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“LA PRIMA GUERRA

MONDIALE
E LE SUE CONSEGUENZE
ECONOMICHE”

PROF. STEFANO PALERMO


Università Telematica Pegaso La prima guerra mondiale e le sue conseguenze
economiche

Indice

1 OBIETTIVI FORMATIVI --------------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 LA GRANDE GUERRA ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 4
3 L’ECONOMIA DI GUERRA ------------------------------------------------------------------------------------------------ 6
4 I PROBLEMI DEL 1918 ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 8
5 LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA -------------------------------------------------------------------------------- 10
6 LA QUESTIONE TEDESCA ----------------------------------------------------------------------------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Obiettivi formativi
Lo scoppio della prima guerra mondiale segna, sotto diversi aspetti, la fine di quello che uno
dei più importanti storici inglesi del Novecento, Eric Hobsbawm, ha chiamato il “lungo Ottocento”.
La guerra, infatti, modifica definitivamente gli equilibri preesistenti su scala europea e mondiale.
Questo in virtù delle modalità con cui essa viene combattuta, dell’intensità degli scontri e
del coinvolgimento delle popolazioni, della diffusione degli eserciti di massa, dell’uso delle prime
armi di tipo moderno, dell’applicazione della tecnologia industriale all’industria bellica.
Ma la guerra modifica gli equilibri anche in virtù delle sue conseguenze: l’illusione di
poterla considerare una parentesi della storia e di potere rapidamente tornare ai meccanismi del
capitalismo della belle époque viene rapidamente infranta dalle difficoltà di riconversione, dagli
effetti degli accordi di pace, dall’atteggiamento punitivo verso la Germania, dall’isolazionismo
della potenza americana che, pur essendo diventata ormai la prima economia mondiale, superando
la Gran Bretagna per ricchezza globale, non assume il ruolo di leadership politica internazionale.
Obiettivo di queste pagine è evidenziare le principali caratteristiche e conseguenze della prima
guerra mondiale e le ragioni per le quali essa ruppe definitivamente gli equilibri presenti
nell’Europa del XIX secolo.

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2 La Grande Guerra
La prima guerra mondiale (chiamata dai contemporanei la “Grande Guerra”, prima che con
lo scoppio del secondo conflitto si dovesse cominciare a numerarle), si innesca a partire dal 1914 a
seguito del noto attentato all’erede al trono dell’impero Austro-Ungarico da parte degli
indipendentisti serbi. Si trattava, molto probabilmente, della miccia che innescò un processo latente
e in parte già acceso e che vedeva Germania e Austria-Ungheria alleate nelle loro mire
espansionistiche. L’Italia, all’epoca formalmente alleata con gli imperi centrali decise di non entrare
in guerra, scegliendo, nel 1915, di schierarsi a fianco di Gran Bretagna, Russia e Francia avendo
avuto in cambio l’assicurazione, in caso di vittoria, della riconquista di Trieste1.
Al di là delle vicende belliche vere e proprie che esulano dagli obiettivi di questo corso, ciò
che si vuole qui sottolineare è che per diverse ragioni, molte delle quali inaspettate dagli stessi
protagonisti, la guerra cambiò non solo il volto d’Europa, ma anche la percezione stessa degli
europei. Se una parte degli alti comandi militari tedeschi erano sicuri di potere chiudere le ostilità in
breve tempo, in realtà lo svolgimento degli scontri portò quella che doveva essere una guerra lampo
a diventare una estenuante, lunga, guerra di posizione, combattuta in particolare sul fronte
occidentale tra Francia e Germania e su quello alpino tra Austria e Italia.
La guerra, in virtù della sua durata e della sua composizione diventa così la prima guerra di
massa della storia che coinvolge direttamente (tramite la leva obbligatoria) o indirettamente (tramite
la necessità di riorganizzare la vita familiare o il lavoro nelle campagne o nelle fabbriche in assenza
degli uomini) anche i civili che restano nelle retrovie.
È una guerra dove troviamo la compresenza di elementi di modernità (i cannoni ad alto
potenziale, i primi, rudimentali carri armati, i primi combattimenti aerei) e la tradizione (la lotta di
fanteria, l’uso della cavalleria, la vita di trincea).
Le cause del conflitto risiedono in quelli che abbiamo visto essere alcuni degli elementi tipici
della belle époque:
1) l’incapacità di contenere le conflittualità per l’egemonia;
2) la lotta per il primato in Europa e nei mari;

1
R. Romeo, L'Italia unita e la prima guerra mondiale, Rizzoli, 1978.

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3) la corsa agli armamenti che aveva sostenuto le industrie dei principali protagonisti della
scena europea;
4) la guerra all’epoca considerata come condizione “possibile” se non “naturale” per
risolvere le controversie;
5) l’incapacità di leggere la modernità e i rischi dell’applicazione dell’industrializzazione
alla macchina bellica con tutte le conseguenze che questo avrebbe potuto comportare in
termini di perdite di vite umane.

