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CHIESA E NAZISMO
Nell'Europa dell'ovest, persino prima della guerra ci furono preti che presero parte attiva
nella caccia ai beni degli ebrei: dopo l'Anschluss (l’annessione dell’Austria alla Germania
per formare la "Grande Germania"), nel giugno 1938, Eugen Haisler, segretario di Innitzer,
giunto in Francia per predisporre "un comitato cattolico di amicizia franco-tedesca",
incontrò fra gli altri Rossé, il capo degli autonomisti alsaziani finanziati dal Reich, che gli
chiese di acquistare per lui a Vienna, a un prezzo vantaggioso, una stamperia ebraica.
Oggi disponiamo di informazioni sostanziali sui membri del clero francese che erano a
capo della collaborazione (Suhard, Baudrillart, Beaussard, vescovo ausiliare di Parigi):
Suhard dimostrava grande spirito di conciliazione durante le perquisizioni della Gestapo
del 26 luglio 1940 tendenti a stabilire la collusione fra il defunto cardinale Verdier e gli
ebrei e il complotto tramato contro il Reich dagli emigrati politici e dall'arcivescovato di
Parigi; nella stessa sede dell'arcivescovato di Parigi, la Quinta Colonna aveva i propri
informatori, come dimostrò l'irruzione tedesca durante la quale fu sequestrato un
esemplare del rapporto sulle conversazioni tra mons. Verdier e Benès, - verosimilmente
sulle alleanze franco e ceco-sovietiche - in occasione del congresso cattolico di Praga (dal
27 giugno al 1 luglio 1935). Ma, riguardo all'Europa orientale, le informazioni sono molto
più nutrite. Perché, di fronte ad una opposizione forsennata della curia, in occasione dei
grandi processi a cavallo degli anni Quaranta-Cinquanta, gli stati estrassero dagli archivi
nazionali ed ecclesiastici massicce informazioni (sequestrate una volta acquisite).
Documenti che aprono scenari inquietanti sulle posizioni assunte dalla Chiesa Cattolica.
Saul Friedlander parla della "libertà di azione lasciata ai vescovi" che si tradusse in
comportamenti molto diversi: mentre il patriarca ortodosso di Costantinopoli ordinava ai
suoi vescovi di fare il massimo per salvare gli ebrei, nessun ordine di questo genere
giunse da Roma. Nella Russia occupata, le responsabilità della Chiesa furono identiche a
quelle della Croazia di Pavelic o della Slovacchia di Tiso, senza che il Vaticano potesse
invocare l'ignoranza di quanto stava succedendo: il Vaticano era la migliore agenzia
d'informazioni del mondo e il pontefice era il primo a essere informato sui minimi particolari
degli avvenimenti bellici. Fin dal settembre 1939, Pio XII era perfettamente al corrente dei
metodi tedeschi. Gli archivi francesi confermano le fonti polacche e jugoslave. Non è
possibile distinguere le organizzazioni terroristiche, "l'esercito cattolico d'Ucraina" uscito
dall'Organizzazione degli Ucraini Nazionalisti (OUN) del capo nazista ucraino Stefan
Bandera, dai loro tutori religiosi, preti o laici che fossero. Al terrorismo degli anni
precedenti la guerra, guidato dal Reich, seguì il terrorismo di guerra che ha consentito a
questa "polizia ausiliaria" di massacrare soldati dell'Armata Rossa, ebrei e partigiani, con
entusiasmo a volte più grande di quello dei tedeschi, preoccupati di garantire una
liquidazione "razionale" e organizzata. È quanto ha messo in rilievo Raul Hilberg a
proposito di tutti gli ausiliari dei nazisti, si trattasse di ucraini o di slovacchi, di croati, di
baltici, di rumeni o di ungheresi, e non solo dei "tedeschi etnici" trovati sul posto. Così
come ha rilevato il divieto di aiuto agli ebrei perseguitati dagli Einsatzgruppen (reparti
speciali tedeschi, composti da uomini delle SS e della polizia), notificato ai preti da vescovi
come il lituano Brizgys.
