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Massimo Piermarini

Le men:ogne della coscien:a















www.ilbolerodiravel.org
Jetriolo 2001

Ortega y Gasset raIIigurava la ricerca IilosoIica con l'immagine biblica
dell'assedio di Gerico: guardare l'oggetto di studio da tutti i lati e da tutte le
distanze. Si puo aggiungere a questa immagine una complicazione: giunti
vicino all'oggetto avremo Iorse scoperto qualcosa che obbliga a rettiIicare o
reinterpretare le osservazioni Iatte da lontano.
Il "Bolero" di Ravel e la scoperta continua di sonorita nuove e nuovi
strumenti in una Irase musicale che, a ogni lettura, Iornisce dati diversi,
come se Iosse inesauribile; percio il brano non conclude: viene interrotto,
sospeso, lasciando l'ascoltatore insoddisIatto e ansioso di ascoltarlo di
nuovo.
"Il Bolero di Ravel" e la danza sul Iilo del rasoio, sul bordo estremo della
radura illuminata dai Iuochi dell'accampamento, cui i danzatori si
avvicinano per rubare qualche centimetro al bosco e al mistero.
Se tutti gli strumenti, le culture, concordassero una tonalita in cui
suonare, il risultato sarebbe armonico.










La coscienza conosce altrettanto bene il terreno dei suoi slanci che i
rischi della sua caduta. AIIascinata dai racconti di Iate, crede di conoscere la
sua vocazione e nutre inIantili nostalgie per la sua origine. C'e in essa una
pulsione di assenza (di annichilimento di se) e uno sIorzo di presenza, con il
quale ampliIica se stessa. Questa pulsione non si potrebbe deIinirla
altrimenti che potenza. Sa come interpretarla. Non si nasconde di Ironte
all'esigenza di chiarezza in se stessa. Non si risparmia, e molto esigente con
se. Lo e ancor piu nei conIronti degli altri. Ci si ama, spesso oltre ogni
misura. La Iiloautia e il primo principio della soggettivita. Il male cosi
sembra provenire dagli altri, perche e in realta soltanto per gli altri che noi
lo compiamo. Non possiamo dunque pensarlo che in un contesto
intersoggettivo. Cosi l'essere della reciprocita "Ionda" in certo senso la
morale, il nichilismo la nutre dei suoi veleni. Non c'e in deIinitiva morale
senza che il male sia ben piantato al centro del suo territorio. L'avvertimento
del male, del limite sembra l'origine stessa della coscienza, la menzogna
Iondamentale della sua costituzione morale. Il discorso su Dio e diverso. C'e
conIlitto tra Dio e la liberta perche c'e conIlitto tra Dio e noi. Non possiamo
rivolgerci a Dio che come ad un Altro. Noi semplicemente temiamo che da
Dio ci venga del male, come sempre avviene nei conIronti degli altri.
Sembra Iacile accettare questa aIIermazione paradossale: "Se Dio c'e,
nessuna morale", una volta posto che la ragion d'essere della morale e la
liberta. Ma Dio non e il legislatore del codice morale. E l'Altro: senza l'Altro
nessun male.
Eppure c'e un rapporto stretto tra il male e Dio, che si da come l'Altro per
deIinizione (chi lo conosce? Chi parla con Lui?) e non si tratta di un
rapporto di identita. L'ultimo Schelling ci illumina.
La coscienza, d'altra parte, e veramente quello che si vuole,
maniIestandosi nella maschera, cioe Identita? Non e Iorse visibile
un'alterita, interna alla stessa coscienza, una duplicazione costante di essa, il
dividersi nel darsi a noi della coscienza? Questo "darsi" non riIlette in
qualche modo la donativita della maniIestazione della coscienza, la
reciprocita alla base del riIlettersi dell'essere, insomma il dialogo all'origine
di tutti i monologhi?
"La coscienza e il mistero dell'unico nel duplice, in quanto il medesimo e
se stesso e un altro, non di volta in volta (come nelle alternanze di
personalita), ma al tempo stesso"
1
.
La coscienza e, certo, autotrascendenza, movimento, iniziativa
ontologica. Ma da che cosa parte, se parte da un qualcosa, il suo
movimento? Da quello stupore che nutre verso se stessa, promosso dallo



