QUESTO libro, curato dalla poetessa Livia Naccarato, concepito nell'Istituto Comprensivo
di Aiello Calabro, vuole recuperare, a vantaggio delle giovani generazioni, la memoria
storica territoriale, che altrimenti rischia di estinguersi.
La memoria del passato è fondamentale per la costruzione della propria identità nel
presente, ma anche per la progettazione del futuro.
Ciascuno, sia a livello individuale, che a livello collettivo, è la risultante del proprio
passato; un individuo che, fortuitamente, perde la memoria, ignora tutto di sé, ciò che ama
e che odia, che spera e che teme, ciò che vuole e ciò di cui ha paura, è insomma un uomo
senza identità.
Per questo, per comprendere se stessi nel presente, occorre, per citare M. Proust, andare
alla ricerca del tempo perduto, che è il tempo dimenticato, scivolato via dal serbatoio della
memoria.
Abbiamo talvolta la sensazione che le giovani generazioni, proprio perché hanno perduto la
memoria storica della propria collettività, siano poi disorientate, incapaci di comprendere
appieno le proprie motivazioni, e quindi non attrezzate a programmare il futuro.
La scuola, in questo, non ha forse sempre adempiuto al suo compito, sottovalutando in
qualche modo nella prassi quotidiana, lo studio della storia come fondamento della
costruzione dell'identità personale e collettiva; si aggiunga a questo lo spazio dirompente
che i mass-media hanno acquistato nella vita dei nostri figli, sottoposti all'imbonimento
quotidiano di trasmissioni demenziali, che spingono a non riflettere, a non pensare, ad
occuparsi di banalità e di volgarità effimere e scadenti, perché possa scomparire quel
pensiero critico e divergente che fa paura a tutte le dittature, a tutti i regimi, anche a quelli
mass-mediatici.
La storia, invece, oltre ad essere fondamentale, aiuta a riflettere criticamente sui
meccanismi dell'anima umana, sia quelli individuali, sia quelli collettivi, ed alimenta così il
pensiero divergente e critico, educa a non ripetere gli errori del passato, aiuta a conoscere
ed a dominare meglio se stessi.
Si corre anche il rischio, oggi, che qualcuno si metta a riscrivere i libri di storia con intento
censorio, come avviene durante le dittature; è dunque operazione di difesa della
democrazia, oltre che di formazione della persona, l'operazione che l'Istituto Comprensivo
di Aiello si propone di fare.
Insegnanti ed alunni, difatti, si propongono null'altro che questo: ricostruire la memoria
storica.
E l'originalità di questa operazione sta in due caratteristiche fondamentali: l'oggetto
dell'indagine, e la metodologia adoperata.
L'indagine storica, difatti, non è esercitata sui grandi eventi a carattere nazionale, distanti
dai ragazzi, ma sulla microstoria territoriale, poiché riguarda la collettività in cui i ragazzi
vivono, ed è la testimonianza delle azioni, delle speranze, delle lotte, delle sconfitte, dei
loro padri, dei loro nonni, di quelli che prima di loro, hanno camminato, vissuto, respirato,
amato, odiato, gioito, nei luoghi dove questi ragazzi vivono oggi.
La microstoria territoriale è fondamentale per comprendere la storia nazionale: diceva
Gramsci che "gli angoletti bui" della microstoria costituiscono le tessere del grande
mosaico della storia nazionale.
Ancora più originale è stata la metodologia della ricerca: i ragazzi sono divenuti ricercatori
essi stessi nelle memorie di famiglia, in un colloquio non freddo ed asettico, scientifico, ma
appassionato e partecipe con i loro familiari adulti, con i loro genitori, con i loro nonni,
attraverso fonti storiche primarie, come lettere, documenti, foto, non rielaborati da alcuno,
ma che conservano tutta la genuinità appassionata e calda dei sentimenti, delle passioni,
delle vicende che testimoniano.
Occorre ancora dire che questa operazione ha avuto il merito aggiuntivo di aver stimolato
un dialogo fra generazioni che purtroppo oggi manca troppo spesso, c che è una delle cause
non ultime della solitudine degli anziani e del disorientamento dei giovani.
Infine, documentando per lo più il doloroso fenomeno dell'emigrazione forzata, questa
ricerca ha avuto l'effetto di risvegliare nei ragazzi l'amore per la propria terra e l'orgoglio
d'appartenenza, suscitando in loro la voglia di combattere, d'impegnarsi, per costruire un
mondo diverso, più giusto, nel quale non debbano essere sempre i più deboli a pagare, a
soccombere, sacrificando i propri desideri, i propri affetti, le proprie gioie, e nello stesso
tempo li ha avvicinati alla grande tragedia dell'emigrazione forzata, che oggi coinvolge
metà del pianeta, risvegliando in loro la solidarietà verso i meno fortunati.
E questo è per noi il merito più grande: aver ridato ai ragazzi, attraverso il dialogo con gli
anziani, i grandi sentimenti, i grandi valori, le grandi utopie per le quali vale la pena di
vivere e di combattere.
Questa società consumistica, difatti, che trova nei mass media gli opportuni megafoni, ha
ridotto l'esistenza ad una rincorsa per l'ottenimento di beni, peraltro effimeri, ed
all'esaltazione di una competività senza scrupoli, a scapito della solidarietà.
Così, la vita è diventata disperatamente vuota, senza valori, che diano ai giovani la voglia,
anzi la passione di vivere.
Solo i grandi valori, le grandi emozioni, le grandi utopie sono capaci di riaccendere nei
cuori dei nostri ragazzi la speranza, il sogno, la passione, quella che ha riscaldato tante vite
di chi ci ha preceduto.
Questo libro, costruito da ragazzi ed anziani, riporta nel cuore di chi lo legge la passione
più grande e più nobile che abbia mai animato l'umanità da quando esiste: il desiderio di
costruire una società di uomini liberi, eguali ed in pace, dove nessuno debba più rinunciare
alla propria terra, ai propri affetti, alle cose care, per avere il diritto di vivere come un
essere umano e per garantire un futuro a quelli che ama.
Donatella Laudadio
Assessore alla P.I. e Cultura
Amministrazione Provinciale di Cosenza
***
Introduzione
Con l’amore e l’interesse per le nostre radici culturali, e con le emozioni che ci hanno
suscitato, abbiamo letto, in anteprima, queste storie personali, “vissute e sofferte”,
raccontate dai nonni o dai genitori ai nostri studenti delle elementari e medie, che,
sapientemente, facendone tesoro, le hanno “sentite”, amate e trascritte secondo la propria
individuale visione del mondo e delle cose, dimostrando, nei fatti, la sensibilità e la
maturità necessarie.
Le storie di questo libro (le poesie in particolare sono di rara bellezza) sono – come il titolo
dichiara palesemente - storie di emigrazione. Sono bagagli legati con lo spago, pieni di
storie, molte volte tristi, importanti.
Ci raccontano di addii, di partenze strazianti, di navi, di arrivi solitari, di lingue diverse, di
lettere, di lacrime, di condizioni umilianti di lavoro, di infortuni sul lavoro; ci raccontano di
solitudini, di disillusioni, di lotte quotidiane, di nostalgia, di rassegnazione, di esilio.
E’ senza dubbio alcuno, un buon libro, un libro che parla della famiglia, nato dalla
conoscenza di episodi che hanno toccato direttamente ed emotivamente (essendo i propri
familiari i protagonisti delle storie) i nostri ragazzi, ed innescato, nel contempo, un
“arricchimento della personalità”, proprio nel momento più delicato e difficile della loro
crescita. Come di notevole interesse si è dimostrata la prospettiva del fenomeno
emigrazione, che emerge in diverse storie vissute da chi è rimasto. Quello delle mogli, delle
nostre nonne, dei loro figli. Questi racconti ci parlano di quotidiani sacrifici per mandare
avanti la famiglia, di figli “rimasti orfani di padre vivente”, di mogli che devono fare da
padri, di abbandoni e di nuove famiglie. Soprattutto però, questi racconti ci riconducono
ai ricordi della vita semplice, sebbene difficile, di tanti anni fa. Ci parlano dei lavori
quotidiani delle mamme, delle “vucate” al fiume con la “lissìa”, del duro lavoro nei
campi…; ci offrono vecchi, eppure attuali, spaccati di vita; ci ricordano i valori su cui si
fonda la famiglia; ci testimoniano l’amore e i sacrifici dell’essere genitori; infine, ci
richiamano, attraverso le considerazioni dei giovani reporter, sulla giustezza della
solidarietà verso chi oggi, come allora, va alla ricerca, emigrando in un altro paese, della
sicurezza di un posto di lavoro.
Grazie all’Unione Nazionali Scrittori (e certamente alla poetessa Livia Naccarato che ha
curato la pubblicazione), all’Auser e allo Spi-Cgil Roma Nord, che ci hanno proposto il
concorso per i ragazzi delle scuole elementari e medie (di Aiello, Cleto e Serra), da cui è
nato questo libro; grazie anche e soprattutto alla sensibilità dell’Amministrazione
provinciale di Cosenza che patrocina e finanzia la pubblicazione; e, non ultimo, grazie
all’Istituto Comprensivo (gli studenti, il dirigente scolastico, i docenti e tutto il personale),
che ha segnatamente appoggiato il progetto, oggi, abbiamo una semplice ma significativa
opera, frutto di un ritrovato dialogo tra generazioni differenti ma prodighe, l’un l’altra, di
scambi di esperienze e consigli, che rappresenta, per i giovani di questo territorio, un
valido approccio alle problematiche ed alle dinamiche sociali che hanno caratterizzato e in
parte caratterizzano la storia locale e del Mezzogiorno.
Maggio 2002
***
Prefazione
Il progetto culturale rivolto alle scuole I Nonni raccontano l’Emigrazione, ideato dalle 3
associazioni: l’UNS (Unione Nazionale Scrittori), l’AUSER (Università Europea Popolare),
e lo SPI (Sindacato Pensionati CGIL Roma-Nord), non vuole ricostruire con lo spunto di
un racconto personale un’analisi storico-sociale degli avvenimenti, bensì riscoprire in un
rapporto dialettico emozioni che solo una vicenda vissuta e sofferta può suscitare. In una
società sempre più competitiva e meccanizzata risulta molto difficile riattivare i
tradizionali meccanismi di comunicazione in particolare fra anziani e giovani. Quello che
prima avveniva intorno al focolare, simbolo dell’intimità domestica, è oggi impossibile
dinanzi al suo sostituto, la televisione, strumento notoriamente isolante. Si privano in
questo modo le nuove generazioni di quel bagaglio di esperienze soprattutto emotive che
sono invece utili all’arricchimento della loro personalità, proprio nel momento più delicato
e difficile della loro crescita. Il distacco che si sta creando fra le generazioni dipende anche
da questa situazione e sono proprio le fasce più deboli della società, gli anziani e i giovani a
soffrirne con un grave impoverimento di quei valori della solidarietà umana che sono
indispensabili per un corretto equilibrio tra il vecchio e il nuovo.
Con l’iniziativa I Nonni raccontano l’Emigrazione si cerca di ricreare la più semplice e
naturale via di comunicazione in quanto i giovani per la ricerca dovranno chiedere ai loro
parenti il racconto delle esperienze passate con l’obiettivo di incentivare il dialogo
intergenerazionale e di sensibilizzare gli studenti ad un fenomeno, quale l’emigrazione che
proprio nel sud ha avuto conseguenze quanto mai dolorose toccando aspetti della storia
passata e presente densi di implicazioni emotive. Il progetto si è svolto nell’Istituto
Comprensivo di Aiello Calabro nelle classi IV e V elementari e I, II e III delle medie con il
patrocinio del Comune di Aiello Calabro nel 2000/2001. L’iniziativa prevedeva 2 fasi: la
prima il concorso il cui Bando è pubblicato nell’Appendice del libro, rivolto agli studenti
con la premiazione finale dei lavori più meritevoli; la seconda fase la Pubblicazione degli
elaborati. La premiazione del concorso è avvenuta il giorno 5 giugno del 2001 presso
l’Istituto Comprensivo di Aiello Calabro in un clima di commozione e festosità, con la
presente non solo dei partecipanti (137) ma di tutti gli alunni e gli insegnanti, di molti
genitori e nonni. Sono stati presenti inoltre il dirigente scolastico, i sindaci di Aiello
Calabro, Cleto e Serra d’Aiello che costituiscono i tre comuni dell’Istituto scolastico e i
rappresentanti dello SPI-CGIL di Cosenza, Antonio Goffredo, Antonio Sommaria e
Carmine Azzaro. Il successo della nostra iniziativa con la pubblicazione del libro I Nonni
raccontano l’Emigrazione ci ha confermato la validità dell’argomento scelto. Come
responsabile del concorso ringrazio vivamente gli studenti che insieme ai loro nonni e
nonne hanno lavorato con molto sensibilità e serietà, gli insegnanti, il dirigente scolastico
Prof. Marino Cataldo, il sindaco dottor Francesco Iacucci e l’assessore alla Cultura dott.
Bruno Pino. Inoltre un ringraziamento va alla professoressa Monica Bernardo e al
professor Mario Pucci, membri della giuria insieme alla sottoscritta, che hanno prestato la
loro opera con competenza ed obiettività compito non facile dato il buon livello di molti
elaborati. In qualità di curatrice del libro ringrazio per la grande sensibilità dimostrata
l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Cosenza e il Comune di Aiello Calabro. Inoltre
ringrazio coloro che hanno collaborato alla realizzazione della pubblicazione, l’assessore
Bruno Pino e i due giovani Alfano Enzo e Francesco Dodaro, obiettori di Coscienza che
prestano Servizio Civile nel Comune di Aiello Calabro.
I libro è diviso in due sezioni: la prima comprende i componimenti degli alunni della
Scuola Elementare e la seconda quelli della Scuola Media. Ho seguito l’ordine alfabetico,
tranne per i primi tre classificati per ogni sezione. Il libro è completato ed impreziosito da
foto, disegni, lettere, cartoline, e molte poesie specie nella prima sezione. I componimenti
sono stati pubblicati tutti; gli interventi sui testi sono stati minimi e riguardano qualche
correzione ortografica e l’eliminazione di alcune ripetizioni salvaguardando però la loro
genuinità e immediatezza. Posso affermare senza timore di essere smentita che il libro
contiene grandi storie scritte da giovanissimi autori dai 9 ai 14 anni. Questo è il fatto
veramente nuovo che smentisce il detto comune che i bambini di oggi sono tutti
indifferenti, abulici e privi di sentimenti. Sono stati invece capaci con sensibilità, serietà ed
entusiasmo di scrivere un pezzo della nostra storia passata e presente che riguarda
l’Emigrazione fenomeno quanto mai coinvolgente e complesso che va al di là del nostro
paese natale Aiello Calabro. E’ bello sottolineare che molti di loro sono stati in grado di
comprendere il nuovo fenomeno dell’Immigrazione dai vicini paesi Balcanici. Traendone
significative riflessioni, come scrive Feraco Vanessa della V A … “oggi invece per noi
italiani non è frequente emigrare a differenza degli stranieri che vengono in Italia per
cercare lavoro. Guardando loro mi viene in mente quello che i miei parenti hanno dovuto
subire con l’emigrazione. Secondo me se noi pensassimo e riflettessimo che anch’essi sono
degli emigrati così come lo sono stati i nostri nonni forse avremmo un’altra considerazione
di loro”.
Ho detto storia perché il primo obiettivo del progetto era proprio questo: conoscere la
storia dell’emigrazione, non attraverso i libri o da qualche dotta conferenza ma dalla viva
voce di chi l’ha vissuta. Questo obiettivo è stato pienamente raggiunto ma non basta, molti
di loro hanno capito quanto sia importante la storia per la crescita dell’individuo, come ci
ricorda una bambina di 11 anni, Giuseppina Triestino della I A che termina il suo bel
racconto con queste parole… “certo la storia per noi è molto importante più di quello che
dice la gente, ma secondo me, senza le proprie parole, senza le proprie idee ed opinioni la
storia non alcun senso”.
I ragazzi reagiscono ai racconti dei nonni con sentimenti di grande ammirazione ed
orgoglio, di solidarietà e voglia di dialogo e confronto, mostrando una maturità superiore
alla loro età come testimoniano le parole di Lepore Debora della I C … “discutiamo anche
tanto dell’Europa e dell’unione, vorrei davvero che ci fosse una grande cooperazione e che
ci sentissimo un’unica forza, proprio pensando a quanti nel passato hanno faticato perché
fosse così. Un giorno anch’io potrei andare a lavorare all’Estero ma voglio che sia per libera
scelta e non perché costretta dalla miseria o dalla guerra….
E Lepore Alessandra della stessa classe aggiunge …”anch’io voglio collaborare affinché
dappertutto la gente abbia la possibilità di avere cibo a sufficienza, istruzione, famiglia,
lavoro e pace”.
Il libro si legge tutto di un fiato e le storie si snodano intrise di dolori, difficoltà, nostalgia
ma anche di speranza per la consapevolezza di poter dare ai propri familiari una vita più
serena e come dice nella bella poesia Guzzo Foliaro Federica della IC… “per non avere la
vergogna… della fame….
Molti sono stati gli incidenti sul lavoro e anche le morti. Tanti gli insulti e i sarcasmi subiti
come appare dalla bella storia di Vairo Valentina della II C… “ricordo benissimo che
quando dissi che ero calabrese si misero a ridere e se ne andarono. Io rimasi stupito dal
loro comportamento e non capivo perché non mi trattassero come gli altri e mi chiedevo
spesso se era per me un problema essere calabrese”. Ma vi sono anche tante storie finite
bene perché i protagonisti hanno potuto realizzare i loro sogni ed alla fine vivere una vita
libera dai bisogni.
Molto interessante è lo spaccato di vita quotidiana delle donne rimaste a casa che hanno
dovuto affrontare difficoltà par a quelle dei loro cari lontani; quotidianità raccontate con
tale vivacità e ricchezza di particolari dai giovanissimi scrittori da restituirne quasi per
magia l’incanto e la nostalgia di usi e costumi che vanno scomparendo. Con arguzia la
nonna di Vercillo Settimio della V A racconta sorridendo che il marito… “ha sofferto più
freddo che la fame e che le cutuliàvanu i gangulari…”.
Poetiche e commoventi le parole della nonna di Deiana Manuela della III A… “mia nonna
mi racconta che quando mia madre era piccola non aveva i soldi per comprare il petrolio e
per farla dormire doveva cullarla alla luce della luna”.
Grande è stata la solitudine di queste eroiche donne descritte nei bei versi di Lepore Luigi
della V A…
Ma purtroppo l’attesa per molti di essi è stata vana. Per vari motivi i legami familiari si
sono spezzati e i protagonisti si sono create altre famiglie aggiungendo al fenomeno
dell’emigrazione un altro doloroso tassello.
Sono sicura che i ragazzi non dimenticheranno il dialogo istaurato con gli adulti che
rappresenta un momento di crescita e maturazione della loro personalità perché come essi
stessi hanno scritto è stato emozionante e divertente curiosare nella giovinezza dei loro
nonni. Fra gli altri Coccimiglio Valentina della I a così termina il suo componimento… il
mio viaggio è finito e sono contenta di aver partecipato a questo concorso ed aver scritto
questa bellissima storia che però è stata anche realtà…
Cari bambini e cari ragazzi siamo noi adulti a ringraziare voi perché dalle vostre
straordinarie storie abbiamo imparato qualcosa di buono e di bello. Voglio terminare il mio
breve commento su questo bel libro con le stesse parole dell’ultima parte della poesia di
Coccimiglio Maria Teresa della V A…
Livia Naccarato
Curatrice del Progetto
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SCUOLA ELEMENTARE
Nota: I componimenti sono ordinati in ordine alfabetico ad eccezione dei primi tre.
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Abbiamo parlato tante volte sia in famiglia che con i nonni del problema dell'emigrazione,
in tante occasioni, specialmente in questi ultimi periodi dove ogni giorno assistiamo ad
una immigrazione nel nostro paese da parte di tanti profughi.
I nonni mi hanno raccontato tante cose; dal giorno della partenza dove amici e parenti si
stringevano e si addoloravano per quel distacco e sia per quello che hanno dovuto
affrontare al momento dell'arrivo al paese straniero.
I miei due nonni, dei quali uno è vivente e l'altro non ho avuto la fortuna di conoscerlo,
sono dovuti partire per paesi stranieri in cerca di lavoro. Il nonno Alberto che è vivente, ma
gravemente ammalato, è stato in Africa, in Inghilterra e in Francia. Il nonno Pietro che non
c'è più è stato in Canada. Il nonno Alberto in Africa lavorò come operaio nella costruzione
di strade e ferrovie in quanto in quei luoghi ancora non esistevano.
Poi scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e dopo aver fatto sei anni in guerra partì per
l'Inghilterra dove lavorò in una fattoria. Ritornato, partì per la Francia, dove lavorò come
minatore in una miniera di carbone. Questo lavoro non durò molto perché ebbe un
incidente e restò invalido di una gamba. Il nonno Pietro partì per il Canada lavorando nelle
foreste vergini e nella costruzione di strade e ferrovie. Tornato in Italia lavorando nella sua
proprietà cadde da un albero e dopo tanto tempo in ospedale morì. Il tempo libero per
entrambi era come fare un secondo lavoro. Infatti finite le ore del lavoro principale,
facevano altri lavoretti per cercare di guadagnare più soldi per poi mandarli alle proprie
famiglie e anche perché un giorno tornando in Italia i soldi sarebbero serviti per comprare
terreni o case in modo che non ci sarebbe stato più bisogno di emigrare. Solo qualche
pomeriggio di domenica, veniva trascorso andando al cinema o al bar o a fare una partita a
carte. Le difficoltà sono state tante: dalla mancanza di soldi che servivano per affrontare il
viaggio di ritorno o a restituirli con gli interessi alle persone che glieli avevano prestati, alla
lingua di quella nazione che era del tutto a loro sconosciuta.
I primi tempi riuscivano a farsi capire sia sul lavoro che nella vita quotidiana comunicando
con gesti o servendosi dei compaesani che erano emigrati prima di loro e facevano da
interprete. Altre difficoltà erano quelle di abituarsi alla temperatura più rigida della nostra,
alla cucina locale e alle nuove norme che esistevano in quella nazione. I sacrifici non erano
solo di chi emigrava ma anche di chi restava: moglie e figli. Le nonne mi raccontano che
essendo rimaste sole con i figli non è stato facile sopravvivere. Rimaste senza soldi, perché
erano state impegnate per la partenza dei nonni, si sentivano come se fosse loro crollato il
mondo addosso. Ogni giorno che passava si viveva con la speranza di ricevere qualche
buona notizia. Per arrivare una lettera passavano circa dieci giorni. Tutti i compiti della
famiglia erano sulle spalle delle nonne: si preoccupavano a procurare il cibo per i propri
figli rimasti orfani di padre vivente, a educarli mandandoli nella scuola pubblica e dare
loro quella sicurezza che solo il loro papà poteva dare. Le giornate le trascorrevano
lavorando duramente nei campi; allevando animali come mucche, pecore e capre dalle
quali ricavavano il latte per i figli, inoltre allevavano animali da cortile e avevano molta
cura per l'asino che era utilissimo per il trasporto di cose e persone. La sera era il momento
in cui si sentiva di più la mancanza del capo famiglia, ma le nonne sapevano dare sicurezza
ai figli, rassicurandoli dicendo loro che sarebbero tornati presto e che avrebbero portato
loro cioccolate e tanti regali. Li mettevano a letto raccontando loro tante favole e piano
piano si addormentavano. Molte volte alcuni lavori venivano trascurati specialmente
quando qualche bambino si ammalava.
Per portarli dal medico che era in paese, si doveva andare a piedi con il bambino in braccio
e si impiegava mezza giornata. Molte volte succedeva che il medico doveva tenere sotto
controllo il bambino per una notte. Le nonne ancora oggi ringraziano la brava gente del
paese che dava loro ospitalità. Raccontano anche che non tutte hanno avuto la fortuna di
riabbracciare i propri mariti. Qualcuno ha avuto la disgrazia di morire sul lavoro, altri
come il nonno Alberto di tornare invalido, altri non sono più tornati abbandonando le loro
famiglie e magari creandosene un'altra nel nuovo paese. Tutto questo procurava un grande
dolore a quella famiglia che aspettava con ansia il marito per trascorrere una vita
tranquilla e serena.
Oggi questo, al contrario di allora succede raramente anche perché quando una persona
emigra porta con se la propria famiglia. Io spero che arriverà un giorno in cui nessuno
debba emigrare perché al solo pensiero di andarsene dal proprio paese è triste e desolante.
Vedere in T.V. tutti questi profughi provo una grande emozione e un forte dolore.
Raccontando tutto ciò ho provato tanta tristezza e ho capito che ci sono state tante famiglie
che hanno sofferto molto e che hanno dovuto lavorare duramente per sopravvivere.
Io spero che l'emigrazione sia solo un ricordo che non si avveri più. Mi auguro che tutti
stiano insieme uniti e felici in tutte le parti del mondo.
L'emigrazione
Te ne sei andato
lasciando la terra dove eri nato
ma il tuo cuore e nel tuo passato
nella terra che hai sempre sognato.
Da quando sei tornato
non ti è rimasto altro
che il ricordo di una triste emigrazione.
***
In una sera di pioggia davanti al focolare ho chiesto alla nonna se qualcuno della famiglia
fosse emigrato. Lei mi ha risposto che tante persone della sua famiglia sono emigrate, ma
colui che ha fatto il viaggio più lungo è stato mio nonno Carmine che è emigrato in
Germania nel 1943.
Il giorno in cui è partito con il treno tutti erano preoccupati per il viaggio e avevano paura
che non ritornasse mai più vivo nel suo paese. Mio nonno quando è partito ha portato con
se due paia di scarpe, molto cibo, del denaro delle maglie e dei calzini di lana che gli aveva
fatto mia nonna.
All'epoca le valige erano delle scatole di cartone legate con un grosso spago. In viaggio era
costretto a dormire nei corridoi del treno insieme a tanti altri emigranti perché non si
potevano permettere un vagone letto. Durante il giorno non mangiava nel vagone
ristorante in cui pranzavano le persone ricche, ma mangiava un po' di pane con salame ed
altre cose che aveva messo in valigia. Durante il viaggio fece tantissima amicizia, fra cui
una persona che divenne il suo migliore amico. In treno faceva molto freddo e stavano tutti
vicini per farsi calore con il loro corpo. Il giorno in cui mio nonno è arrivato in Germania si
sentiva disorientato per la lingua, le usanze diverse e per tanti altri problemi della vita
quotidiana.
Viveva nella stessa abitazione del suo amico. Trovarono lavoro in una miniera di carbone e
lavoravano molto. Lavorando in questa miniera hanno imparato molte cose pratiche.
