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Shozo Shimamoto, Whirlpool, Nishinomiya, 1967. Pittura su tela, 93 x 118 cm. Fondazione Morra.
della potenziale vittima; non pronunciandola, non riesce a dare a tale sofferenza la dignit di un nome. pi semplice nominare altri gravissimi reati, nel codice ce ne sono di tutti i tipi e gravit; pi semplice dire strage, genocidio che dire tortura, perch questo nome ci interroga direttamente. Interroga il potere delluomo sullaltro uomo allinterno della radicale asimmetria di chi indaga in nome della collettivit e chi indagato, fosse anche di reati gravissimi, di chi ha il potere legale della forza e che lha usata illegalmente. In tutti questi anni la parole tortura stata relegata in ambiti distanti dal nostro, perch riguardava conflitti in regioni lontane da noi o consuetudini repressive che riandavano a un passato sulla cesura dal quale il nostro presente stato costruito. Ma, espunto dal dizionario e dalle norme, il termine tornato a presentarsi nello spazio e nel tempo a noi vicino, spesso attraverso le parole delle sentenze che con esso hanno qualificato quegli atti di violenza che dovevano sanzionare. La parola cos presente nella descrizione dellazione repressiva compiuta da pubblici ufficiali a Genova nel 2001, cos come a Napoli nello stesso anno, e anche nella qualificazione di violenze operate allinterno dellistituzione carceraria, per esempio ad Asti. Luoghi familiari, tempo presente, descrizioni che sono esito di indagini e trovano conferma nelle sentenze: anche se queste, pur ampie nella parte in cui la tortura denotata attraverso precise enunciazioni, sono necessariamente insufficienti quando devono connotare quegli atti perch lassenza della tortura nel codice costringe a qualificarli in altro modo, con figure di reato pi deboli. Quelle descrizioni hanno comunque una potenza, nel nominare fatti, situazioni, comportamenti e nel riassumerli con il termine tortura, anche maggiore di quanto immagini di maltrattamenti, di abusi gravissimi e di violenta offesa alla dignit ci hanno fatto vedere nei primi anni di questo nuovo secolo, nei comportamenti dei soldati della grande democrazia americana in Iraq. Perch le immagini di Abu Ghraib, che prepotentemente sono entrate nella quotidianit familiare attraverso i vari media, hanno s fatto comprendere che la tortura non qualcosa del lontano passato o qualcosa che riguardi regimi dittatoriali; hanno fatto vedere che esiste ed pronta a riproporsi. Ma, al contempo, hanno quasi determinato unassuefazione a tale pratica o quanto meno lhanno fatta riemergere come una delle opzioni, negative ma possibili: lambiguo dibattito che si sviluppato oltreoceano sulla sua possibilit in si27
tuazioni estreme, o sulla necessit di una sua regolamentazione, ha del resto coinvolto taluni giuristi di tradizione democratica e ha anche attraversato lAtlantico. Soprattutto, le immagini non hanno la forza della ricostruzione del contesto, del restituire le idee e gli atteggiamenti di coloro che sono responsabili di quegli atti, del dare un quadro della cultura di cui sono espressione e delle posizioni di chi ha responsabilit. Questo lo si trova nel testo delle sentenze: testo un nome che ha come etimo tessuto, e un testo restituisce le trame dei fili che, come in un tessuto, si interconnettono tra loro fino a formare un tutto omogeneo, una descrizione compiuta che ci fotografa non solo latto, ma anche il suo contorno, cio la situazione in cui esso si compiuto. Cos la parola tortura, nominata nelle sentenze, acquista la connotazione definita e coinvolge non solo i diretti responsabili, ma anche coloro che sono parte del contesto in cui essi operano: descrive il luogo materiale, culturale e sistemico in cui essa si concretizza e pone cos interrogativi che non possono essere elusi col ricorso alla tradizionale formula delle mele marce. Le