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cinepotere/CAPITALISTI A METROPOLIS
horrorpolitics/FAMIGLIE DE(GENERI)
numero
15 dicembre 2009
18 icone di celluloide /DJANGO
Quello che avete iniziato a sfogliare è l'ultimo numero di BILLY del 2009, che esce tre settimane
dopo il precedente grazie a disdicevoli contrattempi che elevano la legge di Murphy ad assioma
universali e che resteranno nelle segrete stanze redazionali. Ci trovate un ventaglio di argomenti
e scritture che dovrebbero rendere sazi tutti gli appetiti. Ne è uscito un numero senza agganci
locali e senza agganci telematici. Entriamo durante le vacanze in cantiere per prendere un
formato più stabile. Ci si vede tra un mese circa. Nel frattempo uscirà qualcosa di riassuntivo
sull'anno cinematografico 2009, probabilmente nei primi giorni del 2010. Sono propositi un po'
vaghi, ma è anche l'aria dei tempi. Buone visioni.
In copertina Gene Kelly e Cyd Charisse, foto di scena di Cantando sotto la pioggia
(Gene Kelly, Stanley Donen, 1952)
2 BILLY
DOMANIaccadrà
appuntamenti in sala
Polpette elementari
La battaglia del cinema di Natale è in vista.
Centinaia di pellicole sono ammassate dai
grandi multiplex alle piccole monosale
sperdute. Per titillare l'interesse dei quattro
milioni che compreranno il biglietto l'offerta
è grosso modo la solita. Ma questo non ci
impedisce di tentare una mappa delle uscite
dal 18 dicembre all'inizio di gennaio 2010.
La prima scelta, se appartenete alla
disdicevole moltitudine che frequenta una
sola cinematografica la sera del 24 o del 25,
è comunque Sherlock Holmes (Guy Ritchie,
2009, 139', nelle sale dal 25 dicembre) con
Robert Downey jr., Jude Law e Rachel
McAdams. Il più famoso investigatore
privato della storia della letteratura viene
riletto, con una punta di coraggio,
immergendolo in una Londra satura e
digitalizzata (alla stregua del recente Dorian
Gray) e cercando di riproporre i personaggi
liberati dal canone classico. Ritchie è un
regista alterno ma gli attori sono solidissimi
e promettono un grande spettacolo.
Subito dietro, in particolare se avete una
prole da soddisfare, a ranocchi, bambini
volanti, cani fedeli, rigurgiti di canti natalizi e
vecchietti su case volanti andrete sul sicuro
con Piovono Polpette (Phil Lord, Chris Miller,
90', esce il 23 dicembre), film animato
targato Sony anche in 3D, con un giovane
scenziato che scopre il modo per fare
piovere cibo senza pensare alle
conseguenze. Grazie anche a un inusuale
disegno un po' spigoloso la pellicola è una
gradevole apocalisse in una scenografia che sarebbe piaciuta alla cattiva di Hansel e
Gretel. Se poi riuscirete a scansare la quasi totalità delle sale e i pieraccioni e le ferilli che
le popoleranno ci sono anche Amelia, Brothers e Il canto delle spose. Valgono la pena di
essere visti se avrete ancora tempo e spazio.
