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PROPAGANDA MACHINE

“È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere
un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella
rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del Sole sulla sabbia, che il
pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomi glia alla corda
gettata a terra che egli prende per un serpente” (Schopenhauer, "Il Mondo
come Volontà e Rappresentazione").

I mass-media sono stati creati e poi sviluppati per essere utilizzati come formidabili strumenti di propaganda,
come cassa di risonanza di decisioni prese al vertice.

Già Napoleone Bonaparte aveva istituito un "Bureau de l'Opinion


Publique", un organismo di stampa e propaganda la cui
denominazione ossimorica ben evidenzia il corto circuito tra il
momento istituzionale-burocratico e la pretesa spontaneità dei
movimenti d'opinione.

Il primo telegrafo meccanico fu messo in funzione in Francia nel 1793,


al servizio della guerra. Il telegrafo elettrico, messo a punto nel 1837,
ebbe un ruolo fondamentale nell'informazione giornalistica durante la
guerra di Crimea e nella guerra di Secessione americana.

Quella guerra fu anche il banco di prova per una politica di


manipolazione delle notizie: il segretario alla Guerra, Edwin M.
Stanton, interveniva direttamente sui dispacci, truccava i numeri delle
perdite, alterava i resoconti delle battaglie.

Nel 1866 un cavo sottomarino collegò la rete telegrafica europea a quella


americana. L'avvenimento fu inaugurato non con un dispaccio militare -
com'era consuetudine - ma con un messaggio giornalistico: il testo del
discorso dell'imperatore Guglielmo dopo la vittoria di Sadowa. L'intreccio
tra guerra e informazione trovava qui il suo atto di nascita ufficiale.

Durante la Prima Guerra Mondiale, quasi tutti i paesi coinvolti crearono


dei ministeri delle informazioni, con compiti distinti rispetto alla semplice
propaganda. Il ministero delle informazioni inglese aveva a capo l'editore
del "Daily Express", e come dipendenti Rudyard Kipling e H.G.Wells.

Negli Stati Uniti venne creato il "Committee on Public Information",


composto dai segretari alla Marina e alla Guerra, dal titolare del
Dipartimento di Stato e da un giornalista, George Creel, il cui obiettivo
esplicito era «Vendere la guerra al pubblico americano».

La Germania del Kaiser aveva sottovalutato i nuovi fattori che


affiancavano ormai la strategia militare: il morale delle truppe
nemiche, l'opinione pubblica interna e quella nemica. Solo a
guerra persa, i comandi militari tedeschi analizzarono la portata
della propaganda alleata: «Il nemico ci ha vinto non con un corpo
a corpo sul campo di battaglia, baionetta contro baionetta. No!
Pessimi testi su poveri fogli malamente stampati hanno fatto venir
meno il nostro braccio».

Il Terzo Reich sopperirà a questa mancanza con il potentissimo


"Ministero della Propaganda e dell'Illustrazione del Popolo",
creato da Joseph Goebbels con l'intento di "modellare gli spiriti".
Con appositi provvedimenti legislativi fu inoltre stabilito che i
giornalisti dovessero rispondere, non più ai direttori, ma all’apparato statale, mentre tutte le agenzie di
stampa vennero assorbite dall’unica consentita, la DNB (DEUTSCHES NACHRICHTEN BUREAU).

Goebbels, che fu tra l’altro uno dei più fervidi sostenitori della
persecuzione degli ebrei, che ideò la famigerata "notte dei
cristalli", organizzò oceanici e sterminati raduni di massa,
affidando all’esteta del III Reich, Albert Speer, l’incarico di
creare la giusta ambientazione, le giuste geometrie, improntate
a mettere in rilievo l’idea di grandezza e di dominio; da questo
punto di vista il raduno di Norimberga del 1934 rappresentò la
massima espressione della megalomania e della maestosità
voluta dal potentissimo ministro della propaganda.

Le riprese di quel maestoso raduno,


furono affidate alla geniale regia di Leni Riefensthal e da esse nacque un autentico
capolavoro del cinema di propaganda, "Il Trionfo della Volontà", ove la grande regista
raggiunse in pieno lo scopo voluto da Goebbels, ossia quello di creare l’immagine di
un guerriero invincibile, indiscusso capo di una nazione stretta nella più totale
devozione per la sua guida suprema.

Ma l’occasione più ghiotta, per far conoscere, agli occhi del mondo, la potenza e la
grandezza del III Reich, fu rappresentata dalle olimpiadi di Berlino del 1936, la cui
documentazione venne affidata di nuovo, dal ministero della propaganda, a Leni
Riefensthal, che, in quell’occasione, superò sé stessa, creando lo straordinario
"Olympia", in cui si evidenziò la morbosa attenzione per ogni particolare volto ad
esaltare il culto della perfezione fisica, incarnata nel mito della pura razza ariana.

RADIO DAYS

Dagli anni Venti, attraverso la radio, la comunicazione si fece più capillare e


quotidiana, l'informazione comincia ad entrare direttamente nelle case.

Si stima che alla vigilia del secondo conflitto mondiale negli Stati Uniti vi
fossero duecento apparecchi ogni mille abitanti, in Inghilterra e Germania
circa centoventi e in Unione Sovietica una trentina.

In Italia il primo giornale radio andò in onda nel 1929, e la radio fu subito
utilizzata come strumento per creare consenso attorno al regime. Venne poi
creato il "Giornale Radio", un radiogiornale che rivisitava i fatti del giorno in
ottica fascista e che si ripeteva ad intervalli regolari durante l’intera giornata
(celebri divennero le "Cronache del Regime" di Forges Davanzati e il
"Commento ai Fatti del Giorno" di Mario Appelius).

La radio, và detto, fu anche usata in funzione anti-autoritaria: Radio Londra,


durante la Seconda Guerra Mondiale, fu fondamentale sia per i messaggi in
codice rivolti ai movimenti della Resistenza, sia per il potere di orientare la
popolazione civile nei paesi occupati dai tedeschi.

