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ORTO

MANUALE COMPLETO
Realizzazione editoriale a cura di EDIMEDIA SAS, via Orcagna 66, Firenze.
I testi sono tratti dai seguenti volumi, editi da Giunti: Calendario lunare delle semine
e dei lavori, 2009; L’orto. Coltivarlo in modo sano e naturale, 2009; L’orto sul
balcone, 2009; Giuseppe Rama, Orto Manuale Pratico, 2002; Renata Rogo,
Compostaggio e concimazione organica, 2006; Adriano Del Fabro, Difesa biologica,
2006; Il giardino delle piante aromatiche e medicinali, 2004; Il grande libro. Orto,
frutteto e giardino, 2005; Orto e frutteto Biologico, 2005.

www.giunti.it

© 2010 Giunti Editore S.p.A.


Via Bolognese, 165 - 50139 Firenze
Via Dante, 4 - 20121 Milano

ISBN: 9788844040260

Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl

Prima edizione digitale 2011


ORTO
MANUALE COMPLETO
PER LA CURA E LA COLTIVAZIONE
Sommario

L’ORTO IN TERRA
LA VALUTAZIONE DEL TERRENO

Il terreno ideale
Caratteristiche fisiche
Riconoscerela tipologia
Migliorare la qualità
Le proprietà chimiche

GLI ATTREZZI DELL’ORTICOLTORE

Come sceglierli
Gli strumenti indispensabili
Gli altri attrezzi utili
Gli attrezzi a motore
Gli accessori

L’ORTO IN 7 STEP

Progettazione
Dall’incolto al letto di semina
Quando l’orto è avviato
LA CONCIMAZIONE

Concimare la terra
Letame: il re dei concimi
La fertilità del terreno
Il sovescio
La concimazione minerale

LE TECNICHE DI COMPOSTAGGIO

Il compost
Il processo biologico

Il cumulo e la sua preparazione


Materiali strutturanti
Materiali azotati di origine animale
Altre sostanze minerali
Gli starter
Applicazioni del compost
SEMINA E MOLTIPLICAZIONE

Moltiplicare gli ortaggi


Riproduzione vegetativa
Riproduzione da seme
Semina e germinazione
La produzione delle sementi
Conservazione dei semi
Trattamenti alle sementi

Diradamento
Ripicchettatura
La piantagione definitiva
L’ORTO SUL BALCONE
ORGANIZZARE IL BALCONE

L’esposizione
Lo spazio
Quali piante coltivare
Gli accostamenti consigliati

CONTENITORI E ATTREZZI
I materiali
Forme e dimensioni
L’attrezzatura di base

TERRICCI E CONCIMI

La scelta del substrato


Il terriccio per le semine
La concimazione
I vari tipi di concimi

LA COLTIVAZIONE

La semina
Il trapianto
L’annaffiatura
La raccolta
I pericoli del freddo
IL CALENDARIO DEI LAVORI
Calendario delle semine in semenzaio
Calendario delle semine a dimora
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno

Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Dicembre
PARASSITI E MALATTIE
Afidi
Agrotidi o nottue
Alternariosi
Altica
Antracnosi
Batteriosi
Botrite
Cavolaia
Cladosporiosi
Cocciniglie
Criocere
Dorifora
Elateridi
Ernia del cavolo
Grillotalpa
Lumache e limacce
Maggiolino
Mosca bianca
Mosca del cavolo

Mosca del sedano


Mosca dell’asparago
Mosca della carota
Mosca della cipolla
Nematodi
Oidio
Oziorrinco
Peronospora
Ragnetto rosso
Ruggini
Sclerotinia
Septoriosi
Ticchiolatura
Tortrici
Virosi
SCHEDE DELLE PIANTE
Aglio
Alloro
Aneto
Anguria
Asparago
Barbabietola da orto
Basilico
Bietola da coste e da foglia
Carciofo
Cardo
Carota
Cavolfiore
Cavolo cappuccio
Cavolo rapa
Cece
Cetriolo
Cicoria e Radicchio
Cipolla e Scalogno
Coriandolo
Erba cipollina
Fagiolo
Fava
Finocchio
Fragola
Indivie
Lampone
Lattughe
Maggiorana
Mais dolce
Melanzana
Melone
Menta
Mirtillo
Mora di rovo
Origano
Patata
Peperoncino
Peperone
Pisello e Taccola
Pomodoro
Porro
Prezzemolo
Rapa
Ravanello
Ribes
Rosmarino
Salvia
Scorzobianca e Scorzonera
Sedano a costa
Sedano rapa
Spinacio
Timo
Valerianella
Zucca
Zucchina

Le parole dell’orto
L’orto in terra
La valutazione del terreno

IL TERRENO IDEALE
Si definisce “terreno agrario” quella piccola parte della superficie terrestre in
grado di accogliere una coltivazione. Deserti, ghiacciai, nude rocce, come
chiunque può comprendere, non sono vocati alla crescita delle piante, e men
che meno di quelle di interesse alimentare.
Esistono terreni apparentemente adatti alle colture, che in realtà celano
carenze non valutabili a occhio nudo: rientrano in questa categoria i suoli
eccessivamente acidi, calcarei oppure argillosi che, alla prova dei fatti, danno
sempre risultati negativi.

IL TERRENO È VIVO Sezionando con una vanga il terreno, si evidenziano


differenti strati sovrapposti, ognuno diverso per colore, composizione,
tessitura.
La differenziazione cromatica è dovuta sia ai processi ossidativi più
intensi, che si verificano negli strati superficiali esposti all’atmosfera, sia
all’attività microbica.
Quella che al profano può apparire una superficie sterile, in attesa solo di
essere coltivata è, in realtà, una fucina biologica che pullula di
microrganismi. Funghi, batteri, attinomiceti, alghe microscopiche – ai quali
vanno ad aggiungersi insetti, lombrichi e altri organismi viventi – svolgono
una loro specifica azione: la continua demolizione delle sostanze organiche in
sostanze più semplici assorbibili dalle radici.
L’attività degli organismi sotterranei non avviene in modo omogeneo nei
diversi strati del suolo; ogni “entità” predilige un preciso habitat, con
determinate caratteristiche fisico-chimiche, di temperatura, umidità, ossigeno
e così via. In massima parte queste forme di vita si sviluppano negli strati più
superficiali del terreno e la loro concentrazione diminuisce, finché non
diventa inesistente, a 4-5 m di profondità. Se le radici degli alberi d’alto fusto
e degli arbusti di maggiore sviluppo scendono ben più profonde, non è
dunque per la ricerca di cibo, ma solo per garantire l’ancoraggio alla pianta.
Il colore scuro del terreno superficiale è dovuto alla presenza di humus,
cioè il prodotto della decomposizione e trasformazione della materia animale
e vegetale morta da parte dei microrganismi del terreno. Oltre a essere ricco
di azoto, elemento indispensabile alla vita delle piante, l’humus ha elevato
potere assorbente, trattiene acqua e calore, creando così le condizioni adatte
alla vita degli organismi utili, tra cui i lombrichi, e scoraggiando invece le
colonie di quelli dannosi per le colture, per esempio le anguillule (piccoli
vermi nematodi).
In generale l’humus svolge una complessa funzione regolatrice sulla
fertilità del terreno ed è per questo che l’orticoltore si adopera per garantire
sempre il giusto livello di humus nelle parcelle del suo orto.

La sezione di un terreno agrario evidenzia come lo strato superficiale sia più scuro
per la presenza di humus (prodotto dall’attività di microrganismi e insetti). È questo
lo strato più fertile, e l’orticoltore deve adoperarsi per mantenerlo tale.

CARATTERISTICHE FISICHE
Confrontando campioni di terreno prelevati in zone diverse si notano
sostanziali differenze nella composizione fisica del terreno. Schematizzando
al massimo, si distinguono quattro principali tipologie.
TERRENO SASSOSO Prevalgono ciottoli, ghiaia e materiali inerti in genere
oppure le particelle di terra hanno diametro superiore a 2 mm. Questi terreni
lasciano filtrare e sgrondare subito l’acqua. La granulometria eccessiva e
l’incoerenza del suolo (poiché contiene poca terra, ha scarso “legante”) vanno
quindi a scapito delle radici delle piante, che non trovano acqua e nutrimento
sufficiente. Inoltre, questo tipo di terreno è un ostacolo alla germinazione dei
semi.

I terreni argillosi sono asfittici e per questo si lavorano con difficoltà.

TERRENO SABBIOSO Prevale la sabbia, grossa o fine che sia. La


caratteristica negativa di questi terreni è che, similmente a quelli sassosi,
trattengono poco l’acqua. Però si lavorano con facilità, contengono una
buona quantità di ossigeno e, se arricchiti di humus con concimazioni
frequenti, garantiscono il successo delle coltivazioni.

TERRENO ARGILLOSO Prevalgono le particelle di diametro piccolissimo e


con una notevole coesione tra loro, per cui non lasciano drenare l’acqua, sono
asfittici e male arieggiati, il tutto a discapito delle radici delle piante. Questi
terreni possono essere soggetti ai ristagni, si lavorano con difficoltà, ma poi
mantengono la forma data con le lavorazioni.
TERRENO DI MEDIO IMPASTO Pietre, sabbia, argilla e sostanze colloidali
derivate dalla demolizione delle sostanze organiche sono presenti in giuste
proporzioni. Il terreno di medio impasto si lavora con facilità, lascia drenare
in giusta misura l’acqua, trattenendone la quantità necessaria alla vita delle
piante. Quando il terreno destinato all’orto non ha queste caratteristiche, si
deve fare ricorso agli ammendanti, cioè va integrato con le sostanze di cui è
carente: sabbia e ghiaia per migliorare il drenaggio e l’aerazione,
concimazioni organiche per favorire l’humus, torba o compost per aumentare
la coerenza e la capacità di trattenere umidità e via discorrendo.

RICONOSCERE LA TIPOLOGIA
Un metodo semplicissimo per riconoscere la tessitura di un terreno, cioè il
grado di coesione e la dimensione delle sue particelle, consiste nello
stringerne in pugno una manciata. Se aprendo la mano rimane plasmata in
modo ben definito la forma delle dita, il terreno è certamente argilloso e si
dice che è compatto e pesante. Se al contrario la manciata di terra si sbriciola
nel palmo, si tratta di un terreno sabbioso: si dice che è sciolto e leggero.
Anche un terreno ghiaioso e grossolano è sciolto, ma le particelle si
sgretolano in porzioni più voluminose. Se infine stringendo il pugno si
avverte che la piccola quantità di terra è elastica, né troppo compatta né
troppo incoerente, è senza alcun dubbio un giusto mix di componenti e si dice
che è di medio impasto.
La prova non è definitiva, perché per poter stabilire che si tratta di un buon
terreno per le colture dovranno ancora essere valutati altri fattori, tuttavia con
discreta approssimazione si può stabilire con quale terra si ha a che fare, e
agire in conseguenza.
Un’altra prova alla portata di tutti consiste nel prelevare alcune cucchiaiate
di terra dallo strato superficiale del suolo e con queste riempire, per circa un
quarto, un vaso di vetro possibilmente alto e stretto. Dopo aver colmato con
acqua si agita energicamente il contenuto e poi lo si lascia depositare. Sul
fondo cadranno quasi subito, nell’ordine, la sabbia grossolana, poi la sabbia
media, quindi quella fine e per ultime le particelle di terra, mentre rimarranno
a lungo in sospensione le sostanze organiche ancora in decomposizione, che
in parte potranno anche galleggiare. Durante lo scuotimento l’acqua si
intorbida perché i materiali più fini (quali argilla, polvere di roccia, sabbia
impalpabile) rimangono sospesi nel liquido prima di ricadere sul fondo.

ANALISI DEL TERRENO


Per stabilire approssimativamente di che tipo è il proprio terreno basta versare
in un vaso 3/4 di acqua fredda e 1/4 di terra da analizzare, agitando il tutto.
Sabbia e particelle grossolane si depositano subito sul fondo (1). Dopo un breve
periodo di riposo si depositano anche gli elementi più minuti (2). L’argilla
invece si deposita molto lentamente (3).

MIGLIORARE LA QUALITÀ
Per coltivare l’orto con successo è necessario che il terreno sia di medio
impasto. Il bravo orticoltore deve adoperarsi perché la tessitura del terreno
raggiunga queste condizioni ideali.

TERRENO TROPPO COMPATTO Si tratta di un suolo argilloso o limoso.


Difficile da lavorare, poco arieggiato e scarsamente permeabile, lascia
ristagnare l’umidità che provoca nelle piante pericolose condizioni di asfissia
radicale. Al contrario, in caso di siccità prolungata questo terreno si screpola
e si fessura, favorendo così l’evaporazione dell’umidità profonda, cioè
peggiorando le condizioni negative dovute alla siccità. Modificare in meglio
il terreno compatto non è difficile, ma richiede costanza. Si deve agire
apportando sostanza organica (letame, sovescio, compost, terricciati ecc.) per
migliorarne sensibilmente la struttura e favorirne il drenaggio. Inoltre è utile
la distribuzione di notevoli quantità di sabbia le cui particelle grossolane, una
volta amalgamate a quelle assai più piccole del limo e dell’argilla, renderanno
equilibrata la composizione. Questa pratica, che sarebbe costosa su superfici
estese, è invece facile da mettere in atto per migliorare la terra di un piccolo
orto, come l’aggiunta di marna oppure calce. La marna è una terra
particolarmente ricca di calcare e quindi di calcio, il quale svolge benefici
effetti sulla struttura del terreno in quanto ne migliora la porosità. Funzione
analoga svolge la calce.

Per un orto presso il mare, con terreno molto sciolto, si consiglia la piantagione un
po’ incassata degli ortaggi per impedire l’immediata dispersione dell’acqua.

Un sensibile miglioramento dello strato utile del terreno si ottiene anche


con lavorazioni frequenti, poiché si espone il terreno all’azione disgregatrice
degli agenti atmosferici. È sufficiente osservare un terreno lavorato di fresco
e confrontarlo con uno poco lavorato per rilevare l’evidente miglioramento
strutturale.

TERRENO TROPPO SCIOLTO In genere è caratterizzato dalla presenza


elevata di particelle a grana grossa, soprattutto sabbia, ghiaia, più raramente
ciottoli, per cui presenta minima coesione e scarsa attitudine a trattenere
umidità. Si può comunque intervenire per correggere questa situazione e
limitare i danni che ne conseguono alle piante. L’apporto di sostanza organica
è la pratica più importante per migliorare stabilmente la tessitura della terra e
la sua capacità di assorbire e trattenere acqua e sostanze fertilizzanti. Il
risultato visibile è che aumentano coerenza e adesione tra loro delle particelle
di terra.
Meno praticabile su larga scala, l’apporto di argilla è utile per esempio per
adeguare una parcella dell’orto alle necessità di piante ortive molto esigenti,
che soffrono la siccità e la scarsa fertilità dovuta alla eccessiva componente
sabbiosa del terreno.

in breve

• se il terreno è sciolto e sabbioso si scalda presto in primavera ed è sempre


piuttosto asciutto nella stagione calda: ideale per aglio, cipolla, scalogno,
pomodoro, peperone, melanzana, carota, anguria, patata, finocchio, fava.

• se il terreno è compatto e piuttosto argilloso trattiene umidità e si mantiene


caldo più a lungo in autunno. Vi si coltivano con buoni risultati: asparago,
barbabietola, sedano, cavoli in genere, melone, prezzemolo, rapa, spinacio,
lattuga, cicorie in genere, zucchine.

LE PROPRIETÀ CHIMICHE
La reazione chimica dei terreni si chiama pH (potenziale idrogeno) e viene
misurata con uno strumento, detto piaccametro, su una scala da 0 (massima
acidità) a 14 (massima alcalinità).

IL VALORE DEL PH In realtà un terreno ha sempre valori compresi tra 4 e 9


ed è neutro con un valore di pH uguale a 7. Quest’ultimo valore è ideale per
la coltivazione degli ortaggi, mentre una reazione fortemente acida (valori
compresi tra pH 4 e pH 5) o fortemente basica (valori tra 8 e 9) ne riduce in
maniera drastica le capacità vitali, mentre aumentano progressivamente le
prestazioni delle colture con valori prossimi a pH 7.
A questa schematica premessa si deve aggiungere la considerazione che
ogni ortaggio ha un suo pH ideale. Quello del pomodoro, per esempio, è
compreso tra 6 e 6,5, mentre per gli asparagi è tra 7 e 7,5. La maggior parte
degli ortaggi ha comunque capacità di adattamento che ne consentono la
coltivazione anche in situazioni non proprio ideali, purché con valori di pH
compresi tra 6 e 7,5.
• Il terreno acido È il cosiddetto “terreno di brughiera”, adatto alle piante da
giardino cosiddette acidofile (rododendri, pieris, eriche ecc.). Ma le specie
ortive, che gradiscono una leggera acidità, soffrono se questa è eccessiva.
• Come correggerlo Se, dopo l’analisi con il piaccametro, il terreno dell’orto
si presenta eccessivamente acido, si può porre rimedio con sostanze
ammendanti a pH alcalino, per esempio polvere di rocce calcaree, basalto,
dolomite (in media un paio di chilogrammi per 10 metri quadrati), oltre a
sostanze facilmente reperibili in casa, tipo la cenere di legna e altre
classificabili anche come fertilizzanti e non solo correttivi, quali le scorie
Thomas e il litotamnio.
In passato per correggere i terreni acidi si usava anche la calce viva,
lasciata all’aria per una stagione e in seguito interrata con la vangatura.
Tuttavia oggi si preferiscono altri ammendanti meno aggressivi. La calce
viva, oltretutto, consuma le riserve di humus del terreno, obbligando a
concimazioni organiche più frequenti.
• Il terreno basico o alcalino In parole povere, è il suolo che contiene alte
percentuali di calcare. Molte piante, ortive e non, non possono più assorbire il
ferro dal terreno quando questo è molto calcareo e ingialliscono a causa del
fenomeno noto come clorosi. Colpisce per esempio specie da frutto quali il
pero e la fragola.
• Come correggerlo Si tratta di un’esigenza frequentemente riscontrabile in
Italia, dove sono numerosi i suoli con elevati contenuti di calcare. Si può
rimediare con la somministrazione sia di sostanze organiche anche con potere
fertilizzante, sia di sostanze minerali che modificano la reazione del terreno.
Tra le sostanze organiche, il letame può essere vantaggiosamente utilizzato
come ammendante in grandi quantità, poiché ha pH leggermente acido. La
torba acida è utile anche a rendere più leggeri i terreni pesanti e a trattenere
umidità in quelli troppo sabbiosi. Tra le sostanze minerali si segnalano in
particolare lo zolfo in fiori, utile anche a consentire l’assorbimento degli altri
minerali da parte delle radici, e il gesso, ovvero il solfato di calcio, che libera
particelle acide nella soluzione circolante. A causa del suo contenuto di
calcio, tuttavia, il gesso può avere effetti negativi come la calce: aumenta le
produzioni ma esaurisce rapidamente le riserve organiche del terreno.

D’inverno lo spinacio assorbe l’azoto che verrebbe dilavato dalla pioggia; per questo
è considerato una pianta utile per la conservazione nel terreno dei minerali
fertilizzanti.
Gli attrezzi dell’orticoltore

COME SCEGLIERLI
Un buon orticoltore deve preferire pochi attrezzi essenziali ma di ottima
fattura: avrà così a disposizione un numero limitato di utensili, magari più
costosi della media, ma destinati, se ben curati, a durare a lungo.
Dopo la robustezza, il secondo aspetto da prendere in esame nella scelta
degli attrezzi da lavoro deve essere la funzionalità: la conformazione
dell’attrezzo (dell’impugnatura o del manico in particolare), il peso e quindi
lo sforzo necessario al suo impiego debbono essere adeguati alle capacità di
chi lo utilizza.
Un discorso particolare merita il manico, oggi forgiato con i materiali più
diversi: legno, metallo, plastica. Il primo resta sicuramente il migliore, e non
solamente per motivi ecologici, ma perché più maneggevole e duraturo. Il
legno migliore a questo scopo è il frassino, caratterizzato da venature molto
marcate; meno indicato anche se più impiegato è invece il faggio,
riconoscibile per le striature puntiformi.

GLI STRUMENTI INDISPENSABILI


VANGA Conviene attenersi ai modelli in uso nella zona, a garanzia del fatto
che sono adatti al tipo di terreno del luogo. Esistono modelli a lama quadra,
rettangolare, a scudo. Il tipo a rebbi, del tutto simile a una forca ma con i
rebbi più brevi e dritti, facilita la vangatura dei terreni molto compatti e
argillosi. Viene chiamato anche tridente foraterra e mantiene questo nome
anche se i “denti” sono 4 o 5.
ZAPPA Anche in questo caso i modelli sul mercato sono numerosi. Conviene
scegliere un modello adeguato al proprio braccio e alla propria forza, e poi
affiancare la zappa principale, per gli usi generali, con una zappetta leggera a
lama piatta per i lavori rapidi e superficiali e una zappetta a punta per
tracciare i solchi.

FORCONE Serve a sminuzzare le zolle, ad arieggiare il terreno e a spostare


materiale organico e letame fresco sul cumulo di compostaggio. Deve avere
rebbi curvi e forti, preferibilmente in acciaio temprato.

I rebbi del forcone devono essere curvi e forti, meglio se in acciaio temprato.

RASTRELLO Per l’orto serve solo il modello in ferro, di larghezza limitata


(30-60 cm) e con rebbi brevi. Poiché serve principalmente per livellare il
terreno, è bene che abbia il dorso piano, utilizzabile per la finitura delle
parcelle.

TRAPIANTATOIO È la consueta paletta per tutti i lavori di giardinaggio,


compresi quelli nell’orto. Deve essere di ottima qualità, con lama spessa e
manico ergonomico.

CARRIOLA Indispensabile per spostare letame, compost, rifiuti vegetali


dell’orto, materiali da costruzione per realizzare cordoli, pavimentazioni,
recinzioni ecc. I modelli tradizionali (realizzati in ferro e con ruota in
gomma) sono i più durevoli e solidi, ma oggi esistono modelli altrettanto
validi in materiale plastico o addirittura in tela impermeabile e pieghevoli.

FORBICI Nell’orto non servono modelli sofisticati e costosi, perché l’uso è


marginale. Tuttavia conviene sceglierne un paio con lame robuste per i lavori
generici e un altro paio con lame lunghe e sottili per operazioni più
specialistiche, per esempio cimare uno stelo, rimuovere una foglia attaccata
da una malattia ecc.

GLI ALTRI ATTREZZI UTILI


PIANTATOIO O FORATERRA È un piccolo attrezzo manuale appuntito, che
serve per fare rapidamente le buchette di impianto per semi grossi che si
mettono a dimora a postarelle (3 o 4 semi per ogni buchetta). Trova impiego
anche nel trapianto di ortaggi.

SARCHIATORE O ERPICATORE MANUALE Ha 3 denti curvi che, passati


sul terreno come una zappetta, rimuovono velocemente le erbacce e
arieggiano le zolle tra gli ortaggi.

SGORBIA O ESTIRPA ASPARAGI È un’asta metallica che termina a coda di


rondine. Affondato nella terra questo attrezzo recide gli asparagi ancora
teneri e bianchi oppure rimuove radici profonde a fittone.

RONCOLA Il modello base, di modeste dimensioni, sostituisce con vantaggio


un comune coltello quando si raccolgono ortaggi da foglia. Il più interessante
è sicuramente il modello di roncola pieghevole, che dovrebbe sempre stare a
portata di mano, pronto per tutte le evenienze. Può essere utilizzato per
esempio per tagliare un legaccio per sostenere i pomodori, fare la punta a un
bastone, prendere una manciata di rucola, pulire un cavolo prima di portarlo
in casa e così via.

GLI ATTREZZI A MOTORE


MOTOZAPPA Rende rapido il lavoro di rivoltare la terra in primavera e ad
ogni cambio di coltura.
Secondo alcuni, però, può rivelarsi controproducente in alcuni casi, per
esempio se viene fatta lavorare nel terreno troppo umido o compatto e
argilloso, che tende a rendere ancora più compatto.

TRITURATORE Azionato elettricamente o con motore a scoppio, ha un


sistema di coltelli o martelli che frantumano, sfilacciano e tritano i rifiuti
organici per favorire il compostaggio rapido anche di vegetazione di scarto
grossolana e voluminosa, come per esempio steli di mais o zucchini, torsoli
di cavoli, vecchi tutori di rami ecc.

GLI ACCESSORI
Dal contenitore di compostaggio al serbatoio per l’acqua, dal bidone
inceneritore per distruggere la vegetazione malata sino ad accessori assai
poco ingombranti ma altrettanto utili… Anche l’orticoltore fa shopping di
tanto in tanto, con l’intento di ottimizzare il lavoro e provare soddisfazione
sia nei momenti di produzione sia in quelli di raccolto. Alcuni accessori sono
effettivamente molto utili, tra questi il cuscino-inginocchiatoio in poliuretano
per evitare di spezzarsi la schiena lavorando curvi sulla terra.
Tra cesti per raccogliere gli ortaggi, tutori metallici a spirale che non
richiedono la legatura degli ortaggi, scatole per conservare le sementi,
rastrelliere per attrezzi e abbigliamento, guanti, grembiuli con tante tasche,
teli di tessuto non tessuto e tunnel per proteggere le colture dal freddo
notturno, ognuno troverà ciò che gli è più utile per diventare un orticoltore
provetto e soddisfatto.

Un terreno ben lavorato e arato garantisce il benessere delle piante.


L’orto in 7 step

PROGETTAZIONE
Fare un orto partendo da un terreno incolto è ogni volta un’esperienza
diversa. Forma, divisione e contenuto dipendono infatti dal territorio, dalla
conformazione dell’appezzamento, dai desideri e dalle esigenze di chi si
appresta a coltivare ortaggi.
Diverso poi è l’impegno a strutturare e poi lavorare 100 mq (le dimensioni
medio-grandi di un orto in grado di fornire raccolti tutto l’anno a una famiglia
di 5-6 persone) oppure solo un angolo di giardino non più grande di 5 mq
(sufficiente comunque per 5 parcelle di un metro quadrato ognuna che danno
tutto l’anno verdura fresca da insalata per 2 persone). Una volta decisa la
superficie da destinare a orto, non resta che strutturare lo spazio sulla carta,
prevedendo anche i servizi accessori per facilitare il lavoro e moltiplicare le
soddisfazioni.

STEP 1
DISEGNARE IL PROGETTO
Si riportano sulla carta millimetrata, in scala, le misure dell’appezzamento,
non tralasciando di segnalare sul perimetro la posizione del cancellino di
accesso. Questo consente di stabilire, partendo proprio da quello principale, il
percorso dei vialetti tra le parcelle. I vialetti devono avere almeno 50 cm di
larghezza per essere percorribili con la carriola, molto utile per tutti i trasporti
pesanti (letame, compost, raccolto di patate ecc.). Se pavimentati con ciottoli,
lastre di pietra, assi di legno impregnato, piastrelle di graniglia o altro
materiale compatibile, i vialetti daranno poco lavoro, dal momento che non si
riempiranno di erbacce.
In quanto alle parcelle, possono essere di misure variabili secondo
necessità e conformazione del terreno, tenendo conto tuttavia che lo standard
è di 2 m di lunghezza e 1 m di larghezza.
La progettazione prevede anche come strutturare il perimetro dell’orto. È
auspicabile ci sia spazio per una siepe mista lasciata crescere libera
(larghezza di almeno 1 m, lunghezza da definire), ma in mancanza di spazio
si potrà optare per una più modesta siepe formale da mantenere bassa e
squadrata, realizzata per esempio con Berberis, Cotoneaster, ligustro e altre
specie che, nonostante la potatura, fioriscono e regalano le loro bacche agli
uccelli. La siepe gioca un ruolo importante nell’ecosistema dell’orto: filtra
l’inquinamento atmosferico nel caso il terreno si trovi presso una strada o
accanto al viale carrabile di accesso alla casa; è una barriera utilissima contro
i venti dominanti, a maggior ragione contro quelli freddi che provengono da
nord; può sostituire il frutteto, sebbene in forma ridotta, se non si dispone di
spazio per realizzarne uno. Più di tutto, la siepe è richiamo e rifugio per gli
uccelli, gli insetti e i piccoli mammiferi che collaborano all’equilibrio
ambientale.

UN MODO FACILE DI DISEGNARE L’ORTO

• Chi non ha particolare esperienza oppure non ha fantasia sufficiente per


inventarsi un orto dal disegno personalizzato, può fare ricorso al più classico
dei metodi, che risale all’epoca medievale: tracciare 2 linee a croce,
corrispondenti ad altrettanti vialetti principali che dividono lo spazio in 4
quadranti pressoché identici.
• Ogni quadrante sarà poi diviso a sua volta in parcelle rettangolari o quadrate,
mentre al centro si potrà realizzare un’aiuola circolare che, essendo il punto
focale della scena, potrà contenere una pianta vistosa (un esemplare di
rabarbaro dalle foglie enormi, un albero da frutto ecc.), oppure una vasca con
l’acqua e gli attacchi per l’irrigazione o, ancora, un’anfora di bella foggia
oppure una panchina.
L’ORTO GIARDINO
Per un orto dal forte impatto decorativo, progettate uno spazio circolare da
suddividere poi a spicchi, in cui alternare fiori e coltivazioni orticole.

STEP 2
L’ATTUAZIONE DEL PROGETTO
Una volta completato il disegno sulla carta millimetrata, se lo si ritiene
soddisfacente dal punto di vista tecnico ed estetico, si può finalmente
diventare operativi e riportare le misure sul terreno. In questa fase servono un
metro a nastro e corde da muratore da tendere tra picchetti in legno infissi in
terra: prima si delimita il perimetro dell’area da adibire a orto, quindi si
riquadrano le parcelle interne.
Se il terreno ha già avuto una prima vangatura grossolana, è consigliabile
non camminarci sopra, ma creare camminamenti con vecchie assi. Si lavora
procedendo dalla periferia, cioè dalla zona di confine, verso l’interno,
completando a mano a mano le opere lungo queste direttrici.
Così i primi lavori a essere conclusi saranno la posa della recinzione e la
piantagione della siepe, l’ultimo una eventuale aiuola che segna il centro
dell’appezzamento. A questo punto non resta che occuparsi della terra perché,
resa soffice con le lavorazioni profonde e fertile con l’uso di concimi, possa
accogliere semi e piantine di ortaggi.
Durante la fase di progettazione bisogna tenere conto dei servizi
indispensabili per la gestione ottimale dell’orto. È già presente una presa
d’acqua o è necessario eseguire scavi per portare le tubazioni dalla casa? Si
può disporre di un magazzino non lontano dall’orto o è preferibile prevedere
un capanno degli attrezzi sul posto? È il caso di proteggere l’orto, oltre che
con la siepe, anche con una recinzione che impedisca le incursioni del cane di
casa e serva da supporto per gli ortaggi rampicanti? Si intende costruire una
serra vera e propria con la base in muratura o si pensa di lasciare un tunnel
sul posto tutto l’anno? In quale posizione? Rispondere a tutti questi quesiti
aiuta a mettere a fuoco un’idea personale di orto e ad affrontare da subito
l’attività di orticoltore amatoriale nel migliore dei modi. Infine, si possono
prevedere accessori come il cassone freddo e il contenitore di compostaggio.
Nel disegnare la posizione precisa in cui collocarli, si terrà conto che il
cassone, proprio per il suo ruolo di protezione delle colture, va previsto
nell’angolo più soleggiato e riparato, mentre il contenitore di compostaggio
andrà in ombra nella zona dell’orto meno in vista, eventualmente schermato
da un arbusto e accessibile con facilità da un vialetto. Nel tempo, saranno
infatti numerose le occasioni in cui si dovranno trasportare dall’orto rifiuti da
compostare o prelevare compost da aggiungere alle parcelle dell’orto.

DALL’INCOLTO AL LETTO DI SEMINA


Se l’appezzamento da destinare a orto non è mai stato coltivato, è necessario
seguire un ordine preciso nelle operazioni.
La prima operazione è ripulire il terreno dai sassi superficiali e rimuovere
la copertura di vegetazione spontanea, mantenendo però eventuali siepi
naturali o arbusti sparsi che si prestano a essere trapiantati in filare lungo il
perimetro dell’appezzamento. Infatti la siepe è utile all’orto: favorisce
l’equilibrio dell’ecosistema, richiama gli insetti impollinatori e svolge una
importante funzione frangivento. Dopo questi primi interventi si passa alla
fase di preparazione vera e propria del terreno.
STEP 3
LA PREPARAZIONE DEL TERRENO
Con la vanga è necessario rivoltare le zolle grossolanamente sino a 25-30 cm
di profondità per far affiorare ciottoli, sassi e radici a fittone. Deve essere un
lavoro accurato, altrimenti dopo poco tempo si riformano piante infestanti
quali la carota selvatica e il tarassaco o soffione, che entrano in competizione
con gli ortaggi e possono prendere il sopravvento. In questa fase si lavora
tenendo al fianco la zappa, per aiutarsi a sminuzzare le zolle quando serve, e
la carriola, nella quale versare tutti i materiali rimossi dal terreno, rifiuti
vegetali e inerti. Quanto maggiore è la cura iniziale, tanto minori saranno gli
interventi di diserbo e di pulizia durante la coltivazione dell’orto.
Nel corso di questa prima vangatura grossolana si può anche procedere alla
somministrazione di sostanze ammendanti. Si è notato, per esempio, che le
particelle di terra restano attaccate alla vanga? Significa che la terra è
argillosa e compatta: l’aggiunta di sabbia e sostanza organica la renderà più
leggera e arieggiata. Al contrario la terra è incoerente e “scivola via” dalla
vanga? Vuol dire che è molto sabbiosa e, senza un consistente apporto di
compost o terriccio torboso, gli ortaggi cresceranno a stento e richiederanno
concimazioni e annaffiature frequenti.
Si usano ammendanti anche per correggere il pH non adeguato, troppo
acido o troppo calcareo, e in seguito si lascia riposare per qualche tempo la
terra, senza livellare né sminuzzare le zolle, perché le sostanze aggiunte
abbiano tempo e modo di amalgamarsi. L’ideale sarebbe lasciar trascorrere
una stagione intera, l’inverno.

LA VANGATURA DEI DIVERSI TIPI DI TERRENO


Il terreno argilloso è pesante, impermeabile e forma masse compatte (a
sinistra). La vanga penetra facilmente nello strato di soffice humus (al centro);
invece il terreno sabbioso non può trattenere le sostanze nutritive, perché la
sabbia è priva di consistenza (a destra).

STEP 4
LA CONCIMAZIONE
Gli ammendanti possono migliorare la struttura della terra, ma non la sua
fertilità. Ecco allora che si deve aggiungere sostanza organica, quale letame
maturo o compost di ottima qualità, subito assorbibile dalle radici per il
nutrimento delle piante e benefico per lo sviluppo di una ricca flora batterica
negli strati profondi. È quella che viene chiamata concimazione di fondo. Sia
il primo apporto dopo il dissodamento del terreno sia le integrazioni
successive, una volta all’anno, hanno il fine di formare l’humus
indispensabile alla vita delle piante.
I lombrichi hanno la funzione di arricchire naturalmente il terreno con i propri
escrementi, aerandolo e rivoltandolo con le loro gallerie.

Il letame ha però una percentuale bassa di sali minerali, in ogni caso sono
più consistenti le tracce di azoto (proveniente dall’urea delle deiezioni
animali), mentre per l’equilibrio minerale del terreno sono necessari anche
fosforo e potassio. Ecco allora la necessità di aggiungere alla terra queste
sostanze sotto forma di fertilizzante granulare o in polvere, preferibilmente in
una formula equilibrata, cioè con la stessa percentuale di azoto, fosforo e
potassio, per esempio NPK 10-10-10. Seguendo le indicazioni riportate sulla
confezione, si pesa una quantità di prodotto adeguata all’estensione del
terreno e si distribuisce in modo quanto più possibile uniforme. Molti
concimi minerali di nuova generazione contengono anche piccole percentuali
di microelementi, utili soprattutto se, dopo l’analisi del terreno, si sono
rilevate carenze che potrebbero rallentare lo sviluppo degli ortaggi o limitarne
la produzione.
• Il rispetto dell’ambiente Quando si pratica una lavorazione del terreno, si
agisce su un complesso ecosistema e non su una superficie inerte della quale
disporre a piacere. Qualsiasi intervento altera l’habitat nel quale miliardi di
organismi svolgono un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle piante e, in
ultima analisi, per la vita sulla terra. Tuttavia, ciò che può essere devastante
per l’integrità del terreno se mal gestito, può nella stessa misura rivelarsi utile
per migliorare le condizioni dell’ecosistema misterioso e importantissimo
nelle profondità del suolo.
Un esempio riguarda la vangatura. Ogni intervento di questo genere
distrugge aggregati vitali, ma può rivelarsi molto utile nei terreni
particolarmente compatti, freddi e poveri, dove l’ossigeno penetra con
difficoltà. Vangando quando il terreno è “in tempra”, cioé alla giusta umidità,
aggiungendo letame ben maturo ed evitando di agire troppo in profondità,
l’orticoltore collabora attivamente ad arieggiare la terra e favorisce la
penetrazione dell’ossigeno. Se ne avvantaggiano i batteri del terreno aerobici,
che cioè hanno bisogno di aria per vivere e moltiplicarsi. Diventati più
numerosi, “digeriscono” una maggiore quantità di terra demolendo le
sostanze organiche apportate durante la vangatura, con la conseguenza che
quel terreno si rivelerà presto molto più fertile e accogliente per le radici delle
piante e il raccolto di ortaggi sarà in poco tempo più abbondante e di qualità
migliore.

Il terreno deve essere accuratamente preparato aggiungendo sempre i concimi più


adatti e, se necessario, le sostanze ammendanti del caso: solo in questo modo si può
ottenere un raccolto ricco e di ottima qualità.

• Quali attrezzi usare Si ricorre all’azione della vanga per incorporare la


sostanza organica nel terreno, per ripulirlo in profondità da radici e sassi, per
esporre le zolle di terra troppo compatta all’azione disgregante del gelo. Sarà
invece più utile la forca a badile per rivoltare velocemente la terra
superficiale tra una coltura e l’altra o per dissotterrare le patate. In quanto alla
zappa, è l’attrezzo più frequente nelle mani dell’orticoltore e, se ben usata, da
sola mantiene in ordine le parcelle. Infatti serve per rompere la crosta
superficiale e arieggiare periodicamente tra le file di ortaggi, rimuove le
erbacce ai primi stadi di crescita, raccoglie la terra attorno agli ortaggi che
gradiscono la rincalzatura (dai pomodori ai cavoli), incorpora i prodotti
minerali durante la concimazione di copertura.

LA VANGATURA

La vangatura serve anche a far affiorare ciottoli e radici. Le zolle vanno


lasciate intere (1): nel corso dell’inverno il gelo provvederà a disgregarle (2).

STEP 5
PREPARARE LE PARCELLE
Dopo aver rastrellato con cura, si procede alla formazione delle parcelle o
letti di semina. Tenendo sott’occhio il disegno disposto in precedenza, con
corde tese tra paletti si traccia il perimetro di tutte le parcelle. Nei terreni
pesanti e sempre umidi si baderà ad ammonticchiare in ogni parcella una
quantità maggiore di terra, in modo che le colture risultino sopraelevate
rispetto al piano di campagna. Al contrario, nei terreni sabbiosi, che
asciugano con eccessiva velocità, le parcelle saranno un po’ infossate, in
modo da impedire la repentina evaporazione dell’acqua piovana e di
annaffiatura. Un ultimo colpo di rastrello per livellare le parcelle e rifinire gli
stradelli sui quali l’orticoltore si muoverà durante i lavori di coltivazione, ed
ecco l’orto pronto a cominciare la sua carriera con le prime semine e i primi
trapianti a dimora.

Trucioli di legna, paglia, tutoli di mais sgranati e sminuzzati, foglie secche, segatura
rappresentano ottimi materiali per pacciamature da distribuire alla base delle piante
al fine di preservarne le radici da eccessi di caldo o dal gelo.

QUANDO L’ORTO È AVVIATO


L’efficienza e l’abbondanza dei raccolti sono direttamente proporzionali alla
capacità di intervenire a tempo debito per migliorare la struttura del terreno,
reintegrarne la fertilità, oltrettutto con l’intento anche di risparmiare risorse e
tempo.

STEP 6
LA PACCIAMATURA
Questa pratica consiste nel proteggere il terreno attorno alle piante coltivate
in vario modo, con lo scopo principale di impedire perdite di umidità. Ma non
solo: la pacciamatura soffoca le erbe infestanti ed evita che, sviluppandosi,
entrino in competizione con gli ortaggi per il nutrimento. Inoltre, in caso di
forti piogge, ostacola il dilavamento dei sali minerali disciolti nel terreno,
soprattutto dell’azoto nitrico. Infine, se la pacciamatura viene effettuata con
materiale organico collabora nel tempo ad arricchire il terreno di sostanza
organica.
Il materiale organico consigliato per la pacciamatura – paglia, foglie
secche, avanzi appassiti di tosatura del prato, compost – va distribuito sul
terreno in uno strato sufficientemente spesso (15-25 cm) perché svolga il suo
ruolo con efficienza.
Pratici per alcune applicazioni, ma poco ecologici e ingiustificati in un
piccolo orto familiare, sono i teli in polietilene (plastica) o in tessuto non
tessuto, entrambi neri. Una valida alternativa a questi prodotti pacciamanti è
rappresentata dai fogli di carta di mais neri, che al termine della stagione
possono essere vangati nella terra. Purtroppo, però, sono difficili da reperire
sul mercato.

Una spessa pacciamatura di paglia distribuita a inizio estate impedisce la dispersione


dell’umidità contenuta nel terreno e favorisce la produzione abbondante di ortaggi
come fagiolini, cetrioli e patate.

STEP 7
LA VANGATURA ANNUALE
Due sono gli strati del suolo che interessano l’attività dell’orticoltore: lo
strato attivo, il più superficiale, dal quale le radici traggono il nutrimento per
la pianta, e lo strato inerte, momentaneamente inutilizzato, ma che è possibile
far affiorare con la vangatura. Solo lo strato attivo viene regolarmente
vangato e concimato a fondo una volta all’anno, a fine inverno; per contro, lo
strato inerte sottostante giace in attesa di un rimescolamento. Le scuole di
pensiero sullo sfruttamento di questo strato profondo sono due, contrastanti
tra loro.
• Il letto profondo La prima scuola dice che all’occorrenza lo strato inerte
può sostituire lo strato attivo allorché questo risultasse troppo sfruttato. Una
particolare tecnica di coltivazione chiamata “del letto profondo”, prevede una
vangatura doppia per giungere fino allo strato inerte e una leggera
lavorazione del fondo con una forca o con una vanga a rebbi per renderlo più
soffice e arieggiato e favorire la penetrazione delle radici, dell’aria e
dell’acqua. Secondo alcuni un orto impostato con questa tecnica può fornire
produzioni triple rispetto a un orto tradizionale, oltre a mantenere la terra
soffice, fertile e ben drenata per parecchi anni.
• Lasciar fare alla natura La seconda scuola di pensiero, che ha come
capostipite internazionale l’agronomo giapponese Masanobu Fukuoka,
prevede invece la filosofia e la tecnica della non azione. “Il terreno lavora e si
ara da solo”, insegna Fukuoka, “e non c’è bisogno di arare o migliorare un
terreno perché la natura sta lavorando per esso con i propri metodi da
migliaia di anni”. In termini pratici vuol dire che non bisogna intervenire
sulla terra: saranno la flora batterica del terreno, le radici profonde e le
pratiche agricole minime e rispettose a rendere accogliente il terreno per gli
ortaggi.
La concimazione

CONCIMARE LA TERRA
La concimazione chimica si basa sulla teoria della restituzione quantitativa
degli elementi nutritivi – principalmente azoto (N), fosforo (P) e potassio (K)
– sottratti al terreno dalla coltura.
Questo modo di pensare e agire, che considera il suolo come un substrato
inerte, un supporto puro e semplice per le radici delle piante, ha avuto
successo fino a quando nei campi è stata presente la fertilità chiamata forza
vecchia, cioè l’humus accumulato in tanti decenni di letamazioni.
Con il passare degli anni, però, senza più apporti organici, l’humus si è
consumato, e spesso il suo contenuto nei terreni agrari è sceso al di sotto
dell’1%.
Quando ci si è accorti che, nonostante l’uso sempre più massiccio di
prodotti chimici, il tasso di fertilità del suolo non aumentava, ma anzi
diminuiva, allora si è dovuto ammettere che la concimazione di sintesi senza
il tramite della sostanza organica umificata non può migliorare la fertilità del
terreno.
Insomma: restituire sali minerali serve solo finché l’attività microbica del
terreno è vivace, cioè fino a quando l’humus è sufficiente per “digerire”
questi sali nutritivi per poi fornirli alle piante in forme ben più complesse.
È quindi consigliabile usare i concimi chimici solo nei casi di vero
bisogno. Infatti, se al nostro orto non faremo mancare il letame, difficilmente
avremo la necessità di ricorrere a questi integratori di sintesi.

LETAME: IL RE DEI CONCIMI


Il letame è un concime di origine organica, ossia è prodotto da organismi
viventi. Esso è formato dalle deiezioni solide e liquide di alcuni animali da
allevamento mescolate alla lettiera e lasciate fermentare per un periodo più o
meno lungo. Ne esistono vari tipi; tra i migliori vi è indubbiamente il letame
equino, poco acquoso, ma, costoso e difficile da trovare sul mercato. Il
tradizionale letame bovino, la cui disponibilità è assai più elevata, ha
comunque qualità più che sufficienti per garantire una buona concimazione
organica.

TEORIA DEGLI APPORTI NELLE SOSTANZE NUTRITIVE

1. La sostanza organica si deposita sulla superficie del suolo (foglie, rametti ecc.) e
penetra gradualmente in profondità con le piogge, dopo che è stata decomposta e
trasformata in humus dagli organismi utili del terreno.
2. Le radici delle piante attingono dalla riserva fertile (humus) le sostanze necessarie
per crescere e fruttificare.
3. L’humus inutilizzato costituisce una riserva ferile nel suolo. Legandosi con delle
particelle di argilla forma un complesso che conferisce al terreno una struttura
soffice, ottimale per la vita radicale.

Altri tipi di letame sono forniti da ovini, conigli, polli e suini. Nell’orto si
rivela molto utile il letame dei polli o pollina, mentre è scadente, perché
acquoso e di scarsa qualità, quello suino.
Una buona concimazione letamica deve aggirarsi mediamente attorno ai 3-
4 q di letame maturo per ogni 100 mq di superficie orticola. La massa andrà
distribuita sulla superficie del terreno in maniera regolare e subito interrata
con un accurato lavoro di vangatura. Tale operazione verrà effettuata con
anticipo di qualche mese sulla semina degli ortaggi, in modo che il concime
possa subire i necessari processi di decomposizione e integrazione al terreno.
Nel caso il letame venga acquistato, deve essere consegnato al massimo un
giorno prima dell’uso. Infatti, rimanendo esposto all’aria per troppo tempo,
potrebbe perdere una parte dell’azoto ammoniacale, che è molto volatile.

Resti di paglia e legno triturato vengono aggiunti agli altri residui organici:
nell’insieme daranno vita a un terriccio fertile, utile ad arricchire il suolo sia
chimicamente che fisicamente.

L’IMPORTANZA DELLA MATURAZIONE Chiunque, disponendo di una


piccola concimaia o di un angolo fuori mano in mezz’ombra, può portare a
maturazione il letame. Il cumulo andrà tenuto riparato dal sole e dal vento
perché la massa in decomposizione non corra il pericolo di asciugarsi, e si
troverà lontano dalle abitazioni per evitare gli sgradevoli odori del primo
periodo di maturazione, quando il contenuto di ammoniaca è molto alto. Si
potrà distribuire il letame nell’orto solo quando sarà sufficientemente maturo,
ossia non prima di almeno 5-6 mesi se il compostaggio è avvenuto nel
periodo caldo dell’anno, ma anche dopo un anno se il ciclo di maturazione è
stato avviato in inverno.
Una perfetta stagionatura rende scura, uniforme e leggermente profumata
di terra di bosco la massa di letame, nella quale non deve essere più possibile
distinguere la paglia della lettiera. Omogenea e untuosa al tatto, deve anche
avere la giusta umidità. La perfetta maturazione contribuisce al degrado delle
sostanze nocive contenute nel letame, per esempio prodotti chimici e
antibiotici somministrati agli animali nelle stalle, evitando in questo modo di
contaminare le colture e danneggiare l’attività dei batteri nella terra dell’orto.
Una buona maturazione, inoltre, riduce il pericolo dell’insorgenza di
marciumi in alcuni ortaggi particolarmente sensibili e inibisce la
germinazione dei semi contenuti nel letame fresco.

I RUOLI DEL LETAME Oltre ad apportare sostanza organica, il letame


contribuisce alla concimazione minerale con discrete quantità di elementi
fertilizzanti. In 10 q di letame ci sono in media 5 kg di azoto, 2-3 kg di
fosforo e 5 kg di potassio utilizzabili dalle piante. Per quanto non siano
sufficienti a garantire il nutrimento delle colture, rappresentano comunque un
apporto significativo e gratuito. Il letame non si limita a fornire nel terreno
sostanza organica e una enorme carica di flora microbica. Svolge anche un
ruolo fondamentale nella conservazione delle proprietà fisiche e chimiche del
terreno ed è un ottimo ammendante che migliora lo scheletro di quelli poco
adatti alla coltivazione degli ortaggi. Modifica vantaggiosamente la struttura
dei terreni sabbiosi e argillosi e, grazie al suo pH debolmente acido,
diminuisce l’alcalinità nei terreni calcarei.

LA FERTILITÀ DEL TERRENO


Nessuna pianta vivrebbe sui detriti di roccia (nonostante siano ricchi di
elementi minerali) disgregati dagli agenti atmosferici, se tale substrato non
fosse immediatamente colonizzato dai microrganismi inferiori che con la loro
attività promuovono una serie complessa di fenomeni biochimici. Le piante
per crescere bene hanno infatti bisogno non solo di un clima adatto, ma di
tutte quelle condizioni di vitalità del terreno attivate dalla microflora e
microfauna; esse non sono che un anello dell’intero ciclo dei processi
biologici che avvengono sopra e sotto il suolo, e come tali vanno considerate.
La concimazione chimica, ignorando del tutto la vita del terreno, si rivolge
alla nutrizione delle sole piante coltivate, come se si potesse far sviluppare un
solo organo di un corpo vivente. La concimazione organica, invece, mira al
benessere dell’intero organismo agrario, perché parte dal principio secondo il
quale solo grazie a una maggiore e armonica vitalità del terreno si possono
sviluppare piante più robuste, con un più alto valore nutritivo e migliori
qualità organolettiche.
Quindi, quando si dice che un terreno è fertile, si intende non solo la sua
ricchezza in elementi chimici minerali, ma ci si riferisce a un insieme
complesso di caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, tra loro bilanciate
e interagenti. Nel terreno, l’elemento equilibratore e integratore di questi tre
elementi è l’humus, che diviene quindi il vero protagonista e promotore della
fertilità.
L’humus ha caratteristiche uniche tra le sostanze organiche: ha una base
minerale legata a una materia organica in uno stato biochimico
particolarissimo e mantiene, al contempo, una vitalità biologica in continua
trasformazione.

COS’È L’HUMUS Chimicamente l’humus è una sostanza organica


complessa, contenente carbonio, derivata dalla decomposizione dei residui
vegetali e animali e dall’attività di sintesi dei microrganismi. L’humus del
terreno non va considerato come una sostanza morta, ma come una sostanza
in trasformazione continua, anello di congiunzione tra il mondo minerale e
quello organico, di fatto uno stato transitorio della materia.
Le sostanze organiche da cui prende origine la sintesi dell’humus sono
vegetali (come lignine e cellulose) e animali, (quali deiezioni, tessuti e
sangue), con un rapporto C/N molto elevato. Questo rapporto indica il
contenuto di carbonio relativamente a quello di azoto nella sostanza organica.
Il carbonio deriva prevalentemente da sostanze vegetali e l’azoto da quelle
animali. È molto importante che questa reciproca proporzione venga tenuta
presente al momento di acquisire le materie prime per una corretta
preparazione del compost.

STRUTTURA DI UN TERRENO FERTILE


Il processo di sintesi dell’humus è costituito essenzialmente da 5 fasi:
• 1. Fase di decomposizione Subito dopo la morte della sostanza vivente
(vegetale oppure animale) inizia il processo di demolizione delle cellule con
l’idrolisi e l’ossidazione. Le lunghe molecole della materia vivente si
rompono, come gli amidi e le proteine.
Ecco un esempio di terreno ricco di humus a cui è stato aggiunto del concime
organico.

• 2. Fase di miscelazione meccanica Questa fase è promossa invece dagli


invertebrati, e in particolare dagli anellidi come i lombrichi, che letteralmente
impastano la frazione minerale con quella organica in decomposizione.
• 3. Fase di sintesi enzimatica Questa fase è caratterizzata dallo sviluppo
turbinoso dei batteri e dei funghi, i quali promuovono la fase enzimatica di
destrutturazione del rimanente materiale organico. A questo punto del
processo le sostanze prodotte sono soggette a una rapida decomposizione a
opera di microrganismi, funghi e batteri, dando origine a sostanze organiche
relativamente semplici, quali amminoacidi, zuccheri, composti aromatici,
vitamine ecc.
Arrivati a questo punto, i composti prodotti sono molto instabili, e
potrebbero essere soggetti a ulteriore decomposizione e definitiva
mineralizzazione. Alla mineralizzazione corrisponde anche la solubilità degli
elementi chimici ormai inorganici, e a questa corrisponde la loro dilavabilità.
Significa che a questo punto del processo siamo tornati alla materia morta e
inerte: l’humus non si può più avere.
• 4. Fase di sintesi dell’humus solubile Se invece durante la fase di sintesi
enzimatica si verificano idonee condizioni di umidità, temperatura e
ossigenazione, altri microrganismi utilizzano tali sostanze organiche
intermedie per arrivare alla produzione di humus, che in questa forma ha un
rapporto C/N compreso tra 10 e 25, e che rappresenta perciò il prodotto finale
delle trasformazioni biochimiche della sostanza organica. L’humus così
formato è detto solubile, poiché pur essendo più resistente a ulteriore
decomposizione organica è ancora fortemente a rischio per il fenomeno della
mineralizzazione, cioè la scomposizione delle molecole organiche in elementi
inorganici.
• 5. Fase di stabilizzazione dell’humus Quando i composti umici intermedi
dell’humus solubile sono mescolati ad argilla, questi si legano tra loro
formando complessi argillo-umici stabili, resistenti al lavaggio dell’acqua
piovana e più resistenti alle temperature. L’humus stabile ha catturato,
mediante molecole organiche complesse, le sostanze minerali, proteggendole
dal dilavamento e rilasciandole alle piante progressivamente. Le straordinarie
proprietà dell’humus stabile verranno esaminate più avanti.
Se si cerca di immaginare l’insieme dei processi biochimici che avvengono
nel terreno e che portano alla formazione dell’humus, è possibile vedere il
fluire circolare degli eventi microbiologici: dalla sostanza organica in
decomposizione si passa, attraverso un’intensa attività di sintesi, alla
formazione dell’humus, che a sua volta, con la mineralizzazione, si consuma
per liberare elementi inorganici per la nutrizione delle piante. La fase di
smantellamento dell’humus è la mineralizzazione delle molecole umiche
organiche in elementi minerali.

Fermentazione del letame di cavallo. L’aggiunta di letame è una delle più efficaci
pratiche di concimazione organica.

Questo ciclo, così esemplificato, scorre continuamente nel tempo con un


continuo consumo di humus con la mineralizzazione e una continua necessità
di reintegro in sostanza organica. L’humus stabile, grazie alla sua particolare
struttura che lo lega all’argilla, ha però la capacità di rallentare
momentaneamente il precipitare della sostanza da organica a inorganica
(mineralizzazione), comportandosi come una sorta di volano energetico
accumulatore di fertilità.
A livello biochimico l’humus si presenta come una miscela complessa di
diverse sostanze organiche, prevalentemente acidi umici e fulvici, la cui
principale funzione è quella di polimerizzare intrappolando nella propria
struttura altre sostanze chimiche, sia organiche (proteine, zuccheri, enzimi e
vitamine) che minerali (azoto, fosforo, potassio, ferro, boro ecc.). Quanto
detto, in parole semplici, significa che l’humus si comporta come una rete
con la quale sono catturate le sostanze costituenti la fertilità del suolo, alle
quali si impedisce temporaneamente di perdersi e degradarsi.

LEGUMINOSE: UNA FAMIGLIA DAVVERO UTILE

Le leguminose hanno la singolare proprietà di arricchire il terreno di azoto.


Ciò è dovuto a un particolare gruppo di microrganismi, chiamati azotofissatori
simbionti. Essi instaurano con la pianta ospite un processo di reciproco
scambio (simbiosi): cedono alla leguminosa una parte d’azoto che assorbono
dall’aria per il loro nutrimento e ne ricevono in cambio gli idrati di carbonio di
cui necessitano per lo svolgimento dei processi vitali. Quando si decompongono
nel terreno, liberano azoto di pronto utilizzo per le radici delle piante. Sono
leguminose: fagioli, fagiolini, piselli, fave, ceci e lupini.

A livello molecolare, i principali costituenti dell’humus, gli acidi umici e


gli acidi fulvici, non sono però molecole rigide e statiche, ma associazioni di
molecole più piccole differenti (blocchi costitutivi) tenute insieme da legami
idrogeno. Questa particolare struttura mutevole degli acidi umici e fulvici
comporta una continua aggregazione e dispersione delle parti elementari che
abbiamo chiamato blocchi costitutivi, influenzate dalle condizioni ambientali
e dagli agenti atmosferici.
Grazie a questa versatilità e vitalità dei suoi elementi costitutivi, l’humus
diviene un grande accumulatore e dispensatore di minerali, per la sua
notevole capacità di dissolvere, assorbire, trasportare e mettere a disposizione
delle radici delle piante, in un’ampia gamma di situazioni pedoclimatiche, i
minerali, i metalli e le sostanze organiche, non escluse quelle tossiche
apportate dall’uomo.

IL SOVESCIO
Il sovescio è un’antica tecnica di concimazione organica tornata d’attualità
per gli effettivi e molteplici vantaggi che offre. In pratica consiste nel
coltivare determinate piante che andranno interrate al momento del loro
massimo sviluppo allo scopo di arricchire il terreno di sostanza organica e
aumentare le riserve idriche nei terreni siccitosi. Il sovescio migliora anche la
struttura fisica del terreno e protegge dal dilavamento e dall’erosione gli strati
superficiali del suolo grazie alla copertura vegetale tra una coltura e l’altra. In
ogni caso l’effetto più rilevante è il miglioramento della fertilità.

LE PIANTE DA SOVESCIO Le piante adatte al sovescio, perché apportano al


terreno elementi fertilizzanti e hanno una notevole massa, appartengono
principalmente a 3 famiglie: leguminose, crocifere e graminacee.
Le leguminose, oltre alla singolare virtù di lasciare il terreno ricco d’azoto,
vantano un elevato numero di specie in grado di adattarsi ai più diversi tipi di
clima e di terreno. Tra le principali leguminose da sovescio ricordiamo il
trifoglio incarnato, la veccia, la favetta, il pisello da foraggio, il lupino, la
lupinella, la soia.
Senape (Sinapis alba), una crocifera.

Le crocifere sono particolarmente adatte a essere impiegate allorché la


coltura da sovescio deve produrre in un tempo piuttosto breve una
considerevole massa di vegetazione, per esempio per migliorare un terreno
troppo “magro” perché sabbioso o rendere più leggero e arieggiato un terreno
argilloso. Sono ottime crocifere da sovescio la colza, il ravizzone e la senape.
Le graminacee si utilizzano di solito consociate con le leguminose allo
scopo di aumentare gli effetti benefici di entrambe le famiglie. Le
graminacee, per esempio, proteggono le leguminose dai rigori invernali,
mentre queste, che tollerano meglio la siccità estiva, ombreggiano il terreno
d’estate impedendo la dispersione dell’umidità che serve alle graminacee. Tra
le consociazioni graminacee-leguminose più frequenti ci sono quella tra
avena, pisello da foraggio e veccia e quella tra avena e veccia.

QUANDO FARE IL SOVESCIO Questa pratica può essere effettuata nell’orto


in differenti momenti e per scopi diversi.
• Concimazione verde annuale Per reintegrare la fertilità dell’orto o di un
appezzamento incolto da destinare a questo uso. In genere si usano
consociate una graminacea e una leguminosa, oppure solo una leguminosa.
• Dopo il raccolto di una coltura principale e prima di nuove semine Se il
terreno può rimanere libero per un lungo periodo, è senza dubbio da preferire
la consociazione graminacea-leguminosa, altrimenti si può seminare una
crocifera a rapido sviluppo.
• Prima di una coltura principale Ha lo scopo di arricchire e preparare il
terreno. Il binomio graminacea-leguminosa può risultare ancora una volta
valido, mentre si farà ricorso a una crocifera per rendere più rapido il ciclo.
• Come procedere Le colture da sovescio vanno sfalciate allorché hanno
raggiunto il massimo sviluppo, in piena fioritura. Per le leguminose sarà bene
effettuare lo sfalcio qualche giorno prima della completa fioritura, onde
impedire che una parte dell’azoto contenuto nei tubercoli radicali venga
sfruttato per portare i semi a maturità. Oltre che per l’accumulo massimo di
energia, le piante vanno recise in fioritura perché sono tenere e il loro fusto
non è ancora diventato legnoso. Se lasciati indurire, infatti, una volta interrati
gli steli impiegherebbero parecchio tempo a degradarsi. Dopo lo sfalcio le
piante rimangono sul terreno qualche giorno ad appassire e poi vengono
interrate con la vangatura. La profondità di interramento non deve essere
eccessiva, soprattutto nei terreni argillosi, per facilitare il processo di
decomposizione. Perché la terra risulti arricchita di humus, soffice e
arieggiata, tra lo sfalcio del sovescio e la semina deve trascorrere almeno un
mese se è estate, o più tempo nelle altre stagioni.
Avena (Avena sativa), una graminacea.

Il cavolfiore, della famiglia delle crocifere, è una pianta largamente utilizzata per il
sovescio.

LA CONCIMAZIONE MINERALE
I fertilizzanti minerali adatti alla concimazione di piante commestibili sono
quelli ricavati da minerali naturali ricchi di elementi nutritivi come fosforo,
potassio, magnesio e calcio.
Si ottengono in massima parte dalla semplice macinazione, essiccazione o
calcificazione di rocce. La solubilità dei prodotti ottenuti è limitata e
dipendente dalle caratteristiche del terreno, dall’attività dei microrganismi e
dalla capacità di assorbimento delle radici dei diversi ortaggi. D’altra parte la
limitata solubilità evita che i sali minerali vengano rapidamente dilavati dalla
pioggia o dalle annaffiature frequenti.

CONCIMI A BASE DI FOSFORO Questo elemento favorisce la fioritura, la


fruttificazione e la produzione di semi. In genere i terreni ricchi di humus
assicurano alle piante una discreta disponibilità di fosforo, che tuttavia può
essere necessario in quantità maggiori. Si può allora ricorrere all’impiego di
diversi prodotti: fosforiti, scorie Thomas e farina d’ossa, ma una interessante
fonte di fosforo è rappresentata anche dalle deiezioni di volatili (polli e
piccioni) e dal guano.
• Fosforiti Si ottengono per macinazione di rocce fosfatiche, derivate da
sedimenti fossili di pesci e invertebrati, accumulate nei fondali marini nelle
regioni dell’Africa settentrionale (Marocco, Algeria, Egitto) e degli Stati
Uniti (Florida, Tennessee ecc.). A causa della loro scarsissima solubilità le
fosforiti devono essere distribuite sotto forma di polvere finissima e utilizzate
solo nei terreni caldi, poveri di calcio o neutri. Il loro impiego risulta efficace
soprattutto per colture molto avide di calcio come alcune leguminose e
crocifere. A seconda della loro origine contengono una quantità di fosforo (o
meglio di anidride fosforica) variabile dal 25 al 35%.
Come per la maggior parte dei concimi minerali, è consigliabile unire le
fosforiti al letame in ragione di circa 1 kg per ogni quintale di sostanza
organica. Quando invece si effettua la distribuzione in pieno campo bastano
200-300 g di fosforiti ogni 10 mq di superficie ad orto.
• Scorie Thomas Sottoprodotto dell’industria siderurgica, contengono
anidride fosforica nella percentuale del 16-18%. Il nome di questo concime
minerale deriva dall’ideatore del processo di defosforazione necessario per
aumentare la resistenza dell’acciaio. Il fosforo viene separato dalla ghisa fusa
utilizzando calce viva. Per questo le scorie Thomas sono particolarmente
ricche di calce (sino al 50% del peso) e vengono impiegate con vantaggio nei
terreni acidi o comunque poveri di calcio. Poiché rilasciano il fosforo molto
lentamente, debbono essere distribuite nel terreno in inverno, in ogni caso
molto prima delle semine. Nella distribuzione in pieno campo si utilizzano
300-500 g ogni 10 mq di orto.
I concimi minerali, di qualsiasi tipo siano, vanno sparsi al piede delle piante.

• Farina d’ossa Ottenuta dalla calcinazione delle ossa raccolte nei mattatoi, è
una fonte di fosforo, ricca anche di calcio, e se ne consiglia l’uso in terreni
acidi oppure neutri. Fertilizzante minerale costoso, contiene il 18-22% di
fosforo, oltre a sostanza organica (30%) e a una piccola quantità di azoto (4-
5%). Se ne impiegano da 200 a 500 g per 10 mq di superficie.

CONCIMI A BASE DI POTASSIO Oltre a favorire lo sviluppo delle radici,


dei tuberi e dei frutti, il potassio aumenta la resistenza delle piante al gelo,
alla siccità e agli attacchi dei parassiti.
Vere e proprie carenze di potassio si registrano solo nei terreni molto
sabbiosi o torbosi, nella coltivazione dei fruttiferi e di qualche ortaggio
particolarmente avido di questo elemento. In tutti gli altri casi a soddisfare il
fabbisogno di potassio sono sufficienti le quantità apportate con la
distribuzione di compost o letame. Basti pensare che un metro cubo di
colaticcio animale contiene circa 15 kg di potassio. Quando occorre un
apporto specifico di questo minerale, si può ricorrere alla distribuzione di
farina di rocce, patentkali o più semplicemente di cenere di legna.
• Farina di rocce silicee Si ottiene frantumando lave e altre rocce di origine
vulcanica, come granito, gneiss ecc., ricche oltre che di potassio anche di
magnesio, calcio e numerosi oligoelementi come il silicio, capace di
aumentare la resistenza delle piante agli attacchi parassitari. Per questo la
polvere di rocce, più che un semplice fertilizzante ricco di potassio, può
essere considerata un vero e proprio ammendante. Le rocce con più elevato
contenuto di silicio (granito, porfido ecc.) si utilizzano essenzialmente nei
terreni calcarei o neutri; quelle a base di lava, come il basalto, sono invece
più adatte ai terreni acidi. In genere sono sufficienti da 500 g a 2 kg di
polvere di roccia per concimare 10 mq di orto.
• Patentkali È un solfato di potassio (28%) e di magnesio (9%) di origine
naturale, estratto da giacimenti di sedimenti salini, testimonianza di antichi
bacini marini oggi occupati da terre emerse. Oltre che di potassio e di
magnesio, il patentkali risulta particolarmente ricco di zolfo. Tra i fertilizzanti
minerali è il più solubile, e pertanto va usato con cautela per non inquinare la
falda acquifera.
Il miglior modo per non disperdere i sali minerali è unire questo prodotto
al cumulo di compostaggio nella misura di 7-8 kg per un metro cubo di
materiale organico, non eccedendo con la quantità: dosi maggiori possono
ostacolare il processo di compostaggio. In piena terra sono sufficienti 200-
400 g per 10 mq di superficie.

I BENEFICI DELLA CENERE

Si immagazzina facilmente e in poco spazio, non costa nulla, non si degrada, è


ricca di potassio ma anche di fosforo e altri elementi chimici minori, difficili da
ottenere da altre fonti naturali. Poiché però teme l’umidità, che tende a
cementare la polvere finissima in grossi grumi, la cenere va conservata in
bidoni ben chiusi. Avendone sempre un po’ a portata di mano, si scopre che
nell’orto è utile non solo come concime minerale per gli ortaggi da frutto (i
pomodori in particolare), ma anche per spolverare i cavoli attaccati dagli afidi,
per tendere trappole alle lumache (un piattino pieno di cenere sul loro
passaggio, coperto da una tegola) e per scoraggiare le razzie dei topolini. In
quest’ultimo caso più che la polvere impalpabile della cenere bisognerebbe
distribuire nelle gallerie gli avanzi carbonizzati della legna.

• Cenere di legna Negli orti familiari l’apporto di potassio può essere


assicurato dalla distribuzione di cenere di legna, il cui contenuto di potassio
varia dall’8% del legno di faggio, quercia e betulla, al 30% di quello di
ginestra. È bene evitare di spargere la cenere direttamente sulla superficie del
terreno, soprattutto se argilloso, perché può provocare trasformazioni
negative della struttura stessa della terra. Va invece mescolata con il terreno,
distribuita nelle buche o nei solchi di semina. In genere bastano da 500 g a 1
kg per 10 mq di orto.

CONCIMI A BASE DI MAGNESIO Questo elemento chimico è importante


perché è tra i principali costituenti della clorofilla; inoltre regola numerosi
processi del metabolismo delle piante.
Particolarmente avidi di magnesio sono gli alberi da frutto e alcuni ortaggi.
Solo raramente può essere necessario arricchire il terreno di magnesio, in
quanto la maggior parte dei fertilizzanti bilanciati ne contiene discrete
quantità: dalle scorie Thomas (2-4% di magnesio) al patentkali (8%), alla
farina di rocce silicee (2-8%).
Se necessario, il contenuto di magnesio di un terreno può essere aumentato
ricorrendo alla dolomite, costituita da carbonato di calcio con il 20% di
magnesio, adatta ai terreni acidi o neutri, o alla kieserite, un solfato naturale
di magnesio, più adatto per i terreni calcarei.

Le specie ortive sono molto esigenti: necessitano di un terreno soffice e aerato.


Le tecniche di compostaggio

IL COMPOST
Il compostaggio permette di riprodurre su piccola scala quanto avviene in
natura nelle lettiere dei boschi o negli strati più superficiali dei terreni incolti,
cioè la trasformazione dei residui organici in humus, indispensabile per
assicurare al terreno una fertilità stabile e duratura. Questo processo avviene
grazie all’attività di una fitta schiera di microscopici organismi, come batteri,
alghe, funghi, miriapodi, artropodi, che a seconda delle loro particolari
attitudini intervengono nei vari stadi della trasformazione della sostanza
organica, fino alla sua completa umificazione. La composizione quantitativa
e qualitativa di questa popolazione microbica è soggetta ad ampie variazioni
a seconda del tipo di terreno, del clima, della vegetazione e naturalmente
della composizione del substrato organico. Infatti ogni organismo animale e
vegetale che partecipa al processo di umificazione ha precise esigenze per il
proprio sviluppo (elementi nutritivi, ossigeno, umidità, temperatura), che
debbono essere soddisfatte dai materiali e dalle tecniche utilizzate per
allestire il cumulo di compostaggio, in maniera che esso sia umificato nel
modo più vantaggioso e rapido possibile. Per ottenere un buon composto non
basta quindi ammucchiare, disordinatamente e senza criterio, qualsiasi
materiale di natura organica, ma è necessario “guidare” il processo di
compostazione miscelando opportunamente i differenti materiali raccolti, in
modo che le dimensioni, il grado di umidità, la struttura e la composizione
siano tali da facilitare il lavoro di umificazione dei microrganismi.
Anche i microrganismi necessitano di una dieta bilanciata. I principali
elementi nutritivi di cui hanno bisogno batteri, attinomiceti e funghi,
protagonisti fondamentali del processo di compostazione, sono il carbonio
(C), l’azoto (N), il fosforo (P) e il potassio (K), oltre naturalmente a
piccolissime ma altrettanto indispensabili quantità di calcio, boro,
manganese, rame, zolfo, ferro, zinco e altro ancora. Per facilitare lo sviluppo
dei microrganismi responsabili del processo di compostazione è necessario
che questi elementi minerali siano non solo presenti, ma anche mescolati
nella proporzione più favorevole al loro utilizzo.
Di particolare importanza a questo proposito è il rapporto esistente
all’interno del cumulo tra i materiali ricchi di carbonio (amido, zuccheri e
cellulosa) e quelli contenenti azoto (proteine). Le condizioni ottimali per
l’attività dei microrganismi sono assicurate quando tale rapporto è compreso
tra 25-30 C/N (25-30 parti di carbonio per ogni parte di azoto).

La paglia, che contiene sostanze come amido, zuccheri e cellulosa, viene utilizzata
per formare compost.

Se per l’allestimento del cumulo si utilizza un eccesso di materiali ricchi di


amido, zuccheri e cellulosa (segatura, cortecce, fieno, cartone, residui di
potatura, paglia ecc.), i microrganismi troveranno maggiore difficoltà nella
decomposizione della sostanza organica: questo richiederà più tempo perché
il composto maturi, rendendolo quindi più povero di humus. Di contro,
quando il materiale utilizzato risulta troppo ricco di sostanze proteiche (scarti
dell’orto, rifiuti di cucina, frattaglie, deiezioni di animali domestici ecc.)
all’interno del cumulo si verificherà una perdita di azoto, disperso
nell’atmosfera sotto forma di ammoniaca.
Per ottenere un composto di buona qualità sarà dunque necessario
utilizzare un’opportuna mescolanza di sostanze ricche di carbonio con quelle
che presentano un elevato contenuto di azoto, in maniera tale da avvicinarsi il
più possibile al rapporto ottimale di 25-30 C/N.
TIPI DI COMPOSTIERA

In commercio potete trovare diversi tipi di compostiera: fusto di metallo forato


(1); gabbia di rete metallica (2); cassa a listelli di legno (3).

IL PROCESSO BIOLOGICO
Una volta che si hanno a disposizione le materie organiche di partenza, il
materiale vegetale deve essere ridotto in pezzetti abbastanza piccoli, in modo
da offrire una sufficiente superficie all’aggressione dei microrganismi. La
paglia, essendo cava, si trova già nella condizione di essere facilmente
decomposta; le potature, che oltre tutto sono molto più ricche di lignina,
invece devono prima essere triturate. Esistono in commercio trinciasarmenti
di ogni dimensione e potenza, che possono essere o collegati alla rete elettrica
di casa, oppure alla presa di forza del trattore. Il materiale deve quindi essere
ben miscelato affinché i numerosissimi microrganismi già presenti, trovino
abbondante materiale per la propria nutrizione e inizino repentinamente la
propria opera di smantellamento delle molecole organiche. Da questa attività
microbica si sviluppa energia termica, ovvero calore, che è il miglior indice
della vivacità dei processi di decomposizione. Per accertarsene si può
praticare un foro con una pala, o altro arnese, nel cuore del cumulo, e
saggiare l’interno con una mano. Nei casi in cui si utilizzino materiali molto
energetici (ricchi di azoto) e molto asciutti, lo sviluppo di calore può arrivare
fino all’autocombustione. Non è insolito che cumuli di polline troppo alti e
pressati prendano fuoco.
La primissima fase di questo riscaldamento è promossa da microrganismi
mesofili che portano la temperatura fino a 40°C. Con il superamento di
questo limite si sviluppano prevalentemente batteri termofili o almeno
termotolleranti. Siccome le cellulose e le lignine vengono attaccate con
temperature abbastanza alte, è necessario fornire abbastanza energia ai batteri
attraverso le sostanze azotate.
La temperatura del compost non dovrebbe però oltrepassare i 75°C. Al di
sopra di questo limite l’attività dei microrganismi si ferma e inizia il processo
di sterilizzazione della massa, con una conseguente fuga di azoto sotto forma
di gas, e ogni ulteriore processo di sintesi dell’humus rimane inibito. La
temperatura ottimale che un compost dovrebbe conservare per uno
svolgimento rapido e completo dei processi di decomposizione oscilla tra i 40
e i 60°C. Nel cumulo di stallatico bovino, che si porta sempre come termine
di paragone, tale intervallo di temperatura viene normalmente raggiunto in 3-
7 giorni; nei compost prevalentemente vegetali in circa 2 settimane o più.
Trascorsa questa fase di decomposizione delle lunghe molecole organiche, la
temperatura tende ad abbassarsi al di sotto dei 40°C e i microrganismi
mesofili riprendono con vigore la propria attività fino alla decomposizione
totale.

TRASFORMAZIONI BIO-CHIMICHE NEL COMPOST


L’ultima fase di maturazione del compost viene detta “di raffreddamento”,
poiché con il rallentamento dell’attività di decomposizione la temperatura si
abbassa ulteriormente. A questo punto finisce la fase di decomposizione e
parte la fase di sintesi. Anche se già nella fase mesofila terminale è
osservabile la sintesi degli acidi umici a partire dalle molecole elementari
prodotte dai microrganismi, solo nella fase di raffreddamento questo processo
diviene massivo. Proprio in questa fase entra in gioco la macrofauna.
Inizia allora la colonizzazione del compost da parte dei lombrichi (Eisenia
foetida) che, con la collaborazione di numerose altre specie di piccoli
animali, lavorano soprattutto sulla struttura del compost. Nel compost di
letame bovino dopo circa 4-6 settimane si sviluppa una gran quantità di
piccoli collemboli e di larve di coleotteri; subito dopo compaiono i lombrichi.
Un sensibile incremento della loro presenza si può ottenere approntando i
cumuli sempre sugli stessi siti, in modo che si possa verificare un inoculo
rapido dal basso, cioè dal terreno sottostante, dove precedentemente erano
state nascoste le uova. I piccoli animali proseguono nella loro opera di
maturazione del compost per ancora 3-5 mesi. La funzione di questi animali è
fondamentalmente diversa da quella di microrganismi, funghi e batteri. Essi
compiono essenzialmente un’azione meccanica di impastamento e di
amalgamazione della parte organica e di quella minerale, diffondendo i
microrganismi e favorendo il passaggio dell’humus solubile al complesso
humus-argilla, stabile e insolubile. Il lombrico trova nel compost un habitat
particolarmente favorevole al proprio sviluppo.
Naturalmente i lombrichi si trovano anche nei terreni agrari, ma siccome la
loro diffusione è favorita dalla sostanza organica, nel compost essi possono
vivere in concentrazioni enormemente superiori. Una regola molto semplice
per capire quando un compost ha raggiunto il giusto livello di maturazione, è
quella di valutare visivamente e olfattivamente il suo stato fisico. Quando al
suo interno non sono più riconoscibili i materiali di partenza e la massa ha
assunto un aspetto omogeneo, grumoso e di colore scuro; inoltre, quando non
presenta più le caratteristiche graveolenze dei materiali in decomposizione,
ma acquisisce l’odore tipico del terriccio di bosco, possiamo stabilire la fine
dell’intero processo. A seconda del rapporto C/N finale avremo un terricciato,
un “ammendante” o un concime. A questo punto il compost può essere
distribuito sui campi o nelle serre, ma nel caso in cui, per ragioni tecniche o
di tempo, ciò non fosse possibile, il compost si manterrà per svariati mesi
inalterato, senza perdere sostanze nutritive.

