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Ad Argo:

l’intelligenza e la gioia
XXX.

Problema XXX
Saggezza, intelletto, sapienza
:duepunti edizioni
via Siracusa 35
90141 Palermo

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www.duepuntiedizioni.it

Progetto grafico e impaginazione .:terzopunto.it

Titolo originale PROBLHMATA


OSA PERI FRONHSIN KAI NOUN KAI SOFIAN
Traduzione dal greco antico di Andrea L. Carbone

© 2011 :duepunti edizioni – Palermo


Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-89987-54-4
ARISTOTELE
Problema X X X
Saggezza, intelletto, sapienza

a cura di Andrea L. Carbone

:duepunti edizioni
Palermo
1. Perché coloro che sono stati fuori dell’ordinario1 in 953a 10
filosofia, in politica, nella poesia e nelle varie arti sono
stati tutti, a quanto pare, dei melancolici, e alcuni
addirittura a tal punto da contrarre le malattie dovu-
te alla bile nera [melaina cholé]2? Tale fu Eracle, secon-
do quanto si dice nei miti eroici, poiché pare che 15
anch’egli avesse questa natura, ed è proprio riferendo-
si a lui che gli antichi chiamarono l’epilessia “male
sacro”3: ne sono prova l’accesso di forsennatezza che
ebbe nei confronti dei figli nonché le piaghe e le eru-
zioni che si manifestarono prima della sua scomparsa
sul monte Eta4; molti infatti ne soffrono a causa
della bile nera, e allo spartano Lisandro ciò accadde 20
prima che spirasse5. Lo stesso si dice di Aiace6 e di
Bellerofonte: l’uno uscì del tutto fuori di senno, l’altro
andò in cerca di luoghi in cui ritirarsi a vita solitaria,
e per questo Omero dice di lui: «Dacché si era attira-
to addosso l’ira di tutti gli dèi, errava solo nella pianu-
ra di Aleia, rodendosi il cuore ed evitando le strade 25
battute dagli uomini»7. E sembra che molti altri eroi
siano stati affetti in modo simile8, come anche, in
tempi più recenti9, Empedocle10, Platone11, Socrate12
8 Introduzione

e molte altre celebrità13. Così anche la maggior parte


dei poeti: molti, infatti, hanno il corpo affetto da
30 malattie dovute a questo temperamento14, e altri per
loro natura tendono evidentemente a soffrire di que-
ste affezioni. In breve, si può dire che abbiano tutti
questa stessa natura. Bisogna dunque comprenderne
la causa, servendosi innanzi tutto di un esempio.
Sembra che una gran quantità di vino15 renda chi lo
beve simile in tutto e per tutto a chi è considerato
35 melancolico, e che produca una grandissima varietà di
caratteri, rendendo ora irritabili ora ben disposti, ora
compassionevoli ora sfacciati. Il miele, il latte, l’ac-
qua e le altre bevande non producono alcun effetto
comparabile a questo. La varietà degli effetti del
vino può essere invece constatata osservando il
modo in cui esso trasforma gradualmente chi lo
953b beve. Consideriamo il caso di chi da sobrio è freddo e
taciturno: se beve un po’, il vino lo rende loquace,
ancora un poco e si mette a fare discorsi arditi, se con-
tinua di questo passo comincia a comportarsi in
maniera sfrontata, e se beve ancora diventa tracotan-
5 te, poi irragionevole; infine, un eccesso di vino lo sfi-
nisce e lo intontisce come chi è affetto da epilessia fin
dall’infanzia o dai tipi più gravi di melancolia.
Dunque, come uno stesso uomo cambia carattere
quando beve, in funzione della quantità di vino che
assume, così ciascuno di questi caratteri si può ritro-
10 vare in un individuo diverso: ovvero, se un tale ha un
Problena XXX 9

dato carattere quando è ubriaco, un altro è allo stesso


modo per natura16: c’è chi è loquace, chi agitato, chi
incline al pianto (in alcuni il vino ha anche questo
effetto). A ciò alludono i versi di Omero «Dicono che
appesantito dal vino affondo in un mare di lacrime»17.
Altri diventano compassionevoli, certuni rudi, altri
ancora ammutoliscono: così accade soprattutto ai
melancolici portati a uscire di senno. Il vino rende 15
anche inclini all’amore: un segno è che chi beve tende
a baciare sulla bocca anche persone che da sobrio nes-
suno bacerebbe, per via del loro aspetto o per l’età.
Insomma, il vino rende gli uomini fuori dell’ordinario
per un breve lasso di tempo, e non a lungo, mentre la
natura lo fa per sempre, per tutta la vita18: alcuni sono 20
coraggiosi per natura, altri silenziosi, altri ancora
compassionevoli o pavidi. Ma è evidente che la causa
per cui il vino e la natura fanno il carattere è la stessa,
poiché tutto ciò è determinato dall’entità del calore.
Il succo dell’uva e il temperamento della bile nera
hanno natura di spirito19; perciò secondo i medici le
affezioni che attengono allo spirito e quelle dell’ipo-
condrio sono dovute alla bile nera. Anche il vino, 25
infatti, ha la potenza dello spirito, ed è per questo che
la natura del vino e quella del temperamento sono
simili20. Che nel vino agisca lo spirito è chiaro per via
della schiuma: l’olio, anche quando è caldo, non fa
schiuma, mentre il vino invece ne fa molta, e quello
nero21 più di quello bianco, perché è più caldo e più
10 Aristotele

30 corposo. Per questo il vino stimola il desiderio sessua-


le – si dice giustamente che Dioniso e Afrodite vanno
sempre in coppia22 – e per questo i melancolici sono
quasi tutti lascivi. Nel rapporto sessuale, infatti, agi-
35 sce lo spirito. Un segno è costituito dal pene, poiché
aumenta rapidamente di dimensioni a causa del fatto
che si gonfia23. Inoltre, anche prima di poter emette-
re seme, i ragazzi prossimi all’adolescenza provano un
certo piacere a strofinarsi il pene, per intemperanza: è
chiaro infatti che la causa di questo piacere consiste
nel fatto che lo spirito attraversa i condotti da cui in
954a seguito passerà il liquido. L’ emissione del seme duran-
te il coito e l’eiaculazione avvengono chiaramente per
via della spinta dello spirito24. È ragionevole pertanto
che siano afrodisiaci tutti i cibi e le bevande che pro-
ducono l’azione dello spirito nella regione dei genita-
5 li. Questo spiega dunque come mai il vino nero renda
in tutto e per tutto simili ai melancolici, nei quali
appunto agisce lo spirito. Ciò è evidente in alcuni
individui, perché per la maggior parte i melancolici
sono duri di pelle e hanno le vene salienti: ma la causa
non è la quantità di sangue, bensì di spirito. Perché
10 poi non tutti i melancolici sono duri di pelle o neri,
ma soltanto quelli che più hanno umori malsani, è
un’altra questione25. In merito a quanto abbiamo esa-
minato fin qui, possiamo dire che il temperamento
naturale di questo umore melancolico è semplice: si
tratta infatti di un temperamento di caldo e freddo;
Problena XXX 11

ora, sono queste due le <qualità> costitutive della


natura26. Pertanto, la bile nera è tra gli umori quello
che diventa il più caldo e il più freddo, poiché queste 15
<qualità> la medesima cosa può averle per natura
entrambe: per esempio, l’acqua, che pure è fredda, se
viene scaldata abbastanza, come fino a bollire, è più
calda della fiamma stessa; o anche una pietra o del
ferro, quando diventano incandescenti, sono più caldi
del carbone, benché siano freddi per natura. Di que- 20
ste cose si parla in modo più dettagliato negli scritti
sul fuoco27. Anche la bile nera è fredda per natura e
non sta in superficie28; quando si trova nello stato che
si è detto, vale a dire se ve n’è un eccesso nel corpo,
produce apoplessie, narcosi, scoramenti o paure; se
invece si surriscalda, produce allegria scanzonata, per- 25
dite di senno, eruzioni con piaghe e simili. Dunque, se
nella maggior parte delle persone è generata dall’ali-
mentazione quotidiana29 e non produce differenze
nel carattere, ma provoca soltanto un malessere
melancolico, in chi invece ha un temperamento del
genere per natura questi caratteri si manifestano subi- 30
to e in varietà secondo il temperamento di ciascuno30.
Per esempio, in chi ha bile nera abbondante e fredda,
osserviamo torpore e apatia; in chi invece ne ha in
grandissima quantità e calda, riscontriamo follia e
talento, propensione all’amore e facilità a essere
mossi da impulsi e desiderî, e in qualche caso anche
una maggiore loquacità31. Molti, a causa del fatto che
12 Aristotele

questo calore si trova nelle vicinanze della regione


35 connessa all’intelletto32, sono portati a essere colpiti
da follia e invasamento: di qui sibille, profeti e invasa-
ti di vario tipo, quando non lo siano a causa di una
malattia ma per via del loro temperamento naturale.
Maraco di Siracusa poetava meglio quando era fuori
di sé33. Gli individui in cui l’accesso di calore sovrab-
954b bondante si mantiene nella media34 sono sì melanco-
lici, ma anche molto intelligenti, e pur essendo meno
bizzarri si distinguono comunque dagli altri in molti
campi: nella cultura, nelle arti o nella politica35.
Questo abito produce una grande differenza quanto al
5 modo di affrontare i pericoli, poiché si dà il caso che
non vi sia regolarità nel modo in cui molti uomini pro-
vano paura, e questo è dovuto allo stato in cui si trova
il loro corpo rispetto al temperamento in questione,
che li rende a volte differenti da sé stessi. Il tempera-
mento melancolico, come produce irregolarità in caso
10 di malattia, così è in sé irregolare, poiché è ora freddo
come l’acqua, ora caldo. Pertanto, quando si annuncia
qualcosa di spaventoso, il temperamento, se in quel
frangente si trova a essere più freddo, produce viltà,
poiché sgombra il cammino alla paura, e la paura raf-
fredda, come si vede dal fatto che chi è impaurito
trema36. Se invece il temperamento è più caldo, la
15 paura lo riporta alla misura, di modo che si ritorna in
sé e si è impassibili. Allo stesso modo avviene anche
nel caso degli scoramenti quotidiani, poiché spesso è
Problena XXX 13

come se si provasse pena senza essere in grado di dire


quale ne sia l’origine; a volte invece si prova allegria,
ma da dove questa provenga, non è chiaro37. Le affe-
zioni di questo tipo e quelle che abbiamo detto prima
si riscontrano in chiunque, poiché nel temperamento 20
di tutti questa potenza si trova almeno in parte. Ma
quando si tratta di qualcosa di profondo38, abbiamo a
che fare con una certa qualità del carattere degli indi-
vidui. Come la differenza di aspetto non è dovuta al
fatto di avere un volto, bensì alla qualità del volto
stesso – in alcuni è bello, in altri brutto, in altri anco-
ra non ha nulla di eccezionale, e questi rientrano nella
media naturale –; così anche chi partecipa in minor 25
misura di questo tipo di temperamento rientra nella
media, mentre chi ne partecipa in larga misura è
diverso dai più. Se il loro abito corrisponde alla più
alta saturazione, sono eccessivamente melancolici, ma
se invece sono in qualche modo contenuti, sono fuori
dell’ordinario. Si tratta però di individui che se non
fanno attenzione sono soggetti alle malattie dovute
alla bile nera, che li colpiscono in una qualche parte 30
del corpo: a volte si manifestano come epilessia o apo-
plessia, altre volte come un profondo scoramento o
paura, o ancora come un eccessivo coraggio, come
avvenne al re macedone Archelao39. La causa di una
simile potenza è il temperamento, a seconda di quanto
sia freddo o caldo. Se è più freddo del dovuto, produ- 35
ce tristezza immotivata. Per questo sono soprattutto
14 Aristotele

i giovani a suicidarsi, ma capita a volte che lo facciano


anche i vecchi, e molti si tolgono la vita dopo aver
bevuto. Certi melancolici poi rimangono avviliti
anche se hanno bevuto. Il calore del vino40, infatti,
955a estingue il calore naturale41. Il calore nella regione in
cui pensiamo e proviamo speranza, invece, rende alle-
gri, e questa è la ragione per cui bere fino a ubriacar-
si rende tutti zelanti, come sono i bambini per via
della giovinezza. La vecchiaia, infatti, è disperata,
5 mentre la giovinezza è piena di speranza42. Ad alcuni,
pochi, accade di rattristarsi già mentre bevono, per la
stessa causa per cui ad altri questo càpita dopo aver
bevuto. Chi prova avvilimento quando il calore si è
consumato ha dunque una maggiore propensione al
10 suicidio. La vecchiaia consuma il calore, mentre nei
giovani l’affezione naturale consiste nel consumarsi da
sé del calore. Gli individui in cui l’estinzione del calo-
re avviene d’improvviso, poi, per lo più si tolgono la
vita, e tutti allora sono sorpresi del fatto che non vi
fossero stati segni premonitori. Dunque, quando il
temperamento che deriva dalla bile nera diviene
15 molto freddo, come si è detto, provoca ogni sorta di
avvilimento, quando invece è molto caldo provoca
allegria. Per questa ragione i bambini sono più allegri
e i vecchi sono più tristi, perché gli uni sono caldi e gli
altri freddi. La vecchiaia, infatti, è una sorta di raf-
freddamento43. Può accadere anche, tuttavia, che il
calore si estingua improvvisamente per cause esterne,
Problena XXX 15

come accade anche contro natura alle cose incande- 20


scenti, per esempio quando si versa acqua sulla brace.
Per questa ragione certuni si tolgono la vita quando
tornano a essere sobri. Il calore del vino è infatti di
provenienza esterna, e quando si estingue sopravviene
l’affezione44. I più provano un maggiore avvilimento
anche dopo l’atto sessuale, ma quelli che emettono
una più grande quantità di residuo con il seme sono
più allegri, poiché con l’eliminazione del residuo si 25
liberano dell’eccesso di spirito e di calore. Quegli altri
però si sentono spesso più avviliti, poiché dopo l’atto
sessuale si raffreddano dal momento che sono privati
di qualcosa di conveniente, come si vede dal fatto che
l’emissione non è abbondante45. Per sommi capi,
dunque, poiché la potenza della bile nera è irregola- 30
re, irregolari sono anche i melancolici46. La bile nera
diviene infatti straordinariamente fredda e calda. E
poiché è modellatrice del carattere (il caldo e il fred-
do, infatti, sono maggiormente modellatori del
nostro carattere), come il vino che entra in maggio-
re o minore quantità nel temperamento del corpo,
modella il nostro carattere rendendoci di tale o tal 35
altra qualità47. Le due cose contengono spirito, sia il
vino che la bile nera. Poiché però è anche possibile
che l’irregolarità sia ben temperata e che sia in qual-
che modo in una buona condizione, ed anche even-
tualmente che la disposizione passi da un gran riscal-
damento a un intenso raffreddamento, o che avvenga
16 Aristotele

il contrario, a causa del fatto che vi è un eccesso48,


allora sono fuori dell’ordinario tutti i melancolici, non
40 per malattia, ma per natura49.

955b 2. Perché di alcune scienze diciamo di avere un abito


e di altre no? Diciamo di avere un abito delle scienze
nelle quali siamo in grado di fare delle scoperte? La
scoperta in effetti deriva dall’abito50.

3. Perché tra gli animali l’uomo è il più intelligente?


5 Forse perché è quello dotato della testa proporzio-
nalmente più piccola rispetto al corpo? O perché il
minimo è distribuito in modo irregolare? È questa, in
effetti, la ragione per cui ha la testa più piccola; tra
gli uomini stessi, peraltro, quelli che hanno la testa
piccola sono più intelligenti di quelli che hanno la
testa grande51.

4. Perché la strada ci sembra più lunga quando non


10 sappiamo quanto ci resti da camminare rispetto a
quando lo sappiamo, essendo simili tutte le altre cir-
costanze? Forse perché conoscere la quantità di cam-
mino significa conoscerne il numero? Ciò che è privo
di limite, in effetti, è anche privo di numero, e ciò
che è privo di limite è sempre maggiore di ciò che è
definito. Pertanto, come se si conoscesse la quantità
di cammino, questo sarebbe necessariamente delimi-
15 tato; così, se non se ne conosce la quantità, l’anima
Problena XXX 17

compie una deduzione erronea in base al correlativo52


e conclude che la strada sia in certo modo illimitata:
dato che la quantità è definita e ciò che è definito è
una quantità, quando qualcosa sembra indefinito, si
ha l’impressione che sia anche illimitato; quel che per
natura ha una definizione, infatti, se non viene defini-
to sembra illimitato, e ciò che sembra privo di defini-
zione in qualche modo appare anche necessariamente 20
impossibile da delimitare53.

