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Berlino, 20 aprile 2005.

Durante la Seconda Guerra


Mondiale, il giovane Joseph Ratzinger fu iscritto alla
Gioventù Hitleriana: lo ha spiegato lo stesso
cardinale, in alcune interviste, nelle quali ha motivato
la sua presenza sporadica nella sede
dell'organizzazione giovanile nazista con la necessità
di procurarsi la riduzione delle tasse scolastiche di cui
aveva bisogno per studiare. Lo stesso Papa ha
ammesso, dunque, di aver fatto parte della gerarchia
nazista.

Belgrado, 20 aprile 2005. Insieme alla fredda


accoglienza riservata al nuovo papa da parte della
Chiesa Ortodossa Serba, la stampa di Belgrado ha
sottolineato il conservatorismo di Ratzinger e la sua
appartenenza da ragazzo alla "Hitler Jugend". Il
quotidiano indipendente Danas ha annunciato l'arrivo
di ''un tedesco dopo 1.000 anni'' a capo della Chiesa
Cattolica, accompagnando l'articolo con una foto di
Ratzinger quattordicenne con l'uniforme della
gioventù hitleriana. D'altronde, molti cristiani serbi
ortodossi non hanno mai perdonato la Chiesa Cattolica per il suo sostegno all'occupazione
nazista dei Balcani durante la Seconda Guerra Mondiale, quando centinaia di migliaia di
serbi morirono nei campi di concentramento. Anche un altro giornale, Kurir, ha ricordato il
passato di giovane nazista del neo pontefice, pur aggiungendo che ''non esistono prove
che Josef Ratzinger abbia partecipato o svolto un qualsiasi ruolo nei crimini di guerra
commessi dal nazismo'' (così come non esistono prove del contrario, ndr). Il quotidiano
Glas Javnosti lo ha definito invece un ''intransigente guardiano del dogma cattolico''.

«Dalla gioventù hitleriana a Papa Ratzi».


Questo il titolo che il Sun, il più venduto e
popolare quotidiano inglese, ha dedicato al
nuovo Pontefice, reo di aver indossato («a
forza», ammette a denti stretti il giornalista del
Sun) la divisa dell'esercito nazionalsocialista
durante la Seconda Guerra Mondiale.
«L'ultraconservatore Ratzinger è nato 78 anni
fa nel villaggio bavarese di Marktl-am-Inn, dove
ieri notte la banda del paese ha festeggiato con
fiumi di birra», ha ironizzato il giornalista. Poi, la
zampata finale, per la gioia dei lettori e sudditi di
sua Maestà: «Ratzinger aveva quattordici anni
quando fu costretto ad aderire alla Gioventù
Hitleriana». Il sottinteso è chiaro: il giovane
Joseph si batté contro il glorioso esercito
inglese. Che l'adolescente Ratzinger avesse
prestato servizio nella Wehrmacht si sapeva.
Che i tabloid britannici continuassero a soffiare
sul fuoco della diffidenza anglo-tedesca è stata
invece una scoperta. Basti pensare che, oltre al
Sun, anche il Mirror ha definito il Papa il «Rottweiler germanico», battendo perfino il
nostrano Manifesto che è uscito in prima pagina con il titolo «Il Pastore Tedesco». Più
sfumata (e ironica) la polemica che ha viaggiato via sms, parafrasando l'antica esortazione
di Papa Giovanni nei primi anni '60: «Kari fratelli, kvando tornate a kasa, tate ein ceffone
ai fostri pampini. Tite loro ke essere ceffone ti Papa».

From the Hitler Youth to Papa Ratzinger

Was Pope Benedict XVI (Joseph Ratzinger) A Nazi?

Hitler Youth - Wikipedia

CHIESA E NAZISMO

Nell'Europa dell'ovest, persino prima della guerra ci furono preti che presero parte attiva
nella caccia ai beni degli ebrei: dopo l'Anschluss (l’annessione dell’Austria alla Germania
per formare la "Grande Germania"), nel giugno 1938, Eugen Haisler, segretario di Innitzer,
giunto in Francia per predisporre "un comitato cattolico di amicizia franco-tedesca",
incontrò fra gli altri Rossé, il capo degli autonomisti alsaziani finanziati dal Reich, che gli
chiese di acquistare per lui a Vienna, a un prezzo vantaggioso, una stamperia ebraica.
Oggi disponiamo di informazioni sostanziali sui membri del clero francese che erano a
capo della collaborazione (Suhard, Baudrillart, Beaussard, vescovo ausiliare di Parigi):
Suhard dimostrava grande spirito di conciliazione durante le perquisizioni della Gestapo
del 26 luglio 1940 tendenti a stabilire la collusione fra il defunto cardinale Verdier e gli
ebrei e il complotto tramato contro il Reich dagli emigrati politici e dall'arcivescovato di
Parigi; nella stessa sede dell'arcivescovato di Parigi, la Quinta Colonna aveva i propri
informatori, come dimostrò l'irruzione tedesca durante la quale fu sequestrato un
esemplare del rapporto sulle conversazioni tra mons. Verdier e Benès, - verosimilmente
sulle alleanze franco e ceco-sovietiche - in occasione del congresso cattolico di Praga (dal
27 giugno al 1 luglio 1935). Ma, riguardo all'Europa orientale, le informazioni sono molto
più nutrite. Perché, di fronte ad una opposizione forsennata della curia, in occasione dei
grandi processi a cavallo degli anni Quaranta-Cinquanta, gli stati estrassero dagli archivi
nazionali ed ecclesiastici massicce informazioni (sequestrate una volta acquisite).
Documenti che aprono scenari inquietanti sulle posizioni assunte dalla Chiesa Cattolica.
Saul Friedlander parla della "libertà di azione lasciata ai vescovi" che si tradusse in
comportamenti molto diversi: mentre il patriarca ortodosso di Costantinopoli ordinava ai
suoi vescovi di fare il massimo per salvare gli ebrei, nessun ordine di questo genere
giunse da Roma. Nella Russia occupata, le responsabilità della Chiesa furono identiche a
quelle della Croazia di Pavelic o della Slovacchia di Tiso, senza che il Vaticano potesse
invocare l'ignoranza di quanto stava succedendo: il Vaticano era la migliore agenzia
d'informazioni del mondo e il pontefice era il primo a essere informato sui minimi particolari
degli avvenimenti bellici. Fin dal settembre 1939, Pio XII era perfettamente al corrente dei
metodi tedeschi. Gli archivi francesi confermano le fonti polacche e jugoslave. Non è
possibile distinguere le organizzazioni terroristiche, "l'esercito cattolico d'Ucraina" uscito
dall'Organizzazione degli Ucraini Nazionalisti (OUN) del capo nazista ucraino Stefan
Bandera, dai loro tutori religiosi, preti o laici che fossero. Al terrorismo degli anni
precedenti la guerra, guidato dal Reich, seguì il terrorismo di guerra che ha consentito a
questa "polizia ausiliaria" di massacrare soldati dell'Armata Rossa, ebrei e partigiani, con
entusiasmo a volte più grande di quello dei tedeschi, preoccupati di garantire una
liquidazione "razionale" e organizzata. È quanto ha messo in rilievo Raul Hilberg a
proposito di tutti gli ausiliari dei nazisti, si trattasse di ucraini o di slovacchi, di croati, di
baltici, di rumeni o di ungheresi, e non solo dei "tedeschi etnici" trovati sul posto. Così
come ha rilevato il divieto di aiuto agli ebrei perseguitati dagli Einsatzgruppen (reparti
speciali tedeschi, composti da uomini delle SS e della polizia), notificato ai preti da vescovi
come il lituano Brizgys.

