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La macchina del consenso

Marco Dotti

el secondo dopoguerra, osserva Mimmo Franzinelli, i settimanali popolari hanno contribuito in modo determinante a riadattare al contesto la figura di Benito Mussolini, limando ogni spigolatura che fuoriuscisse da una precisa cornice rassicurante. Per un ventennio la sua immagine era stata somministrata agli italiani a senso unico, secondo precise direttive ministeriali scandite dalle veline recapitate ai direttori di quotidiani e periodici, col risultato di inculcare nella popolazione una visione del dittatore destinata, almeno in parte, a sopravvivergli. la macchina della costruzione del consenso, non meno spaventosa rispetto a quella di repressione del dissenso che lo storico Franzinelli ha studiato in un volume chiave, I tentacoli dellOvra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista (Bollati Boringhieri, 1999) e proseguito in un lavoro decennale, con Delatori. Spie e confidenti anonimi: larma segreta del regime (Mondadori, 2001) o Il Duce proibito (Mondadori, 2003). Crollato il regime, con il ritorno della libert di stampa, ricorda Franzinelli, il testimone passato alle riviste popolari di ampia tiratura, come Oggi o Gente su cui scriveva lex repubblichino Giorgio Pisan. Attraverso queste riviste, con articoli dal tono deliberatamente divulgativo e basso si affermano o si riaffermano quelle verit a bassa frequenza che, filtrate dalla memoria indulgente degli italiani, hanno stratificato limmagine collettivamente condivisa di un dittatore risoluto ma bonario, disinteressato ad arricchirsi, capace di grande generosit verso i suoi nemici e i loro familiari. Abbiamo incontrato Franzinelli a Gorizia, a margine del Festival Storia che si apre oggi e nella mattinata (ore 11), lo vedr impegnato in un dibattito titolato Achtung Banditen?, dedicato alla guerra partigiana e alla critica dei revisionismi sottotraccia. Sul piano della vulgata i conti con Mussolini sembra non si chiudano mai. C sempre una polemica, un commento benevolo, un articolo allapparenza ben informato o, peggio, un documento che crediamo di saper codificare nelle sue linee pi elementari e riapre non certo la que-

Unintervista con Mimmo Franzinelli, tra i relatori al festival storia che si apre oggi a Gorizia. Il Mussolini rassicurante ed eroico? nato sulla stampa popolare
stione storiografica ma qualcosa di cui il fare dello storico non pu comunque non tener conto. Viviamo in giorni in cui la decontestualizzazione banalizzante la norma. Eppure, questo processo arriva da lontano e segue una linea precisa, che va affrontata. Soprattutto oggi, in un contesto editoriale sempre pi effimero e privo di memoria. Dal suo primo libro, Il riarmo dello spirito (1991) fino al Prigioniero di Sal. Mussolini e la tragedia italiana del 1943-1945 (Mondadori, 2012) lei si interrogato su questa sottile linea nera, per citare il titolo di un altro suo lavoro dedicato al neofascismo e ai presupposti della Strage di Piazza della Loggia a Brescia. Sempre attenendoci a una certa vulgata gli storici non dovrebbero occuparsi del presente. un ragionamento banale, ma ha una sua efficacia se ha consegnato gran parte del discorso sulla Repubblica Sociale di Sal a una memorialistica e a una polemica che, in fondo, non si discosta troppo dalle tesi autoassolutorie sulla repubblica necessaria espresse