1
V. Jankelevitch, Traite des vertus, Paris, Gallimard, 1968, vol. I, p. 144
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spettacolo continuo di un'assenza che si Ia presenza e inizio d'essere. E cio
che stupisce turba.
Il turbamento della coscienza di Ironte a quel miracolo di ogni giorno che
e l'assenza che si Ia presenza, l'esistenza di essa come presenza-assenza,
aIIermazione-negazione. Il disorientamento che si produce allora ci da la
possibilita nel compimento dell'impresa. Sara lo sbocco della situazione di
chiusura dell'essere, l'aprirsi della presenza nel "mondo dato" dell'assenza.
L'essere come la sua liberazione e la donazione di senso come aIIermazione
della coscienza sulla scena del mondo.
Lo spirito e poiesi, Iare autentico (ben diverso dal costruire). La
coscienza, nel Iare, non indica proprio niente, ne il mondo, ne Dio. La
coscienza pone, e questo e tutto il suo essere. Si libera dalla legge morale,
dalla normativita della legge, non perche, come vogliono le cattive
metaIisiche, "Iondi" la legge, ma perche vive, cioe sceglie. La legge e
comunque una tentazione per la coscienza, ad essa potrebbe abbandonarsi e
dormire tranquilla. Ma la coscienza, per deIinizione, e la sentinella che
annuncia l'alba. La legge diviene per la coscienza un ostacolo, un limite
dell'illimitato suo porsi, un limite insopportabile, come lo sono tutte le
attenuazioni quando e in gioco una partita incondizionata. La morale e tale
partita incondizionata, essa non dovrebbe prescrivere, in realta, ma
trascrivere, scrivere in un altro orizzonte la vita. Ci trasporta su e ci oIIre la
possibilita di una straordinaria intensiIicazione dell'essere. La coscienza non
ha quindi bisogno dell'imperativo, dell'indicazione del dovere, perche
aIIermi il valore. La coscienza e creazione di valori e, insieme, disposizione
al valore. La coscienza e, inIine, secondo una tradizione IilosoIica e
religiosa dura a morire, disposizione al perdono, perche, si dice, e amore.
Non dimentica presto, dimentica subito. E nella sua natura intima quella di
abbandonare ogni spirito di risentimento, legato al ricordo del passato, e di
istituire il nuovo con un atto creativo che moltiplica all'inIinito le possibilita
della liberta, che redime anche il passato dal suo esser passato.
Nella messa in scena del suo mondo
2
la coscienza perde l'ingenuita della
Iede nella verita e nella certezza delle sue Iorze.
Siamo gli attori delle nostre azioni, si dice. E una constatazione che
nasconde Iorse un paradosso. Ciononostante l'abitudine alla solidiIicazione
Iisica degli atti spirituali ci spinge a considerare le nostre azioni come il
prodotto di Iorze, l'eIIetto di cause e, insieme, di ostacoli. Siamo abituati a
considerare le "azioni" dei "Iatti", la cui area di movimento si iscrive nelle
leggi del mondo Iisico. Certe volte ci si meraviglia - non inutilmente - della
parte capitale che giuoca quello che si puo chiamare il soggetto o la



2
accogliamo qui la nozione barocca di teatralizzazione della vita presente nell'opera El
discreto (Il saggio) di B. Gracian: "Quel che non si vede e come se non ci Iosse...Le cose,
in generale, non si apprezzano per quel che sono, ma per quel che appariscono"
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coscienza
3
|B1| nella conIigurazione del mondo, complesso di azioni che
riIlettono nessi di causa ed eIIetto. L'illusione realista ottunde in noi la
Iacolta |B2| in cui lo spirito si raccoglie in se medesimo e si ritrova
4
.