sentenze hanno quindi dato la possibilit, al di l delle stesse narrazioni delle vittime, di nominare la tortura e i suoi aspetti in modo compiuto. Nel caso italiano, quella di Genova, quella di Asti, ma anche quella della Corte europea per i diritti umani che ha condannato il nostro paese per i respingimenti operati in alto mare, senza la garanzia del riconoscere le eventuali persone che fuggivano da persecuzioni e guerre, e soprattutto rimandandole verso luoghi dove il rischio di maltrattamenti e torture era concreto. Per questo possibile e importante costruire attorno a questa parola altre parole, dando nomi a comportamenti e atti, e costruire un lessico che avvii loperazione positiva di nominare le cose. Un lessico il sedimentato di un insieme di riflessioni rivisitate attraverso loperazione che, connotando singoli comportamenti o azioni con un nome, costruisce la trama complessiva di significati che ruota attorno a tale pratica. Come non vedere, per esempio, lo stridore tra il nome waterbording, con cui lex presidente George W. Bush ha definito una pratica estremamente violenta dinterrogatorio, e la sua pretesa di non considerarla atto di tortura? Il nome di per s significante. Purtroppo per lo stesso lemmario proposto dalle pagine di questo libro ha il difetto intrinseco di ogni vocabolario: un insieme aperto, pas-
sibile di ampliamenti, di evoluzioni. Questa caratteristica, che nel caso della lingua indice della sua potenzialit, del suo continuo aprirsi a modifiche e nuove articolazioni, nel caso del dizionario della tortura indice di nuovi rischi su cui occorre vigilare continuamente. In anni recenti, infatti, abbiamo familiarizzato con nuove parole, spesso mutuate dal loro originale inglese, che hanno descritto il precipitato culturale di azioni condotte sotto lenfasi di una lotta meramente militare al terrorismo internazionale. Nel lessico entrata cos la locuzione blacksites, direttamente, senza traduzione, per indicare luoghi illegali e oscuri di detenzione, dove alcune persone sono state trattenute al di fuori di norme e controlli, nellambito di operazioni in cui si andavano mescolando le responsabilit di servizi segreti ufficiali e quelle di corpi paramilitari illegali. Ugualmente oscuri sono stati alcuni voli su cui le istituzioni europee hanno successivamente indagato, definiti con aggettivo segreti proprio a indicare la possibilit per gli aerei di non avere segni di riconoscimento; eppure potevano atterrare e ricevere dagli Stati assistenza e rifornimento di carburante, senza il dovuto controllo su quanto quegli aerei stavano trasportando: spesso persone arrestate o anche rapite, in transito verso paesi dove poterle interrogare al di fuori e al di l delle regole internazionali. Operazioni, queste, chiamate renditions altro termine inglese entrato prepotentemente nel nostro lessico , tenute assieme da una caratteristica comune: il trasferimento di persone da una giurisdizione a unaltra o da uno Stato a un altro, al di fuori delle ordinarie procedure giudiziarie e senza le garanzie e i controlli che queste comportano. A questo nome si spesso aggiunto un aggettivo che tuttavia non ne d unadeguata connotazione, data la sua genericit: laggettivo extraordinary. Questo ne indica soltanto leccezionalit, ma aveva e ha un diverso valore semantico nel contesto delle renditions perch sta a indicare un trasferimento verso un paese dove chiaro il rischio che la persona sia sottoposta a tortura o a trattamenti o pene inumane o degradanti, essendo ben noto per simili pratiche nei confronti di alcune categorie di detenuti. A frenare lattenzione delle organizzazioni non governative e delle istituzioni di controllo si coniata unulteriore locuzione: garanzie diplomatiche, per indicare una sorta di scambio di lettere dintenti attraverso cui uno Stato, che voglia trasferire una persona verso un paese ove noto il rischio