Ortega y Gasset raIIigurava la ricerca IilosoIica con l'immagine biblica dell'assedio di Gerico: guardare l'oggetto di studio da tutti i lati e da tutte le distanze. Si puo aggiungere a questa immagine una complicazione: giunti vicino all'oggetto avremo Iorse scoperto qualcosa che obbliga a rettiIicare o reinterpretare le osservazioni Iatte da lontano. Il "Bolero" di Ravel e la scoperta continua di sonorita nuove e nuovi strumenti in una Irase musicale che, a ogni lettura, Iornisce dati diversi, come se Iosse inesauribile; percio il brano non conclude: viene interrotto, sospeso, lasciando l'ascoltatore insoddisIatto e ansioso di ascoltarlo di nuovo. "Il Bolero di Ravel" e la danza sul Iilo del rasoio, sul bordo estremo della radura illuminata dai Iuochi dell'accampamento, cui i danzatori si avvicinano per rubare qualche centimetro al bosco e al mistero. Se tutti gli strumenti, le culture, concordassero una tonalita in cui suonare, il risultato sarebbe armonico.
La coscienza conosce altrettanto bene il terreno dei suoi slanci che i rischi della sua caduta. AIIascinata dai racconti di Iate, crede di conoscere la sua vocazione e nutre inIantili nostalgie per la sua origine. C'e in essa una pulsione di assenza (di annichilimento di se) e uno sIorzo di presenza, con il quale ampliIica se stessa. Questa pulsione non si potrebbe deIinirla altrimenti che potenza. Sa come interpretarla. Non si nasconde di Ironte all'esigenza di chiarezza in se stessa. Non si risparmia, e molto esigente con se. Lo e ancor piu nei conIronti degli altri. Ci si ama, spesso oltre ogni misura. La Iiloautia e il primo principio della soggettivita. Il male cosi sembra provenire dagli altri, perche e in realta soltanto per gli altri che noi lo compiamo. Non possiamo dunque pensarlo che in un contesto intersoggettivo. Cosi l'essere della reciprocita "Ionda" in certo senso la morale, il nichilismo la nutre dei suoi veleni. Non c'e in deIinitiva morale senza che il male sia ben piantato al centro del suo territorio. L'avvertimento del male, del limite sembra l'origine stessa della coscienza, la menzogna Iondamentale della sua costituzione morale. Il discorso su Dio e diverso. C'e conIlitto tra Dio e la liberta perche c'e conIlitto tra Dio e noi. Non possiamo rivolgerci a Dio che come ad un Altro. Noi semplicemente temiamo che da Dio ci venga del male, come sempre avviene nei conIronti degli altri. Sembra Iacile accettare questa aIIermazione paradossale: "Se Dio c'e, nessuna morale", una volta posto che la ragion d'essere della morale e la liberta. Ma Dio non e il legislatore del codice morale. E l'Altro: senza l'Altro nessun male. Eppure c'e un rapporto stretto tra il male e Dio, che si da come l'Altro per deIinizione (chi lo conosce? Chi parla con Lui?) e non si tratta di un rapporto di identita. L'ultimo Schelling ci illumina. La coscienza, d'altra parte, e veramente quello che si vuole, maniIestandosi nella maschera, cioe Identita? Non e Iorse visibile un'alterita, interna alla stessa coscienza, una duplicazione costante di essa, il dividersi nel darsi a noi della coscienza? Questo "darsi" non riIlette in qualche modo la donativita della maniIestazione della coscienza, la reciprocita alla base del riIlettersi dell'essere, insomma il dialogo all'origine di tutti i monologhi? "La coscienza e il mistero dell'unico nel duplice, in quanto il medesimo e se stesso e un altro, non di volta in volta (come nelle alternanze di personalita), ma al tempo stesso" 1 . La coscienza e, certo, autotrascendenza, movimento, iniziativa ontologica. Ma da che cosa parte, se parte da un qualcosa, il suo movimento? Da quello stupore che nutre verso se stessa, promosso dallo