LA STAMPA DEL REGIME

La Seconda Guerra Mondiale, e ancora la guerra di Corea, furono


caratterizzate da una forte censura dei governi sulla stampa, censura che
spesso veniva introiettata come autocensura, come adesione totale del
giornalista al modello politico e ideologico del suo Paese.

In Italia, Il Ministero della Cultura Popolare (il famoso Minculpop) mandava


quotidianamente "ordini" ai direttori dei giornali, con indicazioni tassative
sulle notizie da dare o da non dare. Alcuni esempi: "Non pubblicare
corrispondenze sui nostri bombardamenti in Africa Orientale" (7 dicembre
1935); "Ignorare completamente tutto quanto si riferisce all'inchiesta per l'uccisione dei fratelli Rosselli" (15
gennaio 1938); "Notare come il Duce non fosse stanco dopo quattro ore di trebbiatura" (4 luglio 1938).

Il Ministero per la Stampa e la Propaganda, diretto dal 1935 da Galeazzo


Ciano, esercitò sui quotidiani una rigida supervisione attraverso i costanti ordini
alla stampa, con cui il regime proiettò un'immagine serena e ottimistica della
situazione italiana, censurando la cronaca nera e il dissenso, l'inflazione e
persino i temporali, demonizzando gli ebrei e i comunisti, esaltando la
Germania e tentando di occultare i preoccupanti sviluppi della guerra durante i
primi anni quaranta. I testi raccolti in questa antologia sono presentati da
un'introduzione di Nicola Tranfaglia, che analizza i meccanismi della
propaganda fascista, e da quella di Bruno Maida, incentrata sulla direzione
della Stampa e Propaganda fascista). E' chiaro come l'intento fosse quello di
manipolare l'opinione pubblica tacendo alcuni fatti sia di politica interna che
estera, e lavorando sulla costruzione dell'immagine del duce.

L’altra innovazione nei mezzi di comunicazione di


massa, il cinema, a partire dal 1925 venne posto sotto
il diretto controllo dello stato tramite la creazione
dell’Istituto LUCE, ovvero L’Unione Cinematografica
Educativa, alle dirette dipendenze del Capo del governo con l’obbligo della
supervisione diretta di Mussolini sui materiali realizzati. Nello stesso periodo nacque
anche la produzione del cinegiornale, un giornale fatto di immagini tipo rotocalco:
apertura e chiusura erano dedicate a notizie che riguardavano Mussolini o la Casa
Savoia, e all’interno trovavano spazio i documentari dall’estero.

Per il decennale della rivoluzione fascista nel quale il LUCE


produsse il suo primo lungometraggio, "Camicia Nera", che raccontava la storia del
fascismo con un misto di cinema, documentari e fiction e mostrando insieme reperti
e materiali appositamente girati. dal 1935 l’istituto LUCE diede vita all’Ente
Nazionale Industrie Cinematografiche. Attraverso Luigi Freddi, passato alla storia
come eminenza grigia del cinema di regime, si diede inizio all’opera di propaganda
sfruttando il cinema di stato. Nacque l’idea di Cinecittà,
che Mussolini inaugurò nel "Natale di Roma" del 1937.

Si ricorda il caso di Rino Filippini, operatore LUCE, che


aveva realizzato filmati con immagini tragiche che
mostravano le condizioni di combattenti al limite delle
forze, con i vestiti stracciati e senza scarpe, documentari
che furono censurati dal MinCulPop perché screditavano l’immagine dell’Italia. Il
LUCE aveva infatti il compito, impostogli da Mussolini, di mostrare al pubblico
immagini di una guerra facile, non traumatica, e facilmente sopportabile per la
nostre truppe, ben lontana dalla realtà.

WHY WE FIGHT

Da poco coinvolti nel II° conflitto mondiale, gli Stati Uniti si resero subito conto che la guerra, ben lungi
dall'essere di breve durata, avrebbe causato un'immane perdita di uomini
e richiesto duri sacrifici alla nazione. Queste ragioni convinsero il
Dipartimento di Stato della necessità di dover combattere una guerra di
propaganda sul fronte interno, tesa a giustificare agli occhi degli americani
l'enorme impegno loro richiesto.

Frutto di questo ulteriore sforzo bellico fu "Why We Fight?" una serie di 7


documentari prodotti dal Dipartimento di Stato in collaborazione con il
Dipartimento della Guerra e i vari corpi d'armata americani. L'ideazione e
la supervisione dell'intero progetto fu affidata a Frank Capra, il regista
hollywoodiano più vicino al sentimento popolare dell'America roosveltiana
e che meglio di tutti aveva interpretato sogni e sentimenti del cittadino
medio americano.
Lo sforzo fu notevole e Capra, a cui era stato assegnato il difficile compito di spiegare cosa veramente fosse
il nazismo, la crudeltà di Hitler e dei suoi alleati, lavorò con intelligenza, illustrando ai cittadini americani - con
semplicità - quanto era accaduto nel mondo prima di Pearl Harbur e quanto fosse indispensabile l'intervento
degli Stati Uniti a fianco dei loro alleati affinché la democrazia e la libertà non venissero schiacciate per
sempre dalla ferocia dei nemici nazisti e nipponici.

Capra poté contare sul supporto delle Major


americane e la collaborazione di registi del calibro
di Robert Flaherty, William Wyler, John e Walter
Huston. Mentre le mappe animate furono create
da Walt Disney e il suo staff.

Seppur dotati della più grande industria


cinematografica del mondo, e a differenza del
regime fascista e poi di quello nazista, gli Stati
Uniti non si erano mai resi conto dell'enorme
potenziale del cinema come mezzo di
propaganda. Proprio per questo "Why We Fight?",
e gli altri documentari che seguirono,
rappresentano un documento eccezionale che
vede lo sforzo congiunto del governo americano e
dell'industria Hollywoodiana e segna il primo uso dei mezzi di comunicazione di massa da parte
dell'intelligence militare statunitense.