SS GALICIA
Un’altra opera molto problematica, apparsa su Pio XII e l’antisemitismo della Chiesa
Cattolica, è stata quella di Ernesto Rossi, "Il Manganello e
l’Aspersorio", del 1957 (ristampata, in occasione del
Giubileo, dalle edizioni Kaos), in cui l’autore prova a
dimostrare le collusioni nazifasciste della Chiesa. Si tratta
di un’opera molto dettagliata, in cui sono riportati stralci
interi di documenti. Il Rossi sottolinea come le tendenze
antisemite presenti nella Chiesa Cattolica, soprattutto in
ambiente gesuita, fornirono la giustificazione religiosa ai
fascisti per introdurre e difendere le leggi razziali. Il saggio
"Della Questione Giudaica in Europa", apparso su Civiltà
Cattolica nel 1889 e ripubblicato a nel 1891 con le stesso
titolo, in un opuscolo di 90 pagine, un capolavoro –
secondo l’autore – della letteratura gesuitica
antirisorgimentale del secolo, afferma con crudezza che "la
gran famiglia israelitica, disseminata tra le genti del globo,
forma una nazione straniera nelle nazioni in cui dimora e
nemica giurata del loro benessere…" e che il Talmud, oltre
ad essere la fonte di una morale "esecranda", prescrive
"l’odio a tutti gli uomini che non hanno sangue giudaico, in specie a’ cristiani, e faccia
lecito il depredarli e malmenarli quasi bruti nocivi". Queste sorprendenti affermazioni, in
uno scritto cattolico, in verità sono abbastanza gravi, in quanto offrirono un fondamento
dottrinale al fascismo nella lotta antigiudaica, e misero in serio imbarazzo le gerarchie
cattoliche, anche perché con chiarezza, forse perché gli anticlericali dell’epoca avevano
eletto sindaco di Roma un ebreo, Natan, nello scritto si dice che il fatto che il Papa avesse
perso Roma era imputabile alla "peste ebraica" e che l’Italia era divenuta "un regno di
ebrei anticristiani". I rimedi suggeriti dall’opuscolo erano l’abolizione dei regimi
democratici, fondati sui "diritti dell’uomo", confiscare tutti i beni dei giudei ed espellerli dai
paesi cristiani, anche se queste misure sarebbero dovute essere messe in atto secondo
giustizia e carità, non penalizzando gli ebrei onesti. Una via necessaria era individuata nel
ripristino, come nella Russia zarista, delle leggi che togliessero ai giudaici l’uguaglianza
civile e il confinarli in ghetti, in quanto data la loro indole di "stranieri", di "nemici" di ogni
paese, e costituenti una "società separata". Lo scritto, inoltre, considerava non giusta e
cristiana la loro soppressione ed uccisione, che anzi era ripudiata. Sorprendentemente,
nella prassi fascista delle leggi razziali, fu attuata tutta la filosofia soggiacente a questo
scritto, così come nello spirito dei pronunciamenti: non "persecuzione" degli ebrei ma
"discriminazione". Successivamente, Ernesto Rossi, ripercorrendo le pagine della rivista
gesuita, dimostra come questa più volte sia ritornata sul problema giudaico con gli stessi
argomenti del 1889, come nel 1928 e nel 1934, quando uscirono due articoli, di padre E.
Rosa, di pieno appoggio alle teorie esposte in un "Manuale Nazista di Propaganda
Antisemita". Nel 1936 fu recensito, sulla stessa rivista, con accenti positivi, un libro
antisemita del cattolico Léon De Poncins, in cui si sottolineava il carattere "comunista" e
"capitalista" degli ebrei , mentre nel 1937, nell’articolo "La Questione Giudaica e il
Sionismo", si sottolineava che per conquistare il dominio del mondo, gli ebrei si servivano
dell’oro (che già possedevano) e dell’ "internazionalismo proletario", essendosi già infiltrati
nella Società delle Nazioni e nella Massoneria. Questa "mentalità nefasta" dei giudei si
doveva "soltanto tenerla a freno con il ghetto, cioè con
restrizioni giuridiche e coercitive, senza persecuzioni, in
modo adatto ai nostri tempi". L’obiettivo doveva essere
quello, tramite le persecuzioni "moderate", della
conversione al cattolicesimo, come veniva spiegato nella
rivista del 19 giugno 1937. Nel 1938, sulla stessa rivista,
si plaudiva alle tesi di espulsione dai quadri dirigenti della
nazione degli ebrei, proposta dal fascista Giacomo
Acerbo, mentre sul quaderno del 27 marzo e successivi
ci si allineava alla propaganda fascista, se non la si
ispirava. Il Rossi, scorrendo diversi numeri della rivista,
sottolinea sempre più questa consonanza tra la
persecuzione ebraica messa in atto dai fascisti e gli
articoli della rivista gesuitica, spesso vogliosi di
distinguere tra "antisemitismo nazista" e "giusto
antisemitismo fascista" . Riguardo a Papa Pio XII, il Rossi
scrive: "Mai, durante la guerra, s’era udita una parola del
Santo Padre contro il nazionalsocialismo; mai una sua parola di condanna delle stragi dei
polacchi e degli ebrei, né dei campi di sterminio, né di tutti gli altri raccapriccianti orrori, di
cui – più di qualsiasi uomo politico – Pio XII era a conoscenza, per i dettagliati rapporti che
riceveva dal clero dei paesi belligeranti e dagli ambasciatori accreditati presso la Santa
Sede".