IL CUMULO E LA SUA PREPARAZIONE


Il modo più semplice e di più sicura riuscita per preparare un compost
organico è quello di allestire un cumulo con il materiale da lavorare.

DOVE COSTRUIRE IL CUMULO La cosa migliore è quella di scegliere un


luogo comodo, facilmente raggiungibile anche in periodi di pioggia,
possibilmente nei pressi di siepi e di frangivento, in modo da utilizzare quei
2-3 m, lungo la loro ombra, che per le coltivazioni risultano sempre i più
sacrificati. Nell’orto, specialmente nelle zone più soleggiate, si può sfruttare
l’area sotto i pergolati. Nelle piccole dimensioni e per una razionalizzazione
del lavoro è meglio preparare più di un cumulo, ciascuno nei pressi
dell’appezzamento che lo riceverà. Questo anche perché difficilmente si
dispone di spazi sufficientemente vasti vicino alle stalle da destinare ai
cumuli. Nell’orto, dove in genere si ha più tempo da dedicare ai lavoretti
minuti, i cumuli saranno differenti a seconda del materiale prevalente usato e
a seconda del tempo di maturazione.
Si possono destinare aree soleggiate per i cumuli invernali e all’ombra per
quelli estivi. Per esempio, il compost fatto con gli scarti di cucina sarà
facilmente raggiungibile dalla casa, ben drenato e al sole, dato che in genere
il materiale è sempre molto umido. Per un compost di potature si può
scegliere anche un angolo impervio, visitato di rado, che non è possibile
utilizzare per le coltivazioni, poiché i tempi di maturazione di questo genere
di materiali organici sono molto lunghi (fino a 3 anni). Non è da sottovalutare
il fattore comodità nella scelta del posto, sia per quanto riguarda il deposito
del materiale che per l’asporto del compost maturo. Queste non sono che
indicazioni generali, ma solo l’esperienza può contribuire a mettere a punto
un personale criterio di scelta, in base al luogo, al clima e alla biomassa usata.
Inoltre, bisogna accertarsi che non vi sia il rischio di inquinare falde e corsi
d’acqua. Se tale evenienza dovesse verificarsi è assolutamente necessario
ricorrere a pianciti inclinati in cemento o a drenaggi, con pozzetti di raccolta
del colaticcio.

SISTEMAZIONE DEL CUMULO


I cumuli dovrebbero sorgere possibilmente sempre sugli stessi posti,
poiché nello strato di terreno immediatamente sottostante si conservano
l’inoculo di spore e di microrganismi (starter naturale) e le larve degli
animaletti che poi colonizzeranno il compost.

COPRIRE IL CUMULO CON PIANTE STRISCIANTI


Lasciate arrampicare lungo i cumuli piante striscianti annuali, quali zucche o
meloni, purché le radici si trovino sempre al di sotto del compost.
Modo corretto (1): le radici si trovano al di sotto del cumulo.
Modo errato (2): le radici invadono il cumulo.

DIMENSIONI DEL CUMULO Le misure del cumulo possono variare a


seconda del materiale usato, in quanto deve essere garantita una buona
ossigenazione di tutta la massa, evitando il compattamento causato dal troppo
peso. Indicativamente, per un composto di stallatico, non si dovrebbero
superare i 2 m di altezza al momento della preparazione (poi questa si
abbasserà a causa del proprio peso, anche del 50%); con un composto
vegetale l’altezza ottimale è invece di circa 80 cm. Questa variabilità è
causata soprattutto dalla compattezza della massa e dalla sua resistenza alla
pressione. Il peso della massa comprime le parti sottostanti facendo
fuoriuscire l’aria e causando così uno stato asfittico che provoca la morte dei
batteri aerobici e lo sviluppo di muffe. Quando ci si accorge che il compost
tende a inacidire e ammuffire la cosa migliore è quella di arieggiarlo o
addirittura rigirarlo del tutto.
La sezione più idonea è quella triangolare, le cui pareti laterali saranno
tanto più ripide quanto più sarà necessario far scorrere via l’acqua piovana
senza che penetri all’interno. Nelle zone calde, al contrario, sorge il problema
di contrastare il processo di “torbificazione” per eccessiva secchezza, quindi
si cercherà di “spanciare” la sezione del cumulo, per trattenere l’acqua. La
larghezza del cumulo deve aggirarsi intorno a 1,50-1,80 m e mai superare i 2
m, soprattutto per evitare difficoltà di manipolazione della massa. La
lunghezza del cumulo dipende esclusivamente dal materiale a disposizione e
dalla superficie che può essere occupata.
Molto importante è il procedimento di preparazione relativamente allo
sviluppo verticale del cumulo. È bene, infatti, che nel giro di 2-3 giorni al più
tardi venga raggiunta l’altezza massima prevista del cumulo, pertanto occorre
eseguire gli apporti successivi di materiale su strisce non troppo lunghe,
completando rapidamente mucchi consecutivi.

IL CONTROLLO DELL’UMIDITÀ Un importantissimo fattore di variabilità


dei processi del compostaggio è l’acqua. Un contenuto troppo elevato o
troppo scarso di umidità possono, per ragioni opposte, impedire l’attività
microbiologica e bloccare la maturazione del compost, perché aria e acqua
devono necessariamente essere in rapporto bilanciato tra loro, senza
escludersi a vicenda. Un compost saturo di liquido non contiene sufficiente
ossigeno per lo sviluppo dei batteri aerobici. Il contenuto massimo di acqua è
variabile a seconda dei materiali usati e forniamo, nella tabella a p. 70, alcuni
valori indicativi espressi in percentuale. Oltre tali valori limite il compost è
naturalmente soggetto ad asfissia, si producono muffe e cattivi odori.
La variabilità dei valori massimi percentuali è determinata dalla differente
attitudine dei materiali a conservare almeno una minima mobilità interna di
aria.
La paglia, ad esempio, si decompone regolarmente anche con un tenore
molto alto di acqua, ma ancora di più i trucioli di legno. Gli stallatici che,
quando non contengono cellulose, putrefanno già a un livello di 50-55% di
umidità, una volta miscelati a paglia tollerano percentuali notevolmente più
alte di acqua senza perdere elementi nutritivi. Questo per quanto riguarda i
valori massimi, invece per i valori minimi non vi è alcuna sostanziale
differenza tra i materiali usati: al di sotto del 40-45% di acqua la
biodegradazione dei composti organici rallenta fino a che, con il 15%, essa si
blocca del tutto.
MASSIMA % D’ACQUA IN MATERIALI PER COMPOST
MATERIALE CONTENUTO D’ACQUA (%)

Paglia 75-85
Trucioli e segatura di legno 75-90
Carta straccia 55-65
Residui vegetali di origine alimentare 45-50
Materiale verde (erba, foglie, ecc.) 50-55
Residui vegetali di orto 50-55
Misto di raccolta differenziata 55-65
Stallatici animali 55-65

Una prova molto semplice per controllare il grado di umidità di un


compost, senza usare alcuna apparecchiatura specifica, consiste nel pressare
in una mano una manciata di materiale prelevato dall’interno del cumulo. Se
ne fuoriesce liquido vuol dire che il compost è troppo bagnato; se, riaprendo
la mano, il materiale conserva la forma del pugno in modo plastico, allora
vuol dire che il grado di umidità è essenzialmente corretto; se, invece, esso si
sbriciola spontaneamente vuoi dire che la massa è troppo asciutta. Con il
clima mediterraneo, caratterizzato da periodi piovosi alternati a periodi di
intensa siccità, vi sono sempre buone possibilità di andare incontro a
entrambi i casi estremi. D’inverno il compost può essere troppo umido e
freddo e infestarsi di muffe biancastre, mentre in estate può asciugarsi troppo
rapidamente e andare incontro alla torbificazione. Allora, quando viene
preparato un cumulo che dovrà attraversare l’inverno, sarà bene non
aggiungervi troppo minerale adragante (ad esempio la bentonite, che assorbe
grandi quantità di acqua) e munirlo di pareti laterali molto ripide, lungo le
quali la pioggia scorrerà senza penetrare all’interno.
Lo spiazzo dove è stato posizionato il cumulo si trova all’ombra della vegetazione, e
offre spazio a sufficienza anche per gli altri materiali per il compostaggio.

IL CONTROLLO DELLA TEMPERATURA Un altro fattore importantissimo


per una corretta maturazione del compost è proprio la temperatura. Come già
detto in precedenza, per uno sviluppo rapido e vivace dei microrganismi
autori della decomposizione della materia organica, è necessario che la
temperatura si mantenga fino al termine del processo intorno ai 40-70°C.
Siccome il calore si sviluppa grazie all’energia prodotta dai processi
biochimici interni, quando umidità e aerazione sono correttamente dosati il
compost risente relativamente delle basse temperature invernali. Però con
l’impiego di materiali molto energetici c’è il rischio che la temperatura si
innalzi troppo, generando quel fenomeno, già descritto in precedenza, che
conduce alla sterilizzazione della massa e al blocco totale della sintesi
dell’humus, che invece diventa torboso. Nella torbificazione le fibre di
cellulosa e la lignina restano pressoché intatte mentre si perdono le sostanze
azotate. Se si vuole un prodotto esclusivamente dal potere ammendante come
il terricciato, ovvero migliorativo delle proprietà fisiche del terreno, va bene
così, ma allora la concimazione azotata va fatta a parte. Al contrario, con
l’uso di materiali “freddi”, quali lignine e cellulose, c’è sempre il rischio che
la temperatura non riesca mai a elevarsi sufficientemente e che la diffusione
dei microrganismi sia di conseguenza troppo scarsa e lenta. Ciò accade
spesso con i cumuli fatti di potature trinciate, di erba falciata, di scarti di orto
ecc. I batteri non hanno a disposizione abbastanza materiale energetico per
sintetizzare le proteine necessarie al loro sviluppo e così i processi vanno a
rilento e non si sviluppa abbastanza calore.
Tuttavia, quando si hanno pochi metri cubi di compost da gestire, si può
ricorrere a un semplice “trucco”, preparando in casa un vero e proprio
inoculo artigianale. Per ogni m3 di cumulo occorre riscaldare in una pentola
10 l di acqua a circa 40°C e sciogliervi 400-500 g di zucchero e un paio di
cubetti di lievito di birra. Quindi con questo liquido si irrora il cumulo
mediante un annaffiatoio dotato di cipolla.
Quando si usano materiali che possono contenere semi di infestanti, come
nel caso di letami di bestiame nutrito con sfalci di fieno, o quando, a maggior
ragione, si compostano fanghi non igienici in cui potrebbero essere presenti
batteri patogeni per l’uomo, il controllo della temperatura deve essere
necessariamente molto accurato. I semi, in generale, nel loro duro guscio
resistono a temperature altissime, ma nel compost, grazie all’umidità presente
essi si rigonfiano e iniziano a germogliare, quindi le plantule non resistono
oltre i 55-60°C.

Ci sono molte forme di compostiera domestica, ma il funzionamento è sempre molto


simile. Nella parte superiore è posto il materiale aggiunto recentemente e quindi poco
degradato; in quella inferiore il compost maturo, che si può prelevare per mezzo di
uno sportello.
Per quanto riguarda il rischio di contaminazione biologica, quando il
materiale usato, per sua intrinseca natura, può essere veicolo di patogeni di
vario tipo (come nel caso dei liquami zootecnici), è ovvio che le precauzioni
igienico-sanitarie non saranno mai troppe. Durante le prime fasi della
compostazione le cariche batteriche patogene generalmente aumentano grazie
all’ampia disponibilità di materiale organico rapidamente assimilabile,
mentre, una volta raggiunta e mantenuta una temperatura di 65-70°C, la
maggior parte di essi viene inattivata, e se la temperatura resta alta per
qualche giorno la pastorizzazione della massa è completa. Questo avviene sia
per una diretta distruzione termica, che per la competizione con altri ceppi
microbici. Pertanto è sempre indispensabile che la temperatura venga
mantenuta costantemente alta per un tempo sufficiente al completamento
dell’intero processo di compostaggio. Il grado di igienizzazione è infatti
proporzionale alla temperatura raggiunta mediamente su tutta la massa.

Se nell’allestimento del cumulo si utilizzano materiali “freddi”, come erbe sfalciate e


scarti di cucina, bisogna porre particolare attenzione alla temperatura che non deve
essere troppo bassa.

Per questa ragione è sconsigliabile, anzi assolutamente pericoloso,


compostare privatamente materiali di origine promiscua, quali fanghi di
depuratori, residui di macellazione, liquami di pozzo nero e rifiuti solidi
urbani, lasciando alle amministrazioni pubbliche e agli impianti industriali il
compito di mettere a punto tecnologie e professionalità specializzate.
Identico discorso va fatto per quanto riguarda la sorte dei microrganismi
fitopatogeni, siano essi funghi, batteri o dei nematodi, parassiti dei vegetali.
Solo alcune muffe e batteri sporigeni potrebbero sopravvivere, specialmente
nei compost di orto, che spesso sono troppo piccoli e “freddi” per garantire
una reale disattivazione termica. In questi casi, se non si dispone di materiale
animale fresco, polline o stallatico equino, che sono in grado di alzare la
temperatura fino alla pastorizzazione, è meglio bruciare i resti di cavolo
parassitizzato dall’ernia oppure di altre piante orticole e da frutto attaccate da
crittogame.

MATERIALI STRUTTURANTI
Sono materiali strutturanti quelli che vanno a costituire il volume del cumulo,
che ne garantiscono l’ossigenazione e lo sviluppo dei batteri promotori del
compostaggio.
Si tratta delle sostanze organiche fondate sul carbonio, soprattutto cellulose
e lignine, che costituiscono non solo la struttura fisica del compost ma
contribuiscono, con l’apporto prevalente di carbonio, ai processi di
decomposizione e sintesi dell’humus.
Se escludiamo le forme più compatte di cellulose (i rifiuti di raccolta
differenziata, erba fresca, scarti di cucina e carta pressata) che hanno bisogno
di un preventivo allentamento della massa e di aerazione, generalmente
paglia, sarmenti e potature trinciate, torba, trucioli e segatura di legno sono i
materiali più comunemente usati quale base del compost. Per mantenere un
adeguato equilibrio del rapporto tra aria e acqua, e della temperatura durante
le fasi del compostaggio, è sempre necessaria la presenza di materiale
vegetale omogeneamente miscelato all’intera massa del compost. L’ideale
miscelazione si riscontra naturalmente nelle lettiere di stalla, dove le vacche
ci pensano da sole, con il calpestio, a impastare la paglia con le deiezioni, ma
più spesso la miscelazione deve essere fatta all’atto della preparazione del
cumulo.
La lettiera delle stalle, miscelata con il letame, è una buona base per costituire un
compost ricco e ben strutturato.

Quando si effettua la scelta dei materiali di base, in particolare quando si


tratta di materiale ligneo, occorre prestare molta attenzione che questi non
siano impregnati di prodotti chimici contaminanti. Alcune segature, ad
esempio, provengono da legname trattato con insetticidi, il cui effetto
potrebbe essere non solo quello di inquinare il terreno, ma anche quello di
inibire lo sviluppo microbico del compost. Nella carta straccia sono quasi
sempre presenti coloranti e piombo, così come nei rifiuti solidi urbani sono
riscontrabili significative percentuali di metalli pesanti. Volendo dare una
regola generale di comportamento nei confronti dei residui di sostanze
indesiderate occorre appellarsi a una valutazione caso per caso. Infatti,
quando le sostanze inquinanti derivano dai trattamenti fitosanitari della
coltivazione della materia vegetale che vogliamo utilizzare, l’attività dei
microrganismi è sufficiente a decomporre totalmente e a neutralizzare i
minimi residui presenti. Mentre, quando la sostanza chimica è stata aggiunta
nelle fasi di successiva lavorazione e trasformazione del prodotto (quindi nel
caso di insetticidi, citostatici, coloranti sintetici, metalli), allora è probabile
che l’azione tossica di queste sostanze si esplichi in maniera non
neutralizzabile.
Quando non si vuole ottenere un compost necessariamente energetico e dal
potere nettamente fertilizzante è possibile preparare dei compost
esclusivamente vegetali. I materiali più usati sono: fogliame, potature e
sarmenti trinciati, sfalci di erba e stocchi di girasole e mais, ma si
compostano molto bene anche scarti di frutta e ortaggi, vinacce, cruschello di
ricino (ricco di azoto) e alghe. I cumuli così preparati necessitano di un tempo
più lungo di maturazione e hanno potere concimante più basso dei compost
completi di frazione animale, poiché viene a mancare l’azoto. Però sono degli
eccellenti ammendanti, miglioratori della struttura del terreno.
Quando si utilizzano materiali ricchi di lignine – quali segatura, trucioli o
potature – per accelerare i processi di decomposizione è conveniente lasciarli
in mucchi all’aperto, sottoposti per qualche mese all’azione degli agenti
atmosferici, prima di approntare il compost vero e proprio.

MATERIALI AZOTATI DI ORIGINE ANIMALE


Lo scopo dell’aggiunta delle deiezioni e degli scarti di origine animale è
quello di apportare al compost soprattutto azoto. Nella frazione solida del
letame l’azoto deriva prevalentemente da parti non digerite di alimenti, dalle
masse microbiche intestinali e dalle proteine espulse dal corpo. Per la gran
parte esso è insolubile in acqua. Nelle urine, invece, gli acidi ureici si
scindono con facilità in NH3 e CO2 e originano così una forma di azoto
solubile in acqua. Poiché i liquami contengono azoto solubile in forma di
nitrato, essi hanno un effetto pronto sulla crescita delle piante, ma possono
anche “bruciarle” e soprattutto – quando sono sparsi direttamente sul terreno
– possono causare l’inquinamento da nitrati delle falde acquifere superficiali.
Con lo spargimento di letame non compostato e di liquame direttamente
sul terreno, la perdita di azoto sotto forma idrosolubile e gassosa può arrivare
a oltre il 90%, specialmente quando i materiali non vengono immediatamente
interrati e la temperatura ambientale è alta. La perdita di azoto causata da un
cattivo o mancato compostaggio provoca un innalzamento relativo del
rapporto carbonio/azoto con un impoverimento decisivo del potere
concimante.
Con un buon compostaggio la perdita di azoto si aggira al massimo intorno
al 20% ed è concentrata soprattutto nella fase iniziale di movimentazione dei
materiali e di preparazione del cumulo. Una volta raggiunta la completa
maturazione dell’humus, la perdita di azoto durante la distribuzione in campo
è irrilevante.

Durante il compostaggio, se le operazioni di allestimento sono state ben


condotte, come conseguenza dei processi biochimici si ha una perdita di
carbonio sotto forma di anidride carbonica, che fa salire il valore relativo
dell’azoto, espresso nel rapporto carbonio/azoto. Se il rapporto C/N iniziale è,
ad esempio, 20:1, una volta terminato il compostaggio esso può scendere
anche a 10:1. Questo fenomeno di valorizzazione del compost può essere
ottenuto eventualmente con un maggior affinamento del materiale iniziale e
con una miscelazione quanto più omogenea delle frazioni vegetale e animale.
Volendo abbassare ulteriormente il rapporto C/N per innalzare il tenore di
azoto si finisce però per alzare il pH e la temperatura interna del cumulo, e
quindi l’azoto si trasforma in ammoniaca che viene perduta sotto forma di
gas.
Quali fonti azotate possono essere usate anche sangue di mattatoio e farine
di ossa con collagene. La compostazione di carnicci e carcasse animali in
azienda è vietata per legge, per ragioni igienico sanitarie e perché è causa di
cattivi odori. Il sangue, che è un eccellente concentrato di azoto rapidamente
assimilabile, si può acquistare secco sul mercato, mentre può essere
abbastanza semplicemente compostato in forma liquida su segatura (che ha
un alto potere assorbente). Molto efficace è anche l’aggiunta nel compost di
farine di corna e unghioli, grazie alla forma molto stabile dell’azoto in esse
contenuto, ma il prezzo sul mercato di questo prodotto è tale da consigliarne
l’impiego solo per le colture pregiate in serra. Le sostanze di origine animale
non sono solo importanti per il contributo di azoto, ma anche per il fosforo,
che è un fattore di fertilità tutt’altro che secondario. Il contenuto in fosforo
nei vari stallatici è diverso a seconda delle specie e dell’età del bestiame. Le
urine dei ruminanti ne contengono meno del letame solido; le polline sono
molto ricche di fosforo, meno il letame suino e meno ancora quello bovino.
La farina d’ossa contiene naturalmente molto fosforo sottoforma di fosfato di
calcio (18-22%).

ALTRE SOSTANZE MINERALI


Una corretta ed equilibrata concimazione del terreno non può basarsi
esclusivamente sul computo del contenuto di azoto, anche se questo è sempre
quello che fa la differenza tra un ammendante, un terriccio e un concime
completo, efficace e nutriente. Oltre al citato fosforo, sono importanti altri
elementi minerali, quali potassio, calcio, magnesio e ancora altri elementi che
agiscono a basse concentrazioni. Questi elementi, che sono sufficienti in
minime quantità, sono indispensabili sia per la vitalità del terreno che per la
nutrizione delle piante coltivate. Le sostanze minerali sopra elencate vengono
aggiunte al compost per tre ragioni:
1) fissare l’azoto organico;
2) effettuare correzioni e integrazioni del terreno;
3) stabilizzare le reazioni organiche e la struttura fisica del compost.
Le sostanze minerali possono essere integrate al compost in forme diverse. Di
seguito sono elencate le principali.

LE FARINE DI ROCCIA L’aggiunta al compost di farine di roccia serve per


apportare al terreno tutti quegli elementi minerali che sulla pianta agiscono in
piccole quantità, migliorandone specialmente le caratteristiche qualitative e
organolettiche, e la resistenza alle malattie. È noto che nelle rocce i minerali
si trovano in forma insolubile e quindi non disponibile per le piante. Il
meccanismo per cui le sostanze minerali, fosforo incluso, divengono
assimilabili si spiega con la capacità dei microrganismi di attaccarli e
integrarli sotto forma organica nella propria struttura cellulare, rendendoli
quindi solubili. La massa organica formata dai microrganismi che si
esauriscono nel compost maturo, dà origine all’humus che, appunto, contiene
nelle proprie molecole organiche gli elementi resi molto più disponibili per le
piante.
Questo processo di solubilizzazione dei minerali rocciosi avviene anche
nel terreno, ma, come abbiamo più volte ripetuto, molto più lentamente. Per
questa ragione la concimazione minerale a base di farine di roccia deve più
convenientemente essere fatta attraverso il compost. A questo processo di
solubilizzazione dei minerali contribuisce efficacemente la macrofauna
(lombrichi) che, impastando nel proprio intestino le frazioni organica e
minerale dell’humus, rende possibile una più diffusa e attiva presenza dei
microrganismi. Sicuramente, una volta letto questo testo, guarderete i
lombrichi con molto più rispetto, vista la funzione determinante che essi
svolgono per la fertilità del terreno!
Può essere conveniente eseguire un’analisi del terreno completa della
quantificazione dei principali microelementi, onde correggerne le eventuali
carenze attraverso il compost. Tra le farine di roccia disponibili sul mercato,
quelle di origine intrusiva, ricche di silicio e quarzo (ad esempio il granito),
vengono usate poco e solo su terreni basici, avendo esse una reazione
tendente all’acidità. Più comunemente vengono usate le farine di roccia
effusiva, in particolare il basalto, le porfiriti basiche e le trachiti. Soprattutto
comunque, si impiega la farina di basalto. In Italia sono abbastanza comuni le
rocce vulcaniche diabasiche, che, pur essendo analoghe al gabbro e al
basalto, si sono al contrario raffreddate negli strati superficiali della crosta
terrestre.
Nella scelta della farina di roccia va tenuto presente che la trachite contiene
feldspato potassico, quindi utile nei terreni poveri di questo elemento.

Le fosforiti che vengono molto usate per il loro contenuto di fosforo,


presente sotto forma di fosfato tricalcico, sono invece rocce sedimentarie di
origine organogena. Sono depositi marini preistorici di pesci e invertebrati, e
vengono estratte da miniere profonde 50-100 m in Tunisia e Marocco. A
causa della struttura cristallina molto stabile le fosforiti trovano scarsa
possibilità di impiego diretto sul terreno e vengono prima trattate
chimicamente. Le fosforiti possono essere invece aggiunte al compost nella
quantità approssimativa di 10 kg per ogni tonnellata di sostanza organica. Il
fosfato viene reso solubile dagli acidi secreti dai microrganismi e utilizzato
secondo i processi sopra descritti. Nel caso in cui sia inevitabile la
concimazione fosfatica diretta al terreno è più idoneo l’uso di farine d’ossa o
liquame pollino. Una funzione molto importante delle farine di roccia sta
nella loro capacità di adsorbire gli ioni NH4+, cioè di diminuire
considerevolmente la perdita naturale di azoto della sostanza organica. I
migliori risultati si ottengono spargendo le farine di roccia direttamente in
stalla, sulle lettiere o sui grigliati, con il risultato di migliorare lo stato
igienico dell’aria poiché si elimina l’acre odore di ammoniaca, oltre a
stabilizzare il potere fertilizzante dello stallatico stesso.
Le quantità da impiegare per il basalto o altra farina vulcanica è
equivalente all’1-5% della massa organica. Nel caso delle polline questa
percentuale può salire vantaggiosamente fino all’8%, ma oltre questo limite si
supera la soglia di economicità dell’intervento.

ELEMENTI MINERALI PRESENTI NELLA BENTONITE


ELEMENTO PERCENTUALE

SiO2 (silicio) 60 %

Al2O3 (alluminio) 17 %

CaO (calcio) 3%
Fe2O3 (ferro) 5%

MgO (magnesio) 4%
P2O5 (fosforo) –

K2O (potassio) 2%

L’ARGILLA L’argilla è una roccia sedimentaria clastica, costituita da


minutissime particelle colloidali di silicati di alluminio idrati. Le
caratteristiche dell’argilla dipendono dalla finezza di queste particelle e dalla
natura e proporzione degli altri componenti presenti. L’argilla deriva come
prodotto secondario dalla decomposizione dei silicati alluminiferi contenuti
in rocce tipo granito e gneiss, causata da agenti per lo più atmosferici. Per le
minuscole dimensioni delle sue particelle è un composto naturale molto
attivo.
La funzione dell’argilla nel compost è fondamentale per il passaggio
dell’humus da solubile a stabile, con la conseguente formazione del
complesso argilla-humus. L’argilla possiede una carica elettrica
complessivamente negativa, diffusa su una vastissima superficie attiva pari a
quella di tutte le sue finissime particelle costitutive, e per questo riesce a
legare a sé, stabilizzandolo, l’humus.
Ugualmente importante è la capacità dell’argilla di interagire con le masse
microbiche, sia fissando i prodotti di autolisi del metabolismo, che
contribuendo fisicamente allo spostamento nella massa dei batteri stessi. Nel
compost l’argilla, per la sua natura colloidale, trattiene grandi quantità di
acqua, contribuendo così a preservare la massa organica dagli effetti negativi
della siccità.

Per quanto riguarda le quantità possiamo usare come riferimento la


bentonite, della quale sono sufficienti quantità comprese tra i 5 e i 10 kg/m3
di massa organica. La scelta del limite superiore o inferiore dipende dalla
natura del terreno sul quale verrà distribuito il compost. Per quei terreni già
per loro natura argillosi sono sufficienti 5 kg/m3, mentre quantità superiori si
adottano per quei terreni sabbiosi che non hanno la capacità di trattenere
l’acqua. In tal caso l’argilla non ha solo una funzione positiva sulla fertilità
chimica ma anche sulla struttura del terreno.
Naturalmente è possibile usare terra argillosa piuttosto che acquistare la
bentonite, ma ciò comporta alcuni inconvenienti. Prima di tutto, per ottenere
lo stesso effetto, la quantità di terra argillosa al posto della bentonite deve
salire fino al 10-15% del peso della massa da compostare, il che significa un
forte compattamento e un aumento notevole del volume; poi occorre un
grosso onere di lavoro per sminuzzare e distribuire omogeneamente la terra
che, essendo appunto argillosa, è normalmente agglomerata in zolle.

MATURAZIONE DEL COMPOST DI PAGLIA


La paglia miscelata con altri elementi – e dopo un lungo periodo di
compostaggio – dà vita a un terriccio bruno e ricco di fibre, particolarmente
indicato per migliorare i suoli compatti e poco aerati.

Ricordiamo, infine, che sul mercato esistono due tipi di bentonite, quella
industriale (molto assorbente e poco raffinata) e quella cosiddetta
“enologica”, che viene usata quale chiarificante nelle trasformazioni
agroalimentari. La prima, molto più economica, si usa nel compost, la
seconda si usa talvolta sia nei trattamenti anticrittogamici e insetticidi che
nelle concimazioni fogliari, poiché le sue minutissime particelle non
occludono gli ugelli degli irroratori.
Quando si decide di percorrere la strada della concimazione organica è
necessario predisporsi a una diversa visione del sistema terreno/pianta
coltivata, visione che possiamo definire “olistica” poiché gli interventi
dell’uomo devono essere orientati a mantenere o a ripristinare l’equilibrio
complessivo del sistema al quale appartengono, oltre ai minerali e le piante,
anche i microrganismi vegetali e animali e la macrofauna. Utilizzare la
concimazione organica con la stessa mentalità della concimazione chimica
non porta lontano, può anzi essere anche più inquinante, come nel caso della
fertirrigazione con liquami che è anche più costosa.

IL CALCIO In passato nella pratica del compostaggio si è fatto largo uso di


sostanze calcaree al fine di correggerne l’acidità. In effetti, oggi si preferisce
usarne meno e prestare più attenzione al rapporto aria-acqua del compost.
Infatti il letame bovino, il fogliame, la torba e le materie legnose hanno una
reazione neutra, se non addirittura alcalina. Una certa correzione del pH va
invece fatta ai compost verdi e a quelli di cucina. La correzione con calcio è
consigliata solamente alle polline. L’impiego di calce viva (CaO) non è da
prendere in considerazione, sebbene questo sia spesso consigliato, perché la
reazione conseguente è rapidissima e violenta e si rischia di incrementare la
perdita di ammoniaca. Molto più idoneo è l’impiego di calce idrata (CaOH2).
La forma chimica più adatta rimane quella naturale di carbonato di calcio
(CaCO3), per la quale vale il ragionamento fatto per le farine di roccia e le
fosforiti.
A volte, molto diffuso è l’uso di litotamnio, fondamentalmente costituito
dagli scheletri di alghe rosse depositatisi in tempi lontanissimi in banchi
marini. Il vantaggio dell’uso di calcari naturali consiste nella presenza di
magnesio e anche di numerosi altri microelementi.
Il litotamnio o eventualmente la calce idrata, dimezzandone le dosi,
possono essere impiegati direttamente sulle lettiere migliorando molto le
condizioni igieniche del bestiame. In particolare il litotamnio, grazie
all’apporto di calcio, è molto adatto quale integratore alimentare naturale per
le galline ovaiole, per i vitelli nello svezzamento e per le lattifere.
Nel compost, al fine di integrarlo dei microelementi, è sufficiente una
quantità approssimativa di 1,5-3 kg per m3; invece nel caso di una correzione
del pH del materiale organico, come nei compost verdi, sono necessari 3-5 kg
per m3.
Ricordiamo che il litotamnio può essere anche impiegato nelle
concimazioni fogliari, sia sciolto nella proporzione di 200 g ogni 100 l di
acqua, in concomitanza di trattamenti fitosanitari liquidi. Il litotamnio (così
come la bentonite “enologica”) svolge un’azione naturale anticrittogamica
indiretta, e insetticida diretta. Per le modalità di impiego rimandiamo a testi
specifici sui trattamenti fitosanitari in agricoltura biologica.

IL POTASSIO In condizioni normali di sfruttamento agricolo, i nostri terreni,


provenendo dalla disgregazione di rocce ricche di potassio, non sono soggetti
a fenomeni di carenza di questo elemento. Però, nelle colture intensive, e in
particolare in orticoltura e frutticoltura, può succedere che questo turn over
del potassio dagli strati minerali non sia abbastanza rapido in relazione alle
quantità asportate dalle colture, cosicché diviene necessario intervenire.
Solitamente, quando si ha a che fare con orti familiari, è sufficiente integrare
nel cumulo la cenere di legna del nostro caminetto, tuttavia sul mercato si
possono trovare diversi prodotti naturali a base di potassio ai quali ricorrere.

GLI STARTER
La funzione di questi prodotti è quella di accelerare la decomposizione della
sostanza organica nel cumulo e nelle vasche aerobiche di liquame, riducendo
le perdite gassose di elementi nutritivi. I formulati oggi in commercio sono
molti, e le dosi di impiego estremamente variabili. Talvolta si tratta di colture
di batteri azotofissatori che vengono inserite nel compost durante la seconda
fase mesofila di maturazione (le alte temperature della fase termofila li
uccidono), per migliorare l’accumulo di azoto. Più spesso però questi
preparati commerciali sono miscele di inoculi batterici selezionati, enzimi e
sostanze minerali che promuovono e stimolano la proliferazione dei
microrganismi nella sostanza organica in decomposizione. Le prove di
laboratorio in stato di purezza artificiale dimostrano l’efficacia di questi
prodotti, mentre è assai più discutibile la loro utilità in condizioni di campo.
Infatti, se è vero che in genere si tratta di ceppi selezionati molto attivi, è però
improbabile che nel compost normale di letame, dove la competitività è
altissima, essi possano davvero esplicare a pieno le proprie potenzialità. Se
poi pensiamo che le dosi consigliate di questi starter oscillano intorno ai
3kg/mq di sostanza organica quando sono composti dal 100% di
microrganismi attivi, mentre in un metro cubo di compost di letame sono già
di per sé presenti almeno 90-120 kg di massa microbica, ci si chiede quanto
in realtà l’inoculo riesca a influire sulle fermentazioni nel loro complesso.
Per ottenere un compost di buona qualità è necessario ridurre le dimensioni del
materiale e aggiungere le giuste percentuali dei vari componenti.

Ciò che è stato effettivamente dimostrato è che l’avvio dei processi di


decomposizione nei cumuli inoculati è più rapido e vivace, ma alla fine della
compostazione il bilancio dei fattori nutritivi è pressoché identico a quello dei
compost semplici. Soprattutto è certo che non esiste starter che possa in alcun
modo migliorare le qualità di un compost povero, mal preparato, asfittico o
costituito di materiale non idoneo. Inoltre è sbagliato pensare che uno starter
possa in sé portare azoto, poiché 3 kg di inoculo batterico ne contengono solo
0,4 kg.
Possiamo quindi concludere dicendo che uno starter batterico può risultare
utile solo quando si usa materiale povero di carica microbica, quali alcuni
prodotti organici precedentemente trattati con calore o con procedure
igienizzanti. Può essere usato per il trattamento di liquami zootecnici che a
lungo sono stati conservati in condizioni di anaerobiosi per ripristinare la
carica batterica aerobica, purché l’inoculo sia eseguito in concomitanza con
procedure atte a ossigenare la massa, quali il rimestamento, l’insufflazione di
aria o la miscelazione con materiale strutturante.
Nelle condizioni normali di compostaggio aziendale o casalingo
ricordiamo che non esiste starter migliore di un po’ di compost già maturo.
Quindi anche questa volta la soluzione più economica è la più efficace: basta
conservare qualche chilo di un vecchio cumulo per inocularne uno nuovo.
Sono assolutamente da escludere quegli additivi preparati su base chimica
o sintetica, quali calciocianamide, permanganato di potassio o altro.

APPLICAZIONI DEL COMPOST


Quando si opera su dimensioni ridotte, la pratica del compostaggio – per la
molteplicità delle sostanze organiche disponibili, per la rapidità di rotazione
delle colture, e per l’importanza che un buon terreno riveste sulla produttività
– diviene quasi un’arte, e tanta è la soddisfazione che si ricava nel preparare
accurati piccoli cumuli, e soprattutto nel vedere, in tempi brevi, gli effetti
positivi del compost sulla fertilità e sulla produttività del proprio terreno.
L’“ortolano” saprà scegliere il luogo più comodo e più adatto per erigere i
cumuli e per farli maturare adeguatamente. Per un orto familiare in coltura
mista con qualche pianta da frutto, con un’estensione di circa 2000 mq, può
essere sufficiente destinare ai cumuli un’area di 3x10 m.

DRENAGGIO PER IL CUMULO

Due esempi di diversi metodi per il drenaggio del cumulo: con terra battuta e
canale di drenaggio in cotto (1); con blocchetti cementizi forati (2).

Si presterà attenzione al fatto che sotto al compost non vi siano ristagni di


acqua, nel qual caso sarà meglio approntare un drenaggio, meglio con
blocchetti cementizi forati. Per questa operazione è sconsigliabile l’uso di
ghiaia o breccione, che poi è molto difficile da separare dal terriccio maturo.
Se si utilizza la pollina raccolta dal pollaio, la miscelazione con il materiale
vegetale deve essere accurata e la maturazione del compost completa, poiché
la pollina è un materiale “forte”, ricco di azoto, e se l’humus non è ben
maturo può causare diverse malattie delle piante, oltre a essere un attrattore di
insetti e nematodi. Per evitare questi inconvenienti è possibile, già nel pollaio,
invece di utilizzare una lettiera di sola paglia, miscelarvi anche della segatura,
che “spegne” la pollina. Nel compost di orto si porteranno anche tutti gli
scarti umidi della cucina che, se ben miscelati e arieggiati, non sono affatto
maleodoranti.
Quando lo spazio utilizzabile è veramente poco, come nei giardini, si può
eseguire la compostazione “verticale” delle materie organiche. Si
prepareranno allora dei recinti in rete o in legno, quadrati o rotondi: se tondi
avranno un diametro di non più di 120 cm, se quadrati i lati non avranno una
lunghezza maggiore di 150 cm. L’altezza può variare, a seconda del
materiale, tra gli 80 e i 130 cm.
In ogni caso più sono larghi più saranno bassi per evitare fenomeni di
compattamento. Questi tipi di strutture per compost esistono in commercio e
si possono acquistare ottimi compostatori in materiale plastico presso i
negozi di giardinaggio; tuttavia, con un minimo di attrezzatura, possiamo
fabbricarli da noi con più soddisfazione e minor spesa. Sono adatti i paletti di
castagno usati nelle recinzioni, così come la rete rigida elettrosaldata a maglie
quadrate. Nel caso di compostatori verticali è possibile aggiungere il
materiale organico fresco dall’alto, ed estrarre, via via, dal basso, il compost
pronto.
Nel caso di cumuli orizzontali, in loro prossimità sarà bene ricavare uno
spazio per avere a portata di mano le balle di paglia o la torba per la copertura
del compost. Al coperto, disporremo inoltre di tre bidoni o tini della capacità
di 80-100 l. Uno servirà per contenere la miscela pronta di bentonite (1/2),
fosforite (1/4) e calce idrata o litotamnio (1/4). A questa miscela minerale
possono unirsi gusci di molluschi e gusci d’uovo tritati, cenere di legna o
altro materiale simile purché ben asciutto e non putrescibile. In questo modo
si ha sempre pronta la miscela da spolverizzare di tanto in tanto sopra le
masse organiche che vengono compostate. Gli altri due recipienti servono per
la preparazione dei macerati di ortica (Urtica dioica) ed equiseto (Equisetum
arvense).
IL COMPOSTAGGIO IN GIARDINO

Compostando in appositi contenitori gli avanzi di cucina (a esclusione di carne,


salumi e pesce) e i residui di potatura e pulizia del giardino, si otterrà un
terriccio organico particolarmente equilibrato che potrà venire utilizzato per
semine, trapianti, pacciamature e rinvasi. Per non bloccare il processo di
fermentazione, sarà bene suddividere il contenitore per il compostaggio in due
scomparti: mentre nel primo si lascia concludere il processo, nel secondo si
accumulano gli scarti freschi.

I macerati di ortica e di equiseto servono sempre in un orto per eseguire i


trattamenti alle colture, mentre la materia solida depositata sul fondo viene
aggiunta al compost. In particolare dovrebbe essere sempre abbondante il
macerato di ortica, che contiene una discreta quantità di azoto.
Se si dispone di un piccolo pollaio, invece di compostare a parte la pollina,
essa può essere efficacemente usata quale starter naturale in piccole quantità
su tutti gli altri compost. Con questo sistema si ottiene un più rapido avvio
delle fermentazioni con una netta riduzione dei tempi di compostaggio.
Le foglie secche possono costituire un buon materiale di partenza per il
compostaggio: spesso i compost con questa base vengono usati in floricoltura.

Questo tipo di compost potrebbe all’apparenza sembrare una sorta di


ripiego per chi non dispone di letame animale, invece è di grande
soddisfazione e risultato. Gli effetti sulle piante sono visibili rapidamente ed è
una bella soddisfazione vedere che il terreno, man mano che si utilizza questo
compost, diventa più scuro e grumoso.
Le caratteristiche dei compost verdi, di cucina o di orto, consentono un
impiego con ottimi risultati in buca di piantagione e in tutte le pratiche
agronomiche e florovivaistiche che prevedono un diretto contatto con la
radice. Proprio per questo il compost verde è anche idoneo per la costituzione
di terricci per il florovivaismo. Il compost verde impiegato in pieno campo
assume essenzialmente la caratteristica di apportatore di sostanza organica
umificata, svolgendo soprattutto un’azione ammendante in senso stretto. Non
ha praticamente controindicazioni, non sviluppa cattivi odori, non è portatore
di malattie né per l’uomo, né per gli animali e non è pericoloso neppure in
sovradosaggio. Di seguito sono indicate le particolarità delle varianti del
compost di orto.
Molte amministrazioni pubbliche, per diminuire il volume dei rifiuti, realizzano e
distribuiscono apposite compostiere.

IL COMPOST DI CUCINA Il materiale usato per questo tipo di compost è


generalmente troppo umido e a volte anche molto compatto, specialmente se
si usano gli scarti di frutta pressata provenienti dalla preparazione di succhi e
confetture. Si avrà allora l’accortezza di sminuzzare bene questi materiali
prima di integrarvi le farine di roccia, la bentonite e il litotamnio. Il cumulo
possibilmente sarà molto basso, non più di 80 cm, e sarà ricoperto di paglia o
torba.
Nei mesi estivi la sostanza organica arriverà a maturazione in 8-10
settimane, in inverno occorrerà un po’ più di tempo. Per accelerare il
processo di decomposizione sarà sufficiente un rivoltamento dopo la seconda
settimana di compostazione. Ricordate che sui compost di cucina non bisogna
usare terra argillosa poiché causa un eccessivo compattamento.

IL COMPOST DI ORTO Questo tipo di compost, che utilizza gli scarti e gli
stocchi delle colture orticole, risulta sempre di facile esecuzione e riuscita.
Possiede un’ottima struttura e aerazione e, se si provvede a frantumare
preventivamente i fusti più duri (quali quelli di cavolo o di pomodoro), la
decomposizione è rapida e completa. Su questo compost è possibile sostituire
la bentonite con terra argillosa (10% di peso rispetto alla massa organica).

IL COMPOST DI FOGLIAME Molte volte le foglie degli alberi che in


autunno coprono il terreno dei giardini, dei parchi e dei piazzali costituiscono
un noioso ingombro e vengono bruciate o gettate via. Invece il compost che
si ottiene dalla decomposizione guidata del fogliame è particolarmente fine e
versatile, può essere usato come terriccio per vasi, per serre e nei trapianti.
Non sprigiona cattivi odori né colaticci, quindi può essere preparato ovunque,
anche in prossimità di abitazioni. Il compost di fogliame può raggiungere
notevoli dimensioni, sia in altezza che in larghezza, poiché possiede sempre
una ottima struttura e aerazione.
Nel caso in cui le foglie fossero troppo asciutte, cosa che in autunno può
succedere, basterà inumidire la massa man mano che si innalza il cumulo.
Sarà la bentonite o la terra argillosa a trattenere all’interno il giusto grado di
umidità, poiché le foglie in sé, per loro natura, non hanno alcun potere
assorbente. Per quanto riguarda i tempi di maturazione essi oscillano intorno
all’anno, sebbene vi sia una sensibile differenza a seconda della specie
arborea. Le latifoglie maturano prima, mentre l’olivo, il castagno, la quercia e
le aghifoglie in generale hanno bisogno di più tempo. In ogni caso le foglie
degli alberi da frutto, quelle di olmo, di pioppo e di betulla sono pronte in
meno di un anno e forniscono un terriccio particolarmente fine.
Una volta preparato il cumulo con le dovute integrazioni minerali, esso
verrà ricoperto con uno strato sottile di terra che ne manterrà stabile l’umidità
e la forma. In questo modo attraverserà indisturbato l’estate, dopo di che sarà
necessario un unico rivoltamento. Se dopo un anno la decomposizione non
fosse completa e fossero visibili ancora pezzetti di legno e di piccioli, il
terriccio può comodamente essere setacciato per mezzo di un comune retino,
sul tipo di quelli che usano i muratori per vagliare la sabbia.
L’utilizzo di aghi di pino genera un compost acido che può essere usato in
primavera, a metà del processo di decomposizione, per eseguire la
pacciamatura degli ortaggi e delle piante da fiore. Questo contribuisce a
tenere libero il terreno dalle infestanti e a mantenere costante l’umidità.
Le pareti di una compostiera devono garantire il passaggio di ossigeno. Nel caso qui
illustrato una rete metallica molto fine è risultata un ottimo metodo di contenimento
del materiale compostato.

TRINCIARAMI A MOTORE

In un orto dove vi siano siepi, viti, olivi e alberi da frutto, le potature possono
essere facilmente trinciate in piccoli pezzi grazie all’aiuto di un trinciarami a
motore. Il materiale ottenuto sarà così utilizzato per preparare un compost di
potature.

IL COMPOST DI POTATURE Le potature in genere sono sempre abbondanti


in un orto o in un giardino (dove vi siano siepi, viti, olivi e alberi da frutto), e
di norma queste vengono bruciate con un inutile spreco di materiale organico.
Le potature, prima di entrare in un compost, devono essere trinciate,
ovvero ridotte in pezzettini più facilmente attaccabili dai microrganismi. Sul
mercato si possono trovare trinciarami e trinciasarmenti di ottima qualità,
adatti a ogni volume di lavoro, sia elettrici che a motore diesel o collegati
dalla presa di forza del motocoltivatore, con i quali effettuare questa
prelavorazione.
Oltre alle potature è possibile compostare segature o trucioli di legno
prestando attenzione che non provengano da legname trattato con insetticidi.
La decomposizione delle lignine è molto lenta (fino a 3 anni) pertanto, ove
possibile, è meglio accelerarla mediante l’integrazione di pollina, colaticci o
sangue di mattatoio, che tra l’altro abbassano il rapporto C/N a favore
dell’azoto. A questo cumulo dovrà essere aggiunta la solita miscela minerale
per una quantità di 8-10 kg/m3. Le potature che vengono trinciate allo stato
fresco non hanno bisogno di essere inumidite, mentre segatura e trucioli
devono essere preventivamente bagnati.

IL COMPOST DI ERBA Si può pensare a questo compost quando si hanno


tosature di prati o comunque sfalci di qualsiasi genere. Il materiale di
partenza è di norma molto umido e molto strutturato, ma facilmente
compattabile e tendente a una reazione acida, quindi non è idoneo l’uso di
terra né miscelata, né in copertura. Sarà invece bene correggere il pH con
l’aggiunta di carbonato di calcio sotto forma di litotamnio o semplicemente di
calce idrata (3-5 kg al m3).
Il compost di erba non dovrà essere più alto di 80-100 cm al momento
della preparazione, mentre potrà comodamente raggiungere una larghezza di
180-200 cm. Se l’erba fosse troppo bagnata sarà bene farla asciugare all’aria
prima di compostarla. È utile aggiungere all’erba materiale azotato per
aumentare il potere fertilizzante e per accelerare la decomposizione. La
massa sarà completamente matura in 4-6 mesi. Il compost che si produce dal
solo materiale verde è piuttosto povero di potere fertilizzante, ma ha un buon
potere migliorativo della struttura del terreno.
CONCLUSIONI I compost vegetali sono dei potenti miglioratori della
struttura dei terreni argillosi e migliorano sensibilmente la capacità idrica di
quelli sabbiosi.
Sono inoltre assolutamente igienici e possono essere preparati anche dove
vi è costante presenza umana, come nei parchi giochi o nei giardini. Il
terriccio che si ricava si può usare, ad esempio, per ricoprire i bulbi che
svernano nella terra o per rincalzare i colletti delle piante di rose. Per
impiegarli quale terriccio nei vasi è bene prestare attenzione a due fattori: che
il materiale sia completamente maturo, poiché molte piante non tollerano
sostanza organica indecomposta; e che il pH sia il più possibile prossimo al
neutro.
Semina e moltiplicazione

MOLTIPLICARE GLI ORTAGGI


La riproduzione delle piante può essere effettuata in due modi:
• per via agamica basata cioè sulla moltiplicazione di una porzione di pianta
in grado di emettere radici;
• per via gamica cioè riproducendo le piante da seme.
La maggior parte degli ortaggi viene moltiplicata da seme, come i fiori
annuali e in generale tutte le piante a ciclo breve; la propagazione per via
agamica è invece praticata per ottenere nuove piante della stessa varietà di
alberi da frutto, arbusti ed erbacee perenni ornamentali, erbe aromatiche
suffruticose, cioè con base legnosa ecc.

Esempi di semina a righe…

RIPRODUZIONE VEGETATIVA
La riproduzione agamica avviene per talea, pollone radicale, propaggine e
stolone. Va detto che di rado queste tecniche trovano impiego nell’orto,
tuttavia conoscerle consente all’occorrenza di servirsene a ragion veduta, per
esempio per ottenere una nuova pianta di rosmarino da un rametto di una
varietà dal profumo speciale o produrre le piantine di fragola che servono per
riempire un’intera parcella.
… e a postarella.

La talea consiste nel far radicare una parte di pianta (foglia, fusto, radice,
più spesso una porzione di ramo), perché dia origine a un nuovo esemplare.
Non tutte le piante hanno l’attitudine ad attecchire da una piccola porzione, e
infatti la maggior parte degli ortaggi, che sono piante erbacee a ciclo annuale
o biennale, non possono essere riprodotti in questo modo.
Il pollone radicale utilizza i germogli, provvisti di radici proprie, che si
formano attorno alla pianta madre, per esempio di carciofo e di cardo.
Separati al momento giusto, i polloni danno origine facilmente a nuovi
individui con le stesse caratteristiche della pianta da cui sono stati prelevati.

MODALITÀ DI SEMINA

Semina con il metodo a spaglio (o alla volata).


Semina a righe o a file.

Semina a buchette (o a ciuffi o a postarella).

La propaggine è un giovane ramo – ancora attaccato alla pianta madre –


che ha l’attitudine a emettere radici se opportunamente preparato. Ripiegato e
fissato con una forcella o un sasso perché tocchi la terra almeno in un punto,
dopo un certo tempo il ramo tende a produrre radici nei punti di contatto con
il terreno. Può allora essere separato e trattato come esemplare a sé stante.
Lo stolone è un fusto strisciante che, a contatto con il terreno, emette radici
originando germogli che sarà sufficiente dividere come nuove pianticelle.
Con questo metodo si riproducono, per esempio, le fragole.

RIPRODUZIONE DA SEME
Trasportati dal vento, dagli animali o per semplice caduta, in natura i semi si
insediano nella terra e, in condizioni adatte, schiudono il tegumento
protettivo e danno origine a nuove piante. Nell’orto non ci si può affidare ai
capricci del caso, dunque è necessario procurare i semi delle piante che ci
interessano.
Si possono produrre in proprio le sementi da un anno all’altro, purché si sia
coscienti che le piantine nuove potranno avere caratteristiche anche molto
diverse da quelle che hanno prodotto i semi. Se per esempio si coltivano due
o tre varietà di zucca (compreso lo zucchino che è una zucca da raccogliere
immatura) si possono conservare i grossi semi per l’anno successivo. Con
sorpresa, si scoprirà che le piante nate da quei semi possono dare frutti in
un’infinità di forme, colori, sapori, comunque diversi dalle aspettative e dai
“genitori”. Ecco perché quasi sempre si ricorre ai semi acquistati. Nelle
bustine ci sono sementi selezionate di varietà stabilite, sicché l’ortolano può
scegliere, per esempio, lattughe precoci e tardive per avere raccolti in epoche
diverse e con diverso clima. In commercio si trovano ormai sementi di ogni
genere; in linea di massima sono tutte di qualità garantita, in quanto per legge
devono rispondere a criteri standard di selezione varietale, germinabilità,
assenza di semi di infestanti, salubrità, buona conservazione. Tuttavia, per
scrupolo, prima dell’acquisto bisogna almeno controllare sulla bustina la data
di chiusura della campagna di imbustamento: i semi di cipolla rimangono
vitali solo per due anni e al terzo anno quelli ancora in grado di germinare
sono circa la metà. Al contrario, i semi di cicoria durano anche 8 anni se
chiusi nelle bustine termosaldate. Dunque i semi di una bustina in svendita,
perché confezionata sei o sette anni prima, con buona approssimazione
nasceranno tutti. Conviene acquistare ogni anno sementi fresche, dando la
preferenza a confezioni di pochi grammi da usare subito.

GERMINAZIONE DI UN SEME

Germinazione di un seme epigeo


• Assorbita acqua attraverso i tegumenti, il seme si gonfia, i tegumenti si
spaccano e attraverso le spaccature esce la radichetta.

• La radichetta diventa radice principale.


• Il fusticino si allunga; si solleva dalla terra e si dirige verso l’alto. Il seme
sembra ancora intatto. I cotiledoni assorbono intanto il nutrimento dall’albume
e lo cedono alle parti che ne abbisognano. L’albume va consumandosi e i
cotiledoni, terminata la loro prima funzione, cominciano ad aprirsi.

• In mezzo ai due cotiledoni appare la gemmula. Intanto i cotiledoni (le prime


due foglie della pianta) dapprima rossastri, diventano verdi. Da ora la plantula
è capace di provvedere alla sintesi clorofilliana e può iniziare una propria vita
indipendente.
Germinazione di un seme ipogeo

• La radichetta ha rotto il tegumento e si è approfondita nel terreno.

• La radichetta si sviluppa. Dalla direzione opposta esce dal seme il fusticino


che subito si allunga verso l’alto.
• I cotiledoni, ricchi di riserva, escono pochissimo dal terreno. Sopra essi si
forma il fusto che porta la gemma apicale. Le due foglie tra cui si vede la
gemma non sono, in questo caso, le foglie cotiledonari, ma due foglie normali.

SEMINA E GERMINAZIONE
MODALITÀ La semina è l’operazione con la quale il seme viene immesso
nel terreno per ottenere la nascita delle piante. Per le colture orticole e
floricole la semina è eseguita in semenzaio, da dove, quando ha raggiunto lo
sviluppo desiderato, la piantina viene messa a dimora nel luogo scelto tramite
il trapianto. Ci sono diverse modalità di semina: a spaglio, a file, a postarella.
• Semina a spaglio o alla volata È quella di origine più antica e può essere
eseguita a mano o meccanicamente, spargendo il seme uniformemente sulla
superficie del terreno e interrandolo con una successiva lavorazione molto
superficiale. In semenzaio la semina a spaglio è più comune che nel campo,
poiché è problematica la pulizia dalle infestanti.
• Semina a righe o a file È la più diffusa nell’orto. È una tecnica molto
razionale e favorisce l’esecuzione delle seguenti operazioni colturali:
sarchiatura, incalzatura, irrigazione, raccolta.
• La semina a buchette o a ciuffi o a postarella Consiste nella collocazione
sistematica dei semi (a gruppi di due o più) in buchette equidistanti tra loro
lungo la fila. La semina a postarella facilita anche l’emergenza dei semi.
L’esecuzione della semina richiede all’agricoltore alcune scelte importanti.
Queste riguardano il luogo, l’epoca, la profondità di interramento e la
quantità di seme da impiegare.
LUOGO Il semenzaio è il luogo dedicato alla germinazione dei semi e alla
coltivazione delle plantule nei primi stadi di crescita, sino al momento in cui
potranno essere ripichettate. Può essere realizzato con diverse modalità e in
luoghi diversi dall’orto.
• La seminiera È un semplice vassoio in plastica o terracotta, oppure una
cassetta di legno o polistirolo, che va dislocata in una posizione riparata e
lontana dalle correnti d’aria, in casa o sotto il tunnel nell’orto. Serve per far
nascere le piantine di quegli ortaggi che per germinare necessitano di
temperatura alta, e di tempi lunghi per svilupparsi e diventare produttivi.
Esempio tipico è quello del pomodoro: i suoi semi richiedono almeno 18°C
per germinare e le piantine impiegano sino a quattro mesi per portare a
maturità i primi frutti. Pertanto è ovvio che le semine vanno avviate sin da
fine gennaio, quando la temperatura all’aperto, nell’orto, è decisamente
inferiore a quella necessaria.

• Il cassone Durante la buona stagione si semina invece nella zona dell’orto


dedicata a semenzaio, possibilmente contro un muro o al riparo di una siepe,
in una parcella sollevata da terra 20-30 cm (per impedire l’accesso alle
lumache e favorire il drenaggio dell’acqua). Così conformato, si chiama
cassone freddo, oppure cassone caldo se in profondità, sotto lo strato di
terriccio, viene fatto fermentare del letame fresco che libera calore. Il cassone
conterrà un terriccio setacciato fine, misto a sabbia di fiume lavata; sarà
richiudibile, tramite un coperchio vetrato, nelle giornate di cattivo tempo,
nelle mezze stagioni o di notte quando si temono bruschi sbalzi di
temperatura.
Benché molti ortaggi rustici possano essere seminati direttamente a
dimora, nella parcella che occuperanno per tutto il ciclo di coltura, in molti
casi è utile fare ricorso al semenzaio, per esempio se i semi sono talmente
piccoli da renderne difficile la distribuzione uniforme sul terreno. Quando le
piantine saranno abbastanza sviluppate da poter essere maneggiate, subiranno
il trapianto a dimora alla giusta distanza.
Con il semenzaio è inoltre possibile prolungare l’epoca di semina,
anticipandola di oltre un mese in primavera e posticipandola di altrettanto in
autunno.

VARI TIPI DI GERMINATOI

Germinatoio di tipo Jacobson.

Germinatoio di carta assorbente in rotolo (aperto e chiuso).


Germinatoio di tipo Nobbe con relativo coperchio.

Capsula Petri con coperchio e semi germinati.

Sia nel semenzaio al coperto sia in quello nell’orto è d’obbligo mantenere


un’igiene scrupolosa per evitare attacchi di crittogame (funghi microscopici)
responsabili dei marciumi dei semenzali. Non devono stazionare residui di
piante o foglie secche, le annaffiature saranno sempre moderate e
accompagnate da un buon ricambio d’aria e il terriccio di semina sarà di
provenienza sicura (sacchi sigillati) oppure verrà sterilizzato in una vecchia
pentola a pressione e sostituito a ogni nuovo ciclo di coltura.

EPOCA Per scegliere la giusta epoca di semina bisognerà tenere presenti


l’esigenza di calore da parte della coltura e l’epoca in cui si vuole che maturi.
La prima componente ha tuttavia la prevalenza: molte colture orticole si
seminano prima in letto caldo o in serra, per poi trapiantarle in campo solo
quando il clima lo permette.
Quest’ultimo caso interessa anche la programmazione della raccolta,
perché l’accorgimento favorisce le produzioni precoci.
PROFONDITÀ La profondità di interramento è un altro aspetto di grande
interesse. Se il seme è troppo superficiale rischia di rimanere scoperto,
oppure immerso in un leggero strato di terreno che non riesce a garantirgli le
necessarie condizioni di umidità per la germinazione; in questo caso si trova
sempre più esposto al rischio di diventare mangime per gli uccelli.
Il seme interrato troppo in profondità, invece, rischia di esaurire le sostanze
di riserva prima che la piantina emerga dal terreno. Quest’ultimo
inconveniente appare particolarmente insidioso nei terreni compatti, zollosi,
con frequente formazione di crosta e per semi piccoli che forniscono piantine
stentate. Negli orti con terreni tenaci, la formazione della crosta si può
contrastare ricoprendo i semenzai e le aiuole con uno straterello di sabbia. In
genere i semi molto piccoli non sopportano profondità superiori a 5-10 mm.
Si interra di più il seme nei terreni sabbiosi (che perdono facilmente umidità e
sono molto aerati) e meno in quelli tenaci (che si asciugano lentamente e
sono più asfittici). In terreno umido si interra meno, specialmente se la
stagione è piovosa; al contrario si interra di più, a parità di altre condizioni, in
terreni dotati di scarsa umidità e con andamento stagionale asciutto. Come
regola generale si può dire che, a parità di condizioni, i semi saranno interrati
tanto meno profondamente quanto minore è la loro dimensione.

QUANTITÀ La quantità di seme da impiegarsi per metro quadrato varia


sensibilmente in funzione della coltura. Essa può, a seconda dei casi, essere
suggerita da due diversi principi.
Il primo è l’ottenimento di un numero di piante per unità di superficie già
corrispondente all’investimento che si desidera per la coltura. Il secondo è
l’ottenimento di un numero di piante maggiore del necessario, perché si
prevede di intervenire in seguito con l’operazione di diradamento o perché si
sa che le tecniche colturali successive potranno provocare una riduzione
dell’investimento (per esempio, il diserbo meccanico).
Il secondo caso è quello più diffuso fra le colture orticole non trapiantate
(carote, ravanelli, rape, radicchi ecc.) e fra le colture sarchiate (patate, mais
ecc.). Qual è il quantitativo ottimale di seme da impiegare? Se tutti i semi
germinabili producessero una piantina, la risposta sarebbe semplice.
Purtroppo le cose vanno diversamente, perché ci sono condizioni
ambientali avverse (troppa pioggia, ritorni di freddo, siccità), alcuni semi
sono attaccati dai parassiti, altri sono troppo interrati, altri rimangono scoperti
o troppo in superficie, un’altra parte non riesce a emergere a causa della
crosta, della zollosità o dei sassi presenti nel terreno. Bisogna poi ricordare
che queste cause avverse si verificano in un modo tutt’altro che omogeneo
nei diversi ambienti e che, nella stessa località, è difficile prevedere il grado
di intensità con cui si verificheranno dopo la semina. Spetta quindi
all’agricoltore stabilire la quantità di seme da utilizzare a seconda della
coltura, valutando caso per caso, prima della semina, e utilizzando tutta la sua
esperienza.

LA PRODUZIONE DELLE SEMENTI


Dal punto di vista ambientale, le condizioni ottimali per una coltura da seme
si verificano quando si ha poca o moderata piovosità e poco vento che,
peraltro, favorisce l’impollinazione e, di conseguenza, la produzione di semi.

CONTRASSEGNI All’inizio della stagione preparate alcuni spaghi, legni,


appositi cartellini colorati o una qualunque forma di contrassegno con cui
etichettare le piante che intendete scegliere per conservarne il seme. Se l’orto
è frequentato da altre persone, assicuratevi che tutti conoscano bene il
significato di questi segnali.
OSSERVAZIONE Tenete in osservazione le piante durante lo sviluppo e
sceglietene alcune, non troppe, tra quelle più sane ed equilibrate: di queste
conservate il seme. Fate la vostra scelta in base all’osservazione dello
sviluppo di tutta la pianta. La produzione del seme è un lavoro che si compie
durante tutto l’anno o in più anni (se le colture sono biennali). Si tratta
dunque di molto più che di semplici passeggiate frettolose tra gli ortaggi.

SCELTA Ogni pianta possiede determinate caratteristiche da stimolare. Per


esempio, in alcune colture (spinaci, cavoli cinesi ecc.) non si devono
contrassegnare le piante più precoci e che poi montano a seme. Queste sono
invece piante da scartare. Le piante migliori sono quelle in cui lo sviluppo
della foglia dura più a lungo e che vanno a seme più tardi. Bisognerà perciò
aspettare a operare la scelta quasi fino alla fine del ciclo produttivo, facendo
attenzione a non destinare tutte le piante migliori al consumo alimentare.
Diversamente, per broccoli e cavolfiori sono invece da preferire le piante che
producono infiorescenze precoci; perciò, non appena vengono notate, devono
essere subito contrassegnate purché si tratti di piante sane e robuste. La stessa
cosa vale per i ravanelli: lo sviluppo sano della pianta dovrebbe essere
sempre equilibrato con lo sviluppo della radice, ma non preludere a una
fioritura precoce.
Altrettanto dicasi per le carote, per le bietole, per le rape e simili, a meno
che non si tratti di piante biennali che producono seme ogni secondo anno. In
tal caso esiste un problema in più, e cioè come conservare sane e salve le
piante migliori tutto l’inverno.
Occorre ricordare che non si devono scegliere i semi di varietà ibride
eventualmente utilizzate: la discendenza presenterebbe delle caratteristiche
molto diverse dalla pianta portaseme. Gli steli lunghi delle piante portasemi
vanno sostenuti con un apposito tutore.

DISTANZE In genere le piante portaseme vanno mantenute isolate o,


comunque, ben distanti da quelle coltivate, soprattutto se sono della stessa
specie o varietà. Siccome le distanze minime sono di 100-200 m o più, è bene
far attenzione anche alle coltivazioni vicine. È comunque ovvio che per farsi
in proprio la semente bisogna disporre di parecchio spazio.
Altra buona norma è coltivare soltanto la varietà che ci interessa portare a
seme. La presenza di piante portaseme di più varietà può causare incroci
naturali e, di conseguenza, la perdita delle caratteristiche varietali che
vogliamo riprodurre.

MATURAZIONE Lasciate che i semi maturino nell’orto per tutto il tempo


necessario, ma non tanto da rischiare che marciscano, cadano o vengano
mangiati dagli uccelli.
Raccogliere troppo presto significa avere una produzione di scarsa qualità.
Ritirate al coperto le piante portasemi e appendetele o deponetele in luoghi
asciutti finché i baccelli non saranno diventati friabili e il seme possa uscire
facilmente. I semi vanno tolti dalle capsule soltanto l’anno seguente,
all’epoca della semina.

RACCOLTA Per questo aspetto è bene considerare che ci sono due gruppi
fondamentali di semi: un primo gruppo in cui i semi vengono raccolti già
secchi per essere però ulteriormente essiccati (per esempio ravanelli, mais,
fagioli, cavoli, lattughe ecc.); un secondo gruppo in cui i semi vengono
raccolti umidi e che, prima di essere essiccati, devono subire un processo di
fermentazione e lavaggio (per esempio cetrioli, zucche, pomodori, meloni
ecc.). I semi del secondo gruppo hanno un rivestimento di sostanza gelatinosa
che si scioglie con la fermentazione.
Il metodo della fermentazione è da preferire rispetto a quello più rapido
che prevede però l’uso di acido cloridrico o solforico. Con la fermentazione
si ottengono semi più sani perché si eliminano certe malattie del seme (per
esempio batteriosi del pomodoro).
I semi lasciati fermentare e poi sottoposti a un forte lavaggio devono essere
essiccati rapidamente, entro 12 ore, se si vuole evitare una possibile
germinazione.
Tutti gli altri semi richiedono l’essiccazione dopo la raccolta. Questa si può
fare al sole o all’ombra, facendo attenzione che il seme non si inumidisca di
nuovo durante la notte o nei giorni piovosi. Maggiore cura andrà rivolta
all’essiccazione dei semi raccolti nel periodo autunnale. Per accelerare
l’essiccazione, i semi dovrebbero essere rimescolati alcune volte al giorno.

PULITURA Il metodo più semplice per pulire i semi è quello di avere a


disposizione tutta una serie di setacci a maglie diverse. Con una grandezza o
con l’altra potrete separare a volontà il seme dalla pula e dalle altre impurità.

GERMINABILITÀ Per assicurarvi della buona germinabilità del seme


prodotto, fate delle prove prima dell’epoca di semina, in modo da poterne
reperire dell’altro, se necessario. A questo scopo si utilizzano germinatoi o
attrezzature simili.
Contate un certo numero di semi, 50-100, a seconda della loro misura,
metteteli in un piatto fondo o in un altro recipiente simile, sopra un foglio di
carta assorbente, un po’ di ovatta, cotone o una tela di cotone grezzo, che
deve rimanere sempre umida. Il seme non va immerso nell’acqua, ma non
deve asciugarsi neanche per un breve periodo, altrimenti la prova va ripetuta
con semi nuovi.
La cosa migliore da fare è coprire il recipiente per evitare una rapida
evaporazione e tenere i semi nell’oscurità, ma la copertura non deve impedire
l’aerazione, altrimenti si svilupperebbero delle muffe. Conservate il tutto in
luogo caldo. Registrate la data iniziale della prova e osservate quanto tempo
ci vuole perché i semi germinino, e anche in quale proporzione ciò avviene.
Naturalmente alcuni semi germineranno più lentamente (tra questi il
prezzemolo) altri avranno bisogno di più calore, come i pomodori, i peperoni
o le melanzane. Le partite i cui semi di prova ammuffiscono senza
germogliare sono ovviamente inadatte alla semina. Nell’incertezza del
risultato, ripetete la prova.

CONSERVAZIONE DEI SEMI


La conservazione invernale del seme richiede una certa cura, poiché esso può
essere rovinato dalle muffe o dagli insetti. Deve essere conservato in luogo
asciutto e fresco (alcuni semi sopportano il gelo, altri no), coperto, ma non in
contenitori ermetici. All’interno di essi, infatti, si crea un ambiente asfittico
che provoca la morte dell’embrione.

in breve

• consultate i cataloghi di sementi e leggete le specifiche degli ortaggi,


soprattutto se siete alle prime armi. Vi servirà per farvi un’idea su ciò che volete
produrre e per capire le problematiche orticole.

• fate esperienza con molte varietà di ogni ortaggio per stabilire quali danno i
migliori risultati nel clima e nel terreno specifici.

• non seminate mai solo una varietà dello stesso ortaggio: questo perché in
caso di andamento stagionale sfavorevole o errori di coltivazione, ci sono più
probabilità che almeno un tipo rimanga in produzione.
• fatevi consigliare dai vecchi orticoltori del posto poiché le varietà di ortaggi
tradizionalmente coltivate in un territorio sono anche quelle che in genere danno i
risultati migliori.

• siate curiosi e provate a turno le sementi di ortaggi poco conosciuti perché


provenienti da altre parti del mondo: cavolo cinese, okra, patate nere andine,
melanzane rosse tailandesi, ecc. Pur riservando solo piccole parcelle agli
“esperimenti” si possono fare scoperte orticole interessanti e arricchire la tavola
di sapori e di… argomenti di conversazione.

La temperatura ideale è di circa 4°C, ma molti agricoltori biodinamici


usano esporre i loro semi all’azione del gelo, partendo dalla constatazione
che, in natura, tutti i semi (infestanti comprese), subiscono l’azione del gelo e
si dimostrano, in molti casi, più vigorosi e più sani di quelli delle piante
coltivate. È stato constatato che le basse temperature, anche molto al di sotto
dello zero, non danneggiano nessun seme purché sia internamente asciutto.
Conseguentemente si nota una germinazione più rapida.
Per aumentare la conservabilità bisogna sottrarre i semi all’azione della
luce intensa e preservarli dall’umidità e dalle temperature elevate, al fine di
ridurre l’attività respiratoria e il conseguente consumo delle riserve
alimentari. L’umidità favorisce i fenomeni di ossidazione che, provocando
riscaldamenti, determinano la morte dell’embrione.

PIANTARE UNA TALEA

La talea di rosmarino deve essere piantata subito dopo averla ricavata. Necessita di
frequenti irrigazioni.

L’immagazzinamento deve essere effettuato preferibilmente suddividendo


la massa dei semi da conservare in piccole quantità, che dovranno essere
poste in altrettanti contenitori. Allo scopo si possono impiegare sacchetti di
materiali quali juta, cotone o carta, che costano poco ma non offrono alcuna
protezione contro l’umidità e i roditori, o sacchetti di materiale plastico di
vario spessore, vasi di vetro e contenitori metallici, che invece garantiscono
un’elevata difesa contro l’umidità e l’attacco di insetti e roditori. È bene
etichettare i contenitori scrivendo: tipo di seme, varietà, data di raccolta.
Per impedire agli insetti di moltiplicarsi a spese del frumento o dei fagioli,
si raccomanda un frequente rimescolamento dei semi. Giornalmente, o quasi,
muovete il contenitore delle sementi e controllatene il contenuto, per
eliminare tutti gli agenti che potrebbero guastarlo.

TRATTAMENTI ALLE SEMENTI


Nel tempo che intercorre tra la raccolta e la semina successiva, i semi
possono essere sottoposti a particolari trattamenti, per facilitarne la
germinabilità e stimolare l’energia vitale dell’embrione, nonché per
proteggere le sementi dalle infestazioni di insetti e da infezioni crittogamiche
trasmissibili alla coltura attraverso la semente. Ci limiteremo a segnalare i più
semplici e i più adatti a chi pratica l’autoproduzione soprattutto di sementi
orticole.

TRATTAMENTI STIMOLANTI
• Immersione L’immersione in acqua per 12-48 ore affretta la germinazione.
L’ammollamento in acqua tiepida, che segue l’immersione per 2-3 ore in
acqua fredda, accorcia la durata del trattamento e ne aumenta sensibilmente
l’efficacia. In questi casi la semina si eseguirà dopo 1-2 giorni dall’estrazione
del seme dall’acqua.
• Inoculazione Si attua in modo particolare ai semi delle leguminose, che
vengono trattati con colture di batteri specifici dotati di una elevata capacità
di fissare l’azoto atmosferico. Questo ha come conseguenza, quasi sempre, un
aumento della produttività della coltura.
Nel processo di germinazione di un chicco di grano, la radichetta cresce verso il
basso per formare le radici, mentre l’epicotile cresce verso l’alto per formare il
giovane germoglio.

• Pregermogliazione È pratica abbastanza comune per la patata. I tuberi


vengono posti, circa quattro settimane prima della semina, in un ambiente
luminoso, con una temperatura di 12-15°C, un’umidità relativa non inferiore
all’80-90%, e lasciati germogliare. Con questo sistema si possono eliminare i
tuberi-seme che presentano germogli anomali o che non germogliano affatto,
e si ottiene anche un certo anticipo di produzione. Per altre colture (cipolla,
carota, peperone ecc.) si ricorre, talvolta, alla pregerminazione dei semi.

SEMINARE IN UNA CASSETTA-SEMENZAIO


Per seminare in una cassetta-semenzaio, mettete sul fondo uno strato di ghiaia
che assicuri un corretto drenaggio e coprite con terriccio adatto (1). Distribuite
quindi i semi radi e uniformi, mescolandoli a sabbia se sono molto piccoli (2).
Dopo aver coperto con un sottile strato di terriccio, comprimete la superficie
per migliorare l’aderenza dei semi al substrato (3), quindi annaffiate con molta
delicatezza per evitare di scalzare il terriccio.

• Bagno delle sementi Nell’involucro del seme è immagazzinato tutto ciò che
serve allo sviluppo di una giovane pianta. Perciò tutte le sostanze esterne che
con esso vengono a contatto (disinfestanti, insetticidi, acqua ecc.) esercitano
influenze sulla pianta futura. Lo sanno bene gli agricoltori biologici e
biodinamici, presso i quali è diffusa la pratica del bagno delle sementi con
infusi o preparati a base di latte o di erbe. Allo scopo, i preparati più usati
sono a base di camomilla (per piselli, fagioli, rafano, ravanelli, cavoli ecc.) e
valeriana (per carote, cicoria, cetrioli, aglio, pomodori, peperoni, zucche,
cipolle, porri, sedano ecc.). Dopo il bagno, le sementi vengono stese su carta
assorbente e poste all’ombra ad asciugare. Si possono distribuire nel terreno
il giorno stesso; è bene comunque non farlo oltre il secondo giorno
successivo al bagno. Il trattamento ha un’intensa azione sui semi, ne stimola
la germinazione e rafforza sensibilmente lo sviluppo delle piantine.

TRATTAMENTI PROTETTIVI
• Concia Si attua con prodotti particolari (polveri a base di rame ecc.) per
prevenire gli attacchi degli insetti terricoli o lo sviluppo delle malattie
crittogamiche sulle piante. Si bagna il seme in una soluzione di poltiglia
bordolese all’1% per 10 minuti, seminando entro pochissimo tempo dal
trattamento. Oppure si sparge sulla semente del carbonato di rame ben secco
e polverulento. È necessario praticare una buona miscelazione, in modo che il
prodotto vada a ricoprire tutti i semi. Questa tecnica a secco permette anche
la conservazione dei semi, contrariamente alla disinfezione con prodotti
liquidi. È possibile adottare questa tecnica di concia anche al momento della
semina. Da alcuni anni è in commercio un prodotto a base di microrganismi
del genere Tricoderma, funghi antagonisti dei marciumi radicali. Il prodotto
protegge i semi dagli attacchi di Fusarium, Rhizoctonia e Cercosporella. Il
Tricoderma, distribuito sul seme, con la sua capacità adesivante consente,
con leggero mescolamento, un’omogenea distribuzione su tutti i semi. Con
10 g si trattano 5 kg di seme. Nelle zone molto popolate dagli uccelli (la loro
presenza è utile per combattere i parassiti delle piante), salvare il seme dalla
loro voracità può essere un problema.
Per tenerli lontani durante la semina si può fare il bagno delle sementi in
una miscela di bile, bentonite e acqua. Si vuota il contenuto di una bile di
bovino (o, in mancanza, di un altro animale) in 5 l di acqua e 3 kg di
bentonite (argilla). In questo liquido si fa il bagno delle sementi per 5-10
minuti. Se la semina deve essere effettuata immediatamente, il seme può
essere asciugato spolverandolo con bentonite o farina di alghe.
• Disinfezione Si può attuare con della semplice acqua calda. Poco prima
della semina si mette a bagno la semente, per 4 ore, in acqua a 25-30°C, poi
la si immerge in acqua a 50°C per 10 minuti. L’utilizzo dell’acqua calda ha
effetto anche contro le infezioni interne dei semi, ma può avere un effetto
collaterale deprimente sul potere germinativo.
• Irrigazione Un utilizzo scorretto dell’acqua per irrigare può causare molte
fitopatie. Sbagliare momento di distribuzione, quantità di acqua o metodo di
irrigazione, spesso comporta un eccessivo proliferare delle infezioni
crittogamiche sulle colture. Bisogna porre una particolare attenzione all’uso
dell’acqua irrigua, in particolare nelle colture orticole in serra.