NEWS MANAGEMENT

[...] Il geniale programmatore dell'informazione sulla Casa Bianca e


dalla Casa Bianca, fino a metà degli anni Ottanta (quando se ne
andò per fondare un'agenzia di relazioni pubbliche), fu Michael
Deaver, che, nello staff di Ronald Reagan, aveva la funzione di
coordinatore della comunicazione [...] Deaver, detto "Magic Mike",
era attentissimo ai dettagli scenografici. I suoi capolavori furono, tra
gli altri, il quarantesimo anniversario dello sbarco in Normandia,
celebrato da Reagan in Europa e i summit con Gorbaciov in
Svizzera e in Islanda. Gli eventi furono programmati - ha raccontato
un biografo - "come grandi produzioni cinematografiche. Ai
cameramen veniva indicata l'angolazione di ripresa più efficace. Fu
così creata, come in un film, l'immagine famosa della passeggiata
del presidente e della moglie tra le tombe dei caduti di Normandia".
D'altronde Reagan, attore di medio calibro ma di eccellente
professionalità, nuotava nel suo elemento [...] "Reagan - ha
ricordato Anthony Blankley, uno dei funzionari presidenziali addetti
alle comunicazioni, era impressionante. Con lui non si doveva mai
girare uno spot due volte". Gli "spot" erano le immagini televisive
che, in qualità di "notizie", avrebbero poi fatto il giro del mondo [...]
Fu "Magic Mike" Deaver l'inventore delle "photo opportunities"
come routine giornalistica: si trattava di organizzare
minuziosamente, con l'accordo dei mezzi di informazione, delle situazioni apparentemente casuali, in cui era
consentito ai fotografi riprendere il Presidente e i suoi collaboratori in atteggiamenti "spontanei" [...] "Gran
maestro delle arti visive" , Michael Deaver fu il più tenace assertore e il più efficace realizzatore del news
management, della fabbricazione e gestione delle notizie. La sua filosofia era "appareo ergo sum" (appaio
dunque sono), così motivata: "Nell'Era Televisiva, una cosa non è accaduta, o perlomeno non viene
registrata, se la gente non vede quello che tu vedi". I suoi metodi, raccolti e spiegati in un libro di memorie
dopo la rottura con Reagan, sono stati quasi alla lettera imitati da altri uomini politici che hanno fatto del
news management la base della loro affermazione, dal brasiliano Collor De Mello all'italiano Silvio Berlusconi
[...]

(Claudio Fracassi - "Sotto la Notizia Niente Saggio sull'Informazione Planetaria")


"Magic Mike", come fu soprannominato, inventò la strategia comunicativa che ha preso il nome di "new
management" e che, si potrebbe dire, consiste nel "produrre" eventi per i mezzi di informazione utilizzando le
tecniche dello spettacolo e nel creare una immagine del personaggio di cui si è al servizio con la tecnica
dello "spot". Con l'invenzione, cioè, di notizie, di fatti costruiti ad arte.

Progressivamente, alla censura si sostituisce il "news management", la gestione delle notizie, la


"militarizzazione dell'informazione" - come denunciò anni fa il senatore statunitense William Fulbright - la
"manipolazione per inondazione", per usare le parole di Claudio Fracassi, ex-direttore del settimanale
"Avvenimenti".

Il russo Serghei Ciacotin ha definito questa ingegneria del consenso mass-mediatico "lo stupro delle folle",
stupro reso possibile dalla diffusione su larga scala dei mezzi di comunicazione di massa.

SAZIARE LA BELVA

Agenzie di pubbliche relazioni - come la Ruder Finn che


ha curato l'immagine dei governi di Croazia e Bosnia
durante guerra in Kosovo, o la Hill & Knowlton, distintasi
durante la Guerra del Golfo - "impacchettano" notizie,
creano ad arte pseudo-eventi così da rendere sempre più
autonoma la notizia rispetto al fatto, fino a ribaltarne il
rapporto: la notizia è il fatto.

È dopo la guerra del Vietnam che i rapporti con i mezzi di


informazione cominciarono ad essere impostati non più
sulla censura ma piuttosto verso un'ipertrofica dose di
informazioni, filtrate, costruite, selezionate. L'imperativo
era - nelle parole di Fracassi - "saziare la belva".

La guerra era cominciata con la diffusione acritica di una falsa notizia: l'attacco a un cacciatorpediniere
statunitense da parte di unità siluranti nord-vietnamite nel Golfo del Tonchino, il 5 agosto 1964. Ma dopo la
svolta del Tet, la stampa cominciò a investigare sulla genesi del conflitto, finché nel 1971 il "New York
Times", nonostante i furibondi tentativi di Nixon per impedirlo, rese note le carte segrete del Pentagono, che
rivelavano l'inganno perpetrato ai danni dell'opinione pubblica americana.

La "sindrome del Vietnam" divenne quindi l'ossessione di una superpotenza che mal digeriva la sconfitta
militare, e la convinzione da parte del governo USA di non aver saputo controllare e piegare ai suoi fini
l'apparato dell'informazione.

VIRTUAL WAR

Alla vigilia della Guerra del Golfo, le parole del presidente Bush furono
"Non sarà un altro Vietnam".

La Guerra del Golfo, come acutamente evidenziato da Jean


Baudrillard ne "La Guerre du Golfe n'a pas eu lieu" e da Claudio
Fracassi ne "L'Inganno del Golfo", si basò su una sapiente regia che
costruì un'illusione collettiva che trasse in inganno sia capi di governo
(il re saudita Fahd fu convinto a ospitare l'operazione "Scudo nel
Deserto" con false fotografie satellitari) che l'opinione pubblica
mondiale.