5. Perché da vecchi il nostro intelletto è più sviluppa-


to ma da giovani impariamo più velocemente?54 Forse
perché il dio ci ha fornito di due strumenti intrinseci,
con cui possiamo servirci degli strumenti esterni, cioè 25
ha dato la mano al corpo e all’anima l’intelletto?55
L’ intelletto, in effetti, è come uno degli strumenti che
si trovano in noi per natura, poiché mentre le scienze
e le tecniche siamo noi a produrle, l’intelletto lo
abbiamo per natura. Come dunque della mano non
siamo capaci di servirci subito nel modo migliore,
appena nati, bensì quando la natura l’ha perfeziona- 30
ta (con l’avanzare dell’età, infatti, la mano svolge
sempre meglio la sua funzione); allo stesso modo
anche l’intelletto, che abbiamo anch’esso per natu-
ra, raggiunge il suo massimo sviluppo nella vec-
chiaia, ed è allora che si perfeziona al meglio, a
meno che non sia menomato per qualche ragione,
come accade anche alle altre doti naturali 56 . 35
18 Aristotele

Rispetto alla capacità delle mani, l’intelletto si svilup-


pa in noi più tardi, perché anche gli strumenti dell’in-
telletto si sviluppano dopo quelli della mano.
Strumento dell’intelletto, infatti, è la scienza (se ne
serve come il flautista si serve dei flauti), mentre stru-
mento della mano sono molte cose naturali: ora, la
natura viene prima della scienza, e così anche le cose
40 che da essa si generano. È logico che in noi si svilup-
956a pino prima gli strumenti di cui acquisiamo per prime
le facoltà, poiché la formazione di questi abiti avviene
grazie all’uso. Le cose stanno allo stesso modo quanto
al rapporto tra ciascuno strumento e la sua funzione e,
per converso, il rapporto che sussiste tra uno strumen-
to e l’altro è identico a quello tra gli strumenti e le fun-
5 zioni57. Questa è dunque la causa per cui l’intelletto si
sviluppa in noi maggiormente da vecchi58. Invece
impariamo più velocemente da giovani perché non
sappiamo ancora nulla: a mano a mano che apprendia-
mo, non possiamo più farlo allo stesso modo. Siamo
però in grado di disporne. Allo stesso modo, ci ricor-
diamo meglio delle persone che abbiamo incontrato al
10 mattino, ma nel corso della giornata non è più lo stes-
so, perché facciamo tanti altri incontri59.

6. Perché bisogna prestare fede più all’uomo che a un


altro animale? Forse, come Platone rispose a Neocle,
perché è l’unico animale a saper contare? O perché è
l’unico a credere negli dèi? O perché è quello con le
Problena XXX 19

maggiori capacità di imitazione? Questo in effetti lo


rende capace di imparare60. 15

7. Perché non proviamo gioia o speranza nell’osserva-


re che la somma degli angoli interni del triangolo è
uguale a due retti, o altre cose del genere, se non per
l’osservazione stessa, di modo che non cambierebbe
molto se la somma fosse uguale a tre retti o anche di
più? E perché invece nel ricordare una vittoria a
Olimpia o la battaglia navale di Salamina proviamo 20
gioia e nutriamo speranze quanto a cose del genere,
ma non per ciò che è contrario? Forse in questi casi la
gioia proviene dal fatto che si tratta di eventi passati
o presenti: nel caso degli enti naturali il piacere ci pro-
viene soltanto dal fatto che quel che osserviamo cor-
risponde a verità, mentre proviene dai risultati quan-
do si tratta di azioni. Poiché infatti il corso delle 25
azioni è diseguale, anche le conseguenze possono
essere causa di dolore o piacere, e rifuggiamo da qual-
cosa o la perseguiamo sempre in base al piacere e al
dolore che ne proviene61.

8. Perché i medici operano fino a ottenere la salute?


Asciugano e poi disseccano fino a produrre la salute,
ma qui si fermano. Forse è perché da questa non si 30
può produrre altro. O forse, se è possibile, questo
attiene a un’altra scienza, nel senso che ciò che si può
produrre a partire dalla salute sarà qualcosa di diverso
20 Aristotele

da questa. Se la salute proviene dalle cose contrarie e


da quelle intermedie, è evidente che la malattia deri-
va dalla secchezza o dall’umidità o da qualcosa del
35 genere. Il medico rende il freddo meno intenso, e
finisce per produrre un certo calore e una certa sec-
chezza o umidità a partire dalle cose contrarie o dalla
medietà, fino a giungere a un certo stato, che è essen-
zialmente quello della salute. Da questo stato si può
passare naturalmente solo a uno stato intermedio.
Ora, queste cose può farle soltanto chi possiede l’arte
40 <medica>. Quando ottiene questo risultato, il medico
può dunque fermarsi e interrompere il trattamento.
La sua arte però non consiste in questo, perché ha
956b sempre di mira il meglio. Né la medicina né nessun’al-
tra arte, pertanto, potrà produrre qualcos’altro a par-
tire dalla salute, poiché nulla può generarsi che non
sia il contrario, se la scienza è la stessa. Consideriamo
una casa: allo stesso modo, nulla potrebbe produrre il
contrario, poiché non c’è un’altra arte che sia in grado
di produrre qualcosa a partire da questa, se non da
una sua parte. Così la calzoleria produce un calzare da
un ritaglio. In entrambi i casi l’alternativa è tra com-
5 porre o distruggere62.

9. Perché riteniamo che il filosofo sia diverso


dall’oratore? Forse perché il filosofo si occupa delle
forme stesse delle cose, mentre l’altro di ciò che ne
partecipa? Per esempio, l’uno cerca di definire che
Problena XXX 21

cos’è l’ingiustizia mentre l’altro addita un uomo ingiu-


sto, oppure l’uno cerca di definire la tirannide, men-
tre l’altro si concentra su un tiranno in particolare63. 10

10. Perché gli attori sono per lo più gretti? Forse per-
ché partecipano in misura minima di ragione e
sapienza, dal momento che dedicano la gran parte
della vita alle arti necessarie, e perché vivono a lungo
nella sfrenatezza e nelle ristrettezze, cose che favori- 15
scono entrambe la mediocrità?64

11. Perché da sempre si bandiscono premi per gare che


riguardano l’uso del corpo e mai per la sapienza? Forse
perché è opportuno che, se si tratta di giudicare sul-
l’intelligenza, i giudici non siano peggiori dei concor-
renti, o che siano anche migliori? In effetti, se coloro
che si distinguono per saggezza avessero voluto gareg- 20
giare per contendersi un premio, di giudici non se ne
sarebbero trovati. Nelle gare ginniche, chiunque può
essere il giudice, perché non deve fare altro che stare
a guardare. Inoltre, chi per primo ha indetto giochi
presso i Greci non volle che la gara potesse suscitare
discordie e grandi dissapori. Ma il fatto è che gli
uomini, se qualcuno si aggiudica oppure no una gara 25
che riguarda l’uso del corpo, non si oppongono al ver-
detto e non si scagliano contro i giudici, mentre si
adirano moltissimo e si irritano con coloro che giudi-
cano chi sia il più saggio o il più biasimevole. Perché
22 Aristotele

30 questo è foriero di discordie e biasimo. Occorre poi


che il premio abbia più valore della gara stessa, e in
effetti nel caso delle gare ginniche il premio è più pre-
zioso e ha più valore della gara: ma quale premio
sarebbe migliore della sapienza?65

12. Perché l’uomo ha la peculiarità di pensare una cosa


e farne un’altra? Forse perché la scienza dei contrari è
35 la stessa? O perché si pensano molte cose, ma se ne
desidera una sola? Dunque l’uomo vive soprattutto in
base al pensiero, mentre le bestie in base ai desiderî,
alle inclinazioni e agli appetiti66.

13. Perché certuni, anche se intelligenti, passano il


tempo ad accumulare cose che poi non usano? Forse
lo fanno per abitudine? O per il piacere che si accom-
pagna alla speranza?67

14. <…> perché la sensazione e il pensiero sono attivi


40 se l’anima è tranquilla68. In questo si ritiene consista
anche la scienza, cioè in una saldezza dell’anima69,
957a poiché se questa si muove e si sposta è impossibile
provare sensazioni o pensare. Per questa ragione, i
bambini, gli ubriachi e i folli sono privi di pensieri,
perché la quantità del calore che hanno dentro pro-
duce un movimento molto ampio e violento; quando
5 questo viene meno, invece, diventano più ragionevo-
li, poiché il pensiero non ha turbamenti e possono
Problena XXX 23

controllarlo con maggiore saldezza. Chi sogna duran-


te il sonno lo fa quando il pensiero si arresta, e a
seconda di quanto rimanga in quiete. L’ anima si
muove soprattutto durante il sonno. Quando il calore
si raccoglie dal resto del corpo verso la regione inter- 10
na, si produce il movimento più ampio e violento: non
è vero, cioè, come invece molti credono, che in quel
momento l’anima è in quiete e raccolta su di sé,
soprattutto quando non si sogna nulla. Quel che acca-
de è il contrario, poiché per via dell’ampiezza del
movimento e a causa del fatto che non c’è neppure un
attimo di riposo, è impossibile pensare. È logico che 15
si dorma più profondamente proprio quando il movi-
mento è più intenso, perché è soprattutto allora che il
maggior calore si accumula nella regione più interna.
Quanto al fatto che l’anima quando si muove non può
pensare, e non solo da svegli ma anche nel sonno, c’è
un altro segno: è particolarmente raro che si sogni
quando si dorme dopo i pasti, perché in quel momen- 20
to l’anima è soggetta a grandi movimenti per via del
nutrimento che è stato assunto. Il sogno si presenta
quando ci addormentiamo pensando a qualcosa e
facendocene un’immagine. Perciò vediamo soprat-
tutto ciò che facciamo o che stiamo per fare o che
vorremmo fare, perché è su queste cose che si con-
centrano soprattutto i nostri ragionamenti e le 25
nostre fantasie70. Inoltre, le persone nelle migliori
condizioni fanno i sogni migliori, perché anche da
24 Aristotele

svegli pensano le cose migliori; le persone nelle peg-


30 giori condizioni quanto alla mente o al corpo fanno
quelli peggiori. Anche la disposizione del corpo
influisce sull’immaginazione nel sogno, perché quan-
do si è malati si pensano brutte cose, e a causa del tur-
bamento del corpo l’anima non trova quiete. Per que-
sta ragione i melancolici si agitano nel sonno, perché
l’anima si muove più del normale a causa del surriscal-
35 damento, e quando il movimento diviene più intenso
non riescono più a dormire71.
Note al testo
1. Lo spettro semantico del greco perissov" varia da “ecce-
zionale” a “eccessivo” o “superfluo”, e in aritmetica indica il
“dispari”. Pigeaud richiama l’attenzione sul rapporto tra la
natura eccezionale dei melancolici e la natura di residuo
(perivsswma) della bile nera (Aristote, L’Homme de génie et la
Mélancolie, traduction, présentation et notes de J. Piegaud,
Rivages, Paris 1988, pp. 17-18).

2. La bile nera è uno dei quattro umori fondamentali


secondo la medicina ippocratica insieme a bile gialla, sangue
e flegma. La teoria umorale è ampiamente richiamata nei
problemi di medicina, e in particolare in Probl. I 3, dove si
allude esplicitamente alla dottrina alcmeonica-ippocratica
della salute come armonia e bilanciamento degli umori. La
distinzione tra temperamento melancolico e stato morboso
dovuto alla bile nera qui introdotta è uno dei temi fonda-
mentali di tutto il Probl. XXX.

3. L’ epilessia sarebbe cioè un male sacro poiché origina-


riamente Eracle fu reso folle da Era. Il trattato ippocratico
sul Male sacro insiste piuttosto sull’eziologia divina che i
ciarlatani attribuiscono al male, opponendovi un approccio
scientifico, mentre l’espressione “malattia di Eracle” ricor-
re in Malattie delle donne 1,7 senza specifico riferimento
28 Aristotele

all’epilessia o alla melancolia. Come è stato rilevato (cfr. ad


esempio quanto osserva Pigeaud in Aristote, L’Homme de
génie et la Mélancolie, cit., p. 8), ritroviamo qui un simile
atteggiamento “laico” che razionalizza il mito escludendo
ogni riferimento al divino.

4. Le due manifestazioni del male si riferiscono a momen-


ti distinti della vicenda mitica di Eracle. Questi uccise i figli
avuti da Megara a causa di un accesso di follia indotto da
Era. Compì dunque le dodici fatiche per espiare l’infantici-
dio. L’ episodio delle piaghe risale invece all’ultima fase della
vita dell’eroe: si tratta, secondo il mito, non di eruzioni ma
di ferite che Eracle si procurò da sé tentando di strapparsi
di dosso le vesti impregnate del sangue avvelenato del cen-
tauro Nesso. In seguito l’eroe si inerpicò sul monte Eta
dove apparecchiò per sé una pira funebre. Il rogo però fu
spento dalla pioggia, e avvolto da una nube Eracle salì
sull’Olimpo, dove fu accolto tra gli dèi come immortale. Il
carattere di Eracle denota forza e arguzia, ma anche rettitu-
dine morale: l’eroe infatti è il protagonista della famosa
parabola di Prodico, Eracle al bivio (DK 84 B2), dove il
nostro preferisce senz’altro la virtù al piacere, ed è conside-
rato dai cinici un modello di condotta. In una versione
arcaica del mito Eracle insegna l’alfabeto (Plutarco,
Quæstiones romanæ, 278e).

5. Lisandro è certamente un personaggio fuori dal comune


nella storia greca. Generale spartano, sconfisse la flotta ate-
niese alla famosa battaglia di Egospotami che nel 405 a.C.
concluse la Guerra del Peloponneso, e instaurò ad Atene il
regime dei Trenta Tiranni. È considerato l’iniziatore del
Problena XXX 29

“culto della personalità” nella tradizione politica occidenta-


le, perché si fece tributare onori divini in vita, divenendo
oggetto del culto eroico prima di allora riservato esclusiva-
mente ai morti. Le fonti riportano diversi aneddoti che
denotano nel complesso un temperamento fortemente con-
traddittorio e volubile.

6. Aiace Telamonio è un modello di virtù secondo solo ad


Achille nel novero degli eroi. Come racconta Omero (Od.
XI 540 ss.), un’ira irrefrenabile lo colse quando fu sconfitto
da Ulisse nella contesa per le armi dello stesso Achille.
Secondo una tradizione posteriore, attestata nella cosiddet-
ta Piccola Iliade e ripresa da Sofocle nella tragedia omoni-
ma, l’eroe fece strage delle pecore che si trovavano nell’ac-
campamento credendo che fossero nemici schierati in
battaglia. Poi, rinsavito, si suicidò.

7. Omero, Il., VI 200-202. Bellerofonte incarna un model-


lo di eccellenza che tende da ultimo alla tracotanza e si rive-
la dunque esiziale: in sella a Pegaso, l’eroe sconfigge la chi-
mera e ha la meglio sulle amazzoni, ma quando spinge il
cavallo alato verso l’Olimpo per accostarsi agli dèi, un tafa-
no inviato da Zeus fa imbizzarrire l’animale. Precipitato
sulla pianura di Aleia, Bellerofonte rimarrà lì a vagare, folle
e zoppo, fino alla morte.

8. Benché non siano esplicitamente contemplati nella for-


mulazione del problema, che riguarda il rapporto tra la
melancolia e le capacità di distinguersi nei diversi ambiti
intellettuali o artistici, gli eroi sono centrali nella prima arti-
colazione della risposta. L’ esempio degli eroi viene invocato
30 Aristotele

in quanto si tratta non tanto di semidei ma di personaggi


umani che hanno compiuto gesta fuori dal comune e che
denotano un temperamento melancolico. La connessione tra
la follia e il mondo eroico è radicata nella cultura popolare,
come si evince ad esempio dal testo ippocratico sulla Malattia
sacra (De Morbo sacro, 38) dove si allude alla credenza che attri-
buisce agli “attacchi degli eroi” (hJrwvwn ejfovdou") – fantasmi –
episodi di angoscia, perdita di senno e paura improvvisa che
nottetempo inducono alcuni a balzare via dal letto e fuggire di
casa. Sugli eroi si veda almeno L.R. Farnell, Greek Hero Cults
and Ideas of Immortality, Clarendon Press, Oxford 1921.

9. L’ interpretazione standard di questo passo insiste su


una cesura non solo cronologica ma anche “qualitativa”
rispetto agli esempi mitici. Come gli eroi del passato, tutta-
via, anche i filosofi qui elencati sono uomini che si distin-
guono, in ambito intellettuale, per gesta eccezionali consi-
derate prossime al divino (per Aristotele, peraltro, “divino”
era sinonimo di intelletto, anche in ambito zoologico, come
si evince ad esempio da GA 761a 5). In questo senso, pare
piuttosto che il testo segnali una tendenza eroicizzante
nella tradizione filosofica, e che di questa esamini i risvolti
patologici. L’ eroicizzazione è d’altronde ampiamente atte-
stata nel caso di re, legislatori, atleti e poeti (in proposito si
veda ad esempio E. Rohde, Psiche. Culto delle anime presso i
Greci, Laterza, Roma-Bari 1989, pp. 180 ss.), casistica
ampiamente contemplata in questa e in alcune delle altre
sezioni. A questo proposito si consideri l’espressione “eroi
dello spirito” ripresa da Wilamowitz (U. von Wilamowitz-
Moellendorff, Euripides Erakles, Wissenschaftliche
Buchgesellschaft, Darmstadt 1969, p. 94).
Problena XXX 31

10. Empedocle, pensatore che si distinse per una sapienza


leggendaria, si suicidò gettandosi nel cratere dell’Etna,
secondo Diogene Laerzio (VIII 69) al fine di alimentare le
credenze nella sua natura divina. Se qui è annoverato tra i
folli saggi, nelle sue rassegne storico-critiche delle opinioni
dei predecessori Aristotele, pur stimandolo, lo presenta sar-
casticamente ora come espressione dei balbettamenti della
filosofia arcaica (Metaph. 993a 15), ora come inconsapevol-
mente ispirato dalla verità (PA 642a 18).

