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Il Libro dei Vigilanti e il Problema del Male


L’Apocalittica Giudaica negli Studi di Paolo Sacchi

LORENZO BOSCARIOL
Università Ca’ Foscari

INTRODUZIONE

La storia degli studi sulla letteratura apocalittica è strettamente legata ai tentativi che sono stati compiuti
per definire cosa si intenda con il termine stesso “apocalittica”. Tale concetto si originò in relazione
all’esistenza di una serie di testi antichi che già dal XIX secolo furono considerati come caratterizzati da
elementi letterari, contenutistici e ideologici accostabili, generando un’opinione comune condivisa che
permetteva di includerli nella stessa categoria. Sia il significato del termine, sia l’elenco dei testi che si
possono definire apocalissi sono dipesi nel corso della storia dal punto di vista dei vari studiosi che se ne
sono occupati con diversi approcci e metodologie. Fino alla metà del ‘900 chi si accostava all’argomento
aveva una formazione prevalentemente teologica e impostava l’analisi sul tentativo di inquadrare il
fenomeno su base ideologica attraverso le categorie degli studi biblici1.
In quegli anni la scoperta dei Manoscritti del Mar Morto e la loro successiva pubblicazione stimolarono
l’interesse accademico dando un nuovo impulso allo studio dell’apocalittica, che a partire dalla
pubblicazione nel 1964 di The Method and Message of Apocalyptic di David S. Russell fiorì in seguito
negli anni ’70. Il numero sempre maggiore di interpretazioni portò ulteriore incertezza riguardo all’uso
del termine, spingendo il dibattito verso una discussione che cercava di stabilirne le caratteristiche sul
piano letterario e spogliarlo dai preconcetti teologici e filosofici; la prima opera che risentiva di questa
preoccupazione fu Ratlos vor der Apokalyptik di Klaus Koch del 1970. La necessità di fare chiarezza
culminò nella definizione prodotta dal gruppo di studio di John J. Collins e pubblicata nel numero 14 della
rivista Semeia del 1979, che prese in esame i testi della tradizione giudaica composti tra il 250 a.C. e il
250 d.C. che l’opinione comune fino a quel momento aveva messo in relazione al concetto di
“apocalissi”2. Secondo questa definizione la letteratura apocalittica è “un genere di letteratura rivelatoria
entro una cornice narrativa, nella quale una rivelazione viene mediata da un essere oltremondano verso
un destinatario umano, rivelando una realtà trascendente che è sia temporale, in quanto prefigura una
salvezza escatologica, sia spaziale, in quanto involve un mondo altro e soprannaturale”3.

1
Collins J. 2012:13.
2
Collins J. 1979:III.
3
Testo tradotto dall’originale, Collins 1979:10.
2

Su questa base il corpus apocalittico, composto da testi che ad eccezione di Daniele non sono inclusi nel
canone biblico, può essere considerato il seguente:

◦ Libro Etiopico di Enoc (1Enoc)


◦ Daniele
◦ Quarto Libro di Esdra (4Esdra)
◦ Apocalisse Siriaca di Baruc (2Baruc)
◦ Apocalisse di Abramo
◦ Apocalisse Greca di Baruc (3Baruc)
◦ Libro Slavo di Enoc (2Enoc)
◦ Testamento di Levi 2-5
◦ Apocalisse di Sofonia
◦ Giubilei
◦ Testamento di Abramo

Altre opere sono accomunabili al genere4, ma mancano tuttavia di elementi fondamentali come quello
escatologico e la presenza di una figura mediatrice ultraterrena, esse sono il Testamento di Mosè, i
Testamenti dei 12 Patriarchi, il Testamento di Giobbe e gli Oracoli Sibillini, oltre ad alcuni frammenti
dei Testi di Qumran. Oltre a fonti giudaiche la definizione di Semeia 14 permette di includere anche testi
Cristiani, Gnostici, Persiani e Greco-Romani. 5
Gli anni ’70 videro in particolare una vera e propria esplosione di studi specifici su 1Enoc6, ciò fu
promosso dalla pubblicazione di The Books of Enoch: Aramaic Fragments of Qumrân Cave da parte di
Józef T. Milik nel 1976, che retrodatava la composizione delle prime parti del testo (Libro dei Vigilanti e
Libro dell’Astronomia) ad un periodo precedente rispetto a quanto comunemente ritenuto, prima ancora
di quella di Daniele, fino a quel momento comunemente ritenuta l’esempio di letteratura apocalittica più
antico. Il Libro Etiopico di Enoch è così definito in quanto la sua unica testimonianza giunta in forma
completa ai nostri giorni è la versione che è stata tramandata dalla Chiesa Ortodossa Etiope, che tutt’oggi
lo considera un testo sacro. Le prime copie etiopiche risalgono al XV secolo d.C. e sono il frutto di un
processo di trascrizione, reinterpretazione e rielaborazione che, partendo dal più antico esempio di
Qumran e passando per le copie greche a noi pervenute, testimonia con le differenze riscontrabili nei testi
i diversi contesti culturali e ideologici attraverso i quali 1Enoc è stato trasmesso 7. Il Pentateuco Enochiano
è così scomponibile sulla base dei diversi tomi in esso inclusi:

1. Introduzione: capitoli 1-6


2. Libro dei Vigilanti (LV): capitoli 6-36
3. Libro delle Parabole (LP): capitoli 37-71
4. Libro dell’Astronomia (LA): capitoli 72-82
5. Libro dei Sogni (LS): capitoli 83-90
6. Epistola di Enoc (EE): capitoli 91-104
7. Conclusione: capitoli 105-108

4
Ivi:44-49.
5
Ivi:III-IV.
6
Martínez & Tigchelaar 1989.
7
Vedi Knibb M. A., The Book of Enoch or Books of Enoch? The Textual Evidence for 1Enoch, in Collins & Boccaccini
2007, pp. 21-40.
3

La nuova datazione di LV fu uno degli elementi che spinse Paolo Sacchi ad approfondire lo studio
dell’apocalittica giudaica seguendo un metodo che privilegiava l’analisi dello sviluppo del pensiero
espresso dal genere nelle sue varie fasi, nel tentativo di tracciarne una storia. Negi stessi anni in cui il
dibattito era incentrato sull’aspetto letterario, Sacchi produceva una serie di articoli che furono poi raccolti
in L’Apocalittica Giudaica e la sua Storia, pubblicato nel 1990, dove sosteneva l’esistenza di una
tradizione ben definita che aveva composto e raccolto i testi contenuti in 1Enoc.
La prima parte di questa relazione offre alcuni esempi degli studi relativi alla letteratura apocalittica fino
al 1979, la seconda si occupa del lavoro di Paolo Sacchi e della sua analisi del Libro dei Vigilanti, mentre
la terza descrive alcuni sviluppi delle teorie dello studioso italiano, oltre ad interpretazioni alternative
della tradizione relativa al Libro di Enoch.

1. L’APOCALITTICA COME GENERE LETTERARIO

L’inizio del dibattito riguardo al concetto di “apocalittica” e a quali fossero i testi che potevano essere
definiti apocalissi può essere fatto risalire già agli inizi dell’800 e al lavoro di Friedrich Lücke8. Grazie
anche alla prima traduzione del Pentateuco Enochiano, Lücke arrivò a proporre dei paralleli tra
l’Apocalisse di San Giovanni, il libro di Daniele, il libro di Enoch, il quarto libro di Esdra e gli Oracoli
Sibillini. Successive scoperte e pubblicazioni di testi ebraici portarono a includere nella discussione anche
2Baruch, 3 Baruch, 2 Enoch, l’Apocalisse di Abramo e il Testamento di Abramo. Nel ‘900 il primo
esempio di studio approfondito in materia che non fosse influenzato da preconcetti teologici fu The
Method and Message of Apocalyptic del 1964 di David S. Russel; basandosi principalmente sulla
descrizione delle tematiche ideologiche e religiose, tuttavia, non considerava il contesto storico e non si
soffermava sullo studio particolare approfondito delle singole opere. Russel inoltre considerava apocalissi
un numero molto amplio di testi biblici e apocrifi e non fece nulla per produrre una definizione esaustiva
del genere né per delinearne le eventuali caratteristiche.
È a partire dagli anni ‘70 del ‘900 che gli studi in materia videro un intenso sviluppo e portarono alla
pubblicazione di numerose opere, la prima delle quali fu Ratlos vor der Apokalyptik del 1970 di Klaus
Koch, che cercava di mettere ordine nell’uso del termine e di definire i limiti del genere partendo da una
base di sei opere comunemente accettate come apocalissi (Daniele, 1Enoc, 2 Baruch, 4Esdra, Apocalisse
di Abramo e Apocalisse di Giovanni), delle quali elencava le tematiche ricorrenti, come ad esempio
l’attesa di un cambiamento repentino innescato da una catastrofe cosmica e un determinismo storico legato
alle dinamiche di una dimensione altra rispetto a quella terrena, mentre riguardo alla forma identificava
degli elementi letterari come l’immaginario mitico, la pseudonimia o il discorso paraenetico, che tuttavia
non si ritrovavano in tutti i testi presi ad esame. Koch sosteneva inoltre che i testi apocalittici fossero
legati a determinati contesti storici e sociali e a particolari movimenti ideologici che definisce
“apocalittici”, arrivando anche ad interrogarsi riguardo la possibilità che tutti i testi presi in considerazione
potessero essere ricondotti ad un Sitz Im Leben comune9 concludendo però che questo non fosse
identificabile con gli elementi a disposizione. L’opera del Koch non chiarì i dubbi riguardo l’uso del
termine apocalittica e non stabilì precisamente una definizione basata su elementi che fossero presenti in