Le forze armate americane incoraggiarono la diffusione di immagini


che davano l'idea della guerra tecnologica: il cielo sopra chi moriva
attraversato dalle tracce luminose dei missili e delle bombe - immagini
che sottolineavano l'assoluta superiorità americana sul nemico. Al
pubblico televisivo statunitense non fu concesso di vedere il materiale
acquisito dalla NBC (la rete televisiva in seguito si rifiutò di
trasmetterlo) che mostrava le conseguenze di quella superiorità: la
sorte delle migliaia di soldati di leva iracheni che, fuggiti da Kuwait City alla fine della guerra, il 27 febbraio,
furono vittime di bombardamenti a tappeto con esplosivi, napalm, uranio impoverito e bombe a grappolo,
mentre si dirigevano verso Nord percorrendo, in convogli e a piedi, la strada che conduce a Bassora in Iraq -
una carneficina descritta nelle famigerate parole di un ufficiale americano come "tiro al tacchino" (allo stesso
modo, la maggior parte delle operazioni militari condotte in Afghanistan alla fine del 2001 sono state precluse
ai fotoreporter).

Gli specialisti della già citata Hill & Knowlton girarono a Hollywood falsi filmini amatoriali sul Kuwait liberato,
fecero raccontare alla figlia adolescente dell'ambasciatore kuwaitiano presso le Nazioni Unite (assente da
anni dal suo paese) di come i soldati iracheni toglievano i neonati dalle incubatrici, impedirono che venissero
visti i 200 mila iracheni uccisi, fecero recitare più volte ai marines la scena della riconquista dell'ambasciata
americana a Kuwait City, facendo calare i soldati sui tetti dell'edificio quando la capitale era libera da due
giorni.

D'altra parte, molti giornalisti, salvo poi fare atto di pubblica contrizione, si prestarono senza troppo
recalcitrare alla manipolazione, quando poi non ne furono gli artefici. Reporter della Cnn prelevarono da uno
zoo e poi impeciarono il cormorano intriso di petrolio che commosse tutto il mondo, si fecero riprendere in
studio bardati con maschere antigas senza che ci fosse alcun pericolo di contaminazione, mentre fotografi
dell'agenzia Reuter misero in vendita fotografie scattate durante la guerra Iran-Iraq del 1983.

Durante la guerra nell'ex-Jugoslavia, l'informazione si è messa spesso al servizio di odi etnici e nazionalisti,
creando cliché semplicistici e manipolatori: i serbi oppressori, i croati fascisti, i musulmani indifesi o
fondamentalisti.

L'apparente facilità di accesso a molte fonti può ingenerare l'illusione di avere un canale diretto con la realtà,
ignorando che dietro ogni notizia che arriva a noi c'è un "gatekeeper", un Caronte che decide cosa far
traghettare.

(DIS)INFO INTELLIGENCE

"Nel corso dei secoli, i paesi imperialisti hanno goduto di una sostanziale immunità. Si sono commesse
moltissime atrocità, ma sempre da qualche altra parte … e gli orrori che si compiono altrove non esistono”
(Noam Chomsky, "Power and Terror").

La risoluzione n. 59 dell'Onu afferma che "L'informazione è un


diritto fondamentale dell'uomo e la pietra di paragone di tutte le
libertà". Andatelo a dire ai pianificatori militari del Pentagono. La
verità è che la plateale distorsione della verità e la sistematica
manipolazione delle fonti di informazione sono parte integrante
della pianificazione bellica.

In seguito all'11/9, il Segretario della Difesa Donald


Rumsfeld creò l'Office of Strategic Influence (OSI), ovvero l'
"Ufficio della Disinformazione", come fu etichettato dai suoi
critici. Poi, all'improvviso, l'OSI fu formalmente sciolto sotto la
spinta di pressioni politiche e di "fastidiosi" articoli dei media
secondo cui, "i suoi scopi erano deliberatamente tendenziosi
rispetto alla necessità di portare avanti gli interessi Americani"
(Air Force Magazine, gennaio 2003).

Nonostante questo "incidente", l'apparato orwelliano di


disinformazione del Pentagono rimane funzionalmente intatto: "A
questo riguardo il Segretario alla Difesa non è stato
particolarmente franco. Fare disinformazione con la propaganda
militare è parte essenziale della guerra" (Intervista con Steve
Adubato, Fox News, 26 Dicembre 2002). Rumsfeld, più tardi, ha
confermato in un'intervista stampa che, mentre l'OSI non esisteva più di nome, "i compiti previsti per l'Ufficio
vengono eseguiti".
Molte delle agenzie governative e dei servizi di informazione - con collegamenti con il Pentagono - sono
coinvolti in vari aspetti della campagna di propaganda. La realtà viene rivoltata. Le azioni di guerra vengono
annunciate come "interventi umanitari", indirizzati al "cambio di regime" ed al "ristabilimento della
democrazia". L'occupazione militare e l'uccisione di civili sono presentate come "peace-keeping". La
diminuzione delle libertà civili - nel contesto della "legislazione antiterrorismo" - viene dipinta come un mezzo
per fornire la "sicurezza interna" e preservare le libertà civili.

Nel critico "panorama di pianificazione", che ha condotto


all'invasione dell'Iraq, il capovolgimento dell'opinione
pubblica, internamente e nel mondo, costituisce parte
integrante dell'agenda di Guerra, la propaganda di Guerra
viene progettata a tutti gli stadi: prima, durante e dopo.
Serve a distogliere dalle reali cause del conflitto e dalle
conseguenze della guerra stessa.