3
Si tratta di liberare la coscienza dalla tutela della gnoseologia, che ne vuole Iare un
termine opposto all'oggetto, nello spazio di una rappresentazione e di riconoscerne, invece,
lo statuto Ienomenologico. E possibile cosi ricercare non il Iondamento ma l'agire della
coscienza, quelle che mi sembra essere la sua normativita Iuori della norma. I termini
coscienza e soggetto non sono equivalenti che nelle IilosoIie intellettualistiche. Il soggetto e
il protagonista nella costruzione del mondo (al cui novero appartiene la Cura
heideggeriana) ed e venuto ad assumere nel linguaggio IilosoIico un signiIicato Iortemente
impersonalista, di cui il trascendentalismo e piu vittima che responsabile. La coscienza non
viene intesa in queste note al modo della Fenomenologia dello spirito di Hegel, come un
grado o un momento, il piu basso, dello sviluppo dell'autocoscienza o spirito. L'idealista
Gentile nel Sommario di Pedagogia ha mostrato che l'organizzazione dello spirito in gradi e
l'eIIetto del platonismo e intellettualismo ancora presente in Hegel, non sempre Iedele
all'idea dello spirito come Werden. Meriterebbe una seria riIlessione la natura di questo
platonismo oggettivo e trascendente, che sacriIica del 'platonismo' la parte piu viva, il suo
carattere di autobiograIia spirituale. E evidente, gia a partire dall'idealismo metaIisico di
Fichte, che soltanto nell'esperienza morale e possibile superare l'estraneita dell'oggetto, anzi
la posizione stessa di un oggetto.
4
La coscienza, indubbiamente, ci rivela a noi stessi. La nozione di "rivelazione" smette
qui gli abiti metaIisici e teologici per assumere il carattere di un campo di esperienza della
coscienza che ha il suo centro nel corpo e nel suo linguaggio. La coscienza e, in quanto
rapporto con un "dentro", colta soltanto nel ripiegarsi su di se, nella liberta di scelta, nella
sua radicale possibilita. L'esteriorizzazione della coscienza tradisce inevitabilmente il suo
impulso originario, la sua destinazione. La nozione Ienomenologica di intenzionalita
sacriIica tale impulso originario agli imperativi della gnoseologia, alle cogitazioni della
Iondazione. Proietta la coscienza Iuori di se, verso le cose stesse con le quali si rapporta,
dimenticando che la coscienza (o il corpo, nell'accezione di corpo senziente e pensante, di
corpo parlante) non e tesa a signiIicare l'oggetto, ma, soprattutto, se stessa, e segno
nell'azione, nella quale si struttura il suo movimento. Lo stesso progetto di Heidegger
smarrisce la signiIicazione della coscienza riducendola all'essere-nel-mondo, salvo poi
riguadagnarla come coscienza morale (Gewissen). L'essere-nel-mondo rinvia alla
condizione di incarnazione dell'uomo, al suo stare nella situazione e, insieme, rinvia
all'unita dell'anima e del corpo, dell'iniziativa e dell'inerzia della materia. La coscienza e
voce, espressione, poesia, azione, creazione, sovrabbondanza, dono, amore e, insieme,
ribellione all'autorita esterna di ogni tipo, lotta contro il reale e la materia, a partire dal
proprio corpo. Eun'insurrezione contro la normalita del mondo, la chiariIicazione dal punto
di vista di un assoluto del Iiume di Eraclito, la Iedelta ad un impegno che include il
tradimento (la disponibilita ad altro) almeno quanto la Iedelta. L'esteriorizzazione e lo
sIondo di una lotta spirituale che si estrinseca come un corpo-a-corpo: l'istanza del
desiderio, questa bandiera del corpo, lanciata contro la morte. Resta un merito della
Ienomenologia quello di aver mostrato la coscienza nella sua esposizione al mondo e alle
coscienze. La coscienza sartriana ci libera veramente da Proust e dall'intimita di Amiel
perche in essa "Iinalmente tutto e Iuori, tutto! PerIino noi stessi: Iuori, nel mondo, Ira gli
uomini. Non in un ipotetico riIugio noi scopriremo noi stessi: ma per la strada, per la citta,
in mezzo alla Iolla, casa tra le cose, uomo Ira gli uomini" (J. P. Sartre, Unidea
fondamentale della fenomenologia di Husserl. Linten:ionalita, in Che cose la letteratura,
trad, ital., Milano, 1963, p. 281)
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Benche celata, questa Iacolta e la Iunzione di spiritualizzazione
5
da essa
esercitata sugli oggetti della consuetudine, continua ad essere attiva, anche
quando non ce ne accorgiamo. Non possiamo chiamarla una distrazione
volontaria, neppure potremmo dirla involontaria
6
, almeno nel senso di una
attivita che si produca "automaticamente", in un modo impersonale o
comunque indiIIerente alla nostra personalita
7
|B3|.
Gli atti spirituali sono connotati da una intimita intrinseca, che, quando
cerchiamo di rintracciarla e seguirne l'andamento e il percorso, si rivela
come sIuggente all'"analisi obiettiva" delle scienze conosciute e preIigura
l'oggetto di una "scienza dell'anima", che la mistica ha tentato di costruire,
non riuscendo che a segnalarne l'esigenza
8
. Viene da chiedersi che



