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incisiohe ! di
La civiltà perfezionata
André Gide

Ricordi
della Corte d'Assise
Traduzione e introduzione di

Giancarlo Vigorelli

s
Sellerio editore
Palermo
1914 © Editions Gallimard, Paris
1982 © Selleria editore via Siracusa 50 Palermo

Titolo originale: Souvenirs de Cour d'Assises.


Introduzione
Tra tanti 'ritorni' in corso presunti o veri, ver­
rà anche quello di Gide. Qualche segnale si è avuto:
nel '74, a cura di Agosti, le mille pagine dei « Clas­
sici Bompiani » con Les caves du Vatican, Les Faux­
Monnayeurs e Si le grain ne meurt (in traduzioni già
note del '47 e del '65), e nel '79 ad inaugurazione
della nuova « Medusa », ancora I sotterranei del
Vaticano (Mondadori), con postfazione di Bo; nel
'76, La sequestrata di Poitiers (Adelphi); nel '78,
Il caso Redureau (Selleria), con prefazione di Na­
deau; nel '79, l'Oscar Wilde (Giusti, Firenze), nella
nuova traduzione della Spaziani; nell'80, Il viaggio
d'Urien (Selleria).
A rigore, prevedere un ' ritorno ' di Gide ed ap­
poggiarlo sulla recente pubblicazione di certi suoi
testi di diversa stagione, può parere anche assurdo,
dato che gran parte, se non tutta, della sua opera, in
un arco di cinquant'anni, era già stata variamente
tradotta: con in testa nel 190 7 Vannicola per l'ln
memoriam - Oscar Wilde; nel '12, Onofri per Viag­
gio sull'Oceano Patetico; nel '20 Papini, per Il Pro-

IX
meteo male incatenato; e si sa che il primo a fare
il suo nome in Italia era stato Lucini, nel 1903.
Opere maggiori e minori da Les caves du Vatican a
Les Faux-Monnayeurs, da La porte étroite alla Sym­
phonie pastorale, dall'Immoraliste a Isabelle, dalle
Nourritures al Journal, dal teatro ai viaggi al Con­
go o in Urss, dai saggi critici ad alcuni carteggi, le
traduzioni si sono sempre susseguite, spesso ripetute
( cinque versioni di Isabclle, quattro della Porte
étroite e Symphonie, tre del Wilde).
A trent'anni dalla morte, comunque, Gide - per
le nuove generazioni - è un nome da riscoprire; ma
siccome, tra l'innocenza o piuttosto l'impudenza, è
invalsa l'abitudine di camuffare da scoperte anche le
riscoperte, le rivisitazioni, i ripescamenti, pronti an­
che parecchi critici a non fare mai parola su quel che
è stato fatto documentato detto in anni passati, sarà
necessario, opportuno almeno, prepararci a distingue­
re tra quel che è stato Gide per le precedenti gene­
razioni e quel che invece potrà diventare per le odier­
ne. La mia generazione, ad esempio, prediligeva il
Journal, e le pagine di scandaglio più che di scan­
dalo; il moralista, per dirla banalmente, più che l'im­
moralista. Sull'onda di un promiscuo estetismo ri­
sorgente, forse certi ventenni di oggi, a reazione di
eccedenti coazioni ideologiche, torneranno alla let­
tura delle sue opere prime, Les cahiers d'André Wal­
ter, l'Urien, Paludes, le Nourritures; altri magari
si rispecchieranno nell' ' atto gratuito ' di Lafcadio
delle Caves, oppure vi ripugneranno. Nessuno, oggi,

X
inseguirà Gide nei labirinti psicologici e più ancora
morali, tra esitazioni e rimorsi, di Corydon o di
Numquid et tu?; e, sul terreno politico, i due libretti
del ritorno dall'Urss, dopo le rivelazioni e le testi­
monianze di tante vittime dei gulag, sono lettera mor­
ta o quasi, e pochi gli riconoscono d'essere stato uno
dei primi ad aprire, o riaprire, gli occhi.
Ad ogni modo, pur senza ipotecarlo, un 'ritorno
a Gide ' non è lontano, e ne sono la riprova le bio­
grafie e tutta una rete di saggi critici pubblicati in
ogni area letteraria dal '50 a oggi, oltre alle riedizio­
ni e traduzioni non allentate un po' di tutti i suoi
libri. Dire in quale direzione vada questa ripresa di
Gide, e con quali scelte nella sua opera abbastanza
diversa, non è del tutto prevedibile; quella 'disponi­
bilità ', che fu la sua divisa, direi che gli viene quasi
restituita dai nuovi lettori, che stentando ora a rin­
venirne la soggiacente univocità ed unità si sposta­
no da un libro all'altro tuttora a tastoni. Però a me
pare indicativo di un certo orientamento, se non pro­
prio di una precisa preferenza, che in Francia, tra le
non poche ristampe, si siano per la prima volta rac­
colti in un unico volume, nel 1969, sotto il titolo
Ne jugez pas, i suoi tre libri 'processuali ', Souve­
nirs de Cour d'Assises del '14, La séquestrée de
Poitiers e L'affaire Redureau, l'uno e l'altro del '30;
e che appunto quei tre libri siano stati pubblicati da
noi a breve intervallo, La sequestrata di Poitiers
(Adelphi) nel '76, Il caso Redureau (Selleria) nel
'78, e ora, a completare la piccola trilogia, sempre

XI
da Selleria, i Ricordi della Corte d'Assise, che - iso­
lati - erano già stati pubblicati da Longanesi nel '49.
George D. Painter, nella sua biografia, André
Gide ( 1968), riconosce che era d'ordine « sociale e
morale piuttosto che psicologico » l'interesse di Gide
per i casi giudiziari presi in esame come giurato vo­
lontario alla Corte di Rouen, dal 13 al 25 maggio del
'12; ed è forse questo innesto etico-sociale a deter­
minare, oggi più di ieri, anche il nostro interesse di
lettori, non refrattari agli scandali della giustizia e
cioè dell'ingiustizia. Ma Painter va troppo in là,
quando mettendo insieme i tre libri tira a concludere
che « il pendolo gidiano passava da Dostoevskij a
Marx», per la ragione evidente che Gide, nel '14,
né con Les caves né con i Souvenirs, non era certo
su posizioni marxiste. Anzi, nel gorgo della guerra
e nel solco delle conversioni di Duponey e più anco­
ra di Ghéon, attraversò tra il '15 e il '17 una delle
più squassanti crisi religiose, rivelata nel ' quaderno
verde ' di Numquid et tu?, dedicato a Charles Du
Bos, che di quella crisi fu più che un testimone. An­
che nel '24, quando ripropose i Souvenirs de Cour
d'Assises, dedicandolo non senza sorpresa e rumore a
Henri Béraud, il nome di Marx non era comparso
nel pantheon di Gide; e quando lo nomina nel
Journal, in una pagina del giugno del '33, è per di­
chiarare che « ce qui m'amène au communisme, ce
n'est pas Marx, c'est l'Evangile ». Soltanto, e appun­
to nel '3 3, ai suoi occhi i Souvenirs entrano di fianco
nell'avventura sua ed altrui del comunismo e del mi-

XII
to sovietico; ed è quando Vaillant-Couturier (la sto­
ria è venuta fuori dal secondo volume dei Cahiers
de la Petite Dame) vuole pubblicare a puntate su
« L'Humanité », come fosse un feuilleton, Les caves
du Vatican, e gli forza la mano, mentre Gide avrebbe
voluto cavarsela proponendo la ristampa dei Sou­
venirs, che a suo giudizio « avrebbero parlato in ma­
niera diretta » ai lettori dell'organo comunista. A
questo punto il discorso dovrebbe allargarsi alla con­
versione comunista di Gide, e di tutti quanti in que­
gli anni; ma, per fortuna, a ricostruire quell'avventu­
ra a più facce, generosa ed equivoca, ingenua ma ma­
novrata, pagata dagli onesti e sfruttata da troppi di­
sonesti, disponiamo ora del bel libro documenta­
tissimo di Herber R. Lottmann, The Left Bank
(1981), uscito anche in edizione francese, La Rive
Gauche (1981), e ne raccomando a buon profitto la
lettura.
Senza scomodare né Dostoevskij né Marx, e non
separando troppo la psicologia dalla sociologia e vi­
ceversa, i Souvenirs e gli altri due ' casi ' documen­
tati da Gide hanno netto e profondo valore di ' te­
stimonianza ', come del resto Gide stesso riconosce­
va anzi rivendicava più tardi nel Journal - 12 gen­
naio 1948: « Toutefois, lorsque besoin était de
témoigner, je n'avais nullement craint de m'enga­
ger »; e non a torto metteva sullo stesso piano il
Voyage au Congo (1927), Le retour du Tchad
(1928), Retour de l'Urss (1936), togliendo di mez­
zo ogni equivoco ed affermando che quei documenti

XIII
testimoniali « n'ont presque aucun rapport avec la
littérature ».
Allora, domandiamoci, è la non-letteratura, o me­
glio un'immagine più spoglia della letteratura, ad at­
tirarci verso i tre spaccati giudiziari di Gide, ed a
trascinarsi dietro i lettori, non più semplici ma più
semplificati, di oggi? Letteratura o no, ma è pur sem­
pre uno scrittore, cioè un " addetto ai lavori " che
mette mano a quelli che in altre mani resterebbero
unicamente documenti o anonimi 'fatti diversi '; e
la mano di Gide c'è, come c'era quella di Zola per
}'accuse o di Thomas Mann per Achtung, Europa!,
che non a caso nell'edizione francese del '3 7 por­
tava la prefazione di Gide. Mi si lasci aggiunge­
re, per venire a noi, che la mano di Sciascia non
manca mai nell'Affaire Moro, o negli Atti relativi
alla morte di Raymond Roussel e nella Scomparsa
di Majorana; ed a coloro che, in lui o in altri, da­
vanti a queste piéces à convinction, riscontrassero
o addirittura rimproverassero un calo d'arte, vorrei
ricordare la risposta, a gloria più che a discolpa, di
Malraux, nella prefazione a Le Temps du mépris
( 1935): « Ce n'est pas la passion qui détruit l'oeu­
vre d'art, c'est la volonté de prouver » -, o quanto
meno adattarla: infatti Malraux, allora, rispondeva a
quanti accusavano lui ed altri di non avere a misura
della sua arte l'esaltato 'distacco ' di Flaubert, e di
mettervi anzi un eccesso di passione; e non è la pas­
sione, controbatte Malraux, a distruggere l'arte, ma
un eccesso di volontà nel voler dare ed accrescere le

XIV
'prove ', o le giustificazioni, della propria passione.
Oggi, pur non sacrificando l'arte, non fosse altro per­
ché è la 'prova ' estrema e suprema della libertà, non
dovremmo avere più paura della passione e, quando
occorre, neppure del diritto-dovere di offrire, a nostro
rischio dell'arte e della vita, le ' prove', cioè le ragio­
ni più che le giustificazioni, delle nostre passioni, pri­
vate e civili, contribuendo così a fare cessare quella
che sempre Malraux chiamava l' « agonie de la fra­
ternité virile ».

Nella vita di un vero scrittore suona sempre l'ora


d'essere chiamato a fare scelte anche ultimative, a pa­
gare di persona per la verità contro le multiple mi­
stificazioni, a trovare e a dare le prove di ogni igno­
ranza, iniquità, ingiustizia: e, oggi e peggio, di tutte
le pseudoverità delle ideologie, di tutti insomma que­
gli « imperativi apparenti» che rendono quasi im­
possibile la pratica di ogni valore normale. Diceva il
Manzoni, nella premessa alla Colonna Infame, che il
vero scrittore non può « mescere al pubblico il suo
vino medesimo, e alle volte quello che gli ha già dato
alla testa»: il suo dovere naturale è di riportarlo alla
ragione, sottrarlo alle ubriacature altrui, e proprie.
La Colonna Infame è, in assoluto, l'esempio maggio­
re - anche ad altezza parallela morale e artistica -
dell'intervento di uno scrittore al rinvenimento, con­
tro un cumulo di mali e di errori, di una nuda verità,
fuori di ogni delirio, mettendo fine all'orrendo pri­
vilegio dei poeti passati « di profittare di tutte le ere-

xv
denze, o vere, o false, le quali fossero atte a pro­
durre un'impressione, o forte, o piacevole. Il privi­
legio! Mantenere e riscaldar gli uomini nel!'errore,
un privilegio! ». Ma, allora, i poeti « nessun credeva
che dicessero davvero»: ebbene, rompendo col passa­
to, il Manzoni intimava di dire, finalmente, la verità.
Da parte mia - scusate l'autocitazione - ripro­
ponendo, non a caso nel 1942, la Colonna Infame,
avevo tentato un riferimento a Gide e propriamente
ai Souvenirs, adombrando il sospetto che un eccesso
di « carica morale », e di « una luce tutta proiettata
da una sola sorgente », poteva indurre a ritenere che
la resa artistica potesse venirne diminuita o almeno
rallentata: allora, anch'io ero vittima giovanile di ta­
lune tirannie dell'arte; ma oggi me ne vergognerei,
ed a rinuncia anche del!'arte la precedenza, il prima­
to va - come suggeriva il Manzoni nella famosa let­
tera ad Adolphe de Circourt - a quel che è sembrato
« vrai et important à la conscience ». « Alla sua co­
scienza, alla nostra », deduce e conclude Sciascia nel­
la Nota alla sua recentissima riedizione, presso Sel­
leria, della Colonna. «Alla nostra di oggi, alla no­
stra di fronte alla ' cosa ' e alle cose di oggi ». E
Sciascia ribadisce quel che aveva riconosciuto Renzo
Negri, nella sua prefazione alla Colonna, e cioè che
il Manzoni in quell'opera apparentemente minore, ma
che fa da sigillo di fuoco agli stessi Promessi Sposi,
ha di fatto anticipato « il ' genere ' del!'odierno rac­
conto-inchiesta di ambiente giudiziario»: appunto,
da Gide a Sciascia.

XVI
Gide, aprendo i Souvenirs de Cour d'Assises,
confessa: « De tout temps les tribunaux ont exercé
sur moi une fascination irrésistible. En voyage, qua­
tre choses surtout m'attirent dans une ville: le jardin
public, le marché, le cimitière et le Palais de Justi­
ce »; e nel lontano maggio del '12, dal 13 al 25
maggio, Gide affrontò di propria scelta l'esperienza
di sedere sul banco dei giurati, dove una cosa è ascol­
tare un verdetto, altra cosa aiutare di persona a ren­
dere giustizia, mentre dal profondo della coscienza
sale la parola di Cristo: Nolite judicare. Ho già det­
to che Gide ha intitolato Ne jugez pas la raccolta dei
tre racconti giudiziari; ed è facile aggiungere, senza
togliergli l'onore d'essere sempre stato uno scrittore
sotto accusa, che tutta l'opera di Gide non è stata
se non un infinito processo, un continuo giudizio più
di se stesso che degli altri. Non è stata, quindi, un
esercizio letterario questa sua volontaria esperienza
di giudice. Leggere i Souvenirs è domandarci incef­
santemente se è lecito giudicare, e perché, e come;
d'altra parte, a quale titolo potremmo sottrarci ad un
giudizio, dal momento che per ogni uomo vero sa­
rebbe delitto non sottostare ad un ininterrotto esame
di coscienza? Dov'è la colpa, dentro l'uomo o fuori
nella società? E nel gesto del singolo, dove finisce o
inizia la responsabilità di tutti?
Sono queste, ed altre, le domande mai smesse che
Gide rivolge ad ognuno nel corpo vivo di una galle­
ria di personaggi e di casi. Perché è stata violata, e
con incesto, una piccola di neppure sei anni? Perché

XVII
Berta ha commesso un infanticidio? Perché da un in­
contro di due sbandati, viene fuori uno stupido de­
litto? Quasi tutto quel che è scritto e trascritto nei
Souvenirs è materia quasi da ' processo a porte chiu­
se ', ma Gide le spalanca, le scardina; ed anche i giu­
dici, i giurati, lui stesso, passano sotto processo. Di­
re che Gide, per strade sue, qui raggiunge e magari
anticipa un po' Kafka, o che almeno gli è affine nella
tortura della coscienza, non è fuori posto. Si vadano
a leggere nel Journal le note di lettura proprio del
Processo, 29 agosto 1940: « Je relis Le Procès de
Kafka avec une admiration plus vive encore, s'il se
peut, que lorsque je découvris ce livre prestigieux »;
l'aveva letto nel '34, appena tradotto da Vialatte e
prefato da Groethuysen, ed era andato a casa di
]ulien Green a leggergliene entusiasticamente alcuni
passi; poi, nel novembre del '45, trascinato da Bar­
rault, mette addirittura mano con lui ad un adatta­
mento teatrale del Processo, che viene pubblicato da
Gallimard nel '47.

Forse, intorno a questi Souvenirs, mi sono la­


sciato andare a fare troppi nomi, da Manzoni a Kafka;
ma non mi tiro indietro. Non sono confronti, sono
richiami. E inoltre sul Gide di questi Souvenirs -
che a quasi settant'anni di distanza restano un'ope­
retta ancora di provocazione e, più a fondo, di rie­
ducazione, tanto è vero che la sua lezione durevole è
questa: « qui come altrove, la violenza delle convin­
zioni è direttamente proporzionale alla mancanza di

XVIII
cultura e alla inettitudine alla critica » - è giusto far
pesare, tra richiami e confronti, tutta la sua opera,
che comunque venga oggi giudicata ha sempre fatto
i conti - buona e/o cattiva - con la coscienza: che è
pur sempre l'unico tribunale dove in seduta congiun­
ta si interrogano Dio e l'Uomo.

GIANCARLO VIGORELLI

XIX
Ricordi della Corte d'Assise
Rouen, maggio 1912

I tribunali hanno sempre esercitato su di me un


fascino irresistibile. Quando viaggio, in una città,
quattro cose soprattutto mi attirano: i giardini pub­
blici, il mercato, il cimitero e il tribunale.
Ma oggi so per esperienza che una cosa è ascol­
tare un verdetto, un'altra aiutare di persona a render
giustizia. Quando uno è fra il pubblico può crederci
ancora. Seduto sul banco dei giurati, ripete a se stes­
so la parola di Cristo: « Non giudicate ».
Certo, sono persuaso che una comunità non può
fare a meno di tribunali e di giudici; ma a che punto
la giustizia umana sia dubbia e precaria, l'ho potuto
sentire per dodici giorni consecutivi, sino all'angoscia.
E ciò, spero, apparirà un po' da queste note.
Tuttavia, anche per temperare le critiche che
traspaiono dai miei resoconti, dichiaro subito che du­
rante le sedute del tribunale sono stato soprattutto
colpito dalla coscienza con la quale, sia giudici che
avvocati e giurati, adempivano tutti alla loro funzio-

3
ne. Più d'una volta ho sinceramente ammirato la pre­
senza di spirito del presidente e la sua competenza in
ogni singolo caso; i suoi interrogatorii incalzanti; la
fermezza e la moderazione dell'accusa; la concisione
e la gravità della difesa; l'assenza di ogni vana elo­
quenza; l'attenzione dei giurati, in fine. Sperare di
più, non l'avrei potuto, lo confesso; ma questa è sta­
ta una ragione di più per porgere meglio l'orecchio a
certi stridori tremendi di tutta la macchina giudi­
ziaria.
Certo, col tempo, verranno introdotte riforme, sia
per quanto riguarda i giudici e la procedura, sia per
quel che concerne i giurati...