Con la Grande Guerra cambia, infine, in tutti i Paesi, in forme e intensità ovviamente
differenti, la concezione dello Stato, dell’individuo, dell’economia e della società.
Le masse, inviate a combattere al fronte tramite la leva obbligatoria, tornate a casa sentono il
diritto di partecipare alla vita pubblica (non a caso nel 1918 in Italia è riconosciuto il diritto di voto
universale maschile ai cittadini di 21 anni che avessero prestato servizio militare).
Si realizza così una vera e propria cesura della storia, passando da quello che Eric Hobsbawm
definiva il “lungo Ottocento” al cosiddetto “secolo breve” nel quale cambiano completamente i
parametri economici, militari, sociali di riferimento2.

2
Eric Hobsbawm, Il Secolo Breve. 1914-1991: l'Era dei grandi cataclismi, Rizzoli, 1995.

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3 L’economia di guerra
Proprio in virtù delle caratteristiche assunte dalla guerra, assolutamente inedite rispetto al
passato (intensità, durata, coinvolgimento della popolazione civile, esercito di massa, grandi
commesse pubbliche all’industria privata per ottenere armamenti e produzione bellica), lo stesso
costo della guerra è superiore alle attese e provoca una rottura dei rapporti monetari e commerciali
fino ad allora in vigore.
Sotto questo profilo, è possibile suddividere l’organizzazione dell’economia di guerra in tre
macro settori:

1) La mobilitazione
La leva obbligatoria cambia la piramide demografica; diminuisce il numero dei giovani
disponibili per il lavoro nelle campagne o nelle industrie; di conseguenza, per
mantenere una produzione in grado di sostenere lo sforzo bellico di massa e di attenuare
le carenze alimentari alla popolazione civile, le donne cominciano ad assumere un ruolo
sempre più da protagoniste nella vita lavorativa, andando spesso a nelle fabbriche e,
paradossalmente, conoscendo quelli che saranno i prodromi delle future lotte per
l’emancipazione femminile. Allo stesso tempo, la mobilitazione impone un mutamento
nella struttura produttiva che favorisce le industrie che più facilmente possono dedicarsi
o riconvertirsi nella produzione bellica (armi, cannoni, aerei, motori, proiettili, divise,
ecc..). È una guerra che sostiene tramite le commesse pubbliche la produzione di massa
della grande industria privata, determinando così un costo molto alto per lo Stato e forti
profitti per i privati. Oltretutto, ad esempio nel caso italiano, questo favorisce
ulteriormente le divisioni territoriali poiché l’urgenza di produrre beni per sostenere gli
eserciti porta ad allocare gli impieghi nelle imprese già presenti nel triangolo industriale
del nord-ovest.

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2) Il finanziamento della guerra
La guerra ha un costo altissimo, che sarà pagato soprattutto alla fine del conflitto e sarà
tra le cause dell’instabilità degli anni Venti, contribuendo alla crisi tedesca e al crollo
del 1929. Il finanziamento da parte dello Stato avviene essenzialmente attraverso due
strumenti immediati: l’emissione di titoli del debito pubblico e l’aumento
dell’imposizione fiscale. Due strumenti che hanno un limite naturale nella quantità ad
esempio di imposizione “sostenibile”,, oltre la quale diviene insostenibile e quindi
inesigibile, o nel livello di stock o di interesse del debito, oltre il quale possono
raggiungersi tassi inaccessibili. Di conseguenza, l’ultimo elemento utilizzato, in misura
estremamente sostenuta, è l’aumento della circolazione cartacea: la stampa di nuova
carta moneta, attraverso l’introduzione per legge del “corso forzoso” (l’impossibilità di
richiedere la convertibilità della carta moneta in oro) e l’inevitabile abbandono del gold
standard. L’effetto immediato, di lungo periodo e che si rifletterà nei primi anni del
dopoguerra, sarà un forte aumento dell’inflazione. Infine, tra i Paesi alleati entra in
funzione anche un sistema di prestiti da parte degli Stati Uniti che sarà causa di non
poche problematiche durante gli accordi di pace del 1919.