5
Non crediamo che la spiritualizzazione sia la negazione dell'oggettivita o alterita degli
oggetti ad opera del pensiero, secondo il movimento dialettico hegeliano. Essa si presenta,
semmai, come un approIondimento, un'incursione in proIondita nelle regioni della materia,
nelle ragioni del corpo.
6
La distinzione tra volontario e involontario risale alla teoria aristotelica dell'azione,
presente nell'Etica nicomachea. Aristotele pensava in modo metaIisico l'azione come un
movimento prodotto dalla deliberazione consapevole del soggetto, cioe nei termini di
relazioni di causa-eIIetto, al di Iuori di ogni relazione intrinseca di intimita degli atti
spirituali (o etici). L'azione assume il carattere di transitivita della relazione causale e
l'involontario viene ridotto a passivita, oggetto di coercizione. Il pensiero delibera
coscientemente e causa le azioni, che divengono cosi costruzioni di esso, al di Iuori di ogni
campo di esperienza vitale-esistenziale.
7
L'espressione "personalita" puo apparire invecchiata, ma, credo sia corretta dal punto
di vista Ienomenologico. L'anima e soIIio vitale, respiro, Iorza, potenza di aIIermazione,
dualita e unita. Nell'espressione soIIio, come nel ritmo del respiro, viene indicata una
ripetizione che, in quanto diIIerenza non e uniIormita, una molteplicita che non e identita,
una temporalita che non e serialita, che corrisponde - mi sembra - alla percezione del corpo
e ai calligrammi scritte su di esso dall'esistenza.
8
La mistica si oppone alla logica, ma non e illogica. Essa pone il problema dell'unita
del Iinito e dell'inIinito, dell'uomo e di Dio ed indica la necessita, denunciata dalla
soIIerenza dell'uomo ridotto a se solo, del superamento dell'uomo. Nei Pensieri di Pascal
abbiamo letto il tentativo, grandioso, di Iondare la logica dell'agire morale, di superare la
logica della ratio, in direzione di una logica dell'esperienza spirituale, che richiede metodo,
ordine, comprensione corretta. Considerare la mistica come la negazione della ragione,
come l'anti-scienza, signiIica continuare a scorgere come unico modello di razionalita e di
conoscenza quello costituito della ragione astratta e matematizzante. La mistica e il
tentativo (spesso arenatosi nelle secche dell'intellettualismo, duro a morire, e del suo
dogmatismo e nel vaniloquio dell'ediIicazione) di aprirsi all'essere abbattendo le sicurezze
del positivismo e gli imperativi dell'umanesimo consolatorio, tentativo che attende una
metodica della salvezza dello spirito, che sarebbe altrimenti "solitudine senza vita" (Hegel).
Questa disperazione del Iinito, che postula da parte dell'uomo, sospeso tra l'abisso senza
Iondo in cui sta per precipitare che lo terrorizza e l'abisso senza Iondo del cielo che lo
conIorta, il superamento della sua sIera immediata e di ogni dato nella ricerca attiva
dell'assoluto, nel collegamento tra Iinito e inIinito, e il grande tema della ConIessione di
Lev Tolstoi. Anche per Lavelle la relazione tra noi e l'essere totale resta sempre reciproca
(cIr. Jean Ecole, La doctrine lavelliene de la connaissance, in "FilosoIia oggi", n. 1,
gennaio-marzo 1990, soprattutto pp. 85-89 e le osservazioni di M. Merleau-Ponty (Elogio
della filosofia, a c. di C. Sini, Editori Riuniti, Roma, 1984, pp. 15-20) intorno al senso di
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diIIerenza ci sia tra interiorita e intimita, delimitazione necessaria per
scoprire la via d'accesso all'intimita
9
L'interiorita non e una regione
dell'essere, neppure una Iunzione trascendentale, ma l'esperienza di una
rivelazione dello spirito.
Forse quest'ultima parola teologica, "rivelazione", implica un problema
di misure, di "velocita": denuncia semplicemente che la nostra attenzione
spinge a tagliare passaggi troppo signiIicativi, che l'urgenza del Iare
costruttivo condiziona il nostro comportamento.
Per gli amanti della metodologia si pone un problema di delimitazione
del territorio della coscienza. Perche non e vero che "i conIini dell'anima
non li potrai mai trovare, tanto proIonda e la sua ragione" (Eraclito). Noi li
avvertiamo ogni momento, riusciamo nei casi migliori a saggiarne Iinanche
l'intensita e la "purezza". Ma non riusciamo a rappresentarcele che secondo
un modello realista. Scontiamo per questo una perdita, imputabile al
linguaggio, risarcita soltanto dal lavoro dei poeti sui calligrammi
dell'esistenza. Lo "spirito" non sembra esprimere dal punto di vista
dell'esperienza, se non una proporzione tra il mentale e l'ordine biologico
del corpo
10
. Nella Seconda poesia segreta a Madeleine, che echeggia motivi
del Cantico dei cantici di Salomone, il poeta Apollinaire, interessato alla
lettura "erotica" e trasgressiva delle esperienze dei santi, sembra intuire la
coappartenenza di anima e corpo ("E la tua anima ha tutte le bellezze del tuo
corpo perche dal tuo \ corpo mi sono state accessibili con immediatezza le \
bellezze della tua anima") (trad. C. Rendina)
Attraverso il corpo cogliamo la trascendenza del mondo e ci disponiamo
a penetrare nello spazio nel quale ci si intrattiene con se stessi. La nostra
incarnazione ci Ia esseri spirituali
11
.