11. Platone è di certo un filosofo d’eccezione, ma non ci


sono altrove notizie chiare del suo temperamento melanco-
lico. Il riferimento viene comunemente interpretato in
senso teorico, dunque come da ascriversi alla trattazione
platonica della mania divina nel Fedro. Dato il tenore bio-
grafico della scelta degli esempi, sembra però preferibile
richiamarsi a quanto osserva J.-P. Vernant sull’“esercizio di
morte” (Fedone, 67e; 81a) come pratica filosofica per eccel-
lenza attraverso un esercizio di anamnesi che comporta
un’evasione dell’anima dal corpo (J.-P. Vernant, Mito e pen-
siero presso i Greci. Studi di psicologia storica, Einaudi, Torino
1978, pp. 132 ss.). Nella Settima lettera (341c-d) Platone ricor-
da infatti di aver avuto personalmente questa consuetudine,
capace di condurre a una vera e propria “illuminazione”.
Occorre infine ricordare la diceria riportata da Diogene
Laerzio (III 40) secondo cui Platone sarebbe morto di fti-
riasi, ipotesi che si presta a un’interpretazione analoga a
quella delle eruzioni di Eracle.

12. Aristotele giudica esplicitamente “eccezionali” i discorsi di


Socrate in Pol. 1265a 11, e dati sulle peculiarità del suo carattere
32 Aristotele

abbondano. Il famoso demone è forse la meno attinente: se


personalizzato, è incompatibile con l’orizzonte eroico che fa
da sfondo a questa rassegna di personaggi; se considerato sul
piano della psicologia morale, rappresenta piuttosto un’i-
stanza di moderazione e contegno. Più interessante sembra
invece il richiamo a certe pratiche ricordate nel Simposio
(202b ss.), dove Platone riferisce per voce di Alcibiade come
alla battaglia di Potidea Socrate si fosse mostrato straordina-
riamente resistente alla fame, alla sete e al freddo, mai ubria-
co, e capace di rimanere in uno stato di meditazione assorta
dall’alba al mattino seguente. Il paragone con le gesta eroi-
che viene peraltro esplicitato in quel contesto.

13. Tra i filosofi colpisce l’assenza di almeno tre personag-


gi dai tratti a dir poco peculiari: Pitagora, mago, sciamano,
taumaturgo e poeta che fu notoriamente al centro di una
tradizione leggendaria; Eraclito, al cui temperamento
melancolico, secondo Diogene Laerzio (IX 6), Teofrasto
avrebbe attribuito la ragione della caratteristica frammen-
tarietà e dell’ambivalenza degli scritti; e Democrito, filo-
sofo molto apprezzato e spesso citato da Aristotele, al
quale però la tradizione presta sì una certa bizzarria di
carattere, ma di segno opposto rispetto alla melancolia
(Democritus ridens).

14. La traduzione del greco kravsi", mistione, mescolanza,


dovrebbe oscillare tra temperamento, termine che deriva il
suo senso di indole o carattere precisamente da questa idea
del vario (dis)equilibrio degli umori fondamentali, e tempe-
ratura, ovvero bilanciamento tra freddo e caldo.
Problena XXX 33

15. Al di là delle analogie causali che verranno esplicitate nel


testo, il vino risulta particolarmente appropriato come para-
digma del temperamento perché nella cultura greca del bere
l’ideale coincide con la corretta mescolanza e la giusta misu-
ra, che si realizza non solo materialmente nella proporzione
secondo cui la bevanda viene diluita con acqua, ma anche
moralmente nella piacevolezza conviviale connessa a un con-
tegno morigerato, nonché al controllo della parola.

16. Viene così formalizzata l’analogia tra comportamento


indotto e temperamento connaturato. Fin qui l’analisi è
impostata su un piano quantitativo, stabilendo una scala
parallela su cui si collocano rispettivamente la fenomenolo-
gia connessa a un crescente consumo di vino e i “tipi psico-
logici” corrispondenti. La variabilità sul piano individuale si
oppone inoltre al riscontro dei singoli tratti caratteriali in
individui diversi.

17. Cfr. Od., XIX 122. Il verso si discosta dalle edizioni attuali.

18. Alla determinazione quantitativa si affianca quella cro-


nologica, che rivela l’aspetto sostanziale: l’effetto del vino è
transitorio, estrinseco e accidentale; la manifestazione del
temperamento è permanente, intrinseca ed essenziale.

19. Con questo passaggio si perviene compiutamente al


piano dell’esplicazione causale, stabilendo un nesso forte
tra vino e bile nera. Il termine spirito traduce il greco pneu'-
ma e deve essere inteso secondo il significato originario
(anche in italiano) di soffio, fiato, respiro. In GA 736a 1
Aristotele chiarisce che il pneuma non è altro che aria
34 Aristotele

calda, e in GA 735b 35 precisa che è riscaldato dal calore


interno del corpo. La funzione del pneuma è decisiva sia
nella formazione dell’embrione che nella trasmissione dei
movimenti sensibili dagli organi periferici al sensorio cen-
trale, attraverso il sangue.

20. Cfr. De somno 457a 14, dove pure ricorrono gli esempi
del vino, dei melancolici e dei bambini.

21. Ancora oggi alcuni vini sono detti neri, come i siciliani
Nero d’Avola e Nerello mascalese.

22. Si smarrisce nella traduzione il gioco incentrato sull’as-


sonanza tra aphros, “schiuma” e Afrodite. Secondo una tra-
dizione tarda, cui Platone si richiama per l’etimologia del
nome (Cratilo, 406), la dea sarebbe nata appunto dalla
schiuma del mare, che stando invece al mito arcaico sareb-
be stato fecondato dal pene di Urano reciso e gettato in
acqua da Crono. Dioniso è invece notoriamente il dio del
vino. Dalla loro unione nacque Priapo.

23. Aristotele osserva in PA 689a 23 che il pene è la sola parte


del corpo a cambiare dimensioni per cause non patologiche.

24. In MA 703a 5 Aristotele precisa appunto che il pneuma


è causa motrice per via della sua capacità di esercitare una
spinta. Il seme stesso, del resto, come leggiamo in GA 736a
1, è composto di acqua e pneuma.

25. In De somno 457b 23 ss. Aristotele allude al fatto che i


melancolici sono magri e hanno le vene salienti a causa del
Problena XXX 35

fatto che la bile nera raffredda la regione nutritiva inibendo


l’assimilazione del nutrimento.

26. A proposito del caldo e del freddo, Aristotele osserva in


PA 648a 23 che a questi due principî è ricondotta la natura di
molte cose, precisando poi che caldo, freddo, secco e umido
sembrano essere all’incirca le sole cause (materiali) di morte e
vita, sonno e veglia, vigore, vecchiaia, malattia e salute.

27. Non abbiamo notizie di un’opera di Aristotele dedicata


specificamente alla trattazione del fuoco, mentre Diogene
Laerzio attribuisce a Teofrasto un trattato sull’argomento.
È una delle ragioni addotte da chi nega la paternità aristo-
telica del Problema XXX. La trattazione del caldo e del
freddo rivela però una marcata prossimità con quella svolta
in PA II, 2, in Meteor. IV e in GC II, 2, sia sul piano dottri-
nale sia quanto alla scelta degli esempi.

28. Cioè non galleggia sull’acqua, al contrario ad esempio


dell’olio, che ha questa proprietà in virtù della presenza del
pneuma, come Aristotele precisa in GA 735b 22, dove la
sostanza è scelta come esempio per spiegare le caratteristi-
che del seme. Ciò che è freddo, d’altronde, tende verso il
basso. In GA 747a 5 Aristotele allude inoltre alla “prova del-
l’acqua” per verificare la fertilità dello sperma: quello fecon-
do, che ha subìto una maggiore concozione, dovrebbe dun-
que portarsi verso l’alto, per via del calore e del pneuma, e
galleggiare, ma si deposita invece sul fondo, perché è più
compatto. Il fatto che la bile non rimane in superficie è dun-
que segno che è fredda per natura. Per altro verso, la connes-
sione tra colore e temperatura è tutt’altro che accidentale,
36 Aristotele

come si evince dalla trattazione delle variazioni di colore


(anche patologiche) dei capelli e del mantello degli animali
in GA V 5-6, e in generale dei colori come affezioni o qua-
lità affettive in Cat. 9a 5 ss., dove si allude specificamente ai
soggetti scuri di pelle per malattia.

29. Cfr. l’esplicazione del sonno come raffreddamento pro-


vocato da cause calde in De somno 456b 25, secondo cui ci si
addormenta soprattutto dopo i pasti, ma anche a causa del
consumo di vino, in particolare nero, a causa del pneuma,
benché i melancolici non siano sonnolenti per via dell’estre-
mo raffreddamento delle loro parti interne, che limita la
quantità di esalazione dopo mangiato.

30. La produzione quotidiana di bile nera è dunque un feno-


meno fisiologico, a meno che non assuma tratti patologici.
In ogni caso non influenza il carattere. Il carattere melanco-
lico, o meglio, i caratteri melancolici, sono un tratto degli
individui che hanno una natura e un temperamento melan-
colico, secondo le diverse caratteristiche che dipendono da
quantità e qualità della bile nera.

31. Cfr. De divinatione 463b 17, dove si allude al fatto che i


soggetti caratterizzati da una natura “loquace e melancoli-
ca” sono soggetti a un abbondante flusso di visioni, che
spiega le loro apparenti doti divinatorie.

32. Si tratta del cuore. Cfr. PA 672b 28, dove Aristotele cri-
tica la tradizione che connette il pensiero al diaframma, pre-
cisando che piuttosto il diaframma stesso «rende manifesti i
movimenti del pensiero» poiché si trova «vicino alle parti del
Problena XXX 37

corpo che partecipano al pensiero». Si veda l’approfondita


analisi degli aspetti fisiologici del pensiero condotta da van
der Eijk, che tuttavia ritiene non acclarata l’identificazione
del cuore come sede corporea (Ph. van der Eijk, The matter
of mind. Aristotle on the biology of ‘psychic’ processes and the
bodily aspects of thinking, in Id., Medicine and philosophy in
classical antiquity: doctors and philosophers on nature, soul,
health and disease, Cambridge University Press, Cambridge
2005, pp. 206-237: 206 ss.).

33. Non abbiamo altre notizie su questo autore, che qui rap-
presenta una condizione estrema di talento artistico che si
manifesta nel modo migliore in occasione dell’estasi. Così
nello Ione Platone riconduceva l’arte poetica non alle capa-
cità dei poeti, ma al loro invasamento divino.

34. Il testo, difficile e variamente emendato, può solo esse-


re interpretato a senso.

35. La questione centrale viene qui ripresa per chiarire che


l’eccezionalità in ambito culturale, artistico politico ecc. è sì
connessa al temperamento melancolico, ma a patto che gli
eccessi che lo caratterizzano si mantengano entro i limiti
della medietà.

36. In PA 650b 27 Aristotele descrive la paura come un raf-


freddamento, precisando che gli animali che hanno nel
cuore un temperamento simile sono maggiormente predi-
sposti a questa affezione.

37. Cfr. DA 403a 23.


38 Aristotele

38. La metafora psicologica della “profondità”, inaugurata


nella cultura occidentale da Eraclito, si colora qui di una
nuova sfumatura (cfr. B. Snell, La cultura greca e le origini del
pensiero europeo, Einaudi, Torino 1963, p. 40).

39. Regnò dal 413 al 399 a.C. riunendo alla sua corte intel-
lettuali, letterati e artisti, tra cui il pittore Zeusi ed
Euripide, che gli dedicò una tragedia omonima e soprattut-
to compose in quel periodo le Baccanti, opera considerata
in sé come una testimonianza della straordinaria diffusione
del culto bacchico (con i suoi eccessi) nel territorio mace-
done. Aristotele ricorda in Rhet. 1398a 24 che invitò anche
Socrate, il quale tuttavia rifiutò. Quanto al suo eccesso di
coraggio, si può rammentare come avesse creato scandalo
insidiando, “barbaro”, una città greca come Larissa, ardi-
mento criticato in uno scritto politico da Trasimaco (DK
85 B 2).

40. Il vino è indicato da Aristotele come fonte di calore in


PA 672b 18.

41. Se ne deduce che il calore del vino è più intenso di quel-


lo naturale, secondo la teoria esposta in De cœlo 305a 11,
dove Aristotele precisa che un fuoco può essere estinto da
un fuoco più grande. Un’estesa trattazione si trova in De
juv. 469b 20, incentrata più specificamente sul calore natu-
rale del corpo (che si conclude peraltro con un richiamo ai
Problemi altrimenti senza riscontro).

42. È utile confrontare GA 784b 32, dove Aristotele ripren-


de il detto secondo cui la malattia è come una vecchiaia
Problena XXX 39

artificiale, mentre la vecchiaia è come una malattia natura-


le. Allo stesso modo l’opposizione tra giovinezza e vecchiaia
si intreccia qui con l’esame di alcuni stati patologici ricon-
ducibili alla bile nera.

43. Cfr. De long. 466a 21 e De vita 478b 28, 479a 31.

44. È utile confrontare questa osservazione con PA 648b


35, dove Aristotele allude al “calore estraneo”, che è una
caratteristica accidentale e transitoria. In questo senso, per
opposizione, il riscaldamento del corpo per via della bile
nera si può considerare “essenziale”, benché la stessa bile
nera sia, a sua volta, fredda per natura, dunque riscaldata
accidentalmente.

45. Queste osservazioni verranno ridotte e semplificate


dalla tradizione nella massima omne animal post coitum triste.

46. Si tratta dell’anomalia (anwvmalon, lett. “irregolare”) per


un verso della bile nera, che oscilla tra il molto calore e il
grande raffreddamento, e per altro verso del carattere inco-
stante ed eccezionale dei melancolici.

47. La distinzione tra qualità affettive e affezioni costitui-


sce uno snodo importante della trattazione aristotelica della
categoria della qualità in Cat. 9b 15 ss. Aristotele si concen-
tra in particolare sulle qualità affettive e sulle affezioni che
riguardano l’anima, precisando che, ad esempio, follia o
estasi congenite o divenute croniche sono da considerarsi
qualità, mentre le manifestazioni transitorie di questi mali
sono semplici affezioni.
40 Aristotele

48. A causa dell’estrema concisione del testo non è chiaro


se questo eccesso debba intendersi in senso materiale, con
riferimento all’equilibrio di caldo e freddo, o psicologico. La
connessione tra i due ambiti di senso è però tanto stretta da
non inficiare l’interpretazione generale del passo. In questo
senso, per un verso, è utile riferirsi alla trattazione aristote-
lica della dinamica del sonno, che – come già ricordato – è
un raffreddamento provocato dal calore, ed è un fenomeno
ciclico, modellato sull’antiperistasis (De somno, 457b 6 ss.; si
veda un’analisi più dettagliata in Aristotele, L’ anima e il
corpo. Parva Naturalia, a cura di A.L. Carbone, Bompiani,
Milano 2002, pp. 46-47). In particolare Aristotele osserva
che l’esalazione calda, che sale verso la testa producendo
sonnolenza, defluisce nuovamente verso il basso quando è
in eccesso. Allo stesso modo, l’eccesso di bile nera, ovvero il
suo eccessivo riscaldamento, spiega qui sia il passaggio dal
molto caldo al molto freddo, sia il mutamento contrario.
Per altro verso, in EN 1148b 19 ss. Aristotele prende in
esame il caso delle disposizioni che si collocano al di fuori
del dominio morale perché non possono essere intese in
termini di vizio o virtù, come le attitudini “bestiali” o quel-
le provocate da una malattia, per esempio l’epilessia o in
generale la follia, precisando che «ogni dissennatezza, viltà,
incontinenza o disagio è da considerarsi disposizione
bestiale oppure morbosa quando sia in eccesso» (EN 1149a 4-
7). Sia sul piano materiale che su quello psicologico, pertan-
to, è chiaro che se la melancolia costituisce di per sé una
situazione di eccesso, la condizione di chi eccelle negli
ambiti intellettuali si caratterizza per una certo “equilibrio
dell’eccesso”, mentre laddove l’eccesso non sia contenuto
da alcunché si ha una disposizione morbosa. Su questa
Problena XXX 41

“salute del melancolico” si vedano le osservazioni di Pigeaud


(Aristote, L’ Homme de génie et la Mélancolie, cit., p. 68).

49. Rispetto alla questione iniziale questa conclusione è


più generica. Sul punto si veda van der Eijk (Ph. van der Eijk
Aristotle on Melancholy, in Id., Medicine and Philosophy in
Classical Antiquity, cit., pp. 139-168: 157 n. 64), che tuttavia
ritiene irrisolvibile la presunta discrepanza ed è scettico
sulla possibilità di proporre un’interpretazione sensata di
tutto questo riassunto finale. Concludere che tutti i melan-
colici sono uomini fuori dell’ordinario non è però in contrad-
dizione con la tesi secondo cui tutti gli uomini fuori dell’or-
dinario in un ambito specifico (intellettuale) sono melancolici.