Infatti per sapere se l'ambiente era pieno di un gas chiamato "grisù" portavano in gabbia
un canarino che tenevano sotto osservazione. Se il canarino dava segni di stordimento
significava che il gas stava invadendo la galleria. Così si dava l'allarme e gli operai potevano
evacuare. Nella miniera c'era molto caldo e anche molto buio infatti dovevano portare le
lanterne per potere lavorare.
Il nonno ha imparato anche che il carbone veniva tagliato a fette da piccole macchine e poi
trasportato con dei carrelli fino alla superficie della galleria. Scriveva tutti i mesi una
lettera ai familiari mettendo nella busta una piccola parte della sua paga.
Il suo tempo libero lo passava facendo corsi di lingua tedesca. Mia nonna rimasta sola in
Italia aveva tante responsabilità: accudire i figli, mandarli a scuola e tanti altri lavori. Il
tempo libero lo passava coltivando la terra. Le figlie quando mia nonna zappava stavano
con le nonne specie quando dovevano fare il bucato. Allora i panni si lavavano ai torrenti o
alle cibbie. Si partiva all'alba e si rientrava a tarda sera quando il bucato lavato e steso sui
rami era asciutto.
Mia nonna mi racconta che la vita era molto dura, tutto quello che c'era in casa era frutto
del suo sudato lavoro, non si buttava via niente. Con l'olio e il grasso usato in cucina faceva
il sapone. D'estate raccoglievano i frutti e facevano le marmellate e il miele di fichi che
conservavano per Natale, per atturrare i turdilli. Al nonno queste cose piacevano
moltissimo e la nonna vi dedicava tanto tempo con amore. Io spero che non si ripetano più
i tempi di allora, perché è brutto dover lasciare la propria famiglia. Emigrazione è una
parola da dimenticare, perché ha fatto soffrire tanta povera e umile gente. Mio nonno
tornò a casa dopo venti anni di lavoro lontano dalla famiglia che non avvisò del suo arrivo
perché voleva farle una sorpresa. Trovò le figlie cresciute e molto belle e tante altre cose
cambiate. Il nonno ora è morto e ciò mi dispiace.
L'emigrazione
"Un vecchio ricordo"
"Emigrazione"
una parola senza fine
una parola
di dolore e
di tristezza
una parola
che ti risuscita
il passato di
fame, di stanchezza
e di lavoro.
"Emigrazione"
un vecchio ricordo
un'infanzia senza gioie e affetti
la povera
gente si è
fatta forte
ma non è riuscita
a dimenticare
questa vecchia parola
"Emigrazione"
e noi bambini, adulti
zii e parenti
di adesso
vogliamo dire con forza
addio vecchia parola
"Emigrazione"
***
Il nonno paterno, si chiama Aloe Filippo, ha 65 anni ed è stato emigrante dal 1956 al 1997.
E' partito per andare in Germania perché in Calabria c'era molta disoccupazione.
Appena arrivato ha provato rabbia e tanta tristezza. Sul posto di lavoro veniva trattato bene
però trovava difficoltà nella lingua. Quando è ritornato io sono stata molto felice perché
rivedevo mio nonno dopo tanto tempo.
Maria Aloe
3°C - Serra d'Aiello
***
La partenza
I figli partivano
per trovare lavoro
i genitori
piangevano
e le lacrime
cadevano
come cascate
piene di tristezza.
Filippo Aloe
5°C - Serra d'Aiello
***
Il nonno paterno è emigrato nel 1959 in Germania in cerca di qualche lavoro per
mantenere la propria famiglia. Quando è arrivato si sentiva a disagio e sentiva nostalgia di
casa e della famiglia, ma dopo con i suoi amici si è tranquillizzato ed è diventato più
allegro. Sia i compagni di lavoro, sia la popolazione locale lo hanno trattato bene. La
domenica usciva per il paese con i suoi amici e si divertiva un po'. Io penso che gli
emigranti erano stanchi, ma dovevano sempre lavorare per migliorare le condizioni della
famiglia.
Sabrina Aloe
4°C - Serra d'Aiello
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Ho parlato dell'emigrazione con mia nonna durante una conversazione sul lavoro. Mi ha
raccontato della solitudine, della lontananza e del duro lavoro. Fra i miei familiari mio
nonno è stato in Germania con i miei zii e ha lavorato in una fabbrica della carta e da
manovale. E' stato in Germania dal 1960 al 1970. Le difficoltà incontrate sono state: la
lingua, il freddo e una mentalità diversa dalla sua. Le donne rimaste a casa accudivano i
figli e sbrigavano tutte le altre faccende della vita quotidiana. Passavano il loro tempo
libero lavorando a maglia e all'uncinetto. Di sera si riunivano davanti al focolare e
raccontavano storie e il tempo trascorreva scherzando.
Infatti c'era molta unione fra i vari gruppi di donne rimaste da sole. L'emigrazione a parer
mio è un fenomeno molto brutto. Porta le persone ad allontanarsi dalle proprie famiglie e
dalle proprie cose per andare incontro a realtà, tradizioni e costumi diversi. Fa nascere il
sentimento della nostalgia e della tristezza, rendendo le persone socialmente disorientate.
L'emigrazione dovrebbe cessare e ogni capo famiglia dovrebbe restare nella propria casa.
Aloisio Ivan
4°A - Aiello C.
***
Nel lontano 7 Aprile 1956 mio nonno è emigrato in Francia a Chamonix, un cittadina della
Francia, famosa località turistica estiva ed invernale delle Alpi, perché in Italia non ha
trovato lavoro e doveva mantenere la sua famiglia che era composta da tre persone fra cui
una bambina di un anno. Egli il primo giorno provò tanta nostalgia di casa, gli mancava
tanto la sua sposa, la sua bambina e i suoi genitori poveri contadini.
Mi ha raccontato anche che sul posto di lavoro veniva trattato come un fratello e questo lo
aiutava ad eseguire il duro lavoro che ha svolto per ventidue anni. Partiva ad aprile e
ritornava a settembre nel suo paese dove, durante l'inverno, coltivava la terra.
I suoi rapporti con la popolazione locale i primi tempi, furono difficili, perché il nonno non
conosceva il francese, ma dopo averlo imparato fece tanta amicizia.
Ricorda ancora oggi quando per la prima volta andò sul Monte Bianco ed ebbe modo di
vedere tanta neve che egli non aveva mai visto.
Vanessa Berardone
5°C - Serra d'Aiello
***
Io sono emigrato nel 1978 in Germania, all'età di 17 anni per motivi di lavoro. Andai ad
abitare da mia sorella trovando lavoro in un ristorante italiano per quaranta giorni. Poi
sono andato a lavorare in un cantiere di costruzioni: all'inizio da manovale, poi da
carpentiere e in seguito autista dell'autogrù.
Dopo un anno gli amici mi convinsero a cambiare lavoro e andai in una fabbrica della
BMW dove mi sono trovato bene, così ho deciso di sposarmi nel 1981 portando anche in
Germania mia moglie.
Nel 1984 è nato il mio primo figlio. Con i soldi risparmiati facendo economia ho comprato
un pezzettino di terreno nel comune di Cleto ed ho iniziato a costruire la casa. Nel 1992
decisi di tornare definitivamente in Italia nella casa che avevo costruito. Però dopo otto
anni sento la nostalgia della Germania e precisamente della città di Monaco di Baviera che
è una città bellissima e molto pulita.
Bennardo Mariangela
Classe 4° B, Cleto
***
Il nonno paterno è emigrato in Germania nel 1960, perché nel suo paese non c'era lavoro.
Il primo giorno ha provato molta solitudine. Le persone di quel luogo lo trattavano bene
perché sapeva un po' la loro lingua e le loro tradizioni.
Io penso che mio nonno abbia fatto bene ad andare in Germania per lavorare e mantenere
la famiglia.
Ha dovuto fare molti lavori e sacrifici. Io spero che le persone di oggi possano trovare
lavoro vicino casa.
Bernardo Fabiano
Classe 4° C, Serra d'Aiello
***
Io ho parlato dell'emigrazione con mio nonno Fausto e mia nonna quando abbiamo visto
tutto quelle persone che dall'Albania venivano in Italia in cerca di fortuna.
Mio nonno mi ha raccontato che negli anni '60 nel suo paese non c'era lavoro, oppure era
poco e mal pagato. Perciò mio nonno, dato che era sposato, per poter mantenere la
famiglia decise con dei suoi amici di emigrare in Germania.
Appena arrivato in Germania trovò lavoro in una fabbrica di carta, però dopo pochi mesi fu
licenziato. Allora trovò lavoro con una ditta di costruzioni. Mio nonno mi ha raccontato che
di giorno lavorava e di sera stavano nelle baracche che la ditta aveva costruito per farli
dormire.
I primi giorni trovò molte difficoltà, sia per il freddo, sia perché non conosceva la lingua,
ma molto di più per la lontananza dalla famiglia.
Mia era rimasta molto male per la partenza del marito, essendo rimasta sola con i bambini;
però sapeva benissimo che mio nonno era emigrato per poter mantenere la famiglia e
mettere da parte dei soldi, che le spediva tutti i mesi e che la nonna conservava con molta
cura. Lei, oltre ad accudire la famiglia, lavorava nei campi. Mio nonno mi ha anche
raccontato che c'era anche chi rimasto per molti anni in Germania e conosciuto un'altra
donna si era fatto un'altra famiglia, anche se continuava a mantenere la propria.
Io penso che nel paese in cui sono nato questo fenomeno non ci sia più, anche se molte
persone si spostano nelle città del Nord.
Infine penso che mio nonno abbia avuto un grande coraggio ad abbandonare la propria
famiglia e il proprio paese per andare in un Paese straniero. Mi auguro che tutto questo
non succeda più e che ognuno possa trovare lavoro nella sua città e stare vicino alla sua
famiglia.
Bernardo Fausto
5° A, Aiello C.
***
Mio nonno materno si chiama Pietro Guido ed ha 77 anni, per ragioni di lavoro dovette
emigrare. Andò in Inghilterra e in America con la nave impiegando molti giorni. Il viaggio
fu disastroso e per soddisfare la fame consumava quelle poche cose che aveva messo in
valigia.
Ha incontrato molte difficoltà specialmente nella lingua e nel trovare un lavoro. Ogni mese
spediva una parte del guadagno a sua moglie, ma non erano sufficienti e mia nonna doveva
lavorare la terra.
Lasciava le figliolette ai vicini e con la cesta sulla testa carica di verdure arrivava a piedi ad
Aiello. Con i soldi che ricavava comprava le medicine e qualche metro di stoffa per fare i
vestiti e le lenzuola.
Un giorno all'improvviso arrivò il nonno e decise di ripartire in America con la famiglia.
Qui la nonna con le figlie trovarono all'inizio molte difficoltà, ma con il passare dei mesi si
abituarono alla vita americana. Stettero in America per tanti anni, fecero tanti sacrifici ma
poi tornarono con tante soddisfazioni.
Oggi mio nonno ha 77 anni, è pensionato e vive con la nonna a Giani.
Bifano Giuseppina
4° A, Aiello C.
***
***
Ho parlato con i nonni, con gli zii e con i genitori dell'emigrazione. Li ho interrogati molte
volte e ho chiesto loro soprattutto dei particolari. Inizialmente non sono stato molto
colpito da questo nuovo compito, ma dopo sono stato affascinato dall'argomento.
Mio nonno partì nel 1950 per il Canada e tornò nel 1953. Partì su una nave, aveva una
giacca, quattro fichi, un pezzo di pane e delle calze di lana molto pesanti perché si
consumavano di meno.
Quando la nave salpò c'era tutta la famiglia, come altre, che salutava il proprio capo
famiglia con i fazzoletti bianchi.
In Canada il nonno dormiva nei vagoni del treno e mano mano che il treno si muoveva
andava con esso, perché lavorava nella ferrovia che andava da Ste. Marie fino a Quebec,
attraversando foreste che lo facevano sentire minuscolo, con alberi secolari e giganteschi.
Le difficoltà maggiori sono state per la lingua, dato che si parlava sia il francese che
l'inglese. Lavorava 12 ore al giorno, dal lunedì al sabato e qualche volta anche la domenica.
Purtroppo quando mio nonno tornò dal Canada trovò una brutta notizia. Quando partì nel
1950 lasciò a mia nonna due figlie e un figlio maschio in grembo. Il bimbo nacque il 4
novembre 1950, però mia nonna si accorse che dormiva sempre. Fattolo visitare dal
medico venne a sapere che aveva una lesione celebrale. Nonostante le cure il piccolo
Raffaele si spense all'età di 4 mesi e 9 giorni. Il nonno non ha mai conosciuto questo figlio
e per questo fatto promise di non emigrare più per restare con la famiglia. Però per ragioni
economiche dovette di nuovo emigrare in Germania e in Valle d'Aosta.
Il nonno andò in Germania nel 1961; qui ha vissuto e lavorato a Monaco di Baviera come
operaio stradale. Trovò alloggio in un piccolo appartamento che divideva con i suoi amici e
a turno facevano le faccende domestiche. Mia nonna mi ha raccontato che non spendeva
tutti i soldi che il marito le spediva, ma una parte la conservava all'ufficio postale
comprando "buoni fruttiferi".
Mio nonno tornava in Italia ogni sette mesi. Nel 1965 tornò in Italia e restò in Calabria per
3 anni e poi emigrò in Valle d'Aosta nel 1968.
Mia nonna dovette, da sola, crescere i figli fino al 1974, anno in cui mio nonno tornò in
Italia. La mattina si alzava molto presto per mungere le mucche e per dare il latte ai propri
figli; inoltre coltivava il terreno dove produceva grano, granturco e ortaggi e pascolava
anche le pecore e le mucche. Due volte alla settimana faceva il bucato: questa era
un'operazione molto difficile perché non c'erano i mezzi che ci sono oggi: lavatrici e
sbiancanti. Al posto dello sbiancante usavano la lissìa fatta con cenere ed acqua bollita. Per
farla si prendeva la cenere del focolare, si faceva bollire e poi si faceva colare su una cesta
dove erano posti i panni.
Per fare il sapone prendevano potassio, grasso, acqua e il tutto veniva bollito. La vasca
detta in dialetto cibbia era nella piccola proprietà di mia nonna, i panni lavati venivano
stesi sui rami delle viti. Per il bucato mia nonna impiegava una giornata. Qualche volta
aiutava i vicini per la raccolta delle foglie del gelso per il baco da seta.
Secondo me l'emigrazione è una parola che solo a sentirla fa paura per una persona che
forse non tornerà più.
Molti emigrati hanno cercato di farsi un'altra famiglia lontano dall'Italia. Dell'emigrazione
si è parlato in molti film come "Terra Nostra".
L'emigrazione
Emigrazione, una parola così lunga
quanto la nostalgia di chi parte
e il dolore di chi resta.
Bossio Astorino
5° A, Aiello C.
***
Il mio papà si chiama Celestino Briglio, è stato anch'egli emigrante. E' andato in Francia a
Parigi. Il primo giorno di lavoro è stato buono perché c'era suo fratello. Il mio papà è
partito all'età di 17 anni e gli è stato molto difficile capire la lingua francese, ma alla fine
dell'anno egli era felice perché gli davano soldi in più come una specie di regalo di Natale.
Briglio Damiano
5° C, Serra d'Aiello
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Il mio bisnonno materno è partito dopo la guerra, negli anni '60, in Germania. Il primo
giorno ha provato dispiacere per la lontananza da casa. Sul posto di lavoro è stato trattato
bene dai tedeschi perché aveva trovato un gruppo di amici a lui molto simpatici e perché
aveva imparato la loro lingua.
Spero che nei prossimi anni in Calabria ci sia più lavoro e più abitazioni, così i giovani
potranno rimanere con la propria famiglia.
Caputo Debora
4° C, Serra d'Aiello
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Mio nonno si chiama Pietro ed ha 70 anni. E' emigrato nel 1962 in Germania dove faceva il
manovale. Mangiava il cibo che si portava dall'Italia. La vita era dura, ma era contento
perché un giorno i suoi sacrifici si sarebbero trasformati in felicità. Mia nonna lavorava la
terra ed è rimasta ad Alzinetta con 6 figli molto piccoli. Mio nonno ha lavorato anche in
Sicilia e nel tempo libero doveva provvedere alle sue cose. Ha trovato un po' di difficoltà
nella lingua, ma c'erano gli amici che traducevano il suo dialetto calabrese in dialetto
siciliano.
Quando mio nonno tornava a casa lavorava la terra. La vita sia per mio nonno che per mia
nonna è stata molto dura. Il nonno mi ha raccontato tutto ciò con le lacrime agli occhi. Era
commosso quando gli venivano alla mente tanti tristi ricordi.
Dell'emigrazione penso che è stato un brutto ricordo per quelle famiglie che hanno dovuto
vivere quei momenti senza il marito o il papà.Mi sono rattristata perché mia nonna è
dovuta restare a casa da sola con i suoi figli ed ho provato tanto sconforto.
Caputo Francesca
4° A, Aiello C.
***
D'inverno, davanti al camino con mio nonno ci siamo seduti e mi ha raccontato tutto sulla
sua emigrazione. E' andato in Francia dove ha fatto il muratore. Era sempre triste perché i
francesi non sopportavano gli italiani. Pensavano che noi emigranti potevamo togliere loro
del lavoro.
Il suo era un lavoro faticoso perché doveva lavorare dalle 6 del mattino fino alle ore 16.
Quel poco di tempo libero che aveva lo trascorreva dormendo perché era molto stanco.
La sua difficoltà era una sola: stare da solo in Francia, infatti aveva il desiderio di vedere
sua moglie e i suoi figli. Quando i mariti emigravano le povere mogli dovevano badare alla
casa, ai figli e alla terra. I figli crescevano senza aiuto del papà e ogni sera chiedevano alla
mamma quando potevano riabbracciare il loro papà. La mamma per tranquillizzarli
rispondeva: arriverà tra giorni e vi porterà tanti regali.
Ogni giorno, mi racconta la nonna, doveva inventarsi una risposta nuova e tutto ciò per lei
era molto triste. La nonna, per guadagnare anche lei qualche soldo, coltivava la terra e
allevava animali. Raggiungeva con l'asino Aiello dove vendeva le sue cose per le vie del
paese.
Io penso che l'emigrazione sia stata per mio nonno una brutta esperienza. Oggi a distanza
di molti anni il nonno mi racconta che è meglio mangiare pane e cipolla che dover partire e
abbandonare la casa e la famiglia.
Cerbiatto Arturo
Classe 4° A, Aiello C.
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Chiarello Antonietta
Classe 5° A, Aiello C.
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Nei tempi passati la parola "emigrazione" è stata conosciuta in tutti i paesi, in tutte le
campagne e in tutte le famiglie. Anche i miei nonni materni sono dovuti emigrare per avere
un futuro migliore.
Adesso il nonno non c'è più, ma la nonna mi ha raccontato la loro storia. Era l'anno 1953 e
il nonno era fidanzato con la nonna, ma dovette emigrare in Venezuela. Qui non si fermò a
lungo perché non c'era molto lavoro e ritornò in Italia e si sposò. Nel 1956 il nonno prese la
valigia e con la nonna partirono in Francia. Il nonno era bravo a lavorare il ferro e trovò
lavoro in un cantiere.
In Francia c'era molto freddo ed hanno trovato tante difficoltà, infatti il nonno doveva
andare a lavorare a piedi e camminare con il freddo e la neve, ma nello stesso tempo era
contento perché cercava di realizzare il sogno della sua vita: mettere da parte i soldi e
ritornare in Italia per costruirsi la casa tanto desiderata.
Dopo anni riuscirono a realizzare il loro sogno.
Le donne rimaste da sole con i bambini, vivevano nelle campagne dove coltivavano la terra
e allevavano animali da cortile. Durante la settimana andavano al fiume per lavare i panni;
anche i bambini aiutavano le mamme. La mattina andavano a scuola, mentre nel
pomeriggio pascolavano le pecore, trasportavano l'acqua e accudivano gli animali. Le
donne dovevano portare avanti la famiglia da sole e tutto ciò veniva capito dai figli più
grandi che aiutavano il più possibile la madre. Nonostante ciò alcune donne venivano
abbandonate dai mariti perché questi emigrando incontrarono altre donne e
dimenticavano al propria famiglia. Le povere mogli incominciavano a capire ciò dal fatto
che i mariti scrivevano sempre più di rado, fino a fare perdere le loro tracce.
Io ho riflettuto a lungo sull'emigrazione ed ho capito che nei tempi passati la vita era molto
dura. L'emigrazione era l'unica ancora di salvezza che c'era in Italia, anche i ragazzi di 18
anni già imparavano la parola emigrazione.
Tutte le esperienze vissute dalla nostra gente suscitano in me sentimenti di speranza e di
tenacia, in quanto le persone che prendevano questa decisone erano indubbiamente
persone forti, perché avevano il coraggio di imbarcarsi per andare a cercare lavoro per una
vita migliore.
Erano talmente fiduciosi e pieni di buone speranze che ignoravano gli ostacoli che
potevano trovare nel loro nuovo cammino.
Cicero Lorena
Classe 4° A, Aiello C.
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Il nonno materno è partito nel 1960 in Germania per fare stare bene la famiglia. Il primo
giorno ha provato grande emozione perché non sapeva parlare la lingua, ma i tedeschi
l'hanno trattato bene.
Egli pensava sempre alla sua famiglia
Cicchello Emanuele
Classe 3° C, Serra d'Aiello
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Il nonno paterno è partito per la Francia nel 1974. Fin dal primo giorno è stato trattato
bene. In Francia c'è stato per molto tempo. Egli pensava molto alla sua famiglia ed era
triste perché si trovava lontano da casa.
Cicchello Natalia
Classe 3° C, Serra d'Aiello
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Un giorno mentre pranzavamo tutti insieme ho chiesto al nonno che mi parlasse della sua
emigrazione. Mi ha raccontato che le condizioni della sua famiglia erano misere. Egli era
molto giovane e vedeva alcuni della sua età che vivevano in un ambiente e in condizioni
economiche più agiate delle sue. Il lavoro mancava e i soldi in casa scarseggiavano. Un
giorno per questi motivi, con tristezza e dolore ha deciso di lasciare i propri cari e la
propria terra, trovando inizialmente dei lavori stagionali all'interno dell'Italia. Fece un
ragionamento intelligente: io mi allontanerò per tre mesi all'anno, così avrò la possibilità
di stare accanto ai miei familiari per gli altri mesi.
Così all'età di 21 anni partì per Catanzaro dove raccoglieva la frutta. Fattosi più grande
decise di emigrare in Libia. Qui trovò subito lavoro come contadino in una grande fattoria;
in seguito andò in Sud Africa dove lavorava come autista e come manovale. Da qui si
trasferì in Inghilterra dove per tre anni ha costruito capannoni. La paga era molto bassa e
ogni 12 mesi riusciva a mandare poche migliaia di lire con le quali la mamma poteva fare
gli acquisti di prima necessità. Mio nonno ha trovato tantissime difficoltà: nella lingua,
nelle abitudini e nel clima.
Ho chiesto come trascorreva il tempo libero ed egli mi ha risposto che o passeggiava o
stava nelle tende al riparo dal sole o imparava la lingua. Le donne rimaste in casa
trascorrevano il loro tempo libero accudendo i bambini, lavorando nei campi, filando la
lana e lavando i panni alle "cibbie" con la "lissia". Allora non c'era quasi niente e il poco
cibo lo dovevano consumare in unico piatto.
Mio nonno è ritornato all'età di 27 anni, ha conosciuto mia nonna che sposò nel 1948. Da
allora stettero insieme, il nonno non partì mai più e lavorava la terra. Ormai sono
pensionati e ringraziano il Signore di quello che posseggono.
Io ho la fortuna di avere due nonni splendidi che mi vogliono tanto ben. Io spero che un
domani non dovrò emigrare per non soffrire.
Un triste saluto
Coccimiglio Fiorina
Classe 5° A, Aiello C.
***
Mio nonno paterno Antonio è dovuto emigrare in Eritrea insieme ad alcuni nostri parenti
per fare il muratore. Si è imbarcato nel 1936 con una nave e in Africa ha costruito delle
abitazioni e anche delle moschee.
Soffriva molto il caldo, però sul posto di lavoro veniva trattato molto bene dagli africani ed
egli quando era stanco poteva riposarsi e mangiare qualcosa prima di ricominciare a
lavorare.
Quando scoppiò la seconda guerra mondiale venne richiamato e lasciò il suo posto di
lavoro. Egli morì nel 1989.
Io penso che in Africa, che è un luogo caldo e arido, mio nonno, abituato al clima calabrese,
ha sofferto molto per questo e ha dovuto superare molte difficoltà.
Coccimiglio Francesco
Classe 4° C, Serra d'Aiello
***
Io ho parlato con i miei nonni dell'emigrazione soprattutto quando si stava a tavola per
pranzare o cenare e quando noi rifiutavamo qualcosa la nonna ci diceva e ci rimproverava
con queste parole: per un pezzo di pane tuo nonno fu costretto ad andare di qua e di là in
cerca di fortuna. Mi hanno raccontato che da giovani, la vita era molto dura e la gente
doveva emigrare molto lontano per trovare lavoro, lasciando a casa la famiglia con tanto
dolore.
Pur di lavorare accettavano qualsiasi lavoro anche molto pericoloso. Lavoravano nelle
miniere e nella costruzione di ferrovie anche se la paga era molto bassa.
Mio nonno non aveva un lavoro fisso, faceva tutto ciò che gli veniva offerto. Raggiunse la
Germania con il treno stando quasi sempre in piedi o seduto nei corridoi sulla sua valigia.
Il desiderio di lavorare era tanto che non pensava alle fatiche del viaggio.
In Germania ha trovato difficoltà specie nella lingua e nel clima. Il nonno si sacrificò per
molti anni stando lontano da casa, ma quando ritornò le condizioni economiche della
famiglia migliorarono.
Mio nonno Emilio ora è morto. Dopo aver scritto tutto ciò penso che l'emigrazione sia una
brutta cosa perché porta a dividere i componenti della famiglia.
Coccimiglio Maria
Classe 5° A, Aiello C.
***
Io ho parlato dell'emigrazione con mio nonno di nome Coccimiglio Salvatore una sera
mentre cenavamo. Mio nonno è partito per la Germania con il treno nel 1963. C'è stato per
18 anni, a volte veniva a novembre e ripartiva a marzo.
Abitava nella casa della ditta e pagava l'affitto che era di 18 marchi al mese. Ogni mese
guadagnava 250 marchi e una parte li spediva alla moglie che li depositava nell'ufficio
postale.
Anche mio padre è stato in Germania per un anno. Egli non aveva mai tempo libero e trovò
difficoltà per la lingua e per il clima. Mia nonna restava molto sola, la mattina si alzava
molto presto perché doveva coltivare il terreno, e accudire i bambini e gli animali.