4
I

Lunedl, maggio 1912

Si procede all'appello dei giurati. Un notaio, un


architetto, un maestro in pensione; tutti gli altri so­
no stati scelti tra i commercianti, i bottegai, gli ope­
rai, gli agricoltori e i piccoli proprietari. Di tutta
questa gente, uno sa a malapena scrivere, tanto che
si farà fatica a distinguere il sì e il no nelle sue sche­
dine di votazione. Ma a parte due menefreghisti, che
del resto si faranno sempre ricusare, ognuno sembra
ben deciso a metterci tutta la propria attenzione e la
propria coscienza.
Gli agricoltori, che sono i più numerosi, sono
decisi a mostrarsi molto severi; le tragiche imprese
dei banditi, Bonnot, ecc., si sono imposte all'opinio­
ne pubblica : « Soprattutto nessuna indulgenza », è
la parola d'ordine lanciata dai giornali; e questi ,,i­
gnori giurati che rappresentano la società sono ben
decisi a difenderla.
Uno di essi manca all'appello. Non ha mandato
la lettera di scuse; nulla giustifica la sua assenza. È

5
condannato alla multa regolamentare : trecento fran­
chi, se non sbaglio. Già si estraggono a sorte i nomi
di quelli che dovranno presenziare alla prima seduta,
ed ecco arrivare, tutto sudato, il giurato mancante : è
un povero vecchio contadino uscito dalla Cagnotte
di Labiche. Risate generali, quando spiega che da
mezz'ora stava girando intorno al Palazzo di Giusti­
zia senza riuscire a trovare la porta d'entrata. La mul­
ta gli viene revocata.

Per l'assurdo timore di farmi troppo notare, non


ho preso un appunto sul primo processo; un oltrag­
gio al pudore ( ne dovremo giudicare cinque). L'im­
putato è assolto ; non perché non persistano dubbi
sulla sua colpevolezza, ma perché i giudici ritengono
che non sia il caso di condannarlo per così poco. In
questo processo non faccio parte della giuria, ma du­
rante la sospensione della seduta ne sento parlare da
quelli che vi hanno partecipato : alcuni si mostrano
addirittura sdegnati che si disturbi la Corte per ba­
gattelle che, a quanto dicono, vengono commesse ogni
giorno e in ogni luogo.
Non so che procedura abbiano seguito per otte­
nere l'assoluzione, pur riconoscendo l'imputato col­
pevole delle colpe attribuitegli. Vuol dire che la mag­
gioranza, contro la verità dei fatti, ha scritto No sulla
schedina di votazione in risposta alla domanda: « X...
è colpevole di... ecc... ». Ma è un caso sul quale tor­
neremo; e per parlarne più ampiamente, aspetto che
si presenti l'occasione di un altro processo nel quale

6
io stesso abbia fatto parte della giuria. E devo dire di
avere visto coi miei occhi l'imbarazzo e l'angoscia di
parecchi giurati di fronte a un questionario fatto
con tali domande e risposte, che sono spinti tutti
a votare contro la verità, per ottenere in cambio quel
ch'essi credono debba essere la giustizia.

Il secondo processo di questa prima giornata mi


porta sul banco dei giurati. Ho davanti a me gli im­
putati Alfonso e Arturo.
Arturo è un giovane lestofante dai baffetti sottili,
la fronte spaziosa, lo sguardo un po' imbambolato ;
ha l'aria di un Daumier. Dice di essere garzone nel
negozio di un certo signor X ... ; dalle indagini risulta
invece che il signor X ... non ha negozio.
Alfonso è « rappresentante di commercio »; in­
dossa un soprabito nocciola a larghi risvolti di seta
più scura; capelli impomatati, castano scuri ; faccia
sanguigna ; occhi languidi; grossi baffi; un'aria mafio­
sa e arrogante; anni trenta. Vive a Le Havre, con la
sorella di Arturo ; i due cognati sono legati intima­
mente già da molto tempo; l'accusa ricade egualmente
su entrambi.
È una faccenda piuttosto confusa : si tratta anzi­
tutto di un furto abbastanza importante di pellicce,
poi di uno scasso senza altra conseguenza, oltre al
saccheggio, che la sottrazione di una stecca di ta­
bacco da tre franchi e di un libretto di assegni inuti­
lizzabile. Non si riesce a ricostruire il primo furto
e le prove sono così incerte che l'accusa si basa piut-

7
tosto sul secondo; ma, anche qui, niente di preciso;
si collegano tra loro fatti quasi insignificanti, si fan­
no supposizioni, induzioni.
Nel dubbio, l'accusa coinvolge l'uno e l'altro im­
putato; ma il loro sistema di difesa è diverso. Al­
fonso è padrone di sé, ha cura del suo atteggiamento,
ride spiritosamente a certe battute del presidente.
- Lei fumava sigari molto grossi?
- Oh, - risponde sdegnosamente - sigari da ven-
ticinque centesimi !
- Non era precisamente cosi quel che ha depo­
sto in istruttoria - gli dice più tardi il presidente. -
Perché non ha continuato a negare?
- Perché ho visto che mi tiravo addosso delle
seccature . . . - risponde ridendo .
È assolutamente padrone di sé e sa dosare con
molta abilità le prove a discarico. Sono molto dubbie
le sue mansioni di « piazzista » . Lo si dice « l'aman­
te » di una zitella sessantenne. Protesta: - È una
madre, per me.
L'impressione nella giuria è sfavorevole. Se ne
rende conto l'imputato? La fronte, a poco a poco, gli
si fa lucida di sudore . . .
Arturo non è più simpatico del compare. L'opi­
nione della giuria è che, dopo tutto, se non è ben
certo ch'essi abbiano commesso questi furti, devono
averne commessi altri; oppure che ne commetteran­
no; dunque, è meglio metterli dentro.
Tuttavia, noi dovremmo condannarli soltanto per
questo furto.

8
- Come avrei potuto commetterlo - dice Arturo -
se quel giorno non ero a Le Havre?
Ma nella camera della sua amante sono stati tro­
vati i frammenti di una cartolina illustrata scritta da
lui, che porta il timbro di Le Havre del 30 ottobre,
giorno in cui è stato commesso il furto.
Ecco come Arturo si difende:
- Io - dice in sostanza, - quel giorno ho spedito
non una, ma due cartoline alla mia amante; e siccome
le cartoline erano un po' « spinte » (infatti riprodu­
cevano l'Adamo e l'Eva della cattedrale di Rouen),
le avevo messe, a faccia a faccia, dentro un'unica bu­
sta trasparente, dopo aver scritto l'indirizzo su tutte
e due e aver lacerato la busta là dove è segnata a trat­
teggi la casellina dei francobolli per permetterne la
doppia timbratura. Si vede che in partenza, un solo
francobollo è stato timbrato. All'arrivo a Le Havre,
l'impiegato postale ha timbrato l'altro: è per questo
che la cartolina porta solo il timbro di Le Havre.
Questo, almeno, è quanto sono riuscito a capi­
re dalle sue confuse proteste, ostacolate via via dal
presidente che si è già formato un'opinione in propo­
sito e sembra deciso ormai a non voler ascoltare più
niente. Faccio molta fatica a capire, persino a distin­
guere ciò che dice Arturo, interrotto continuamen­
te, e che finisce per balbettare. Non riesce a inte­
ressare neanche i giurati, che alla fine rinunciano ad
ascoltarlo.
Eppure la sua tattica di difesa regge, tanto più
se si pensa che un abile teppista come ha l'aria di es-

9
sere Arturo, difficilmente avrebbe lasciato dietro di
sé, anzi, creato a bella posta, una prova così schiac­
ciante, proprio la sera del furto. E per di più, se era
davvero a Le Havre, che bisogno aveva di scrivere
alla sua amante, a Le Havre, quando avrebbe potuto
benissimo andare a trovarla?
So che i giurati, senza intervenire direttamente
nei dibattiti, hanno però il diritto di chiedere al
presidente di rivolgere agli imputati o ai testi questa
o quella domanda che stimano opportuna per chiarire
i dibattiti o per confermarsi in un'opinione persona­
le che tuttavia non devono lasciar trapelare ... Devo
usare di questo diritto? Non potete immaginare co­
me mi sentivo turbato al pensiero di alzarmi e chie­
dere la parola davanti alla Corte ... Se mi dovesse
succedere di « deporre », certo mi troverei smarrito :
e se dovessi trovarmi sul banco degli accusati, sareb­
be ancora peggio ! La seduta sta per essere tolta : non
mi resta che un istante. Faccio appello a tutto il mio
coraggio, perché sento che se ora non trionfo sulla
mia timidezza, non saprò più farlo per tutta la durata
della sessione, e con voce malferma dico :
- Signor presidente, vuole avere la cortesia di
chiedere all'impiegato postale che ha deposto poco
fa, se il timbro della posta in partenza è sempre di­
verso dal timbro della posta in arrivo?
Perché mi sembra che se si potesse provare che
il timbro è stato fatto all'arrivo, come sostiene Ar­
turo, e non alla partenza, come sostiene l'accusa , il
capo d'accusa cadrebbe.
Il presidente, che non ha seguito i ragionamen­
ti confusi di Arturo, resta visibilmente sconcertato
dalla mia domanda; tuttavia, richiama il teste.
- Ha sentito la domanda del signor giurato?
Favorisca rispondere.
Allora l'impiegato si butta in una lunghissima
spiegazione che vuole dimostrare come non ci sia
possibilità di confusione nella timbratura della cor­
rispondenza, perché l'arrivo e la partenza avvengono
in ore diverse; e che del resto le lettere in arrivo e
quelle in partenza vengono timbrate in uffici separati,
ecc... Ma non risponde all'unica cosa che mi stava a
cuore; cosl siamo al punto di prima e non sappiamo
se su quel frammento di cartolina è stato possibile
riconoscere con assoluta evidenza un timbro di par­
tenza e non di arrivo. Comunque, il teste ha final­
mente terminato la sua deposizione.
- È soddisfatto, signor giurato?
Cerco di formulare un'altra domanda, più incal­
zante della prima. Posso intanto dire che non sono
soddisfatto, che il teste non ha affatto risposto alla
mia domanda? Mi è facile capire che non solo il pre­
sidente, ma nessuno dei giurati ha capito il senso
della mia domanda ; o almeno nessun giurato ha ca­
pito perché l'avevo posta. La spiegazione data da
Arturo non l'ha seguita nessuno; e io stesso sono
riuscito a stento a seguirla. Arturo ha una brutta
faccia, un fisico ingrato, una voce spiacevole, non ha
saputo farsi ascoltare. Oramai il giudizio è fatto, e

11
anche se per caso si venisse a scoprire che neppure la
cartolina è stata scritta da lui...
- La seduta è tolta.
Più tardi, in sala di consiglio.
I giurati sono unanimi; decisamente maldisposti
verso i due imputati, senza fare differenze e senza
voler distinguere l'uno dall'altro. Teppisti, questo è
certo, e banditi in erba, che aspettano solo l'occa­
sione propizia per servirsi della rivoltella o del tira­
pugni ( forse troppo distinti per usare il coltello). Ma
per quanto riguarda i furti dei quali dovevano ri­
spondere, non si sono raccolte prove sufficienti per
accertare la loro colpevolezza, tranne qualche circo­
stanza, che essi considerano come fortuite coinciden­
ze; e nella requisitoria non era emerso nessun dato
di fatto assolutamente positivo che potesse convincere
i giurati. Senza dubbio sono rei, ma forse non preci­
samente di questi delitti. Vi sembra verosimile, an­
zi ammissibile, che a Trouville, dove tutti lo co­
noscevano, lungo via Parigi, così frequentata, a un'ora
non tarda, vi sembra possibile che Alfonso abbia po­
tuto trasportare, senza dare nell'occhio, un enorme
involto che su per giù avrebbe dovuto esser largo
un metro e alto due? ( Qui si tratta del primo furto,
quello delle pellicce).
E dopotutto, per quanto teppisti, non erano ban­
diti; voglio dire ch'essi approfittavano della società,
ma che non si erano ancora ribellati ad essa. Cerca­
vano di fare del bene a se stessi, più che fare dd
male agli altri, ecc... Così dicevano i giurati più pro-

12
pensi a una severità moderata. Per farla breve, fu­
rono d'accordo nel condannarli, ma non eccessiva­
mente; e finirono a riconoscere la colpevolezza senza
attenuanti, ma anche senza aggravanti. Queste ulti­
me potevano derivare dalla risposta a queste do­
mande: « Il furto è stato commesso di notte? . . . con
complici? . . . in un luogo abitato? . . . con chiavi false
o scasso ? ».
E poiché era evidente che se un furto fosse stato
commesso, non avrebbe potuto esserlo che in quelle
date circostanze, i giurati, come logica conseguenza,
e nonostante quello che si erano ripromessi, si tro­
varono tutti trascinati a rispondere sì ad ogni do­
manda.
- Ma, signori - diceva un giurato ( il più giova­
ne, che sembrava avere qualche rudimento di istru­
zione) - rispondere no a queste domande non signi­
fica credere da parte vostra che non ci sia stato scas­
so, che il furto non sia avvenuto di notte, ecc. ; si­
gnifica soltanto che voi non volete prendere in con­
siderazione questo capo d'accusa.
Questo ragionamento era superiore alla loro in­
telligenza.
- Non dobbiamo sottilizzare - diceva uno. -
Dobbiamo semplicemente rispondere alla domanda :
« Il furto è stato commesso di notte? ».
- Ma non possiamo rispondere no - dicevano
gli altri.
E per quanto nell'urna si trovasse poi qualche no ,
la grande maggioranza aveva votato per il sì.

13
Così che tutti quelli che si erano ripromessi di
votare semplicemente: colpevole, ma senza circostan­
ze né attenuanti, né aggravanti, si trovarono quasi co­
stretti a votare le « attenuanti » per bilanciare l'ec­
cessività delle « aggravanti » che avevano dovuto ac­
cettare, data l'impostazione delle domande.
E subito dopo, in coro:
- Ah, bella roba abbiamo fatto ! È una vergogna!
Non li puniranno abbastanza ! Circostanze attenuan­
ti ! Ma è mai possibile ! Se almeno ci avessero lasciato
votare colpevoli, e basta! ...
Con grande sollievo di tutti il tribunale decretò
una pena abbastanza grave ( sei anni di prigione e
dieci di interdizione di soggiorno) tenendo conto il
meno possibile del verdetto della giuria.

Ho descritto con una certa minuzia la perples­


sità, l'imbarazzo che regnano nella sala della giuria;
li ritroveremo, su per giù uguali, in tutte le delibe­
razioni successive. Le domande sono poste in modo
tale che raramente il giurato può votare come vuole,
e quel che gli sembra giusto. È questo un punto sul
quale voglio ritornare.

Esco poco soddisfatto da questa prima seduta.


Quasi sono contento che Arturo non mi ispiri sim­
patia, altrimenti non dormirei tranquillo. Non im­
porta ! Ma mi è sembrato mostruoso che non si sia
voluto prestare attenzione alla sua difesa. E quanto
più ci rifletto, tanto più mi pare plausibile.. . In

14
questo momento mi viene in mente ( come ho fatto a
non pensarci prima? ) che se la cartolina di Arturo, o
cioè, stando alla sua versione, se le due cartoline
unite erano affrancate su tutte e due le parti della
busta, bastava che ogni francobollo fosse di 5 cente­
simi; e che, reciprocamente, se il francobollo trova­
to sul frammento della cartolina era di 5 centesimi,
ce ne doveva essere anche un altro . Anche il fran­
cobollo da 1 O centesimi non potrebbe dimostrare che
Arturo è in colpa, perché egli avrebbe potuto in­
trodurre le due cartoline nella busta, dopo averle
affrancate in precedenza . . . ma il francobollo da 5 cen­
tesimi dimostrerebbe che Arturo ha ragione.
Domani voglio chiedere al procuratore generale,
che fortunatamente conosco, il permesso di esaminare
il frammento di cartolina che si trova nell'incarta­
mento di Arturo .

Martedl

Passando dalla portineria, il portiere mi ferma e


mi dà una lettera inviata dalla prigione. È di Arturo.
Come ha fatto a sapere il mio nome ? Gliel'avrà detto
il suo avvocato, senza dubbio.
Certo, quella mia domanda durante l'interrogato­
rio lo ha fatto sperare che io mi interessassi al suo
caso, che dubitassi della sua colpevolezza, che forse
l'avrei aiutato . . .
Mi supplica di usare del mio diritto, di farmi

15
autorizzare ad andare in cella : deve dirmi cose im­
portanti, ecc.
Prima voglio vedere il suo incartamento ; se il
frammento di cartolina non è sufficientemente af-
francato, esporrò il mio dubbio al procuratore.

Dopo la seduta, ho potuto consultare l'incarta­


mento: la cartolina ha un francobollo da 1 0 centesi-
mi . Cosl rinuncio.
Eppure oggi, ragionando, mi dico che se ci fos­
sero stati due francobolli da 5 centesimi, l'impiegato
postale, alla partenza, li avrebbe timbrati entrambi:
mentre se l'affrancatura su una parte della busta fos­
se già stata sufficiente, non avrebbe fatto caso al­
l'altro francobollo, che infatti fu timbrato soltanto
all'arrivo...

16
II

Anche la seconda giornata si apre su un proces­


so di « oltraggio al pudore » . Il presidente dà ordini
che si svolga a porte chiuse; e mettendo in atto per
la prima volta le disposizioni di una recente circo­
lare del ministro di Grazia e Giustizia, vengono al­
lontanati dall'aula, con loro vivo disappunto, an­
che gli agenti dell'ordine pubblico. Infatti questa sag­
gia circolare dice: « La loro presenza non sembra del
resto indispensabile [ sic] perché l'aula è vuota, e
per la sorveglianza all'imputato bastano i gendarmi
di scorta » .
Perché non si possono fare uscire anche i bam­
bini? Invece no! Purtroppo devono deporre : prima
la bambina violentata; poi il fratello che ha dieci an­
ni, qualche anno di più della sorellina. Per pietà, si­
gnor presidente, cercate di abbreviare gli interroga­
torii . . . Che bisogno c'è di insistere, dal momento
che i fatti sono noti, che il medico ha fatto le con­
statazioni necessarie, e che l'imputato ha confessato
tutto ? Disgraziato! È Il, coll'abito a brandelli, brutto,
mingherlino, con la testa rapata, e ha già l'aria del
galeotto : ha vent'anni, ma è così patito che sembra

17
appena un adolescente entrato da poco nella pubertà.
Ha in mano un foglio di carta ( credevo che fosse
proibito), un foglio scritto da cima a fondo, e lo leg­
ge e lo torna a leggere con angoscia; certo, cerca di
imparare a memoria le parole che l'avvocato avrà
suggerito.
Le informazioni raccolte su di lui sono pessime ;
frequenta alcuni pregiudicati e bazzica certi caffè
malfamati. Nel casellario egli risulta già condannato
a otto giorni per abuso di fiducia e a un mese per
furto. Adesso è accusato di stupro, per avere « del
tutto violentata » la piccola Y.D... di anni sette.
- No, non ho proprio rotto ... - protesta l'im-
putato.
- Poche storie, di' quello che hai fatto.
- Suo fratello mi aveva mandato a vedere cosa
faceva la bambina. L'ho presa per metterla sul letto.
- Non è precisamente questo ciò che il fratel­
lino attendeva da te, quando ti ha mandato a sorve­
gliare sua sorella.
- L'ho tirata giù dal letto. L'ho messa in terra...
- Su, dunque ! Cosa aspetti per parlare ? Con-
tinua.
- Ho sbottonato i calzoni, e gliel'ho messo
dentro.
- E tu addosso... hai cominciato a fare un movi­
mento in su e in giù, per molto tempo, ha detto la
bambina.
- Oh ! no, signor presidente ; non più di dieci
minuti .

18
- La bambina si dibatteva?
- Non troppo .
- E dopo sei andato a prenderti un pezzo di
pane .
A questa accusa, segue, con inutile veemenza, la
protesta dell'accusato.
No, questo proprio no; il pane non l'ho toc-
cato !
Be', non importa . Ti sei sentito subito stanco ,
hai infilato il dito nelle parti della bambina, tanto
per tenertela stretta accanto, ti sei sdraiato sul letto
del fratellino e ti sei addormentato . Perché sul letto
del fratello ?
- Non lo so .
Una pausa; poi il presidente riprende, senza en­
fasi, su un tono di rimprovero quasi dolce, molto ap­
prezzato dai giurati :
- Ma allora, ragazzo mio, sai di avere fatto una
brutta cosa?
- Lo so, lo so anch'io.
- Non hai nient'altro da aggiungere? Qualche ri-
morso da metter fuori?
- No, signor presidente .
Per me è evidente che l'imputato non ha sen­
tito la seconda domanda, oppure ha risposto solo alla
prima . Ma un mormorio di indignazione percorre il
banco dei giurati e si propaga a quello degli avvocati .
In questo momento l 'avvocato difensore fa chie­
dere se undici anni fa l'imputato non fu ricoverato
all'ospizio . Si accerta che è vero .