Pio XII e il nazismo

SS GALICIA

È nei ranghi della polizia baltica, bielorussa e ucraina che furono


reclutati gli effettivi della divisione SS Galicia (SS-Galizien) - più
tardi fu conosciuta con il nome di 1a Divisione Ucraina dell'Esercito
Nazionale Ucraino - formata nel 1942-1943. I carnefici erano
scortati dai preti come dopo il massacro di 6.000 ebrei che durò tre
giorni e tre notti, di cui fu testimone il giovane Simon Wiesenthal. Il
massacro, perpetrato nell'estate 1941 dall'OUN per celebrare il
rientro a Lvov (sede di monsignor Szepticky), fu interrotto al suono
delle campane della chiesa. Una voce ucraina urlò: "Basta per
questa sera! È l'ora della messa!". A dispetto delle pretese
reticenze della Chiesa, peraltro posteriori a Stalingrado, verso le
atrocità tedesche e affini, i prelati controllarono strettamente
l’alleanza fra laici e religiosi, come il vecchio vescovo uniate di Lemberg (Lvov), mons.
Szepticky, vero simbolo della penetrazione germanica in territorio slavo: la sua lotta
antirussa (e antipolacca) al servizio dell'Austria (prima del 1914) poi del Reich, ebbe
nuovo slancio con la guerra, dal giugno 1941. La sua crociata e le azioni dei suoi
subordinati non distinsero mai fra l'imperativo di vincere una volta per tutte il comunismo
ateo e militante e quello di sbarazzarsi degli ebrei. Egli dette la sua benedizione alla
divisione SS Galicia guidata dai suoi cappellani uniti all'assalto degli "empi bolscevichi".

14th Waffen Grenadier Division of the SS (1st Ukrainian) - Wikipedia

Quanto si sa della Russia vale anche per tutta l'Europa centrale e


orientale, dove la gerarchia cattolica, oltre a non proteggere le
vittime, vietò ad altri di proteggerle. Del resto, i prelati notoriamente
antisemiti di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Romania, in paesi
dotati di una severa legislazione antiebraica prima della guerra,
avevano partecipato attivamente all'elaborazione e all'adozione di
queste stesse leggi che, nel 1945, si mostrarono ben felici di
rispettare. È noto l'eminente contributo della Slovacchia di mons.
Jozef Tiso, ex-arcivescovo di Bratislava, alle deportazioni degli
ebrei. Il 9 marzo 1939, a Berlino, dopo essersi accordato con Hitler,
Tiso proclamò la Repubblica Indipendente Slovacca,
collaborazionista, di cui fu il presidente del consiglio dal 1939 al
1944. Alla fine della guerra mondiale fu processato e giustiziato per alto tradimento. Gli
archivi, aperti dopo la guerra, hanno provato che l'atteggiamento dei vescovi verso il
massacro degli ebrei slovacchi era stato per lo meno sospetto e che essi non avevano
mostrato un grande disinteresse verso i beni terreni. Il processo "per alto tradimento", nel
gennaio 1951, di tre vescovi slovacchi (mons. Vojtassak, Bulzaka e Godjte), condannò
Vojtassak per aver approvato la deportazione degli ebrei e partecipato al saccheggio dei
loro beni, in particolare a Baldovce e a Betlanova.
In Croazia, la "purificazione etnica" colpì tanto i serbi ortodossi quanto gli ebrei. Non è più
il caso di chiedersi se Roma ignorò i
misfatti del paese di Pavelic e
l'eminente contributo di un clero
"(composto) per lo più di fanatici o di
uomini pietrificati dalla paura", dal più
alto al più basso livello della gerarchia.
Il Vaticano, e in primo luogo Pio XII, ha
sostenuto il regime ustascia fino alla
caduta. Ha coperto i crimini dei preti, si
trattasse di partecipazione individuale
o adesione a massacri e saccheggi dei
beni degli ebrei e degli ortodossi. Pio
XII preferì parlare dei rischi di
fallimento della "crociata militare
comune contro il bolscevismo". Il tesoro ustascia, trovato all'inizio del 1946 nel convento
francescano di Kaptol a Zagabria, conteneva gioielli, oro, denti in oro in mandibole intere,
anelli su dita tagliate, provenienti dal saccheggio di ortodossi ed ebrei assassinati in
massa. Inoltre, sono noti fin dagli anni Sessanta i silenzi di Pio XII sull'anti-cristianesimo
del regime hitleriano, le persecuzioni, le deportazioni, i terrificanti metodi di guerra e di
occupazione dei tedeschi. Da questo dossier, studiato da Saul Friedlander, è emerso che
la curia fu informata nei minimi particolari da fonti ebraiche, americane (l'americano Myron
Taylor, rappresentante personale di Roosevelt presso papa Pio XII, le fornì uno stato
particolareggiato degli stermini in Polonia il 26 settembre 1942) e tedesche. La curia non
denunciò nulla di tutto ciò nemmeno quando, dal luglio all'ottobre 1942, gli Stati Uniti e altri
governi, fra cui quello inglese, unirono i loro sforzi per ottenere dal papa una protesta
pubblica contro le atrocità naziste nei territori occupati dalla Germania. Il 30 dicembre
1942, Pio XII invocò una certa esagerazione a fini propagandistici nei rapporti degli alleati
sulle atrocità. Spiegava che, quando parlava delle atrocità, non poteva nominare i nazisti
senza menzionare allo stesso tempo i bolscevichi, "cosa che potrebbe non piacere agli
alleati". Pio XII non disse nulla invece sulle deportazioni di massa degli ebrei, come quelle
che si svolsero sotto le "sue" finestre, nella città di
Roma occupata dai tedeschi, a partire della metà
dell'ottobre 1943.