8
Lücke F., Versuch einer vollständigen Einleitung in die Offenbarung Johannis und in die gesamte apokalyptische
Literatur, Bonn, Weber, 1832.
9
Koch K. in Collins 1998:22.
4

tutte le opere, ma contribuì a formare un immaginario del genere che acquisì la sua accezione comune di
"literary compositions which resemble the book of Revelation, i.e., secret divine disclosures about the end
of the world and the heavenly state"10. Le componenti letterarie fondamentali furono identificate nella
rivelazione di fatti segreti, principalmente di carattere escatologico, da parte di un mediatore che ne viene
a conoscenza attraverso visioni o comunicazioni provenienti da una sorgente spirituale. Paul Hanson in
Dawn of Apocalyptic del 1975 tracciò le origini dell’escatologia apocalittica, cercando di dimostrare che
“the rise of apocalyptic eschatology is neither sudden nor anomalous, but follows the pattern of an
unbroken development from pre-exilic and exilic prophecy”11. Attraverso l’analisi di testi biblici del VI e
V secolo a.C. delineava un periodo storico caratterizzato dalla tensione presente nella comunità giudaica
tra “the Zadokite group returning from exile with the hierocratic program for restoration and the dissident
Levitical-prophetic group resisting the official program”12. Questo gruppo di opposizione avrebbe così
rielaborato l’escatologia ad orientamento politico tipica del periodo profetico classico verso una
caratterizzata da una prospettiva ultraterrena nella quale riversavano le loro speranze per il futuro.
Successivamente Hanson ampliò le sue teorie nei due articoli contenuti in Interpreter’s Bible - Supplement
Volume del 1976 dove, riprendendo la distinzione tra forma e contenuto proposta da Koch, distingueva
tra “Apocalypse” come genere letterario e “Apocalypticism”13 come “a system of thought produced by
visionary movements”, un universo simbolico che i movimenti apocalittici adottano nell’interpretazione
della realtà. Alla voce “Apocalyptic eschatology” riprende la sua idea di continuità con la letteratura
profetica pre-esilica e la definisce come “a religious perspective, a way of viewing divine plans in relation
to mundane realities”. Il contesto sociale dei gruppi apocalittici secondo Hanson sarebbe stato da
identificare in una situazione di alienazione originata dalla dissoluzione delle strutture socio-religiose e
mitologiche, alla quale essi reagirono con la formazione di un nuovo universo simbolico di significati che
potesse aiutarli ad interpretare la realtà del tempo e a contrastare la visione della fazione dominante che
essi non accettavano. L’interpretazione di Hanson verrà poi rimaneggiata da Michael E. Stone nel suo
articolo del 1978 The Book of Enoch and Judaism in the Third Century B.C.E. nel quale, grazie alla
datazione proposta da Jόzef Milik nel 197614 del Libro dei Vigilanti (seconda metà del II sec. a.C.) e del
Libro dell’Astronomia (tra la fine del III e l’inizio del II sec a.C.), concludeva che i due libri fossero
l’esempio più antico di letteratura apocrifa giudaica. Stone sosteneva che le parti più antiche di 1Enoc
potevano essere ricondotte ad una tradizione intellettuale alla quale appartenevano persone istruite e
probabilmente appartenenti alla classe sacerdotale e dei saggi 15. Tale tradizione si interessava di
speculazioni cosmologiche e aveva interesse riguardo scienze come l’astronomia raccogliendo spunti ed
ispirazione da testi e fonti non appartenenti all’esegesi biblica tradizionale, nella quale tali speculazioni
sono pressoché assenti. La genesi dell’apocalittica non andava dunque ricondotta al solo sullo sviluppo
dell’elemento escatologico, e quindi legata alla tradizione profetica, come proposto da Hanson.
Nonostante i numerosi studi pubblicati in questo periodo, sulla base dei parametri interpretativi proposti
dai vari studiosi l’elenco dei testi apocalittici continuava a risultare vago e indefinito, data anche la natura
composita e complessa delle opere prese in considerazione. Spesso la forma letteraria (apocalisse) non
era coerente con il contenuto (apocalittico) e numerosi testi presentavano parti considerabili come
apocalissi, mentre altre che al genere non potevano essere ricondotte; l’uso del termine “apocalittica”
inoltre, continuava a non avere un’accezione precisa ed ogni autore lo utilizzava in maniera poco chiara,
intendendo con esso cose ben diverse.
È proprio la necessità di fare chiarezza che portò alla costituzione di un gruppo di ricercatori guidati da
John J. Collins, tale progetto fu una sottosezione del più ampio “Society of Biblical Literature’s Genres
Project” promosso da Robert W. Funk. L’obiettivo del gruppo era una definizione esaustiva del genere

10
Koch K. in Collins 1979:2.
11
Hanson 1975:1-2.
12
Ivi:96.
13
Hanson 1976:27-34.
14
Milik 1976:22,273.
15
Stone 1978:489.
5

apocalittico e, sulla base di tale definizione, stabilire in modo chiaro quali fossero i testi che potevano
essere inclusi nel corpus. I saggi risultanti dallo studio furono pubblicati nel 1979 nel numero 14 della
rivista Semeia con il titolo Apocalypse: The Morphology of a Genre. Stabilito che “by literary genre we
mean a group of written texts marked by distinctive recurring characteristics which constitute a
recognizable and coherent type of writing”16 furono presi come base di partenza i testi ebraici, cristiani e
gnostici comunemente ritenuti apocalissi dagli studiosi, oltre ad alcuni esempi greco-romani e persiani.
Mantenendo come approccio la distinzione tra forma e contenuto proposta da Hanson, si procedette ad
un’analisi delle opere fino ad identificarvi gli elementi ricorrenti e, incrociando i dati estrapolati, arrivare
ad una definizione il più possibile astratta e omnicomprensiva che potesse essere utilizzata come
strumento per lo studio particolare delle singole opere. Il risultato fu l’identificazione del “paradigma
apocalittico”17, qui riportato, suddiviso in due sezioni che mostrano l’una le modalità letterarie di
trasmissione della rivelazione e le sue conclusioni e l’altra i contenuti, ordinati secondo un asse temporale
ed un’asse spaziale.

FORMA

1. Il Medium attraverso il quale la rivelazione è comunicata.


1.1 Rivelazione Visiva, sia nella forma di
.
1.1.1 Visioni.
1.1.2 Epifanie.
1.2 Rivelazioni auditive, sia in forma di
1.2.1 Discorso del mediatore, o
1.2.2 Dialogo, una conversazione tra mediatore e destinatario.
1.3 Viaggio Ultraterreno, visioni ottenute da un viaggio attraverso cieli,
inferi o altre regioni.
1.4 Scrittura, quando la rivelazione è contenuta in un libro.

2. Il Mediatore Ultraterreno che comunica la rivelazione attraverso una


visione o un discorso diretto. È solitamente un angelo o, come in alcune
apocalissi cristiane, Gesù Cristo.

3. Il Destinatario Umano.
3.1 Pseudonimia: il destinatario è solitamente identificato con una figura
importante del passato.
3.2 La Disposizione del Destinatario, lo stato emozionale del destinatario e
le circostanze nelle quali la rivelazione è ottenuta.
3.3 La Reazione del Destinatario che descrive i timori e i dubbi del
destinatario che si confronta con la rivelazione.

16
Collins J.1979:1.
17
Ivi.:6.
6

CONTENUTI: ASSE TEMPORALE

4. Protologia: elementi che trattano dell’inizio della storia o di tempi pre-storici


.

4. 1 Teogonia e/o Cosmogonia.


4. 2 Eventi Primordiali significativi rispetto alla storia (il peccato di Adamo).

5. La Storia può essere vista come:


a

5. 1 Ricordo del passato, o


.

5. 2 Profezia Ex eventu, dove la storia passata è dissimulata attraverso la visione


del futuro e associata a profezie escatologiche.

6. Salvezza nel presente attraverso la conoscenza, elemento tipico delle


apocalissi gnostiche che le distingue da altre tipologie.

7. Crisi Escatologiche che possono prendere la forma di


.

7. 1 Persecuzioni e/o
7. 2 Altri sconvolgimenti escatologici che alterano l’ordine naturale
e/o storico.

8. Giudizio finale e/o distruzione dovute ad un intervento divino che interessa


8. 1 I Peccatori, solitamente oppressori, oppure gli ignoranti nei testi gnostici
.

8. 2 Il mondo, i.e., gli elementi naturali.


.

8. 3 Esseri ultraterreni, ad esempio gli angeli caduti o le forze di Satana.

9. Salvezza escatologica, la controparte positiva del giudizio escatologico


e, come quest’ultimo, proveniente dalla potenza divina. Può implicare:
a

9.1 Trasformazione Cosmica, con conseguente rinnovamento del mondo;


.

9.2 Salvezza Personale, parte della trasformazione cosmica o da essa indipendente.


Può assumere la forma di:
.
9.2.1 Resurrezione, del corpo o
9.2.2 Altre forme di vita dopo la morte, ad esempio l’assunzione in cielo.

CONTENUTI: ASSE SPAZIALE

10. Elementi ultraterreni, personali o impersonali, benigni oppure malvagi.


a

10.1 Regioni Ultraterrene, descritte solitamente nei viaggi ultramondani.


a

10.2 Esseri Ultraterreni, angelici o demoniaci.

PARAENESIS

11. Paraenesis del mediatore al ricevente, presente solo in alcune apocalissi cristiane

ELEMENTI CONCLUSIVI

12. Istruzioni al Destinatario, distinte dalla Paraenesis e successive alla rivelazione,


sono parte di una struttura conclusiva: e.g. al destinatario viene chiesto di non
trasmettere la rivelazione o, viceversa di comunicarla.