50. Rispetto alle “disposizioni”, transitorie, “abito” indica


uno “stato” permanente. In Cat. 8b 29 Aristotele osserva che
la scienza è un abito, e in un noto passo di APost. 100a 3
descrive la formazione degli universali nell’anima come un
processo di “arresto”, cioè come il prodursi di una condizio-
ne di “riposo”. L’ idea si ritrova in Phys. 247b 10, dove peral-
tro Aristotele descrive l’attività del pensiero in termini emi-
nentemente fisici come un arresto del movimento dopo uno
stato di turbolenza (si veda in merito Ph. van der Eijk, The
Matter of Mind, cit., p. 218), osservando che grazie a questa
quiete si diventa “scienti”. Cfr. DA 407a 32, dove similmen-
te Aristotele osserva che l’intellezione (noesis) somiglia piut-
tosto a una condizione di quiete e a una stasi. È notevole che
il tema sia ripreso anche nell’ultima sezione del Probl. XXX.
Quanto alla capacità di fare scoperte, cfr. EN 1146b 7, dove
Aristotele osserva che la scoperta consiste nella «soluzione
delle difficoltà» connesse a un dato problema.
42 Aristotele

51. Il tema della superiorità intellettiva dell’uomo è abbon-


dantemente sviluppato da Aristotele, che in PA 686a 25
sottolinea in merito l’importanza dell’organizzazione del
corpo umano: l’uomo infatti partecipa del “divino” grazie
alla stazione eretta e all’equilibrata proporzione del corpo
secondo l’asse alto/basso, mentre negli altri animali la
regione superiore ha dimensioni eccessive e “grava” sull’a-
nima. È interessante che in PA 652b 26, nell’ambito della
trattazione della funzione dell’encefalo come principio
regolatore dell’equilibrio tra caldo e freddo, Aristotele fac-
cia riferimento a una sua opera a noi altrimenti ignota Sulle
cause delle malattie. Da notare inoltre, in questa sezione,
l’uso del termine anomalos, “irregolare”, che qui indica la
proporzione tra le parti del corpo secondo l’asse verticale,
mentre nella prima sezione si applicava all’incostanza della
bile nera. Quanto alla notazione sull’irregolare distribuzio-
ne del “minimo” si può infine rilevare un richiamo al voca-
bolario pitagorico, peraltro impiegato nella formulazione
del “canone” di Policleto riportata da Filone meccanico
nella sua Belopoeica (Syntaxis, 4.1.49.20): «Il bene deriva
dalla ripartizione del piccolo secondo molti numeri» [to;
ga;r eu| para; mikro;n dia; pollw'n ajriqmw'n]. Per un’analisi
più approfondita di tutti questi temi rinvio a A.L.
Carbone, Anomalies de l’intelligence, intelligence de l’anoma-
lie. Note sur les Parva Naturalia d ’Aristote et le Problème
XXX, in, Les Parva Naturalia d ’Aristote. Fortune antique et
médiévale, a cura di Ch. Grellard, P.-M. Morel, Presses de
l’Université de Paris-Sorbonne, Paris 2010, pp. 11-30.

52. Aristotele tratta questo tipo di argomentazione fallace


in SE 167a 5.
Problena XXX 43

53. Non è forse da escludere una reminiscenza eraclitea


nella scelta dell’esempio della strada, che richiama il tema
della salita e della discesa lungo uno stesso cammino,
uguali pur essendo percepite come diverse (22 B 60 DK).
Tutta la sezione presuppone la trattazione aristotelica del-
l’infinito potenziale in Phys. 202b 30 ss., e in particolare la
conclusione secondo cui l’infinito (indeterminato) è ciò
che non può essere quantificato né numerato (206a 3). In
questo senso, il nesso tra “definizione” e “delimitazione” è
sostanziale. Ma si può soprattutto rintracciare un chiaro
riferimento alla trattazione della quantità in Cat. 4b 20
ss., in particolare alle precisazioni in merito al fatto che il
numero è quantità in senso proprio, mentre espressioni
come “molto” o “più lungo” rientrano piuttosto nella cate-
goria dei relativi.

54. Il famoso detto di Solone, «Invecchio sempre imparan-


do» (fr. 18) è qui riveduto e corretto.

55. Aristotele stabilisce un parallelismo tra mano e anima


in DA 432a 1 ss.: come la mano è strumento di strumenti,
così l’anima è forma di forme. L’ analisi della mano come
strumento di strumenti è sviluppata in PA 687 a 19 ss.,
dove Aristotele mette in relazione la superiorità dell’intel-
ligenza umana con il possesso della mano, in polemica con
Anassagora. Mentre secondo quest’ultimo, infatti, l’intelli-
genza umana è dovuta al possesso della mano, secondo
Aristotele l’uomo è dotato di mani perché è intelligente,
dato che un animale ha per natura tanti strumenti quanti
ne sa utilizzare. L’ idea di un intelletto “strumento” dell’a-
nima è suggerita ad esempio in DA 429a 22, dove ricorre
44 Aristotele

l’espressione «“intelletto dell’anima”, ovvero ciò di cui l’ani-


ma si serve per pensare e riflettere».

56. A ben vedere la similitudine sussiste tra giovani e anzia-


ni, ma viene meno nel caso di chi è troppo giovane o trop-
po vecchio, poiché l’apprendimento e il pensiero sono
intralciati dai turbamenti che agitano il corpo. La trattazio-
ne è connessa a quella svolta nella prima sezione, e richiama
ancora una volta Phys. 247b 1 ss.

57. Questa notazione sulle relazioni reciproche tra parti


strumentali del corpo e funzioni è ripresa in modo presso-
ché letterale da PA 645b 29.

58. In Metaph. 1047b 31 Aristotele distingue le potenze con-


genite, come la facoltà di provare sensazioni, da quelle
acquisite con l’esperienza (come la capacità di suonare il
flauto) o l’istruzione. Cfr. EN 1103a 26 dove viene più espli-
citamente formulato il principio dell’“imparare facendo”.

59. L’ idea dell’intelletto come tabula rasa è piuttosto comu-


ne nell’antichità. Aristotele vi allude ad esempio in DA
430a 1. In De mem. 450a 32 vengono invece esaminate più
specificamente le cause connesse alle difficoltà di memoria
dei giovanissimi e dei molto vecchi, dovute ai turbamenti
provocati negli uni dal movimento della crescita e negli altri
dal declino che produce una sorta di “indurimento” del sen-
sorio, come se una tavoletta di cera che si vuole incidere con
uno stilo fosse, rispettivamente, posta sotto un flusso d’ac-
qua o troppo compatta.
Problena XXX 45

60. L’ idea che l’uomo sia l’unico animale capace di contare


si trova nell’Epinomide (976d), dialogo attribuito a Platone
(ma di Filippo di Opunte secondo Diogene Laerzio). I com-
mentatori osservano sistematicamente che in questo dialogo
non c’è nessun personaggio di nome Neocle. Ma a pensarci
bene, in nessun dialogo di Platone interviene un personaggio
di nome Platone. Aristotele cita criticamente questa defini-
zione dell’uomo in Top. 142b 25. In De cœl. 270b 5 Aristotele
osserva che la fede nella divinità accomuna tutti i popoli
umani, ma a stretto rigore non dice che questa sia una pre-
rogativa esclusiva dell’uomo. L’ idea che l’uomo sia l’animale
maggiormente dotato di capacità imitative si ritrova invece
in Poet. 1448b 7. Potrebbe dunque sembrare che questa
sezione riporti uno scarno elenco di ipotesi non sviluppate,
se non fosse che la questione principale è speculare rispetto
a un’osservazione che ricorre nel bel mezzo della trattazione
dell’intelletto, in DA 428a 19, dove Aristotele precisa che
l’uomo è l’unico animale che possa prestare fede a un’opinio-
ne, perché questo implica l’esercizio della ragione.

61. L’ analisi richiama diversi aspetti della trattazione del


tema del piacere in EN X 1-5, la cui conclusione è però che
il piacere connesso alla contemplazione è specificamente
umano e coincide con il sommo bene. Cfr. anche PA
644b 22, dove si allude invece ai piaceri che derivano dallo
studio degli enti naturali.

62. Oltre che un ambito di interesse in sé, la malattia costi-


tuisce per Aristotele un paradigma utile nella trattazione di
diversi temi. In questo caso occorre tener presente l’esame
delle nozioni di atto e potenza, dove si precisa che come la
46 Aristotele

scienza si basa su nozioni, e la medesima nozione chiarisce


l’essenza della cosa e la sua privazione, così l’arte medica è
potenza di salute e malattia (Metaph. 1046b 5). La formula-
zione di questo problema costituisce dunque un approfon-
dimento della questione, che si richiama anche alla dottrina
secondo cui la sostanza non ha contrario (Cat. 3b 24). Un
riscontro del fatto che l’analisi aristotelica è puramente teo-
rica, cioè metafisica e non tecnica, si può desumere dalla
letteratura medica (per esempio Regime delle malattie
acute, 9), che estende il campo d’azione della medicina non
solo alla salute (per i malati), ma anche alla prevenzione (per
i sani) e alla forma (per gli atleti).

63. Questa sezione, che riproduce quasi integralmente la


formulazione di Probl. XVIII 5, è di ispirazione evidente-
mente non aristotelica, come si può evincere dal riferimen-
to di stampo chiaramente platonico alle “forme stesse delle
cose” come oggetto della filosofia. Secondo Aristotele,
peraltro, gli entimemi, cioè le argomentazioni retoriche
basate su segni, coprono sia la relazione universale/partico-
lare sia quella particolare/universale (Rhet. 1357a 30). È inte-
ressante rilevare che in termini aristotelici la differenza
quanto al rapporto tra universale e particolare qui eviden-
ziata caratterizza il rapporto tra la poesia e la storia: la poe-
sia, infatti, è più filosofica della storia perché tratta argo-
menti universali e necessari, mentre la storia affronta
questioni particolari e contingenti (Poet. 1451b 1).

64. La locuzione utilizzata per indicare gli attori è letteral-


mente “artisti di Dioniso”, espressione proverbiale su cui
Aristotele si sofferma in Rhet. 1405a 23. L’ argomentazione
Problena XXX 47

riprende in negativo la famosa tesi aristotelica secondo cui


(storicamente) gli uomini si dedicano alla ricerca della
sapienza solo quando si sono affrancati dalle occupazioni
necessarie alla sussistenza materiale (Metaph. 982b 22).

65. Al suo processo per empietà Socrate argomentò di meri-


tare non una pena, ma un premio (vitto e alloggio gratis nel
Pritaneo) per la sua condotta filosofica (Apologia di
Socrate, 36d). L’ idea è ripresa da molti autori antichi e si può
considerare un topos vero e proprio. Qui la questione è
impostata su un piano teorico, e il tono oscilla tra l’ironia
socratica, la retorica sofistica e l’analisi aristotelica.

66. Che i contrari siano oggetto della medesima scienza è


una delle tesi fondamentali della teoria aristotelica della
scienza (si veda per esempio APr 48b 4), mentre il rappor-
to tra desiderio, pensiero e azione è analizzato specifica-
mente in EN VI 2 e MA 6-7. Quanto al fatto che non si
compie un’azione che pure era stata deliberata, in De div.
463b 25 Aristotele spiega che in questo caso è intervenuto
un movimento rappresentativo più forte e che dunque
subentrano «principî più importanti».

67. Si dice che in casa di Aristotele, dopo la sua morte, fu


trovata una straordinaria quantità di pentole (Diogene
Laerzio, V 16).

68. Questa sezione, priva della domanda iniziale, sembra


riprendere la questione della melancolia e dell’esercizio
alterato del pensiero, riecheggiando in particolare De mem.
453a 14 ss., dove pure Aristotele allude ai melancolici.
48 Aristotele

69. L’ assonanza tra ejpisthvmh, scienza, e i{sthsin, stare


fermi, era già stata sottolineata da Platone, che ne desume-
va un’etimologia (Cratilo, 437a). Per quel che concerne
Aristotele, si veda quanto già rilevato a proposito della
seconda sezione.

70. La trattazione è molto simile all’esame della fisiologia


del sonno svolto da Aristotele in De somno 3 ss. dove ricor-
rono molti degli esempi citati nel Problema XXX e si allu-
de esplicitamente agli effetti del vino nero e alle peculiarità
dei melancolici. Cfr. De ins. 461a 12 ss. per quel che riguar-
da i sogni.

71. Le argomentazioni riecheggiano ampiamente la tratta-


zione svolta da Aristotele in De div. 464a 18, dove pure si
cita l’esempio dei melancolici. Che anche gli stupidi, i mala-
ti o i folli abbiano sogni premonitori e veridici è segno per
Aristotele del fatto che l’origine dell’attività onirica non è in
alcun modo divina. Questa tesi è compatibile con il nostro
passo a patto di intendere “i migliori” come “coloro che
sono nelle migliori condizioni”, cioè nel senso della disposi-
zione generale, come del resto sembra suggerire il ragiona-
mento nel suo insieme.
Testo greco
Il testo qui riprodotto è quello stabilito da I. Bekker (Aristotelis
opera, Reimer, Berlin 1831).
OSA PERI FRONHSIN KAI NOUN KAI SOFIAN

[953a 10] Dia; tiv pavnte" o{soi perittoi; gegovnasin


a[ndre" h] kata; filosofivan h] politikh;n h] poivhsin h]
tevcna" faivnontai melagcolikoi; o[nte", kai; oiJ me;n
ou{tw" w{ste kai; lambavnesqai toi'" ajpo; melaivnh"
colh'" ajrrwsthvmasin, oi|on levgetai tw'n te hJrwi>kw'n ta;
peri; to;n HJ rakleva. kai; ga;r ejkei'no" e[oike [953a 15]
genevsqai tauvth" th'" fuvsew", dio; kai; ta; ajrrwsthvmata
tw'n ejpilhptikw'n ajp’ ejkeivnou proshgovreuon oiJ ajrcai'oi
iJera;n novson. kai; hJ peri; tou;" pai'da" e[kstasi" kai; hJ
pro; th'" ajfanivsew" ejn Oi[th/ tw'n eJlkw'n e[kfusi"
genomevnh tou'to dhloi': kai; ga;r tou'to givnetai polloi'"
ajpo; melaivnh" colh'". sunevbh de; kai; [953a 20]
Lusavndrw/ tw'/ Lavkwni pro; th'" teleuth'" genevsqai ta;
e{lkh tau'ta. e[ti de; ta; peri; Ai[anta kai; Bellerofovnthn,
w|n oJ me;n ejkstatiko;" ejgevneto pantelw'", oJ de; ta;"
ejrhmiva" ejdivwken, dio; ou{tw" ejpoivhsen {Omhro" "aujta;r
ejpei; kai; kei'no" ajphvcqeto pa'si qeoi'sin, h[toi oJ
kappedivon to; jAlhvi o> n oi\o" ajla'to, o}n [953a 25] qumo;n
katevdwn, pavton ajnqrwvpwn ajleeivnwn." kai; a[lloi de;
polloi; tw'n hJrwvwn oJmoiopaqei'" faivnontai touvtoi".
tw'n de; u{steron E
j mpedoklh'" kai; Plavtwn kai; Swkravth"
kai; e{teroi sucnoi; tw'n gnwrivmwn. e[ti de; tw'n peri; th;n
52 Aristotele

poivhsin oiJ plei'stoi. polloi'" me;n ga;r tw'n toiouvtwn


givnetai noshvmata ajpo; [953a 30] th'" toiauvth" kravsew"
tw'/ swvmati, toi'" de; hJ fuvsi" dhvlh rJep v ousa pro;" ta;
pavqh. pavnte" d’ ou\n wJ" eijpei'n aJplw'" eijsiv, kaqavper
ejlevcqh, toiou'toi th;n fuvsin. dei' dh; labei'n th;n aijtivan
prw'ton ejpi; paradeivgmato" proceirisamevnou". oJ ga;r
oi\no" oJ polu;" mavlista faivnetai paraskeuavzein
toiouvtou" oi{ou" [953a 35] levgomen tou;" melagcolikou;"
ei\nai, kai; plei'sta h[qh poiei'n pinovmeno", oi|on
ojrgivlou", filanqrwvpou", ejlehvmona", ijtamouv": ajll’
oujci; to; mevli oujde; to; gavla oujde; to; u{dwr oujd’ a[llo tw'n
toiouvtwn oujdevn. i[doi d’ a[n ti" o{ti pantodapou;"
ajpergavzetai, qewrw'n wJ" metabavllei tou;" pivnonta" ejk
prosagwgh'": [953b 1] paralabw;n ga;r ajpeyugmevnou"
ejn tw'/ nhvfein kai; siwphlou;" mikrw'/ me;n pleivwn poqei;"
lalistevrou" poiei', e[ti de; pleivwn rJhtorikou;" kai;
qarralevou", proi>onv ta" de; pro;" to; pravttein ijtamouv",
e[ti de; ma'llon pinovmeno" uJbristav", e[peita manikouv",
[953b 5] livan de; polu;" ejkluvei kai; poiei' mwrouv", w{sper
tou;" ejk paivdwn ejpilhvptou" h] kai; ejcomevnou" toi'"
melagcolikoi'" a[gan. w{sper ou\n oJ ei|" a[nqrwpo"
metabavllei to; h\qo" pivnwn kai; crwvmeno" tw'/ oi[nw/ posw'/
tiniv, ou{tw kaq’ e{kaston to; h\qo" eijsiv tine" a[nqrwpoi.
oi|o" ga;r ou|to" mequvwn nu'n ejstivn, a[llo" ti" [953b 10]
toiou'to" fuvsei ejstivn, oJ me;n lavlo", oJ de; kekinhmevno", oJ
de; ajrivdakru": poiei' gavr tina" kai; toiouvtou", dio; kai;
{Omhro" ejpoivhse "kaiv mev fhsi davkru plwvein
bebarhmevnon oi[nw/." kai; ga;r ejlehvmonev" pote givnontai
kai; a[grioi kai; siwphloiv: e[nioi ga;r au\ ajposiwpw'si,
Problena XXX 53

kai; mavlista tw'n melagcolikw'n o{soi [953b 15]