1 V. Jankelevitch, Traite des vertus, Paris, Gallimard, 1968, vol. I, p. 144 pagina 4 spettacolo continuo di un'assenza che si Ia presenza e inizio d'essere. E cio che stupisce turba. Il turbamento della coscienza di Ironte a quel miracolo di ogni giorno che e l'assenza che si Ia presenza, l'esistenza di essa come presenza-assenza, aIIermazione-negazione. Il disorientamento che si produce allora ci da la possibilita nel compimento dell'impresa. Sara lo sbocco della situazione di chiusura dell'essere, l'aprirsi della presenza nel "mondo dato" dell'assenza. L'essere come la sua liberazione e la donazione di senso come aIIermazione della coscienza sulla scena del mondo. Lo spirito e poiesi, Iare autentico (ben diverso dal costruire). La coscienza, nel Iare, non indica proprio niente, ne il mondo, ne Dio. La coscienza pone, e questo e tutto il suo essere. Si libera dalla legge morale, dalla normativita della legge, non perche, come vogliono le cattive metaIisiche, "Iondi" la legge, ma perche vive, cioe sceglie. La legge e comunque una tentazione per la coscienza, ad essa potrebbe abbandonarsi e dormire tranquilla. Ma la coscienza, per deIinizione, e la sentinella che annuncia l'alba. La legge diviene per la coscienza un ostacolo, un limite dell'illimitato suo porsi, un limite insopportabile, come lo sono tutte le attenuazioni quando e in gioco una partita incondizionata. La morale e tale partita incondizionata, essa non dovrebbe prescrivere, in realta, ma trascrivere, scrivere in un altro orizzonte la vita. Ci trasporta su e ci oIIre la possibilita di una straordinaria intensiIicazione dell'essere. La coscienza non ha quindi bisogno dell'imperativo, dell'indicazione del dovere, perche aIIermi il valore. La coscienza e creazione di valori e, insieme, disposizione al valore. La coscienza e, inIine, secondo una tradizione IilosoIica e religiosa dura a morire, disposizione al perdono, perche, si dice, e amore. Non dimentica presto, dimentica subito. E nella sua natura intima quella di abbandonare ogni spirito di risentimento, legato al ricordo del passato, e di istituire il nuovo con un atto creativo che moltiplica all'inIinito le possibilita della liberta, che redime anche il passato dal suo esser passato. Nella messa in scena del suo mondo 2 la coscienza perde l'ingenuita della Iede nella verita e nella certezza delle sue Iorze. Siamo gli attori delle nostre azioni, si dice. E una constatazione che nasconde Iorse un paradosso. Ciononostante l'abitudine alla solidiIicazione Iisica degli atti spirituali ci spinge a considerare le nostre azioni come il prodotto di Iorze, l'eIIetto di cause e, insieme, di ostacoli. Siamo abituati a considerare le "azioni" dei "Iatti", la cui area di movimento si iscrive nelle leggi del mondo Iisico. Certe volte ci si meraviglia - non inutilmente - della parte capitale che giuoca quello che si puo chiamare il soggetto o la
2 accogliamo qui la nozione barocca di teatralizzazione della vita presente nell'opera El discreto (Il saggio) di B. Gracian: "Quel che non si vede e come se non ci Iosse...Le cose, in generale, non si apprezzano per quel che sono, ma per quel che appariscono" pagina 5 coscienza 3 |B1| nella conIigurazione del mondo, complesso di azioni che riIlettono nessi di causa ed eIIetto. L'illusione realista ottunde in noi la Iacolta |B2| in cui lo spirito si raccoglie in se medesimo e si ritrova 4 .