CRISTIANI E NAZISTI
(di Vittorio Messori)
A cent'anni dalla nascita di Hitler, un promemoria. È ad uso di quei cattolici che recitano
solo mea culpa in risposta all'annoso coro di accuse, come se la Chiesa fosse
responsabile dì quel battezzato austriaco. Ma la verità è questa: ciascuno ha la sua parte,
piccola o grande, di responsabilità in ciò che avvenne tra il 1933 e il 1945. Eppure, se la
Germania fosse stata cattolica, non ci sarebbero responsabilità da rinfacciarsi: il
nazionalsocialismo sarebbe restato una frangia politica impotente e folkloristica. Prima
Lutero e i suoi successori e poi, tra cui Otto von Bismarck, cercarono, con ogni sorta di
violenza, di sradicare dalla terra germanica il cattolicesimo, visto come una sudditanza a
Roma indegna di un buon patriota tedesco. Il "Cancelliere di ferro" definì “Kulturkampf”,
"lotta per la civiltà", la sua persecuzione dei cattolici, per staccarli con la forza dal Papato
"straniero e superstizioso" e farli confluire in una zelante Chiesa nazionale, come già da
secoli i luterani. Non ci riuscì, e alla fine fu lui che dovette cedere. Solo un terzo dei
tedeschi, in seguito alla Riforma luterana, era rimasto cattolico. Hitler andò al potere non
con un colpo di stato, ma in piena legalità, col metodo democratico delle libere elezioni.
Ebbene, in nessuna di quelle elezioni ebbe mai alcuna maggioranza nei Länder cattolici, i
quali, ossequienti (allora lo erano) alle indicazioni della gerarchia, votarono come sempre
compatti per il glorioso Zentrum, il loro partito, che già aveva sfidato vittoriosamente
Bismarck e che si oppose sino all'ultimo pure a Hitler. E ciò (lo si dimentica troppo) a
differenza dei comunisti, per i quali, sino al '33, il nemico principale non fu il nazismo ma l’
"eretica" socialdemocrazia. Si è fatto di tutto anche per farci dimenticare che Hitler non
avrebbe mai scatenato la guerra senza l'alleanza con l'URSS che, per spartirsi la Polonia,
scese in campo nel '39 con i nazisti. E furono i sovietici che, liberando il Führer dalla
minaccia del doppio fronte, gli permisero, dopo Varsavia, di volgersi verso Parigi. Sino al
"tradimento" di Hitler dell'estate del 1941, per ben 22 mesi, le materie prime russe
sostennero lo sforzo germanico (il patto Molotov-Ribbentrop). I motori dei carri nazisti del
Blitz in Polonia e in Francia e degli aerei della battaglia per l'Inghilterra girarono con il
petrolio della sovietica Bakù. Sino a quella data, nei Paesi occupati, come la Francia, i
comunisti locali - ossequienti alle direttive di Mosca - stavano dalla parte dei nazisti, non
da quella della resistenza. Questi fatti valgano per decenni di sbandieramento di "decisivi
meriti anti-fascisti" del comunismo internazionale, così pronto a definire i cattolici (i
"clerico-fascisti") manutengoli della grande tragedia. Non meriti, quelli comunisti, bensì
responsabilità gravissime. Il nazismo non fu certo vinto per iniziativa di Stalin il quale, al
contrario, si sentì tradito dall'improvviso attacco dell'alleata Berlino. Né fu vinto dalla
resistenza, di cui poi il marxismo cercò di appropriarsi ogni merito, ma a cui si decise
tardivamente, costrettovi dal voltafaccia tedesco. Il nazismo fu vinto dall'ostinazione
dell'Inghilterra che riuscì ad attirare dietro a sé la potenza industriale americana e che,
seguendo la sua politica tradizionale più che motivazioni ideali (lo stesso Churchill era
stato ammiratore di Mussolini e aveva avuto parole di stima e di elogio per Hitler; nell'isola
raccoglieva simpatie e consensi il locale partito fascista), mai aveva sopportato una
potenza egemone nell'Europa continentale. Così era stato anche per Napoleone e per la
discesa in campo nel 1914: non guerra di principi ma di strategia imperiale. Contro i Boeri
sudafricani, al principio del secolo, la Gran Bretagna vittoriana non era stata molto
dissimile, per scopi e metodi, dalla Germania hitleriana. Purtroppo, in politica (e in quella
sua continuazione che è la guerra), non esistono i paladini immacolati dell'ideale. Per
tornare all'ascesa di Hitler: anche le decisive elezioni del marzo del '33 gli diedero la
maggioranza nei Länder protestanti, ma lo mantennero in minoranza nelle zone cattoliche.