DIRADAMENTO
Spesso, soprattutto nel caso sia stata eseguita la semina a spaglio, accade che
le nuove piantine, sviluppandosi, si infittiscano troppo. E d’altra parte quelle
germinate a postarelle, cioé nella stessa buchetta, sono in competizione per il
nutrimento disciolto nel terreno. Insomma, quando le piantine hanno emesso
due foglie vere (le prime che spuntano sono cotiledoni, cioè foglie modificate
che fungono da riserva per l’embrione) è opportuno provvedere a un primo
diradamento che consenta lo sviluppo ottimale a quelle conservate. Il lavoro
va eseguito con una pinzetta, rimuovendo gli esemplari più deboli o quelli
che non rispettano le distanze minime tra pianta e pianta. In qualche caso
questo materiale vivo può essere salvato e trapiantato altrove per aumentare
la dotazione di ortaggi. Si può fare con i semenzali di lattughe, cicorie,
prezzemolo, cavoli, pomodori e peperoni. Un secondo diradamento andrà
eseguito all’occorrenza, quando le plantule avranno quattro foglioline.

RIPICCHETTATURA
Questa operazione consente di selezionare le piantine migliori da allevare e di
irrobustirle grazie al trasferimento in un terriccio un po’ più fertile di quello
di semina. Le radici sono così stimolate a espandersi e a ramificarsi,
aumentando la loro capacità di assorbire nutrimento.
Non tutti gli ortaggi gradiscono la ripicchettatura e sanno farne tesoro. Per
esempio, non l’accettano gli ortaggi da radice (carota, rapa, scorzobianca
ecc.) ed è inutile per gli ortaggi a ciclo breve o da taglio come ravanello,
rucola, lattughino, bietole, cicorie da foglia. Invece ne traggono vantaggio più
di tutti gli ortaggi da foglia a ciclo lungo, a partire dai cavoli e dai radicchi. In
quanto agli ortaggi da bulbo (cipolla, scalogno, aglio, porro), la
ripicchettatura è molto utile solo nel caso si faccia partire la coltivazione da
seme e non dai bulbilli.

IL DIRADAMENTO

Il diradamento è un’operazione spesso necessaria, soprattutto se si è seminato a


spaglio. Talvolta infatti le piantine germogliate si infittiscono troppo all’interno
del contenitore di semina (1). In questo caso, sarà opportuno diradarle (2) per
consentire loro un adeguato sviluppo (3).

Contenitori, vasetti, attrezzi devono essere pulitissimi per evitare il


diffondersi di pericolose muffe che possono attaccare le piantine soprattutto
subito dopo il trapianto, quando sono più deboli. Si evitano infestazioni
osservando una scrupolosa pulizia, garantendo un regolare ricambio d’aria
attorno alle piantine, eliminando foglie e steli non appena appassiscono e
partendo sempre da contenitori disinfettati (lavaggio con acqua calda e
sapone di Marsiglia e immersione per qualche minuto in acqua e
candeggina). Quando le piantine si sono riprese dal trapianto, vanno abituate
alla loro futura vita all’aperto nelle parcelle dell’orto. Esposte gradualmente a
temperatura ambiente, ma ancora protette dal sole diretto, diventano più
robuste perché imparano le regole dell’adattamento che consentirà loro di
vivere con condizioni ambientali diverse da quelle di origine. Basta pensare
al pomodoro, originario dell’America tropicale, che pure dà raccolti
abbondanti anche negli orti dei climi meno caldi, come quelli dell’Europa
meridionale. Se le piantine vengono conservate nel cassone freddo, è più
facile dosare le ore di aria e l’illuminazione, aprendo e chiudendo il
coperchio vetrato. La somministrazione di piccole dosi di concime liquido
diluito una volta alla settimana nell’acqua di annaffiatura favorirà lo sviluppo
delle piantine.

COME EFFETTUARE LA RIPICCHETTATURA


Si prepara un terriccio leggero, mescolando sabbia, torba e terra da giardino in
parti uguali e setacciandolo perché non abbia grumi. Dopo averlo usato per
riempire per 2/3 vasetti di vivaio o gli appositi alveoli, si trapiantano a una a
una le pianticelle prelevate dalla cassetta-semenzaio. Si può facilitare il lavoro
annaffiando le piantine qualche ora prima del trapianto, sarà più semplice
estrarre le radici senza spezzarle. Un bastoncino aiuta a sollevare ogni volta
una piccola zolla di terra con un gruppo di piantine. Queste vanno poi separate,
meglio lasciando un po’ di composto di semina attorno alle fragili radici. Ci si
aiuta con il bastoncino per creare l’alloggiamento nella terra e all’interno della
buchetta si calano le radici, ben distese, facendo in modo che il colletto (cioé la
zona di passaggio tra il fusticino e le radici) venga a trovarsi sulla superficie del
terriccio. Infine si comprime leggermente la terra per farla aderire alle radici e
si annaffia a pioggia fine. Le piantine ripichettate andranno conservate in un
locale con temperatura tra 15°C e 20°C (comunque mai inferiore a 6-8°C),
evitando per i primi 2-3 giorni la luce diretta del sole.
LA PIANTAGIONE DEFINITIVA
Un metodo per capire se è ora di fare la piantagione è di svasare con cautela
una piantina, rovesciandola nel palmo della mano e osservando se le radici
hanno occupato tutto lo spazio a disposizione. In questo caso è consigliabile
procedere alla piantagione, purché ci siano le condizioni climatiche
favorevoli. La parcella dell’orto destinata a ospitare le piantine va preparata
in anticipo e livellata con il rastrello, mentre le piantine vanno annaffiate
abbondantemente, perché sia facile estrarle dal vasetto in cui sono state
allevate. In genere si devono conservare integre le radici, da interrare con il
loro pane di terra. Tuttavia alcuni ortaggi che tendono a produrre una sola
radice a fittone (in particolare cicorie e radicchi) apprezzano la rimpiolatura,
ossia l’asportazione dell’apice della radice centrale allo scopo di favorire
l’emissione di nuove radici laterali.
Se si rispettano le esigenze di terreno e la distanza ottimale d’impianto di
ogni specie e si dotano subito di tutore le piante destinate a diventare alte
(pomodoro, fagiolo ecc.), la “carriera” delle nuove piante nell’orto ha inizio.
Bisognerà essere solo un po’ apprensivi i primi giorni, badando che la terra
non asciughi.
L’orto sul balcone
Organizzare il balcone

L’ESPOSIZIONE
Per svilupparsi al meglio e dare raccolti abbondanti gli ortaggi non hanno
bisogno soltanto di acqua e nutrimento, ma anche di una posizione
convenientemente soleggiata e luminosa. Contrariamente a quanto avviene
per le altre piante, infatti, non ci sono verdure che accettano di vivere
all’ombra completa, e anche quelle meno bisognose di sole – per esempio,
lattughe, spinaci, erbette e prezzemolo – devono riceverne i raggi almeno per
qualche ora al giorno. Nella realizzazione di un mini orto, quindi,
l’orientamento di balconi e terrazzi è un elemento da analizzare con grande
attenzione se non si vuole andare incontro a insuccessi e delusioni.
Le esposizioni a sud sono luminosissime, ma durante l’estate possono
rivelarsi micidiali per molte piante, colpite troppo a lungo dai raggi del sole:
soprattutto sui terrazzi ai piani alti, se non ci sono pareti o parapetti che
creino provvidenziali zone d’ombra bisognerà prevedere un riparo di qualche
tipo, per esempio una tettoia o una tenda.
Sono decisamente più adatti ad accogliere ortaggi i balconi orientati a est,
sud-est, ovest o sud-ovest: su quelli che godono dei primi due tipi di
esposizione le verdure potranno sfruttare i raggi dolci della mattina, mentre
sugli altri avranno a disposizione quelli più caldi del pomeriggio, ma in ogni
caso saranno al riparo dal sole cocente di mezzogiorno. I terrazzi, i balconi e i
davanzali esposti a nord, invece, sono troppo all’ombra, e perciò non
costituiscono il luogo ideale per coltivare verdure.

ATTENZIONE AL VENTO Per ospitare al meglio frutta e ortaggi è anche


necessario che terrazzi e balconi siano al riparo dal vento: se è molto violento
può piegare steli e sradicare piante, se è molto insistente fa appassire le foglie
perché le sottopone a un’evaporazione così intensa che la quantità di acqua
eliminata è superiore a quella che può essere riassorbita dalle radici.
Per ridurre i danni del vento si può ricorrere a stuoie di cannucce
saldamente ancorate al parapetto, o a robusti rampicanti tipo edera o
caprifoglio da far crescere sulle ringhiere, oppure, se lo spazio a disposizione
lo consente, a siepi di bambù o pittosporo. Non bisogna invece confinare
ortaggi e piante da frutta in luoghi troppo protetti, perché l’insufficiente
circolazione d’aria (per esempio all’interno di logge e verande) favorisce
l’installarsi dei parassiti e l’insorgere di malattie crittogamiche. Gli ambienti
ideali per le piante sono quelli in cui, grazie a opportune barriere, si riduce la
forza del vento ma non si elimina del tutto la circolazione dell’aria.

CHI AMA IL SOLE?

• Gli ortaggi che hanno più bisogno di sole sono melanzane, pomodori,
peperoni, cetrioli, zucchine. Amano il sole anche quasi tutte le erbe aromatiche.
• Si accontentano anche di poche ore di sole al giorno lattughe, spinaci, sedano,
erbette, ravanelli, carote, barbabietole, erba cipollina, menta e alloro,
soprattutto se coltivati nelle regioni più calde.
• Preferiscono invece le posizioni a mezz’ombra prezzemolo, cerfoglio e
crescione; sui terrazzi esposti a sud, per evitare il pericolo di un’eccessiva
insolazione, si possono coltivare queste specie all’ombra di altre che, invece,
amano il pieno sole.

LO SPAZIO
Per quanto grande possa essere il vostro terrazzo i metri quadrati a
disposizione di piante e vasi saranno sempre piuttosto limitati e perciò
andranno sfruttati nel modo più razionale possibile.

COME RISPARMIARE SPAZIO Una buona soluzione consiste nel piantare


gli ortaggi tutti insieme in un’unica cassetta invece che in vasi singoli
(ovviamente rispettandone le esigenze colturali), aumentando così la
superficie di terra utilizzabile. Per far posto al maggior numero di ortaggi nel
minor spazio possibile si possono anche appoggiare le cassette su una
scaffalatura a forma di scala: i negozi di bricolage ne offrono diversi modelli,
sia in legno che in metallo, ma prima di acquistarli accertatevi che il
pavimento possa sostenerne il carico.
Se decidete di ricorrere a un’étagère, soluzione senz’altro più elegante, per
evitare che gli ortaggi si tolgano la luce l’uno con l’altro bisogna sistemare
quelli di taglia maggiore (melanzane, peperoni, pomodori) sui ripiani più alti
e le specie di taglia media e piccola (insalate, erbette, fagiolini) su quelli più
bassi.

COME MOLTIPLICARE LO SPAZIO Lo spazio a disposizione può essere


moltiplicato anche aggiungendo alla superficie del pavimento quella delle
pareti o delle ringhiere, sulle quali si possono appendere vasi pensili, oppure
graticci per gli ortaggi rampicanti: in molti casi le piante sistemate sulle pareti
potranno addirittura trovarsi in una posizione più favorevole rispetto a quelle
appoggiate al pavimento, perché le loro foglie riceveranno più luce. Esistono
speciali contenitori, dotati di una parete posteriore diritta e munita di un foro,
che si fissano semplicemente al muro con un chiodo robusto.
In ogni caso qualsiasi recipiente, purché non troppo pesante, può
trasformarsi in un vaso pensile: basta inserirlo in una solida struttura
sostenuta da catenelle, per esempio un cestello in filo di ferro, e appenderlo a
una staffa a gancio ancorata alla parete.
In commercio si trovano anche panieri studiati per appendere i vasi alle
ringhiere: devono essere robusti e vanno fissati con cura in modo che
resistano a venti forti. Prima di appenderli alle ringhiere è bene comunque
assicurarsi che queste siano in grado di sostenerne il peso.
IL VANTAGGIO DEI RAMPICANTI Per sfruttare al meglio lo spazio,
quando è possibile – per esempio nel caso di zucchine o fagiolini – è buona
regola scegliere varietà di ortaggi rampicanti invece che a cespuglio:
crescendo in verticale, infatti, non occuperanno tutta la terra del vaso, che
così potrà ospitare anche qualche altra verdura. Gli ortaggi rampicanti però
devono avere a disposizione dei sostegni appropriati: possono essere semplici
reti in plastica o in metallo zincato (poco costose, ma non bellissime da
vedere quando non sono coperte dalle foglie), oppure eleganti treillage in
legno formati dall’intreccio di listelli disposti a losanga, che invece decorano
le pareti anche quando sono spogli. Nei garden center si trovano anche
treillage snodabili che si adattano perfettamente alla superficie disponibile e
alla fine della stagione si possono richiudere, oppure cassette dotate di
graticcio incorporato.

L’ORTO RAMPICANTE

Nelle cassette melanzane mescolate a fiori, sulla pergola zucchine Tromboncino


d’Albenga e zucchette ornamentali.
Tutti questi sostegni devono essere saldamente fissati alle pareti con chiodi
a pressione, però ad almeno 2 cm di distanza dalle pareti stesse per consentire
ai rampicanti di insinuarsi negli spazi e sfruttare meglio l’appoggio.
I vasi dei rampicanti possono anche essere accostati alla ringhiera: i fusti si
arrampicheranno da soli formando una cortina verde.

ALBERELLI DA FRUTTO

Con facilità, ma in un tempo un po’ più lungo, potrete ottenere piantine di


limone, arancio, mandorlo, nespolo, avocado ecc., semplicemente interrando i
loro semi (3 o 4 nel caso di quelli più piccoli) in un vaso riempito di terriccio e
mantenuto costantemente umido.
Prima di piantarli rompete leggermente con uno schiaccianoci i noccioli di
pesca, prugna e mandorla, ma senza danneggiarne la parte interna più tenera.
Interrate i semi a circa 2 cm di profondità e lasciate il vaso al buio e in un posto
caldo fino alla crescita dei germogli. Rinvasate le singole piantine quando
avranno raggiunto i 10 cm di altezza e avvisate i bimbi di non aspettarsi grossi
frutti da questi alberelli.

QUALI PIANTE COLTIVARE


Una gran quantità di piante da orto vivono felicemente anche in uno spazio
limitato, e perciò si possono coltivare senza particolari difficoltà su terrazzi e
balconi. Sarà necessario però rinunciare ad alcune specie, per esempio a
quelle che, come le bietole da coste, sono dotate di un apparato radicale
piuttosto profondo e quindi avrebbero bisogno di un vaso molto ingombrante
per sviluppare al meglio le loro radici.
Per compensare con buoni raccolti l’esiguità dello spazio a disposizione
converrà puntare sulle specie più produttive e su quelle che, essendo
caratterizzate da un ciclo vegetativo breve, consentono la rotazione, nell’arco
dell’anno, di diversi ortaggi in un solo vaso. Per esempio sono indicate le
insalate, e in particolare quelle da taglio, che occupano poco spazio e hanno
tempi di germinazione molto rapidi. Vanno bene anche i ravanelli, che si
raccolgono dopo 3 o 4 settimane dalla semina, oppure il crescione, che
impiega soltanto 2 o 3 giorni a germinare e rispunta velocemente dopo che è
stato tagliato al colletto.
Si possono sistemare in cassette poco profonde fagioli e fagiolini, mentre
basilico e prezzemolo si adattano a vivere anche su un davanzale; lo stesso
vale per il rosmarino, la salvia, i peperoncini piccanti e altre piante
aromatiche che, salvo l’alloro, possono crescere in vasi di taglia ridotta.
Hanno invece bisogno di un contenitore un po’ più voluminoso pomodori,
zucchine e melanzane, ma se lo spazio a disposizione lo consente vale la pena
di ospitarli sul balcone per la generosità con cui regalano i loro frutti durante
tutta l’estate.

Gli agrumi sono tra le piante da frutto più indicate per la coltivazione in vaso. I
contenitori più adatti sono quelli classici in terracotta.

Possono crescere in vaso anche alcune piante da frutto. Per esempio le


varietà nane di meli, peri, susini, peschi e albicocchi che, malgrado le loro
dimensioni decisamente contenute (non superano i 2 m di altezza), fioriscono
e fruttificano abbondantemente. Su un balcone si trovano a loro agio anche le
fragole, oppure, grazie alla loro taglia ridotta, gli arbusti di ribes, mirtillo,
lampone e uva spina, ma anche rampicanti come la vite e il kiwi (Actinidia
chinensis). E poi ci sono gli agrumi, che da secoli si coltivano nelle classiche
conche di terracotta, oppure nei grandi vasi di legno tipo “Versailles”; nelle
terrazze più grandi possono trovare posto anche il nespolo del Giappone e
l’olivo.
Dal momento che non tutte le piante da frutta accettano di vivere in vaso,
prima dell’acquisto informate il vivaista sull’uso particolare che intendete
farne. Potrà così fornirvi, oltre alle varietà nane, anche quelle che resteranno
di taglia ridotta perché inserite su portainnesti poco vigorosi.

GLI ACCOSTAMENTI CONSIGLIATI


Come abbiamo già detto, per sfruttare al meglio lo spazio disponibile, e se
i contenitori sono abbastanza grandi, si possono coltivare una accanto
all’altra, e nello stesso vaso, verdure che, sviluppandosi con ritmi diversi,
avranno anche tempi di raccolta differenti. Per esempio, negli angoli di un
vaso che ospita una piantina di melanzana (un ortaggio che cresce
lentamente), si possono sistemare 4 lattughe da cogliere quando la melanzana
comincerà a espandersi e a occupare tutto lo spazio disponibile. Le carote,
invece, si possono intercalare con i ravanelli, che vanno tolti dal terreno
prima che diventino fibrosi, cioè quando sono grossi come una nocciola, in
modo da lasciare spazio alle carote.
Ogni “matrimonio” va comunque studiato con cura, perché fra alcuni
ortaggi c’è una vera e propria incompatibilità: per esempio, quelli che
appartengono alla stessa famiglia botanica, e quindi in linea di massima
hanno le stesse esigenze nutritive, se piantati uno accanto all’altro finiscono
per indebolirsi a vicenda e vengono attaccati più facilmente da funghi e
parassiti (vedi tabella qui sotto).
Altri ortaggi, invece, se piantati gomito a gomito non solo consentono di
economizzare spazio, ma riescono anche a procurarsi vantaggi reciproci: il
cerfoglio seminato con le insalate le protegge dagli afidi, e la stessa azione
difensiva viene esercitata dalla santoreggia sui fagioli, mentre l’erba cipollina
piantata accanto alle fragole tiene lontane le malattie crittogamiche (vedi
tabella a fianco).

LE FAMIGLIE BOTANICHE
FAMIGLIA ORTAGGI

Apiacee Carota, finocchio, prezzemolo, sedano

Asteracee Cicoria, lattuga, indivia, carciofo

Brassicacee Cavoli, rapa, ravanello

Chenopodiacee Barbabietola rossa, bietole, erbette, spinaci

Cucurbitacee Cetriolo, zucca, zucchine, melone, cocomero

Favacee Fagiolo, fagiolino, fava, pisello

Liliacee Aglio, cipolla, porro, scalogno

Rosacee Fragola

Solanacee Melanzana, pomodoro, peperone, patata


Di seguito elenchiamo, a titolo di esempio, alcune possibili consociazioni
di ortaggi da realizzare per sfruttare al massimo lo spazio di una cassetta che
abbia una lunghezza di almeno 120 cm.
CAVOLI-POMODORI-LATTUGA-PREZZEMOLO-RADICCHIO In aprile,
dopo una buona concimazione con fertilizzanti naturali ricchi di azoto, si
trapiantano agli angoli della cassetta e al centro dei lati più lunghi 6 cavoli a
maturazione precoce. Fra una pianta e l’altra, e al centro del vaso, si piantano
anche alcune lattughe a cappuccio che avranno tempo di crescere prima che i
cavoli occupino tutto lo spazio. Si raccoglie prima l’insalata sistemata al
centro che verrà sostituita, quando la temperatura notturna si sarà alzata, con
2 piante di pomodoro, mentre lungo i lati più corti della cassetta si seminerà il
prezzemolo. Quando saranno stati raccolti tutti i cavoli, al loro posto si può
piantare il radicchio rosso, che rimarrà nel vaso anche durante l’inverno.

CETRIOLI-BASILICO-FAGIOLI NANI-SANTOREGGIA-INSALATA A fine


aprile, quando il terreno si è ben riscaldato, sul lato del vaso rivolto verso sud
si seminano i fagioli nani alternati con piantine di santoreggia, mentre alle
loro spalle si piantano i cetrioli alla distanza di circa 30 cm (è necessario
sistemare un graticcio per sostenerli). Lungo i lati corti della cassetta invece
vengono interrate piantine di basilico. In agosto-settembre, terminata la
raccolta di cetrioli e fagioli, al loro posto si possono piantare diversi tipi di
insalate invernali: indivia, cicoria Pan di zucchero, radicchio.

A TUTTO SOLE!

Per un’esposizione al sole, aromatiche varie insieme a pomodori.


PISELLI-RAVANELLI-LATTUGA-FINOCCHI-CAVOLI Il più presto
possibile, ed eventualmente coprendo il vaso con un telo di tessuto-non
tessuto, si seminano i piselli (lungo il bordo del vaso rivolto a nord) e i
ravanelli precoci, e si piantano le lattughe. Raccolti ravanelli e lattughe, e
dopo aver incorporato al terreno qualche manciata di concime organico
completo, si piantano al loro posto cavolini di Bruxelles, oppure cavoli
cappucci o verze tardive. Invece a luglio, al posto dei piselli, si possono
piantare finocchi alternati a lattughe.

PER NON FARSI OMBRA

Affinché le piante non si tolgano a vicenda luce e sole, le specie che si


sviluppano di più in altezza vanno sempre collocate a nord di quelle a sviluppo
più contenuto, mentre gli ortaggi rampicanti vanno sistemati dietro a tutti: in
questo modo non si rischierà che l’ombra creata dalle foglie delle piante più
alte danneggi i loro vicini di taglia più piccola.
Contenitori e attrezzi

I MATERIALI
Dalla classica terracotta alla modernissima, sofisticata fibra di vetro,
passando per la popolare plastica e l’intramontabile legno. E poi, ghisa, grès,
ceramica... Non resta che scegliere, con un occhio all’estetica, perché un orto
sul balcone deve essere anche bello, ma privilegiando la praticità.

PLASTICA I vasi in questo materiale sono ormai i più diffusi. Sono solidi,
resistono alle intemperie, durano a lungo, sono leggeri e facili da spostare,
costano poco e in estate conservano meglio l’umidità perché le loro pareti
sono impermeabili (bisogna però non eccedere nelle annaffiature per non
provocare ristagni d’acqua). Presentano comunque alcuni inconvenienti: non
consentono una buona circolazione d’aria nel terreno, non sono bellissimi
(anche se quelli di ultima generazione sono decisamente migliorati
nell’aspetto) e poi, soprattutto se di colore scuro, si scaldano molto al sole
con il pericolo di ustionare le radici.

TERRACOTTA I vasi in questo materiale, se di buona qualità, possono


resistere al caldo e al gelo senza screpolarsi. In più, essendo porosi, lasciano
respirare sia la terra sia le radici delle piante, una prerogativa che si
ripercuote positivamente sullo stato di salute di entrambe. Però consentono
all’acqua di evaporare rapidamente, per cui durante l’estate saranno
necessarie annaffiature più frequenti. Il loro peso poi garantisce una buona
stabilità, utile soprattutto sulle terrazze battute dal vento, ma sono fragili e si
possono incrinare al minimo urto.
I più semplici sono quelli a tronco di cono, ma in commercio se ne possono
trovare un’infinità di modelli, dalle ciotole rotonde di vario diametro alle
cassette quadrate o rettangolari, e poi orci con tasche laterali dove si possono
piantare fragole, lattughe o piante aromatiche, oppure conche decorate con
festoni di fiori, frutti o foglie: un modello che risale al Rinascimento.
È bene ricordare che i vasi di terracotta nuovi devono essere inumiditi a
fondo prima dell’uso. Se non sono troppo grandi, la cosa migliore è
immergerli per qualche ora in un catino pieno d’acqua.

LEGNO Anche il legno è un ottimo materiale che si utilizza ormai da secoli


per cassette di varie forme e dimensioni. Come la terracotta è poroso – così
l’acqua e l’aria circolano tra le fibre e tra le fessure dei listelli – in più non si
scalda eccessivamente al sole, per cui consente alla terra di conservare un
giusto grado di freschezza e umidità anche d’estate.

MATERIALI E FORME

Esempi di vasi di forme e materiali diversi. Dall’alto: terracotta, graniglia e


cemento. La terracotta resta a tutt’oggi il materiale migliore, in quanto – oltre a
essere esteticamente più bella rispetto a cemento e graniglia – permette alla
pianta la giusta traspirazione, grazie alla sua porosità.

I contenitori di legno in genere sono anche belli esteticamente (i più


eleganti sono senz’altro le casse tipo “Versailles”, dipinte di bianco o di
verde) però sono costosi e soprattutto si deteriorano in un arco di tempo che
varia a seconda del tipo di legno con cui sono fatti, ma che è sempre piuttosto
limitato. Per evitare questo inconveniente sono disponibili anche modelli
provvisti di una vasca interna in lamiera zincata (in questo caso, ovviamente,
non si può più contare sul prezioso requisito della porosità).

MATERIALI INSOLITI Per coloro che sono dotati di fantasia, oltre che di
abilità manuale, l’elenco dei contenitori adatti a ospitare ortaggi e piante da
frutto può allungarsi. È possibile riutilizzare latte e barattoli identici a quelli
usati negli anni poveri del dopoguerra, e magari dipingerli di colori brillanti:
poiché il metallo si scalda molto al sole, si devono scartare i colori scuri
perché assorbono la luce e comunque adottare questo tipo di contenitori
soltanto per le posizioni a mezz’ombra.
In alternativa possono essere riciclate le cassette della frutta in legno,
facilmente reperibili al mercato o presso i fruttivendoli: lasciate grezze o
dipinte all’esterno con una vernice atossica, e foderate all’interno con un
robusto telo di plastica, sono in grado di ospitare degnamente qualsiasi specie
di ortaggio. Sia i barattoli di latta che i teli di plastica devono essere forati in
uno o più punti per consentire un adeguato deflusso dell’acqua di irrigazione.
Foderati con un foglio di plastica e riempiti di terra anche molti cestini
possono trasformarsi in eccellenti vasi pensili: sono leggeri e, visto da sotto,
l’intreccio delle loro pareti sarà particolarmente decorativo.

FORME E DIMENSIONI
Esattamente come avviene con le piante da fiore, anche per gli ortaggi non
esiste il vaso ideale: ogni tipo di contenitore ha pregi e difetti da valutare con
cura prima dell’acquisto per far sì che la scelta si discosti il meno possibile
dalle esigenze delle piante. È opportuno tenere presente che:
• più il vaso è piccolo più la terra si asciuga facilmente, ma d’altra parte i
grossi contenitori sono difficili da spostare;
• le cassette squadrate, che si possono accostare l’una all’altra, occupano
senz’altro meno spazio degli orci o delle conche a tronco di cono, che però
possono formare raggruppamenti esteticamente più gradevoli;
• i vasi a cubo o cilindrici sono più stabili rispetto a quelli a tronco di cono (i
quali però facilitano le operazioni di rinvaso).
Per quanto riguarda le dimensioni dei contenitori, varieranno in rapporto
alla pianta ospitata, anche se larghezza, lunghezza e profondità non
dovrebbero mai scendere sotto i 25 cm, perché nemmeno le adattabilissime
piante aromatiche si accontentano di un vaso di dimensioni inferiori.

Per le insalate, i ravanelli e gli altri ortaggi a radice corta sono adatte le
cassette poco profonde, mentre per gli ortaggi che hanno bisogno di radicare
in profondità – pomodori, cetrioli, melanzane, zucchine – sono necessari
contenitori profondi almeno 35 cm. Nel caso si piantino ortaggi di specie
diverse in uno stesso contenitore, allora si può ricorrere alle cassette lunghe
almeno 80 cm (meglio di plastica per ridurne il peso).
Per gli alberi da frutto occorrono vasi con una profondità non inferiore a 45
cm. Se poi l’albero ha una chioma molto allargata, al fine di impedire che il
vento lo rovesci, è opportuno scegliere un modello che, avendo la base larga
quanto l’apertura in alto, assicuri maggiore stabilità.
Nei negozi specializzati si trovano anche vasi muniti di rotelle che
consentono di spostare senza sforzi i contenitori più pesanti, mentre per
sfruttare al meglio lo spazio si possono acquistare cassette a forma di L da
sistemare negli angoli dei terrazzi.

L’ATTREZZATURA DI BASE
Oltre agli indispensabili contenitori, ai terricci e ai concimi (vedere il capitolo
successivo), per realizzare e curare al meglio un orto sul balcone servono
alcuni attrezzi, indispensabili per lavorare bene e in tutta sicurezza.

PALETTA E TRAPIANTATOIO La prima serve per riempire i vasi di


terriccio, mentre il trapiantatoio consente di prelevare le piantine dal
semenzaio e metterle a dimora senza danneggiare le fragili radici. Ha
l’aspetto di una paletta con lama più o meno incurvata a cucchiaio anziché
piatta, ed è generalmente di acciaio, talora verniciato, ma ci sono anche
modelli in plastica. Per lavorare più agevolmente nei vasi e nelle cassette è
preferibile scegliere i trapiantatoi a lama stretta.

FORATERRA Di legno o di plastica, oppure con punta metallica e


impugnatura di legno o plastica, serve per aprire nel terriccio le buchette in
cui interrare i semi più grossi, come quelli delle zucchine. I più comodi hanno
l’impugnatura a T o a L: si tengono in mano più comodamente e favoriscono
i movimenti di rotazione che facilitano l’inserimento dell’attrezzo nella terra.

RASTRELLINO E SARCHIELLO Il rastrellino (in genere a 4 o 5 denti) si usa


per livellare la terra nei contenitori più grossi e il sarchiello per smuovere la
terra sulla superficie dei vasi in modo che non si formi una crosta che
impedirebbe alle radici di respirare. Esistono in commercio modelli di
sarchiello in poliammide rinforzata con fibra di vetro, leggerissimi e
inattaccabili dall’umidità.

ZAPPETTA Può risultare utile per interrare i concimi oppure per rimuovere e
rivoltare il terriccio più in profondità. Ci sono modelli a lama quadrata o a
cuore, talora abbinata a un tridente o a un bidente, in acciaio temprato oppure
in acciaio verniciato.
SETACCIO A maglia fine, è estremamente utile per vagliare la terra con cui
si coprono i semi, evitando in questo modo la formazione di grumi.

ANNAFFIATOIO Per annaffiare bene le piante alla base senza bagnare le


foglie è meglio scegliere il modello a beccuccio sottile e leggermente ricurvo.
Se invece si devono annaffiare le insalate da taglio va benissimo quello con la
“cipolla” a fori molto fini. Quanto alla capienza, è consigliabile evitare quelli
professionali (10 l) che, una volta pieni, risultano troppo pesanti.

SPRUZZATORE E IRRORATORE A PRESSIONE Con il primo si può


inumidire il terriccio dei semenzai e bagnare le giovani piantine, mentre il
secondo serve per somministrare agli ortaggi e alle piante da frutta i preparati
anticrittogamici e antiparassitari. In entrambi i casi è preferibile che il
beccuccio erogatore consenta di regolare l’ampiezza del getto dell’acqua o
del liquido da nebulizzare.
CESOIE Si usano per potare gli alberi da frutta, cimare, fare talee, eliminare
il secco. Le cesoie sono un attrezzo eclettico e indispensabile: è meglio optare
per quelle di buona qualità, leggere, maneggevoli, e assicurarsi che siano
della misura giusta. Ci sono in commercio anche modelli per mancini, per chi
ha le mani molto piccole o molto grandi.

TUTORI, FILO DI RAFIA, CARTELLINI Canne di bambù, aste in metallo o


graticci in legno servono per sostenere gli ortaggi più alti e il filo di rafia per
legarli. Quanto ai cartellini, che possono essere dei materiali più diversi
(plastica, rame, legno, terracotta), sono utili per annotare il nome della specie
o della varietà e la data di semina o trapianto.

GUANTI DA LAVORO In lattice di gomma, in cotone con palmo puntinato in


gomma antiscivolo, in nylon e sottile strato di latex sul palmo per favorire la
presa... Tanti materiali per un accessorio che consente di proteggere le mani
nello svolgimento di qualsiasi tipo di lavoro.
Terricci e concimi

LA SCELTA DEL SUBSTRATO


Dal momento che gli ortaggi, le erbe aromatiche e le piante da frutta coltivati
in vaso hanno a disposizione un volume di terra ridotto al minimo, bisognerà
fare in modo che la sua composizione risponda il più possibile alle loro
esigenze.
Quasi tutti gli ortaggi hanno bisogno di una terra che deve essere:
• ricca di elementi nutritivi;
• di medio impasto, non troppo sciolta né troppo compatta;
• capace di trattenere l’acqua ma anche di lasciare defluire quella in eccesso;
• soffice e aerata per consentire una buona ossigenazione delle radici, ma
nello stesso tempo avere abbastanza corpo per garantire la stabilità delle
piante.
Nei garden center si possono trovare substrati già pronti per l’uso e venduti
con il nome di “terriccio universale”: trattengono bene l’acqua, contengono
una buona quantità di elementi nutritivi e sono adatti un po’ a tutti gli ortaggi.
Volendo però ciascuno può prepararsi da solo il substrato per le proprie
piante mescolando 3 parti di terra fertile da giardino, 2 parti di compost e 1
parte di sabbia grossolana. Per ogni 10l di terriccio vanno aggiunti anche 30 g
di concime organico completo. Tutti gli elementi devono essere
accuratamente miscelati, e il terriccio andrà leggermente inumidito prima di
metterlo nei vasi.
Aggiungendo qualche “ingrediente” in più, o modificando in parte queste
proporzioni, si possono preparare miscugli adatti alle piante aromatiche (si
aumenterà la quantità di sabbia perché quasi tutte preferiscono un terriccio
magro e ben drenato) e a quelle da frutto, che invece vogliono un substrato un
po’ più compatto, e perciò si aumenterà la quantità di terra da giardino. C’è
infine un terriccio specifico per le semine, che deve rispondere a requisiti ben
precisi: deve infatti garantire non soltanto la germogliazione dei semi, ma
anche lo sviluppo delle giovani piantine che ne nasceranno, fornendo loro il
nutrimento indispensabile.

in breve

Ecco l’elenco degli “ingredienti” fondamentali per un buon terriccio:

• terra da giardino: contiene un po’ di argilla, necessaria per dare stabilità alle
piante e trattenere l’umidità.

• compost: si ottiene dalla decomposizione di materie organiche. Alleggerisce il


terreno e ne migliora la qualità arricchendolo di sostanze nutritive. è meglio usare
quello preparato esclusivamente con scarti di sostanze vegetali.

• torba: rende i terricci leggeri, porosi e capaci di assorbire e trattenere l’acqua,


ma a differenza del compost è povera di sostanze nutritive. Prima di mescolarla
al terriccio deve essere sbriciolata e leggermente inumidita.

• sabbia alleggerisce il terreno e lo rende più permeabile, perciò è utile nella


preparazione di substrati destinati alle piante che temono l’umidità e i ristagni
d’acqua. Non apporta alcuna sostanza nutritiva.

• argilla espansa: ottenuta dal trattamento in forni rotanti ad alta temperatura di


particolari argille, migliora l’aerazione e la porosità del terreno. In più, i suoi
grani immagazzinano l’acqua e la rilasciano lentamente, impedendo così che la
terra si secchi troppo in fretta. Nei substrati destinati ai vasi di grossa taglia si
può usare al posto della sabbia per ridurne il peso.

IL TERRICCIO PER LE SEMINE


Per le semine nei vasetti o nei semenzai occorre un terriccio soffice, che non
opponga resistenza alla crescita delle radichette. Deve assorbire bene l’acqua
e mantenersi umido ma senza ristagni, e poi deve essere povero di elementi
nutritivi, perché alle piantine neonate bastano le riserve alimentari contenute
nel seme, mentre una presenza eccessiva di concimi potrebbe danneggiarle.
Lo si trova già pronto in commercio, e volendo è possibile alleggerirlo
ulteriormente aggiungendo un po’ di sabbia. Oppure lo si può preparare
mescolando 1/3 di compost maturo e setacciato, 1/3 di terra da giardino e 1/3
di sabbia grossolana.
Il substrato per le semine deve essere privo di germi. Trattandosi di una
piccola quantità di terra, può essere facilmente sterilizzata anche nel forno di
casa. Basta avvolgerla in un foglio di alluminio, oppure stenderla in un
vecchio tegame e metterla per mezzora in forno a una temperatura di 150°C.
Una volta raffreddata, può essere usata subito oppure conservata in un
sacchetto chiuso ermeticamente.

LA CONCIMAZIONE
Anche se in misura diversa da una specie all’altra, le piante hanno bisogno di
una serie di sostanze contenute nella terra e che assorbono attraverso le
radici. Le più importanti sono i composti di azoto (N), fosforo (P) e potassio
(K), ma in quantità minori sono indispensabili anche i cosiddetti
microelementi: calcio, magnesio, zolfo, ferro, zinco, rame, manganese.
Ciascuno di questi elementi, e in particolare i macroelementi (azoto, fosforo e
potassio), ha una sua precisa funzione.

AZOTO Favorisce la crescita degli steli e delle foglie. La sua carenza provoca
l’ingiallimento delle parti verdi (clorosi), e in più le piante non riescono a
utilizzare al meglio il fosforo e il potassio, anche se presenti in gran quantità.

FOSFORO Irrobustisce la pianta e favorisce la formazione e lo sviluppo dei


fiori e dei frutti. La sua carenza si manifesta con la caduta prematura delle
foglie e con la comparsa di una colorazione rossastra su quelle rimaste.

POTASSIO Stimola lo sviluppo delle radici e dei tuberi. Quando una pianta
ha bisogno di potassio lo si capisce perché perde le foglioline apicali,
accartoccia le altre e lascia che i frutti cadano prima di essere giunti a
maturazione.

VALUTARE LA CONSISTENZA DEL TERRICCIO


Nel caso vi siate preparati da soli il terriccio, prima di utilizzarlo valutatene
bene la consistenza. Potete fare questa semplice prova: se, manipolandolo
quando è umido, forma una palla che si apre facilmente a metà vuol dire che è
troppo argilloso (1); se non mantiene la forma e si “sfarina” contiene troppa
torba (2); se non riuscite a compattarlo e a dargli forma significa che c’è troppa
sabbia (3).

Mentre in natura il reintegro degli elementi sottratti al terreno dalle piante è


garantito dalla lenta ma continua decomposizione di resti animali e vegetali,
nelle coltivazioni è necessario ricostituire artificialmente la fertilità dei
substrati con opportune concimazioni che, per le piante in vaso, devono
essere ancora più frequenti rispetto a quelle in piena terra perché le sostanze
nutritive, oltre a essere assorbite dalle radici, vengono anche dilavate dalle
frequenti annaffiature. L’azoto è l’elemento che va aggiunto più spesso
perché è quello che viene asportato più rapidamente.
Non tutti gli ortaggi però hanno le stesse esigenze nutritive: barbabietole e
zucchine desiderano concimazioni abbastanza consistenti, mentre i ravanelli
si accontentano di un apporto minimo. Il sedano, i cavoli, gli spinaci e le
insalate hanno bisogno soprattutto di azoto, mentre le leguminose (fagioli,
piselli) ne consumano pochissimo, ma in compenso assorbono molto fosforo.
Quanto alle piante aromatiche, vanno concimate con estrema cautela: un
eccesso di fertilizzante limita il loro sviluppo e riduce il loro profumo. In
genere può essere sufficiente somministrare circa un quarto delle dosi
indicate per le altre piante in vaso.

INGREDIENTI PER IL SUBSTRATO DEGLI ORTAGGI

Due ottimi “ingredienti” naturali per il substrato degli ortaggi da coltivare in


vaso sono il terriccio di foglie (1) e il compost (2).
Nel complesso si distinguono:
• forti consumatori: cavoli, cetrioli, zucche, zucchine, pomodori;
• medi consumatori: carote, fagioli, piselli, finocchi, insalate, sedano;
• deboli consumatori: ravanelli, valerianella, erbe aromatiche.

I VARI TIPI DI CONCIMI


I concimi più indicati per l’orto sono quelli organici, ottenuti dalla
decomposizione di sostanze di origine animale o vegetale, perché ridanno
fertilità al terreno in un modo che tutto sommato non si allontana troppo da
quello naturale. Se ne trovano in commercio diversi tipi che si differenziano
fra loro per la percentuale di sostanze nutritive contenute. I concimi ricchi di
azoto sono particolarmente utili per gli ortaggi da foglia (insalate, cavoli,
erbette, spinaci), mentre quelli ricchi di fosforo e potassio vanno bene per gli
ortaggi da frutto, come pomodori e melanzane, e per le leguminose (fagioli,
piselli).
I concimi si differenziano anche per la velocità con cui cedono al terreno le
sostanze nutritive: quelli “a effetto ritardato” le rilasciano lentamente e
gradualmente, mentre quelli “a pronto effetto” le rendono disponibili per le
radici in tempi brevissimi. Si ricorrerà agli uni o agli altri a seconda delle
necessità. Quelli a effetto ritardato dovranno essere interrati nei vasi con un
certo anticipo rispetto alla coltura, cioè 2-4 settimane prima delle semine, dei
trapianti o della ripresa vegetativa; per le piante da frutta e per gli ortaggi a
ciclo vegetativo breve (insalate, ravanelli, crescione) questa concimazione di
fondo sarà sufficiente per tutta la stagione. Invece le verdure con un ciclo
vegetativo che si prolunga per diverse settimane (pomodori, zucchine,
melanzane) hanno bisogno anche di una concimazione complementare con
fertilizzanti a pronto effetto da somministrare durante la stagione di crescita
(generalmente nel corso della primavera e dell’estate).
La gran parte dei concimi organici sono a effetto ritardato: fanno eccezione
il sangue secco, la cenere e i macerati. In linea generale poi i fertilizzanti
liquidi vengono assorbiti dalle radici più velocemente di quelli solidi, che
hanno un’azione tanto più lenta quanto più sono tritati grossolanamente.
Vediamo quali sono i principali concimi organici adatti agli ortaggi.

LETAME O STALLATICO È un ottimo concime polivalente, contiene azoto,


fosforo e soprattutto potassio, oltre a una buona dose di microelementi,
tuttavia è assolutamente inadatto per le piante aromatiche. In commercio lo si
può acquistare in granuli o in polvere, e in questo caso la sua azione è
abbastanza rapida.

COMPOST Rappresenta il concime ideale per ortaggi, piante da frutta e


aromatiche. Contiene tutti gli elementi nutritivi principali e i microelementi, e
in più, incorporato al terreno, ne migliora la struttura. In commercio lo si può
trovare già pronto, ma chi ha a disposizione un piccolo fazzoletto di terra può
anche prepararlo in casa facendo decomporre in una compostiera (in
commercio ne esistono diversi tipi) gli scarti vegetali della cucina, del
giardino e dell’orto.

STALLATICO SFARINATO Si ottiene miscelando letame e compost di


origine vegetale. Contiene azoto, fosforo, potassio e microelementi, è a
pronto effetto e va mescolato al terreno prima della semina o del trapianto.

FARINA DI SANGUE SECCO Appartiene al gruppo dei concimi ad azione


rapida, si presenta nella formulazione in polvere, di facile solubilità, oppure
fluida, ed è ricca di azoto e microelementi.

CORNUNGHIA Si ottiene dalla essiccazione e polverizzazione delle unghie e


delle corna degli animali, apporta al terreno azoto (ne è particolarmente ricca)
e fosforo, e in più ne migliora la struttura. È a lenta cessione e va usata nelle
concimazioni di fondo.
CENERE DI LEGNA Ricca di potassio, è per questo motivo adatta agli
ortaggi da tubero e da radice. È ad azione rapida.

MACERATO DI ORTICHE
Il macerato di ortiche, che si ottiene mettendo steli e foglie a fermentare in
acqua fredda, è un buon concime naturale e anche un rimedio contro gli afidi.
Nel caso venga spruzzato sulle foglie il tempo di macerazione è di 12 ore.

FARINA DI CORNA E FARINA D’OSSA Entrambe sono concimi a lento


effetto. La prima è ricca di azoto, fosforo e calcio, ma povera di
microelementi; la farina d’ossa è ricca di fosforo e di calcio.

GUANO Costituito dalle deiezioni degli uccelli marini, è ricco di azoto,


fosforo e microelementi, ed è a lenta cessione.
MACERATI I macerati sono concimi di rapido effetto e a base di erbe molto
usati nelle coltivazioni biologiche per sostenere ortaggi che, come pomodori
o zucchine, hanno bisogno di una razione supplementare di fertilizzante
durante il periodo vegetativo.
Si preparano facendo macerare in acqua fredda le foglie, fresche o secche,
di ortica, consolida o tanaceto (è importante togliere le radici): si mettono in
un sacchetto di iuta, che servirà da filtro, e poi si lasciano a bagno per un paio
di settimane circa in un recipiente di plastica, legno o terraglia (il metallo non
va bene). Se occorre, si può utilizzare un sasso per tenere il sacchetto
sott’acqua. Il recipiente non deve essere riempito fino all’orlo perché durante
la fermentazione si produce molta schiuma.
Il processo viene accelerato se il recipiente, non chiuso ermeticamente ma
coperto solo con una griglia per consentire il contatto con l’aria, viene
sistemato al sole. Almeno una volta al giorno si dovrà mescolare il preparato
per ossigenarlo, mentre per attenuare gli odori sgradevoli prodotti dal
processo di decomposizione si può aggiungere una manciata di farina di
roccia.
Dopo un paio di settimane circa (il preparato è pronto per l’uso quando non
fa più schiuma) il liquido va diluito con acqua: in genere il rapporto è di 1
parte di macerato per 10 parti di acqua. In un recipiente a chiusura ermetica,
questo preparato si conserva per molti mesi. I macerati vanno distribuiti sul
terreno umido (circa un bicchiere a pianta), preferibilmente nelle ore più
fresche della giornata e mai sotto il sole cocente, badando di bagnare le radici
delle piante ma non le foglie.
La coltivazione

LA SEMINA
È meglio seminare o acquistare piantine già pronte per il trapianto? Dipende
dal tempo a disposizione e dalla disponibilità a sperimentare una strada,
quella della semina, che richiede un po’ di fiducia e di pazienza, e il rispetto
di alcune semplici regole.
Il ricorso alla semina offre numerosi vantaggi, non ultimo quello di poter
scegliere fra un ventaglio più ampio di specie e varietà, dal momento che
molti ortaggi – insalate da taglio, spinaci, ravanelli, carote, piselli, fagioli –
non sopportano il trapianto, e quindi vanno seminati direttamente a dimora.
Ricorrere ai semi consente anche di procurarsi alcune varietà di ortaggi
appositamente selezionate per i vasi e di solito non disponibili fra le specie
pronte per il trapianto in vendita nei garden center. E poi assistere alla nascita
di una piantina è sempre uno spettacolo che emoziona e che fa parte dei
piaceri del giardinaggio. Non vale invece la pena di seminare le specie con un
tempo di germinazione molto lungo, perché obbligherebbero a protrarre per
settimane le cure assidue da riservare ai semenzai.

QUANDO È MEGLIO LA SEMINA IN SEMENZAIO Per alcuni ortaggi è più


indicata la semina nei semenzai, mentre quelli che non sopportano i trapianti
devono essere interrati direttamente nel vaso in cui poi saranno raccolti: sulle
bustine dei semi viene sempre indicato dove deve avvenire la semina.
L’ambiente protetto di un semenzaio, che se necessario può essere
trasportato anche in casa, consente di anticipare i tempi delle semine, oltre a
offrire condizioni di calore e umidità più favorevoli alla germinazione.
Purché forato sul fondo e profondo una decina di centimetri, qualsiasi
contenitore può servire da semenzaio. Sono adatte anche le cassette basse
della frutta fornite di vassoi di plastica a scomparti, oppure i contenitori delle
uova (sia le une che gli altri però vanno forati). Per ridurre gli sbalzi di
temperatura e mantenere umido l’ambiente, favorendo così la rapida
germinazione dei semi, questi contenitori si possono poi coprire con un foglio
di plastica trasparente.
Qualora si preferisca invece ricorrere ai tanti modelli di semenzaio
disponibili in commercio, c’è solo l’imbarazzo della scelta: esistono vaschette
in plastica con coperchio trasparente e inserti a celletta (molto pratiche: per
prelevare le piantine una volta pronte per il trapianto basta premere il fondo
della celletta e spingere verso l’alto), oppure contenitori stretti e lunghi ideati
per i davanzali delle finestre, e anche seminiere dotate di resistenze elettriche
che consentono di mantenere una temperatura costante.

IL SEMENZAIO

Come semenzaio si possono usare cassette di legno o di terracotta, riempite di


terriccio da semina distribuito su un fondo di argilla espansa oppure contenitori
delle uova forati.

I semi più grandi (come quelli di cetrioli, zucchini) possono anche essere
interrati in vasetti dove resteranno fino al momento del trapianto nel loro
contenitore definitivo, mentre agli ortaggi con le radici delicate può essere
evitato lo shock del trapianto seminandoli in vasetti di torba da piantare nella
sede definitiva dopo che sarà nata la piantina.
Quando le piantine nate in semenzaio presentano le prime 2 vere foglioline vanno
trasferite in vasetti singoli che però non sono ancora quelli definitivi.

LE BUONE REGOLE Per ottenere buoni risultati sia nel caso di semine in
semenzaio che direttamente a dimora, valgono alcune semplici regole.
Le semine devono essere effettuate alla profondità giusta (che è più o meno
uguale al diametro maggiore del seme) e nel periodo giusto (è sempre
indicato sulle bustine di semi).
Bisogna mantenere il terreno sempre umido e garantire ai semi una
determinata temperatura di germinazione. Ogni specie ne ha una ottimale: dai
5-7°C per gli ortaggi resistenti come le lattughe ai 10-13 delle zucchine, ai 18
per le melanzane e ai 21 per i cetrioli. Per avere queste temperature bisogna
quindi aspettare il mese adatto, oppure ricorrere all’ambiente protetto di un
semenzaio.
I semenzai vanno riempiti con un terriccio da semina (vedere capitolo
precedente) fino a circa 1 cm dal bordo. Poi si pressa leggermente il terriccio
e con uno stuzzicadenti si pratica un foro della profondità stabilita e nel quale
si colloca il seme, oppure si tracciano dei solchetti e si depositano i semi alla
distanza indicata sulla confezione. Si coprono i semi con la terra,
eventualmente mescolata a sabbia, e si bagna spruzzando acqua con un
vaporizzatore regolato al minimo per non fare affondare i semi nel terreno.
Per mantenere costante la temperatura si copre poi la seminiera con un
coperchio trasparente o con un foglio di plastica. La terra deve essere
mantenuta umida, ma non inzuppata, e bisogna controllare il semenzaio
almeno una volta al giorno per verificare che la terra non si asciughi troppo.
Per non fare confusione, corredate le semine con cartellini che indichino le
diverse specie.
Quando saranno comparsi i primi germogli (bisogna ricordare che i tempi
di germinazione variano da un ortaggio all’altro) si può cominciare a togliere
il coperchio nelle ore più calde in modo da evitare la formazione di muffe.
Successivamente lo si eliminerà del tutto, si distanzieranno un po’ le
annaffiature e, nel caso di una semina troppo fitta, si diraderanno le piantine
eliminando quelle più deboli.
Per le semine direttamente a dimora si procede nello stesso modo salvo per
quanto riguarda la terra dei vasi, che non sarà un terriccio da semina ma
quello destinato a nutrire la pianta per tutta la stagione.
Spesso per impazienza si tende ad anticipare le semine, ma se la luminosità
è scarsa e la temperatura troppo bassa i semi germinano e si sviluppano molto
lentamente, e questo li rende più suscettibili a malattie e attacchi di parassiti.
Perciò per le semine all’aperto è meglio aspettare la fine di febbraio-inizio di
marzo.

SEMINA NELLA TORBA

In commercio si trovano seminiere dotate di coperchio trasparente, che


garantisce ai semi la giusta luminosità. Le pastiglie di torba, una volta bagnate,
si gonfiano trasformandosi in comodi vasetti da semina. Questi sono
biodegradabili e si mettono in terra assieme alle piantine neonate.

Un ultimo consiglio: sia i gatti che gli uccelli sono attratti irresistibilmente
dalla terra smossa. Per evitare danni irreparabili ai vasi appena seminati, è
consigliabile coprirli con una rete a maglie larghe fino a quando saranno
spuntate le piantine.

IL TRAPIANTO
Per rinforzare il loro apparato radicale, quando le piantine nate in semenzaio
hanno emesso le prime 2 vere foglioline vanno ripicchettate, cioè trasferite in
vasetti singoli che non sono ancora quelli definitivi. Si procede estraendo
delicatamente con un bastoncino piatto la piantina dalla terra e collocandola
nel nuovo vasetto riempito con terra da giardino alleggerita con un po’ di
sabbia. A questo punto si sistemano i vasetti in un angolo al riparo dal sole e
dalle correnti d’aria e quindi li si annaffia dolcemente, mantenendo per
qualche giorno il terriccio leggermente umido per evitare che le radici si
asciughino.
Dopo qualche tempo, quando le piantine si saranno ben irrobustite e
avranno emesso le prime 4-8 foglie, è possibile procedere al trapianto
definitivo.
Per prima cosa va preparato il vaso che ospiterà la piantina per tutta la
stagione: bisogna appoggiare sul foro di drenaggio un pezzo di coccio,
disponendolo in modo che non chiuda ermeticamente il foro ma impedisca
solo al terriccio di otturarlo. Poi, per assicurare un buon drenaggio, va
distribuito sul fondo uno strato di argilla espansa (oppure di ghiaia) dello
spessore di circa 1/6 dell’altezza del contenitore. A questo punto si riempie il
vaso con il terriccio, pressandolo leggermente con le mani: non bisogna
arrivare mai fino all’orlo del vaso, ma lasciare sempre un bordo di 2 cm per
consentire un’irrigazione adeguata. Poi si scava una buchetta
sufficientemente ampia per accogliere la piantina.
Il passo successivo è estrarre dal vasetto la piantina insieme al pane di
terra, cercando di non romperlo, e interrarla nel nuovo vaso, controllando che
il colletto, cioè la parte del fusto a contatto con le radici, sia a livello del
terreno (le piante interrate troppo a fondo rischiano di marcire).
In seguito la terra va compressa ancora un po’ e annaffiata con
moderazione per compattarla ulteriormente e offrire un provvidenziale
apporto idrico alla nuova arrivata. Le bagnature vanno ripetute ogni sera fino
a quando le giovani piantine non si saranno ambientate.
In questa fase il vaso dovrà stare al riparo dal sole diretto (si può creare
una zona d’ombra con una stuoia o un canniccio). Se si teme un ritorno di
freddo, bisognerà anche pensare a proteggere durante la notte le specie più
delicate. È possibile usare una bottiglia di plastica trasparente, per esempio
quella dell’acqua minerale: la si taglia a metà e si infila nella terra la parte
con il collo, ma senza il tappo. Quando la piantina si sarà irrobustita verrà
rimossa la bottiglia. Oppure si può ricorrere alle campane protettive in
vendita nei negozi specializzati.

FASI DEL TRAPIANTO

Nei vasi che accoglieranno le nuove piantine ponete prima un pezzo di coccio,
con la parte concava verso il basso, sopra il foro di scolo dell’acqua, poi
dell’argilla espansa per favorire il drenaggio e quindi il terriccio.

Le piantine acquistate già pronte vanno trapiantate seguendo la stessa


procedura di quelle seminate in proprio. Al momento dell’acquisto è bene
verificarne sempre lo stato di salute. Le migliori hanno il fusto robusto e un
aspetto compatto. Vanno evitate quelle con foglie malate, molli o appassite, e
anche quelle con le radici che escono dai fori sul fondo del vasetto: il loro
soggiorno in vaso si è protratto troppo.
L’ANNAFFIATURA
Le piante in vaso devono essere annaffiate più spesso di quelle coltivate in
piena terra, ma è impossibile enunciare una regola generale che indichi la
quantità e la frequenza delle irrigazioni perché dipendono dalle condizioni
atmosferiche, dalla stagione, dal tipo di vaso e dalla sua posizione, e
soprattutto dai bisogni idrici di ogni specie: le piante aromatiche, per
esempio, hanno scarse necessità di acqua, però quando sono coltivate in vaso
devono essere irrigate poco e regolarmente, in modo che la terra non si
secchi.
Più il vaso è piccolo più la sua terra si asciuga rapidamente, mentre a parità
di dimensioni i contenitori in terracotta richiedono annaffiature più frequenti
di quelli in plastica.
Nelle giornate umide la traspirazione delle foglie diminuisce riducendo
così la necessità di acqua, mentre nei periodi caldi e secchi possono essere
necessarie anche un paio di annaffiature giornaliere.
I vasi tenuti a mezz’ombra hanno bisogno di meno acqua di quelli in pieno
sole perché la loro terra è meno soggetta a evaporazione. Perciò solo con
un’osservazione attenta si potrà sapere se una pianta desidera essere
annaffiata o meno: una terra che diventa più chiara e le foglie che cominciano
a reclinarsi addossandosi allo stelo sono un chiaro segno di mancanza
d’acqua. Per capire se occorre bagnare basta anche sentire con le dita se la
terra del vaso, a 1 cm sotto la superficie, è umida o asciutta.
Gli ortaggi in vaso non soffrono solo se le annaffiature sono troppo scarse
ma anche se sono troppo abbondanti, perché l’acqua che ristagna a lungo nel
sottovaso potrebbe far marcire le loro radici. A questo proposito, dopo una
pioggia abbondante, bisogna controllare che le piante non restino con le
radici nell’acqua troppo a lungo.
Per scoprire la giusta quantità d’acqua basta osservare quello che succede
dopo le annaffiature: se la pianta non assorbe nel giro di un’ora quella
presente nel sottovaso vuol dire che ne è stata somministrata troppa.
QUANDO ANNAFFIARE

Conviene annaffiare la sera nei mesi caldi per evitare che l’acqua evapori
prima di essere assorbita dalle radici, e la mattina nei mesi freddi per evitare
ristagni durante la notte. In primavera e in autunno bagnate a metà giornata.
Inoltre, con parsimonia, le piante in vaso vanno annaffiate anche in inverno.

LA RACCOLTA
Anche per la raccolta, uno dei momenti più graditi che riserva un orto, sarà
utile qualche accorgimento se si desiderano ortaggi di bell’aspetto e di buona
conservazione. Sono semplici regole di buon senso, che tuttavia è meglio
seguire.

ORTAGGI DA BULBO E DA RADICE Aglio, scalogno, carota, barbabietola


rossa e ravanelli, per non danneggiarli al momento della raccolta, vanno
acciuffati e sollevati soltanto dopo avere smosso delicatamente il terriccio
con una zappetta.

ORTAGGI DA FOGLIA Quelli che non ricacciano, come lattuga, indivia,


scarola, radicchio, spinacio, sedano, vanno raccolti quando sono ben
sviluppati e teneri (in ogni caso prima che vadano a seme), estirpandoli.
Le insalate a raccolta scalare, come cicorie, erbette, lattughe da taglio,
vanno tagliate con il coltello appena sopra il colletto dopo ogni ricaccio,
quando sono tenere.

ORTAGGI DA FRUTTO I meloni si staccano con le mani, sfruttando la


solcatura circolare che si forma intorno al peduncolo.
I cetrioli è meglio staccarli con le forbici quando cominciano a perdere gli
aculei, le zucchine invece a mano con un movimento a torsione, oppure con
un taglio al peduncolo quando sono ancora tenere o addirittura con il fiore
ancora attaccato.
I pomodori si raccolgono con le mani o, nelle varietà a grappolo, con le
forbici.
I peperoni vanno raccolti non prima della invaiatura, cioè quando
cominciano a colorarsi; meglio usare le forbici perché il peduncolo è duro e i
rami sono fragili.
I piselli, i fagioli e i fagiolini bisogna staccarli con le mani molto
delicatamente per non rompere i fragili rami rampicanti.

ERBE AROMATICHE Il prezzemolo va tagliato con il coltello un paio di


centimetri sopra il colletto, eventualmente lasciando intatta la rosetta centrale;
anche tagliandolo in modo integrale, il prezzemolo rivegeta comunque. Il
basilico va spuntato energicamente: la pianta ricaccerà dal basso rimanendo
bella frondosa e irrobustendosi.
Per quanto riguarda salvia, rosmarino, timo e altre aromatiche bisogna
tagliare con le forbici i rametti esterni se si desidera mantenere la chioma
compatta e in forma, altrimenti vanno cimati energicamente.
I PERICOLI DEL FREDDO
Adeguate concimazioni, attente annaffiature e la scelta di un buon terriccio
sono garanzia di buona salute per le nostre piante. Ci sono comunque
situazioni ambientali e climatiche che richiedono interventi supplementari per
evitare che tanta attenzione e tante cure vengano vanificate.
Per proteggere dai rigori dell’inverno le piante più delicate (per esempio
gli agrumi, oppure il rosmarino) si possono adottare strategie che variano a
seconda del tipo di pianta: infatti, per alcune specie la parte più vulnerabile è
la radice, per altre la chioma.
Per proteggere le radici si può coprire la terra ai piedi della pianta con una
pacciamatura di paglia o altro materiale isolante, poi infilarla in un sacchetto
di plastica e riempire lo spazio attorno al vaso con altra paglia o materiale da
imballaggio tipo granuli di polistirolo espanso. I contenitori più grandi,
invece, possono essere rivestiti con uno strato di materiale isolante (carta,
stoffa, stuoie) tenuto fermo da una rete di plastica a maglie strette.
Per proteggere sia le radici che la parte aerea si può usare un sacchetto di
plastica trasparente, chiuso in alto, nel quale sia stato praticato qualche foro
per l’aria: nelle giornate più calde, si aprirà il sacchetto per arieggiare la
pianta. Oppure si possono avvolgere tutti i rami in un telo di tessuto-non
tessuto (lo si trova nei garden center) che ha il pregio di consentire il
passaggio dell’aria, scongiurando così l’insorgere di malattie crittogamiche.
Anche gli scatoloni di cartone possono contenere comodamente un vaso e
trasformarsi in una miniserra tanto più efficace se intorno al vaso si
distribuirà un po’ di materiale isolante. Il coperchio dello scatolone potrà
venire alzato di giorno e chiuso di notte, e se con la pioggia o con la neve il
cartone si rovina, si potrà recuperare un altro scatolone.
Il tronco degli alberelli poi può essere rivestito con uno strato di paglia o
con una stuoia di canniccio tenute ferme da legacci di rafia.
Qualsiasi riparo venga scelto, è comunque opportuno isolare i vasi dal
pavimento, sempre molto freddo, appoggiandoli su qualche mattone. Se c’è la
possibilità, inoltre, è consigliabile non lasciare le piante isolate una dall’altra,
ma raggrupparle insieme in un angolo protetto, in modo tale da creare un
habitat più favorevole.
Se non si vuole ricorrere a questi sistemi “fai da te”, in commercio esistono
serre smontabili di vari tipi e dimensioni.
In inverno bisogna fare attenzione a proteggere in maniera adeguata le piante più
delicate, come gli agrumi, il basilico, il pomodoro, il rosmarino.
Il calendario dei lavori
Gennaio
LAVORI DA FARE: in questo periodo l’orto invernale non richiede molto
lavoro. È il momento ideale per dedicarsi alla progettazione delle colture
primaverili ed estive, tenendo d’occhio il calendario per adeguarsi alle fasi
lunari e sfruttare al meglio il loro influsso positivo.

ANALISI DEL TERRENO: se nella stagione precedente ci sono stati problemi


nello sviluppo degli ortaggi, è consigliabile effettuare un’analisi fisico-
chimica del terreno in modo che, qualora fosse troppo acido o basico, troppo
sabbioso o compatto, si possa correggerlo prima di avviare le coltivazioni. I
prodotti per migliorare il suolo sono i concimi, che fertilizzano il terreno
reintegrando gli elementi nutritivi mancanti (i principali sono azoto, fosforo e
potassio, indicati con i simboli N, P e K), e gli ammendanti e correttivi,
sostanze che hanno la capacità di migliorare le qualità fisiche e/o biologiche
del terreno.

PROGETTARE LE PRODE: pensare per tempo alla progettazione delle prode


consente di sfruttare al meglio il corretto ciclo del terreno. In questa fase è
necessario ricordare le colture che hanno occupato le prode negli anni
precedenti, per attuare un’opportuna rotazione. In ogni proda è indispensabile
evitare la presenza per più anni dello stesso ortaggio, o di ortaggi
appartenenti alla stessa famiglia, perché ciò provoca un serio impoverimento
del terreno. In base a questa esigenza, si può pianificare la distribuzione delle
colture affinché usufruiscano tutte di una buona insolazione. Converrà
orientare gli ortaggi in filari con direzione nord-sud. Le piante da frutto ad
alto fusto vanno collocate sempre all’estremo nord, affinché non facciano
ombra agli ortaggi; le colture rampicanti come pomodoro e pisello vanno in
aiuole ai margini dell’orto. Occorre inoltre tener conto degli spazi da
riservare alle canaline di scolo per l’acqua, ai passaggi e allo spazio
fisiologico da lasciare a ciascuna pianta per una crescita corretta. Attenzione
quindi a calcolare bene tutte le variabili.
LE SEMENTI: una volta progettato l’orto, le sementi si reperiscono visitando
un garden center ben fornito. Se acquistate dai cataloghi di vendita per
corrispondenza, effettuate con anticipo il vostro ordine, per avere a
disposizione tutte le bustine necessarie nel momento opportuno per la semina.

ATTIVITÀ DA SVOLGERE: in gennaio è anche tempo di concimare e


sarchiare l’asparagiaia e la carciofaia, e di preparare quanto necessario alla
forzatura dell’indivia e all’imbianchimento dei radicchi per renderli più teneri
e croccanti.

PULIZIE INVERNALI: durante la pulizia invernale dell’orto si tagliano e si


bruciano gli scarti per ridurre il rischio di attacchi delle malattie fungine
(come la ruggine) e per distruggere le larve dei diversi parassiti che svernano
sulle piante.
Durante la progettazione dell’orto occorre valutare correttamente l’orientamento
dell’appezzamento.

COSA SI SEMINA: in questo periodo si seminano a dimora in coltura


protetta: agretto, cicoria, lattuga da taglio, radicchio da taglio e da raccolta,
rapa, ravanello, rucola, sedano, valerianella; in semenzaio riscaldato: basilico,
lattuga a cappuccio, melanzana, peperone, pomodoro; in vasetti tenuti al
caldo: anguria, cetriolo, melone; all’aperto, dove il clima lo permette: fava,
pisello. Da queste semine si ottengono le piantine per i trapianti primaverili.
All’aperto, se il terreno e il clima lo consentono, si trapiantano aglio e cipolla.
COSA SI RACCOGLIE: le raccolte a gennaio sono davvero poche e si
limitano ad agretto, cavolino di Bruxelles, cavolo broccolo, cavolo
cappuccio, cavolo verza. Nei climi non troppo rigidi, anche in gennaio si può
raccogliere qualche cespo di radicchio del quale consumare solo le foglie più
interne, tenere e croccanti, talvolta gradevolmente amarognole.
Sotto tunnel e miniserre, ben esposte al sole, si raccolgono i ravanelli e la
rucola seminati in autunno.

OCCHIO ALLA LUNA


QUANDO LA LUNA È CALANTE: è possibile seminare la lattuga a
cappuccio (in semenzaio riscaldato); la lattuga da taglio, il radicchio da
taglio e da cespo, gli spinaci, la valerianella (a dimora in coltura
protetta). Tra i lavori da fare: effettuare la concimazione di base;
concimare e sarchiare la carciofaia e l’asparagiaia; forzare l’indivia e
imbianchire il radicchio.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare il basilico, la


melanzana, il peperone, il pomodoro (in semenzaio riscaldato); il
cetriolo e il melone (in vasetti riscaldati); l’agretto, il ravanello, la rucola
(a dimora in coltura protetta).
GLI ATTREZZI DI BASE PER L’ORTO

• La vanga è, in genere, di forma appuntita. La parte superiore della lama è


piegata per offrire un punto d’appoggio al piede, con cui viene spinta nel
terreno. Nei terreni facili da lavorare può essere usata quella a punta quadra.
Serve anche per scavare buche e per le operazioni di trapianto degli alberi.
• Il badile ha la punta arrotondata e una curvatura più accentuata. Serve per
maneggiare terra sfusa, letame ecc.
• Il rastrello di ferro, largo circa 40 cm, viene usato per livellare la superficie
del terreno dopo la vangatura, per dare forma alle aiuole, per segnare i solchi
di semina e per raccogliere foglie e rifiuti vegetali.
• Le zappe sono di diversi tipi, pesi e dimensioni. Quelle a lama squadrata sono
più faticose da adoperare di quelle a punta. L’inclinazione della lama rispetto
al manico può variare da 50° a 30° (più facili da usare), con prestazioni molto
diverse.
Febbraio
LAVORI DA FARE: gradualmente, riprende l’attività vegetale. Le giornate si
allungano visibilmente e sempre più spesso fa la sua comparsa il sole. Nei
prati spuntano i bucaneve e i crochi; le gemme di alberi e arbusti ornamentali
e dei fruttiferi incominciano a gonfiarsi. Per gli appassionati di orto e
giardino questo è il mese dei preparativi, per gettare le basi di spettacolari
fioriture e di copiosi raccolti. Nelle giornate in cui il clima è mite si esegue la
vangatura del terreno, eliminando accuratamente tutte le radici delle erbe
infestanti e concimando abbondantemente la terra smossa. Si possono così
predisporre le prode per la coltivazione.

CURA DELLE PIANTE: se le giornate sono soleggiate, è bene arieggiare i


tunnel e aprire le coperture in vetro dei cassoni, affinché non si creino ristagni
di umidità che esporrebbero le giovani piante germogliate ad attacchi fungini.

PREPARARE IL TERRENO: per chi non lo avesse ancora fatto, si procede


alla preparazione del terreno per l’asparagiaia e dalla metà del mese, nelle
zone settentrionali, si possono trapiantare le zampe di asparago nelle aiuole.
Questa operazione, in località con clima mite, potrà essere anticipata anche di
uno o due mesi.
COSA SI SEMINA: per i primi quindici giorni del mese continuano le semine
in semenzaio riscaldato di basilico, melanzana, peperone, pomodoro allo
scopo di produrre piantine da mettere a dimora a marzo. Gli esemplari non
devono formare steli sottili e pallidi a causa della scarsità di luce, e non
devono essere troppo fitti. Se necessario, è meglio procedere a un
diradamento per consentire una crescita più vigorosa degli esemplari migliori.
Dalla metà del mese, in coltura protetta, è possibile seminare in vasetti
anguria, cetriolo, melone, zucchina per ottenere esemplari che andranno
trapiantati sotto ampi tunnel, da fine marzo a tutto aprile. Nella seconda metà
del mese si procede alla semina in pieno campo di agretto, barbabietola,
bietola da coste, carota, pisello, prezzemolo, ravanello, rucola. La semina a
file facilita tutte le operazioni di coltivazione, dal diradamento alla pulizia del
terreno e alle annaffiature. Per far germogliare rapidamente gli ortaggi si
possono stendere sulle aiuole dei teli di tessuto non tessuto, materiale che
protegge dal freddo e lascia filtrare acqua e luce.
Piantagione dell’aglio: dal bulbo madre si staccano i bulbilli meglio sviluppati e
completi di tuniche. Si interrano nel terreno a una profondità di 5 cm con l’apice
rivolto verso l’alto, a una distanza di 20-30 cm tra le file e 12-15 cm sulla fila.

COSA SI RACCOGLIE: bietola, cavolino di Bruxelles, cavolo broccolo,


cavolo cappuccio, cavolo verza, finocchio, porro, prezzemolo, radicchio di
Verona e di Treviso, ravanello, rucola, spinacio invernale, valerianella.

PENSANDO A MARZO: in previsione della semina di marzo è opportuno


approvvigionarsi dal rivenditore di fiducia di tuberi di patata da semina.
Vanno messi a pregermogliare, leggermente interrati in cassette di sabbia, in
un locale con una temperatura di circa 15°C.

AGLIO, SCALOGNO & CO.: è questo il periodo idoneo alla messa a dimora
di aglio, scalogno e varietà di cipolla a bulbo piccolo, approfittando del fatto
che le zolle sono state sbriciolate dal gelo: questi ortaggi richiedono infatti un
substrato sciolto. Dell’aglio si utilizzano gli spicchi più esterni (bulbilli) del
bulbo madre, scegliendo quelli meglio sviluppati e completi di tuniche.
Vanno interrati a una profondità di 3-5 cm con l’apice rivolto verso l’alto; la
distanza sulla fila sarà di circa 12-15 cm e tra le file di circa 20-30 cm. Dopo
l’impianto, in zone a rischio di gelate è meglio coprire l’area con una
protezione di tessuto non tessuto.

OCCHIO ALLA LUNA


QUANDO LA LUNA È CALANTE: è possibile seminare il sedano (in
semenzaio riscaldato e in semenzaio in coltura protetta); la lattuga
primaverile a cappuccio (in semenzaio in coltura protetta); la bietola da
coste, la cipolla bianca e colorata, la cipollina, la lattuga e il radicchio da
taglio, lo spinacio, la valerianella. Si può inoltre trapiantare all’aperto
l’aglio, la cipolla, lo scalogno, il topinambur; potare le aromatiche
suffruticose.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare il basilico, la


melanzana, il peperone, il pomodoro (in semenzaio riscaldato);
l’anguria, il cetriolo, il melone, la zucchina (in vasetti riscaldati); le erbe
aromatiche (a dimora in coltura protetta); l’agretto, la bietola da orto, la
carota, il pisello, il prezzemolo, il ravanello, la rucola (a dimora
all’aperto). Si può inoltre trapiantare all’aperto la cipolla da semenzaio e
trapiantare in coltura protetta la lattuga a cappuccio.

ALLESTIMENTO DELL’ASPARAGIAIA

• L’asparago esige di crescere in terreni ben drenati e permeabili; per questo, a


una profondità di 70-80 cm, è bene stendere prima dell’impianto uno strato di
argilla espansa ricoperto di terra.
• Le zampe (radici) che servono all’impianto dell’asparagiaia si acquistano già
pronte oppure si preparano partendo dal seme. La semina avviene in semenzaio
all’inizio della primavera in file distanti tra loro 30 cm e alla profondità di 1
cm.
• Dopo 30 giorni circa dalla nascita si effettua un diradamento, mantenendo
sulla fila una piantina ogni 10-12 cm. Per facilitare il germogliamento dei semi
(4-7 g/mq), si può lasciarli immersi in acqua per una notte. L’anno successivo
alla semina si otterranno le zampe dalle quali impiantare l’asparagiaia.
• Il trapianto delle zampe si effettua da novembre a marzo (dipende dalla zona)
in fosse profonde da 20 a 30 cm e larghe da 50 a 90 cm, a seconda che
s’intenda realizzare un impianto a file semplici o doppie; le fosse andranno
distanziate tra loro di circa 40 cm e parzialmente riempite con uno strato di
letame maturo miscelato a terriccio e torba.
• Le zampe vanno leggermente potate per pareggiarne l’apparato radicale e
piantate in fila alla profondità di 10-12 cm, distanziandole di circa 40-60 cm tra
loro. Al termine dell’operazione si livella la superficie con aggiunta di terreno.
• Nell’autunno successivo si taglia la parte aerea nata dalle zampe; attorno alla
pianta si scalza un po’ la terra che, miscelata con letame maturo, si ripone sulla
fila delle piante creando dei piccoli dossi. Ciò serve per apportare sostanze
fertilizzanti e imbianchire i turioni che cominceranno a spuntare a primavera.
• Solo alla fine del terzo anno d’impianto si può avere una discreta raccolta:
circa 4-5 turioni al mese per zampa impiantata.
Marzo
RISVEGLIO DI PRIMAVERA: inizia la primavera, la natura si risveglia e si
rinnova, un nuovo ciclo vegetativo ha inizio. Molti sono i lavori che
aspettano gli appassionati dell’orto. Le temperature cominciano ad aumentare
e anche la frequenza delle annaffiature. L’acqua utilizzata deve essere a
temperatura ambiente per evitare che lo sbalzo termico possa danneggiare le
colture. Anche l’umidità dei semenzai va controllata: se il terreno è troppo
asciutto, è opportuno intervenire di frequente con un’irrigazione finemente
nebulizzata. L’umidità, i tepori e la maggiore luce di questo mese favoriscono
la germinazione sia delle piante utili sia delle infestanti. È quindi opportuno
mantenere attentamente sotto controllo il loro sviluppo, zappettando il terreno
o estirpando manualmente le malerbe: se il terreno è umido, le radici escono
con facilità e non si spezzano.
Attenzione: spesso l’andamento meteorologico è così variabile che possono
verificarsi improvvisi ritorni di basse temperature e gelate, tanto da dover
rinviare semine e trapianti.

LAVORI DA FARE: in questo periodo dell’anno si preparano le aiuole per le


semine, si tracciano i solchi per i trapianti, si concima e rincalza
l’asparagiaia, si scalza il carciofo, si imbianchisce il porro, si diradano gli
spinaci e si pacciamano le fragole.

COSA SI SEMINA: si effettuano le semine in vasetti, in coltura protetta, di


anguria, basilico, cetriolo, melone, zucca, zucchina. Si otterranno robuste
piantine con il pane di terra che, nelle zone con microclima mite, potranno
già essere piantate in pieno campo in aprile.
COSA SI RACCOGLIE: si possono raccogliere in coltura protetta gli ortaggi
seminati in inverno come lattuga, radicchio da taglio, ravanello; in pieno
campo, sono pronte le piante più grosse di porro trapiantate in autunno (e che,
in precedenza rincalzate, si saranno imbianchite) e gli spinaci seminati in
autunno. Si raccolgono inoltre: asparago, carciofo, cicoria da taglio,
cipollotto, prezzemolo, radicchio di Verona e da raccolta, valerianella.

