da cui di volta in volta promanano, in maniera concentrica o stratigrafica, i problemi affrontati e i concetti creati da Deleuze nel corso della sua variegata esperienza che, come noto, si dirama dalla storia della filosofia alla politica, dalla critica letteraria alla clinica e alla psichiatria, dallinterpretazione dellarte pittorica a quella dellarte cinematografica.

Diversamente da quanto solitamente si dice del suo pensiero [ e da quanto forse potrebbe sembrare da una prima lettura dei suoi testi] Deleuze afferma che la filosofia essenzialmente sistema. Se dovessimo chiederci cosa Deleuze intenda per sistema potremmo dire, in modo abbastanza generale, che si tratta di una concezione del pensare filosofico come qualcosa che, lungi dal chiudersi o completarsi definitivamente in un dato sistema, non cessa mai di strutturarsi in maniera sistematica: il farsi del sistema, dunque, pi che il sistema stesso. Direi allora che Deleuze si riferisce fondamentalmente alla sistematicit del pensare filosofico. Sotto questaspetto, sistema altro non che la struttura teorica che anima il pensiero di un filosofo [a proposito di Kant, ad esempio, Deleuze parler degli ingranaggi del suo sistema ]. Penserei, ad esempio, a ci che Deleuze chiama appunto struttura. [Che cos una struttura? O forse sarebbe meglio chiedersi, come fa Deleuze, da cosa si riconosce una struttura?] Una struttura basata su tre regole essenziali: La struttura composta da due serie di elementi eterogenei. Ogni elemento di una serie riconducibile a un corrispondente elemento dellaltra. Un elemento della prima serie deve sempre poter essere distinto da un elemento dellaltra.

Ora, il principio fondamentale della struttura che deve esserci uno ed un solo elemento, che sia nello stesso tempo eterogeneo rispetto alla prima serie e rispetto alla seconda serie. Senza questo particolarissimo elemento -che penserei personalmente come un cromosoma anomalo e che lo stesso Deleuze definisce unistanza paradossale- non c assolutamente sistema o struttura. Senza di esso, infatti, non potrebbero esserci n la corrispondenza e la discernibilit tra gli elementi delle due serie n la riconducibilit di un elemento delluna a un elemento dellaltra. [ Se questistanza viene definita paradossale, come si pu intuire, innanzitutto perch sembra non combaciare con ci che aristotelicamente il pi sicuro fra tutti i princip,il PNC, quello cio secondo cui lo stesso elemento non potrebbe, nello stesso tempo e secondo il medesimo rispetto, appartenere e non appartenere alluna e allaltra serie. In realt il rapporto tra la cosiddetta istanza paradossale e il PNC molto pi complesso di quanto non sembri e meriterebbe, dunque, un approfondimento pi dettagliato. In questo caso mi limito soltanto a chiarire che Deleuze non intende affatto negare la validit del PNC ma tenta pi che altro di installarsi su un piano di discorso in cui gli effetti necessari del principio sono per cos dire momentaneamente sospesi. Rispetto a questi temi rimando ad un altro testo fondamentale di Deleuze, che definirei complementare a Differenza a ripetizione, cio Logica del senso, del 1969]. La centralit dellimmagine del pensiero nella filosofia di Deleuze va dimostrata, questa la mia tesi, in rapporto allidea fondamentale secondo cui un concetto non esiste indipendentemente dal problema cui esso risponde. Questidea, infatti, ci permette di considerare la sua stessa filosofia come sistema e -pi specificamente- come un pensiero che ha una struttura teoretica proprio in quanto ha in s quellelemento che funge da istanza paradossale, da principio primo della struttura. Nella filosofia di Deleuze, limmagine del pensiero gioca proprio questo ruolo decisivo. Muover, dunque, dallipotesi secondo cui la filosofia di Deleuze una struttura con due serie eterogenee (problemi e concetti) e unistanza paradossale, limmagine del pensiero appunto, che non n soltanto concetto n soltanto problema. Solo in funzione di essa, dunque, sar possibile ricondurre ogni concetto deleuziano ad un determinato problema ed evitare di scambiare un suo concetto con un suo problema. in questa sua valenza paradossale che, nel corso della relazione, parler dellimmagine del pensiero come il problema della filosofia di Deleuze [designandolo sempre con larticolo determinativo]. [Dunque, due serie: concetti e problemi]