3) Gli effetti immediati


La guerra comporta alcuni effetti immediati sotto il profilo economico e alcuni di
medio-lungo periodo. Tra quelli immediati vi è sicuramente la fine del gold standard,
per permettere a tutti i paesi di stampare carta moneta e finanziare lo sforzo bellico.
Segue il blocco degli scambi commerciali con i Paesi nemici (ad esempio, proprio in
virtù di questo fatto in questi anni si sviluppa in Italia la prima industria chimica
autoctona, mentre in precedenza era totalmente dipendente dalla Germania). Mutano,
infine, alcuni equilibri internazionali, in particolare nel 1917 dopo il ritiro della Russia e
contemporaneamente con l’entrata in guerra, a fianco degli alleati, degli Stati Uniti.

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4 I problemi del 1918


Nel 1918, la fine della guerra, vinta come noto dagli alleati a scapito degli imperi centrali,
determina una pluralità di cesure con il passato.
Innanzitutto, dopo il 1918 non sarà più possibile ricostruire il precedente funzionamento del
sistema economico internazionale, in particolare quello europeo; in secondo luogo in ogni Paese, sia
esso vincitore o vinto, si registrano forti problematicità di carattere economico, politico, sociale.
Non solo, la Russia nel 1917 aveva dato vita a un regime Comunista, per la prima volta offrendo al
mondo e ai tanti aderenti al pensiero e al sindacalismo di stampo socialista, l’esempio di un sistema
economico e politico totalmente antitetico e, cosa non scontata, contemporaneo al capitalismo
democratico e liberale d’occidente. Ma gli stessi Paesi occidentali vivano problemi particolarmente
seri. Tra questi è possibile ricordare:

a) la crisi di riconversione dell’industria dalla produzione bellica a quella civile che


richiede in molti casi il blocco della produzione e il licenziamento degli operai;
b) l’aumento dell’inflazione dovuto al finanziamento dei costi della guerra da parte dello
Stato;
c) il problema del reducismo, ovvero gli uomini andati al fronte che ritornano nelle città o
nelle campagne e in virtù della crisi non trovano il proprio lavoro;
d) la politicizzazione delle masse: hanno partecipato alla guerra, hanno sofferto per il
Paese, ritengono ora di avere il diritto di partecipare alla vita politica ad esempio
attraverso l’estensione del diritto di voto;
e) la crisi della classe media, falcidiata dall’aumento dell’inflazione e impaurita dai
conflitti sociali, sostenuti, in alcuni casi, dall’esempio della rivoluzione russa del 1917
che diventa un modello da seguire per i movimenti socialisti presenti nel resto
d’Europa; tipico l’esempio della rivolta guidata da Rosa Luxemburg nella Germania del
1919;
f) la necessità di ricostruire, dopo quattro anni di guerra un sistema di relazioni
internazionali e un tessuto di collaborazione, tenendo conto anche dei mutamenti delle
frontiere imposti dai trattati di pace;

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g) la difficile lettura dei mutamenti in atto da parte delle classi dirigenti dell’epoca, non
sempre in grado di comprendere il grado di massificazione della società e della
necessità di fornire risposte di tipo diverso rispetto a quanto avveniva prima dello
scoppio della guerra.

Di fronte a questa serie di problematiche comuni (presenti ovviamente con maggiore o minore
intensità nei diversi Paesi) non tutte le nazioni scelsero di dare le stesse risposte. Alcune, ad
esempio Francia, Gran Bretagna, Belgio scelsero di intervenire attraverso la via democratica,
certamente complessa e faticosa, ma tendente a mantenere saldi i principi di libertà e democrazia
radicati secolarmente in questi Paesi.
Altri, invece, ad esempio Spagna, Italia, e negli anni Trenta la Germania, caddero nel vortice
di regime autoritari e dittatoriali, finalizzati a contenere il conflitto sociale attraverso non la
risoluzione dei problemi, ma l’eliminazione della dialettica parlamentare e dei corpi sociali
intermedi.
Infine, è bene notare, che mentre l’Europa era colpita da queste difficoltà, che portarono
anche a una forte diversificazione nei tassi di crescita economica negli anni Venti, gli Stati Uniti
proseguirono ininterrottamente la propria corsa cominciata quarant’anni prima, mantenendo alti
tassi di crescita della produzione e della produttività.
In questo modo, come si vedrà più avanti, si creò uno iato tra lo sviluppo sostenuto americano
e il rallentamento dell’Europa, creando così un forte disequilibrio a livello economico mondiale.