3 Si tratta di liberare la coscienza dalla tutela della gnoseologia, che ne vuole Iare un termine opposto all'oggetto, nello spazio di una rappresentazione e di riconoscerne, invece, lo statuto Ienomenologico. E possibile cosi ricercare non il Iondamento ma l'agire della coscienza, quelle che mi sembra essere la sua normativita Iuori della norma. I termini coscienza e soggetto non sono equivalenti che nelle IilosoIie intellettualistiche. Il soggetto e il protagonista nella costruzione del mondo (al cui novero appartiene la Cura heideggeriana) ed e venuto ad assumere nel linguaggio IilosoIico un signiIicato Iortemente impersonalista, di cui il trascendentalismo e piu vittima che responsabile. La coscienza non viene intesa in queste note al modo della Fenomenologia dello spirito di Hegel, come un grado o un momento, il piu basso, dello sviluppo dell'autocoscienza o spirito. L'idealista Gentile nel Sommario di Pedagogia ha mostrato che l'organizzazione dello spirito in gradi e l'eIIetto del platonismo e intellettualismo ancora presente in Hegel, non sempre Iedele all'idea dello spirito come Werden. Meriterebbe una seria riIlessione la natura di questo platonismo oggettivo e trascendente, che sacriIica del 'platonismo' la parte piu viva, il suo carattere di autobiograIia spirituale. E evidente, gia a partire dall'idealismo metaIisico di Fichte, che soltanto nell'esperienza morale e possibile superare l'estraneita dell'oggetto, anzi la posizione stessa di un oggetto. 4 La coscienza, indubbiamente, ci rivela a noi stessi. La nozione di "rivelazione" smette qui gli abiti metaIisici e teologici per assumere il carattere di un campo di esperienza della coscienza che ha il suo centro nel corpo e nel suo linguaggio. La coscienza e, in quanto rapporto con un "dentro", colta soltanto nel ripiegarsi su di se, nella liberta di scelta, nella sua radicale possibilita. L'esteriorizzazione della coscienza tradisce inevitabilmente il suo impulso originario, la sua destinazione. La nozione Ienomenologica di intenzionalita sacriIica tale impulso originario agli imperativi della gnoseologia, alle cogitazioni della Iondazione. Proietta la coscienza Iuori di se, verso le cose stesse con le quali si rapporta, dimenticando che la coscienza (o il corpo, nell'accezione di corpo senziente e pensante, di corpo parlante) non e tesa a signiIicare l'oggetto, ma, soprattutto, se stessa, e segno nell'azione, nella quale si struttura il suo movimento. Lo stesso progetto di Heidegger smarrisce la signiIicazione della coscienza riducendola all'essere-nel-mondo, salvo poi riguadagnarla come coscienza morale (Gewissen). L'essere-nel-mondo rinvia alla condizione di incarnazione dell'uomo, al suo stare nella situazione e, insieme, rinvia all'unita dell'anima e del corpo, dell'iniziativa e dell'inerzia della materia. La coscienza e voce, espressione, poesia, azione, creazione, sovrabbondanza, dono, amore e, insieme, ribellione all'autorita esterna di ogni tipo, lotta contro il reale e la materia, a partire dal proprio corpo. Eun'insurrezione contro la normalita del mondo, la chiariIicazione dal punto di vista di un assoluto del Iiume di Eraclito, la Iedelta ad un impegno che include il tradimento (la disponibilita ad altro) almeno quanto la Iedelta. L'esteriorizzazione e lo sIondo di una lotta spirituale che si estrinseca come un corpo-a-corpo: l'istanza del desiderio, questa bandiera del corpo, lanciata contro la morte. Resta un merito della Ienomenologia quello di aver mostrato la coscienza nella sua esposizione al mondo e alle coscienze. La coscienza sartriana ci libera veramente da Proust e dall'intimita di Amiel perche in essa "Iinalmente tutto e Iuori, tutto! PerIino noi stessi: Iuori, nel mondo, Ira gli uomini. Non in un ipotetico riIugio noi scopriremo noi stessi: ma per la strada, per la citta, in mezzo alla Iolla, casa tra le cose, uomo Ira gli uomini" (J. P. Sartre, Unidea fondamentale della fenomenologia di Husserl. Linten:ionalita, in Che cose la letteratura, trad, ital., Milano, 1963, p. 281) pagina 6 Benche celata, questa Iacolta e la Iunzione di spiritualizzazione 5 da essa esercitata sugli oggetti della consuetudine, continua ad essere attiva, anche quando non ce ne accorgiamo. Non possiamo chiamarla una distrazione volontaria, neppure potremmo dirla involontaria 6 , almeno nel senso di una attivita che si produca "automaticamente", in un modo impersonale o comunque indiIIerente alla nostra personalita 7 |B3|. Gli atti spirituali sono connotati da una intimita intrinseca, che, quando cerchiamo di rintracciarla e seguirne l'andamento e il percorso, si rivela come sIuggente all'"analisi obiettiva" delle scienze conosciute e preIigura l'oggetto di una "scienza dell'anima", che la mistica ha tentato di costruire, non riuscendo che a segnalarne l'esigenza 8 . Viene da chiedersi che