di tortura o altri simili trattamenti, chiede alle autorit locali garanzie affinch la persona trasferita non sia sottoposta a tali pratiche. Ovviamente non si tratta di strumenti giuridicamente vincolanti, n gli Stati sono chiamati a rispondere in concreto della eventuale successiva inosservanza di quanto garantito; non solo, ma la richiesta di garanzie specifiche per il trasferito finisce col retroagire come conferma delle violenze operate sugli altri. Questi e altri sono nuovi nomi e nuove locuzioni cui abbiamo finito per abituarci, ed bene tenerli chiari nel nostro lessico mentale quando ragioniamo di tortura nella nostra contemporaneit. Soprattutto sono la prova dellevoluzione linguistica che accompagna i fenomeni, anche quelli delle violenze istituzionali. Per questo la ricostruzione di nomi e azioni corrispondenti, di significanti e significati, non un esercizio logico; il modo concreto per leggere il senso complessivo di un agire e le culture che lo sorreggono. E restituisce a noi quelligiene minima che il dare nome alle cose porta sempre con s. Tratto dalla postfazione del libro di Patrizio Gonnella, La tortura in Italia. Parole, luoghi e pratiche della violenza pubbblica, DeriveApprodi, febbraio 2013
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La tortura democratica
Come si faceva ai bei tempi
Sergio Segio
l tema della tortura fa parte dellindicibile, abita il regno dellopacit e del segreto, della paura e della vergogna. Sfugge non solo alla denuncia della cronaca e allanalisi della saggistica, ma anche al racconto del cinema e della letteratura, per rimanere confinato nella memoria ferita del torturato e nella distratta ripetitivit del torturatore, spesso saldate in un paradossale e opposto silenzio. La tortura esiste allorch la persona viene ridotta a cosa, precondizione affinch il carnefice, che normalmente abita nei ripostigli dello Stato, vesta o meno una divisa, possa e riesca a sua volta a disumanizzarsi infliggendo dolore e umiliazione a un corpo svuotato di ogni traccia di umano. Arriva ora dalleditore DeriveApprodi un testo importante, per lapproccio rigoroso e documentato e per lesperienza dellautore, Patrizio Gonnella, presidente dellassociazione Antigone: La tortura in Italia. Parole, luoghi e pratiche della violenza pubblica. Un testo maggiormente benvenuto poich la pubblicistica in argomento si conta sulle dita delle due mani. Il quadro ancora pi desolato per quanto riguarda questo fenomeno in relazione al conflitto degli anni Settanta, anche su questo vittima di una inesorabile e nemmeno pi percepita damnatio memoriae. Un aspetto che lo stesso Gonnella ha scelto di non approfondire. Cos che, su questo specifico, il riferimento pressoch unico rimane un volume dato alle stampe quindici anni fa, Le torture affiorate (Sensibili alle Foglie, 1998). La notte sono entrati in cella alcuni incappucciati e uno a viso scoperto mi hanno ordinato di alzarmi mi hanno legate le mani dietro la schiena non mi sentivo pi circolare il sangue mi hanno bendata e incappucciata fatta uscire a ogni mio cedimento mi tiravano su per i capelli mi hanno messa su un pulmino dove cerano due uomini credo almeno perch erano due le voci che distinguevo mi hanno detto urlando che ero in uno stato di illegalit ero sequestrata nessuno sapeva del mio arresto se non parlavo di me avrebbero trovato solo un cadavere siamo partiti e subito mi hanno tolto tutti gli indumenti di sopra e hanno cominciato a picchiarmi con botte sulle cosce ai fianchi sullo stomaco sulla schiena e iniziato a palparmi e tirarmi il seno e i capezzoli inveivano contro di me dicendo che ero una stronza e una terrorista e che avevo tutto da perdere a fare la dura. Ci che stato reso invisibile dai media, occultato da politici e magistrati e trascurato da storici e ricercatori, raramente e meritoriamente riemerge, come in questo caso, nellespressione