19
Vengono chiamati i testimoni: per prima la mam­
ma della bambina; ma non ha visto niente, e tutto
quello che può dire è che, di ritorno dal lavoro,
ha tr�>Vato la piccola in strada tutta piangente e ha
cominciato coll'allungarle due scappellotti.
Ora è il turno della bambina. 1 È pulita e grazio­
sa; ma si vede che lo schieramento giudiziario, que­
sti banchi, questa aria solenne, questa specie di trono
dove sono seduti tre vecchi signori vestiti in maniera
così bizzarra, la spaventano.
- Su, bambina, non aver paura, vieni, vieni
avanti.
E, come ieri l'altra bambina, la fanno salire su
una sedia perché si trovi allo stesso livello dei seggi
della Corte, e il presidente possa sentire bene le sue
risposte. Egli le ripete subito, a voce alta, per l'edifi­
cazione dei giurati. Vediamo la bambina di schiena :
essa trema; e questa volta non è il riso, ma è il sin­
ghiozzo a scuoterla. La bambina prende un fazzoletto
dalla tasca del suo grembiulino.
Questo interrogatorio è davvero atroce. Quanta
inutile insistenza per sapere quello che l'altro le ha
fatto, dal momento che tutti lo sanno in lungo e in
largo ... La bambina, del resto, non può rispondere,
o soltanto a monosillabi.
Ti è uscito sangue?
Sl.
Molto ?
Sì... Mi ha tappato la bocca.
Ti ha tappato la bocca. Perché?

20
- Perché gridavo.
- Perché gridava.
La voce della bambina è così debole, che il pre­
sidente per sentirla si china e mette la mano a ven­
tola dietro all'orecchio. Poi si raddrizza, e rivolto
alla giuria:
- In istruttoria la bambina ha detto che l'altro
le aveva mostrato « il suo arnese » e che le aveva
fatto « molto male ».
Spero che sia finita; invece no: è di turno il fra­
tello ( dieci anni).
Presidente : Che cosa fai, tu?
Vado a scuola. ( Sorrisi).
Di' quello che sai. Che cosa hai visto?
L'ho visto che si tirava su i calzoni...
Continua.
Ha detto che ritornava dal gabinetto.
La tua sorellina cosa stava facendo quando
sei tornato?
- Spezzava un pezzo di pane ... Gli sono corso
dietro.
- Bravo ragazzo ! Gli sei corso dietro perché av;!­
va picchiato la tua sorellina?
- Ma non l'ho mica preso io. È stato un altro.

L'avvocato di questa penosa storia ha trascurato


di convocare a tempo debito i testimoni a discarico.
Comunque, in virtù del potere discrezionale del pre­
sidente si ascolta la deposizione della signora X.. ,
una povera ortolana che ha virtualmente adottato

21
quel povero disgraziato perché, come dice lei, « sua
sorella ha avuto un bambino da mio figlio ».
La signora X ... è paonazza in volto, ha il collo
grasso come una coscia ; un buffo cappellino guarnito
di nastri sui capelli tirati e lucidi che lasciano com­
pletamente scoperte le orecchie. Una fascia nera le
attraversa la fronte; ha il braccio sinistro al collo,
fasciato di stracci. Piange. Con voce patetica supplica
la Corte di avere indulgenza per quel povero ragazzo
« che non sa cosa sia la felicità ». Lo descrive come
figlio di alcolizzati, coperto di botte in casa; « lo fa­
cevano dormire nel gabinetto »; basta guardarlo per
vedere che è rimasto un bambino; si diverte con le
figurine, gioca alle bilie, alla trottola. Ma già un'altra
volta aveva tentato di « buttarsi sulla bambina », che
si era difesa morsicandogli un orecchio. Dalla pri­
gione scrive lettere sconclusionate alla ortolana. La
buona donna leva dalla tasca un fascio di lettere e
singhiozza.
L'interrogatorio è terminato. L'infelice si sforza
come può di seguire la requisitoria del procuratore
generale, e si vede che di tanto in tanto riesce a ca­
pire il senso di qualche frase. Ma tra poco capirà, e
come, di essere condannato a otto anni di carcere.
Nel frattempo il presidente ci informa che, se­
condo la confessione del ragazzo in istruttoria, « quel­
la era la prima volta in cui aveva avuto contatti
sessuali ».
Ecco dunque tutto quello ch'egli avrà conosciu­
to dell'« amore ».

22
Il secondo processo di questa seconda giornata
porta sul banco degli imputati un giovanotto di venti
anni dal viso dolce, un po' malinconico, senza malizia.
Marceau ha perso la madre quando aveva quattro
anni, non ha conosciuto il padre, è stato allevato nel­
l'orfanotrofio. Prima ancora di avere compiuto i se­
dici anni, aveva lavorato in due posti, come mecca­
nico; ricercato per furto, era stato condannato dal
tribunale di Yvetot a sei mesi di prigione col bene­
ficio della legge Béranger.
In seguito alla condanna, il meccanico presso il
quale lavorava lo licenziò; da allora lavora ancora,
ma dove trova, cambiando spesso padrone e mestie­
re, ha fatto di volta in volta il garzone di stalla, lo
scaricatore, il meccanico. I padroni non hanno nessun
motivo di lagnanza; soltanto trovano che ha « il ca­
rattere un po' cupo ».
Fatto ardito dalla mia domanda del giorno pri­
ma, mi azzardo a chiedere al presidente cosa abbia
inteso dire il teste con quella frase.
Teste : Voglio dire che se ne stava per conto
suo e non andava mai a bere o a divertirsi con gli
altri.
Attualmente Marceau era debitore di: quaranta­
cinque franchi a un negoziante di biciclette; settan­
ta franchi alla lavandaia; sette franchi al calzolaio.
Coi suoi miseri guadagni come potrebbe cavarse­
la senza rubare ? . . .

Il suo primo furto egli l'aveva già compiuto

23
« con premeditazione ». Risulta, dalle indagini fatte,
che la domenica precedente aveva comperato una can­
dela; poi, alla vigilia del furto, aveva sottratto al pa­
drone un cacciavite, che gli servi per aprire il cas­
setto dove erano riposti i trentacinque franchi ch'egli
prese.
Il reato che oggi dobbiamo giudicare richiedeva
una più attenta preparazione. O almeno, un primo
tentativo andato a vuoto servi, in un certo senso, da
prova generale.
La notte del 26 marzo, Marceau si introduce per
la prima volta in una casetta isolata di '� * * , abi­
tata dalla vecchia signora Prune e dalla sua cameriera .
Rompe un vetro alla finestra della sala da pranzo,
al pianterreno ; apre la finestra, entra nella stanza .
Sperava, come ha confessato, di trovare il danaro in
un cassetto della cucina ; ma la porta della cucina
è chiusa a chiave ; dopo aver tentato invano di aprirla,
Marceau se ne va , ripromettendosi di ritornare l'in­
domani con l'occorrente.
Il 27 marzo, nel pomeriggio, temendo che il
vetro rotto avesse destato allarme, prende la biciclet­
ta e ritorna a * * * ; per strada, vede un pezzo di ferro
da cavallo; se lo mette in tasca pensando che potrà
essergli utile. Dimenticavo di dire che, il giorno pri­
ma, si era fornito di una candela che era andato a
comperare a Grainville. Quel giorno, Marceau girò
un po' intorno alla casa, vide che tutto era tranquil­
lo e, non so come, si rese conto che nessuno aveva
avuto sospetti, cosa che risultò poi vera.

24
L'interrogatorio dell'imputato è sufficiente a rico­
struire il fatto. Marceau non cerca di difendersi, e
nemmeno di scusarsi ; ammette di avere fatto quel che
ha fatto, come se non avesse potuto non farlo. Si di­
rebbe che è già rassegnato a diventare un criminale.
Eccolo dunque a * * * , la notte del 27 marzo,
alla stessa ora del giorno prima. La finestra alla quale
aveva dato la scalata il giorno prima è rimasta aper­
ta ; è di 11 che si introduce nella sala da pranzo. Ma
poiché questa sera le sue intenzioni sono serie, ha
cura di chiudere dietro di sé le imposte . Ha in mano
il fanale della bicicletta, ma è un fanale che non sta
in piedi; come posarlo ? . . . gli è d'impiccio, e appena
arrivato in cucina, lo sostituisce con un candeliere .
Ecco, fruga nei cassetti : undici soldi ! Non vale la
pena di prenderli. Sale al primo piano.
Al primo piano la signora Prune e la cameriera
occupano le due camere a destra : nella due camere
a sinistra alloggiano, quando capitano, dei viaggia­
tori. Movendosi con circospezione, Marceau si assi­
cura che queste due camere siano vuote : ha in mano
un coltello a punta, trovato in un cassetto della
cucma.
Presidente : Per quale ragione ha preso quel
coltello?
Marceau : Per infilarlo nella pancia della serva.
Ma la stanza della cameriera è chiusa a chiave ;
Marceau cerca di aprirla ; ma, sentendo rumore nella
camera della vecchia, corre a nascondersi in una delle
stanze vuote . Soffia sulla candela, e mentre si china

25
per posare in terra il candeliere, gli cade il coltello
che teneva infilato nella camicia; e, al buio, non rie­
sce a ritrovarlo. Quando torna nel corridoio, e s'im­
batte nella vecchia, è disarmato: una fortuna per
tutti e due.
Si presenta a deporre la signora Prune. È una
vecchietta esile, di ottantun anno, molto dignitosa;
si regge a stento e si volta a domandare una sedia;
gliela portano, siede accanto alla sbarra.
- Dunque, avevo sentito uno scricchiolio, giù
da basso. « Mio Dio », mi dico, « cosa c'è?. .. ». An­
cora un rumore. C'è la grandine? Mi alzo. Apro la
finestra che dà sul giardino; ma non vedo niente.
Torno a letto. Ed ecco che ricomincia uno scricchio­
lare sordo. Torno ad alzarmi. Più niente. Vado di
nuovo a letto. La mia pendola faceva mezzanotte.
Quando vedo filtrare una luce, da sotto alla porta:
« Oh », penso, « non sarà un incendio? » . Chiamo
la cameriera; non viene. « Perbacco », mi dico, « una
volta ero più coraggiosa », e vado in corridoio. Mi
avvicino alla porta della cameriera: « Ci sono i ladri
in casa, su, buon Dio! » . La donna non risponde, la
porta è chiusa.
In quel momento Marceau esce dalla stanza e si
getta sulla vecchia, che piomba subito a terra.
- Perché ha afferrato la signora Prune alla gola?
- Per strozzarla.
Lo dice senza spavalderia e senza imbarazzo, con
la stessa ingenuità con la quale il presidente gli ave­
va rivolto la domanda .

26
I presenti ridono rumorosamente.
Procuratore generale : Il contegno del pubblico
è incomprensibile e indecente.
Presidente : Ha ragione, avvocato. Signori, pen­
sino che ci troviamo di fronte a un caso molto grave
e passibile di pena capitale, qualora non siano rico­
nosciute all'imputato le circostanze attenuanti.
Intanto la cameriera è corsa alla finestra, e chia­
ma aiuto. Un vicino risponde : « Veniamo ! Venia­
mo! ». Il giovane, sentendo arrivare gente, si spa­
venta e se la dà a gambe, lasciando l'impresa in­
compiuta.
La Corte condanna Marceau a otto anni di la­
vori forzati.
Più volte ho notato in Marceau uno strano disa­
gio quando si accorgeva che la ricostruzione del suo
reato non era del tutto esatta: ma che egli non po­
teva né spiegare con maggior precisione le cose, né
approfittare di quelle inesattezze. Questo è stato per
me il lato più curioso del processo.

Nella stessa giornata dobbiamo giudicare un in­


cendiario.
Bernard è un bracciante, ha quarant'anni, scop­
pia di salute, ha una gran testa rotonda. È calvo, ma
si rifà coi baffi. Porta una camicia floscia a righe ; il
grosso fiocco della cravatta cerca di nascondere il
colletto molto sudicio. Tiene in mano un berretto
logoro. Bernard non ha ancora avuto storie con la
polizia. Le informazioni raccolte sul suo conto non

27
sono cattive ; tutto quello che si può trovar da dire
su di lui, è che ha un carattere « sornione ». Non va
mai all'osteria; ma alcuni assicurano che beve « a
casa sua ». Comunque, è sempre in piena conoscenza.
Il padre, una guardia campestre molto stimata, a
quanto dicono, si è « dato al bere »; ha due fratelli
« alcolizzati cronici ».
Bernard è accusato di quattro incendi. La prima
volta incendiò il frantoio della cognata, vedova Ber­
nard, il 3 0 dicembre 1 9 1 1.
Presidente : Chi ha appiccato il fuoco?
Imputato : Io, signor presidente.
Presidente : Con che cosa?
Imputato : Con un fiammifero.
Presidente : Perché l'ha fatto?
Imputato : Cosl, senza nessuna ragione.
Presidente : Quella sera, aveva bevuto?
Imputato : No, signor presidente.
Presidente : Aveva avuto qualche contrasto con
la cognata?
Imputato : No, signor presidente. Andavamo
molto d'accordo.
Presidente : Tornato dal lavoro alle sette, che
cosa ha fatto sino alle nove?
Imputato : Ho letto il giornale.

Il primo gennaio, cioè due giorni dopo, fu la


volta della casa della cognata.
Il presidente pretende che quella sera Bernard
fosse ubriaco, e insiste per farglielo confessare. Ber-

28
nard protesta: non aveva bevuto neanche un bic­
chiere.
La sera del primo gennaio, giorno di festa, tut­
ti i parenti sono riuniti : cugini, nipoti, ecc. Ber­
nard rifiuta di cenare con loro, e se ne va alle sei e
mezzo .
Durante la conversazione, il discorso cade sul­
l'incendio di due giorni prima e qualcuno ricorda di
aver sentito dire a Bernard che se ne sarebbero visti
presto degli altri.
Quando, nella notte , scoppia l'incendio in casa
della vedova Bernard e i vicini lo chiamano e grida­
no : « Aiuto ! Al fuoco ! » , Bernard, che abita lì a
due passi ed è il parente più prossimo della vedova,
si chiude in casa e ne esce solo dopo un quarto
d'ora... Del resto non nega i fatti.
È lui l'autore del secondo incendio, come lo è
stato del primo ; come lo sarà di altri due successivi .
Presidente : Dunque, non vuole dire perché ha
provocato gli incendi?
Imputato : Signor presidente, le ho già detto che
non avevo nessuna ragione particolare.
« Peccato che avesse questo brutto vizio » dice
la vedova. « Perché sul lavoro non c'era proprio nien­
te da dire ».
Il medico, chiamato a testimoniare, dopo aver
prestato giuramento, ci parla dello strano sollievo,
del senso di liberazione che Bernard gli ha detto
di avere provato vedendo salire le fiamme. Ma gli
ha anche confessato , però, di non aver provato lo

29
stesso sollievo dopo gli altri incendi: ed era un fatto
che lo « aveva lasciato spiacente e deluso >.> .
Sarei stato curioso di sapere se quella singolare
soddisfazione dell'incendiario, e quel senso di libera­
zione, non fosse in relazione col godimento sessuale .
Ma per quanto sieda tra i giurati, non oso formulare
la domanda, per timore che possa sembrare as\mrda
e ridicola.

30
III

Mercoledl

Ancora un oltraggio al pudore ; una bambina vio­


lentata dal padre, un bracciante di Barentin che ha
cinque fìgli, il maggiore dei quali ha dodici anni. La
seduta si svolge a porte chiuse.
Quando il pubblico viene di nuovo ammesso nel-
1'aula, si levano voci di indignazione contro il ver­
detto della giuria, che si era pronunciata per il ri­
conoscimento delle circostanze at�nuanti.
Anch'io del resto, come nei giorni scorsi mi era
già accaduto per gli altri casi, ero rimasto abbastanza
sorpreso dell'indulgenza dei giurati. In sala di con­
siglio fu messo in evidenza il fatto che l'attentato
era stato compiuto senza violenza di sorta. Ma fu so­
prattutto il vivo desiderio, quasi incoscientemente
espresso dalla moglie dell'imputato, di voler sbaraz­
zarsi del marito, e tutta l'animosità che lasciava tra­
pelare durante la deposizione, che contribuirono no­
tevolmente a svalutare la portata della sua testimo­
nianza; come pure l'imputato beneficiò della scarsa

31
simpatia che ispirava la vittima. Tutte cose che il
pubblico, allontanato dall'aula, non poteva indovi­
nare. Tutti approvarono, invece, la revoca del diritto
di patria potestà.
L'imputato ascoltò senza batter ciglio la condan­
na a cinque anni; ma, quando sentl che era privato
dei suoi diritti, emise uno strano suono inarticolato,
una specie di ruggito, come il lamento di un ani­
male. Era un grido di ribellione, di vergogna e di
dolore.

Lo strano caso del quale ci occupammo in se­


guito portò alla sbarra il capufficio dell'accettazione
della Posta Centrale, prima sezione di Rouen.
È un uomo grande e grosso, sanguigno; spalle
quadrate, senza collo. Ha le mani livide. Porta un
colletto basso, una cravatta grigia; i capelli tagliati
a spazzola sopra una fronte bassa. Ha quarantasette
anni; è reduce dalla campagna del Madagascar, dove
ha preso le febbri malariche ; beve senza freno, ed
è stato vittima talvolta di allucinazioni; la perizia
medica ha accertato la responsabilità limitata. Ma da
quando è impiegato alla Posta, la sua condotta è ir­
reprensibile; e non aveva bevuto neanche un bic­
chiere quando, la mattina del 2 aprile, sottrasse dal­
l'ufficio una busta che conteneva tredicimila franchi.
Riconosce i fatti, pentito; ma non riesce a spiegarli.
Ogni giorno maneggiava somme considerevoli; quella
stessa mattina, accanto alla busta di tredicimila fran­
chi, ce n'era un'altra con quindicimila franchi, a por-

32
tata di mano ; l'aveva vista, eppure non aveva voluto
prenderla.
D'improvviso, prende la busta di tredicimila fran­
chi e se la mette in tasca; lascia lo sportello delle
raccomandate, dicendo al collega che va al gabinetto.
Invece si mette tranquillamente cappotto e cappello;
e siccome è mezzogiorno e mezzo, nessuno si stupisce
di vederlo uscire. Quando è fuori, non fugge, non si
nasconde; va in una casa di tolleranza Il accanto;
consuma duecento quarantasei franchi a far baldoria
con le ragazze; poi si risveglia tutto confuso e va in
direzione a riportare il resto della somma, impegnan­
dosi a rimborsare la differenza.
Il verdetto della giuria è stato negativo; la Corte
lo assolve.

33
IV

Giovedl

Berta Rachel, una ragazza accusata di infanticidio.


Si avvicina intimorita alla sbarra; sulle spalle
ha uno scialle di lana bianca, incrociato sopra un far­
setto nero. Dal mio seggio, non riesco a vederla be­
ne in viso ; ha una voce gradevole, dolce. È dome­
stica a San Martino di B.; serve sempre nella stes­
sa casa, da quando aveva tredici anni; ora ne ha
diciassette.
Era riuscita a nascondere il suo stato di gravi­
danza; i primi dolori la colsero mentre stava mun­
gendo le mucche. Tornò in casa, versò il latte nei re­
cipienti, cominciò a fare la pulizia. Ma i dolori di­
ventarono cosl forti che fu costretta a sedersi; era
diventata tremendamente pallida.
« Se non stai bene, va su in camera a ripo­
sarti » dice la padrona.
La camera di Berta Rachel è al primo piano, ac­
canto a quella dei padroni. Berta si stende sul pa­
gliericcio, e poco dopo partorisce una bambina .