Pochi mesi dopo che l'OSI venne sciolto tra le polemiche


(febbraio 2002) il New York Times confermava che la
campagna di disinformazione procedeva a pieno ritmo e
che il Pentagono stava: "...considerando di emanare una
direttiva segreta ai militari americani per condurre
operazioni coperte mirate ad influenzare l'opinione pubblica
ed i politici nei paesi amici e nelle nazioni neutrali ...". "La
lotta - ha dichiarato un funzionario del Pentagono - verte
sul sistema di comunicazioni strategiche per la nostra
nazione, sul messaggio che noi vogliamo inviare per
influenzare a lungo termine, e come costruirlo. Noi possediamo le strutture, le capacità e l'addestramento
idonei per influenzare la pubblica opinione delle nazioni amiche e neutrali. Noi possiamo fare questo e farla
franca!" (New York Times, 16 dicembre 2002).

INFORMATIONS OPERATIONS

Durante la Prima Guerra Mondiale, i francesi e gli inglesi avevano diffuso


storie (mai documentate o confermate) secondo cui i soldati tedeschi
avevano sparato a un bambino di due anni e "tagliato le braccia di un
bambino rimaste appese alle vesti della madre" (John MacArthur, "The
Second Front Censorship and Propaganda in the Gulf War", Hill and Wang,
New York, 1992, sulla manipolazione delle notizie durante la prima Guerra
del Golfo, ndr). La vicenda venne ricamata ulteriormente quando un giornale
francese pubblicoò un disegno raffigurante soldati tedeschi che mangiavano
mani

Durante la prima Guerra del Golfo, la storia dei neonati strappati alle
incubatrici da soldati iracheni fu l'ennesima dimostrazione del principio
secondo cui una bugia ripetuta tante volte finisce per essere accettata come
verità (ne sanno qualcosa Goebbels e Berlusconi, ndr).

La disinformazione ha fatto parte della guerra almeno dai giorni di


Alessandro Magno, che disseminava grosse corazze lungo il percorso delle
sue truppe in ritirata per far credere al nemico che i suoi soldati fossero dei
giganti. Questo aneddoto di solito viene raccontato ai soldati nella prima lezione di addestramento in
operazioni psicologiche ("psyop").

In un documento dell'aeronautica Usa intitolato "Information Operations" (Air


Force Doctrine Document 2-5, 5 agosto 1998), si dichiara che "le operazioni
di informazione vengono applicate in tutto il raggio d'azione delle operazioni
militari, dalle missioni di pace al pieno conflitto... è importante sottolineare
che la guerra dell'informazione è una formula che viene attuata in tutte le
attività dell'aeronautica, dalla pace alla guerra, allo scopo di consentirne
l'effettiva esecuzione di tutti i compiti... L'esecuzione di operazioni d'informazione in ambito aeronautico,
spaziale e cyberspaziale attraversa tutti gli aspetti del conflitto".

Il documento Information Operations contiene sezioni intitolate "operazioni psicologiche", "guerra


elettronica", "attacco informatico", "controinganno", "inganno militare".

La crescente infrastruttura dell'informazione trascende l'industria, i media, l'esercito, e coinvolge entità


governative e non governative. E' caratterizzata da una fusione di reti e tecnologie militari e civili. Un
notiziario, un comunicato diplomatico o un messaggio militare contenente l'ordine di esecuzione di
un'operazione, dipendono tutti dalla infrastruttura dell'informazione globale.

In questo contesto, le "psyop" "sono ideate per trasmettere indizi e informazioni selezionati, allo scopo di
influenzare le emozioni, gli stimoli, le motivazioni e iil comportamento. L'inganno militare confonde gli
avversari, portandoli ad agire in base all'obiettivo dei suoi artefici".

In pratica, si dice sul documento citando lo stratega militare cinese Sun Tzu, "tutte
le operazioni di guerra sono basate sull'inganno".

La vicenda dei neonati strappati alle incubatrici dai soldati iracheni ha contribuito
alla creazione del sostegno pubblico alla prima Guerra nel Golfo Persico. Al
momento della sua diffusione, la storia venne largamente creduta e non vi fu
alcuna smentita fino alla fine della guerra. In seguito, alcuni giornalisti e
organizzazioni umanitarie hanno svolto delle indagini, giungendo alla conclusione
che si trattava di un falso. Il fatto venne considerato gravissimo negli ambienti
stessi delle pubbliche relazioni, eppure parte del pubblico crede ancora che sia
vero.

Dopo il 2 agosto 1990, data dell'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, gli Stati
Uniti dovettero fare dietro front alla svelta. Per circa un decennio, sino ad allora,
Saddam Hussein era stato un alleato degli Usa, nonostante le condanne dei
gruppi internazionali per i diritti umani. La Hill & Knowlton, in quel periodo la più grande agenzia di pubbliche
relazioni del mondo, fu l'ideatrice della massiccia campagna messa in atto per convincere gli americani ad
appoggiare una guerra di liberazione del Kuwait occupato dall'Iraq ("Citizens for Free Kuwait Files with FARA
After a Nine-month Lag", O'Dwyer's FARA Report, Vol. 1, N. 9, ottobre 1991).