Egli aveva affidato al vescovo Alois Hudal il compito


di discutere con il generale Stahel, comandante in
capo della città di Roma, la questione delicata e
sgradevole delle relazioni germano-vaticane, ma che
fu "liquidata" - secondo von Wreiszècher, neo-
ambasciatore del Reich dall'inizio di luglio 1943 - in
meno di due settimane: da sola, questa missione
costituiva una ammissione, tenuto conto
dell'antisemitismo del nazista austriaco Hudal e dei
suoi contatti a Roma con Walter Rauff, capo dei
servizi di sicurezza delle SS, responsabile del
programma delle camere a gas mobili, dal 1941 all'est
(inviato nella primavera 1943 a Roma per sei mesi da
Martin Bormann, Rauff fu assegnato in settembre ad
un'unità SS operante nella regione di Genova-Milano-
Torino con lo stesso obbiettivo). Né si sentirono ulteriori dichiarazioni da parte di Pio XII
sulle deportazioni del 1944, in particolare su quelle degli ebrei ungheresi, che furono
massicce a partire dal mese di maggio.

Alois Hudal - Il vescovo nazista

Nel 1963, il drammaturgo tedesco Rolf Hochhut scrisse su Pio XII


l’opera "Il Vicario" (Feltrinelli, Bologna, 1964), in cui erano
contenute numerose accuse contro il pontefice, tra cui quelle di
essere filonazista, antiebraico, opportunista politico e per nulla
evangelico (il regista Costa-Gravas ne ha poi tratto il film "Amen",
con Mathieu Kassovitz, Francia, 2002, ndr). L’opera scatenò un
violento dibattito su Papa Pacelli e sorsero parecchie pubblicazioni
pseudo-storiche tendenti a dimostrare queste tesi, spesso di
carattere emotivo e problematiche, come anche altre di segno
opposto. Questo fatto, però, è servito alla critica storica, in quanto
la Santa Sede incaricò tra la fine del 1964 e gli inizi del 1965 un gruppo di gesuiti, storici di
fama internazionale, come P. Blet, R.A. Graham, A.Martini e B.Schneider, di fare luce,
pubblicando gli atti e documenti vaticani sulla Seconda Guerra Mondiale, pubblicazione
conclusasi con l’ultimo libro di Pierre Blet su Pio XII ("Pio XII e la Seconda Guerra
Mondiale negli Archivi Vaticani", Roma, Edizioni San Paolo, 1999).

"Il Vicario" del tedesco Rolf Hochhuth

AMEN di Costa Gavras

P. Pierre Blet S.J. su Pio XII

Un’altra opera molto problematica, apparsa su Pio XII e l’antisemitismo della Chiesa
Cattolica, è stata quella di Ernesto Rossi, "Il Manganello e
l’Aspersorio", del 1957 (ristampata, in occasione del
Giubileo, dalle edizioni Kaos), in cui l’autore prova a
dimostrare le collusioni nazifasciste della Chiesa. Si tratta
di un’opera molto dettagliata, in cui sono riportati stralci
interi di documenti. Il Rossi sottolinea come le tendenze
antisemite presenti nella Chiesa Cattolica, soprattutto in
ambiente gesuita, fornirono la giustificazione religiosa ai
fascisti per introdurre e difendere le leggi razziali. Il saggio
"Della Questione Giudaica in Europa", apparso su Civiltà
Cattolica nel 1889 e ripubblicato a nel 1891 con le stesso
titolo, in un opuscolo di 90 pagine, un capolavoro –
secondo l’autore – della letteratura gesuitica
antirisorgimentale del secolo, afferma con crudezza che "la
gran famiglia israelitica, disseminata tra le genti del globo,
forma una nazione straniera nelle nazioni in cui dimora e
nemica giurata del loro benessere…" e che il Talmud, oltre
ad essere la fonte di una morale "esecranda", prescrive
"l’odio a tutti gli uomini che non hanno sangue giudaico, in specie a’ cristiani, e faccia
lecito il depredarli e malmenarli quasi bruti nocivi". Queste sorprendenti affermazioni, in
uno scritto cattolico, in verità sono abbastanza gravi, in quanto offrirono un fondamento
dottrinale al fascismo nella lotta antigiudaica, e misero in serio imbarazzo le gerarchie
cattoliche, anche perché con chiarezza, forse perché gli anticlericali dell’epoca avevano
eletto sindaco di Roma un ebreo, Natan, nello scritto si dice che il fatto che il Papa avesse
perso Roma era imputabile alla "peste ebraica" e che l’Italia era divenuta "un regno di
ebrei anticristiani". I rimedi suggeriti dall’opuscolo erano l’abolizione dei regimi
democratici, fondati sui "diritti dell’uomo", confiscare tutti i beni dei giudei ed espellerli dai
paesi cristiani, anche se queste misure sarebbero dovute essere messe in atto secondo
giustizia e carità, non penalizzando gli ebrei onesti. Una via necessaria era individuata nel
ripristino, come nella Russia zarista, delle leggi che togliessero ai giudaici l’uguaglianza
civile e il confinarli in ghetti, in quanto data la loro indole di "stranieri", di "nemici" di ogni
paese, e costituenti una "società separata". Lo scritto, inoltre, considerava non giusta e
cristiana la loro soppressione ed uccisione, che anzi era ripudiata. Sorprendentemente,
nella prassi fascista delle leggi razziali, fu attuata tutta la filosofia soggiacente a questo
scritto, così come nello spirito dei pronunciamenti: non "persecuzione" degli ebrei ma
"discriminazione". Successivamente, Ernesto Rossi, ripercorrendo le pagine della rivista
gesuita, dimostra come questa più volte sia ritornata sul problema giudaico con gli stessi
argomenti del 1889, come nel 1928 e nel 1934, quando uscirono due articoli, di padre E.
Rosa, di pieno appoggio alle teorie esposte in un "Manuale Nazista di Propaganda
Antisemita". Nel 1936 fu recensito, sulla stessa rivista, con accenti positivi, un libro
antisemita del cattolico Léon De Poncins, in cui si sottolineava il carattere "comunista" e
"capitalista" degli ebrei , mentre nel 1937, nell’articolo "La Questione Giudaica e il
Sionismo", si sottolineava che per conquistare il dominio del mondo, gli ebrei si servivano
dell’oro (che già possedevano) e dell’ "internazionalismo proletario", essendosi già infiltrati
nella Società delle Nazioni e nella Massoneria. Questa "mentalità nefasta" dei giudei si
doveva "soltanto tenerla a freno con il ghetto, cioè con
restrizioni giuridiche e coercitive, senza persecuzioni, in
modo adatto ai nostri tempi". L’obiettivo doveva essere
quello, tramite le persecuzioni "moderate", della
conversione al cattolicesimo, come veniva spiegato nella
rivista del 19 giugno 1937. Nel 1938, sulla stessa rivista,
si plaudiva alle tesi di espulsione dai quadri dirigenti della
nazione degli ebrei, proposta dal fascista Giacomo
Acerbo, mentre sul quaderno del 27 marzo e successivi
ci si allineava alla propaganda fascista, se non la si
ispirava. Il Rossi, scorrendo diversi numeri della rivista,
sottolinea sempre più questa consonanza tra la
persecuzione ebraica messa in atto dai fascisti e gli
articoli della rivista gesuitica, spesso vogliosi di
distinguere tra "antisemitismo nazista" e "giusto
antisemitismo fascista" . Riguardo a Papa Pio XII, il Rossi
scrive: "Mai, durante la guerra, s’era udita una parola del
Santo Padre contro il nazionalsocialismo; mai una sua parola di condanna delle stragi dei
polacchi e degli ebrei, né dei campi di sterminio, né di tutti gli altri raccapriccianti orrori, di
cui – più di qualsiasi uomo politico – Pio XII era a conoscenza, per i dettagliati rapporti che
riceveva dal clero dei paesi belligeranti e dagli ambasciatori accreditati presso la Santa
Sede".