34
Berta aveva « paura di essere rimproverata »; e
siccome la bambina piange, per timore che i padroni
sentano, Berta mette una mano sulla bocca della bam­
bina. La tiene sino a che la bimba non piange più.
Quando si accorge che la bambina non respira più,
cava di tasca un paio di forbicine e incide piano la
gola della neonata.
Dalla perizia medica risulta, infatti, che il colpo
di forbici è stato dato quando la bambina era già
morta per soffocamento. Il Pubblico Ministero cer­
cherà di circostanziare che Berta ha dato quel colpo
di forbici per « constatare se il sangue ha finito di
circolare ». Ma io credo che l'abbia fatto cosl, nelh
incoscienza del momento. Il presidente incalza Berta
di domande, ma l'uso di quelle forbici resta sempre
senza spiegazione.
Quando Berta Rachel si è assicurata che la bam­
bina non è più viva, nasconde provvisoriamente il ca­
daverino nel secchio del lavabo, getta la placenta dal­
la finestra, che dà sul letamaio; e subito dopo scen­
de per riprendere il lavoro.
L'indomani, con una zappa, Berta scavò una fossa
dietro il granaio, ai margini del fossato ; una fossa
poco profonda, perché era rimasta senza forze ; cosl
seppelll la bambina.
Pochi giorni dopo, la gendarmeria fu messa sul­
l'avviso da una lettera anonima; e il cadaverino ven­
ne scoperto. Il presidente non ritiene di dover insi­
stere troppo su questa lettera anonima, sulla quale
non si ha nessun indizio preciso; e poiché in questo

35
processo io non faccio parte della giuria, nessuno fa
domande in proposito, e si passa oltre.
Presidente : Quando tu eri incinta, la signora non
se n'è mai accorta?
Imputata : Si vedeva che stavo ingrossando, ma
la mia padrona non me ne ha mai fatto parola.
La voce, d'improvviso, si fa più bassa e incerta :
- È stato il figlio del padrone che mi ha messo
incinta.
Presidente : Perché non l'hai detto prima?
E rivolto alla giuria il presidente aggiunge : - In
istruttoria l'imputata aveva rifiutato ostinatamente di
rivelare chi fosse il padre della bambina.
Berta continua a parlare senza ascoltare il pre­
sidente :
- Mi aveva consigliato di farlo sparire, perché
non si scoprisse che era stato lui.
Presidente : Farlo sparire in che modo?
Imputata : Mettendolo sotto terra.
Queste parole sono pronunciate senza nessuna
intonazione; la povera ragazza sembra quasi una stu­
pida.
Presidente : Dal momento che l'imputata in istrut­
toria non ha fatto parola di questi particolari, non
si è potuto chiamare in testimonianza la persona del­
la quale ora parl a.
All'imputata : - Siedi pure.
A questo punto si alza l'avvocato difensore :
- Noto con rammarico che qui l'imputata non ci
ha parlato, come aveva fatto invece in istruttoria,

36
delle letture in famiglia che si facevano di sera alla
fattoria. Si leggevano sui giornali i fatti di cronaca, e
i vecchi padroni si soffermavano di preferenza, come
ha detto la ragazza, sugli infanticidi.
Presidente : Avvocato, non vedo che interesse pre­
senti questo fatto per la nostra vertenza.
Peggio per lui ! Ma per fortuna i giurati lo vedo­
no bene, almeno loro; e tutto il dramma si illumina
quando si avvicina alla sbarra la padrona. È una vec­
chia oltre i sessanta, secca e solida, come mummi­
ficata, dai lineamenti duri, lo sguardo freddo, le lab­
bra serrate. Il suo viso è incorniciato da una cuffia
di pizzo nero annodata sotto al collo; il fìocco pende
lungo una mantellina nera.
Presidente : La Rachel era a servizio da lei? Era
contenta della ragazza?
Padrona : Oh, sì ! ero molto contenta. Non ho pro­
prio mai avuto da lamentarmi di lei.
Presidente : Non si è mai accorta della sua gra­
vidanza?
Padrona : No, mai. Se l'avessi saputo, non me
la sarei certo tenuta in casa.
Presidente : In istruttoria lei ha detto di es­
sersi accorta che la ragazza stava diventando un,1
botte, ma che pensava dovesse dipendere dallo sto­
maco. Inoltre, lei ha dichiarato di aver visto, il gior­
no prima del parto, chiazze di sangue e di acqua nel
posto in cui si era seduta la ragazza.
Padrona : Ho pensato che fosse il sangue di una
gallina che stavamo spennando.

37
E si sente ancora nella voce netta e secca del­
la vecchia quel suo non voler saper niente, non aver
visto niente, non vedere niente.
In istruttoria è stato accertato che in quella fat­
toria sperduta non andava mai nessun uomo, e che la
ragazza aveva potuto vedere solo il marito della pa­
drona, che ha settantacinque anni, o il figlio di tren­
tadue durante qualche rara e rapida apparizione. La
vecchia ci fa poi notare che per entrare nella camera
della ragazza si deve passare attraverso alla sua; e
questo lo dice per meglio dimostrare che non può
essere stato suo figlio a... ecc.
Il presidente, che appare visibilmente desideroso
di non complicare la faccenda, passa oltre.

Dalla deposizione del medico non emerge nessun


fatto nuovo: spiega a lungo che il bambino ha vis­
suto, così che ci troviamo davanti a un caso di infan­
ticidio e non di aborto; il colpo di forbici, poco pro­
fondo e come dato con precauzione, era inferto piut­
tosto per assicurarsi che il bambino fosse morto; ma
il feto ha respirato, perché la massa polmonare gal­
leggiava nell'acqua del catino dove è stata messa.

Mentre la giuria si è ritirata per emettere il ver­


detto, nell'aula circola un brusìo insistente: c'è il
figlio della padrona, i presenti se lo indicano l'uno
con l'altro; è seduto accanto alla madre. Imbarazzato
dagli sguardi ostili, il giovane tiene la testa bassa,

38
appoggiata all'impugnatura del bastone, così che non
riesco a vederlo in faccia.
La ragazza è ritenuta colpevole, ma consideran­
do che il delitto è stato consumato in piena inco­
scienza, viene assolta e riconsegnata ai genitori.

Adesso è la volta di Prosper, detto il Gufo, sar­


to ; nato a X... nell'86. Ha una strana testa da scri­
bacchino ( assomiglia in maniera incredibile a Z ... ) ;
fronte larga, arcuata; capelli lunghi e lisci, pettinati
con la scriminati:ira nel mezzo. Piuttosto grasso; ma­
ni larghe e tozze; le dita sembrano prive di una fa­
lange ; indossa l'uniforme della prigione, che lo fa
sembrare ancora più grasso e goffo. Il giurato che
siede alla mia destra, chinandosi verso di me :
- Non ha una faccia intelligente !
Il giurato che siede alla mia sinistra, mormora
a bassa voce:
- Non ha la faccia di stupido !
Dai dieci ai quattordici anni si è fatto condannare
quattro volte per furto; per tre volte è stato riconse­
gnato ai parenti; la quarta volta fu rinchiuso in un
riformatorio, dove rimase sino alla maggiore età, sot­
toposto a sorveglianza speciale.
Da quando è uscito dal riformatorio, è già stato
ricercato cinque volte dalla polizia. Dai venti ai ven­
tiquattro anni, lavora a D ... , dove incontra Bègue,
un vecchio compagno di penitenziario; da allora co­
minciano ad agire insieme, sempre insieme.
Tutte le volte che si abbandonano a un furto,

39
nella cucina lasciano i resti di un banchetto improvvi­
sato; sulla tavola, bottiglie vuote e due bicchieri, e
sul tappeto del salotto degli escrementi. Ogni volta
non si accontentano di rubare, no, ma cercano di fare
il maggior danno possibile; in una villa dove non era­
no riusciti a trovare del danaro, lasciarono in evi­
denza il coperchio di una scatola d'amido con que­
ste parole, scritte da Bègue : Razza di porci, dovevate
lasciare i quattrini.
Questo Bègue è stato condannato ai lavori forzati
a vita esattamente sei mesi fa, come reo di aver sva­
ligiato molte ville a N... e a P ... « con atti di violen­
za, aggravanti il fatto », come riferiscono i giornali.
Allora uno degli accusati mancava; era Prosper,
che fu arrestato tre mesi dopo a Y. .. , dove si era
rifugiato dopo varie peregrinazioni in Spagna.
Pare che Bègue abbia confessato tutto; Prosper,
invece, nega tutto. Si protesta vittima di un equivo­
co, vittima di una somiglianza col Gufo ; « perché »,
dice Prosper, « io non sono il Gufo ». Questa sua
dichiarazione suscita grandi risate nell'aula.
Per quanto la sua difesa non mi persuada, pure
vorrei seguirla un po' meglio ; ma il presidente con­
tinua a interrompere e non permette a Prosper, o al
Gufo che sia, di spiegarsi.
Ancora una volta, non senza angoscia, sento sino
a che punto il presidente ( forse inconsciamente ) sia in
grado di facilitare o di intralciare una deposizione, �
come sia difficile per i giurati farsi un'opinione per ­
sonale , non abbracciando quella del presidente.

40
Prosper parla con voce cupa, si fa fatica a sen­
tirlo e sembra che si esprima con grande difficoltà.
Durante l'interrogatorio, sentendo che le maglie
della rete si vanno stringendo, dice che il destino si
accanisce contro di lui, parla di una « coalizione... ».
La faccia gli diventa livida, e grosse gocce di sudore
cominciano a colargli dalla fronte .
Il guardiano di una delle ville svaligiate, X . . . ,
chiamato a testimoniare, fa una deposizione emozio­
nante e bellissima. Il sangue freddo e il coraggio da
lui dimostrati sembrano davvero ammirevoli; e am­
mirevole anche la modestia del suo comportamento e
della sua narrazione, che è stata riprodotta dai gior­
nali. È inutile ripeterla.

Ho annotato questo curioso particolare emerso


dall'interrogatorio :
Subito dopo aver svaligiato la villa di N . . . , il
Gufo ritorna a D ... a mezzanotte. e strada facendo in­
contra un operaio di sua conoscenza. È strano che
abbia sentito come un bisogno di fermarlo, mentre
sarebbe stato così semplice proseguire nel suo cam­
mino; strano ancora che egli abbia voluto chiedergli
una sigaretta ( forse ha pensato che all'altro sarebbe
sembrato più naturale ) : dopo qualche minuto di con­
versazione, forse preso d'improvviso dalla paura, è
stranissimo che abbia detto all'amico :
« Ti raccomando, non dire a nessuno che stanot­
te mi hai incontrato ».

41
I giurati si trovano d'accordo per rispondere af­
fermativamente a tutte le domande, e la Corte con­
danna Prosper ai lavori forzati a vita.

42
V

Altro oltraggio al pudore; è il quarto della serie.


Questa volta la vittima non ha ancora sei anni ; è b
figlia dell'imputato...
Per questo caso, come per gli altri del genere,
vorrei sapere quanta parte ha avuto l'occasione fa­
vorevole; l'incesto sarebbe stato commesso se il reo
avesse avuto libertà di scelta? . . . e bisogna vedervi
una preferenza, oppure soltanto una maggiore faci­
lità e una fallace speranza di impunità?
Germano R ... ha compiuto l'incesto sulla figlia,
mentre la moglie era ricoverata all'ospedale per un
nuovo parto.
È piccolo, laido, tristo; ha un volto bestiale. Su
una blusa di cotone, tra il nero e il giallognolo, porta
una sciarpa spessa, violetta, girata attorno al collo.
Nega ostinatamente, stupidamente . Le informazioni
raccolte sono gravi. « Pensa per sé, se ne infischia
della famiglia » .
Presidente: Risulta che spesso è ubriaco?
Teste : Tutti i giorni, e come !
Un altro teste : Si ubriaca, e lascia crepare di fa­
me i bambini.

43
Padre, madre e i due bambini, di sei e di tre
anni, dormono tutti nella stessa stanza, su un pa­
gliericcio. Alcuni sostengono che già un'altra volta
aveva cercato di violentare la bambina . Una volta la
fece entrare in un sacco e le si mise accanto ; ma ave­
va l'abitudine di dormire in un sacco, e poiché era
d'inverno, può scusarsi col dire che l'ha fatto per
scaldarsi. Non si sa. La bambina non vuole, o non
può dire niente. Sulla sedia, dove l'hanno fatta sa­
lire per essere più vicina alle orecchie del presiden­
te, piange silenziosamente, scossa di tanto in tanto da
un singhiozzo. Non si riesce a farle dire neanche
una parola. È come se avesse paura di essere pro­
cessata. (Adesso è ricoverata all'assistenza pubbli­
ca. L'ha portata qui un uomo in divisa, con grandi
bottoni di cuoio, che se ne sta seduto sul banco dei
testimoni).
Poi è introdotta la signora R... , moglie dell'impu­
tato. Non sarebbe neanche troppo brutta se non aves­
se la faccia terribilmente butterata dal vaiolo. H.:i
l'aspetto di una « donna di fatica ». Capelli lucidi e
tirati indiero; uno scialletto di lana nera sopra un
grembiale blu.
Presidente : Che misure avete preso per ovviare
a questo inconveniente?
Teste : ? ? ?
Capita spesso che il presidente ponga una do­
manda in termini del tutto incomprensibili o per il
testimonio, o per l'imputato . Come appunto in que­
sto caso.

44
Si procede all'interrogatorio dell'unico teste, una
vicina di casa.
Presidente : Ma, in fìn dei conti, lei non ha vi­
sto niente !
Teste : Devo essere entrata o troppo presto o
troppo tardi.
E poiché, alla resa dei conti, non si sa bene come
siano andate le cose, se condanniamo R ... , sarà su
indizi ( come succede spesso) e non tanto per aver
commesso il fatto, che non è sufficientemente prova­
to, ma in base alla sua condotta generale; soprattut­
to per liberare della sua presenza la famiglia.

Sono di nuovo il primo dei giurati per l'ultimo


processo della giornata.
Giuseppe Galmier, di anni venti, fìglio di Anaide
Albertina ( che strani nomi si sentono ! Sabato scorso,
per il processo Z... , nel quale non ho trovato niente
da annotare, X. .. , una povera diavola, rispondeva ai
nomi di Adelaide Eloisa. È forse un sentimento
poetico che incoraggia i poveri a battezzare i loro
fìgli con nomi così strani? ) è accusato di aver com­
messo due furti, con quattro circostanze aggravanti :
di notte; in luogo abitato; con scasso ; con com­
plici.
Galmier è un bracciante di Le Havre; né bello
né brutto; una faccia banale, rossa; un naso un po'
troppo appuntito; è pettinato con una frangia sulla
fronte; qualche sfumatura di baffi. L'aspetto è di un
guerriero normanno di Cormon. Ben fatto nella per-

45
sona, anche aggraziato ; sotto a una giacchetta stinta
indossa un jersey.
Precedentemente, è già stato condannato a sei
mesi.
Questa volta : arrestato di notte, munito di gri­
maldelli, in compagnia di vagabondi che avevano ad­
dosso chiavi false.
In una lettera al procuratore aveva fatto una
confessione completa ; ma adesso dice di essere stato
costretto colla forza da un pregiudicato a scrivere
quella lettera. Cosicché nega tutto.
Presidente : Chi è questo pregiudicato ?
Imputato : Non ho il coraggio di fare il suo no­
me. Se parlo, ha minacciato di farmi la pelle, quan­
do esco.
Il presidente resta molto scettico .

Trascrivo i miei appunti così come sono. Può


darsi che non siano tutti riferibili a questa partico­
lare causa :

L'imputato, che parla più in fretta che può, per


paura che il presidente gli tronchi la parola ( cosa che
del resto fa continuamente) e che non arriva più ad
esprimersi chiaramente, e lo sente, se ne rende con­
to . . . povero infelice che difende la propria vita.

L'innocente sarebbe più eloquente, e cioè meno


turbato del colpevole ? Sciocchezze ! Quando sente di
non essere creduto, si turberà, e tanto più si turberà

46
quanto più è innocente. Le sue affermazioni diven­
teranno eccessive esagerate; le sue proteste sembre­
ranno sempre più insincere; perderà piede.

L'istinto da segugio del commissario di polizia ;


il suo tono arrogante. E l'aspetto di selvaggina, che
subito assume il presunto reo nell'ascoltare le depo­
sizioni. L'arte di conferirgli l'aspetto del colpevole.

Il disgraziato che si rende conto, ma solo quan­


do comincia a parlare, che tutta la sua difesa è in­
sufficiente. I suoi goffi sforzi per cercare di raddriz­
zarla.

L'imprudenza del malfattore, e quella specie di


vertigine che lo spinge a spendere subito la somma
rubata. Galmier si compra un soprabito, un abito,
camicie, bretelle, fazzoletti, cravatte, ecc. ; dà un fran­
co di mancia al commesso che gli porta a casa il pacco
( e abita proprio a due passi dal negozio).

La gioia dei malfattori quando incontrano il pollo,


un compare maldestro e un po' ingenuo, che consente
a prendersi la responsabilità del delitto. ( Gli promet­
tono di pagargli l'avvocato).

La versione più semplice è sempre quella che ha


maggiori probabilità di prevalere ; ma è anche quella
che ha meno probabilità di essere vera.