Gran parte del denaro per finanziare la campagna in favore della guerra proveniva dal governo kuwaitiano
stesso, che sottoscrisse un contratto con la H&K nove giorni dopo l'entrata
dell'esercito di Saddam nel paese. La Hill & Knowlton creò il gruppo
"Citizens for a Free Kuwait", una classica operazione di propaganda ideata
per celare la sponsorizzazione del governo kuwaitiano in combutta con
l'Amministrazione Bush senior. Durante i sei mesi successivi, il governo
kuwaitiano stanziò circa 12 milioni di dollari per il Citizens for a Free
Kuwait, mentre il restante finanziamento ammontava a 17.861 dollari e
proveniva da 78 singoli donatori. Praticamente, tutto il budget del gruppo -
10.800.000 dollari - andò come compenso alla Hill & Knowlton. I
documenti archiviati al Dipartimento di Giustizia Usa dimostravano che 119
funzionari della H&K dislocati in 12 uffici in tutti gli Stati Uniti lavoravano
per conto del Kuwait. L'agenzia organizzò le interviste agli esponenti
kuwaitiani, la celebrazione del "Giorno di Liberazione Nazionale del
Kuwait" e altre manifestazioni pubbliche, la distribuzione di notizie e kit
informativi, e collaborò alla diffusione presso giornalisti influenti e l'esercito
Usa di oltre 200.000 copie di una mini guida di 154 pagine sulle atrocità
compiute dall'Iraq, intitolata "The Rape of Kuwait" (Lo stupro del Kuwait,
ndr). Le dimensioni della campagna Hill & Knowlton misero in soggezione
persino l'O'Dwyer's PR Services Report, una delle maggiori pubblicazioni
nel settore delle pubbliche relazioni. L'editore Jack O'Dwyer scrisse che la
Hill & Knowlton "ha assunto un ruolo senza precedenti come agenzia di
pubbliche relazioni nella politica internazionale".
La H&K ha impiegato un'incredibile varietà di tecniche e accorgimenti per la creazione di un'opinione
pubblica favorevole al sostegno degli Usa al Kuwait. Tra le tecniche rientravano le esaurienti conferenze in
cui venivano descritte le torture e le altre violazioni dei diritti umani compiute dal regime iracheno, e la
distribuzione di migliaia di magliette con lo slogan "Free Kuwait" e adesivi nei campus universitari in tutti gli
Stati Uniti.

La storia dei bambini tolti dalle incubatrici veniva ripetuta in continuazione. La raccontò il Presidente Bush.
Fu raccontata durante le testimonianze al Congresso, nei talk show in TV, alla radio e al Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite. Persino Amnesty International riportò la denuncia in un rapporto sui diritti
umani del dicembre 1990, dichiarando che "oltre 300 neonati prematuri sarebbero deceduti dopo essere stati
tolti dalle incubatrici portate via dai soldati iracheni" ("Iraq/Occupied Kuwait: Human Rights Violations Since
August 2, 1990", Amnesty International, 19 dicembre 1990).

Successivamente, anche gli investigatori di Amnesty International non trovarono "prove credibili" che
confermassero la storia e smentirono il loro precedente rapporto. Middle East Watch, un'altra organizzazione
che difende i diritti umani, svolse un'ulteriore indagine, concludendo che la storia fosse una mistificazione.

Era servita a coprire un altro evento drammatico: 5.000 persone uccise dal gas di Saddam, nel villaggio dei
curdi iracheni di Halabja nel 1988, il 75% donne e bambini. Ma percgé si voleva coprirlo (cover-up)? Perché
si erano utilizzate armi chimiche mentre l'Iraq riceveva sostegno economico e militare dagli Stati Uniti.

"La posizione dell'America su Halabja è vergognosa", dichiarò Joost R. Hiltermann di Human Rights Watch,
l'organizzazione che ha svolto indagini approfondite sulla vicenda di Halabja. Il Dipartimento di Stato Usa
aveva persino "dato istruzioni ai diplomatici di riferire che parte della responsabilità ricadeva sull'Iran" (Joost
R. Hiltermann, "America Didn't Seem to Mind Poison Gas", International Herald Tribune, 17 gennaio 2003).
La comunità internazionale smise di raccogliere gli appelli per una ferma condanna dell'Iraq in seguito
all'attacco al World Trade Center.

Una ricerca nel database delle notizie di LexisNexis mostra che negli Stati Uniti la vicenda di Halabja è stata
menzionata in 188 articoli durante il 1988 (l'anno in cui si è verificato il fatto). E' Sta tuttavia citata raramente
nell'anno successivo: in 20 articoli nel 1989 e solo in 29 nel 1990, l'anno in cui Saddam invase il Kuwait.
Nell'intervallo di tempo tra l'invasione del Kuwait, 2 agosto 1990 e la fine dell'operazione "Tempesta del
Deserto", 27 febbraio 1991, vi sono stati soltanto 39 riferimenti a Halabja. Nel decennio successivo, la
media è stata di 16 riferimenti l'anno. Durante le elezioni presidenziali del 2000, sono stati soltanto 10. La
vicenda non è ricomparsa sui media statunitensi fino al settembre 2002, quando l'Amministrazione di George
W. Bush ha iniziato la pressione pubblica per la guerra in Iraq. Tuttavia, sono stati molto pochi i giornalisti
che hanno avuto il coraggio di ricordare che Saddam aveva commesso le atrocità peggiori mentre il padre
dell'attuale Presidente lo ricopriva di aiuti finanziari.

Secondo lo stesso database di Lexis-Nexis, la storia dei neonati


tolti dalle incubatrici ha ricevuto 138 citazioni durante i sette mesi
intercorsi tra l'invasione del Kuwait e la fine dell'operazione
"Tempesta del Deserto". Subito dopo la fine della guerra, i
giornalisti, una volta andati negli ospedali kuwaitiani e raccolte le
testimonianze del personale ospedaliero secondo il quale la storia
era falsa, hanno iniziato a ridimensionare la versione originale.
Dopo il 1992, la storia è quasi del tutto scomparsa, con una media
di appena 10 citazioni all'anno nel decennio successivo. La
vicenda riaffiorò nel dicembre 2002, quando il canale HBO
trasmise in anteprima il documentario, "basato su una storia vera",
dal titolo "Live From Baghdad", nel quale si ripercorrevano le
avventure di Peter Arnett e di altri giornalisti della CNN durante
l'operazione "Tempesta del Deserto", in cui, nuovamente, si tentaa
di far passare per vera la storia dei neonati. In risposta alle
proteste suscitate dall'osservatorio sui media FAIR, la HBO
aggiunse una nota alla fine dei titoli di coda, in cui si ammetteva
che "le accuse mosse ai soldati iracheni di aver tolto i neonati dalle
incubatrici... non sono mai state comprovate" ("Activism Update:
HBO Adds Disclaimer to Gulf War Movie", Fairness and Accuracy
in Media, 3 gennaio 2003).
Naturalmente, la nota è stata vista soltanto dai pochi telespettatori che hanno letto i titoli di coda. Prima
dell'inserimento della nota, il critico televisivo del Washington Post, Tom Shales, nella sua recensione di
"Live From Baghdad", aveva scritto: "L'orrore compiuto in Kuwait ritorna vivido durante una sequenza in cui
[Robert, il produttore della CNN] Wiener e la sua troupe viaggiano attraverso il Kuwait per indagare sulle
accuse secondo cui i soldati iracheni avrebbero strappato via dei neonati alle incubatrici durante un
saccheggio, ricordate?" (Tom Shales, "Live From Baghdad: The Cameras of War", Washington Post, 7
dicembre 2002).