Nel pomeriggio andava alla vasca a lavare i panni con la lissìa, tagliava la legna, rattoppava
gli indumenti e si recava al fiume per riempire le cùcume di acqua. Anche lei, poverina,
faceva una vita da cani.
Quando mio nonno ritornò in Italia la gioia dei miei cari fu immensa. Arrivò con un
fazzoletto di soldi sufficienti per costruire una piccola casa ad Acquafredda e donare una
vita comoda ai figli.
Io penso che l'emigrazione sia una cosa positiva, anche se ci si doveva allontanare dalla
casa e dalla famiglia perché poteva dare un futuro migliore ai propri cari.
Io piangevo
ma tu mi dicesti: "Io ritornerò".
Avevi detto una bugia
perché non sei più tornato.
Coccimiglio Romina
Classe 5° A, Aiello C.
***
Questa è una delle poche lettere che il nonno è riuscito a trovare tra i suoi ricordi.
Ma ne è così geloso che le tiene custodite segretamente. Questo perché sono indirizzate alla
propria moglie che ora non c'è più.
Ho ricopiato integralmente ciò che lui scriveva a nonna Diana negli anni '60.
Ho parlato dell'emigrazione in tante occasioni e i miei familiari mi hanno raccontato molte
cose. Mio nonno Oreste Cuglietta è stato in Germania dove svolgeva un lavoro molto duro,
il minatore in una miniera di carbone. Incontrò molte difficoltà come il freddo, la lingua, la
lontananza dalla famiglia e la povertà. Partì nel 1960 all'età di 28 anni. E' partito con i
vecchi treni che andavano a carbone e per arrivare impiegò molto tempo.
Era molto triste perché pensava sempre ai suoi figli che non poteva abbracciare e doveva
sopportare tutto ciò perché doveva guadagnare i soldi per mandarli in Italia.
Mio nonno viveva in una baracca, dove c'erano sedie e letti vecchi e rotti e un tavolo pieno
di ragnatele. Mancava l'acqua e non c'era nessun tipo di riscaldamento. In Germania trovò
amici sia buoni che cattivi e dispettosi.
Comunicava con la famiglia ogni mese, facendosi scrivere le lettere dai suoi amici perché
non sapeva né scrivere né leggere. Mangiava soprattutto patate, pane e fagioli in scatola e
usava molto strutto perché gli dava energia e calore.
Nella miniera lavoravano 57 operai che lavoravano giorno e notte. Le miniere erano larghe
e lunghissime e nell'interno faceva così caldo che i lavoratori qualche volta svenivano e
dovevano stare anche d'inverno a torso nudo. Ognuno svolgeva il suo compito ed erano
controllati dai capi, chi non lavorava veniva licenziato immediatamente.
Mia nonna mi racconta che la sua vita senza il marito è stata brutta con dispiaceri e tante
preoccupazioni. Lei da sola doveva mandare avanti la famiglia, i bambini andavano a
scuola con le cartelle di cartone e con i vestiti vecchi e rotti. Il tempo lo passava coltivando
il terreno e allevando gli animali. Mia nonna mi ha detto che il nonno non l'ha mai
abbandonata, anzi la pensava sempre ed era come se fosse presente in Germania con lui.
Io dell'emigrazione penso che sia stata una cosa molto brutta per chi l'ha vissuta in prima
persona come mio nonno. Sono dispiaciuta per tante altre persone emigrate che purtroppo
non sono più tornate a causa di incidenti sul lavoro.
Io sono grata a mio nonno di aver sacrificato la sua vita per la sua famiglia. Mi emoziono
tanto ancora oggi quando mio nonno mi racconta questa sua storia e ringrazio Dio che è
finita bene.
L'emigrante
Cuglietta Gessica
4° A, Aiello C.
***
Mio zio, fratello di mio padre, è stato in Germania dal 1998 al 2001. Il primo giorno ha
provato molte emozioni. Sul posto di lavoro è stato trattato bene. Ciò che lo colpì molto fu
che quella popolazione era buona.
De Grazia Adamo
Classe 3° C, Serra d'Aiello
***
Nella mia famiglia non ho avuto nessuno che è emigrato perché i miei nonni avevano tanta
terra da coltivare da cui traevano tutto ciò che serviva alla famiglia.
Il nonno mi racconta che la sua famiglia era una delle poche che economicamente stava
bene.
Io mi ritengo un bambino fortunato perché vivo in una famiglia dove i miei genitori hanno
ereditato tanti valori positivi e anche un po' di benessere.
De Grazia Luca
Classe 4° A, Aiello C.
***
Mio nonno paterno si chiama De Rosa Antonio e, dato che non c'era in Italia lavoro,
dovette partire per il Canada dove è rimasto dal 1965 al 1970. Il primo giorno ha provato
solitudine e tristezza per il distacco dalla famiglia. I primi tempi i rapporti con la
popolazione locale erano un po' freddi, ma poi hanno fatto amicizia.
De Rosa Federica
Classe 3° C, Serra d'Aiello
***
Guzzo Luigi, mio nonno, mi ha raccontato che il 21 settembre 1958, per mantenere la
famiglia, è dovuto emigrare in Venezuela all'età di 23 anni. Egli sapeva già dove andare
perché fu chiamato con "l'atto di richiamo" dal padre che era già lì.
Il viaggio con la nave è stato molto lungo: 18 giorni in seconda classe ed è arrivato il 12
ottobre che era la festa nazionale "el dia de la raza". Si festeggia la razza umana perché è il
giorno della scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo che sbarcò in
Venezuela che ha chiamato così ricordando la nostra Venezia.
Quando il nonno è arrivato in Venezuela il clima non è stato un problema perché era una
primavera costante, si è però sentito un po' sperduto perché non sapeva la lingua spagnola,
non sapeva come si doveva comportare e solo dopo un po' di tempo si è fatto degli amici.
Faceva l'autista con un imprenditore spagnolo. All'inizio guadagnava in media 20
bolivares, cioè 12 mila lire al mese. Lavorava da lunedì a venerdì fino a tarda sera, solo la
domenica si svagava un po' andando in giro per i parchi oppure all'ippodromo. Gli piaceva
anche andare al cinema dove vedeva qualche volta attori e attrici italiane.
Dormiva normalmente nel camion per trovarsi già lì la mattina così cominciava per primo
il lavoro. Quando il nonno è partito ha lasciato qui ad Aiello la sua fidanzata. Solo 5 anni
dopo, nel 1965, si sono sposati per procura. Lei è poi partita nel mese di novembre per
raggiungere il marito. E' arrivata in Venezuela il giorno in cui avevano ucciso il presidente
americano Kennedy e la povera nonna che già si sentiva sperduta e impaurita si è trovata
in un aeroporto in piena confusione. Anche per lei la difficoltà più grande è stata la lingua,
ma è stato facile impararla.
Io penso che l'emigrazione sia una brutta cosa perché si deve lasciare la famiglia per
guadagnare dei soldi. Oggi invece, per noi italiani, non è frequente emigrare a differenza
degli stranieri che vengono in Italia per cercare lavoro. Guardando loro mi viene in mente
quello che i miei parenti hanno dovuto subire con l'emigrazione.
Secondo me, se noi pensassimo e riflettessimo che anch'essi sono degli emigrati così come
lo stati i nostri nonni, forse avremmo un'altra considerazione di loro.
Feraco Vanessa
Classe 5° A, Aiello C.
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Tanti anni fa molta gente emigrava in paesi lontani per motivi di lavoro. Anche mio nonno
andò in Germania e ritornava in Italia in inverno per poi ripartire d'estate. Mia nonna
rimasta da sola dovette badare ai figli e sentiva molto la mancanza del nonno.
Quando mio nonno è partito nel 1961 aveva 23 anni ma è ritornato perché sentiva la
nostalgia del suo paese.
Fiume Carola
Classe 5° B, Cleto
***
Io ho parlato con i parenti dell'emigrazione nel dover fare questo concorso. Mia cugina mi
ha raccontato che nel 1999 il suo fidanzato è partito per la Germania. Questa scelta non era
felice ma doveva farla perché qui in Calabria non c'era lavoro e un guadagno sufficiente.
Tornò il 2 ottobre e si sposarono nella chiesa di S. Maria di Aiello e il 4 ottobre sono partiti
per la Germania. Suo marito trovò lavoro in un ristorante italiano dal nome "Milano". Sua
moglie prima ha lavorato con il marito poi in un altro ristorante chiamato "il Castello".
Spesso facevano festa con gli amici italiani e si riunivano nei club calabresi. In Germania ci
sono stati un anno poi sono ritornati perché non riuscivano a dimenticare la loro terra.
Ora che si sono stabiliti in Calabria sono rimasti amici con persone di Francoforte. Mia
cugina mi dice che tutto ciò è bello e quando me ne parla le scendono le lacrime dagli occhi
e le trema la voce.
Io dell'emigrazione penso che c'è un lato positivo e un lato negativo. Il lato positivo è dato
dal fatto che emigrando si guadagnano tanti soldi e si conosce un'altra cultura. L'aspetto
negativo è dato dal fatto che le persone che partono devono stare lontano dai propri
familiari e devono lasciare le proprie abitudini.
Ecco le emozioni e i sentimenti che questo argomento ha suscitato nel mio animo:
emigrando si lavora, si guadagna, ci si diverte e si fanno più esperienze.
Fiume Gessica
Classe 5° A, Aiello C.
***
Mio nonno è andato in Germania nel 1959 a 35 anni, lasciando a casa la moglie e i suoi 6
figli. In Germania ha trovato lavoro in una fabbrica dove si costruivano pezzi di auto e
cucine e alla FIAT.
Lavorava 10 ore al giorno e guadagnava molto. La metà dei soldi la mandava alla famiglia e
con l'altra provvedeva alle sue necessità e alcune volte si comprava le sigarette.
Era contento di stare in Germania perché aveva un lavoro però sentiva nostalgia del suo
paese e della sua famiglia. E' ritornato in Italia per motivi di salute perché ammalato di
cuore. Ricorda ancora con piacere che in Germania la gente era precisa e non rubava mai.
Quando è ritornato in casa ha trovato un nuovo bambino e ha domandato a sua moglie chi
fosse quel bambino. E la moglie gli ha risposto che era suo figlio nato quando lui era in
Germania per fargli una sorpresa e quindi lui non lo conosceva ancora.
Quel bambino era proprio il mio papà.
Franchini Elisa
Classe 4° B, Cleto
***
La forza
Ero stanco
sbadigliavo
e non ce la facevo.
Ma dovevo lavorare
per mantenere la mia famiglia
Il viaggio
In tanti paesi
persone bisognose
partono per trovare lavoro.
Ma a volte
è un viaggio inutile.
L'amicizia
Gli emigranti
a volte trovano
amici italiani
altre volte
non trovano nessuno.
Garritano Federica
Classe 4° C, Serra d'Aiello
***
Mio nonno paterno che ora ha 67 anni mi ha raccontato che nel lontano 1958 è emigrato in
Francia perché pensava di trovare una sistemazione migliore di quella che aveva a Serra
d'Aiello, il suo paese. Invece appena arrivato ha trovato una baracca mal costruita e vecchia
e per dormire doveva riscaldare l'acqua in bottiglie e metterle nel letto. Ma qualche volta
succedeva che queste bottiglie si rompevano e invece di dormire al caldo dormiva al
freddo.
Le baracche dove alloggiavano gli emigranti non avevano il bagno e nemmeno altri servizi
utili. Nonno era partito con altri 16 compagni del suo stesso paese e la mattina andavano al
lavoro quando ancora il sole non era sorto e ritornavano quando faceva buio. Il primo
giorno di lavoro non è stato molto positivo perché non sapeva parlare la lingua. Svolgendo
il lavoro con serietà e costanza nonno però è stato trattato bene, altrimenti poteva essere
anche licenziato.
L'unico divertimento per loro era quando arrivava il sabato e la domenica perché andavano
a ballare, però pensare la famiglia lontana dava loro molto dispiacere.
Giampà Antonietta
Classe 5° C, Serra d'Aiello
***
Da tanti anni molti italiani sono costretti ad emigrare specialmente quelli del sud Italia in
quanto rispetto al nord è più povero ed ha meno fabbriche e aziende.
Il mio defunto nonno, nel 1959, all'età di 24 anni, emigrò prima in Francia e poi in
Germania lasciando al moglie con 6 figli. Mio padre mi racconta che era molto triste
quando il suo papà partiva e gli faceva grande festa quando ritornava in ferie.
Dopo tanti anni rientrò in Italia trovando lavoro nel suo paese. Purtroppo dopo tutti questi
sacrifici un giorno si ammalò e morì prima che io nascessi. Il mio papà mi ha raccontato
questo che ho scritto.
***
Nel lontano 1958 mio nonno è partito per la Germania. Il primo giorno ha provato molta
tristezza perché aveva lasciato la sua famiglia. Sul posto di lavoro veniva trattato male
perché non capiva il tedesco e non riusciva a lavorare come essi volevano.
Passando il tempo è riuscito a imparare la lingua così ha migliorato il suo lavoro. La
domenica mio nonno, con i suoi amici, andava in giro per la città.
Guzzo Luigi
Classe 5° C, serra d'Aiello
***
L'emigrazione è ancora oggi uno dei fenomeni negativi che affligge la nostra società. Tutti i
giorni vediamo alla tv gli Albanesi, i Curdi e tante altre persone straniere che, pur di
approdare sulle coste italiane, mettono a repentaglio la loro vita con mezzi di fortuna.
Anche ad Aiello ci sono delle signore provenienti dalla Polonia e dall'Ucraina che lavorano
presso alcune famiglie stando lontano dai loro cari. Gli anziani parlano spesso
dell'emigrazione. La nonna aveva ritrovato delle vecchie foto e mi ha raccontato la storia
del mio bisnonno. Dopo la guerra del 1918 in Italia non si trovava più lavoro e il mio
bisnonno Giuseppe emigrò in America con tante altre persone. Allora si viaggiava in nave e
per arrivare si impiegava più di 40 giorni. Faceva lo scalpellino ma essendo malato di cuore
dopo qualche anno morì. Tempo libero ne aveva poco perché pensava sempre e solo a
lavorare per mandare i soldi alla sua famiglia rimasta in paese. In America ha incontrato
tante difficoltà perché non conosceva l'inglese e non poteva comunicare con le altre
persone.
Le donne che rimanevano sole dovevano provvedere all'educazione dei propri figli e alle
esigenze della famiglia. spesso i soldi che i mariti mandavano non bastavano e le donne
dovevano trovarsi un lavoro. La mattina si alzavano di buon'ora e andavano in montagna a
raccogliere la legna che portavano sulla testa. Non avevano molto tempo libero ma, quando
ne avevano, lo impiegavano a cucire i vestiti per i figli, a lavorare ai ferri, a tessere e a
ricamare il corredo per le proprie figlie. Spesso succedeva che i mariti per la lontananza
potevano avere la possibilità di ricostruirsi una nuova famiglia. Questo e' successo alla
nonna di mia madre. Il marito emigrò in America lasciando la mia bisnonna che aspettava
un bambino. Ma a poco a poco fece perdere le sue tracce. La bisnonna venne a sapere da
alcuni compaesani che si era risposato ed aveva altri figli.
Iacucci Giuseppe
Classe 4° A Aiello C.
***
Il nonno si chiama Ianni Palarchio Gaspare e ha 88 anni. Egli partì per il Venezuela e mi
ha raccontato che appena arrivato ha provato tanto dolore perché gli mancava il suo paese
e la sua famiglia. Per lui, senza soldi e senza casa, è stato veramente molto duro.
Egli ha cercato subito lavoro e lo ha trovato in una ditta di costruzioni dove ha lavorato per
tre anni. Il suo lavoro era molto pesante e non veniva trattato molto bene. Si lavorava dalla
mattina alla sera e il guardiano controllava i lavoratori continuamente. I rapporti con i
venezuelani non erano dei migliori perché non parlava la loro lingua e non conosceva le
loro abitudini. Ma piano piano ha imparato a comunicare con loro e a fare amicizia.
***
Il nonno materno è stato in Germania dal 1960 al 1970. Il primo giorno ha provato
tristezza e un po' di disagio perché non conosceva la lingua. Mio nonno con i compagni di
lavoro si trovava bene anche se faceva un lavoro faticoso.
In Germania, in alcuni locali, mio nonno e gli altri italiani non potevano entrare perché era
loro vietato.
Innocenti Mattia
Classe 3° C, Serra d'Aiello
***
Nel 1966 mio nonno è emigrato in Francia lasciando la moglie, che era incinta, insieme ai
parenti in Italia. Arrivato in Francia fu ospitato da alcuni parenti che lo hanno aiutato a
trovare lavoro come operaio in una fabbrica. Il suo lavoro non era molto pesante però
guadagnava bene e mandava tutto il salario alla moglie.
Quando il nonno ritornò trovò mia madre piccola e lui fu molto contento di trovare la sua
prima figlia a casa. Da allora non è più ripartito perché sentiva molta nostalgia del suo
paese.
Un giorno il nonno mi ha detto che era favorevole all'entrata in Italia di albanesi,
marocchini ecc.
Isabella Valeria
Classe 5° B, Cleto
***
Un giorno eravamo vicino al caminetto e mio nonno, Coccimiglio Umberto, cominciò a
raccontami dei suoi viaggi. E' stato in Inghilterra ed in Piemonte dove ha lavorato tre anni.
Qui ha fatto l'agricoltore e il manovale.
Mangiava quasi sempre lo stesso cibo e indossava sempre lo stesso vestito. Si lavava una
volta alla settimana al fiume. Il nonno non stava nelle case, ma nelle baracche di legno. La
paga era molto bassa, ma metteva lo stesso da parte i soldi in un sacchetto e quando
arrivava alla somma di 10 mila lire li spediva alla nonna. Alcune volte mandava anche
qualche regalino ai figli che domandavano sempre alla mamma quando ritornava il loro
papà e la nonna rispondeva sempre: al più presto.
L'emigrazione ha suscitato nel mio animo una grande emozione. Mi ha fatto riflettere sul
fatto che una volta la vita non era come oggi, ma molto diversa. Bisognava affrontare tante
difficoltà, per esempio con i pochi soldi che c'erano si potevano acquistare solo il cibo e i
vestiti.
Secondo me l'emigrazione una volta era necessaria perché se non si emigrava non c'erano i
soldi per poter mantenere la famiglia.
L'emigrazione
Iuliano Cristina
Classe 4° A, Aiello C.
***
Mia nonna, la sera, andava dai vicini per passare un po' di tempo e per riscaldarsi perché
non aveva il focolare, però portava dei pezzi di legno che poi lei usava quando doveva
riscaldarsi un po' di acqua.
Mia nonna e mio nonno sono stati felici fin quando mio nonno non è morto.
Il nonno parte
Il nonno parte
e la nonna rimane sola
nel silenzio della casa
ad aspettare che ritorni
tra le sue braccia calde
per stare felici e contenti.
Lepore Luigi
Classe 5° A, Aiello C.
***
Il nonno mi ha raccontato che partì negli anni '60 in Germania. Lavorava nei cantieri edili
e guadagnava 18 mila lire al mese; spendeva il minimo indispensabile per spedire i soldi
alla famiglia.
Viveva nelle baracche sui cantieri dove non c'era né il riscaldamento né alcuna comodità.
Mio nonno mi racconta che il sabato sera faceva il bagno nella tinozza. Poi usciva e si
recava al bar a bere una birra. La domenica non si lavorava e perciò il nonno dedicava
questo tempo a scrivere qualche lettera.
Nel 1980 tornò a casa, ma, per poter guadagnare di più, andò a lavorare come carpentiere
in Arabia Saudita. Qui lavorò per molto tempo, guadagnava bene, ma la vita era molto
diversa dalla nostra. Faceva molto caldo, con temperature che arrivavano oltre i 40 gradi.
La nonna mi ha raccontato di avere trascorso una vita molto difficile e dura. Infatti,
rimasta da sola con i figli, ha dovuto pensare ad essi e alla casa. Cuciva i vestitini per i
bambini o chiedeva ai parenti quelli usati dai propri figli. Mi racconta che quando andava a
fare la spesa ad Aiello non poteva pagare e lasciava al negoziante il debito che pagava
quando arrivavano i soldi.
La nonna faceva tante altre cose come coltivare le verdure, il grano, ecc. Era molto duro
crescere i bambini senza nessuna comodità; quando si ammalavano venivano curati con
delle erbe.
Io penso che l'emigrazione sia stata una cosa molto brutta; ciò accade ancora oggi nel
nostro paese.
Emigrazione
Emigrazione
una parola triste
e dolorosa
per ogni persona
per ogni famiglia
per ogni cuore;
lacrime che escono
come gocce d'acqua
saluti, baci e abbracci
che forse non si potranno dare mai più.
Lepore Mariagrazia
Classe 4° A, Aiello C.
***
Mio nonno Lepore Gennaro, ormai ottantenne, mi ha raccontato la sua vita lontano dai
suoi cari, infatti nel 1957 emigrò in Germania. Raggiunse con il treno la città di Stoccarda;
stette per sette anni lavorando prima in una miniera di carbone poi come carpentiere nelle
costruzioni di ferrovie e ponti. Riusciva a spedire a sua moglie circa 10 mila lire al mese,
ma era costretto tante volte a saltare il pranzo.
Solo la sera, stanco e affaticato, cucinava un po' di pasta condita con strutto. Anche la
nonna, rimasta in Italia, ha dovuto fare tanti sacrifici. Oltre a crescere i figli, coltivava un
pezzetto di terra, accudiva gli animali e doveva andare alla sorgente d'acqua, riempire i
barili e portarli a casa. Ciò era molto faticoso perché la nonna doveva camminare a piedi
per circa trenta minuti e portare sulla testa il recipiente pieno d'acqua che era molto
pesante. Arrivava a casa con dolori alle gambe e al collo.
Il nonno ritornò in Italia nel 1962 e non ripartì mai più. Mi ha commosso molto il racconto,
perché è grazie a lui che mio padre ha una buona condizione economica.
Lepore Rosaria
Classe 4° A, Aiello C.
***
Un giorno, parlando con il nonno Lepore Salvatore, ho scoperto una parte della sua vita. I
miei nonni ora abitano in una piccola casa circondata da alberi in una contrada di Aiello
chiamata "Persico" ed hanno 5 figli.
Mio padre e i miei zii, quando erano piccoli, andavano a scuola, ma al ritorno dovevano
aiutare la nonna, sia nelle faccende domestiche che nel lavoro dei campi.
Il nonno, quando tornava a casa, portava ai suoi figli un piccolo regalo come delle
bamboline o dei trenini. Mi ha raccontato che una volta la gente si spostava in altri paesi o
città, perché in Calabria non c'era abbastanza lavoro per tutti.
Mio nonno è andato in Sicilia dove lavorava nei campi e iniziava a lavorare al sorgere del
giorno e finiva al tramonto. Appena tornato a casa si lavava in una bacinella di legno o di
terracotta, indossava per tre o quattro giorni gli stessi vestiti; infatti aveva portato con se
due pantaloni rattoppati e due camicie. Nel suo tempo libero faceva altri lavoretti per
guadagnare un po' di più.
La difficoltà che ha trovato il nonno è stata quella di dover stare lontano dalla sua famiglia
e per questo non ha potuto essere presente alla nascita di alcuni figli. Tornava a Pasqua e a
Natale.
Ho parlato con mia nonna di ciò che faceva quando era sola. Mi ha risposto che lavorava
nei campi e pascolava il bestiame facendo tutto ciò anche quando era in attesa dei figli.
Mia nonna non aveva vicino una sorgente d'acqua perciò doveva camminare a piedi per
riempire il barile d'acqua che serviva per uso domestico e per dissetarsi. Per il ritorno di
mio nonno preparava un buon pranzetto a base di salsicce di maiale e maccarruni.
Quando mio nonno le spediva il denaro, una parte lo metteva in banca e l'altra parte lo
usava per le necessità della famiglia.
Parlando con una mia vicina di casa ho scoperto che è stata abbandonata dal marito dopo
aver dato alla luce il loro bambino.
Per me l'emigrazione è un sacrificio che le persone fanno per migliorare le proprie
condizioni, ma a volte alcuni abbandonano la moglie e i loro figli. Secondo me queste
persone non hanno un cuore.
Io, trattando questo argomento, sono arrivata ad una conclusione alla quale fino ad ora
non ero mai arrivata: ho capito quanti sacrifici stanno facendo i miei genitori per vedermi
felice e per nonfarmi mancare niente. Io sono una bambina molto fortunata ad avere simili
genitori, ma nello stesso tempo molto triste al pensiero che tanti bambini sono stati
abbandonati dai propri genitori.
Lepore Susy
Classe 4° A, Aiello C.
***
Lepore Valentina
Classe 5° A, Aiello C.
***
Tante volte mi sono trovato con i miei nonni che discutevano di ciò che era successo
durante gli anni di emigrazione negli Stati Uniti d'America. Mio nonno Francesco emigrò
all'età di 19 anni prima in Francia, ma dopo alcuni anni prese l'aereo per gli Stati Uniti per
un lavoro più stabile e più redditizio. Dopo pochi anni ritornò i Italia e si sposò con mia
nonna Franca che dopo un pò raggiunse il marito. Mio nonno lavorava come muratore e
l'unico giorno libero era la domenica che passava facendo la spesa, andando in chiesa e nel
pomeriggio andava in giro per conoscere la città dove abitava.
I nonni mi hanno raccontato che hanno trovato mille difficoltà: economiche, di lingua, di
lavoro e di conoscenze, in poche parole dovevano scoprire un mondo tutto nuovo.
Da quello che i nonni mi hanno raccontato penso che l'emigrazione, in qualsiasi parte del
mondo si vada, non è una bella esperienza perché si lascia la famiglia, gli amici, le persone
più care e le proprie origini. Purtroppo però, specialmente al Sud, è un problema ancora
attuale.
Le emozioni che questo argomento mi suscita sono molto forti anche perché è successo ai
miei nonni e tutto questo mi ha fatto capire che nella vita può succedere di andare via dal
proprio paese per un lavoro e per avere una vita da persona normale. Ciò mi rende più
forte e sicuro perché ho l'opportunità di parlarne con qualcuno che ha già vissuto il
problema e nel caso in cui mi dovesse capitare potrei sfruttare l'esperienza dei miei nonni.
***
Io ho avuto due nonni che sono emigrati: il nonno paterno Paolo e il nonno Francesco,
entrambi sono andati in Germania.
Qualche volta, seduti intorno al focolare, ci raccontavano le loro esperienze.
Partivano con dei treni molto affollati e spesso dovevano fare il viaggio in piedi. Si
portavano dietro una valigia di cartone con dentro qualche indumento e un po' di salame.