ejkstatikoiv. poiei' de; kai; filhtikou;" oJ oi\no": shmei'on
de; o{ti proavgetai oJ pivnwn kai; tw'/ stovmati filei'n, ou}"
nhvfwn oujd’ a]n ei|" filhvseien h] dia; to; ei\do" h] dia; th;n
hJlikivan. oJ me;n ou\n oi\no" ouj polu;n crovnon poiei'
perittovn, ajll’ ojlivgon, hJ de; fuvsi" ajeiv, e{w" ti" a]n h\/: oiJ
me;n ga;r qrasei'", oiJ de; [953b 20] siwphloiv, oiJ de;
ejlehvmone", oiJ de; deiloi; givnontai fuvsei. w{ste dh'lon
o{ti dia; to; aujto; poiei' o{ te oi\no" kai; hJ fuvsi" eJkavstou
to; h\qo": pavnta ga;r katergavzetai th'/ qermovthti
tamieuovmena. o{ te dh; cumo;" kai; hJ kra'si" hJ th'"
melaivnh" colh'" pneumatikav ejstin: dio; kai; ta;
pneumatwvdh pavqh kai; ta; [953b 25] uJpocovndria
melagcolika; oiJ ijatroiv fasin ei\nai. kai; oJ oi\no" de;
pneumatwvdh" th;n duvnamin. dio; dhv ejsti th;n fuvsin
o{moia o{ te oi\no" kai; hJ kra'si". dhloi' de; o{ti
pneumatwvdh" oJ oi\nov" ejstin oJ ajfrov": to; me;n ga;r e[laion
qermo;n o]n ouj poiei' ajfrovn, oJ de; oi\no" poluvn, kai;
ma'llon oJ mevla" tou' leukou', [953b 30] o{ti qermovtero"
kai; swmatwdevstero". kai; dia; tou'to o{ te oi\no"
ajfrodisiastikou;" ajpergavzetai, kai; ojrqw'" Diovnuso"
kai; Aj frodivth levgontai met’ ajllhvlwn ei\nai, kai; oiJ
melagcolikoi; oiJ plei'stoi lavgnoi eijsivn. o{ te ga;r
ajfrodisiasmo;" pneumatwvdh". shmei'on de; to; aijdoi'on,
wJ" ejk mikrou' tacei'an poiei'tai [953b 35] th;n au[xhsin
dia; to; ejmfusa'sqai. kai; e[ti pri;n duvnasqai proi?esqai
spevrma, givnetaiv ti" hJdonh; ejpi; paisi;n ou\sin, o{tan
ejggu;" o[nte" tou' hJba'n xuvwntai ta; aijdoi'a di’
ajkolasivan: givnetai de; dh'lon dia; to; pneu'ma diexievnai
54 Aristotele

dia; tw'n povrwn, di’ w|n u{steron to; uJgro;n fevretai. h{ te


e[kcusi" tou' [954a 1] spevrmato" ejn tai'" oJmilivai" kai; hJ
rJi 'yi" uJpo; tou' pneuvmato" wjqou'nto" fanero;n givnesqai.
w{ste kai; tw'n ejdesmavtwn kai; potw'n eujlovgw" tau't’
ejsti;n ajfrodisiastikav, o{sa pneumatwvdh to;n peri; ta;
aijdoi'a poiei' tovpon. dio; kai; oJ mevla" [954a 5] oi\no"
oujdeno;" h|tton toiouvtou" ajpergavzetai, oi|oi kai; oiJ
melagcolikoi; pneumatwvdei". dh'loi d’ eijsi;n ejp’ ejnivwn:
sklhroi; ga;r oiJ pleivou" tw'n melagcolikw'n, kai; aiJ
flevbe" ejxevcousin: touvtou d’ ai[tion ouj to; tou' ai{mato"
plh'qo", ajlla; tou' pneuvmato". diovti de; oujde; pavnte" oiJ
melagcolikoi; [954a 10] sklhroi; oujde; mevlane", ajll’ oiJ
ma'llon kakovcumoi, a[llo" lovgo": peri; ou| de; ejx ajrch'"
proeilovmeqa dielqei'n, o{ti ejn th'/ fuvsei eujqu;" oJ toiou'to"
cumo;" oJ melagcoliko;" keravnnutai: qermou' ga;r kai;
yucrou' kra'siv" ejstin: ejk touvtwn ga;r tw'n duoi'n hJ fuvsi"
sunevsthken. dio; kai; hJ mevlaina [954a 15] colh; kai;
qermovtaton kai; yucrovtaton givnetai. to; ga;r aujto;
pavscein pevfuke tau't’ a[mfw, oi|on kai; to; u{dwr o]n
yucrovn, o{mw" ejan; iJkanw'" qermanqh'/, oi|on to; zevon, th'"
flogo;" aujth'" qermovterovn ejsti, kai; livqo" kai; sivdhro"
diavpura genovmena ma'llon qerma; givnetai a[nqrako",
yucra; [954a 20] o[nta fuvsei. ei[rhtai de; safevsteron
peri; touvtwn ejn toi'" peri; purov". kai; hJ colh; de; hJ
mevlaina fuvsei yucra; kai; oujk ejpipolaivw" ou\sa, o{tan
me;n ou{tw" e[ch/ wJ" ei[rhtai, ejan; uJperbavllh/ ejn tw'/
swvmati, ajpoplhxiva" h] navrka" h] ajqumiva" poiei' h]
fovbou", ejan; de; uJperqermanqh'/, ta;" met’ [954a 25] wjd / h'"
eujqumiva" kai; ejkstavsei" kai; ejkzevsei" eJlkw'n kai; a[lla
Problena XXX 55

toiau'ta. toi'" me;n ou\n polloi'" ajpo; th'" kaq’ hJmevran


trofh'" ejgginomevnh oujde;n to; h\qo" poiei' diafovrou",
ajlla; movnon novshmav ti melagcoliko;n ajpeirgavsato.
o{soi" de; ejn tw'/ fuvsei sunevsth kra'si" toiauvth, eujqu;"
ou|toi ta; h[qh givnontai [954a 30] pantodapoiv, a[llo"
kat’ a[llhn kra'sin: oi|on o{soi" me;n pollh; kai; yucra;
ejnupavrcei, nwqroi; kai; mwroiv, o{soi" de; livan pollh; kai;
qermhv, manikoi; kai; eujfuei'" kai; ejrwtikoi; kai;
eujkivnhtoi pro;" tou;" qumou;" kai; ta;" ejpiqumiva", e[nioi
de; kai; lavloi ma'llon. polloi; de; kai; dia; to; ejggu;" ei\nai
tou' [954a 35] noerou' tovpou th;n qermovthta tauvthn
noshvmasin aJlivskontai manikoi'" h] ejnqousiastikoi'",
o{qen Sivbullai kai; Bavkide" kai; oiJ e[nqeoi givnontai
pavnte", o{tan mh; noshvmati gevnwntai ajlla; fusikh'/
kravsei. Marako;" de; oJ Surakouvsio" kai; ajmeivnwn h\n
poihthv", o{t’ ejkstaivh. o{soi" d’ a]n ejpanqh'/ th;n a[gan
qermovthta [954b 1] pro;" to; mevson, ou|toi melagcolikoi;
mevn eijsi, fronimwvteroi dev, kai; h|tton me;n e[ktopoi, pro;"
polla; de; diafevronte" tw'n a[llwn, oiJ me;n pro;"
paideivan, oiJ de; pro;" tevcna", oiJ de; pro;" politeivan.
pollh;n de; kai; eij" tou;" kinduvnou" [954b 5] poiei'
diafora;n hJ toiauvth e{xi" tou' ejnivote ajnwmavlou" ei\nai
me;n toi'" fovboi" pollou;" tw'n ajndrw'n. wJ" ga;r a]n
tuvcwsi to; sw'ma e[conte" pro;" th;n toiauvthn kra'sin,
diafevrousin aujtoi; auJtw'n. hJ de; melagcolikh; kra'si",
w{sper kai; ejn tai'" novsoi" ajnwmavlou" poiei', ou{tw kai;
aujth; ajnwvmalov" ejstin: [954b 10] oJte; me;n ga;r yucrav
ejstin w{sper u{dwr, oJte; de; qermhv. w{ste foberovn ti o{tan
eijsaggelqh'/, ejan; me;n yucrotevra" ou[sh" th'" kravsew"
56 Aristotele

tuvch/, deilo;n poiei': prowdopepoivhke ga;r tw'/ fovbw/, kai;


oJ fovbo" katayuvcei. dhlou'si de; oiJ perivfoboi:
trevmousi gavr. ejan; de; ma'llon qermhv, eij" to; mevtrion
[954b 15] katevsthsen oJ fovbo", kai; ejn aujtw'/ kai; ajpaqh'.
oJmoivw" de; kai; pro;" ta;" kaq’ hJmevran ajqumiva":
pollavki" ga;r ou{tw" e[comen w{ste lupei'sqai, ejf’ o{tw/
dev, oujk a]n e[coimen eijpei'n: oJte; de; eujquvmw", ejf’ w|/ d’, ouj
dh'lon. ta; dh; toiau'ta pavqh kai; ta; palaia; lecqevnta
kata; mevn ti mikro;n pa'si givnetai: [954b 20] pa'si ga;r
mevmiktaiv ti th'" dunavmew": o{soi" d’ eij" bavqo", ou|toi d’
h[dh poioiv tinev" eijsi ta; h[qh. w{sper ga;r to; ei\do" e{teroi
givnontai ouj tw'/ provswpon e[cein, ajlla; tw'/ poiovn ti to;
provswpon, oiJ me;n kalovn, oiJ de; aijscrovn, oiJ de; mhqe;n
e[conte" perittovn, ou|toi de; mevsoi th;n fuvsin, ou{tw kai;
oiJ me;n [954b 25] mikra; metevconte" th'" toiauvth"
kravsew" mevsoi eijsivn, oiJ de; plhvqou" h[dh ajnovmoioi toi'"
polloi'". ejan; me;n ga;r sfovdra katakorh;" h\/ hJ e{xi",
melagcolikoiv eijsi livan, ejan; dev pw" kraqw'si, perittoiv.
rJe vpousi d’, a]n ajmelw'sin, ejpi; ta; melagcolika;
noshvmata, a[lloi peri; a[llo mevro" tou' [954b 30]
swvmato": kai; toi'" me;n ejpilhptika; ajposhmaivnei, toi'"
de; ajpoplhktikav, a[lloi" de; ajqumivai ijscurai; h] fovboi,
toi'" de; qavrrh livan, oi|on kai; A j rcelavw/ sunevbaine tw'/
Makedoniva" basilei'. ai[tion de; th'" toiauvth"
dunavmew" hJ kra'si", o{pw" a]n e[ch/ yuvxewv" te kai;
qermovthto". yucrotevra me;n ga;r ou\sa tou' [954b 35]
kairou' dusqumiva" poiei' ajlovgou": dio; ai{ t’ ajgcovnai
mavlista toi'" nevoi", ejnivote de; kai; presbutevroi".
polloi; de; kai; meta; ta;" mevqa" diafqeivrousin eJautouv".
Problena XXX 57

e[nioi de; tw'n melagcolikw'n ejk tw'n povtwn ajquvmw"


diavgousin: sbevnnusi ga;r hJ tou' oi[nou qermovth" th;n
fusikh;n qermovthta. to; de; qermo;n to; peri; [955a 1] to;n
tovpon w|/ fronou'men kai; ejlpivzomen poiei' eujquvmou". kai;
dia; tou'to pro;" to; pivnein eij" mevqhn pavnte" e[cousi
proquvmw", o{ti pavnta" oJ oi\no" oJ polu;" eujelv pida" poiei',
kaqavper hJ neovth" tou;" pai'da": to; me;n ga;r gh'ra"
duvselpiv ejstin, hJ de; [955a 5] neovth" ejlpivdo" plhvrh".
eijsi; dev tine" ojlivgoi ou}" pivnonta" dusqumivai
lambavnousi, dia; th;n aujth;n aijtivan di’ h}n kai; meta;
tou;" povtou" ejnivou". o{soi" me;n ou\n marainomevnou tou'
qermou' aiJ ajqumivai givnontai, ma'llon ajpavgcontai. dio;
kai; oiJ nevoi h] kai; oiJ presbu'tai ma'llon ajpavgcontai: to;
me;n ga;r [955a 10] gh'ra" maraivnei to; qermovn, tw'n de; to;
pavqo" fusiko;n o]n kai; aujto; to; marainovmenon qermovn.
o{soi" de; sbennumevnou, ejxaivfnh" oiJ plei'stoi
diacrw'ntai eJautouv", w{ste qaumavzein pavnta" dia; to;
mhqe;n poih'sai shmei'on provteron. yucrotevra me;n ou\n
ginomevnh hJ kra'si" hJ ajpo; th'" melaivnh" colh'", w{sper
[955a 15] ei[rhtai, poiei' ajqumiva" pantodapav",
qermotevra de; ou\sa eujqumiva". dio; kai; oiJ me;n pai'de"
eujqumovteroi, oiJ de; gevronte" dusqumovteroi. oiJ me;n ga;r
qermoiv, oiJ de; yucroiv: to; ga;r gh'ra" katavyuxiv" ti".
sumbaivnei de; sbevnnusqai ejxaivfnh" uJpov te tw'n ejkto;"
aijtiw'n, wJ" kai; para; fuvsin ta; [955a 20] purwqevnta, oi|on
a[nqraka u{dato" ejpicuqevnto". dio; kai; ejk mevqh" e[nioi
eJautou;" diacrw'ntai: hJ ga;r ajpo; tou' oi[nou qermovth"
ejpeivsaktov" ejstin, h|" sbennumevnh" sumbaivnei to; pavqo".
kai; meta; ta; ajfrodivsia oiJ plei'stoi ajqumovteroi
58 Aristotele

givnontai, o{soi de; perivttwma polu; proi?entai meta; tou'


spevrmato", ou|toi [955a 25] eujqumovteroi: koufivzontai
ga;r perittwvmatov" te kai; pneuvmato" kai; qermou'
uJperbolh'". ejkei'noi de; ajqumovteroi pollavki":
katayuvcontai ga;r ajfrodisiavsante" dia; to; tw'n
iJkanw'n ti ajfaireqh'nai: dhloi' de; tou'to to; mh; pollh;n
th;n ajporroh;n gegonevnai. wJ" ou\n ejn kefalaivw/ eijpei'n,
dia; me;n to; ajnwvmalon [955a 30] ei\nai th;n duvnamin th'"
melaivnh" colh'" ajnwvmaloiv eijsin oiJ melagcolikoiv: kai;
ga;r yucra; sfovdra givnetai kai; qermhv. dia; de; to;
hjqopoio;" ei\nai hjqopoio;n ga;r to; qermo;n kai; yucro;n
mavlista tw'n ejn hJmi'n ejstivn w{sper oJ oi\no" pleivwn kai;
ejlavttwn kerannuvmeno" tw'/ swvmati poiei' to; h\qo" [955a
35] poiouv" tina" hJma'". a[mfw de; pneumatikav, kai; oJ
oi\no" kai; hJ mevlaina colhv. ejpei; d’ e[sti kai; eu[kraton
ei\nai th;n ajnwmalivan kai; kalw'" pw" e[cein, kai; o{pou
dei' qermotevran ei\nai th;n diavqesin kai; pavlin yucravn,
h] toujnantivon dia; to; uJperbolh;n e[cein, perittoi; mevn
eijsi pavnte" oiJ melagcolikoiv, [955a 40] ouj dia; novson,
ajlla; dia; fuvsin.

[955b 1] Dia; tiv kat’ ejniva" me;n tw'n ejpisthmw'n e{xin


e[cein levgomen, kat’ ejniva" de; ou[ h] kaq’ o{sa" euJretikoiv
ejsmen, e{xin e[cein legovmeqa to; ga;r euJrivskein ajpo;
e{xew". Dia; tiv tw'n zwv/wn oJ a[nqrwpo" fronimwvtaton
povteron [955b 5] o{ti mikrokefalwvtaton kata; lovgon
tou' swvmato" h] o{ti ajnwmavlw" ejlavciston dia; ga;r tou'to
kai; mikrokevfalon, kai; aujtw'n oiJ toiou'toi ma'llon tw'n
megalokefavlwn fronimwvteroi.
Problena XXX 59

Dia; tiv dokei' hJmi'n pleivwn ei\nai hJ oJdov", o{tan mh;


eijdovte"[955b 10] povsh tiv" ejsti badivzwmen, ma'llon h]
o{tan eijdovte", eja;n ta; a[lla oJmoivw" tuvcwmen e[conte" h]
o{ti to; eijdevnai p
[ ovsh] ejsti;n eijdevnai to;n ajriqmovn to; ga;r
a[peiron kai; ajnarivqmhton taujtovn, kai; plevon ajei; to;
a[peiron tou' wJrismevnou. w{sper ou\n eij h[/dei o{ti toshvde
ejstiv, peperasmevnhn aujth;n ajnavgkh ei\nai, [955b 15]
ou{tw" eij mh; oi\de povsh tiv" ejstin, wJ" ajntistrevfonto"
paralogivzetai hJ yuchv, kai; faivnetai au{th ei\nai
a[peiro", ejpei; to; poso;n wJrismevnon ejsti; kai; to;
wJ r ismev n on posov n . o{ t an toiv n un mh; faiv n htai
wJrismevnon, w{sper a[peiron dovxei ei\nai, dia; to; to;
pefuko;" wJrivsqai, a]n mh; h\/ wJrismevnon, a[peiron ei\nai,
[955b 20] kai; to; fainovmenon mh; wJrivsqai faivnesqai
ajnavgkh pw" ajpevranton.