DIRADAMENTO: man mano che spuntano le piantine è importante eseguire


il diradamento dei semenzai, affinché la crescita delle piante non risulti
troppo fitta.

RIPICCHETTATURA: quando le piantine nei semenzai hanno emesso le 2


prime foglie vere, vanno trapiantate in singoli vasetti pressando la terra tutto
intorno con le dita, in modo che nella successiva messa a dimora definitiva il
trapianto avvenga con il pane di terra. Durante questa delicata operazione,
definita ripicchettatura, è necessario usare attenzione per non causare danni
alle piantine: vanno prelevate stringendo delicatamente tra le dita il punto
d’attacco delle foglie al fusto.
Per stimolare l’attecchimento e l’accestimento (cioè l’emissione di rametti e
foglioline), con la ripicchettatura si esegue un lieve intervento di potatura
delle foglie o delle radici o, anche, di entrambe le parti (è il caso della bietola,
del carciofo, del cardo, della cipolla, del porro, del sedano).
La ripicchettatura, invece, va assolutamente evitata per le piantine di
melanzana, peperone e pomodoro. Per questi ortaggi, infatti, si procederà
esclusivamente al trapianto, nel momento in cui gli esemplari saranno ben
sviluppati.

FASI DELLA RIPICCHETTATURA


La ripicchettatura è un metodo per ottenere piantine con un bel pane di terra, che
facilita l’impianto e l’attecchimento a dimora. La semina va fatta in semenzaio o
in contenitori alveolari (1). Quando le plantule hanno emesso le prime due
foglie vere (2), si effettua il trapianto (3, 4) in singoli vasetti (5).

TRAPIANTO: dalla metà del mese si può procedere al trapianto in coltura


protetta delle specie più delicate come basilico, melanzana, peperone,
pomodoro, ma anche di anguria, cetriolo, melone e zucchina che erano stati
seminati in vasetti nel mese precedente. Non devono risentire del freddo né di
correnti d’aria.
Se le condizioni climatiche lo consentono, si trapianta all’aperto la cipolla
prodotta nei semenzai autunnali, o i suoi piccoli bulbi, alla distanza di 25-30
cm tra le file e di 15-20 cm sulla fila.

OCCHIO ALLA LUNA


QUANDO LA LUNA È CALANTE: è possibile seminare l’indivia riccia e
il sedano (in semenzaio in coltura protetta); il cavolo cappuccio
primaverile ed estivo, la cipolla colorata, la lattuga a cappuccio (in
semenzaio all’aperto). Si può inoltre trapiantare all’aperto la bietola da
coste, la cipolla, la lattuga, il radicchio da taglio, lo spinacio, la
valerianella; piantare all’aperto l’aglio, la bietola da coste, la cipolla, la
cipollina, il crescione, il favino, la lattuga, la patata, il radicchio da
taglio, lo spinacio, il rafano, il topinambur, la valerianella. Tra i lavori
da fare: preparare le prode per le nuove semine e i trapianti, concimare e
rincalzare l’asparagiaia, sarchiare la carciofaia, imbianchire il porro,
pacciamare la fragola.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare il basilico, la


melanzana, il peperone, il pomodoro (in semenzaio in coltura protetta);
l’anguria, il basilico, il cetriolo, il melone, la zucca, la zucchina (in
vasetti in coltura protetta); il fagiolino e il fagiolo nano (a dimora in
coltura protetta); l’agretto, la bietola da orto, la carota, il pisello, il
prezzemolo, il ravanello, la rucola (a dimora all’aperto). Si può inoltre
trapiantare all’aperto le aromatiche, l’asparago bianco e verde, la bietola
da orto, la carota, il cavolo cappuccio, la lattuga, il pisello, il
prezzemolo, il ravanello; trapiantare in coltura protetta l’anguria, il
basilico, il cetriolo, la melanzana, il melone, il peperone, il pomodoro, la
zucchina. Si può effettuare la riproduzione per divisione del cespo del
dragoncello, dell’erba cipollina, della maggiorana, della melissa, della
menta, della santoreggia.
Aprile
OCCHIO AL CLIMA: la natura prosegue la fase di risveglio, le piante
gonfiano le gemme ed emettono le prime tenere foglie, gli alberi da frutto
fioriscono, il prato e il giardino brillano di nuovi colori. Per chi coltiva,
l’attività è senza tregua, ma spesso semine e trapianti falliscono per ritorni
improvvisi di freddo e, anche se le giornate calde e soleggiate già fanno
pensare all’estate, gli sbalzi di temperatura repentini, le escursioni termiche
elevate tra giorno e notte e i periodi piovosi rischiano di compromettere il
lavoro svolto tra febbraio e marzo in fatto di semine e trapianti.

LAVORI DA FARE: in aprile le giornate sono sempre più calde, è quindi


opportuno arieggiare tunnel e cassoni anche di notte. Nelle giornate
soleggiate è infatti possibile che nelle strutture chiuse si raggiungano notevoli
temperature (anche superiori ai 30°C), con conseguenti sofferenze e danni per
le coltivazioni. Tenendo inoltre tutto chiuso si impedisce agli insetti pronubi
(bombi, api ecc.) che provengono dall’esterno di praticare l’impollinazione.

COSA SI SEMINA: fino alla metà del mese si effettua ancora la semina in
coltura protetta di anguria, cardo (varietà precoci), melone, sedano, zucca,
zucchina. All’aperto, invece, con una distribuzione del seme su file, è la volta
di acetosa, aneto, barbabietola, carota, crescione, prezzemolo, ravanello,
rucola; dalla seconda metà del mese, anguria, cetriolo, fagiolino, fagiolo,
melone, pomodoro, zucca, zucchina. Nelle aiuole destinate alle piante da
sovescio, che arricchiscono il terreno di azoto, si seminano crescione, facelia,
senape, trifoglio.

COSA SI RACCOGLIE: asparago (verde e bianco), carciofo, cavolino di


Bruxelles, cavolo broccolo, cavolo cappuccio, cavolo verza, cicoria da taglio
e da radice, cipollotto, fava, fragola, lattuga, porro, radicchio, spinacio. In
coltura protetta si raccolgono: agretto, ravanello, rucola, valerianella.

IRRIGAZIONE: per l’irrigazione è opportuno utilizzare acqua a temperatura


ambiente, senza bagnare le foglie per non favorire l’insorgere e il propagarsi
di malattie fungine.

VANGATURA E LETAMAZIONE: si proseguono le operazioni di vangatura


e letamazione delle prode dell’orto che ancora non sono state utilizzate.
Eventualmente, nel corso delle operazioni è possibile distribuire prodotti per
la lotta contro insetti terricoli (elateridi, grillotalpa, nottue ecc.). Si letamano
e si sarchiano anche l’asparagiaia e la carciofaia, approfittando prima che la
vegetazione si sia sviluppata.

SOSTEGNI E TUTORI: indispensabile predisporre i sostegni e tutori per le


piante che lo richiedono (per esempio, melanzana, peperone e pomodoro).
Per il pisello rampicante andrà bene un’intelaiatura in rete, di altezza
proporzionata allo sviluppo della varietà.
I sostegni per le varietà rampicanti si collocano quando le piante raggiungono i 10
cm di altezza (1). I peperoni si prestano a essere sostenuti anche mediante fili tesi con
apposite intelaiature (2).

PACCIAMATURA: per favorire la buona riuscita dei trapianti è utile una


pacciamatura con paglia, tessuto non tessuto o polietilene nero. In
quest’ultimo caso, durante l’operazione di trapianto, alla distanza voluta si
pratica con un taglierino un’incisione a croce lunga pochi centimetri; per
formare un giusto incavo per la messa a dimora delle piantine con il pane di
terra, ci si può aiutare con un piantabulbi, cosicché i lembi della plastica
aderiscano al colletto.

OCCHIO ALLA LUNA


QUANDO LA LUNA È CALANTE: è possibile seminare l’indivia riccia
(in semenzaio protetto); il cavolo cappuccio estivo, l’indivia riccia, la
scarola, la lattuga a cappuccio primaverile ed estiva, il porro, il sedano
(in semenzaio all’aperto); la bietola da coste, la cipolla colorata, la
lattuga e il radicchio da taglio, lo spinacio primaverile-estivo (a dimora
all’aperto). Si può inoltre trapiantare all’aperto la cipolla colorata,
vangare e sarchiare il terreno, rincalzare la patata, disporre i tutori per il
pisello rampicante, letamare e sarchiare l’asparagiaia e la carciofaia,
trattare con macerato di ortica per stimolare la crescita e combattere gli
afidi.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare l’anguria, il


melone, la zucca, la zucchina (in vasetto o semenzaio protetto); il
basilico (in semenzaio all’aperto); l’acetosa, l’aneto, l’anguria, la
barbabietola, la carota, il cetriolino, il cetriolo, il coriandolo, il
crescione, il cumino, il fagiolino, il fagiolo, il melone, il pomodoro, il
prezzemolo, il ravanello, la rucola, la zucca, la zucchina (a dimora
all’aperto). Si può inoltre trapiantare all’aperto l’anguria, il cavolo, il
cetriolino, il cetriolo, l’indivia riccia, la lattuga a cappuccio primaverile-
estiva, la melanzana, il melone, il peperoncino, il peperone, il
pomodoro, il sedano, la zucca, la zucchina, nonché trapiantare in coltura
protetta l’anguria, il cetriolo, la melanzana, il melone, il peperone, il
pomodoro, la zucchina.

I BENEFICI DELLE COLTURE MISTE


• La coltura mista, o consociazione, ha effetti positivi sulle caratteristiche
organolettiche, sulla salubrità e sulla conservabilità degli ortaggi.
• Tra le specie coltivate vicine si creano “simpatie” e “antipatie” che possono
influenzare reciprocamente la crescita. Carote, cetrioli, insalate, rape,
ravanelli, per esempio, acquistano particolare sapidità se coltivati accanto ad
aglio, cerfoglio, cipolla o crescione.
• Alcuni ortaggi si difendono a vicenda dagli insetti, risultando l’uno repellente
per i nemici dell’altro (efficaci, a questo proposito, risultano aglio, cipolla e
porro). Le piante officinali (aromatiche e medicinali) hanno un meccanismo di
difesa, legato all’intenso aroma, che dissuade molti parassiti dal frequentare le
piante vicine.
Maggio
OCCHIO ALLE INFESTANTI: gli ortaggi vanno seguiti quasi giornalmente
nel loro rapido sviluppo, in quanto è il momento in cui si presentano
condizioni ottimali di luce e di temperatura. Purtroppo però la crescita degli
ortaggi è tanto rigogliosa quanto quella delle erbe infestanti, che trovano
anch’esse le condizioni ideali di sviluppo. Quindi, se non si adotta la pratica
della pacciamatura è necessario mantenere pulito e ordinato l’orto e dedicare
molto del proprio tempo all’estirpazione manuale delle erbacce. Questa
operazione consente di non danneggiare gli ortaggi (soprattutto se di ridotte
dimensioni), rischio possibile qualora si pratichi la zappettatura del terreno.
Quest’ultima si può effettuare se lo spazio tra le file di ortaggi è ampio, cosa
che solitamente negli orti familiari non avviene.

IL PORTAMENTO DEL POMODORO

• Le piante di pomodoro si presentano, a seconda delle varietà, con due tipi di


portamento. Il primo, detto indeterminato, è quello che più si trova negli orti: la
pianta si sviluppa su un unico fusto, che va per questo motivo legato a un tutore.
• Il secondo è detto determinato e riguarda varietà che si sviluppano con
andamento orizzontale e non in altezza. Le varietà con portamento determinato
sono coltivate a scopo industriale, perché non necessitano di tutori e
consentono la raccolta meccanica del frutto.
• Alla base delle foglie, nell’ascella delle piante a sviluppo indeterminato si
formano germogli detti femminelle (vedi disegno): vanno subito asportati
poiché, potendo a loro volta produrre frutti, entrano in concorrenza con il fusto
principale e indeboliscono la pianta che darà una produzione maggiore in
quantità, ma qualitativamente scarsa e con frutti di piccole dimensioni.

LAVORI DA FARE: se non è già stato fatto nel mese precedente, effettuate la
rincalzatura delle piantine di fava, melanzana, patata, peperone, pisello,
pomodoro. Utilizzando preferibilmente una zappa a punta quadrata, si
addossa alla base delle piante un quantitativo più o meno rilevante di terreno
prelevato dall’interfilare. L’operazione consente una migliore protezione
delle radici e della base del fusto, favorisce il radicamento e, grazie alla
formazione di solchetti laterali, permette una più agevole irrigazione. In
questo periodo è bene eseguire periodicamente sulle piante di pomodoro la
sfemminellatura, cioè l’asportazione dei germogli che si formano all’ascella
delle foglie.

DISTRIBUIRE L’ACQUA
• L’irrigazione frequente dell’orto è una pratica fondamentale per ottenere
buone produzioni e va eseguita con opportuni accorgimenti, scegliendo
preferibilmente le ore del primo mattino o della tarda sera.
• Il miglior metodo d’irrigazione è quello per scorrimento o infiltrazione
laterale: l’acqua viene fatta scorrere nei solchi ricavati tra una fila e l’altra di
ortaggi, e arriva gradualmente alle radici delle piante. In questo modo si evita
di bagnare la vegetazione e quindi, nelle giornate calde e soleggiate, è possibile
scongiurare il dannoso “effetto lente” provocato dal sole sulle gocce d’acqua,
con la conseguente bruciatura delle foglie.
• Un altro sistema efficace prevede l’uso di tubi di plastica microforata o
porosa, che vanno distesi e fissati lungo i filari: così si mantiene una giusta
umidità del terreno evitando eccessi o squilibri idrici.
• In ogni caso è bene evitare irrigazioni a pioggia o a spruzzo.

COSA SI SEMINA: fino alla metà del mese sono ancora possibili le semine
all’aperto di ortaggi che daranno una ricca produzione estiva, come anguria,
carota, cetriolino, cetriolo, melone, pomodoro, ravanello, rucola, zucca,
zucchina.

COSA SI TRAPIANTA: entro il mese si possono trapiantare le piantine con


pane di terra messe a germogliare il mese precedente: anguria, cetriolino,
cetriolo, indivia riccia, melanzana, melone, peperoncino, peperone,
pomodoro, sedano, zucca, zucchina; solo dalla metà del mese: cavolo
cappuccio (varietà estivo-autunnali), lattuga a cappuccio e romana (varietà
estive), scarola. Risulta utile effettuare i trapianti utilizzando teli da
pacciamatura di polietilene nero, per garantire umidità del terreno ed evitare
le erbe infestanti. In commercio sono reperibili teli preforati: a parte la
comodità di non dover forare la plastica con il rischio di provocare delle
lacerazioni, si ha già il punto esatto della distanza di trapianto, indicata dai
fori.

LA PRODUZIONE DEI SEMI


• È frequente anche oggi, fra gli orticoltori, l’uso di “mandare a seme” qualche
pianta. Chi volesse riprodurre qualche specie o varietà (purché non sia di tipo
F1, perché i semi danno figli con caratteristiche diverse dai genitori) deve
selezionare fra le piante coltivate quelle più belle e vigorose, farle sviluppare al
meglio e raccogliere i semi quando i frutti sono ben maturi o quando tutta la
pianta è completamente secca. Da una sola pianta si possono ottenere alcune
migliaia di semi, dei quali si conservano i migliori, in luogo buio e asciutto.
• Nelle piante di cui si utilizza il frutto (cetriolo, pomodoro, zucca ecc.), si
scelgono frutti per la riproduzione, staccandoli a maturazione e lasciandoli al
sole per qualche giorno. Si prelevano i semi, riponendoli per la conservazione
solo quando sono asciutti.

COSA SI RACCOGLIE: questo è il mese in cui la produzione dell’asparago


raggiunge il suo culmine. Verso fine mese si raccolgono acetosa, agretto,
bietola da coste, carota, cavolo cappuccio, cetriolo, cicoria da taglio e da
radice, cipolla bianca, fava, pisello, ravanello, rucola, spinacio; in coltura
protetta, fagiolino, lattuga, melanzana, pomodoro, zucchina; tra le piante
aromatiche e officinali, acetosella, aneto, camomilla, camomilla romana, erba
cipollina, levistico, malva, prezzemolo, rabarbaro.
OCCHIO ALLA LUNA
QUANDO LA LUNA È CALANTE: è possibile seminare la bietola da
coste, la lattuga da taglio, il radicchio da taglio, lo spinacio estivo (a
dimora all’aperto); il cavolo, l’indivia riccia, la scarola, la lattuga, il
porro, il sedano (in semenzaio all’aperto). Si può inoltre cimare il
melone e l’anguria; effettuare la spollonatura di melanzana e pomodoro;
effettuare la sfemminellatura del pomodoro. Tra i lavori da fare,
rincalzare il fagiolo, la fava, la melanzana, la patata, il peperone, il
pisello, il pomodoro; pacciamare la fragola; disporre i sostegni per le
piante che ne hanno bisogno.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare anguria,


barbabietola, basilico, cardo, carota, cetriolino, cetriolo, fagiolino,
fagiolo, melone, pomodoro, prezzemolo, ravanello, zucca, zucchina (a
dimora all’aperto), nonché il cavolfiore precoce (in semenzaio
all’aperto). Si possono inoltre trapiantare le piantine con il pane di terra
di anguria, il cavolo cappuccio estivo-autunnale, il cetriolo, l’indivia
riccia, la scarola, la lattuga, la melanzana, il melone, il peperoncino, il
peperone, il pomodoro, il sedano, la zucca, la zucchina.
Giugno
MONITORAGGIO DELLE PIANTE: siamo giunti ormai all’inizio dell’estate
e la natura è ricca di vita e di bellezza. Dall’andamento climatico di questo
periodo dipenderanno le dimensioni degli ortaggi e dei fiori, ma per una
buona riuscita delle produzioni è indispensabile monitorare con attenzione lo
sviluppo delle piante e il loro stato di salute.

LAVORI DA FARE: con l’arrivo dell’estate è opportuno che i semenzai


godano di una posizione semiombreggiata. Allo scopo, si possono usare reti
ombreggianti con maglie di varie misure che, sostenute da paletti laterali,
ricoprano l’area interessata. Per avere un migliore controllo delle erbe
infestanti e, nel contempo, agevolare una costante umidità del suolo, è
importante stendere uno strato di pacciamatura naturale (paglia) o artificiale
(teli neri in polietilene) tra i filari delle piante.

COSA SI SEMINA: se si desidera ottenere buone produzioni anche nella


seconda parte dell’estate e durante i mesi autunno-invernali, è necessario
procedere alla semina di molti ortaggi. In semenzaio all’aperto si seminano
cavolfiore (sia varietà autunnali medio-precoci sia tardive invernali), cavolo
cappuccio e cavolo verza (varietà precoci per produzioni estivo-autunnali e
tardive per produzioni autunno-invernali), indivia riccia e scarola, lattuga,
porro, radicchio di Chioggia (varietà precoci nei primi 10 giorni del mese),
radicchio di Treviso, sedano, zucchina. Direttamente a dimora all’aperto sarà
la volta di barbabietola, basilico, cardo, carota, fagiolino e fagiolo rampicanti,
fagiolino e fagiolo nani, finocchio (varietà precoci), prezzemolo, zucchina
(varietà autunnali).
COSA SI TRAPIANTA: qualora le piantine dei semenzai siano germogliate e
sufficientemente cresciute, si trapiantano a dimora all’aperto. L’operazione
deve essere eseguita per i seguenti ortaggi: cardo (seminato in aprile-
maggio), cavolo cappuccio (varietà estivo-autunnali), indivia riccia e scarola,
lattuga a cappuccio e romana (varietà estive), pomodoro (varietà tardive),
porro e sedano, zucchina.

MOLTIPLICAZIONE DELLE AROMATICHE: con l’aumentare della luce e


del caldo, le piante aromatiche e officinali ritrovano il loro massimo vigore
consentendo anche di ottenere pieno successo dalla moltiplicazione per talea,
in particolare per salvia e rosmarino.

RACCOGLIERE E CONSERVARE LE OFFICINALI


• Le piante aromatiche e officinali hanno il pregio di poter essere conservate a
lungo: è sufficiente essiccarle e conservarle al riparo dalla luce e dall’umidità.
• Nel caso di piante di cui si desidera conservare le infiorescenze (maggiorana,
origano, timo ecc.), si raccolgono in un mazzetto gli steli della lunghezza di
circa 20 cm, li si avvolge in carta di giornale (o del pane) e si appendono a
testa in giù in un luogo ombroso e ventilato fino all’essiccazione (1). Sarà facile
poi sbriciolare le infiorescenze (2) e conservarle in vasetti (3).
• Di altre piante (dragoncello, menta, ruta ecc.) si raccolgono le foglie prima
della fioritura e si mettono a essiccare su graticci esposti al sole. Le foglioline
vanno rigirate spesso per facilitare il processo; una volta pronte si conservano
in vasetti di vetro.

COSA SI RACCOGLIE: dopo la faticosa preparazione dei mesi precedenti, in


giugno finalmente si hanno le prime abbondanti raccolte all’aperto: acetosa,
asparago, barbabietola, basilico, bietola da coste, carciofo, carota (se le
varietà precoci sono le prime a essere state piantate), cece, cicoria da taglio e
da radice, cipolla, crescione, fava, finocchio, indivia riccia (per la quale si
può effettuare anche l’imbianchimento dei cespi), lattuga (a cappuccio,
romana e da taglio; quest’ultima termina il ciclo alla fine del mese),
lenticchia, pisello, radicchio da taglio, rucola, spinacio.
Verso fine mese sarà la volta anche di aglio (se ben maturo), fagiolino, patata,
sedano, zucchina; tra le aromatiche: lavanda, maggiorana, melissa, menta,
origano, prezzemolo, salvia, timo. In coltura protetta si raccolgono invece:
cetriolo, melanzana, peperone, pomodoro e i primi meloni.

L’ASPARAGIAIA: nell’asparagiaia si cessa la raccolta per lasciare tempo alla


formazione delle foglie che provvederanno a nutrire e ingrossare il rizoma,
garanzia delle produzioni future.
OCCHIO ALLA LUNA
QUANDO LA LUNA È CALANTE: è possibile seminare il cavolo,
l’indivia riccia, la scarola, la lattuga, il radicchio di Chioggia precoce e
medio-precoce, il porro, il sedano (in semenzaio all’aperto); la bietola da
coste, il finocchio precoce (a dimora all’aperto). Tra i lavori da fare:
cimare anguria e melone; ombreggiare i semenzai; rincalzare fagiolo,
melanzana, patata, peperone, pisello; distribuire la pacciamatura;
disporre i tutori per gli ortaggi che ne hanno bisogno; imbianchire
l’indivia riccia.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare il cavolfiore


(in semenzaio all’aperto); la barbabietola, il basilico, il cardo, la carota,
il fagiolino e il fagiolo rampicanti, il fagiolino e il fagiolo nani, il
prezzemolo, la zucchina (a dimora all’aperto). Tra i lavori da fare,
procedere al trapianto all’aperto del cavolo cappuccio estivo-autunnale,
dell’indivia riccia, della scarola, della lattuga, del pomodoro tardivo, del
porro, del sedano, della zucchina; riprodurre il rosmarino e la salvia per
talea, la fragola per stoloni.

IL POSIZIONAMENTO DEI TUTORI

Struttura con cerchio e paletti (1), per piante erbacee da fiore con steli alti e
sottili (Delphinium, dalie giganti, aster...). Pali e fili metallici (2), per varietà di
pomodoro a crescita indeterminata.
• I tutori, o sostegni, servono ad agevolare il portamento della pianta e quindi le
operazioni colturali ed evitano che il vento provochi inclinazione e
sradicamento del fusto.
• Per il cetriolo e il pisello è preferibile ricorrere a una rete a maglie larghe
fissata a pali ben piantati nel terreno, variando l’altezza a seconda delle
varietà.
• Per la melanzana e il peperone si usano tutori singoli, preferibilmente canne
di bambù, ma anche paletti o rami senza fogliame. I tutori vanno posti nel
terreno prima del trapianto, così da non rovinare le radici della pianta adulta.
• Per le varietà di pomodoro con portamento indeterminato si procede come
segue: alla testa delle file si infiggono 2 pali e tra questi si tendono fili zincati
distanziandoli 30-40 cm l’uno dall’altro; in prossimità delle piante si
dispongono altri tutori legati ai fili.
• Anche alcune piante perenni da giardino, come i Delphinium, hanno fusti
erbacei delicati, da sostenere con cerchi in plastica provvisti di raggi cui legare
i rami. Ogni cerchio sarà a sua volta legato a 3-4 paletti regolarmente
distanziati, sui quali può scorrere dando supporto alla pianta man mano che
questa cresce, così da restare mimetizzato tra le foglie.
• I tutori vanno infissi nel terreno a circa 20-30 cm. Assecondando con costanza
la crescita della pianta, si fissano i palchi alla struttura di sostegno utilizzando
lacci tubolari di plastica; la legatura deve essere morbida per non scalfire i
fusti e va periodicamente controllata per evitare che si allenti o che il fusto
ingrossandosi ne risulti strozzato.
• Se si riutilizzano strutture di sostegno dell’anno precedente, è opportuno
disinfettarle con solfato di rame prima dell’uso.
Luglio
DISTRIBUIRE L’ACQUA: gli ortaggi vegetano molto bene con il sole caldo e
intenso del mese di luglio. Non sarà quindi necessario predisporre protezioni
dai raggi solari, ma soltanto assicurare una frequente distribuzione d’acqua,
meglio se per scorrimento-infiltrazione laterale.
Per un impiego razionale dell’acqua e per mantenere sotto controllo lo
sviluppo delle erbe infestanti, si consiglia di pacciamare la base delle piante
(se coltivate a file) con film di polietilene nero, paglia o tessuto non tessuto.
In caso contrario devono essere effettuate frequenti zappettature superficiali.

LAVORI DA FARE: quando il sedano è alto 30 cm, va effettuata la


rincalzatura, da ripetere a intervalli di 3 settimane. Vanno rincalzati anche
cardo, cavolo di Bruxelles, fagiolo, finocchio, melanzana, peperone, pisello,
pomodoro.

COSA SI SEMINA: per tutto il mese si semina a dimora all’aperto: bietola da


coste, prezzemolo, ravanello, zucchina. Solo nella prima metà del mese:
barbabietola, fagiolino e fagiolo nani, finocchio precoce, radicchio di
Treviso. In semenzaio all’aperto per tutto il mese sarà la volta di cicoria
Catalogna, indivia riccia e scarola, lattuga a cappuccio e romana, porro,
radicchio di Castelfranco e di Verona. Inoltre, all’aperto si trapiantano le
piantine di cavolo, indivia riccia, lattuga, radicchio di Chioggia precoce,
sedano. Prima di qualsiasi operazione di semina o trapianto è opportuno
annaffiare per inumidire il terreno e creare così un ambiente favorevole al
germogliamento dei semi.
COSA SI RACCOGLIE: in questo mese si raccoglie di tutto. Oltre agli
ortaggi, anche le piante aromatiche sono in piena produzione e
particolarmente ricche di oli essenziali, resi intensi dal sole estivo.

CIMATURA: per favorire l’ingrossamento dei frutti si può praticare la


cimatura di anguria, cetriolo e melone. All’emissione della quarta foglia (non
considerando quelle cotiledonari), si asporta lo stelo subito dopo la seconda
foglia. All’ascella delle 2 foglie rimaste si svilupperanno così altrettanti getti
(femminelle) che si lasciano vegetare fino all’emissione della quinta foglia. A
questo punto si recide il getto subito dopo la terza foglia, in modo tale che i 2
rami presentino in tutto 6 foglie, all’ascella delle quali si svilupperà un
ulteriore getto laterale che porterà fiori femminili fecondi. In seguito, si
lasceranno sviluppare da 2 a 6 frutti (massimo 4 per l’anguria) su ogni pianta,
cimando dopo la prima foglia posizionata dopo il frutto. Nel caso – raro – che
i getti laterali non dovessero dare fiori femminili, occorre effettuare una
nuova cimatura dopo la terza foglia, ottenendo così getti laterali terziari che
porteranno fiori femminili sicuramente fertili.
Si cimano anche gli apici del fagiolo rampicante quando ha raggiunto
l’altezza voluta per farlo accestire.
LA ROTAZIONE DEGLI ORTAGGI
• Coltivare per più anni di seguito i medesimi ortaggi sullo stesso terreno può
portare a un impoverimento del suolo. Per di più, parassiti ed erbe infestanti
troverebbero un ambiente favorevole, facilitati da un habitat colturale
immutato.
• Per tutti questi motivi si impone una rotazione ragionata, che alterni gli
ortaggi sul terreno secondo uno schema predeterminato: esistono ortaggi con
forti esigenze nutritive, altri meno voraci, altri ancora che arricchiscono il
suolo (legumi); l’alternanza di piante di famiglie diverse limita il diffondersi di
malattie e parassiti.
• Negli anni è conveniente anche alternare tra loro ortaggi a diverso sviluppo
vegetativo (piante da radici, da foglie, da fiori e da frutto).

SFEMMINELLATURA: si prosegue la sfemminellatura delle piante di


pomodoro, allo scopo di garantire migliori produzioni. Sempre sul pomodoro,
dopo la formazione del quarto palco di branche si può procedere alla
cimatura: l’asportazione del germoglio apicale limita lo sviluppo delle piante
in altezza e agevola la maturazione delle bacche.

DIFESA DAGLI UCCELLI: da questo mese e per tutto il periodo estivo,


occorre difendere la produzione dell’orto e del frutteto dalle razzie di alcune
specie di uccelli. Gazze, merli, corvi e cornacchie, ma anche merli,
cinciallegre, passeri e fringuelli sono golosi dei frutti in maturazione e delle
tenere gemme degli alberi. Sono uccelli utili perché si cibano anche di insetti
parassiti, e questa è una ragione in più per essere pazienti nei loro confronti e
per ricorrere a mezzi di difesa innocui e convincenti. Sugli alberi da frutto si
possono distendere delle reti antigrandine; sui rami periferici degli alberi e
sui fusti degli ortaggi si possono applicare dei nastri di alluminio e stagnola
che spaventeranno gli indesiderati ospiti luccicando al sole e ondeggiando al
vento, oppure si possono tendere sulle prode invisibili fili di nylon che ne
ostacoleranno il volo.

CIMATURA E SFEMMINELLATURA

La cimatura impedisce al pomodoro di svilupparsi troppo in altezza (1); la


sfemminellatura (asportazione dei germogli ascellari) determina il rinforzo dei
palchi laterali (2).
OCCHIO ALLA LUNA
QUANDO LA LUNA È CALANTE: è possibile seminare il cavolo
cappuccio autunnale o invernale precoce, la cicoria Catalogna, l’indivia
riccia, la scarola, la lattuga, il porro, il radicchio (in semenzaio
all’aperto); la bietola, il finocchio precoce (a dimora all’aperto). Tra i
lavori da fare, trapiantare il porro all’aperto; distribuire la pacciamatura;
cimare l’anguria, il cetriolo, il melone; cimare e asportare le femminelle
del pomodoro; raccogliere i bulbi, i tuberi e tutta la verdura da
conservare.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare l’agretto, la


bietola da coste, il fagiolino e il fagiolo nani, il prezzemolo, il ravanello,
la zucchina (a dimora all’aperto). Tra i lavori da fare, trapiantare
all’aperto il cavolo, l’indivia riccia, la lattuga, il radicchio di Chioggia
precoce, il sedano; raccogliere le aromatiche e le officinali da essiccare.
Agosto
LAVORI DA FARE: ora più che mai occorre irrigare con regolarità
preferendo il metodo per scorrimento-infiltrazione laterale, controllare i tutori
affinché le piante siano ben sostenute durante la loro crescita e pacciamare il
terreno con dei teli o con sostanze naturali, per evitare l’evaporazione
dell’acqua.
Nelle zone a elevata luminosità, bisogna proteggere le giovani piantine
appena trapiantate, perché le tenere foglie si potrebbero ustionare; è tempo di
cimare cetriolo, melanzana, peperone, pomodoro e zucca.

COSA SI SEMINA: le semine da effettuare in semenzaio all’aperto riguardano


cicoria Catalogna, cipolla bianca (varietà da raccogliere a tarda primavera-
inizio della prossima estate) e radicchio di Verona; direttamente a dimora
finocchio (varietà a raccolta autunnale), lattuga da taglio, prezzemolo (si
effettueranno le ultime raccolte in primavera), radicchio da taglio, ravanello,
rucola, spinacio (varietà estivo-autunnali) e valerianella.

LA RACCOLTA DI ANGURIE E MELONI


• I meloni vanno raccolti un giorno prima del consumo poiché, lasciati dalle 18
alle 20 ore in luogo fresco, acquistano maggior delicatezza e profumo. Per
stabilire il momento giusto per la raccolta dei frutti ci si basa sul colore della
buccia, che deve avere una tonalità tendente al giallo piuttosto che al verde, e
sulla quantità di profumo che emanano.
• Poiché invece le angurie non esalano alcun profumo particolare e conservano
sempre il loro colore verde, anche se mature, è più difficile stabilire il momento
giusto per la raccolta. Empiricamente, si può fare una certa pressione con il
pollice, dalla parte opposta del peduncolo, sulla buccia: se il frutto è maturo,
cede leggermente e crepita sotto la pressione. Si può anche dare al frutto
qualche deciso colpetto con l’unghia del dito medio: se si sente un suono cupo,
il frutto può essere staccato; se, invece, rimanda un rumore più sonoro, meglio
aspettare ancora qualche giorno prima di coglierlo.
CONSERVARE GLI ORTAGGI
• La buona conservazione degli ortaggi è innanzitutto garantita dall’impiego di
attrezzatura idonea che non danneggi il raccolto al momento del prelievo.
• A raccolta avvenuta, aglio, cipolla e patata vanno lasciati per qualche giorno
esposti al sole su terreno asciutto, avendo cura di ritirarli durante la notte.
Questo accorgimento ne garantisce l’asciugatura e ne permette la pulizia dalla
terra.
• Le patate e le cipolle vanno disposte in cassette di legno e conservate in luogo
fresco, mentre l’aglio (ma, se si desidera, anche la cipolla) si conserva in trecce
preparate intrecciando abilmente i gambi (che quindi non devono essere tagliati
troppo corti) così che i bulbi rimangano rivolti all’esterno. I capi finali della
treccia vanno legati con rafia o spago che, lasciato lungo, potrà servire per
appenderla. Si possono raccogliere i gambi anche in mazzetti da conservare
appesi.
• Facile anche la conservazione del peperoncino piccante: basta infilare, con un
ago e uno spago sottile, il peduncolo dei frutti, formando una “filza” (collana)
con cui adornare la cucina.
Le filze di peperoncini rossi o le trecce di aglio e cipolla si conserveranno a
lungo, a patto che non vengano esposte all’umidità.

COSA SI TRAPIANTA: per quanto riguarda il trapianto, meglio operare con


piantine provviste di pane di terra, allevate nei vasetti o contenitori alveolari,
più robuste di quelle provenienti da semenzaio e, soprattutto, non indugiare
rimandando l’operazione: si corre il rischio che le varietà tardive non
riescano a completare il loro sviluppo prima dell’arrivo della stagione fredda.
Prima dei trapianti delle varietà ortive per la produzione autunno-invernale, è
buona cosa preparare il terreno smuovendolo con la vangatura e
concimandolo; qualora sia troppo acido andrà aggiunta della calce, mentre se
è troppo calcareo, e quindi privo di humus, andrà incorporata sostanza
organica.
Dopo il trapianto occorre irrigare con costanza e prudenza (per non scalzare
le piantine).
L’operazione riguarda i cavoli (varietà autunno-invernali precoci e tardive) in
generale, cicoria Catalogna, indivia riccia e scarola, lattuga a cappuccio e
romana (varietà estivo-autunnali), porro, radicchio di Castelfranco, radicchio.
COSA SI RACCOGLIE: anche in agosto la raccolta è abbondante e
diversificata: anguria, barbabietola, basilico, bietola da coste, cardo, cavolo
cappuccio, cetriolo, cipolla bianca, fagiolino, fagiolo, indivia riccia e scarola,
lattuga, melanzana, melone, patata, peperone, pomodoro, prezzemolo,
radicchio, sedano, zucca, zucchina.

OCCHIO ALLA LUNA

QUANDO LA LUNA È CALANTE: è possibile seminare la cicoria


Catalogna, la cipolla bianca, il radicchio di Verona (in semenzaio
all’aperto); il finocchio autunnale, la lattuga, il radicchio da taglio, lo
spinacio, la valerianella (a dimora all’aperto). Tra i lavori da fare, cimare
il cetriolo, la melanzana, il peperone, il pomodoro, la zucca; rincalzare il
finocchio e il porro; effettuate l’imbianchimento della carota,
dell’indivia riccia, del sedano; raccogliete i bulbi, i tuberi e tutta la
verdura da conservare.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare il prezzemolo


e il ravanello (a dimora all’aperto). Tra i lavori da fare: trapiantare
all’aperto il cavolo cappuccio, la cicoria Catalogna, l’indivia riccia, la
scarola, la lattuga a cappuccio e romana, il porro e il radicchio.

L’IMBIANCHIMENTO
• Un’operazione da eseguire in agosto è l’imbianchimento dei cespi di indivia
riccia e scarola (le varietà che lo richiedono), porro e sedano, al fine di rendere
più dolce e tenero il prodotto.
• Per scarola e indivia (1) si provvede a legare i cespi con spago o rafia, in
modo che il cuore, non prendendo più luce, diventi bianco. Un altro sistema
artigianale consiste nel coprire i cespi di indivia riccia con un piatto o un vaso
di terracotta rovesciati. In questo caso si dovrà usare l’avvertenza di oscurare
con un pezzo di mattone il foro di drenaggio.
• Per il sedano, conviene selezionare le piante più belle, estirparle e, una volta
avvicinate tutte le foglie, legare i cespi a metà del fusto e sotto la chioma; infine
si tagliano le radici di 1/3 della loro lunghezza. I cespi così preparati si
interrano in un solco già predisposto nel terreno o in cassoni, ricoprendo poi
con sabbia mista a terra (2). Sullo strato di terra deve essere disteso un telo di
plastica che preservi le piante dalle piogge.
Settembre
LAVORI DA FARE: nel mese di settembre i lavori sono ancora numerosi e le
raccolte abbondanti. Se non è stato fatto nel mese precedente è opportuno
rincalzare le piante della vecchia carciofaia, il finocchio, il porro e il sedano
per indurre l’imbianchimento. Il procedimento interessa anche le piante di
indivia riccia, scarola e radicchio di Treviso precoce, che diventano così più
saporite e croccanti.

LOTTA ALLE INFESTANTI: nonostante la presenza delle infestanti


diminuisca all’avanzare della stagione fredda, è sempre importante
provvedere a eliminarle dal terreno di coltivazione. Allo scopo, sono utili
leggere zappettature superficiali, in particolare dove vi sono ortaggi in piena
vegetazione (cavolo, scarola ecc.). Le erbacce vanno periodicamente estirpate
anche nelle aree dove ormai la produzione è ultimata, evitando così che le
malerbe vadano a seme e si propaghino.
PREPARAZIONE DELLA POLTIGLIA BORDOLESE
• In commercio si trova la poltiglia bordolese in preparazione industriale già
pronta per l’uso. Questo anticrittogamico biologico si può però preparare con
facilità anche artigianalmente.
• Si versano 90 l di acqua in un grande recipiente non metallico e, mescolando,
si aggiunge 1 kg di solfato di rame (1). Quando l’acqua avrà preso un bel
colore azzurro, vorrà dire che i cristalli di solfato di rame si sono sciolti (2). A
parte, si prepara una soluzione di 700-800 g di idrossido di calce in 10 l di
acqua (3), quindi la si unisce al preparato con solfato di rame e si mescola a
lungo (4).
• La miscela cura molte malattie crittogamiche (alternariosi, antracnosi,
peronospora, septoriosi, ticchiolatura ecc.). Il componente principale è il
solfato di rame che, essendo un sale molto acido, viene neutralizzato mediante
l’aggiunta di idrato di calcio (calce). L’azione fungicida dipende dal rapporto
tra l’idrato di calcio e il solfato di rame: quanto maggiore è la percentuale
della seconda sostanza, più pronta è l’azione crittogamica, ma minore la sua
persistenza, e viceversa.
• La miscela va usata subito: con il passare del tempo, si riduce il potere
fungicida.

COSA SI SEMINA: si procede alla semina all’aperto di prezzemolo,


ravanello, spinacio, valerianella, coprendo poi il terreno con teli di tessuto
non tessuto. In semenzaio all’aperto si semina la cipolla bianca. Per tutto il
mese è necessario seguire attentamente lo sviluppo dei semenzai predisposti
nel mese precedente. Qualora le giovani piantine abbiano già raggiunto una
discreta altezza, è bene eseguire, dove opportuno, un diradamento, oppure
effettuare il trapianto a dimora. L’operazione si pratica per cicoria (diverse
specie e varietà), finocchio, indivia, porro (varietà primaverili), radicchio da
taglio, di Castelfranco, di Chioggia, di Treviso e di Verona (varietà tardive).
Se è stata fatta un’opportuna scelta delle varietà e si è provveduto con
costanza alle operazioni colturali, si ha ancora la soddisfazione di compiere
molte raccolte: anguria, barbabietola, basilico, bietola da coste (varietà
seminate a giugno-luglio), carota, cavolfiore e cavolo broccolo (varietà
precoci), cavolino di Bruxelles, cavolo cappuccio, cetriolo, cicoria Catalogna,
fagiolino, fagiolo, finocchio, indivia riccia, lattuga a cappuccio e romana,
melanzana, melone, peperone, pomodoro, porro, radicchio da taglio, sedano,
zucca, zucchina.

FINE DELL’ESTATE: alcuni ortaggi estivi (melanzana, peperone, pomodoro)


se seguiti con cura possono offrire una produzione abbondante anche fino
agli ultimi giorni di settembre e oltre. Si potranno aiutare i frutti a godere
appieno del sole settembrino e a giungere a completa maturazione eliminando
le eventuali foglie che li ricoprono. Le zucche si staccano e si pongono su
tetti o muretti, in pieno sole, per farle asciugare bene.
OCCHIO ALLA LUNA
QUANDO LA LUNA È CALANTE: è possibile seminare la cipolla bianca
(in semenzaio all’aperto); la lattuga da taglio, il radicchio da taglio e da
raccolta, lo spinacio, la valerianella (a dimora all’aperto). Tra i lavori da
fare, effettuare il trapianto del porro per produzioni primaverili;
rincalzare la carciofaia, il finocchio, il porro, il sedano; effettuare
l’imbianchimento dell’indivia riccia, della scarola, del radicchio di
Treviso; pulire le aiuole al termine del ciclo vegetativo; raccogliere gli
ortaggi destinati alla conservazione.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare il prezzemolo


e il ravanello (a dimora all’aperto). Tra i lavori da fare, trapiantare
all’aperto la bietola da coste, il cavolo, la cicoria Catalogna, il finocchio,
l’indivia, la lattuga, il radicchio da taglio e da raccolta.

PREPARARE IL TERRENO PER L’INVERNO


• Man mano che gli ortaggi terminano il ciclo vegetativo, bisogna iniziare a
sgomberare l’orto ripulendolo dai residui di vegetazione.
• Al più presto si provvede a una vangatura: l’avanzare della stagione fredda e
umida potrebbe rendere il terreno pesante e difficilmente lavorabile.
• Prima della vangatura si distribuisce il letame maturo interrandolo bene; in
copertura si potranno poi fornire prodotti disinfettanti e preparati per la lotta
agli insetti terricoli.
• Quando il terreno è sminuzzato, si rastrella sagomando il profilo della proda
a schiena d’asino, per evitare ristagni d’acqua: questa operazione va fatta nel
caso in cui si abbia intenzione di procedere con semine o trapianti. In caso
contrario è bene che il terreno vangato rimanga in zolle per tutto l’inverno.
Prima dell’arrivo dell’inverno si provvede a distribuire sulle prode dell’orto il
letame maturo (1), interrandolo con una vangatura profonda (2).

COSA SI RACCOGLIE: molti tra gli ortaggi raccolti sono adatti alla
conservazione: in agrodolce (cipolla, cipollina), sottaceto (cipolla, cetriolo,
fagiolino, peperone), sottolio (cipolla, melanzana, peperone, zucchina). Per
garantire la buona riuscita e un lungo mantenimento delle conserve è
necessario utilizzare verdure fresche, meglio se appena raccolte in Luna
calante.
Ottobre
ARRIVA L’AUTUNNO: il fogliame inizia a mutare la colorazione assumendo
le tipiche tinte autunnali, il calo delle temperature e del numero di ore di luce
riduce notevolmente l’attività nell’orto: con l’accorciamento del giorno, il
flusso della linfa comincia gradualmente a rallentare fino a interrompersi e le
piante entrano nel sonno biologico. Le irrigazioni diventano meno frequenti e
abbondanti, fino a cessare. Ma l’autunno offre anche le ultime piacevoli
fioriture e un ricco raccolto; numerosi sono i lavori da svolgere nel corso di
questo mese al fine di assicurarsi vitalità e colore sia in inverno sia
successivamente, durante la bella stagione.

LAVORI DA FARE: come nel mese precedente, man mano che una coltura
esaurisce il suo ciclo è necessario provvedere alla rimozione della
vegetazione e alla pulizia e vangatura del terreno della proda. Se è necessario,
durante la vangatura si possono interrare letame maturo e sostanze
disinfettanti che assicurino protezione e distruzione di agenti patogeni. La
vangatura deve essere profonda, ma la zolla deve rimanere integra: saranno
gli agenti atmosferici (acqua, gelo e disgelo) a sminuzzarla e renderla friabile,
conservandone il contenuto nutritivo (humus).
È preferibile che i sentieri di camminamento tra le prode dell’orto siano ben
livellati per evitare il ristagno dell’acqua e per facilitare il passaggio sul
terreno inevitabilmente fangoso; si può stendere un po’ di paglia nei passaggi
più frequentati.

L’IMBIANCHIMENTO DEL RADICCHIO


Tra i molti metodi utilizzati per imbianchire perfettamente i cespi del radicchio,
questo è tra i più pratici e facilmente applicabili anche alle coltivazioni di tipo
familiare: dopo la raccolta (scalare) si accatastano i cespi l’uno sull’altro,
disponendoli in cerchio con le radici rivolte verso l’interno. Si ricopre il tutto
con foglie o paglia o teli di tessuto non tessuto, materiali cioè che consentono la
circolazione dell’aria. Attenzione a non bagnare le foglie del radicchio per
evitare marcescenze. Il prodotto sarà pronto dopo 10-15 giorni.
IMBIANCHIMENTO: prosegue l’imbianchimento degli ortaggi che se ne
avvantaggiano (finocchio, indivia riccia e scarola, porro). Per il radicchio (in
particolare quello di Treviso e di Verona) l’operazione può essere evitata
stendendo direttamente sulle aiuole dei teli di tessuto non tessuto che,
mantenendo una buona circolazione dell’aria e proteggendo le coltivazioni
dal freddo, consentono raccolte anche oltre il mese di febbraio.

PICCOLI ATTREZZI PER PICCOLI SPAZI


Per eseguire i lavori in spazi ristretti, quali semenzaio, cassoni, vasi e terrazzi,
sono necessari attrezzi di dimensioni più piccole rispetto a quelli normali.
L’assortimento base comprende: coltivatore per dissodare, foraterra per
trapiantare, forchetta per le lavorazioni superficiali, forca per le piccole piante,
una zappetta, un vanghino, una paletta per trapiantare e dosare concime e
terriccio e i guanti per proteggere le mani.
Il mini rastrello è necessario per raccogliere le foglie secche dal terreno dei
vasi. Piccoli scopini di saggina o di metallo sono utili per ripulire la vaseria e
gli spazi tra un contenitore e l’altro, dove si accumulano detriti vegetali
potenzialmente infetti.
COSA SI SEMINA: si seminano gli ortaggi che vanno consumati entro breve
termine: lattuga da taglio e da raccolta, ravanello, spinacio, valerianella. Si
inizia il trapianto delle piantine di cipolla prodotte dai semenzai e dei bulbilli
di aglio.

COSA SI RACCOGLIE: prosegue la raccolta di barbabietola, basilico, bietola


da coste, cardo, carota, cavolfiore, cavolino di Bruxelles, broccolo, verza,
fagiolino, indivia riccia, lattuga, prezzemolo. Inizia la raccolta di radicchio
(di Chioggia, di Treviso), ravanello, scarola, sedano, spinacio, valerianella,
zucca.

MOLTIPLICARE LE AROMATICHE: aromatiche e officinali perenni


(dragoncello, erba cipollina, lavanda, maggiorana, melissa, origano,
rosmarino, ruta, salvia, timo) si possono moltiplicare per divisione dei cespi.

OCCHIO ALLA LUNA


QUANDO LA LUNA È CALANTE: è possibile seminare la lattuga da
taglio e da raccolta, lo spinacio, la valerianella (a dimora all’aperto). Tra
i lavori da fare, effettuare il trapianto all’aperto della cipolla da
semenzaio e la piantagione all’aperto dell’aglio; concimare con letame
le aiuole destinate a ospitare le prossime semine e trapianti; effettuare
l’imbianchimento del cardo, dell’indivia riccia e scarola, del radicchio;
raccogliere gli ortaggi da conservare.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare il ravanello


(a dimora all’aperto). Tra i lavori da fare, effettuare la riproduzione per
divisione dei cespi delle piante aromatiche e officinali perenni.

COME SI PREPARANO I TUNNEL

• L’allestimento dei tunnel di coltivazione è tra i lavori più onerosi di questo


periodo, ma è molto importante per mantenere una costante produzione di
ortaggi freschi (finocchio, lattuga da taglio, radicchio, ravanello, scarola,
valerianella). L’installazione va fatta per tempo, prima che inizino le gelate.
• L’intelaiatura sarà formata da sostegni ad archetto che possono coprire più
aiuole o una sola (1); per la copertura si utilizzano dei teli di polietilene dello
spessore minimo di 0,15 mm, fissati alla struttura con appositi fermagli (clip).
• Affinché le strutture a tunnel risultino solide, le intelaiature devono essere
profondamente ancorate nel terreno e sostenute con paletti di supporto
all’interno. Per rendere ancora più robusta la struttura, in previsione di periodi
ventosi, si provvederà a interrare parzialmente le estremità laterali del telo
plastico (2).
• Sui lati è opportuno prevedere dei sistemi di arrotolamento del telo affinché le
coltivazioni possano essere arieggiate, in particolar modo nelle giornate di fine
inverno.
• I materiali necessari per la costruzione dei tunnel si trovano facilmente in
negozi di articoli per il giardinaggio e per l’agricoltura, anche in kit completi di
facile e rapida installazione.
Novembre
RIPOSO VEGETATIVO: con novembre inizia il periodo più calmo per
l’orticoltore. L’abbassamento della temperatura, le giornate sempre più brevi
e l’aumento dell’umidità limitano lo sviluppo vegetativo di tutte le piante.
Non diminuiscono però le operazioni da compiere nell’orto, per mantenerlo
pulito e programmare il futuro delle piante. Se sono poche le operazioni di
cura relative alle piante, molte invece sono quelle riguardanti il terreno e le
attrezzature.

LAVORI DA FARE: le prode, ormai al termine della produzione, vanno


ripulite dai residui delle coltivazioni e dalle infestanti. Se le condizioni
climatiche lo consentono si ultimano le operazioni di vangatura invernale del
terreno. La lavorazione è necessaria in vista dei trapianti e delle semine
dell’anno prossimo, pertanto si consiglia di incorporare una notevole quantità
di letame che verrà disgregato durante l’inverno. La caratteristica della
vangatura invernale è, del resto, quella di smuovere il terreno lasciando
integra la zolla vangata: ci penseranno poi pioggia, gelo e disgelo a maturarla
e sminuzzarla.
CONSERVAZIONE DEGLI ORTAGGI: si controllano spesso gli ortaggi in
magazzino (cipolla, patata, zucca ecc.), eliminando quelli che danno segni di
marciume. Potranno essere destinati a lunga conservazione (fino a febbraio-
marzo) anche i cespi di indivia riccia e scarola in eccedenza: sarà sufficiente
affiancare l’uno contro l’altro in un cassone i cespi prelevati con pane di
terra. Il luogo preposto alla conservazione di questi ortaggi deve essere fresco
e privo d’infiltrazioni d’acqua; il cassone potrà essere posizionato in cantina,
ma anche all’aperto, proteggendo le piante con una copertura di foglie secche
o paglia.

LA MANUTENZIONE DEGLI ATTREZZI


• Vanghe, badili, zappe, forconi e rastrelli devono essere ripuliti accuratamente
dalla terra rimasta attaccata con una spazzola di ferro o con una spatolina,
affinché non si formi la ruggine.
• Si può cogliere l’occasione per rifare il “filo” o il “taglio” a vanghe, zappe o
badili che abbiano sbavature o dentature. Per compiere la rifilatura potete
aiutarvi con una lima da ferro o con un flessibile. Finite queste operazioni,
passate uno straccio sugli utensili e spennellate le parti metalliche con gasolio o
immergetele in una tinozza con sabbia mista a olio di scarto di macchina.
• Una scrupolosa manutenzione va fatta per gli attrezzi da taglio, con
particolare attenzione all’affilatura delle lame e all’oliatura delle molle delle
cesoie.
• Anche i manici di legno degli strumenti sono da controllare; se troppo
danneggiati andranno sostituiti, se sono scheggiati è sufficiente ripassarli con
carta vetrata.
• Quando tutti gli utensili sono stati ripuliti, si possono riporre ordinatamente in
una rastrelliera a base quadrata per quelli di grandi dimensioni, oppure a muro
se si ha a disposizione uno spazio più ristretto.
• Anche per i tutori di legno e bambù è necessaria la manutenzione: devono
essere controllati, se necessario deve essere rifatta la punta, vanno immersi in
una soluzione di solfato di rame per disinfettarli e riposti ben legati tra loro,
pronti per l’uso nella prossima stagione.

COSA SI SEMINA: per garantirsi produzioni primaverili bisogna seminare in


coltura protetta: lattuga e radicchio da taglio, ravanello, rucola, valerianella.
All’aperto, ma solo in zone con clima particolarmente mite, si possono
seminare pisello, cece, fava e lenticchia; in caso contrario è meglio rinviare la
semina a fine inverno.
COSA SI TRAPIANTA: fino a quando il terreno non gela, in zone con clima
mite, si prosegue il trapianto all’aperto dei bulbilli di aglio.

COSA SI RACCOGLIE: prima che il terreno geli conviene raccogliere le


carote e conservarle in cassoni stratificandole con sabbia o torba. Prosegue la
raccolta del radicchio di Castelfranco e di Treviso e il conseguente
imbianchimento (vedi mese di ottobre), da farsi in Luna calante. Inoltre:
bietola da coste, cardo, carota, cavolfiore, cavolino di Bruxelles, cavolo
broccolo, cavolo verza, cicoria Catalogna, indivia riccia e scarola, lattuga da
taglio, porro, radicchio da taglio, radicchio di Chioggia, spinacio,
valerianella.

OCCHIO ALLA LUNA


QUANDO LA LUNA È CALANTE: lattuga e radicchio da taglio, rucola,
valerianella (a dimora in coltura protetta). Tra i lavori da eseguire a
novembre, bisogna effettuare la piantagione all’aperto dell’aglio;
lavorare il terreno per le piantagioni primaverili; pulire, vangare e
letamare il terreno delle prode giunte a fine ciclo; rincalzare il carciofo;
scalzare l’asparago; imbianchire il cardo, l’indivia riccia e il porro;
prima delle gelate raccogliere la carota e altre radici, il radicchio di
Castelfranco e di Treviso ed eventuali ortaggi da conservare.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare il pisello


primaverile (a dimora all’aperto) e il ravanello (a dimora in coltura
protetta).
Dicembre
PULIZIE INVERNALI: le condizioni climatiche ormai rigide e le giornate
corte ridimensionano le attività all’aperto, ma ancora restano da compiere
lavori utili per conservare la salute e la pulizia dell’orto. Nel mese di
dicembre non sarà necessario effettuare operazioni particolari, se non la
lavorazione del terreno per le colture primaverili e, qualora ve ne siano,
ultimare le raccolte.

ORDINE E PULIZIA

In questo periodo è bene dedicare un po’ di tempo al controllo


dell’assortimento di concimi e fitofarmaci. Per la loro custodia servono armadi
asciutti, meglio se chiusi a chiave. Un piccolo inventario sarà utile a fare ordine
e a evitare sprechi onerosi. Nel caso le etichette cominciassero a sbiadire, sarà
opportuno riportare sulle confezioni con un pennarello indelebile i nomi dei
prodotti e le informazioni relative alle dosi e alle piante da trattare.
Spesso si trascurano le confezioni, non vengono conservati i foglietti
d’istruzione e ci si ritrova, dopo qualche tempo, con barattoli imbrattati e dalle
etichette illeggibili, di cui non si ricorda il contenuto e il possibile impiego.
Meglio eliminare tali “prodotti ignoti”, consegnandoli alle discariche comunali
negli spazi appositamente predisposti.

LA FORZATURA DELL’INDIVIA BELGA

• La forzatura è utilizzata per ottenere i caratteristici “cespi a fuso”, dolci e


croccanti, che caratterizzano l’indivia belga o di Bruxelles.
• Il metodo casalingo per raggiungere tale scopo è semplice: si prelevano dal
terreno i cespi con le radici (1) e si lasciano accatastati per 4-5 giorni all’aria
aperta; si tagliano poi le foglie verdi sopra il colletto e si accorciano le radici
(2).
• I cespi si pongono eretti e affiancati in un cassone riempito con sabbia di
fiume fino al colletto (3); il cassone va posto in ambiente buio a temperatura
compresa tra 5 e 10°C. Così le radici, riattivandosi, provocheranno l’emissione
di nuove foglie che, a causa del buio, saranno bianche.
• Per un migliore sviluppo dell’indivia aumentate gradatamente la temperatura
fino ai 18°C e aerate il locale ogni settimana.
• Una volta interrati, è anche possibile ricoprire i cespi di indivia con un
leggero strato di terra umida.
LAVORI DA FARE: provvedete allo svuotamento accurato dei tubi per
l’irrigazione e alla manutenzione di materiali, macchine e attrezzi. Per
proteggere il cavolfiore dal freddo, si possono raddrizzare le foglie esterne,
riunirle sopra le grosse infiorescenze e legarle con una cordicella. Si possono
interrare, se il terreno non è gelato, le colture da sovescio (facelia, senape
ecc.) che arricchiscono di azoto il suolo.
COSA SI SEMINA: in climi non troppo rigidi è ancora possibile seminare in
coltura protetta, lattuga, radicchio da taglio e ravanello.

COSA SI RACCOGLIE: durante la fase di Luna calante si procede alla


raccolta e alla forzatura di indivia belga e radicchio rosso. Proseguono le
raccolte dei diversi tipi di cavolo coltivati all’aperto: i cavolini di Bruxelles
sono pronti proprio nei periodi più freddi dell’anno.

OCCHIO ALLA LUNA


QUANDO LA LUNA È CALANTE: lattuga e radicchio da taglio (a
dimora in coltura protetta). Tra i lavori da fare, preparare il terreno per le
colture primaverili; zappare e concimare; effettuare la forzatura
dell’indivia belga; raccogliere l’indivia belga, il radicchio rosso, il
tarassaco.

QUANDO LA LUNA È CRESCENTE: è possibile seminare il ravanello


(a dimora in coltura protetta).
Parassiti e malattie
Afidi
DESCRIZIONE DEI DANNI: gli afidi, chiamati comunemente pidocchi delle
piante e sicuramente tra i fitofagi più comuni, sono emitteri di diverso colore
che pungono le foglie e i germogli suggendone la linfa e causandone la
deformazione. Sono tra i principali vettori di virosi, trasmettendole da pianta
a pianta. Tra gli afidi più comuni, l’afide nero attacca diverse specie, sia
ortive (Aphis fabae) sia fruttifere (Toxoptera aurantiae): infesta con fitte
colonie nerastre le parti epigee e ipogee delle piante provocando
arricciamento e disseccamento nelle foglie, ipertrofia nelle radici e riducendo
l’intera pianta in uno stato di deperimento generale. Presenta numerose
generazioni l’anno.
Anche l’afide verde provoca danni simili a quelli dell’afide nero, ma attacca
solamente le parti epigee della pianta.

SPECIE MINACCIATA: gli afidi attaccano soprattutto carciofi, carote,


leguminose, cicorie e radicchi, fagioli, fave, lattuga, pomodori, prezzemolo,
ravanelli, zucchine.

DIFESA: la difesa diretta prevede la pulitura o l’asportazione delle parti


infestate e trattamenti a base di macerato d’ortica o d’assenzio, litotamnio,
cenere di legna e, solo nei casi più gravi, rotenone e piretro. Per contrastare
gli afidi si possono utilizzare anche predatori naturali come coccinelle,
forbicine ecc.

PREVENZIONE: gli afidi si combattono preventivamente con pacciamature e


concimazioni equilibrate, povere di azoto. È inoltre opportuno evitare
l’utilizzo di acqua fredda per annaffiare.
Agrotidi o nottue
DESCRIZIONE DEI DANNI: le larve di queste farfalle, simili a grossi bruchi,
restano inattive nel terreno durante il giorno ed escono allo scoperto di notte,
attaccando generalmente il colletto delle piante e scavando all’interno dei
fusti.
Particolarmente dannosa è la nottua che attacca il carciofo: depone le uova in
prossimità del colletto e da queste fuoriescono larve che scavano gallerie
all’interno delle nervature principali delle foglie per poi passare all’interno
del fusto, fino ad arrivare alla base dei capolini. I danni possono essere
ingenti e, in caso di forte infestazione, le piante devono essere distrutte.

SPECIE MINACCIATA: attaccano diverse specie ortive come cavoli, lattuga,


cicorie, spinaci, bietole, mais, cetrioli, fagioli, pomodori, ravanelli, carote.

DIFESA: la lotta diretta è diversa e articolata, oltre alla distruzione delle parti
lese si può ricorrere a esche avvelenate, trattamenti a base di infuso di
assenzio e, in casi particolarmente gravi, piretro oppure rotenone. Anche
l’impiego di Bacillus thuringiensis ha dato esiti positivi nella lotta alle
agrotidi.

PREVENZIONE: la difesa preventiva si attua sia zappando la terra intorno


alle coltivazioni sia proteggendo il colletto della pianta mediante collari di
cartone.
Per quanto riguarda la prevenzione della nottua del carciofo, può essere utile
durante l’epoca di volo di questo parassita trattare le piante con infuso di
pomodoro, che svolge un’importante azione repellente.
Alternariosi
DESCRIZIONE DEI DANNI: l’alternariosi, nota anche con il nome di
“marciume nero”, è una malattia causata da un fungo che permane nel
terreno, sui residui delle piante infette e sui semi contaminati. Solitamente
colpisce la piante adulte, provocando sulle foglie macchie irregolari bruno
scure con alone giallo, marcescenti e lacerate al centro, in corrispondenza
delle quali si verifica il disseccamento dei tessuti. Nella zona del colletto si
formano lesioni nerastre con strozzatura. Sul fusto invece compaiono cancri
che si localizzano soprattutto in prossimità delle ramificazioni. Sui frutti il
danno compare nella zona della connessione con il picciolo sotto forma di
una macchia circolare scura, con depressione centrale solcata da grinze
profonde. Talvolta, anche le infiorescenze vengono danneggiate, presentando
macchie nerastre. I semi contaminati rappresentano il più frequente veicolo di
propagazione dell’infezione.

SPECIE MINACCIATA: l’alternariosi colpisce prevalentemente carote,


melanzane, patate, pomodori, cavoli, rape, ravanelli e ramolacci.

DIFESA: distruggere le piante infette e, in caso di attacco grave, trattare con


solfato di rame.
PREVENZIONE: per combattere l’alternariosi si consigliano ampie rotazioni
(almeno 3 anni), trattamenti con macerato di equiseto e sterilizzazione dei
semi in acqua calda. È consigliabile, inoltre, evitare semine troppo fitte,
interventi irrigui eccessivi, ristagni d’acqua e sostanza organica non
perfettamente decomposta.
Altica
DESCRIZIONE DEI DANNI: le altiche, chiamate anche “pulci di terra” e
facilmente riconoscibili per la capacità di compiere salti, sono piccoli
coleotteri dal corpo ovale e convesso, la cui lunghezza di aggira intorno ai 2
mm. Gli adulti svernano fra l’erba, alla base degli alberi e sotto i sassi,
mentre le larve vivono nel terreno dove si impupano.
Le altiche presentano 1 o 2 generazioni l’anno e colpiscono le giovani piante
in primavera (le alte temperature e la bassa umidità favoriscono gli attacchi),
rodendo le foglie sul margine esterno e scavando piccole fossette sulla loro
superficie. Alcune specie di altica sono polifaghe e possono danneggiare
fortemente alcuni tipi di colture come rucola e bietole.

SPECIE MINACCIATA: soprattutto cavoli, cavolfiori, rape, ravanelli, spinaci,


bietole, rucola.

DIFESA: per combattere le altiche si può spolverare sulle foglie, al mattino


presto con la rugiada, farina di alghe, bentonite o litotamnio. Può essere utile
anche sfiorare la coltivazione con un bastone alla cui estremità sia fissato un
cartone spalmato di vischio: muovendolo in senso rotatorio le altiche,
saltando, restano attaccate alla superficie vischiosa. Solo in caso di forte
attacco, usare piretro o rotenone.
PREVENZIONE: pacciamature del terreno per conservarne l’umidità (lo
sviluppo delle altiche è favorito dal terreno arido) e trattamenti con infuso
concentrato di tanaceto o assenzio. Può risultare utile anche seminare vicino
alle colture da proteggere piante che fungano da esca.
Antracnosi
DESCRIZIONE DEI DANNI: si tratta di una malattia, potenzialmente molto
dannosa, causata da numerosi ceppi di funghi, che sopravvivono nel corso
degli anni sui residui vegetali, e favorita da condizioni di tempo fresco e
umido. Attacca le giovani leguminose e in particolare modo i baccelli i quali
si presentano con l’epidermide punteggiata di macchioline color ruggine che
con il tempo si evolvono in macchie di forma tondeggiante dal contorno
scuro e di forma depressa centralmente. Le dimensioni di tali macchie non
sono costanti, possono variare da qualche mm a 1 cm di diametro e si
caratterizzano per la presenza di una zona mucillaginosa rosata al centro.
Lungo le nervature compaiono inoltre degli imbrunimenti che dopo un breve
periodo di tempo tendono a seccarsi. Le lesioni provocate da questa malattia
possono essere molto gravi e portare in breve tempo alla morte della pianta.

SPECIE MINACCIATA: l’antracnosi colpisce principalmente fagioli, fave,


piselli, ceci.

DIFESA: la lotta diretta all’antracnosi consiste principalmente nella


bruciatura dei residui delle piante attaccate dalla malattia e nell’utilizzo di
trattamenti a base di ossicloruro di rame o zolfo.
PREVENZIONE: l’antracnosi si previene con corrette rotazioni, evitando di
seminare fitto e bagnando le piante con decotto di equiseto.
Un’altra misura preventiva consigliata, inoltre, consiste nel disinfettare i semi
lasciandoli a bagno per 15 minuti in decotto di equiseto.
Batteriosi
DESCRIZIONE DEI DANNI: con il termine batteriosi si indicano varie
malattie provocate da esseri microscopici i quali danno adito a diverse
manifestazioni: cancri, seccumi, marciumi, clorosi, macchie ecc. Il
pomodoro, in particolare, è soggetto all’attacco di Xanthomonas vesicatoria
che causa piccole macchie necrotiche di colore bruno scuro con bordo giallo,
le quali possono originare estese zone disseccate sugli steli e sulle foglie. Sui
frutti invece compaiono macchioline simili a vesciche che con il passare del
tempo si allargano, mentre il mesocarpo e l’epicarpo si tagliano sotto la
pressione dei tessuti interni. Nei frutti maturi si evidenzia un alone verde-
giallo intorno alla zona necrotica.
Tra i batteri che attaccano le specie ortive menzioniamo anche l’Erwinia
carotovora che colpisce il sedano causando la marcescenza della parte interna
del grumolo.

SPECIE MINACCIATA: le batteriosi sono molto diffuse tra pomodori,


bietole, sedani, finocchi, cavolfiori, cipolle, patate.
DIFESA: la lotta diretta prevede l’eliminazione delle parti colpite e l’utilizzo
di trattamenti a base di ossicloruro di rame e calcio.

PREVENZIONE: le misure preventive si basano sull’uso di seme e piante


sane, oltre a varietà resistenti.
Botrite
DESCRIZIONE DEI DANNI: la botrite, chiamata anche “muffa grigia”, è una
malattia fungina che colpisce ortaggi, alberi da frutto e fiori. Si sviluppa
prevalentemente in climi freschi e umidi e ambienti poco areati (per esempio
i magazzini), provocando delle aree marcescenti su fusti e foglie, che,
successivamente, si ricoprono di una caratteristica muffa grigiastra e
muoiono.
Nella vite attacca le foglie e i grappoli, nelle liliacee rende molle il tessuto
interno dei bulbi, facendoli marcire con estrema rapidità.

SPECIE MINACCIATA: attacca soprattutto le liliacee (aglio, cipolla, porro) e


in particolar modo le cipolle sia in campo, in prossimità della raccolta, sia in
magazzino.
Colpisce anche sedani, carote, carciofi, lattuga, cavoli, cetrioli, zucchine,
peperoni.

DIFESA: si tratta di un fungo che si diffonde rapidamente, quindi è


fondamentale eliminare le parti infette, nonché eseguire trattamenti con
propoli, sulfar e ossicloruro di rame.

PREVENZIONE: evitare l’impiego di compost o letame non perfettamente


decomposto oppure in quantità eccessive, ristagni d’acqua e irrigazioni
eccessive. È bene arieggiare le colture, fare attenzione a non lesionare i bulbi
durante la raccolta e comunque non immagazzinare i bulbi danneggiati. Un
sistema efficace per prevenire l’attacco della botrite in magazzino consiste
nell’insufflare nei locali aria calda a 30-35°C per 2-3 giorni, e poi aria fredda,
per altri 2-3 giorni, oltre a eliminare gli eventuali residui di liliacee dai
magazzini di stoccaggio.
Cavolaia
DESCRIZIONE DEI DANNI: la cavolaia è una comunissima farfalla dalle ali
color bianco-latte con macchie nere. Le uova, color giallo-arancione,
vengono deposte a piccoli mucchi sulla pagina inferiore delle foglie e da
queste si schiudono voracissimi bruchi color verde oliva con striature
giallastre ai lati. I danni avvengono a scapito delle foglie: le larve di cavolaia
se ne cibano distruggendo l’intero lembo e risparmiando solamente la
nervatura principale. L’attacco determina l’imbrattamento delle foglie a causa
delle deiezioni, che in estate possono provocare marcescenze all’interno delle
piante.
È necessario intervenire alla comparsa dei primi sintomi individuabili nella
rottura della parte basale delle giovani piantine e nei segni di erosione al
livello del colletto. La cavolaia è molto pericolosa e può distruggere interi
raccolti.

SPECIE MINACCIATA: cavoli, cavolfiori, rape, ravanelli.

DIFESA per sconfiggere la cavolaia è consigliabile eliminare manualmente le


uova e impolverare le foglie con farina di alghe calcaree. Solo in caso di forte
attacco si può ricorrere al Bacillus thuringiensis, il quale produce protossine
che risultano tossiche soprattutto per le forme larvali.
PREVENZIONE: la difesa preventiva consiste nell’evitare la successione con
qualsiasi altra varietà di cavolo o di crocifera.
Inoltre, per tutto il periodo di volo della cavolaia, è utile trattare le piante con
decotto di tanaceto o assenzio, ad azione repellente.
Cladosporiosi
DESCRIZIONE DEI DANNI: questa malattia è provocata dal Cladosporiom
fulvum, un fungo molto dannoso che sopravvive sui residui vegetali e si
sviluppa soprattutto in ambienti poco arieggiati e con molta umidità, come le
serre. Causa la comparsa di macchie di forma irregolare gialle o rosso cupo
sul lembo fogliare delle piante colpite: inizialmente si tratta di macchie di
piccole dimensioni e localizzate vicino alle nervature, in seguito si estendono
a tutta la lamina, provocandone l’accartocciamento e il disseccamento. Nella
pagina inferiore le stesse macchie assumono una consistenza vellutata di
colore grigio verde.
La cladosporiosi può colpire anche i frutti che sviluppano delle macchie
marroni di consistenza simile al cuoio e con depressioni rispetto alla
superficie del frutto; compaiono inoltre ulcere con colature gommose che,
successivamente, si trasformano in una muffa grigiastra capace di alterare i
tessuti.

SPECIE MINACCIATA: la cladosporiosi attacca prevalentemente pomodori,


zucchine, cetrioli, meloni e più raramente l’anguria.

DIFESA: la lotta diretta prevede soprattutto trattamenti a base di ossicloruro


di rame.
PREVENZIONE: la difesa preventiva si effettua con ampie rotazioni,
evitando ristagni idrici ed eccessive irrigazioni, scegliendo varietà resistenti e
semi non infetti, eliminando residui vegetali di precedenti colture, evitando
semine fitte e concimazioni troppo azotate, arieggiando i locali (per esempio
le serre).
Cocciniglie
DESCRIZIONE DEI DANNI: emitteri assai comuni e tra i più difficili da
combattere per il fatto che in alcuni stadi del loro sviluppo si proteggono con
scudetti coriacei o lanuginosi. Si sviluppano in maniera massiccia sui rami in
luoghi riparati e prediligono i climi caldi e caratterizzati da scarsa umidità.
Responsabili dei danni alle coltivazioni sono le femmine che si concentrano
soprattutto sui fusti e sulla pagina inferiore delle foglie, nutrendosi della linfa
delle piante (la saliva delle cocciniglie contiene una sostanza in grado di
distruggere la pareti cellulari vegetali). I danni possono essere diretti con
asportazione di linfa dai frutti e dai rami, o indiretti, a causa dell’abbondante
melata prodotta dalle cocciniglie, sulla quale si insedia il micelio della
fumaggine. Le piante colpite presentano decolorazioni, macchie, foglie
deformi e ritardo nello sviluppo di foglie e rami.

SPECIE MINACCIATA: colpisce alberi da frutto, arbusti e ceci.

DIFESA: in caso di attacchi limitati si può tentare di eliminarle lavando la


parte infestata con batuffoli di cotone imbevuti d’alcol o strofinandola
delicatamente con spazzole setolose. In caso di attacchi più massicci si
consiglia il trattamento con olio bianco, da evitare quando la temperatura
esterna è elevata perché può bruciare la pianta.
In estate vanno impiegati oli di ultima generazione utilizzabili su piante in
vegetazione.
PREVENZIONE: le misure preventive consistono in interventi irrigui corretti
e concimazioni non troppo ricche di azoto.
Criocere
DESCRIZIONE DEI DANNI: le criocere sono coleotteri di piccole
dimensioni, le cui larve e adulti rosicchiano la parte aerea delle piante,
soprattutto di quelle giovani. Particolarmente pericolosa è la Crioceris
asparagi, che attacca l’asparago causando gravi danni ai turioni: l’adulto, di
colore rossastro, sverna nel terreno e a primavera le femmine depongono le
uova sugli asparagi.
Anche le liliacee sono soggette all’attacco di questi dannosi e frequenti
parassiti, nello specifico della criocera dell’aglio, un piccolo coleottero scuro
lungo 8-10 mm, le larve del quale si sviluppano all’interno dei bulbi,
attaccandoli quando si trovano nella fase di accrescimento.

SPECIE MINACCIATA: asparagi e liliacee (aglio, cipolla, porro).

DIFESA: consiste nella distruzione delle parti attaccate. Solo in caso di forti
attacchi si può ricorrere al piretro, al legno quassio e al rotenone.
PREVENZIONE: come prevenzione è consigliabile aspergere di litotamnio le
foglie quando queste sono umide di rugiada. Può essere inoltre opportuno
consociare l’asparago con il basilico, che svolge un’azione repellente. Per
quanto riguarda le liliacee, è preferibile non fare uso letame fresco e scegliere
varietà tardive; nelle ore più calde della giornata, è bene arieggiare le colture
protette, affinché non si verifichino ristagni di umidità, che favoriscono la
comparsa di marciumi.
Dorifora
DESCRIZIONE DEI DANNI: è un grazioso quanto indesiderato coleottero i
cui adulti misurano circa 1 cm di lunghezza e sono di colore giallo-aranciato
con 10 linee longitudinali sul dorso.
Sverna come adulto nel terreno e inizia la sua attività in primavera, appena la
temperatura del suolo raggiunge i 14°C. L’azione della dorifora avviene a
danno dell’apparato epigeo, utilizzato completamente, con l’eccezione delle
nervature principali, da larve e adulti. In caso di forte attacco, l’apparato
fogliare può essere totalmente distrutto e il raccolto compromesso.

SPECIE MINACCIATA: attacca soprattutto patate, melanzane e più


raramente pomodori.

DIFESA: lotta diretta consiste nella raccolta a mano di larve e adulti e in


trattamenti a base di litotamnio o polvere di rocce, spolverando soprattutto la
pagina inferiore delle foglie al mattino presto con la rugiada. Solamente in
caso di forte attacco, usare piretro o rotenone. Nella lotta a questo dannoso
coleottero si rivelano utili anche il Bacillus thuringiensis e l’Edovum puttleri,
un imenottero che depone le proprie uova all’interno delle uova della
dorifora.
PREVENZIONE: come misure preventive è consigliabile utilizzare solo
letame o compost ben maturo, dopo la raccolta distruggere tutti i residui
colturali evitando di lasciare i tuberi nel terreno e distribuire macerato
d’ortica appena si differenziano le prime foglie al fine di stimolare la crescita
delle piante.
Elateridi
DESCRIZIONE DEI DANNI: le larve di questi coleotteri (dette anche “vermi
fil di ferro” per la consistenza del loro rivestimento esterno) sono di colore
giallo ocra e possono misurare fino a 20 mm di lunghezza. Prediligono terreni
umidi, molto ricchi di sostanza organica, e attaccano le piante giovani
all’apparato radicale e al colletto, persistendo per più anni nel terreno. La
piante colpite deperiscono e si seccano; nei tuberi si evidenzia una riduzione
della capacità riproduttiva e, nei casi più gravi, anche della commestibilità.