In Germania facevano dei lavori umili, nonno Paolo lavorava in una miniera mentre il
nonno Francesco in un'officina. Finito il lavoro non erano liberi perché dovevano cucinare
e lavare la biancheria. Solo verso sera trovavano il tempo per divertirsi un pò. A volte
giocavano a carte, altre volte andavano al bar.
Abitavano il più delle volte in delle baracche ed avevano bagni e cucine in comune. Non
guadagnavano molto e una parte del guadagno doveva essere spedito alle famiglie.
Non era facile neanche la vita della moglie e delle altre persone che restavano in Italia. Ad
esse spettava il compito di lavorare i campi e di sbrigare tante altre faccende. A volte
succedeva anche che i soldi non arrivavano più. Si veniva poi a sapere che il marito aveva
incontrato un'altra donna e si era innamorato di lei e con essa spendeva i suoi soldi.
Parecchi matrimoni sono andati così in frantumi.
Io penso che l'emigrazione è un male perché parecchi figli sono cresciuti lontano dai loro
padri e noi sappiamo che per crescere bene essi hanno bisogno della vicinanza del padre
come della madre.
C'è anche da dire che l'emigrazione ha permesso alle famiglie di vivere in modo più agiato.
Io mi auguro che in futuro si creino qui tanti posti di lavoro per cui non si debba più
emigrare.
L'emigrazione
Emigrazione
una parola triste
una parola
come le altre
ma che
fa soffrire.
Emigrazione
vai via
e non
tornar più.
Emigrazione
addio!!
Marghella Celestina
Classe 4° A, Aiello C.
***
Io ho parlato con mio padre il quale mi ha detto che nonno Natale Marino è emigrato in
Svizzera partendo con il treno impiegando un giorno e mezzo.
Nonno Natale appena arrivato si è recato dal fratello che aveva già un lavoro e la casa. Ha
lavorato con lui come muratore e guadagnava 10 mila lire al giorno. Il giorno libero era la
domenica ma non sempre perché lavorava per guadagnare qualche soldo in più. Nonno
Natale e mio zio ritornavano in treno a casa nel mese di dicembre e ripartivano nel mesi di
giugno. Il nonno ha incontrato qualche difficoltà nella lingua che ha imparato dopo
qualche anno, ma che ancora oggi ricorda.
Egli non ha abbandonato la nonna anzi la ricordava sempre e le inviava molte lettere. Mia
nonna in Italia ha dovuto occuparsi da sola della casa, della terra e dei figli ed era molto
preoccupata per il nonno perché era solo e senza l'affetto della famiglia.
Io penso che l'emigrazione è crudele, perché chi emigra lascia i figli e la moglie. Io
ascoltando il racconto di mio padre ho provato dolore e penso alle sventure delle persone
che arrivano in Italia chissà da quale Paese lontano.
Marino Natale
Classe 4° A, Aiello C.
***
Il nonno mi ha raccontato che nel 1962 è partito per la Germania perché in Calabria non
c'era lavoro. A mio nonno mancava molto la sua famiglia perché l'aveva dovuta lasciare lì
in Calabria mentre lui era triste e lontano.
Al posto di lavoro veniva trattato bene anche se qualche volta lo sgridavano. Per mio nonno
era difficile capire la loro lingua e le loro abitudini, ma con il passare del tempo le ha capite
e si è trovato meglio.
Marrello Elvira
Classe 5°C, Serra d'Aiello
***
Mazzuca Eugenio
Classe 5° A, Aiello C.
***
Molto tempo fa, quando il nostro paese era molto povero, moltissimi italiani sono emigrati
in America e in altre nazioni europee. Ora assistiamo ad un fenomeno nuovo: da alcuni
Stati stranieri come Africa e Pesi balcanici molti vengono in Italia con la speranza di
trovare lavoro.
Secondo me, proprio perché noi Italiani in passato abbiamo avuto bisogno di emigrare,
dovremmo essere più accoglienti nei confronti degli extracomunitari, anche se l'Italia non
può offrire molta ricchezza, come dimostra il fatto che anche fra noi italiani ve ne sono
molti senza lavoro.
Mazzuca Raffaele
Classe 4° B, Cleto
***
Mio padre è emigrato negli anni '60 in Francia. Il primo giorno ha provato molta amarezza.
Mio padre sul lavoro non veniva ben utilizzato e con la popolazione locale i rapporti non
erano buoni.
Egli ricorda che sul posto di lavoro c'erano molti marocchini.
Per mio padre è stato molto triste lasciare la famiglia sola e ha trovato molte difficoltà che
in seguito ha superato.
Mendicino Serena
Classe 4° C, Serra d'Aiello
***
Il nonno è emigrato in Germania nel 1961. Qui non conosceva nessuno e all'inizio si è
sentito a disagio, ma poi, a poco a poco, si è abituato. In Germania è rimasto per 8 anni e
due anni in Svizzera. Tornava in Italia quando poteva. In Germania ha fatto l'operaio
costruendo strade, lavorava dalle 8 alle 12 ore al giorno; guadagnava molto poco e metà del
guadagno lo mandava alla famiglia. Per lui gli anni in cui è rimasto in Germania non sono
stati belli, perché soffriva per la lontananza della sua famiglia e non tornerebbe volentieri.
Miceli Rosalia
Classe 4° B, Cleto
***
Il mio trisavolo morì in America a soli 28 anni dilaniato da una esplosione poiché doveva
disinnescare una mina inesplosa. Sua moglie venne avvisata dai suoi vicini di casa che,
avuta la notizia tramite altri emigranti, si riunirono nei pressi della sua casa, si
accordarono come darle la notizia e poi, una alla volta, entrarono in casa e con molto tatto
le rivelarono la tremenda verità.
Del marito seppe solo che il suo corpo era stato raccolto e sepolto da altri emigranti in
quella terra lontana e straniera dove nessuno ha mai potuto deporre un fiore.
Rimasta vedova con due figlie e senza pensione, li ha cresciuti con grande difficoltà,
coltivando il pezzetto di terra che il marito le aveva lasciato ad Aiello nella contrada
chiamata Castagniti.
Nel 1949 il bisnonno emigrò clandestinamente in Francia. Arrivò con il treno alla frontiera,
poi scese ed entro in Francia attraverso il confine a piedi, sulla montagna. Una volta
entrato in Francia trovò lavoro e si mise a posto legalmente e nel 1951 richiamò il figlio
Nicola, cioè mio nonno, che entrò in Francia con regolare passaporto.
Cominciò a lavorare come manovale a 18 anni, sulle montagne dell'alta Savoia. La sera,
dopo il lavoro, andava in una scuola serale per imparare il francese, perché quello della
lingua era il problema più grosso che incontravano gli emigranti. Spesso lavorava anche di
sabato e di domenica perché la giornata gli veniva retribuita al doppio. Dormiva con i
compagni nelle baracche e c'era molto freddo. Il poco tempo libero che aveva lo trascorreva
sbrigando le faccende personali, oppure si riposava. Quando partiva dall'Italia, portava con
se pasta, fagioli secchi, salame, formaggio, vestiti e biancheria. Impiegava due giorni per
arrivare in Francia con il "Treno del Sole".
Nel 1955 il nonno sposò la nonna Rosaria, ma in primavera la lasciò e ripartì. In autunno,
quando cominciava a nevicare il nonno tornava e passava tutto l'inverno con la famiglia. In
primavera ripartiva.
Mio nonno mi ha raccontato che mentre aprivano una strada per costruire una diga, hanno
trovato sotto la neve i corpi di due persone che avevano addosso i documenti di
riconoscimento ancora intatti, provenivano dalla provincia di Foggia ed erano padre e
figlio.
Mia nonna mi ha raccontato che la vita delle donne rimaste sole in casa era una vita di
lavoro e di sacrifici. Doveva coltivare la terra, crescere i figli, curare la suocera e tutte le
commissioni fuori casa. Questo era molto difficile perché non c'erano strade e macchine e
si doveva raggiungere a piedi il paese. Non c'era nemmeno la luce elettrica e l'acqua in
casa.
Anche quando sono nati i figli lei era da sola. Il nonno non ha visto i figli appena nati, ma
quando avevano già qualche mese. Né li ha potuti vedere, quando hanno mangiato la
prima pappa o quando hanno messo il primo dentino, o detto le prime paroline e fatto i
primi passi.
Non li ha visti nemmeno nel loro primo giorno di scuola. Tutto questo era molto triste.
Anche mia mamma non era felice quando il suo papà partiva, ma lo era molto quando
ritornava. Mi ha raccontato che una volta il nonno è ritornato all'improvviso prima del
previsto, lei era a scuola quando egli ritornò a casa e sentì, senza ancora aver visto niente, il
profumo della valigia (un misto di tabacco e di cioccolato) e cominciò a dire: è tornato
papà, lui si era nascosto, ma era vero, era lì. Quando il nonno ritornava portava sempre dei
regali, a mia mamma le bamboline e ai miei zii i coltellini francesi e tanta cioccolata per
tutti.
Per fortuna, nel 1968, mio nonno ritornò ed ha lavorato non lontano da casa, così ha
potuto trascorrere tutto il tempo con la famiglia.
Adesso è pensionato e sta sempre a casa. Io vado molto spesso dai nonni che mi
raccontano sempre queste cose.
Penso che l'emigrazione è molto triste e ci vuole molto coraggio a lasciare la propria
famiglia e vivere per mesi e anni in terre straniere senza vedere la moglie e i figli.
Quando in televisione sento parlare degli immigrati che sbarcano in Puglia e poi vengono
fermati e fatti ritornare nel loro Paese d'origine, mi dispiace perché credo che queste
persone se lasciano le loro famiglie lo fanno per necessità. I Paesi ricchi li dovrebbero
aiutare come tanti anni fa sono stati aiutati i nostri nonni.
La cosa che mi ha commosso di più nel racconto dei nonni è stato il fatto che il mio
trisavolo è morto in America e nessuno ha potuto visitare la sua tomba. Un'altra cosa che
mi ha colpito è stata quella del ritrovamento dei due corpi congelati.
Poi penso sempre: come potevano questi papà vivere lontano dai figli?. Io non vorrei mai
stare lontano dal mio papà.
Nicastro Albachiara
Classe 4° A, Aiello C.
***
Mio zio, fratello di mia madre, emigrò nel 1983 a Mantova. Il distacco dalla famiglia è stato
doloroso. Sul posto di lavoro è stato trattato abbastanza bene. I rapporti con la popolazioni
sono satti normali perché erano persone abbastanza buone.
Mio zio mi ha raccontato che ogni fine settimana andava con gli amici a mangiare una
pizza oppure a ballare. Spero tanto che oggi i giovani del mio paese trovino lavoro senza
partire per Paesi lontani.
Orrico Natasha
Classe 4° C, Serra d'Aiello
***
Il nonno è partito nel 1968 in Francia. Il primo giorno ha provato molte emozioni. Egli nei
rapporti con la popolazione locale si è trovato un po' a disagio, perché non conosceva bene
la loro lingua. Mio nonno ricorda che quasi tutte le sere andava a bere birra in un locale e
ogni fine settimana andava con gli amici in un ristorante a mangiare pizze squisite e
spaghetti ricoperti con un buon sugo rosso.
Orrico Pamela
Classe 4° C, Serra d'Aiello
***
Nella mia famiglia ci furono degli emigranti, i miei nonni e il bisnonno. I nonni sono andati
in Francia, le difficoltà erano date dal duro lavoro e dalla lingua. Il bisnonno è andato in
Germania e trascorreva il suo tempo libero facendo le faccende domestiche e giocando a
carte, anch'egli ha trovato le stesse difficoltà dei nonni.
Le donne rimaste in casa avevano molti compiti da svolgere: lavorare in casa, badare
all'educazione dei figli, lavorare nei campi e fare delle conserve per l'inverno. Di sera, a
lume di candela, lavoravano ai ferri e all'uncinetto, ricamavano il corredo delle figlie e
rammendavano gli indumenti rotti. Vivevano una vita stentata e fatta di poche cose, però
onesta e ricca di affetti.
La nonna mi racconta che nei giorni di festa tutti i parenti si riunivano e con quello che
avevano in casa preparavano un pranzo diverso da quello degli altri giorni.
Quei tempi, secondo me, erano bellissimi anche se mancavano i soldi perché tra le persone
c'era più affetto e più stima.
Pagnotta Geniale
Classe 5° A, Aiello C.
***
Parlare con mio padre al telefono mi ha colpito molto, perché mi ha raccontato di quando è
emigrato in Germania. La nostra conversazione è stata lunga ma ne è valsa la pena. Mio
padre è emigrato in Germania, a Berlino, nel 1994. Il primo giorno ha provato molta
nostalgia per la famiglia cioè per mia madre, per me e per mio nonno.
Egli era partito perché in Calabria c'era una forte disoccupazione e per migliorare il
benessere della famiglia. Il rapporto con i tedeschi è stato buono al punto che cucinava e
mangiava con loro gli spaghetti al pomodoro.
Provenzano Giuseppe
Classe 5° C, Serra d'Aiello
***
Era una giornata di festa e con la mia famiglia ci siamo recati a casa dello zio Raffaele
Pucci. In questa occasione lo zio mi raccontò di quando è emigrato in Svizzera dove abitò
per 6 mesi al Cantone di Berna. Lavorò presso una fattoria e il suo compito era quello di
accudire i bovini.
Il lavoro era molto faticoso, infatti la mattina si alzava molto presto e portava gli animali al
pascolo. Lavorava dalla mattina alla sera e con quel poco di tempo libero che aveva faceva
qualche altro lavoretto per guadagnare di più. La domenica si recava in chiesa per ascoltare
la Santa Messa.
Ha incontrato difficoltà nella lingua e nella cucina svizzera. Sua moglie, rimasta sola,
doveva accudire i figli e coltivare ala terra. Ha trascorso dei mesi infelici perché doveva
provvedere ad ogni cosa senza un aiuto o consiglio da parte del marito.
In seguito mio zio tornò in Italia e restò con la famiglia. Secondo me l'emigrazione è un
fatto negativo, specialmente quando si parte in Paesi stranieri da soli. Se invece si emigra
con la famiglia si sta bene e si guadagnano tanti soldi.
Pucci Antonietta
Classe 4° A, Aiello C.
***
Tanti e tanti anni fa non c'era lavoro, quindi il bisnonno andò in America, allora Terra
Promessa per molta gente. All'epoca esistevano pochi mezzi di trasporto e il bisnonno si
imbarcò su una nave. Dopo molti e molti giorni di navigazione finalmente arrivò a
destinazione. Ma venne sottoposto a visita medica in una grandissima stanza, oggi adibita
a museo dedicato agli emigranti, e qui venne controllato se era portatore di qualche
malattia infettiva.
Terminato il controllo medico, raccolse le poche cose portate dall'Italia e andò incontro al
proprio destino. Inizialmente trovò lavoro come cameriere, poi le cose cominciarono ad
andare bene e richiamò mio nonno. Insieme, affrontando grossi sacrifici e con in cuore il
ricordo dei propri cari lasciati in Italia, aprirono una pizzeria. Fu molto duro perché non
conoscevano la lingua e per altri motivi, ma il pensiero di poter un giorno ricongiungersi
con i propri cari era molto forte e tutti i problemi svanivano.
Data la lontananza si avvertiva la necessità di scrivere ai propri cari e l'unico mezzo di
comunicazione allora era la posta, infatti ci si scriveva spesso.
Con il passare del tempo le cose andarono sempre meglio, il sudore cominciò a dare i suoi
frutti e finalmente la famiglia si potè riunire, ma il ricordo degli altri familiari, della Patria
restava sempre nel loro cuore e quando finalmente poterono ritornare in Italia, la felicità
fu immensa perché con i risparmi poterono garantire un futuro ai propri figli e vivere così
nel Paese dove erano nati.
Pucci Sabrina
Classe 4°A, Aiello C.
***
Il nonno mi ha parlato della sua emigrazione una sera mentre eravamo a tavola per la cena
e dicendomi che è andato in Sicilia a lavorare la terra. Nella mia famiglia ci furono mio
nonno e degli zii che andarono in America e a Verona.
La nonna, rimasta sola, lavorava la terra. Quando mio nonno ritornò non volle più andare
lontano dalla famiglia, perché vivere da soli, dice il nonno, è sconfortante specialmente
quando è sera.
Nonno Giovanni, ormai anziano, rievoca quei brutti momenti e ci dice, rivolgendosi a me e
a mia sorella, di studiare per ottenere un diploma e trovare così un lavoro in Italia.
Rocchetta Concetta
Classe 4°A, Aiello C.
***
Rocchetta Maurizio
Classe 5°A, Aiello C.
***
Sin dai primi anni del secolo gli italiani emigrarono nell'America Latina e negli Stati Uniti
dove trovavano lavoro nelle miniere per l'estrazione del carbone.
Nella mia famiglia, per fortuna, nessuno è emigrato perché abbiamo tanta terra da
coltivare che ci dà il necessario per vivere.
Sicoli Francesco
Classe 4°A, Aiello C.
***
Il nonno paterno emigrò nel 1960 in Germania. I primi tempi gli mancava molto la
famiglia. I rapporti con la popolazione locale non erano molto buoni perché non sapeva
parlare la loro lingua.
Egli sentiva molta nostalgia per tutto ciò che aveva lasciato, ma doveva lavorare per poter
migliorare le sue condizioni.
Sicoli Veronica
Classe 4°C, Serra d'Aiello
***
Il nonno materno decise di emigrare e nel 1966 partì per la Germania. Il primo giorno fu
emozionante perché finalmente poteva conoscere un Paese nuovo. Fu accolto da tutti
molto bene e trovò subito lavoro in una fabbrica.
La cosa che lo colpì molto fu che quella popolazione era molto severa, amava la puntualità
e la precisione, ma nello stesso tempo era molto affettuosa e disponibile.
Nel 1972 decise di ritornare nel suo Paese d'origine perché i suoi genitori erano soli.
Spanò Amedeo
Classe 3°c, Serra d'Aiello
***
La prima volta che ho parlato con la nonna di emigrazione è stato quando sono venuti i
miei zii a farle visita dal Canada. Ho chiesto loro perché avevano abbandonato la Patria, la
loro casa e la loro famiglia per andare a vivere in un mondo sconosciuto ed essi mi hanno
risposto che la decisione non era stata semplice e il motivo principale era sempre lo stesso,
cioè la ricerca di un posto di lavoro e di una posizione economica migliore.
So che adesso stanno benissimo ed hanno belle case, ma non è stato sempre così. I primi
tempi sono stati molto duri. La prima ad emigrare è stata la zia Franca che è partita per
raggiungere il marito che lavorava in Canada già da qualche tempo. Era molto giovane ed è
partita da Napoli con una nave, ha impiegato 15 giorni per arrivare. Non è stato facile
abituarsi a vivere in un Paese straniero dove tutto era diverso: la lingua, le abitudini e
persino il clima.
Ho chiesto a mia zia come trascorresse le sue giornate e lei mi ha risposto che se ne stava
da sola ad aspettare il ritorno del marito, non aveva ancora amici e perciò si lasciava
prendere dalla nostalgia e scriveva bellissime lettere a sua madre e alle sue sorelle rimaste
in Italia, aspettando con ansia la risposta.
Poi le cose sono cambiate, ha iniziato a farsi delle amiche, ha imparato l'inglese ed è
divenuta mamma così le sue giornate si sono riempite e la nostalgia dell'Italia e dei suoi
parenti è diminuita fin quasi a scomparire dopo l'arrivo in Canada del fratello e delle
sorelle.
La nonna continua il suo racconto dicendomi che suo padre era stato emigrante nei primi
anni del novecento, quando ci si imbarcava clandestinamente, proprio come fanno adesso i
numerosi albanesi che sbarcano sulle nostre spiagge.
Era un ragazzo di appena 15 anni ed era partito con la speranza di fare fortuna e di poter
tornare in Italia con un bel po' di soldi che gli permettessero di far vivere la propria
famiglia nel benessere.
Sebbene, come per tutti gli emigranti, i primi tempi siano stati difficili (trasportava l'acqua
agli operai che lavoravano alla costruzione della ferrovia), è riuscito nel suo intento e
quando nel 1909 è ritornato in Italia per sposarsi aveva già accumulato una piccola
fortuna.
E' rientrato negli Stati Uniti lasciando la moglie quindicenne in attesa di un bambino ed è
tornato dopo 4 anni per conoscere la bambina che era nata e farne nascere un'altra (mia
nonna Annetta).
E' andato avanti e indietro per alcuni anni ancora e tra un viaggio e l'altro nascono 2
bambine di cui una muore. Purtroppo nel 1920 muore la moglie e in seguito anche la figlia
più piccola e lui per molti anni non torna più, ma continua a mandare i soldi per le altre
due figlie che erano state affidate alla nonna materna. E' stato costretto a tornare in Italia
nel 1934 per motivi di salute.
Continuo l'intervista a mia nonna chiedendo che cosa facesse da sola in attesa del ritorno
del marito. La risposta mi ha scosso, perché ho appreso la difficile vita che queste povere
donne dovevano fare per crescere da sole i figli. Alcuni mariti sono partiti lasciando giovani
mogli e figli bambini e sono tornati dopo 30 o 40 anni trovando ad aspettarli mogli vecchie
e figli adulti o, ancora peggio, non sono più tornati creandosi all'estero un'altra famiglia.
Questa sorte è toccata a un membro della famiglia di mio padre, suo nonno Michele
Adamo era emigrato nel sud America nel 1924, lasciando ad Aiello sua moglie Anna e el
sue bambine, Ida di 7 anni ed Emma (mia nonna) di 4 anni.
Era partito con la promessa che avrebbe permesso alla famiglia di raggiungerlo, ma, dopo
un po' di tempo aveva scritto alla moglie di partire da sole affidando i figli ai propri
genitori; nonna Anna non ha voluto lasciare, anche se per poco, le figlie, così egli non ha
più scritto, facendo perdere le proprie tracce.
Anche l'altro mio nonno che si chiamava Giuseppe Vairo, come il papà, è emigrato in
Canada portando con se i due figli più grandi. Ha lavorato a Sudbery nella miniera di
nichel e a differenza di altri mariti ha voluto che dopo poco tempo sua moglie lo
raggiungesse con il figlio.
I bisnonni sono tornati a vivere ad Aiello all'età della pensione dopo aver comprato case e
proprietà, ma i loro figli che erano partiti giovanissimi non sono più tornati; soltanto uno è
venuto una volta in visita e mio nonno ha potuto rivedere suo fratello dopo 40 anni,
mentre l'altro non lo ha più rivisto.
Dopo tutto quello che ho sentito raccontare ho appreso che i primi emigranti italiani si
sono comportati così come si comportano adesso tutti quei profughi che vengono in Italia
in cerca di quella fortuna che i nostri connazionali hanno cercato in America o nel resto
d'Europa e che come loro si sono imbarcati clandestinamente senza passaporto, senza
permesso di soggiorno e senza denaro, ma con una buona dose di coraggio e voglia di
lavorare.
Dopo la seconda guerra mondiale c'è stato da parte degli italiani un altro grande esodo, ma
questa volta si partiva regolarmente o perché qualche familiare faceva l'atto di richiamo o
perché gli veniva garantito un posto di lavoro.
Questa ultima ipotesi è stata quella che ha permesso a molti grimaldesi e molti altri di
raggiungere gli U.S.A. grazie all'interessamento di un certo Raffaele Veltri di Grimaldi, il
quale, emigrato clandestinamente dopo la Prima Guerra mondiale, era riuscito a creare
una ditta che si interessava della costruzione della ferrovia, così ha fatto partire molta
gente garantendo loro un contratto di lavoro della durata di un anno.
Vairo Floriana
Classe 5° A, Aiello C.
***
Nel 1970 il nonno Settimio Vercillo emigrò in Germania lasciando la nonna in Italia con
mio padre piccolo e di nome Franco.
Fu costretto a partire e trovò un lavoro come muratore, abitò in una baracca con altri
emigranti italiani. Trovò difficoltà per la lingua perché non parlava nemmeno l'italiano,
parlava il dialetto aiellese. La paga era molto misera, però il nonno riusciva a spedirne una
parte alla nonna.
Mio nonno era molto generoso, infatti una volta a un suo amico che si trovava in difficoltà
economiche prestò del denaro pur sapendo che sua moglie ne aveva tanto bisogno.
Ritornava a casa solo una volta all'anno in inverno per pochi giorni. Quando arrivava a
casa raccontava le sue pene e la sua nostalgia per il figlio.
Nei cantieri si lavorava molto, si alzava all'alba e ritornava a casa a sera tardi soffrendo il
freddo e la fame. Il nonno non aveva tanto tempo libero, quel poco che aveva gli serviva per
le proprie necessità. Nella baracca non c'era nessun tipo di riscaldamento e ancora oggi
mia nonna racconta che il nonno ha sofferto più il freddo che la fame. Il più delle volte
dormiva con i pantaloni e il giubbotto di lana e il freddo era così grande che il muco del
naso si congelava e la nonna, un po' sorridendo mi dice che le cutuliàvanu i gangulari, cioè
gli tremavano le mascelle.
Mia nonna in Italia coltivava l'orto e allevava gli animali da cortile. Si recava alla cibbia per
lavare i panni e riempiva i barili d'acqua per la casa. Doveva anche andare a trovare la
legna per cucinare e riscaldarsi. La nonna era incinta del secondo figlio e un giorno, mentre
andava alla cibbia le vennero le doglie. Non ebbe la forza di arrivare a casa per chiamare
l'ostetrica e così perse la bambina.
Intanto il nonno, venendo a sapere della tremenda disgrazia, cercò di tornare, ma mia
nonna lo convinse a fermarsi ancora per metter da parte qualche altro soldo. Dopo un paio
di anni il nonno ritornò per sempre.
La nonna ebbe altri tre figli. I giorni trascorrevano felici e beati, ma un giorno il nonno
venne ad Aiello con la vespetta per sbrigare alcune cose; al ritorno andò a sbattere contro
un muro e morì vicino ad una fonte di acqua.
Io non ho potuto conoscere mio nonno e mi sento molto triste. Lo avrei voluto accanto a
me per consolarmi e darmi dei consigli e per aiutarmi a fare questo tema perché era il
diretto interessato.
Se io fossi stato al posto di mio nonno non avrei lasciato la mia famiglia per nessun motivo,
comunque ammiro molto la forza e il coraggio che il nonno ha avuto. Egli soffrendo
lontano dalla sua famiglia per un lungo periodo, gli ha dimostrato il suo grande amore.
A nonno
Tu eri in treno
mentre ritornavi io ti aspettavo
con un regalo in mano
piangendo forte forte
Mentre venivi verso di me
mi dicesti:
"Un giorno questo treno lo dovrò riprendere
e ti lascerò di nuovo
da sola con loro
i nostri pargoletti"
ma un triste giorno, nonno caro
tu sei morto
in un tragico incidente
e noi abbiamo versato tante lacrime
per te.