Ilario Gradassi
BILLY 3
visioniRUSSE
il cinema oltre il Volga
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ma allora perché l’intervento della rigida censura sovietica? In primo luogo,
essa era spaventata dalla lucida ed attualissima riflessione sulla natura del
Potere, davanti al quale non c’è distinzione tra “buoni” (zar Ivan – popolo
russo Stalin) e “cattivi” (Boiardi – nemici del popolo – Trotzkij), ma
l’impietosa analisi di come esso sia solo portato, con ogni mezzo ed all’ombra
di ogni bandiera, a cercare la propria perpetuazione. In secondo luogo l’opera
(caratterizzata non a caso da una forte teatralità) è imbevuta di spirito
shakespeariano: Ivan rappresenta Stalin almeno quanto rappresenta gli eroi,
sofferti e contrastati, delle più grandi opere di Shakespeare. Lo zar russo è un
Riccardo III, un Macbeth alla fine vincenti, ma a quale prezzo! E’ un Amleto
che in ultimo non muore, ma che ha creato il vuoto attorno a sé (vuoto sia di
familiari che di amici: soltanto i sudditi – i “cani” – gli sono rimasti), e che
finisce per grandeggiare in maniera tragica nella sua profonda solitudine. Se
tutto ciò può apparire in parte giustificato nel nome della “santa causa della
Russia”, l’impressione generale è che siano, alla fine, la spietatezza e la
crudeltà gelide della “ragion di Stato” ad avere trionfato. A questo proposito
Ejzenstejn è un vero maestro nella creazione delle atmosfere. Per la
descrizione dello spirito subdolo, caratterizzato dal perenne strisciare
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nell’ombra, delle corti – luoghi del tradimento e delle congiure (Stalin ne era
ossessionato) per eccellenza, Ejzenstejn ricorre: 1) ad un’ambientazione
costruita su scenografie altamente suggestive, dove alla grandiosità di certe
scene (quasi tutti interni) si contrappone la chiusura quasi claustrofobica di
altre; 2) ad un uso del bianco e nero che sottolinea, attraverso i chiaroscuri
ed il gioco di luci ed ombre, la doppiezza dei personaggi. Gli attori
(eccezionale l’interpretazione di Nikolaj Cerkasov nei panni di Ivan, vero
profeta delle vocazioni millenaristiche neobizantine della Mosca quale “Terza
Roma” e futura guida religiosa e civile dell’umanità) vengono dalla grande
scuola del cinema
muto e, più delle
loro parole, sono
gli sguardi e le
espressioni del
volto a parlare.
Solo le immagini
raffigurate dalle
numerose icone in
stile bizantino, con
i loro caratteristici
grandi occhi
piangenti,
sembrano
portatrici di
sincerità e verità.
La colonna sonora
di Prokof’ev, cupa e drammatica anche quando esemplata sulla musica sacra
bizantina, fa da splendido contrappunto alla rappresentazione visiva. E’
evidente il richiamo alla grande opera lirica di Mussorgskij, il “Boris Godunov”,
soprattutto nell’uso di rintocchi oscuri e lugubri per le campane che, se
sottolinea da una parte la sacralità ideale, spirituale delle chiese ortodosse, ne
indica dall’altra anche la loro corruzione e decadenza nel più sfacciato
temporalismo. L’unica lunga scena a colori del film (girata in Agfacolor, bottino
di guerra), quella del banchetto nella “Congiura dei Boiardi”, vale da sola un
intero spaccato di storia del cinema: è un’autentica esplosione di colore, che
si accende in potenti flussi di rosso, di nero e di viola, evocatrice di
un’atmosfera quasi da incubo di sangue e di fuoco! Le cose, infine, appaiono
più chiare, pur nella limitatezza ed incompletezza di questa recensione.
Ejzenstejn è riuscito a creare, partendo dalle non incoraggianti premesse di
un film nato per ragioni di propaganda patriottica, un grande opera che parla,
in modo universale, ad epoche lontane e diverse. Un capolavoro (la sua ultima
fatica) nel quale la verità della storia si unisce alla potenza dell’epopea ed alla
profondità e delicatezza della lirica.