da due ex ministri come Piero Pisenti e Graziani.... Nel mio lavoro parto sempre dal presente. Parto, intendo dire, da un interrogativo che il presente mi pone, dalle questioni lasciate aperte e da quelle chiuse male. Nel caso del Prigioniero di Sal, linterrogativo posto dal presente semplice e al tempo stesso disarmante: come possibile che ancora oggi, nel 2013, tra i nostri ragazzi ci sia unapertura di fiducia verso quel Mussolini che, daltronde, non conoscono? Qual , allora, il Mussolini che conoscono? Che cosa stato loro trasmesso? la stessa immagine trasmessa a suo tempo da un antifascista pentito come Carlo Silvestri, che scrisse di un Mussolini patriota, talmente patriota da spingere il proprio eroismo fino a immolarsi per gli italiani? Che immagine hanno i nostri ragazzi di lui? Di un uomo che fa da argine, attraverso la cosiddetta repubblica necessaria allavanzata del mostro tedesco? Assistiamo a un evidente cortocircuito, perch da un lato la ricerca storiografica procede, dallaltro arretra la consapevolezza critica di
PICCOLI BALILLA DURANTE UNA ADUNATA; SOTTO, MUSSOLINI E HITLER NELLO STORICO INCONTRO DI VILLA GAGGIA, DI BELLUNO

IL PROGRAMMA Tra banditi, masnadieri e pirati


Si chiama Storia ed alla sua nona edizione il Festival internazionale che si tiene da oggi a domenica a Gorizia (24-26 maggio) e vedr impegnati soprattutto, ma non solo storici si va da Ian Kershaw a Gilles Kepel, da Marc Aug a Massimo Carlotto e David Abulafia - su un tema quanto mai interessante: i banditi. Banditi intesi in senso lato, come ribelli, masnadieri, criminali, ma anche dissidenti e partigiani. Una problematica gi chiara a Fernand Braudel, tra i fondatori della scuola delle Annales, che nel saggio su Miseria e banditismo sottrae il fenomeno della criminalit alla semplice e feroce avventura delluomo contro luomo e lo inserisce in un contesto di contrapposizione del pi debole rispetto al pi forte, di rivincita di classe contro i soprusi dei potenti o contro gli stati costituiti. Sui poveri - scriveva - la storia getta ben poche luci, ma essi sanno, a modo loro, attirare lattenzione dei potenti, e di rimbalzo anche la nostra. Eric Hobsbawm, daltronde, scriveva che Robin Hood significa ancora qualcosa. I Robin Hood sono tanti. E devono sapere. Si va cos dai dibattiti sui pirati del Mediterraneo, gli Uscocchi, che giocarono un ruolo fondamentale negli scontri tra Austria e Venezia (oggi alle 16,30 con Stevka mitran), fino al dibattito sullepoca doro della pirateria occidentale (domani, sabato, alle 10,30, con Angus Konstam e Stephen Turnbull) o a quello sulla Repubblica Partigiana della Carnia e dellalto Friuli (domenica ore 11), forse la pi importante, oltre che la pi vasta, tra le repubbliche partigiane sorte in Italia nel 1944. Programma: http://www.estoria.it/

molti operatori della comunicazione e dei saperi tutti, intesi in senso lato. Procedendo a ritroso ho cercato di ripercorrere i canali informativi che hanno portato a questo cortocircuito storico. Risalendo dai giornali popolari chiamiamoli cos e di costume, dalle dispense di storia che di tanto in tanto ancora fanno bella mostra di s in qualche edicola non difficile discendere alla stampa di regime e allimmensa macchina di costruzione del consenso articolata da Mussolini e dai suoi. Mi sono reso conto con sconcerto che esiste un vero e proprio filo nero che parte dallimponente organizzazione propagandistica che Mussolini mise allopera (pensiamo al Ministero della Stampa e della Propaganda o al Ministero della Cultura popolare, per esempio) e alluso molto professionale che questa macchina fece della fotografia. Questo uso spesso indiscriminato e altrettanto spesso spregiudicato delle immagini oggi trova una sua appendice, quando in certe pubblicazioni si ripresentano le stesse immagini, decontestualizzandole. Certe fotografie di miliziani e militari a suo tempo pubblicate da Pisan, tanto per fare un esempio, servivano per dare lidea che eravamo forti, eravamo tan-