Vercillo Settimio
Classe 5°A, Aiello C.
***
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COMPONIMENTI "SCUOLA MEDIA"
Nota: i componimenti sono stati ordinati in ordine alfabetico ad eccezione dei primi tre.
Oggi, noi viviamo immersi in un benessere enorme anche se a volte non diamo molta
importanza a ciò. Chi più chi meno, abbiamo tutti quella autonomia economica che ci aiuta
a vivere con il nostro posto fisso di lavoro e la nostra famiglia. Un tempo però tutte queste
ricchezze non esistevano e l'emigrazione era l'unica via di salvezza che si poteva percorrere.
Moltissimi nostri compatrioti partivano con in mano una vecchia valigia legata con lo
spago e con la speranza che un giorno sarebbero tornati dalle proprie famiglie.
Nella mia famiglia c'è una persona che può darmi, diciamo, la conferma di quelli che sono
stati sicuramente gli anni più lunghi, più tristi e più duri: mio nonno. Egli infatti è
emigrato in Francia nel 1961. Il paese in cui viveva e in cui vive tuttora Aiello era infatti
povero di risorse economiche così decise di emigrare. Erano tempi durissimi sicuramente e
non furono poche le difficoltà che mio nonno incontrò entrando in un paese diverso dal
suo, con una lingua difficile da imparare, con un clima più freddo del suo, ma soprattutto
con persone diverse da lui. Persone che non conoscevano l'amore e la pace e che erano
portate solo per la guerra e l'odio.
Appena arrivato non sapeva dove sistemarsi e poche furono le persone disposte a dargli
una mano. Non sapeva comunicare con nessuno e trovò serie difficoltà a inserirsi nel
gruppo di lavoro. Mio nonno dormiva in una stanza buia, umida, quasi senza luce, con un
piccolo finestrello ad un angolo della stanzetta. Il nonno per anni lavorò dentro le gallerie.
Continua il viaggio del nonno ed è arrivato il momento di raccontare le sue tristezze, i suoi
pensieri, i suoi ricordi e i suoi stati d'animo in generale. Passati alcuni mesi pur avendo la
compagnia di amici mio nonno si sentiva triste e anche molto solo. I pensieri che gli
balenavano in testa erano molti. Il giorno lavorava e il suo corpo si muoveva, faticava ma
con la testa era fra le nuvole. La sua mente era impegnata a pensare al futuro e alla sua
famiglia lontana. Non gli importava che non aveva acqua, che non aveva cibo ma voleva al
più presto rivedere la propria famiglia. A lui mancava la cosa più bella che aveva, le uniche
persone che gli erano state vicine e che gli avevano dato fiducia: la sua famiglia. Penso che
sia un sentimento bruttissimo quello di trovarsi senza le persone che più ti hanno amato e
che più ami. Lui, però, facendo la parte dell'eroe, con molti dei suoi amici, si sono fatti
forza, coraggio e hanno continuato ad amare con la mente e a lavorare con il corpo, senza
emettere alcun lamento, perché lì si doveva solo lavorare.
I giorni passavano e mio nonno prese un foglio di carta e così scrisse a sua moglie.
Cara mia.
Ti scrivo per dirti tante cose. Qui è tutto a posto, ma non so quanto potrò resistere ancora.
Le leggi infatti sono molto dure e non puoi permetterti nemmeno di parlare o di piangere.
Penso sempre a voi e sogno di rivedervi anche se non so quando questo momento arriverà.
E tu? Come al solito lavorerai giorno e notte, ma voglio che tu mi fai una promessa e guai a
te se non la mantieni: non lavorare sempre perché ricorda che "chi va piano arriva
lontano". Lo riconosci è il proverbio che mi dicevi sempre quando ancora ero lì vicino a te.
Questo deve valere anche per te, altrimenti mi arrabbio. Il mio cuore si è spezzato in due
parti: la parte del lavoro e la parte delle solitudini.
Questa lettera mi ha fatto riflettere molto. Non so spiegare con precisione il significato di
queste parole, soprattutto perché io non ero presente al momento della consegna del
postino. Comunque, una cosa posso affermarla con certezza, l'amore è una cosa bellissima
e non c'è distanza che può spezzare soprattutto l'amore che si ha per la propria famiglia. A
questa lettera c'è stata la risposta di mia nonna, nel momento che ho letto per la prima
volta la lettera che segue, non ho potuto trattenere le lacrime. Penso anche che quelle
erano lacrime di orgoglio, orgoglio verso il nonno che è stato coraggioso e che non ha avuto
paura di affrontare i problemi e le piccole noie quotidiane.
La lettera è la seguente: Aiello 12 Settembre 1964.
Mio sposo,
subito vengo a fare risposta alla tua cara lettera e sono rimasta molto contenta perché tu
godi di perfetta salute. Tuo figlio sta bene, ma ogni tanto chiede del suo caro babbo e io gli
rispondo che tornerai presto e giocherai con lui. Le terre che devo coltivare sono le solite
ma sono molto malridotte... Finisco il mio dire con la penna, ma con il cuore non finirò
mai di pensarti insieme a nostro figlio.
Tantissimi baci e abbracci.
Tuoi per sempre Giuseppina e figlio.
In queste lettere che abbiamo visto insieme possiamo capire che una volta le cose erano
diverse di quelle di oggi. Infatti ai figli mancava l'affetto dei papà che lavoravano con il
cuore spezzato. Certo, non tutti i figli nel nostro paese erano così sfortunati perché c'erano
anche le famiglie benestanti per le quali le famiglie più povere dovevano lavorare. Ci
furono nella vita di mio nonno momenti in cui voleva smettere di lavorare per gli altri
lontano dalla propria famiglia. Ma poi, pensando alle parole della sua amata e al suo unico
figliolo, non si arrese mai, mai! Molte furono le lettere che si scambiarono, tantissime le
cartoline, ma in particolare una mi ha colpito e ci tengo molto a farvela leggere:
Sono poche parole certo, ma in fondo vogliono farci capire quanto una persona sia legata
alla propria famiglia. Intanto la vita scorreva come scorrevano i giorni e i mesi. E molte
furono le lettere, da cui io prendo alcune frasi che per me sono le più suggestive e le più
emozionanti.
Da nonna a nonno: Quando tornerai a casa, non dirmi niente, dimmi solo che starai per
sempre vicino alla tua famiglia....!
Da nonno a nonna: Fra poco sarò a casa e i nostri cuori mai più si divideranno...
Da nonno ai parenti tutti: Se non ho perduto le speranze è grazie al vostro amore ...
Il tempo passò è arrivò finalmente il momento del ritorno a casa.
Mio nonno, Triestino Vittorio posò dopo molti anni i piedi sulla sua cara patria. Appena
arrivato davanti al portone di casa gettò la sua valigia vecchia, si chinò e bacio la terra. Ci
fu infine un grande abbraccio generale di tutta la famiglia, dei parenti e di tutti gli amici. In
particolare sul viso dei miei cari nonni scivolarono delle goccioline di lacrime, dentro le
quali si vedevano riflesse tutte le scene che questa famiglia (come moltissime altre) aveva
trascorso divise a metà. Molti anni da allora sono passati e quella famiglia che era stata
divisa fece molti progetti insieme, senza separarsi mai e questa, secondo me è la cosa più
importante.
Le mie "osservazioni"
Termina così il nostro viaggio fatto insieme. Sono state molto o forse poche, le emozioni
che ciascuno di noi ha provato durante le varie tappe di questo "viaggio storico". Oggi per
fortuna le cose sono cambiate e viviamo immerse nel cosiddetto "villaggio globale". Con il
passare degli anni la scienza, la tecnica e la medicina hanno fatto passi da giganti, tanto da
farci arrivare in un mondo completamente tecnologico e computerizzato; ciò a molti non
crea alcun problema, io invece penso diversamente. Questi passi giganteschi fatti
dall'uomo ci faranno ritornare ai vecchi sistemi del passato o più precisamente ci faranno
perdere tutta la nostra personalità. Io infatti ogni giorno dalla TV, dai giornali e viaggiando
da casa a scuola mi rendo conto perfettamente che ognuno di noi ha almeno un computer,
un telefonino, un videogiochi ecc. Come possiamo capire questi oggetti sono frutto di anni
e anni dell'uomo, e su questo sono pienamente d'accordo perché sono oggetti utili. Però se
pensiamo a quante lettere d'amore, di lavoro o di qualsiasi altro argomento si voglia
parlare vengono inviate al giorno ci renderemo conto che il numero è molto diverso di
quello di dieci anni fa, infatti le caratteristiche lettere sono state cambiate con i messaggi
al telefonino e al computer. Grazie a internet, noi possiamo fare la spesa stando
semplicemente davanti ad uno schermo dentro casa.
Moltissimi altri sarebbero gli esempi, ma questi bastano per farci arrivare ad una
conclusione: che tipo di personalità avremo arrivati al punto in cui non scriviamo
nemmeno una frase con la nostra cara e ormai vecchia penna?
Tutti, in fondo, dicono che noi siamo altamente intelligenti, ma secondo me siamo del tutto
"rimbambiti", nel senso che siamo stati attirati dalle pubblicità, dai Mas Media, in poche
parole dall'alta tecnologia che ci circonda. In questo modo si arriva alla conclusione che
saremo privati dalla nostra privacy e della nostra personalità. Tutto questo, come ho già
accennato non esisteva anni fa e penso che i popoli antichi erano più "sapientoni".
Il nostro paese oggi si è trasformato in un centro di accoglienza per emigrati da tutto il
globo. Questa è una cosa più che giusta anche se fra essi vi sono delle persone non del tutto
oneste. E cosi, anche le mie considerazioni (forse un po' banali) sono terminate. Ci tengo
infine a dire che il mio racconto non è stato esauriente anche perché gli elementi storici che
l'hanno "addobbato" sono stati insufficienti, mentre sono state molte le mie considerazioni
che forse non sono state di tanto aiuto. Certo, la storia per noi è molto importante più di
quello che dice la gente, ma secondo me senza le proprie parole, senza le proprie idee ed
opinioni la storia non ha alcun senso.
Non ho molte speranze di arrivare alla cima di questa grande e divertente (anche se molto
impegnativa) scalata, ma l'importante nella vita è partecipare e poi bisogna saper
perdere!!!
Triestino Giuseppina
1°A - Aiello C.
1° Premio
***
Mio nonno si chiama Gaspare Marghella ed ha 71 anni. Da piccolo abitava nella località
chiamata Campagna. Frequentava molto di rado la scuola perché doveva pascolare le
mucche, le capre e le pecore. Infatti ha ripetuto la prima elementare per sette volte e ha
imparato a scrivere durante il servizio militare. In quel periodo tutta la famiglia lavorava la
terra e la situazione non era delle migliori. Per questo mio nonno nel 1948 emigrò in Sicilia
con alcuni amici. Lavoravano sempre alle dipendenze di un padrone. A settembre potavano
i mandorli e a novembre gli ulivi. Dormivano a terra sulla paglia accanto ai maiali. Il cibo
era un quarto di pane, mezzo litro di vino, una acciuga da dividere a colazione e a pranzo e
la cena a base di fave dove spesso trovavano degli animaletti. L'acqua veniva prelevata da
un pozzo e non era potabile, per poterla bere dovevano filtrarla con un fazzoletto.
Dalla Sicilia tornò nuovamente in Calabria e nell'aprile del 1955 emigrò in Piemonte dove
si dedicò ad allevare gli animali e a coltivare la terra, sempre alle dipendenze di un
padrone. Qui il cibo era migliore. A colazione consumava latte con uova, mentre a pranzo e
a cena mangiava la pasta e la carne. Dormiva insieme ad altri emigrati in una piccola
camera.
Dal Piemonte l'11 settembre 1955 emigrò in Germania. Qui lavorava alle dipendenze di un
ditta di costruzione e fino al 1960 dormiva in baracche di legno. Lavorava l'intera
settimana senza sosta e la sera quando tornava a casa doveva provvedere alla cena. Mio
nonno non trascorreva tutto l'anno in Germania, a dicembre ritornava a casa e poi
ripartiva a marzo. Tornò definitivamente in Calabria nel 1972.
La vita delle donne rimaste a casa da sole era molto difficile perché oltre ai lavori domestici
dovevano svolgere anche i lavori che prima erano svolti dai mariti. Quando il nonno partì
nel 1955 lasciò la nonna con una bambina di soli due mesi, mia mamma, che lasciava ad
una vicina. Infatti soltanto così poteva svolgere i lavori nei campi. Ogni anno andava a
Grimaldi con altre donne a raccogliere le castagne e le ghiande, e le portava sulla testa.
Mia nonna mi racconta che quando mia mamma era piccola non aveva i soldi per
comprare il petrolio e per farla dormire doveva cullarla alla luce della luna, con la finestra
aperta e la paura che qualcuno entrasse in casa. Andava a fare il bucato al fiume, poco
distante da casa insieme ad altre donne. Per farlo venire pulito veniva tenuto a bagno in
cesta con acqua e cenere. L'acqua da bere veniva prelevata da una sorgente con dei
recipienti chiamati cucume.
Durante i suoi continui spostamenti mio nonno ha trovato diverse difficoltà soprattutto a
causa della lingua e del razzismo. I tedeschi erano molto diffidenti. Ricorda con precisione
che quando con gli amici andava in qualche locale, i tedeschi o si isolavano o uscivano. Gli
ho chiesto se avesse avuto qualche aspirazione e lui mi ha risposto che in quel periodo
pensava solo a lavorare per mantenere la famiglia. Solo a fine settimana usciva con gli
amici. Si riunivano e andavano a divertirsi nelle discoteche, dove tutti insieme suonavano
la chitarra e cantavano la strina. Dopotutto mio nonno ha un ricordo positivo di questa
esperienza anche se ha trovato delle difficoltà e ha sentito la mancanza della famiglia.
Perciò quando in occasione di qualche festività ci riuniamo egli racconta sempre degli
aneddoti molto curiosi successi durante l'emigrazione.
Uno molto curioso è successo in Sicilia; lui e i suoi amici facevano molti dispetti al
padrone. La sera quando nessuno li vedeva andavano a mangiare le arance e poi
nascondevano le bucce sotto terra. Mentre mio nonno racconta le sue esperienze, ho notato
più volte che i suoi occhi si riempivano di lacrime. Questo è dovuto al fatto che prova
tristezza nel ricordare i momenti in cui ha dovuto lasciare la famiglia e partire senza alcuna
certezza.
Questi racconti mi fanno riflettere su come sono diverse le cose oggi. Prima l'Italia era una
terra di emigrazione, adesso invece è diventato un paese di immigrazione. Dai paesi
balcanici e dall'Africa arrivano navi cariche di clandestini, che una volta giunti in Italia o
vengono rimpatriati o riescono a rimanervi clandestinamente, svolgendo lavori in nero
molto rischiosi e umili. Io penso che alcune delle difficoltà che trovano questi immigrati le
ha trovate anche mio nonno, e questo suscita in me dolore ma anche ammirazione, perché
ci vuole molto coraggio a lasciare tutto e partire per un paese sconosciuto. Io ammiro mio
nonno anche perché, dopo tutte le difficoltà che ha incontrato è ancora pieno di energia ed
è molto ottimista.
Deiana Manuela
3°aA - Aiello C.
2° Premio
***
Quando vado a trovare le nonne, esse spesso sull'emigrazione mi hanno raccontato delle
storie molto commoventi.
Nel 1959 partirono per il Canada e l'Argentina i fratelli di mia nonna. Essa racconta ancora
che suo padre partì con le pezze ai piedi nel 1907 negli USA. Poi tornò con un po' di soldi e
si costruì una casa a Savuto, si sposò e ripartì per il Canada lasciando la moglie con un
figlio in grembo. Li ha lavorato nei forni per cinque anni e quando ritornò in Calabria
aveva perduto il senso dell'udito, ma continuò a lavorare perché non si rassegnava di
essere sordo. Per sentirsi più sicuro dormiva con la rivoltella sotto il cuscino. Mia nonna mi
dice che ha dovuto badare ai fratelli più piccoli fin dall'età di otto anni.
Il nonno di mio padre Raffaele Pagliaro è partito negli USA nei primi anni del novecento
dove ha lavorato nelle miniere e nella costruzione di ferrovie. Dopo un certo numero di
anni è tornato con un gruzzoletto di soldi con cui ha comprato una proprietà sulla quale ha
costruito una piccola azienda agricola chiamata "Gioiosa".
Mia madre custode gelosa dei ricordi e delle emozioni della famiglia mantiene ancora tutti
i rapporti con i parenti emigrati. Io vivo ogni estate di ricordi perché a casa mia vengono
tutti i parenti emigrati e raccontano di periodi vissuti al limite dell'umano, raccontano di
sacrifici inauditi. Quello che commuove sono i loro occhi quando vengono in visita in
Italia. Commuove la loro voglia di bambini di ritrovare gli odori, i sapori e le emozioni
antiche. Ogni estate ascolto questi loro discorsi forse ripetitivi, ma reali di situazioni
vissute. I miei parenti nonostante i grandi sacrifici affrontati mi hanno dato un grande
insegnamento. Loro pur amando l'Italia, ringraziano Dio per l'opportunità avuta di
riscattarsi dalla povertà con onestà, tenacia e laboriosità. La tristezza mi assale quando
vedo gli immigrati maltrattati e non rispettati dagli italiani che avendo smarrito la
memoria storica stanno scivolando verso un vergognoso razzismo. Questo offende ogni
umano sentimento.
***
Nella mia famiglia soprattutto in quella materna ci sono stati molti emigrati. Tutti i fratelli
di mio nonno sono andati in Canada e li hanno creato dopo tanti anni le proprie famiglie. A
raccontarmi dell'emigrazione è stato proprio mio nonno Michele Cuglietta, il quale dopo
ben quarantasei anni è ritornato nella sua terra natale. Dovette emigrare per la grande
povertà che esisteva nel Secondo Dopoguerra. Nel 1951 dopo aver ottenuto il passaporto ed
essere stato sottoposto a controllo medico partì con una nave greca da Napoli per il Nord-
America. Il viaggio durò diciassette giorni e nella nave vi erano altri millecinquecento
emigranti. Arrivati a San Lorenzo in Canada furono destinati nei luoghi di lavoro e mio
nonno fu mandato nelle ferrovie nazionali. Lavorava dalle dieci alle dodici ore al giorno,
d'estate faceva molto caldo e dovevano proteggersi dal sole e dalle zanzare, d'inverno
invece le temperature erano molto rigide e molte volte il naso, le orecchie e le guance si
congelavano. Infatti lavoravano protetti da guanti e cappotti ben imbottiti. Dormivano nei
vagoni dei treni vecchi in cui c'erano dei letti a castello. I servizi igienici erano posti fuori
quindi d'inverno era molto disagevole andare perfino in bagno. Fuori avevano anche delle
cisterne piene d'acqua che serviva per l'igiene personale, che spesso però si ghiacciava.
Appena arrivati i canadesi li trattarono molto male, tiravano loro pietre e li offendevano
con parole molto pesanti e spesso scoppiavano risse sanguinose. Un altro problema che
mio nonno e gli altri dovettero affrontare fu quello della lingua. Per questo problema gli
emigrati dopo varie richieste per aver un docente di lingua inglese, finalmente lo ottennero
solo per sei mesi. Dopo aver imparato la lingua, frequentò un corso per diventare "ufficiale
di lavoro in ferrovia". Dopo questo corso fu promosso e la sua carriera da ufficiale terminò
nel momento in cui è andato in pensione. Mio nonno tornava qualche volta in Italia nei
periodi di ferie, ma rimase sempre in stretto contatto con la famiglia attraverso il telefono e
le lettere. Nel tempo libero amava andare a caccia e a pesca. Mia nonna rimasta a casa
coltivava la terra e con il denaro che il nonno le spediva provvedeva all'educazione e
all'istruzione delle loro due figlie. Da dieci anni mio nonno è ritornato e si è ristabilito in
Italia. Ascoltare mio nonno mi ha fatto capire molte cose grazie al suo modo di raccontare;
come le sue sofferenze, e la situazione economica che c'era in Italia in quel periodo. Ma
non si può a parer mio parlare solo di chi è emigrato, ma bisogna pensare anche alle
giovani moglie che si ritrovarono sole con i figli. Allora contavano alcuni valori specie
quello della famiglia e vedere tutti quei mariti, padri di numerosi figli, allontanarsi da casa
era qualcosa di veramente doloroso. Ma la cosa che mi ha colpito di più è che la maggior
parte delle donne, nonostante non avessero contatti con i mariti sono rimaste loro fedeli.
Rabbrividisco sentendo la voce segnata dalla sofferenza di mio nonno nel raccontarmi la
sua storia.
Anche oggi i giovani sono spinti ad emigrare a causa della disoccupazione. Questo però è
agevolato dal forte sviluppo dei mezzi di comunicazione, infatti anche se si lasciano le
proprie famiglie non si perdono i contatti. Secondo me oggi conviene collaborare e lavorare
con persone di differenti paesi perché ciò significa imparare a dialogare giorno per giorno
per ricercare i motivi e i significati comuni dell'essere uomini nel rispetto reciproco nella
condivisione dei valori e degli ideali. Di conseguenza oggi l'emigrazione potrebbe essere un
avvenimento positivo al contrario del passato.
Astuto Veronica
3° B - Aiello C.
***
Bennardo Andrea
2°A - Aiello C.
***
Tutto è cominciato nella primavera del 1949 quando suo padre dovette affrontare un lungo
viaggio per raggiungere il Canada, qui dovette affrontare inverni molto freddi e duri anni di
lavoro nella ferrovia canadese a Vauncouver. Durante questi anni risparmiò del denaro per
acquistare una casa e potersi finalmente riunire con il resto della famiglia. Quello fu un
momento di grande orgoglio per lui come per ogni emigrante che ha avuto la forza di
crearsi una nuova vita. Suo figlio Alessandro è molto fiero del padre perché è riuscito a
realizzare i propri desideri; infatti all'età di sette anni egli partì per raggiungere il padre.
All'inizio la vita non fu facile, ma con la collaborazione di tutti poterono frequentare la
scuola per poter frequentare l'università.
Oggi che Alessandro ha un posto di lavoro sicuro, e una bella famiglia ringrazia
infinitamente il padre. Questa storia ha suscitato in me molta commozione e ammirazione
verso lo zio e mi ha fatto riflettere sui problemi che l'emigrazione comporta. Ancora oggi il
flusso migratorio è presente e lo possiamo notare anche nel nostro paese. Ultimamente si è
verificato un forte tasso di immigrazione, quella dei profughi sbarcati in Italia che hanno
fatto sorgere una forte tensione fra le persone e molti problemi di natura politica,
economica e soprattutto sociale.
Bennardo Mariangela
3°C - Cleto
***
Bossio Armando
1°C - Cleto
***
Il nonno si chiama Astorino Bossio ed era il terzo di nove figli. Emigrò nel 1950 in Canada
dove lavorava come operaio sulle ferrovie. La ditta gli dava vitto e alloggio, c'erano tante
squadre formate da 20-30 operai e uno di essi doveva lasciare il lavoro una o due ore
prima per preparare il pranzo al suo gruppo. Abitava insieme agli altri in treno, dove un
vagone era suddiviso in zona cucina e in zona letto. Guadagnava duecento dollari al mese e
li mandava quasi tutti alla famiglia qui in Calabria dove ritornò nel 1953.
Quando mio nonno emigrò lasciò mia nonna con un figlio in grembo e due bambine
piccole. Il bimbo nacque nel 1950, ma aveva una lesione al cervello e nonostante le cure è
morto all'età di quattro mesi e nove giorni. Quando mio nonno ritornò e conobbe quello
che era successo decise di non emigrare più, ma nel 1961 per questioni economiche dovette
andare in Germania dove lavorò come operaio nella costruzione di strade. Ritornò
definitivamente ad Aiello nel 1965 dove ha lavorato come guardiano in una grossa
proprietà agricola. Il suo lavoro consisteva nel seguire il lavoro dei coloni, chiamati in
dialetto turrari, conservare il raccolto nei magazzini e discutere con il padrone la divisione
dei prodotti con i turrari.
Nel 1968 emigrò in Valle d'Aosta dove lavorò come operaio edile e guadagnava £.6500 ad
ora. Ritornò in Calabria nel 1971. I nonni lavorarono per qualche tempo facendo i contadini
e vendevano ciò che coltivavano nei mercatini dei paesi vicini. In seguito mio nonno
emigrò di nuovo in Valle d'Aosta con alcuni conoscenti facendo lo stesso lavoro che faceva
nel 1968. Negli anni in cui mio nonno è stato fuori di casa, mia nonna ha dovuto lavorare
tantissimo: coltivava il terreno e si occupava dei suoi sei figli facendo loro anche da padre.
Un altro lavoro faticoso che elle faceva insieme ad altre donne era quello di lavare in una
vasca di cemento con l'acqua fredda. La storia di mio nonno mi ha commosso è posso dire
che è stato un uomo molto forte, perché non è da tutti lasciare la famiglia per andare in
una terra lontana con la speranza di vedere realizzati i propri sogni giovanili.
Bossio Katia
3°A - Aiello C.
***
I nonni materni sono emigrati in Francia perché qui non c'era molto lavoro. Hanno
salutato i loro parenti con grande dispiacere e hanno preso il treno. In Francia hanno avuto
tre figli e uno di questi è mia madre. Mio nonno ha lavorato in una fabbrica siderurgica
dove c'erano anche marocchini portoghesi, spagnoli e molti italiani che non erano ben visti
dai francesi. Io penso che una volta si lavorava di più rispetto ad oggi e che la vita era
molto difficile.
***
Il nonno si chiama Pietro Caputo primogenito di due figli e ha settanta anni. Emigrato nel
1962 in Germania ha fatto il manovale. Tornava a casa d'inverno ed è rimasto lì fino al
1967. In seguito ha lavorato nella Valle d'Aosta , in Piemonte e in Sicilia. La nonna è
rimasta a casa con i suoi sei figli, lavorava la terra da cui ricavava tutto ciò che serviva per
la famiglia. Mi racconta sempre che ogni mattina, quando c'erano le fragole o i funghi con i
figli si alzavano molto presto e andavano a raccoglierli per venderli. Mio nonno mi ha
raccontato che i tedeschi erano molto invadenti e per la difficoltà della lingua non si
potevano difendere dai loro insulti. Purtroppo erano trattati molto male e si sentivano
estranei. Ma questo era veramente razzismo! Egli quando era fuori casa con i suoi amici
cercava di rendere allegra la giornata di lavoro anche se era molto stanco. L'emigrazione ha
reso difficile la vita delle donne rimaste a casa infatti dovevano badare ai figli a cui
dovevano fare da madre e da padre e inoltre lavorare la terra. Quando raccoglievano il
granturco mettevano le foglie a seccare e poi le mescolavano con la lana per riempire i
materassi, ma la mattina quando si alzavano avevano mal di schiena. Per lavare la
biancheria andava in una località chiamata tuvulu dove faceva il bucato con la lissia.