In Che cos la filosofia? (ultimo libro scritto con Guattari, pubblicato nel 1991), Deleuze chiarisce la distinzione tra un concetto e un problema esplicitando il rapporto necessario che li lega:
Ogni concetto rinvia a un problema, a dei problemi senza i quali esso non avrebbe senso, e che non potrebbero essi stessi essere compresi o definiti in rapporto o in misura alle loro soluzioni [] In filosofia non si creano dei concetti se non in funzione di problemi che devono essere ben posti [] inutile domandarsi se Cartesio ha torto o ragione. Non c risposta diretta. I concetti cartesiani non possono essere valutati che in funzione dei problemi ai quali essi rispondono [] E se dei concetti possono essere rimpiazzati da altri sotto la condizione di nuovi problemi. Un concetto ha sempre la verit che gli spetta in funzione delle condizioni della sua creazione. I nuovi concetti devono essere in rapporto con problemi che siano i nostri, con la nostra storia. Se un concetto migliore del precedente, perch esso lascia scorgere nuove variazioni e risonanze fino a quel momento ignote e opera dei tagli insoliti. Ma non gi ci che faceva il filosofo precedente? Se si pu ancora oggi essere platonici, cartesiani o kantiani, perch si nel diritto di pensare che i loro concetti possono essere riattivati nei nostri problemi e ispirare quei concetti che bisogna ancora creare. E qual allora la migliore maniera di seguire i gradi filosofi, ripetere ci che hanno detto, o piuttosto fare ci che hanno fatto? Creare cio dei concetti per dei problemi che cambiano necessariamente nel tempo? Quando un filosofo ne critica un altro, a partire da problemi e su un piano che non gi pi quello dellaltro, [problemi e piano altri] che fanno fondere gli antichi concetti come si pu fondere un cannone per fare delle nuove armi. Criticare, significa soltanto constatare che un concetto si esaurisce, perde delle componenti o ne acquista altre che lo trasformano, dal momento in cui esso ripreso in un nuovo Milieu.

Lidea deleuziana di problema trova per una prima configurazione gi nella densa riflessione che, tra gli anni 50 e gli anni 60, Deleuze conduceva nella gestazione travagliata della sua tesi di dottorato, Differenza e ripetizione. Sotto questaspetto, si potrebbe ricordare che la tesi, originariamente, avrebbe dovuto riguardare la nozione di problema: fu solo dopo linattesa rottura con Hyppolite, suo primo maestro nonch direttore originario della tesi, che Deleuze opt per un altro direttore, M. De Gandillac, e per un altro soggetto, Differenza e ripetizione appunto. [decantare per un minuto magari dicendo quanto possa risultare interessante una tesi sulla nozione di problema in Deleuze: tema importante poco affrontato dalla critica ] Nel terzo capitolo di Differenza e ripetizione, Deleuze sostiene che il vincolo imposto al pensare dallimmagine definita dogmatica o classica del pensiero, il cui potere sembrerebbe essere inteso in unaccezione ancora negativa come qualcosa di limitante, avrebbe storicamente impedito alla filosofia il pieno accesso a ci che definito il problema in quanto problema o anche lessere in s del problematico. Secondo Deleuze, il potere dellimmagine del pensiero postulerebbe limpossibilit di pensare autenticamente i problemi in s e per s, limitando piuttosto la filosofia a ricalcare cito Deleuze- i problemi su corrispondenti proposizioni che servono o possono servire da risposta. Da ci deriverebbe anche labitudine di concepire il problema come qualcosa che scompare di colpo, dice Deleuze, nel momento stesso in cui compare la soluzione o le soluzioni. Per Deleuze, al contrario, le soluzioni non hanno alcun potere di esaurire il problema, che tale solo in quanto possiede lautentica e radicata potenza di continuare a sussistere non al di l, n a prescindere dalle soluzioni ma, dice Deleuze, attraverso tutte le soluzioni.
[cito da Differenza e ripetizione, p. 211 dalledizione italiana Raffaello Cortina del 1997 ] Un problema non esiste ad di fuori delle sue soluzioni. Ma lungi dallo scomparire, esso insiste e persiste nelle soluzioni che lo svelano. Un problema si determina nello stesso momento in cui risolto; ma non si confonde con la soluzione, i due elementi differiscono in natura. E la determinazione [del problema] la genesi delle soluzioni concomitanti.