SPECIE MINACCIATA: attaccano soprattutto le patate, rodendone i tuberi


appena iniziano a ingrossarsi, ma anche le cipolle.

DIFESA: vengono naturalmente combattuti dalla presenza di talpe e uccelli,


ma può essere utile anche usare esche, come cespi di insalata oppure patate e
barbabietole tagliate e conficcate nel terreno con la polpa rivolta verso il
basso. Anche l’uso di funghi entomoparassiti si è rivelato efficace.
PREVENZIONE: la difesa preventiva prevede sovesci di senape,
concimazioni effettuate con letame maturo e distribuzione di litotamnio nei
terreni con reazione acida.
Ernia del cavolo
DESCRIZIONE DEI DANNI: malattia fungina responsabile della formazione
di tumori e galle sulle radici e più raramente anche alla base del fusto. In
corrispondenza della parte aerea delle piante si verificano ingiallimenti e
rachitismo, con segni di appassimento che scompaiono durante la stagione
piovosa.
Sulle radici compaiono protuberanze che diventano rugose prima di
decomporsi oppure ingrossarsi e la pianta colpita deperisce e poi muore.
Il fungo responsabile di questa patologia può sopravvivere anche per 10 anni
all’interno del terreno. Si può diffondere con spostamenti involontari di terra
infetta e il suo sviluppo è favorito dai terreni acidi e asfittici caratterizzati da
ristagni d’acqua ed eccessiva umidità del suolo. In caso di attacco grave può
essere compromesso l’intero raccolto.

SPECIE MINACCIATA: cavoli, cavolfiori.

DIFESA: la difesa diretta contro questa malattia si basa sulla distruzione delle
piante infette.
PREVENZIONE: l’ernia si previene soprattutto usando sementi di varietà
resistenti, evitando di coltivare crocifere sullo stesso terreno prima che siano
trascorsi almeno 7 anni e utilizzando letame ben maturo. Si rivela opportuno
anche somministrare calce al terreno, dal momento che l’acidità è uno dei
fattori che favoriscono la malattia.
Grillotalpa
DESCRIZIONE DEI DANNI: è un grosso insetto bruno scuro, lungo circa 4-5
cm e munito di ali anteriori, che attraverso gallerie e cunicoli scavati nel
terreno giunge a spezzare e rodere radici e colletto di molte piante, soprattutto
giovani, causandone appassimento e morte in tempi rapidi. Esce
preferibilmente la notte ed è molto frequente nei terreni umidi e ricchi di
sostanza organica. Predilige in modo particolare i tuberi di patata ed è un
animale incredibilmente vorace.

SPECIE MINACCIATA: tra le specie più colpite dal grillotalpa ci sono


soprattutto asparagi, cardi, carote, cetrioli, cicorie e radicchi, finocchi, patate,
ravanelli.

DIFESA: il grillotalpa si combatte versando nei fori delle sue gallerie una
miscela composta da 50 ml di olio vegetale, 20 ml di piretro, 10 l di acqua,
oppure interrando nel suolo recipienti profondi dalle pareti lisce da svuotarsi
con regolarità. Un rimedio particolarmente utile è costituito dall’impiego di
esche avvelenate, che devono essere posizionate dopo aver annaffiato il
terreno per farlo uscire dalla tana.
PREVENZIONE: non esistono molti mezzi difesa preventiva, un consiglio
utile è quello di non lasciare sul terreno residui di coltivazioni ed evitare
concimazioni troppo ricche di letame.
Lumache e limacce
DESCRIZIONE DEI DANNI: la presenza di lumache (con la conchiglia) e
limacce (senza conchiglia) è facilmente riscontrabile dalle iridescenti tracce
di bava visibili sul terreno; i germogli inoltre risultano rosicchiati o,
addirittura, completamente divorati. I danni provocati da questi animali sono
anche indiretti, in quanto le piante attaccate diventano particolarmente
esposte all’azione di funghi, batteri e virus. Lumache e limacce sono animali
costantemente presenti nell’orto, soprattutto quando il clima è umido.

SPECIE MINACCIATA: soprattutto asparagi, bietole, cardi, finocchi, lattuga,


valerianella, spinaci, bietole, cavoli, fragole.

DIFESA: lumache e limacce si combattono con la raccolta manuale, oppure


distribuendo al limite delle coltivazioni barriere di cenere: strisciando su
queste superfici, la loro bava viene assorbita e pertanto, mancando il
“lubrificante”, non riescono a proseguire la marcia verso i raccolti da
proteggere. Un altro metodo di difesa consiste nell’affondare nel terreno, in
prossimità delle piante da difendere, alcuni vasetti di vetro o plastica liscia
contenenti birra, di cui le lumache sono avide e dai quali non riescono più a
uscire.
Se l’invasione è massiccia i danni potrebbero essere molto gravi ed è quindi
consigliabile ricorrere ai prodotti lumachicidi, anche di tipo biologico, di
immediata e sicura efficacia.
PREVENZIONE: evitare la pacciamatura e le annaffiature serali (l’umidità le
favorisce) e usare recinzioni anti-lumaca.
Maggiolino
DESCRIZIONE DEI DANNI: si tratta di un grazioso coleottero, ampiamente
diffuso in Italia, di colore bruno-rossiccio e antenne munite di un
caratteristico ventaglio. Le larve, di colore biancastro, divorano le radici delle
piante, con una predilizione per quelle più giovani, causando l’improvviso
appassimento cui segue, di solito, la morte. Gli adulti, invece, si nutrono della
parte aerea, in alcuni casi defogliando completamente le piante attaccate.
Un attacco di larve di maggiolino è facilmente identificabile dalle gallerie
scavate nel terreno.

SPECIE MINACCIATA: i maggiolini attaccano soprattutto asparagi, bietole,


cardi, cavoli, cetrioli, cicorie e radicchi, finocchi, prezzemolo.

DIFESA: oltre a interventi con insetticidi, la difesa prevede l’eliminazione


manuale delle larve durante la lavorazione del terreno e l’impiego di esche
avvelenate. Risulta particolarmente utile anche stendere apposite reti sul
terreno per impedire ai maggiolini di alzarsi in volo e accoppiarsi. Risultati
soddisfacenti si ottengono anche utilizzando il fungo entomoparassita
Beuveria brongnartii. Esistono inoltre molti uccelli che si nutrono delle larve
di maggiolino e svolgono, quindi, un’importante azione di contenimento.
PREVENZIONE: come misura preventiva è consigliabile zappare
frequentemente il terreno intorno alle piante.
Mosca bianca
DESCRIZIONE DEI DANNI: il Trialeurodes vaporarium è una piccola mosca
bianca in grado di infestare un notevole numero di ortaggi e fiori. La neanide
si posiziona sulla pagina inferiore delle foglie dove si nutre sottraendo linfa;
tale azione, unitamente all’abbondante produzione di melata, favorisce lo
sviluppo di funghi dannosi (per esempio la fumaggine), causa ingiallimenti,
porta al deperimento generale della pianta e in casi estremi alla morte.
Sviluppa diverse generazioni all’anno (fino a 5) a seconda dell’andamento
climatico. La sua presenza è favorita dal clima caldo e umido e dalla
mancanza di areazione, ecco perché in serra si riproduce ininterrottamente
con un rallentamento nel periodo invernale.

SPECIE MINACCIATA: colpisce prevalentemente patate, fagioli, pomodori,


melanzane, peperoni, cavoli, cetrioli.

DIFESA: la lotta diretta si basa sulla distruzione delle piante attaccate,


sull’uso di trappole cromotropiche gialle e trattamenti con infuso di tanaceto.
La mosca bianca si contrasta anche con l’impiego di insetti utili come
Encarsia tricolor, E. formosa e specie del genere Orius. Buoni risultati si
ottengono anche impiegando il fungo entomoparassita Verticillium lecanii.
Solo in caso di grave attacco trattare le piante con piretro o rotenone.
PREVENZIONE: come misure preventive è bene mantenere il terreno umido
con pacciamature o frequenti irrigazioni, arieggiare le serre, distribuire sulle
piante farina di rocce.
Mosca del cavolo
DESCRIZIONE DEI DANNI: si tratta in realtà di due mosche, Hylemyia
brassicae e H. floralis, delle quali la prima è molto simile alla mosca
domestica, ma di dimensioni inferiori (5-6 mm). Entrambe presentano 2 o 3
generazioni l’anno, ma soltanto la prima risulta particolarmente pericolosa.
All’inizio della primavera dalle uova deposte nel terreno presso il colletto
delle piante fuoriescono larve che penetrano nella radice e nel fusto causando
gravi danni.
Le foglie delle specie colpite assumono colore giallo-plumbeo e, qualora si
verifichi un forte attacco, le piante possono avvizzire del tutto. In seguito
all’attacco, inoltre, si sviluppano facilmente pericolose e rapide infezioni
batteriche.

SPECIE MINACCIATA: cavoli, barbabietole, ravanelli.

DIFESA: la lotta diretta consiste nel distribuire farina di rocce o di alghe sulle
giovani piantine, distruggere oppure ben compostare le piante attaccate,
asportando con esse anche il pane di terra circostante che può contenere le
uova, annaffiare con sapone nero diluito in acqua.
Possono essere impiegati anche alcuni tipi di coleotteri e acari che si nutrono
delle uova della mosca del cavolo.

PREVENZIONE: è consigliabile evitare l’impiego di letame fresco che attira


la mosca, lavorare bene il terreno per esporre le larve agli uccelli, prevedere
la consociazione con pomodoro e levistico o la copertura dell’interfila con
trifoglio per ostacolare la deposizione delle uova, trapiantare profondamente
e rincalzare (evitando di trapiantare durante l’epoca di volo della mosca).
Mosca del sedano
DESCRIZIONE DEI DANNI: la Philophylla heraclei (comunemente chiamata
mosca del sedano) è una piccola mosca i cui adulti, di color giallo-rossiccio,
misurano 4-5 mm di lunghezza.
Presenta circa 4-5 generazioni annue, a seconda delle condizioni climatiche
del luogo. Gli adulti sfarfallano nel periodo compreso da maggio a settembre
e depongono le uova all’interno delle foglie. Dalle uova fuoriescono larve
che si nutrono della parte interna delle foglie scavando gallerie nel mesofillo.
Attacca prevalentemente durante i mesi estivi: le specie colpite presentano
foglie ingiallite e quasi trasparenti all’interno delle quali si trovano le larve.
I danni provocati dalla mosca del sedano sono sia diretti, sia indiretti perché
scavando nelle foglie facilita l’insorgere e il diffondersi di numerose
infezioni.

SPECIE MINACCIATA: la Philophylla heraclei colpisce prevalentemente il


sedano, ma può attaccare anche le piante di prezzemolo.

DIFESA: la lotta diretta contro la mosca del sedano prevede l’impiego di


estratto di assenzio o legno quassio e sapone sciolti in acqua.
Solamente nel caso si verifichi un forte attacco, utilizzare rotenone oppure
piretro.

PREVENZIONE: la difesa preventiva contro questo parassita consiste


nell’alternare al sedano filari di cipolle, porro o aglio e preferire le semine
precoci o tardive che sfuggono all’attacco della mosca.
Durante il periodo di sfarfallamento degli adulti è consigliabile bagnare le
piante 2 volte alla settimana con infuso di tanaceto, bucce di cipolla oppure di
aglio.
Mosca dell’asparago
DESCRIZIONE DEI DANNI: è una piccola mosca lunga 5-7 mm, di colore
bruno-scuro.
Le femmine depongono le uova all’apice dei germogli. Le larve che ne
fuoriescono si nutrono dei tessuti circostanti e scavano gallerie all’interno dei
turioni fino ad arrivare al rizoma, dove si impupano. La mosca dell’asparago
presenta una sola generazione annuale.
Un attacco da parte di questo parassita può determinare la morte precoce o la
deformazione dei turioni attaccati e l’indebolimento di tutta la pianta sia per
la riduzione dell’attività fotosintetica sia per i danni a carico del rizoma.

SPECIE MINACCIATA: asparago. I danni maggiori sono a carico dei


semenzai e delle giovani asparagiaie, mentre ne sono indenni le asparagiaie in
produzione, dove i turioni vengono colti prima della schiusa delle uova.

DIFESA: la lotta diretta si basa sull’asportazione e distruzione degli steli


attaccati e sull’utilizzo di radice di felce maschio in polvere e litotamnio
distribuiti al mattino presto con la rugiada, oppure legno quassio e sapone
diluiti in acqua. La mosca dell’asparago si combatte anche con l’immissione
nell’ambiente dell’imenottero predatore Dacnusa rodanii e D. pedidata.

PREVENZIONE: le misure preventive da attuare contro questo animale


consistono nello scegliere per l’impianto dell’asparagiaia la zona più ventilata
dell’orto e nel seminare a lato dell’asparagiaia 2 file di avena o di frumento
(ostacola la deposizione delle uova).
Anche il pomodoro svolge un’azione repellente contro la mosca.
Mosca della carota
DESCRIZIONE DEI DANNI: la Psilla rosae è una piccola mosca dal corpo
nero brillante e ali traslucide che depone le uova nel terreno in prossimità del
colletto delle piante. Dalle uova nascono larve che raggiungono le radici e si
sviluppano all’interno dei fittoni, scavandovi una rete di gallerie irregolari
che li portano alla marcescenza. Una volta raggiunto il giusto accrescimento
le larve abbandonano il fittone e si impupano nel suolo.
Le carote attaccate da questa mosca assumono sapore e odore sgradevoli,
presentano fenditure rossicce e foglie ingiallite.
Un forte attacco di questo parassita può compromettere il raccolto e
manifestarsi con gravi conseguenze anche in magazzino.

SPECIE MINACCIATA: colpisce soprattutto la carota, ma anche sedano e


prezzemolo.

DIFESA: la lotta diretta consiste in trattamenti con estratto di assenzio o di


legno quassio e sapone diluiti in acqua. È utile anche spolverare al mattino
presto con la rugiada una mistura di radice di felce maschio in polvere e
litotamnio.

PREVENZIONE: evitare semine fitte, mantenere una corretta umidità del


terreno, preferire le semine anticipate o tardive, evitare l’impiego di sostanza
organica non decomposta, annaffiare dopo la semina con infuso di tanaceto,
assenzio, aglio o bucce di cipolla, eseguire i diradamenti verso sera
allontanando dal terreno le foglie e i fittoni estirpati, consociare con porri,
cipolle o aglio, repellenti.
Mosca della cipolla
DESCRIZIONE DEI DANNI: l’Hylemia antiqua è una piccola mosca simile a
quella domestica, i cui adulti presentano una colorazione colore grigia-
giallastra.
La prima generazione si manifesta nel periodo che va da aprile a maggio,
quando le femmine depongono le uova in prossimità del colletto o sulle
foglie. Dalla uova fuoriescono larve biancastre che divorano il cuore del
bulbo.
Attacca i bulbi in qualsiasi stadio e, in caso di attacchi precoci, può
determinare la morte della pianta. I danni causati dalla mosca della cipolla
sono sia diretti, sia indiretti in quanto possono favorire l’insorgere di
infezioni batteriche responsabili della rapida comparsa di marciumi.

SPECIE MINACCIATA: attacca da aprile a luglio i bulbi di aglio, cipolla,


porro e scalogno.

DIFESA: la difesa diretta consiste nell’eliminare le piante attaccate e, nei casi


più gravi, nell’utilizzo di trattamenti a base di rotenone o legno quassio.

PREVENZIONE: come misure preventive contro questo pericoloso parassita


è consigliabile utilizzare solo letame ben maturo, effettuare semine tardive,
trattare le giovani piantine con polvere di roccia o litotamnio, utilizzare
infuso di tanaceto o assenzio 2 volte la settimana nel periodo di volo della
mosca, distribuire fiori di zolfo e fuliggine tra le file.
È inoltre opportuno consociare con le carote (la mosca della cipolla viene
respinta dall’odore della carota, così come la mosca della carota da quello
della cipolla).
Si consiglia infine di localizzare le colture di liliacee in luoghi soleggiati e
coprirle con reti o altre strutture protettive.
Nematodi
DESCRIZIONE DEI DANNI: con il termine nematodi (chiamati anche
anguillule per il loro aspetto) si indicano varie specie di vermi di piccolissime
dimensioni che vivono nel terreno. In generale svolgono un’azione benefica
all’interno dell’orto, ma alcune specie sono assai dannose per ortaggi e fiori
in quanto le larve si introducono nell’apparato radicale (e talvolta anche nel
fusto e nelle foglie) causando ingrossamenti, deformazioni e galle che
successivamente marciscono, portando la pianta a morte rapida. Succhiando
la linfa creano anche danni indiretti perché facilitano la comparsa di virosi.
Un forte attacco può determinare la perdita del raccolto.

SPECIE MINACCIATA: i nematodi attaccano prevalentemente patate, cicorie


e radicchi, cipolle, carote e fragole.

DIFESA: i pochi mezzi di lotta diretta contro questi parassiti consistono


prevalentemente in fumigazioni del terreno e distruzione delle parti colpite.
Esistono batteri e funghi che attaccano i nematodi, ma questo tipo di
intervento non ha dato risultati soddisfacenti.
PREVENZIONE: la difesa preventiva si basa sull’apporto di sostanza
organica stagionata nel terreno, sovesci di senape, corrette rotazioni e
consociazioni con piante antagoniste come tagete e calendula. È inoltre di
fondamentale importanza utilizzare sempre semi sani.
Oidio
DESCRIZIONE DEI DANNI: l’oidio, noto anche come “mal bianco”, è una
delle più comuni malattie fungine, facilmente riconoscibile per una muffa
bianca feltrosa, molto simile al borotalco, che interessa gli organi verdi della
pianta e, in modo particolare, foglie, fusti e boccioli. Le foglie colpite dal
fungo all’inizio della loro differenziazione rimangono atrofizzate,
sviluppandosi in forma contorta e risultando ricoperte da uno strato
polverulento biancastro. Quelle colpite in uno stadio più avanzato assumono
una forma lanceolata, con margini irregolarmente frastagliati e la solita patina
bianco-giallastra. Quelle colpite alla maturità hanno solo delle zone
clorotiche con scarsa presenza del velo biancastro. Anche i germogli vengono
avvolti dal feltro bianco che rimane evidente quando giungono a maturazione
e ne ostacola lo sviluppo.

SPECIE MINACCIATA: tra le specie più frequentemente attaccate dal mal


bianco ci sono cetrioli, cicorie, lattuga, piselli, prezzemolo, zucchine, bietola,
fragole.

DIFESA: per combattere questa malattia, difficile da sconfiggere, sono utili lo


zolfo ventilato (in alternativa è possibile irrorare le piante con zolfo
bagnabile), il decotto di equiseto con silicato di sodio e la soluzione
idrolcolica di propoli e sulfar. Vanno inoltre eliminate le parti colpite.

PREVENZIONE: è sempre consigliabile scegliere varietà resistenti, seminare


non troppo fitto, arieggiare le serre, evitare concimazioni troppo azotate e
l’utilizzo di letame o compost maturo.
Oziorrinco
DESCRIZIONE DEI DANNI: si tratta di un coleottero che agisce
prevalentemente di notte, provocando danni anche rilevanti alle coltivazioni.
Le femmine depongono le uova a poca profondità nel terreno e da queste
nascono larve che rimangono a lungo nel suolo e si cibano delle radici e del
colletto delle piante. Gli adulti, di forma ovale e colore nero con elitre rugose
punteggiate di nero-giallo, rimangono nascosti durante il giorno e di sera si
arrampicano sui fusti delle giovani piante per nutrirsi delle foglie più tenere e
dei germogli. I danni dovuti all’azione dell’oziorrinco sono facilmente
riconoscibili per la presenza sulle foglie di caratteristiche erosioni a forma di
mezzaluna.

SPECIE MINACCIATA: tra le specie ortive attacca soprattutto le fragole.

DIFESA: l’oziorrinco si nasconde all’interno dello stelo delle piante ed è


molto difficile sconfiggerlo. Può essere utile utilizzare soluzione acquosa di
neem, liquidi contenenti nematodi che attaccano le larve oppure funghi
entomoparassiti. Se la porzione di terreno sul quale è presente non ha
dimensioni eccessive è possibile raccogliere a mano adulti e larve.
PREVENZIONE: le misure preventive consistono nell’impedire agli adulti di
raggiungere le foglie delle piante. Per ottenere questo è possibile utilizzare
strisce vischiose su cui l’oziorrinco resta attaccato oppure strisce lisce che
non consentano all’animale di aderire alla superficie.
Peronospora
DESCRIZIONE DEI DANNI: malattia fungina che colpisce prevalentemente
le foglie causando caratteristiche aree rotondeggianti a bordo irregolare sulla
pagina superiore (le cosiddette “macchie d’olio”), in corrispondenza delle
quali sulla pagina inferiore si sviluppa una tipica muffetta grigio-violacea.
Nel punto in cui si trovano le lesioni sulle foglie si verifica il ripiegamento
che porta al disseccamento della parte apicale delle stesse. Se l’infezione non
viene tempestivamente bloccata può diffondersi ai frutti con la comparsa di
macchie brune che interessano gran parte della superficie.
La malattia è molto dannosa sul pomodoro perché i frutti non riescono a
maturare e marciscono. La peronospora necessita di umidità persistente ed è
abbastanza frequente in primavera ed estate.

SPECIE MINACCIATA: tra le principali piante colpite, carote, cavoli, cicorie


e radicchi, lattuga, spinaci, cipolle, bietole, cetrioli, patate, pomodori,
peperoni, melanzane, meloni. Raramente colpisce l’anguria.

DIFESA: la lotta diretta si basa soprattutto sull’eliminazione delle parti


infette, trattamenti con ossicloruro di rame o poltiglia bordolese e praparati a
base di soluzione idroalcolica di propoli e sulfar.

PREVENZIONE: si previene con corrette rotazioni, evitando ristagni d’acqua


e scegliendo varietà resistenti. Si consiglia inoltre di non piantare o seminare
troppo fitto. Può essere utile trattare le piante con infuso di equiseto o
macerato d’ortica.
Ragnetto rosso
DESCRIZIONE DEI DANNI: Il Panonychus ulmi, più noto come ragnetto
rosso (originariamente è trasparente, solo da adulto assume questa
colorazione), colpisce sia alberi da frutto sia ortaggi, nascondendosi sulla
pagina inferiore delle foglie per succhiarne la linfa. Gli organi vegetali più
frequentemente interessati dall’attacco sono le foglie, ma il danno può
interessare anche le gemme appena schiuse con conseguente emissione di
foglie deformi. Le foglie colpite presentano un’estesa punteggiatura
biancastra, con il conseguente ingiallimento e, nel caso di attacchi tardivi,
può verificarsi la caduta precoce. In generale i sintomi legati all’attacco di
ragnetto rosso sono la riduzione dell’attività fotosintetica, l’ingiallimento
delle foglie e, nei casi più gravi, la completa defogliazione della pianta.

SPECIE MINACCIATA: attacca soprattutto pomodori, peperoni, carote,


melanzane, fagioli.

DIFESA: la lotta diretta consiste nel distruggere le piante attaccate, bagnare le


piante con getti d’acqua a pressione elevata per staccare gli acari, utilizzare
trattamenti a base di acqua saponata o macerato d’ortica arricchito con
bentonite e, solo in caso di forte attacco, trattare le piante con piretro o
rotenone.
Si contrasta anche immettendo nell’ambiente l’acaro antagonista
Phytoseiulus persimilis.
PREVENZIONE: come difesa preventiva contro il ragnetto rosso è
consigliabile limitare l’apporto di azoto e utilizzare trattamenti a base di
litotamnio e farina di rocce.
Ruggini
DESCRIZIONE DEI DANNI: malattia fungina che si presenta con pustole e
macchie color ruggine presenti sulla pagina inferiore delle foglie, in
corrispondenza delle quali sulla pagina superiore compaiono macchie
giallastre che si estendono a tutta la lamina fogliare, che poi ingiallisce, secca
e cade. Attacca prevalentemente in primavera e autunno. Si tratta di una
malattia molto dannosa per alcune specie ortive, come l’asparago. Per questo
ortaggio il fungo responsabile è la Puccinia asparagi che in primavera
attacca i turioni causando piccole macchie ovali giallo-arancio che si
diffondono su fusti, rami e foglie e caratteristiche pustole brunastre dalle
quali fuoriesce una polvere rossiccia. In seguito a questi attacchi, la parte
aerea dissecca e la produzione si riduce sensibilmente anche l’annata
seguente.

SPECIE MINACCIATA: asparagi, carote, fagioli, fave, piselli, sedani, cipolle,


prezzemolo, ribes.

DIFESA: la lotta diretta contro le ruggini consiste nella distruzione delle


piante colpite e nell’utilizzo di decotto di equiseto, poltiglia bordolese o
fungicidi specifici.
PREVENZIONE la difesa preventiva consiste in corrette rotazioni, impiego di
varietà resistenti, pacciamature del terreno intorno alle piante, semine non
troppo fitte, trattamenti con polvere di roccia. Per quanto riguarda l’asparago,
l’azione preventiva prevede l’eliminazione in primavera di eventuali piante di
asparago selvatico situate nelle vicinanze della coltivazione. In autunno si
distruggono col fuoco gli steli dopo averli falciati.
Sclerotinia
DESCRIZIONE DEI DANNI: il fungo responsabile di questa malattia causa su
radici, bulbi, tuberi e fusti marciumi nei quali si formano corpi nerastri; sulla
parte aerea della pianta determina invece la formazione di muffa grigia.
Colpisce spesso le carote dove si manifesta con marciumi sulle foglie più
esterne, che ingialliscono e si adagiano sul terreno, mentre sullae radici causa
marcescenze che, favorite dall’umidità, si ricoprono spesso di una muffetta
feltrosa biancastra. Nei casi più gravi la commerciabilità delle carote viene
compromessa. La sclerotinia colpisce anche le composite facendo marcire le
foglie più esterne: in caso di attacco gravi l’intero cespo può ingiallire e
staccarsi dalla radice. Il fungo può resistere nel terreno anche per anni e la
sua diffusione è favorita da umidità e temperature elevate, oltre a
un’eccessiva presenza di sostanza organica nel terreno.

SPECIE MINACCIATA: la sclerotinia attacca prevalentemente aglio, lattuga,


indivia, carciofi, carote, sedani e finocchi.

DIFESA: occorre distruggere bulbi e tuberi infetti e trattare con prodotti


specifici, tra cui poltiglia bordolese e ossicloruro di rame.
Si possono utilizzare anche funghi antagonisti (Trichoderma hartianum e T.
viride).
PREVENZIONE: la sclerotinia si combatte con corrette rotazioni, evitando
ristagni idrici, arieggiando le serre, solarizzando le colture, evitando il
contatto delle foglie con il terreno, usando trattamenti con decotto di
equiseto, spolverando polvere di roccia o litotamnio nelle buche di trapianto.
Septoriosi
DESCRIZIONE DEI DANNI: la septoriosi è provocata da un fungo che passa
l’inverno sui residui di piante infette e sui semi, per poi propagarsi alle piante
durante la stagione vegetativa. L’infezione è favorita da condizioni di tempo
umido ed è riconoscibile dalla presenza di macchie o tacche necrotiche
circondate da un alone clorotico, dai ritardi di crescita e dallo sviluppo ridotto
dell’esemplare colpito.
L’evoluzione della malattia determina la distruzione totale dei vasi linfatici e,
di conseguenza, la morte della parte di pianta che si trova al di sopra della
zona attaccata. Nel sedano, frequentemente colpito da septoriosi, appaiono
anche lesioni brune sui piccioli.

SPECIE MINACCIATA: attacca in prevalenza cetrioli, pomodori, sedani,


zucche, zucchine.

DIFESA: la lotta diretta prevede l’eliminazione delle piante colpite e


trattamenti a base di poltiglia bordolese da somministrare alla comparsa dei
primi sintomi della malattia.

PREVENZIONE: è consigliabile utilizzare varietà resistenti, escludere la


ripetizione della coltura sullo stesso terreno prima di 2-3 anni ed evitare
l’utilizzo di acqua fredda per irrigare. Nel caso del sedano è opportuno
impiegare semi di 2 anni, conciare i semi mediante bagno in acqua calda a
50°C per 25 minuti o a 47,5°C per 30 minuti, non ripetere la coltura di sedano
o di altre ombrellifere prima di 2-3 anni sullo stesso appezzamento; utilizzare
varietà resistenti come Verde di Perpignano, Costellation, Lentissimo da
forzare ecc.
Ticchiolatura
DESCRIZIONE DEI DANNI: si tratta di una grave malattia originata da vari
ceppi fungini e si manifesta soprattutto quando il clima è mite e le foglie
restano bagnate per lunghi periodi di tempo. Il periodo d’incubazione è
variabile e la malattia si manifesta con fenditure e macchie rotondeggianti di
colore brunastro sulla pagina superiore delle foglie, alle quali corrisponde
sulla pagina superiore una muffetta grigiastra.
Le foglie infette tendono a cadere e, se il fungo non viene rapidamente
neutralizzato, si estende anche alle foglie giovani, bloccandone la crescita, e
ai frutti, che manifestano macchie scure, profonde fenditure e marcescenza.
Un attacco grave può avere ripercussioni anche sulle annate successive.

SPECIE MINACCIATA: tra le specie più frequentemente colpite da


ticchiolatura ci sono sedani, cetrioli, meloni, prezzemolo.

DIFESA: la difesa diretta prevede la distruzione delle parti infette e l’utilizzo


di trattamenti a base di ossicloruro di rame e calcio oppure poltiglia bordolese
all’1%.
PREVENZIONE: come misura preventiva generale è consigliabile scegliere
varietà resistenti. Per il sedano si consiglia di utilizzare seme non più giovane
di 2 anni, conciare i semi con bagno in acqua calda a 50°C per 25 minuti e
non ripetere la coltivazione di sedano nella stessa parcella per almeno 4 anni.
Tortrici
DESCRIZIONE DEI DANNI: le tortrici sono piccole farfalle, i cui bruchi, di
colore verde chiaro, possono divorare gli apici, rosicchiare foglie o petali,
avvolgerli e unirli assieme con un sottile filo sericeo per ricavarvi un rifugio.
Agiscono prevalentemente di notte e attaccano fiori, alberi da frutto e specie
ortive. Molto dannosa è la tortrice che attacca i piselli: questo parassita
depone le uova all’interno dei baccelli e le larve, una volta nate, perforano il
seme svuotandolo. Tra i tortricidi va ricordato un altro parassita, la tignola del
porro che attacca da aprile a luglio le giovani piantine di aglio, cipolla e
porro: è una piccola farfalla grigio chiara che depone le uova sulla pagina
inferiore delle prime foglie e sullo stelo. Le larve rodono le foglie interne
scavando gallerie e determinando in casi gravi la morte dell’intero bulbo.

SPECIE MINACCIATA: tra le specie maggiormente attaccate dalle tortrici ci


sono fagioli, piselli e carote. La tignola delle liliacee attacca aglio, cipolla e
porro.

DIFESA: la lotta diretta si effettua eliminando a mano le larve e utilizzando


trattamenti a base di calcare d’alghe. Può essere utile anche ricorrere a
zappature invernali che espongono le crisalidi alla voracità degli uccelli.
Solamente in caso di attacchi gravi, usare piretro.
PREVENZIONE: è bene evitare di seminare durante lo farfallamento e
consociare con calendula, senape e pomodoro. Risulta utile inoltre bagnare le
piante con infuso di equiseto. Contro la tignola del porro, si può usare il
Bacillus thuringiensis.
Virosi
DESCRIZIONE DEI DANNI: si tratta di malattie assai pericolose trasmesse da
virus, le cui infezioni vengono propagate attraverso afidi, nematodi o ferite
causate nel corso delle lavorazioni. Le malattie da virus si manifestano con
caratteristiche aree scolorite, note con il nome di mosaici, ma anche con altre
sintomatologie, come avvizzimenti, apici ricurvi, nanismo ecc. Una tra le più
diffuse virosi è il mosaico del cetriolo: le foglie della pianta presentano
macchioline gialle con bollosità, che interessano l’intero lembo fogliare;
l’aspetto delle foglie risulta irregolare e spesso la pianta che ha subito
l’attacco si presenta poco sviluppata e con scarsa capacità produttiva. I frutti,
raggiunta la maturità, sono deformi. Dannosa è anche la virosi che colpisce il
pomodoro: le foglie completamente sviluppate presentano sulla lamina aree
maculate di colore giallo, con distorsioni localizzate, e presenza di
accartocciamenti e deformità fra le nervature; i pochi frutti che riescono ad
accrescersi, hanno l’epidermide rugosa e solcata da lunghe aree necrotiche.

SPECIE MINACCIATA: le virosi colpiscono in prevalenza cetrioli, zucchine,


meloni, pomodori, peperoni, fagioli, lattuga, patate.

DIFESA: la lotta diretta si basa soprattutto sulla soppressione dei parassiti


vettori (in particolare afidi e nematodi) e sulla distruzione delle parti colpite.
PREVENZIONE: la difesa si basa sull’utilizzo di attrezzi da lavoro puliti,
sull’impiego di piantine e sementi resistenti e sulla protezione delle piante dai
parassiti vettori.
Schede delle piante
Aglio
Allium sativum (LILIACEE)

VARIETÀ: i diversi tipi di aglio in commercio sono riconducibili a due


varietà principali, l’aglio bianco o comune e l’aglio rosa. Il primo è rustico e
produttivo, si conserva bene e ha un aroma accentuato. Il secondo,
caratterizzato da tuniche rosate, ha un’aroma più dolce ed è precoce, ma ha
scarsa resistenza all’umidità, che ne condiziona la conservazione.

CLIMA: anche se particolarmente resistente alle basse temperature, le


migliori condizioni di accrescimento dei bulbi si registrano nei climi
temperato-caldi e in condizioni di prolungata luminosità. Dove si hanno
condizioni di giorno corto (meno di 11 ore di luce giornaliera) e temperature
inferiori ai 10-15°C l’aglio rimane verde e non differenzia i bulbilli. È
necessario quindi assicurare all’aglio una buona esposizione a sud e
temperature medie superiori ai 15°C (meglio se sono comprese tra i 18 e i
23°C).

TERRENO: è una pianta molto rustica che si può coltivare in qualsiasi


terreno, purché non troppo umido e compatto. Per avere un regolare
accrescimento dei bulbi ed evitare marciumi e lesioni al momento della
raccolta, è indispensabile una buona sofficità del terreno.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: si userà solo letame o compost ben
maturo nella quantità di 300-400 q/ha, distribuito durante l’estate o
addirittura l’anno precedente all’impianto. Prima della piantagione è bene
affinare il terreno ed effettuare un paio di sarchiature nel corso della coltura
per eliminare le infestanti e arieggiare il terreno. Se le piante fioriscono
anticipatamente bisogna asportare lo scapo fiorale (quando raggiunge
l’altezza di circa un palmo) per evitare che le sostanze nutritive presenti nelle
foglie, destinate a ingrossare i bulbilli, vengano impiegate per la
differenziazione degli organi di riproduzione.

IMPIANTO: l’investimento ottimale è di 25-30 bulbilli/mq (20-30 cm tra le


file e 12-15 cm sulla fila). Secondo il calendario lunare i giorni migliori per
piantare l’aglio sono quelli compresi tra il quinto giorno prima della luna
piena e il seguente. Le cultivar di aglio bianco si piantano da gennaio a
marzo, mentre quelle di aglio rosa vanno interrate in ottobre-novembre.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: l’aglio trae vantaggio quando


succede a una coltura da rinnovo che lascia il terreno con una buona fertilità
residua, soffice e con poche erbacce, per questo segue bene spinaci, cavoli e
patate.
Aglio bianco.

La consociazione dell’aglio con altri ortaggi risulta particolarmente


difficoltosa a causa dell’elevata sensibilità all’umidità. In particolare l’aglio
svolge un’azione deprimente nei confronti di fagioli, piselli e taccole, mentre
risulta vantaggiosa l’associazione con pomodori, fragole, cetrioli,
prezzemolo, lamponi. Per motivi fitosanitari è consigliabile far trascorrere
almeno 4-5 anni prima di ripetere la coltivazione dell’aglio sullo stesso
appezzamento di terreno.

SISTEMAZIONE A PORCHE

Nei piccoli orti caratterizzati da terreni molto compatti si può dare all’aglio una
sistemazione a porche, per ridurre almeno in parte i danni provocati dal ristagno
dell’acqua.

RACCOLTA: nelle regioni settentrionali l’aglio si estirpa tra giugno e agosto,


in quelle meridionali la raccolta è anticipata di 1-2 mesi. Le varietà
primaticce, destinate a essere consumate ancora allo stato fresco, si
raccolgono già a marzo.
AVVERSITÀ: criocera, nottua, tignola e mosca possono attaccare l’aglio. Tra
le crittogame, oltre a peronospora e ruggine, sono particolarmente temibili il
marciume del cuore e il mal dello sclerozio. Il primo si manifesta nelle
stagioni caldo-umide; il secondo, che determina il marciume delle radici e la
rapida morte della pianta, si evita rispettando le rotazioni delle colture.

RACCOLTA DELL’AGLIO

La raccolta dell’aglio si esegue con il bel tempo quando la pianta presenta le


foglie completamente secche. A estirpamento compiuto si nettano le teste dalla
terra, e si lascia la pianta ad asciugare per qualche tempo sul terreno all’aria e
al sole, prima di procedere all’immagazzinamento.

EMISSIONE DELLO SCAPO


L’emissione dello scapo fiorale sottrae importanti sostanze nutritive alla crescita
dei bulbi e sembra essere un fenomeno ereditario: è bene quindi non utilizzare
per la piantagione bulbilli provenienti da piante che hanno manifestato una
simile tendenza.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Nella scelta del tipo di aglio bisogna tener conto che quello
bianco resiste meglio al freddo, si conserva più a lungo e ha un sapore più forte,
mentre quello rosa ha un gusto più delicato, si può coltivare soltanto nelle zone
con clima invernale non troppo rigido ed è più sensibile all’umidità.
Clima Preferisce un clima caldo e asciutto, preferibilmente nelle esposizioni a
mezzogiorno.
Impianto o semina Gli spicchi dell’aglio (bulbilli) si piantano in marzo
direttamente a dimora, con la punta rivolta verso l’alto e leggermente affiorante
dalla terra: in un vaso largo 30 cm se ne possono piantare nove.
Coltivazione Vuole un terriccio universale leggero, senza ristagni di umidità e
concimato con fertilizzanti ricchi di fosforo e potassio. Le irrigazioni devono
essere regolari ma non eccessive. Quando le piante cominciano a fiorire,
bisogna eliminare il fiore per favorire l’ingrossamento dei bulbi.
Attenzione: se coltivato in substrati umidi l’aglio può essere attaccato dalla
ruggine o da un altro parassita vegetale che provoca il marciume dei bulbi.
Raccolta e impiego Si estirpano i bulbi dal terreno quando le foglie cominciano
a seccare: in giugno-luglio al Sud e qualche settimana prima al Nord. Per
favorire la maturazione si possono piegare le foglie e annodarle. Una volta tolti
dal terreno, i bulbi si legano a mazzi o a trecce, si lasciano asciugare al sole per
qualche giorno e poi si appendono in un locale secco e aerato.
Questo ortaggio è più digeribile se, prima di consumarlo, si toglie il piccolo
germoglio all’interno di ogni spicchio, oppure se si usa il succo ottenuto con
l’apposito spremiaglio.
Alloro
Laurus nobilis (LAURACEE)

VARIETÀ: la varietà più diffusa è il Laurus nobilis angustifolia,


caratterizzato da foglie lanceolate dal bordo leggermente ondulato. Il frutto,
presente solo negli esemplari femminili, è una bacca ovoidale (verde quando
giovane e nero-bluastra a maturazione avvenuta) che contiene un solo seme.

CLIMA E TERRENO: si tratta di una pianta rustica e senza esigenze


particolari, pur preferendo le zone soleggiate e ben riparate dai freddi venti
invernali. L’alloro non richiede terreni particolari, va bene un terreno di
medio impasto.

IMPIANTO: se ne consiglia la propagazione per talea semilegnosa, eseguita


sui germogli laterali in agosto-settembre e tenuta in vivaio per almeno 1 anno
prima della messa a dimora. L’impianto verrà eseguito con piantine giovani
messe in piena terra in inverno (se la stagione non è troppo rigida) o, meglio
ancora, in primavera. Non risente delle eventuali potature per dare al
cespuglio la forma preferita.

AVVERSITÀ: l’oidio (Oidium exysiphoides) può provocare dei danni alle


foglie che possono essere contenuti con la distribuzione di zolfo. Tra i
parassiti animali ricordiamo le cocciniglie, emitteri di forma circolare che
portano a un ingiallimento e disseccamento delle foglie. Per la difesa possono
essere utilizzati, con attenzione, gli oli minerali.

RACCOLTA: le foglie si raccolgono durante tutto l’arco dell’anno, anche se


le migliori sono quelle giovani, mentre la raccolta delle bacche si effettua in
autunno.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Esistono esemplari maschili e femminili, e questi ultimi
producono piccole bacche lucide e nerastre. Se si vuole dunque godere anche dei
frutti, ci si deve procurare due esemplari di sesso diverso. Con le bacche si può
preparare un liquore.
Clima Se collocato in posizioni riparate sopporta freddi anche intensi, ma non
tollera i geli prolungati. Cresce bene sia al sole che a mezz’ombra.
Impianto o semina Ottenerlo da seme o da talea è lungo e complicato, quindi
conviene acquistare una pianta già pronta che, quando sarà adulta, dovrà avere
a disposizione un contenitore largo 40 cm.
Coltivazione Non è molto esigente riguardo al terreno: l’ideale però è un
terriccio di medio impasto. Va annaffiato moderatamente ma costantemente,
anche durante l’inverno, evitando i ristagni d’acqua. Si accontenta di una dose
ridotta di concime organico all’inizio della primavera. La sua crescita va tenuta
sotto controllo accorciando i rami due o tre volte all’anno. Cresce al massimo
fino a 2 m e può essere allevato ad arbusto (ed eventualmente potato a cono o a
piramide), oppure ad alberello.
Raccolta e impiego Le foglie, che si possono raccogliere in ogni mese dell’anno,
si usano fresche per aromatizzare arrosti di carne, formaggi e verdure
conservate sott’olio.
Aneto
Anethum graveolens (OMBRELLIFERE)

VARIETÀ: erbacea annuale con radice fittonante, presenta fusto (40-50 cm


ma anche più) cavo e solcato, di colore verde chiaro, porta foglie tri-
tetrapennate con segmenti filiformi lineari e dotate di guaina. Tra le varietà
più note si ricorda la Dukat.

CLIMA: è bene scegliere correttamente la posizione all’interno del giardino,


poiché ama il caldo e il sole, mentre teme il vento e il gelo.

TERRENO: per crescere vigoroso ha bisogno di frequenti annaffiature, è


quindi meglio metterlo a dimora in un terreno ben drenato in modo da non
provocare marciumi all’apparato radicale.

SEMINA: viene propagato per seme fresco a fine estate-inizio autunno


scegliendo, a seconda delle proprie esigenze, se distribuirlo a spaglio o a file
distanti 40 cm; a fine operazione il seme va ricoperto con 2-3 cm di terra.
Effettuando una serie di semine a distanza di circa 1 mese l’una dall’altra, si
avranno sempre a disposizione foglie tenere per la raccolta. Quando le
piantine presenteranno le prime foglioline va effettuato un diradamento che
lasci, tra una piantina e l’altra, 15-20 cm di distanza. Come il finocchio,
anche l’aneto è facile che, una volta piantato, diventi ‘perenne’,
riproducendosi di anno in anno tramite i propri stessi semi.
RACCOLTA: i frutti o semi vanno raccolti prima che assumano il colore
rossiccio (fine estate) della piena maturazione, poiché in quel momento è più
forte la presenza di olio essenziale e, quindi, più marcata la virtù aromatica.

SUL BALCONE
Clima Ama le posizioni soleggiate e protette, e può essere coltivato in tutte le
nostre regioni.
Impianto o semina Si semina a dimora da marzo a luglio, diradando le piantine
qualora la semina sia stata troppo fitta, in modo da distanziarle fra loro di circa
20 cm.
Coltivazione Vuole un terriccio di medio impasto, ricco di humus, ben drenato e
mantenuto sempre leggermente umido ma senza ristagni d’acqua. Non sono
necessarie concimazioni aggiuntive.
Raccolta e impiego Le foglie – che si possono cominciare a raccogliere dopo 6-8
settimane dalla semina e quando la pianta ha raggiunto almeno i 20 cm di
altezza – si usano fresche o surgelate per insaporire verdure, pesci e arrosti di
carne, mentre i semi, che in realtà sono frutti e hanno un aroma di anice più
forte di quello delle foglie, si utilizzano nella preparazione di salse e verdure
sott’aceto, soprattutto cetrioli. Verso la fine dell’estate, quando i semi non sono
ancora rossicci, in una giornata asciutta si tagliano i fusti della pianta e si
lasciano al sole finché non si sono completamente seccati. Poi si staccano le
infiorescenze e si conservano in un barattolo ermeticamente chiuso.
Anguria
Citrullus lanatus (CUCURBITACEE)

VARIETÀ: a seconda della forma esistono varietà a frutto oblungo, come la


Charleston gray 133 e a frutto rotondo come la Blue belle 133 e la Asahi
Miyako Ibrido F1. La Crimson sweet è una varietà che presenta frutti di
grossezza media.

CLIMA: l’anguria è un ortaggio tipico delle zone temperato-calde, non


eccessivamente umide. Di grande importanza è l’assenza di precipitazioni
durante la fase di maturazione dei frutti.

TERRENO: richiede terreni di medio impasto, anche sciolti, ben strutturati,


ricchi di sostanza organica, provvisti di buon drenaggio. Il pH ottimale è tra
5,5 e 6,5.
L’anguria richiede una lavorazione del terreno in profondità (30-40 cm),
effettuata preferibilmente a fine estate, per meglio sfruttare l’umidità
autunnale e l’effetto strutturante dell’alternanza gelo/disgelo. In febbraio si
effettuano le lavorazioni di affinamento per distruggere le infestanti
sviluppatesi nel frattempo e preparare il letto di semina.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: presenta elevate esigenze nutritive
e richiede da 3 a 5 q di letame o compost ogni 100 mq, interrato in superficie
prima della preparazione del letto di semina.
L’anguria riceve numerosi vantaggi dalla pacciamatura organica, quali il
controllo delle infestanti, la conservazione del calore e dell’umidità del
terreno, la protezione dei frutti dal contatto diretto con il suolo. Oltre ai vari
materiali di recupero (paglia, erba secca, residui colturali), risultano
particolarmente adatti a tale scopo le pellicole di cellulosa o di materiale
plastico. Si effettuano inoltre due diradamenti. Con il primo, appena le piante
formano le 2 prime foglie vere, si lasciano 3 piante per buchetta; con il
secondo, quando le piante presentano 4-5 foglie vere, si lascia una sola pianta
per buchetta.
Per evitare il danneggiamento delle radici delle piante che si lasciano in sede,
l’operazione deve essere eseguita tagliando le piante al di sotto delle foglie
cotiledonari.
Per quanto riguarda la difesa dalle infestanti, questa può essere eseguita in
concomitanza con il diradamento, eliminando le infestazioni sviluppatesi
nelle buchette e nelle immediate vicinanze delle piante. Qualche precisazione
sull’annaffiatura: nell’area meridionale, dal diradamento fino alla fine di
giugno, occorrono almeno 7 adacquature, la cui frequenza è comunque in
relazione al tipo di terreno e di clima. Durante l’ultima fase del ciclo
produttivo colturale, da giugno in poi, bisogna fare molta attenzione a non
eccedere con la distribuzione dell’acqua per evitare la spaccatura e la perdita
di sapore dei frutti.

SEMINA: si effettua in buchette o postarelle di 8-12 cm di diametro e 3-4 cm


di profondità. Il sesto d’impianto varia a seconda delle cultivar utilizzate e del
tipo di coltivazione prescelta. In pieno campo le distanze vanno da 150-250
cm tra le file a 100-200 cm sulla fila. In ogni buchetta si pongono 5-6 semi a
2-3 cm di profondità. Per ogni 100 mq di superficie occorrono circa 30-60 g
di seme.
In pieno campo la semina è eseguita, in genere, a fine marzo-aprile; la
raccolta inizia verso metà luglio e si conclude entro la fine di agosto. Nelle
zone particolarmente miti si può eseguire anche una semina ritardata tra fine
aprile e i primi di maggio; in questo caso la raccolta si posticipa di un mese.
COME STIMOLARE LA CRESCITA DEI FRUTTI

La precocità e l’abbondanza della fruttificazione può essere incentivata cimando


il tralcio principale dopo la terza e la quarta foglia. In genere non si lasciano
mai più di 4 frutti per buchetta scelti tra i più vicini al colletto della pianta.

Per anticipare la produzione di circa un mese si può effettuare la semina a


fine febbraio-primi di marzo sotto tunnel in vasetti di torba o direttamente in
terra. La produzione viene eliminata a metà maggio per cui il risultato della
coltura dipende molto dall’andamento atmosferico.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: per controllare la proliferazione


di fitopatie e la stanchezza del terreno è bene evitare di ripetere, sullo stesso
appezzamento, la coltivazione dell’anguria prima di 3 anni. Il cocomero si
consocia bene con numerosi ortaggi quali: piselli, cipolle, carote, spinaci,
ravanelli, lattuga e pomodoro.

RACCOLTA: nelle coltivazioni in pieno campo i primi frutti maturi


compaiono 110-120 giorni dopo la semina; nelle colture protette con un
anticipo di 10-15 giorni. Le rese oscillano intorno ai 4-6 q di prodotto ogni
100 mq di superficie. È comunque necessaria una certa esperienza per
riconoscere i frutti maturi, che si differenziano spesso solamente per
impercettibili differenze: la scomparsa di pruina dalla superficie della
buchetta, il disseccamento del viticcio del peduncolo, l’emissione di un suono
sordo quando vengono percossi con le dita, lo scricchiolio della polpa in
seguito alla compressione ecc.

AVVERSITÀ: la peronospora può causare gravi danni ma si manifesta molto


raramente. Tra le crittogame possono manifestarsi anche oidio, cladosporiosi
e marciume radicale.
I parassiti animali che più facilmente possono colpire l’anguria sono invece
afidi, grillotalpa, maggiolino, nottue, nematodi.
Asparago
Asparagus officinalis (LILIACEE)

VARIETÀ: tra le molte varietà il D’Argenteuil precoce e tardivo, il Mary


Washington, il Giant Mammouth e il Grosso di Erfurt.

CLIMA: è una pianta rustica resistente sia al freddo sia alle temperature
elevate. I migliori risultati si registrano nelle zone a clima temperato.

TERRENO: predilige i terreni sciolti, sabbiosi, ricchi di calcio, ben drenati,


ma privi di scheletro poiché la presenza di sassi e ghiaia ostacola il regolare
sviluppo dei turioni.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: è un ortaggio poco esigente, in


grado di garantire un buon raccolto anche in terreni poco fertili. In genere
sono sufficienti 30 kg di compost o di letame maturo per ogni 10 mq di
coltura, da interrare alla fine dell’inverno durante i lavori d’impianto
dell’asparagiaia e negli anni successivi. Nei terreni poveri di calcio, il
fabbisogno di questo elemento potrà essere soddisfatto spargendo al
momento dell’impianto calcinacci di demolizione (1 kg/10 mq) o litotamnio
(0,5 kg/10 mq). Nei terreni sciolti, con andamento stagionale asciutto è utile
somministrare irrigazioni di soccorso e zappature superficiali per eliminare le
infestanti.
IMPIANTO: a seconda della tecnica colturale si può ottenere l’asparago
bianco, il cui sviluppo avviene interamente sottoterra, l’asparago verde, che
compie l’ultimo ciclo del suo sviluppo al di fuori del terreno, l’asparago
semi-bianco (rossastro o violetto) che rappresenta una via di mezzo. Per
l’impianto dell’asparagiaia si utilizzano le zampe di un anno acquistate presso
i vivai. A fine estate si eseguono una lavorazione profonda del terreno e
l’interramento del concime organico, del letame o del compost. In autunno si
preparano le fosse d’impianto profonde da 15 a 30 cm e larghe da 45 a 80 cm
a seconda che si tratti di un’asparagiaia a file semplici o binate. A seconda
delle regioni, la messa a dimora avviene da febbraio ad aprile. La distanza tra
una zampa e l’altra varia da 35-40 cm (asparagiaia a file semplici) a 40-50 cm
(asparagiaia a file binate). Le zampe vanno sistemate per favorirne
l’assestamento con le radici orientate nel senso della fila.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: una volta esaurita l’asparagiaia è


opportuno attendere almeno 7-8 anni prima di impiantarne un’altra sullo
stesso terreno. Per prevenire il mal vinato si consiglia di coltivare il porro
prima dell’impianto dell’asparagiaia; per la stessa ragione non è consigliabile
coltivare l’asparago dopo l’erba medica, il trifoglio, la patata e la bietola. Nei
primi due anni d’impianto risulta vantaggiosa la consociazione con lattuga,
cetriolo, insalata da taglio, prezzemolo e pomodoro.

RACCOLTA: durante il primo anno d’impianto i turioni non vanno raccolti:


si lasciano allungare e ramificare fino alla formazione dei fiori e poi dei frutti.
Il secondo anno si può procedere a una limitata raccolta (4-5 turioni per ogni
zampa) risparmiando le piante più deboli. La prima raccolta significativa si
ha solo al terzo anno e si svolge per circa due mesi. Dal quarto al sesto anno
la produzione di turioni aumenta gradualmente e quindi si stabilizza tra il
settimo e il dodicesimo anno, dopo il quale l’impianto riduce
progressivamente la sua produttività fino a diventare non più conveniente
dopo il quindicesimo anno.

MESSA A DIMORA DELL’ASPARAGO

Le fosse per la messa a dimora delle “zampe” (rizomi) si preparano in autunno,


scavando solchi profondi 15-30 cm e larghi 45-80 cm, a seconda che si tratti di
un’asparagiaia a file semplici oppure binate.

AVVERSITÀ: le mosche dell’asparago scavano gallerie nei germogli fino ai


turioni, dove si impupano; ne deriva la deformazione dei turioni o la morte
della pianta per disseccamento nel corso dell’estate.

LA RICERCA SCIENTIFICA
Le “zampe” (rizomi), poste su un monticello di terra, si mettono a dimora a circa
40 cm di distanza.

Una prima raccolta di turioni è effettuabile al secondo anno, ma il vero raccolto


si avrà solo al terzo anno.
Nel primo anno d’impianto i turioni non vanno raccolti, ma lasciati fino alla
formazione dei fiori e dei frutti.

Per la raccolta dei turioni si utilizza un apposito attrezzo con cui questi vengono
separati dal rizoma.
Barbabietola da orto
Beta vulgaris conditiva (CHENOPODIACEE)

VARIETÀ: tra le più conosciute ricordiamo la barbabietola da orto di


Chioggia tonda, la barbabietola da orto di Egitto migliorata, la barbabietola
da orto di Detroit, la Cilindrica, la Nera di Milano.

CLIMA: non presenta esigenze particolari dal punto di vista climatico, tranne
in caso di temperature molto rigide.

TERRENO: richiede terreni sciolti o quanto meno di medio impasto, con una
buona dotazione di sostanza organica. Il pH ottimale è intorno alla neutralità.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: sono sufficienti 3 q di letame


maturo ogni 100 mq di superficie.
Particolare attenzione deve essere data a soddisfare le esigenze colturali della
pianta, data la sua grande sensibilità a differenti avversità. Per questo motivo,
qualora non si effettui la semina di precisione, appena le piantine
differenziano la quarta o quinta foglia vera va eseguito un diradamento. La
barbabietola richiede inoltre irrigazioni durante le annate con clima siccitoso,
con esclusione del periodo prima della raccolta per evitare spaccature del
fittone. Bisogna inoltre zappettare il terreno per evitare lo sviluppo delle
infestanti.
SEMINA: si effettua da metà febbraio a maggio; nelle regioni dell’Italia
meridionale anche in autunno. I semi vanno interrati a 2-4 cm di profondità e
distribuiti a spaglio o meglio ancora alla distanza di 15-25 cm sulla fila e 30-
35 cm tra le file. Per 100 mq di superficie occorrono 15-20 g di seme.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: si associa bene con sedano,


cipolla, lattuga e tutta la famiglia dei cavoli.

RACCOLTA: le prime radici sono pronte dopo circa 70-150 giorni dalla
semina. Con 100 mq di superficie si ottiene una produzione di 2-3 q di radici.

AVVERSITÀ: oltre a virosi e batteriosi, la barbabietola può essere attaccata


da malattie crittogamiche come la peronospora e il mal bianco. Tra i parassiti
animali, uno dei più temibili è il cleono le cui larve scavano gallerie
all’interno delle radici.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Ne esistono varietà a radice allungata o rotonda, ma solo
queste ultime sono adatte ai vasi. Fra le migliori, la Tonda di Chioggia, con
polpa rosa chiaro striata di rosso, la precoce Paonazza d’Egitto e la Detroit.
Clima Predilige i climi temperati e le esposizioni soleggiate.
Impianto o semina Si semina direttamente a dimora dalla fine di febbraio a
maggio e per una pianta è necessario un vaso di circa 25 cm. Si mettono in una
buchetta 3 semi che germinano nel giro di una settimana; quando le piantine
hanno emesso la terza foglia, vanno diradate lasciando soltanto la più robusta.
Le barbabietole si possono anche seminare in vasetti di torba da trapiantare nel
contenitore definitivo dopo un mese.
Coltivazione Preferisce un terriccio leggero, fresco e fertilizzato con concimi
ricchi di potassio. Durante la crescita deve essere annaffiata spesso (se il terreno
è troppo asciutto la pianta tende a fiorire) e sostenuta con una somministrazione
di macerato d’ortica.
Raccolta e impiego Le barbabietole si raccolgono estirpandole dal terreno dopo
circa 3 mesi dalla semina, quando sono un po’ più grosse di un mandarino: se
crescono di più diventano legnose. Dopo la raccolta, per impedire alla linfa
contenuta nella radice di uscire, le foglie (che sono commestibili e si possono
cucinare come le erbette) vanno staccate non tagliandole di netto con un coltello,
ma torcendole con le mani non troppo vicino al colletto. Oltre che cotte, le
barbabietole si possono mangiare crude, grattugiate in insalata.
Basilico
Ocimum basilicum (LABIATE)

VARIETÀ: tra le varietà più conosciute e comuni, il Genovese, il Napoletano,


il basilico fino verde e il basilico a foglia di lattuga bolloso.

CLIMA E TERRENO: molto sensibile al gelo, è tipica dei climi caldi.


Si adatta bene a ogni tipo di terreno, ma predilige quelli di medio impasto,
dotati di sostanza organica e ben drenati.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: la distribuzione di letame o di


compost ben maturo (20-30 kg/10 mq di superficie), interrato durante i lavori
di preparazione del terreno, è indispensabile solamente per colture di grandi
estensioni. Durante il ciclo colturale si rendono necessarie numerose
sarchiature, per arieggiare il terreno e limitare lo sviluppo delle infestanti.
Appena compare l’infiorescenza va effettuata la cimatura delle infiorescenze,
per prolungare la fase vegetativa, dato che dopo la fioritura il potere
aromatico delle piante si riduce drasticamente. Inoltre quando le piantine
presentano la quarta o quinta foglia vera, è opportuno diradare a una distanza
di 30 cm.
SEMINA: in semenzaio all’aperto o in pieno campo in aprile-maggio. Per
poter contare sulla produzione autunnale e invernale si deve seminare da
luglio a settembre e proteggere le piantine all’arrivo dei primi freddi. Per 1
mq di semenzaio bastano 0,5-1 g di semi. Il periodo migliore per la semina è
quello compreso tra il primo e l’ultimo quarto di luna.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: si associa bene a pomodoro e


cetriolo.

AVVERSITÀ: diversi funghi patogeni possono attaccare questa pianta come il


marciume del colletto che provoca marciumi alla base del fusto.
Basilico Genovese.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Per la coltivazione sul balcone vanno bene il Genovese, con
foglie piccole, il Napoletano, con foglie larghe e bollose, il Red Rubin, con foglie
violacee e seghettate, e il delizioso basilico Greco, che cresce formando una
sfera perfetta e produce foglie piccolissime ma molto profumate.
Clima Il suo clima ideale è quello temperato-caldo, ma si adatta a vivere anche
in zone un po’ più fresche. Vuole stare in posizioni soleggiate al Nord e
leggermente ombreggiate per qualche ora al giorno al Sud.
Impianto o semina In marzo si può seminare in un semenzaio coperto. Si
diradano le piantine se la semina è stata troppo fitta e dopo che è spuntata la
quarta foglia, ma comunque non prima della seconda metà di aprile, si
trapiantano nei vasi da tenere all’aperto: per una pianta è sufficiente un
contenitore largo e profondo 25 cm. Il basilico si può anche seminare
direttamente a dimora in primavera inoltrata, oppure si possono acquistare le
piantine già pronte.
Coltivazione I vasi vanno riempiti con un terriccio universale ricco di sostanza
organica e le annaffiature devono essere moderate ma continue. Le infiorescenze
a spiga vanno eliminate appena si formano, mentre per stimolare l’emissione di
nuovi rametti la pianta va cimata periodicamente con l’aiuto di un paio di
forbici.
Raccolta e impiego Le foglie fresche si raccolgono da giugno a settembre
secondo la necessità. Si possono anche surgelare per consumarle durante
l’inverno.
Bietola da coste e da foglia
Beta vulgaris var. cycla (CHENOPODIACEE)

VARIETÀ: esistono due tipi di bietola, quella da coste, caratterizzata da


foglie grandi e costola carnosa di colore bianco e quella da foglia (o da taglio)
chiamata anche “erbetta”, caratterizzata da foglie più piccole e tenere. Tra le
varietà più diffuse, la bieta a costa di Lione e la Bionda da taglio triestina.

CLIMA: non presenta esigenze particolari dal punto di vista climatico, se non
in primavera quando temperature eccessivamente basse spingono con estrema
facilità la pianta a montare a seme.

TERRENO: la bietola da coste dà buoni risultati in qualsiasi tipo di terreno,


purché ben dotato di sostanza organica, profondo e ben drenato.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: sopporta bene letame o compost


(sono sufficienti 30 kg/10 mq) anche se non completamente maturo. È bene
non eccedere con i concimi azotati, poiché la bietola presenta una spiccata
tendenza all’accumulo di nitrati. Le cure colturali prevedono irrigazioni
durante il ciclo vegetativo e zappettature per evitare la diffusione delle
infestanti.
SEMINA: si può seminare da marzo ad agosto in pieno campo o in postarelle
distanziate di 20-25 cm nella fila e 40 cm tra le file. Per le semine più precoci
(febbraio) bisogna ricorrere al semenzaio sotto tunnel o in letto caldo.
Occorrono 3-5 g di seme per ogni mq di semenzaio. È importante non
seminare anticipatamente, perché temperature troppo basse durante i primi
stadi di sviluppo spingono la bietola a montare a seme già nel primo anno.
Appena le piantine hanno differenziato la quarta o quinta foglia va effettuato
il diradamento.

TRAPIANTO DELLA BIETOLA DA COSTE

Se la bietola è stata seminata in semenzaio, il trapianto si effettuerà quando le


piantine raggiungeranno 13-15 cm d’altezza e presenteranno 4-5 foglie vere.
Prima della messa a dimora le foglie verranno recise per consentire un miglior
radicamento.

Il trapianto si effettua collocando le piantine alla distanza di 30-40 cm nella fila


e 40-50 cm tra le file.

Il diradamento si effettua appena le piantine differenziano la quarta o quinta


foglia vera.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: si associa bene a carota, cipolle,


lattuga e tutti i cavoli.

RACCOLTA: inizia dopo circa 2-3 mesi dalla semina. Negli orti familiari,
invece di aspettare il massimo sviluppo e recidere le piante alla base, la
raccolta può essere scalare, raccogliendo via via le foglie esterne più grandi.
Le bietole da foglia vanno raccolte di continuo con coltello e forbici.

AVVERSITÀ: la bietola da coste e quella da radice presentano le stesse


patologie. Entrambe sono sensibili a cleono, nematodi (minuscole larve che
penentrano nelle radici provocando l’appassimento della parte aerea) e pulci
di terra, parassiti che svernano tra l’erba, alla base degli alberi e tra i sassi,
facendo la loro comparsa tra marzo e aprile. Gli adulti rodono la pagina
inferiore delle foglie più giovani, scavando piccole fosse e risparmiando
quella superiore che in seguito all’attacco si secca.

Bietola da costa.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Alcune varietà vengono coltivate per le loro coste larghe,
bianche e carnose, altre invece per le foglie. Per la coltivazione in vaso non sono
indicate le prime, che hanno un apparato radicale troppo ingombrante, bensì
quelle da taglio, le cosiddette “erbette”, che sono anche molto generose nella
loro produzione.
Clima Nelle regioni più calde preferisce una posizione a mezz’ombra, mentre
nelle zone caratterizzate da inverni molto rigidi deve essere protetta dal gelo per
evitare danni alle foglie.
Impianto o semina La semina, direttamente a dimora in cassette che possono
anche essere profonde solo 25 cm, comincia alla fine di febbraio, quando è
passato il pericolo delle gelate, e può protrarsi fino alla metà di agosto. Se la
semina avviene nei mesi più caldi, i vasi vanno protetti dai raggi diretti del sole.
Coltivazione Non ha esigenze particolari riguardo al terreno, che però deve
essere costantemente umido per evitare che le foglie ingialliscano. Fra una
raccolta e l’altra va fertilizzata con concimi a base di azoto e calcio.
Raccolta e impiego È pronta per la raccolta dopo circa un mese dalla semina:
quando le foglie hanno superato i 25 cm di altezza, vanno tagliate con un coltello
a due dita da terra. Si formeranno velocemente nuove foglie, e così si potrà
procedere a ulteriori tagli.
Le bietole si possono mangiare lesse, sminuzzate in un minestrone, oppure, se
raccolte un po’ in anticipo, anche crude in insalata.
Carciofo
Cynara scolymus (COMPOSITE)

VARIETÀ: i carciofi possono essere classificati in base al periodo di raccolta


(varietà autunnali e primaverili), alla presenza di spine (varietà spinose e
inermi) e al colore (varietà verdi e violette). Tra le varietà più note il Violetto
di Chioggia, il Romanesco, lo Spinoso di Liguria, il Carciofo di Empoli, il
Bianco tarantino e il Verde spinoso di Palermo.

CLIMA: è una pianta tipica dei climi miti, caldi e asciutti, particolarmente
sensibile alle brinate, soprattutto durante il periodo di produzione, e ai
ristagni d’acqua, che oltre a favorire l’insorgere di marciumi radicali
stimolano la pianta a un eccessivo sviluppo vegetativo a discapito della
produzione di capolini.

TERRENO: anche se si adatta molto bene a diversi tipi di terreno, il carciofo


predilige quelli siliceo-argilloso-calcarei, profondi, di medio impasto, ricchi
di sostanza organica ed esposti a mezzogiorno o a sud-ovest.
Il carciofo è molto sensibile ai ristagni d’acqua, soprattutto nel periodo
invernale.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: è un grande consumatore di azoto,
fosforo (conferisce maggiore robustezza ai tessuti e rende i capolini più
resistenti ai trasporti) e potassio (aumenta la precocità e la resistenza al gelo).
A seconda delle modalità dell’impianto la preparazione del terreno viene
effettuata all’inizio dell’estate o in autunno, mediante lavorazione profonda a
40-50 cm. In concomitanza con questa si effettua la distribuzione di compost,
di letame o di altra sostanza organica umificata. Il carciofo richiede inoltre
abbondanti irrigazioni in estate e, in autunno, va rincalzato al piede
prevedendo una spessa pacciamatura di compost o letame maturo.

In base al colore si distinguono varietà verdi e violette.

IMPIANTO DELLA CARCIOFAIA


Per l’impianto della carciofaia si usano i polloni, i cosiddetti “carducci”,
prelevati dalla pianta madre in estate o in autunno.

I polloni si interrano in autunno o in primavera, mentre gli “ovuli” (parti di


rizoma con gemme) vengono messi a dimora in estate.

IMPIANTO: a seconda delle zone e del ciclo produttivo scelto, l’impianto


della carciofaia si effettua in estate o in autunno impiegando i germogli che si
sviluppano alla base delle piante, i cosiddetti “carducci” o polloni, o gli
“ovuli”, costituiti da una porzione di rizoma provvista di gemme. Polloni e
ovuli vanno collocati in buchette di 30 cm di diametro e 20 cm di profondità,
sul fondo delle quali si pone del terriccio mescolato a letame. I carducci si
interrano in primavera (marzo-aprile) o in autunno (settembre-novembre),
mentre gli ovuli in estate (luglio-agosto), a circa 3-4 cm di profondità,
serrando molto bene la terra. L’occhio del carduccio deve essere a livello del
suolo; ogni buchetta ne contiene tre, che dopo l’attecchimento vanno diradati
lasciandone uno solo. A seconda delle varietà, il sesto d’impianto varia da
90-100 cm (tra le file) x 70-80 cm (sulla fila) per le varietà a sviluppo
limitato, a 120-130x100-120 cm per quelle a grande sviluppo.

I polloni o carducci si prelevano dalle piante di 2-4 anni, più sane e


rigogliose, dopo la ripresa primaverile e poco prima dell’impianto, quando le
foglie raggiungono lo sviluppo di 15-20 cm. Per facilitare il loro prelievo si
smuove la terra che ricopre le radici fino a scoprire il punto di inserimento dei
carducci. Quindi per ogni pianta si scelgono tre carducci tra quelli meglio
sviluppati e ben distanziati tra loro, destinati a rimanere in sede, tutti gli altri
saranno prelevati con un coltello ben affilato o una roncoletta.
Questa operazione, detta scarducciatura, si esegue ogni anno, anche quando
non occorrono nuovi carducci da impianto. Dopo il prelievo si ricoprono le
radici di terra e letame e si livella il terreno intorno alla pianta.
Per l’impianto si sceglieranno tra tutti i carducci prelevati quelli meglio
conformati, muniti di una buona porzione di radice, con 1-2 radichette, senza
gemme latenti, e con 4-5 foglie che vanno cimate a circa metà della loro
lunghezza. È bene scartare quelli che si presentano legnosi, senza radichette e
con foglie sviluppate eccessivamente.
Gli ovuli, il cui impiego riduce la possibilità di fallanze, vanno invece
prelevati dalla pianta madre in luglio-agosto. Si tengono per circa 2 giorni in
mucchi coperti con sacchi, o con uno strato di paglia o di erba, bagnandoli 3
volte al giorno per favorirne il germogliamento.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: una carciofaia può essere


mantenuta sullo stesso appezzamento fino a 7-8 anni, anche se la durata
economica più conveniente è intorno ai 3-4 anni. Spesso le carciofaie
vengono impiantate in consociazione tra filari di fruttiferi o di olivi. Durante i
primi anni di impianto la carciofaia si presta bene a essere consociata a
lattuga, semenzali di cavoli, porri, ravanelli, piselli e fagioli.

RACCOLTA: la raccolta dei capolini è a scalare e ha inizio verso ottobre per


la coltura precoce, si conclude in giugno per quella tardiva.

AVVERSITÀ: il carciofo è frequentemente attaccato da lumache, maggiolini,


topi e afidi, che colpiscono la pianta durante la fase di germogliazione
provocando l’arricciamento, l’intristimento delle foglie e il possibile sviluppo
di virosi. Oltre che con l’impiego di insetti utili (coccinelle, forbicine,
crisopidi ecc.), gli afidi si combattono effettuando pacciamature ed energici
interventi irrigui.
Più preoccupanti gli attacchi di nottua del carciofo, una piccola farfallina
(apertura alare 50 mm) di colore mattone, le cui larve scavano gallerie nelle
nervature delle foglie e penetrano nel fusto giungendo ai capolini dove
rosicchiano le brattee più interne e depongono escrementi. Tra le crittogame,
sclerotinia, disseccamento fogliare e mal bianco.

RACCOLTA DEI CARCIOFI


Recidendo i capolini con almeno 20-30 cm di gambo, si prolunga la durata della
loro conservazione.

A fine autunno si tagliano raso terra i vecchi gambi, e si ricoprono i monconi


con uno strato di paglia.
Cardo
Cynara cardunculus (COMPOSITE)

VARIETÀ: ricordiamo qui il Bolognese, assai rustico, il cardo gigante pieno


inerme, il cardo di Chieri.

CLIMA E TERRENO: gradisce un clima temperato. Per quanto concerne il


terreno, il cardo non dimostra particolari esigenze, anche se le sue preferenze
sono per i terreni freschi, profondi, leggermente compatti, ben dotati di
sostanza organica e irrigui.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: si distribuisce compost o letame


maturo nelle dosi di 3-4 q/100 mq, interrandoli con una vangatura, qualche
mese prima di avviare la coltura, a una profondità di 30-40 cm circa. Le cure
colturali, oltre a irrigazioni (particolarmente importanti d’estate se
l’andamento climatico è asciutto), scerbature, zappettature e diradamento (si
lascia una piantina per ogni postarella), prevedono la tecnica
dell’imbianchimento che mira a rendere croccante e tenera la lamina fogliare
esaltando in questo modo la qualità del prodotto. A tal fine si può ricorrere a
diversi sistemi: in ottobre-novembre si stringono le foglie con delle legature e
quindi la pianta viene protetta con paglia, carta o altro materiale lasciando
libero soltanto il ciuffo finale. Dopo 20-30 giorni di questo trattamento le
lamine e le nervature delle foglie imbianchiranno e le piante andranno
prontamente raccolte. Un’altra tecnica simile prevede la solita legatura delle
foglie e una rincalzatura della pianta lasciando libero il solo ciuffo terminale.
Anche in questo caso il tempo d’imbianchimento è uguale al precedente.
Nell’infossamento, infine, i cardi raccolti vanno ammassati verticalmente in
fosse larghe circa 1 m e fonde 60-70 cm proteggendoli con terra e paglia fino
al ciuffo terminale per 20-30 giorni.

SEMINA: può essere effettuata in semenzaio riscaldato in febbraio-marzo,


oppure direttamente in pieno campo in aprile-maggio a postarella ponendo 4-
5 semi per ogni buchetta. La quantità di seme necessaria s’aggira attorno ai 5-
6 g per 1 mq di semenzaio. La profondità di semina è di 1-2 cm. Il trapianto
si esegue allorché le piantine hanno emesso 6-8 foglie. Le distanze
d’impianto saranno di circa 70-90 cm sulla fila e di 1 m tra le file.
Al fine di ottenere un buon prodotto, comunque, si sconsiglia di ricorrere
all’impiego di carducci o polloni. Le piante ottenute in questo modo, infatti,
tendono a produrre capolini non commestibili, a svantaggio delle coste che
rappresentano nel caso del cardo la parte edule. Esse, infatti, risulterebbero
filacciose scadendo di qualità.
Occorre inoltre ritardare le semine in quanto temperature basse stimolano
l’andata a seme della pianta.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: si può associare a diverse colture


orticole, soprattutto all’inizio del suo ciclo: ravanelli, cipolle, lattughe,
spinaci, carote.
È consigliabile non ripetere la coltura sullo stesso appezzamento prima che
siano trascorsi almeno 3 anni. Il cardo è da ritenersi una coltura da rinnovo e
come tale è indicato ad aprire una rotazione agraria.

RACCOLTA: si effettua da settembre, per tutto l’inverno, fino a febbraio (o


comunque fino alle prime gelate).
AVVERSITÀ: carciofi e cardi sono soggetti alle medesime avversità. Oltre a
lumache, topi, afidi, maggiolini, grillotalpe, tra i parassiti si segnala la nottua
del carciofo e la vanessa del carciofo, una bella farfalla che quando si trova
allo stadio di bruco rosicchia le foglie rispettando solamente le nervature.
Anche altre larve di farfalla si cibano delle foglie di cardo.
Tra le malattie crittogamiche citiamo il disseccamento fogliare, il marciume
radicale del colletto o sclerotinia, il mal bianco del cardo e del carciofo.
Quest’ultima è la malattia più diffusa e si manifesta come una patina
biancastra sulle foglie, che le fa rapidamente seccare.
Carota
Daucus carota (OMBRELLIFERE)

VARIETÀ: tra le cultivar più famose ricordiamo la Nantese medio-precoce, la


Nandor Ibrido F1, la Nantese Clodia medio-precoce, la Chantenay medio-
precoce, la Tonda di Parigi molto precoce, la S. Valery tardiva, la Flakkee,
precoce. A seconda della lunghezza della radice, distinguiamo carote corte,
mezze lunghe e lunghe.

CLIMA: anche se dotata di grande capacità di adattamento, la carota predilige


i climi temperati e umidi, essendo particolarmente sensibile agli sbalzi
termici che possono provocare l’interruzione dell’accrescimento della radice.
La temperatura influenza anche il colore e la forma delle radici, nonché la
lunghezza del periodo vegetativo. Temperature troppo basse (10-15°C) o
troppo elevate (21-27°C) determinano una colorazione piuttosto debole del
fittone. Quando la temperatura media oscilla intorno a 15-21°C le radici
assumono la caratteristica pigmentazione rosso vivo-arancione. Lo stesso
intervallo di temperature risulta ottimale per il regolare accrescimento dei
fittoni che invece risultano, a parità di condizioni del terreno, troppo
allungate e sottili con temperature inferiori ai 15°C. Infine, quando a
temperature eccessivamente basse (5-10°C) durante il primo stadio di
sviluppo seguono temperature più elevate, le carote sono stimolate a montare
a seme nell’anno, senza produrre così radici commestibili.
TERRENO: il notevole sviluppo del fittone, che in alcune varietà supera i 30
cm di lunghezza e i 5 di diametro, richiede terreni profondi, leggeri, sciolti
che non offrano ostacoli. La carota predilige inoltre i terreni leggermente
calcarei, molto fertili, dotati di regolare e costante umidità. Il pH ottimale
oscilla tra 6,5-7,5, valori più bassi, inferiori a pH 5,5, ostacolano la crescita e
favoriscono gli attacchi della mosca della carota.

MORFOLOGIA DELLE DIVERSE VARIETÀ DI CAROTA


La carota richiede una lavorazione profonda, necessaria per ottenere un
terreno soffice e ben sminuzzato che faciliti lo sviluppo delle poderose radici.
Di estrema importanza, per una buona riuscita della coltura, è la perfetta
pulizia del terreno, necessaria per ostacolare lo sviluppo delle infestanti.

LA CRESCITA
Carota cresciuta tra 10 e 15°C.