Quando mio nonno mi ha raccontato la sua storia ho notato che in parte rimpiangeva
quegli anni, perché oggi c'è molta più violenza; infatti alcuni figli uccidono i genitori per
soldi o per disperazione. Mentre mio nonno parlava ho notato una cosa che mi ha
particolarmente colpito, credo che nel suo animo c'era sia dolore che felicità quando gli
brillavano gli occhi per le lacrime.
Caputo Antonella
3°A - Aiello C.
***
Il nonno si chiama Chiarello Orazio, è nato il 25 agosto 1932 e la sua famiglia era formata
da dieci persone. Egli non ha frequentato né la scuola elementare, né quella media e ha
imparato a scrivere a diciotto anni da militare. Emigrò in Francia all'età di venticinque
anni e lavorava nelle miniere di carbone che erano molto profonde. Restò lì per cinque
anni e ritornava ad Aiello una volta all'anno. In Francia la vita era dura e gli emigrati
abitavano in una stanza di quattro metri quadrati e con lui c'erano altre due persone.
Qualche volta la domenica uscivano e andavano al cinema o alle sale da ballo. Per due volte
si infortunò alla testa per la caduta di pietre e carbone. Mio nonno ritornò quando aveva
messo da parte un po' di soldi nel 1962, l'anno seguente si sposò e nel 1964 nacque mia
mamma. Mio nonno ha ora sessantanove anni e vive ad Aiello.
Le considerazioni che posso trarre dal suo racconto sono queste: lasciando la propria casa
e i propri familiari egli ha dimostrato una grande forza d'animo perché all'estero non
conosceva niente nemmeno la lingua. Con il guadagno del suo lavoro costruì una casa ed
ebbe la possibilità di formarsi una famiglia.
Chiarello Orazio
3°A - Aiello C.
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Il nonno si chiama Coccimiglio Salvatore ed emigrò in Germania nel 1963 per assicurare ai
propri cari un futuro sereno. I primi anni si trovò sicuramente a disagio per vari motivi tra
cui la lingua. Lavorò nell'edilizia. Tornava dalla Germania ogni anno per tre mesi. In
Germania è rimasto per diciotto anni consecutivi. Anno per anno il salario aumentava però
bastava soltanto per poter vivere. Mi racconta che dormiva su letti di fieno, ma poi col
passare del tempo le condizioni migliorarono. Secondo me emigrare non è bello perché si
devono lasciare amici e parenti. Mio nonno ha mostrato di essere forte per partire a
trentadue anni e guadagnare dei soldi che servivano per la famiglia. Io mi ritengo molto
fortunato perché oggi c'è sempre qualcosa da mangiare.
Coccimiglio Salvatore
3°A - Aiello C.
***
Io ho parlato con mio nonno e mi ha raccontato che all'età di ventuno anni, subito dopo la
fine della Seconda Guerra Mondiale è emigrato in Inghilterra. Qui ha lavorato per tre anni
e guadagnava cinquanta sterline al mese. Era sempre triste e dopo aver messo da parte un
gruzzoletto di denaro fece ritorno a casa. Infatti gli mancava l'affetto dei suoi cari e si
sentiva isolato in una nazione di cui non conosceva nulla. Quando emigrò lasciò i figli
molto piccoli, ai quali provvide mia nonna che coltivava anche un pezzetto di terra. Dopo
tre anni di emigrazione il nonno tornò definitivamente in famiglia.
Coccimiglio Umberto
3°B - Aiello C.
***
Tanto tempo fa in Italia non c'era abbastanza lavoro e le persone erano costrette ad
emigrare. L'emigrazione per noi ragazzi è diventata storia, storia che i nostri nonni e i
nostri parenti hanno vissuto con tristezza e rancore. Ci sono delle domande che ancora noi
ci poniamo le cui risposte le possiamo sapere chiedendo alle persone che hanno vissuto
l'emigrazione. Io ho una grande persona che me le può dare: il nonno, una persona che
ama i propri nipoti come se fossero i propri figli. Si chiama Marino Natale, è emigrato in
Svizzera nel 1970 con i suoi fratelli. Arrivato in Svizzera si ammalò d'asma, ma lavorò lo
stesso perché per lui la cosa più importante erano sua moglie e i suoi figli. In quegli anni
visse in una stanzettina con un lettino, un tavolo e quattro sedie. La vita era difficile e piena
di paure. Lo stipendio era scarso e per guadagnare qualcosa in più lavorava anche di notte
e i giorni festivi. Ogni tanto mandava una lettera da cui traggo una parte: sono tanto
lontano da voi, ma nello stesso tempo sono con voi con il cuore. dovete sapere che io vi
penso sempre e sono preoccupato per voi. Di ai nostri bambini che il loro papà arriva
presto. Ciao Marino Natale.
Sono delle parole molto belle e come vedete mio nonno è molto romantico e mi fa sentire
orgoglioso di lui. Gli anni passarono e arrivò il giorno del ritorno, 10 settembre 1975 e per
mio nonno fu il più bel giorno della sua vita.
Il mio viaggio è finito e sono contenta di aver partecipato a questo concorso e di aver
scritto questa bellissima storia che però è stata anche realtà. Nel mio cuore non è
importante vincere, ma partecipare anche se vincere sarebbe una gioia immensa. Secondo
me la vita di un emigrante è difficile e forse l'emigrazione ha lasciato un segno in ognuno di
noi. Finisco il mio bel tema con una poesia.
L'uomo emigrato
Coccimiglio Valentina
1°A - Aiello C.
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Il nonno si chiama Marghella Gaspare. E' nato nel 1929 da una famiglia molto numerosa.
Da bambino insieme ai suoi fratelli aiutava suo padre nel lavoro dei campi. A scuola non
andava bene e per imparare a scrivere ha dovuto aspettare il servizio militare. Nel 1948 fu
costretto ad andare in Sicilia lavorando sotto padrone per potare gli alberi. Abitava in una
baracca di legno. Il cibo era molto scarso e doveva dividerlo fra colazione, pranzo e cena.
Tornò in Calabria e nel 1954 si sposò. Ma dovette di nuovo ripartire per il Piemonte dove
fece il contadino. Qui la situazione era migliore sia come alimentazione che come alloggio.
Dopo cinque mesi ritornò in Calabria, qui restò un anno e partì per la Germania nel 1955
dove lavorò come muratore. Dapprima abitò in una baracca e solo nel 1960 si trasferì in un
appartamento. Nei locali pubblici i nostri emigrati non erano accolti bene. Il nonno
tornava a casa per qualche mese e poi ripartiva. Ritornò definitivamente nel 1972. Ora può
godersi la sua pensione con la famiglia. io penso che la vita di una volta era molto faticosa e
inoltre gli emigrati non venivano trattati bene dai datori di lavoro. Dopo l'esperienza del
nonno racconterò quella di mio padre che si chiama Cuglietta Giuseppe ed è nato nel 1954.
Anche mio padre andò a Mantova per lavoro dove ha lavorato in un piccolo stabilimento
dove si costruivano occhiali. Tornava a casa tre volte l'anno e dopo aver fatto il servizio
militare si sposò con mia madre e restò in Calabria.
Cuglietta Damiano
2°A - Aiello C.
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Cuglietta Daniele
2°A - Aiello C.
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Il nonno Michele Zagordo da giovane partì per il Venezuela lasciando la nonna con due
bambini. Il nonno vi rimase per molti anni, dormiva in una piccola casa e la divideva con i
suoi compagni di lavoro. I venezuelani trattavano gli emigrati come noi ci comportiamo nei
confronti dei profughi albanesi. Dopo quasi 6 anni è stato costretto a tornare in Italia
perché perse il lavoro e i soldi per il biglietto di ritorno glieli dovette mandare mia nonna.
Dopo qualche anno ritornò in Venezuela, ma dopo pochi mesi ritornò di nuovo in Italia.
Mia nonna, quando restò sola, faceva dei lavori in campagna come raccogliere le olive e i
fichi. Io penso che mio nonno sia stato molto forte, perché, se non fosse andato all'estero,
la sua famiglia sarebbe rimasta senza viveri.
Falsetti Consuelo
Classe 2° A, Aiello C.
***
Il 1900 è stato caratterizzato, soprattutto nei primi anni, dall'emigrazione. Nella mia
famiglia ci sono stati alcuni emigranti soprattutto nell'America del nord, ma anche nel
nord Italia e nella stessa Europa.
Un mio fratello è emigrato in Canada, l'altro in Lombardia e due cugine in Francia. Alcune
volte, specie in estate, ritornano in Italia per una o due settimane per trascorrere insieme
le vacanze. Sono tutti rimasti all'estero perché lì hanno trovato un lavoro e si sono costruiti
una nuova vita.
Non ho potuto raccogliere delle testimonianze, ma ho intervistato una zia che vive in
America e fu abbandonata dal marito tra il 1945 e il 1950. Prima di trasferirsi in America
lavorarono in Piemonte dove restarono circa due anni. Mio zio partì in America e lasciò la
moglie incinta in Italia. Mio zio dopo un paio di mesi si innamorò di un'americana e
decisero di vivere insieme.
Mia zia, venuta a conoscenza di ciò, seguì un altro uomo in America. Arrivata in Argentina
trovarono lavoro presso un benestante, lei come cameriera e lui come giardiniere.
Purtroppo i proprietari, ormai anziani, morirono dopo poco tempo.
Trovarono di nuovo lavoro, la zia come domestica e lo zio come contadino. Qui, il salario,
pur essendo basso permise loro di comprare una casa. Ma la fortuna arrivò di colpo, il
marito ricevette una grossa eredità dal padre, ricco proprietario terriero. L'eredità
consisteva in una villa, molto terreno ed una considerevole somma di denaro.
Mia zia ha avuto molta fortuna, mentre altri emigrati come lei non ne hanno avuto.
Purtroppo ancora oggi c'è ancora tanta emigrazione, specialmente dai paesi dell'Est
europeo verso occidente e dai Balcani verso l'Italia.
Sono migliaia le persone che spendono molti soldi per imbarcarsi in una di quelle vecchie
navi che per loro rappresentano la speranza per ricominciare a vivere.
Feraco Gemma
Classe 3° B, Aiello C.
***
L'emigrazione, per me, è un caso molto frequente, molti genitori partono e lasciano la
propria famiglia e la propria casa. Molti vanno al nord e molti all'estero; ci sono persone
che mancano dalla Calabria e dall'Italia da 30, 40 o 50 anni. Dal mio paese sono emigrate
molte famiglie.
L'emigrazione è un problema che preoccupa tutta la popolazione.
Filice Pietro
Classe 2°C, Cleto
***
Il nonno , Giovanni Fiume, mi racconta che nell'anno 1958 emigrò in Germania. Lasciò
l'Italia perché aveva due figli e la moglie ammalata da mantenere. Arrivato in Germania
incontrò mille difficoltà come la lingua, le abitudini e il dover trovare lavoro. Lo trovò a
fatica nelle costruzioni di canali, ferrovie e strade come manovale, ma in seguito,
mostrando buona volontà e capacità, poté usare le macchine come il motopico
guadagnando molto di più. Dormiva in una baracca con altri 3 o 4 operai. Il nonno rimase
all'estero per 4 anni, perché dovette ritornare perché la moglie aveva subito una paralisi.
Mentre il nonno lavorava fuori, la nonna lavorava la terra e allevava alcuni animali così il
denaro che le veniva spedito poteva metterlo da parte.
Secondo me in quel tempo un viaggio all'estero era veramente difficile e il nonno è stato
molto bravo ad affrontarlo.
Fiume Roberto
Classe 2° A, Aiello C.
***
Nel lontano 1945 mio nonno era un ragazzo di 20 anni. Una grave crisi economica colpì
l'Italia, ma soprattutto la nostra regione. Già padre non poteva mantenere moglie e figlie,
quindi si affidò nelle mani del Signore e partì per un lungo viaggio che l'avrebbe tenuto
lontano parecchio tempo.
Dapprima andò a Torino perché si diceva che al nord si stava da Papa, ma quando vide che
si stava peggio del sud, emigrò in Brasile. Partì con una nave dove erano in tanti e tutti con
lo stesso obiettivo: andare, guadagnare e ritornare. Viaggiarono per molti giorni e in quel
periodo successero molte disgrazie, alcuni morirono per malattie e vennero buttati in
mare. Nello stesso tempo, mia nonna lavorava la terra. Mio nonno restò in Brasile 5 anni e
ritornò in Italia. Qui ha trovato lavoro e vive felicemente in Calabria con una famiglia di
dieci figli.
Io penso che l'emigrazione ha distrutto molte famiglie perché parecchie persone se ne sono
fatte di nuove. La povertà, anziché ridursi, si sta diffondendo soprattutto negli stati ricchi
in seguito alla mondializzazione dell'economia. Il nostro Paese ha due milioni d'immigrati
quasi tutti entrati come clandestini, appartenenti a varie razze, in difficili condizioni di
vita. L'emigrazione ha dunque enormi risvolti umani e sociali: da un lato è un dovere
morale offrire accoglienza ed ospitalità a chi desidera integrarsi e vivere onestamente,
dall'altra, però, non si può ignorare che la convivenza forzata può creare gravi problemi e
condurre ad inquietanti forme di razzismo. Il nostro Paese, comunque, nonostante il
verificarsi di simili episodi, ha dimostrato di avere comprensione verso gli immigrati
perché è stato storicamente già afflitto dal problema dell'emigrazione.
Dobbiamo renderci conto che il nostro Paese è destinato a diventare una Nazione
multirazziale e questo deve farci riflettere sui vantaggi che ne potremmo trarre.
Giannuzzi Cristina
Classe 3° C, Cleto
***
L'emigrazione per me è una cosa fuori del comune però bisogna affrontarla. Della mia
famiglia è emigrato solo mio nonno. Si chiamava Michele Guzzo ed ha sposato mia nonna,
Angela Buffone, da cui ha avuto sei figli tra cui mia madre. Egli era un uomo molto buono.
Infatti quando tornava dai suoi viaggi, portava delle caramelle e della cioccolata ai suoi
parenti che ne erano molto contenti. Mio nonno adesso è morto, però nella sua breve vita
ha fatto molto bene. Mia mamma mi racconta che in Venezuela suo padre lavorava come
un cane per guadagnare qualche soldo in più. Soffriva molto di solitudine e qualche volta
non mangiava, però per non far soffrire la famiglia non parlava mai di ciò. Ritornato dal
Venezuela, restò qualche mese e ripartì per la Germania dove guadagnava molto di più.
Ritornò a casa con una discreta somma di danaro e non partì più, vivendo felice con la sua
famiglia. Il nonno è morto prima che io nascessi ed io l'avrei voluto conoscere perché era
un uomo speciale.
Giannuzzi Dario
2° C, Cleto
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Il nonno è emigrato in Francia mentre mia nonna con sette figli è rimasta in Italia. Egli mi
ha raccontato che lavorava con il nonno di un mio compagno in una galleria dove
all'improvviso scoppiò una carica di dinamite e il nonno del mio amico morì. Adesso è
morto anche mio nonno e io mi sento molto triste.
Guercio Francesco
2° C, Cleto
***
Parlare di questo tema per me è molto complicato perché la persona che è emigrata era a
me molto cara: il nonno che ora non c'è più.
Dopo la sua morte, ogni volta che parlo di lui piango essendo per me come un secondo
padre, sono stata sempre la sua adorata nipotina. L'infanzia vissuta con lui e la nonna ha
molti ricordi, ma ormai sono vaghi; era sempre pronto a parlarmi delle sue avventure. Ma
il ricordo che è più attinente a questo tema è il seguente: all'estero caddi da un albero e
dovetti operarmi più volte al braccio. Mio figlio, all'età di 14 anni, emigrò a Milano dove è
rimasto per molti anni.
Spesso mi diceva che la sua famiglia gli mancava terribilmente: era un'agonia lontana. Se
solo proviamo a pensare ai sacrifici che hanno fatto per noi, avremmo apprezzato ogni
singolo momento della nostra vita. per concludere vorrei solo dire che per avere la felicità
si deve prima un po' soffrire. Quando faremo dei sacrifici per i nostri figli capiremo quello
che altri hanno fatto per noi, così sapremo vivere meglio la nostra vita.
Guzzo Carmela
2° C, Cleto
***
Quando io ero ancora piccolo, tre miei zii hanno vissuto l'esperienza dell'emigrazione. Due
zii paterni sono emigrati in Canada, uno zio materno è emigrato a Bolzano. Ogni due anni
ritornavano con gioia e qualche regalo nella valigia, stavano un po' di tempo con i parenti e
poi ripartivano con tanta tristezza.
Guzzo Luca
3° A, Aiello C.
***
Mio nonno si chiama Guercio Giuseppe, emigrò la prima volta nel 1956 in Francia. Ha
trovato molte difficoltà perché non conosceva la lingua e nessun amico che lo potesse
aiutare. Dopo qualche mese trovò lavoro come muratore, però guadagnava poco, così si
mise a lavorare in una miniera di carbone, ma dopo un po' di tempo fu licenziato. Tornato
in Italia, restò due mesi e partì per la Germania. Anche qui ha lavorato come muratore, ma
purtroppo dopo due anni fu licenziato e ritornò i Italia. Nel 1961 dovette ripartire per la
Svizzera: qui trovò grande difficoltà per il clima molto freddo, ma vi rimase lo stesso per
venti anni. Dopo ritornò a casa definitivamente.
Penso che l'emigrazione sia positiva per alcuni aspetti, ma anche negativa per altri.
L'aspetto negativo è che le persone lasciarono le famiglie per tanto tempo senza poterle
vedere o sentire, perché i mezzi di comunicazione allora non erano efficienti. Il lato
positivo è che emigrando trovavano lavoro e riuscivano a mantenere la famiglia. Oggi
l'emigrazione è diminuita e le persone possono trovare lavoro qui in Italia e stare con la
propria famiglia.
***
Emigrati
***
In occasione del mio primo viaggio, per un caso straordinario in Australia, - racconta la
nonna - conobbi tante persone e poi ho trovato lavoro. Non ho molto da raccontarti, ma
ricordo, come se fossi lì in questo momento, che c'erano molte automobili che andavano su
e giù per la strada.
Penso dell'emigrazione che sia uno spostamento di molte persone che passano da un luogo
ad un altro per trovare condizioni migliori di vita. Questo argomento ha suscitato nel mio
animo grande emozione quando il nonno mi ha raccontato della sua emigrazione. Ho
capito che è una cosa molto bella ed ho provato un sentimento interessate: infatti mentre
parlava ed io scrivevo immaginavo tutto come se l'avessi davanti. Ho scritto con molto
piacere e grazie al nonno il foglio si è quasi riempito di sensazioni e di fatti realmente
vissuti.
Guzzo Sonia
Classe 3° C, Cleto
***
Durante il periodo del secondo dopoguerra molte famiglie emigrarono ed anche quattro
miei prozii. Essi sono rimasti all'estero perché si trovano bene e poi ritornare
significherebbe doversi riadattare ad un nuovo ambiente. Chi ha vissuto in prima persona
l'emigrazione è stato il nonno paterno che inizia il racconto facendomi un triste quadro
della situazione economica degli anni '50. Ad Aiello la disoccupazione era dilagante e
l'unica via d'uscita era emigrare in Europa o in America. Molti aiellesi preferirono emigrare
in Canada perché aiutati da Vincenzo Guelci che gestiva lì i lavori ferroviari ed anticipava le
spese del viaggio e assicurava loro un posto di lavoro. Questo produsse un richiamo a
catena dei propri familiari ed amici. Con molti sacrifici sono riusciti ad inserirsi nella
nuova comunità ed hanno formato le loro famiglie non dimenticando però le loro origini e
le loro abitudini. Partiti da semplici operai, col tempo, hanno avuto possibilità di inserirsi
in altre attività.
Il sentimento più importante che i nostri parenti esprimono ancora oggi è la nostalgia di
casa, dei parenti, di Aiello e degli amici. Secondo il mio parere, vedere i propri amici e
soprattutto i propri parenti sarà stato certamente molto doloroso. Per questo motivo non
dovremmo essere ostili con gli immigrati extracomunitari i quali cercano disperatamente
lavoro e soprattutto fuggono da situazioni difficili che esistono nei loro Paesi. Fuggono
dalle persecuzioni, intolleranze religiose e razziali e dalla miseria.
***
Iuliano Valerio
Classe 2° C, Cleto
***
Quando ho chiesto al nonno di raccontarmi la storia degli anni in cui è stato costretto ad
emigrare è rimasto un po' sorpreso, ma poi si è messo subito a raccontare e per più di un
ora siamo stati a chiacchierare sui fatti che ora vi narro.
Nel 1956 mio nonno è andato i Francia, dove sino al 1968 ha svolto il lavoro di operaio in
una grande società di costruzioni. Era un lavoro faticoso, al freddo e alla pioggia d'inverno,
al caldo bruciante d'estate. Infatti un giorno di luglio, mentre lavorava in una galleria ha
urtato con una macchina ad aria compressa contro una mina e insieme al compagno di
lavoro è stato scaraventato a diversi metri di distanza. Mio nonno è rimasto gravemente
ferito e dopo 4 mesi d'ospedale è tornato in Italia, ma il suo compagno, a causa d'un masso
che lo aveva colpito al torace, è morto.
Dopo essere tornato in Italia, mio nonno ha cercato lavoro per sostenere la sua famiglia
molto numerosa. Dopo 2 o 3 anni, non avendo trovato niente di sicuro è ripartito ed è
andato in Sicilia. Durante il viaggio, mentre erano fermi ad una stazione, un suo amico è
andato per i suoi bisogni in un campo; per pulirsi alla meglio ha strappato un po' di erba e
se l'è strofinata addosso, ma evidentemente c'era un po' d'ortica perché si è messo a
strillare e a saltare.
Io sono scoppiato a ridere, ma poi sono diventata triste per questi poveri uomini sbattuti
dal bisogno in giro per il mondo. Oggi queste cose mi sembrano lontane, come pure è
difficile credere che pochi decenni fa cose come il telefono, la televisione, il bagno con
l'acqua calda, il frigorifero fossero così rare nelle famiglie del mio paese. Mi è venuta la
paura che anche adesso per qualche motivo, queste cose possano diventare un lusso per
noi, anche perché per molta gente nel mondo è difficile persino sopravvivere ogni giorno.
Credo che quando avrò la possibilità di farlo, anch'io voglio collaborare affinché
dappertutto la gente abbia la possibilità di avere cibo a sufficienza, istruzione, famiglia,
lavoro e pace.
Lepore Alessandra
1° C, Cleto
***
Lepore Anna
Classe 3° B, Aiello C.
***
Quello che riporto è quanto mio nonno mi ha raccontato degli anni in cui è emigrato.
Il 6 luglio del 1956 sono partito per la Francia. Avevo 40 anni e da molto tempo non
riuscivo a trovare un lavoro stabile che garantisse una vita decente a me e alla mia famiglia.
Così mi sono fatto forza e ho accettato la proposta di partire e lasciare la mia terra, con la
speranza di tornare un giorno a casa. In Francia sono entrato come operaio in una società
che costruiva acquedotti, strade e gallerie. Ricordo che dormivamo in casette di lamiera
che la ditta allestiva sui cantieri. Era un lavoro duro e a volte pericoloso. Un giorno, mentre
lavoravo in una galleria, dove era rimasta una mina non esplosa, la urto con la motopala, la
mina è esplosa, un mio compagno di lavoro è morto e io, ferito, sono stato trasportato in
ospedale dove sono rimasto per più di 3 mesi. Mi sentivo molto triste, pensavo a casa e al
fatto che se fosse toccato a me non sarei tornato più indietro. Sono ritornato in Italia nel
'67, le cose andavano meglio ed io avevo messo da parte un po' di soldi.
Pensieri lontani
Lepore Debora
Classe 1° C, Cleto
***
Il nonno, Lepore Guglielmo, a 17 anni, emigrò in Germania nella città di Stoccarda dove si
fermò per 10 anni, perché in Italia non c'era lavoro e particolarmente nel meridione. Gli
italiani presenti in Germania amavano la Calabria, cioè la loro terra, per il clima, il
paesaggio e la lingua. Mio nonno, però, si adeguò molto presto alla nuova realtà, però qui,
non essendoci né la mamma né il papà, doveva fare tutto da se. Dormiva nelle baracche di
zinco con gli altri operai dove faceva molto freddo e l'acqua per lavarsi era ghiacciata. Non
c'era il bagno. La spesa misera che facevano insieme doveva bastare per una settimana e
compravano le cose meno costose, poiché a fine mese dovevano spedire i soldi alle
famiglie.
Lavorò come operaio specializzato nei cantieri edili e stradali. Mio nonno non aveva un bel
rapporto con i tedeschi, infatti essi li consideravano simili a quelli del "Terzo Mondo". Il
suo tempo libero, anche se era molto limitato, lo trascorreva giocando a carte o facendo le
pulizie.
In Germania restò quasi 20 anni, fino al 1977, poi partì per l'Arabia Saudita per due anni.
Qui trovò una temperatura molto calda.
Nel 1981 ritornò dal Medio Oriente ed emigrò in Russia. Qui trovo molta difficoltà nella
lingua e anche per il clima. Dopo, però, ritornò i Italia e non emigrò più.
Io sono molto orgogliosa di avere come nonno questa persona: egli ha avuto molta forza ad
affrontare tutte queste difficoltà.
Anche mio padre è emigrato in Germania da ragazzino, all'età di 13 anni; qui ha fatto il
barista e restò per 5 anni. Con il padrone del locale erano molto amici e nel tempo libero
uscivano per andare in piscina o al cinema o in discoteca. All'età di 17 anni venne in Italia e
vi rimase qualche mese e conobbe mia madre che aveva 13 anni. Si innamorarono e fu un
anno molto intenso, ma nello stesso tempo un po' triste perché mio padre partì e i
chilometri che li dividevano erano tanti.
Gli anni passarono in fretta e nel 1986 si sposarono e dopo pochi giorni partirono per la
Germania dove furono accolti benissimo. Nei primi giorni mia madre sentiva nostalgia
della sua casa e dei suoi parenti e amiche. Ben presto si misero a lavorare e mia madre
faceva le pulizie al bar e al ristorante, mentre mio padre faceva il cameriere. Avevano un
piccolo appartamento, ma la maggior parte del tempo lo trascorrevano al ristorante. Mia
madre smise di lavorare quando aspettava mia sorella che nacque lì. Ritornarono in
Calabria dove nel 1988 nacqui io, però dopo un anno partimmo tutti insieme, di nuovo in
Germania.