47
Il processo successivo porta davanti a noi cin­
que imputati. Dovrebbero essere sei; uno è latitante .
Il più anziano ha ventidue anni ! È una banda di rapi­
natori. Sono accusati di otto furti. Confessano tutto.
Il primo a farsi acciuffare è stato Janvier; il più
giovane; aveva rifiutato di dire il nome dei suoi com­
plici. Senza fissa dimora, da otto giorni dormiva con
uno della stessa banda; il 1 2 febbraio ultimo scorso,
sfilava una salsiccia da una mostra di salumi. Risul­
tato: quindici giorni, con rinvio.
Janvier ha il sorriso pronto e aperto ; sta male
se non sorride; ha un carattere gioviale. Non fa dello
spirito; ma nelle sue risposte si sente vibrare ancor:1
il ricordo del divertimento che gli procuravano quei
suoi furti, quelle partite di furti nelle quali si av­
venturavano insieme. Giocavano a rubare, a rapina­
re... La sua gioia, tra poco, riceverà una bella botta
in testa.
È possibile risollevarsi dopo una condanna? È
possibile risollevarsi da soli ? . . .
« H e can b e saved now. Imprison him as a cri­
minal, and I affirm to you that he will be lost ». 2

48
VI

Parecchi giurati si astengono, così il mio nome


esce spesso dall'urna; infatti faccio parte della giuria
per la nona volta. In sala di consiglio i giurati insi­
stono per farmi accettare la presidenza della giuria,
che X. .. mi prega di assumere in sua vece; a quanto
pare, è in diritto di farlo. Sono il solo intellettuale, o
quasi, del gruppo; temevo l'ostilità degli altri, per
quanto mi sforzassi in tutti i modi di prevenirla. Per­
ciò sono particolarmente sensibile a questo attestato
di stima . Veramente, durante i processi discussi in
precedenza, il presidente della giuria non si era mo­
strato all'altezza della situazione, e a causa delle sue
incomprensioni, titubanze ed errori, le deliberazioni
e le votazioni si erano svolte con una lentezza esa­
sperante.
Il caso che ora siamo chiamati a giudicare, non
presenta un notevole interesse. È stato trasferito in
Corte d'Assise dal tribunale correzionale; infatti sa­
rebbe di spettanza di quel tribunale.
Granville, bracciante, è stato assalito a Rouen,
in via Barbot, da un lestofante che lo ha rapinato del

49
danaro che aveva in tasca : due monete da cento soldi.
La vittima si dichiara incapace di riconoscere l'ag­
gressore; ma la signora Ridel, che, attratta dalle gri­
da, aveva messo il naso alla finestra, sostiene di aver
potuto riconoscere l'aggressore nella persona di Va­
lentino, altro bracciante, che è qui davanti a noi, co­
me reo sospetto. Valentino nega perdutamente e so­
stiene di esser rimasto a letto a casa sua, quella not­
te. Anzitutto : la signora Ridei, come avrebbe po­
tuto riconoscerlo? Era una notte senza luna, e la via
scarsamente illuminata.
La Ridel incalza che l'aggressione è avvenuta sot­
to un fanale.
Viene interrogato il gendarme che ha coadiuvato
all'istruzione del processo; vengono sentiti alcuni te­
stimoni : uno dice che il fanale è a cinque metri di
distanza ; un altro, a venticinque. Un terzo, arriva
persino a sostenere che non c'è l'ombra di un fanale
in tutto quel tratto di strada.
Ma Valentino non ha un buon passato ; gode di
una brutta riputazione, e se il sostituto procuratore,
che rappresenta l'accusa, non sa dimostrare che Va­
lentino è colpevole, dal canto suo l'avvocato difen­
sore non sa dimostrare che è innocente. Nel dubbio ,
cosa deve fare il giurato? Voterà : colpevole, invo­
cando tuttavia le circostanze attenuanti, anche per at­
tenuare la responsabilità della giuria . Quante volte
(anche nel caso Dreyfus) queste famose « circostanze
attenuanti » non dimostrano che l'immensa incertezza
della giuria ! E appena nasce un dubbio, anche mini-

50
mo, il giurato è incline a invocarle, soprattutto quan­
do è davanti a un caso grave. Come a dire: sl, il de­
litto è molto grave, ma non siamo proprio sicuri che
costui sia il colpevole. Tuttavia bisogna dare una pu­
nizione : a scanso di responsabilità, condanniamo pure
la vittima che ci sottomettete; ma, nel dubbio, cer­
chiamo anche di non punirla troppo severamente.
In molti casi che ho dovuto giudicare in qualità
di giurato, mi sono trovato imbarazzato, e come me
erano imbarazzati gli altri, dalla grande difficoltà di
raffigurarsi il teatro del delitto, il luogo in cui si è
svolto, semplicemente in base alle deposizioni dei te­
sti e all'interrogatorio dell'imputato. E molte volte
è d'importanza basilare. Il teste X, trovandosi in un
preciso punto indicato, ha potuto o no riconoscere
l'aggressore? C'era abbastanza luce per poterlo di­
stinguere ?
Si sa il punto esatto in cui è avvenuta l'aggres­
sione. Ma quanto alla distanza, nessun testimonio è
d'accordo : chi dice a cinque metri, chi a venticin­
que ... Eppure sarebbe stato facile far rilevare una
pianta del luogo e darne copia a tutti i giurati, all'ini­
zio della seduta. Credo che in moltissimi casi questa
cartina topografica sarebbe di grande aiuto .

In questo stesso giorno, un terzo processo : Con­


rad, durante una zuffa, ha ferito X ... a coltellate. In
seguito X... è deceduta.
Verso la fine della seduta, che del resto non of­
fre nessun interesse particolare, annoto :

51
Come è raro che un caso venga alla luce « di te­
sta », semplicemente.

Quante volte succede che la ricostruzione dei fat­


ti in requisitoria porti a una semplificazione arti­
ficiale.

Come è frequente che l'imputato si dia la zappa


sui piedi con una dichiarazione marginale, della quale
gli sfugge la portata e la gravità :
- Allora, accecato dall'ira. . . , - dice Conrad du­
rante l'interrogatorio ( si tratta della coltellata data
all'amante, nel momento in cui la donna cercava di
ucciderlo).
E il presidente, interrompendolo di colpo :
- Hanno sentito, signori giurati, accecato dall'ira.
Cosl il Pubblico Ministero si impadronisce trion-
falmente di questa frase disgraziata, che l'imputato
non può più ritrattare, mentre è chiaro che si tratta
di una espressione oratoria che Conrad, nel desiderio
di dar prova della sua eloquenza, si è lasciato sfuggi­
re per dire una bella frase.

52
VII

Martedì

Ancora : altro attentato al pudore ; l'ultimo della


nostra sessione . Ma è un caso particolarmente peno­
so, perché l'imputato, un giovane bracciante di Ma­
romme, era affetto da blenorragia e ha contagiato la
vittima . Le informazioni raccolte su di lui non po­
trebbero essere peggiori : arrogante, ubriacone, insof­
ferente del lavoro; già un'altra volta aveva cercato
di trascinare in un bosco una ragazzina di dieci an­
ni, offrendole soldi e caramelle .
La bambina, chiamata in udienza , ha solo sei
anni e mezzo. L'ha attirata nella sua stanza, mostran­
dole « una piccola tabacchiera » .
La bambina è costretta a ripetere davanti a noi,
minuziosamente, quello che ha già detto in istruttoria,
quel che il colpevole ha confessato, quel che il medico
ha constatato. Si direbbe che la si voglia costringere
a ricordare. Dopo tutto la bambina non è stata vio­
lentata; sembra che l'imputato abbia usato certe pre­
cauzioni nei suoi riguardi, grazie alle quali forse spe-

53
rava di non contaminarla; e, naturalmente, beneficia
delle circostanze attenuanti .

Il caso Charles, che giudichiamo in seguito, aveva


richiamato l'attenzione della stampa. Perciò l'aula è
affollatissima; è un caso « sensazionale » . Il pubbli­
co è molto eccitato. Ci si ripete, da un banco all'al­
tro, il numero delle coltellate riscontrate sulla vit­
tima : il medico ne ha contate non meno di cento­
dieci !
La vittima era l'amante di Charles. Giulietta R...
aveva appena diciassette anni quando Charles la vi­
de per la prima volta, tre anni fa. Viveva con un
amante che Charles rimpiazzò subito abbandonando,
per amore della ragazza, moglie e bambini dopo un­
dici anni di matrimonio. Charles ha trentaquattro
anni; fa il cocchiere, ha cambiato già molti posti; ma
k informazioni raccolte dai vari padroni sono buone.
Anche la moglie non aveva da lamentarsi di lui, seb­
bene le facesse spesso « delle scenate ». Dopo chè
Charles era andato a convivere con la ragazza, la
moglie cercò più volte di dissuaderlo, rimproverando­
gli la sua condotta; ma non ne ottenne niente , e la
istruttoria dice che quella ragazza « l'aveva nel san­
gue, come si suol dire ». Charles va ad abitare con
Giulietta R .. . , in piazza M ... , in casa della signora
Gilet. La Gilet li sentiva spesso litigare.
- È vero. Giulietta mi riproverava di mandare
parte dei guadagni ai miei bambini. Ma non l'ho mai
minacciata.

54
E la signora Gilet riconosce che le liti non erano
frequenti e non duravano a lungo.
Charles ha una voce profonda; un fisico prestan­
te; è alto, robusto, bello, senza nessuna effeminatez­
za: mi sembra che solo a vederlo si dovrebbe capire
che fa il cocchiere; non cocchiere di piazza, ma di
-casa privata.
Charles non si difende e non cerca nemmeno delle
scuse : si avverte in lui la preoccupazione di presen­
tare i fatti cosl come si sono svolti, senza cercare mai
di influenzare la giuria in suo favore. Perché il presi­
dente cerca di tendergli dei tranelli, e di farlo cadere
in contraddizione? Certo, lui è un vecchio giudice
istruttore e lo fa per abitudine professionale.
- Lei ha dato spiegazioni alquanto diverse - gli
dice, - sui moventi del delitto.
Ma sta di fatto che lo stesso Charles non sa spie­
gare bene, neanche a se stesso, come e perché ha
ucciso. Amava la ragazza appassionatamente ! aveva
bisogno di lei. La sera del 1 2 marzo, vigilia del delit­
to, avevano cenato insieme.
- Dopo cena, a letto con lei, come al solito. Ma
ha detto di no. È cominciata cosl.
Ha litigato con la ragazza, allora?
- Sl, per questo motivo.
- Questo, allora, è il movente del delitto. Ma
prima, aveva dato un'altra spiegazione.
L'imputato non protesta; ha un gesto che sembra
voglia dire: è probabile.
- La notte è passata senza incidenti?

55
- Sì, signore.
- Lei aveva anche detto di essere geloso; e se
non sbaglio, questo era il movente dato in un pri­
mo tempo. Era forse a conoscenza che Giulietta aves­
se un amante?
- No, non ne aveva.
- Però era triste; nel negozio dove lavorava rife-
riscono che era turbata; lei le faceva paura, no? Un
giorno la ragazza le ha sottratto il rasoio . Era per
paura che se ne servisse per ucciderla?
- In quei giorni io ero malato. Le avevano con­
sigliato di portarmelo via, perché io non me ne ser­
vissi per uccidermi.
- Va bene. Dunque, siamo al 1 3 marzo.
- Al mattino le ho detto: « Buongiorno ». Sono
sceso a prendere il giornale.
- Non aveva bevuto?
- La sera, prima di cena, avevo bevuto due caffè
a B ... ; ma quella mattina ero digiuno. Quando sono
tornato su, le ho chiesto ancora di... Ma lei ha detto
ancora di no. Siccome diceva sempre no, no, ho perso
la testa. Ho afferrato un coltello; era 11 sulla tavola,
a portata di mano; l'ho colpita al collo. Non potei
più mollare il coltello.
- Giulietta era ancora a letto?
- Quando le ho tirato il primo colpo, sl.
- A questo punto, la ragazza ha cercato di scap-
pare. È saltata giù dal letto. Lei le si è gettato ad­
dosso e la ragazza è caduta.
- Sì. E alla fine, me la sono trovata per terra.

56
- Alla fine? ... Non andiamo così in fretta ! Sia­
mo ancora al principio. Dicevamo che la poveretta
cade a terra; allora lei, addosso, continua a colpirla,
come un forsennato, crivellandola di coltellate, sul
collo, sulla faccia, sui polsi.
- Mi ricordo soltanto del primo colpo.
- Troppo comodo. Lei le ha dato più di cento
colpi. Stando almeno alla dichiarazione di un teste:,
con una mano la costringeva a terra, con l'altra col­
piva.. . e dove andava, andava.
- Quando sono tornato in me, Giulietta era mor­
ta; io ero riverso su di lei; c'era sangue dappertut­
to... Non avevo visto entrare la signora Gilet.
- Sentendo gli urli della poveretta, la signora
era accorsa. E ha veduto che lei la colpiva con tale
violenza e con tanta rapidità, che, esprimendosi con
un'immagine impressionante, la teste ha riferito che
sembrava di assistere alla timbratura delle lettere
negli uffici postali. Hanno sentito, signori giurati :
alla timbratura delle lettere negli uffici postali !
E qui il presidente, rinforzando le parole con la
mimica, batte violenti pugni sul suo leggìo, batte, con
violenza, provocando un tal frastuono, che nell'aula
scoppia una risata sconveniente. Certo, quelle coltel­
late non dovevano aver fatto tanto rumore.
- La sua amante, dunque, ha gridato : « Ah, si­
gnora mi salvi ! Ha il coltello ! ». Allora lei ha re­
spinto la signora Gilet, e l'ha imbrattata di sangue:
« Vada via, sono fatti che non la riguardano ! », le ha
gridato; poi ha ripreso a colpire la disgraziata e con

57
l'ultimo colpo le ha tagliato la cariatide (sic). (La si­
gnora Gilet, pochi minuti dopo, dirà invece che l'ul­
timo colpo era « diretto alla fronte »). Ha qualcosa
da obiettare?
- Non ricordo nulla.
- Eppure gli agenti, chiamati dalla signora Gilet,
quando sono sopraggiunti rimasero meravigliati del
suo sangue freddo. Non sembrava neppure emo­
zionato, a quanto pare. Il coltello era sulla tavola. Lei
si è lasciato ammanettare.
- Ero abbrutito dall'orrore.
- Affatto! Lei ha detto tranquillamente : « Av-
visate mia moglie », e quando le guardie stavano per
portarla via, ha chiesto il permesso di lavarsi le ma­
ni, prima di scendere in strada.
- Ricordo, infatti, di aver dato l'indirizzo di mia
moglie, per farla avvertire.
- E in seguito, non ha forse tentato di impic­
carsi?
- No, mai.
- Lo avevamo creduto. Nella stanza è stato tro-
vato un chiodo a muro, capace di sostenere un grosso
peso; e in più una correggia. Allora non ha espresso
la volontà di suicidarsi?
- Non ho mai detto niente di simile.
- Non importa. In definitiva, lei riconosce tutti
i fatti ; e il movente che lei dà al delitto è questo :
che Giulietta le rifiutava le sue grazie.
- Quella mattina, ho visto passare davanti a me
qualcosa di terribile.

58
- Infine ... la ragazza è morta . Poveretta ! Se non
voleva più saperne, bastava che lei tornasse da sua
moglie e dai suoi bambini. Perché l'ha uccisa?
- No, non volevo ucciderla. (Voci di indignazio­
ne nell'aula).
- Come no? Con cento pugnalate !
La maggioranza dei giurati pensa, come il presi­
dente del resto, che abbia più intenzione di uccidere
chi dà molti colpi di coltello di chi ne dà uno solo.
Eppure dalla perizia medica, fatta sul corpo della vitti­
ma, risulta che le centodieci ferite riscontrate sul vi­
so, sul collo, sulla regione superiore del torace, sulle
mani (ma soprattutto sul collo) , erano quasi tutte re­
golari e, tutte, piccole e poco profonde. ( In Russia
avrebbero senz'altro riconosciuto in questo un « de­
litto rituale » ). Una sola ferita aveva raggiunto la ca­
rotide, provocando una emorragia fulminante .
Non facendo parte della giuria, non posso do­
mandare se per caso non dipenda dalla forma e dalle
dimensioni dell'arma il fatto che nessuna ferita sia
molto profonda. Ma non sembra; il medico tra poco
dirà che Charles ha colpito « con mano malferma,
non facendo penetrare l'arma, e come se avesse vo­
luto soltanto ferire ».
Le dita erano tagliuzzate; certo la vittima aveva
cercato di difendersi.

La signora Agostina, vedova Gilet, affittacamere,


invitata a testimoniare, depone con voce monotona:
Charles e Giulietta abitavano in casa mia. Non

59
avevo motivi di lagnanza sul conto loro. La mattina
del 1 3 marzo, sentii gridare ; entrai in camera ; la ra­
gazza era in terra, Charles la colpiva. Gli afferrai il
braccio, per fermarlo. Si voltò e mi disse : « Se ne
vada ». Giulietta non era morta; quando vide che
cercavo di fermarlo, mi disse : « Stia attenta, ha in
mano un coltello ! ». Allora Charles colpì, un'altra
volta; fece girare il coltello dentro la piaga. Ho sen­
tito fare : crrac ! ( Segni di orrore, rumori della fol­
la; anche i giurati sono molto impressionati dalle pa­
role della signora Gilet, soprattutto, da quest'ultimo
particolare. Tuttavia, su domanda dell'avvocato di­
fensore, il dottor X... dirà che : « Nessuna ferita mo­
stra i segni di un coltello che abbia frugato nella
piaga » ) .
- Era come se il coltello non volesse penetrare.
Ero allibita. Charles colpiva in fretta, come quando
timbrano le lettere. Mentre ero 11, le avrà forse dato
venticinque colpi. Quando ho cercato di fermarlo,
lui si è rivoltato contro di me, mi ha sporcato di san­
gue. Io ero in vestaglia; mi sono trovata macchie di
sangue su tutta la biancheria. Ero talmente spaven­
tata, che non ho neppure osservato in che stato fosse
la stanza; soltanto dopo, ho scoperto che il letto era
pieno di sangue. La sera prima del delitto, non ave­
vo sentito nessun rumore. Non veniva mai nessuno a
trovarli. Giulietta era tranquilla, andava regolarmen­
te al lavoro. Non si poteva dire niente di lei. E
neanche di lui. Si comportava bene, non l'ho mai vi­
sto ubriaco.

60
- È tutto quello che lei può dire sul suo conto?
- L'estate scorsa, in seguito a una caduta, era
stato ammalato a lungo. Il mio primo pensiero, quan­
do l'ho visto colpire Giulietta, è stato che fosse di­
ventato matto. Sembrava volerle cosl bene ! Soltan­
to quando Giulietta mi ha detto : « Ha un coltello » ,
m i sono resa conto che aveva un'arma in mano. Fino
a quell'istante, avevo creduto che colpisse col pugno.
Charles: Non ho veduto la signora Gilet; ho
una vaga idea della sua presenza, e basta.
Signora Gilet : Capisco che abbia perso la te­
sta, dopo tutto quel macello. L'ultimo colpo, deve
essere stato alla fronte. Ma c'era ancora poca luce;
erano le sei meno un quarto; non vedevo bene. Pri­
ma non c'era stato nella condotta di Charles niente
che potesse far prevedere questo dramma; se litiga­
vano, facevano la pace in fretta.
La signorina Gilet, chiamata a testimoniare dirà:
- Qualche volta bisticciavano, ma dopo cinque
minuti erano lì a baciarsi.
Dopo la deposizione dell'affittacamere e di sua fi­
glia , ascoltiamo quella dei questurini:
Il capoposto M . . . : Quando gli abbiamo ingiunto
di seguirci in questura, l'imputato ha detto : « Da­
temi almeno il tempo di lavarmi le mani ». Non sem­
brava né ubriaco né pazzo. Era abbastanza calmo.
Ed M.V . .. , commissario di polizia : Ho visto
Charles all'ufficio centrale. Era un po' spossato, ma
non ubriaco. Dopo qualche esitazione mi ha detto:
« L'ho uccisa perché mi faceva spendere troppi sol-

61
di. Del resto, stavo andando a gettarmi nel fiume,
quando mi hanno arrestato » .
Presidente : Come vede, Charles, lei in un pri­
mo momento ha offerto una tesi circa il movente del
delitto che proprio non collima con quella avanzata
oggi. Sentiamo, parli.
Imputato : Cosa vuole mai .. . Ho detto la verità.
M.V . . . : Avevo l'impressione che non dicesse la
verità, quella mattina, e che nascondesse il vero
movente del delitto. Infatti, oggi lo spiega diversa­
mente. . . Mi sembrava un caso cosl strano : gli ho
preso le mani, gli ho sollevato le palpebre : non era
né ubriaco, né pazzo.
La moglie di Charles viene alla sbarra a testimo­
niare che, per dieci anni, e cioè sino al giorno in cui
il marito si imbatté in Giulietta, non aveva avuto
nessun motivo di lagnarsi di lui .
Il dottor X ... è invitato a parlare di Charles; e
lo descrive subito come un giovanotto sano e robu­
sto; nessuna tara atavica. Ma ha una mano con sei
dita; è soggetto a vertigini, ad amnesie ; si orienta
con difficoltà; ha difetti di pronuncia ( confesso di
non averli notati ) ; ha paura di cadere per la strada.
Il dottore parla ancora di incertezza di giudizio, di
indecisione e di mancanza di volontà ( non fu questo
che determinò quel brusco trapasso del desiderio in­
soddisfatto in energia? ); e finalmente conclude dicen­
do che, senza essere in stato di infermità mentale, ai
sensi dell'articolo 64 del Codice Penale, « la perizia
psichiatrica e biologica, come pure la natura di im-