13. Conclusione Narrativa. Può descrivere il ritorno sulla terra o il risveglio del
destinatario o le sue azioni successive.
7

Va sottolineato come nessuna delle opere esaminate contenga la totalità di queste caratteristiche e
addirittura, alcune opere non presentino elementi di genere apocalittico nella loro intera struttura (come
ad esempio il Libro dei Vigilanti, dove la narrazione prettamente apocalittica secondo questo paradigma
comincia solamente a partire dal capitolo 12), tuttavia la presenza in tutti i testi di alcuni di questi elementi
permise di formulare una definizione completa. Il risultato fu di considerare l’apocalittica come “a genre
of revelatory literature with a narrative framework, in which a revelation is mediated by an otherworldly
being to a human recipient, disclosing a transcendent reality which is both temporal, insofar as it envisages
eschatological salvation, and spatial insofar as it involves another, supernatural world”18. Data la volontà
del gruppo di stabilire “the literary basis on which all historical and sociological studies of this genre must
necessarily be built”19 e di non occuparsi nel dettaglio di questioni storiche e sociologiche, numerosi
furono gli aspetti non considerati ed approfonditi, in particolar modo quello relativo alla funzione dei testi,
considerato un aspetto che avrebbe dovuto interessare lo studio particolare delle singole opere. Il dibattito
proseguì nel 1979 con l’International Colloquium on Apocalypticism tenutosi ad Uppsala, i cui interventi
vennero raccolti da David Hellholm nella pubblicazione Apocalypticism in the Mediterranean World and
the Near East del 1983. Gli studiosi che presero parola proposero delle definizioni alternative e
sollevarono questioni riguardanti specialmente il contesto sociale e lo “scopo” delle opere prese in
considerazione. In particolare la questione riguardante la funzione fu poi sviluppata da Hellholm nel suo
intervento pubblicato nel numero 36 della rivista Semeia del 1986; gli articoli qui raccolti furono prodotto
di un ciclo di seminari, nato come sviluppo delle tematiche affrontate dall’Annual Meeting of the Society
of Biblical Literature del 1981, che a partire dal 1983 si occuparono per cinque anni della produzione
apocalittica cristiana. Hellholm cercò di produrre una definizione astratta della funzione, al pari di quella
proposta per la forma e il contenuto, che potesse essere applicata alla totalità dei testi presi in
considerazione a prescindere dal contesto storico e sociale delle singole opere; il risultato fu la dicitura
supplementare “intended for a group in crisis with the purpose of exhortation and/or consolation by
means of divine authority”20, la quale identificava le apocalissi come una forma di letteratura di protesta
dove i diritti di una minoranza oppressa sono legittimati da una rivelazione divina. A sua volta David
Aune si propose nel suo intervento di rivedere la posizione di Hellolm, non applicabile a tutti le opere
considerate, focalizzandosi sul messaggio contenuto nelle apocalissi, formulato in forma autobiografica
o di esperienza diretta dell’autore e ritenuto come l’elemento portante della narrazione21 al quale la
funzione sarebbe strettamente legata. I testi apocalittici sarebbero stati dunque prodotti con l’intento di
legittimare il messaggio divino ricevuto dall’autore, presentato attraverso un linguaggio simbolico che
potesse spingere il lettore a immedesimarsi nell’esperienza vissuta da quest’ultimo, rivivendola e
aiutandolo a adottare la stessa prospettiva trascendentale nell’interpretazione delle dinamiche del tempo
in cui viveva. Il risultato finale accettato dal gruppo di studio venne espresso nella definizione
supplementare: “intended to interpret present, earthly circumstances in light of the supernatural world
and of the future, and to influence both the understanding and the behavior of the audience by means of
divine authority”22.

18
Ivi:9.
19
Ivi:4.
20
Vedi Hellholm D., The Problem of Apocalyptic Genre and the Apocalypse of John, in Collins A. 1986:27.
21
Vedi Aune D., The Apocalypse of John and the Problem of Genre, in Collins A.1986:87.
22
Collins A. 1986:7.
8

2. GLI STUDI DI PAOLO SACCHI

2a. Il punto di partenza

È nello stesso periodo che Paolo Sacchi porta avanti i suoi studi, pubblicati in una serie di articoli tra il
1979 e il 1987 e raccolti successivamente in un’unica pubblicazione: l’Apocalittica Giudaica e la sua
Storia del 1990. Il punto di partenza del lavoro di Paolo Sacchi fu l’opera di Russell e del Koch, dei quali
accoglie la visione della produzione apocalittica come collegamento tra il giudaismo biblico dei profeti
con quello strutturato sulla legge mosaica del periodo del secondo tempio. Anche Sacchi, alla ricerca di
una definizione esaustiva del termine “apocalittica” che riesca a soddisfare sia l’aspetto letterario che
storico del genere, decide di partire come altri autori prima di lui dai testi che già gli antichi definirono
apocalissi, per poi estrapolare gli elementi costitutivi della categoria. Tuttavia tale metodo non lo soddisfa
e allo stesso modo non apprezza gli approcci, come ad esempio quello di Hanson23, basati sulla distinzione
tra elemento formale e contenutistico. L’errore che secondo lo studioso compiono gli studi dell’epoca24 è
di mettere sullo stesso piano testi che tra loro avevano ben poco da spartire, data la distanza temporale dei
periodi nei quali furono composti e le conseguenti diverse condizioni storiche, ideologiche e sociali che
li generarono. L’effetto negativo di tale approccio è quello di usare “il materiale di un’epoca in funzione
di sostegno di idee, che appartengono ad un’altra epoca”25; gli sforzi prodotti per la ricerca di una
definizione hanno difatti tralasciato lo studio particolare di ogni singola apocalisse e hanno lasciato
nell’incertezza l’uso del termine apocalittica, perlopiù utilizzato secondo la concezione discutibile che
tutti i testi che (secondo l’opinione comune e gli studi dell’epoca) sono ritenuti apocalissi, possano essere
ricondotti ad un analogo contesto vitale, generando il rischio di “fare la storia di qualcosa che non è mai
esistito, almeno con la configurazione esatta che noi pensiamo” 26. L’aspetto che più interessa a Sacchi è
quello storico e la domanda alla quale desidera maggiormente rispondere è se l’apocalittica possa
rappresentare, oltre che un genere letterario, anche una corrente di pensiero che si evolse nel periodo
storico durante il quale tali testi furono redatti27 e quale sia l’approccio metodologico migliore che
permetta di fare ciò. Il passaggio è quindi dalla domanda “cosa è l’apocalittica” a “nella storia del pensiero
giudaico, esistono grandi problemi di fondo che poi si ritrovino nell’apocalittica classica, cioè in quelle
opere che già la tradizione indica come apocalittiche?”28, l’obbiettivo diventa dunque tracciare una storia
dell’apocalittica.
Il metodo utilizzato è di procedere in senso diacronico individuando quale, tra le opere considerate, sia
la più antica e da lì, una volta identificate le tematiche e i problemi affrontati, vedere qualora tali elementi
si ripresentino nelle produzioni successive e in che modo gli autori riprendano e rielaborino idee a loro
precedenti, per identificare un eventuale continuità ideologica che si sviluppa attraverso i testi. Tale modo
di procedere fu possibile grazie anche alla pubblicazione di The books of Enoch. Aramaic Fragments of
Qumran Cave 4 di Milik, che grazie alle sue scoperte permise di retrodatare la composizione del LV dei
vigilanti almeno alla prima metà del II sec. a.C., rendendolo, insieme al Libro dell’Astronomia, datato tra
la fine del III sec. e l’inizio del II sec. a.C29, l’esempio di letteratura più antica a disposizione degli studiosi.

23
Sacchi 1990:19.
24
Ivi:36-37.
25
Ivi:35.
26
Ibidem.
27
Ivi:13.
28
Ivi:41.
29
Milik 1976:22,273.
9

Nonostante la prima parte di LV non presenti i tipici caratteri apocalittici, in particolare la rivelazione da
parte di un essere ultraterreno, il fatto che sia stato posto alla base del pentateuco e i sui contenuti ripresi
e sviluppati nelle parti successive spinge Sacchi a sceglierlo come punto di partenza per la sua analisi; la
scelta non ricade invece sul Libro dell’Astronomia, nonostante la datazione di Milik lo collochi in un
periodo precedente a LV, poiché esso presenta nel contenuto speculazioni tecnico-scientifiche che poco
si avvicinano alle tematiche apocalittiche delle quali lo studioso ricerca l’evoluzione.