Fabio Giambi
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HORRORpolitics
pensieri e orrori
La (de)generazione familiare
“Famiglie! Vi odio! Focolari chiusi; di grazia, la violenza cieca, inaudita e
porte serrate; geloso possesso della sessualmente determinata devasta
felicità.” una tranquilla famiglia della provincia
André Gide francese, ad opera, senza voler
svelare troppo, di un elemento interno
La famiglia, nel cinema horror, non e contemporaneamente estraneo,
gode di grande popolarità. È vero, morbosamente geloso di una
spesso è il rifugio ultimo, la speranza normalità felice ed esibita da un
di protezione, la definitiva salvezza, nucleo necessariamente possessivo
ma altrettanto spesso è il brodo di della propria felicità, come in un
coltura dell’orrore, il luogo sordido e Mulino Bianco iperbolico. E lo specchio
disgustoso della violenza, giocato finale in cui si risolve la pellicola è
frequentemente in twist rispetto alle necessariamente un riflesso, se mi
attese dello spettatore. I casi sono passate il gioco di parole, di una
numerosi: la famiglia cannibale di Non necessità imposta e vivente, di una
aprite quella porta, quella disastrata normalità agognata e glaciale, e della
di Halloween The Beginning, quella sua radicale impraticabilità, vissuta
assente di The Orphanage, fino alla come colpa.Ancora più irreprensibile è
follia “familiare” di Shining o al il film di Laugier, dove il martirio si
nazionalsocialismo genetico di (quella compie oltre una porta più che
porcheria di) Frontiere(s). E proprio serrata, addirittura nascosta, in antri
nell’ambito del nuovo
horror francese, un
cinema che si dibatte tra
qualche alto e molti
bassi, la famiglia riveste
un ruolo
drammaticamente e
programmaticamente
centrale. Se il vuoto
della morte, il lutto non rielaborato e che si snodano al di sotto della
la perdita di un figlio quindi della tranquillità borghese della casa
propria egoistica ricerca di eternità superficiale, che ne copre le urla e, di
stanno alla base dell’esplosione nuovo, una volontà egoistica di
violenta di un’opera nel complesso emancipazione. Una famiglia che
poco convincente e ridondante, ma a emerge dalle ombre spesse e taglienti
suo modo spiazzante, come À di un passato che si muta in
l'intérieur di Bustillo e Maury, è in mostruosità violente, in cui al di fuori
pellicole come Alta Tensione e Martyrs del focolare vige una legge spietata e
che troviamo un nuovo e abbietta.Una famiglia che devasta
agghiacciante approccio all’orrore nella sua assenza.
insito nel concetto di famiglia.Nel Matteo Lolletti
primo film, firmato da un Aja in stato
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psicoVISIONI
letture psicologiche del cinema
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CINELetteratura
tra schermo e pagina
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SENZAparole
sogni senza sonoro
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vocazione alla mimica.
La critica stroncò il primo film; fu però entusiasta degli altri due.
Pochi anni dopo Novelli tornò sullo schermo recitando in due film tratti da
pochades francesi, con le quali aveva avuto successo in palcoscenico: Michele
Perrin (1913) e La Gerla di Papà Martin (1914), prodotti entrambi dalla Casa
Ambrosio.
Particolare rilievo venne dato, sulla stampa specializzata e non, per la sua
partecipazione a questi film, progettati per il suo tipo di recitazione, quasi si
trattasse della ripresa cinematografica di una sua performance teatrale; le
critiche furono favorevoli.
Nel 1915 interpretò Il più grande amore, e il film di propaganda bellica Per la
Patria! della Film d'Arte Italiana.
Sempre nel '15 si ritirò dalle scene teatrali per problemi di salute; vi ritornò
nello stesso anno ma non riuscì più a recitare come prima.
Nel 1917 Novelli apparve assieme alla sua compagnia nel film Fiorenza mia!
diretto dal figlio Enrico (nome d’arte Yambo), si lasciò convincere dall’ attrice
Elettra Raggio ad interpretare il film Automartirio (1917) e nel 1918 La morte
che assolve, (ritrovato e restaurato), entrambi interpretati e prodotti dalla
Raggio.
Nel 1919, terminato a stento lo spettacolo teatrale a Benevento, fu ricoverato
a Napoli, ove morì il 29 gennaio 1919.
Lo stretto rapporto tra l’attore e la nostra
regione si intensificò a partire dal 1900, diviso
tra la casa paterna a Bertinoro, dove nel 1902
scrisse la sua biografia "Foglietti sparsi
narranti la mia vita" pubblicata postuma, e
villa Olga a Rimini oggi distrutta.
A Rimini dal 1911 gestì l'Arena al Lido,
lasciata nel 1915 a causa della guerra.
Il teatro è ancora oggi intitolato a lui, a
testimonianza del legame tra l'attore e la
città.
A Bertinoro, dove tuttora riposa, per ricordare
l’illustre attore è stato posto di fronte alla
casa di famiglia un suo busto e nel 2002 è
stato istituito il Premio Ermete Novelli.
A Forlì gli è stata dedicata una sala del Museo
del Teatro Romagnolo.