62
pulsività particolare del suo delitto, stanno ad indi­
care un'anomalia mentale, che attenua la sua respon­
sabilità ».
« Ha agito », aveva detto qualche momento pri­
ma, « senza che l'idea di uccidere si fosse staccata
precisa dal suo cervello. Se ne ha una prova osser­
vando la distribuzione delle ferite, che ho testé de­
scritto ».
Come mai l'avvocato difensore non va più avanti,
e non dice che Charles non voleva uccidere? Non solo.
Perché non dire, anzi, che pure ferendo la vittima,
cercava oscuramente di non ucciderla? Senza dubbio,
era proprio per non ucciderla che aveva impugnato
il coltello per la lama; soltanto cosl si spiega come
i colpi, per quanto vibrati alla cieca, producessero
ferite poco profonde. Charles stesso aveva tagli nelle
dita, secondo il referto medico. E non è forse per que­
sta ragione che la signora Gilet non vedeva il coltello
e credeva che Charles colpisse col pugno?
Ma R ... , l'avvocato difensore dell'imputato non
dice niente di tutto questo. Si avvale della perizia
medica per chiedere ai giurati di non voler essere più
intransigenti degli esperti, e li sollecita a riconoscere
all'imputato la responsabilità limitata.
Mi sono dilungato su questo caso, perché mette
in netta evidenza la deplorevole incompetenza dei giu­
rati. Dall'istruttoria, dalle testimonianze, dalle perizie
mediche risultava evidente che l'idea di uccidere non
era impressa con precisione nel cervello di Charles.
In ogni modo, non ci si trovava di fronte a un assas-

63
sino professionale, ma più a un sadico, forse, che a
un assassino ; se poi delitto doveva essere, era de­
litto passionale . . .
Dopo mezz'ora circa di discussioni, i giurati ri­
tornano nell'aula, congestionati, con gli sguardi stra­
volti, infuriati gli uni contro gli altri e ognuno contro
se stesso. Hanno emesso un verdetto affermativo sul­
l 'unica domanda posta dalla Corte , quella di omici­
dio. Quanto alle circostanze attenuanti, invocate dal­
la stessa accusa, che tuttavia era poco disposta alla
clemenza, le hanno rifiutate .
Di conseguenza Charles è condannato ai lavori
forzati a vita.
Nell'aula , applausi ripugnanti. Si grida : « Bene !
benissimo ! », è un vero delirio . La moglie di Charles ,
che si è trattenuta nell'aula, si alza in preda alla più
tremenda angoscia, e urla : « È troppo ! è troppo ! »,
e sviene. Viene portata via a braccia.
Ma, subito dopo la seduta, i giurati , costernati
dal risultato ottenuto dalla votazione ( non avevano
capito che non votare l'affermativa alla richiesta del­
le circostanze attenuanti, equivaleva a votare la ne­
gativa? ) si riuniscono di nuovo in sala di consiglio ,
e , buttandosi all'eccesso opposto, firmano all'unani­
mità una domanda di grazia.
Sono certo che già prima avrebbero votato le
circostanze attenuanti, se la signora Gilet non avesse
detto che il coltello, girando nella piaga, aveva fatto
« crrac ! ».
Potrà forse spiegare un po' il turbamento dei giu-

64
rati, il fatto che, due giorni prima, era apparso sul
Journal de Rouen un articolo di fondo intitolato « I
giurati e la legge di rinvio » ( numero del 1 7 maggio
1 9 1 2 ), che avevo visto passare da una mano all'altra,
e che quasi tutti i miei colleghi avevano letto. Pren­
dendo lo spunto da un caso giudicato recentemente a
Parigi, e nel quale il verdetto della giuria aveva co­
stretto la Corte ad assolvere tre delinquenti preco­
ci, l 'articolo si scagliava contro l'indulgenza dei giu­
rati. Ecco il testo :

I giurati parigini non avevano mai dato tanta pro­


va di debolezza come nel caso in cui, con grande me­
raviglia di tutti, hanno assolto tre giovani grassatori, rei
confessi di un tentativo di saccheggio in una villa.
Tanta eccessiva e assurda indulgenza, in questo caso
particolare, si spiega forse con lo stranissimo comporta­
mento della querelante, che aveva richiesto l'assoluzione
dei suoi aggressori e, a quanto pare, aveva persino ma­
nifestato l 'intenzione di adottarne uno . . .3 Ma c'è bisogno
di far notare che almeno i giurati, i quali devono avere
la testa a posto e dar prova di una esperienza di vita, non
dovevano lasciarsi prendere dal medesimo accesso di in­
genuo sentimentalismo [ questo « ingenuo » non è molto
cristiano, caro cronista ] e che di conseguenza essi sono
venuti meno al loro dovere, rifiutandosi di condannare
tre rei confessi, che nulla segnalava loro come meritevoli
di particolare indulgenza.
La stampa è concorde nel condannare questo strano
verdetto, ecc.
In tempi come questi, in cui i delitti si moltiplicano
e l'audacia e la ferocia dei malfattori oltrepassano ogni
immaginazione [ o Flaubert! ] e anche i giovanissimi .,i
mettono spavaldamente sulla cattiva strada, ecc.

65
Chi può dire la grande forza di persuasione, o
di intimidazione, di un articolo di giornale, su cervelli
non troppo ferrati per la critica, e quasi tutti così
scrupolosi e desiderosi di agire nel miglior modo
possibile ! .. .
« Il presidente mi ha detto che sinora abbiamo
sempre giudicato bene », mi diceva un giurato, qual­
che giorno fa; e questa approvazione del presidente
correva di bocca in bocca, e ogni giurato si sentiva pie­
no di legittimo orgoglio nel ripeterla. Ma dovevano
presto ricredersi.

66
VIII

Il caso da giudicare quel giorno, considerato in


prima istanza un delitto comune, era già stato por­
tato davanti al tribunale correzionale di Le Havre;
ma uno degli accusati, protestando contro la sua
condanna a due anni di prigione, aveva fatto ricor .. o
in appello. È un certo Ivo Cordier, calzolaio; com­
pare insieme a C. Lepic e a Enrico Goret, suoi com­
plici, e a due ragazze, Melania e Gabriella. Tutti e
cinque accusati di aver trascinato con loro il marinaio
Braz, di averlo ubriacato, di averlo insaccato di botte
e derubato del danaro che aveva addosso. Il Braz,
che è di nuovo in mare, non ha potuto rispondere
alla citazione, come non aveva potuto rispondere
quando il caso fu giudicato la prima volta davanti al
tribunale correzionale. Aveva sporto querela subito
dopo l'aggressione; poi, tornato in possesso del suo
danaro, l'aveva ritirata pochi giorni dopo, prima Ji
tornare ad imbarcarsi. Se le cose hanno sublto il loro
corso, tutto è avvenuto contro la sua volontà.
Cordier è un ragazzone di diciotto anni, un po'
grasso, biondo, occhi azzurri, viso aperto e pronto a

67
sorridere; lo si direbbe un marinaio; ha indosso la
rozza casacca del galeotto; non fa che piangere; di
tanto in tanto si tampona il viso con un fazzoletto a
quadretti, che stringe a pallottola nella mano destra;
la sinistra è bendata.
Lepic è un bracciante di Le Havre; ha venticin­
que anni, secondo lo stato civile; ha quel che si dice
una brutta faccia : zigomi sporgenti, baffi enormi , na­
so appuntito; nessuna meraviglia che sia già stato
condannato sette volte per furto. Ha in mano un ber­
retto; mani orribili, nodose, mal sagomate. È senza
camicia; o se l'ha sotto, non si vede.
A gomito con lui, Enrico Goret sembra spaesato.
Questa specie di giovane di buona famiglia, non sem­
bra appartenere alla stessa classe sociale degli altri;
lui si, porta una camicia, colletto inamidato, cravatta
a farfallina; il suo viso, sul quale spuntano appena i
baffi, sarebbe quasi bello, se egli non fosse avvilito,
abbrutito; ha una voce sottile, falsa e velata; non sa
dove mettere le mani, grosse, livide. Il padre di
Goret gestisce una mescita e una specie di albergo
malfamato vicino allo scalo. Enrico Goret non ha
ancora vent'anni; ha sposato una sgualdrinella, che
si è fatta buttare in prigione, a poche settimane dal
matrimonio. Cosa importa! Enrico fa buona impres­
sione; certo la proprietà, stavo quasi per dire la di­
stinzione del suo abbigliamento, predispone i giurati
in suo favore e fa risaltare maggiormente la diversità
e il distacco dagli altri due.
Passiamo al resoconto dell'« episodio di violen-

68
za nel quale sono implicati questi individui », come
si esprime il Journal de Rouen ( 1 6 maggio) .

Fu il 4 ottobre 1 9 1 1 , di sera, che Cordier co­


nobbe Lepic. Questi capì subito di avere a che fare
con un sempliciotto. Insieme vanno alle Folies. Dopo
lo spettacolo, cominciano a girovagare per le strade.
Si imbattono in due marinai, Braz e Crochu. Crochu
è ubriaco fradicio, è difficile farlo camminare. Braz
si rivolge ai due, e chiede dov'è un alloggio per siste­
mare l'ubriaco. I due trascinano Crochu da Lestocard,
in via Girafe. Lo lasciano là, e Braz, riconoscente del­
l'aiuto, offre una bibita.
Escono a braccetto, e non si lasceranno per pa­
recchie ore. In piazza Vieux-Marché incontrano due
ragazze, Gabriella e Melania; se le prendono insie­
me. Sono le due di notte. In piazza Gambetta, Cor­
dier offre da bere. Poi tornano in piazza Vieux-Mar­
ché; al caffè Fortin, Braz paga di nuovo da bere a
tutta la compagnia, alla quale, a questo punto, si
unisce il giovane Goret. Era Il al caffè, vicino alla
cassa; non è ubriaco. Quando escono, va dietro agli
altri. È ammissibile che Braz, sbronzo del tutto, non
l'abbia neanche notato.
Sono quasi le quattro . Braz vorrebbe andare a
letto, ma gli altri non lo mollano. Girano di qua e
di là, tutti e sei, e arrivano in via Casimir-Delavigne.
Braz non ne può più; vorrebbe che lo lasciassero an­
dare. « Adesso è ora di andare a dormire ». Ma Lepic

69
non è della sua stessa idea; vuole portarlo lontano
dalla città.
« Ma vieni dunque! Ho un bel giardino, vicino
al forte di Tourneville. Coglieremo le rose. Ti farò
un mazzo che te lo ricorderai per un pezzo » ( deposi­
zione di Gabriella ) .
Inutilmente Gabriella tira per una manica il ma­
rinaio; vorrebbe distoglierlo dall'impresa; ma Braz
non è più in grado di comprendere niente, e nem­
meno di dare ascolto alla ragazza. Riprendono il cam­
mino, e cominciano ad arrampicarsi sulla lunga stra­
da che porta alla collina.
Una ragazza sussurra all'altra:
« Non andrà a fìnir male? Sono sicura che gli
vogliono fare un brutto tiro ».
« No », risponde l'altra. « Vicino al forte, mon­
tano di guardia i soldati; non faranno niente ».
Braz è tra Lepic e « quello che ha il braccio al
collo » (deposizione di Braz). Quel « braccio al col­
lo » l'ha molto colpito. Dietro vengono le ragazze;
Goret, in coda, a qualche passo di distanza.
Verso le cinque, cioè quasi all'alba ( 5 ottobre),
scendono nel fossato del forte; con quale pretesto?
Non so. Le due ragazze restano sul ciglio.
Che cosa succede, poi? È difficile ricostruire la
scena. Il marinaio, che potrebbe raccontarla, non c'è;
del resto, al momento della brutta avventura, era
ubriaco; è probabile, quindi, che non abbia potuto
rendersi conto di come fu aggredito, né della colpa di
ogni singolo aggressore. Per gettare luce sul fatto,

70
dobbiamo basarci esclusivamente sulle testimonian­
ze degli interessati. Perciò, ora, ogni imputato pro­
testa la sua innocenza; o cerca almeno di minimizzare
la sua responsabilità. ( Lepic, più categorico, giungerà
a negare di aver fatto parte della compagnia quella
sera; c'è uno sbaglio, non era lui).
Si procede all'interrogatorio di Cordier.
Certo, è un ragazzo già traviato : ha sublto tre
condanne per furto. La prima volta aveva solo quat­
tordici anni ; e lo rimandano in famiglia. Ricomincia;
e per una seconda volta viene affidato alla famiglia.
La terza volta, viene rinchiuso in un riformatorio.
Ma è talmente insofferente di quella dura disciplina,
che fugge e ritorna dalla madre. La signora Cordier
è vedova di un marinaio, ha una lavanderia nella qua­
le lavorano molte operaie. Ivo è l'ultimo di cinque
figli. Il maggiore è nell'esercito; tutti gli altri sono
a posto, sposati, con un impiego dignitoso ; la fa­
miglia gode di buona reputazione. Il fratello minore,
quello che ci sta ora davanti, sembra benvoluto in
maniera particolare; non soltanto dalla madre e dai
fratelli, ma anche dal vicinato. I padroni che l'hanno
avuto a servizio dànno buone referenze sul suo con­
to; viene letta la lettera di uno dei padroni, che elo­
gia « la condotta e l'onestà » del giovane Ivo, e si
offre di riassumerlo in servizio. Era stato questo
stesso padrone a riassumere Cordier, due giorni dopo
la prima scarcerazione.4
Va notato che la deposizione di Cordier e quella
delle due ragazze coincidono punto per punto. Stan-

71
do alle loro deposizioni, Goret sarebbe saltato sul
collo del marinaio, aggredendolo alle spalle, d'improv­
viso; andando a rotolare a terra con lui. Mentre
Lepic lo imbavagliava, Goret gli frugava nelle tasche,
e consegnava a Cordier il danaro. A sua volta Cordier
lo passava immediatamente a Lepic.
Goret dà ancora due scarpate sulla testa del ma­
rinaio, e tutti se ne vanno.
Ognuno se ne va per conto suo, ma s'erano dati
un appuntamento: in una camera di via Petit Crois­
sant, proprio in casa di Goret per dividersi il bottino.
Qui li braccò la polizia, appena avvertita dal
marinaio.
Il presidente intralcia l'interrogatorio delle due
ragazze. A quanto sembra, i testi di « dubbia mora­
lità » non godono di molta stima da parte sua; del re­
sto, è una cosa naturale. Ma, sfortunatamente, qui
non ne abbiamo altri. Gabriella, tartassata di doman­
de che si susseguono senza che abbia il tempo di ri­
spondere, sentendo che il presidente non le presta
fede, è sconcertata. È costretta a rispondere a mono­
sillabi, a dire sl o no. Vorrebbe dire (almeno credo)
che Cordier non ha partecipato all'aggressione e h.1
soltanto preso il danaro, passato dagli altri. Ma cre­
dete che sia una cosa facile? ... Evidentemente tutte
queste questioni sono già state affrontate in istrutto­
ria; e per il giudice che ha studiato da cima a fondo
il caso, questo interrogatorio non può e non deve
introdurre nessun nuovo elemento. Ma per il giura­
to è tutto nuovo: il giurato cerca di farsi un'opinio-

72
ne; non può non essere inquieto; pensa che il pro­
cesso è stato imbastito troppo in fretta, e che forse
il presidente se ne è fatta un'idea errata.
Presidente: È stato Cordier a mettergli una ma-
no sulla bocca?
Gabriella : No, signor presidente.
Presidente : Allora è stato lui a colpirlo?
Gabriella : No, signor presidente.
Presidente : Insomma, uno colpiva, un altro lo
imbavagliava, un terzo gli frugava nelle tasche. Braz,
invece, dice che a colpirlo è stato Cordier. Lei dic�
che Cordier gli frugava le tasche. Certo c'è stata un
po' di confusione durante l'aggressione e di conse­
guenza anche nelle testimonianze . Da tutto questo,
risulta evidente che i tre imputati sono ugualmente
responsabili . Può sedere, ragazza mia.. .
Gabriella è stata l'ultima ad essere interrogata.
Ora, la parola è alla difesa. Ma prima, secondo l'uso,
il presidente si rivolge a « quello che ha il braccio
al collo ».
- Ha qualcosa da aggiungere alla deposizione del
teste?
Cordier, che si vede perduto, risponde tra i sin­
ghiozzi :
- Signor presidente, ho detto la verità, io non
l'ho toccato -. Poi, in uno slancio retorico di dubbio
effetto : - Lo giuro sulla tomba di mio padre . . .
Presidente : Giovanotto, lasci in pace suo padre.
Cordier, ( continuando a parlare ) : ... nemmeno
con la punta di un dito ...

73
Per Cordier, e per gli altri, non è stato citato
nessun teste a discarico. È vero che è stata data let­
tura della lettera di un padrone di Cordier; ma per­
ché non possiamo sentire la madre? Perché Ivo Cor­
dier non ha voluto che la madre fosse citata; si è
persino rifiutato di dare il suo recapito.
Presidente : Perché non ha voluto dare l'indi­
rizzo di sua madre?
Cordier non risponde.
Presidente : Dunque, rifiuta di dire perché non
ha voluto dare l'indirizzo di sua madre?
Ahimè, signor presidente ! È proprio così difficili!
capirlo? Oppure non vuole ammettere che Cordier
abbia desiderato risparmiare la vergogna alla ma­
dre? Se lei in questo momento potesse vedere quella
povera donna, come l'ho vista io qualche giorno do­
po,5 certo non si meraviglierebbe più.
Sento che l'interrogatorio sta per essere chiuso .
Sono costernato, e atterrito, all'idea che il caso Cor­
dier sia stato così poco, così male esaminato. Anche
se non so quasi niente di lui, sento che questo ragaz­
zo non ha niente del bandito. Non mi sembra neanche
da scartare l'idea che egli abbia accompagnato il ma­
rinaio spinto da una vaga simpatia...
Perché non so inventare nessuna domanda dal
momento che potrei farne, in qualità di giurato, per
chiarire il caso e chiarire anche le mie idee? Può dar­
si, dopo tutto, che esageri, e che Ivo Cordier non sia
degno di pietà? Questa domanda devo farla adesso,
perché quando la parola è passata alla difesa , i giurati

74
non hanno più diritto di fare domande. Mi resta solo
un istante; ecco, l'avvocato di Cordier si sta alzando. ..
Allora, col batticuore, e con voce strozzata, leggo un
foglietto che ho scritto per la paura di non saper tro­
vare le parole e concludere la frase:
- Signor presidente, vorremmo sapere a quanto
ammonta la somma che è stata estorta alla vittima e
in che misura è stata divisa tra i complici.
Il presidente procede a un rapido interrogatorio .
Cosl veniamo a sapere che la somma sottratta a Bra.,i:
era di novantadue franchi. Di questa somma, dieci
franchi, cinque a testa, sono andati alle due ragazze
per comperare il loro silenzio; Cordier ha avuto dieci
franchi, subito restituiti; il resto della somma, cioè
settantadue franchi, è stato diviso a metà tra Lepic
e Goret.
Ah, se mi fosse concesso di trarre le conclusioni,
e di calcolare con precisione, in base a questi dati
precisi, la parte di responsabilità di ognuno ! Lo farà ,
almeno, l'avvocato di Cordier ? No. La sua difesa è
solida, è abile anche; ma l'avvocato non può impe­
dire che Cordier abbia già un passato giudiziario. E
non può nemmeno negare che Cordier, poco tempo
dopo l'arresto, precisamente , credo, dopo la prima
istruttoria, abbia scritto al procuratore la lettera più
assurda e più folle che si possa immaginare:
« Non conosco né Lepic né Goret », scriveva.
« Non erano con me. Ho fatto il colpo da solo, con
un mio amico del porto. Mi dispiace una cosa sola :
non aver fatto fuori il marinaio ».

75
Lettera scritta sotto la manifesta pressione di
Lepic, dirà l'avvocato difensore, e certo sotto le sue
minacce ( Lepic aveva anche cercato di intimidire le
due ragazze con la minaccia del suo coltello « catala­
no » ). Non avranno forse persuaso Cordier che, es­
sendo minorenne, non correva nessun rischio e non
sarebbe stato punito severamente ?
Del resto i'accusa, pur prendendo atto di questa
lettera, non le accorda molto credito. Capita a volte,
anche di frequente, che il procuratore riceva dalla
prigione « confessioni » simili a questa, destinate tal­
volta a illuminare la giustizia, altre volte a metterla
fuori strada; lettere scritte persino senza scopo e sen­
za motivo, per ingannare l'ozio della cella. Ma sui giu­
rati, questa lettera ha prodotto una pessima impres­
sione. Anch'io non riesco proprio a spiegarmela, in ba­
se a quei pochi dati raccolti in istruttoria sul carattere
(e sulla mancanza di carattere) di Cordier . Dopo la
prima arringa della difesa, il tribunale domanda la
sospensione della seduta, e andiamo a pranzo.