Calunnia + calunnia + calunnia = verità.

LA FABBRICA DELLA REALTA'

Le "realtà fabbricate" vengono introdotte giorno dopo giorno nella catena


dell'informazione di massa, devono diventare verità indelebili, che formino parte di
un ampio consenso politico e dei media.

In stretto collegamento con il Pentagono e la CIA, anche il Dipartimento di Stato


ha istituito una sua propria unità civile di propaganda, guidata e diretta dalla
Sottosegretaria di Stato per le Relazioni e gli Affari Pubblici Charlotte Beers, una
figura potente nell'industria pubblicitaria. Lavorando a stretto contatto con il
Pentagono, la Beers è stata nominata a capo dell'unità di propaganda del
Dipartimento di Stato immediatamente dopo l'11/9. Il suo mandato consisteva nel
"contrapporsi e neutralizzare l'anti-Americanismo esterno" (Sunday Times, Londra
5 gennaio 2003). Il suo ufficio al Dipartimento di Stato deve: "'assicurare che le
pubbliche relazioni (di coinvolgimento, di informazione e guida, di influenza sulle
comunicazioni internazionali importanti), vengano praticate in armonia con gli
affari pubblici (con sfera di estensione al di là degli Statunitensi) e con la diplomazia tradizionale, per dare
impulso agli interessi e alla sicurezza degli USA e produrre la base morale per la leadership Americana nel
mondo".

La più importante componente della campagna di paura e di disinformazione, naturalmente, è la CIA, che,
segretamente, retribuisce autori, giornalisti e critici dei media attraverso una ragnatela di fondazioni private
ed organizzazioni di facciata che “sponsorizza”.

Tra l'altro, la CIA influenza anche l'ambito e la direzione di molte


produzioni di Hollywood. Dall'11/9 una terzo delle produzioni di
Hollywood sono film di guerra. "Le star e gli autori di Hollywood si
precipitano a sostenere il nuovo messaggio di patriottismo,
consultandosi con la CIA e dibattendo con il militari su possibili
attacchi terroristici nella vita reale." (Ros Davidson, "Le stelle si
meritano le loro strisce", The Sunday Herald, 11 Novembre 2001).

"The Sum of All Fears" (“L'Estate del Terrore”), diretto da Phil Alden
Robinson, che descrive lo scenario di una guerra nucleare, ha
ricevuto l'approvazione e il supporto economico sia del Pentagono,
che della CIA (Samuel Blumenfeld, "Il Pentagono e la CIA arruolano
Hollywood", Le Monde, 24 luglio 2002).

La disinformazione viene quotidianamente "seminata" da agenti della


CIA nelle redazioni dei più importanti quotidiani, delle riviste e dei
canali Televisivi. All'esterno vengono spesso utilizzate ditte di
pubbliche relazioni per creare "storie fasulle, accuratamente
documentate da Chaim Kupferberg in relazione agli eventi dell'11
settembre: "Un gruppo relativamente piccolo, ma ben coordinato, di
corrispondenti preparano gli scoops che vengono pubblicati nelle
relativamente poche fonti di notizie ufficiali, dove i parametri del dibattito sono stabiliti e la "realtà ufficiale"
viene consacrata per tutti gli altri nella catena dell'informazione" (Chaim Kupferberg, "I preparativi di
propaganda per l'11 settembre", Global Outlook, No. 3, 2003)
Altre iniziative di subdola disinformazione sono messe in atto
attraverso vari servizi satellitari in altri paesi. Dall'11/9, esse sono
risultate nella disseminazione giornaliera di false informazioni
riguardanti presunti "attacchi terroristici". In tutti i casi riportati (Gran
Bretagna, Francia, Indonesia, India, Filippine ecc.) si diceva che i
"presunti gruppi terroristi" avevano "collegamenti con al Qaeda di
Osama bin Laden", senza naturalmente riconoscere il fatto
(ampiamente documentato da rapporti di intelligence e documenti
ufficiali) che Aal Qaeda è una
creazione della CIA, e che la
famiglia di Bin Laden fà affari con
quella di Bush.

Tra le ultime, la sparata di Bush di


uno sventato attentato di Al Qaeda a Los Angeles nel 2002. Non è stato
da meno il suo amico Silvio Berlusconi che, a novembre del 2005, si è
inventato un attentato alla sua persona da parte di un kamikaze, in
occasione in del derby Inter-Milan di champions league della stagione
precedente. Oltre avaneggiare presunti imminenti attacchi al Vaticano e
alla mentropolitana di Roma.

È questa la natura anarchica dell'informazione, soggiogata agli interessi


del potere, che consente di dire tutto e il contrario di tutto, perché niente
è più verificabile: l'iper-velocità, la frenesia, la sovraesposizione dei flussi
comunicativi, non consentono alcuna riflessione critica.

È proprio in questo spazio de-storicizzato, de-realizzato, virtualizzato,


simulato, che si inserisce la macchina da guerra della propaganda.

THE ENDURING WAR

Nei mesi che portarono all'annunziata invasione dell'Iraq, la


campagna di propaganda si mise in movimento per sostenere
l'illusione che l'America si trovava sotto attacco.