Ernesto Rossi, Il manganello e l'aspersorio


Un altro autore "problematico", il teologo tedesco Hans Kung, ha affrontato nel suo volume
"Ebraismo" (Rizzoli “Bur saggi”, 1999) la questione del rapporto
tra Chiesa Cattolica ed ebrei. Ripercorrendo la Storia della
Chiesa Cattolica, Kung evidenzia dapprincipio il legame tra le
prescrizioni canoniche, dal sinodo di Elvira del 306, fino al
Concilio di Basilea del 1434, con le leggi razziali nazifasciste,
trovandovi una singolare affinità: anche i cristiani avevano
proibito i matrimoni misti, i rapporti sessuali, i pranzi con gli
ebrei; avevano vietato loro le cariche pubbliche, di tenere presso
di sé servi, serve, schiavi e schiave cristiani, come anche di farsi
vedere per strada durante la settimana santa; avevano ordinato
il rogo del Talmud e di tutti gli altri libri ebraici; proibito di
consultare medici giudei e abitare presso famiglie di questa
razza; li avevano obbligati a versare le decime alle chiese e a
non lavorare la domenica; avevano impedito loro di accusare o
testimoniare contro i cristiani; avevano vietato di diseredare i loro fratelli di fede passati al
cristianesimo; li avevano costretti a portare un distintivo sui vestiti, impedito di costruire
sinagoghe; c’era il divieto di partecipare alle feste ebraiche per i cristiani; li avevano
costretti ad abitare in quartieri ebraici rigorosamente delimitati, non potevano acquistare o
affittare beni e terreni dai cristiani; avevano impedito le conversioni all’ebraismo, e
viceversa, il ritorno di un ebreo convertito alla propria fede; proibito di fare da mediatori in
contratto tra i cristiani. Il tutto proprio come i nazifascisti. Kung sottolinea che proprio
questa cultura cristiana "negativa" e spesso ideologica, non raccordabile con il "depositum
fidei", è stata la causa della dottrina nazifascista sul razzismo, sulle persecuzioni razziali,
ed è questa la prima cosa di cui la Chiesa deve fare "memoria" e chiedere perdono delle
proprie colpe. Questi fatti non possono essere rimossi: "Come è noto, fin dall’illuminismo
la chiesa cattolica austriaca aveva fomentato il tradizionale antisemitismo della
popolazione, anzi lo aveva usato perfino come strumento politico, e precisamente sia
contro la monarchia sia contro la democrazia". Con un'unica differenza: l’antisemitismo
cattolico non mirava alla soppressione degli ebrei, bensì alla delimitazione e alla
conversione. Quello fascista e hitleriano era discriminatorio e fondato su presunte ragioni
biologico-razziste. Kung si pone delle domande: "Che cosa sarebbe successo se il
Vaticano – invece di accreditare Hitler già il 20 luglio 1933 con un concordato – avesse
messo in guardia la Germania e il mondo da un uomo le cui disastrose intenzioni erano
enunciate in maniera inequivocabile nel Mein Kampf e nel programma in 24 punti del suo
partito…?". Il teologo riconosce che singoli gruppi di cattolici hanno fatto moltissimo, ma
giudica preoccupante il silenzio della Conferenza Episcopale tedesca e riporta una lettera
di Konrad Adenauer al pastore di Bonn, Bernhard Custodis, del 23 febbraio 1946: "A mio
avviso il popolo tedesco porta, come pure i vescovi e il clero, una grande responsabilità
per i fatti accaduti nei campi di sterminio… La colpa è stata commessa prima. Il popolo
tedesco, e in buona misura anche i vescovi e il clero, ha aderito al nazionalsocialismo. Ci
si è lasciati uniformare… quasi senza resistenza, in parte anzi con entusiasmo. Qui sta la
colpa…Io credo che se i vescovi tutti insieme ed in un determinato giorno avessero preso
posizione dal pulpito contro ciò, avrebbero potuto impedire molte cose. Così non è
avvenuto e per questo non ci sono scuse. Se per tale motivo i vescovi fossero finiti in
prigione o in un campo di sterminio, non sarebbe stato un male, al contrario. Tutto questo
non è accaduto e perciò è meglio tacere". Parlando di Pio XII, il teologo tedesco afferma
che la sua figura è discutibile per la "diplomaticissima politica ebraica", in quanto il
pontefice è stato estremamente riluttante nei confronti di una condanna pubblica
dell’antisemitismo e del nazionalismo. Perché? "Perché Eugenio Pacelli, per mentalità e
carriera, era un germanofilo dichiarato, che si circondava esclusivamente di collaboratori
tedeschi (il papa dei tedeschi), pensava soprattutto secondo criteri giuridico-diplomatici e
non teologico-evangelici, operava secondo una mentalità curiale e attaccata all’istituzione
piuttosto che da pastore attento agli uomini; ossessionato dopo la sconvolgente
esperienza vissuta a Monaco nel 1918… dalla paura del contatto fisico e dal terrore del
comunismo, era di orientamento profondamente autoritario ed antidemocratico… era
addirittura predisposto a una pragmatica alleanza anticomunista con il nazismo
totalitario… Per il diplomatico di professione Pacelli era importante la "libertà della
Chiesa", intesa come il riconoscimento più ampio possibile, da parte dello stato,
dell’istituzione ecclesiastica e del nuovo codice di diritto canonico (quello del 1917, ndr)…
Diritti dell’uomo e democrazia sono realtà rimaste fondamentalmente estranee a questo
papa". Lo studioso mette sotto accusa la politica di Segretario di Stato di Pacelli e in modo
particolare il Concordato del Reich del 20 luglio 1933, perché, a suo giudizio, legittimò il
regime nazista e lo riconobbe sotto il profilo della politica estera, integrando in questo
sistema i cattolici. Conclude il teologo: "Il mondo attese invano Pio XII, i cui appelli alla
pace restavano senza eco, non faceva che ribadire la propria neutralità, manifestava ad
alcune vittime la propria solidarietà, ma per il resto preferiva tacere, anche durante la
guerra… tacque anche di fronte all’annientamento degli ebrei, il più grande massacro di
tutti i tempi, sul quale egli fin dal 1942… era certamente informato meglio di ogni altro
uomo di stato occidentale. E Pacelli…non si risolverà a cambiare idea quando, nel corso
della guerra, gli verrà richiesta una presa di posizione… da organizzazioni ebraiche, dallo
stesso presidente Roosevelt… e infine anche dal rabbino capo della Palestina, Herzog. E
questo rimase il suo immutato atteggiamento durante e dopo la breve occupazione di
Roma da parte delle truppe tedesche (dall’ottobre 1943 al giugno 1944) – benché proprio
allora la soluzione finale raggiunse il suo culmine con la deportazione degli Ebrei
ungheresi ad Auschwitz… Papa Pacelli ha rinunciato non soltanto a scomunicare, ma
anche a condannare pubblicamente eminenti assassini come Hitler, Himmler, Goebbels e
Bornmann…, per non dire nulla del prelato cattolico antisemita e capo della Slovacchia
occupata Tiso, del parimenti antisemita capo ustascia Ante Pavelic come pure del
maresciallo francese Petain". Pesantissimo è il giudizio complessivo sull’episcopato
tedesco.