Barbara Grassi
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I soliti ignoti
registi fuori registro
Takashi Miike
Non è stata sufficiente la comparsata in meno personale, nonchè uno di quelli
Hostel di Eli Roth e nemmeno la meno riusciti, The Call Non
presenza di Quentin Tarantino tra i rispondere. Non che essere ignorato
protagonisti nel suo Sukiyaky Western dal grande pubblico italiano sia un
Django, per sdoganare al pubblico problema per Miike: il cineasta
italiano la figura del regista giapponese giapponese continua infatti girare
Miike Takashi. Mentre i festival di pellicole con una media spaventosa di
mezzo mondo hanno fatto e stanno tre o quattro all’anno ed è ormai
tutt'ora facendo carte false per arrivato ad avere al suo attivo quasi
aggiudicarsi in concorso una sua ottanta film in meno di 20 anni di
pellicola e in Italia, come del resto in carriera (prima opera firmata ad inizio
tutta Europa e negli Stati Uniti, lo si anni ’90). E continua, come è nel suo
santifica con retrospettive e libri come stile, a girare tutto quello che gli capita
il più originale, eclettico, eterogeneo e per le mani e per la testa. Dopo la sua
produttivo, regista vivente, Miike personale visione del mondo degli
Takashi nelle sale cinematografiche Yokai, portata la cinema con The Great
della nostra penisola si è affacciato solo Yokai War, è perfino riuscito a scrollarsi
una volta. Tra l’altro con il suo film di dosso la fama di apologeta della
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violenza e della morbosità ed ora gli si affidano anche pellicole con target
adolescenziali come Yatterman, proprio perché con budget contenuti e tempi
stretti riesce a confezionare lavori di tutto rispetto. Ma anche questo non è
servito a sdoganarlo ai cinefili italiani, che bene che vada citano i soliti Dead
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BILLYicona
nato nel primo tempo
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iconizzare ancora di più il personaggio, rafforzando il tutto tramite l’uso delle
immagini forti come quella della mitragliatrice nella bara e quella della lapide
con la pistola nel finale.
Anche l’ambientazione è antileoniana, con un west dove regna la sporcizia, il
fango e il cielo cupo invece della polvere e il sole accesso che illumina e
acceca ogni cosa.
Il cast tecnico è di tutto rispetto: Enzo Barboni alla fotografia, Nino Baragli e
Sergio Montanari al montaggio, Luis Bacalov alla colonna sonora.
Memorabili poi Loredana Nusciak che interpreta la prostituta, Josè Bòdalo (il
violentissimo Rodriquez) e Eduardo Fajardo (il klukluxaniano maggiore
Jackson).
Malgrado l’infinita
sequela di seguiti
apocrifi, solo nel
1987 Corbucci
decide di dare un
seguito ufficiale
alla pellicola
riesumando l’eroe
da un convento.
Purtroppo
l’operazione è fuori
tempo massimo
per gli Spaghetti e
più vicina agli
Actionmovie
messicani
dell’epoca.
Qualche anno fa,
nel 2007, il regista
giapponese Takashi
Miike ha omaggiato
gli Spaghetti
Western girando
una sorta di
prequel di questo
culto: “Sukiyaki
Western Django”.
Alberto Semprini
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BILLY GIUDICA
visti in sala
Segreti di famiglia
(Francis Ford Coppola, 2009, 127') D
(
BBF B
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BILLY GIUDICA
visti in sala
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BILLY GIUDICA
visti in sala
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BILLY GIUDICA
visti in sala
La prima linea
(Renato De Maria, 2009, 96')
BBBF
Non è facile trovare un bel film con Riccardo Scamarcio protagonista. Forse è
proprio impossibile: la sua presenza sembra far perdere il senno anche a registi di
un certo valore come CostaGavras, Sergio Rubini e Abel Ferrara. E’ stato quindi
con riluttanza che mi sono rassegnato a vedere questa sua ultima prova, e con le
peggiori aspettative possibili. Aspettative subito confermate dalla sua
interpretazione del terrorista Sergio Segio, che da capo di Prima Linea sembra
trasformarsi in un romantico introverso e tormentato angelo del male che
gareggia per improbabilità soltanto con il John Dillinger recentemente interpretato
da Johnny Depp. Eppure, col passare del tempo, e nonostante Scamarcio, il film
cresce, e finisce per essere bello e significativo: un ritratto convincente degli anni
bui del terrorismo, lontano da ogni giustificazionismo e revisionismo ma capace di
restituire umanità e dignità alle
persone che in quegli anni di
scontro e ideologie hanno finito
per compiere la scelta sbagliata.