Il presidente Hindenburg, rispettando la volontà della maggioranza degli elettori, affidò a
quel quarantaquattrenne austriaco di origini oscure (forse addirittura almeno in parte
ebraiche, secondo alcuni storici), la Cancelleria. Il 21 marzo, giorno della prima seduta del
Parlamento del Terzo Reich, fu proclamato da Goebbels "giornata della riscossa
nazionale". Le solenni cerimonie furono aperte con un servizio religioso nel tempio
luterano di Potsdam, antica residenza prussiana. Scrive il biografo di Hitler, Joachim Fest:
"Al servizio religioso (luterano) nella chiesa dei santi Pietro e Paolo, i deputati del Zentrum
cattolico avevano avuto il permesso, in segno di dileggio e di vendetta, di accedere
soltanto per un ingresso laterale. Hitler e i gerarchi nazisti non si fecero vedere, a causa,
dissero, dell'atteggiamento ostile dell'episcopato cattolico. Sui gradini del tempio
protestante, fu scattata la famosa foto di Hindenburg che stringe la mano a un Hitler in
marsina. Subito dopo, l'organo intonò l'inno di Lutero: Nun danket alle Gott, e ora tutti
lodino Dio".
Cristiani e Nazisti
Kulturkampf - Wikipedia
Le Monde rende nota la scoperta di una lettera di Edith Stein a papa Pio XI
Il suo dittatore Ante Pavelic, che era tanto spesso in viaggio tra il
quartier generale del Führer e la Berghof hitleriana quanto in
Vaticano, fu definito dal primate croato Stepinac "un croato devoto",
e da papa Pio XII (nel 1943) "un cattolico praticante". In centinaia di
foto egli appare fra vescovi, preti, suore, frati. Fu un religioso ad
educare i suoi figli. Aveva un suo confessore e nel suo palazzo
c'era una cappella privata. Tanti religiosi appartenevano al suo
partito, quello degli ustasa, che usava termini come dio, religione,
papa, chiesa, continuamente. Vescovi e preti sedevano nel Sabor,
il parlamento ustasa. Religiosi fungevano da ufficiali della guardia
del corpo di Pavelic. I cappellani ustasa giuravano ubbidienza
dinanzi a due candele, un crocifisso, un pugnale ed una pistola. I
Gesuiti, ma più ancora i Francescani, comandavano bande armate
ed organizzavano massacri: "Abbasso i Serbi!". Essi dichiaravano
giunta "l'ora del revolver e del fucile"; affermavano "non essere più peccato uccidere un
bambino di sette anni, se questo infrange la legge degli ustasa". "Ammazzare tutti i Serbi
nel tempo più breve possibile": questo fu indicato più volte come "il nostro programma" dal
francescano Simic, un vicario militare degli ustasa. Francescani erano anche i boia dei
campi di concentramento. Essi sparavano, nella "Croazia Indipendente", in quello "Stato
cristiano e cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria", "Regno di Cristo", come vagheggiava
la stampa cattolica del paese, che encomiava anche Adolf Hitler definendolo "crociato di
Dio". Il campo di concentramento di Jasenovac ebbe per un periodo il francescano
Filipovic-Majstorovic per comandante, che fece ivi liquidare 40.000 esseri umani in quattro
mesi. Il seminarista francescano Brzien ha decapitato qui, nella notte del 29 agosto 1942,
1360 persone con una mannaia. Non per caso il primate del paradiso dei gangsters
cattolici, arcivescovo Alojzije Stepinac, ringraziò il clero croato "ed in primo luogo i
Francescani" quando, nel maggio 1943, in Vaticano, sottolineò le conquiste degli ustasa.