Il capo del cattolicesimo politico, mons. Ludwig Kaas, amico


di Pacelli, spianò di fatto la strada a Hitler, facendo votare il
suo Partito del Centro a favore della "Legge per i Pieni
Poteri", cosa che è stata definita l’errore "cardinale" del
cattolicesimo tedesco da parte di tutti gli storici
contemporanei. Il fatto più grave, secondo Kung, è che
l’episcopato tedesco fino ad oggi si è astenuto dal fare una
chiara confessione delle proprie responsabilità. Quello che è
innegabile, che va riconosciuto, deprecato e condannato, è
l’ideologia antisemita coltivata nella Chiesa dal Concilio di
Elvira del 306 fino a Pio XII. Sicuramente – e storicamente –
essa ha contributo a rendere drammatico il problema
ebraico nei giorni dell’olocausto e della Seconda Guerra
Mondiale. Sicuramente è inspiegabile la durezza e la
fermezza, tipica di Papa Pacelli, avuta dopo la fine della
Seconda Guerra Mondiale nei confronti degli Ebrei e dello
Stato di Israele, come anche l’omissione di confessione
della colpa.
Ludwig Kaas - Wikipedia

CRISTIANI E NAZISTI
(di Vittorio Messori)

A cent'anni dalla nascita di Hitler, un promemoria. È ad uso di quei cattolici che recitano
solo mea culpa in risposta all'annoso coro di accuse, come se la Chiesa fosse
responsabile dì quel battezzato austriaco. Ma la verità è questa: ciascuno ha la sua parte,
piccola o grande, di responsabilità in ciò che avvenne tra il 1933 e il 1945. Eppure, se la
Germania fosse stata cattolica, non ci sarebbero responsabilità da rinfacciarsi: il
nazionalsocialismo sarebbe restato una frangia politica impotente e folkloristica. Prima
Lutero e i suoi successori e poi, tra cui Otto von Bismarck, cercarono, con ogni sorta di
violenza, di sradicare dalla terra germanica il cattolicesimo, visto come una sudditanza a
Roma indegna di un buon patriota tedesco. Il "Cancelliere di ferro" definì “Kulturkampf”,
"lotta per la civiltà", la sua persecuzione dei cattolici, per staccarli con la forza dal Papato
"straniero e superstizioso" e farli confluire in una zelante Chiesa nazionale, come già da
secoli i luterani. Non ci riuscì, e alla fine fu lui che dovette cedere. Solo un terzo dei
tedeschi, in seguito alla Riforma luterana, era rimasto cattolico. Hitler andò al potere non
con un colpo di stato, ma in piena legalità, col metodo democratico delle libere elezioni.
Ebbene, in nessuna di quelle elezioni ebbe mai alcuna maggioranza nei Länder cattolici, i
quali, ossequienti (allora lo erano) alle indicazioni della gerarchia, votarono come sempre
compatti per il glorioso Zentrum, il loro partito, che già aveva sfidato vittoriosamente
Bismarck e che si oppose sino all'ultimo pure a Hitler. E ciò (lo si dimentica troppo) a
differenza dei comunisti, per i quali, sino al '33, il nemico principale non fu il nazismo ma l’
"eretica" socialdemocrazia. Si è fatto di tutto anche per farci dimenticare che Hitler non
avrebbe mai scatenato la guerra senza l'alleanza con l'URSS che, per spartirsi la Polonia,
scese in campo nel '39 con i nazisti. E furono i sovietici che, liberando il Führer dalla
minaccia del doppio fronte, gli permisero, dopo Varsavia, di volgersi verso Parigi. Sino al
"tradimento" di Hitler dell'estate del 1941, per ben 22 mesi, le materie prime russe
sostennero lo sforzo germanico (il patto Molotov-Ribbentrop). I motori dei carri nazisti del
Blitz in Polonia e in Francia e degli aerei della battaglia per l'Inghilterra girarono con il
petrolio della sovietica Bakù. Sino a quella data, nei Paesi occupati, come la Francia, i
comunisti locali - ossequienti alle direttive di Mosca - stavano dalla parte dei nazisti, non
da quella della resistenza. Questi fatti valgano per decenni di sbandieramento di "decisivi
meriti anti-fascisti" del comunismo internazionale, così pronto a definire i cattolici (i
"clerico-fascisti") manutengoli della grande tragedia. Non meriti, quelli comunisti, bensì
responsabilità gravissime. Il nazismo non fu certo vinto per iniziativa di Stalin il quale, al
contrario, si sentì tradito dall'improvviso attacco dell'alleata Berlino. Né fu vinto dalla
resistenza, di cui poi il marxismo cercò di appropriarsi ogni merito, ma a cui si decise
tardivamente, costrettovi dal voltafaccia tedesco. Il nazismo fu vinto dall'ostinazione
dell'Inghilterra che riuscì ad attirare dietro a sé la potenza industriale americana e che,
seguendo la sua politica tradizionale più che motivazioni ideali (lo stesso Churchill era
stato ammiratore di Mussolini e aveva avuto parole di stima e di elogio per Hitler; nell'isola
raccoglieva simpatie e consensi il locale partito fascista), mai aveva sopportato una
potenza egemone nell'Europa continentale. Così era stato anche per Napoleone e per la
discesa in campo nel 1914: non guerra di principi ma di strategia imperiale. Contro i Boeri
sudafricani, al principio del secolo, la Gran Bretagna vittoriana non era stata molto
dissimile, per scopi e metodi, dalla Germania hitleriana. Purtroppo, in politica (e in quella
sua continuazione che è la guerra), non esistono i paladini immacolati dell'ideale. Per
tornare all'ascesa di Hitler: anche le decisive elezioni del marzo del '33 gli diedero la
maggioranza nei Länder protestanti, ma lo mantennero in minoranza nelle zone cattoliche.
Il presidente Hindenburg, rispettando la volontà della maggioranza degli elettori, affidò a
quel quarantaquattrenne austriaco di origini oscure (forse addirittura almeno in parte
ebraiche, secondo alcuni storici), la Cancelleria. Il 21 marzo, giorno della prima seduta del
Parlamento del Terzo Reich, fu proclamato da Goebbels "giornata della riscossa
nazionale". Le solenni cerimonie furono aperte con un servizio religioso nel tempio
luterano di Potsdam, antica residenza prussiana. Scrive il biografo di Hitler, Joachim Fest:
"Al servizio religioso (luterano) nella chiesa dei santi Pietro e Paolo, i deputati del Zentrum
cattolico avevano avuto il permesso, in segno di dileggio e di vendetta, di accedere
soltanto per un ingresso laterale. Hitler e i gerarchi nazisti non si fecero vedere, a causa,
dissero, dell'atteggiamento ostile dell'episcopato cattolico. Sui gradini del tempio
protestante, fu scattata la famosa foto di Hindenburg che stringe la mano a un Hitler in
marsina. Subito dopo, l'organo intonò l'inno di Lutero: Nun danket alle Gott, e ora tutti
lodino Dio".