Un film d’azione e una riflessione
storica, una bella storia d’amore
e una riuscita analisi interiore,
conditi dall’amara
consapevolezza del fallimento: il
punto di vista di Segio (il film è
tratto dal suo libro di memorie
Miccia corta) non è indulgente,
anzi analizza con lucidità
l’anacronistica e paranoica follia
del loro isolamento, e aiuta a
capire come quei nuclei
terroristici combattessero una
guerra che nessuno aveva
dichiarato e fossero quindi la
prima linea di un esercito
inesistente. Da vedere,
soprattutto per i più giovani che
quegli anni non hanno vissuto e
forse nemmeno conoscono.
Alessandro Merci.
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GARROYO E I SUOI FRATELLI
al margine del cinema
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Il Pinguino
ammette il
suo amore
per Bridget
Jones.
Non ce la
faccio più,
sbotto.
Ma che
schifo, ma
non c'è
fantasia, ma
è tutto già
visto, dico
agli altri due
spettatori.
Che
rispondono
incazzati:
shhhhhh.
Ma state
guardando
una minestra
riscaldata,
urlo io,
nervoso.
Faccio per
andarmene,
mi dimentico di essere su una poltroncina volante, volo giù e poi buio.
Mi risveglio nel letto di un ospedale.
L'infermiera si china su di me.
Buongiorno, dice l'infermiera, come andiamo, è stato in coma etilico, si sente
meglio ora?
Lei è stato in coma etilico, ha bevuto troppo, doveva vedere che spavento si
sono presi i suoi amici, mi dice l'infermiera.
Dovrebbe vedere che spavento mi son preso io, le ho risposto, dimenticandomi
che è in fase di pre produzione “Harry Potter e la Fabbrica di cioccolato”.
Paco Francisco Garroyo
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cinePOTERE
allusioni filmiche
Metropolis
Metropolis è uno dei più importanti film macchina di cui si occupano e la morte
della storia del cinema, soprattutto per dei meno fortunati, evento a cui Freder,
essere uno dei precursori di quello che nome del ragazzo, assiste. Vede la
sarà il genere fantascientifico. macchina come una grande divinità che
Finanziato dall’ UFA, la gigantesca casa ingoia le sue vittime umane; sconvolto
di produzione tedesca, utilizza molti di da tanto orrore e brutalità decide di
quelli che saranno gli elementi del parlarne con suo padre per far cambiare
genere: set le cose. Il padre, però, si
imponenti, migliaia di preoccupa solo della
comparse, effetti minaccia che l'incidente
speciali e grandi può costituire per il suo
tecniche innovative. potere. Infatti va
La sceneggiatura dall’inventore Rotwag e
delinea una storia insieme decidono di
semplice, quasi tendere una trappola agli
fiabesca. operai, creando un robot
Siamo in una città del con le sembianze di Maria.
futuro dove vige un Nonostante la
rigido schema sociale rappresentazioni delle
organicistico. estenuanti condizioni di
Manager, industriali, lavoro degli operai possa
ricchi vivono nei suggerire una visione
grandi e gotici marxista della società, in
grattacieli che realtà l’ideologia del film è
affollano la città reazionaria. È infatti la
mentre, nel fine a mostrarci una
sottosuolo, lavorano riconciliazione tra capitale
infaticabilmente e lavoro. Il proprietario
masse di operai sembra rappresentare
schiavi dei ritmi allora quel messia che
ossessivi delle macchine e ghettizzati dal avrebbe alleviato le pene di cui parlava
mondo esterno. La loro, peraltro debole la giovane donna. Il problema sembra
e disarticolata, voglia di rivolta è placata essere di natura morale più che sociale.
dall’invito alla mediazione, farcito di Un altro elemento fondamentale nel film
cristianesimo, di una bella ragazza Maria. è la pericolosità di una scienza asservita
Quando il figlio dell'imprenditore al potere. Indipendentemente dalle
padrone della città conosce la ragazza, si contraddizioni della costruzione narrativa
avventurerà nel sottosuolo. Il giovane e ideologica, Metropolis è forte di una
immediatamente si rende conto delle struttura visiva poco comune, frutto dell’
condizioni disumane in cui sono costretti espressionismo tedesco e sconvolgente
a lavorare gli operai, i quali anche se nella sua grandiosità.
stremati, non possono commettere il Barbara Pianese
minimo errore pena l'esplosione della
22 BILLY