Carota cresciuta tra i 15 e i 21°C.


Carota cresciuta tra i 21 e i 27°C.

SEMINA DELLE CAROTE

Semina a spaglio.
Semina a file. La carota viene seminata a file distanti tra loro 20 cm, con una
distanza sulla fila di 5-6 cm.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: la carota esige una ricca


concimazione organica (300-400 q di letame/ha), ma è molto sensibile
all’eccesso di azoto e alla sostanza organica non sufficientemente
decomposta, la cui presenza favorisce lo sviluppo di numerose crittogame,
attira la mosca e può determinare macchie, marcescenze, biforcazioni e
rugosità sulle radici. Per queste ragioni è necessario che la somministrazione
di concime venga praticata sulla coltura precedente. Nei casi di estremo
bisogno è comunque possibile effettuare un apporto moderato di compost
(100-300 q/ha) ben maturo. Per le carote invernali (semina tra giugno e
luglio) si può utilizzare un concime verde (per esempio miscuglio di veccia-
avena) seminato in primavera o meglio ancora nell’autunno precedente.
Vanno inoltre effettuate zappettature per eliminare le infestanti, che entrano
in competizione a causa della crescita lenta della carota. D’estate è utile
somministrare qualche irrigazione con clima asciutto, evitando acqua più
fredda del terreno per non causare fessurazione del fittone.

SEMINA: la carota si presta a essere seminata durante tutto l’anno, a seconda


delle zone, in pieno campo, in tunnel, in cassoni o in serra.
Coltura forzata – La semina viene effettuata in cassoni su letto caldo o in
serra, da ottobre a febbraio. Il primo raccolto si ottiene dopo circa tre mesi.
Le varietà che, per caratteristiche varie, sono le più adatte, sono le precoci a
radici corte e le mezze-lunghe.
Coltura semiforzata – Nelle zone meridionali, caratterizzate da un clima
non troppo rigido, si possono iniziare le prime semine all’aperto, in luoghi
ben esposti a mezzogiorno e riparati dai venti freddi, già verso febbraio-
marzo, per avere una produzione primaverile. Anche in questo caso le varietà
più adatte sono le corte e le mezze-lunghe a rapido accrescimento.
Coltura primaverile-estiva – La semina viene effettuata dalla fine di agosto
a tutto ottobre. Si utilizzano varietà mezze-lunghe e lunghe. Prima dell’arrivo
del freddo è però necessario proteggere le carote per evitare lo sradicamento
delle giovani piantine per effetto dell’azione combinata gelo/disgelo.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: per evitare il propagarsi delle


fitopatie tipiche della carota la coltura non va ripetuta prima di tre anni sullo
stesso appezzamento. Ottimi precursori della carota sono l’aglio, i porri e i
cereali. In generale è opportuno fare seguire la carota a una coltura sarchiata
od ortiva che sia stata riccamente concimata con letame o comunque con un
concime organico. Le consociazioni da cui la carota trae maggiore beneficio
sono le seguenti: aglio, aneto, cipolla, bietola da coste, cicoria, lattuga,
pisello, porro, pomodoro, rafano, ravanello, rosmarino, salvia, scalogno.
Com’è noto, l’associazione carote precoci-porri allontana sia il verme del
porro che la mosca della carota. Anche l’associazione con aglio, cipolla e
scalogno diminuisce l’attacco della mosca della carota; mentre la
consociazione con ravanello assicura l’ombra alle piantine di carota appena
germinate.

DIRADAMENTO DELLE CAROTE


Il primo diradamento delle carote deve essere effettuato non appena le giovani
piantine hanno emesso la terza o quarta fogliolina e hanno raggiunto circa 2-3
cm di altezza, in modo tale da evitare la malformazione delle radici. Il terreno
deve essere umido, per non danneggiare le carote che rimangono in sito.

RACCOLTA: la raccolta manuale delle carote richiede una giornata di lavoro


ogni 10 q di prodotto, mentre con la meccanizzazione dell’operazione sono
sufficienti 12-13 ore/ha. Le radici vanno estirpate prima che abbiano
raggiunto il completo sviluppo, così da avere carote dolci.
AVVERSITÀ: il parassita più temibile è la mosca della carota che da aprile in
poi depone le uova nel terreno all’altezza del colletto delle piante. Le larve si
sviluppano nel fittone scavando gallerie irregolari; sulle foglie delle piante
colpite appare una colorazone giallo-rossastra, cui spesso segue
l’avvizzimento; i fittoni danneggiati assumono colore e sapore sgradevoli e
marciscono facilmente. Tra le malattie crittogamiche segnaliamo la
sclerotinia e l’alternariosi. Con la prima i tessuti si ricoprono di macchie
feltrose biancastre poi sostituite da punti neri. Macchie nere compaiono sulle
foglie anche in caso di alternariosi, mentre sulle radici si hanno marciumi in
prossimità del colletto e tacche di colore scuro.

SUL BALCONE
Scelta della varietà In origine le carote erano rosso-violacee, poco dolci e con il
cuore duro e legnoso. Le varietà moderne, molto più tenere e con la polpa
arancione, sono state create in Olanda nel XVII secolo. Per i vasi sono indicate
solo quelle a fittone corto: per esempio la Parigina rossa, molto precoce e con la
radice a forma di trottola, oppure la Parmex, una mini carota a fittone quasi
tondo.
Clima Le carote possono vegetare in qualunque clima, anche se preferiscono
quelli temperato-freschi e una temperatura compresa tra 16 e 20°C.
Impianto o semina Si seminano direttamente a dimora dalla fine di febbraio (le
più precoci) fino a giugno (varietà tardive). In un vaso largo e profondo almeno
30 cm si possono coltivare 8 piantine, mettendo pochi semi in ogni buchetto e
coprendoli con sabbia fine. Quando le piantine avranno raggiunto l’altezza di 3-
4 cm, più o meno dopo tre settimane, vanno eliminate quelle più deboli
lasciandone una sola per buco (per favorire l’estrazione e non rischiare di
smuovere quella superstite, il terriccio deve essere ben inumidito). Se la semina
viene fatta in giugno, i vasi vanno tenuti all’ombra fino a germinazione avvenuta,
per poi aumentare molto gradualmente il tempo di esposizione al sole.
Coltivazione Crescono meglio in un terriccio di medio impasto, arricchito con un
fertilizzante bilanciato: un eccesso di azoto provoca il rigoglio della vegetazione
a scapito della parte sotterranea. Vanno innaffiate spesso, sia subito dopo la
semina sia in seguito, perché in un terreno asciutto la radice diventa legnosa e
rimane piccola; meglio non usare acqua troppo fredda, che causa spaccature.
Durante la crescita vanno sostenute con una somministrazione di macerato
d’ortica.
Raccolta e impiego Si estraggono dal terreno leggermente umido dopo circa tre
mesi, quando le foglie cominciano a ingiallire, e comunque prima che la radice
sia completamente matura, perché in questo caso sarebbe legnosa. Se mangiate
crude, le carote sono ricche di vitamina A.
Cavolfiore
Brassica oleracea var. botrytis (CROCIFERE)

VARIETÀ: tra le numerose varietà di cavolfiore le più diffuse sono il Precoce


di Toscana, il Palla bianca precocissimo e il Napoletano gennarese medio-
tardivo.

CLIMA: anche se il cavolfiore predilige le zone caratterizzate da un clima


fresco, le molte varietà esistenti permettono la sua coltivazione in gran parte
delle regioni italiane. Mentre per le regioni meridionali non vi sono grandi
problemi, a nord è opportuno utilizzare varietà precoci oppure tardive.

TERRENO: predilige i terreni di medio impasto, profondi, ricchi di sostanza


organica e ben drenati. Teme i terreni acidi, che ostacolano la crescita e
rendono la pianta più sensibile ai parassiti, e quelli poveri di boro, in cui si
manifestano alterazioni a carico dell’infiorescenza.
Il robusto apparato radicale richiede una lavorazione profonda del terreno,
per assicurare una maggiore riserva idrica alla pianta che, è bene ricordarlo,
tra tutte le brassiche è la più sensibile all’aridità.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: è una pianta esigente anche in
questo campo, richiede terreni molto fertili e ricchi di sostanza organica che
però dev’essere ben matura. La migliore forma di arricchimento del terreno
per questa coltura è la distribuzione di compost o letame ben maturo (300-
350 kg/10 mq), o di una fonte analoga di sostanza organica, alla coltura
precedente. Le cure colturali prevedono annaffiature nel periodo successivo
al trapianto.

SEMINA: la facoltà germinativa dei semi del cavolfiore dura fino a 5-6 anni,
ma i risultati migliori si ottengono con semi che hanno al massimo 2 anni. Per
la germogliazione e la fuoriuscita della plantula dal terreno sono necessari da
5 a 7 giorni. La semina si protrae, a seconda delle zone e delle varietà, da
gennaio (per i cavoli estivi) a settembre (per quelli primaverili). Dopo la
semina è necessario provvedere a una leggera copertura del seme con un
sottile strato di terra distribuita manualmente o con l’aiuto di un rastrello.
Subito dopo si effettua una delicata annaffiatura. In genere si utilizzano da 2 a
4 g di semi/mq, interrati alla profondità di 1-2 cm. Si ottengono così 200-300
piantine per metro quadro di semenzaio: occorrono da 50 a 100 mq di
semenzaio per produrre le piantine necessarie a coprire un ettaro.

Il cavolfiore è un ortaggio sensibile che risente in modo particolare della mancanza


di boro, responsabile della comparsa di macchie scure e marcescenti
sull’infiorescenza.

SEMINA DEL CAVOLFIORE


La semina si effettua in semenzaio alla profondità di 1-2 cm. Il trapianto avviene
dopo 30-40 giorni, quando le piantine hanno 5-6 foglie vere e sono alte circa 20
cm.

Una volta che le piantine avranno attecchito si provvederà al diradamento.

TRAPIANTO DEL CAVOLFIORE


Il trapianto del cavolfiore avviene ponendo le piantine in buchette scavate con un
cavicchio.

Prima di procedere all’annaffiatura si avrà cura di consolidare il terreno


intorno al colletto.

Il trapianto va effettuato 40 giorni dopo la semina, quando le piantine hanno


emesso la sesta foglia vera e sono alte 20 cm circa.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: trae giovamento dalla


consociazione con molte piante: insalata da taglio e spinaci svolgono azione
repellente nei confronti dell’altica o pulce di terra; pomodoro, sedano, salvia,
rosmarino, issopo, timo, menta e assenzio scacciano la cavolaia; trifoglio
(piantato a mo’ di pacciamatura verde), pomodoro e Levisticum ostacolano la
diffusione della mosca del cavolo. Giovano anche aneto, camomilla,
barbabietola, rabarbaro, porri, piselli, taccole, lattuga, cetrioli, fagioli
rampicanti, fragole e indivia. È invece da evitare l’associazione con patate,
aglio, cipolla e tutte le altre varietà di cavolo. A causa della loro estrema
voracità e del pericolo di trasmissione di fitopatie (soprattutto dell’ernia), tutti
i cavoli e più in generale le crocifere (ravanello, ramolaccio, colza, senape,
rafano ecc.) non debbono mai essere ripetuti per più di un anno sullo stesso
terreno, ma vanno avvicendati con altre colture, in particolare con leguminose
(piselli, fagioli, fave, trifogli ecc.), che lasciano il terreno nelle migliori
condizioni di fertilità e sofficità.

RACCOLTA: quasi tutte le varietà presentano una maturazione scalare, in


genere occorrono da 75 a 150 giorni per ottenere infiorescenze pronte per il
mercato e 5-6 passaggi per completare la raccolta. Il momento ottimale per la
raccolta del cavolfiore è il raggiungimento del completo sviluppo delle
infiorescenze, che comunque non debbono mai perdere la loro caratteristica
compattezza né tanto meno presentare i fiori troppo differenziati.
D’autunno bisogna completare la raccolta prima dell’arrivo delle gelate; nel
caso lo sviluppo di alcune piantine non fosse ancora completato, si possono
ricoverare in luogo ben illuminato, assicurando alle radici un cospicuo
panetto di terra ben inumidita. Quando si utilizzano varietà caratterizzate da
foglie non ricoprenti il corimbo, per preservarne il caratteristico colore
bianco-latteo si può assicurare la protezione dell’infiorescenza dai raggi
diretti del sole spezzando le nervature delle ultime foglie, che così cadono
ripiegate sul corimbo. A 1-2°C di temperatura e all’umidità del 70-80% il
cavolfiore si conserva per 2-3 mesi senza perdere la sua freschezza.
AVVERSITÀ: benché rustici e facili da coltivare, tutti i cavoli sono
facilmente attaccabili da parassiti e malattie crittogamiche come la
peronospora, l’ernia del cavolo, la ruggine bianca delle crocifere, il marciume
secco e l’alternariosi o disseccamento fogliare. Sono inoltre particolarmente
sensibili ad alcuni parassiti, quali la pulce di terra o altica, il maggiolino, la
cavolaia e la mosca del cavolo.

Foglia di cavolfiore danneggiata dalle larve della cavolaia.

La cavolaia (Pieris brassicae) è una farfalla molto comune, le cui larve


rodono le foglie salvando solo le nervature e le imbrattano provocando
marcescenza all’interno della pianta. La mosca del cavolo, invece, rode le
radici e il colletto delle piante provocando l’ingiallimento delle foglie cui fa
seguito solitamente l’avvizzimento dell’intera pianta che diviene anche facile
preda di pericolose infezioni batteriche.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Esistono tante specie di cavoli – cavolo cappuccio,
cavolfiore, verza, cavolo nero – e a maturazione estiva oppure invernale. Non
sono fra gli ortaggi più adatti per una coltivazione sul balcone perché sono
ingombranti e occupano spazio, e in più crescono molto lentamente. Dal
momento che il loro ciclo vegetativo è lungo, sulle terrazze converrà coltivare
solo quelli invernali in modo da non sottrarre spazio prezioso ai tanti ortaggi
che crescono durante l’estate.
Clima I cavolfiori non sono adatti alle zone fredde (le loro infiorescenze vengono
danneggiate se la temperatura scende sotto lo zero) e temono sia l’eccessiva
umidità che il caldo e la siccità. Invece i cavoli cappucci, le verze e il cavolo
nero non sono danneggiati dalle gelate che, al contrario, ne migliorano il
sapore.
Impianto o semina è più conveniente acquistare piantine già pronte da
trapiantare singolarmente in un vaso largo e profondo almeno 40 cm in luglio-
agosto.
Coltivazione I cavoli vogliono un terreno di medio impasto, fresco e arricchito
con un fertilizzante ben dotato di azoto e potassio. Bisogna innaffiarli spesso e,
durante la crescita, vanno nutriti con una somministrazione di macerato
d’ortica.
Raccolta e impiego I cavoli cappucci vanno raccolti quando la parte centrale è
ben formata, soda e compatta, i cavolfiori invece quando l’infiorescenza si è
completamente sviluppata ma non si è ancora aperta. Del cavolo nero si possono
raccogliere solo alcune foglie alla volta a partire da quelle più esterne.
Cavolo cappuccio
Brassica oleracea var. capitata (CROCIFERE)

VARIETÀ: tra le varietà più diffuse ci sono il Cuor di bue grosso, il Rotondo
di Pisa, l’Express precocissimo e il Napoletano.

CLIMA: il cavolo cappuccio è sensibile alla siccità, preferisce climi freddi e


umidi, ma si adatta anche alle regioni temperate. Nella fase giovanile,
variabile a seconda della cultivar da 3 a 12 settimane, le basse temperature
non esercitano nessun effetto vernalizzante.

TERRENO: si adatta a qualsiasi tipo di terreno, anche con un elevato tenore


salino, purché profondo ed esente da ristagni d’acqua.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: come il cavolfiore, il cavolo


cappuccio richiede terreni estremamente fertili e ricchi di sostanza organica
ben matura. Le cure colturali prevedono irrigazioni, zappettature per
eliminare le infestanti e la rincalzatura durante lo sviluppo della testa.

LA SEMINA
Il cavolo cappuccio si può seminare tutto l’anno in un semenzaio.

SEMINA: il cavolo cappuccio si può seminare durante tutto l’anno: da


gennaio a maggio si seminano i cavoli estivi-autunnali, mentre in maggio-
giugno quelli invernali e in agosto-settembre i primaverili. In genere la
semina si effettua in semenzaio. In pieno campo viene eseguita
esclusivamente la coltura industriale (crauti). Per 1 mq di semenzaio si
utilizzano 1,5-2,5 g di seme che danno circa 200-300 piantine, sufficienti per
200 mq di coltura. Per ottenere produzioni precoci in primavera, la semina
può essere effettuata in letto caldo, per poi ripicchettare le piantine appena
emettono 2-3 foglie vere. Il trapianto del cavolo cappuccio viene effettuato
40-50 giorni dopo la semina. Le piantine vanno distanziate a 40-50 cm sulla
fila e 50-80 cm tra le file. Il cavolo cappuccio necessita di una buona
aerazione del terreno e di un buon drenaggio soprattutto per le cultivar tardive
che si raccolgono a fine inverno; ciò può essere ottenuto con una corretta
gestione dell’apporto di materia organica al terreno. Risulta utile anche la
sistemazione del letto d’impianto a prode o a solchi, così da agevolare lo
sgrondo dell’eccessiva acqua piovana ed evitare situazioni di asfissia
radicale.

CONSERVAZIONE DEL CAVOLO CAPPUCCIO


Dopo aver raccolto il cavolo cappuccio, si libera dalle radici e dalle foglie più
esterne.

Per conservare il cavolo cappuccio in cantina, o in un locale fresco e ventilato,


le teste vanno disposte ben separate tra loro, su scaffali di legno.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: come il cavolfiore, è buona la


consociazione con lattuga, spinaci, salvia, rosmarino, pomodoro, sedano.
Avvicendare con fagioli, piselli, fave.

RACCOLTA: la raccolta si effettua quando le “teste” raggiungono le


dimensioni tipiche della cultivar di appartenenza, o comunque prima che le
foglie tendano ad aprirsi. Per i cappucci primaverili la raccolta va eseguita da
maggio fino a tutto giugno; per i cappucci estivi da giugno e per tutta l’estate,
e per quelli invernali da novembre in poi. I cavoli rossi vanno raccolti prima
del gelo.
La resa si aggira intorno a 4-5 q per ogni 100 mq di coltura.

AVVERSITÀ: il cavolo cappuccio è soggetto alle medesime avversità del


cavolfiore. Tra le malattie crittogamiche si ricordano ernia del cavolo,
peronospora e alternariosi.
Tra i parassiti, il cavolo cappuccio può essere attaccato dalla mosca del
cavolo, dalla pulce di terra e dalla farfalla cavolaia.

SUL BALCONE
Per la coltivazione dei cavoli sul balcone, vedi cavolfiore.
Cavolo rapa
Brassica oleracea gongyloides (CROCIFERE)

VARIETÀ: ricordiamo soprattutto il cavolo rapa di Vienna violetto e il cavolo


rapa bianco delicatezza. Il primo è a maturazione precoce, il secondo è
mediamente precoce.

CLIMA E TERRENO: predilige i climi temperati caldi, ma dimostra una


buona resistenza al freddo.
Il terreno deve possibilmente essere fresco e profondo, esente da ristagni
d’acqua.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: si distribuisce una concimazione


di letame o compost maturo nelle dosi di 4 q/100 mq, interrati qualche mese
prima della semina alla profondità di 35-40 cm.
Le cure colturali prevedono irrigazioni costanti per inumidire il terreno, al
fine di ottenere un prodotto di buona qualità. Infatti periodi siccitosi alternati
a piogge abbondanti o irrigazioni cospicue possono causare fibrosità e
spaccature della rapa con il conseguente deprezzamento del prodotto.
Importanti sono pure le irrigazioni da effettuarsi subito dopo il trapianto.
Essendo il fusto o rapa la parte edule della pianta, particolare cura si dovrà
avere al momento del trapianto affinché non venga interrato il colletto
lasciando così libero il fusto di ingrossarsi.
Altre operazioni colturali consistono in normali scerbature e zappettature per tenere
sgombro il terreno dalle infestanti e arieggiarlo.

LA COLTIVAZIONE DEL CAVOLO RAPA

Le piantine di cavolo rapa vanno trapiantate a 30 cm circa di distanza sulla fila.


È bene evitare con cura di interrare il colletto, in questo modo favorirete
l’ingrossamento del fusto.

SEMINA: può avvenire in semenzaio, sia a letto caldo che freddo, o


direttamente a dimora nell’orto. La semina si può effettuare in epoche
diverse, più frequentemente in maggio negli orti.
Il trapianto dal semenzaio si pratica quando le piantine hanno circa 40 giorni
e un’altezza di 25-30 cm. Le distanze saranno di 30 cm sulla fila e 40 cm tra
le file. È sufficiente 1 g di seme per 1 mq di semenzaio.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: non ha particolari esigenze per


quanto riguarda l’avvicendamento, può indifferentemente precedere o seguire
molte colture orticole. Si presta a essere consociato con diversi ortaggi, come,
per esempio, lattughe, finocchio.

RACCOLTA: è scalare e dura più mesi a seconda delle varietà coltivate. Essa
si effettua quando il rigonfiamento del fusto ha raggiunto la misura ottimale
della varietà di appartenenza. A raccolta compiuta si monda la rapa edule da
foglie e radici.

AVVERSITÀ: il cavolo rapa soffre le stesse avversità delle crocifere. Si veda


quanto detto per il cavolfiore.

SUL BALCONE
Per la coltivazione dei cavoli sul balcone, vedi cavolfiore.
Cece
Cicer arietinum (LEGUMINOSE)

VARIETÀ: le varietà a seme giallo sono utilizzate per l’alimentazione umana;


quelle a seme rosso o nero vengono coltivate per la produzione di mangimi
per gli animali.

CLIMA E TERRENO: vegeta bene in terreni leggeri, profondi, meglio se a


basso contenuto di calcio. Si adatta tuttavia anche a quelli ghiaiosi o tendenti
al compatto, mentre presenta segni di sofferenza se coltivato su terreni
argillosi o freddi. Non ama l’alcalinità e la salinità. È una pianta con radici
profonde, rustica e resistente alla siccità e, perciò, cresce bene nelle zone a
clima caldo e secco come quelle del Sud e del Centro Italia a quote anche
abbastanza elevate (fino a 2400 m di altitudine).

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: con i lavori di preparazione del


terreno, vanno effettuate le concimazioni fosforiche e potassiche, alla dose di
6-7 kg ogni 100 mq. All’azoto, il cece provvede da sé nonostante una
precedente blanda concimazione letamica sia gradita. Si avvantaggia inoltre
di una buona preparazione del terreno e di frequenti sarchiature, soprattutto
nelle prime fasi vegetative. Quando le piante hanno raggiunto i 20-25 cm di
altezza, può essere utile effettuare una rincalzatura. Le operazioni colturali
cessano con l’inizio della fioritura. In caso di stagioni particolarmente calde,
nonostante la sua rusticità, il cece beneficerà di una o più irrigazioni.
SEMINA: nelle zone a inverno mite, la semina viene fatta in autunno o verso
la fine dell’inverno (febbraio), cercando di anticiparla, onde assicurare alla
coltura un periodo vegetativo con clima fresco. La semina può essere fatta a
righe semplici, distanti 30-40 cm tra loro, o a ciuffi (di 3-4 semi ognuno),
distanti 50-60 cm. La quantità di seme occorrente è di 0,8-1,0 kg ogni 100 mq
nel primo caso, 0,5-0,6 kg nel secondo caso. Per le semine primaverili e per
climi freddi, è richiesto un 25% di seme in più. La profondità di semina
raccomandata è di 4-6 cm. Profondità maggiori, comportano riduzioni nello
sviluppo vegetativo e ritardo nella fioritura.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: il suo posto nella rotazione è


quello di una coltura da rinnovo, coltivata prima di altre specie che sfruttano
maggiormente il terreno come i cereali (frumento, orzo e avena). Nella
coltivazione tradizionale, viene associato alle tipiche colture arboree
mediterranee: olivo, vite e mandorlo. Riguardo alle piante erbacee, il cece
viene consociato con colture coltivate a file quali il mais, la cipolla e la
patata.

RACCOLTA: a distanza di 4-6 mesi dalla semina, (verso giugno-luglio),


allorché le piante sono ingiallite e i legumi (contenenti mediamente 2 semi)
sono secchi, se ne inizia la raccolta, estirpando le piante. Trasportate a fasci
sull’aia, termineranno di essiccare all’aria aperta, in luogo riparato. La
produzione di semi, normalmente, si aggira attorno ai 10-15 kg per 100 mq di
coltivazione. Se conservati in condizioni ottimali, i semi mantengono al terzo
anno un 60% di germinabilità. La produzione di paglia è, quantitativamente,
uguale o superiore a quella dei semi.

Il cece è una pianta in grado di resistere a temperature molto rigide.

AVVERSITÀ: tra le malattie crittogamiche si ricordano la rabbia o antracnosi


del cece che si manifesta su tutti gli organi aerei con macchie marroni o nere,
fusariosi, verticilllosi, sclerotinia, marciume radicale e ruggine del cece. Tra
gli insetti parassiti sono da ricordare la larva polifaga di Heliotis armigera, la
cocciniglia farinosa, la mosca minatrice e il Callosobruchus chinensis,
temibile parassita delle granaglie immagazzinate.
Cetriolo
Cucumis sativus (CUCURBITACEE)

VARIETÀ: le diverse varietà di cetriolo si distinguono per dimensioni, forma,


colore e utilizzo (sostanzialmente da insalata o da sottaceti).
Il cetriolo è una specie con fiori maschili e femminili portati sulla stessa
pianta, ma i nuovi ibridi F1, migliorati e più produttivi, portano
esclusivamente fiori femminili.

CLIMA: a causa delle sue origini subtropicali, il cetriolo richiede temperature


molto elevate e comunque mai inferiori ai 10°C: la temperatura ottimale è
intorno ai 25-28°C. Il cetriolo richiede anche un’elevata disponibilità idrica,
senza la quale le piante danno frutti più amari e produzioni ridotte.

TERRENO: si adatta a diversi tipi di terreno, a eccezione di quelli


eccessivamente sciolti o argillosi, ma predilige i terreni di medio impasto,
ben esposti, strutturati e irrigui. Il pH ottimale va da 5,8 a 6,8. Il grande
sviluppo dell’apparato radicale del cetriolo richiede una lavorazione del
terreno ben approfondita (30-35 cm), effettuata a fine estate per sfruttare
l’umidità autunnale e l’effetto strutturante dell’alternanza gelo/disgelo,
completata da un affinamento prima della semina o del trapianto.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: richiede un’abbondante
concimazione organica (30-40 kg/10 mq) e sopporta bene anche il letame o il
compost poco maturo, che può essere interrato al momento della lavorazione
profonda o durante la messa a dimora delle piantine. Il cetriolo è un avido
consumatore di fosforo che può essere apportato alla coltura sotto forma di
farina d’ossa (200-500 g/10 mq).
L’irrigazione deve essere eseguita durante tutto il ciclo colturale. L’acqua va
distribuita frequentemente nella giusta quantità al fine di assicurare al terreno
un’umidità sempre costante (ogni pianta di cetriolo necessita di circa 2,5 l
d’acqua al giorno).
Il cetriolo richiede inoltre la cimatura, che ha lo scopo di stimolare
l’emissione dei getti laterali su cui sono presenti un maggior numero di fiori
femminili.
Dopo l’emissione del quinto nodo è possibile cimare sopra la quarta foglia, in
questo modo sulle ascelle delle foglie si evidenzieranno i getti laterali
primari, che porteranno i fiori femminili da cui si formeranno i primi cetrioli.
È opportuno inoltre eseguire la pacciamatura, particolarmente indicata per il
cetriolo poiché, oltre a tenere lontani i frutti dal contatto diretto con il terreno,
contribuisce a ostacolare lo sviluppo delle infestanti e trattiene l’umidità del
terreno.
PACCIAMATURA E CIMATURA

La pacciamatura, oltre a evitare il contatto diretto con il terreno, ostacola lo


sviluppo delle infestanti e conserva l’umidità del suolo.

La cimatura si effettua dopo l’emis sione della quinta foglia, recidendo lo stelo
subito prima di questa.
Nel caso del cetriolo vanno inoltre usati dei tutori alti fino a 1,5 m costituiti
da rami secchi, reti di plastica, fili sostenuti da paletti ecc.: oltre ad assicurare
uno sviluppo più regolare dei frutti, facilitano la difesa dalle infestanti,
lasciano liberi gli interfilari per l’intervento di sarchiatura e agevolano la
raccolta.

USO DEI SOSTEGNI

Reti di plastica

Cannette o tutori
Il cetriolo richiede costanti irrigazioni, altrimenti i frutti risultano amari.

SEMINA: si effettua da aprile a giugno in postarelle di 20 x 20 x 20 cm,


riempite per 2/3 da letame o compost e per la rimanente parte da farina d’ossa
o scorie Thomas (una manciata scarsa) e terriccio, in ognuna delle quali si
pongono 3-4 semi distanziati di qualche centimetro. Il tutto va coperto con 1-
2 cm di terriccio fine e pressato bene. Le postarelle devono essere distanziate
nella fila di circa 40-80 cm e tra le file di 100-150 cm; in questo modo
occorrono da 3 a 5 g per ogni 10 mq di superficie. Per anticipare di 2-3
settimane il raccolto, la semina può essere effettuata in marzo e aprile in
semenzaio a letto caldo o in vasetti contenenti 2 semi.

SEMINA DEL CETRIOLO

La semina del cetriolo si effettua da aprile a giugno, in postarelle di 3-4 semi. La


distanza fra le file è di circa 100-150 cm, mentre all’interno della fila è di 40-80
cm.
Il diradamento si effettua lasciando 1 o 2 piantine per postarella.

Quando le piantine presentano 2 foglie va effettuato il diradamento, lasciando


1-2 piante per ogni postarella o un’unica pianta nel caso dei vasetti. Secondo
il calendario lunare il cetriolo va seminato 3 giorni prima o 3 giorni dopo la
luna piena.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: per prevenire la proliferazione di


fitopatie e la stanchezza del terreno è bene evitare di ripetere la coltivazione
del cetriolo e delle altre cucurbitacee (zucca, anguria e cocomero) sullo stesso
appezzamento prima di 2-4 anni. Il cetriolo si consocia bene con sedano,
lattuga, cavoli, fagioli, piselli e mais dolce, che può essere utilizzato come
supporto per le piantine. Risultati negativi sono invece stati registrati con
patata e pomodoro.

RACCOLTA: si protrae per circa 1-2 mesi. La raccolta si effettua dopo circa
3 mesi dalla semina, quando il frutto è fisiologicamente ancora immaturo e di
un bel colore verde lucente. Per le colture da pieno campo la maturazione
commerciale viene raggiunta verso giugno-luglio. Le rese oscillano da 2-3
q/100 mq (coltura in pieno campo) fino a 8-12 q/100 mq (per quelle protette).
I frutti pronti per il consumo vanno raccolti tempestivamente per evitare di
stremare le piante.

AVVERSITÀ: come tutte le cucurbitacee anche il cetriolo è molto sensibile a


crittogame quali il marciume del colletto e delle radici, l’oidio, il mosaico e la
maculatura angolare. In particolare quest’ultima colpisce soprattutto il
cetriolo provocando macchie e croste biancastre sulle foglie. Ne vengono
danneggiati anche i frutti che in seguito cadono o marciscono. Risultano
particolarmente utili alla sua prevenzione la pratica di sterilizzare la semente
per 30 minuti in acqua a 45°C e il non ripetere la coltivazione per almeno 3
anni qualora si sia manifestata la malattia. Ai primi sintomi è bene trattare
con poltiglia bordolese.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Il cetriolo è un parente stretto del cocomero e in origine i
suoi frutti erano amari e spinosi. Alcune varietà sono a frutto grosso e si usano
crude in insalata: fra queste è possibile scegliere la White Wonder,
caratterizzata dalla buccia bianca, oppure il Lungo di Cina, che presenta frutti
sottili e lunghi fino a 40 cm.
Altre varietà invece sono a frutto piccolo e adatte alla conservazione sott’aceto:
fra queste è particolarmente indicato il Piccolo di Parigi.
Clima Il cetriolo predilige le esposizioni in pieno sole e temperature che si
mantengano sopra i 10°C.
Impianto o semina Si semina in marzo nei semenzai, per trapiantare le piantine
dopo circa un mese, oppure da aprile a giugno direttamente a dimora in vasi
larghi e profondi almeno 35 cm.
Si interrano 3-4 semi per buchetta e, quando le piantine avranno emesso le prime
2 foglie vere, si procederà al diradamento. In vendita si possono comunque
trovare anche piantine già pronte.
Coltivazione Cresce bene in un terreno fresco, ricco di sostanza organica e
concimato con un fertilizzante ad alto titolo di potassio. Ha bisogno di
irrigazioni abbondanti (ma senza ristagni d’acqua), perché altrimenti i frutti
diventano amari. È una pianta rampicante che, coltivata in piena terra, si può
lasciar correre sul terreno, mentre nei vasi bisognerà dotarla di un graticcio sul
quale si possa arrampicare. Non è invece necessario sostenere i frutti man mano
che si ingrossano.
Raccolta e impiego Si raccoglie a più riprese a partire da giugno-luglio, prima
che i frutti abbiano raggiunto il massimo del loro sviluppo e comincino a
colorarsi di giallo, ma non troppo in anticipo perché in questo caso la loro polpa
sarebbe amara.
Cicoria e Radicchio
Cichorium intybus (COMPOSITE)

VARIETÀ: le varietà di cicoria sono moltissime e si distinguono in base al


colore delle foglie, all’epoca di maturazione, alle modalità di raccolta (da
taglio o da cespo).
Tra le varietà più importanti sono da ricordare la cicoria di Bruxelles (o
Witloof) a cespo verde, ma commercializzata dopo imbianchimento; il
Grumolo biondo e verde; la Catalogna brindisina e quella a foglie larghe del
Veneto e da puntarelle; il Pan di zucchero a cespo verde chiaro.
Molto numerose e tipicamente italiane le varietà a cespo con foglie rosse,
chiamate radicchi: di Treviso, Variegato di Castelfranco, di Verona, di
Chioggia, Orchidea. Altre cicorie sono la Spadona a cespo verde, la
Zuccherina di Trieste a foglie dolci verde chiaro e, infine, la cicoria di
Soncino, della quale si utilizzano le radici.

CLIMA: le cicorie coltivate si caratterizzano, come le specie spontanee, per


l’elevata resistenza alle basse temperature e alla siccità e si adattano bene alla
maggior parte delle condizioni climatiche.

TERRENO: si adattano a qualsiasi tipo di terreno, a eccezione di quelli inclini


a ristagni d’acqua o troppo compatti e ciottolosi, dove le varietà dotate di
grandi radici trovano difficoltà di sviluppo. La presenza di radici a grande
sviluppo rende necessaria una lavorazione profonda, utile anche per
migliorare la disponibilità idrica del terreno e interrare il concime organico.
Le minute dimensioni dei semi richiedono un accurato lavoro di affinamento
del terreno per la preparazione del letto di semina, soprattutto quando viene
eseguita direttamente in campo.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: la cicoria è molto sensibile alla


presenza di sostanza organica non perfettamente decomposta, per cui è
necessario utilizzare solamente compost o letame ben maturo, meglio ancora
se distribuito alla coltura precedente. In genere ne bastano da 2 a 4 q per ogni
100 mq di superficie. Le cure colturali prevedono irrigazioni regolari e
ripetute nei primi stadi di crescita, dalla semina al trapianto e nelle stagioni
calde e siccitose; sarchiature e zappettature per arieggiare il terreno e
liberarlo dalle infestanti; diradamento durante la crescita.
La cicoria di Bruxelles e alcuni tipi di radicchio (Rosso di Treviso, Rosso di
Verona e il Variegato di Castelfranco) vengono sottoposti a un processo di
imbianchimento. Le cicorie destinate all’imbianchimento vengono estirpate
alla fine dell’autunno e, una volta ripulite dalla terra e da eventuali foglie
marce, si spuntano le radici e le foglie (a 2-3 cm dal colletto). Così preparate
le piante vengono infilate una accanto all’altra in uno strato di terreno e
sabbia leggermente inumidito situato in cantina o in stalla, o comunque in un
luogo riparato dalla luce diretta del sole. Il tutto viene tenuto coperto da uno
strato di paglia per circa 7-8 giorni, il tempo necessario per lo sviluppo delle
nuove foglie. Se il locale utilizzato non è riscaldato, è necessario ricorrere a
un letto caldo. I radicchi rossi, invece, dopo la rimozione delle foglie più
esterne vanno raggruppati in mazzi di 30-40 cespi e posti verticali al buio,
ricoprendoli con paglia, terra o film plastico nero e mantenendo umida la
radice, senza bagnare le foglie per non provocare l’insorgere di marciumi.

CICORIE DESTINATE ALL’IMBIANCHIMENTO


Le cicorie destinate all’imbianchimento devono essere estirpate alla fine
dell’autunno.

Una volta spuntate le radici e le foglie, le cicorie destinate all’imbianchimento


vengono infilate una vicino all’altra in uno strato di terreno e sabbia inumiditi.

SEMINA: a seconda delle varietà e della tecnica colturale prescelta, la semina


può essere eseguita in semenzaio o direttamente in campo, a pochi centimetri
di profondità (0,5-1,5 cm). Per indicazioni più particolareggiate si rimanda al
breve elenco sotto riportato.
Cicorie da taglio – Rappresentano le varietà più rustiche (Spadona, cicoria
Selvatica, Bianca migliorata di Milano ecc.) dotate di un’ottima resistenza al
freddo e alle temperature più elevate; si possono pertanto seminare per tutto
l’anno, fatta eccezione per i mesi più freddi.
La semina si esegue in file distanziate di circa 15 cm, utilizzando 20-25g di
seme ogni 100 mq di superficie. Appena le piantine raggiungono 10-12 cm di
altezza (circa 7-8 foglie) si esegue un diradamento a 10-20 cm, a seconda
della varietà che viene utilizzata.

SEMINA DI CICORIA E RADICCHIO

A seconda delle varietà e della tecnica colturale scelta, la semina può essere
effettuata in semenzaio oppure direttamente in campo.

La cicoria e il radicchio richiedono frequenti sarchiature per limitare lo sviluppo


delle piante infestanti.

Cicorie da cespo – A questo gruppo appartengono sia i tipi a foglia verde


che a foglia rossa o variegata indicati comunemente con il nome di radicchi.
Per alcuni di essi la semina avviene in semenzaio (Variegato di Castelfranco,
Variegato di Chioggia, Palla Rossa, cicoria Brindisina) e per altri
direttamente in campo (Rosso di Verona, Rosso di Treviso ecc.). L’epoca di
semina è molto varia: la cicoria Brindisina si semina da marzo a ottobre; i
radicchi in giugno-luglio, fatta eccezione per il radicchio rosso di Chioggia
che si semina sin da marzo.
Le modalità di semina sono quelle già indicate in relazione alla cicoria da
taglio, mentre la quantità di seme impiegata è leggermente superiore: 30-50
g/100 mq.
Cicorie da grosse radici – Questo gruppo di cicorie si semina direttamente
in pieno campo, da febbraio-marzo a tutto agosto per la cicoria di Bruxelles, e
da marzo a maggio per la cicoria di Magdeburgo. Si utilizzano circa 60-80 g
di seme ogni 100 mq di superficie.

Cicorino.

Radicchio rosso di Treviso.


Radicchio da campo.

Cicoria belga.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: le cicorie traggono grande


beneficio dalla consociazione con pomodoro, fagioli rampicanti, lattuga e
carote. Le cicorie non dimostrano particolari problemi a seguire oppure
precedere numerose specie orticole e sono quindi da ritenersi colture
intercalari.

RACCOLTA: è molto varia a seconda della tecnica colturale e delle varietà


impiegate.
Cicorie da taglio – La raccolta si effettua almeno 5-6 volte l’anno, falciando
le foglie all’altezza del colletto, quando le piante hanno le foglie ancora
tenere e un’altezza di circa 10-12 cm.
Cicorie da cespo – La cicoria Brindisina si raccoglie per quasi tutta la durata
dell’anno, il radicchio Palla Rossa da giugno a novembre, il Variegato di
Chioggia da ottobre a marzo, il Variegato di Castelfranco da novembre a
febbraio, il Rosso di Verona e il Rosso di Treviso da novembre a marzo.
Cicorie da foglia e steli –Si raccolgono in autunno-inverno, in primavera e in
estate. A seconda delle zone si possono avere 4-5 raccolti.
Cicorie da grosse radici –Si raccolgono dalla fine dell’autunno alla
primavera.

AVVERSITÀ: non sono solo le lumache i nemici di questi ortaggi. Tra i


principali parassiti animali ricordiamo maggiolino, grillotalpa, afidi, nottue e
nematodi.
Tra le malattie fungine è pericolosa la peronospora, che si manifesta sulle
foglie esterne prossime al terreno con macchie giallognole o decolorate alle
quali corrispondono sulla pagina inferiore formazioni di muffa biancastra. Il
mal bianco delle composite, invece, si riconosce dalle macchie biancastre
polverulente sulla pagina superiore delle foglie, che ingialliscono e seccano.
Cicorie e radicchi sono inoltre particolarmente soggetti alla formazione di
muffa grigia.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Fra le cicorie da taglio, le più indicate per i vasi sono la
Spadona e la Biondissima di Trieste. Fra quelle da cespo è particolarmente
croccante la varietà Pan di zucchero, una cicoria invernale con grandi foglie
verde chiaro, tenerissime, che imbiancano spontaneamente.
Clima Le cicorie resistono bene alle gelate, ma anche alle temperature elevate e
alla siccità: in questo caso però le foglie sono più coriacee e amare. Si trovano
bene anche nelle posizioni a mezz’ombra.
Impianto o semina Da marzo a settembre si possono seminare in piena terra,
dove germoglieranno in pochi giorni. Se la semina viene effettuata nei mesi
estivi, i vasi vanno tenuti all’ombra fino a quando le piantine si sono ben
irrobustite. Si possono acquistare anche piantine già pronte, offerte dai garden
center un po’ in tutti i mesi dell’anno a seconda della varietà.
Coltivazione È adatto un terriccio universale leggero e ben drenato. Le
annaffiature devono essere regolari e per le varietà che consentono diversi tagli
è utile una somministrazione di macerato d’ortica ogni 2 mesi.
Raccolta e impiego Le foglie delle cicorie da taglio si possono raccogliere
nell’arco di tutto l’anno perché, dopo il taglio quasi a livello del terreno, la
pianta rivegeta rapidamente. Invece le cicorie da cespo, che si raccolgono
tagliandole al piede, non ricacciano. Sia le une che le altre sono ottime
consumate crude in insalata.
Cipolla e Scalogno
Allium cepa, Allium ascalonicum (LILIACEE)

VARIETÀ: le numerose varietà in commercio si differenziano per forma e


dimensioni del bulbo (piccolo o grande, tondo, piatto, fusiforme), per il
colore della tunica esterna (gialla, bianca, rossa), per la destinazione d’uso
(conservazione, consumo fresco) e per il periodo di raccolta (cipolle
invernali, cipolle primaverili). Inoltre, a seconda del ciclo di coltivazione, le
cipolle si dividono in precoci, semiprecoci e tardive. Delle numerose varietà
di cipolle esistenti ricordiamo: la Stoccarda a scorza gialla, medio-precoce; la
Dorata di Parma, tardiva a scorza gialla; la Rossa di Bassano, medio-precoce
a scorza rossa; la Borrettana, medio-precoce a scorza gialla adatta per
sottaceti come la Barletta a scorza bianca.
Pur essendo una specie a se stante, e non una varietà di cipolla, lo scalogno
(Allium ascalonicum) richiede cure colturali simili. È caratterizzato da bulbi
piccoli, più o meno rosei e di forma allungata, a seconda della varietà
(Francese, Tondo olandese, Romagnolo ecc.) e da un sapore più delicato,
meno intenso, di quello della cipolla.

CLIMA: per quanto riguarda l’umidità, la cipolla è molto sensibile ai ristagni


d’acqua e quindi rifugge dai terreni con problemi di sgrondo e dalle zone
eccessivamente piovose.
Le basse temperature non rappresentano un grave problema per questa
coltura; gli eventuali danni derivanti da temperature eccessivamente rigide
sono dovuti essenzialmente allo scalzamento delle radici nei terreni gelati. Di
particolare importanza per la cipolla è, invece, la lunghezza del giorno, il
cosiddetto fotoperiodo. La durata delle ore di luce influenza infatti
direttamente il passaggio dalla fase vegetativa (formazione delle foglie e
ingrossamento del bulbo) a quella riproduttiva (emissione dello scapo
fiorale). Quando la durata del fotoperiodo supera le 14-16 ore giornaliere
cessa la produzione di nuove foglie e inizia l’ingrossamento del bulbo,
mentre la differenziazione dello scapo fiorale inizia quando il fotoperiodo si
riduce a 9-12 ore giornaliere. Nei nostri climi conviene quindi anticipare il
più possibile la semina per offrire alle piante l’opportunità di formare una
quantità adeguata di foglie prima della metà di maggio-primi di giugno
quando, con l’allungarsi del fotoperiodo, cessa la produzione di nuove foglie
dalla cui quantità dipende il definitivo accrescimento del bulbo.

TERRENO: anche se si adatta bene a diversi tipi di terreno, la cipolla


predilige i terreni di medio impasto sciolti, profondi e ben strutturati. Terreni
eccessivamente alcalini o acidi determinano gravi squilibri sullo sviluppo dei
bulbi (colore pallido, crescita stentata, tuniche eccessivamente sottili). Anche
la tessitura del terreno risulta di particolare importanza, soprattutto per quelle
cultivar di forma rotondeggiante che per svilupparsi regolarmente necessitano
di terreni non troppo compatti.

Cipolla bianca.
Cipolla rossa.

Cipolline borrettane.

Scalogno.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: la cipolla è particolarmente
sensibile all’apporto di sostanza organica non perfettamente decomposta, il
cui impiego favorisce l’insorgere di marcescenze e rende difficoltosa la
conservazione dei bulbi.
Cipolle invernali – Deve essere utilizzato esclusivamente letame o compost
ben maturo nella quantità di 200-300 q/ha. Meglio ancora se la concimazione
viene effettuata sulla coltura precedente. La cipolla è una grande
consumatrice di potassio, che può essere apportato al terreno mediante la
distribuzione di cenere di legna (500-600 g/10 mq), polvere di rocce (2-3
kg/100 mq) o patentkali (2-4 kg/100 mq).
La cipolla germina molto lentamente per cui, specie nei primi stadi del suo
sviluppo, risente in maniera notevole della concorrenza delle infestanti. Nella
maggior parte dei casi si rendono necessari frequenti interventi, anche ogni 8-
10 giorni, da effettuarsi in superficie per evitare di danneggiare le radici che,
com’è noto, hanno uno sviluppo estremamente superficiale.
Per quanto riguarda l’irrigazione, questa risulta necessaria solamente nei casi
in cui l’andamento della stagione metta in forse la pronta germinazione dei
semi e subito dopo il trapianto per favorire la ripresa delle piantine.
Durante il corso della vegetazione, gli adacquamenti risultano necessari solo
nelle annate particolarmente siccitose.
Cipolle primaverili – Occorre una maggiore quantità di azoto e di potassio
per aumentare la resistenza delle piantine al freddo.

SEMINA: il tipo di semina varia considerevolmente a seconda della tipologia


che viene utilizzata.
Cipolle invernali – Si effettua in semenzaio all’aperto da gennaio a marzo.
Nelle zone più fredde, per anticipare il trapianto, è consuetudine proteggere il
semenzaio con vetro o altri ripari analoghi. In genere sono sufficienti 2-4 g di
seme/mq. Per produrre le piantine necessarie a coprire 100 mq di terreno
occorrono circa 7-8 mq di semenzaio. Quando la temperatura non è troppo
rigida la germinazione può essere accelerata ponendo i semi a bagno per 12
ore in acqua tiepida.

CIPOLLE NOVELLE

Per la produzione di cipolle novelle o cipollotti si utilizzano bulbi di 12-16 mm di


diametro, messi a dimora in agosto (nelle regioni settentrionali) o in ottobre (in
quelle meridionali).

Il trapianto si effettua dopo circa 60-80 giorni dalla semina, quando le


piantine presentano 4-5 foglie e 12-20 cm di altezza, comunque mai oltre la
prima metà di maggio, altrimenti i bulbi non hanno il tempo di ingrossarsi
sufficientemente. La distanza da rispettare nella messa a dimora varia, a
seconda delle cultivar utilizzate, da 20 a 35 cm tra le file e da 5 a 20 cm nella
fila.
Secondo il calendario lunare le cipolle trovano giovamento dall’essere
seminate da 3 giorni prima a 3 giorni dopo la luna piena, purché la terra sia
stata smossa sin dalla luna nuova precedente e opportunamente lavorata nel
frattempo.
Cipolle primaverili – Si effettua a fine luglio-agosto o anche in febbraio,
utilizzando 10 kg di seme/ha. Il trapianto è praticato a metà ottobre o
all’inizio della primavera. Le piante vanno interrate più in profondità di
quanto si fa con le cipolle invernali per proteggerle dal gelo.
Scalogno – Si consiglia di procedere alla semina dei bulbilli in aprile, in
quanto le piante ottenute da seme tendono ad andare a fiore, cioè "montano"
facilmente.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: può essere coltivata dopo


pomodori, patate, leguminose, cetriolo e mais, mentre si è notata una
riduzione delle rese dopo cavoli, barbabietole e segale. Non ripetere la coltura
nella stessa parcella prima di 4 anni. La cipolla dà buoni risultati se associata
a melanzane, fragole, spinaci, pomodori e lattughe, mentre è da evitare la
consociazione con finocchi e aglio. L’alternanza di filari di cipolle con filari
di carote sembra conferire una reciproca protezione contro le voracissime
mosche che attaccano questi due ortaggi.

RACCOLTA: come la semina, anche il periodo di raccolta, varia in base alla


tipologia:
Cipolle invernali – La raccolta delle cipolle invernali si effettua in agosto-
settembre, per evitare l’insorgere di marciumi e altre alterazioni. Durante la
conservazione è bene raccogliere i bulbi con tempo asciutto, quando le foglie
sono ingiallite ma prima che esse siano completamente secche.
Cipolle primaverili – Inizia a marzo-aprile con le cipolle più precoci e
continua fino a giugno-luglio, quando vengono estirpate le varietà più lente.
Scalogno – Lo scalogno viene raccolto alla fine di luglio o in agosto quando,
come la cipolla, presenta l’apparato aereo secco.

AVVERSITÀ: la cipolla, così come tutte le liliacee, può andare soggetta a


numerose avversità.
Tra i parassiti animali ricordiamo la mosca della cipolla, le cui larve divorano
il cuore del bulbo su cui si innesta poi un’infezione batterica che determina
rapidi marciumi.
La cipolla può anche subire forti attacchi da parte di anguilulla (in questo
caso è bene bruciare le piante e non ripetere la coltura per almeno 6 anni),
punteruolo, criocera e tignola (le cui larve attaccano le foglie scavando
minuscole gallerie all’interno).
Delle crittogame ricordiamo la ruggine, la muffa nera e la peronospora.
Quest’ultima colpisce aglio e cipolla, soprattutto in periodi piovosi e zone
umide, provocando una cospicua riduzione della resa e un peggioramento
della qualità. All’inizio dell’infezione, sulle foglie compaione macchie
biancastre che presto si coprono di una feltrosità dello stesso colore; le foglie
(e gli scapi fiorali) marciscono rapidamente e muoiono afflosciandosi sul
terreno.
SUL BALCONE
Scelta della varietà Coltivare la cipolla sul balcone non è facile perché si tratta
di una coltivazione che sviluppa molto spazio. Decisamente migliore è invece lo
scalogno, che occupa poco spazio ed è quindi più adatto ai vasi.
Clima Lo scalogno resiste al freddo e la sua esposizione ideale è soleggiata.
Impianto o semina Gli spicchi (bulbilli) di scalogno si seminano direttamente a
dimora in marzo, sistemandoli in verticale, con la punta rivolta verso l’alto e a
livello della terra. Un vaso largo e profondo 30 cm può ospitare 9 piante.
Coltivazione Cresce bene nei terreni di medio impasto, ben drenati e fertili.
Prima di piantarlo però non vanno aggiunti letame o compost fresco che
potrebbero provocare marcescenze. Va innaffiato con regolarità ma
moderatamente, e qualora compaiano i fiori bisogna eliminarli per favorire
l’ingrossamento dei bulbi.
Raccolta e impiego I bulbi si raccolgono in luglio-agosto, quando le foglie
cominciano ad appassire, estirpandoli. Si fanno essiccare per alcuni giorni al
sole e poi si conservano in un locale asciutto e aerato, dove possono durare a
lungo. Si possono consumare crudi, aggiunti alle insalate, ai formaggi e al
burro, oppure cotti nella preparazione di salse.
Coriandolo
Coriandrum sativum (OMBRELLIFERE)

VARIETÀ: il coriandolo è un’erbacea annuale con fusto eretto (40-60 cm)


ramoso e striato. Le foglie basali hanno picciolo lungo e possono suddividersi
in 3 foglioline dentate. I fiori, bianchi o rosati, sono raccolti in ombrelle e
compaiono in primavera-estate. Il frutto, o seme, è formato da 2 piccoli
acheni di colore giallo-bruno uniti a formare una sfera. Allo stato selvatico si
trovano solo esemplari eventualmente sfuggiti a coltivazioni. Esistono varietà
bulgare e indiane, adatte alla produzione di semi, e varietà russe, capaci di
resistere alle basse temperature. La Slow Bolt è caratterizzata da grandi foglie
ed è una varietà ornamentale.

CLIMA E TERRENO: non ha particolari esigenze di terreno, ma deve essere


ben esposto al sole. A seconda del clima della regione in cui si abita, si
sceglierà con cura la varietà da coltivare: saranno da evitare le varietà a frutto
grosso lì dove, in collina e bassa montagna, si ha la possibilità di gelate
tardive; meglio piuttosto quelle a frutto piccolo, più rustiche e resistenti.

SEMINA: si semina in tarda primavera interrando a circa 2 cm i semi a fine


inverno, dopo aver lavorato bene il terreno e mantenendo tra le file una
distanza di circa 30 cm per agevolare la raccolta e le operazioni di
sarchiatura.
Al comparire della quarta foglia sarà bene diradare, lasciando tra un
esemplare e l’altro, circa 20 cm di distanza.

RACCOLTA: nelle fresche ore mattutine si tagliano le ombrelle ingiallite e si


separano i semi dallo stelo per scuotimento dopo l’essiccazione.
I frutti da freschi presentano lo stesso odore sgradevole della pianta, ma una
volta essiccati acquistano l’aroma inconfondibile della spezia.

AVVERSITÀ: si verificano con una certa frequenza attacchi dovuti a mal


bianco o oidio (Oidium erysiphoides), che colpisce fusti e foglie. A carico
dell’apparato radicale agiscono Pythium irregulare e Fusarium oxysporium,
dannosi specialmente nei primi stadi di sviluppo della pianta.
La larva del lepidottero Setomorha insectella – lunga circa 1,5 mm, bianca e
con la testa di colore bruno – fora i frutti nei quali poi si annida e si
incrisalida.

SUL BALCONE

Clima Il suo clima ideale è quello temperato e predilige le posizioni riparate e in


pieno sole.
Impianto o semina Si semina direttamente a dimora in aprile, diradando poi le
piantine fino a distanziarle di 15 cm.
Coltivazione Preferisce un terriccio piuttosto sabbioso e mantenuto leggermente
umido con annaffiature costanti, ma non troppo abbondanti. Non sono
necessarie concimazioni aggiuntive.
Raccolta e impiego In agosto, quando i semi sono maturi, si tagliano le
infiorescenze ormai appassite, si fanno seccare al sole o nel forno a 35°C, e poi
si scuotono leggermente per staccarli. Poi, dopo aver verificato che siano ben
secchi, si possono conservare in un barattolo a chiusura ermetica. Nella nostra
cucina le foglie sono poco utilizzate, mentre in quella indiana, cinese o
giapponese vengono usate, fresche, nella preparazione di minestre e insalate.
Invece sono molto usati i semi per insaporire le carni insaccate ma anche zuppe,
torte, pane e biscotti.
Erba cipollina
Allium schoenoprasum (LILIACEE)

VARIETÀ: è una pianta erbacea, perenne, bulbosa che ricorda la cipolla,


benché non presenti al pari di questa un fusto ingrossato. Possiede foglie
sottili, lisce, tubolari, di colore verdastro. I fiori, di colore rosa o rosa
porporino, sono riuniti in eleganti capolini globosi. La fioritura ha luogo da
giugno ad agosto. Dal sapore gradevolmente intenso, che ricorda la cipolla
ma ben più morbido, l’erba cipollina è un eccellente aromatizzante di
numerose pietanze. Conosciuta fin dall’antichità, è probabilmente una pianta
indigena dell’Europa settentrionale e dell’Asia. Attualmente viene coltivata
in Europa, in Asia centrale e nell’America settentrionale. Esiste anche la
varietà Allium tuberosum, dal sapore più intenso.

CLIMA E TERRENO: l’erba cipollina predilige i terreni fertili e ben drenati,


anche se può crescere bene in terreni dalle non particolari caratteristiche. Pur
preferendo le zone temperate, si adatta bene anche nei climi piuttosto freddi.
Può crescere senza difficoltà sia al sole sia in posizione mediamente
ombreggiata.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: va annaffiata spesso durante il
periodo estivo. Apporti idrici sono in particolare necessari dopo il trapianto o
la semina, insieme con periodiche scerbature e zappettature.

SEMINA: si propaga per divisione dei cespi in autunno o per seme. La semina
può avvenire all’inizio della primavera direttamente nell’orto, oppure in
semenzaio in marzo per trapiantare poi in aprile.
Le distanze da rispettare tra pianta e pianta sono di 25 cm sulla fila e di 50 cm
tra le file.

RACCOLTA: le foglie si raccolgono già dopo 4 mesi dalla semina, durante


tutto l’anno, a patto che abbiano raggiunto un sufficiente sviluppo; tagliata a
livello del terreno, la vegetazione ricresce dopo il taglio, ma bisogna far
attenzione a non indebolire eccessivamente i ceppi. È utile asportare i fiori
prima che abbiano raggiunto il completo sviluppo, sempre che non si desideri
conservare i semi.

SUL BALCONE
Scelta della varietà L’erba cipollina è una bulbosa perenne alta poco più di 15
cm, che può essere usata anche come pianta decorativa per i fiori rosa e a forma
di pompon, che però, per non togliere forza alla pianta, andrebbero tagliati
appena compaiono.
Clima Vive bene sia nei climi caldi che in quelli freschi. Se in inverno la
temperatura scende sotto lo zero le sue foglie si seccano, ma poi rispuntano in
primavera. Per avere sempre a disposizione foglie fresche, si può portare la
pianta in casa e sistemarla in un angolo luminoso, per esempio davanti a una
finestra. Soprattutto al Sud preferisce le posizioni in leggera ombra.
Impianto o semina La semina può avvenire in semenzaio coperto all’inizio di
marzo, oppure in primavera direttamente a dimora in un vaso largo 20 cm. Si
possono anche acquistare le piantine già pronte.
Coltivazione Vuole un terreno di medio impasto e durante l’estate deve essere
annaffiata abbondantemente, ma, come quasi tutte le aromatiche, va concimata
con estrema moderazione. Le piante vanno rinnovate ogni 3-4 anni dividendo i
cespi a fine inverno-inizio primavera.
Raccolta e impiego Nelle zone con inverno mite la raccolta avviene lungo tutto
l’arco dell’anno tagliando le foglie rasoterra secondo la necessità e cominciando
da quelle più esterne. Si consumano fresche e crude, tritandole fini per
mescolarle alle insalate, oppure per insaporire burro e formaggi (hanno un
sapore simile a quello della cipolla). Si possono anche surgelare.
Fagiolo
Phaseolus vulgaris (LEGUMINOSE)

VARIETÀ: le numerosissime varietà di fagiolo possono suddividersi, in base


al portamento, in nani e rampicanti.
Entrambi i gruppi comprendono fagioli mangiatutto a baccelli verdi, gialli o
viola, e fagioli da sgranare con differente colore dei semi (bianco, rosso, nero,
screziato).
Le varietà si differenziano poi anche per il ciclo produttivo che può essere
precoce, semiprecoce o tardivo.

CLIMA: è una pianta tipica dei climi caldi o temperati, essendo sensibile alle
escursioni termiche.
La temperatura ottimale per il suo sviluppo è compresa tra i 18 e i 24°C. A 1-
2°C la pianta muore.

TERRENO: si adatta molto bene a quasi tutti i tipi di terreno, ma preferisce


quelli a medio impasto, profondi, ben irrigati. Inadatti oltre ai suoli calcarei,
compatti, argillosi, mal drenati, anche quelli sabbiosi, perché in caso di
siccità possono provocare stress idrici alle piante di fagiolo in produzione. Il
pH ottimale è compreso tra 6 e 7.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: il fagiolo trae grande vantaggio
dalla fertilità residua, derivante dall’eventuale concimazione organica fatta
alla coltura precedente. Così, quando segue un’altra leguminosa o una coltura
ben letamata, non è necessario nessun ulteriore apporto nutritivo. In caso
contrario sono sufficienti 20-25 kg di compost ben maturo ogni 10 mq. Dopo
la semina invece può essere di grande giovamento la distribuzione di 0,5-1 kg
di cenere (ricca di fosforo e potassio) ogni 10 mq di superficie. Oltre alle
predisposizioni di idonei sostegni per le varietà rampicanti, le cure colturali
principali consistono nella sarchiatura e in una leggera rincalzatura a inizio
ciclo produttivo.
La sarchiatura, il cui scopo è ostacolare la proliferazione delle infestanti,
ridurre l’evaporazione dell’acqua dal suolo e arieggiare il terreno, si deve
effettuare appena le piantine emergono e va ripetuta dopo 2 settimane. Questo
intervento colturale va effettuato con molta attenzione a causa dello sviluppo
estremamente superficiale delle radici.
La rincalzatura si esegue non appena le piante raggiungono l’altezza di 15
cm, anche questa con estrema attenzione per non danneggiare le radici.
Per quanto riguarda l’irrigazione, il fagiolo non ha un gran bisogno di acqua
anche se, come tutte le piante, si avvantaggia di una buona disponibilità
idrica. Il periodo in cui è maggiore il fabbisogno idrico è quello compreso tra
l’inizio della fioritura e la fase di ingrossamento dei baccelli. Dov’è possibile,
è bene sostituire l’irrigazione per aspersione con quella a scorrimento poiché
l’azione battente dell’acqua può danneggiare i fiori e favorire la diffusione di
numerose batteriosi e crittogame.

SISTEMI DI SOSTEGNO

Sistema di sostegno per le varietà rampicanti, con fili.

Sistema di sostegno per le varietà rampicanti, con canne o tutori.


SEMINA DEI FAGIOLI

Per accelerare la crescita delle piantine, si possono tenere i semi a bagno per
qualche giorno, e seminarli quando si evidenzia la radichetta.

I fagioli vanno seminati quando è lontano ogni pericolo di gelata tardiva: marzo-
aprile a Sud, maggio a Nord. In genere la semina si esegue a righe o in
postarelle di 3-4 semi.

SEMINA: va seminato quando non c’è più il pericolo di gelate tardive. In


genere le semine iniziano in marzo-aprile a Sud, e in maggio a Nord.
Nell’orticoltura familiare la semina del fagiolo si effettua scalarmente da
marzo a fine estate, per avere un raccolto continuo da maggio fino al tardo
autunno.
Per facilitare l’emergenza delle piantine (spesso molto lenta) si può ricorrere
alla pregerminazione, tenendo per qualche giorno i semi in acqua tiepida e
seminando appena si evidenzia la radichetta: in questo caso il terreno che
accoglie il seme deve essere ben umido. Oltre a far guadagnare circa una
settimana, la pregerminazione permette di sfuggire agli attacchi di numerosi
parassiti. Le modalità di semina variano molto a seconda della cultivar
utilizzata. In genere la semina viene eseguita in pieno campo a righe, o in
postarelle di 3-4 semi. I fagioli nani si seminano in postarelle di 3-4 semi
distanziate di 15 cm, o a righe distanziate di 50-60 cm, mentre nella fila si
lasciano circa 5 cm tra un seme e l’altro. I rampicanti si seminano dopo aver
piantato i tutori alti almeno 2,5 m in doppia fila con 80 cm di intervallo tra le
file e 50 cm sulla fila. Secondo il calendario lunare i giorni migliori per la
semina sono il secondo e il terzo giorno dopo il primo quarto.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: grazie alla presenza dei batteri


azoto-fissatori il fagiolo arricchisce la fertilità del terreno, ed è indicato per
precedere quelle colture particolarmente esigenti come cereali, solanacee ecc.
È bene non ripetere il fagiolo dopo piselli, cetrioli o zucche, perché si rischia
la trasmissione di batteriosi. Ottima la consociazione con sedano rapa, rapa,
ravanello, rabarbaro, pomodoro, lattuga, insalata da taglio, cetriolo, tutti i
cavoli, bietola, mentre non va bene con aglio, cipolla, finocchio e piselli. La
consociazione con la santoreggia contribuisce a tenere lontani gli afidi.

RACCOLTA: si attua man mano che i baccelli raggiungono il grado ottimale


di sviluppo. I primi fagiolini sono pronti dopo circa 50-70 giorni dalla
semina, mentre per i fagioli da sgranare occorrono da 80 a 120 giorni. A
seconda della varietà, i fagiolini si possono raccogliere dai primi stadi “in
erba” fino al definitivo sviluppo, senza però mai attendere troppo per evitare
la “filosità”, caratteristica determinata dall’indurimento dei fasci
fibrovascolari del baccello. I fagioli da sgranare si raccolgono invece quando
il legume ingiallisce. In una produzione di media dimensione la raccolta va
effettuata almeno ogni 2 giorni, evitando di raccogliere i baccelli quando le
foglie sono bagnate per non favorire la diffusione della ruggine. La
tempestiva raccolta dei fagioli stimola la pianta alla fioritura, aumentando la
produzione dei baccelli.
Fagioli cannellini.

Fagioli borlotti.

Fagiolini.

RACCOLTA DEI FAGIOLI


I primi fagiolini possono essere colti una volta trascorsi circa 50-70 giorni dalla
semina, mentre per i fagioli da sgranare bisogna aspettare da 80 a 120 giorni.

AVVERSITÀ: tra i parassiti animali dei fagioli si segnalano tonchio, afidi,


cecidomia, cimici, tripidi, altiche e nottue, tra le crittogame la muffa grigia, il
mal del piede e l’antracnosi. Lo sviluppo di quest’ultimo fungo (che colpisce
tutte le parti della pianta, penetrando sino ai semi) è favorito da tempo fresco
e umido. L’umidità agevola anche gli attacchi di ruggine, più frequenti nelle
varietà nane. Un’altra malattia che colpisce i fagioli è il virus del mosaico che
si evidenzia con pustole gialle sulle foglie.
SUL BALCONE

Scelta della varietà Per la coltivazione sul balcone è meglio scegliere le varietà
rampicanti come il Borlotto lingua di fuoco oppure lo Spagna bianco. Per
quanto riguarda i fagiolini, fra le varietà nane più pregiate figurano Allegria e
Burro di Rocquencourt. Fra le varietà rampicanti invece è particolarmente
decorativo il Trionfo violetto, con legumi viola scuro che diventano di un verde
lucente durante la cottura.
Clima I fagioli crescono bene nei climi temperato-caldi. Resistono al caldo ma
soffrono il freddo, il vento e l’umidità. I fagiolini richiedono una posizione
soleggiata e non sopportano né il freddo né il caldo intenso.
Impianto o semina Nelle zone più calde i fagioli si possono seminare
direttamente a dimora (in un vaso largo e profondo almeno 45 cm) all’inizio
della primavera (si mettono 2 o 3 semi in una buchetta), mentre al Nord bisogna
aspettare la primavera inoltrata. Si possono anche seminare in vasetti di torba
da tenere in casa e interrare poi nel vaso definitivo al momento opportuno. I
fagiolini si seminano direttamente a dimora dall’inizio di aprile fino a luglio,
interrando 2-3 semi in ogni buchetta, dei quali poi si conserverà solo il
germoglio migliore. Un vaso largo 45 cm può ospitare 5 piante.
Coltivazione Fagioli e fagiolini prediligono un terriccio di medio impasto,
soffice e fresco, annaffiato abbondantemente, ma senza ristagni d’acqua.
Bisogna inoltre evitare di bagnare le foglie, per non favorire l’insorgere di
malattie. Durante la crescita è utile somministrare fertilizzante ricco di fosforo e
potassio. Per le varietà rampicanti deve inoltre essere previsto un tutore o un
graticcio alto almeno 1,5 m (va bene anche la ringhiera del balcone) dove fagioli
e fagiolini si arrampicheranno spontaneamente.
Raccolta e impiego I fagioli si colgono a più riprese dopo circa 80-120 giorni
dalla semina, quando il baccello è ancora tenero ma i semi si sono
completamente ingrossati. I fagiolini si raccolgono dopo 9-12 settimane dalla
semina, staccandoli dalla pianta ogni 2 giorni prima che si ingrossino troppo e si
formi il filo. Dopo 2 o 3 raccolte la pianta smetterà di fiorire e andrà estirpata.
Fava
Vicia faba (LEGUMINOSE)

VARIETÀ: in base alla grandezza del seme si distinguono varietà a seme


piccolo, utilizzate come foraggio, e a seme grosso, a cui appartengono le
cultivar ortive. Le varietà da orto più conosciute sono la Reina bianca e mora
precoci e l’Aguadulce, caratterizzata da baccelli lunghi e semi grossi dal
sapore delicato.

CLIMA: è un ortaggio che non tollera la siccità prolungata e il freddo intenso,


che limitano lo sviluppo delle piante; queste muoiono quando la temperatura
scende a -5°C.

TERRENO: è una pianta molto rustica, che si adatta bene a gran parte dei
terreni anche se predilige quelli fertili, ricchi di calcio e di acqua, argillosi,
ma comunque privi di ristagni d’acqua e con una buona dotazione di sostanza
organica. Il pH ottimale è quello alcalino.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: grazie all’attività dei batteri azoto-


fissatori dei suoi tubercoli radicali, la fava non necessita di una concimazione
specifica. In genere è sufficiente la fertilità residua della coltura precedente.
Per quanto riguarda le cure colturali è opportuno effettuare la prima
sarchiatura quando spunta la quarta foglia per ridurre lo sviluppo delle
infestanti, arieggiare il terreno e limitare l’evaporazione dell’acqua dal
terreno. La seconda sarchiatura si pratica in prossimità della fioritura.
In concomitanza delle sarchiature si può effettuare la rincalzatura, allo scopo
di proteggere le piante dal freddo e stimolare l’emissione dei germogli
laterali.

CIMATURA DELLE INFIORESCENZE

Durante il periodo di fioritura della fava è consigliabile effettuare la cimatura


dell’apice vegetativo. Questo intervento comporta un duplice vantaggio:
consente di eliminare efficacemente gli afidi che colonizzano l’estremità
superiore dello stelo e in più favorisce il processo di fruttificazione dell’ortaggio.

In maggio, quando la pianta fiorisce, si effettua la cimatura che ha la doppia


funzione di eliminare gran parte degli afidi, in genere concentrati
sull’estremità superiore dello stelo, e favorire la fruttificazione.

SEMINA: nelle regioni meridionali si semina dalla seconda decade di


novembre alla prima metà di dicembre; nelle regioni settentrionali la semina
deve essere effettuata entro la metà di marzo. Le semine tardive sono
particolarmente utili per sfuggire all’attacco delle orobanche, piante parassite.
Nei piccoli orti la semina più diffusa è quella a postarelle di 3-5 semi. Il sesto
d’impianto varia tra 40x30 cm, 50x20 cm e 70x15 cm. Quando la coltura
interessa grandi superfici, la semina si effettua a righe distanti da 30 a 70 cm;
sulla fila si conserva una distanza di 15-20 cm. La profondità di semina varia
con le dimensioni dei semi: da 3-5 cm per i più piccoli fino a 10 cm per i
semi più grandi. Occorrono circa 1,5-2 kg di semi/100 mq di superficie
coltivata.
Per accelerare la germinazione si può tenere il seme in acqua per qualche
giorno. La durata della facoltà germinativa è di 4-6 anni. Per la
germogliazione e la fuoriuscita della plantula dal terreno occorrono 8-12
giorni.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: è una tipica coltura da rinnovo


che si presta bene a precedere colture molto esigenti come i cereali. Dà buoni
risultati nella consociazione con lattuga, patata e fruttiferi in genere.

RACCOLTA: i baccelli destinati al consumo fresco si raccolgono non appena


hanno raggiunto uno sviluppo idoneo, prima comunque della loro completa
maturazione.
Per la coltura da granella secca, invece, la raccolta si effettua in giugno-
luglio, quando i baccelli diventano scuri, senza però aspettare che siano
completamente secchi. In questo modo si evita di perdere parte del raccolto
per la deiscenza dei baccelli e si sfugge l’attacco del tonchio. La resa del
raccolto varia da 15 a 30kg di seme secco/100 mq e da 50 a 60 kg di seme
fresco per ogni 100 mq di superficie.
AVVERSITÀ: la fava, così come il fagiolo, può essere colpita dal tonchio, un
piccolo coleottero. Le parti verdi della fava, inoltre, possono essere oggetto di
consistenti e ripetuti attacchi da parte di afidi, i quali, oltre a determinare
vasti disseccamenti, aprono la strada all’instaurarsi di pericolose virosi che
conducono rapidamente la pianta alla morte.
Finocchio
Foeniculum vulgare var. dulce (OMBRELLIFERE)

VARIETÀ: tra le varietà più diffuse il Romanesco, con grumolo rotondo


grosso, il Dolce di Firenze e il Grosso di Sicilia.

CLIMA: originario dei Paesi caldo-umidi, è scarsamente resistente alle basse


temperature, specialmente negli stadi vegetativi più avanzati. Le zone più
adatte alla sua coltivazione sono i litorali e le regioni meridionali. Non
sopporta le gelate.

TERRENO: il finocchio richiede terreni sciolti, soleggiati, ricchi di sostanza


organica e di facile sgrondo. Rifugge quelli troppo argillosi e ricchi di
scheletro.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: richiede una buona concimazione


con letame o compost ben maturo (3-4 q/100 mq), meglio ancora se
distribuiti alla coltura precedente. Quando le piantine raggiungono l’altezza
di 10-12 cm va effettuato il diradamento, lasciando in campo una piantina
ogni 12-20 cm, a seconda del sesto d’impianto prescelto, e nei vasetti una
piantina per contenitore. Subito dopo il diradamento si effettua una
sarchiatura per eliminare le infestanti e rincalzare le piante.
Quando i grumoli raggiungono le dimensioni di una pesca, invece, bisogna procedere
alla rincalzatura. Nella coltura a raccolto invernale la rincalzatura è essenziale per
proteggere la base delle piante dal freddo, mentre in quelle a raccolto primaverile-
estivo viene utilizzata per ottenere tuniche bianche e ben tenere. Di scarsa utilità
risulta invece nelle coltivazioni autunno-vernine, in cui l’ombreggiamento della massa
fogliare e la scarsa luminosità del periodo stagionale rendono superflua questa
onerosa operazione.

Finocchio dolce.

Richiede una notevole disponibilità idrica, soprattutto se coltivato in estate.


Quando le piantine sono ai primi stadi del loro sviluppo l’acqua va distribuita
in turni molto brevi e in volumi minimi e, quindi, via via, in turni sempre più
lunghi e volumi maggiori.

SEMINA: a seconda della zona e del periodo dell’anno si può effettuare


all’aperto o in semenzaio. Nelle regioni meridionali e insulari si può
cominciare a seminare già a gennaio-febbraio per avere un prodotto all’inizio
dell’estate. Nel resto dell’Italia, per seminare in pieno campo, bisogna
aspettare luglio-settembre; il primo raccolto si ha in autunno. Le piante vanno
mantenute alla distanza di 60-70 cm tra le file e 20 cm sulla fila. Per 100 mq
di coltura sono necessari 60-100 g di seme.
In semenzaio, la semina si può effettuare da dicembre a marzo, se si può
contare su un letto caldo, o da giugno a settembre, quando non si gode di
nessun tipo di protezione, ponendo 2-3 semi per vasetto. Per ottenere le
piantine sufficienti a coprire una superficie di 100 mq sono sufficienti 2,5 mq
di semenzaio.
I semenzali vanno trapiantati 30-40 giorni dopo la semina, quando
raggiungono i 10-15 cm di altezza; in genere le varietà estive si trapiantano in
marzo; quelle invernali da agosto a ottobre.
Le piantine vanno disposte a 20 cm di distanza, sulla fila, e a 60-70 cm tra le
file.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: il finocchio svolge un’influenza


negativa nei confronti di numerose colture, quali fagioli, pomodori, cavolo,
rapa; si presta bene a essere consociato con porro, piselli, lattuga, insalata da
taglio, cetriolo, cicoria e indivia.

RACCOLTA: si effettua a partire dalle file mediane per facilitare la


rincalzatura delle file adiacenti. È utile per proteggere le piante dai primi geli.
La raccolta è scalare e inizia non appena i grumoli raggiungono le dimensioni
caratteristiche delle cultivar di appartenenza. La resa si aggira intorno ai 3-4
q/100 mq.

AVVERSITÀ: si segnalano possibili attacchi di psilla, lumache e nematodi.