Quando, due ore dopo, ritorniamo al Palazzo di


Giustizia, l'avvocato difensore di Cordier non è pre­
sente. Certo non arriverò a dire che gli avvocati de­
gli altri due imputati abbiano approfittato di questa
sua assenza, tuttavia, siccome solo accusando Cordier
potevano scagionare i loro clienti, la presenza del di­
fensore di Cordier non sarebbe stata inutile. Così,
Cordier era completamente abbandonato alla discre­
zione degli altri due.

76
E non è questa la sola ragione per cui Cordier,
essendo stato giudicato prima degli altri, si ebbe la
peggio. Certo, se la severità dei giurati si fosse sca­
ricata prima su Lepic, sarebbe stata meno intransi­
gente con Cordier. Invece Goret, giudicato per ulti­
mo, beneficiò della reazione; del resto la sua bian­
cheria pulita, il suo atteggiamento e la sua aria fur­
ba, avevano già fatto una buona impressione sulla
giuria.
Appena radunati in sala di consiglio, un altissi­
mo e magro « primario » dai capelli bianchi levò Ji
tasca un foglio sul quale aveva annotato tutte le pro­
ve a carico di Cordier e tutte le condanne precedenti.
E in verità, furono proprio queste condanne a peg­
giorare la sua situazione, e a dettare la nuova sen­
tenza. Tanto è difficile per il giurato non considerare
come un'accusa una prima condanna e giudicare l'im­
putato al di là dell'ombra che la prima condanna ha
gettato su di lui.
Inutilmente un giurato dà lettura della lettera
di un altro padrone di Cordier, molto favorevole:
una lettera che non era stata acclusa all'incartamento
e che non so chi, e non so come, gli aveva conse­
gnato ( credevo che fosse assolutamente proibito)
mentre entravamo in sala di consiglio.
« Ma se son tutti banditi » , diceva un altro giura­
to . « Bisogna liberare la società dalla loro presenza » .
Come infatti fecero, nei limiti del possibile. Cor­
dier fu condannato a cinque anni di reclusione e a
dieci anni di divieto di soggiorno. Goret, all'epoca

77
in cui scrivo questi appunti, è già scarcerato da tre
mesi.

Stanotte non riesco a dormire; l'angoscia mi pesa


sul cuore sino ad opprimermi. Ripenso al racconto
ascoltato anni fa a Le Havre, di un naufrago del Bour­
gogne. Lui era su una scialuppa con molti altri, non
ricordo quanti; alcuni remavano ; altri erano protesi a
colpire coi remi la testa e le mani di quelli che
cercavano di attaccarsi all'imbarcazione, implorando
di essere issati a bordo. Qualche volta, con una scure,
tagliavano loro le mani, ricacciandoli in acqua, per­
ché, se avessero tentato di salvarli, avrebbero fatto
capovolgere la barca già sovraccarica...
Sì, è meglio non cadere in acqua. Perché poi,
se il cielo non interviene, ce ne vuole per cavarsela1
Stasera mi vergogno di essere in barca, e di sen­
tirmi al sicuro.
Prima di tornare a casa, avevo vagato a lungo
per quel triste quartiere vicino al porto, popolato di
quegli uomini tristi, che hanno oramai l'abitudine del­
la prigione, così da considerarla un'abitazione natu­
rale, neri di carbone, gonfi di cattivo vino, ubriachi
senza gioia, ripugnanti. E in quelle sordide vie gira­
vano bambini macilenti, senza sorriso, malvestiti,
malnutriti, malvoluti...
Ma Cordier è un ragazzo di buona famiglia; ha
avuto davanti a sé buoni esempi. Se gli diamo una
mano per aiutarlo, forse può ancora salvarsi.
La mattina dopo, vado dal suo avvocato, a sotto-

78
porgli il seguente progetto di istanza ( si tratta, dopo
tutto, non di una domanda di grazia, ma solo di una
diminuzione di pena).

Dato
che la sola testimonianza valida contro l'imputato
Cordier è quella della vittima, il signor Braz, ubriaco
al momento dell'aggressione;
che il detto Braz, marinaio, tornato ad imbarcarsi,
non ha potuto essere citato in giudizio ed ascoltato
in udienza;
che, dalla prima deposizione, risulta che egli fu
assalito alle spalle senza potere quindi vedere l' ag­
gressore.

E dato inoltre
che la deposizione di Cordier collima perfetta­
mente con quella di Gabriella e di Melania, le sole
persone presenti all'aggressione; 'e poiché dalla loro
versione risulta che Cordier non ha preso parte alla
aggressione, ma si è limitato a ricevere il danaro del­
la vittima, che Goret e Lepic, i due aggressori, gli
passavano;
che da queste deposizioni risulta come Gore!,
molto meno ubriaco degli altri, senza avere parteci­
pato alle precedenti « bevute », seguì il gruppo a
qualche passo di distanza e all'insaputa del Braz, fino
al momento in cui gli si è gettato sopra.

79
Dato
che Lepic trascinava con sé il marinaio con in­
tenzioni non dubbie, e che, come sembra, Cordier,
debole di carattere, incapace di resistere al volere
degli altri, e in più ubriaco fradicio, li aveva seguiti
macchinalmente;
che questa ricostruzione dei fatti è confermata
dal fatto che al momento di dividere il bottino, Goret
e Lepic attribuendosi il grosso della somma hanno
stimato sufficiente dargli dieci franchi, come ne ave­
vano dati cinque alle due prostitute, per assicurarsi
il loro silenzio.

Dato
che la dichiarazione di Cordier, raccolta durante
l'istruttoria, e della quale si sono avvantaggiati gli
avvocati difensori degli altri due imputati ed il Pub­
blico Ministero : « Ho fatto il colpo da solo, insieme
a un altro amico; Lepic e Goret non c'erano; ho un
solo rimpianto, quello di non averlo ucciso », è evi­
dentemente ispirata al terrore di Lepic, pericoloso pre­
giudicato, che, allo stesso modo, già aveva cercato di
intimidire le due prostitute; e di conseguenza detta
lettera non ha nessun valore.

Dato
che se Cordier fosse stato veramente colpevole
(almeno nella misura per la quale è stato condannato)
resta inammissibile che avrebbe richiesto di farsi giu­
dicare da un altro tribunale, come invece ha fatto,

80
quando il tribunale di Le Havre gli ha infl,itto una
condanna di due anni. . .

L'avvocato, cortesemente, mi suggerisce una mo­


dificazione di forma, insiste sul rapporto di un me­
dico legale che attribuisce a Cordier « un'intelligen­
za al di sotto della normale » e nota che egli « si espri­
me con una certa difficoltà e spesso soffre di amne­
sie », e conclude per una responsabilità limitata. Poi
mi spiega la procedura da seguire per farla firmare,
approvare dal procuratore generale, e inviare a chi
di diritto.
Una specie di timidezza, la paura di non riuscire
a niente chiedendo troppo, e in più un senso di giu­
stizia, perché, dopo tutto, non posso considerare Cor­
dier un innocente, mi distolgono dall'inoltrare sen­
z'altro la domanda di grazia . Più tardi mi rendo con­
to che l'avrei ottenuta senza troppa fatica. Molti giu­
rati, infatti, sono tornati su questo caso; la notte ha
portato consiglio; sono disposti ad approvare la mia
richiesta, e, senza fatica, raccolgo le otto firme ne­
cessarie per legge.
Uno di quelli che non hanno sottoscritto, un enor­
me e rubicondo fattore, che scoppia di salute, di fe­
licità e di ignoranza, caduto il discorso sulla malattia
di un detenuto e sulla mancanza di cure che l'avreb­
be peggiorata:
« Se crepa, è tutto di guadagnato per la società.
Cosa serve curarli? Bisogna fare come quel medico,
che a un detenuto che voleva farsi tagliare un dito

81
incancrenito, ha risposto: ' Non val la pena, giovi­
notto ! Cadrà da sé ' ».
Questa battuta, devo dirlo, fa ridere solo qualcu­
no dei presenti.
Gli altri due non firmatari hanno dato questa ra­
gione: avevano votato secondo coscienza; se si do­
vesse tornare su ogni caso giudicato, non la si fi­
nirebbe più.
Certo: però sarei stato curioso di conoscere l'in­
cartamento degli altri processi di Cordier. E di sapere
se allora fu giudicato come l'abbiamo giudicato noi
1er1
• • .I .. .6

La mia domanda fu accolta senza troppo ritardo :


la pena che Cordier deve scontare è ridotta a tre
anni di prigione.
Ma, dopo la prigione, c'è il battaglione d'Africa.
E alla fine di questi sei anni, chi sarà diventato? . . .
cosa sarà diventato?

82
IX

Per la fine della sessione è stato riservato il pro­


cesso più « importante ». Minaccia di essere cosl
lungo, che stamane ci hanno convocato per le nove.
La seduta durerà oltre le dieci di sera; due sospen­
sioni all'ora dei pasti. Si tratta dei furti, commessi
al deposito di Sotteville, di merce affidata alla Com­
pagnia dello Stato.
Da quando è entrata in funzione la nuova ge­
stione, si hanno ogni giorno nuove contestazioni; tut­
ti lamentano continui furti, parecchi rilevanti.
Quando si seppe che una grossa banda di ladri
e di ricettatori era stata tratta in arresto, la stampa
e il pubblico ebbero un respiro di sollievo. Sono se­
dici gli imputati; all'inizio della seduta corre voce
che dovremo rispondere a più di cento domande.
Ma la lettura dei capi d'accusa non può non sor­
prenderci. Ci aspettavamo tutti qualcosa di più gra­
ve e di più importante; di fronte alla entità di certi
furti, che i giurati si ricordavano l'un l'altro, prima
dell'inizio della seduta, le ruberie attribuite agli im­
putati sembrano cosl da poco che, durante l'interro-

83
gatorio, alla sorpresa succedono presto la noia, la fa­
tica e, per qualche giurato anche l'irritazione e l'in­
sofferenza.
Comincia un'estenuante discussione per sapere
se tre bottiglie e mezzo di Cointreau sono state ru­
bate dalla signora X ... , o comperate, come sostiene la
la signora X... , dalla signora B ... la quale, a sua vol­
ta, sostiene che la signora X. .. non ha mai acquistato
liquori da lei. La signora X... ha in braccio un lat­
tante, che piange e vorrebbe deporre anche lui.
X. .. , marito dell'imputata, confessa di essersi ap­
propriato di « un fondo di bottiglia di Kirsch »; ma
non ha mai dato quel paio di calze a Y. .. ; anzi, le ha
avute proprio da lui. Quanto al servizio di posate, è
stato Z ... che, ecc...
X... è un buon operaio ; guadagna cento soldi alla
settimana, più una indennità; è padre di quattro figli.
La sua deposizione coincide con quella di B... , che
dice di aver avuto della mostarda da N ... , e caffè da
M... del resto in quantità irrisoria; invece non ha ri­
cevuto niente da D... , né da E ... Confessa di aver ac­
compagnato N ... , quando questi ha fatto saltare il vaso
di mostarda; ma lui non ha preso niente. N . .. confessa
senza reticenze di aver rubato il vaso di mostarda.
Anche M ... ha quattro figli ; confessa di aver sot­
tratto cinque chili di riso e qualche pezzo di carbo­
ne; è stato lui a dare due chili di caffè e di tè a B ... ;
ma li aveva a sua volta ricevuti da R. ..
La moglie di M... non ha mai voluto nascondere
in casa merci di dubbia provenienza.

84
Invece la moglie di W... , madre di sei bambini,
confessa di aver ricettato cicoria, riso e una lattina
di vernice. Sostiene che queste merci le venivano for­
nite dal detto M...
T... , addetto alla pulizia del deposito di Sotteville,
padre di tre bambini, che ha la moglie in fin di vita
all'ospedale, sostiene di non avere mai rubato; la sua
deposizione coincide con quella di M... ed è persua­
siva. Ma T... non riesce a discolparsi dall'accusa di
ricettazione.
La moglie di Y... confessa di aver ricettato un
paio di calze, le medesime che poi Y ... ha dato a X...
Un violento dialogo si svolge tra O. .. , una grasso­
na ripugnante, colla faccia color geranio, e P... che
singhiozza e si sforza in tutti i modi di far capire che
lei appartiene a una classe sociale più elevata; si ac­
cusano a vicenda di aver ricevuto l'una dall'altra
un po' d'olio e qualche aringa.
P ... , il marito di quella che singhiozza, non è im­
piegato alla Compagnia. È un uomo di cinquant'anni,
dall'aspetto energico, capelli brizzolati e grossi baffi,
padre di famiglia; precedentemente condannato per
aggressioni e ferite; vive dei prodotti del suo orto.
Questo orto dà sulla strada a pochi passi da un
viadotto. Passando sotto al viadotto, si esce dal­
l'altra parte della strada. ( Anche qui una cartina to­
pografica sarebbe stata di grande aiuto). Non si pote­
va scegliere un miglior nascondiglio per la refurti­
va. P ... confessa di aver ricettato le derrate portate­
gli da O ... e da X ... Confessa anche di aver fatto « il

85
palo » una sera, « ma piuttosto per mia personale si­
curezza », aggiunge.
Il figlio degli O ... , un ragazzo di quindici anni,
conferma di aver avuto dalla moglie di P ... un in­
volto di stoffe, ma sostiene di averne ignorato la
provenienza; ecc., ecc...
Durante la seconda sospensione della seduta, i
giurati si scambiano un po' le impressioni, mentre
vanno a pranzo. Per la prima volta sono ostili al Pub­
blico Ministero; è un cambiamento di idee brusco e
curioso.
I giurati, come del resto risulta dai rapporti, si
ripetono l'un l'altro che questi vecchi impiegati era­
no sempre stati onesti, fino a quando avevano lavo­
rato sotto la vecchia direzione della Compagnia;
se adesso davano una mano alla ruberia generale,
non ne era forse responsabile la nuova direzione?
« Quando d'improvviso », dirà un avvocato, « que­
sti uomini hanno visto che sui loro berretti al
posto di Ovest c'era scritto Stato, ognuno ha pen­
sato : lo Stato sono io ! Che meraviglia, se si sono
permessi qualche licenza? ». Certamente, tutti fanno
assegnamento su questi capri espiatori per sedare l'o­
pinione pubblica! Disperando di acciuffare i veri col­
pevoli; o chissà?, proprio temendo di acciuffarli, vo­
gliono punire al loro posto questi ladruncoli ! No, no,
i giurati non saranno cosi ingenui; non si presteranno
a questo giuoco; non rovineranno l'avvenire di que­
sti padri di famiglia per i begli occhi dell'accusa e
della spettabilissima Compagnia dello Stato . . . Alcuni

86
si rallegrano già, pensando alla faccia del presidente,
quando in base al verdetto dei giurati, che si dispon­
gono a votare « non colpevole » per tutti i capi d'ac­
cusa, sarà costretto ad assolvere tutti gli imputati.
Che bella chiusura di sessione ! I giornali ne dovran­
no parlare, davvero !
Il presidente ha già fiutato nell'aria questi pro­
positi dei giurati; quando rientra nell'aula, alla ria­
pertura della seduta, sembra piuttosto seccato. Ascol­
tiamo la requisitoria; ascoltiamo le arringhe della di­
fesa. Per timore che qualcuno dei giurati voglia as­
sentarsi all'ultimo minuto, abbiamo avuto la precau­
zione di nominare due giurati supplementari, pronti
a rimpiazzarli. Durante la seduta di consiglio, usia­
mo molti riguardi ai due sostituti. Per quanto tutti
d'accordo e già cosi decisi, il consiglio dura più di
un'ora e mezzo, perché il presidente della giuria rifiu­
ta ostinatamente di coordinare le domande, e ci co­
stringe a votarle una per una. Chissà come devono di­
vertirsi i giurati supplementari rinchiusi in una salet­
ta appartata! Avranno almeno giornali e sigarette?
Preghiamo la guardia di servizio di andare a vederli .
Rimane aperta una questione abbastanza deli­
cata: non vogliamo condannare questi ladri da poco,
e fin qui siamo tutti d'accordo. Ma là, a capo del
banco, è seduta una vecchia strega, una ricettatrice
sordida, dalla voce rauca, dalla parrucca stinta, che
non merita di farla franca. Come diceva il procurato­
re generale citando un motto celebre : è il ricetta­
tore che fa il ladro. Diamogli ragione, facendo ap-

87
punto ricadere la condanna sul ricettatore. Ritornia­
mo nell'aula pregustando il divertimento. Sorrisi di
simpatia ai giurati sostituti.
A sua volta, la Corte si ritira. Ritorna dopo un
minuto. Il presidente la accoglie male.
- Signori - dice - sono dolente di dover rile­
vare sul foglio che mi avete consegnato un « illogici­
smo » che toglie ogni validità al vostro voto. Una
distrazione, niente di più. Ma che mi costringe, mio
malgrado, a pregarvi di ritornare in sala di consiglio
per accordarvi sul vostro voto. Avete votato: sì, per
la ricettazione; e no, per il furto. Parlare di ricetta­
zione, vuol dire che c'è stato un furto. Non si può
ricettare il ricavo di un furto non consumato.
È chiaro : ma questo « illogicismo » apparente era
proprio quello che aveva sedotto i giurati. Pensava­
mo di essere liberi di condannare chi volevamo. Con­
dannare il ricettatore, assolvendo il ladro, non era
infatti come sottintendere, secondo noi, che c'era sta­
ta ricettazione di una quantità di derrate superiore
a quella dei furti in questione? Si era avuta cioè ri­
cettazione di altre derrate, coi ricavi di altri furti, dei
quali il Pubblico Ministero non aveva acciuffato gli
autori... Ma, era chiaro, noi avevamo sopravvalutato
la nostra importanza. Siamo richiamati all'osservanza
dei limiti conferiti al nostro potere.
Torniamo in sala di consiglio in fila indiana, tal­
mente afflitti e a testa bassa che quasi mi metto a
ridere. I giurati supplementari sono messi di nuovo
sotto chiave.

88
Modifichiamo le nostre risposte nei limiti della
legalità, fìno a raggiungere non so più quale com­
promesso.

89
Epilog o

Tre mesi dopo.