Ci comporta, in ultima istanza, sia una netta differenza tra problema e soluzione [ come visto] sia ci che Deleuze definisce uno spostamento dei valori logici (il vero e il falso) dal piano delle soluzioni a quello dei problemi. in virt di tali argomenti che, sin dai suoi scritti su Bergson degli anni 50, Deleuze porta avanti la tesi secondo cui in filosofia non esistono vere o false soluzioni ma soltanto veri o falsi problemi, in quanto solo il problema ha la capacit o la potenza non diremmo pi il potere, nellaccezione negativa di

vincolo, limitazione o oppressione- di determinare il senso per cui affermiamo la verit o la falsit delle soluzioni. Dovremmo adesso concentrarci su due elementi decisivi emersi finora: I.a la logica del rapporto tra problema e soluzione, ovvero, tra problema e concetto (pur variando il lessico e lorizzonte di discorso, infatti, la forma del rapporto pensata allo stesso modo). I.b Il circolo vizioso, che impedisce laccesso al problema in quanto tale. I.a Tra problema e soluzione o problema e concetto, se facciamo riferimento a Che cos la filosofia?intercorre quel rapporto di espressione che Deleuze riprende, a sua volta, dalle filosofie di Leibniz e Spinoza. Seguendo tale schema, secondo cui cito- l espresso non esiste indipendentemente dallespressione che lo esprime, il problema (come ci che espresso dalla soluzione) non esiste indipendentemente dalla soluzione o dal concetto che lo esprimono (essendo questi l espressione del problema appunto). Lo schema , in sintesi, lo stesso attraverso cui Spinoza concepisce i rapporti tra la sostanza, gli attribuiti e i modi, cio una cosiddetta logica della disgiunzione inclusiva nella quale due termini sussistono entrambi in funzione di un appartenersi reciproco [ direi,pi sinteticamente, il non esserci delluno senza laltro]. Ci che in tale logica conta, per Deleuze, pi dello stesso schema che la riproduce la cifra essenziale su cui essa si fonda, che letteralmente la motiva o la innerva, cio l immanenza reciproca dei termini. Idea di immanenza che, come noto, rappresenta il Leitmotiv del pensiero deleuziano [lasciamo per un attimo il tema dellimmanenza, cos sinteticamente esposto, ricordando per che ci torner utile in conclusione]. I.b Il punto pi delicato del discorso deleuziano sulla nozione di problema rappresentato dalla messa in luce, di un circolo vizioso da cui dipende in maniera decisiva, la comprensione della nozione di problema e, pi indirettamente, la nostra stessa tesi sullimmagine del pensiero come il problema della filosofia di Deleuze. Scrive Deleuze [sempre nelle pagine di Differenza e ripetizione dedicate alla nozione di problema]:
[Vi uno] Strano circolo vizioso, per cui il filosofo pretende di portare la verit, dal piano delle soluzioni a quello dei problemi, ma, ancora prigioniero dellimmagine dogmatica, rinvia la verit dei problemi alla possibilit delle loro soluzioni. Ci che non viene colto [ ce qui est manqu], la caratteristica interna del problema in quanto tale, lelemento imperativo interiore che unicamente decide della sua verit e della sua falsit, e che misura il suo potere di genesi intrinseca: loggetto stesso della dialettica.

La tesi di Deleuze chiara: finch la filosofia non penetra criticamente al cuore dellimmagine che essa si storicamente fatta del pensiero non pu che risultare impossibile unoperazione altra da quella con cui, come appena visto, si sposta la verit -decalquer o retrojecter dice pi precisamente Deleuze- dal piano delle soluzioni a quello dei problemi. Nel mostrarci questo falso movimento, cio appunto questo decalquer o retrojeter per cui il problema pensato a partire dalla possibilit di risolverlo, Deleuze svela un aspetto altrettanto decisivo del problema dellimmagine: limmagine inibisce il movimento del pensiero. II_ Deleuze afferma a chiare lettere, dunque, che vi unimmagine dogmatica o classica del pensiero che impedisce di iniziare a pensare veramente [di fare per cos dire il primo passo]. Ma proprio qui che, a mio avviso, si innesca la seria possibilit di mancare il bersaglio, cio la natura pi intima dellimmagine del pensiero, proprio allo stesso modo in cui Deleuze denuncia, nellultimo passo citato, la possibilit di mancare lessenza intrinseca del problema. Se fuorviante limitarsi a concepire il problema a partire dalle soluzioni, infatti, sar fuorviante, per noi che leggiamo Deleuze, concepire limmagine a partire dai suoi effetti o [per dirla pi concretamente] a partire dal fatto che il Deleuze di Differenza e ripetizione appunto, ci mostra gli effetti storici dellimmagine: ci a cui essa avrebbe condotto e, soprattutto, ci che essa continua a impedirci. Limpossibilita di pensare dovuta appunto al potere che limmagine esercita: non si riesce pensare altro da ci che essa permette di pensare. Deleuze sembrerebbe fare, a questo punto, una programmatica