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5 Le conseguenze della guerra


A partire dunque dai problemi del 1918 e dalle scelte compiute dai diversi paesi durante i
principali trattati di pace, in particolare quelli tenutisi a Versailles nel 19193 sotto un profilo più
generale, è possibile suddividere le conseguenze economiche della guerra in tre tipologie principali:
1) dirette;
2) indirette;
3) strutturali.

1) Conseguenze dirette;
a) tra le conseguenze dirette vanno annoverate sicuramente le drammatiche perdite di
vite umane, mai registrate prima nella storia, pari a circa 9 milioni di morti durante il
conflitto seguiti, secondo alcune stime da oltre 48 milioni di morti dopo la fine della
guerra per la febbre spagnola che colpì una popolazione fortemente debilitata e priva
di anticorpi per respingere i virus;
b) le distruzioni infrastrutturali, seppure localizzate nelle zone del conflitto;
c) il crollo del gold standard e l’aumento dell’inflazione sia per sostenere il costo della
guerra che, successivamente quello della riconversione.

2) Conseguenze indirette
a) la crisi di riconversione che porta le industrie a bloccare temporaneamente la
produzione;
b) l’aumento dell’inflazione e lo scoppio dell’iperinflazione in Germania a causa delle
scelte fatte a Versailles;
c) le riparazioni di guerra imposte alla Germania attraverso un atteggiamento punitivo,
una cifra sostanzialmente insostenibile che di fatto affondò le possibilità di ripresa
tedesca e debilitò l’insieme dell’economia europea;.

3
Su questo si veda E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali, Laterza, 2000.

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d) il problema dei debiti interalleati, ovvero i prestiti che gli Stati Uniti avevano fornito
ai paesi belligeranti e che richiedevano indietro, ma questi non volevano restituire se
prima non avessero ricevuto a loro volta il pagamento delle riparazioni tedesche.

3) Conseguenze strutturali
a) si afferma progressivamente, soprattutto a seguito della crisi del 1929 la necessità di
nuove forme di intervento pubblico;
b) l’Europa rimane un continente sostanzialmente diviso e rimarrà tale fino alla
fondazione della CECA del 1951;
c) si registra la perdita dell’egemonia politica ed economica inglese e la progressiva
caduta del ruolo dell’Europa come centro del mondo e ruolo di maggiore
innovazione;
d) gli Stati uniti assumono la leadership economica, superando la Gran Bretagna e
diventando il luogo della maggiore innovazione industriale, tuttavia, fino al 1945
rifiuteranno di svolgere anche una leadership politica, contribuendo così alle
difficoltà mondiali degli anni Trenta;
e) si registra un rigurgito di nuovo protezionismo;
f) in una situazione di crisi complessiva e in assenza di una leadership condivisa non si
riesce a ricostruire un concerto europeo/mondiale, sia di carattere economico che
politico. Bisognerà attendere, anche per questo, la fine della seconda guerra mondiale
e l’ascesa politica degli USA.