reciprocita della relazione tra noi e l'essere totale cui rinviano le nozioni di presenza e
partecipazione di Lavelle.
9
L'interiorita ha costituito il grande tema della metaIisica cristiana, da Agostino in poi.
La perdita del signiIicato originario ne ha segnato il percorso storiograIico. Lo spirito
"soIIia dove vuole", ma lo sIorzo della sua presenza, del suo pervenire all'essere, non e
anonimo, pur essendo riducibile all'anagraIico. Le Confessioni di Agostino mostrano
chiaramente il carattere di personalita della verita e insieme il carattere esemplare
dell'esperienza spirituale. Diversamente nelle Confessioni di Rousseau prevale la logica
della costruzione. E la Iinzione letteraria (quella menzogna che sempre si associa alla
narrazione) la ciIra di questa compromissione.
10
Lo spirito e un rapporto di coappartenenza tra la coscienza e il corpo. Dire che esiste
tra essi una collaborazione economica, che l'uno rimanda all'altro per "Iunzionare", non
basta. Si dimentica in tal modo che il corpo non e un oggetto, essendo la possibilita stessa
di inserzione nel mondo e che la coscienza non puo conIondersi con l'astratto cogito, non lo
e nella misura in cui non coincide con il centro della lucidita, con l'Io delle scuole
psicologiche.
11
Il raccoglimento si presenta in Marcel come una concentrazione e riIlessione
interiore, esterno al problema, vicino al mistero. L'atto del raccoglimento e pero in Marcel
una presa di contatto con la sorgente ontologica. Richiede lo spogliamento di ogni saper-
Iare, e distensione e abbandono, suscita risposta e attesa (un tema che ci sembra molto
pertinente all'esame della natura della conoscenza di se). Analisi che richiede il metodo
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Nell'Adieu di Une saison en enfer Arthur Rimbaud tocca questo punto
Iondamentale della dottrina cristiana: i corpi saranno giudicati, proprio
come le anime. Il tema dell'incarnazione, asse di ogni esperienza interiore e
presente in molti poeti e scrittori. La ritroviamo ad esempio nel romanzo
Bubu di Montparnasse di Charles Louis Philippe: "La nostra carne conserva
tutti i ricordi, e li mischiamo con i nostri desideri. Solchiamo il presente con
questo bagaglio, andiamo avanti e in ogni istante siamo interi"
12
. Nel
monologo interiore di alcuni scrittori sembra superato il dualismo tra le
Iorme dell'io (le sue incarnazioni) mutevoli e la sua realta costante,
permanente, eterna; un dualismo cui era legato ancora Amiel: "Il nostro
centro e l'io, che rappresenta in noi l'eterno nel tempo, il punto matematico
nello spazio, cio che domina il vortice. E l'io che dice: il mio piede, la mia
mano, il mio occhio sono miei, e non sono me. Mi si possono recidere tutte
le membra; io sono ancora la. Finche io ho coscienza di essere, Iinche io
penso, io sono. Posso perdere le mie Iacolta, la memoria, l'intelligenza, tutto
cio che e mio, ma non me"
13
.
L'invito e quello di attendere, perche soltanto cosi si e attenti. Attendere e
prendere tempo, non darsi cura e, al tempo stesso, essere pronti a ricevere.
Tentare di "Iorzare" i tempi, di abbreviare il percorso e di "aIIerrare" il
senso prima che spontaneamente si dia a noi signiIica sopprimerlo,
stravolgerne i contorni e, inIine, ridursi al quantitativo. In ogni caso, inIatti,
"pro-muovere" l'azione e inIatti un anticipare l'evento e attendersi che si
maniIesti nel modo della rappresentazione che ce ne Iacciamo. La norma
della costruzione ci obbliga ad anticipare un tempo che la logica