artistica (Nanni Balestrini e Gianfranco Baruchello, Girano voci, Frullini, 2012), avendone avuti drammatici spunti nelle testimonianze dei seviziati. Come quella di uninfermiera di Roma accusata di avere curato un brigatista ferito: Un paio di giorni dopo il mio arresto, la notte fra il 3 e il 4 febbraio, incappucciata dietro la schiena, vengo caricata su un pulmino. Mi urlano che nessuno sa del mio arresto e che mi devo considerare sequestrata. Mi mettono a torso nudo, mi picchiano e mi stringono i capezzoli. Arriviamo non so dove, in una stanza. Vengo denudata completamente. Mi insultano dicendo che sono una merda, una puttana, una lesbica. Continuano a stringermi i capezzoli. un dolore fortissimo. Mi passano delle cose calde sotto. In vagina e nellano. Mi danno calci in vagina. Mi fanno fumare una sigaretta che subito mi annebbia il cervello. Mi ritrovo in un pozzo di urina. Da quel momento ho iniziato a dire tutto quello che volevano sapere da me (il racconto riportato dai quotidiani Lotta Continua del 21 febbraio 1982 e Il Manifesto del 12 marzo 1982). Ora, a distanza di oltre trentanni, la verit soffocata torna a galla nellinedita confessione di uno dei torturatori dellepoca, lex commissario Salvatore Genova: Io sono fuori per degli arresti
Shozo Shimamoto, Felissimo 014, Kobe, 2007. Acrilico su feltro, 200 x 200 cm. Fondazione Morra.
e quando rientro in questura vado allultimo piano. Qui, separati da un muro, perch potessero sentirsi ma non vedersi, ci sono Volinia e la Arcangeli. Li sta interrogando Fioriolli, ma sarei potuto essere io al suo posto, probabilmente mi sarei comportato allo stesso modo. Il nostro capo, Improta, segue tutto da vicino. La ragazza legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle gambe. Ha paura per s ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie (intervista a cura di Pier Vittorio Buffa, in LEspresso, 9 aprile 2012). Si tratta di un documento che non per nulla esagerato definire storico. Per la prima e al momento unica volta un torturatore ammette nei dettagli le violenze commesse su arrestati; rivela i nomi dei complici e quelli dei mandanti. Un documento che avrebbe dovuto dar luogo a inchieste giudiziarie e riempire le prime pagine dei giornali. Manco a dirlo, la risposta stata un fragoroso ed eloquente silenzio. La crepa nel muro di gomma dellomert di Stato stata prontamente richiusa. Torture di Stato ha titolato correttamente il servizio LEspresso. E lo Stato non pu essere inquisito o accusato. N possono essere smentiti quei magistrati, oggi divenuti paladini di certa sinistra, che hanno sempre ripetuto la litania bugiarda che il terrorismo stato sconfitto senza forzature e nei confini della legge. Invece, in questo paese, in quegli anni c stata una guerra sporca, simile a quella che lo Stato spagnolo ha combattuto contro gli indipendentisti dellEta anche a colpi di squadre speciali incaricate di azioni illegali, di torture, sequestri, omicidi. Ora tutti hanno saputo che lo Stato italiano aveva delegato la difesa della democrazia a un dirigente della questura messo a capo di una squadra di torturatori e soprannominato manzonianamente dai suoi superiori Professor De Tormentis, al secolo Nicola Ciocia, e ai suoi tanti e improvvisati emuli. Un signore che oggi si gode impunito e decorato la pensione, che si fa intervistare con un busto di Mussolini sulla libreria e che dichiara: Io sono fascista mussoliniano (Corriere della Sera, 10 febbraio 2012). 28
Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano quei magistrati che hanno riempito le pagine dei giornali con le loro bugie sul rigoroso rispetto delle regole democratiche nella lotta contro il terrorismo. Sarebbe doveroso che qualcuno, giudice o giornalista, andasse oggi dallex ministro degli Interni Virginio Rognoni a chiedere conto delle sue affermazioni in sede di risposta alle interrogazioni parlamentari sui casi di tortura. Nella seduta del 18 febbraio 1982 il ministro dichiarava in aula: Appare imprescindibile un dovere: il dovere, e insieme il diritto, di riaffermare una verit, che il governo ha condotto, conduce e condurr sempre la lotta al terrorismo nellambito della legalit repubblicana e con tutte le garanzie democratiche. Analoghe le esternazioni di molti politici e magistrati di quel tempo, a partire dal presidente del Consiglio Giovanni Spadolini che defin gli episodi di tortura come palesemente inverosimili, arrivando a ipotizzare che la denuncia delle sevizie fosse una strategia messa in campo dalle organizzazioni armate come ultima carta per accreditare limmagine di uno Stato torturatore e seviziatore, tendenzialmente autoritario. Simile la posizione assunta da Domenico Sica, procuratore a Roma, secondo il quale le torture erano da considerarsi una campagna orchestrata dai terroristi per screditare la polizia. Del resto proprio quel magistrato, allepoca dei fatti, si trovava a interrogare gli arrestati pochi giorni dopo le sevizie, senza naturalmente accorgersi di nulla. Per il sottosegretario allInterno, il democristiano Marino Corder, si trattava di schiocchezze enormi. Falsit. Prodotto di fantasia pura. Ancora pi ciniche le dichiarazioni di un altro sottosegretario agli Interni, il socialista Francesco Spinelli, che affermava: Non mi risulta che sia mai morto nessuno, n che qualcuno abbia riportato lesioni gravi. Non penso si possa dire che in Italia ci sono torture di tipo sudamericano. Diciamo che nei confronti degli arrestati ci sono stati trattamenti piuttosto duri, ma sono cose che capitano nelle polizie di tutto il mondo. Perfino lex partigiano Sandro Pertini avall queste ricostruzioni bugiarde. Insomma, si trattava di torture democratiche. Le tecniche, spesso, erano invece esattamente di tipo sudamericano, come nel caso dellarresto
di due militanti di Prima linea a Tuscania. Una tecnica raccontata dal quotidiano Lotta Continua del 9 febbraio 1982: Nelloperazione che port allarresto dei rapinatori a Tuscania i due catturati che furono oggetto di un tentato linciaggio ripreso da tutti i giornali e trasmesso dalle televisioni non erano i due terroristi ma due carabinieri, alluopo travestiti per giocare la parte, per confondere quelli ancora in libert e per poter interrogare immediatamente, in luogo discreto, i due catturati. Come si svolse quellinterrogatorio lo raccont poi uno dei due torturati e temporaneamente desaparecidos, Gianfranco Fornoni, in una lettera pubblicata da Controinformazione nellaprile 1982 e in un esposto presentato alla Procura della Repubblica l8 febbraio dello stesso anno e, naturalmente, ignorato come tutte le altre denunce analoghe. Queste erano le garanzie democratiche offerte ai sospettati di lotta armata in quegli anni. Garanzie da Garage Olimpo. Questo tipo di violenze, va detto, nella storia delle carceri e delle caserme italiane, prima e dopo quelle vicende, sono spesso successe. Ma la peculiarit quella sottolineata nel 1982 dallonorevole Marco Boato: E la prima volta che la tortura viene denunciata come pratica sistematica, senza suscitare, salvo rarissime eccezioni, n proteste, n condanne, n inchieste amministrative. Luso non episodico della tortura in Italia negli anni Settanta e Ottanta dunque una nonnotizia che stata gelosamente custodita nelle stanze del potere e nei cassetti delle redazioni da oltre trentanni. Come racconta lex commissario Salvatore Genova, poi eletto deputato, la squadra dei torturatori diretta dal questore Nicola Ciocia fu costituita nel 1978, dopo il sequestro Moro. Una decisione presa a livello ministeriale, afferma lo stesso Genova. Dunque, dallallora ministro Francesco Cossiga che nella sua strategia contro il terrorismo era sostenuto e affiancato da un altro ministro degli Interni, quello cosiddetto ombra del