dichiarazione di intenti. Le prime pagine del cap. III di Differenza e Ripetizione sono impiegate, infatti, nella lotta rigorosa contro limmagine, nella critica radicale dei suoi presupposti, per una sorta di liberazione del pensiero che va attuata per mezzo di grandi distruzioni. Unistanza reattiva del discorso deleuziano, dunque, che sembrerebbe condurre di necessit ad un esito che potemmo benissimo definire iconoclasta (distruzione dellimmagine tout court). Un esito non per cos scontato, soprattutto se si considera che in queste stesse pagine che Deleuze inizia ad esporre la nota tematica del fuori. [apro una breve parentesi] Il cosiddetto pensiero del fuori o filosofia del fuori, che lega Deleuze ad altri due grandi pensatori francesi (Blanchot e Foucault) e le cui origini sono rintracciabili nel secondo Heidegger, una tematica talmente complessa da meritare una riflessione a parte [rimanderei pertanto agli interessanti testi di questi autori ai quali Deleuze si rif esplicitamente: Linfinito intrattenimento di Blanchot (in particolare il primo capitolo), il breve testo che Foucault dedic a Blanchot nel 66 intitolato appunto La pense du dehors (disponibile in versione italiana nella raccolta Scritti letterari edita da Feltrinelli), e il testo di Heidegger Che cosa significa pensare?]. Mi limiter, in questa sede, a ritagliare tale tematica esclusivamente in relazione al problema dellimmagine del pensiero in Deleuze. Ci che limmagine imdi edisce cogliere, infatti, ci che Deleuze chiama il suo Dehors. Ma questo stesso Dehors, non va inteso come qualcosa che sta en dehors, al di fuori dellimmagine stessa. Laspetto pi radicale del problema consiste nel fatto c qualcosa che mi impedisce di pensare altro da s, ma questo altro non esiste a prescindere da ci che mi impedisce di pensarlo. [ ipotizzerei anche in questo caso, quindi, la stessa forma disgiuntivo/inclusiva di rapporto emersa pocanzi a proposito del rapporto tra problema e concetto ]. La natura complessa di questo vero e proprio limite del pensare pu essere ulteriormente sondata. Ridefiniamo allora il problema dellimmagine del pensiero direi pi precisamente: torniamo ad insistere sullo stesso problema-. Chiediamoci dunque se il ruolo esercitato da questo limite, limmagine del pensiero appunto, si limiti a sua volta [ scusate il bisticcio] ad impedire al pensiero di pensare altro da ci che esso concede di pensare. Pi precisamente, allora, chiediamoci se un limite esiste soltanto in rapporto alla sua funzione pi comunemente nota (quella del limitare, dellimpedire, del vietare, dellostruire), o se invece esso svolga altre funzioni. Nei Prolegomeni ad ogni futura metafisica , ad esempio, Kant propone una doppia accezione di limite. in questo testo che, tra le altre cose, possiamo trovare la celebre considerazione kantiana su Hume colui che mi svegli dal sonno dogmatico). Kant reputa infatti opportuno in questo testo, pi che nella stessa KrV, rendere merito a Hume come a colui che per primo ha introdotto una comprensione prettamente problematica o problematizzante della metafisica. Una comprensione per cui la metafisica non soltanto la fantasticheria da cui il pensare umano deve tenersi alla larga, ma anche e soprattutto lespressione della natura intima della ragione umana, cio il suo non poter fare a meno di imbattersi in problemi che sa di non poter risolvere (come recitava gi lincipit della KrV). Il capitolo conclusivo dei Prolegomeni, intitolato La determinazione dei limiti della ragion pura, si apre con il 57 a met del quale Kant distingue lidea di limite come Grenze dallidea di limite come Schranke. Mentre nel primo caso (il Grenze), scrive Kant, si suppone sempre uno spazio che si trova allesterno di un determinato luogo ma che, al contempo, include questo luogo, nel secondo caso, invece, abbiamo a che fare soltanto -nur dice Kant in tedesco- con delle negazioni che si impongono su una cosa nella misura in cui questa non possiede unintegralit tale da poter superare la negazione che si impone. Anche la lingua italiana, come quella tedesca, pu usufruire di due termini distinti per le due accezioni: mentre nel primo caso si parlerebbe appunto di limite, nel secondo caso si parlerebbe invece di confine, o se vogliamo barriera, frontiera, ostruzione, blocco. Kant afferma pi precisamente che a differenza del confine, il limite ha anche una funzione altra da quella negativa. Ci significa, in breve, che mentre un limite in s gi un confine, viceversa, un confine qualora lo considerassimo ipoteticamente per s- rimane soltanto [nur] un confine. Da questa distinzione, a mio avviso, pu dipendere la validit della tesi sullimmagine del pensiero come il problema della filosofia di Deleuze.