5 Non crediamo che la spiritualizzazione sia la negazione dell'oggettivita o alterita degli oggetti ad opera del pensiero, secondo il movimento dialettico hegeliano. Essa si presenta, semmai, come un approIondimento, un'incursione in proIondita nelle regioni della materia, nelle ragioni del corpo. 6 La distinzione tra volontario e involontario risale alla teoria aristotelica dell'azione, presente nell'Etica nicomachea. Aristotele pensava in modo metaIisico l'azione come un movimento prodotto dalla deliberazione consapevole del soggetto, cioe nei termini di relazioni di causa-eIIetto, al di Iuori di ogni relazione intrinseca di intimita degli atti spirituali (o etici). L'azione assume il carattere di transitivita della relazione causale e l'involontario viene ridotto a passivita, oggetto di coercizione. Il pensiero delibera coscientemente e causa le azioni, che divengono cosi costruzioni di esso, al di Iuori di ogni campo di esperienza vitale-esistenziale. 7 L'espressione "personalita" puo apparire invecchiata, ma, credo sia corretta dal punto di vista Ienomenologico. L'anima e soIIio vitale, respiro, Iorza, potenza di aIIermazione, dualita e unita. Nell'espressione soIIio, come nel ritmo del respiro, viene indicata una ripetizione che, in quanto diIIerenza non e uniIormita, una molteplicita che non e identita, una temporalita che non e serialita, che corrisponde - mi sembra - alla percezione del corpo e ai calligrammi scritte su di esso dall'esistenza. 8 La mistica si oppone alla logica, ma non e illogica. Essa pone il problema dell'unita del Iinito e dell'inIinito, dell'uomo e di Dio ed indica la necessita, denunciata dalla soIIerenza dell'uomo ridotto a se solo, del superamento dell'uomo. Nei Pensieri di Pascal abbiamo letto il tentativo, grandioso, di Iondare la logica dell'agire morale, di superare la logica della ratio, in direzione di una logica dell'esperienza spirituale, che richiede metodo, ordine, comprensione corretta. Considerare la mistica come la negazione della ragione, come l'anti-scienza, signiIica continuare a scorgere come unico modello di razionalita e di conoscenza quello costituito della ragione astratta e matematizzante. La mistica e il tentativo (spesso arenatosi nelle secche dell'intellettualismo, duro a morire, e del suo dogmatismo e nel vaniloquio dell'ediIicazione) di aprirsi all'essere abbattendo le sicurezze del positivismo e gli imperativi dell'umanesimo consolatorio, tentativo che attende una metodica della salvezza dello spirito, che sarebbe altrimenti "solitudine senza vita" (Hegel). Questa disperazione del Iinito, che postula da parte dell'uomo, sospeso tra l'abisso senza Iondo in cui sta per precipitare che lo terrorizza e l'abisso senza Iondo del cielo che lo conIorta, il superamento della sua sIera immediata e di ogni dato nella ricerca attiva dell'assoluto, nel collegamento tra Iinito e inIinito, e il grande tema della ConIessione di Lev Tolstoi. Anche per Lavelle la relazione tra noi e l'essere totale resta sempre reciproca (cIr. Jean Ecole, La doctrine lavelliene de la connaissance, in "FilosoIia oggi", n. 1, gennaio-marzo 1990, soprattutto pp. 85-89 e le osservazioni di M. Merleau-Ponty (Elogio della filosofia, a c. di C. Sini, Editori Riuniti, Roma, 1984, pp. 15-20) intorno al senso di pagina 7 diIIerenza ci sia tra interiorita e intimita, delimitazione necessaria per scoprire la via d'accesso all'intimita 9 L'interiorita non e una regione dell'essere, neppure una Iunzione trascendentale, ma l'esperienza di una rivelazione dello spirito. Forse quest'ultima parola teologica, "rivelazione", implica un problema di misure, di "velocita": denuncia semplicemente che la nostra attenzione spinge a tagliare passaggi troppo signiIicativi, che l'urgenza del Iare costruttivo condiziona il nostro comportamento. Per gli amanti della metodologia si pone un problema di delimitazione del territorio della coscienza. Perche non e vero che "i conIini dell'anima non li potrai mai trovare, tanto proIonda e la sua ragione" (Eraclito). Noi li avvertiamo ogni momento, riusciamo nei casi migliori a saggiarne Iinanche l'intensita e la "purezza". Ma non riusciamo a rappresentarcele che secondo un modello realista. Scontiamo per questo una perdita, imputabile al linguaggio, risarcita soltanto dal lavoro dei poeti sui calligrammi dell'esistenza. Lo "spirito" non sembra esprimere dal punto di vista dell'esperienza, se non una proporzione tra il mentale e l'ordine biologico del corpo 10 . Nella Seconda poesia segreta a Madeleine, che echeggia motivi del Cantico dei cantici di Salomone, il poeta Apollinaire, interessato alla lettura "erotica" e trasgressiva delle esperienze dei santi, sembra intuire la coappartenenza di anima e corpo ("E la tua anima ha tutte le bellezze del tuo corpo perche dal tuo \ corpo mi sono state accessibili con immediatezza le \ bellezze della tua anima") (trad. C. Rendina) Attraverso il corpo cogliamo la trascendenza del mondo e ci disponiamo a penetrare nello spazio nel quale ci si intrattiene con se stessi. La nostra incarnazione ci Ia esseri spirituali 11 .