2b. Il Libro dei Vigilanti: struttura dell’opera, contenuto e datazione

Così come il Libro di Enoc presenta una struttura stratificata e composita, anche nel Libro dei Vigilanti
sono raccolte nello stesso tomo diverse parti provenienti da diverse fonti ed autori e l’ordine dei libri non
rispecchia necessariamente l’ordine cronologico della loro creazione. La suddivisione che propone Sacchi
è la seguente30:

Intro.= capitoli I-V


LV1 = capitoli VI-XI LV1aα = capp.VI-VII
LV1aβ = capp.VIII
LV1b = capp. IX-XI

LV2 = capitoli XII-XXXVI LV2a = capp. XII-XVI


LV2bα = capp. XVII-XXII
LV2bβ = capp.XX
LV2c = capp. XXIII-XXXVI

I primi capitoli si aprono con un’introduzione al testo nella quale viene presentata la figura di Enoc,
descritto come maestro di sapienza e messaggero divino; successivamente l’autore ammonisce gli uomini
riguardo la sorte che toccherà agli empi, destinati a perire nella sofferenza, mentre i giusti e gli eletti
saranno benedetti dal Signore. LV1aα costituisce il nucleo centrale della narrazione dal quale si sviluppa
tutto il testo e descrive l’episodio della caduta degli Angeli Vigilanti che, innamoratisi delle donne umane,
si recano sulla terra guidati dal loro comandante Semeyaza e si uniscono carnalmente a loro, insegnando
inoltre nuove conoscenze che saranno poi trasmesse dalle donne a tutta l’umanità. I giganti, frutto
dell’unione tra le donne e gli angeli, non potendo più essere sostentati dagli uomini, cominceranno a
divorare le creature della terra bevendone il sangue, fino a rivoltarsi contro gli uomini stessi. Il capitolo
VIII specifica che fu Azazel ad insegnare agli uomini le tecniche di produzione delle armi e di ornamenti
di bellezza il che sarà causa di grande caos e corruzione e, addirittura, sarà successivamente presentato
come “la causa di tutti i mali”31, gli altri angeli invece trasmettono l’uso degli incantesimi, delle piante e
l’astrologia. In LV1b l’autore spiega come i lamenti delle anime degli uomini arrivino fino al cielo e, uditi
dagli arcangeli rimasti fedeli alla loro natura, vengono da essi riportati a Dio, esortato ad intervenire per
salvare i suoi figli. Dio agisce, provocando il diluvio (dal quale si salverà Noè, avvertito da uno degli
angeli del Signore) e ordinando di imprigionare Azazel, qui presentato come il maggior responsabile del

30
Sacchi 1990:100.
31
LV: X,8.
10

Male generatosi sulla terra32 per aver insegnato le arti segrete agli uomini e destinato ad essere bruciato
dal fuoco nel giorno del giudizio; uguale sarà la sorte di Semeyaza e degli altri angeli vigilanti. I giganti
invece, verranno spinti l’uno contro l’altro dall’arcangelo Gabriele per ordine di Dio, mentre Michele
riceve il compito di distruggere le loro anime, eliminando così il Male dalla terra e rendendo gli uomini
liberi.
A partire dal dodicesimo capitolo la forma della narrazione e il suo contenuto cambiano, assumendo tratti
tipicamente apocalittici, fa infatti comparsa la figura di Enoc e la narrazione segue il resoconto in prima
persona delle visioni che egli ha conseguito. L’autore di questa seconda parte, diverso da quello della
prima, sviluppa sia i contenuti precedenti riallacciandosi alla narrazione della caduta, sia l’ideologia in
quanto ne sviluppa determinati elementi. Nel capitolo XV viene difatti chiarito precisamente il senso del
peccato commesso dagli angeli caduti: l’unione carnale con le donne umane ha causato la corruzione della
loro natura spirituale e il venire meno dell’ordine prestabilito da Dio, il quale aveva donato le donne agli
uomini affinché potessero riprodursi e proseguire l’esistenza dell’umanità, essendo loro destinati ad essere
consumati dal tempo e a morire. Gli angeli invece, ai quali fu concessa la vita eterna, nel loro contaminarsi
con il mondo materiale hanno sconfinato in una sfera che non è loro prerogativa. In quest’ottica il Male
viene identificato con le anime dei giganti che in questa parte del testo rimangono sulla terra e “porteranno
distruzione finché si compia il giorno della grande condanna, per sempre, sugli angeli vigilanti e sugli
empi”33. In questa sezione viene sviluppato anche il tema dell’immortalità delle anime introdotto in LV1b,
Enoch infatti viene condotto alla visione del luogo in cui si trovano relegati gli angeli caduti insieme alle
anime delle donne che a loro si sono unite, e del luogo in cui si trovano le anime degli uomini morti,
opportunamente separate in base alle loro colpe e in attesa più che di giudizio, della punizione per una
condanna già stabilita. Il capitolo XX elenca i nomi degli arcangeli, sette in questo elenco invece dei
quattro di LV134, mentre a partire dal capitolo XXIII proseguono le visioni di Enoc, che visita altri luoghi
ultraterreni guidato da Raffaele.
Data la presenza della figura di Noè nei primi capitoli, l’assenza di Enoc come figura mediatrice e la
diversità dei toni dell’esposizione, Sacchi ipotizza l’esistenza di un Libro di Noè oggi perduto 35 che
avrebbe influenzato la tradizione enochica, al quale attribuisce l’origine dei capitoli VI-XI dell’LV, cioè
l’intera sezione LV1, oltre che ad altre parti successive di 1Enoc. LV2 costituirebbe invece la più antica
tradizione autonoma che si rifà alla figura di Enoch, il cui autore avrebbe redatto l’intero Libro dei
Vigilanti; inoltre le differenze stilistiche tra LV1aα, LV1aβ e LV1b sarebbero dovute al fatto che i diversi
frammenti noachici sono stati introdotti nel testo da diversi redattori in momenti differenti. Sacchi arriva
poi a spostare ulteriormente indietro nel tempo la composizione di LV e lo fa sulla base di alcuni punti:

1. Sostiene che LV sia più antico di LA36 in quanto nel passo LV:VIII, 1-3 l’astronomia insegnata
dagli angeli agli uomini viene considerata come una scienza cattiva, elemento difficilmente
spiegabile considerando LA precedente a LV.
2. Partendo dalla considerazione che l’introduzione fu scritta in seguito all’operazione di raccolta
delle diverse parti di LV37 e il fatto che il frammento in aramaico ritrovato da Milik nelle grotte
del Mar Rosso contenga la stessa introduzione, ipotizza che LV1 e LV2 siano stati composti
molto tempo prima; data la loro struttura complessa e stratificata infatti, la formazione completa
dei testi deve aver interessato un lungo arco temporale.
3. Un altro elemento a sostegno della sua teoria è la presenza in Qohelet di una critica a coloro che
credevano nell’immortalità dell’anima, elemento portante dell’ideologia di LV e credenza
estranea alla cultura giudaica tradizionale. La datazione di Qohelet intorno alla seconda metà del

32
Ivi: IX,8.
33
Ivi: XVI,1.
34
Ivi: IX.
35
Sacchi 1981:432.
36
Ivi:439.
37
Sacchi 1990:103-104.
11

III sec. a.C. e il fatto che tale critica presuppone che queste idee fossero ampliamente diffuse a
quel tempo, spinge Sacchi a considerare LV precedente al testo biblico38.
4. L’episodio dell’unione degli angeli con le donne umane e la presenza dei giganti sulla terra sono
contenuti anche nella narrazione di Genesi:6,21 ma, dato che tali elementi non sono sviluppati e
mancano di tutti i dettagli che invece tratta LV, secondo Sacchi è possibile ricondurre l’origine
di questo passo biblico ad una rielaborazione di LV1, il che lo rende ad esso posteriore. La
probabile formazione del pentateuco biblico in periodo esilico o post-esilico39 spinge Sacchi a
considerare l’origine di LV1 precedente a tale periodo, quindi prima del 400 a.C.

2c. L’interpretazione

Sacchi identifica tre temi principali del pensiero dell’autore di LV2 40:

1. “La convinzione che il Male derivi da una contaminazione della sfera naturale ed umana ad opera
di esseri appartenenti al «mondo di mezzo»”.
2. “La convinzione che nell’uomo esista un elemento immortale destinato a vivere (se giusto) una
vita eternamente beata presso Dio”.
3. “La convinzione […] che la salvezza non può essere operata dall’uomo”.

La caduta genera due dinamiche che costituiscono la causa della nascita della corruzione e della malvagità:
gli angeli si uniscono alle donne e corrompono la loro natura spirituale, inoltre, fatto ancor più grave,
rivelano all’umanità “l’abominevole segreto”41, conoscenze precluse a loro stessi e delle quali si sono
appropriati. Queste azioni hanno come conseguenza diretta la compromissione dell’ordine che Dio aveva
stabilito nella creazione, basato su una netta distinzione tra il piano spirituale e quello materiale-umano-
terrestre e, come conseguenza indiretta, l’intromissione del Male sulla terra. Negli sviluppi interpretativi
dell’autore di LV2 i giganti, frutto di questa unione sacrilega, diventano il simbolo della contaminazione
e le loro anime, destinate a sopravvivere alla morte del corpo, il veicolo attraverso il quale il Male generato
da essa generato agisce sull’uomo42. Anche le anime degli uomini sopravvivono alla morte e permangono
in quello che Sacchi definisce “mondo di mezzo”43, luogo in cui si situa anche l’azione di Enoc che in
esso viaggia nelle sue visioni. Enoc difatti è una figura mediatrice che partecipa ad entrambi i mondi,
costituisce lo strumento attraverso il qual Dio comunica con gli stessi angeli caduti e descrive all’umanità
con “lingua di carne”44 ciò che loro non possono vedere o conoscere. Quello che accade nel mondo di
mezzo influenza lo svolgersi della storia e ne determina il senso, poiché contiene in forma già realizzata
ciò che sul piano materiale si svilupperà gradualmente in senso cronologico. È nel mondo di mezzo che
gli angeli caduti sono già imprigionati, così come le anime dei defunti sono trattenute e già giudicate in
attesa dello sviluppo del loro verdetto, ma è nel mondo terreno che gli eventi storici si compiranno fino a
culminare nel Giudizio alla fine dei tempi. La concezione della storia dell’autore infatti è caratterizzata
da un’atmosfera che Sacchi definisce “del già e non ancora”45: il mondo spirituale sembra cristallizzato