Partito comunista italiano, Ugo Pecchioli. Sono dunque stati ministri degli Interni democristiani ad accettare o addirittura a ordinare le maniere forti sui militanti arrestati, ma senza il consociativismo del compromesso storico non avrebbe potuto avere luogo quella sistematicit e impunit della tortura. Tra i pochissimi, solo un vecchio dirigente della sinistra come Emanuele Macaluso ha avuto il coraggio di ammettere le coperture e le reticenze: Negli anni di piombo la sinistra abbass la guardia, anzi chiuse gli occhi davanti ad autentici pestaggi che si verificarono nelle carceri. Parlo di cose che conosco bene e bisogna riconoscere che allora, tranne Il Manifesto, non reag nessuno. In quegli anni la sinistra non soltanto avall la legislazione emergenziale, ma non pronunci neanche mezza parola per protestare contro episodi di autentica vergogna (La Stampa, 7 novembre 2001). Ci fu possibile perch esistette una collaborazione stabile tra gli apparati del Pci e quelli dello Stato in funzione antiterrorismo; peraltro andrebbe ricordato che tutti i vertici dei servizi segreti e dei carabinieri con i quali collaborava Ugo Pecchioli in quegli anni erano affiliati alla P2 di Licio Gelli. Lo ricorda lo stesso Pecchioli in un suo libro (Tra misteri e verit. Storia di una democrazia incompiuta, Baldini & Castoldi, 1995), ma lo riferisce anche uno che allora partecipava attivamente a quegli informali e segreti connubi, Giuliano Ferrara: Contro le Br facevamo gruppo unico: Caselli, Ugo Pecchioli, il segretario della Federazione di allora Renzo Gianotti, il sindaco Diego Novelli e io. Ci riunivamo, discutevamo. Cera una fusione tra ruoli: il Pci si era fatto Stato (Panorama, 11 luglio 1996). Uno Stato torturatore, ci ricorda ora LEspresso.
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Shozo Shimamoto, Time Rack, Nishinomiya, 1986. Pittura su tela, 417 x 216 cm. Fondazione Morra.
menti aggravati, scrive la Corte di cassazione, adita dal procuratore; ma anche questo prescritto e dunque inutile pronunciarsi. Come a dire: stiamo discutendo del nulla, perch in Italia la tortura esiste nei fatti ma non nella legge. 3. quasi superfluo precisare che questa situazione in contrasto con le norme europee e internazionali in materia. La Corte di Strasburgo ha pi volte precisato che il rispetto dellarticolo 3 della Convenzione europea dei diritti delluomo comporta che, a fronte di notizie circostanziate di tortura, le autorit giudiziarie siano in grado di identificare le condotte contrarie a questultimo, di punirne adeguatamente i responsabili e di riparare il danno subto dalle vittime (e dunque che dispongano di strumenti adeguati allo scopo). Quanto alla Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite, questa tutta finalizzata ad assicurare unazione statale di contrasto di tale fenomeno che sia particolarmente energica, a 29
evitare che la tortura sia trattata come un reato di routine. Chiamare la tortura con il proprio nome, anche nella legge penale, pertanto il minimo che si possa fare. La soluzione consistente nellapplicazione alla tortura di fattispecie di reato generiche soluzione sulla quale il nostro paese insiste da anni invece funzionale a una sottovalutazione della gravit del fenomeno e, in definitiva, alla sua rimozione. Si aggiunga che il rispetto dellinsieme degli obblighi di repressione della tortura previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite, a cominciare da quello di prevedere sanzioni penali adeguate alla gravit dei comportamenti, a essere reso di fatto impossibile dallassenza di una previsione specifica. 4. Occorre peraltro riconoscere basta allargare un po lo sguardo che il problema non solo italiano. Molti paesi, in verit, hanno un reato specifico di tortura nel proprio ordinamento, e alcuni hanno introdotto norme importanti sulla cosiddetta giurisdizione universale, sullindispo-