descrittivo della Ienomenologia dell'esperienza. Anche per Marcel il corpo ha molto a che
Iare con l'io e con l'avere (grazie ad esso riusciamo a distinguere il possesso delle cose
dall'avere). Il tema marceliano del mistero ontologico e "qualcosa in cui mi trovo coinvolto,
la cui essenza e conseguentemente di non essere del tutto davanti a me. E come se in questa
zona la distinzione Ira l'in me e il davanti a me perdesse il proprio signiIicato" (tre et
avoir pp. 144-145). L'io gli si presenta come ostacolo, piu che come principio di creazione
(di tipo idealistico), piu come l'egoista conIuso che il padrone di se.. Marcel mette in
evidenza che il corpo in prospettiva Ienomenologica "si sostituisce al problema tradizionale
dei rapporti tra anima e corpo" (La dignite humaine et ses assises existentielles, trad. ital.,
Elle di ci, 1983, p.64) e rileva che e impossibile stabilire qualsiasi relazione di esteriorita tra
me e il mio corpo. Una volta che il mio corpo venga disobiettivato, non considerato piu
come una materia estesa, posso dire "io sono il mio corpo" e intenderlo come l'esistenza-
tipo. "Si e dunque indotti a introdurre una distinzione Iondamentale Ira esistenza e
obiettivita, distinzione che non coincide aIIatto con quella che l'idealismo tradizionale,
specialmente a partire da Kant, pone tra soggettivita e obiettivita" (op. cit. p. 66).
L'antropologia IilosoIica o esistenziale di Marcel si lega all'idea dell'incarnazione,
dell'uomo quale essere incarnato. Molto diversa la prospettiva di Sartre. Le analisi,
complesse e di grande Iinezza, di Sartre sul corpo in Essere e nulla, sollecitate dalla critica
alla "sensazione di sIorzo" di Maine de Biran, considerata un mero "mito psicologico"(cIr.
trad. ital., Il Saggiatore, Milano, 1975, p. 403) riprendono le descrizioni Ienomenologiche
di Husserl e di Heidegger.
12
trad. ital. di G. Gramigna, Garzanti, Milano, 1966.
13
Amiel, cit. in G. Giraldi, Storia della Pedagogia, Armando, Roma, 1984, p. 265.
pagina 9
dell'intelletto ha polverizzato in una molteplicita quantitativa. Il vero
movimento e il ripiegarsi su se stessi
14
, per esso non c'e un inizio ne
processo misurabile. Solo l'avvertimento di esso possiamo potenziare, non il
suo maniIestarsi
15
.
Molti IilosoIi della morale parlano di uno stato particolare nel quale si Ia
ingresso grazie alla virtu. Si tratta di una completa trasIormazione del nostro
essere. Spinoza ci parla della letizia e della beatitudine. Bergson di gioia.
Talvolta la vita ci costringe alla gioia. Nutriamo questo sentimento di
gratitudine nei conIronti della vita, che e la gioia. La coscienza si compiace
del suo spettacolo, della scena che mette in opera. In genere si Iruisce di
questo stato d'animo quando il senso di presa sulla realta si aIIievolisce,
quando non siamo centrati sulla soggettivita, ma sulla dinamica proIonda
dei nostri atti di volonta. Le cose sembrano corrispondere alle proIonde
esigenze della nostra spiritualita, per un momento. Questo produce in noi la
gioia. Non siamo gioiosi per il successo, o per il compimento del dovere.
Siamo gioiosi del Iatto che ci sia comunicazione e consonanza tra gli atti e
la loro scaturigine proIonda. Non riusciamo a dirne di piu. Talvolta la gioia
e senza ragioni plausibili, evidenti o dimostrabili. Eppure siamo certi della
sua Iondatezza, ci Iidiamo dell'inIallibilita del nostro animo che prova la
gioia. Ci sembra una rivelazione di un ordine piu alto.
La persuasione ha certo molto a che vedere con la gioia. Se agiamo sulla
base di una concezione del mondo, e gioiosa ogni risposta del mondo alla
nostra concezione. Ma e negli aIIetti nei conIronti delle persone che la gioia
ci vince, sino alle lacrime. E l'irruzione di una scena diversa dal mondo
ordinario, il prevalere del dinamismo spirituale su tutte le esigenze pratiche
e costruttive. Non e necessaria ne possibile. E gratuita nel suo darsi e
sconvolgente nella sua intensita. Non e in vista di essa che continuiamo
l'azione. Non appena scompare, non sappiamo piu di cosa si trattasse.