Ci perch solo pensando limmagine come limite nel senso kantiano del Grenze- che essa pu essere nello stesso tempo sia problema che concetto. Viceversa, qualora pensassimo limmagine soltanto come un confine, essa sarebbe soltanto un concetto. Solo nel primo caso, dunque, la struttura teoretica del pensiero deleuziano rimarrebbe valida mentre nel secondo caso, ammettendo lesistenza di un concetto a prescindere da un problema correlato, essa verrebbe a cadere assieme alla nostra tesi. Abbiamo precedentemente notato, infatti, che il tratto essenziale dellimmagine del pensiero che ci che essa impedisce di pensare non esisterebbe se non ci fosse essa stessa a impedirlo [ un rapporto di espressione appunto]. Riconosceremo, inoltre, nella definizione kantiana del Grenze, il medesimo tratto disgiuntivo/inclusivo che sta alla base del rapporto che in Deleuze intercorre tra limmagine e il suo fuori [lo schema dellespressione per cui, in questo specifico caso, la negazione delluno non esiste senza laltro ]. Questo tipo di rapporto, a sua volta, identico, -ma nello stesso tempo differente- da quello che intercorre tra problema e soluzione o tra problema e concetto [ lespressione, appunto, in virt della quale, in questo specifico caso, il concetto non esiste se non in relazione al problema di cui espressione ]. Non ci si dovr allora chiedere se Deleuze intenda limmagine del pensiero come Grenze, un limite, o come Schranke, un confine, ma si dovr necessariamente affermare che essa un limite poich solo in questo caso limmagine pu essere nello stesso tempo limite e confine, problema e concetto, ma soprattutto, possibilit di pensare il suo fuori e impossibilit di pensarlo al di fuori. Nel momento stesso in cui poniamo l aut aut tra limmagine del pensiero come limite e limmagine del pensiero come confine, infatti, assumiamo implicitamente che essa possa esistere soltanto come confine. Verrebbe resa possibile, infatti, una disgiunzione senza inclusione in virt della quale, ad esempio, possibile lesistenza di un concetto senza ricondurlo ad un problema correlato. Sarebbe cos possibile, inoltre, affermare che limmagine sia soltanto un concetto. Stiamo allora dando spazio allipotesi contraria rispetto alla quella generale da cui abbiamo preso le mosse cio che limmagine del pensiero sia il problema della filosofia di Deleuze [ipotesi per cui, lo ricordiamo ancora, limmagine del pensiero lunico elemento delle struttura teorica del discorso deleuziano ad essere nello stesso tempo problema e concetto ]. Ecco allora che negare al limite la possibilit di esplicitare una funzione altra da quella soltanto negativa del confine, porterebbe a negare che limmagine del pensiero possa nello stesso tempo essere concetto e problema. In breve, laut aut tra limmagine del pensiero come limite e limmagine del pensiero come confine, renderebbe possibile ci che Deleuze rifiuta fermamente, e cio, lesistenza di un concetto a prescindere da un problema corrispondente. Per tale motivo bisogner respingere l aut aut come falso problema e considerare limmagine del pensiero come il problema della filosofia di Deleuze. [conclusione] A partire dalla nostra ipotesi sulla struttura teoretica del pensiero deleuziano e dal suo intimo legame con lidea fondamentale secondo cui un concetto non esiste al di fuori del problema che esprime, potremo comprendere meglio come limmagine del pensiero si trasformi nelle due opere in cui Deleuze ne parla pi esplicitamente, Differenza e ripetizione e Che cos la filosofia? In questultima opera, interpretando limmagine del pensiero come piano dimmanenza, Deleuze ne esplicita il senso. Viene qui messa in luce, infatti, linesauribile potenza dellimmagine che, in Differenza e ripetizione, rimaneva ancora parzialmente celata dietro un potere in apparenza soltanto limitativo se non addirittura oppressivo:
[cito da Che cos la filosofia? , capitolo 2, intitolato appunto Il piano dimmanenza] Il piano dimmanenza non un concetto pensato n pensabile, ma limmagine del pensiero, limmagine che esso si d di ci che significa pensare, fare uso del pensiero, orientarsi nel pensiero Non un metodo, perch ogni metodo concerne eventualmente i concetti e suppone una tale immagine. Non nemmeno uno stato di conoscenza sul cervello e i suoi funzionamenti, poich il pensiero non qui rapportato al lento cervello come allo stato di cose scientificamente determinabile in cui il pensiero non fa che effettuarsi, quali che