Quanto alla Chiesa luterana, sin dal 1930 i Deutsche


Christen (i Cristiani Tedeschi) si erano organizzati,
sul modello del partito nazista, nella "Chiesa del
Rekh" che accettava solo battezzati "ariani". Dopo le
elezioni del '33, Martin Niemoller, il teologo passato
poi all'opposizione, a nome di oltre 2500 pastori
luterani pur non appartenenti alla Chiesa del Reich,
inviò a Hitler un telegramma: "Noi salutiamo il nostro
Führer, rendendo grazie per la virile azione e le
chiare parole che hanno restituito l'onore alla
Germania. Noi, pastori evangelici, assicuriamo
fedeltà assoluta e preghiere ardenti". Storia lunga e
penosa ché, ancora nel luglio del '44, dopo il fallito
attentato a Hitler, mentre ciò che restava della
Chiesa cattolica tedesca manteneva uno stretto
silenzio, dai capi della Chiesa luterana giunse un
altro telegramma: "In tutti i nostri templi si esprime
oggi nella preghiera la gratitudine per la benigna
protezione di Dio e la sua visibile salvaguardia". I
Cristiani Tedeschi avevano come motto: "Una Nazione, una Razza, un Führer". Il loro
grido: "La Germania è la nostra missione, Cristo la nostra forza". Lo statuto della Chiesa fu
modellato su quello del partito nazista, compreso il cosiddetto "paragrafo ariano" che
interdiceva l'ordinazione di pastori non di "razza pura" e dettava restrizioni per l'accesso al
battesimo di chi non avesse buoni requisiti di sangue. Ecco - tra gli altri documenti che
devono far riflettere tutti i cristiani, ma in modo particolarissimo i fratelli protestanti - il
servizio inviato dal corrispondente in Germania dell'autorevole giornale americano Time e
pubblicato nel numero che porta la data del 17 aprile 1933, cioè un paio di mesi dopo
l'ascesa al cancellierato di Hitler: "Il grande Congresso dei Cristiani Germanici è stato
tenuto nell'antico palazzo della Dieta prussiana per presentare le linee delle Chiese
evangeliche in Germania nel nuovo clima portato dal nazionalsocialismo. Il pastore
Hossenfelder ha cominciato annunciando: Lutero ha detto che un contadino può essere
più pio mentre ara la terra di una suora mentre prega. Noi diciamo che un nazista dei
Gruppi d'Assalto è più vicino alla volontà di Dio mentre combatte che una Chiesa che non
si unisce al giubilo per il Terzo Reich" (allusione polemica alla Gerarchia cattolica che si
era rifiutata di "unirsi al giubilo"). Continuava Time: "Il pastore dottor Wieneke-Soldin ha
aggiunto che la croce a forma di svastica e la croce cristiana sono una cosa sola. Se
Gesù dovesse apparire oggi tra noi sarebbe il leader della nostra lotta contro il marxismo
e contro il cosmopolitismo antinazionale". L'idea basilare dì questo cristianesimo riformato
è che l'Antico Testamento, essendo un libro ebraico, debba essere proibito nel culto e
nelle scuole di catechismo domenicali. Il Congresso ha infine adottato questi due principi:
1) "Dio mi ha creato tedesco. Essere tedesco è un dono del Signore. Dio vuole che mi
batta per il mio germanesimo"; 2) "Servire in guerra non è una violazione della coscienza
cristiana ma obbedienza a Dio". Non fu, quella dei Deutsche Christen, la penosa bizzarria
di un gruppetto di minoranza, ma l'espressione della maggioranza dei luterani: alle elezioni
ecclesiastiche del luglio del 1933, i "Cristo-nazisti" ottenevano oltre il 75% di suffragi da
parte di quegli stessi protestanti i quali, alle elezioni politiche, a differenza dei cattolici,
avevano assicurato la maggioranza parlamentare alla NSDAP (il Partito Nazional-
Socialista del Lavoratori Tedeschi).

Cristiani e Nazisti

Kulturkampf - Wikipedia

Storia scomoda: l'alleanza tra Stalin e Hitler

Patto Molotov-Ribbentrop - Wikipedia

German Christians - Wikipedia

LA LETTERA DI EDITH STEIN


[Tratto da Le Monde del 1 marzo 2003]