14
Questo "ripiegarsi in se stessi" non ha nulla a che vedere con il riIlettersi del pensiero,
perche impegna l'intero nostro essere in quella che potremmo chiamare la "disposizione
all'incontro". Risulta estraneo alla logica dell'identiIicazione o alla immedesimazione (non
c'e traduzione possibile di noi nell'altro o dell'altro in noi sul piano della logica
dell'intelletto). Con la riIlessione di se, intesa come raccoglimento su se stessi, cogliamo la
presenza del nostro essere all'essere, l'intimita come il proprio dell'essere in ogni sua
maniIestazione. Entriamo cosi nella dialettica dell'unita e della molteplicita propria del
nostro io, oggettivato nei suoi "eIIetti", reiIicato con essi Iino a quando non sia emancipato,
emancipando tutto l'essere, dalla disposizione originaria della liberta spirituale. Il ripiegarsi
in se stessi non e abbandono ma iniziativa, sIorzo, non Iuga dall'impegno ma ripetizione e
ripresa. Si deve a Kierkegaard l'attenzione su questo aspetto di ripresa dell'esistenza.
L'aIIermazione di se coincide qui con la liberta della ripresa, con l'insurrezione contro la
normalita, con l'inquietudine dell'iniziativa e l'entusiasmo del culmine.
15
Si tratta dell'avvertimento della liberta, non della vita (presente in tante Iormulazioni
dell'esistenzialismo novecentesco). L'avvertimento della liberta come il nostro io piu
proprio genera in noi stupore, vertigine, gioia, perche in essa sentiamo non la pienezza di
un possesso, ma la pienezza dell'iniziativa ontologica.
pagina 10
Avvertiamo soltanto il ricordo di un'emozione che prende tutto il nostro
essere e lo trasporta in alto.
Diversamente, il male non si avverte, ci si volge semplicemente ad esso.
E di Ironte a noi. Sembra che voglia catturarci, ma siamo noi ad eleggerlo.
Ci si dirige con sicurezza verso di esso. Lo smarrimento iniziale e subito
vinto da pulsioni piu proIonde. Sentiamo nel nostro proIondo una
consonanza con il male, quasi Iossimo destinato ad esso, Iossimo delle sue
creature.
Per questo compiere il male non da luogo a tentennamenti. Vorrei
presentare questa tesi paradossale: non temiamo di compiere il male perche
siamo certi del perdono. Il perdono (questa e una verita elementare per noi)
e la normalita a cui si ritorna dopo l'eccezionalita del male. Proprio perche
eccezionale l'esperienza del male non dura molto, anche se ci troviamo
coinvolti in essa durante tutta la vita. Ci sentiamo stretti da una necessita di
trovare una dimensione oltre il male, di voler essere perdonati, dagli uomini
o da Dio, ma principalmente dalla nostra coscienza.
Per quanto grave sia l'azione tesa al male, "cattiva" l'azione e proIondo
l'inabissamento nell'esperienza del male, e aperta per noi una possibilita di
ritorno. Il male e dunque un progetto Iallibile, anzi sempre Iallito. Anche gli
uomini votati al male cercano oltre esso, il perdono. Il perdono non cancella
il male, perche cio che e stato Iatto e stato Iatto e la coscienza lo avverte
come un peso insopportabile.
Malgrado cio, il male ha le sue virtu, proprio come il bene. Gli uomini
votati al male le perseguono per migliorarsi in esso. Molti lo Ianno per
amore. In questo caso saltano le congiunzioni platoniche tra eros e verita-
bene e entra in crisi il principio di Identita della Coscienza. Direi che la
maggior parte degli uomini votati al male, lo Ianno per amore, legati ad una
donna o ad un uomo, ad un'amicizia o a un gruppo da un rapporto di amore
diventano Ieroci nei conIronti degli altri. I criminali, scrive Genet,
organizzano un universo proibito, un doppio del mondo "buono", isolandosi,
"come nell'amore" ci si isola.
Percio e diIIicile discriminare il conIine tra bene e male Talvolta sembra
che tra le due sIere ci sia una qualche complicita, come se esse scaturissero
da un unico Iondamento. Talaltra sentiamo vivissimo il senso di ripulsa per
il campo opposto, ma anche l'impossibilita di una deIinizione.
"Il turbamento che provo sembra nascere dal Iatto che in me assumo a un
tempo la parte di vittima e quella di criminale. Anzi, in realta emetto,
proietto di notte la vittima e il criminale scaturiti da me, Io che s'incontrino
da qualche parte, e verso l'alba la mia emozione e grande nell'apprendere
che per un pelo la vittima ha schivato la morte e il criminale la galera o la
ghigliottina" scrive Jean Genet nel Diario del Ladro
16
.