Nel 1993 ritornammo in Italia perché i miei genitori volevano che io frequentassi la scuola
in Calabria. Mia madre si è pentita di essere ritornata in Calabria perché il lavoro
scarseggia, ma mio padre è di nuovo in Germania. Noi soffriamo molto della sua
lontananza e gli auguriamo che trovi presto lavoro vicino a noi.
Mia mamma mi racconta che in Germania la festività della Pasqua è molto diversa dalla
nostra: i tedeschi addobbano l'albero e lo decorano con palline di cioccolato e fanno i
cestini con le uova colorate. Mi ha anche riferito che i tedeschi sono più freddi di noi in
occasione di alcune festività come il Natale. Infatti mentre in Italia festeggiamo la nascita
di Gesù riunendosi fra parenti, i tedeschi invece non hanno questa abitudine e per il
Natale spendono molto per i regali, i vestiti, ecc.
Ogni giorno si vedono sullo schermo televisivo scene tristi di vecchie imbarcazioni cariche
di donne, di bambini e di anziani che approdano sulle nostre coste per cercare lavoro.
Molti muoiono annegati oppure vengono rimandati nella loro Terra. Queste storie sono
molto tristi e vedendole immagino quelle dei nostri nonni. Ho appreso molto dal racconto
dei miei familiari e sono felice di aver ascoltato e scritto questa storia. Penso che allora le
condizioni di vita erano più misere e l'emigrazione era molto diffusa, ma ancora oggi ci
sono Paesi poverissimi.
Lepore Graziella
Classe 2° A, Aiello C.
***
Mi piace spesso pensare alle cose successe nel passato, pensare ai vecchi tempi, ai sacrifici
fatti dai nostri cari. Questa storia mi è stata raccontata da un'amica di famiglia: zia Stella,
che ha 83 anni.
E' la storia del marito, ormai morto. Egli andò nel '54 in Canada, dove lavorò in ferrovia. La
moglie lavorava sodo nelle raccolte delle olive, coltivava un pezzetto di terra e allevava
degli animali domestici. Mentre lei stava tutto il giorno fuori a lavorare, il figlio restava
tutto il giorno solo in casa senza l'affetto né del padre né della madre. Quando calava la
notte la madre rientrava e accudiva il bimbo. La mattina si svegliava molto presto e portava
con se solo u po' di pane che preparava in casa. Credo che tutte le donne lasciate a casa
dalle persone amate hanno dovuto fare tantissimi sacrifici e molte volte si sono ammalate.
Ma i figli, in parecchi casi, invece di aiutarle, le hanno lasciate sole. Io penso che i figli,
dopo essere stati allevati con molta fatica, debbano ringraziare di cuore il padre e la madre
per averli fatti crescere nel migliore dei modi. Io invece conosco figli che passano davanti la
casa dei familiari e nemmeno li salutano. Quando mi hanno raccontato questa storia mi
sono quasi messa a piangere e penso che ho avuto molta fortuna ad avere dei genitori come
i miei.
Ho pensato a lungo a questa storia e se i miei fossero stati emigranti ora io starei vicino ad
essi come sono stati vicino a me quando ne avevo bisogno.
Lepore Rosanna
3° C, Cleto
***
Longo Giuseppe
Classe 2° B, Aiello C.
***
L'emigrazione è un fatto che coinvolge molte persone. Mio padre, Lorello Raffaele, è
andato al nord e ogni volta che penso a lui mi sento triste e sconsolato. Egli mi porta ogni
cosa che gli chiedo. Lo zio Giovanni è emigrato con la famiglia a Milano. Quando studio
penso alle persone che hanno un padre o uno della loro famiglia che è partito per lavoro e
mi viene di abbracciare mio padre e mia madre.
Lorello Raffaello
Classe 2° C, Cleto
***
Mio padre è emigrato da tre anni e io ho sofferto tantissimo quando lo vedevo mettere le
sue cose dentro la valigia e quando salutava mia madre, mio fratello e mia sorella
piangendo.
Quando ci chiama è triste perché è solo ed è sempre preoccupato per il lavoro che è
pericoloso. A me dispiace tantissimo vedere mia madre abbattuta e malinconica e le
chiedo cosa la fa soffrire, lei mi risponde: mi manca tuo padre.
Macchione Simone
Classe 2° C, Cleto
***
Mio nonno si chiama Marghella Paolo, era il secondo di nove fratelli. Frequentò la scuola
fino alla terza elementare e si dice che fosse molto bravo, però a causa delle scarse
possibilità che c'erano in quel tempo dovette smettere di studiare. Così all'età di 10 anni si
dedicò al lavoro della terra aiutando il padre. Dopo la seconda Guerra Mondiale, tornato in
Calabria, capì che in Italia c'era una grave crisi economica. Nel 1948 si sposò ed ebbe 5 figli
tra cui mio padre. Nel 1955 decise di emigrare con altri suoi amici, alcuni in Canada, altri
nell'America meridionale e altri, come mio nonno, per la Germania perché qui, dopo la
guerra, c'era bisogno di molta manodopera.
Qui cominciò a lavorare in una ditta di costruzioni in condizioni quasi disumane: dormiva
in baracche su pagliericci in condizioni igieniche pessime. Divideva la piccola casa con il
gruppo di lavoro e ogni mattina si doveva svegliare prestissimo per andare a lavorare e
tornava a casa molto tardi. Il salario era basso, ma nonostante ciò riusciva a mettere da
parte un po' di soldi. Intanto, mentre mio nonno era in Germania, anche mia nonna qui in
Calabria lavorava moltissimo. Infatti, quando il nonno partì, aveva tre figli piccoli e doveva
lavorare la terra. Abitavano in una casetta attaccata alle stalle degli animali, però col tempo
mio nonno riuscì a farsi costruire una casa più grande. Il lavoro delle donne, allora,
consisteva nel cucire, nel lavare i panni e per fare questo usavano la cenere che veniva
bollita e versata sui panni. In seguito nel 1972 mio nonno si ammalò, così decise dopo 17
anni di tornare a casa. Dopo diverse cure guarì e partì di nuovo.
Anche oggi come una volta ci sono tante persone che emigrano e arrivano qui in Calabria e
forse noi consideriamo gli immigrati come una volta le persone del luogo consideravano i
nostri cari.
Marghella Erminia
Classe 3° A, Aiello C.
***
L'emigrazione per me è un fatto storico ed è ancora presente tra noi. Gli emigrati sono
delle persone che lasciano la loro famiglia, la loro casa, il loro paese, cioè tutto.
Mio padre, anche ora, viaggia per Paesi nuovi e vecchi. Egli mi ha detto: quando le prime
volte sono partito nessuno parlava con me, ma poi, dopo qualche mese ho incominciato ad
imparare la lingua e così ho fatto delle amicizie.
I miei nonni sono andati in Germania, quasi tutta la mia famiglia è emigrata: il fratello del
nonno è andato nell'America del sud, dove tutti dicevano che era il Paese da dove nessuno
sarebbe ritornato perché era bellissimo.
Marrello Matteo
Classe 2° C, Cleto
***
Un giorno eravamo a tavola e mio padre iniziò a parlare della sua giovinezza, della povertà
che circondava il mondo e di una parola molto triste, che secondo me se non la si prova
non la si potrà mai capire: l'emigrazione.
Ero a casa e si discuteva della povertà, quindi mio padre, mio fratello ed io decidemmo di
emigrare. Stavo facendo le mie valigie e pensavo come poteva essere un Paese che non
conoscevo, se avessi trovato casa e lavoro, se avessi rivisto il mio Paese e tante altre
domande che mi confondevano le idee. Mio padre e mio fratello partirono ed io presi il
treno pochi mesi dopo per il Belgio. Scesi alla stazione di Bruxelles dove c'era un'atmosfera
molto triste. Mio padre dovette tornare subito dalla Germania perché aveva problemi di
salute. Io scrivevo e telefonavo molte volte a casa perché sentivo un'immensa mancanza del
mio Paese e dei miei cari. Nella fabbrica dove lavoravo feci delle conoscenze e molte volte
immaginavo il giorno in cui avrei avuto una moglie e dei figli. Questo era un sogno che poi
è divenuto realtà. Infatti una sera io e un mio amico andammo a passeggiare; il mio amico
aveva la ragazza, con lei c'era una sua amica di nome Ornella, facemmo conoscenza ed io
me ne innamorai subito. Ci sposammo in agosto e ballammo fino alle tre di notte, ma non
mi sentii mai stanco. Non riuscivo a credere che finalmente avevo trovato la donna della
mia vita. Io volevo ritornare in Calabria perché era ed è la regione dei miei sogni.
Abitai a Savuto per più di 10 anni e mettendo dei soldi da parte costruii la casa. Io penso
che nella mia giovinezza sono stato di grande aiuto per la mia famiglia.
Parlando di queste cose ho svelato a voi ciò che non avevo mai detto a nessuno, ma vorrei
solo aggiungere che la vita de miei genitori mi ha fatto capire che con il sacrificio si può
trovare anche l'amore.
Marrello Sarah
Classe 2° C, Cleto
***
Nel dopoguerra la situazione economica era molto disagiata tanta era la povertà che
colpiva l'Italia e in particolare il sud, essendo meno industrializzato. Era questo il motivo
fondamentale che spinse molte persone d emigrare in altri paesi che offrivano più
opportunità di lavoro, allo scopo di costruire una vita più serena. Come in tutte le famiglie,
anche nella mia c'è stato un componente che è emigrato, il nonno paterno. Egli è partito
nel 1952 per la Francia, qui ha trovato ben presto lavoro presso una grossa falegnameria.
Durante il tempo libero lavorava in un'officina per arrotondare il salario. Però
sfortunatamente subì un infortunio alla mano destra. Questo gli causò molte sofferenze sia
fisiche che morale: fisiche perché subì ben 5 interventi e morali, perché si ritrovò solo nel
momento in cui avrebbe avuto bisogno di un po' di conforto.
Egli quando partì non era sposato, ma aveva a carico la sua famiglia essendo l'unico uomo
in grado di lavorare. Ogni mese mandava una buona parte di quello che guadagnava ai suoi
familiari per permettere loro di condurre una vita più agiata. Il padre di mio nonno non
godeva di buona salute, per questo non era in grado di lavorare; invece la madre, come
tutte le altre donne di quel tempo, viveva una vita non facile perché doveva accudire tre
figli. Coltivava anche un pezzetto di terra.
Quando doveva fare il bucato perdeva giornate intere nelle cibbie, la più vicina è chiamata
Tuvulu. Lavava con il sapone fatto da lei e dopo aver fatto il bucato vi metteva sopra 'u
saccu de cannavazzu e infine vi versava la cenere bollita che serviva come sbiancante.
Mio nonno è tornato dopo cinque anni sperando di trovare in Italia una sistemazione e
crearsi una famiglia propria. Questo fenomeno dell'emigrazione si è verificato non come
una libera scelta o come un viaggio di piacere, ma come un'imposizione per portare avanti
la propria famiglia.
Certamente molte erano le sofferenze che si provavano alla sola idea della partenza per un
paese sconosciuto di cui si ignoravano la lingua, gli usi, le tradizioni. Sono stati molto
fortunati coloro che avevano un parente o un amico che poteva offrire loro ospitalità e la
possibilità di imparare una nuova lingua.
Mazzuca Carmen
Classe 3° B, Aiello C.
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Medaglia Andrea
Classe 3° A, Aiello C.
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Mendicino Alessandra
Classe 3° C, Cleto
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Io non avevo mai parlato con i nonni o con altre persone dell'emigrazione, ma quando glie
l'ho chiesto mio nonno è stato molto sintetico ma anche molto contento di raccontare.
Partì a 29 anni per la Germania dove arrivò affrontando un lungo e costoso viaggio in
treno. Qui è rimasto per otto anni, senza una meta precisa, ma con l'unico scopo di farsi
capire e di trovare un lavoro per poter mandare qualche soldo ai suoi familiari. Trovò un
lavoro molto duro da operaio dove si facevano dalle 8 alle 12 ore di lavoro e veniva pagato
poco. Mia nonna, vedendo che i soldi non bastavano, decise di trovarsi un lavoro come
raccoglitrice di olive, ma anche con questo lavoro i soldi non bastavano, perché il lavoro
svolto da mia nonna era retribuito con una percentuale di olio o di olive raccolte in una
giornata. Anche questo lavoro richiedeva molte ore e quindi i miei zii e mia madre
dovevano fare le faccende di casa, pascolare le pecore e andare a scuola.
Io penso che l'emigrazione sia una cosa giusta, ma anche sbagliata perché se non ci fosse in
ogni Paese ci sarebbero posti a sufficienza per l'intera popolazione.
Miceli Rosalbino
Classe 3° C, Cleto
***
Nel 1963 mio nonno è emigrato in Canada con la nave Greece Line, di nazionalità greca. E'
partito da Napoli il 23 settembre ed è arrivato in ottobre. Lì faceva già molto freddo ed ha
iniziato subito a lavorare con la compagnia Algoma Stile Preule, con la quale rimarrà per
tutto il tempo lavorando sulla ferrovia, costruendo nuovi binari e curandone la
manutenzione.
Era un lavoro durissimo, sempre all'aperto e quasi sempre con la schiena curva, un lavoro
da pionieri, da gente che si apre la strada tra una natura selvaggia.
Il 15 dicembre del 1968, un treno che trasportava ferro è uscito fuori dai binari, e mio
nonno, insieme ai suoi compagni, ha faticato per due giorni ininterrottamente per
rimediare il danno. Nevicava e le spalle erano tutte bagnate e fredde, ma essi non hanno
mai smesso.
Nel 1972, mentre lavorava vicino ad un folto bosco, nonno è stato assalito da 4 orsi bruni,
si è difeso con il fucile e ne ha ucciso uno, costringendo gli altri alla fuga. L'orso ucciso
pesava 180 chili e la Compagnia lo ha fatto imbalsamare e l'ha messo dentro la stazione
ferroviaria dove ancora oggi è esposto. Quando mi raccontava queste vicende nonno era
emozionato, ma mi sentivo molto colpito anch'io. Quel vecchietto mi sembrava un'altra
persona, un eroe, un personaggio da film, forte e coraggioso, resistente agli sforzi e capace
di grandi sacrifici.
Tutta questa sua storia, inoltre, mi apriva una finestra su un passato che non conoscevo e
che riesco solo ad immaginare. Anni molto difficili, in cui non c'era lavoro, mancavano i
soldi necessari per poter vivere e dare da mangiare alla famiglia. così adesso penso spesso a
mio nonno che si è trovato in una terra straniera senza conoscere la lingua e senza essere
abituato ad un clima così gelido.
Ringrazio di cuore tutti quelli che lo hanno aiutato e penso che anch'io farò lo stesso con
chi emigra in Italia, perché è disperato.
La notte a volte, prima di addormentarmi, penso a quel grande orso bruno che se ne sta
ancora lì a ricordare ai viaggiatori americani il lavoro compiuto dagli italiani e il loro
coraggio speso a favore della crescita di questi paesi.
Grazie nonno!
Montuoro Carmine
Classe 1° C, Cleto
***
Mia mamma Guidoccio Maria, all'età di 15 anni, partì per la Germania con il fratello
maggiore. Lei faceva la baby-sitter a sua nipote. Rimasero in Germania circa 10 anni, poi
mio zio ritornò in Calabria dove i suoi genitori gli avevano trovato un lavoro. Mio zio mi
racconta che però gli piaceva di più vivere in Germania, perché guadagnava bene e non gli
mancava niente. Nel tempo libero visitava la città dove abitava oppure andava a messa.
Mio nonno partì per Berlino con degli amici nel 1978. Qui lavorarono da muratori e vi
rimasero per due anni. Dormivano in una baracca nella quale c'era una vasca in cui
lavavano i vestiti quando ritornavano dal lavoro. Lavoravano 8 ore e la mattina si alzavano
molto presto perché dovevano procurarsi il cibo e la legna. Il loro tempo libero lo
trascorrevano o riposando o giocando a carte.
Indossavano i pantaloni per due giorni perché non si asciugavano oppure erano sporchi.
Mio nonno affrontò questi sacrifici per 10 anni e poi tornò in Calabria dove continuò a fare
il muratore, anche se il salario era più basso. Ma passarono due anni e mio nonno partì di
nuovo per Strasburgo in un centro industriale dove lavorava per sette ore al giorno.
In Calabria veniva una volta al mese per vedere i suoi familiari e portare loro i soldi
necessari per vivere.
Pagnotta Claudia
Classe 2° A, Aiello C.
***
Il nonno Abate Pasquale è emigrato nel 1956 in Germania. Il primo problema da risolvere
era la conoscenza della lingua che con il passare del tempo ha imparato molto bene. La
seconda difficoltà e stata quella di trovare un posto in cui dormire, infatti si è dovuto
fermare in una baracca e ha dormito su un materasso pieno di paglia umida. Ha lavorato
come muratore e in una fabbrica di carbone. Inoltre ha lavorato con i motopichi perché era
molto bravo. Quando lavorava doveva osservare delle regole: non parlare con il compagno,
essere rispettoso e infine il lavoro da lui svolto veniva controllato. Ma poiché si impegnava
gli hanno aumentato il salario e percepiva più di un operaio che lavorava in quel posto da
cinque anni. In Germania ha vissuto per sette anni, ma ha sofferto molto in quanto gli usi e
i costumi sono diversi da quelli della nostra Italia. Egli durante la sua permanenza ha fatto
molte esperienze e ci furono anche molte persone che lo hanno aiutato.
Anche mio padre è emigrato in Germania e si chiama Pagnotta Marcello. Ha lavorato in
una fabbrica che produceva pezzi per frigoriferi e automobili. Gli davano undici marchi ad
ora ed è rimasto lì per cinque anni. I rapporti con la popolazione del luogo sono stati
ottimi. E' riuscito anche a comprarsi l'automobile con molta soddisfazione perché l'aveva
comprata facendo molti sacrifici. Io sono molto orgoglioso di mio padre.
Pagnotta Giuseppe
Casse 2° A, Aiello C.
***
Questo racconto l'ho ascoltato mille volte dalla voce di mia madre, perché a lei lo
raccontava il bisnonno, e ora io lo racconto a voi. Tra gli anni 1950 e 1960, alcuni operai di
Cleto, costretti dalla miseria e dal bisogno emigrarono in Germania. Dovevano attraversare
la frontiera tedesca a piedi come clandestini. Il bisnonno raccontava che alcune notti
hanno dormito nei boschi, cibandosi di quelle poche provviste che avevano portato da casa,
con il cuore pieno di angoscia e timore per quello che li attendeva e di nostalgia per quello
che avevano lasciato. Ma c'era anche la speranza a sorreggerli, in un futuro migliore, meno
misero e incerto.
Una volta in Germania era necessario aspettare del tempo per avere un lavoro sicuro,
intanto si faceva quello che capitava, sopportando le ingiurie dei tedeschi più anziani,
quelli che avevano partecipato all'ultimo conflitto e che giudicavano gli italiani dei
traditori. Anche il bisnonno aveva fatto la guerra e mia nonna racconta che un giorno dato
che voleva tornare a casa lasciò l'esercito, ma la sua fuga durò poco perché alcuni soldati lo
fecero prigioniero. Una volta emigrato, doveva stringersi al cuore le foto dei suoi cari e
restare in terra straniera. Era difficile trovare un alloggio decente e spesso si dormiva in
tanti in una stanza per risparmiare e per darsi una mano a vicenda. Bisognava imparare la
lingua, adattarsi ad un clima diverso, cucinare qualcosa e tenere in ordine i vestiti.
Per fortuna i più giovani tra i tedeschi cominciarono invece a stimare il lavoro degli italiani
e il modo in cui i nostri nonni sapevano sacrificarsi e adattarsi pur di guadagnare qualcosa
da mandare a casa. Il mio bisnonno, come altri italiani, fece delle amicizie e riuscì a
lavorare lì per ben sette anni. Queste vicende sono ben impresse nella mia mente e nel mio
cuore, perché mia madre sin da piccola me le ha raccontate, come si racconta una favola.
Penso che lo ha fatto, perché non voleva che la storia tanto coraggiosa di suo nonno fosse
dimenticata, e perché, proprio come per le fiabe, rimanesse al di là del racconto
avventuroso, un insegnamento per apprezzare quello che oggi ho grazie al bisnonno, a
rispettare ed aiutare quelli che emigrano, e a non considerare mai qualcuno inferiore a me
solo perché non è della mia stessa razza.
Paradiso Esterina
Classe 1° C, Cleto
***
Il nonno, padre di sei figli, viveva a Cleto e lavorava nei campi. Un giorno con la moglie
presero in considerazione l'idea di acquistare un pezzo di terreno e una casa. Però per
pagare i debiti fatti non vi restava altra soluzione che emigrare, infatti andò in Germania.
Mio nonno racconta quando siano stati tristi e duri quei periodi perché si sentiva molto
solo specie di sera. Qui dormiva in capanne di lamiera sotto la neve e il freddo che gli
entrava nelle ossa, ma quando perdeva la voglia di continuare bastava che pensasse ai suoi
figli e a quel pezzetto di terra che aveva comprato per riprendere a lavorare. Ma un giorno
lavorando in ferrovia gli cadde sul piede un grosso palo di ferro che glielo fratturò in tre
parti. Fu costretto a farsi operare in Germania, allora si che la mancanza dei suoi cari si
fece sentire ancora più forte, ma nonostante tutto appena guarito restò a lavorare finchè
non fini di pagare i suoi debiti. Quando egli mi raccontò questa storia io gli chiesi perché
era partito e se da noi c'era lavoro. Mi rispose in questo modo: il lavoro c'era ma il salario
che ci davano bastava appena per comprare il cibo. Considerando poi che eravamo in otto e
che i datori di lavoro non erano come oggi, ma ci facevano lavorare come degli schiavi,
come noi oggi trattiamo gli stranieri facendo fare loro tutti i lavori più pesanti e umili, fu
necessario partire. Io spero che un giorno ci saranno posti di lavoro nelle proprie città per
non permettere che delle persone trattino gli emigranti come schiavi.
Pate Elisa
Classe 2° C, Cleto
***
Il nonno Carmine Pino è emigrato in Francia, dove lavorò in miniera. Mentre lavorava in
una galleria fu vittima di una esplosione restando sotto le macerie. La nonna che era
rimasta a casa per badare alla sua famiglia, contava i giorni per riabbracciare suo marito.
Ma il postino portò la brutta notizia che mio nonno era stato seppellito dalle macerie e il
corpo non fu più ritrovato. Quando vado al cimitero lascio sempre un fiore come se egli ci
fosse, era il mio angelo custode.
Pino Stefano
Classe 2° C, Cleto
***
Qualche mese fa con i nonni ho parlato della loro vita e delle loro avventure. Così mio
nonno mi ha detto che fu costretto ad emigrare in Germania. Mia nonna rimase a casa con
otto figli tra cui mia madre. Il nonno emigrò nel 1960 e ritornò nel 1974, però ritornava a
casa tre giorni ogni sei mesi. Egli lavorava in una fabbrica di elettrodomestici e la paga era
scarsa. Per me l'emigrazione è un modo di trovare lavoro molto brutto perché si lascia la
famiglia per molti anni.
Provenzano Daniele
Classe 3° C, Cleto
***
La parola emigrazione, oggi, si sente usare di tanto in tanto, invece negli anni '50-'60 era
molto usata e nello stesso tempo possiamo dire realizzata. Io, come tanti coetanei, non
sappiamo cosa vuol dire, ma dai racconti dei genitori e specialmente dai nonni sono
riuscito a capire perché tanta gente adulta, quando sente parlare di questo si rattrista. Dai
racconti dei nonni che hanno vissuto e affrontato questo problema si capisce che la loro
emigrazione è stata piena di avventure e di tante sofferenze. Il nonno Alberto che ora è
gravemente ammalato, mi raccontava che da giovane era partito in Africa per lavorare
come operaio nella costruzione di strade e ferrovie perché non esistevano. Dopo la Seconda
Guerra Mondiale tornò in Italia e si sposò, ma non trovando lavoro partì per la Francia
dove lavorò in miniera. Dopo poco tempo ebbe un incidente sul lavoro rimase invalido di
una gamba e dovette ritornare in Italia.
La nonna mi racconta che il nonno Pietro, che non ho avuto il piacere di conoscere, partì
negli anni cinquanta per il Canada. Lavorò come operaio nella costruzione di strade e
ferrovie. Le emozioni vissute al momento della partenza erano uguali anche se uno arrivò a
destinazione con il treno e l'altro dopo otto giorni di nave. Si partiva con il cuore pieno di
tristezza e di infelicità perché si lasciavano i propri cari e perché il denaro era molto scarso
perché quasi tutto era stato speso per il viaggio. Arrivati a destinazione non avevano una
casa ma stavano in vagoni dei treni adibiti a camere, dove vivevano in tanti e delle volte si
trovavano in difficoltà anche dal punto di vista igienico.
In Aiello le moglie e figli si trovavano da sole ad affrontare la vita, a risolvere dai più piccoli
ai più grossi problemi come la lavorazione dei campi e l'educazione dei figli. Altro
problema importante erano le malattie le quali specie con i bambini piccoli erano molto
ricorrenti. Quando si presentava questo problema si doveva arrivare fino al paese a piedi
con il bambino in braccio. A volte dovevano fermarsi anche la notte chiedendo ospitalità a
qualche famiglia disposta a farlo. Le donne rimaste in casa lavoravano nei campi e
accudivano i propri figli. La sera si sentiva di più la mancanza del papà e la mamma doveva
raccontare che presto sarebbe tornato con tanti bei regali. Aspettavano con ansia il postino
che portava qualche lettera piena di buone notizie, quali l'annuncio di un arrivo per
qualche periodo e anche, perché no, l'invio dei soldi. C'era tanta gioia quando arrivava la
lettera o quando qualcuno tornava portando notizie dei conoscenti. La maggior parte delle
persone emigrate dopo un certo periodo decidevano o di tornare, come il nonno Pietro
investendo i soldi in Italia o di portare la famiglia all'estero. Qualcuno, una volta partito
con il passare del tempo, non ha dato più sue notizie, facendosi una nuova vita all'estero
abbandonando la propria famiglia che aveva lasciato con tanti progetti e promesse. Le
persone che hanno investito i loro soldi ad Aiello non tutte si sono trovate bene e parecchi
di loro dopo poco tempo hanno dovuto emigrare nuovamente.
***
***
Il nonno mi ha parlato volentieri del tempo in cui era emigrato per necessità. Non perché
fossero bei ricordi, ma perché secondo lui è un bene che i giovani si interessino di queste
cose e conservino memorie di ciò che è stato. Mi ha detto, parlando piano piano, perché è
molto malato, che quando è partito per la Germania nel 1953, in Italia c'era molta gente
che pativa la fame e molti avevano deciso di partire per cercare migliore fortuna all'estero.