reciprocita della relazione tra noi e l'essere totale cui rinviano le nozioni di presenza e partecipazione di Lavelle. 9 L'interiorita ha costituito il grande tema della metaIisica cristiana, da Agostino in poi. La perdita del signiIicato originario ne ha segnato il percorso storiograIico. Lo spirito "soIIia dove vuole", ma lo sIorzo della sua presenza, del suo pervenire all'essere, non e anonimo, pur essendo riducibile all'anagraIico. Le Confessioni di Agostino mostrano chiaramente il carattere di personalita della verita e insieme il carattere esemplare dell'esperienza spirituale. Diversamente nelle Confessioni di Rousseau prevale la logica della costruzione. E la Iinzione letteraria (quella menzogna che sempre si associa alla narrazione) la ciIra di questa compromissione. 10 Lo spirito e un rapporto di coappartenenza tra la coscienza e il corpo. Dire che esiste tra essi una collaborazione economica, che l'uno rimanda all'altro per "Iunzionare", non basta. Si dimentica in tal modo che il corpo non e un oggetto, essendo la possibilita stessa di inserzione nel mondo e che la coscienza non puo conIondersi con l'astratto cogito, non lo e nella misura in cui non coincide con il centro della lucidita, con l'Io delle scuole psicologiche. 11 Il raccoglimento si presenta in Marcel come una concentrazione e riIlessione interiore, esterno al problema, vicino al mistero. L'atto del raccoglimento e pero in Marcel una presa di contatto con la sorgente ontologica. Richiede lo spogliamento di ogni saper- Iare, e distensione e abbandono, suscita risposta e attesa (un tema che ci sembra molto pertinente all'esame della natura della conoscenza di se). Analisi che richiede il metodo pagina 8 Nell'Adieu di Une saison en enfer Arthur Rimbaud tocca questo punto Iondamentale della dottrina cristiana: i corpi saranno giudicati, proprio come le anime. Il tema dell'incarnazione, asse di ogni esperienza interiore e presente in molti poeti e scrittori. La ritroviamo ad esempio nel romanzo Bubu di Montparnasse di Charles Louis Philippe: "La nostra carne conserva tutti i ricordi, e li mischiamo con i nostri desideri. Solchiamo il presente con questo bagaglio, andiamo avanti e in ogni istante siamo interi" 12 . Nel monologo interiore di alcuni scrittori sembra superato il dualismo tra le Iorme dell'io (le sue incarnazioni) mutevoli e la sua realta costante, permanente, eterna; un dualismo cui era legato ancora Amiel: "Il nostro centro e l'io, che rappresenta in noi l'eterno nel tempo, il punto matematico nello spazio, cio che domina il vortice. E l'io che dice: il mio piede, la mia mano, il mio occhio sono miei, e non sono me. Mi si possono recidere tutte le membra; io sono ancora la. Finche io ho coscienza di essere, Iinche io penso, io sono. Posso perdere le mie Iacolta, la memoria, l'intelligenza, tutto cio che e mio, ma non me" 13 . L'invito e quello di attendere, perche soltanto cosi si e attenti. Attendere e prendere tempo, non darsi cura e, al tempo stesso, essere pronti a ricevere. Tentare di "Iorzare" i tempi, di abbreviare il percorso e di "aIIerrare" il senso prima che spontaneamente si dia a noi signiIica sopprimerlo, stravolgerne i contorni e, inIine, ridursi al quantitativo. In ogni caso, inIatti, "pro-muovere" l'azione e inIatti un anticipare l'evento e attendersi che si maniIesti nel modo della rappresentazione che ce ne Iacciamo. La norma della costruzione ci obbliga ad anticipare un tempo che la logica