16
Jean Genet, Quattro roman:i, a cura di G. Caproni., Il saggiatore, Milano, 1975.
pagina 11
Su questa identita di vittima e criminale insiste anche il Tolstoi di
Resurre:ione. Chi e criminale? La prostituta (Katiusa) che ha derubato il
cliente ubriaco e per questo viene condannata al carcere o l'uomo
(Nechljudov) che l'aveva sedotta a sedici anni e che compare ora al processo
tra i giurati? Il giudice e la causa prima del crimine commesso dall'accusata.
Come potra condannarla senza condannare se stesso? Come potra riparare al
torto inIertole? Con il matrimonio? Potra persistere nella menzogna, ben
protetto dalla sua posizione sociale o cerchera il perdono di Katiusa? Ecco il
quadro di una drammatica alternativa morale.
Nechljudov sente tutto il peso della sua responsabilita soltanto di Ironte
alla sua coscienza. Grazie ad essa scorge una nuova visione del mondo,
radicalmente diversa da quella dominante nella societa. Questa non produce
immediatamente verita nell'azione, una sbrigativa soluzione catartica.
Katiusa conquista la propria dignita umana indipendentemente da lui e la
stessa spiritualita di Nechljudov resta problematicamente sospesa tra bene e
male.
La prostituta, pur raggiunto il colmo dell'abiezione, vivendo al piu basso
livello che la morale disprezza ha mantenuto una sua verginita morale. Sa
maniIestare la sua volonta Ierma di non sacriIicare la vita di Nechljudov per
salvare la propria. Grandeggia nei rapporti con i contadini e la gente del
popolo. Soprattutto "educa" Nechljudov, il quale supera anche il problema
della riparazione del torto inIlitto a Katiusa perche supera la concezione
dell'amore come qualcosa nella quale ci si isola. No, si trattava di
combattere il male che trionIava, regnava incontrastato, e non appariva
nessuna possibilita, non solo di vincerlo, ma sia pure di concepire il modo di
vincerlo"
17
. La personalita spirituale sorge dall'indignazione della volonta
morale di Ironte alla miseria morale del presente. La salvezza di
Nechlijudov deriva dalla lettura del Vangelo, dalla dottrina del perdono,
inteso come unico mezzo per vincere il male:
"La risposta che non gli era riuscito di trovare, era appunto la medesima
che aveva dato Cristo a Pietro: consisteva nel perdonare sempre, tutti,
perdonare un inIinito numero di volte, giacche non esistono uomini tali che
non siano essi stessi colpevoli, e che possano quindi punire o correggere"
18
.
Tolstoi risponde alla provocazione del male con il mito della redenzione,
ma coglie la necessita di moltiplicare il perdono all'inIinito, sdoppiando cosi
la coscienza Iino a smarrirne completamente la costitutiva identita in un
Gioco di Specchi, in cui regna l'apparenza.
Dall'"interiorita" della coscienza scaturiscono dunque menzogne come
Iiori del male. Della cattedrale costruita dalla coscienza come un Iortilizio in
cui imprigionare le sue esperienze, le sue Iantasticherie, le sue



17
L. Tolstoi, Resurre:ione, Parte terza, XXVIII.
18
ibidem.
pagina 12
investigazioni diurne e notturne, non resta che il nulla, il trionIo della morte,
padrona assoluta del corpo.
La conversione del male nel bene, giocando Iino in Iondo sul termine
dialettico della contesa, rende inconcepibile una nozione positiva del male
(assente proprio per questi motivi da tutta la metaIisica occidentale, da
Agostino in poi).
Uno scrittore visionario e ribelle come Genet sembra rispondere a tale
istanza quando scrive:
"Della santita di Vincenzo de' Paoli diIIido. Doveva accettare di
commettere il delitto al posto del galeotto di cui prese il posto ai Ierri"
19
.
Nella prospettiva mistico-vitalistica di Genet il nauIragio della coscienza,
intesa come senso del limite e centro di giudizio dei valori morali, sara la
sua eIIettiva via di salvezza:
"Dio: il mio tribunale intimo.
La santita: l'unione con Dio.
Essa sara quando cessera quel tribunale, vale a dire quando giudice e
giudicato saranno Iusi insieme"
20
.

28.08.2001





19
J. Genet, Il diario del ladro, trad. Caproni, in op. cit., p. 270.
20
ibid.., p. 291.

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