Era un triste viaggio, si lasciava a malincuore la propria casa, spesso i primi tempi nel
nuovo paese erano durissimi. Anche in Germania le condizioni degli italiani erano misere.
Si andava per guadagnare e si spendeva il meno possibile cercando anche di dividere la
spesa dell'appartamento o della camera fra più persone. La stanza dove dormiva mio
nonno era freddissima e le coperte erano talmente gelide e tutte rotte che non riuscivano a
scaldare.
Un giorno, racconta mio nonno, un suo carissimo amico si ammalò di difterite: "Ogni
giorno, io, invece di coprirmi davo la mia coperta a quel poveretto". Loro due lavoravano
insieme in una fabbrica di scarpe, era un lavoro durissimo, ma una speranza grande li
rendeva forti: poter tornare a casa con un bel gruzzoletto e la possibilità di una vita
dignitosa per se e per i propri figli. Mio nonno tornò ma senza il suo amico morto prima di
vedere realizzato il suo sogno.
Ora anche mio nonno è morto e nel dolore che provo sono tuttavia contenta di avere avuto
quella chiacchierata con lui sul tempo passato. Ora guardo le persone anziane con altri
occhi, come con altri occhi guardo gli immigrati che vedo in giro per le strade. Prima che
nonno morisse ho scritto una poesia per lui.
A mio nonno
Rino Federica
Classe 1° C, Cleto
***
Il nonno si chiamava Chiarello Adamo e la sua famiglia era composta da otto figli. Da
piccolo abitò in montagna e nel 1951 sposò mia nonna Rosaria e lavoravano come coloni.
Ma la situazione economica non essendo buona decise di emigrare in Canada dove rimase
due anni lavorando da manovale. La nonna rimasta ad Aiello con tre figlie doveva coltivare
la terra, badare agli animali e accudire le figlie. Certo la vita di mio nonno e quella di mia
nonna non è stata facile, ma sono riusciti lo stesso a migliorare la loro condizione. Mio
nonno lavorò fuori casa per tre anni e poi per ragioni di salute dovette ritornare. Qui lavorò
di nuovo come colono e mi raccontava che fare il colono era un modo positivo per vivere e
lui fu contendo di questo lavoro. Ora il nonno è morto all'età di settantaquattro anni, ma io
ogni tanto penso a ciò che mi ha raccontato e ho capito che allora non c'erano tutte le
comodità che ci sono adesso. Inoltre credo che anche se c'era grande povertà non c'era
tutta questa delinquenza che c'è adesso.
Rocchetta Francesco
Classe 3° A, Aiello
***
Conosco una vecchia signora che oggi vive a Savuto, ma che tempo fa è emigrata in
America e così ho deciso di parlarle per poter scrivere la sua storia. Ho trovato una donna
anziana che vive da sola e cammina con difficoltà aiutandosi con una sedia. E' curva, magra
e parla con la voce bassa. La signora Stella Vena è partita con la nave nel 1954 per
raggiungere il marito in Canada. Il viaggio da Napoli sino in America è durato ventisei
lunghissimi giorni. Ma lei era contenta di raggiungere il marito che era partita due anni
prima ed è rimasta in Canada per nove anni e non se ne è mai pentita. Dopo qualche anno,
quando ormai conosceva la lingua e si era ambientata, con delle amiche ha cucito maglie
per gli sportivi. Il marito lavorava nelle ferrovie come operaio. Quando doveva lavorare di
notte lei dormiva con lui nei vagoni del treno perché era partita per stargli vicino e non
voleva lasciarlo nemmeno per poco tempo. In America ha vissuto secondo gli usi italiani
però le piacevano anche quelli nuovi. Il sabato e la domenica andavano in giro per visitare
le città più belle del Canada. Hanno visitato anche gli Stati Uniti dove avevano parenti e
amici. Lei si trovava bene con gli altri: canadesi, statunitensi, ma anche con gli indiani.
Alcuni di questi abitavano vicino casa sua e lei ha battezzato tre bambine una italiana, una
indiana e una belga. A volte andavano con gli indiani in barca a pescare sul fiume. Se c'era
un matrimonio nel quartiere la invitavano perché sapeva ballare e perché le volevano bene.
Non hanno avuto figli e ne hanno adottato uno. Stella è tornata in Italia prima del marito;
quando erano partiti in casa non c'era niente, ma nella nuova casa invece c'erano tutte le
comodità, persino due bagni e il telefono. Ha cercato anche di aiutare il prossimo perché
quando è tornata dal Canada negli anni sessanta a Cleto c'era ancora tanta fame. Al ritorno
in Italia quando ormai potevano vivere sereni e tranquilli suo marito si è subito ammalato
ed è morto. Ora vive sola, ma mi ha detto che si trova molto bene con i suoi vicini, infatti la
sua casa è aperta a tutti ed ha sempre qualcosa da dare ai bambini e agli adulti.
Anche a me Stella Vena ha dato qualcosa: quando la sentivo parlare pensavo al suo
coraggio, al suo grande amore per il marito, alla sua capacità di stare bene con gli altri
anche se estranei al suo modo di vivere. Forse questo tutti noi, oggi, dovremmo farlo con
altrettanta naturalezza e cordialità con chi emigra in casa nostra. Con altrettanta forza
vorrei lottare per il mio futuro che vedo incerto e difficile.
Ruperto Maria
Classe 3° C, Cleto
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Inizio il racconto di mio nonno Antonio. Egli emigrò nel 1968 in Francia nella città di
Lione. Sia il nonno che la nonna lavoravano in fabbrica e vissero lì per cinque anni.
Ritornati in Calabria e non trovando lavoro, il nonno si trasferì in Sicilia e lavorò come
potatore, ma qui si trattenne per poco tempo e decise di partire per la Germania dove ha
lavorato come muratore. Per me l'emigrazione è difficile per le usanze diverse, però una
volta inseriti è tutto un'altra cosa perché si comincia a stare bene.
Russo Orlando
Classe 2° A, Aiello C.
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Il nonno materno si chiama Gisberto Lepore, all'età di diciassette anni è stato costretto ad
emigrare in Germania, un paese che già allora offriva possibilità di lavoro maggiori rispetto
al nostro. Lavorava come muratore, otto mesi all'anno a Saarbrucken che era molto estesa.
Generalmente nel mese di novembre tornava a casa per ripartire a febbraio. La vita non era
certa facile, doveva fare i conti oltre che con i problema di tutto i giorni, con un clima molto
freddo a cui non era abituato. Mi ha raccontato che per andare a lavorare di mattina con i
vestiti puliti era costretto a lavarli di sera e l'indomani li rimetteva anche se erano ancora
bagnati. Di sera ritornava a casa con i suoi compagni di lavoro, cucinava gli spaghetti e
andava a letto. Trascorse quattro anni in questo modo, il tempo necessario per guadagnare
il denaro per poter costruire una casa nel suo paese di origine e sposarsi con mia nonna.
Man mano che passava il tempo, grazie ai suoi compagni, diventava sempre più padrone
della lingua tedesca, il che gli facilitava di molto le cose. Nel periodo in cui ritornava a casa
incominciò a mettere insieme mattoni e cemento finché la sua casa non fu finita. A questo
proposito la mamma mi ha raccontato che, quando mio nonno alzava le braccia per
intonacare il soffitto, gli cadevano quasi i pantaloni per terra tanto era dimagrito.
Purtroppo lavorava troppo e il cibo scarseggiava. Per colazione sua madre gli preparava
due sottili fette di pane con un formaggino. Nonostante ciò trovava il tempo di coltivare la
sua passione più grande, la musica. Infatti prendeva la sua vespetta e andava in un paese
vicino per imparare la fisarmonica. Per me è stato molto commovente scrivere tutto ciò ed
ancora di più ascoltarlo. E' inevitabile mettere a confronto la vita di un ragazzo di
diciassette anni di allora con quella di uno di oggi. Mi sono accorta di quanto siamo diversi
noi ragazzi: a diciassette anni molti di noi non sanno ancora cosa vogliono dalla vita, anche
se hanno tutti gli agi che sono proprio della nostra generazione. Finalmente mio nonno e
mia nonna si sposarono e dopo un breve periodo di riposo, il nonno ha dovuto fare di
nuovo le valige e ritornare in Germania. Mia nonna che era in attesa di mia madre,
coltivava l'orto per aggiungere con il ricavato qualcosa al bilancio familiare. Prima che
nascesse mia mamma il nonno ritornò a casa per ripartire qualche anno dopo. Questa volta
però trovò lavoro a Torino presso la Fiat. Mia nonna, restata sola con mia madre
incontrava delle difficoltà, così decisero di trasferirsi tutti a Torino. Mia nonna trovò lavoro
presso una sartoria, ma poiché il salario non era alto trovò lavoro in un ristorante.
Finalmente le cose incominciavano ad andare meglio, quando improvvisamente la sorella
di mio nonno morì e dovettero ritornare in Calabria dove vivono ancora oggi.
Questa è la storia di mio nonno materno, ma anche il nonno paterno da giovane ha
lavorato in Germania. Purtroppo adesso non c'è più ma racconterò lo stesso la sua storia
basandomi sulla storia di mia nonna. Si chiamava Francesco Sacco, era un uomo molto
alto e, dalle foto che ho visto, anche molto affascinante. Anch'egli, come l'altro nonno ha
dovuto fare presto le valige. Nel 1963 aveva ventisei anni e due bambini quando partì per
Monaco di Baviera dove ha lavorato in una cava di marmi. Intanto mia nonna restata a
casa con i figli andava a raccogliere le olive. E' inutile dire che era una situazione molto
stressante per lei. Poco dopo mio nonno si ammalò perché il lavoro che faceva non era
adatto a lui, dato che soffriva di una malattia respiratoria che in breve tempo si aggravò
proprio per la polvere che era costretto a respirare giorno dopo giorno. Nonostante ciò il
nonno cercò di resistere il più possibile prima di arrendersi. In seguito ritornò a casa,
purtroppo i suoi polmoni avevano subito un danno irreparabile e dopo un periodo di
sofferenze durato circa vent'anni, non gli ha più permesso di respirare. Mi sarebbe piaciuto
molto conoscerlo e mi da molto da riflettere l'esperienza da lui vissuta. E voglio porre
anche all'attenzione di chi ascolta, il fatto che mio nonno, per essere stato costretto ad
emigrare, abbia messe in pericolo e successivamente perduto la vita.
Sacco Ida
Classe 2° A, Aiello C.
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Il nonno materno si chiama Posteraro Adamo ed emigrò nel 1958 in Germania in quanto
aveva tre figli che studiavano e mia nonna non godeva di buona salute. In Germania trovò
lavoro in un impresa edile. Diverse furono le difficoltà incontrate fra cui la lingua e
l'alloggio. Infatti dovette dormire per diverso tempo nelle baracche. La lingua fu anche un
grosso problema, specialmente per un calabrese che a stento parlava un po' di italiano. La
cosa più brutta da sopportare fu la lontananza dalla propria famiglia, infatti mio nonno
non poteva tornare spesso in Italia per non consumare il denaro per il viaggio. Questi
sacrifici, comunque, hanno permesso a mio nonno di far studiare i suoi tre figli e di crearsi
una certa posizione economica. Tornò definitivamente in Italia dopo quindici anni.
Secondo me l'emigrazione è stato un problema che ha afflitto molte famiglie creando
problemi di diverso genere.
Sdao Francesco
Classe 2° B, Aiello C.
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All'età di venticinque anni mio nonno Vincenzo è emigrato in Germania con la moglie nel
1964. Trovò lavoro presso una ditta che costruiva canali per l'energia elettrica. Il salario era
di centoventi marchi a settimana, ma doveva lavorare ben dieci ore al giorno, perciò
ritornava a casa molto stanco. Anche mia nonna lavorava come domestica presso una ricca
famiglia, ma il lavoro non le piaceva perché doveva faticare molto e spesso veniva trattata
anche male, così decise di smettere. I miei nonni in Germania non rimasero per molto
tempo perché il nonno avvertiva la nostalgia dei suoi familiari e del suo paese, perciò se ne
ritornarono in Italia dopo circa quattro anni. Dopo qualche mese fortunatamente mio
nonno trovò lavoro e non ci fu più bisogno di emigrare. Secondo me la vita di allora era
molto difficile rispetto a quella di oggi e molte persone dovettero emigrare per poter
migliorare le proprie condizioni di vita. Io sono molto contento perché oggi i miei nonno
vivono con noi e mi auguro che ci restano per molto tempo.
Sicoli Geniale
Classe 2° B, Aiello C.
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Il nonno si chiama Sicoli Antonio e adesso ha l'età di sessantaquattro anni. Quando era
giovane partì per la Germania nel 1970 e si fermò a Emden, un paese molto tranquillo
simile ad Aiello. Faceva il manovale e percepiva trentamila lire al giorno. Mi ha raccontato
che era sempre preoccupato per la famiglia che era rimasta da sola in Calabria. In
Germania il clima era molto freddo e durante l'inverno la temperatura scendeva sotto lo
zero. Le persone con cui il nonno lavorava erano brave e serie. Nel tempo libero, puliva la
sua stanza, preparava il pranzo e poi andava a passeggiare con gli amici. Il nonno qui ha
lavorato tanto che in un determinato periodo era così dimagrito che addirittura i pantaloni
erano diventati molto larghi per il suo fisico. A me sentire queste cose è dispiaciuto molto e
ho finito per capire tante cose e per volere molto bene al nonno.
Sicoli Verusca
Classe 2° A, Aiello C.
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Io qualche volta vedo mia madre che è triste e le domando se si sente bene, lei mi risponde:
sto pensando a mia sorella che mi manca molto e vorrei fosse qui con me. Le vorrei
raccontare ciò che ho fatto e vorrei che venisse con me o a fare delle passeggiate, o la spesa,
o al cinema come fanno tutte le donne.
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Un giorno quando ero dai nonni, seduti vicino al focolare mi raccontarono la loro
esperienza di quando erano partiti per la Germania. Mio nonno Gennaro era giovanissimo
quando nel 1960 partì, iniziando un'altra vita in un ambiente diverso per lingua e cultura.
Il lavoro era estraneo alle proprie conoscenze in quanto era sarto e ora lavorava in ferrovia.
Qui però rimase poco perché la morte orribile di un suo compagno gli fece cambiare lavoro
e città. Vi rimase per ben ventisei anni lavorando in diverse fabbriche. Oggi i miei nonni
trovandosi nuovamente nel loro paese natale si rendono conto che i tedeschi erano precisi.
Qui, in particolar modo nel sud si deve lottare per sopravvivere. I nonni sposandosi nel
1963 misero su famiglia in Germania, ma dovettero rientrare in Italia per motivi di salute
di mia nonna portando con se i loro ricordi, la ricchezza di una cultura diversa e
all'avanguardia e le proprie tre figlie tra cui mia madre.
Anche mio padre Giuseppe è partito nel 2000 in quanto è stato, dopo anni di servizio in un
istituto per anziani licenziato ingiustamente. L'esperienza di mio padre mi ha reso
cosciente del fatto che i loro sacrifici servono a darci delle sicurezze che normalmente in
tempi difficili non erano permesse. Ora mio padre lavora vicino a Francoforte come
cameriere in una pizzeria - ristorante. Qui si trova bene, è soddisfatto e si sente realizzato
sia dal punto di vista del lavoro che del guadagno. L'unica cosa che lo rende triste è la
lontananza dai suoi figli e da sua moglie. La mia opinione sull'emigrazione è la seguente:
non c'è bisogno di partire se nel proprio paese si ha il diritto di lavorare e di essere
retribuito regolarmente. Lo Stato si dovrebbe far carico dei problemi dei propri cittadini,
permettere che rimangano vicino ai loro figli e nella loro patria per poi servirla, offrendo il
proprio contributo nel migliorare sempre di più lo Stato nell'industrializzazione,
nell'agricoltura e nelle scienze.
Vairo Antonio
Classe 3° C, Cleto
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Oggi siamo tutti riuniti per parlare dell'emigrazione ed io sono molto contento e felice di
raccontare la mia esperienza. Era un giorno d'autunno ed era mia abitudine guardare dalla
finestra, c'era uno dei tanti spettacoli che ci regala il paesaggio calabrese. Mi misi ad
osservarlo e così vidi morire un fiore e vidi una foglia toccare il suolo per un soffio di vento
e capii che tutto questo mi sarebbe mancato quando avrei lasciato la mia terra, ebbene si,
quello era il giorno della mia partenza, il giorno in cui avrei lasciato la mia famiglia e la mia
Calabria. Sono partito per cercare fortuna in Francia dove mi aspettava mio fratello. Salito
sul treno l'angoscia mi tormentava, non sapevo che cosa mi aspettasse una volta arrivato,
non sapevo se avrei trovato lavoro ed una casa, tutto questo mi preoccupava e pensavo al
significato di quella parola di cui tanto si sentiva parlare in quel tempo: Emigrazione.......!
Arrivato in Francia mi sentivo quasi perso in una grande città, ero arrivato infatti a Parigi
dove avrei trascorso la mia vita. Cominciai a lavorare dopo tre mesi in un'industria di
elettrodomestici e ricordo benissimo che quando dissi che ero calabrese si misero a ridere e
se ne andarono. Io rimasi stupito dal loro comportamento e non capivo perché non mi
trattassero come gli altri e mi chiedevo spesso se era per me un problema essere calabrese.
Passò il tempo ed io cominciai ad abituarmi a quel sistema di vita e feci delle amicizie.
Credo che sia inutile che racconti il resto della mia storia perché c'è solo da dire che alla
fine ho trovato casa e ho messo su una bella famiglia, tutto ciò però con molta fatica e
sofferenza.
Non so gli altri, ma io mi sono divertita nel fare questo tema anche perché si doveva
parlare con gli emigrati e per me non è una novità perché parlo molto spesso con i nonni e
mi piace curiosare nella loro giovinezza. Quando intervistai mio zio vidi in lui un'enorme
gioia per avere l'opportunità di parlare della sua esperienza. Ricordo che mi fece vedere la
sua valigia di quarantatre anni fa, quando per la prima volta lasciò la Calabria e mi disse
che quella era la valigia che portava tutta la sua esperienza di emigrante piena di
sentimenti tristi e allegri, di momenti indimenticabili e di sensazioni brutte e belle,
insomma mi disse che questa volta poteva chiudere quella valigia con la soddisfazione di
aver fatto conoscere la sua storia a tutti con la speranza che un giorno non esista più la
parola emigrazione.
Vairo Valentina
Classe 2° C, Cleto
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Devo tanto ringraziare gli organizzatori di questo concorso perché grazie ad esso ho potuto
conoscere una parte della storia della mia famiglia e del mio paese. Il nonno mi ha
raccontato che nel mese di marzo del 1961 l'ufficio provinciale del lavoro fece richiesta a
Cleto di manodopera da inviare in Germania. Fra tanti lavoratori che partirono c'era anche
Gennaro Milito, mio nonno. Aveva ventuno anni e il cuore ricco di sogni gli permise di
lasciare i genitori, gli amici e la terra dove era nato.
A Cosenza fu sottoposto a visita medica e mandato a Napoli, dove in mezzo a tanti
lavoratori italiani conosce i primi tedeschi che formavano la seconda commissione medica.
La Germania aveva bisogno di una massiccia ricostruzione e serviva gente sana e forte.
Furono necessari tre giorni di permanenza, e finalmente si parte per la Germania, con un
treno chiamato "speciale", perché tutto pieno di emigranti. Mio nonno ricorda la strana
sensazione di viaggiare in questo treno, con tutte le facce un po' tristi, un po' speranzose, di
uomini poveri ma fieri di compiere un atto necessario per la loro vita e quella delle famiglie
rimaste ad aspettarli. Nella prima fermata a Verona ricevettero un sacchetto con generi di
prima necessità, ma lungo il transito in Austria scorgono dai finestrini operai che
lavoravano a petto nudo con i piedi nella neve. Impauriti dalla prospettiva che potesse
capitare anche a loro, si fanno coraggio riparlando del caldo e della bellezza delle terre
lasciate al sole del Mediterraneo.
Arrivati in Germania, gli italiani che erano insieme a mio nonno, vengono sistemati in
baracche e iniziano la loro nuova vita di lavoratori tedeschi dentro una fonderia. Il lavoro
era duro e l'ambiente malsano. Non conoscendo la lingua spesso venivano maltrattati dai
vigilanti che urlavano in tedesco ordini incomprensibili. All'inizio non era facile
comprendere bene i nuovi soldi e avevano grandi difficoltà a fare la spesa. All'inizio si
ammalavano spesso perché non erano abituati a quel lavoro e a quel clima ed era un
problema dover spiegare al medico che cosa si sentivano e capire cosa prescriveva. A volte
veniva forte la voglia di tornare ma molti di loro sono rimasti con la forza della speranza. A
poco a poco sono riusciti a parlare un poco di tedesco, ad ambientarsi e ad avere i primi
contatti positivi con gli abitanti del luogo. Nonno dice che proprio questo è stato il fatto che
più li ha aiutati, la comprensione e l'amicizia di qualche tedesco, che io ringrazio dal
profondo del cuore.
Oggi, ogni volta che mi capiterà, anch'io farò lo stesso con gli stranieri che vengono nel
nostro paese in cerca di lavoro e che spesso vengono respinti con sospetto e con l'idea che
vengono a rubare o che sono sporchi e cattivi. Penso che per la maggior parte si tratta di
povera gente, che anche loro hanno dovuto lasciare la famiglia, che non capiscono la lingua
e sentono le nostre imprecazioni contro di loro e che hanno nel cuore la stessa tristezza e la
stessa speranza di mio nonno.
Veltri Luana
Classe 1° C, Cleto
Appendice
Concorso
"I Nonni raccontano l'Emigrazione"
Il concorso si rivolge agli studenti delle classi 4° e 5° della Scuola Elementare e alle classi
1°, 2° e 3° della Scuola Media dell'Istituto Comprensivo di Aiello Calabro (CS).
Gli studenti sono invitati a partecipare, in collaborazione con nonni, parenti e conoscenti
che hanno vissuto o vivono l'esperienza dell'Emigrazione, a scrivere le loro testimonianze
illustrandole con fotografie o fotocopie, con lettere, cartoline, disegni e poesie.
Gli elaborati, in unica copia, dovranno essere consegnati entro e non oltre il 30 aprile 2001
alle Coordinatrici:
Ada Belmonte - tel. 0982/44034
Franca Belmonte - tel. 0982/43062
della Scuola Media di Aiello Calabro.
Un'apposita Commissione esaminerà gli elaborati.
Sono previsti premi per i concorrenti che si classificheranno al 1°, 2° e 3° posto, sia agli
studenti che a coloro i quali hanno collaborato con essi e un attestato di partecipazione per
tutti.
La Commissione si riserverà il diritto di assegnare ulteriori premi.
La data della premiazione sarà il 5 giugno 2001.
L a Responsabile
Livia NACCARATO
Tel. 06/5780555
Il giorno 5 giugno dalle ore 10.00 alle ore 12.30 si è tenuta presso l'Istituto Comprensivo di
Aiello Calabro, in un clima di commozione e festosità, la premiazione del concorso "I
Nonni raccontano l'Emigrazione".
La manifestazione è pienamente riuscita, sia per la presenza totale dei partecipanti al
concorso e sia per quella dei genitori e nonni. Sono stati presenti inoltre i sindaci di Aiello
Calabro, Cleto e Serra d'Aiello che costituiscono l'Istituto Comprensivo di Aiello Calabro, il
Dirigente Prof. Marino Cataldo, gli insegnanti, e tre rappresentatati dello SPI-CGIL di
Cosenza, Antonio Goffredo, Antonio Sommaria e Carmine Azzaro.
L'iniziativa è stata ampiamente pubblicizzata da "Il Quotidiano della Calabria".
Telegramma dell'Unione Nazionale Scrittori.
A Livia Naccarato
Via Nuova 6
87031 Aiello Calabro
Cara Naccarato esprimiamo nostre vive congratulazioni per successo iniziativa culturale "I
Nonni raccontano l'Emigrazione". Un sentito ringraziamento al Dott. Francesco Iacucci,
Sindaco Aiello Calabro e Prof. Marino Cataldo Dirigente Istituto Comprensivo di Aiello
Calabro anche a nome Organi Sociali Unione Nazionale Scrittori.
Massimo Nardi
Segretario Generale Unione Nazionale Scrittori.
A Livia Naccarato
Via Nuova 6
87031 Aiello Calabro
Il Concorso
Le Scuole che hanno partecipato:
Scuole Elementari:
* Scuola Elementare di Aiello Calabro
* Scuola Elementare di Cleto
* Scuola Elementare di Serra di Aiello
Scuole Medie:
* Scuola Media di Aiello Calabro
* Scuola Media di Cleto
Diplomi di Merito
Aloe Sabrina, 4° Classe Serra di Aiello
Giampà Antonietta, 5° Classe Serra di Aiello
Franchini Elisa, 4° Classe Cleto
Valeria Isabella, 5° Classe Cleto
Cuglietta Gessica, 4° Classe Aiello C.
Lepore Maria Grazia, 4° Classe Aiello C.
Marghella Celestina, 4° Classe Aiello C.
Nicastro Albachiara, 4° Classe Aiello C.
Vercillo Settimio, 5° Classe Aiello C.
Diplomi di Merito
Lepore Debora, 1°C Cleto
Rino Federica, 1°C Cleto
Vairo Valentina, 2°C Cleto
Ruperto Maria, 3°C Cleto
Astuto Veronica, 3°B Aiello C.
Bossio Katia, 3°A Aiello C.
Sacco Ida, 2°A Aiello C.
Diplomi di Merito ai Nonni
Sono stati, inoltre, conferiti Diplomi di Merito a tutti gli Insegnanti che hanno partecipato
al Concorso.
A tutti gli alunni che hanno partecipato è stato conferito un Attestato.
La Giuria
1° CLASSIFICATA Triestino Giuseppina, Classe 1°A
Scuola Media Aiello C.
La Giuria
Conclude il lavoro svolto il Prof. Poeta Mario Pucci con la sua poesia
Sui marciapiedi
della ferrovia
dinanzi a un cielo
azzurro di speranza
uomini grigi
con la barba lunga
e il portafoglio
pieno di Madonne
e con la giacca
pendula sul braccio
ancora umida
di ferro da stiro
intriso del calore
delle braci,
con sguardi ancora
tiepidi di lacrime
versate in casa
per l'amaro addio,
attendono,
la coppola sul capo,
il sibilo d'un treno
che raccoglie
mille valigie
strette da uno spago
con occhi
che traboccano di sole.
E vanno gli emigranti
verso terre
dove la luna
naviga tra stelle
ignude, fredde
e forse senza amore.
Mario Pucci