38
Ivi:67 e Sacchi 1981:439.
39
Vedi ad esempio Grabbe 2004:100.
40
Sacchi 1990:64.
41
LV: XVI,3.
42
Ivi: XV,8-12; XV,1.
43
Sacchi 1990:46.
44
LV: XIV,2.
45
Sacchi 1990:58.
12

nel tempo, ciò che vi accade risulta già completo nel suo sviluppo. È al mondo spirituale che l’autore
volge l’attenzione, descrivendo il mondo come è, non come sarà sul piano storico che da esso è
influenzato. Tuttavia, sebbene vi sia corrispondenza tra la realtà spirituale e il destino finale del mondo
materiale, l’autore non arriva mai a definire la sua visione in termini di predeterminazione, non si parla di
Tavole Celesti che contengono tutta la conoscenza relativa al cosmo e alla storia come sarà
successivamente nel libro dell’astronomia e nella letteratura apocalittica successiva 46, che a partire da
Daniele47 sviluppa queste tematiche in una prospettiva storica, piuttosto che cosmologica come fa l’autore
di LV48; le azioni dei protagonisti del racconto risultano inoltre frutto di iniziativa personale, secondo un
certo grado di libertà che caratterizza sia Enoc, che gli angeli caduti e gli spiriti dei giganti la cui opera
“porterà distruzione senza essere giudicata”49.
La visione del mondo proposta dall’autore prevede quindi due piani cosmologici nettamente separati e
caratterizzati da diversa e inconciliabile natura: il corpo, la sessualità, la storia e l’azione umana
appartengono al piano materiale terrestre, mentre lo spirito, l’anima e l’azione divina e angelica
appartengono a quella spirituale. Il Male che sorge a causa della commistione tra le due sfere e la
corruzione del mondo spirituale è profondamente radicato nel mondo e nell’uomo, il quale risulta un
termine passivo sul quale si riversa l’azione degli spiriti malvagi, impotente e impossibilitato ad agire per
la propria stessa salvezza: l’umanità è irrimediabilmente compromessa dall’episodio della caduta. Tale
visione della storia prevede quindi che vi sia stato un tempo indefinito durante il quale il Male non
esisteva, né sul piano divino, né su quello materiale e l’umanità viveva quindi in una condizione di virtù
e armonia. Conseguentemente alla comparsa del Male il genere umano ha dato inizio al suo declino,
culminato nel Diluvio, che tuttavia non sembra avere sortito l’effetto desiderato in quanto gli spiriti
maligni continueranno a imperversare sulla terra fino alla fine dei tempi.
Queste tematiche sono analizzate anche da Maria Vittoria Cerutti nella sua indagine antropologica della
letteratura apocalittica giudaica in riferimento a tre differenti tipologie storico-religiose50,
specificatamente i politeismi greco-romani e mesopotamici, i sistemi ermetici, gnostici, medio-platonici
e neo-platonici e i monoteismi giudaico, ebraico e cristiano; a tali tipologie corrispondono altrettanti
modelli di strutturazione del divino e del suo rapporto con il Male. Nei politeismi greco-romani e
mesopotamici il mondo divino è strutturato orizzontalmente, tutte le dinamiche si svolgono nei rapporti
interni tra divinità o gruppi di divinità, oppure tra vecchie e nuove divinità. La realtà spirituale che si
instaura a seguito di queste lotte è considerata stabile espressione di provvidenza e razionalità,
contrapposta al mondo umano mortale e infelice, ma il Male inerente ad esso non è oggetto di
speculazione. I sistemi tardo antichi identificano il Male come emergente e radicato in uno dei momenti
o ipostasi che caratterizzano il dispiegarsi dell’Essere dal divino all’umano-fenomenico, questo
dispiegarsi è concepito come caratterizzato da diversi livelli di “caduta”. I modelli tipici del cristianesimo,
ebraismo e giudaismo prevedono invece una netta separazione tra il piano divino e quello della creazione,
ed entrambi questi piani sono considerati compatti e privi di gradazioni. Il Male in questo quadro è
solitamente costituito da un antidivino in forte contrapposizione al divino, oppure emerge nel suo
manifestarsi a livello individuale. In rapporto a queste tipologie si possono identificare due diversi modelli
attraverso i quali l’insorgenza del Male fa la sua comparsa nel mondo e nell’uomo, cioè la “colpa
antecedente”51, che implica la presenza di una dottrina dualistica e la presenza di un elemento antidivino
maligno sovraumano52, e il “peccato originale” che sopraggiunge in un momento in cui i protoplasti sono
già esistenti e il loro peccato è quindi un peccato di uomo, che muta la sua dimensione etica e introduce

46
Sacchi 1981:448.
47
Sacchi 1990:73-74.
48
La distinzione tra apocalissi storiche e cosmologiche è adottata anche da Collins, vedi Collins 1979 e 1998:6.
49
LV: XVI,1.
50
Cerutti 1990:110.
51
Cioè “un atto che causa l’esistenza dell’uomo come essere terreno e corporeo o la condiziona nella sua natura al
punto di causare elementi o componenti di questa”, vedi Bianchi 1978:5.
52
Ivi:7.
13

la corruzione nel mondo. La narrazione del Libro dei Vigilanti si sviluppa sia in senso verticale con
l’azione degli angeli caduti nei confronti dell’uomo, sia in senso orizzontale con l’insorgere del Male che
si colloca in un tempo posteriore alla genesi. Ciò permette di identificare il testo in una tipologia
intermedia rispetto alle due sopracitate dove il Male si colloca sia spazialmente e temporalmente “in un
supra rispetto all’umano storico e in un post rispetto all’umano iniziale”53. Rispetto alla tipologia della
“colpa antecedente” condivide la caratteristica di collocare la radice del Male in una sfera sovraumana,
ma si differenzia da essa perché non stabilisce tale origine al tempo della creazione dell’umanità, ma in
un momento posteriore ad essa. La colpa non ha quindi carattere ontologico e, così come sottolineato da
Sacchi54, la conseguenza è che essa estende notevolmente il periodo di innocenza che l’umanità trascorre
prima dell’avvento del Male, contrastando tuttavia con la citazione in LV: XXII,7 dell’episodio biblico
della cacciata dal Paradiso e delle figure di Caino e Abele, che sarebbero così collocate temporalmente
prima della caduta. Questa e altre contraddizioni sono spiegate da Sacchi in termini di coesistenza tra un
registro temporale relativo al mondo dello spirito e uno a quello umano, dove nel primo la successione
cronologica non ha senso e la caduta sarebbe relegata ad una dimensione atemporale che tuttavia
determina e influenza il corso degli eventi: “Il pensiero dell’autore si muove nel tentativo di saldare in
qualche modo la sfera del tempo, dove hanno un senso la generazione e tutte le altre cose caratteristiche
di questa vita, con la sfera dello spirito, dove, dal punto di vista del tempo, c’è già tutto ciò che è” 55; la
Cerrutti preferisce invece risolvere il problema sulla base del “carattere composito del testo e della
giustapposizione in esso di diverse tradizioni”56, tali interpretazioni tuttavia non risultano necessariamente
inconciliabili e d'altronde lo stesso Sacchi sostiene questa interpretazione 57. Problemi di teodicea
costituiscono dunque il fulcro della narrazione di LV che li risolve giustificando l’uomo come non
responsabile del peccato e del Male che lo affligge e al contempo “scagiona” la divinità, pur non
ammettendo l’esistenza di un antidivino vero e proprio. La colpa è attribuita all’azione di un elemento che
non appartiene né alla sfera divina (in seguito alla caduta) né a quella umana.
Ma se la Cerutti assume un punto di vista che fa delle caratteristiche del testo una trascrizione di soluzioni
tipiche delle teologie pagane come quelle Gnostiche Ermetiche e Neo-Platoniche in una mentalità
giudaica58, Paolo Sacchi nel suo approccio storico arriva ad una interpretazione che contestualizza l’opera
nelle dinamiche del periodo post-esilico della Giudea59. Lo studioso distingue due diverse concezioni che
inizialmente definisce “Teologia Settentrionale” e “Meridionale”, ma che in seguito, in conformità delle
teorie storiche più recenti, arriva a definire “Teologia del Patto” e “Teologia della Promessa” 60,
appartenenti l’una alla cultura del regno di Israele, mentre l’altra a quello di Giuda che nel VII sec. a.C.
erano separati ed indipendenti l’uno dall’altro. La prima è caratterizzata dall’idea che il Male individuale
e la sofferenza, distinti dalla morte in sé considerata invece come un fatto naturale, siano originati da una
punizione divina per le colpe commesse dalla persona e per quelle commesse dai suoi antenati. Il Male
risulta quindi proveniente da Dio e dalla sua volontà, mentre la salvezza della persona passa
necessariamente per l’osservanza della Legge che Dio ha trasmesso al popolo di Israele attraverso Mosè,
per mezzo della quale Yaweh ha consentito all’uomo di conoscere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e
di attuare le proprie scelte consapevole delle conseguenze. L’uomo è quindi libero di decidere il proprio
destino e causa egli stesso il Male suo e del resto dell’umanità, non obbedendo a Dio. Secondo questa
concezione dunque lo scaturire del Male nella sfera umana risulta una prerogativa divina che assume
questo compito in funzione regolatrice, costringendo l’uomo a sottostare alla legge da egli stesso
impartita, il Male non è un’entità indipendente, la fonte della sua origine proviene direttamente da Dio e