Il 12 aprile 1933, alcune settimane dopo


l'insediamento di Hitler al cancellierato, una filosofa
cattolica tedesca di origine ebraica trova l'ardire di
scrivere a Roma per chiedere a papa Pio XI e al
suo segretario di Stato - il cardinale Pacelli,
vecchio nunzio apostolico in Germania e futuro Pio
XII - di non tacere più e di denunciare le prime
persecuzioni contro gli ebrei. Si tratta della voce di
Edith Stein. Nata nel 1891 a Breslavia, convertitasi
nel 1922, Edith Stein viene espulsa dall'università
nel 1934, prima di entrare nel Carmelo di Colonia.
Nell'agosto del 1942, in un convento olandese in
cui i suoi superiori la credevano al sicuro, viene
arrestata e deportata ad Auschwitz insieme a sua
sorella Rosa. Entrambe vengono uccise nei forni
crematori immediatamente dopo il loro arrivo. Edith
Stein è stata canonizzata da Giovanni Paolo II l'11
ottobre 1998. Gli storici del Vaticano conoscevano
l'esistenza di questa lettera indirizzata al papa nel
1933, ma ne ignoravano il contenuto: lo hanno
appreso in séguito all’apertura degli archivi del
Vaticano riservati al pontificato di Pio XI (1922-
1939). La chiaroveggenza con cui Edith Stein testimonia la crudeltà del regime nazista è
pari al coraggio del suo intervento: "Si tratta di un fenomeno che provocherà molte vittime.
Si può pensare che gli sventurati che ne saranno colpiti non avranno abbastanza forza
morale per sopportare il loro destino. Ma la responsabilità di tutto ciò ricade tanto su
coloro che li spingono verso questa tragedia, tanto su coloro che tacciono. Non solo gli
ebrei, ma anche i fedeli cattolici attendono da settimane che la Chiesa faccia sentire la
sua voce contro un tale abuso del Nome di Cristo da parte di un regime che si dice
cristiano". Ella aggiunge: "L'idolatria della razza, con la quale la radio martella le masse,
non è di fatto un'eresia esplicita? (...) Noi temiamo il peggio per l'immagine mondiale della
Chiesa se il silenzio si prolungherà ulteriormente". La notorietà di Edith Stein non era certo
allora quella attuale, ma questo documento prova - se ancora ce ne fosse stato bisogno -
come la Chiesa, ai più alti livelli, fosse informata delle persecuzioni naziste ed abbia
taciuto.

Le Monde rende nota la scoperta di una lettera di Edith Stein a papa Pio XI

CROAZIA 1941-1944: UNA CATTOLICISSIMA MACELLERIA

Il testo che segue è la traduzione letterale di quello presentato da Karlheinz Deschner il


26/12/1993 in occasione dell'ultima puntata della sua serie televisiva sulla politica dei Papi
nel XX secolo, trasmessa in Germania da Kanal 4. Il testo è stato ripreso dalla rivista
marxista tedesca "Konkret" (n.3-1994) e tradotto in italiano a cura del Coord. Romano per
la Jugoslavia.

Il Papato di Roma - divenuto grande


attraverso la guerra e l'inganno, e
attraverso la guerra e l'inganno
conservatosi tale - ha sostenuto nel XX
secolo il sorgere di tutti gli stati fascisti
con determinazione, ma più degli altri ha
favorito proprio uno dei peggiori regimi
criminali: quello di Ante Pavelic in
Jugoslavia. Questo ex-avvocato
zagrebino, che negli anni '30 addestrò le
sue bande soprattutto in Italia, fece
uccidere nel 1934 a Marsiglia il re
Alessandro di Jugoslavia in un attentato
che costò la vita anche al ministro degli
Esteri francese. Due anni più tardi,
celebrò con un libello le glorie di Hitler, "il
più grande ed il migliore dei figli della
Germania", e ritornò in Jugoslavia nel
1941, rifornito da Mussolini con armi e
denari, al seguito dell'occupante tedesco.
Da despota assoluto, Pavelic si pose
nella cosiddetta Croazia Indipendente a
capo di tre milioni di Croati cattolici, due
milioni di Serbi ortodossi, mezzo milione
di Musulmani bosniaci, nonché numerosi
gruppi etnici minori. Nel mese di maggio cedette quasi la metà del suo paese con annessi
e connessi ai suoi vicini, soprattutto all'Italia, dove con particolare calore fu accolto e
benedetto da Pio XII in udienza privata (benché già condannato a morte in contumacia per
il doppio omicidio di Marsiglia sia dalla Francia che dalla Jugoslavia). Il grande complice
dei fascisti si accomiatò da lui e dalla sua suite in modo amichevole e con i migliori auguri,
letteralmente, di "buon lavoro". Così ebbe inizio una crociata cattolica che non ha nulla da
invidiare ai peggiori massacri del Medioevo, ma piuttosto li supera. Duecentonovantanove
chiese serbo-ortodosse della Croazia Indipendente furono saccheggiate, annientate, molte
trasformate persino in magazzini, gabinetti pubblici, stalle. Duecentoquarantamila serbi
ortodossi furono costretti a convertirsi al cattolicesimo e circa settecentocinquantamila
furono assassinati. Furono fucilati a mucchi, colpiti con la scure, gettati nei fiumi, nelle
foibe, nel mare. Venivano massacrati nelle cosiddette "case del Signore", duemila persone
solo nella chiesa di Glina. Da vivi venivano loro strappati gli occhi, oppure si tagliavano le
orecchie ed il naso, da vivi li si seppelliva, erano sgozzati, decapitati o crocifissi. Gli Italiani
fotografarono un sicario di Pavelic che portava al collo due collane fatte con lingue e occhi
di esseri umani. Anche cinque vescovi ed almeno 300 preti serbi furono macellati, taluni in
maniera ripugnante, come Branko Dobrosavljevic, al quale furono strappati la barba ed i
capelli, sollevata la pelle, estratti gli occhi, mentre il suo figlioletto era fatto letteralmente a
pezzi dinanzi a lui. L'ottantenne Metropolita di Sarajevo, Petar Simonic, fu sgozzato.
Ciononostante, l'arcivescovo cattolico della città di Oden scrisse parole in lode di Pavelic,
"il duce adorato", e nel suo foglio diocesano inneggiò ai metodi rivoluzionari, "al servizio
della Verità, della Giustizia e dell'Onore". Le macellerie cattoliche nella "Grande Croazia"
furono così terribili che scioccarono persino gli stessi fascisti italiani; anche alti comandi
tedeschi protestarono, diplomatici, generali, persino il servizio di sicurezza delle SS ed il
ministro degli Esteri nazista Von Ribbentrop. A più riprese, di fronte alle "macellazioni" dei
serbi, truppe tedesche intervennero contro i loro stessi alleati croati. E questo regime - che
ebbe per simboli e strumenti di guerra "la Bibbia e la bomba" - fu un regime assolutamente
cattolico, strettamente legato alla Chiesa Cattolica Romana, dal primo momento e sino alla
fine.