La scena si svolge in treno ; tra Narbonne, do­


ve ho lasciato Paul Alibert, e Nìmes.
In uno scompartimento di 111 classe: un ragazzo
di circa sedici anni (non è brutto, ha un'aria di sem­
pliciotto), sorride a chi gli rivolge la parola; ma non
capisce bene il francese, e io parlo male il dialetto
della Linguadoca. Una donna sulla quarantina, in
lutto stretto, dai lineamenti spenti, lo sguardo im­
bambolato, gli atteggiamenti infantili, mette un po'
di salsiccia su un pezzo di pane. Mangiando a bocca
piena, fa da interprete al ragazzotto ; s'inizia cosl una
conversazione tra lui e il mio vicino di destra, tipo
d1 enorme minchione, che dall'alto della sua pancia
sorride alle cose, alla gente, alla vita.
Proiettando cibo da tutti i lati, la donna spiega
che il ragazzo viene dal circondario di Perpignano, ed
è diretto a Montpellier, dove, in giornata, deve com­
parire davanti al tribunale. Non come imputato ; co­
me vittima. Infatti, qualche giorno fa, alcuni malfat­
tori l'hanno assalito sulla strada, a mezzanotte, ab-

90
bandonandolo mezzo morto in un campo, dopo aver­
lo alleggerito del danaro che aveva indosso.
Si comincia a parlare di criminali:
- Quella gente, bisognerebbe ammazzarla - dice
la donna.
- Li condannano venti, trenta volte, - spiega il
mio vicino; - li mantengono in galera, a spese dello
stato, senza ottenere niente. Che vantaggio ne viene
alla società? Dica un po', caro signore, quale van­
taggio?
Un altro viaggiatore, che sembrava addormentato
in fondo al vagone :
- La ragione è anche che un detenuto, quando
esce di prigione, non trova più un impiego.
Il signore grasso : Ma capirà bene ! Nessuno vuol
saperne di tipi cosl. E fanno benissimo : queJla è
gente, che, dopo un po', ricomincia subito da capo .
E poiché l'altro viaggiatore si è arrischiato a dire
che alcuni, se fossero protetti, aiutati, diventerebbe­
ro discreti e persino buoni operai, il signore grasso,
che non ha neanche ascoltato, sbotta :
- Il miglior sistema per costringerli a lavorare è
di metterli a pompare acqua, giù in fondo a un cana­
le; quando non pompano, l'acqua sale; cosl sono co­
stretti a lavorare.
La signora in lutto: Che orrore !
- Meglio ammazzarli subito - geme un'altra si­
gnora.
Ma visto che la donna in lutto l'approva, quella
che aveva espresso per prima questa opinione ( certo

91
appartiene a quella categoria di persone che trovano
il pelo nell'uovo, anche nelle proprie idee quando
sono espresse da un altro), aggiunge :
- Mio padre, che era un giurato, aveva l'abitudi­
ne di condannarli a vita. Diceva che così si lasciava a
tutti il tempo di pentirsi.
Il grasso alza le spalle. Una signora, che non ha
ancora aperto bocca, dice timidamente che la cattiva
educazione è forse un fatto importante nella forma­
zione di un criminale, tanto da ritenere che i genitori
siano i primi responsabili.
Il grasso, invece, dice di no; l'educazione non ha
importanza, perché ci sono delle nature portate al
male, e ci sono quelle portate al bene.
Il viaggiatore, che sta in fondo, si avvicina e par­
la di ereditarietà :
- La migliore educazione non potrà mai avere
ragione delle predisposizioni di un figlio di alcolizzati.
I tre quarti degli assassini sono figli di alcolizzati.
L'alcolismo. . .
La signora in lutto lo interrompe:
- Aggiunga l'abitudine che hanno le donne di
Narbonne di portare un fazzoletto nero sulla testa;
un medico ha scoperto che riscalda il cervello . . .
Tuttavia ella crede che ci sarebbero meno cri­
minali, se i genitori non fossero così arrendevoli,
così fiacchi.
- Ne hanno giudicato uno a Perpignano. . . - con­
tinua a dire. - Aveva cominciato così : un giorno, an­
cora bambino, aveva preso un gomitolo di filo dal

92
€estino della mamma; la mamma l'ha visto, e non
l'ha sgridato. Quando il bambino si accorse che no;ì
Io punivano, continuò : rubò a molte altre persone;
naturalmente fini per assassinare. L'hanno condanna­
to a morte, e sapete cosa ha detto ai piedi del pati­
bolo? ( La signora gonfia la voce e il mio cappotto
è investito di pezzi di salsiccia insalivata e masticata).
« Padri e madri di famiglia, ho cominciato col ruba­
re un gomitolo di filo. Se quella prima volta mia ma­
dre mi avesse castigato, oggi non mi vedreste sul pa­
tibolo ! ». Ecco cosa ha detto; e che non si pentiva
di niente, tranne di aver ucciso un bambino in culla,
{:he gli sorrideva.
Il grasso che non ascolta la signora, come que­
sta non ascolta lui, ritorna alla sua idea :
- Non sono mai puniti abbastanza severamente.
Non se ne ricaverà mai niente di buono. Ma dal mo­
mento che li lasciamo vivere, non dovranno però vi­
vere allegramente, no? I detenuti, naturalmente, han­
no sempre mille storie: per loro non va mai bene
niente ... Conosco la storia di uno che era stato con­
dannato per sbaglio; dopo ventisette anni, l'hanno
rimesso in libertà, perché il vero colpevole in punto
di morte aveva fatto una confessione generale. Allora
il figlio di quello condannato per sbaglio si è messo
in viaggio e ha riportato a casa il padre. Be', sapete
cosa ha detto appena rientrato in casa? Che là non si
stava poi male ! Questo significa, caro signore, che in
Francia ci sono troppe persone oneste che stanno peg­
gio dei galeotti.

93
- Dio l'avrà punito, - dice quella in lutto, dop(l)
un lungo silenzio.
- Chi?
- Eh, perdiana! Il vero criminale. Dio è buono,
ma giusto.
- Però mi stupisce che il prete abbia dato ai
quattro venti quella confessione - dice l'altra signo­
ra. - Il segreto della confessione è inviolabile.
- No, signora. Erano in molti ad ascoltare la
confessione. Quando si è visto spacciato, che rischio
correva più? Ha chiesto invece che lo si dicesse pub­
blicamente. Sono passati sette anni, ormai. Ventisette
anni dopo il delitto. Ventisette ! pensate. Nessuno so­
spettava di niente; ha continuato a vivere stimato da
tutti.
- Che delitto aveva commesso? - domanda il si­
gnore d'angolo.
- Aveva assassinato una donna.
Io : Senta, mi sembra che questo esempio sia in
contraddizione con quello che lei diceva poco fa.
Il grasso diventa rosso:
- Allora lei non crede a quel che ho raccontato?
- Ma sl, ma sl ! È lei, che non mi capisce. Io
voglio soltanto dire che da questo esempio risulta
che qualche volta un uomo può commettere un solo
delitto e poi non commetterne più. Come quell'uomo
di cui parlava lei; dopo quel delitto, ha condotto ven­
tisette anni di vita onesta, sono sue parole. Se lo
avessero condannato probabilmente sarebbe diventato
un recidivo.

94
- Signore mio, infatti la legge Béranger . . . - co­
mincia l'altra signora. Quella in lutto la interrompe:
- E non è un delitto lasciare ventisette anni in
prigione un povero innocente al suo posto?
Il secondo signore alza le spalle, si raggomitola
nel suo cantuccio. Il grasso si fa un pisolino .
A Montpellier il ragazzo scende. Appena se n'è
andato, la signora in lutto, che intanto ha terminato
il pasto e mette via gli avanzi di pane e salsiccia,
commenta:
- A viaggiare cosl, sul presto, chissà che fame
deve avere, povero ragazzo !

95
Appendice

Risposta a un'inchiesta

Senza dubbio questi problemi sono nell'aria. Que­


st'estate ho trascorso le ultime settimane a riordinare
i miei ricordi di Corte d'Assise, che vertano presto
pubblicati in rivista, poi in volume.
Ho pensato che il nudo racconto dei casi da noi
giudicati sia più eloquente delle critiche. Tuttavia
l'inchiesta dell'Opinion 7 mi invita a formulare qual­
che critica.
Non si può negare che, talvolta, qualche ingra­
naggio della macchina giudiziaria non funzioni bene.
Ma mi pare che oggi siano tutti inclini a credere
che questi difetti della macchina si verifichino soltan­
to nel corpo dei giurati. O almeno, oggi non si sente
parlare che dei giurati. Mentre io mi sono convinto
a più riprese, non soltanto nella sessione della quale
facevo parte, che spesso gli ingranaggi non funzio­
nano anche dalla parte dei giudici. Il giudice interro­
gatore si presenta in udienza con un giudizio già for­
mato sul caso in esame; mentre il giurato non sa an­
cora niente. Dalla maniera con la quale il presidente

97
pone le domande, sollecita e favorisce, sia pure in­
consciamente, una testimonianza, o invece ne inter­
rompe o ne intralcia un'altra, i giurati distinguono
subito qual è l'opinione personale del presidente.
Come è difficile per i giurati ( parlo di quelli di
provincia) non tener conto dell'opinione del presi­
dente, sia per conformarvi la propria ( se il presidente
è « simpatico » a tutti), sia per schierarsi decisamente
dall'altra parte !
È un fatto che mi è apparso evidente in più di
un caso; nei miei ricordi l'ho descritto senza com­
menti.
Mi è sembrato che le arringhe della difesa ben di
rado, e forse mai, facessero ricredere i giurati da quel­
la che era la prima impressione ( almeno nei processi
ai quali ero presente ), cosi che non sarebbe esagerato
dire che un giudice abile può fare quello che vuole
della giuria.

L'interrogatorio fatto dal giudice. . . Forse un'altra


inchiesta dell'Opinion solleverà, in seguito, anche
questa questione. Non ho mai assistito a sedute in
Corte d'Assise in Inghilterra; perciò non posso in­
dovinare se gli interrogatorii degli avvocati e del
Pubblico Ministero non presentino inconvenienti an­
cora più gravi ...
Comunque, non è questa la risposta che oggi
sollecitate da me.

La mia opinione circa la formazione dei giurati e

98
della giuria? Credo che presenti una serie di difetti.
Non so bene come fosse stata formata la giuria alla
quale prendevo parte, ma certo, se era il risultato di
una selezione, era una selezione alla rovescia.8
Voglio dire che tutti quelli che in città o in cam­
pagna potevano essere meritevoli di farne parte, sem­
brava invece che fossero stati accuratamente esclusi ; a
meno che gli interessati non si fossero fatti ricusare
di proposito.
« E lei? », chiederà qualcuno. Se io, da sei anni
a questa parte, non avessi insistito presso il sindaco,
che ha la mansione di compilare le prime liste, perché
iscrivesse regolarmente il mio nome, sono certissimo
che mai mi avrebbero proposto; naturalmente, per
paura di disturbarmi. E dopo aver ricevuto la cita­
zione, ho temuto di esserne escluso, come intellettua­
le, sia del tutto, sia per ogni singolo processo.
(Mi avevano messo addosso questo timore; del
resto ricordavo che mio padre, nominato giurato, era
stato sistematicamente ricusato, perché giurista, ogni
volta che il suo nome era uscito dall'urna) .
Per fortuna non è successo niente di tutto questo.
E dato che moltissimi colleghi si facevano escludere,
ho potuto presiedere a molti processi, assistendo cosl,
più di una volta, alla evidente perplessità, all'imba­
razzo, all'affanno dei giurati.
Tuttavia non ho fatto parte della giuria in quel
processo nel quale i giurati, dopo aver votato in mo­
do tale che la Corte fu costretta a condannare l'im­
putato ai lavori forzati a vita, spaventati dal risul-

99
tato ottenuto in forza del loro voto, si riunirono su­
bito dopo la seduta e, buttandosi da un eccesso all'al­
tro, firmarono addirittura una domanda di grazia.

È stato proposto che il capo della giuria non sia


scelto a sorte, come si fa ora (primo nome estratto
dall'urna), ma in sala di consiglio, dietro votazione,
come infatti avviene spesso. Questa credo, sarebbe
già una felicissima riforma. Perché ho constatato che
molte volte il capo della giuria contribuisce notevol­
mente, con le sue indecisioni, incomprensioni, lungag­
gini, a quel disordine che un buon capo di giuria po­
trebbe invece impedire. (Bisogna anche dire che il
meno competente è il più fiero del suo posto e il me­
no disposto a cederlo) .
Per essere un buon giurato, non è poi necessaria
tanta istruzione. Conosco certi « contadini », i cui
giudizi fermi e talvolta un po' cocciuti sono più sani
di quelli di molti intellettuali. Ma mi sorprende, tut­
tavia, che persone affatto disabituate ad un lavoro di
testa siano capaci di prestare quell'attenzione conti­
nua che qui si esige da loro per intiere ore. Uno
dei miei colleghi non mi fece mistero della sua stan­
chezza; si fece escludere dalle ultime due sedute:
« Sarei diventato matto a continuare », mi disse.
Ed era uno dei migliori.
Così pure credo che l'opinione del giurato si for­
mi quasi subito e non cambi più. Dopo due, tre quar­
ti d'ora, non ne può più, è soprasaturo, o di dubbi, o
di fissazioni (parlo del giurato di provincia) .

1 00
In generale, qui come altrove, la violenza delle
convinzioni è direttamente proporzionale alla man­
canza di cultura e all'inettitudine alla critica.
Se quindi ventiliamo delle riforme, mi sembra che
la prima dovrebbe concernere la formazione delle li­
ste della giuria ed il reclutamento dei giurati, cosl
che sulle liste non figurino i più sfaccendati o i più
insignificanti, ma i più adatti al compito. Bisognereb­
be poi che questi ultimi si facessero un punto d'onore
di non farsi escludere.

In questi ultimi tempi ho sentito proporre la te­


si che la giuria sia chiamata a deliberare insieme alla
Corte, e a stabilire insieme l'applicazione della pena.
Sl, forse ... Perlomeno è increscioso che i giurati
possano essere sorpresi dalla decisione della Corte e
pensare : avremmo votato diversamente, se avessi­
mo potuto prevedere che il nostro voto aveva co­
me conseguenza una condanna cosl grave, o cosl
leggera.
Bisogna dire anzitutto che le domande alle quali
i giurati devono rispondere sono formulate in modo
tale che spesso prendono l'aspetto di un tranello, co­
stringendo il povero giurato a votare contro verità
per ottenere quello che a lui pare giusto.
Molte volte ho visto bravi contadini, decisi a non
votare le circostanze aggravanti, i quali, di fronte
alle domande: il furto è stato commesso di notte? ...
con scasso? ... con complici? ( cose che costituiscono
precisamente le circostanze aggravanti), esclamare di-

101
sperati: « Come si fa a dire di no? ». E votare poi le
circostanze attenuanti come palliativo.
Se non si possono formulare diversamente le do­
mande ( confesso di non sapere bene in che modo po­
trebbero essere poste), sarebbe bene che, all'inizio
della prima seduta, i giurati ricevessero qualche chia­
rimento, che li liberasse da quel continuo senso di in­
certezza, di angoscia e di smarrimento. Chiarimenti
circa le pene che le loro risposte possono procurare.
È stato proposto che il foglio « domande e rispo­
ste » sia consegnato ad ogni giurato, separatamente,
prima dell'inizio della seduta : ritengo che questa mi­
sura offra molti vantaggi e non vedo quali potrebbero
essere gli inconvenienti.
Proporrei inoltre che, in certi casi, fosse conse­
gnata ad ogni giurato una cartina topografica, che gli
permettesse di raffigurarsi meglio il luogo del delit­
to. In un caso di aggressione notturna, per il quale
fui nominato membro della giuria, la deliberazione
dei giurati dipendeva unicamente da questo : l'impu­
tato era abbastanza vicino a un fanale e sufficiente­
mente illuminato perché la signora X ... dalla finestra
di casa sua, potesse riconoscerlo? Alcuni testi, chia­
mati alla sbarra, situarono il fanale uno a cinque me­
tri, e l'altro a venticinque dal luogo preciso dell'ag­
gressione. E un terzo giunse persino a sostenere che
in quel tratto di strada non c'era nessun fanale ! . . .
Non sarebbe stato molto più semplice far rilevare una
pianta del luogo?

1 02
Bergson chiede che ogni giurato sia tenuto a mo­
tivare e a giustificare il suo voto ... Siamo d'accordo;
ma non è affatto provato che il giurato meno abile a
parlare sia quello che senta e pensi peggio degli
altri . Ma, ahimè, è spesso vero il contrario !

103
Note
1 Anche ieri avevamo visto comparire una bambina press'a
poco dell'età di questa, accompagnata anche lei dalla mamma. Ma,
certo, il loro aspetto parlava a favore dell'imputato; e io credo
che abbia molto contribuito alla sua assoluzione. La madre aveva
l'aria sfrontata; e mentre il colpevole singhiozzava per la vergogna
sul banco degli imputati, la « vittima » si era avvicinata con passo
deciso alla Corte. Voltava la schiena al pubblico, perciò non po­
tevo vederla in faccia, ma le prime parole che le rivolse il presi­
dente, dopo averla fatta salire su una seggiola per averla a portata
delle sue orecchie : - Su dunque, smetti di ridere -, furono suffi­
cienti per i giurati .
Poi :
- Hai gridato?
- No, signore.
- Perché allora in istruttoria hai detto che avevi gridato?
- Perché mi ero sbagliata.
2 Sono le parole che John Galsworthy fa dire all'avvocato di­
fensore nel suo dramma ]ustice.
3 Come sarebbe interessante conoscere il risultato di questo
raro esperimento!
4 Qui cito solo le informazioni forniteci dalla Corte; non quel­
le raccolte da me in seguito.
5 « Non mi rifiuto affatto di dare l'indirizzo di mia madre » ,
m i scrisse qualche giorno dopo Cordier, dalla prigione, « e s e non
l'ho dato al giudice è stato perché non la citassero in tribunale » .

1 07
6 Appena ebbi una giornata di libertà andai a Le Havre a
trovare la madre del condannato. La povera donna aveva cambiato
casa per sfuggire agli sguardi e ai pettegolezzi ingiuriosi dei vi­
cini; non era stato facile rintracciarla. Quando seppe il motivo
della mia visita, mi portò in una stanzetta appartata dove le sue
operaie non potessero ascoltarci.
La poveretta singhiozza, quasi non riesce a parlare; è con
lei una delle figliole, che completa il racconto della madre :
« Ah, signore », mi dice la poveretta, « è stata una grande
disgrazia per noi, quando il maggiore è entrato nell'esercito. S11-
peva dare buoni consigli; e Ivo lo ascoltava sempre. Quando è
scappato dal riformatorio, non ha osato tornare a casa, per paura
che venissero a riprenderlo. Senza casa, cominciò a frequentare
le più losche compagnie, che l'hanno avviato sulla cattiva strada
e l'hanno rovinato » .
Tutte l e informazioni che sono andato raccogliendo i n se­
guito su Ivo Cordier, dalla madre, dalla sorella, dall'ultimo padro­
ne, dal fratello, che sono andato a trovare in caserma, confermano
l'idea che già s'era fatta strada in me.
Ivo Cordier non ha carattere; manca di volontà, è facilmente
influenzabile. Buono fino all'esagerazione, dicono tutti; che è come
dire : senza limiti. Il suo desiderio di rendersi utile al prossimo va
sino alla mania, sino alla dabbenaggine. Per un compagno che ne
aveva bisogno, Ivo rubò un paio di scarpe ; questo fu il suo pri­
mo furto.
Quando la madre, nei giorni di permesso, gli portava dei dolci
in riformatorio : « Se li portate per lui, cara signora », le diceva
il guardiano, « potete farne a meno; dà sempre tutto agli altri,
non tiene niente per sé ».
In riformatorio, dietro il consiglio di un compagno, si fece
tatuare il dorso della mano sinistra. Un altro compagno, un gior­
no, cominciò a dirgli che quel tatuaggio cosi evidente era un se­
gno di riconoscimento; e Ivo, docilmente, applicò sul tatuaggio un
impiastro di sale e di vetriolo, che gli bruciò la carne sino all'osso
(per questo, il giorno del delitto aveva il braccio al collo) .
« Quel ragazzo aveva solo bisogno di essere guidato », mi

1 08
dice il calzolaio che lo aveva avuto a servizio; mi parla di lui
con parole commosse, non domanda che di riprenderlo nella sua
bottega ...
7 Les Jurés iugés par eux-mémes.
8 Un giurato della mia sessione sapeva a malapena leggere e
scrivere; sulle schedine di votazione i suoi sì e i suoi no erano
quasi illeggibili, tanto che più di una volta fu pregato di risponde­
re di nuovo a voce.

1 09
Indice
Introduzione di Giancarlo Vigorelli VII

Ricordi della Corte d'Assise

I 5
II 17
III 31
IV 34
V 43
VI 49
VII 53
VII I 67
IX 83
Epilogo 90

Appendice 97

Note 105
Finito di stampare in Palermo il 15 novembre
1 982 nella tipografia Luxograph. 120 copie
di questo libro sono state stampate su carta
Bodonia delle Cartiere Fedrigoni di Verona.
Ciascuna di esse contiene un esemplare del­
l'incisione di Bruno Caruso riprodotta in co­
pertina, tirato al torchio dalla stamperia Il
Feltro di Roma su carta Rosaspina delle
Cartiere Miliani di Fabriano numerato da
1 a 100 e da I a XX e firmato dall'autore.

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