53
Cerutti, op.cit., pg.111.
54
Sacchi 1981:450.
55
Sacchi 1990:60.
56
Cerutti, op. cit., pg.124.
57
Sacchi 1990:110.
58
Cerutti, op. cit., pg.112.
59
Sacchi 1990:79-98.
60
Ivi:319.
14

nessuno può contrastare il suo volere. Il flusso di questa ideologia si può trovare esemplificato in alcuni
passi dell’Antico Testamento dove il Signore parla direttamente o per mezzo di Mosè. In Esodo: 20,5 :
“Perché io, Yaweh, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri sui figli fino alla terza
e alla quarta generazione”; o ancora in Deuteronomio: 30,15: “Ecco, io pongo oggi davanti a te la vita ed
il bene, la morte ed il Male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le
sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi […]. Ma
se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a
servirli, io vi dichiaro che certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese di cui state per entrare in
possesso[…]”. A questa ideologia basata sulla legge Mosaica Sacchi contrappone una “Teologia del
Patto” nella quale un ruolo molto importante è ricoperto dal Tempio e dalla figura dell’Unto dal Signore
che garantivano ad Israele una salvezza che ”non dipende dalla giustizia del popolo stesso, ma da un
intervento futuro gratuito di Dio”61. Il rapporto tra Dio e il suo popolo basato su tale promessa parte da
Abramo e dalla benedizione che Dio concesse lui di un’alleanza “con te e con la tua discendenza dopo di
te e di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza
dopo di te”62. La promessa di assistenza continua si rinnova poi con la presenza nel regno di Giuda di un
“Re Unto”, David, che scelto dal Signore garantiva l’aiuto incondizionato di Yaweh ad Israele e la
salvezza per il suo popolo: “Io ti presi dai pascoli […] perché tu fossi il capo d’Israele mio popolo; […]
distruggerò davanti a te tutti i tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono
sulla terra. […] Il Signore ti farà grande, poiché ti farà una casa. […] io assicurerò dopo di te la
discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il tuo regno”63. Il simbolo di questa alleanza e della
presenza costante di Yaweh a fianco dei Giudei era rappresentato dal Tempio: “Egli edificherà una casa
al mio nome e io renderò stabile per sempre il suo trono e il suo regno”64. Quest’idea dell’alleanza tra Dio
ed Israele prosegue poi con l’attesa di un discendente di David che eliminerà il Male dalla terra: “un
germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo
spirito di Yaweh…”65. Tale differenza di approccio riguardo alla tematica del Male rispecchia quella che
era la natura del culto di Yaweh nel periodo pre-esilico caratterizzata da differenze tra il regno di Israele
e quello di Giuda e dove oltre al culto principale era diffusa la venerazione di altre divinità66.
Nella seconda metà del VI sec. a.C., periodo di transizione tra la dominazione Assira e l’avvento
Babilonese, il regno di Giuda guidato da re Giosia attuò una serie di riforme religiose che trasformarono
il culto di Yaweh, eliminando i luoghi di culto siti in Israele in favore di un accentramento verso
Gerusalemme in Giudea, che divenne il solo luogo in cui il culto era consentito. Nonostante la portata di
tali riforme sia incerta67 è verosimile che tale accentramento sia effettivamente avvenuto in questo periodo
e che il culto di Yaweh fu uniformato e si impose su quello di altri dei rendendolo il Dio di Israele e Giuda,
originando successivamente il monoteismo ebraico. Con la conquista Babilonese a inizio V sec. a.C. la
classe sacerdotale composta sia dai praticanti il culto di Yaweh appartenenti al regno di Giuda, sia dai
sacerdoti del regno di Israele che Giosia nel suo tentativo di accentramento aveva fatto trasferire a
Gerusalemme, fu deportata in Babilonia. Secondo Sacchi la “Teologia del Patto” sarebbe stata sviluppata
dai sacerdoti in esilio fino a divenire il paradigma dominante; in quest’ottica la storia degli Ebrei narrata
nel Deuteronomio restituisce l’idea che tutti i mali passati da Israele e Giuda sarebbero causati dal non
rispetto della volontà di Yaweh e che l’unica soluzione sarebbe stata il ritorno alla sottomissione e il
rispetto della legge. In Giudea invece la popolazione rimasta avrebbe continuato a seguire la “Teologia
della Promessa”, nonostante la fecondità eterna del regno di David da essa prevista avesse perso ogni
validità in seguito alla distruzione di Gerusalemme e alla rovina seguita alla conquista Babilonese del 586

61
Ivi:82.
62
Genesi:17,7.
63
2Samuele: 7,8-12.
64
2Samuele: 7,13.
65
Isaia: 11,1.
66
Römer 2015:104-140.
67
Ivi:191-209.
15

a.C. È in questo periodo che la figura divina di Yaweh cominciò ad essere venerata non più solamente
come il Dio più importante di Israele e Giuda e loro protettore in una prospettiva monolatrica, ma come
l’unico Dio, creatore e governatore dell’universo, che avrebbe eletto il popolo di Israele come suo
prediletto in un’interpretazione che riusciva a conciliare la natura di divinità universale creatrice con il
suo amore verso il popolo ebraico68. Il problema del peccato e della trasgressione portarono gli ebrei della
diaspora a riflettere a lungo sulla natura del Male e del suo rapporto con l’uomo, cercando nuove soluzioni
che potessero includere sia la prospettiva della teologia del Patto che di quella della Promessa; difatti né
il rispetto della legge, né la promessa di un regno eterno fatta a Davide e ai suoi discendenti aveva salvato
gli ebrei dalla deportazione e dalla distruzione.
La tradizione della Promessa aveva ben chiaro in mente che l’uomo era propenso al Male, radicato nel
suo nucleo più intimo, perciò era ben disposto ad accettare che le possibili conseguenze di questa
predisposizione fossero mitigate e bilanciate dalla protezione che Yaweh aveva concesso al suo popolo
prediletto tramite la mediazione del re di Giudea. La teologia dell’esilio avrebbe invece avuto i caratteri
di quella del nord, basata cioè sul rispetto della Legge Mosaica e avrebbe promosso una società senza una
figura regia, ma dominata dalla classe sacerdotale che si stava sempre più affermando, quella dei Sadociti.
Quando i Babilonesi persero il potere in favore dei Persiani, gradualmente molti degli ebrei in esilio
cominciarono a ritornare in patria, ritrovando coloro che erano rimasti in Palestina con i quali nacquero
dei contrasti ideologici. La classe sacerdotale in esilio, forte della convinzione che Yaweh sarebbe stato
con loro nel periodo della deportazione e che avesse invece abbandonato invece Israele e la Giudea al loro
destino, acquisì sempre maggiore potere e influenza fino a controllare l’amministrazione della Giudea; la
sua autorità e quella della Torah furono ulteriormente rafforzate in seguito alle riforme attribuite ad Esra
e Neemia69. Sacchi identifica tre principali gruppi in contrasto con la visione religiosa proposta dai
Sadociti70: il Samaritanesimo, che avrebbe preso in seguito una via autonoma, un movimento accettato
dalla classe sacerdotale di cui si può trovare traccia nei libri di Rut, Giona e Giobbe e uno di netta
opposizione identificabile con la corrente apocalittica del Libro dei Vigilanti.
Secondo Sacchi è proprio il problema del Male che fu accolto come asse portante della riflessione
apocalittica, la necessità che questa corrente alternativa a quella dominante sentiva era quella di dare una
soluzione definitiva al problema della sua origine che riuscisse ad andare oltre le divergenze tra le due
teologie; non bastava dire che esso fosse insito alla natura umana senza saperne il perché, o che il Male si
riducesse alla non osservanza della Torah. Il concetto dell’immortalità dell’anima e dell’esistenza quindi
di un mondo dello spirito che influenza e determina la vita terrena fu ciò che permise al pensiero
apocalittico di impostare in maniera originale e nuova il problema. Se il Male si origina in un mondo altro
rispetto a quello umano, l’uomo è impotente di fronte alla sua influenza e non può dunque porvi rimedio
alcuno, la volontà divina ha già deciso nella sua visione imperscrutabile chi sarà degno di essere salvato
e chi no. Altro elemento fondamentale e nuovo fu il fatto che la salvezza non poteva essere conseguita nel
corso della vita terrena ma sarebbe avvenuta, se prevista da Dio, a livello dello spirito, quando l’anima
avrebbe lasciato il corpo per permanere tra i giusti o tra i condannati nel luogo che le è stato preposto fino
alla fine dei tempi.
Sacchi arriva infine ad affermare che le concezioni riguardo all’origine del Male e all’immortalità
dell’anima costituiscono una novità assoluta nel panorama del pensiero giudaico 71. La narrazione nella
forma di rivelazione/visione da parte di una figura mediatrice, in questo caso Enoc, e non più in forma di
ricordo dell’autore è un altro elemento di novità che caratterizza il Pentateuco Enochiano e LV in
particolare. Questi elementi costituirebbero i caratteri distintivi di quella che Sacchi definisce “Tradizione
Enochica”72 e il Libro dei Vigilanti e il suo contenuto il tentativo da parte di essa di rispondere a degli

68
Ivi:218.
69
Anche in questo caso la portata di tali riforme e l’esistenza dei riformatori stessi è dibattuta, vedi ad esempio
Grabbe 2004:294-295,324-325.
70
Sacchi 1981:23-24.
71
Sacchi 1990:17-26.
72
Ivi:19.
16

interrogativi che da tempo cercavano una soluzione in modo affatto differente da quello del pensiero
dominante dell’epoca. Inoltre, la stessa inclusione di LV in una raccolta che fu messa insieme molti anni
dopo la composizione del suo primo testo costituisce per Sacchi un’ulteriore prova a conferma del fatto
che nei testi del pentateuco qualcuno riconosceva la propria tradizione.
Continuando a concentrarsi sull’analisi dello sviluppo ideologico, piuttosto che su elementi letterari
formali, Sacchi identifica in questi concetti il punto d’origine dal quale, attraverso una loro rielaborazione,
si sviluppa la riflessione apocalittica attraverso quattro fasi 73:

Fino al 200 a.C. - Prima apocalittica: comprende il Libro dei Vigilanti e il Libro
dell’Astronomia.
II sec. a.C. - Seconda Apocalittica: comprende opere come il Libro dei Sogni,
I sec. a.C. - Terza Apocalittica: appartengono a questo periodo ad esempio
l’Epistola di Enoc e il Libro delle Parabole.
I sec. d.C. - Quarta Apocalittica: include L’Apocalisse di Sofonia, L’Apocalisse
Siriaca di Baruc, il Quarto Libro di Ezra.