Passata non solamente attraverso i media ufficiali ma anche


attraverso molti siti internet di comunicazione questa "realtà
fabbricata" comincia a ritrarre la guerra come autodifesa,
come guerra umanitaria, guerra di liberazione, "enduring war -
enduring freedom", nascondendo (cover-up) accuratamente i
veri obiettivi strategici ed economici della guerra.

La campagna di propaganda sviluppa un casus belli, una


giustificazione, una legittimità politica per la guerra. La "realtà
ufficiale", attraverso i discorsi di George W Bush, si posiziona
sulla premessa marcatamente "umanitaria" di una cosiddetta
"guerra preventiva", o più chiaramente "difensiva", una guerra
"per proteggere la libertà": " Noi siamo sotto attacco, perché
noi amiamo la libertà! Ed è per questo, perché noi amiamo la
libertà e diamo valore alla vita di ogni uomo, che stanno
tentando di ferirci" (Welcome Army National Guard Aviation
Support Facility, Trenton, New Jersey, 23 settembre 2002).

Espressa dal National Security Strategy (NSS), la dottrina della "guerra difensiva" preventiva e della "guerra
al terrorismo" contro al Qaeda costituiscono le due essenziali colonne portanti della campagna di
propaganda del Pentagono. L'obiettivo è presentare l' "azione militare preventiva", cioè la guerra, come atto
di "autodifesa" contro due categorie di nemici, gli "stati canaglia" ed i "terroristi islamici": "La guerra contro i
terroristi di portata globale è un'impresa di durata indeterminabile. L'America agirà contro queste minacce
che stanno profilandosi, prima che prendano forma completamente. Gli stati canaglia ed i terroristi non
cercano di attaccarci utilizzando mezzi convenzionali. Sanno che tali attacchi fallirebbero. Invece essi si
affidano ad azioni di terrore e, potenzialmente, all'uso di armi
di distruzione di massa (...) Gli obiettivi di tali attacchi sono le
nostre forze armate e le nostre popolazioni civili, in violazione
di una delle principali norme della legge di guerra. Come è
stato dimostrato dalle perdite dell'11 settembre 2001, vittime
civili in massa sono l'obiettivo specifico dei terroristi e queste
perdite saranno esponenzialmente più gravi se i terroristi
entreranno in possesso ed useranno armi di distruzione di
massa. Gli Stati Uniti hanno a lungo mantenuto l'opzione di
azioni preventive per contrastare una seria minaccia alla
nostra sicurezza nazionale. Più grande la minaccia, maggiore
il rischio della inattività, e più irresistibile il fatto di
intraprendere azioni anticipatorie per difenderci, (...). Per
bloccare o prevenire tali atti ostili da parte dei nostri avversari,
gli Stati Uniti, se necessario, agiranno preventivamente".
(National Security Strategy, White House, 2002)

Le dichiarazioni diventano parte del dibattito giorno


dopo giorno, incorporate in conversazioni di routine tra
cittadini. Ripetute fino alla nausea, esse penetrano
nella coscienza profonda della gente comune
forgiando le loro percezioni individuali sui fatti attuali.
Attraverso la falsità e la manipolazione, questo formare
le menti di intere popolazioni prepara il terreno, sotto la
facciata di una democrazia funzionante, per
l'instaurazione di fatto di uno stato di polizia globale.

La disinformazione riguardo presunti "attacchi


terroristici" o "armi di distruzione di massa" provoca a
sua volta un’atmosfera di paura che mobilita un fermo
patriottismo e sostegno per lo Stato ed i suoi principali
esponenti politici e militari. Non importa che in Iraq non
siano mai state trovate armi di distruzione di massa.
Talmente è grande il potere della concertazione mass-
mediatica di influenzare l'opinione pubblica, che la
realtà ormai è passata in secondo piano, anzi, si è
eclissata, letteralmente.

È stata eliminata, cancellata, assassinata, dalle armi di distrazione di massa.

Il crimine perfetto.

Fonti:

- "L'immagine della guerra non è la guerra Dal cavallo di Troia al cormorano del Golfo: breve storia delle
false notizie durante i conflitti", di Renata Tinini;

- "La madre di tutte le bugie", di John Stauber, http://www.disinformazione.it. Estratto del libro "Vendere la
guerra" (La propaganda come arma d'inganno di massa, NuoviMondiMedia 9 che rivela tutti i retroscena
dell'aggressiva campagna di pubbliche relazioni e disinformazione promossa dall'Amministrazione Bush per vendere al
mondo la guerra all'Iraq e al terrorismo internazionale. Stauber è il fondatore e il direttore del "Center for Media &
Democracy", un istituto che analizza la propaganda condotta dalle multinazionali e dai governi. Insieme
a Sheldon Rampton pubblicano su "PR Watch", l'osservatorio Usa sull'industria delle pubbliche relazioni. In
Italia, sempre per NuoviMondiMedia è uscito anche "Fidati! Gli esperti siamo noi - Come la scienza corrotta
minaccia il nostro futuro", sulle strategie impiegate dalle pubbliche relazioni per creare molti dei cosiddetti
“esperti”, i cui volti appaiono nei programmi d’informazione e nei comitati scientifici, pagati profumatamente
per fornire le loro “opinioni” atte a modificare la percezione della realtà e a creare consenso.

- "Propaganda di Guerra", di Michel Chossudovsky, 16 gennaio 2003,


http://www.disinformazione.it. Chossudovsky è Professore di Scienze Economiche all'Università di
Ottawa, Direttore del Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione, 'autore di "Guerra e Globalizzazione. Le
Verità dietro l'11 Settembre e la Nuova Politica Americana". Copyright Michel Chossudovsky, CRG 2002.
Tutti i diritti riservati.

http://www.globalresearch.ca/

http://www.prwatch.org/

http://www.globaloutlook.ca/

http://www.hrw.org/

http://www.nuovimondimedia.com/

http://www.lexisnexis.com/

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