Dia; tiv presbuvteroi me;n ginovmenoi ma'llon nou'n e[comen,


newvteroi de; o[nte" qa'tton manqavnomen h] o{ti oJ qeo;"
o[rgana ejn eJautoi'" hJmi'n devdwke duvo, ejn oi|" crhsovmeqa
toi'" ejkto;" [955b 25] ojrgavnoi", swvmati me;n cei'ra, yuch'/
de; nou'n. e[sti ga;r kai; oJ nou'" tw'n fuvsei ejn hJmi'n w{sper
o[rganon uJpavrcwn: aiJ de; a[llai ejpisth'mai kai; tevcnai
tw'n uJf’ hJmw'n poihtw'n eijsivn, oJ de; nou'" tw'n fuvsei.
kaqavper ou\n th'/ ceiri; oujk eujqu;" genovmenoi crwvmeqa
bevltista, ajll’ o{tan hJ fuvsi" aujth;n ejpitelevsh/ [955b
30] proi>ouvsh" ga;r th'" hJlikiva" hJ cei;r mavlista
duvnatai ajpotelei'n to; eJauth'" e[rgon, to;n aujto;n trovpon
kai; oJ nou'" tw'n fuvsei ouj eujqu;" ajll’ ejpi; ghvrw" hJmi'n
mavlista paragivnetai kai; tovte ajpotelei'tai mavlista,
60 Aristotele

a]n mh; uJpov tino" phrwqh'/, kaqavper kai; ta; a[lla ta;
fuvsei uJpavrconta. u{steron [955b 35] de; th'" tw'n ceirw'n
dunavmew" oJ nou'" paragivnetai hJmi'n, o{ti kai; ta; tou' nou'
o[rganav ejsti tw'n th'" ceirov". e[sti ga;r nou' me;n o[rganon
ejpisthvmh touvtw/ gavr ejsti crhvsimo", kaqavper aujloi;
aujlhth\/, ceirw'n de; polla; tw'n fuvsei o[ntwn: hJ de; fuvsi"
aujthv te ejpisthvmh" provteron, kai; ta; uJp’ aujth'"
ginovmena. [955b 40] w|n de; ta; o[rgana provtera, kai; ta;"
dunavmei" provteron eijko;" [956a 1] ejggivnesqai hJmi'n:
touvtoi" ga;r crwvmenoi e{xin lambavnomen, kai; e[cei
oJmoivw" to; eJkavstou o[rganon pro;" aujtov: kai; ajnavpalin,
wJ" ta; o[rgana pro;" a[llhla, ou{tw ta; o[rgana pro;"
aujtav. oJ me;n ou\n nou'" dia; tauvthn th;n aijtivan
presbutevroi" [956a 5] ou\sin hJmi'n ma'llon ejggivnetai.
manqavnomen de; qa'tton newvteroi o[nte" dia; to; mhdevn pw
ejpivstasqai. o{tan de; ejpistwvmeqa, oujkevti oJmoivw"
dunav m eqa. dunav m eqa de; e[ c esqai, kaqav p er kai;
mnhmoneuv o men ma' l lon oi| " a] n e{ w qen prw' t on
ejntugcavnwmen, e[peita proi>ouvsh" th'" hJmevra" oujkevti
oJmoivw" dia; to; [956a 10] polloi'" ejntetuchkevnai.

Dia; tiv ajnqrwvpw/ peistevon ma'llon h] a[llw/ zwv/w/ povteron


w{sper Plavtwn Neoklei' ajpekrivnato, o{ti ajriqmei'n
movnon ejpivstatai tw'n a[llwn zwv/wn h] o{ti qeou;" nomivzei
movnon h] o{ti mimhtikwvtaton manqavnein ga;r duvnatai
dia; tou'to. [956a 15]

Dia; tiv ouj caivromen qewvmenoi oujde; ejlpivzonte" o{ti to;


trivgwnon duvo ojrqai'" i[sa" e[cei ta;" ejnto;" gwniva", oujde;
Problena XXX 61

tw'n a[llwn tw'n toiouvtwn oujqevn, eij mh; th'/ qewriva/, au{th
de; oJmoivw" ejsti;n hJdei'a ka]n eij trisi;n ojrqai'" h] pleivosin
i[sa" e[scen. ajll’ o{ti O j lumpiva/ ejnikw'men, kai; peri; th'"
naumaciva" th'" ejn [956a 20] Salami'ni, caivromen kai;
memnhmevnoi kai; ejlpivzonte" toiau'ta, ajll’ ouj tajnantiva
toi'" toiouvtoi". h] o{ti ejpi; me;n toi'" toiouvtoi" caivromen
wJ" genomevnoi" h] ou\sin, ejpi; de; toi'" kata; fuvsin wJ" kata;
ajlhvqeian qewriva" hJdonhvn, wJ" e[cei, movnhn hJmi'n poiei'n,
ta;" de; pravxei" th;n ajpo; tw'n sumbainovntwn ajp’ [956a
25] aujtw'n. ajnomoivwn ou\n oujsw'n tw'n pravxewn, kai; ta;
ajpobaivnonta ajp’ aujtw'n givnetai ta; me;n luphra; ta; de;
hJdeva: feuvgomen de; kai; diwvkomen kaq’ hJdonh;n kai;
luvphn a{panta.

Dia; tiv mevcri uJgeiva" pragmateuvontai oiJ ijatroiv


ijscnaivnei gavr, ei\ta ejk touvtou xhraivnei, ei\ta uJgeivan
ejpoivhsen, [956a 30] ei\ta ejntau'qa e[sth. povteron oujk
e[sti dunato;n ejk touvtou genevsqai a[llo h] eij dunatovn,
a[llh" ejpisthvmh", kai; e[stai o{ ti" ejx uJgeiva" poihvsei
a[llo ti eij dh; givnetai ejk tw'n ejnantivwn kai; tw'n metaxuv,
dh'lon o{ti ajrrwstei', h] xhrovtero" h] uJgrovtero" h[ ti
toiou'ton. poiei' dh; ejk yuvcou" h|tton sfovdra, kai; [956a
35] tevleon wJdi; qermo;n kai; wJdi; xhro;n h] uJgro;n
metabai'non ejk tw'n ejnantivwn, h] metaxuv, e{w" a]n e[lqh/
eij" to; ou{tw" e[cein, o} h\n tou' uJgiaivnein: e[k te touvtou ouj
pevfuken a[llo ti o]n h] to; metaxuv. duvnatai me;n ou\n
poih'sai oJ e[cwn. wJ" ga;r h\lqen, ajnalu'sai duvnatai kai;
ajpelqei'n, ouj mh;n h{ ge tevcnh touvtou [956a 40] ejstivn. ajei;
ga;r bevltion. w{ste oujde; a[llh, ou[te aujth; poihvsei
62 Aristotele

[956b 1] ejx uJgeiva" a[llo ti: oujqe;n ga;r ejgivneto h] to;


ejnantivon touvtou, ei[per hJ aujth; ejpisthvmh. ou{tw kai; ejpi;
oijkiva" oujde;n poihvseien a]n toujnantivon: oujk e[stin ejn
a[llh/ tevcnh ejk touvtou poihvsousa, plh;n wJ" mevrou",
oi|on hJ skutikh; uJpovdhma ejk proscivsmato". ejx [956b 5]
eJkatevrou ga;r givnetai dittw'", h] suntiqemevnou h]
fqeiromevnou.

Dia; tiv to;n filovsofon tou' rJhtv oro" oi[ontai diafevrein h]


o{ti oJ me;n filovsofo" peri; aujta; ta; ei[dh tw'n pragmavtwn
diatrivbei, oJ de; peri; ta; metevconta, oi|on oJ me;n tiv ejstin
ajdikiva, oJ de; wJ" a[diko" oJ dei'na, kai; oJ me;n tiv hJ turanniv",
oJ de; [956b 10] oi|onv ti oJ tuvranno".

Dia; tiv oiJ Dionusiakoi; tecni'tai wJ" ejpi; to; polu; ponhroiv
eijsin h] o{ti h{kista lovgou sofiva" koinwnou'si dia; to;
peri; ta;" ajnagkaiva" tevcna" to; polu; mevro" tou' bivou
ei\nai, kai; o{ti ejn ajkrasivai" to; polu; tou' bivou eijsivn, ta;
de; kai; ejn ajporivai" [956b 15] ajmfovtera de; faulovthto"
paraskeuastikav.

Dia; tiv oiJ ejx ajrch'" th'" me;n kata; to; sw'ma ajgwniva"
a\qlovn ti prou[taxan, sofiva" de; oujqe;n e[qhkan h] o{ti
ejpieikw'" dei' tou;" kritav", a} para; diavnoiavn ejstin, h]
mhqe;n ceivrou" tw'n ajgwnistw'n ei\nai h] kreivttou" eij de;
e[dei sofiva/ tou;" prwteuvonta" [956b 20] ajgwnivzesqai
kai; a\qlon proujtevtakto, kritw'n a]n hjpovroun aujtoi'".
ejpi; de; tw'n gumnikw'n ajgwvnwn a{pantov" ejsti kri'nai, th'/
o[yei movnh/ qeasavmenon. e[ti de; oJ ejx ajrch'"
Problena XXX 63

kataskeuavzwn oujk ejbouvleto toiauvthn ajgwnivan


proqei'nai toi'" {Ellhsin, ejx w|n e[mellon stavsei" kai;
e[cqrai megavlai e[sesqai: oi|on [956b 25] oiJ a[nqrwpoi,
o{tan ti" h] ejkkriqh'/ h] prosdecqh'/ ei[" ti tw'n kata; to;
sw'ma ajqlhmavtwn, ouj pavnth/ calepw'" fevrousin oujde;
eij" e[cqran kaqivstantai toi'" krivnousin, uJpe;r de; tou'
fronimwtevrou" h] mocqhrotevrou" ei\nai toi'" krivnousi
mavlista ojrgivzontai kai; ajganaktou'sin. stasiw'de" de;
kai; mocqhro;n to; toiou'tovn [956b 30] ejstin. e[ti de; dei'
th'" ajgwniva" to; a\qlon krei'tton ei\nai. ejpi; me;n ga;r tw'n
gumnikw'n ajqlhmavtwn to; a\qlon aiJretwvteron kai;
bevltion th'" ajgwniva": sofiva" de; tiv a]n a\qlon bevltion
gevnoito.

Dia; tiv a[llo noei' kai; poiei' a[nqrwpo" mavlista h] o{ti


tw'n ejnantivwn hJ aujth; ejpisthvmh h] o{ti oJ me;n nou'"
pollw'n [956b 35] ejstivn, hJ de; o[rexi" eJnov" oJ me;n ou\n
a[nqrwpo" tw'/ nw'/ ta; plei'sta zh'/, ta; de; qhriva ojrevxei kai;
qumw'/ kai; ejpiqumiva/.

Dia; tiv frovnimoiv tine" ktwvmenoi ouj crwvmenoi


diatelou'sin povteron o{ti tw'/ e[qei crw'ntai h] dia; to; ejn
ejlpivdi hJduv.

o{ti hJ ai[sqhsi" kai; hJ diavnoia tw'/ hjremei'n th;n yuch;n


[956b 40] ejnergei': o} kai; hJ ejpisthvmh dokei' ei\nai, o{ti
th;n yuch;n i{sthsin: [957a 1] kinoumevnh" ga;r kai;
feromevnh" ou[te aijsqevsqai ou[te dianohqh'nai dunatovn.
dio; kai; ta; paidiva kai; oiJ mequvonte" kai; oiJ mainovmenoi
64 Aristotele

ajnovhtoi: dia; ga;r to; plh'qo" tou' qermou' tou'


ejnupavrconto" pleivsth kivnhsi" aujtoi'" kai; sfodrotavth
sumbaivnei, [957a 5] lhgouvsh" de; tauvth" ejmfronevsteroi
givnontai: ajtaravcou ga;r ou[sh" th'" dianoiva" ma'llon
ejfistavnai duvnantai aujthvn. oi{ t’ ejn tw'/ kaqeuvdein
ejnupniazovmenoi iJstamevnh" th'" dianoiva", kai; kaq’ o{son
hjremei', ojneirwvttousin. mavlista ga;r ejn toi'" u{pnoi" hJ
yuch; kinei'tai. periistamevnou ga;r tou' qermou' ejk tou'
a[llou [957a 10] swvmato" eij" to;n ejnto;" tovpon, tovte
pleivsth kai; sfodrotavth kivnhsi" uJpavrcei, oujc w{sper oiJ
polloi; uJpolambavnousi tovte hjremei'n kai; kaq’ auJth;n
ei\nai, kai; mavlista o{tan mhde;n i[dwsin ejnuvpnion.
sumbaivnei de; toujnantivon: dia; ga;r to; ejn pleivsth/
kinhvsei ei\nai kai; mhde; kata; mikro;n hjremei'n, oujde;
dianoei'sqai [957a 15] duvnatai. ejn pleivsth/ de; kinhvsei,
o{tan h{dista kaqeuvdh/, eijkovtw" ejstivn, o{ti tovte mavlista
kai; plei'ston qermo;n ajqroivzetai eij" to;n ei[sw tovpon.
o{ti de; ejn th'/ kinhvsei ou\sa hJ yuch; ouj movnon u{par ajll’
oujd’ ejn toi'" u{pnoi" duvnatai dianoei'sqai, kajkei'no
shmei'on: ejn ga;r toi'" meta; th;n provsesin tw'n sitivwn
[957a 20] u{pnoi" h{kista e[stin ejnuvpnia oJra'n. tovte de;
mavlista sumbaivnei kinei'sqai aujth;n dia; th;n
ejpeisenecqei'san trofhvn. tov te ejnuvpniovn ejstin, o{tan
dianooumevnoi" kai; pro; ojmmavtwn tiqemevnoi" u{pno"
ejpevlqh/. dio; kai; tau'ta mavlista oJrw'men a} pravttomen h]
mevllomen h] boulovmeqa: peri; ga;r touvtwn mavlista
[957a 25] pleistavki" logismoi; kai; fantasivai
ejpigivnontai. kai; oiJ beltivou" beltivw ta; ejnuvpnia oJrw'si
dia; tau'ta, o{ti kai; ejgrhgorovte" peri; beltiovnwn
Problena XXX 65

dianoou'ntai, oiJ de; cei'ron h] th;n diavnoian h] to; sw'ma


diakeivmenoi ceivrw. kai; ga;r hJ tou' swvmato" diavqesi"
pro;" th;n tw'n ejnupnivwn fantasivan sumblhtikovn: tou'
[957a 30] ga;r nosou'nto" kai; aiJ th'" dianoiva"
proqevsei" fau'lai, kai; e[ti dia; th;n ejn tw'/ swvmati
tarach;n ejnou'san hJ yuch; ouj duvnatai hjremei'n. oiJ de;
melagcolikoi; dia; tou'to ejxavttousin ejn toi'" u{pnoi", o{ti
pleivono" th'" qermasiva" ou[sh" ma'llon tou' metrivou hJ
yuch; ejn kinhvsei, sfodrotevra" de; th'" kinhvsew" [957a
35] ou[sh" ouj duvnantai kaqeuvdein.
P E N S I E R O A L Q UA D R AT O
L’ECCEZIONE DELL’INTELLIGENZA
E LA FISIOLOGIA DELLA MENTE

Ci sono nello sviluppo storico del pensiero occidenta-


le traiettorie laterali, percorsi sotterranei, derive ereti-
che rispetto a un qualche dogma, che di un’epoca pas-
sata e soprattutto della nostra attuale cultura possono
rivelare ben più di quanto troviamo nei discorsi uffi-
ciali e nelle tesi accreditate. Cose interessanti, curiose
o inattese scorgiamo nel retrobottega della storia,
spesso inquietanti e terribili, sempre perturbanti, se
riusciamo a sbirciare oltre le vetrine e il banco, appro-
fittando della distrazione di un attimo del padrone.
Almeno due di queste tradizioni umbratili trovano ori-
gine nel Problema XXX: la connessione tra creatività e
melancolia, ovvero l’idea che l’intelligenza sia eccezio-
ne o deroga a una qualche norma; l’indagine sul versan-
te fisiologico del pensiero, vale a dire sugli aspetti
organici della mente e delle facoltà cognitive.

Il testo del Problema XXX, come quello di tutti i


Problemi, si presenta frammentario, scandito appunto
dalla formulazione dei quesiti, seguita dalla relativa
risposta. La domanda è sempre perché? Segue l’espli-
cazione di una o più cause del fenomeno sul quale ci
68 Andrea L. Carbone

si interroga. Rispetto al modo in cui nei testi aristote-


lici vengono abitualmente affrontate le diverse que-
stioni, i problemi appaiono dunque come una miscel-
lanea che per affrontare una varietà di questioni
concrete si serve di teorie, metodi e principî elabora-
ti altrove. La struttura del Problema XXX, è peculiare
(ma non unica) per la lunghezza notevole della prima
sezione, dedicata alla melancolia, che lascia spazio a
considerazioni di una complessità ben diversa dallo
schema domanda/risposta. Un’altra particolarità con-
siste nella ripresa della questione della melancolia
anche nell’ultima sezione (peraltro priva della doman-
da iniziale), segno di una certa volontà di presentare
l’insieme come un’unità testuale autonoma. Un inten-
to riconducibile all’autore stesso o a un compilatore.