Già con LV2c, ultimo strato dell’opera, si può riscontrare l’influsso del Giudaismo “ufficiale”, con la
scomparsa dell’immortalità dell’anima e lo sguardo orientato alla storia, piuttosto che alla struttura del
“mondo di mezzo”. A partire dal II sec. con Daniele e LS la prospettiva storica raggiunge il suo culmine
con la comparsa di un determinismo ben definito nel quale il corso completo degli eventi è prestabilito da
Dio, distanziandosi dall’atmosfera di LV dove, nonostante Dio conosce già tutto ciò che accade, l’azione
dei protagonisti è caratterizzata da un certo grado di libertà. L’enfasi sulla fine dei tempi si manifesta in
Daniele attraverso la comparsa dell’elemento della risurrezione nel giorno del giudizio, in luogo di
un’anima immortale che continua a vivere nel mondo dello spirito; in LS viene introdotta invece la figura
del Messia che governerà la terra dopo il Giudizio. Nella terza fase dell’apocalittica avviene una crisi di
pensiero che porta a riformulare il problema della responsabilità dell’uomo in relazione al Male.
L’Epistola di Enoc prende una posizione decisa e attribuisce all’individuo la piena responsabilità delle
proprie azioni, non conciliandola tuttavia con la dottrina della caduta e dell’origine del Male; addirittura
per l’autore di EE saranno proprio gli Angeli Vigilanti, che mai si sono macchiati del peccato di
corruzione, a giudicare l’umanità alla fine dei tempi. LP invece si riallaccia all’idea del Male come causato
dal disvelamento di segreti divini e introduce la figura del “Figlio dell’Uomo” che rivelerà la giustizia di
Dio e rivoluzionerà la Terra. L’ultimo stadio è caratterizzato da influenze farisaiche, come per 4Ezra, che
presentano l’uomo come intrinsecamente propenso al Male, ma pienamente libero di conseguire la
salvezza attraverso il rispetto della Legge; elementi Cristiani si possono invece ritrovare in 2Baruc con la
presenza della figura del Messia.
Sacchi conclude quindi che, aldilà delle difficoltà di far coesistere sullo stesso piano testi caratterizzati
da differenze formali, di contenuti e da diverse interpretazioni ideologiche, ciò che costituisce la continuità
del pensiero apocalittico e la possibilità stessa di parlare di “apocalittica”, identificata con la Tradizione
Enochica, è lo sviluppo della riflessione sul tema del Male, inteso “non come trasgressione e conseguenza
della trasgressione, ma realtà preesistente all’uomo singolo”74.

73
Ivi:156.
74
Ivi:168.
17

3. SVILUPPI E ALTRE INTERPRETAZIONI

Paolo Sacchi rimase per anni esterno al dibattitto riguardo al genere letterario apocalittico e allo stesso
tempo e ipotesi di Sacchi furono a lungo sconosciuti dagli studiosi di lingua anglosassone. L’Apocalittica
Giudaica e la sua Storia è stata tradotta in lingua inglese nel 199775 e, nonostante sia stata accolta con
scettiscismo e perplessità riguardo teorie come la datazione di alcuni testi e l’identificazione
dell’apocalittica con la “Tradizione Enochica”76, l’opera stimolò positivamente la discussione
contribuendovi con il suo approccio storico-diacronico. Nel numero 20 della rivista Henoch, fondata dallo
stesso Sacchi nel 1979, il libro riceve i commenti di J.J. Collins e G.W.E. Nickelsburg; quest’ultimo,
dimostrandosi sostanzialmente concorde con le interpretazioni dello studioso italiano giunto ad alcune
sue stesse conclusioni77, condivide le sue osservazioni riguardo al rapporto tra il Libro dei Vigilanti e la
Torah, sostenendo però che quella enochica fosse una corrente di pensiero parallela a quella giudaica
dominante, piuttosto che in rottura con essa. Collins nel corso dei suoi studi successivi a Semeia 14
abbandona l’utilizzo del termine “apocalittica”, considerato troppo generico e carico di significati
fuorvianti78 mantendendo invece la distinzione già proposta da Koch e Holsen tra “apocalisse” come
forma letteraria e “apocalypticism” come visione del mondo79. La critica che Collins muove a Sacchi
riguarda appunto l’uso del termine “apocalittica” e la sua identificazione con la Tradizione Enochica, data
la difficoltà di collocare nello stesso flusso ideologico testi molto diversi tra loro; sulla base di questo
punto di vista infatti, tutti gli esempi di apocalissi altre rispetto a quelle giudaiche 80, non potrebbero essere
definiti apocalissi; la stessa perplessità è espressa altrove così: “the genre cannot be identified with a single
motif or theme, and the early Enoch literature, important though it is, cannot be regarded as normative for
all apocalypses […] Other themes and motifs, including eschatology, are no less important than the origin
of evil”81. D’altro canto lo stesso Sacchi si rende conto che all’interno dei testi che egli attribuisce alla
Tradizione Enochica vi sono delle fondamentali differenze stilistiche ed ideologiche, riscontrabili anche
in opere risalenti allo stesso periodo82. Nonostante il dissenso relativo a tal posizione Collins dimostra di
riconoscere l’importanza e la validità dell’approccio storico di Sacchi: “Nonetheless, Sacchi has had a
salutary impact on the discussion by directing attention to the diachronic development of apocalyptic
traditions”83, continuando tuttavia il suo lavoro concentrandosi sui contenuti dei testi e sull’aspetto
letterario, azzardando poche ipotesi riguardo la possibile identificazione di uno o più movimenti
apocalittico e mantenendo molta cautela nel proporre teorie riguardo il contesto sociale e storico dal quale
si sarebbero originati84.
Uno studio che invece muove i suoi passi proprio a partire dallo studio di Paolo Sacchi è quella del suo
allievo Gabriele Boccaccini, esposta in Beyond the Essene Hypothesis del 1998 dove adotta
l’interpretazione di una Tradizione Enochica autonoma nel panorama intellettuale del periodo Secondo
Tempio che sviluppava la propria riflessione intorno al problema del Male in opposizione ai Sadociti,
con i quali condivideva tuttavia un’origine derivata dagli insegnamenti della figura e del Libro di
Ezechiele. Boccaccini definisce la tradizione “Giudaismo Enochico”85 e, attraverso un’analisi
comparativa delle fonti storiche antiche sugli Esseni e i testi del Mar Morto arriva a formulare la sua

75
Sacchi P., Jewish Apocalyptic and its History, Sheffield Academic Press, Sheffield, 1997.
76
AA.VV. 1998;89
77
Ivi:100.
78
Collins J.J. 1998:1-2.
79
Ivi: 1-16.
80
Ivi: 26-33.
81
Ivi:11.
82
Sacchi 1990:18-19.
83
Collins J.J. 1998:11.
84
Ivi:37-42.
85
Boccaccini 1998:XV.
18

“Enochic/Essene hypothesis”86 che identifica con gli Esseni con la Tradizione Enochica. Tracciandone la
storia descrive come la corrente, minoritaria fino alla rivolta dei Maccabei, avrebbe allargato il consenso
e la propria influenza in seguito alla fuga dei Sadociti e si sarebbe espansa, fondando comunità in città e
villaggi; è a questo periodo che risalirebbe l’identificazione della corrente con gli Esseni da parte di Filone
Alessandrino e Giuseppe Flavio. Successivamente un piccolo gruppo guidato da una figura carismatica
avrebbe cominciato a sviluppare delle linee di pensiero che generarono dissenso all’interno degli stessi
Esseni, portando ad una scissione e al ritiro in una comunità isolata che Boccaccini identifica con quella
di Qumran, alla quale si dovrebbe attribuire la raccolta dei testi ritrovati nel 1947 nei pressi del Mar Morto.
La comunità di Qumran basava il proprio pensiero su un dualismo radicale nel quale Dio aveva creato sia
le forze della luce che quelle dell’oscurità, le quali erano tuttavia sottomesse ai fini delle prime; in
quest’ottica l’esistenza dell’uomo è caratterizzata da un elemento di predestinazione individuale
determinato dalla appartenenza personale intrinseca alla sfera del bene o a quella del male, il quale non
poteva in alcun modo essere evitato se non tramite l’azione di Dio che perdonando poteva rendere puro
l’uomo, contaminato dal male. La dottrina della predestinazione venne invece abbandonato dalla corrente
Essena principale più moderata che continuò a confrontarsi con il pensiero Giudaico dell’epoca,
concentrando la propria riflessione verso una speculazione che collocava alla fine dei tempi la vittoria dei
giusti e gli oppressi contro i malvagi, promossa dall’intervento del “Figlio dell’Uomo”. Le figure di
Giovanni Battista e Gesù sarebbero dunque di derivazione Essenica e l’identificazione da parte dei loro
seguaci dello stesso Gesù con il “Figlio dell’Uomo” avrebbe contribuito alla nascita del Cristianesimo.
La teoria di Boccaccini si pone in contrasto con l’ipotesi classica che attribuisce la formazione della
comunità di Qumran a personalità appartenenti alla Casa di Zadok, che li vi si erano ritirate in seguito alla
rivolta Maccabea. Sebbene non condiviso e accettato da tutti gli studiosi del settore 87, questo studio ha il
merito di contribuire con nuovi stimoli al tentativo di tracciare la storia della “Tradizione Apocalittica
Palestinese”, al punto tale da poterla, se non identificare completamente, almeno associare al “Giudaismo
Enochico”88.