descrittivo della Ienomenologia dell'esperienza. Anche per Marcel il corpo ha molto a che Iare con l'io e con l'avere (grazie ad esso riusciamo a distinguere il possesso delle cose dall'avere). Il tema marceliano del mistero ontologico e "qualcosa in cui mi trovo coinvolto, la cui essenza e conseguentemente di non essere del tutto davanti a me. E come se in questa zona la distinzione Ira l'in me e il davanti a me perdesse il proprio signiIicato" (tre et avoir pp. 144-145). L'io gli si presenta come ostacolo, piu che come principio di creazione (di tipo idealistico), piu come l'egoista conIuso che il padrone di se.. Marcel mette in evidenza che il corpo in prospettiva Ienomenologica "si sostituisce al problema tradizionale dei rapporti tra anima e corpo" (La dignite humaine et ses assises existentielles, trad. ital., Elle di ci, 1983, p.64) e rileva che e impossibile stabilire qualsiasi relazione di esteriorita tra me e il mio corpo. Una volta che il mio corpo venga disobiettivato, non considerato piu come una materia estesa, posso dire "io sono il mio corpo" e intenderlo come l'esistenza- tipo. "Si e dunque indotti a introdurre una distinzione Iondamentale Ira esistenza e obiettivita, distinzione che non coincide aIIatto con quella che l'idealismo tradizionale, specialmente a partire da Kant, pone tra soggettivita e obiettivita" (op. cit. p. 66). L'antropologia IilosoIica o esistenziale di Marcel si lega all'idea dell'incarnazione, dell'uomo quale essere incarnato. Molto diversa la prospettiva di Sartre. Le analisi, complesse e di grande Iinezza, di Sartre sul corpo in Essere e nulla, sollecitate dalla critica alla "sensazione di sIorzo" di Maine de Biran, considerata un mero "mito psicologico"(cIr. trad. ital., Il Saggiatore, Milano, 1975, p. 403) riprendono le descrizioni Ienomenologiche di Husserl e di Heidegger. 12 trad. ital. di G. Gramigna, Garzanti, Milano, 1966. 13 Amiel, cit. in G. Giraldi, Storia della Pedagogia, Armando, Roma, 1984, p. 265. pagina 9 dell'intelletto ha polverizzato in una molteplicita quantitativa. Il vero movimento e il ripiegarsi su se stessi 14 , per esso non c'e un inizio ne processo misurabile. Solo l'avvertimento di esso possiamo potenziare, non il suo maniIestarsi 15 . Molti IilosoIi della morale parlano di uno stato particolare nel quale si Ia ingresso grazie alla virtu. Si tratta di una completa trasIormazione del nostro essere. Spinoza ci parla della letizia e della beatitudine. Bergson di gioia. Talvolta la vita ci costringe alla gioia. Nutriamo questo sentimento di gratitudine nei conIronti della vita, che e la gioia. La coscienza si compiace del suo spettacolo, della scena che mette in opera. In genere si Iruisce di questo stato d'animo quando il senso di presa sulla realta si aIIievolisce, quando non siamo centrati sulla soggettivita, ma sulla dinamica proIonda dei nostri atti di volonta. Le cose sembrano corrispondere alle proIonde esigenze della nostra spiritualita, per un momento. Questo produce in noi la gioia. Non siamo gioiosi per il successo, o per il compimento del dovere. Siamo gioiosi del Iatto che ci sia comunicazione e consonanza tra gli atti e la loro scaturigine proIonda. Non riusciamo a dirne di piu. Talvolta la gioia e senza ragioni plausibili, evidenti o dimostrabili. Eppure siamo certi della sua Iondatezza, ci Iidiamo dell'inIallibilita del nostro animo che prova la gioia. Ci sembra una rivelazione di un ordine piu alto. La persuasione ha certo molto a che vedere con la gioia. Se agiamo sulla base di una concezione del mondo, e gioiosa ogni risposta del mondo alla nostra concezione. Ma e negli aIIetti nei conIronti delle persone che la gioia ci vince, sino alle lacrime. E l'irruzione di una scena diversa dal mondo ordinario, il prevalere del dinamismo spirituale su tutte le esigenze pratiche e costruttive. Non e necessaria ne possibile. E gratuita nel suo darsi e sconvolgente nella sua intensita. Non e in vista di essa che continuiamo l'azione. Non appena scompare, non sappiamo piu di cosa si trattasse.