ti. Sappiamo che non cos, nella RSI non ci fu solo il tanto decantato fascino dei vinti e dei volontari, ci furono, come ben sappiamo ma altrettanto spesso dimentichiamo, costrizioni di massa ed esecuzioni per i renitenti. Purtroppo a questa situazione hanno contribuito anche storici e giornalisti antifascisti chiamiamoli cos per semplicit, poi ci sarebbe da problematizzare la definizione che nei decenni scorsi hanno amplificato una dimensione retorica opposta a quella di cui stiamo parlando. Una dimensione che non regge a un serio esame delle fonti e delle situazioni. Inconsapevolmente, in questo modo, hanno aperto la strada a un revisionismo a bassa frequenza ma a alta intensit di consumo. Giusto per fare un esempio, ricordiamo Giampaolo Pansa che in giovane et fu uno tra i costruttori di una certa vulgata antifascista e, anni dopo, ha smontato la vulgata che lui stesso aveva contribuito a costruire con grande successo di pubblico e spesso, ahinoi, anche di critica. Su ben altro fronte critico dovremmo ricordare laffermazione di Gramsci, che la verit rivoluzionaria. Ma lo si spesso dimenticato, sacrificando tutto a tatticismi e a egocentrismi anche questi amorali e dagli effetti demoralizzanti.

Nella villa di Gargnano, al Mussolini che interpreta una parte in cui non crede e che lo distacca sempre pi dalla realt la grande realt politica di cui parlava la Petacci c per un Mussolini che crede ancora in qualcosa: nellimmagine che proietter di s, in un futuro per noi il presente Al crollo fragoroso e sanguinoso del fascismo sono sopravvissute certamente due cose che io vedo in contatto tra loro. La prima il mito di Mussolini e la seconda lo stereotipo di propaganda che il regime aveva creato. Dopo di che ho avuto una straordinaria fortuna. AllArchivio Centrale dello Stato mi sono imbattuto nellArchivio di Claretta Petacci. Un archivio rimasto sigillato fino a pochi anni fa e di cui Renzo De Felice non ha potuto tener conto. Lettere, note, diari di straordinaria importanza relativi al periodo tra il 1943 e il 1945. Attraverso quel materiale si tratta e questo ho cercato di fare di rivisitare i personaggi a partire da quella realt che la loro autodescrizione. Coglierli nel vivo, da dentro, ponendo laccento su ci che dai documenti emerge: lestrema contraddittoriet e lestremo distacco dalla realt di un dittatore

sempre pi consegnato alla maschera del proprio egocentrismo. Ho quindi messo a raffronto queste di immagini, quella del mito e quella dello stereotipo, ovvero la costruzione diciamo cos utopica del grande padre e la realt miserevole di un uomo allo sbando che illude e manda allo sbaraglio i giovani. Li manda a morire per una causa in cui lui per primo non crede. Con un piccolo particolare: Mussolini non crede alla causa, o almeno non ci crede pi a partire da un dato momento, ma con lucidit infernale proietta la propria immagine nellavvenire. In una sua lettera alla Petacci non a caso afferma che ci che conta davvero non ci che sono oggiMussolini sa e dichiara di non essere nulla, di essere al massimo lo zimbello dei tedeschi che gira a folle attorno a una stanza. Conta per, questo afferma Mussolini, limmagine che di me sapr proiettare. In questo riuscito. E ci riuscito, ecco la cosa ancor pi sconcertante, attraverso un comportamento che senzaltro quello di un codardo. Pensiamo alla fuga vestito da tedesco e alluccisione, secondo la sua logica, tuttaltro che dignitosa. Tutto questo non dico non sia conosciuto, dico che nella vulgata che segna i nostri tempi un fatto messo tra parentesi e talvolta sopraffatto dallimmagine di un Mussolini coerente e coraggioso, quello del se avanzo seguitemi via con le chiacchiere. La vulgata storica si inserita, amplificandola e arricchendola, in questa linea nera, anzi nerissima che giunge fino a noi. Questa linea nera torna anche nella pubblicazione vicenda della pubblicazione dei diari veri o presunti, in realt clamorosamente falsi, di Mussolini. Lei dedic un volume a questo, Autopsia di un falso. I Diari di Mussolini e la manipolazione della storia (Bollati Boringhieri, 2011)... Quando entriamo in unedicola ne accennavo prima o in certe librerie si trovano dispense, libri, libretti che se guardati con occhio attento altro non sono che una prose-