siano i suoi usi o le sue orientazioni. E non nemmeno lopinione che ci si fa del pensiero, delle sue forme, dei suoi obiettivi e dei suoi mezzi in questo o in tale altro momento [] Si dir che IL piano dimmanenza [limmagine del pensiero] nello stesso tempo ci che deve essere pensato e ci che non pu essere pensato. Il non pensato nel pensiero. la base di tutti i piani [ cio di tutte le immagini], immanente a ciascun piano pensabile che non arriva a pensarlo. il pi intimo nel pensiero e per ci stesso il fuori assoluto. Un fuori pi lontano di tutto il mondo esteriore, perch esso un dentro pi profondo di tutto il mondo esteriore. l immanenza [e qui Deleuze cita Blanchot]: lintimit come fuori, lesterno divenuto intrusione che soffoca. Landare e venire incessante del piano, il movimento infinito. probabilmente questo il gesto supremo della filosofia: non tanto pensare IL piano dimmanenza [Limmagine del pensiero appunto, con larticolo determinativo], ma mostrare che esso l, non pensato in ogni piano [in ogni immagine].

Alla luce di quanto detto finora, scarteremo lipotesi di due concetti di immagine del pensiero in Deleuze: il concetto di una prima immagine per cos dire cattiva (quella del potere in Differenza e ripetizione) e quello di una seconda immagine per cos dire buona (quella della potenza in Che cos la filosofia?). Parlerei piuttosto di due espressioni dello stesso problema: sia nel primo che nel secondo caso, infatti, limmagine del pensiero pu intendersi in un solo e medesimo senso, quello per cui essa non pu che essere al contempo problema e soluzione, problema e concetto, limite e confine ecc. Si evita cos, inoltre, di attribuire al discorso deleuziano soltanto valenze iconoclaste, spostando piuttosto lattenzione sulla meno sondata istanza [direi] iconogonica o iconogentica che lo motiva e che ci aiuta a scorgere una domande che anima profondamente Deleuze, cos come ha animato Platone e Kant [ solo per fare due esempi]:come il pensiero pu coesistere e controllare la sua fisiologica potenza di produrre immagini? Direi allora con Deleuze, per concludere in maniera generale sul tema del seminario, che non si pu parlare del potere delle immagini prescindendo dalla loro effettiva potenza. Rispetto a potere e potenza delle immagini, pertanto, la nostra attenzione potr concentrarsi sul modo in cui la filosofia ne ha espresso e continua ad esprimerne il necessario rapporto. Un modo per cui, insistendo sulla portata del verbo latino cgere (da cui i nostri co-azione e co-atto), inizierei a parlare piuttosto di una cogenza dellimmagine, la stessa per cui il gesto del filosofo prende forma in ci che si potrebbe chiamare, sempre con Deleuze, lincessante andare e venire dal potere alla potenza, segno evidente dellintima vocazione dialettica del pensiero filosofico.

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