14 Questo "ripiegarsi in se stessi" non ha nulla a che vedere con il riIlettersi del pensiero, perche impegna l'intero nostro essere in quella che potremmo chiamare la "disposizione all'incontro". Risulta estraneo alla logica dell'identiIicazione o alla immedesimazione (non c'e traduzione possibile di noi nell'altro o dell'altro in noi sul piano della logica dell'intelletto). Con la riIlessione di se, intesa come raccoglimento su se stessi, cogliamo la presenza del nostro essere all'essere, l'intimita come il proprio dell'essere in ogni sua maniIestazione. Entriamo cosi nella dialettica dell'unita e della molteplicita propria del nostro io, oggettivato nei suoi "eIIetti", reiIicato con essi Iino a quando non sia emancipato, emancipando tutto l'essere, dalla disposizione originaria della liberta spirituale. Il ripiegarsi in se stessi non e abbandono ma iniziativa, sIorzo, non Iuga dall'impegno ma ripetizione e ripresa. Si deve a Kierkegaard l'attenzione su questo aspetto di ripresa dell'esistenza. L'aIIermazione di se coincide qui con la liberta della ripresa, con l'insurrezione contro la normalita, con l'inquietudine dell'iniziativa e l'entusiasmo del culmine. 15 Si tratta dell'avvertimento della liberta, non della vita (presente in tante Iormulazioni dell'esistenzialismo novecentesco). L'avvertimento della liberta come il nostro io piu proprio genera in noi stupore, vertigine, gioia, perche in essa sentiamo non la pienezza di un possesso, ma la pienezza dell'iniziativa ontologica. pagina 10 Avvertiamo soltanto il ricordo di un'emozione che prende tutto il nostro essere e lo trasporta in alto. Diversamente, il male non si avverte, ci si volge semplicemente ad esso. E di Ironte a noi. Sembra che voglia catturarci, ma siamo noi ad eleggerlo. Ci si dirige con sicurezza verso di esso. Lo smarrimento iniziale e subito vinto da pulsioni piu proIonde. Sentiamo nel nostro proIondo una consonanza con il male, quasi Iossimo destinato ad esso, Iossimo delle sue creature. Per questo compiere il male non da luogo a tentennamenti. Vorrei presentare questa tesi paradossale: non temiamo di compiere il male perche siamo certi del perdono. Il perdono (questa e una verita elementare per noi) e la normalita a cui si ritorna dopo l'eccezionalita del male. Proprio perche eccezionale l'esperienza del male non dura molto, anche se ci troviamo coinvolti in essa durante tutta la vita. Ci sentiamo stretti da una necessita di trovare una dimensione oltre il male, di voler essere perdonati, dagli uomini o da Dio, ma principalmente dalla nostra coscienza. Per quanto grave sia l'azione tesa al male, "cattiva" l'azione e proIondo l'inabissamento nell'esperienza del male, e aperta per noi una possibilita di ritorno. Il male e dunque un progetto Iallibile, anzi sempre Iallito. Anche gli uomini votati al male cercano oltre esso, il perdono. Il perdono non cancella il male, perche cio che e stato Iatto e stato Iatto e la coscienza lo avverte come un peso insopportabile. Malgrado cio, il male ha le sue virtu, proprio come il bene. Gli uomini votati al male le perseguono per migliorarsi in esso. Molti lo Ianno per amore. In questo caso saltano le congiunzioni platoniche tra eros e verita- bene e entra in crisi il principio di Identita della Coscienza. Direi che la maggior parte degli uomini votati al male, lo Ianno per amore, legati ad una donna o ad un uomo, ad un'amicizia o a un gruppo da un rapporto di amore diventano Ieroci nei conIronti degli altri. I criminali, scrive Genet, organizzano un universo proibito, un doppio del mondo "buono", isolandosi, "come nell'amore" ci si isola. Percio e diIIicile discriminare il conIine tra bene e male Talvolta sembra che tra le due sIere ci sia una qualche complicita, come se esse scaturissero da un unico Iondamento. Talaltra sentiamo vivissimo il senso di ripulsa per il campo opposto, ma anche l'impossibilita di una deIinizione. "Il turbamento che provo sembra nascere dal Iatto che in me assumo a un tempo la parte di vittima e quella di criminale. Anzi, in realta emetto, proietto di notte la vittima e il criminale scaturiti da me, Io che s'incontrino da qualche parte, e verso l'alba la mia emozione e grande nell'apprendere che per un pelo la vittima ha schivato la morte e il criminale la galera o la ghigliottina" scrive Jean Genet nel Diario del Ladro 16 .