Più frequenti e pericolose le malattie crittogamiche, in particolare la
sclerotinia e la batteriosi (Erwinia carotovora).
Il fungo della sclerotinia può colpire molti ortaggi, specie se coltivati su
terreni leggeri e in zone umide con temperature tra i 10 e i 25°C. Si manifesta
con aree edematose, in seguito marcescenti; dall’esterno l’infezione si
diffonde verso l’interno della pianta.
La batteriosi, invece, produce alla base delle foglie di finocchio alterazioni a
forma di cancro, che presto si decompongono formando una poltiglia; qualora
sia la zona del colletto a venire attaccata, presto l’infezione penetra nel cuore
della pianta, che marcisce velocemente. Il batterio si trasmette alle piante
tramite l’acqua di irrigazione, il letame e i parassiti terricoli.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Non è adattissimo al terrazzo perché occupa molto spazio,
ma vale la pena di coltivarne almeno un esemplare per ammirare le sue foglie
profumate, leggere e finemente divise. Fra le varietà più diffuse, il Gigante di
Napoli e il Grosso di Sicilia.
Clima Non sopporta i freddi intensi, perciò è indicato per le zone in cui il
termometro non scende di molti gradi sotto lo zero. Predilige il pieno sole.
Impianto o semina Conviene ricorrere a una piantina già pronta, che si può
mettere a dimora da agosto fino a novembre in un vaso largo e profondo almeno
30 cm.
Coltivazione Il finocchio preferisce un terriccio di medio impasto, fresco e
concimato utilizzando un fertilizzante ricco di fosforo.
Subito dopo il trapianto sono necessarie abbondanti annaffiature, con
l’accortenza di evitare però i ristagni di acqua.
Raccolta e impiego La raccolta avviene a partire dall’autunno inoltrato. Quando
il grumolo si è sufficientemente ingrossato, si estirpa la pianta dalla terra e si
tagliano sia il fittone che le foglie.
Fragola
Fragaria vesca (ROSACEE)

VARIETÀ: tra le tantissime varietà di fragola oggi disponibili segnaliamo la


Red Gauntlet, originaria della Gran Bretagna e molto adatta ai climi freddi, la
Pocahontas, selezionata negli Usa, con frutti grossi a forma conica molto
regolare e la Cesena, selezionata in Emilia Romagna, con frutti regolari,
conici, di colore rosso esternamente e chiari all’interno, di buon sapore.

CLIMA: la fragola predilige un clima fresco e leggermente ventilato, senza


ristagni di aria umida o calda. Resiste bene alle temperature invernali ma
teme i ritorni di freddo e le gelate tardive durante la ripresa vegetativa e il
periodo di fioritura.
Gli ambienti vocati per il fragoleto sono quindi quelli collinari o montani ben
esposti (le fragole tardive possono essere coltivate fino a 1500 m di
altitudine) mentre vanno evitati gli appezzamenti di fondovalle, umidi e
freddi.

TERRENO: questa specie fruttifera preferisce terreni fertili, sciolti e


permeabili (è molto sensibile ai ristagni d’acqua che favoriscono pericolosi
marciumi radicali), profondi e ricchi di sostanza organica, ma si adatta anche
a quelli di medio impasto, purché non siano troppo calcarei. Infatti, la fragola
prospera e produce ottimamente nei terreni acidi o subacidi (pH 5-6), che più
si avvicinano alle condizioni in cui cresce naturalmente, ma può produrre
molto bene anche nei terreni neutri o leggermente alcalini (pH 7-7,5).
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: ama i terreni leggermenti acidi,
ben lavorati e abbondantemente concimati con letame maturo (40-50 q/1000
mq), opportunamente integrato con fosforo e potassio. La fragola matura
meglio e dà frutti più saporiti se potassio e magnesio sono presenti in
rapporto equilibrato (1:4), quindi nei terreni sciolti dell’area pedemontana,
poveri di potassio, sarà utile un’integrazione con cenere di legna (50 kg/1000
mq), che è anche ricca di tutti gli altri minerali utili. Nel caso in cui la cenere
non sia disponibile, si può ricorrere al solfato potassico-magnesiaco (10-30
kg/1000 mq).
Per quanto riguarda le cure colturalli è bene coprire il terreno lungo il filare
per il contenimento delle infestanti, le quali potrebbero soffocare le colture
riducendo la produzione e favorendo attacchi di malattie fungine. Sul terreno
baulato, può essere stesa un’abbondante pacciamatura vegetale a base di
paglia. La pacciamatura con aghi di pino è sicuramente la migliore copertura
naturale per il fragoleto perché somma l’attività diserbante con l’azione delle
resine che, evaporando al sole, creano un particolare effetto balsamico
protettivo che preserva le piante dagli attacchi dei funghi parassiti.
Per rinforzare le difese naturali delle piante di fragola è bene aggiungere all’acqua
irrigua un fertilizzante liquido di origine naturale.

La fragola ha un fabbisogno idrico molto elevato; le radici della fragola sono


abbastanza superficiali e, anche se il terreno è fertile e c’è una buona
pacciamatura alla base, le piante non devono mai subire stress idrici,
soprattutto durante il periodo di fioritura e durante le fasi di maturazione e
raccolta.
L’irrigazione può essere somministrata per scorrimento a infiltrazione laterale
(se l’impianto è ben in piano e le disponibilità idriche sono abbondanti),
oppure attraverso una manichetta forata (piccolo tubo plastico) che viene
posizionata sotto alla pacciamatura e può irrigare a giorni alterni le piante.
L’irrigazione a pioggia non è consigliabile, sia durante la fioritura sia durante
il periodo di raccolta, perché può favorire attacchi fungini.

IMPIANTO le fragole vengono piantate a filari. La distanza delle piante sulla


fila è di 20-25 cm, mentre la distanza tra le file è di 70 cm.
Le fragole devono essere piantate a fine estate (agosto) per permettere un
buon radicamento delle piante durante l’autunno, prima dei freddi invernali:
si può garantire, in questo modo, una pronta ripresa vegetativa a fine inverno,
a sicura garanzia di un’abbondante fioritura e di un ottimo raccolto.

RACCOLTA: le fragole in pieno campo si raccolgono da metà maggio ad


agosto, per le varietà tardive di montagna, con il centro della produzione nel
mese di giugno.
Nelle aiuole in coltura protetta (sotto tunnel o serra), la raccolta è anticipata
dalle condizioni di forzatura. I frutti vengono generalmente raccolti a giorni
alterni, per evitare che la loro sovrammaturazione possa danneggiare la
qualità del prodotto.

AVVERSITÀ: le varietà di fragola coltivate sono più sensibili di quelle


spontanee agli attacchi dei parassiti di diversa natura, ma praticando
correttamente tutte le tecniche agronomiche, si contribuirà a rinforzare le
naturali difese delle piante riducendo così al minimo la necessità di
intervenire direttamente con prodotti antiparassitari. Tra le malattie fungine,
le più temibili sono la muffa grigia (Botrytis cinerea), l’antracnosi e il mal
bianco o oidio. Quest’ultimo non è frequente nelle coltivazioni all’aperto, ma
può creare danni ingenti a tutta la coltura nelle zone più calde, soprattutto se
le aiuole sono riparate e soggette a ristagni d’aria.
Per quanto riguarda i parassiti animali della fragola, ricordiamo gli afidi (che
attaccano le piante deboli generalmente all’inizio della primavera) e gli acari.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Ne esistono numerose varietà, a frutti grandi o piccoli e
capaci di offrire uno oppure più raccolti nel corso del ciclo vegetativo. Nelle
regioni caratterizzate da un clima caldo e asciutto è meglio scegliere quelle a
frutto grosso, che sono più resistenti alla siccità: per esempio la rifiorente
Anabelle, i cui frutti hanno un delizioso sapore che ricorda quello delle fragole
di bosco. Nelle zone più fresche invece si può piantare la Reine des Vallées, una
varietà che non produce stoloni, con frutti piccoli e profumatissimi. Esiste anche
una varietà i cui stoloni, lunghi fino a oltre 1 m, si possono far arrampicare su
un tutore, fissandoli, oppure si lasciano cadere a cascata da un vaso pensile con
un effetto molto decorativo.
Clima Le fragole prediligono le esposizioni riparate e soleggiate al Nord e
parzialmente ombreggiate al Sud.
Impianto o semina In commercio si trovano piantine già pronte da sistemare nei
vasi in autunno o in primavera. Si accontentano di un contenitore di piccole
dimensioni e stanno bene anche nelle “tasche” dei vasi a forma di orcio.
Coltivazione Si trovano meglio in un terriccio leggermente acido e ricco di
humus. Non sopportano i ristagni d’acqua ed esigono concimazioni con
fertilizzanti ricchi di fosforo e potassio. Ogni 3 o 4 anni le piantine di fragole
devono essere rinnovate; se ne possono acquistare di nuove, oppure in giugno si
possono far radicare in un vasetto gli stoloni più vigorosi prodotti dalle vecchie
piante: in autunno, dopo essere stati separati dalla pianta madre, potranno
essere trapiantati al loro posto.
Raccolta e impiego Le fragole maturano a partire dal mese di maggio e le
varietà rifiorenti producono a più riprese fino ai primi geli. Se raccolte nelle
prime ore della mattina sono più profumate: quelle a frutto grosso si colgono
recidendo il peduncolo con le unghie, mentre le fragole a frutto piccolo vanno
staccate senza picciolo.
Indivie
Cichorium endivia (COMPOSITE)

VARIETÀ: tra le scarole ricordiamo la Gigante degli ortolani, la Full Heart


medio-precoce, la Cornetto di Bordeaux. Tra le ricce citiamo la Pancalieri a
costa bianca, la Romanesca, la Riccia d’inverno, la Saint Laurent, la Gloire
de l’exposition, la Di Ruffec, la Riccia cuore d’oro.

CLIMA: le indivie presentano una discreta resistenza al freddo asciutto e alle


gelate (fino a -3°C), anche se non è raro constatare la lessatura delle foglie in
seguito al verificarsi di brinate precoci o di gelate nell’autunno-inverno. La
temperatura limite è rappresentata da -7°C, raggiunta la quale si evidenziano
gravi danni al colletto e alle radici. In presenza di un elevato grado di umidità
dell’aria questo limite si innalza notevolmente. L’indivia riccia è meno
resistente al freddo rispetto alla scarola, per questo il suo ciclo produttivo è in
genere anticipato.

TERRENO: si adattano bene su qualsiasi tipo di terreno, purché fresco,


irriguo, con una buona dotazione di sostanza organica e un rapido ed efficace
sgrondo delle acque. L’indivia riccia si adatta meglio della scarola ai terreni
anche molto argillosi.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: le indivie sono sensibili alla
presenza di sostanza organica non del tutto degradata, per cui bisognerà fare
attenzione ad apportare esclusivamente letame, compost o altre fonti di
nutrimento ben decomposte.
In genere sono sufficienti 1,5-2,5 q ogni 100 mq di coltura, interrati con la
lavorazione profonda.
Le cure colturali prevedono accurati interventi irrigui e l’imbianchimento.
Quest’ultimo si può ottenere legando le foglie oppure coprendo le piante con
tunnel di plastica nera.

SEMINA: si effettua in pieno campo da luglio ad agosto (per la raccolta


autunnale) e da agosto alla fine di settembre (per le produzioni invernali e
primaverili). In semenzaio la semina si esegue in luglio-agosto. Nelle zone
più fredde la semina può avvenire in gennaio-febbraio sotto tunnel freddo. La
semina a pieno campo si esegue a file distanti 30-50 cm, su cui poi si opera
un diradamento a 20-30 cm. In tutto occorrono 3-5 kg di seme/ha. Quando
invece si ricorre al semenzaio per ottenere le piantine necessarie a coprire 100
mq di coltura, ne sono sufficienti 5 mq che si ottengono con circa 20 g di
semi. Per il calendario lunare l’indivia va trapiantata nella prima settimana di
luna crescente, immediatamente dopo la luna piena.
SEMINA DELLE INDIVIE

La semina in pieno campo delle indivie si effettua da luglio alla fine di settembre.
Le file distano fra loro 30-50 cm, e la profondità di semina è di 1-2 cm.

Il diradamento si effettua non appena le piantine presentano la terza-quarta


foglia.
AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: buona la consociazione con
cicoria e porri; svantaggiosa, invece, la vicinanza a cavoli, finocchi e fagioli
rampicanti.

RACCOLTA: si raccolgono tagliando i cespi a fior di terra, quando


raggiungono almeno 25 g di peso. Il grosso della produzione si ha tra ottobre
e agosto, ma a seconda della zona e dell’epoca di semina la produzione può
procedere per tutto il corso dell’anno. Le rese oscillano tra 2 e 4 q di cespi
ogni 100 mq di coltura.
AVVERSITÀ: le indivie, come tutte le varie tipologie di insalate, sono
costantemente soggette agli attacchi di parassiti animali come afidi, che
attaccano le foglie e le radici, mosca degli orti, larve di maggiolino, nottue,
grillotalpa, lumache ecc.
Tra le malattie crittogamiche, le più pericolose sono la peronospora, il mal
bianco, la ruggine, l’antracnosi, la cercospora, l’alternariosi, la sclerotinia e la
muffa grigia.
Le indivie sono inoltre particolarmente soggette al mosaico della lattuga, una
pericolosa virosi.
SUL BALCONE

Scelta della varietà Le varietà ricce hanno foglie increspate e sottili, mentre la
scarola ha foglie più grandi e solo leggermente ondulate. Fra le prime è molto
pregiata la Riccia d’inverno, caratterizzata da foglie crespate e croccanti
disposte a rosetta, mentre fra le seconde si può scegliere la Full Heart, una
varietà che non ha bisogno di essere legata dal momento che i suoi cespi si
imbiancano spontaneamente.
Clima Si tratta di ortaggi che resistono bene al freddo (soprattutto la scarola),
ma non sopportano né la siccità né i luoghi umidi.
Impianto o semina Si possono comprare piantine già pronte da trapiantare nei
vasi da settembre a novembre, in modo da averle a disposizione per l’autunno e
l’inverno. Come tutte le insalate, non hanno bisogno di contenitori molto grandi
e profondi.
Coltivazione Vogliono un terriccio di medio impasto, fresco e ben fertilizzato. Le
annaffiature devono essere regolari, evitando però i ristagni d’acqua. Per
rendere più dolci e croccanti le loro foglie bisogna “imbiancarle”, cioè ripararle
dai raggi del sole legando i cespi con un filo di rafia, oppure coprendoli con un
vaso di terracotta rovesciato del quale sarà stato tappato con un coccio il foro di
drenaggio: l’imbiancamento avviene entro 10-15 giorni.
La legatura deve essere fatta quando i cespi sono perfettamente asciutti e in
seguito, per non favorire la comparsa di malattie, bisogna evitare che l’acqua
delle annaffiature finisca fra le foglie.
Raccolta e impiego Le ricce, più delicate, in genere si raccolgono entro
l’autunno, mentre la scarola, più resistente al freddo, si può raccogliere anche
durante l’inverno. I cespi vanno tagliati a fior di terra utilizzando un coltellino.
Lampone
Rubus idaeus (MALVACEE)

VARIETÀ: arbusto caratteristico degli ambienti alpini, cresce e fruttifica


spontaneamente sulle pendici montane e al margine dei boschi.
Tra le tante varietà, nei frutteti familiari sono consigliate quelle rifiorenti, che
danno maturazioni scalari. Oltre a quelle a frutto rosso, esistono anche varietà
a frutto giallo o nero, meno diffuse. Le varietà più note sono la Heritage,
molto produttiva con frutti di media grossezza; la Zeva, una varietà ancora
utilizzabile per i piccoli impianti familiari, caratterizzata da frutti grossi di
colore rosso brillante (è, però, sensibile alla muffa grigia); la September,
adatta ai terreni meno fertili, con frutti rosso-chiaro rotondeggianti, di
grossezza media e gusto gradevole.

CLIMA: l’ambiente ideale per la crescita del lampone coltivato, è


rappresentato dagli appezzamenti collinari e montani ben soleggiati e ariosi,
con abbondanti precipitazioni ben distribuite nell’arco dell’anno o con buone
risorse idriche per l’irrigazione di soccorso, se la stagione estiva si presenta
siccitosa.

TERRENO: i terreni più adatti sono profondi e permeabili, ben dotati di


scheletro e ricchi di sostanza organica (dal 3 al 5%). Quelli che ospitano
naturalmente il lampone hanno generalmente una reazione molto acida (pH
4,5-5), ma lo si può coltivare con successo anche in suoli subacidi o neutri
(pH 6-7). Sono sconsigliabili i terreni compatti dove la coltura soffre molto
per i ristagni idrici (con conseguenti marciumi radicali), e quelli calcarei dove
soffre facilmente di clorosi per il difficile assorbimento del ferro
indispensabile alla fotosintesi clorofilliana.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: il lampone può produrre bene già


dal secondo anno d’impianto, purché la concimazione organica sia
abbondante e di buona qualità. Nei primi anni si privilegeranno, quindi,
apporti organici azotati per favorire un buono sviluppo vegetativo dei polloni
che fruttificheranno l’anno successivo.
Il lampone è un arbusto che necessita di elevati interventi irrigui. Si dovrà
quindi ricorrere ad abbondanti irrigazioni settimanali, se la stagione
primaverile-estiva è siccitosa e i terreni sono molto sciolti e permeabili.
Anche in caso di inverni secchi e senza neve, è bene ricorrere a 1-2
irrigazioni di soccorso.
Bisogna inoltre effettuare un’abbondante pacciamatura lungo il filare, alla
base di ogni singola pianta, con foglie di bosco o con la stessa erba trinciata
dell’interfilare, in modo tale da ridurre le necessità idriche della coltura e
favorire, al contempo, un equilibrato assorbimento radicale delle sostanze
nutritive. Durante le annate di siccità invernale, la pacciamatura vegetale alla
base delle piante può salvarle da gravi alterazioni fisiologiche. Bisogna
ricordare che il lampone produce sui giovani polloni dell’anno precedente,
quindi, al termine del primo anno di fruttificazione, vanno tagliati alla base i
rami che hanno fruttificato (agosto per le varietà unifere e ottobre per quelle
rifiorenti) al fine di stimolare la produzione di nuovi getti.

IMPIANTO: si propaga molto facilmente per pollone radicato ed è sufficiente


utilizzare un appezzamento di piante madri in produzione per ricavare le
piantine per l’anno successivo. In autunno, quando le foglie iniziano a
ingiallire, si possono estirpare tutti i giovani polloni in soprannumero che
crescono esternamente alla fila, scegliendo soltanto i più vigorosi. I polloni
radicati possono essere messi a dimora subito dopo, preparando così il nuovo
lamponeto per i prossimi anni.
Il lampone richiede elevati apporti di acqua, in particolare modo nel periodo che
intercorre tra la fioritura e la raccolta.

L’impianto viene fatto a filari, dove i rami fruttiferi sono sostenuti da robusti
pali con fili (distanza tra le file 2,5-3 m; sulla fila 70-80 cm).
Lungo la fila, inoltre, si scaverà un solco profondo circa 60-70 cm che verrà
riempito per metà con letame maturo con l’aggiunta di cenere di legna (100
g/pianta) e calce idrata nei terreni molto acidi (circa 100-200 g/pianta).

RACCOLTA: il lampone matura scalarmente durante tutto il periodo estivo


ed è importante raccogliere quotidianamente, o a giorni alterni, i frutti maturi
per evitare che, se stramaturi, cadano o favoriscano gli attacchi di muffa
grigia. Quando il frutto è ben maturo si sfila facilmente dal ricettacolo.

AVVERSITÀ: tra le malattie fungine, indubbiamente la muffa grigia (Botrytis


cinerea) può provocare i danni più gravi, colpendo i frutti in maturazione.
Tra gli insetti, alcuni danni possono essere provocati dall’antonomo dei fiori
(Antonomus rubi) che depone le uova nei bottoni fiorali, provocandone la
caduta anticipata in prefioritura.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Fra le migliori varietà rifiorenti a frutto giallo figura la Fall
Gold, mentre fra quelle a frutto rosso la September e la Heritage. La varietà
Magnific Delbard dà un solo raccolto, ma i suoi frutti rossi sono
straordinariamente grossi.
Clima Si può coltivare soltanto nelle zone con clima fresco e mediamente umido,
e in posizioni a mezz’ombra.
Impianto o semina Va messo a dimora a partire da novembre e fino a febbraio
(le piante si possono acquistare anche a radice nuda) in un vaso largo 45 cm.
Coltivazione Il terriccio deve essere di medio impasto, leggermente acido e ben
drenato. Le irrigazioni devono essere costanti, evitando i ristagni d’acqua.
Quando le piante sono in riposo vegetativo, vanno tagliate alla base: in questo
modo saranno più produttive. Hanno bisogno di un’abbondante concimazione
organica all’inizio della primavera.
Raccolta e impiego I frutti maturano in giugno e, nelle varietà rifiorenti, anche
da agosto a metà ottobre. Per coglierli, si stringe delicatamente il frutto maturo
fra le dita e si tira verso il basso.
Lattughe
Lactuca sativa (COMPOSITE)

VARIETÀ: le lattughe più ampiamente coltivate si possono ascrivere


essenzialmente a tre tipi differenti per dimensioni, forma e ciclo di sviluppo,
ma identici, se non per qualche aspetto marginale, dal punto di vista della
tecnica colturale: le lattughe a cappuccio hanno il cespo globoso,
rotondeggiante e le foglie avvolgenti con il margine intero o variamente
dentellato; le lattughe romane hanno il cespo allungato, arrotondato alla
sommità, con le foglie a portamento eretto e grandi coste; le lattughe da taglio
hanno foglie di forma varia, senza formare un cespo vero e proprio. Queste
ultime si differenziano dalle altre lattughe per la notevole capacità di
ricacciare nuove foglie dopo il taglio.

CLIMA: sono molto sensibili al freddo intenso e al caldo secco: le


temperature molto elevate spingono la pianta a montare anzitempo a seme. Il
clima ideale è quello temperato, anche se grazie alle numerose varietà è oggi
possibile effettuare questa coltura nelle più diverse condizioni ambientali.

TERRENO: la lattuga a cappuccio si adatta ai terreni poveri e aridi, mentre la


lattuga romana richiede terreni più fertili e ricchi d’acqua.
Solitamente, le lattughe preferiscono terreni neutri, irrigui, ben drenati e
caratterizzati da un’abbondante presenza di sostanza organica.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: sono sufficienti 20-30 kg di letame


o di compost ben maturo ogni 10 mq di coltura, distribuiti prima possibile e
preferibilmente durante i lavori di preparazione del terreno. Le lattughe sono
avide consumatrici di potassio, che può essere loro assicurato spargendo nei
solchi di semina o nelle buche delle postarelle una manciata di cenere di
legna.
Per quanto riguarda le cure colturali in primavera è necessario rincalzare le
piante le cui radici siano state scalzate dal gelo invernale.
In aggiunta alla rincalzatura, le lattughe richiedono un elevato numero di
sarchiature, in molti casi anche una volta la settimana, per limitare lo
sviluppo delle infestanti, arieggiare il terreno e ridurre l’evaporazione
dell’acqua. Tutti questi interventi debbono essere attuati con la massima
attenzione, dal momento che le lattughe presentano uno sviluppo radicale
molto superficiale. Un discorso a parte va fatto per l’apporto idrico: le
lattughe risentono molto positivamente dell’irrigazione. Affinché la pianta
tragga i maggiori benefici possibili è necessario evitare l’utilizzo di acqua
fredda che determina un brusco arresto della vegetazione. Le ore più indicate
per l’irrigazione sono quelle del primo mattino, poiché le foglie che
rimangono bagnate durante la notte risultano più vulnerabili alle infezioni.
Inoltre occorre inaffiare con regolarità e continuità, poiché l’alternanza di
lunghi periodi siccitosi con periodi di elevata disponibilità idrica stimola la
fioritura precoce.
SEMINA DELLE LATTUGHE

La semina in pieno campo si effettua in solchi distanti 30-40 cm, inserendo nel
solco non più di 12 semi ogni 30 cm.
Appena le piantine emettono la quarta-quinta foglia, si esegue il diradamento a
25-30 cm.

SEMINA: a seconda delle condizioni climatiche e della tecnica colturale


prescelta, la semina delle lattughe si può effettuare in semenzaio oppure
direttamente in pieno campo. Se si sceglie il semenzaio servono all’incirca 1-
1,5 g di semi/mq; occorrono 30 mq di semenzaio ogni 10 mq di coltura.
La semina in pieno campo può essere eseguita in postarelle di 3-5 semi (poste
alla distanza di 30 cm tra le file e 25-30 cm sulla fila) oppure in solchi
distanti 30-40 cm circa ponendo nel solco non più di 12 semi ogni 30 cm.
Per la semina in pieno campo occorrono invece 5-7 g di seme ogni 10 mq di
superficie.

Coltivazione di aglio consociato a lattuga. Tutte le piante liliacee (in questo esempio
l’aglio) esplicano un buon effetto repellente nei confronti degli acari.
Lattuga romana.

Lattuga brasiliana.

Lattuga a cappuccio.

A causa delle ridotte dimensioni, il seme deve essere collocato molto


superficialmente, a non più di 0,5-1cm di profondità. La facoltà germinativa
ha una durata di circa 3-5 anni, mentre per la germinazione e la fuoriuscita
della plantula occorrono 5-10 giorni.
Il trapianto si effettua dopo circa 30-40 giorni dalla semina, quando le
piantine hanno raggiunto 5-7 cm di altezza e presentano almeno 4-6 foglie
ben sviluppate. La distanza d’impianto è di 30-40 cm tra le file e 25-30 cm
sulla fila.
Le lattughe primaverili, estive e autunnali devono essere messe a dimora
lasciando il colletto 1 cm circa al di sopra del livello del terreno, mentre nelle
varietà invernali il colletto si interra normalmente per evitare che l’alternanza
di gelo/disgelo scalzi le piantine.

TRAPIANTO DELLE LATTUGHE

Il trapianto delle lattughe deve essere effettuato dopo 30-40 giorni dalla semina,
quando le piantine misurano circa 5-7 cm d’altezza e presentano 4-6 foglie.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: è bene non ripetere la


coltivazione delle lattughe sullo stesso appezzamento di terreno prima di 2-3
anni. Le consociazioni più adatte per le lattughe sono rappresentate da
spinaci, ravanelli, cavoli, fragole, pomodoro, fagioli e cipolle.

RACCOLTA: nell’orto familiare la raccolta può essere scalare e perdurare per


tutto il corso dell’anno.

AVVERSITÀ: le lattughe, e più in generale tutte le insalate dell’orto, sono


soggette a numerose avversità.
Tra i parassiti animali sono frequenti, specie in primavera, gli attacchi di afidi
su foglie e infiorescenze che svalutano la produzione e danneggiano la
semente. Ricordiamo che lo sviluppo degli afidi viene favorito dall’eccesso di
azoto, quindi attenzione alle fertilizzazioni. Le lattughe sono soggette anche a
virosi, come il mosaico: in questo caso le foglie colpite presentano pustole
gialle.
Tra le crittogame molto pericolosa è la peronospora che si manifesta con
macchie decolorate sulle foglie, che sulla pagina inferiore si ricoprono di una
patina biancastra.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Fra le varietà di lattuga romana più indicate, la Bionda
degli ortolani, che si può raccogliere sia in estate che in autunno, e la Verde
d’inverno, resistente al freddo e destinata a un raccolto invernale e primaverile.
Tra le lattughe a cappuccio, invece, la Regina di maggio che ha foglie
leggermente sfumate di rosso e si raccoglie alla fine della primavera e la
Trocadero la Preferita, che si raccoglie in inverno e ha foglie sfumate di rosa.
Clima Grazie alle sue numerose varietà, la lattuga si adatta a tutti i tipi di clima,
però non sopporta il freddo troppo intenso e nelle regioni più calde preferisce le
posizioni a mezz’ombra, ma comunque luminose e ben aerate.
Impianto o semina A seconda della varietà (più o meno resistente al caldo e alla
salita a seme) si possono seminare in semenzaio già in marzo per trapiantarle
nei vasi definitivi, profondi anche solo 25 cm, quando le piantine hanno 4 o 5
foglie, oppure si possono seminare direttamente a dimora da aprile a giugno e
da agosto a settembre. Se le semine vengono effettuate nei mesi più caldi i vasi
dovranno essere protetti dai raggi del sole. Nei garden center si trovano anche
piantine già pronte per il trapianto.
Coltivazione Le lattughe preferiscono un terreno di medio impasto, fertile e ben
drenato. Le annaffiature devono essere non eccessive ma costanti, perché una
carenza d’acqua può indurre le piante a fiorire in anticipo. Per non favorire gli
attacchi di parassiti bisogna limitare le concimazioni azotate, mentre per
incoraggiare la formazione del cappuccio le lattughe invernali vanno interrate
un po’ più a fondo di quelle estive. Per imbianchire la lattuga romana e renderla
così più croccante, si può legarne il cespo con un filo di rafia poco prima della
raccolta.
Raccolta e impiego La raccolta, che a seconda della varietà può avvenire in tutte
le stagioni, va eseguita un po’ prima del pieno sviluppo del cespo, quando le
foglie sono ancora tenere: si estirpa la pianta dalla terra e si taglia il fittone in
corrispondenza del colletto.
Maggiorana
Origanum majorana (LABIATE)

VARIETÀ: erbacea cespitosa perenne con rizoma dotato di numerose


radichette e piccoli fusti (40-60 cm) eretti e ricchi di rami. Le foglie sono
piccole, opposte e con breve picciolo, ovali e ricoperte da una leggera peluria.
Fiorisce in estate con fiori piccoli e bianco-rosati raccolti in spighe con
brattee; il frutto è composto da 4 acheni ovoidali e bruni.
Questa pianta, di origine asiatica e dotata di profumo fortemente aromatico,
ha notevole diffusione nei giardini grazie alle sue proprietà, ma raramente si
trova allo stato selvatico. Tra le varietà più diffuse la Marcelka, cecoslovacca.

CLIMA E TERRENO:cresce bene nei climi temperato-caldi e in terreni con


discreto contenuto di sostanza organica, pur sviluppandosi anche in quelli
asciutti e calcarei.
Ama il caldo e le posizioni soleggiate: nelle zone dal clima rigido perde la
caratteristica di perenne e diviene una pianta annuale che, con l’arrivo del
freddo, muore. Abitando in regioni con clima temperato basterà, a fine
stagione, potarla a pochi centimetri dal suolo e proteggere dal freddo le radici
con la paglia.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: la maggiorana non richiede una
concimazione particolare, ma è sensibile ai ristagni idrici, quindi va
annaffiata solo in caso di stagione molto secca. Mantenete inoltre libero dalle
infestanti il terreno che la ospita mediante regolari zappettature, utili anche ad
aerare il suolo.

SEMINA: si riproduce facilmente per seme (distribuito in semenzaio, per


trapiantare poi le piantine a dimora) all’inizio della primavera – poiché molto
piccolo, è meglio mescolarlo a sabbia per una distribuzione omogenea. È
però anche possibile moltiplicarla per suddivisione dei cespi o per talea a fine
estate.

RACCOLTA:si prelevano i rametti secondo necessità e, in particolare, le


sommità fiorite durante l’estate (luglio-agosto).

AVVERSITÀ: particolarmente sentito è il problema del marciume del seme,


cui si può ovviare utilizzando semente sana.

SUL BALCONE
Clima È una specie abbastanza rustica, ma nelle zone più fredde in inverno va
protetta con un telo di tessuto-non tessuto o con altro materiale isolante. Si trova
bene nelle posizioni in pieno sole.
Impianto o semina Si semina in semenzaio coperto in febbraio-marzo (la
temperatura deve mantenersi costantemente sopra i 10°C), oppure direttamente
a dimora in aprile. Nei negozi specializzati è possibile anche acquistare le
piantine già pronte.
Coltivazione Preferisce un terriccio ben drenato e di medio impasto. Le
concimazioni, da eseguire in primavera con un fertilizzante completo, devono
essere scarse. In autunno i suoi fusti vanno tagliati a circa 2/3 della lunghezza.
Volendo moltiplicarla per ottenere nuove piante, si può dividere il cespo in
marzo-aprile.
Raccolta e impiego Si usano sia le foglie che i fiori, freschi o essiccati. Si
raccolgono a partire da luglio, e prima che i fiori si schiudano, tagliando la cima
dei rametti che poi si legano a mazzetti e si appendono all’ombra a testa in giù.
Serve per insaporire pesce, verdure, stufati, polpette e arrosti di carne.
Mais dolce
Zea mais saccharata, Zea mais everta (GRAMINACEE)

VARIETÀ: alcune delle numerose varietà sono il Marano, precoce, e il


Rostrato.

CLIMA E TERRENO: il mais preferisce i climi miti e i terreni freschi, esposti


all’irraggiamento solare e alle correnti di aria. Il vento infatti è direttamente
responsabile dell’impollinazione e di conseguenza della formazione dei
chicchi commestibili.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: il mais richiede un’abbondante


concimazione del terreno impiegando grandi quantità di letame o compost
maturo addizionato con fertilizzanti minerali ricchi di fosforo e potassio.

Il mais richiede terreni molto ricchi di sostanza organica, arricchiti con fosforo e
potassio.
Il diradamento e la sarchiatura per impedire la competizione delle erbacce
sono le cure necessarie nei primi stadi di crescita.
In piena estate è poi utile intervenire con periodiche annaffiature di soccorso
in caso di siccità, eventualmente coprendo con una pacciamatura di paglia il
terreno perché si mantenga fresco e umido.

SEMINA: avviene da metà aprile a inizio giugno, quando la temperatura si


attesta attorno a valori di 20-22°C. Si semina a postarelle a intervalli di 30 cm
sulla fila e 40-50 cm tra le file.
Dopo la germinazione in ogni buchetta si lascia solamente la piantina più
vigorosa.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: si tratta di una coltura da rinnovo,


da inizio rotazione. Crea associazioni benefiche in particolare con i vari tipi
di fagiolo, zucchina, zucca, melone oppure cetriolo.

RACCOLTA: le varietà precoci da mensa si raccolgono a partire da agosto,


prima che le pannocchie siano completamente mature e la “barba” diventi
bruna. Quelle da pop-corn vanno invece lasciate sulla pianta sino a metà
autunno e poi ritirate in un ambiente ventilato per poter terminare
l’essiccazione.
AVVERSITÀ: il mais è una pianta vigorosa, a rapida produzione, sensibile
alla siccità estiva e, in alcune annate particolari, agli attacchi di insetti che
depongono le uova nelle pannocchie con i chicchi in formazione.
Melanzana
Solanum melongena (SOLANACEE)

VARIETÀ: a seconda della varietà può avere forma ovale oppure tonda
allungata. La lunga cannellina, molto precoce, è cilindrica, appuntita, con
colore viola intenso; la Race winner, precoce, ha frutti pressoché cilindrici,
color violetto intenso, quasi nero; la Violetta di Firenze, medio-precoce, è
caratterizzata da frutti ovoidali, grossi, alquanto costoluti, di color viola
pallido; la Violetta di Napoli, precoce, presenta frutto cilindrico, colore viola
intenso. Tra le altre varietà citiamo la Sicilia Ibrido F1, l’Ovale americana
Ibrido F1, l’Asmara Ibrido F1, la Bonica Ibrido F1, la Black beauty.

CLIMA: la melanzana è forse l’ortaggio più esigente in fatto di calore.


Richiede temperature assai elevate (15-18°C di notte e 22-26°C di giorno) ed
è molto sensibile agli sbalzi termici, in presenza dei quali si registra un
notevole arresto del suo sviluppo. Per tutte queste ragioni la melanzana è
coltivata in pieno campo solamente nel Centro-Sud o in quelle zone del Nord
che godono di particolari condizioni pedoclimatiche.
TERRENO: richiede terreni sciolti o di medio impasto, ben esposti, ricchi di
sostanza organica. Buoni risultati si ottengono anche nei terreni litorali,
poiché è una pianta resistente ai venti salsi e a una certa salinità del suolo.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: è un ortaggio molto avido di


sostanza organica, che sopporta anche non completamente decomposta. In
genere sono sufficienti 30-40 kg di compost o di letame ogni 10 mq di
superficie, interrato durante i lavori di preparazione del terreno. Per stimolare
la crescita delle piantine si può distribuire, subito dopo il trapianto, macerato
di ortica diluito al 20%.

LA SEMINA
La semina della melanzana si effettua nelle zone meridionali a gennaio-febbraio,
in quelle settentrionali a febbraio-marzo, in letto caldo o in semenzaio riparato.

TRAPIANTO IN VIVAIO

Per danneggiare il meno possibile le piante per il trapianto in vivaio


(rimpiolatura) si possono utilizzare vasetti di torba.

L’irrigazione deve essere costante sia in semenzaio sia a dimora: prima


dell’allegagione dei frutti si annaffia con frequenza. Durante l’operazione
occorre evitare di bagnare le foglie per non creare zone umide favorevoli allo
sviluppo delle malattie crittogamiche. Altre pratiche utili sono il diradamento
dei semenzali, una rincalzatura qualche settimana dopo il trapianto e la
cimatura. La pacciamatura estiva con paglia o compost maturo riduce la
presenza di erbe infestanti e conserva fresco il terreno durante i periodi più
caldi.

SEMINA: si effettua in gennaio-febbraio a Sud, in febbraio-marzo a Nord in


letto caldo o semenzaio ben riparato. Per la buona riuscita della semina è
necessaria una temperatura di almeno 18°C. Sono sufficienti 1-2 g di
seme/mq di semenzaio, da cui si ricavano le piantine necessarie per coprire
100 mq di superficie. Per accelerare la germinazione, che in genere dura 10-
15 giorni, si possono conservare i semi per 8-10 giorni in un panno tenuto
costantemente umido.
AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: la melanzana si consocia bene
con insalata, finocchio e cavoli. Per quanto riguarda l’avvicendamento si può
considerare una pianta da rinnovo, ossia un ortaggio che rinnova un ciclo
colturale, per cui va posta all’inizio di una rotazione.

RACCOLTA: la raccolta si effettua prima della maturazione, quando la polpa


è ben soda e i semi non sono ancora ben evidenziati. La produzione oscilla
intorno ai 30 kg di melanzane ogni 10 mq di superficie.

AVVERSITÀ: così come le altre solanacee (vedi anche patata, peperone e


pomodoro), la melanzana è esposta a parassiti quali dorifora, tripidi,
aleurodidi, ragnetto rosso, afidi e cimici. Malattie crittogamiche come la
botrite e i marciumi basali possono essere limitate evitando ristagni di
umidità nel terreno e sulle foglie e seminando rado.
L’accumulo di umidità e lo scarso ricambio d’aria sono anche causa
dell’alternariosi, un fungo che in genere colpisce le piante adulte, provocando
su foglie e frutti macchie necrotiche lacerate al centro.
Pacciamatura effettuata con carta in coltura protetta.

SUL BALCONE
Scelta della varietà È un ortaggio che occupa molto spazio, ma vale comunque
la pena di coltivarne sul balcone almeno una pianta, non solo per gustare i suoi
frutti saporiti, ma anche per ammirare le foglie (verde porpora) e i fiori (lilla),
decisamente decorativi.
Se lo spazio a disposizione è limitato si può ricorrere alla minuscola Slim Jim,
che produce grappoli di frutti lunghi solo 10 cm. Se invece si può contare su un
contenitore abbastanza grande si può scegliere la tradizionale Violetta lunga,
oppure l’insolita varietà Bianca a uovo, alta al massimo 1 m e con frutti candidi.
Clima La melanzana ama i climi caldi (richiede una temperatura diurna di 22-
26°C e notturna di 15-18°C) e le esposizioni protette e soleggiate.
Impianto o semina La germinazione dei semi è lunga e laboriosa, per cui
conviene ricorrere alle piantine già pronte da sistemare nei vasi non prima della
metà di aprile, quando la temperatura esterna, compresa quella notturna, si è
intiepidita. Per ogni pianta bisogna prevedere un vaso largo e profondo almeno
40 cm.
Coltivazione Vuole un terriccio di medio impasto e ben concimato con un
fertilizzante completo. Le irrigazioni devono essere profonde e costanti ma non
sulle foglie, per non favorire lo sviluppo di malattie crittogamiche.
Per sostenere la pianta, che potrebbe essere abbattuta da un colpo di vento o dal
peso dei suoi frutti, bisogna prevedere un tutore di ferro o di legno alto almeno
50 cm, al quale andrà legato il fusto con un filo di rafia incrociato a 8. Quando
la pianta ha raggiunto i 40 cm di altezza, l’estremità del fusto va cimata e vanno
anche tolti i germogli ascellari. Durante la crescita è particolarmente utile una
somministrazione di macerato d’ortica oppure di un fertilizzante a pronto effetto.
Raccolta e impiego I frutti vanno colti prima della maturazione completa,
quando non si sono ancora formati i semi.
Melone
Cucumis melo (CUCURBITACEE)

VARIETÀ: le varietà di melone si classificano in tre gruppi, i meloni


cantalupo o zatta (dimensioni medie, buccia liscia, costoluti, rezzati, polpa
rosa-arancio, poco conservabili); i meloni d’ inverno (dimensioni grandi,
buccia liscia o rugosa, polpa bianco-verde o arancio, molto conservabili); i
retati o americani (dimensioni medie, buccia fittamente retata, polpa verde
chiaro-rosa salmone, molto resistenti a trasporto e malattie).

CLIMA: è la cucurbitacea più esigente in fatto di calore, richiede clima


temperato-caldo e una buona esposizione al sole. La temperatura ottimale per
il suo sviluppo è intorno ai 18-20°C notturni e ai 30°C giornalieri. Il melone,
inoltre, è particolarmente sensibile al vento.

TERRENO: predilige quelli di medio impasto, profondi, con una buona


dotazione di sostanza organica, ben drenati ed esposti a mezzogiorno.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: è una pianta molto esigente anche


nei riguardi della fertilità del suolo, molto avida non solamente di azoto e
fosforo, ma anche di potassio, calcio e magnesio. In generale sono sufficienti
4-5 q di letame o di compost/100 mq di superficie, interrati durante i lavori di
preparazione del terreno. La prima cura colturale consiste nel diradamento:
nel caso di semina diretta in pieno campo, si dirada non appena le piantine
hanno emesso la terza foglia vera, quando invece si è operata la messa a
dimora in postarelle o in vasetti con 3-4 piantine, il diradamento va anticipato
all’emissione della seconda foglia vera.
Il melone richiede inoltre numerose sarchiature che hanno la funzione di
arieggiare il terreno, ridurre l’evaporazione dell’acqua dal suolo e ostacolare
lo sviluppo delle infestanti.
Bisogna inoltre eseguire una pacciamatura con materiali organici (paglia,
erba secca ecc.) per conservare l’umidità del terreno e ostacolare lo sviluppo
delle infestanti. Di grande vantaggio per i frutti è l’utilizzo di materiali capaci
di conservare a lungo il calore del giorno (tegole, pietre piatte ecc.) perché,
oltre a isolare i frutti dal terreno, accelerano il processo di maturazione.
Il melone è molto esigente anche in fatto di umidità, ma anche per questa
coltura valgono i consigli di bagnare il meno possibile la pianta durante gli
adacquamenti, preferendo all’irrigazione per aspersione quella per
scorrimento. Per ottenere frutti più saporiti, dolci e di facile conservazione è
necessario interrompere gli interventi irrigui in prossimità della maturazione
dei frutti.
La cimatura del melone non è indispensabile, ma affretta l’emissione dei rami
di terzo ordine che portano i fiori femminili fecondi. All’emissione della
quarta foglia si cima lo stelo subito sopra la seconda foglia; all’ascella delle 2
foglie rimaste si formeranno 2 nuovi rami secondari che, quando avranno
emesso la quinta foglia, verranno recisi subito sopra la terza foglia. Per ogni
pianta si lasciano sviluppare da 2 a 6 frutti, avendo cura di cimare il ramo
sopra la prima foglia che si sviluppa dopo il frutto.

Meloni retati.
SEMINA: da febbraio ad aprile al Centro-Nord in serra o letto caldo e al Sud
in pieno campo, oppure da aprile a giugno senza protezioni. Come è stato già
sottolineato, il melone è molto sensibile alle basse temperature, per cui la
semina all’aperto può essere eseguita solamente quando è completamente
svanito ogni pericolo di gelate tardive e la temperatura del terreno si è
stabilizzata intorno ai 12-15°C. Le radici del melone, quando vengono
spezzate, emettono sostanze cicatrizzanti che ostacolano il processo di
assorbimento. Per ridurre al minimo il rischio di danneggiarle è quindi bene
effettuare la semina in semenzaio utilizzando cubetti o vasetti di torba,
terriccio e altri substrati simili, che permettono di eseguire le operazioni di
trapianto senza danneggiare eccessivamente le radici.

LA FECONDAZIONE DEL MELONE

Allo scopo di favorire la fecondazione del melone coltivato in serra o tunnel, si


strofina delicatamente il fiore maschile (opportunamente privato dei petali)
all’interno di quello femminile.

La semina si esegue collocando i semi con la punta verso il basso, a 2-3 cm di


profondità, direttamente in pieno campo o in vasetti di torba, isolatamente o
in postarelle di 3-4 semi secondo la tecnica colturale prescelta. Per la semina
in pieno campo occorrono circa 20-50 g di seme/100 mq di superficie.
Quando le piantine presentano 3 foglie vere e la temperatura del terreno è di
almeno 13°C va effettuato il trapianto. In genere fino a giugno è bene
proteggere le piantine con tunnel e ripari di varia natura. Subito dopo il
trapianto bisogna pacciamare e proteggere la piantina dall’attacco delle
lumache con un cerchio di cenere, che va ridistribuita dopo ogni acquazzone
di grande intensità. Le piantine, il cui colletto non deve mai interrato, si
distribuiscono alla distanza di 100-180 cm tra le file e 50-100 cm sulla fila, a
seconda dello sviluppo vegetativo di ogni cultivar.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: per evitare un eccessivo


depauperamento della fertilità del terreno e la proliferazione delle numerose
fitopatie che interessano le cucurbitacee, è buona norma non ripetere sullo
stesso terreno la coltivazione del melone o di qualsiasi altra cucurbitacea
prima di 3-4 anni.
Il melone si consocia bene con fagioli nani e lattuga; di particolare interesse è
la consociazione con il mais dolce: 2-3 filari di granturco dolce, allineati in
direzione nord-sud, alternati ai filari di melone, svolgono un’eccellente
azione frangivento.

RACCOLTA: in genere la raccolta dei frutti inizia nel mese di giugno, per le
varietà precoci, e dura fino a luglio-agosto. Nel Meridione alcune varietà
tardive vengono raccolte fino all’autunno.
La raccolta è a scalare quando il peduncolo comincia a screpolarsi;
contemporaneamente la scorza prende il colore tipico della varietà e cede a
una leggera pressione delle dita. A questo stadio di maturazione il frutto
emana un profumo intenso e gradevole. La raccolta avviene tagliando il
peduncolo a 4-5 cm dall’inserzione. La produzione oscilla tra i 200-250
kg/100 mq.

AVVERSITÀ: tra i parassiti che più facilmente attaccano il melone ci sono


afidi, nottua, grillotalpa e ragnetto rosso, che può provocare chiazze chiare
sulle foglie e impedire il corretto sviluppo dei germogli.
Tra le crittogame più dannose segnaliamo laa peronospora, che attacca foglie
e frutti, la ticchiolatura, l’antracnosi e l’oidio.
Il melone può inoltre essere colpito da tracheofusariosi, una malattia fungina
che si manifesta nella fase di prefioritura con ingiallimenti e appassimenti
fogliari seguiti da disseccamento e comparsa di una muffa rosea. I frutti
colpiti mostrano segni di marciume in prossimità dell’inserzione del
peduncolo.
Il nerume delle cucurbitacee, infine, colpisce soprattutto i frutti maturi,
manifestandosi con zone marcescenti di diversa misura ricoperte da uno
strato di muffa nerastra.

LA CIMATURA DEL MELONE

Quando viene emessa la quarta foglia bisogna asportare l’apice subito sopra la
seconda foglia (a).
All’ascella delle 2 foglie che sono rimaste nascono 2 nuovi rami che, non appena
emettono la quinta foglia, devono essere cimati dopo la terza foglia (b). Bisogna
fare in modo che ogni pianta sviluppi da 2 a 6 frutti, recidendo sopra la prima
foglia cresciuta dopo il frutto (c).
Menta
Mentha piperita (LABIATE)

VARIETÀ: tra le varie specie di menta tratteremo la piperita che è la più


diffusa per quanto riguarda la coltivazione. La piperita è un ibrido naturale tra
M. aquatica e M. spicata ed è da sempre molto coltivata, anche a livello
industriale. Si rinviene allo stato selvatico, ma meno frequentemente di altre
specie dello stesso genere (M. aquatica, M. longifolia, M. arvensis...).

CLIMA E TERRENO: non ha particolari esigenze, benché le zone temperate


risultino più idonee alla sua coltivazione e i terreni migliori siano quelli ricchi
di sostanza organica, sciolti e asciutti.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: necessita di un terreno di medio


impasto, oltre a annaffiature, scerbature e zappettature.

IMPIANTO: poiché si tratta di una forma ibrida, si moltiplica per via agamica
trapiantando gli stoloni prelevati in primavera o autunno a circa 20 cm di
distanza l’uno dall’altro. Oltre ad annaffiare, soprattutto dopo l’impianto, si
debbono praticare regolari zappettature del terreno.
AVVERSITÀ: tra i nemici di questa diffusa specie, il più importante è la
ruggine della menta (Puccinia menthae), che in taluni casi si manifesta così
violentemente da compromettere la sopravvivenza della pianta.
In primavera, sui fusti e sulle nervature delle foglie, compaiono tacche
porporine e rigonfiamenti, sui quali in seguito si formano pustole giallo-
arancio dovute alle spore. Sulle lamine fogliari si notano invece, in estate e in
autunno, delle piccole pustole polverulente di colore bruno o nero. La
malattia è frequente nei luoghi molto umidi ed è favorita da eccessive
concimazioni e impianti troppo fitti.
Fra le altre crittogame si ricordano marciumi radicali (Macrophomina e
Rhizoctonia) e alcuni funghi che provocano macchie giallastre sulla
superficie delle foglie.
Tra i parassiti animali si segnalano alcuni lepidotteri, coleotteri, emitteri e
acari. Infine, vi sono numerose specie di nematodi.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Esistono diverse specie, con le foglie più o meno aromatiche.
Sono tutte erbacee perenni e sempreverdi che formano cespugli di varie altezze:
dai 10 cm della minuscola Mentha requienii (una specie prostrata, che si può
coltivare anche in un vaso pensile) alla più ingombrante M. spicata, che cresce
fino a 80 cm. La menta piperita (Mentha piperita), alta poco più di mezzo metro e
con foglie verde scuro, rugose e profumatissime, è particolarmente adatta alla
coltivazione in vaso.
Clima Tutte le specie resistono bene al freddo e al caldo. Nelle regioni
settentrionali la parte aerea si secca durante l’inverno, ma poi la pianta ricaccia
in primavera: se si vogliono avere foglie fresche anche nei mesi più freddi
conviene perciò portare il vaso in casa, sistemandolo lontano dalle fonti di
calore. Preferiscono le posizioni a mezz’ombra o, soprattutto al Sud, in ombra
completa.
Impianto o semina Conviene acquistare piante già pronte, che andranno
trapiantate all’inizio della primavera: nei garden center se ne possono trovare di
specie diverse.
Coltivazione Crescono bene in un terriccio di medio impasto e mantenuto
sempre leggermente umido. Le concimazioni, in marzo, devono essere scarse,
mentre per non esaurire la pianta le infiorescenze vanno eliminate appena
spuntano. Ogni 2 o 3 anni conviene rinnovare le piante dividendo i cespi in
marzo o in settembre-ottobre.
Raccolta e impiego Si usano le foglie – fresche o essiccate, raccolte con i
piccioli e prima della fioritura – per preparare salse, aromatizzare il tè, oppure
insaporire carni bianche, frittate, insalate e macedonie di frutta.
Mirtillo
Vaccinium corimbosum (ERICACEE)

VARIETÀ: il mirtillo selvatico (Vaccinium mirtillus) è un arbusto spontaneo


molto comune nel sottobosco alpino e montano sia di latifoglie che di
conifere, dai 900 ai 1500 m di altitudine. Il mirtillo coltivato, invece, cresce e
fruttifica bene in ambienti collinari e di pianura, sufficientemente freschi e
ventilati, con terreni profondi e ricchi di humus.
Tra le varietà più diffuse la Blueray, che produce frutti grossi di buon sapore;
la Bluetta, un’ottima varietà a maturazione precoce (primi di giugno), con
frutti grossi e di ottimo gusto; la Earlyblue, che matura precocemente e
presenta frutti grossi; la Darrow, molto produttiva, con frutti grandi di colore
chiaro e buon sapore; la Goldtraube 71, che produce ottimi frutti di grandi
dimensioni, ha una produttività elevata e un’epoca di maturazione media.

CLIMA E TERRENO: il mirtillo teme le abbondanti nevicate (che tendono a


schiacciare addirittura la pianta rompendo i rami) e le grandinate. Per quanto
riguarda il terreno, deve essere molto acido (pH 4,5-5), quindi il mirtillo
preferisce quelli sciolti e ricchi di scheletro, mentre rifugge i calcarei e
argillosi che possono provocare clorosi e arrossamenti diffusi sulle foglie con
conseguente arresto della crescita.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: la concimazione dovrà sempre
assicurare il mantenimento di un’acidità costante per una corretta
assimilazione radicale delle piante. Quindi, la sostanza organica umificata
sarà il più possibile di origine vegetale (foglie di bosco), integrata con torba
acida se occorre aumentare l’acidità del terreno. Allo stesso scopo può essere
distribuito, al piede delle piante dello zolfo agricolo (non quello per i
trattamenti).

Il mirtillo richiede un alto apporto di azoto, per questo è bene bagnare foglie e radici
con macerati vegetali.

Sia come fonte d’azoto che come fonte di tutti gli altri elementi nutritivi,
potrà senza dubbio risultare utile l’irrorazione radicale e fogliare con macerati
vegetali (ortica, equiseto, timo ecc.). Molto importante anche la
concimazione potassica e l’esclusione dell’utilizzo di tutti i concimi a
reazione alcalina e di quelli a formulazione complessa.
Il mirtillo è sensibile alla siccità prolungata e ha radici superficiali. Risulta
pertanto importante distribuire un’abbondante pacciamatura attorno alle
piante e lungo la fila (in questo caso potrà risultare ottimo l’impiego degli
aghi di pino o di altre conifere che creano condizioni molto simili a quelle di
crescita del mirtillo spontaneo nei boschi).

IMPIANTO: il mirtillo gigante è quello più comunemente coltivato,


unitamente a selezioni e a incroci con altre specie affini. La moltiplicazione
di questa pianta avviene per talea, anche se le percentuali di attecchimento
sono molto minori. Si dovrà, dunque, utilizzare qualche accorgimento per
favorire la buona riuscita dell’operazione. Per esempio è fondamentale la
preparazione del letto caldo per facilitare una buona e rapida radicazione: la
base fertilizzante potrà essere del buon humus di foglie di bosco, mentre
superiormente uno strato di torba potrà contribuire maggiormente a
mantenere e ad accrescere l’acidità del substrato.
La messa a dimora delle talee radicate avviene generalemente durante il
periodo autunnale. L’impianto è a filari, senza necessità di tutori (distanza tra
le file 2,5-3 m; sulla fila 1,5-2 m). Le buche saranno profonde 50-60 cm e
larghe 70-80 cm.

RACCOLTA: il mirtillo può essere considerato in piena produzione (circa 1,5


kg/pianta) al quarto anno dall’impianto. La maturazione è scalare, da giugno
ad agosto, a seconda delle varietà coltivate.
I frutti vanno raccolti delicatamente, al giusto grado di maturazione quando
tutta la bacca è colorata, e devono essere manipolati il meno possibile. I frutti
maturi lasciati sulla pianta per un lungo periodo, sono soggetti a cascola o
appassimento. Occorre pertanto provvedere a eseguire le passate ogni 3-4
giorni.

AVVERSITÀ: il mirtillo non ha bisogno di trattamenti antiparassitari.


Problemi possono derivare dagli uccelli durante la maturazione dei frutti.

SUL BALCONE
Scelta della varietà I mirtilli che crescono spontanei nei boschi delle Alpi e degli
Appennini non si possono coltivare nei vasi perché non riescono ad ambientarsi
fuori dal loro habitat. Bisogna allora ricorrere al cosiddetto “mirtillo gigante
americano”, un arbusto a portamento eretto, con foglie caduche e alto al
massimo 140 cm, che produce bacche un po’ più grosse di quelle del nostro
mirtillo selvatico, ma altrettanto succose e saporite. La varietà Bluecrop resiste
fino a -8°C, mentre la varietà Duke si adatta anche alle zone con clima invernale
mite.
Clima Non teme il freddo invernale, anche se le gelate durante la fioritura, che
avviene in aprile-maggio, sono dannose. È invece inadatto alle zone
caratterizzate da estati calde e secche. Gradisce le posizioni a mezz’ombra e ha
bisogno di un’umidità ambientale piuttosto elevata.
Impianto o semina Le piante vanno acquistate alla fine dell’inverno e
trapiantate in contenitori alti almeno 45 cm (una per ogni vaso) perché il mirtillo
ha radici piuttosto profonde.
Coltivazione Vuole un terriccio sciolto, acido, senza ristagni idrici e ricco di
sostanza organica. L’acqua delle irrigazioni non deve contenere calcio; a fine
inverno va concimato con un fertilizzante completo e ricco di ferro.
Fruttifica sui rami dell’anno precedente, che poi diventano improduttivi e
possono essere eliminati.
Raccolta e impiego Le bacche del mirtillo, che maturano da metà giugno ad
agosto a seconda della zona climatica e della varietà, vanno staccate dai
grappoli soltanto quando sono di colore azzurro intenso. Si possono mangiare
crude, condite con zucchero e limone, oppure si possono usare per preparare
marmellate o gelatine.
Mora di rovo
Rubus ulmifolius (ROSACEE)

VARIETÀ: la mora coltivata deriva dalla mora spontanea (Rubus idaeus). Le


specie di rovo coltivate, sono generalmente prive di spine (inermi), con piante
rustiche e vigorose che producono abbondanti frutti. Tra le varietà più note la
Black Satin, consigliata per la sua rusticità, l’elevata produttività e la
precocità di maturazione. Dà frutti di pezzatura medio-grossa, di colore nero
lucente con sfumature violacee e polpa acidula; la maturazione e la raccolta
iniziano verso la metà del mese di luglio e si protraggono fino a tutto il mese
di settembre. Un’altra varietà è la Thornfree, molto produttiva e vigorosa
soprattutto se coltivata nelle zone calde e ben esposte; manifesta una buona
resistenza alla siccità e si presta a essere coltivata anche nelle zone meno
fertili, non irrigue e nei terreni pesanti e argillosi. Produce frutti grossi,
allungati, di color nero intenso; la polpa è succosa, di gusto acidulo,
abbastanza gradevole quando i frutti sono molto maturi. È sensibile alla
ruggine e alla muffa grigia. La maturazione e la raccolta iniziano nella prima
decade di agosto e si protraggono fino alle prime gelate autunnali.
Altre varietà sono la Dirksen, rustica, di medio sviluppo, molto produttiva,
con frutti di pezzatura media, allungati, di sapore acidulo e gradevole e la
Lucrezia, con tralci spinosi, vigorosa e produttiva, a maturazione precoce.
Presenta frutti grossi, molto profumati, sodi e allungati.
CLIMA E TERRENO: le varietà coltivate, vegetano e producono bene nei
terreni collinari o pedemontani purché ben esposti e molto soleggiati, che
permettano una completa maturazione dei frutti anche nelle stagioni meno
favorevoli. I terreni fertili ma leggeri e ricchi di scheletro, neutri o
leggermente acidi (pH 6-7), permettono di produrre con risultati
soddisfacenti.

La mora predilige terreni collinari e ben esposti al sole.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: le piante si mettono a dimora


d’autunno, in buche profonde e larghe 50 cm, in filari (distanza tra le file 3
m; sulla fila 2-3 m), con una modesta concimazione a base di letame maturo
(4-5 q/1000 mq) e cenere di legna.
La potatura del roveto inizia dal secondo anno di impianto quando si
stendono e cimano i rami giovani che si sono sviluppati dalla pianta madre,
fissando i rami che fruttificheranno ai robusti fili metallici della palizzata. Al
termine di ogni annata produttiva (dal secondo anno in poi), verranno
eliminati alla base i tralci che hanno fruttificato e spuntati i nuovi rami
dell’anno che fruttificheranno nella primavera successiva, dopo aver spuntato
anche le femminelle (rami secondari).

IMPIANTO: la mora si moltiplica con grande facilità sia con la talea di ramo
dell’anno, sia con la propaggine e con la margotta di punta che si preparano
interrando rami dell’anno durante il periodo estivo: il rovo è noto per la sua
facilità di radicazione.

RACCOLTA: il frutto deve essere raccolto perfettamente maturo. La presenza


di gruppi di drupeole (piccole drupe) ancora acerbe in corrispondenza del
punto di attacco del picciolo, oltre a provocare una certa resistenza al
distacco, determina un sapore asprigno e poco invitante per il consumo
fresco. Quando il frutto è completamente maturo, tende a cadere
spontaneamente; pertanto le passate di raccolta devono mantenere una
cadenza di 4-6 giorni a seconda delle varietà.
Data la scarsa consistenza che caratterizza la polpa, il frutto va raccolto
maneggiandolo delicatamente per evitare lesioni e schiacciamenti. Inoltre i
frutti vanno colti solo quando sono perfettamente asciutti; cogliere frutti
bagnati da rugiada o da pioggia significa favorire quasi sempre, nell’interno
delle confezioni, un rapido sviluppo della muffa grigia; durante la fase di
raccolta vanno eseguite soltanto le irrigazioni che sono strettamente
necessarie.

AVVERSITÀ: il rovo è, fondamentalmente, una pianta rustica e vigorosa che


si difende bene da molti attacchi parassitari. È, invece, molto sensibile alla
muffa grigia dei frutti (Botrytis cinerea) che può compromettere la raccolta,
in modo definitivo, in caso di autunni piovosi. Evitando eccessi nella
concimazione azotata, mantenendo arieggiata la vegetazione e curato il
terreno (falciatura dell’erba, lavorazioni), si potranno scongiurare, quasi
sicuramente, forti attacchi.

SUL BALCONE
Scelta della varietà A differenza di quelli che crescono selvatici un po’ in tutta
Italia, i rovi coltivati sono privi di spine. La varietà Thornfree ha grossi frutti
neri e profumati, mentre Tayberry Medana è un curioso e vecchio ibrido nato
dall’incrocio fra un rovo e un lampone, e produce frutti rossi e allungati.
Clima Si adattano bene sia ai climi miti che a quelli freddi, ma perché i frutti
maturino bene sono necessari un calore estivo piuttosto elevato e una discreta
umidità atmosferica. Vogliono una posizione in pieno sole al Nord e leggermente
ombreggiata al Sud.
Impianto o semina Le piante si acquistano nei vivai in autunno e si mettono a
dimora in vasi larghi una trentina di centimetri.
Coltivazione Prediligono un terriccio di medio impasto, ricco di sostanza
organica e ben drenato. Sono piuttosto invadenti e producono tralci lunghi fino a
2 m che, per guadagnare spazio, si possono legare a tralicci o a fili metallici
fissati su una parete, coltivandoli così in verticale. Come i lamponi e i mirtilli, i
rovi producono frutti sui rami emessi nell’anno precedente: dopo la raccolta si
possono quindi tagliare quelli che hanno fruttificato. Vanno concimati con un
fertilizzante organico completo.
Raccolta e impiego I frutti, che maturano un po’ alla volta a cominciare dalla
metà di luglio e fino a settembre, vanno raccolti staccandoli delicatamente dal
ramo. Si possono mangiare crudi, conditi con zucchero e limone, oppure possono
essere usati per preparare marmellate o gelatine.
Origano
Origanum vulgare (LABIATE)

VARIETÀ: erbacea perenne cespitosa (50 cm), dotata di rizoma e caule


legnoso, ricco di rami, rossastro. Le foglie sono opposte, ovate, arrotondate,
con differente colorazione sulle due pagine. I fiori, rossastri o bianchi, sono
riuniti in spighe che formano pannocchie apicali, compaiono in estate e
maturano in un tetrachenio.
Le varietà si distinguono per il colore delle foglie e l’intensità dell’aroma.

CLIMA E TERRENO: tipica pianta mediterranea, predilige luoghi temperato-


caldi ed esposti al sole (le piante delle zone meridionali sono, infatti, più
ricche di aroma), siccitosi e si rinviene facilmente in tutta Italia. Non ha
esigenze particolari riguardo il terreno, se non quella di evitare i ristagni
idrici.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: oltre a qualche annaffiatura, le


cure colturali si riducono ad alcune zappettature per l’eliminazione delle
erbacce. Non asportando tutti i fiori subito dopo la fioritura, la pianta si
riprodurrà facilmente da sola all’interno del giardino.
SEMINA: si moltiplica per divisione dei cespi o per seme; in quest’ultimo
caso è opportuno seminare in inverno in semenzaio e poi trapiantare le
piantine a dimora a primavera inoltrata, lasciando circa 25 cm di distanza tra
una e l’altra.

RACCOLTA: la raccolta dell’origano si effettua a scalare lungo il corso


dell’anno utilizzando le foglioline e le sommità fiorite secondo necessità
lungo tutta la stagione vegetativa.

AVVERSITÀ: pianta rustica e resistente, di cui non si segnalano malattie


specifiche. Vanno evitati terreni troppo umidi o con ristagni idrici che
possono causare marciumi radicali e del colletto, oppure coltivazioni in zone
con rischio di gelate.

SUL BALCONE
Scelta della varietà La varietà Aureum ha foglie gialle, mentre quelle della
varietà Country Cream sono variegate di bianco.
Clima Fiorisce solo nelle zone calde e se si trova in una posizione riparata e ben
soleggiata. Nelle regioni più fredde deve essere protetto durante la cattiva
stagione, ma si adatta bene anche alla vita in casa, dove può essere coltivato per
avere foglie fresche durante i mesi invernali.
Impianto o semina In primavera si acquistano piantine già pronte da rinvasare
in contenitori larghi 20 cm.
Coltivazione L’origano vuole un terreno di medio impasto, ben drenato e
piuttosto fertile. Va annaffiato soltanto quando la terra del vaso si è asciugata e
non tollera i ristagni d’acqua. Si può moltiplicare per divisione dei cespi in
primavera.
Raccolta e impiego Si usano le foglie e i giovani getti, freschi oppure secchi, per
aromatizzare insalate, pizze, carni, salse e verdure. Per conservarlo, si tagliano i
rametti prima che i fiori si schiudano, poi si riuniscono in mazzetti e si fanno
seccare all’ombra appendendoli a testa in giù.
Patata
Solanum tuberosum (SOLANACEE)

VARIETÀ: le patate possono distinguersi a seconda della forma (tonda o


oblunga), del colore della polpa (bianca o gialla) e della buccia (gialla o
rosso-violetta) e infine della consistenza (soda o farinosa). In base al ciclo
vegetativo si distinguono poi patate precoci, medio-precoci, medio-tardive e
tardive.

CLIMA: grazie alla possibilità di spostare il ciclo colturale, la patata si adatta


bene ai climi più diversi, dalla montagna alla pianura. Le condizioni
climatiche più favorevoli sono comunque quelle che si riscontrano nelle zone
alpine, prealpine e appenniniche, poiché nelle regioni meridionali il
fabbisogno idrico rimane un grande ostacolo. Infatti la patata consuma circa
500 l d’acqua ogni chilo di sostanza secca prodotta. La temperatura ottimale è
tra i 18 e i 20°C.

TERRENO: questo ortaggio richiede terreni ricchi di humus di medio impasto


o sciolti, che non ostacolino l’ingrossamento dei tuberi. La patata si adatta
molto bene anche ai terreni alcalini, che però facilitano l’insorgere della
scabbia e il processo di suberificazione dei tuberi.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: la sostanza organica deve essere
distribuita e incorporata al terreno possibilmente in autunno oppure in
inverno, per evitare la mineralizzazione troppo tardiva e in quantità modeste,
poiché il suo eccesso rende la vegetazione più sensibile alla peronospora, può
nuocere a una buona conservazione dei tuberi e favorisce lo sviluppo delle
foglie a scapito dei tuberi. Un eccesso di concimazione azotata produce,
generalmente, una diminuzione del contenuto di amido e un aumento del
contenuto di zuccheri riduttori (glucosio, fruttosio). È consigliato l’uso di
letame compostato, perché stimola in modo considerevole l’attività biologica
mettendo più velocemente a disposizione della patata gli elementi nutritivi
necessari.

Patata rossa.

Patata gialla.
La difesa dalle infestanti si basa sulle tecniche della sarchiatura e della
rincalzatura. Fino all’apparire dei germogli sui solchi, si erpica leggermente,
se necessario. In seguito si ricorre alla rincalzatura, che favorisce la
tuberizzazione, evita l’inverdimento dei tuberi e ne facilita la raccolta. Deve
essere sufficientemente precoce per non disturbare i tuberi e, nel contempo,
tardiva, poiché rappresenta l’ultima operazione diserbante prima della
chiusura dei solchi da parte della vegetazione. Non deve in ogni caso essere
troppo profonda per evitare danni alle radici e andrà ripetuta dopo 10-12
giorni, soprattutto in caso di annate siccitose. Oltre all’effetto diserbante, la
rincalzatura diminuisce l’evaporazione di acqua dal terreno.
La patata è decisamente sensibile anche a limitati periodi di carenza d’acqua
nel terreno; ogni rallentamento o arresto produttivo che si verifica per questo
motivo durante la fase di sviluppo della coltura, può provocare un mancato
accrescimento dei tuberi, che si traduce in una perdita stimata attorno ai 6-10
kg/100 mq di patate per ogni giorno di arresto produttivo.
Nei climi settentrionali, la massima sensibilità alla carenza d’acqua, si
verifica da fine aprile a tutto maggio, nella fase di inizio della stolonizzazione
e tuberizzazione, ma in questo periodo solo raramente si presenta la necessità
di utilizzo dell’acqua irrigua. La necessità è invece più forte in giugno-luglio-
agosto, mesi in cui, a seconda dell’andamento pluviometrico, sarà necessario
intervenire ogni 5-8-10-15 giorni.

FASI DELLA CRESCITA

Sezione del terreno dopo l’assolcatura.

Dopo la prima rincalzatura.


Con la seconda e ultima rincalzatura si è formato tra le file un fossetto che
servirà per l’irrigazione.

Particolare cura va impiegata nella distribuzione. Occorre evitare l’effetto


battente di irrigazioni a pioggia troppo forti, che potrebbero scoprire i tuberi e
favorirne l’inverdimento, ed evitare il più possibile eccessi, ristagni e
infradicimenti che danneggerebbero la coltura e provocherebbero una
diminuzione del contenuto di amido.
Una corretta somministrazione di acqua favorisce l’attività fotosintetica e
l’aumento della produzione. Gli stress idrici, all’opposto, possono provocare
accrescimenti secondari, vitrescenza della pasta e scompensi nella
composizione chimica, che rendono difficoltosa la conservazione dei tuberi.

SEMINA: si effettua generalmente in primavera. Se non si pratica


pregermogliamento, il tubero può venire interrato intero o tagliato (almeno 3
giorni prima della semina): intero se piccolo (50-80 g di peso), tagliato in due
o più parti se di maggiori dimensioni, preoccupandosi però che ogni pezzo
abbia almeno 3-4 gemme sicuramente fertili. Il taglio permette di
economizzare nell’acquisto della semente e fornisce un maggiore stimolo alla
formazione degli steli, ma può provocare anche la marcescenza di alcuni
tuberi. Con il materiale tagliato si procederà perciò a una semina leggermente
più fitta. Utile l’impolverazione dei tuberi tagliati con farina di alghe o
litotamnio, per facilitarne la cicatrizzazione. I tuberi si distanziano sulla fila
di 25-30 cm nella coltura precoce e di 25-35 cm in quella tardiva. La distanza
tra le file può variare dai 60 ai 70 cm. Si impiegano circa 20-30 q/ha di
tuberi-seme, a seconda della loro dimensione e del loro stato di
conservazione. La profondità di piantagione si manterrà intorno ai 10 cm. La
semina deve essere effettuata a terreno asciutto, con tempo asciutto una volta
cessato il pericolo delle gelate.
UTILIZZO DEI TUBERI PREGERMOGLIATI

L’utilizzo di tuberi pregermogliati, oltre a mettere in evidenza eventuali


alterazioni, può contribuire in modo determinante a ottenere un ciclo vegetativo
più breve e un raccolto più precoce.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: la coltivazione della patata


consociata è ancora oggi abbastanza diffusa negli orti di montagna. Il vicino
più “simpatico” pare essere il fagiolo: tale consociazione sembra sia utile
anche per limitare gli attacchi della dorifora. Non si conosce ancora però il
meccanismo di tale azione. La consociazione può essere effettuata a file
alterne (singole, binate, ternate) con varie altre colture: fave, piselli, cavoli,
girasole, mais. Il lieve ombreggiamento della patata può essere favorevole
soprattutto nelle zone siccitose; il mais, a sua volta, si avvantaggerà di
maggior luce e spazio. Si ricorda, a tal proposito, un agricoltore trevigiano
che nel 1944, su 5000 mq di coltura consociata, raccolse 60 q di patate, 50 q
di pannocchie di mais e 40 kg di fagioli.
La patata è una sarchiata che esige una buona lavorazione del terreno e una
buona concimazione organica. Può essere coltivata con successo dopo i
cereali (in particolare dopo la segala) o dopo prato o la medica. Può precedere
il grano, la barbabietola e, talvolta, persino il mais. La patata non arricchisce
il terreno di humus: i suoi residui, troppo poveri di lignina e cellulosa, non
sono umificabili. Per di più la sua coltura accelera di molto la
mineralizzazione della riserva organica del terreno. Non è consigliabile la
successione della coltura a se stessa o il suo ritorno troppo frequente sullo
stesso terreno (è bene attendere almeno 4-5 anni).

RACCOLTA: sia la raccolta manuale, sia quella fatta con aratri o macchine
scavatuberi, dovrebbe danneggiare le patate il meno possibile. Bisognerà
raccogliere col tempo asciutto, lasciando i tuberi sul campo quanto basta
perché si asciughino completamente e si conservino meglio. Tale
conservazione è facilitata, nella coltivazione della patata tardiva, se il raccolto
viene effettuato con i cespi completamente seccati.
Il grado di maturazione delle patate si controlla strofinando energicamente la
buccia di alcuni tuberi: se non si stacca, significa che sono pronti per essere
raccolti e conservati.
Nel caso si desideri tenere conto della situazione astrale per la raccolta, la
tradizione indica come periodo migliore le ore pomeridiane dei 2-3 giorni che
seguono immediatamente la luna piena. Contemporaneamente alla raccolta,
va effettuata la prima cernita dei tuberi, eliminando quelli guasti e mettendo
da parte quelli molto danneggiati. Dopo la raccolta dei tuberi, sul terreno
rimangono circa 45 q/ha di sostanza secca (composta da fusti e foglie).

AVVERSITÀ: la dorifora è il parassita più noto, divora le foglie e può


distruggere interi raccolti. La patata è inoltre sensibile agli attacchi di
grillotalpa e tignola: quest’ultima depone le uova su foglie, steli, tuberi; in
seguito le larve attaccano i tuberi scavandovi gallerie.
Tra le crittogame assai temibili sono l’alternariosi e la peronospora; la prima
è un fungo che causa macchie tondeggianti, brune, su vegetazione e tuberi; la
seconda porta alla comparsa sui bordi e all’apice delle foglie di macchie
giallastre (macchie d’olio) che dilagano, mentre nei tuberi si formano parti
scure e amare che li rendono inservibili.
Danni da peronospora su tuberi.
Peperoncino
Capsicum annuum (SOLANACEE)

VARIETÀ: pianta perenne dal fusto eretto con foglie lanceolate-ovate,


picciolate. Fiorisce in primavera-estate con fiori bianchi. I frutti, di forma e
colore diverso a seconda delle varietà, sono una specie di bacca carnosa e
cava all’interno. Di origine sudamericana, fin dal 1500 si è diffusa in tutto il
mondo. Non è presente allo stato selvatico, ma ovunque viene coltivata in più
di 50 varietà che si distinguono per colore, forma e piccantezza.

CLIMA E TERRENO:ci riferiamo alle sole varietà a bacca rossa e piccola, dal
sapore particolarmente piccante (var. acuminatum) e di cui esistono tipi
differenti. Poiché è una specie tipica dei climi caldi, molto sensibile alle basse
temperature, da noi il peperoncino perde la sua caratteristica perenne e
diviene annuale. Richiede terreni ricchi di sostanza organica.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: deve essere coltivato in terreni


ricchi di materia organica e ben drenati: ha bisogno di essere annaffiato
regolarmente ma eventuali ristagni idrici agevolano lo sviluppo di
marcescenze. Saranno quindi utili frequenti zappettature che, oltre ad
arieggiare il terreno, eviteranno il propagarsi di infestanti concorrenti.
SEMINA: si propaga per seme (ottenuto dagli esemplari più sani della
stagione precedente) in semenzaio, a marzo, in postarelle profonde 1-2cm;
germinerà nel giro di 15 giorni, ma occorre attendere lo spuntare della quinta
foglia prima di trapiantarlo in piena terra, lasciando tra una pianta e l’altra 30-
40 cm circa.

RACCOLTA: le bacche vengono raccolte quando raggiungono la maturazione


completa, asportando anche parte del picciolo, e vengono poi sottoposte a
essiccazione.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Sono più piccoli dei peperoni e decisamente più ornamentali.
Ne esistono varietà con bacche più o meno piccanti, di diversa forma (a cornetto,
a lampioncino, rotondi) e diverso colore (rosso, giallo, viola). Fra le varietà più
decorative Big Wonder, con frutti che da viola virano al giallo e al rosso, mentre
fra quelle più piccanti figura il mitico Habanero a frutti rossi.
Clima La temperatura ideale è compresa fra i 15 e i 25°C; se la temperatura
scende sotto gli 8°C, i vasi vanno protetti o portati in casa. Preferisce stare al
sole al Nord e a mezz’ombra (ma sempre in posizioni luminose) al Sud.
Impianto o semina In vendita si trovano piantine già pronte per il rinvaso,
oppure si può seminare in semenzaio coperto alla fine dell’inverno, trapiantando
le piantine, appena si possono maneggiare, in vasetti di 8 cm di diametro da
tenere ancora al coperto, e poi invasandole nel loro contenitore definitivo non
prima di aprile-maggio: un vaso di 20-22 cm di diametro potrà ospitare una
pianta.
Coltivazione Il terriccio deve essere ricco di sostanza organica e ben drenato. Le
annaffiature devono essere regolari: la terra non deve mai asciugarsi
completamente, ma nemmeno essere troppo bagnata.
Raccolta e impiego I peperoncini si colgono quando sono completamente maturi,
lasciando una parte del picciolo. Si possono usare freschi oppure secchi: in
questo secondo caso vanno esposti al sole a mazzetti o legati a ghirlande. Si
possono anche seccare nel forno mantenendo la temperatura non oltre i 35°C
per non ridurne l’aroma. Una volta secchi, è possibile polverizzarli usando un
mortaio o un piccolo frullatore, ma prima è bene coprirsi la bocca e il naso con
una mascherina per non respirare la polvere irritante.
Peperone
Capsicum annuum (SOLANACEE)

VARIETÀ: i peperoni si distinguono in base alla forma (allungata, cilindrica,


triangolare, quadrata, a sigaretta ecc.), al colore (giallo, verde, rosso), alla
destinazione d’uso (da conservazione, da essiccazione ecc.). Tra le molteplici
varietà ricordiamo i Yolo wonder A e L, quadrati a polpa verde, rossa a
maturazione; il King gold Ibrido F1, quadrato a polpa verde, gialla a
maturazione; il Quadrato d’Asti Giallo e Rosso; il Nocera Giallo e Rosso.