cuzione della propaganda fascista. Libri, libretti e dispense che vanno in mano non certo allo storico o al critico, ma a persone che non hanno strumenti per decodificarli. Oggi, questa frontiera sguarnita. Gli storici, tranne rare eccezione, sono molto distratti rispetto a questa situazione. Dobbiamo invece smontare questo materiale, disinnescarlo. La critica del nostro presente fa parte del nostro lavoro. Paradossale e vergognosa stata la situazione di falsi acclarati come i cosiddetti diari di Mussolini. Paradossale e vergognosa perch questi falsi sono stati avvalorati non tanto da Marcello DellUtri, che si presenta per quello che e non si nasconde nemmeno, ma da una casa editrice prestigiosa che presta il proprio catalogo alla pubblicazione di cinque, ripeto cinque volumi di falsi presentati in forma prestigiosa. Mi pare che di materia per cui indignarsi ce ne sia. Ho limpressione che anche tra i responsabili delle nostre case editrici manchi non solo consapevolezza, ma addirittura coscienza civile. La scommessa di Marcello DellUtri si basava daltronde su questo assunto: non potr dimostrare che i diari sono veri, ma voi non potrete mai dimostrare che sono falsi. Ma gli andata male. Questo atteggiamento per segno di una dimensione amorale e di un cinismo di fondo che si incrocia, per, con quello che il dio mercato. Molti editori, sedotti dal marketing e dalle ricerche del settore vendita, capiscono che c spazio per Mussolini. Se il pubblico chiede Mussolini questa la loro logica allora devi dare al pubblico ci che chiede, perch leditoria in crisi, perch da che mondo mondo devi intercettare una domanda per sostenere lofferta e via discorrendo. Ma il pubblico che cosa vuole? Vuole questa immagine rassicurante del buon padre. La dinamica elementare, persino banale e ridicola, ma questa. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Tra queste conseguenza c anche la comprensione di che cosa sia un archivio Oggi, storici a

parte, chi sa che cos un archivio? Forse, come prevedeva Talleyrand, la storia la faranno solo gli storici e gli agenti dei servizi di sicurezza. Agli non rimarr che galleggiare in un mare di scorie mediatizzate e rivestite da verit ufficiali Partiamo da un dato di fatto: il fascismo ha costruito archivi enormi perch come tutte le dittature pensava di essere eterno e non prefigurava un uso contraddittori dei documenti rispetto alle sue finalit. Oggi, per, le difficolt sono altre. Da un lato, in Italia a differenza degli Stati Uniti dove i documenti vengono periodicamente desegretati, c una gestione che definirei mafiosa degli archivi. Noi storici dobbiamo lottare con gli archivisti, con le normative, con la legge sulla privacy. La storia contemporanea probabilmente d fastidio. Dallaltro lato, per, c il problema non minore e non meno sconcertante della consapevolezza critico-storica di chi accede a quegli archivi. Penso a molti giornalisti camuffati da storici che, dinanzi a un documento, ragionano banalmente in questi termini: un documento un documento e quindi nel documento c la verit. In realt, proprio gli archivi fascisti ci mostrano che al loro interno ci sono documenti autofalsificati o tendenziosi o con finalit ricattatorie. La sfida che larchivio pone allo storico quella della contestualizzazione e del distacco critico. Bisogna capire che tipo di documento si ha in mano, non basta averlo in mano. Le verit ufficiali, oggi, sono verit banali, pericolosamente banali. Dovremmo recuperare la pratica della controinformazione che fortemente demistificante e demitizzante. Quando la memoria si ufficializza c infatti un processo di trasformazione per creare una forma nuova di vulgata. Il compito dello storico di essere sempre in posizione critica rispetto al potere, altrimenti suoni la fanfara di chi al potere, anche qui vediamo su fronti opposti con quali eccelsi risultati.

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