E naturalmente, il primate, entusiasta degli ustasa, vicario militare degli ustasa, membro
del parlamento degli ustasa, era bene informato di tutto quanto accadeva in questo
criminale eldorado di preti, come d'altronde Sua Santità lo stesso Pio XII, che in quel
tempo concedeva un’udienza dopo l'altra ai Croati, a ministri ustasa, a diplomatici ustasa,
e che alla fine del 1942 si rivolse alla Gioventù Ustasa (sulle cui uniformi campeggiava la
grande "U" con la bomba che esplode all'interno) con un: "Viva i Croati!". I Serbi morirono
allora, circa 750.000, spesso in seguito a torture atroci, in misura del 10-15% della
popolazione della Grande Croazia - tutto ciò esaurientemente documentato e descritto nel
mio libro "La Politica dei Papi nel XX secolo [Die Politik der Paepste im XX Jahrhundert,
Rohwohl 1993; si veda pure "L'Arcivescovo del Genocidio", di M.A. Rivelli, ediz. Kaos
1999]. E se non si sa nulla su questo bagno di sangue da incubo non si può comprendere
ciò che laggiù avviene oggi, avvenimenti per i quali lo stesso ministro degli Esteri dei nostri
alleati Stati Uniti attribuisce una responsabilità specifica ai tedeschi, ovvero al governo
Kohl-Genscher. Più coinvolto ancora è solo il Vaticano, che già a suo tempo attraverso
papa Pio XII non solo c'entrava, ma era così impigliato nel peggiore degli orrori dell'era
fascista che, come già scrissi trent'anni fa, "non ci sarebbe da stupirsi,
conoscendo la tattica della Chiesa romana, se lo facesse santo".
Comunque sia: il Vaticano ha contribuito in maniera determinante alla instaurazione di
interi regimi fascisti degli anni Venti, Trenta e Quaranta. Con i suoi vescovi ha sostenuto
tutti gli Stati fascisti sistematicamente sin dal loro inizio. È stato il decisivo sostenitore di
Mussolini, Hitler, Franco, Pavelic; in tal modo la Chiesa romano-cattolica si è resa anche
corresponsabile della morte di circa sessanta milioni di persone, e nondimeno della morte
di milioni di cattolici. Non è un qualche secolo del Medioevo, bensì è il ventesimo, per lo
meno dal punto di vista quantitativo, il più efferato nella storia della chiesa.
POSTILLA
(Ci fermiamo qui, per non rendere troppo ipertrofico l’esperimento, evitando di riportare
alla luce ulteriori prove della natura anti-cristica della Chiesa, come ad esempio i massacri
dei gentili, le ignobili crociate dei bambini, fino alle più note efferatezze compiute da Papi
Re, santi inquisitori e pedofili recidivi, tutte informazioni a portata di un clic).
Siamo ora pronti per accogliere nei nostri cuori il discorso di Papa Ratzinger, custode della
dottrina, tenuto in occasione della messa "pro eligendo Romano pontifice", il giorno
precedente al suo trionfo.
(…) In quest'ora di grande responsabilità, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il
Signore ci dice con le sue stesse parole. La prima lettura offre un ritratto profetico della
figura del Messia che, parlando di sé, dice di essere mandato "a promulgare l'anno di
misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio". (…) Quanti venti di
dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante
mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado
agitata da queste onde - gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al
libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago
misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono
nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull'inganno degli uomini, sull'astuzia che
tende a trarre nell'errore. (…)
L'omelia è un inno all'ortodossia. Ratzinger snocciola uno ad uno i pericoli che nel secolo
passato hanno insidiato il pensiero del buon cattolico (come mai non nomina né nazismo
né fascismo?, ndr). Una vera e propria condanna della modernità. Un tentativo di
condizionare la rotta futura della Chiesa?
(…) Preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni
Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla
conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia. Amen.
Nazisti e Vaticano: storia fotografica delle connivenze fra clero cattolico e Vaticano.