16 Jean Genet, Quattro roman:i, a cura di G. Caproni., Il saggiatore, Milano, 1975. pagina 11 Su questa identita di vittima e criminale insiste anche il Tolstoi di Resurre:ione. Chi e criminale? La prostituta (Katiusa) che ha derubato il cliente ubriaco e per questo viene condannata al carcere o l'uomo (Nechljudov) che l'aveva sedotta a sedici anni e che compare ora al processo tra i giurati? Il giudice e la causa prima del crimine commesso dall'accusata. Come potra condannarla senza condannare se stesso? Come potra riparare al torto inIertole? Con il matrimonio? Potra persistere nella menzogna, ben protetto dalla sua posizione sociale o cerchera il perdono di Katiusa? Ecco il quadro di una drammatica alternativa morale. Nechljudov sente tutto il peso della sua responsabilita soltanto di Ironte alla sua coscienza. Grazie ad essa scorge una nuova visione del mondo, radicalmente diversa da quella dominante nella societa. Questa non produce immediatamente verita nell'azione, una sbrigativa soluzione catartica. Katiusa conquista la propria dignita umana indipendentemente da lui e la stessa spiritualita di Nechljudov resta problematicamente sospesa tra bene e male. La prostituta, pur raggiunto il colmo dell'abiezione, vivendo al piu basso livello che la morale disprezza ha mantenuto una sua verginita morale. Sa maniIestare la sua volonta Ierma di non sacriIicare la vita di Nechljudov per salvare la propria. Grandeggia nei rapporti con i contadini e la gente del popolo. Soprattutto "educa" Nechljudov, il quale supera anche il problema della riparazione del torto inIlitto a Katiusa perche supera la concezione dell'amore come qualcosa nella quale ci si isola. No, si trattava di combattere il male che trionIava, regnava incontrastato, e non appariva nessuna possibilita, non solo di vincerlo, ma sia pure di concepire il modo di vincerlo" 17 . La personalita spirituale sorge dall'indignazione della volonta morale di Ironte alla miseria morale del presente. La salvezza di Nechlijudov deriva dalla lettura del Vangelo, dalla dottrina del perdono, inteso come unico mezzo per vincere il male: "La risposta che non gli era riuscito di trovare, era appunto la medesima che aveva dato Cristo a Pietro: consisteva nel perdonare sempre, tutti, perdonare un inIinito numero di volte, giacche non esistono uomini tali che non siano essi stessi colpevoli, e che possano quindi punire o correggere" 18 . Tolstoi risponde alla provocazione del male con il mito della redenzione, ma coglie la necessita di moltiplicare il perdono all'inIinito, sdoppiando cosi la coscienza Iino a smarrirne completamente la costitutiva identita in un Gioco di Specchi, in cui regna l'apparenza. Dall'"interiorita" della coscienza scaturiscono dunque menzogne come Iiori del male. Della cattedrale costruita dalla coscienza come un Iortilizio in cui imprigionare le sue esperienze, le sue Iantasticherie, le sue
17 L. Tolstoi, Resurre:ione, Parte terza, XXVIII. 18 ibidem. pagina 12 investigazioni diurne e notturne, non resta che il nulla, il trionIo della morte, padrona assoluta del corpo. La conversione del male nel bene, giocando Iino in Iondo sul termine dialettico della contesa, rende inconcepibile una nozione positiva del male (assente proprio per questi motivi da tutta la metaIisica occidentale, da Agostino in poi). Uno scrittore visionario e ribelle come Genet sembra rispondere a tale istanza quando scrive: "Della santita di Vincenzo de' Paoli diIIido. Doveva accettare di commettere il delitto al posto del galeotto di cui prese il posto ai Ierri" 19 . Nella prospettiva mistico-vitalistica di Genet il nauIragio della coscienza, intesa come senso del limite e centro di giudizio dei valori morali, sara la sua eIIettiva via di salvezza: "Dio: il mio tribunale intimo. La santita: l'unione con Dio. Essa sara quando cessera quel tribunale, vale a dire quando giudice e giudicato saranno Iusi insieme" 20 .
28.08.2001
19 J. Genet, Il diario del ladro, trad. Caproni, in op. cit., p. 270. 20 ibid.., p. 291.