Il suo dittatore Ante Pavelic, che era tanto spesso in viaggio tra il
quartier generale del Führer e la Berghof hitleriana quanto in
Vaticano, fu definito dal primate croato Stepinac "un croato devoto",
e da papa Pio XII (nel 1943) "un cattolico praticante". In centinaia di
foto egli appare fra vescovi, preti, suore, frati. Fu un religioso ad
educare i suoi figli. Aveva un suo confessore e nel suo palazzo
c'era una cappella privata. Tanti religiosi appartenevano al suo
partito, quello degli ustasa, che usava termini come dio, religione,
papa, chiesa, continuamente. Vescovi e preti sedevano nel Sabor,
il parlamento ustasa. Religiosi fungevano da ufficiali della guardia
del corpo di Pavelic. I cappellani ustasa giuravano ubbidienza
dinanzi a due candele, un crocifisso, un pugnale ed una pistola. I
Gesuiti, ma più ancora i Francescani, comandavano bande armate
ed organizzavano massacri: "Abbasso i Serbi!". Essi dichiaravano
giunta "l'ora del revolver e del fucile"; affermavano "non essere più peccato uccidere un
bambino di sette anni, se questo infrange la legge degli ustasa". "Ammazzare tutti i Serbi
nel tempo più breve possibile": questo fu indicato più volte come "il nostro programma" dal
francescano Simic, un vicario militare degli ustasa. Francescani erano anche i boia dei
campi di concentramento. Essi sparavano, nella "Croazia Indipendente", in quello "Stato
cristiano e cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria", "Regno di Cristo", come vagheggiava
la stampa cattolica del paese, che encomiava anche Adolf Hitler definendolo "crociato di
Dio". Il campo di concentramento di Jasenovac ebbe per un periodo il francescano
Filipovic-Majstorovic per comandante, che fece ivi liquidare 40.000 esseri umani in quattro
mesi. Il seminarista francescano Brzien ha decapitato qui, nella notte del 29 agosto 1942,
1360 persone con una mannaia. Non per caso il primate del paradiso dei gangsters
cattolici, arcivescovo Alojzije Stepinac, ringraziò il clero croato "ed in primo luogo i
Francescani" quando, nel maggio 1943, in Vaticano, sottolineò le conquiste degli ustasa.
E naturalmente, il primate, entusiasta degli ustasa, vicario militare degli ustasa, membro
del parlamento degli ustasa, era bene informato di tutto quanto accadeva in questo
criminale eldorado di preti, come d'altronde Sua Santità lo stesso Pio XII, che in quel
tempo concedeva un’udienza dopo l'altra ai Croati, a ministri ustasa, a diplomatici ustasa,
e che alla fine del 1942 si rivolse alla Gioventù Ustasa (sulle cui uniformi campeggiava la
grande "U" con la bomba che esplode all'interno) con un: "Viva i Croati!". I Serbi morirono
allora, circa 750.000, spesso in seguito a torture atroci, in misura del 10-15% della
popolazione della Grande Croazia - tutto ciò esaurientemente documentato e descritto nel
mio libro "La Politica dei Papi nel XX secolo [Die Politik der Paepste im XX Jahrhundert,
Rohwohl 1993; si veda pure "L'Arcivescovo del Genocidio", di M.A. Rivelli, ediz. Kaos
1999]. E se non si sa nulla su questo bagno di sangue da incubo non si può comprendere
ciò che laggiù avviene oggi, avvenimenti per i quali lo stesso ministro degli Esteri dei nostri
alleati Stati Uniti attribuisce una responsabilità specifica ai tedeschi, ovvero al governo
Kohl-Genscher. Più coinvolto ancora è solo il Vaticano, che già a suo tempo attraverso
papa Pio XII non solo c'entrava, ma era così impigliato nel peggiore degli orrori dell'era
fascista che, come già scrissi trent'anni fa, "non ci sarebbe da stupirsi,
conoscendo la tattica della Chiesa romana, se lo facesse santo".
Comunque sia: il Vaticano ha contribuito in maniera determinante alla instaurazione di
interi regimi fascisti degli anni Venti, Trenta e Quaranta. Con i suoi vescovi ha sostenuto
tutti gli Stati fascisti sistematicamente sin dal loro inizio. È stato il decisivo sostenitore di
Mussolini, Hitler, Franco, Pavelic; in tal modo la Chiesa romano-cattolica si è resa anche
corresponsabile della morte di circa sessanta milioni di persone, e nondimeno della morte
di milioni di cattolici. Non è un qualche secolo del Medioevo, bensì è il ventesimo, per lo
meno dal punto di vista quantitativo, il più efferato nella storia della chiesa.

POSTILLA

In occasione del primo viaggio in Croazia di Giovanni Paolo II, il


quotidiano italiano la Repubblica taceva su tutto quanto sopra
raccontato, ma scriveva: "... il contatto con la folla fa bene a
Giovanni Paolo II. I fedeli lo applaudono ripetutamente. Specie
quando ricorda il cardinale Stepinac, imprigionato da Tito per i
suoi rapporti con il regime di Ante Pavelic, ma sempre rimasto nel
cuore dei Croati come un'icona del nazionalismo. Woityla, che
sabato sera ha pregato sulla sua tomba, gli rende omaggio, però
pensa soprattutto al futuro..." (la Repubblica, 12/9/1994). Tre anni
dopo, lo stesso papa proclamava beato il nazista Stepinac, con
una pomposa cerimonia alla quale partecipava pure Franjo
Tudjman, regista della cacciata di tutta la popolazione serba delle
Krajne nella versione di fine secolo della "Croazia indipendente".

(Ci fermiamo qui, per non rendere troppo ipertrofico l’esperimento, evitando di riportare
alla luce ulteriori prove della natura anti-cristica della Chiesa, come ad esempio i massacri
dei gentili, le ignobili crociate dei bambini, fino alle più note efferatezze compiute da Papi
Re, santi inquisitori e pedofili recidivi, tutte informazioni a portata di un clic).

Siamo ora pronti per accogliere nei nostri cuori il discorso di Papa Ratzinger, custode della
dottrina, tenuto in occasione della messa "pro eligendo Romano pontifice", il giorno
precedente al suo trionfo.
(…) In quest'ora di grande responsabilità, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il
Signore ci dice con le sue stesse parole. La prima lettura offre un ritratto profetico della
figura del Messia che, parlando di sé, dice di essere mandato "a promulgare l'anno di
misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio". (…) Quanti venti di
dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante
mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado
agitata da queste onde - gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al
libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago
misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono
nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull'inganno degli uomini, sull'astuzia che
tende a trarre nell'errore. (…)

L'omelia è un inno all'ortodossia. Ratzinger snocciola uno ad uno i pericoli che nel secolo
passato hanno insidiato il pensiero del buon cattolico (come mai non nomina né nazismo
né fascismo?, ndr). Una vera e propria condanna della modernità. Un tentativo di
condizionare la rotta futura della Chiesa?

(…) Preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni
Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla
conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia. Amen.

L'omelia si chiude con un lungo applauso.

Croazia 1941-1944: una cattolicissima macelleria

Pio XII e l'Olocausto - Wikipedia

PIO XII Documentazione Storica Ebrei-Chiesa-Nazismo

Nazisti e Vaticano: storia fotografica delle connivenze fra clero cattolico e Vaticano.

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