Che l’autore sia Aristotele non è certo, ma molto pro-


babile. Come pure è verosimile che un compilatore
sia intervenuto qui e là. Il che si può dire anche della
quasi totalità delle opere antiche. L’ unico passo sicu-
ramente non aristotelico è la nona sezione, di eviden-
te ispirazione platonica. Le dispute sulla paternità dei
testi antichi tendono a essere particolarmente stuc-
chevoli e cavillose, quindi è saggio impegnare altri-
menti le proprie energie. Si tenga comunque presente
che, tra gli studiosi più scrupolosi e accreditati,
Cicerone1, Seneca2, Marenghi3, Louis4 e Croissant5
ritengono che il Problema XXX sia fondamentalmente
Pensiero al quadrato 69

di Aristotele; van der Eijk6 ha mostrato in modo con-


vincente che la trattazione della melancolia è compa-
tibile con i riferimenti aristotelici all’argomento, ma
mantiene una certa prudenza quanto all’attribuzione;
secondo Jaeger7, Ross8, Flashar9 e Moraux10 il mate-
riale è generalmente aristotelico ma è improbabile
che la forma del testo (di tutti i Problemi) corrisponda
alla versione originaria; stando a Müri11 e Klibanski,
Panofski e Saxl12 invece si tratterebbe di un’opera da
attribuire a Teofrasto. Quest’ultima ipotesi, benché
cara a molti, è priva di fondamento: si basa unica-
mente sulla testimonianza di Diogene Laerzio (V
44), che attribuisce a Teofrasto un’opera (altrimenti
perduta) sulla melancolia (ed è noto quanto le liste
delle opere degli autori antichi siano da prendere cum
grano salis); e sul riferimento interno a un’opera sul
fuoco, che però non trova riscontro nel De igne di
Teofrasto, mentre può essere agevolmente inter-
pretato come un rinvio aristotelico. Insomma, biso-
gna essere particolarmente scettici per non identi-
ficare con Aristotele un autore che di Aristotele
conosce a menadito le opere, dalle Categorie all’Etica
Nicomachea e al De generatione animalium, e che
rispetto ai più diversi e complessi ambiti della filo-
sofia aristotelica argomenta in modo anche più coe-
rente di quanto Aristotele stesso a volte non faccia
in opere indubitabilmente sue.
70 Andrea L. Carbone

Il Problema XXX è stato tramandato sotto la rubrica


saggezza (phronesis), intelletto (noûs), sapienza (sophia).
Si tratta di tre delle virtù dianoetiche distinte da
Aristotele nel sesto libro dell’Etica Nicomachea. È
curioso che questa catalogazione, presumibilmente
posteriore, non includa anche l’arte (techne), di cui
pure qui molto si parla (per riferirsi all’esempio più
vistoso: filosofia esclusa, l’eccellenza dei melancolici
trattata nella prima sezione riguarda le arti). Ma que-
sta scelta suggerisce un’interessante lettura d’insieme
che nelle quattordici sezioni, nella loro varietà, indivi-
dua un tratto comune: il pensiero al secondo grado, cioè
il pensiero sul pensiero. L’ attività intellettiva, infatti, è
qui insieme strumento e oggetto della ricerca delle
cause, in un’indagine che affronta l’argomento di volta
in volta da punti di vista diversi come il rapporto tra
le condizioni limite del pensiero e la sua eccellenza, la
“fisiologia della mente”, la relazione tra sapere e capa-
cità di fare scoperte, o tra intelligenza e organizzazio-
ne del corpo, la “psicologia cognitiva”, il modo in cui
l’età influisce sulla capacità di acquisire ed esercitare
conoscenze, la “tonalità affettiva” della cognizione
ecc. Attraverso questi e altri inevitabili anacronismi,
potremmo dunque concludere che si tratta di una
disamina sospesa tra il trascendentale e l’anatomico,
che rivela un tassello importante della filosofia aristo-
telica e della cultura greca in generale.
Pensiero al quadrato 71

Nelle note al testo sono riportate osservazioni sui sin-


goli passi e sono segnalati i rinvii interni nonché molti
richiami ad altre opere aristoteliche. La prima sezione,
che affronta il tema codificato da una lunga tradizione
e da una certa critica come la “melancolia dell’uomo di
genio”13, richiede qui un’attenzione particolare per via
delle sue peculiarità. La nozione moderna di “genio”,
tuttavia – originatasi nel Seicento con riferimento a un
eccezionale talento creativo improntato al valore del-
l’originalità, e giunta al suo apogeo nel Romanticismo,
dove indica il manifestarsi dell’assoluto nella singola-
rità di un uomo fuori dal comune – sovrappone strati-
ficazioni di senso estranee al mondo antico. Il proble-
ma si pone piuttosto in questi termini: che relazione
c’è tra le doti eccezionali dimostrate da certi uomini
nell’ambito della filosofia, della politica, della poesia e
delle varie arti e il loro temperamento melancolico?
La risposta si articola in primo luogo nei termini di
una rassegna di personaggi melancolici tutti caratte-
rizzati da una connotazione eroica: si va dagli eroi
mitici a quelli epici, e dalle personalità politiche eroi-
cizzate a quelle – più prossime all’autore – filosofiche,
di cui si deve dunque desumere ugualmente una sorta
di eroicizzazione. Come in ogni lista, le assenze pesa-
no tanto quanto le presenze: mancano molti filosofi
che a buon diritto si sarebbero potuti evocare, e quan-
to alla poesia i riferimenti nel testo si limitano a un
personaggio altrimenti ignoto.
72 Andrea L. Carbone

Per comprendere questo dato, finora per lo più


ignorato o sottovalutato dagli interpreti, occorre
innanzi tutto soffermarsi sullo spettro semantico del
termine greco che indica questa “eccezione” o “ecce-
zionalità”, ovvero perissos, che significa “dispari”, “oltre
la norma”, dunque “eccezionale” e “straordinario” ma
anche “eccessivo” o “eccentrico”. Tutte queste accezio-
ni sono attestate in Aristotele. Bisogna dunque tenere
a mente che la trattazione non riguarda necessaria-
mente il carattere melancolico dei migliori filosofi e
degli intellettuali più “geniali”, bensì di quelli che più
possono dirsi fuori dell’ordinario, in senso sia positivo
che negativo. Così, per citare un esempio particolar-
mente indicativo, Aristotele osserva che i discorsi di
Socrate, che rientra nella lista dei melancolici, sono sì
tutti perittoi, ma non sempre colgono nel segno (Pol.
1265a 11); e altrove sottolinea causticamente che le tesi
di Protagora sembrano esprimere qualcosa di peritton
che però in realtà non vuol dire nulla (Metaph. 1053b 3),
o che Ippodamo di Mileto, ispiratore di un piano rego-
latore del Pireo, per come andava vestito, agghindato
e imbellettato come un archistar ante litteram, era
perittotatos (Pol. 1267b 24), e ancora che Anasssagora,
Talete e gli altri possono dirsi “sapienti” (sophos) ma
non “saggi” (phronimos) perché sanno cose meraviglio-
se, ardue, demoniche e peritta ma anche inutili (EN
1141b 3) ecc. Prendere contezza di questa ambivalenza,
peraltro in sé splendidamente melancolica, dovrebbe
Pensiero al quadrato 73

già bastare a superare il problema di un’eventuale


incompatibilità della connessione tra filosofia e
melancolia con il “razionalismo” aristotelico, qualun-
que cosa esso sia14.
È stato inoltre osservato che la domanda iniziale
contiene almeno in parte la risposta: «tutti gli uomini
fuori dell’ordinario sono melancolici». Questa accusa
di hysteron proteron non sembra tuttavia pienamente
fondata, almeno non in termini aristotelici. La que-
stione infatti non è «perché certi uomini sono straor-
dinari?» bensì «perché tutti gli uomini fuori dell’ordi-
nario sono melancolici?», e, soprattutto, la risposta
non è, e non può essere, «perché sono tutti melanco-
lici». Il metodo impiegato è esposto nel modo più
chiaro subito dopo la rassegna dei personaggi melan-
colici: «In breve, si può dire che abbiano tutti questa
stessa natura. Bisogna dunque comprenderne la causa,
servendosi innanzitutto di un esempio» (953a 31).
Schematizzando: A. Esame di alcuni casi significativi,
nella loro varietà; B. Generalizzazione; C. Ricon-
duzione di questi fenomeni a un’unica origine; D.
Esplicazione delle cause (dapprima con procedimento
analogico). La melancolia, pertanto, è sì una causa
(materiale), ma questa causa deve essere ulteriormen-
te esplicata per chiarire in che modo agisce.
L’ esempio indicato, almeno in prima istanza, è
quello del vino nero. Schematizzando ancora: 1.
Un’ubriacatura di vino nero rende simili ai melancolici
74 Andrea L. Carbone

(953a 33), cioè “plasma il carattere” allo stesso modo


della bile nera; 2. Come la bile nera, il vino nero pro-
duce «una grandissima varietà di caratteri» (953a 35); 3.
La varietà dei caratteri prodotti dal vino (come quelli
che attengono alla bile nera) si attesta su una scala
quantitativa progressiva (953a 38); 4. L’ assunzione di
una quantità crescente di vino determina un muta-
mento caratteriale nello stesso individuo, mentre i
medesimi tratti caratteriali possono essere riscontrati
in individui diversi secondo il temperamento della
bile nera (953b 7); 5. A differenza del temperamento
melancolico, che caratterizza in permanenza un indivi-
duo, i tratti caratteriali prodotti o esaltati dal vino
sono tuttavia transitori (953b 17); 6. La causa per cui il
vino e la natura plasmano il carattere è la stessa, per-
ché attiene alla quantità e all’equilibrio del calore
(953b 20); 7. Il vino nero e la bile nera contengono
pneuma, cioè aria calda (953b 23).
La scansione di tutti questi elementi non è stata
sempre correttamente enucleata dagli interpreti, che
tendono segnatamente a sottovalutare la complessità
dell’esempio del vino nero, articolato in due serie
incrementali corrispondenti e comprese tra determi-
nazioni contrarie (caldo/freddo), secondo un proce-
dimento particolarmente caro ad Aristotele, che se
ne serve ad esempio nel De sensu per la trattazione
comparata dei sensibili di sensi diversi. Ne consegue
inevitabilmente un’imperfetta comprensione del
Pensiero al quadrato 75

modo in cui viene esplicata la fenomenologia del


temperamento atrabiliare. Sempre schematizzando:
8. L’ umore melancolico consiste semplicemente in un
particolare temperamento di caldo e freddo (954a 11);
9. Tra i liquidi e gli umori freddi per natura, che però
possono naturalmente diventare anche caldi, la bile
nera è quello che diventa il più caldo e il più freddo
(954a 13-21); 10. Quando è in eccesso, produce gli
effetti psicosomatici connessi al raffreddamento del
corpo, come apoplessie, scoramenti o paure, mentre
quando si surriscalda produce gli effetti contrari,
come euforia, eruzioni cutanee ecc. (954a 22).
Queste ultime precisazioni sono fondamentali per
comprendere con esattezza la variabilità del tempera-
mento melancolico, perché le differenze caratteriali
riscontrate nella rassegna dei personaggi melancolici
vengono così prima confrontate con la mutevolezza
del carattere di uno stesso individuo che si va ubria-
cando e poi con le manifestazioni caratteriali che è
possibile riscontrare in individui diversi a seconda del
loro temperamento di caldo e freddo. Vengono così
distinte due diverse manifestazioni non patologiche
della bile nera: 11. Una, che riguarda la maggioranza
degli individui (per evidente opposizione a chi è fuori
dal comune), è connessa all’alimentazione quotidiana e
non produce differenze nel carattere, provocando un
semplice «malessere melancolico» riconducibile alla
sonnolenza che interviene dopo i pasti (954a 26);
76 Andrea L. Carbone

12. L’ altra è invece tipica di chi ha per natura un tempe-


ramento melancolico, e produce una grande varietà di
caratteri diversi secondo il temperamento di ciascuno
(allos kat’allen krâsis, 954a 28). Il temperamento melan-
colico, pertanto, è uno e molteplice, e la sua varietà e
variabilità dipende dal diverso equilibrio di caldo e
freddo, cioè dal riscaldamento e dal raffreddamento
della bile nera, che ha la caratteristica di poter accoglie-
re al massimo grado queste due affezioni contrarie. Su
questa base vengono dunque determinate le manifesta-
zioni caratteriali corrispondenti ai due eccessi: 13. (i)
L’ abbondanza di bile nera fredda determina un caratte-
re incline a torpore e apatia, (ii) l’eccesso di bile nera
calda è all’origine di un carattere portato a stati eufori-
ci e volubilità, quando non (iii) a follia e invasamento,
se è direttamente coinvolta la regione del corpo con-
nessa all’intelletto, mentre (iv) gli individui in cui il
calore si mantiene entro una certa medietà sono sì
melancolici, ma anche molto intelligenti (phronimote-
roi), e pur essendo meno bizzarri (êtton ektopoi) si
distinguono (diapherontes) comunque dagli altri in
molti ambiti, come nella cultura (pros paideian), nelle
arti (pros technas) o nella politica (pros politeian). A que-
sto punto occorre mettere in rilievo diversi elementi.
Per un verso, grazie all’analogia con i vari gradi di
ubriachezza e alla sua dettagliata articolazione, gli indi-
vidui che dimostrano doti intellettuali fuori dell’ordina-
rio possono essere collocati in un punto preciso della
Pensiero al quadrato 77

“scala melancolica”, perché anche se nel loro tempera-


mento la bile nera è predominante (rispetto agli altri
umori), è calda e non fredda come sarebbe per sua natu-
ra, e il calore si mantiene entro i limiti della media, il
che fa sì che si comportino in modo meno eccentrico
di altri, e che non siano impediti nell’esercizio dell’in-
telligenza dai profondi turbamenti che investono i
melancolici di altra sorta. La trattazione, pertanto, non
rivela nessuna discontinuità, poiché al contrario di
quanto hanno osservato gli interpreti che considerano
ampiamente inevasa la questione iniziale, la definizione
di questa serie incrementale è determinante per l’espli-
cazione causale della melancolia degli intellettuali fuori
dell’ordinario. Per altro verso, è evidente che tutti gli
individui caratterizzati per natura da un temperamen-
to melancolico, e a fortiori quelli straordinariamente
intelligenti, non si trovano in quanto tali in uno stato di
malattia, benché in molti questo temperamento sia
effettivamente anche causa di malattie, e in altri deter-
mini una tendenza a contrarne.
Chiarito dunque da questo punto di vista in che
consiste l’eccezionalità dei melancolici più intelligen-
ti, la trattazione prosegue investigando altri aspetti
della questione. In particolare, lo stato di eccezione
viene ancora una volta confrontato con una condizio-
ne che appartiene indistintamente a tutti gli individui.
Ora, la predisposizione alla paura o al coraggio è parti-
colarmente spiccata in un senso o nell’altro presso i
78 Andrea L. Carbone

melancolici, poiché se un melancolico si imbatte in


qualcosa di spaventoso quando la bile nera è fredda, la
paura determina viltà, mentre se è calda produce
impassibilità per bilanciamento (954b 4-15). Questa
attitudine viene dunque comparata all’allegrezza e
agli scoramenti che intervengono senza motivo appa-
rente nella quotidianità degli individui ordinari
(954b 15). Il confronto permette di corroborare un’ul-
teriore precisazione: 14. Il temperamento melancoli-
co è irregolare in uno stesso individuo, cioè la bile nera
può essere più o meno fredda o calda (954b 6-10).
Anche l’analisi di questa variabilità individuale, come
già la varietà riscontrata in individui diversi, viene
declinata confrontando da un lato due condizioni non
patologiche, cioè quella della maggior parte degli
individui e quella dei melancolici, e dall’altro una con-
dizione patologica, cioè quella dei melancolici affetti
da malattie causate dalla bile nera, in cui questa varia-
bilità produce comportamenti che vanno dal coraggio
sconsiderato alle tendenze suicide (954b 28). L’ intro-
duzione del paragone con vecchiaia e giovinezza per-
mette infine di considerare la variabilità individuale
anche sul piano dei mutamenti che intervengono
naturalmente nell’arco del ciclo di vita.
In base a questa ricostruzione possiamo dunque
concludere che i melancolici straordinariamente
dotati sul piano intellettuale vengono definiti quanto
al loro temperamento da tre punti di vista distinti:
Pensiero al quadrato 79

rispetto ad altri umori, presentano una preponderan-


za di bile nera, e su questo piano la quantità eccede
la media; rispetto alla varietà secondo l’opposizione
caldo/freddo nei diversi individui melancolici, la bile
nera non è né troppo fredda né troppo calda, ma
misuratamente calda; rispetto alla variabilità indivi-
duale secondo l’opposizione caldo/freddo, sono esposti
alle affezioni più estreme, tanto che devono fare par-
ticolare attenzione a non contrarre le malattie dovu-
te alla bile nera.
Molti interpreti hanno lamentato, più o meno espli-
citamente, la mancanza di una chiara indicazione di ciò
che il temperamento melancolico determini in positivo
nei soggetti che sono fuori dell’ordinario sul piano
intellettuale. Tuttavia questa laconicità in merito alla
natura dell’intelligenza, alle modalità del suo esercizio e
ai suoi aspetti organici è in tutto e per tutto tipica di
Aristotele, che notoriamente dedica all’argomento trat-
tazioni di estensione ridottissima, spesso criptiche e
quasi sempre basate su analogie e somiglianze con altre
facoltà psicologiche. Pertanto la risposta su questo
piano non può che essere congetturale.
In proposito, alcune delle strategie possibili, e di
fatto tentate da alcuni studiosi, consistono nel con-
frontare i passi dei Problemi e di altre opere aristoteli-
che che si soffermano sulle condizioni organiche del
pensiero e in particolare sulle cause materiali delle dif-
ferenze tra gli uomini in materia di intelligenza15.
80 Andrea L. Carbone