L’evoluzione del Giudaismo Enochico secondo Boccaccini (1998:XXII)

86
Ivi:11-12.
87
Vedi ad esempio Van Peursen 2001 e Collins J.J.,“Enochic Judaism” and the Sect of the Dead Sea Scrolls, in Collins
& Boccaccini 2007, pp. 283-300.
88
Van Peursen 2001:252.
19

Nei saggi pubblicati nella raccolta Early Enoch Literature del 2007 si possono trovare alcune
interpretazioni del pensiero della Tradizione Enochica e del suo contesto sociale. Riguardo ai rapporti tra
la prima letteratura enochica e il canone biblico, George Nickelsburg 89 sostiene che gli autori di LV
fossero a conoscenza del Pentateuco dato che nel primo si trovano riconducibili a Genesi, Deuteronomio
e Numeri, ma che la Legge Mosaica e l’alleanza del Sinai non ricoprissero un ruolo centrale nel loro
pensiero. Per gli autori del Libro dei Vigilanti il disegno divino e la realtà dell’uomo e del mondo erano
legate piuttosto ad un ordine cosmico, quello stabilito da Dio con le leggi naturali; una grande importanza
era attribuita quindi alla saggezza rivelata direttamente da Yaweh, da qui la preferenza per la figura di
Enoc in luogo di quella di Mosè.. Nickelsburg inoltre critica la tesi sostenuta da Andreas Bedenbender 90,
il quale identifica il movimento enochico con il gruppo dei Leviti che, in contrasto con i Sadociti nel
periodo post-esilico del Secondo Tempio, sarebbero stati privati delle loro funzioni sacerdotali e
avrebbero scelto Enoc come figura di riferimento, preferendolo a Mosè e alla sua Legge della quale i
Sadociti si erano impossessati, adattandola ai propri scopi. I Leviti avrebbero espresso il disordine
religioso e sociale nel quale si trovavano attraverso testi apocalittici, continuando tuttavia a mantenere la
Torah come riferimento. Pur convenendo con le posizioni di Bedenbender riguardo ai contrasti con i
Sacerdoti e il Tempio, Nicklesburg non crede che queste abbiano influenzato la stesura dei primi capitoli
di 1Enoc, che sviluppano invece la narrazione e le tematiche secondo i loro scopi, non riprendendo forme
letterarie e figure tipiche della Torah, ma traendo piuttosto spunto dai testi profetici e dalla tradizione
sapienziale. Pierluigi Piovanelli91, convinto dell’esistenza di una tradizione che sviluppa in modo coerente
il mito fondativo di LV nei testi successivi del pentateuco Enochiano, si interroga su quali potessero essere
le caratteristiche di un’ipotetica comunità che con essa si possa identificare. Piovanelli assume come punto
di partenza per la sua teoria i risultati dello studio etnografico di Jacques Mercier in Etiopia92, il quale
descrive come ancora oggi i cristiani etiopi che considerano 1Enoc un testo sacro credono che uno degli
angeli caduti, Penemu, insieme ad Azazel avesse insegnato agli uomini come produrre dei talismani per
difendersi dai demoni maligni. Assumendo la prospettiva antropologica che il modo in cui ciascuna
comunità interpreta la malattia e il disagio corporeo dipende dal modo in cui essa concepisce la realtà,
legge nel testo la possibilità che le anime dei giganti, capaci di assumere diverse forme, potessero essere
interpretate come le cause all’origine delle malattie fisiche. Alcuni passi delle visioni e delle esperienze
di Enoc rappresenterebbero quindi il modo in cui tali malattie potevano essere curate, attraverso
l’individuazione della causa scatenante, ovvero l’attacco di un demone, ottenuta grazie a delle tecniche di
incubazione e all’induzione di stati di trance ed estatici. La comunità responsabile della letteratura
enochica apparterrebbe dunque a una tradizione caratterizzata dall’utilizzo di tali pratiche, ma non in
contrasto con la Rivelazione Mosaica, bensì in continuità con essa, sebbene con questi presupposti risulta
difficile immaginare che i membri di questo gruppo potessero appartenere alla classe sacerdotale, men
che meno a quella Sadocita dominante. La possibile identificazione del dialetto Aramaico nel quale i testi
enochici furono composti con quello parlato in Galilea permetterebbe di individuare la loro origine
territoriale appunto, nella Galilea, territorio defilato dove, lontane dalle politiche religiose poco tolleranti
di Samaria e Gerusalemme queste pratiche “popolari” avrebbero potuto sopravvivere mantenute in vita
da coloro che Piovanelli si azzarda a definire “shamanic practitioners” 93, responsabili della stesura del
LV. In netto contrasto con quella di Piovanelli è l’interpretazione di Patrick Tiller94, il quale sostiene che
tutti i tomi di 1Enoc siano da attribuire ad individui provenienti dalla classe degli scribi, i soli che
avrebbero avuto le capacità per portarne a termine la stesura. Questo gruppo sarebbe stato in contrasto

89
Nickelsburg G. W. E., Enochic Wisdom And Its Relationship To The Mosaic Torah, in Collins & Boccaccini 2007,
pp.81-94.
90
Bedenbender A., The Place of the Torah in the Early Enoch Literature, in Collins & Boccaccini 2007, pp. 65-79.
91
Piovanelli P., “Sitting by the Waters of Dan,” or the “Tricky Business” of Tracing the Social Profile of the
Communities that Produced the Earliest Enochic Texts, in Collins & Boccaccini 2007, pp. 257-282.
92
Mercier J., Art that Heals: The Image as Medicine in Ethiopia, Prester Pub, 1997.
93
Piovanelli, op. cit., pg.280.
94
Tiller P., The Sociological Settings of the Components of 1Enoch, in Collins & Boccaccini 2007, pp.237-255.
20

con le politiche della classe sacerdotale dominante dell’epoca, oltre che con l’amministrazione ellenistica;
il Libro dei Vigilanti andrebbe quindi interpretato come un’opera di critica verso i regnanti greci che
proclamavano la loro discendenza divina.

CONCLUSIONI

Gli studi sulla letteratura apocalittica finalizzati alla ricerca di una definizione del genere, sebbene
abbiano prodotto degli strumenti efficaci che permettono di categorizzare in maniera efficace i testi e di
interpretarli in relazione ad un quadro esteso, incorrevano probabilmente nell’errore espresso da Sacchi
di includere in una sorta di unità opere che risalgono a periodi storici tra loro lontani e ascrivibili a contesti
sociali ed ideologici profondamente differenti. Un altro rischio è poi quello di proiettare su delle opere e
delle epoche passate categorie di pensiero che ad esse non appartengono, riportando “nel pensiero antico
valori e formulazioni moderne”95. D’altro canto, riguardo al corpus della “nebulosa”96 apocalittica,
possono essere ritenute valide le osservazioni che Florentino García Martínez porta riguardo alla
letteratura Enochica, cioè che “The evidence is fragmentary and, more often than not, unclear; in a word:
it is messy”, e altrettanto valida può essere ritenuta la conclusione che “this messiness should be respected.
What we have is not enough to obtain the complete and clear picture of the situation we should wish. […]
Perhaps one of the main conclusions is that we need to learn to live with fragmentary evidence and not
try to reach a synthesis that goes beyond what the evidence would permit”97.
Data la complessità della materia determinata dalla scarsità e dalla cattiva condizione delle fonti, un
approccio storico come quello del Sacchi che tenga conto dei concetti prodotti nei testi apocalittici nel
contesto della produzione del pensiero giudaico relativo alla stessa epoca può, se non dare certezze,
almeno fornire degli spunti validi a delineare le dinamiche di un periodo complesso come quello del
Secondo Tempio. Oltre a ciò questo metodo permette di poter, almeno in parte, indagare quello che era il
contesto culturale che generò la letteratura apocalittica, nonostante le difficoltà più che evidenti di riuscire
a penetrare la visione del mondo e il pensiero di figure appartenenti ad un’epoca così lontana e differente
dalla civiltà moderna. Le diverse opinioni espresse dagli studiosi sulla base delle stesse fonti ed
informazioni disponibili mettono in luce le difficoltà di interpretare correttamente le condizioni storiche,
ideologiche e sociali che spinsero gli autori dei testi apocalittici a formulare tali visioni del mondo; questo
rimane tuttavia l’obiettivo forse più interessante da perseguire 98. È inoltre ormai opinione condivisa che
ogni opera presa in considerazione dagli studiosi abbia delle proprie caratteristiche precise e definite che
la rendono unica e, pur inquadrandola successivamente in un contesto più ampio, l’indagine debba essere
svolta approfonditamente a livello del singolo testo per averne una comprensione soddisfacente, o almeno
per proporre interpretazioni che possano portare a sviluppi stimolanti.
Cionondimeno qualcosa che accomuna queste opere è evidente, sebbene possa resistere a tentativi di
analisi e categorizzazione rigorosi e probabilmente la soluzione migliore è spostare la ricerca di tale
elemento condiviso sul piano dell’universo simbolico espresso nei testi e nelle loro immagini, cioè di

95
Sacchi 1990:25
96
Ivi:19.
97
García Martínez F., Conclusion: Mapping the Threads, in Collins & Boccaccini 2007, pg.333.
98
Ivi:334.
21

concepirlo come un’“atmosfera”99, un insieme di significati e il senso della realtà che tali significati
producono. Come conseguenza il concetto di “apocalittica”, termine che dovrebbe appunto esprimere tale
fattore comune, è forse troppo legato ai suoi significati letterari e ideologici e agli usi poco precisi che ne
sono stati fatti; il destino migliore per quanto riguarda il suo utilizzo è probabilmente proprio quello
proposto da Hanson e avallato da Collins, cioè la sua caduta in disuso in favore di “Apocalypticism”, la
visione del mondo espressa nella letteratura apocalittica.

“La storia è, secondo me, sempre storia di uomini che pensano. Perciò le
idee, in quanto tali, dicono ben poco se colte isolatamente: vanno
piuttosto ricercate nel loro rapporto reciproco, inquadrate cioè nella loro
costellazione, nella quale prendono posto, spinte da determinate esigenze,
illuminate da determinati valori e di istanze fondamentali”. (Sacchi1990:40)

99
Sacchi 1990:22.
22

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