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6 La questione tedesca
Tra le principali problematiche del primo dopoguerra, la “questione tedesca” rappresenta
perfettamente la crisi europea degli anni Venti e l’incapacità di riuscire a individuare una soluzione
condivisa.
Il trattato di Versailles, infatti, da un lato, sancì la nascita della Società delle Nazioni, come
possibile strumento di risoluzione delle questioni internazionali; dall’altra parte assumeva delle
indicazioni estremamente punitive verso la neonata Repubblica di Weimar (sorta come stato
repubblicano e democratico in Germania a seguito della fuga del Re e del crollo del II Reich).
Tra le disposizioni c’era la perdita delle colonie, dell’Alsazia-Lorena (conquistate alla Francia
nel 1870), dello Schleswig settentrionale, e tra le altre cose, della città di Danzica resa Città libera
sotto l'autorità della Società delle Nazioni e della Polonia (sarà questo uno dei maggiori fattori di
propaganda dell’ideologia nazista negli anni Trenta). Ancora, il trattato limitava a non più di
100.000 unità l’esercito tedesco.
Soprattutto, e qui entriamo nel merito del problema che più ci interessa, avendo addebitato alla
Germania la “colpa” dello scoppio della guerra, affidò a una commissione il compito di definire la
cifra delle riparazioni di guerra che il Paese avrebbe dovuto ripagare alle nazioni vincitrici. Una
scelta che portò Keynes ad abbandonare la delegazione inglese a Parigi, di cui era uno dei
componenti, e di scrivere un importantissimo pamphlet con cui non solo criticava le scelte
effettuate, ma prevedeva con estrema precisione la crisi che sarebbe seguita alle decisioni assunte
contro la Germania4.
Nel 1921 fu imposto alla Germania il pagamento di 132 miliardi di marchi-oro, pari a 33 miliardi
di dollari dell’epoca, una cifra pari a tre volte la ricchezza tedesca.
Si innestò così un circuito vizioso tra il pagamento delle riparazioni tedesche e il saldo dei
debiti interalleati pari, come si vede dalla figura 1, a oltre 25 miliardi di dollari dell’epoca, di cui
sostanzialmente gli Stati Uniti erano creditori nei confronti degli alleati.

4
J.M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, 1919.

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Figura 1: Ammontare dei debiti interalleati alla fine del conflitto

Immagine tratta da V. Zamagni, Dalla rivoluzione industriale all’integrazione europea, il Mulino

L’incapacità della Germania di fare fronte ai pagamenti rateali imposti dagli alleati porta nel
1923 all’occupazione da parte di Francia e Gran Bretagna della zona mineraria della Ruhr e al
crollo del marco tedesco.
Il conseguente dissesto del bilancio dello Stato porta alla stampa di nuova moneta e a una fase,
assolutamente straordinaria e destinata a lasciare ancora oggi il segno nell’immaginario collettivo
tedesco, dell’iperinflazione: il valore di un dollaro sul marco sale da 1:14 del 1918 a 1:18.000 del
gennaio 1923, per arrivare a 1:4,2 miliardi nel novembre 1923.
Siamo di fronte, cioè, al crollo definitivo del sistema.
Preso atto della situazione, gli americani propongono una via di uscita senza rinunciare al
pagamento delle riparazioni, ma rivedendone le modalità applicative. Così viene varato nel 1924 il
Piano Dawes, basato su rate annuali crescenti, legate al livello di sviluppo del PIL tedesco, senza
scadenza e favorite da un prestito iniziale alla borsa di New York.

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La difficoltà di realizzazione del Piano Dawes (dovuta all’impossibilità della Germania di
riuscire a conseguire tassi sostenuti di crescita) porta, nel 1929, al varo del cosiddetto Piano Young,
basato su una riduzione delle annualità da pagare e una contrazione del debito a “soli” 37 anni.
Sostanzialmente, ancora non si riusciva ad uscire dalla trappola della concezione della
“riparazione”, la vera base della difficoltà di ripresa tedesca e del sentimento di rivalsa contro gli
europei e gli americani che cresceva nel Paese e su cui Hitler fece gioco per affermare
l’affermazione del partito nazista che, non a caso, vinse le elezioni del 1933.
Lo stesso Piano Hoover del 1931 (dopo la crisi del 1929), con il quale si concedeva una
sospensione sia dei pagamenti dei debiti che delle riparazioni, era infatti arrivato decisamente
troppo tardi.

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Bibliografia
 F. Assante, M. Colonna, G. Di Taranto, G. Lo Giudice, Storia dell’economia mondiale,

Monduzzi, 1995

 E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali, Laterza, 2000

 A. Di Vittorio (a cura di), Dall'espansione allo sviluppo. Una storia economica d’Europa,

Giappicchelli, 2011

 Eric Hobsbawm, Il Secolo Breve. 1914-1991: l'Era dei grandi cataclismi, Rizzoli, 1995

 J.M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, 1919

 R. Romeo, L'Italia unita e la prima guerra mondiale, Rizzoli, 1978

 V. Zamagni, Dalla rivoluzione industriale all’integrazione europea, Il Mulino 1999

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