Occorre però non dimenticare che la questione non


riguarda in generale la distinzione tra uomini più o
meno intelligenti, che rientra nell’ambito dell’ordina-
rio, bensì la specificità delle intelligenze fuori dell’or-
dinario. Benché si debba constatare che mai altrove
Aristotele si sofferma in particolare sulle condizioni
fuori dell’ordinario che qui sono invece al centro del-
l’indagine, e che non riguardano neppure i melancoli-
ci in generale, bensì quel ristretto gruppo di melanco-
lici che ha anche mostrato di essere fuori dal comune
in ambito filosofico o artistico, è necessario comun-
que tentare un esame dei passi aristotelici rilevanti da
questo specifico punto di vista.
In termini aristotelici, cioè secondo la corretta
impostazione del rapporto tra cause materiali e cause
formali/finali, un filosofo o un artista non è fuori del-
l’ordinario nel suo ambito specifico perché è melan-
colico, ma è melancolico perché è fuori dell’ordinario.
Bisogna chiedersi dunque in che senso la bile nera che
si mantiene in uno stato di calore temperato costitui-
sca una condizione materiale vantaggiosa in vista del-
l’esercizio di un’intelligenza fuori dell’ordinario nel-
l’ambito della filosofia o delle arti.
Com’è naturale, questa strada conduce al cuore
della concezione aristotelica della filosofia, cioè
soprattutto a Metaph. 980a 27 e APo 99b 15, dove
Aristotele descrive il processo dell’apprensione dei
principî e della costituzione della scienza attraverso
Pensiero al quadrato 81

quattro tappe: grazie al ripetersi della percezione si


costituisce la memoria, dall’insieme dei ricordi si
forma l’esperienza, e «dall’esperienza o dall’universale
che si trova in totale quiete nell’anima» (APo 100a 6)
deriva dunque la scienza. L’ idea che la scienza si costi-
tuisca grazie alla quiete dell’anima, senza la quale
sono impossibili la percezione e il pensiero, è esplici-
tamente richiamata nell’ultima sezione del Problema
XXX, incentrata in generale sui movimenti immagi-
nativi che agitano l’anima e ampiamente basata sulle
teorie definite nei Parva Naturalia.
Ora, i Parva Naturalia, al di là delle differenti
peculiarità attribuite ai melancolici, delle quali peral-
tro nessuna riguarda le capacità intellettuali, sono
assolutamente coerenti nell’attribuire a questi sogget-
ti un tratto comune, cioè che sono particolarmente
turbati dai movimenti immaginativi (De mem. 453a 19;
De ins. 461a 23; De div. 463b 16, 464a 32). Questa con-
dizione sembrerebbe incompatibile e anzi segnatamen-
te contraria alla quiete necessaria all’anima per pensare,
quindi a fortiori per formulare pensieri straordinari.
Tuttavia, un esame dettagliato della trattazione delle
modalità secondo le quali si opera il richiamo alla
memoria, tappa fondamentale nella costituzione della
scienza, mostra che questo procedimento si basa sul
ricorso a rapporti di associazione secondo somiglianza,
contrarietà e prossimità (De mem. 451b 11). Ora, dal
punto di vista fisiologico, questo consiste nel risalire il
82 Andrea L. Carbone

corso dei movimenti psichici: «andiamo a caccia del


movimento consecutivo» (to; ejfexh'" qhreuvomen, 451b
18). In De mem. 453a 14 Aristotele osserva poi che
questa “caccia” riesce particolarmente tormentosa ai
melancolici perché i movimenti immaginativi che li
caratterizzano sono molto forti: questi movimenti,
una volta che si producono, non possono essere
arrestati, come il moto di un oggetto dopo che è
stato lanciato. Questo riferimento al moto dei
proiettili si trova anche in De div. 464a 32, dove
Aristotele rileva che è come se i melancolici lancias-
sero qualcosa con forza per colpire un bersaglio da
lontano, cosa in cui riescono con facilità perché
«hanno una rappresentazione di ciò che è contiguo»
(to; ecovmenon fantavzetai autoi'", 464b 1) perché il
mutamento è rapido, e la forza del movimento è tale
da resistere alle deviazioni.
Ora, il moto dei proiettili costituisce il modello
fondamentale in base al quale Aristotele descrive la
trasmissione dei movimenti sensoriali e immaginativi,
poiché si tratta di un movimento che si perpetua
anche al venir meno del principio che lo ha generato
(De ins. 458a 23 ss.): «i sensibili di ciascun sensorio
producono in noi una sensazione, e l’affezione che si
genera per causa loro non risiede nei sensori soltanto
allorché le sensazioni sono in atto, ma anche quando
vengono meno. Si ritiene che in questi casi l’affezione
sia simile a quanto avviene ai proiettili. Infatti, anche
Pensiero al quadrato 83

nel caso dei proiettili il motore continua a muovere


anche quando non è più in contatto: il motore muove
dell’aria, questa a sua volta ne muove dell’altra, e in
questo modo, finché non si fermano, <i proiettili>
effettuano il loro movimento sia nell’aria che nei
liquidi. Allo stesso modo occorre fare questa supposi-
zione quanto all’alterazione. Ciò che è stato riscalda-
to dal calore riscalda ciò che sta vicino e questo lo tra-
smette fino al principio. Pertanto, anche quando si ha
sensazione, poiché la sensazione è una certa alterazio-
ne in atto, è necessario che questo accada. Dunque
l’affezione non è nei sensori soltanto mentre hanno
sensazione, ma anche quando si arrestano, sia in
profondità che in superficie».
Questo modello permette dunque di spiegare
come tali movimenti possano continuare a trasmet-
tersi anche quando l’oggetto che ha determinato la
sensazione originaria non c’è più, cosa che caratteriz-
za specificamente tutti i fenomeni legati alla memoria
(e ai sogni). L’ analogia stabilita da Aristotele si deli-
nea dunque in questi termini: come i proiettili si muo-
vono nell’aria o nell’acqua, e il loro movimento,
impresso da un motore che non esercita più la sua
azione motrice, si trasmette in modo continuo attra-
verso questi mezzi, così i movimenti sensibili e imma-
ginativi si trasmettono dal sensorio periferico al sen-
sorio centrale. Da un altro punto di vista, questa
trasmissione è un’antiperistasis, cioè uno scambio di
84 Andrea L. Carbone

caldo e freddo e un passaggio di calore che avviene


per contatto grazie alla continuità del mezzo16.
Aristotele confronta questi due modelli dinamici in
Phys. 215a 14 ss. e 266b 26 ss., mettendone in rilievo la
specificità. Secondo il modello dinamico dell’antiperi-
stasis, infatti, il protrarsi del moto richiede che nell’a-
zione del motore non vi sia discontinuità, mentre il
modello del moto dei proiettili permette di spiegare
precisamente questa azione a distanza. Così, la perma-
nenza dei movimenti sensibili nei sensori quando gli
oggetti percepiti non sono più presenti non può essere
spiegata in base al modello dell’antiperistasis, bensì in
base a quello del moto dei proiettili. La trasmissione
dei movimenti sensibili e immaginativi verso il senso-
rio centrale si spiega invece secondo il modello dell’an-
tiperistasis, cioè come scambio di freddo e caldo,
rispetto al quale i principî del riscaldamento del corpo,
cioè il cuore come sede dell’anima nutritiva, e del suo
raffreddamento, cioè il polmone e l’encefalo, esercita-
no un’azione motrice continua attraverso la continuità
del mezzo costituito dal corpo.
Questa trasmissione deve essere inoltre interpreta-
ta nei termini della “pneumatizzazione” del sangue ope-
rata del cuore, descritta in De resp. 479b 30 ss.17 (para-
gonata all’ebollizione prodotta dal calore), grazie alla
quale i movimenti sensibili si trasmettono al sensorio
centrale, nel cuore stesso, dal pneuma contenuto nei
sensori, attraverso il pneuma contenuto nel sangue.
Pensiero al quadrato 85

Per comprendere come questa trasmissione avven-


ga, occorre richiamarsi ancora una volta all’analisi
aristotelica del moto dei proiettili in Phys. 267a 3 ss.,
dove viene messo in rilievo il ruolo del mezzo nella tra-
smissione del moto: gli elementi attraverso i quali si
spostano gli oggetti, infatti, hanno il diafano come
proprietà caratteristica. Il diafano è il mezzo proprio
della trasmissione di sensazioni quali la vista o l’udito,
ma non è una caratteristica che appartiene unicamen-
te all’aria o all’acqua (De sensu, 439a 21). La carne, che
è insieme il sensorio periferico del tatto e il mezzo
attraverso il quale la sensazione si trasmette al senso-
rio centrale, viene infatti considerata da Aristotele in
certo modo analoga all’aria (DA 423a 6). Ma la carne è
anche «principio e corpo per sé degli animali» (PA
653b 21-22). Questo significa che nel corpo vivente si
produce qualcosa di analogo all’attualizzazione del
diafano dell’aria ad opera del fuoco, che permette la
visione. Ed è ragionevole presumere che si tratti del-
l’azione del cuore come principio di calore e della
pneumatizzazione del sangue. In questo modo si capi-
sce meglio, ad esempio, perché Aristotele ritenga che
gli uomini dotati di carni tenere sono più intelligenti
di quelli che hanno carni dure (DA 421a 23)18, poiché
la tenerezza delle carni è più propizia alla trasmissio-
ne del movimento.
Ora, da tutte queste precisazioni si può evincere
che il particolare temperamento melancolico che
86 Andrea L. Carbone

caratterizza gli individui che sono fuori dell’ordinario


nell’ambito della filosofia e delle arti, e che consiste
nell’avere bile nera in abbondanza e misuratamente
calda, comporta un’esaltazione equilibrata19 di tutti
gli elementi che concorrono alla trasmissione dei
movimenti sensibili e immaginativi, alla formazione
dei ricordi e alla reminiscenza (turbati invece irrime-
diabilmente nei soggetti in cui il temperamento
melancolico non è temperato), dunque di tutte le fasi
della costituzione della scienza.

ANDREA L. CARBONE
Pensiero al quadrato 87

NOTE

1. Tusculanæ disputationes, I 33.


2. De tranquillitate animi, 15.
3. G. Marenghi, Per una identificazione e collocazione storica del fondo
originario dei Problemata physica, «Maia», 13 (1961), pp. 34-50: 37 ss.;
Aristotele, Problemi di medicina, apparato critico, traduzione e
commento di G. Marenghi, Massari, Bolsena 1999, pp. 1 ss.
4. Aristote, Problèmes, texte établi et traduit par P. Louis, Les Belles
Lettres, Paris 1991-1994, vol. I, pp. xviii ss.
5. J. Croissant, Aristote et les mystères, Droz, Liège-Paris 1932, pp. 75 ss.
6. Ph. van der Eijk, Aristoteles über die Melancholie, «Mnemosyne»,
43 (1990), pp. 33-72.
7. W. Jaeger, Aristotele. Prime linee di una storia della sua evoluzione
spirituale, La Nuova Italia, Scandicci 1947, p. 447.
8. W.D. Ross, Aristotele, Laterza, Bari 1946, p. 17.
9. Aristoteles, Problemata physica, Akademie Verlag, Berlin-
Darmstadt 1962, pp. 303 ss.
10. P. Moraux, L’aristotelismo presso i Greci, Vita e Pensiero, Milano
2000, vol. II, t. I I , pp. 296 ss.
11. W. Müri, Melancholie und scwarze Galle, «Museum Helveticum»,
10 (1953), pp. 21-38: 21.
12. R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia,
Einaudi, Torino 1983, p. 25 n. 15.
13. Cfr. per esempio Aristote, L’Homme de génie et la Mélancolie,
cit.; Aristotele, La ‘melanconia’ dell’uomo di genio, a cura di C.
Angelino, E. Salvaneschi, Il Melangolo, Genova 1981.
14. Per una lettura al plurale della ragione aristotelica ci si riporterà
molto utilmente a E. Berti, Le ragioni di Aristotele, Laterza, Roma-
Bari 1989. Ho cercato di mostrare altrove che la filosofia di
Aristotele si basa anche sul pensiero visivo (A.L. Carbone, Aristote
illustré. Représentations du corps et schématisation dans la biologie
aristotélicienne, con una prefazione di P. Pellegrin, Classiques
Garnier, Paris 2011).
88 Andrea L. Carbone

15. Ad esempio Flashar (Aristoteles, Problemata, cit., pp. 329 ss.),


Tracy (T.J. Tracy, Physiological Theory and the Doctrine of the Mean in
Plato and Aristotle, Mouton, The Hague-Paris 1969, pp. 247 ss.) e
van der Eijk (Aristotle on Melancholy, cit. pp. 163 ss.; cfr. Id. The
Matter of Mind, cit.).
16. Riprendo qui alcune osservazioni sviluppate più in dettaglio in
Aristotele, L’anima e il corpo. Parva Naturalia, cit., pp. 33 ss.
17. Sul punto si vedano le pionieristiche osservazioni di A.L. Peck
(Aristotle, Generation of animals, Loeb, Harvard University Press,
Cambridge M A -London 1942, pp. 592-593).
18. Si veda Ph.J. van der Eijk, The Matter of Mind, cit., pp. 226 ss.
19. Cfr. PA 648a 2, dove Aristotele stabilisce una relazione tra l’in-
telligenza e le qualità del sangue, precisando che in questo senso il
sangue rado e freddo è migliore di quello denso e caldo, ma che
negli animali che lo hanno rado e caldo, all’intelligenza si abbina il
coraggio (cfr. PA 650b 18). Quest’ultima notazione è prossima alla
casistica esaminata in Probl. 954b 4 ss. quanto alla propensione al
coraggio e alla paura.
T AV O L A D E L L E A B B R E V I A Z I O N I

APo Analytica posteriora


APr Analytica priora
DA De anima
De div. De divinatione per somnum
De juv. De juventute et senectute
De long. De longitudine et brevitate vitæ
De mem. De memoria et reminiscentia
De ins. De insomniis
De resp. De respiratione
EN Ethica Nichomachæa
GA De generatione animalium
GC De generatione et corruptione
MA De motu animalium
Metaph. Metaphysica
Meteor. Meteorologica
PA De partibus animalium
Phys. Physica
Poet. Poetica
Pol. Politica
PN Parva naturalia
Probl. Problemata
Rhet. Rhetorica
SE Sophistici elenchi
Top. Topica
INDICE

P RO B L E M A X X X 7

Note al testo 25

Testo greco 49

I L P E N S I E R O A L Q UA D R AT O
Postfazione 67
T E R R A I N VA G U E

1. M I C H E L E C O M E T A, Visioni della fine. Apocalissi, catastrofi, estinzioni,


2004 (pp. 128, ill. b/n).
2. J A C Q U E S VA C H É, Lettere di guerra. A André Breton e ad altri surreali-
sti, 2005 (pp. 80, ill. b/n).
3. J . M . G . L E C L É Z I O, Il verbale, 2005 (pp. 320).
4. P L AT O N E , La settima lettera, 2005 (pp. 112).
5. P AT R I K O U R E D N I K, Europeana. Breve storia del XX secolo, 2005 (pp.
160).
6. P E T E R T U R R I N I , Giuseppe e Maria, 2005 (pp. 80).
7. M I C H E L B O U N A N , Logica del terrorismo, 2006 (pp. 80).
8. M A RC E L S C H W O B , I mimi, 2006 (pp. 80).
9. F R I E D R I C H S C H I L L E R , Il visionario, 2007 (pp. 176).
10. J . K . H U Y S M A N S , Alla deriva, 2007 (pp. 96).
11. P AT R I K O U R E D N I K , Istante propizio, 1855, 2007 (pp. 144).
12. B O R I S V I A N , Scritti pornografici, 2007 (pp. 96).
13. F E L I C E A C C A M E , L’anomalia del genio e le teorie del comico, 2008 (pp.
96).
14. A R I S T O T E L E , Vita attività e carattere degli animali. Historia anima-
lium V I I I - I X , 2008 (pp. 208).
15. A L F R E D J A R RY , Scritti ’patafisici. La macchina, il tempo e altri epifeno-
meni, 2009 (pp. 144).
16. M I C H E L F O U C A U LT , La strategia dell’a ccerchiamento, 2009 (pp. 272).
17. [ F R A N Ç O I S R A B E L A I S ], Trattato sul buon uso del vino, 2009 (pp. 192,
ill. b/n).
18. J A N Z A B R A N A , Tutta una vita, 2009 (pp. 160).
19. S A M U E L H A H N E M A N N , Scritti omeopatici, 2009 (pp. 128).
20. R U G G E R O VA S A R I , L’angoscia delle macchine e altre sintesi futuriste,
2009 (pp. 176).
21. A D R I E N N E M O N N I E R , Rue de l’Odéon, 2010 (pp. 224).
22. G I U S E P P E VA C C A R I N O , Lo sporco. Il pulito, 2010 (pp. 160).
23. D I O G E N E , Filosofia del cane, 2010 (pp. 112).
24. KO E N P E E T E R S , Grande romanzo europeo, 2010 (pp. 352).
25. ALEK POPOV, Mitologia del tempo che cambia, 2010 (pp. 160).
26. ANONIMO, Elogio di nulla. Elogio di qualcosa, 2010 (pp.80).
27. C H A R L E S N O D I E R , Crimini letterari, 2010 (pp. 112).
28. H A N S B L U M E N B E RG , Teoria dell’inconcettualità, 2010 (pp. 160).
29. N AT S U M E S O S E K I , Il mio individualismo, 2010 (pp. 192).
30. A R I S T O T E L E , Problema XXX, 2011 (pp. 96).
T E R R A I N VA G U E

anomalie

testimonianze/documenti
spiriti
epifenomeni
umori

Finito di stampare nel mese di maggio 2011


per i tipi della Graffiti – Pavona (Roma)
per conto di :duepunti edizioni – Palermo

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