CLIMA: il peperone è una pianta tipica dei climi caldi, molto sensibile alle
basse temperature (tra tutte le solanacee è la specie che presenta più esigenze
termiche).
Le condizioni ottimali per il suo sviluppo sono rappresentate da temperature
che oscillano tra i 16-18°C di notte e i 25-28°C di giorno. Temperature alte
(30-35°C), associate o meno ad alta ventosità, determinano cascola fiorale,
nonché deformazione e cascola dei frutti. Inoltre, possono provocare la
cosiddetta “scottatura o colpo di sole” sul frutto esposto ai raggi solari.
TERRENO: il peperone (il cui apparato radicale è di scarso sviluppo, nonché
sbilanciato rispetto alla parte epigea) richiede terreni di medio impasto, molto
fertili, profondi, con una buona dotazione di calcio e ben drenati. La pianta è
inoltre molto sensibile alla salinità del terreno. Il pH ottimale è tra 6,5 e 7.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: il peperone è una pianta esigente


in fatto di concimazione, per 10 mq di coltura richiede ben 30-40 kg di
compost o di letame ben maturo interrato durante i lavori di preparazione del
terreno. Questa pianta consuma elevate quantità di microelementi, soprattutto
magnesio, per cui, specie nei terreni poveri, risulta molto utile la
distribuzione di litotamnio (500 g/10 mq) o di farina di rocce (2 kg/10 mq).
Il peperone è una pianta sensibile agli stress idrici: disponibilità limitate di
acqua causano l’arresto della vegetazione fino alla cascola dei frutti e dei fiori
quando la carenza idrica si prolunga nel tempo. Sono quindi necessari
numerosi interventi irrigui, sia nel semenzaio (ogni 3-4 giorni) che dopo il
trapianto (ogni 5-6 giorni). Vanno inoltre effettuate scerbature per eliminare
le infestanti e zappettature per arieggiare il terreno. Sarà necessaria inoltre
una rincalzatura qualche settimana dopo il trapianto per stimolare l’emissione
di radici avventizie e proteggere il colletto dall’attacco di malattie fungine.
Peperone giallo.

Peperone rosso.

Peperone verde.

SEMINA: a causa delle elevate esigenze termiche e della lunga


germogliazione (la quale dura circa 10-15 giorni), la semina diretta in pieno
campo del peperone è poco diffusa e in genere sostituita da quella in
semenzaio. A seconda delle condizioni ambientali l’epoca di semina va da
gennaio-febbraio (Sud) a febbraio-marzo (Centro-Nord). Si esegue a spaglio,
a righe distanti 5-10 cm o, meglio ancora, collocando i singoli semi in vasetti
di torba o in cubetti di terriccio. Per ogni metro quadro di semenzaio
occorrono 1,5-2,5 g di seme e per ogni 100 mq di coltura sono neccessari
circa 0,5-0,8 mq di semenzaio. Nei casi in cui la semina viene effettuata
direttamente in campo è opportuno preferire postarelle, con 2-3 semi,
collocate a 50-60 cm di distanza. Per la semina diretta occorrono circa 1,5-2 g
di seme ogni 10 mq di coltura. Sia nei semenzai che in pieno campo,
l’emergenza delle plantule può essere favorita impiegando semi pregerminati,
per ottenere i quali è sufficiente porli a bagno per 12-24 ore e, dopo averli
tolti dall’acqua, collocarli in ambiente ben caldo per circa 7-8 giorni, ossia
fino all’emissione della radichetta. Dopo circa 40-50 giorni dalla semina,
quando le piantine presentano la quinta foglia ben sviluppata ed è lontano
ogni pericolo di gelate tardive, si effettua il trapianto.

SEMINA DEL PEPERONE

A causa delle elevate esigenze termiche, e della lunga germogliazione, il


peperone si semina quasi sempre in semenzaio.
TRAPIANTO E SARCHIATURA DEL PEPERONE

Il trapianto si esegue dopo circa 40-50 giorni dalla semina, quando le piantine
presentano la quinta foglia ben sviluppata.
La sarchiatura si effettua dopo circa 3 settimane dal trapianto, quando le
piantine hanno raggiunto l’altezza di 30-35 cm.

A seconda delle zone, la messa a dimora delle piantine si effettua da marzo


(Sud) a metà maggio-giugno (Centro e Nord). La distanza più adottata è di
60-70 cm tra le file e 45-50 nella fila.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: si associa bene a carciofi,


insalate, finocchi e cavoli.
RACCOLTA: i frutti del peperone maturano scalarmente, ma spesso vengono
raccolti quando sono ancora acerbi.
In genere i peperoni a colorazione verde o bianco-gialla vengono raccolti
anche prima della loro completa maturazione, ossia appena raggiungono le
dimensioni richieste dal mercato; quelli gialli o rossi vengono invece raccolti
quando l’intero frutto assume la tipica colorazione della cultivar di
appartenenza. Quanto alla produzione, questa oscilla intorno ai 20-30 kg/10
mq di coltura.

AVVERSITÀ: tra i parassiti animali è pericolosa la piralide perché fora i frutti


danneggiandoli all’interno ed esponendo le piante a infezioni batteriche. Si
previene evitando la vicinanza al mais e si combatte con preparati a base di
Bacillus thuringiensis. Tra le crittogame, la più temibile è la peronospora, che
si previene utilizzando seme sano, prevedendo ampie rotazioni (4 anni),
assicurando alle colture drenaggio e arieggiamento ed eliminando subito i
frutti infetti.
Temibile è anche l’antracnosi che si combatte con trattamenti a base di rame.
La coltivazione del peperone lontana da quella del fagiolo è un’utile pratica
preventiva.
SUL BALCONE
Scelta della varietà A seconda della varietà, può produrre frutti di forma e
colore diversi: conici, gialli oppure rossi quelli della varietà Corno di toro;
quadrangolari, viola cioccolato e poi rossi i Tequila.
Clima è un ortaggio adatto ai climi temperato-caldi: non sopporta le basse
temperature e ha bisogno di 25-30°C di giorno e 16-18°C di notte.
Impianto o semina Si può seminare in semenzaio coperto già in marzo. Quando
le piantine hanno emesso 4 o 5 foglie vanno trasferite in vasetti di 8 cm di
diametro da tenere ancora al coperto o anche in casa, poi si piantano all’aperto
nel vaso definitivo quando la temperatura si è stabilizzata, a partire dalla fine di
aprile. I meno pazienti potranno invece acquistare piantine già pronte.
Coltivazione Il peperone vuole un terriccio di medio impasto, sciolto, molto ricco
di sostanza organica e ben drenato.
Le annaffiature devono essere regolari e somministrate prima che la terra si
asciughi. Al momento dell’impianto è consigliabile una concimazione ricca di
fosforo e potassio, mentre durante la crescita è utile una somministrazione di
macerato d’ortica.
Per evitare che le piante di peperone siano abbattute da un colpo di vento è
necessario prevedere un tutore alto una cinquantina di centimetri, al quale si
legherà il fusto con un filo di rafia annodato a 8.
Raccolta e impiego Le bacche si raccolgono verso la metà dell’estate, quando
sono diventate gialle o rosse, ma alcune varietà, per esempio i Friggitelli da
cucinare in padella, vanno colti quando sono ancora verdi. Si possono
consumare crudi in insalata oppure cotti in vario modo.
Pisello e Taccola
Pisum sativum (LEGUMINOSE)

VARIETÀ: si distinguono piselli a seme liscio (adatti alla semina autunnale in


quanto resistenti all’umidità), a seme grinzoso (per la semina primaverile
poiché temono il freddo e resistono meglio ai primi caldi) e mangiatutto o
taccole. Inoltre le varietà si distinguono, in base al portamento, in nane (da 35
a 50 cm), mezza rama o seminane (da 70 a 130 cm circa), rampicanti (da 130
a 180 cm circa).

CLIMA: durante i primi stadi di sviluppo resiste anche a temperature poco


inferiori agli 0°C, ma le condizioni ottimali per il suo sviluppo sono
rappresentate da temperature fra i 10 e i 20°C. Temperature eccessivamente
elevate determinano una precoce fioritura e un prodotto di qualità scadente.

TERRENO: si adatta bene ai diversi tipi di terreno, ma predilige quelli di


medio impasto e ben drenati. È molto sensibile sia ai ristagni d’acqua, che
favoriscono l’insorgere di marciumi, sia alle carenze idriche, che determinano
una precoce fioritura e una riduzione della produzione. Rifugge dai terreni
eccessivamente compatti e da quelli troppo ricchi di calcio, che danno legumi
di difficile cottura.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: grazie alla capacità dei batteri
contenuti nei tubercoli radicali di fissare direttamente l’azoto atmosferico, il
pisello non necessita di specifiche concimazioni, anche se si avvale molto
bene della fertilità residua proveniente da colture precedenti. Il pisello
richiede numerosi interventi di sarchiatura al fine di arieggiare il terreno e
limitare le infestanti e interventi di rincalzatura, da effettuare quando le piante
raggiungono 12-15 cm d’altezza e poi nuovamente verso i 25-30 cm.
Bisogna inoltre predisporre dei sostegni, che devono essere collocati in sede
quando le piante raggiungono i 10 cm d’altezza; allo scopo vanno bene le
tradizionali frasche, appositi paletti o le reti metalliche o di nylon. A seconda
delle cultivar, i sostegni saranno alti 100 cm per le varietà nane e semi-nane e
200 cm per le varietà rampicanti. Utile anche la pacciamatura con paglia, erba
secca o altro materiale organico per frenare lo sviluppo delle infestanti e
conservare l’umidità del terreno.
PROTEZIONI E SOSTEGNI

Per proteggere i semi dagli uccelli, si può utilizzare una rete metallica a maglie
fini.
I sostegni vanno fissati non appena le piante di piselli raggiungono un’altezza di
10 cm circa.

SEMINA DEI PISELLI

Semina di piselli in file binate.

La tradizionale semina di piselli in postarelle da 3-4 semi.

L’irrigazione della coltura poco prima della raccolta migliora la qualità del
prodotto.

Piselli da sgranare.

Taccole.

SEMINA: si effettua in autunno-inverno al Centro-Sud e dalla fine


dell’inverno per tutta la primavera al Nord. Negli orti familiari, in genere, la
semina si effettua scalarmente da marzo fino alla fine dell’estate, per
assicurarsi un raccolto continuo. Per 10 mq di coltura occorrono da 130 a 200
g di seme. La semina si effettua a postarelle (30-40x90-100 cm) o a file
semplici o binate. A seconda dello sviluppo vegetativo delle cultivar si hanno
differenti distanze di semina.
Piselli nani – Nelle file semplici servono 30-50 cm nella fila e 40-50 cm tra
le file; per le file binate si lasciano 30-50 cm nella fila, 40-50 cm tra le file e
70-80 cm tra le bine.
Piselli seminani – Per le file semplici occorrono 60-70 cm nella fila e 70-80
cm tra le file; per le file binate si lasciano 60-70 cm nella fila, 60 cm tra le
file e 80 cm tra le bine.
Piselli rampicanti – Per le file semplici servono 80-100 cm nella fila e 120
cm tra le file; per le file binate sono necessari 80-100 cm nelle file, 80 cm tra
le file e 100-110 cm tra le bine.
Secondo il calendario lunare i piselli vanno seminati 2 giorni dopo il primo
quarto.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: è bene non ripetere la


coltivazione del pisello o di altre leguminose sullo stesso appezzamento
prima di 3-4 anni. Si associa molto bene con asparagi, carote, sedano, cavoli,
fagioli nani, rafano, ravanelli, patate, rape e lattuga. Da evitare invece la
consociazione con aglio, scalogno, cipolla e prezzemolo.

RACCOLTA: si hanno tecniche diverse a seconda della destinazione del


prodotto.
Piselli per il consumo fresco – La raccolta è scalare e si effettua quando i
baccelli si presentano turgidi e pieni, e il seme, schiacciato tra le dita, non si
divide in due (seme troppo maturo), né appare di consistenza farinosa. La
produzione è di 1,5-5 kg/10 mq di coltura. La regolare raccolta dei baccelli
stimola la pianta.
Piselli per il consumo secco – La raccolta si esegue falciando le piante
quando i baccelli non sono ancora secchi, prima che si aprano disperdendo il
seme in terra.
Una volta falciate, le piante si portano sull’aia per facilitare il loro
essiccamento, quindi si trebbia. Le rese variano da 2 a 4 kg di seme secco/10
mq di coltura.

AVVERSITÀ: il pisello è sensibile ai molti parassiti tipici delle leguminose,


tra i quali tonchio, afidi e tortrice, le cui larve forano i semi, svuotandoli. Le
crittogame che colpiscono di più il pisello sono la muffa dei baccelli, la
peronospora e l’oidio.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Per terrazzi e balconi sono da preferire i piselli mangiatutto
perché, rispetto ai piselli da sgranare, offrono un raccolto più soddisfacente dal
momento che anche la buccia è commestibile. Sono preferibili varietà
rampicanti, come Carouby, con baccelli piatti e senza filo.
Clima È resistente al freddo (la sua temperatura ideale è compresa fra i 10 e i
20°C) e preferisce una posizione soleggiata al Nord e a mezz’ombra al Sud.
Impianto o semina Si semina direttamente a dimora (un vaso largo 35 cm può
ospitare 4 piante) all’inizio della primavera, ma non oltre aprile perché è molto
sensibile al caldo.
Coltivazione Vuole un terriccio di medio impasto da mantenere fresco con
irrigazioni costanti, ma non troppo umido: se c’è carenza d’acqua si pregiudica
la fioritura e i semi si induriscono. Le concimazioni devono essere ricche di
potassio e di fosforo. Per le varietà rampicanti bisogna predisporre un graticcio
su cui possa arrampicarsi: va bene anche la ringhiera del balcone, se però non
si toglie sole e luce agli altri ortaggi.
Raccolta e impiego I baccelli si raccolgono dopo circa 3 mesi dalla semina,
quando sono ancora teneri e i semi poco sviluppati.
Pomodoro
Solanum lycopersicum (SOLANACEE)

VARIETÀ: le numerose varietà di pomodoro si possono raggruppare in due


grandi categorie: da tavola per il consumo fresco e da conserva per pelati,
concentrati ecc. Nel primo gruppo si distinguono poi varietà nane, a crescita
definita e a crescita indefinita; con frutti di pezzatura grossa, media e
ciliegini; infine di diverso colore (rosso, nero, giallo, bianco, rosa ecc.) e
forma (tondo, allungato, a pera, a lampadina, costoluto ecc.). Tra le varietà
più conosciute, il Fandango Ibrido F1 medio-tardivo, a grosso frutto globoso;
il Tondino medio-tardivo, a frutto piccolo globoso; il Cuor di bue tardivo, a
frutto grosso; il S. Marzano Ibrido F1 tardivo, a frutto grosso allungato.

CLIMA: il pomodoro è una pianta tipicamente mediterranea. In Italia, le aree


di maggior sviluppo della coltura sono quelle del Meridione, dove è possibile
raggiungere buone produzioni anche senza l’utilizzo di serre o tunnel. È
infatti il freddo il fattore climatico che limita la coltivazione del pomodoro.
Temperature prossime a 0°C portano alla morte della pianta, mentre
temperature sopra i 32°C causano una scarsa allegagione e provocano
decolorazioni e ustioni alle bacche.
TERRENO: il pomodoro non è una pianta molto esigente. Preferisce terreni
profondi, ricchi di sostanza organica, anche compatti ma ben drenati, allo
scopo di evitare il ristagno d’acqua, molto dannoso soprattutto nelle delicate
fasi del trapianto e del post-trapianto. Il pomodoro richiede che tutte le
lavorazioni preparatorie siano eseguite con la massima cura, per assicurare un
buon effetto diserbante, un buon drenaggio e un interramento dei concimi
organici.
Una prima lavorazione superficiale (10-15 cm) risulta necessaria per
l’interramento dei residui della coltura precedente, a fine estate. Una seconda
lavorazione un po’ più profonda (25-30 cm) si effettua in autunno per
interrare i concimi organici e l’eventuale sovescio.
Pomodoro costoluto.

Pomodoro insalataro.

Pomodoro allungato.
Pomodoro ciliegino.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: il pomodoro ha un apparato


radicale molto profondo (anche oltre 130 cm), ama un terreno umifero e
necessita di una grande disponibilità di principi fertilizzanti assimilabili dal
terreno per poter esplicare tutta la sua potenzialità produttiva. Il concime
fondamentale è il letame, a meno che non si disponga di terreni molto ricchi
di sostanza organica. La prima concimazione organica si effettua in autunno,
all’aratura, con letame o compost anche fresco (circa 40-50 t/ha).
Le quantità possono essere ridotte e dimezzate se, all’aratura, si fa precedere
l’interramento di una coltura da sovescio. Se si pratica il sovescio, sullo
sfalcio è possibile distribuire il letame (non necessariamente maturo) e
interrare il tutto con un’unica operazione.
Al trapianto si riempiono i solchi di buon compost maturo, badando a non
farlo giungere a contatto con le radici delle piantine. In seguito, per una
buona fruttificazione, il pomodoro necessita di ulteriori apporti fertilizzanti.
Molto adatto a questo scopo è l’uso del liquame bovino diluito o di macerato
di ortica arricchito con farina di oscorna. L’oscorna è un prodotto buono
anche per la concimazione di fondo, se in autunno ne vengono distribuite
circa 0,7-1 t/ha in sostituzione del letame. È opportuno inoltre integrare il
letame con una concimazione fosfopotassica, preferibilmente con polvere
d’ossa, scorie Thomas, fosforiti, patentkali, ceneri di legna.
Il pomodoro trae giovamento anche dalla concimazione fogliare con prodotti
liquidi o in polvere a base di alghe (50-60 kg/ha) o altri prodotti naturali
stimolanti. Un altro concime utilizzabile in copertura, in caso di necessità, su
coltivazioni non pacciamate, è la pollina compostata (circa 1,5-2 t/ha)
leggermente interrata. Per quanto riguarda le cure colturali d’estate bisogna
intervenire con annaffiature quanto più regolari possibile per evitare dannosi
squilibri idrici, senza bagnare le foglie per impedire attacchi di malattie
crittogamiche. Altre pratiche colturali sono il diradamento dei semenzali,
eliminando le piantine più deboli; la rincalzatura per favorire l’emissione di
radici superficiali; la scacchiatura per asportare i getti laterali che
sottrarrebbero energia a scapito della produzione di frutti e la cimatura, cioè
l’asportazione della parte terminale del fusto e dei rami per limitare lo
sviluppo della pianta in altezza e anticipare la maturazione delle bacche.
Il pomodoro richiede inoltre la pacciamatura, da effettuare con paglia o film
plastico nero allo scopo di mantenere l’ umidità nel terreno, inibire lo
sviluppo delle infestanti e impedire che i frutti dei palchi più bassi vengano a
diretto contatto con il terreno.

SCACCHIATURA

I getti laterali che crescono tra le impalcature delle foglie vanno eliminati prima
che superino i 3 cm di lunghezza. Questa operazione prende il nome di
scacchiatura.

ROTAZIONI E SOSTEGNI

Schema di rotazione del pomodoro con ortaggi autunno-vernini. Il pomodoro


può infatti precedere tutte le altre colture, ma in special modo spinaci,
valerianella, lattughe e cipolle.
Impalcatura a fili per il sostegno di piante di pomodoro.

Nel momento della piantagione a dimora si devono inoltre predisporre tutori


in bambù, plastica o metallo, ai quali le piante possano appoggiarsi. Durante
la crescita di tanto in tanto è necessario legare la vegetazione con legacci di
rafia o plastica.

SEMINA: purtroppo oggi è praticamente impossibile reperire sementi di


varietà locali, riprodotte seriamente e con buone caratteristiche produttive,
per cui anche in agricoltura biologica si utilizzano sempre più i semi e le
varietà normalmente in commercio (anche ibride). La semina si esegue in
semenzaio a letto caldo a fine inverno, procedendo poi al trapianto in marzo
in tunnel per colture anticipate o in aprile-maggio direttamente a dimora
nell’orto. Le distanze d’impianto nell’orto dipendono dalla varietà e sono
comprese tra 70-120 cm tra le file e 30-60 cm sulla fila. Per ottenere buoni
risultati è importante scegliere semente selezionate di varietà resistenti a
virosi e tracheomicosi.
Secondo il calendario biodinamico, 2 giorni prima della luna piena. In tal
modo si otterrebbero produzioni più abbondanti.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: essendo una pianta da rinnovo,


spesso il pomodoro apre la rotazione. Può precedere tutte le colture, con
qualche riserva per il peperone, la patata e la melanzana. È sconsigliata la sua
coltivazione anche dopo la patata. Il pomodoro è capace di sopportare la
monosuccessione, ma tale pratica è spesso sconsigliata a causa della
diffusione nel terreno di parassiti fungini, di nematodi o di insetti. Per questi
motivi il pomodoro (da pieno campo) andrebbe inserito in una rotazione
triennale o meglio quadriennale. Un buon esempio può essere la vecchia
rotazione emiliana: pomodoro -frumento consociato a trifoglio-trifoglio-
frumento-pomodoro; oppure: pomodoro-frumento-medica-medica-medica-
frumento-pomodoro. Negli orti, il pomodoro può seguire lo spinacio, la
valerianella e le carote seminate durante l’autunno. Possono poi seguire:
spinaci, valerianella, lattughe invernali, cipolle.
Favorevole la consociazione pomodoro-prezzemolo e pomodoro-sedano.
Coltivato a fianco del cavolo, il pomodoro contribuisce a tenerne lontana la
cavolaia. La vicinanza dell’ortica favorisce la crescita del pomodoro, ne
aumenta la serbevolezza e ne riduce gli attacchi fungini. Altre vicinanze
favorevoli sono con spinaci, rapanelli, rape, porri, menta, lattuga, insalata,
cicoria, aglio e fagiolini. Sembra invece non gradire la vicinanza con patate,
piselli, cetrioli e finocchi.

BAGNO DELLE SEMENTI E MESSA A DIMORA

Il bagno delle sementi di pomodoro nell’estratto di valeriana.


Messa a dimora delle piantine.

RACCOLTA: a maturazione della bacca (totale colorazione rossa) per i


pomodori da conserva, prima (maturazione appena rosata) per quelli da
mensa.
AVVERSITÀ: tra i parassiti animali del pomodoro si segnalano dorifora,
nottua, nematodi, afidi e vasate del pomodoro o acaro rugginoso, un ragnetto
responsabile dell’avvizzimento delle foglie, che assumono un colore bronzeo.
Tra le malattie crittogamiche, oltre all’alternariosi e alla peronospora, devono
essere ricordati il mal del piede, causato da un fungo che attacca il colletto e
si manifesta in presenza di forte umidità, e la cladosporiosi che colpisce
spesso il pomodoro e si evidenzia con tacche alle quali corrisponde una
muffa grigiastra sulla pagina inferiore della foglia.
Altre pericolose crittogame che attaccano il pomodoro sono: la
tracheofusariosi, la septoriosi e il marciume apicale favorito da squilibri
idrici, ristagni d’acqua e concimazioni non corrette.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Alcune delle varietà adatte ai vasi sono Cal-J, con frutti che
si conservano a lungo sulla pianta; Principe Borghese, una varietà semi nana
che si copre letteralmente di frutti dolcissimi; Pepe e Small Fry, con grappoli di
frutti grossi come una ciliegia; Big Rio, una varietà che regala frutti a forma di
uovo e adatta ai climi umidi.
Clima I pomodori sono molto sensibili al freddo e alla carenza d’acqua, mentre
prediligono i climi temperato-caldi e le esposizioni soleggiate.
Impianto o semina Si può seminare all’inizio della primavera in semenzaio
coperto o in vasetti di torba. Le piantine devono essere diradate al più presto, e
quando le superstiti hanno 4 o 5 foglie si trapiantano in un vasetto più grande
per stimolare lo sviluppo delle radici. Vanno messe nel vaso definitivo alla fine
di aprile, quando sono alte 15-20 cm circa e la temperatura esterna si sarà
alzata; le varietà più piccole possono essere ospitate in vasi larghi e profondi
solo 30 cm.
Coltivazione Il terriccio prediletto è di medio impasto e ben fornito di argilla e di
humus. Le annaffiature devono essere regolari per evitare che i frutti si
spacchino; in estate può essere necessario innaffiarli anche 2 volte al giorno, ma
senza bagnare le foglie. Essendo un ortaggio a ciclo lungo, il pomodoro si
avvantaggia di una concimazione supplementare con macerato d’ortica. Le
varietà “determinate” formano un cespuglio di altezza limitata e non richiedono
tutori, mentre le varietà “indeterminate” continuano a crescere in altezza per
tutto il ciclo vegetativo e vanno sostenute con supporti di vario tipo: canne di
bambù, graticci, fili metallici fissati al muro, ringhiere. Man mano che cresce, lo
stelo di queste varietà deve essere fissato ai sostegni con un nodo a forma di 8
fatto sotto una foglia. Vanno eliminati i germogli laterali (le femminelle)
all’ascella delle foglie e anche tutte le foglie sotto il più basso palco di frutti.
Raccolta e impiego La raccolta dei frutti comincia dopo circa 2 mesi dal
trapianto e prosegue per parecchie settimane. Per gustarne il sapore, coglieteli
quando sono completamente maturi e consumateli subito. A fine stagione invece
si raccolgono ancora acerbi e si mettono a maturare in un locale fresco.
Porro
Allium porro (LILIACEE)

VARIETÀ: si distinguono porri estivi (semina gennaio-marzo, raccolta


maggio-agosto); autunnali (semina febbraio-marzo, raccolta agosto-ottobre);
invernali (semina aprile-maggio, raccolta novembre-marzo); bastoncino
(semina a settembre, raccolta aprile-maggio).

CLIMA: il porro si adatta bene a diversi tipi di climi, ma i migliori risultati si


ottengono nelle zone a clima temperato o temperato-caldo. È una pianta
particolarmente resistente al freddo.

TERRENO: predilige terreni di medio impasto, sciolti, profondi, ben dotati di


sostanza organica e sufficientemente drenati.
Rifugge quelli troppo compatti dove sono frequenti i ristagni. Il pH ottimale è
tra 6,5 e 7,5.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: un’eccessiva fertilizzazione riduce


la resistenza nei confronti del gelo. Sono sufficienti 3-4 q di letame o
compost ben maturo/100 mq di superficie, integrati dall’irrorazione di
macerato di ortica subito dopo il trapianto.
Per quanto riguarda le cure colturali, 30-40 giorni dopo la semina diretta in
pieno campo va effettuato il diradamento delle piantine secondo il sesto
d’impianto prescelto.
Sono inoltre necessarie numerose sarchiature allo scopo di arieggiare il
terreno e ridurre lo sviluppo delle infestanti, inoltre 15-20 giorni prima della
raccolta va effettuata una rincalzatura per favorire l’imbianchimento della
parte edule.

SEMINA: occorrono 3-5 g di seme/mq di semenzaio posto a 0,5-1cm di


profondità. Le piante necessarie per 100 mq di coltura si ottengono da 1,5-2
mq di semenzaio. Per le semine in pieno campo occorrono invece 50-80 g di
seme/100 mq di superficie. A seconda della zona e della tecnica colturale
prescelta, si può seminare in diversi periodi dell’anno: se si semina a gennaio,
su letto caldo, la temperatura del cassone deve essere di 15-18°C (si
utilizzano varietà precoci da raccogliere in giugno-luglio). Se si semina a
marzo la semina può avvenire, a seconda delle zone, in letto caldo, in
semenzaio coperto o direttamente all’aperto (si utilizzano varietà precoci per
la raccolta in agosto-novembre). Per le semine che avvengono nel mese di
maggio la semina è in campo e la raccolta si effettua da dicembre ad aprile.
Per le semine in settembre, la semina avviene in campo proteggendo le piante
dal freddo con paglia o erba secca e la raccolta avviene a maggio-giugno.
Circa 11-12 settimane dopo la semina si effettua il trapianto, quando le piante
hanno un diametro di 4-5 mm e circa 15 cm di altezza. Le piantine si
distanziano 30-35 cm tra le file e 8-20 cm sulla fila.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: è bene non ripetere la


coltivazione sullo stesso terreno prima di 3-4 anni. Il porro si consocia bene
con cipolle, sedano, pomodoro, scorzonera, lattuga, cavoli, indivia. Risultati
negativi invece nella consociazione con fagioli, rape rosse, piselli. Di
particolare utilità è la predisposizione di file alternate di carote e porri, che
sembrano tenere lontano reciprocamente la mosca delle carote e quella dei
porri.

RACCOLTA: il massimo ingrossamento dei fusti si registra a 5-6 mesi dalla


semina (circa 3-4 mesi dopo il trapianto). La raccolta inizia a maggio, se si è
seminato in gennaio, e prosegue per tutto l’anno fino all’estate successiva se
si sono effettuate anche le semine autunnali. Il porro può essere colto da
quando presenta il diametro di un dito (produzioni anticipate) fino a quando
raggiunge il massimo sviluppo vegetativo.

AVVERSITÀ: il porro soffre le stesse avversità di aglio e cipolla. Tra le


crittogame, il cancro causa deformazioni e spaccature.
Prezzemolo
Apium petroselinum (OMBRELLIFERE)

VARIETÀ: tra le varietà più note, il Gigante catalogno, il Gigante d’Italia, il


Di Napoli e il Paramount, riccio. Esiste anche il prezzemolo a grosse radici, il
quale sviluppa un fittone di notevoli dimensioni, che per il suo sapore
aromatico svolge la stessa funzione delle foglie. La sua coltivazione è diffusa
nelle zone particolarmente fredde dove si immagazzina la radice per
consumarla durante l’inverno.

CLIMA: ha una buona resistenza al freddo e si adatta bene alle più diverse
situazioni climatiche, anche se predilige le zone a clima temperato, con
inverno mite e di breve durata.

TERRENO: non presenta particolari esigenze, ma i migliori risultati si


registrano sui terreni di medio impasto, fertili e con una buona dotazione di
sostanza organica.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: la distribuzione di concime è


necessaria solamente per produzioni di una certa entità; in questi casi si
distribuiranno 30-40 kg di letame o di compost ben maturo interrati durante i
lavori di preparazione del terreno. Sono comunque necessarie annaffiature
costanti e qualche intervento di rimozione delle erbacce.
SEMINA: nella maggior parte delle regioni si può seminare all’aperto da
febbraio ad agosto, a spaglio, alla profondità di 0,5-1,5 cm. Sono necessari
30-40 g di seme per 100 mq di coltura. Seminato in file continue (2-5 cm
sulla fila e 20-25 cm tra le file) richiede circa 15-20 g di seme per 10 mq di
superficie.
Secondo il calendario lunare, il periodo migliore per la semina è
rappresentato dalle 48 ore che precedono la luna piena.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: si consocia con asparago e


pomodoro. Va evitata l’associazione con piselli e lattuga. Poiché germina
lentamente, il seme si può mescolare a quello dei ravanelli, la cui più rapida
emergenza sarà utile per rilevare i filari di prezzemolo.
LA RACCOLTA DEL PREZZEMOLO

Il prezzemolo viene raccolto a scalare, durante tutto l’arco dell’anno, recidendo


le foglie più sviluppate.

In alternativa, viene recisa la parte aerea a pochi centimetri dal suolo,


effettuando più tagli nel corso dell’anno.

RACCOLTA: la raccolta del prezzemolo si effettua da marzo a dicembre,


asportando le foglie più alte o l’intera pianta a circa 1-2 cm dal terreno. In un
anno è possibile effettuare fino a 10 e più tagli dato che la pianta ricaccia la
parte aerea. Ogni 10 mq di coltura si raccolgono fino a 30 kg di prezzemolo.

AVVERSITÀ: tra i parassiti animali ricordiamo psilla, afidi, larve di


maggiolino e di elateridi.
Crittogame dannose sono la peronospora, l’alternariosi, la ruggine, l’oidio, la
ticchiolatura, la septoriosi e la cercospora, un fungo che attacca le foglie
causando pustole con un alone rossastro.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Alcune varietà hanno foglie lisce e frastagliate: piccole
quelle della varietà Comune, grandi quelle del Gigante d’Italia. Altre invece, per
esempio il Riccio verde scuro, le hanno increspate. Il prezzemolo a foglie lisce è
più aromatico.
Clima Resiste al freddo ma non al gelo, dal quale va difeso con un telo di
tessuto-non tessuto. Si trova bene nelle posizioni a mezz’ombra.
Impianto o semina È possibile seminarlo direttamente nei vasi da marzo ad
agosto, ma spunterà solo dopo 2 o 3 settimane. In alternativa si possono
acquistare piantine già pronte nel mese di aprile e sistemarle in vasi anche
piccoli: per una piantina basta un contenitore largo 12 cm.
Coltivazione Il prezzemolo vuole un terreno di medio impasto e ricco di sostanze
organiche.
Le annaffiature devono essere costanti e somministrate prima che la terra del
vaso si asciughi completamente. Dopo 2 anni va in seme, e perciò va sostituito.
Raccolta e impiego Può essere raccolto nel corso di tutto l’anno tagliando gli
steli più sviluppati o recidendo con una forbice tutta la parte aerea a un paio di
centimetri da terra: la pianta ricaccerà rapidamente, per cui si potranno
effettuare più tagli fino a quando andrà in seme. Si usano le foglie fresche o
surgelate e si consumano crude o aggiungendole alle pietanze solo a fine cottura
per non alterarne l’aroma.
Rapa
Brassica rapa (CRUCIFERE)

VARIETÀ: i diversi tipi di rapa si differenziano per forma (tonda, allungata,


piatta) e colore della radice (bianca, violacea) e per epoca di produzione
(precoci o tardive). Le cime di rapa sono l’infiorescenza di una varietà
particolare.

CLIMA: richiede un clima temperato-umido, nelle zone eccessivamente calde


e asciutte le radici non si ingrossano.

TERRENO: predilige suoli di medio-impasto, ben dotati di calcare, di


sostanza organica ed esenti da ristagni d’acqua.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: sono necessari 350-400 kg di


compost o di letame ben maturo interrato ogni 100 mq durante i lavori di
preparazione del terreno.
Le cure colturali prevedono irrigazioni nella prima fase di sviluppo delle
piantine e nei periodi estivi siccitosi.

SEMINA: da maggio a settembre a spaglio o in file distanti 20-30 cm. Sulla


fila la distanza tra le piante è di 15-20 cm. Ogni 10 mq di coltura occorrono
da 4 a 7 g di seme.
Il periodo migliore per la semina è fra il primo quarto e il terzo giorno prima
della luna piena.
Dopo 20-30 giorni dalla semina, quando le piante hanno 4-5 foglie, si dirada
a 8-10 cm in primavera e a 10-15 cm, in autunno.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: si associa bene con lattuga,


pisello, spinacio, pomodoro, insalata da taglio, fagioli rampicanti e bietola da
costa.

RACCOLTA: la raccolta è scalare e si effettua da settembre a maggio non


appena le radici raggiungono le dimensioni desiderate. I “broccoli” o “cime
di rapa”, di cui si utilizzano solamente le infiorescenze e le foglie più tenere,
si raccolgono a seconda delle cultivar da 40 a 120 giorni dalla semina. La
produzione delle radici varia da 2 a 3 q/100 mq di coltura, quella delle cime si
aggira intorno ai 2 q/100 mq.

AVVERSITÀ: le rape soffrono le stesse avversità delle altre crucifere.


Rapa.

Cime di rapa.
Ravanello
Raphanus sativum parvus (CRUCIFERE)

VARIETÀ: le diverse varietà di ravanello si distinguono per la forma della


radice (tonda, oblunga, allungata) per il suo colore esterno (diverse
gradazioni di rosso, bianco), e per l’epoca di maturazione.
Tra le varietà più note il Saxa a radice tonda e scorza rossa, precocissimo; il
Rosso a forma d’oliva a radice oblunga e scorza rossa, precoce; il Lungo
candela di ghiaccio a radice allungata scorza bianca, medio-tardivo; il Rosso
tondo a punta bianca piccola precocissimo, a radice tonda e scorza rossa e
bianca; il Rosso tondo a punta bianca grande precoce, a radice tonda e scorza
color rosso più o meno intensa.

CLIMA: teme la siccità e le temperature eccessivamente elevate, che


conferiscono alle radici un sapore piccante.

TERRENO: si adatta a tutti i tipi di terreno, ma i migliori risultati si


registrano sui terreni di medio impasto sciolti, ben esposti, con una buona
dotazione di sostanza organica ed esenti da ristagni.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: la brevità del ciclo colturale del


ravanello (circa 3 settimane per le varietà più precoci) rende vana ogni
concimazione.
Terreni troppo ricchi di azoto determinano la spaccatura delle radici. Durante
la coltivazione sarà utile diradare le semine troppo fitte, irrigare con
continuità e tenere sgombro il terreno dalle infestanti.

SEMINA DEI RAVANELLI

La semina dei ravanelli può essere effettuata a spaglio o, come nel disegno, in
file distanziate di circa 15 cm l’una dall’altra.
Successivamente alla semina, quando le piantine hanno emesso la seconda-terza
foglia, si esegue il diradamento lasciando 15 cm tra le piante.

SEMINA: si semina a spaglio in gennaio-febbraio su letto caldo. Per avere un


raccolto continuo tutto l’anno, si può seminare ogni 10-15 giorni in pieno
campo a spaglio o in file distanti 15 cm, utilizzando 30-50 g di seme/10 mq
di terreno. Per avere un prodotto invernale si semina in giugno-luglio in file
distanti 30 cm. Quando le piante presentano la seconda-terza foglia si dirada
a 15 cm.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: si associa a carote, insalata,


piselli, fagioli, cavoli. La consociazione con lattuga o crescione migliora il
gusto del ravanello e ne riduce il sapore piccante, mentre la vicinanza con il
cerfoglio lo accentua.
Varietà di ravanello (R. sativus major) caratterizzato da una grossa radice cilindrica,
a polpa bianca ma dal sapore più piccante rispetto al R. sativus parvus.

RACCOLTA: le varietà più precoci si raccolgono anche a 20 giorni dalla


semina, quelle più tardive dopo 50-60.È bene non aspettare troppo per la
raccolta, poiché a lungo andare le radici perdono la loro caratteristica
croccantezza e assumono un sapore molto piccante. La produzione di 10 mq
di coltura si aggira intorno ai 10-20 kg di radici.

AVVERSITÀ: tra i parassiti animali ci sono il grillotalpa, gli afidi, la nottua,


le mosche, l’altica. Quest’ultima fora le foglie giovani.
Tra le crittogame, peronospora, ernia, mosaico, vaiolatura e la ruggine bianca
possono occasionalmente attaccare il ravanello, ma senza provocare danni
gravi a causa del ciclo breve di coltivazione.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Ne esistono numerose varietà, a radice sferica o lunga, rossa
o bianca, ma per i vasi sono più adatti quelli precoci e a radice piccola e tonda,
come il Rosso tondo precocissimo o il Buonissimo d’Ingegnoli.
Clima Predilige i climi temperato-freschi e le posizioni a mezz’ombra.
Impianto o semina Si semina direttamente a dimora dalla fine dell’inverno a
maggio, diradando se la semina è stata troppo fitta per evitare che i ravanelli
crescano filiformi: una cassetta profonda 25 cm e larga altrettanto ne può
ospitare 9 piante.
Coltivazione I ravanelli sono fra gli ortaggi più facili da coltivare. Crescono
bene nei terricci di medio impasto e ricchi di sostanza organica. Le annaffiature
devono essere abbondanti e bisogna evitare che la terra si asciughi altrimenti
diventano troppo piccanti.
Raccolta e impiego La raccolta dei ravanelli avviene da 3 a 6 settimane dopo la
semina: se si vuole che la polpa resti croccante vanno tolti dalla terra quando
sono grossi all’incirca come una ciliegia. Le foglioline più tenere si possono
mangiare in insalata.
Ribes
Ribes nigrum, Ribes rubrum (GROSSULARIACEE)

VARIETÀ: piccoli frutti molto comuni, costituiscono spesso una siepe al


bordo degli orti familiari. Anch’essi tipici degli ambienti montani e alpini
(non oltre i 1000 m di altitudine), crescono e fruttificano bene anche nelle
zone collinari purché ventilate, anche se poco soleggiate.
Tra le varietà di ribes rosso più note, la Red Lake, molto produttiva con frutti
dolci e profumati e la Perfection, ad alta resa, con una buona resistenza agli
attacchi del mal bianco e bacche di grossezza medio piccola, di colore rosso
intenso e sapore dolce-acidulo.
Tra le varietà di ribes nero, la Gigante di Boskoop, a fioritura tardiva e
maturazione media (inizio di luglio), con bacche medio grosse e polpa dal
sapore dolce-acidulo e la Noir de Bourgogne, molto rustica, mediamente
produttiva, con bacche molto grosse, di ottima qualità e colore nero-lucente.

CLIMA E TERRENO: il ribes preferisce suoli freschi, dove ci siano


precipitazioni ben distribuite nell’arco dell’anno e, durante i periodi molto
siccitosi, deve essere irrigato. Preferisce i terreni fertili e profondi, ma può
essere coltivato con successo anche in quelli di media fertilità purché non
troppo argillosi e con un buon drenaggio. I migliori terreni per la crescita del
ribes sono a reazione neutra o leggermente acida (pH 6-7) anche se il ribes
nero predilige condizioni leggermente alcaline (pH 7,5).
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: per quanto riguarda la
concimazione, il ribes necessita di buoni apporti di azoto, discreti di fosforo e
abbondanti di potassio. Per questo motivo, letame ben maturo e solfato
potassico (o cenere di legna se disponibile), sono i fertilizzanti utilizzati in
maggior quantità.
La potatura di produzione è indispensabile per mantenere un buon livello
produttivo. Praticamente, i criteri che vengono adottati sono quelli dei grandi
alberi ricordando che, però, si tratta di cespugli. Dopo circa 3-4 anni di libero
sviluppo delle piante, deve essere effettuato uno sfoltimento dei rami interni
con qualche taglio di ritorno che permetta di contenere le dimensioni dei
cespugli favorendo, al contempo, lo sviluppo di nuovi rametti giovani con
nuove gemme fruttifere.

IMPIANTO: sia il ribes rosso che quello nero si propagano molto facilmente
per talea radicata che si può preparare ad agosto: i più bei rami dell’anno
verranno asportati e, dopo averli tagliati in porzioni lunghe 20-25 cm,
verranno interrati per 3/4 nel fertile suolo del vivaio e tenuti costantemente
umidi fino alla radicazione che avverrà nella primavera successiva.
Ribes nero.

Ribes rosso.

La messa a dimora delle talee radicate viene eseguita in autunno (novembre),


quando le talee sono al primo anno di vita. L’impianto viene effettuato a filari
dove da ogni talea si sviluppa un cespuglio; la distanza tra le file è di 2,5 m e
sulla fila di 1,5 m. Eseguito l’impianto, gli astoni vanno spuntati all’altezza di
10-15 cm dal terreno, per stimolare la formazione del cespuglio.

RACCOLTA: la raccolta del ribes si effettua tagliando la parte che collega il


grappolo con i rami. Nonostante la maturazione sia leggermente scalare per
tutte le specie, la raccolta, per la buona capacità di persistenza sulla pianta del
frutto maturo, si può eseguire in una sola passata.
Ribes rosso – A partire dal quarto anno di vegetazione la pianta si considera
in piena produzione e può produrre 2,8-3 kg/cespuglio.
Ribes nero – La produttività della pianta è inferiore a quella del ribes rosso e
la produzione per ceppo è di circa 2,5 kg.
AVVERSITÀ: tra le malattie fungine il ribes viene attaccato dal mal bianco
(Sphaerotheca morus uvae) che può creare danni gravi in modo particolare
alle foglie del ribes nero, se l’impianto è localizzato in un ambiente non
sufficientemente ventilato o se vengono utilizzate varietà sensibili al
patogeno.
Tra gli insetti che attaccano ribes rosso e nero si devono ricordare alcuni tipi
di cocciniglie (Diaspis pentagona e Aspidiotus perniciosus) che compaiono
con estrema frequenza sui rami vecchi che non sono stati rinnovati dalla
potatura.

SUL BALCONE
Scelta della varietà I ribes sono piante a portamento arbustivo, spoglianti, alte
circa 1,5 m e che producono grappoli di frutti di vario colore: rosso brillante
quelli della varietà Junifer, bianco rosato quelli della Gloire de Sablon, neri
quelli del Noir de Bourgogne, una varietà particolare che ha anche foglie
leggermente profumate, poco coltivata in Italia, ma molto diffusa nei paesi del
Centro Europa.
Clima Anche se amano il sole, i ribes prediligono le zone caratterizzate da freddi
invernali intensi e non sopportano le estati calde e asciutte.
Impianto o semina Le piante, che si acquistano nei vivai in piccoli contenitori, si
trapiantano alla fine dell’inverno in vasi profondi 40 cm.
Coltivazione Robusti e di poche pretese, i ribes hanno bisogno di pochissime
cure. Gradiscono un terriccio leggermente acido, che va abbondantemente
concimato all’inizio della primavera con un fertilizzante ricco di fosforo e di
potassio. Durante l’estate le annaffiature devono essere costanti.
Raccolta e impiego I frutti si raccolgono in luglio recidendo con le unghie il
peduncolo che unisce il grappolo al ramo. Quelli del ribes rosso si mangiano
crudi (sono ricchi di vitamina C), mentre le bacche del ribes nero si usano per
conserve o gelatine.
Rosmarino
Rosmarinus officinalis (LABIATE)

VARIETÀ: arbusto perenne sempreverde e cespuglioso. Il fusto inizialmente


prostrato alla base diviene poi eretto e ramificato. Le foglie sono verde scuro
(più chiare nella pagina inferiore) numerose, sessili e opposte, riunite nei
rametti giovani e inserite a 2 a 2 nei nodi. I fiori, presenti per buona parte
dell’anno, sono di un bel colore azzurro-violetto e riuniti in grappoli
all’ascella delle foglie. Il frutto è composto da 4 acheni di colore bruno e
piccole dimensioni. Allo stato spontaneo è presente solo lungo la fascia
costiera. Si può scegliere tra diverse varietà, distinte per colore dei fiori
(bianchi, azzurri) e portamento (eretto o ricadente).

CLIMA E TERRENO: ama il sole, teme il freddo e le gelate prolungate; a


settentrione vanno scelti siti ben esposti al sole e riparati dalle correnti. Il
terreno che darà risultati migliori sarà sciolto, fresco e ben drenato.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: non presenta particolari richieste


riguardo alla fertilizzazione, ma è meglio arieggiare frequentemente il terreno
zappettandolo. Durante il primo anno bisogna potare della metà i giovani
rami così da rinforzare la pianta; il taglio potrà essere ripetuto anche gli anni
seguenti, in primavera, per contenere il cespuglio e agevolare la formazione
di nuovi getti.
All’inizio dell’inverno, nelle zone caratterizzate da clima rigido, è meglio
pacciamare con paglia la base così da proteggere le radici dal freddo.
IMPIANTO: generalmente si propaga per talee prelevate a settembre-ottobre
(o febbraio-marzo nei climi caldi), fatte radicare in vivaio e quindi poste a
dimora con l’arrivo della primavera (o settembre-ottobre al Sud), lasciando
circa 70-100 cm di distanza tra un esemplare e l’altro.

RACCOLTA: si effettua distaccando le foglie e i rametti laterali a partire dal


secondo anno, a scalare.

AVVERSITÀ: pianta molto rustica e resistente a qualsiasi malattia


crittogamica; si possono solo registrare lievi attacchi del fungo Ascochita
rosmarini.
Non si segnalano nemmeno insetti che causino danni particolarmente gravi, a
parte il lepidottero Tortrix pronubana, che può rovinare foglie e germogli, e
il coleottero Chrisolina americana, che può danneggiare alcune foglie e i
fusti.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Oltre alle varietà a portamento eretto (per esempio la
Tuscany Blue, con fiori azzurro scuro, oppure la varietà Alba, a fiori bianchi), ne
esiste anche una a portamento ricadente (Prostrata) che può trovare un’ottima
sistemazione nei vasi pensili.
Clima Il suo habitat ideale è quello delle zone miti e asciutte, ma si adatta a
vivere anche in regioni più fresche purché lo si sistemi in posizioni riparate e ben
soleggiate, dove in ogni caso le sue foglie saranno meno profumate. Se gli
inverni sono rigidi va protetto, magari ritirandolo in casa, lontano dai caloriferi
e in una posizione luminosa.
Impianto o semina La riproduzione per seme è molto lunga, perciò conviene
acquistare le piantine già pronte e sistemarle in vasi con un diametro di 30 cm.
Coltivazione Nel terreno in cui cresce – povero, leggero e ben drenato – non
devono assolutamente esserci ristagni d’acqua. Le irrigazioni, come le
concimazioni, vanno ridotte al minimo ma, trattandosi di una pianta in vaso, mai
sospese del tutto. Per evitare che si spogli alla base va cimato un paio di volte
all’anno, all’inizio della primavera e alla fine dell’estate.
Raccolta e impiego I rametti giovani si possono raccogliere in ogni periodo
dell’anno e si consumano freschi (seccandoli perdono gran parte del loro
aroma). Si impiegano per insaporire le zuppe di legumi oppure gli arrosti di
carne o di pesce.
Salvia
Salvia officinalis (LABIATE)

VARIETÀ: suffrutice sempreverde e cespuglioso con fusti (60-70 cm) molto


ramificati e legnosi alla base; quelli laterali hanno andamento prostrato. Le
foglie verde-grigiastre sono picciolate, di forma oblungo-ovata, spesse e
rugose, ricoperte da una fitta peluria le più giovani. I fiori compaiono
all’apice del fusto in primavera-estate e sono di colore blu-violetto. Allo stato
selvatico è comune nelle regioni meridionali e insulari, dalla costa fino a 800
m di quota, preferibilmente su terreni sassosi, esposti al sole. Più facile da
trovare in natura è però S. pratensis, riconoscibile per i bei fiori violacei.
Alcune salvie officinali, come la varietà Jecterina, hanno foglie variegate e
purpuree all’apice.

CLIMA E TERRENO: presente nei giardini anche a scopo ornamentale, è una


pianta che ama il caldo e il sole, sopporta bene la siccità ma resiste anche a
gelate invernali. Particolarmente rustica si adatta bene a qualsiasi tipo di
terreno (pur preferendo quelli leggermente calcarei) e clima.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: a parte una buona concimazione di
fondo, la salvia non richiede altri apporti nutrizionali; anche le annaffiature
saranno ridotte, a meno che non si abbiano estati particolarmente secche.
All’inizio dell’inverno, soprattutto se il clima è caratterizzato da temperature
rigide, è meglio proteggere la base della pianta con della paglia. Per favorire
inoltre un rinnovo della vegetazione sarà meglio, a fine fioritura, potare parte
dei rami verdi e, in febbraio, ripulire i cespugli dalla vegetazione secca o
danneggiata.

La salvia risente dei climi troppo rigidi, di conseguenza è bene proteggere la parte
basale della pianta con uno strato di paglia.
IMPIANTO: la sua moltiplicazione è facile sia per seme (ma lunga) sia per
talea o divisione dei cespi. Si consigliano queste due ultime pratiche, in
particolare le talee prelevate da giovani germogli in marzo, poste a radicare e
trapiantate poi a dimora in maggio-giugno, avendo cura di lasciare, tra una
pianta e l’altra, circa 50 cm di spazio.

RACCOLTA: tutta la pianta al contatto emana un gradevole e persistente


aroma, ma vengono colti solo foglie e fiori, dai quali si estrae anche un olio
essenziale.

AVVERSITÀ: Pytium debaryanum e Rhizoctonia solani provocano il


marciume radicale delle giovani piantine. Non rari sono gli attacchi di oidio
(Oidium erysiphoides), peronospora (Peronospora lamii) e ruggine (Puccinia
salviae), che colpiscono la parte aerea delle piante e in particolare le foglie.
La pianta è soggetta a danni da acari e lepidotteri minatori fogliari. Sulle
piante adulte si possono verificare attacchi di afide verde del pesco (Myzus
persicae).

Le foglie della salvia, sempreverdi, concentrano le essenze aromatiche e medicinali


soprattutto a inizio estate.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Di questa bella pianta perenne, sempreverde e alta una
sessantina di centimetri, esistono, oltre alla specie tipica con foglie argentate,
anche varietà a foglie porpora (Purpurascens), oppure variegate di giallo
(Icterina), o di bianco, rosso e verde (Tricolor).
Clima La salvia è una pianta rustica (può resistere fino a -10°C), ma nelle
regioni più fredde le foglie perdono un po’ del loro aroma. Preferisce le
posizioni soleggiate.
Impianto o semina Per la salvia valgono le stesse considerazioni fatte a
proposito del rosmarino: conviene acquistare una piantina già pronta. Cresce
bene in un vaso largo una trentina di centimetri.
Coltivazione Si trova bene in un terreno leggero e ben drenato. Le annaffiature
devono essere moderate e le concimazioni primaverili scarse. Per stimolare
l’emissione di nuove foglie, le spighe di fiori vanno tagliate appena si formano, e
comunque dopo 3 o 4 anni la pianta deve essere sostituita perché tende a
diventare legnosa e a produrre meno foglie.
Raccolta e impiego Le foglie, raccolte fresche in ogni periodo dell’anno, danno
sapore ad arrosti, salse e piatti di verdura. Sono anche ottime fritte nell’olio.
Scorzobianca e Scorzonera
Tragopogon porrifolius, Scorzonera hispanica (COMPOSITE)

VARIETÀ: la scorzobianca e la scorzonera, anche se appartengono a specie


differenti, hanno uguali esigenze colturali.
La scorzobianca, conosciuta anche come “barba di becco” forse per
l’abbondanza di radichette lungo il fittone, presenta fiori di colore rosaceo,
blu o viola e la radice gialla. Oltre alle radici (da mangiare bollite), si possono
consumare anche le foglie più tenere, raccolte in primavera.
La scorzonera ha fiori gialli e foglie più ampie nella parte basale. Le radici,
più lunghe, cilindriche, lisce e brune, ma internamente bianche, sono così
tenere che si possono mangiare anche crude.
Per la scorzonera citiamo la varietà Gigante di Russia, per la scorzobianca la
Mammouth a fiore rosa.

CLIMA: si adattano bene ai climi più diversi anche se prediligono le zone


calde e soleggiate.

TERRENO: prediligono terreni sciolti o di medio impasto, profondi e ben


dotati di sostanza organica. Il pH ottimale è tra 6 e 7.5.
Scorzobianca.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: sono sufficienti 2-3 q di compost o


di letame ben maturo/10 mq di superficie, distribuiti durante i lavori di
preparazione del terreno o, meglio ancora, interrati alla coltura precedente.
Sono piante molto sensibili alla presenza di sostanza organica non
completamente degradata, la quale determina la biforcazione delle radici.
Le cure colturali prevedono annaffiature in estate se l’andamento stagionale è
siccitoso oltre a pacciamature, sarchiature e rimozione dello scapo floreale.
La pacciamatura, che facilita l’emergenza delle piantine, deve essere
effettuata con un sottile strato di paglia o erba secca, distribuito sopra i semi.
Le sarchiature sono necessarie per arieggiare il terreno e limitare le infestanti
che hanno facilmente il sopravvento sulle esili e sottili foglie delle scorze. Per
favorire l’ingrossamento delle radici è consuetudine recidere gli scapi fiorali
via via che si formano (primavera-estate), anche se secondo alcuni tale
pratica sarebbe inutile, poiché l’emissione degli scapi fiorali non
influenzerebbe né lo sviluppo né la qualità delle radici.

SEMINA: si effettua da febbraio a maggio in pieno campo a postarelle


(distanti 15 cm) o in file distanti 25-30 cm; sulla fila la distanza è di 5-10 cm.
I semi collocati a 2-3 cm di profondità. Per 10 mq di coltura occorrono 10-15
g di seme. Quando le piante raggiungono 3-5 cm di altezza deve essere
effettuato il diradamento a 6-8 cm.

RACCOLTA: inizia ad ottobre e prosegue fino a marzo. Bisogna estrarre le


radici dal terreno con molta cura per evitare di spezzare i fittoni. Da 100 mq
si ottengono 150-250 kg di radici.

AVVERSITÀ: queste composite possono venire attaccate da lumache, afidi,


nottue, elateridi, larve di maggiolino, grillotalpa.
Tra le crittogame ruggine, carbone, alternaria, mal bianco.

Scorzonera.
Sedano a costa
Apium graveolens (OMBRELLIFERE)

VARIETÀ: si distinguono varietà con coste perfettamente candide dopo


imbianchimento, oppure dorate, verdi o rosse. Una ulteriore suddivisione
classifica le varietà in estive o invernali, in base all’epoca di raccolta.

CLIMA: a causa delle sue origini di pianta palustre, il sedano richiede


un’elevata disponibilità idrica durante tutte le fasi del suo sviluppo. È una
pianta esigente anche per quanto riguarda la temperatura: le condizioni
ottimali sono rappresentate da temperature comprese tra i 16 e i 20°C.
Temperature troppo basse possono stimolare una precoce fioritura che, nelle
normali condizioni di crescita, avviene solamente al secondo anno di
vegetazione.

TERRENO: il sedano richiede terreni a medio impasto, ben drenati, ricchi di


sostanza organica, con pH intorno alla neutralità. Non sono indicati per la sua
coltivazione né i terreni troppo sabbiosi, che conferiscono un sapore troppo
pungente e un apporto idrico insufficiente, né quelli troppo argillosi, i quali, a
causa dei ristagni d’acqua, facilitano l’insorgere di malattie di carattere
fungino.
Vanno inoltre effettuati accurati lavori di preparazione del terreno destinato a
ospitare le giovani piantine di sedano.
Non occorre andare troppo in profondità, poiché l’apparato radicale del
sedano conserva uno sviluppo abbastanza superficiale.
È invece necessario effettuare livellazione, sminuzzamento e rullatura
opportuni, per assicurarsi che le abbondanti irrigazioni di cui questa coltura
necessita non creino ristagni d’acqua o costipamenti estremamente dannosi
per il regolare sviluppo delle piante.

L’IMBIANCHIMENTO
L’imbianchimento del sedano può essere ottenuto con vari espedienti in grado di
proteggere il sedano dai raggi diretti del sole.
Rincalzatura.

Copertura con giornali.


Legatura delle coste, per le varietà caratterizzate dalla predisposizione
all’imbianchimento.

Il sedano richiede apporti idrici frequenti; da evitare i ristagni d’acqua che facilitano
la comparsa di malattie.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: il sedano è particolarmente


sensibile alla presenza di sostanza organica non completamente decomposta,
per cui bisogna utilizzare solo compost o letame ben maturo da incorporare
durante la fase di preparazione del terreno. In genere sono sufficienti da 400 a
600 q/ha.
L’irrigazione è importantissima per tutto il ciclo di coltivazione, soprattutto
appena dopo il trapianto, bagnando poco ma spesso, poiché il sedano, pur
richiedendo un’elevata disponibilità idrica, risulta particolarmente sensibile ai
ristagni d’acqua. Sempre per ridurre la diffusione delle malattie fungine, è da
preferire la somministrazione per scorrimento a quella per aspersione.

MESSA A DIMORA DEL SEDANO

Per ridurre la traspirazione delle piantine a dimora è bene eliminare, con un


taglio netto, le foglie terminali e l’estremità dei piccioli; le radici invece vanno
lasciate intatte.
Nelle zone a clima mite, il sedano può essere lasciato svernare in campo, purché
protetto con un’accurata rincalzatura.

Per le varietà a sviluppo ridotto, si adottano distanze di circa 35-40 cm tra le


file, e 12-17 cm all’interno della fila, mentre per quelle di maggiore sviluppo si
arriva a 60-100 cm tra le file, e 15-20 cm nella fila.

Per mantenere fresco il terreno e impedire la crescita delle infestanti si può


coprire il terreno con una pacciamatura di paglia distribuita tra le interfile.
La pratica dell’imbianchimento è utile per rendere più tenere le coste del
sedano. Si esegue 2-3 settimane prima della raccolta rincalzando con terra le
piante e lasciando esposto alla luce solo l’apice delle foglie oppure fasciando
la vegetazione con carta o materiale plastico scuro.

SEMINA: a seconda del clima, delle esigenze di mercato, delle varietà


utilizzate e dei programmi aziendali, il sedano può essere seminato da
dicembre-gennaio fino a tutto giugno. In genere vi sono due cicli principali di
coltivazione: uno in coltura forzata con semina da febbraio ad aprile e
raccolta in estate, che richiede l’utilizzo di letto caldo, e l’altro con semina in
maggio-giugno e raccolta in inverno, svolta in pieno campo nelle condizioni
climatiche più naturali e favorevoli a questo ortaggio.
Il seme del sedano è di dimensioni molto ridotte per cui la semina deve essere
superficiale e il terreno tenuto costantemente umido almeno fino
all’emergenza delle piantine. Per tutti questi motivi la semina viene effettuata
nella maggioranza dei casi in semenzaio, per il quale occorrono circa 0.2-0.5
g di seme/mq. La durata della facoltà germinativa del sedano è di circa 3-4
anni, ma i semi migliori sono quelli di 2 anni perché uniscono alla maggiore
facoltà germinativa una minore presenza di agenti patogeni, i quali dopo il
primo anno riducono in genere gran parte della loro virulenza.
Il trapianto del sedano può essere effettuato da 40 a 80 giorni dopo la semina,
quando le piantine presentano 3-4 foglie e misurano circa 15 cm di altezza.
A questo riguardo è bene ricordare che quanto più giovani sono i semenzali,
tanto più pronto è l’attecchimento, ma più lungo il ciclo colturale e viceversa,
per cui è bene attendere prima della definitiva messa a dimora il periodo più
favorevole allo sviluppo delle piantine. I semenzali vanno posti a circa 10-15
cm di distanza per evitare di avere piante troppo esili a causa della scarsa
disponibilità di luce. In fase di trapianto va eliminata gran parte delle lamine
fogliari mediante un taglio netto delle foglie terminali.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: la coltivazione non va ripetuta


sullo stesso appezzamento prima che siano trascorsi 4-5 anni. Può precedere
e seguire molti ortaggi, in particolare solanacee. Buona la consociazione con
cavoli, cipolle, porri, insalate, ravanelli, finocchi.
RACCOLTA: il sedano non presenta un punto di maturazione commerciale
ben definito. Può essere raccolto e commercializzato in qualsiasi momento
del suo sviluppo. L’importante è non lasciarlo troppo a lungo sul terreno, una
volta che le coste sono ben sviluppate, per evitare che i piccioli diventino
legnosi e di gusto scadente. La resa varia dai 150 q/ha delle produzioni
anticipate ai 400-600 q/ha delle colture di pieno campo.

AVVERSITÀ: oltre ai parassiti comuni alle altre ombrellifere segnaliamo la


mosca minatrice, le cui larve scavano gallerie all’interno della lamina fogliare
e facilitano lo sviluppo di diverse infezioni.
Tra le crittogame si segnalano septoriosi e ticchiolatura (sulla vegetazione
compaiono macchie scure e punti neri, le piante hanno ritardi di crescita
nonché sviluppo ridotto) e sclerotinia.
SUL BALCONE
Scelta della varietà La varietà più adatta per la coltivazione in vaso è quella “da
taglio”, di cui si consumano sia le foglie che i gambi corti e minuti. Ma si
possono piantare anche sedani da coste come il Bianco nano, che non supera i
35 cm di altezza.
Clima Preferisce le posizioni a mezz’ombra e i climi umidi e freschi, ma non
freddi, anzi va protetto dal gelo; la sua temperatura ideale oscilla fra i 16 e i
20°C.
Impianto o semina Si semina in semenzaio all’inizio della primavera e si
trapianta nei vasi quando le piantine hanno superato i 10 cm di altezza, oppure
in aprile si acquistano le piantine già pronte per il trapianto. Un contenitore
profondo 30 cm e largo altrettanto può ospitare 4 piante.
Coltivazione Il terreno, di medio impasto e ricco di sostanza organica, va
mantenuto fresco con annaffiature abbondanti e continue, mentre le
concimazioni devono essere ricche di potassio. I gambi del sedano da coste
possono essere imbiancati (rendendoli così più teneri e gustosi) avvolgendo il
cespo bene asciutto con un po’ di paglia e legandolo con un laccio di rafia per
circa 3 settimane.
Raccolta e impiego Dopo circa 2 mesi dal trapianto si possono cominciare a
tagliare con un coltellino affilato le coste più esterne, conservando il cespo
centrale. Nel caso del sedano da taglio, quando resteranno solo pochi gambi si
recide tutta la pianta a pochi centimetri da terra per farla rivegetare.
Sedano rapa
Apium graveolens rapaceum (OMBRELLIFERE)

VARIETÀ: tra le più note, il Gigante di Praga, l’Alabastro a polpa bianca e il


Mercato di Magdeburgo.

CLIMA: il sedano rapa ha esigenze simili a quelle del sedano a coste,


predilige dunque i climi temperati e umidi e teme siccità e gelate.

TERRENO: necessita di un terreno di medio impasto, ricco di sostanza


organica.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: richiede una minore quantità di


concime organico rispetto a quanto indicato per il sedano a coste. Sono
sufficienti 2-3 q di letame o di compost ben maturo/100 mq di superficie.
All’inizio dell’autunno il sedano rapa deve essere privato delle foglie, anche
di quelle che si formano via via, per favorire l’ingrossamento della radice
(turione), che andrà rincalzata un paio di volte prima della raccolta.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: si associa bene a cetriolo, fagiolo,


cavoli, pomodoro, piselli e porro. Da evitare invece la coltivazione con patate
e lattuga. Buono l’avvicendamento con le solanacee (pomodoro, melanzana,
peperone).
SEMINA: a metà marzo in semenzaio ben riparato (sono necessari almeno
18-19°C). Occorrono circa 4-5 g di seme/mq di semenzaio.
Appena le piantine emettono la seconda foglia vera, si picchettano in
semenzaio (temperatura necessaria 13-16°C) in vasetti o blocchetti di torba o
terriccio alla distanza di circa 5x5 cm. La messa a dimora si effettua
solamente quando è svanito ogni pericolo di gelate tardive, in genere tra
aprile e maggio. La distanza del trapianto è di 35x40 cm tra le file e di 20x25
sulla fila. È importante che il colletto venga collocato 1 cm sopra il livello del
terreno.

RACCOLTA: inizia in autunno e prosegue fino alla primavera successiva. Le


piante vanno estirpate quando le foglie iniziano a ingiallire, la radice ha
raggiunto il massimo ingrossamento e la polpa è ancora soda e croccante.
Qualora la si lasci in terra oltre il suo massimo sviluppo, la radice diventa
cava e asciutta. Il raccolto si aggira intorno ai 3-5 q di radici ogni 100 mq di
superficie.
Nelle zone con inverni miti e sui terreni privi di ristagni d’acqua il sedano rapa,
rincalzato, può svernare in campo.

AVVERSITÀ: il sedano rapa soffre le stesse avversità di quello da coste


(mosca minatrice, septoriosi, ticchiolatura, sclerotinia ecc.).

POTATURA E MESSA A DIMORA DEL SEDANO RAPA

Prima del trapianto è opportuno potare parzialmente foglie e radici.

Le piantine vanno messe a dimora distanziandole di circa 20 cm sulla fila e di


circa 35 cm tra le file.
Spinacio
Spinacia oleracea (CHENOPODIACEE)

VARIETÀ: le varietà di spinacio appartengono essenzialmente a tre gruppi,


primaverili a foglie lisce, invernali a foglie bollose ed estivo della Nuova
Zelanda. Quest’ultimo, produttivo in estate, ha foglie romboidali dal sapore
simile a quello dello spinacio, ma appartiene a un’altra specie (Tetragonia
espansa).

CLIMA: lo spinacio richiede clima temperato-fresco, è molto sensibile alla


siccità, a causa della quale monta subito a seme.
Una volta ben sviluppato resiste bene alle gelate fino a – 6°C.

TERRENO: richiede terreni di medio impasto o sciolti, con una buona


dotazione di sostanza organica e di calcio.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: evitate a tutti i costi apporti


eccessivi di azoto, poiché questa pianta ha una spiccata tendenza ad
accumulare nelle foglie un’elevata quantità di nitrati anche quando la
concimazione è di natura organica. In genere sono sufficienti 10-20 kg/10 mq
di letame o di compost ben maturo ogni 10 mq di coltura, interrato durante la
preparazione del terreno o meglio ancora distribuito alla coltura precedente.
Le cure colturali consistono in annaffiature quando l’andamento climatico lo
richiede, diradamento delle piantine e diserbo per evitare la competizione
delle erbacce.

SEMINA DELLO SPINACIO

Per avere un raccolto continuo per tutto l’anno, si può seminare lo spinacio
scalarmente ogni 15-20 giorni, da marzo fino a novembre, in solchi distanti 20-
25 cm e profondi circa 1-2 cm.

SEMINA: per avere un raccolto continuo durante tutto l’anno si può seminare
scalarmente ogni 15-20 giorni da marzo fino a novembre in solchi distanti
20-25 cm e profondi 1,5-2 cm. Nelle zone più fredde, da ottobre in poi, è
necessario proteggere le piantine con tunnel, campane di vetro o altri ripari.
Per 10 mq di coltura occorrono da 16 a 30 g di semi.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: grazie alla sua rapida crescita si


presta a essere coltivato come coltura intercalare tra le file di altri ortaggi a
crescita più lenta come fagioli, piselli ecc. che nei mesi estivi, con il loro
fogliame, proteggono gli spinaci dall’eccessiva insolazione. Si associa bene a
porro, sedano, rapa, piselli e fave.

RACCOLTA: la raccolta è scalare e si effettua recidendo accuratamente


alcune foglie per pianta, risparmiando il germoglio centrale o falciando
l’intera pianta appena questa ha raggiunto un buono sviluppo vegetativo. In
entrambi i casi si possono effettuare più tagli. Il raccolto si aggira sui 20-30
kg di foglie ogni 10 mq di coltura.
Gli spinaci primaverili ed estivi si raccolgono dopo appena 8-10 settimane
dalla semina, quelli autunnali e invernali invece necessitano di almeno 12
settimane.
Se la raccolta delle foglie viene effettuata con regolarità le piante di spinacio
ricacciano in modo più prolungato e regolare nel tempo.

AVVERSITÀ: tra gli insetti, subisce gli attacchi della mosca dello spinacio
che si nutre dei liquidi zuccherini presenti nei fiori. Le femmine depongono
sulla pagina inferiore delle foglie le uova dalle quali fuoriescono larve
biancastre, lunghe 7 mm, che scavano gallerie nello spessore delle foglie e
risultano particolarmente dannose per le piantine giovani, con 2-4 foglie. Tra
le crittogame, specifica dello spinacio è invece la peronospora dello spinacio,
una crittogama che si manifesta sulle foglie con vaste zone clorotiche color
ocra convergenti, in corrispondenza delle quali sulla pagina inferiore si
sviluppa una muffa feltrosa grigia o violacea; il fogliame si accartoccia e
secca.

PACCIAMATURA DELLO SPINACIO

La pacciamatura dello spinacio è molto importante per le colture estive, in


quanto limita la perdita di acqua nelle piante.

SUL BALCONE
Clima Resiste bene al freddo purché non sia troppo intenso, mentre non tollera il
caldo, al quale reagisce montando subito a seme. Soprattutto al Sud preferisce le
posizioni a mezz’ombra.
Impianto o semina Si semina direttamente a dimora dalla fine di agosto a
settembre in cassette poco profonde. Se la semina è stata troppo fitta, bisogna
diradare le piantine fino a distanziarle di 6-8 centimetri.
Coltivazione Preferisce i terreni di medio impasto, preferibilmente neutri, ricchi
di sostanza organica e ben drenati, perché richiede annaffiature costanti ma
teme i ristagni di umidità. Va concimato al momento della semina con un
fertilizzante equilibrato, mentre durante la crescita non bisogna assolutamente
intervenire con concimazioni a base di azoto perché la pianta tende ad
accumularlo nelle foglie sotto forma di nitrati.
Raccolta e impiego Si raccoglie a più riprese nel corso dell’inverno come se
fosse un’insalata da taglio: con una forbice o un coltellino affilato si recidono le
foglie stimolando così la pianta a ricacciare; il numero dei tagli può variare da
un minimo di 3 a un massimo di 5. Le foglie si consumano cotte, ma se sono
molto tenere anche crude in insalata.
Timo
Thymus vulgaris (LABIATE)

VARIETÀ: piccolo arbusto perenne che forma cespugli compatti. Il fusto (30
cm) è ricco di rami che tendono a lignificare con facilità. Le foglie sono
lineari-lanceolate, di piccole dimensioni e colore verde-argentato. I fiori,
bianco-rosati o lilla, compaiono dalla primavera all’estate raggruppati in
spighe all’ascella delle foglie; i frutti sono acheni. Specie simile è il serpillo
(T. serpyllum) che ha però foglie distese e prive, nella pagina inferiore, della
patina argentata. Il serpillo è più rustico del timo comune ed è più povero di
principi attivi, pur essendo anch’esso utilizzato in erboristeria come
antisettico.

CLIMA E TERRENO: pianta molto rustica, cresce bene ovunque, pur


prediligendo terreni pietrosi e calcarei ben esposti al sole.

CONCIMAZIONE E CURE CULTURALI: il timo richiede concimazioni


scarse e non necessita particolari cure colturali se non qualche annaffiatura
dopo l’impianto e la pulizia dalle erbe infestanti che possono, altrimenti,
nasconderlo.
SEMINA: può essere seminato in semenzaio ad aprile e quindi trapiantato a
dimora in piena estate, lasciando tra un esemplare e l’altro, circa 30 cm di
spazio. Dato che però, all’interno di un giardino familiare difficilmente si
sarà interessati a vaste coltivazioni di una sola specie, consigliamo la
riproduzione per divisione dei cespi o per talea (utilizzando i rametti laterali
già lignificati).
Le nuove piante vanno interrate in primavera oppure in autunno, lasciando lo
spazio sufficiente al loro sviluppo arbustivo e tendenzialmente tappezzante.

AVVERSITÀ: tra le varie malattie, la ruggine del timo (Aecidum thymi),


provoca macchie giallastre o rosso-giallastre sulla pagina inferiore delle
foglie e sui piccioli. In seguito si formano delle pustole gialle emisferiche
all’inizio chiuse, poi aperte a mostrare un foro centrale rotondo.
Da segnalare altre due crittogame: la ruggine della menta, che attacca
anch’essa le foglie, soprattutto nei climi freddi e umidi; e l’alternariosi
(Alternaria oleracea), che danneggia foglie e frutti.
Qualche danno può essere causato da lepidotteri minatori fogliari, ma il
maggior pericolo è rappresentato dalla tortrice (Tortrix pronubana), la cui
femmina depone le uova sulle foglie, all’apice dei rametti.
Le larve di questo animale, di colore verde scuro, dopo qualche tempo
riuniscono le foglie e i teneri germogli con fili sericei, cibandosi del
parenchima fogliare e incrisalidandosi in questo nido.

SUL BALCONE
Scelta della varietà Il timo è un piccolo arbusto perenne e sempreverde, molto
ornamentale: oltre alla specie tipica esiste anche una cultivar con foglioline
dorate e un’altra alla fragranza di limone.
Clima Resiste bene al freddo e vuole esposizioni in pieno sole.
Impianto o semina Piuttosto che seminare il timo, conviene comprare le piantine
in un garden center e trapiantarle all’inizio della primavera in un vaso largo 18
cm circa.
Coltivazione Si trova a suo agio in un terreno di medio impasto e ben drenato.
Non tollera i ristagni d’acqua e le annaffiature, come le concimazioni, devono
essere scarse.
Per mantenere il cespuglio compatto i suoi rametti andrebbero accorciati circa
ogni 2 mesi, mentre per rinnovare la pianta si può dividere il cespo ogni 2 anni
all’inizio della primavera.
Raccolta e impiego Le foglie e i rametti teneri si colgono durante tutto l’anno e
si consumano freschi o essiccati (si legano gli steli a mazzetti e si lasciano appesi
all’ombra a testa in giù) per aromatizzare pesce, selvaggina o verdure.
Valerianella
Valerianella olitoria (VALERIANACEE)

VARIETÀ: si distinguono due gruppi di valerianelle, il primo con seme e


rosetta di foglie grossi, più adatto alla coltivazione autunnale e sotto tunnel
perché poco resistenti al freddo, il secondo a rosette piccole, molto più
resistente al freddo e coltivabile all’aperto anche d’inverno, con un semplice
riparo. La valerianella, anche chiamata songino oppure dolcetta, non deve
essere confusa con Valeriana officinalis che è una pianta medicinale con
proprietà antispasmodiche, ipnotiche e sedative.

CLIMA E TERRENO: predilige il clima fresco e temperato e teme l’asciutto.


Si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno, ma preferisce quelli argilloso-
calcarei con una buona dotazione idrica. Paradossalmente, crescerebbe
meglio in un campo abbandonato che in un orto rivoltato con cura, concimato
e rastrellato.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: è una pianta poco esigente, sono


sufficienti 1-2 q di letame o compost ben maturo/100 mq, interrati al
momento della preparazione del terreno. Quanto alle cure colturali,
consistono essenzialmente nel diradamento delle piantine se sono troppo fitte
e nella protezione con paglia o copertura quando c’è pericolo di forti gelate.
La semina a spaglio rende difficili gli interventi di sarchiatura, che sono
comunque resi superflui (almeno per quello che riguarda la difesa dalle
infestanti), dal fitto fogliame della valeriana.
SEMINA: a spaglio, da luglio ad agosto, direttamente in campo e
possibilmente all’ombra di altre piante, interrando i semi a 0,5-1 cm di
profondità. In genere sono sufficienti 15-20 g di semi/10 mq di coltura. Va
utilizzata semente che abbia almeno un anno.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: la valerianella è da considerarsi


alla stregua di una coltura intercalare, per cui segue oppure precede una
coltura principale. Buona la consociazione con cavoli, porri e numerosi altri
ortaggi.

RACCOLTA: inizia a settembre e continua fino a marzo. In genere si estirpa


l’intera pianta quando si è formata una rosetta di parecchie foglie. Poiché
tende ad appassire piuttosto presto, va lavata e consumata poco tempo dopo
la raccolta.
La produzione oscilla intorno ai 50-150 kg/100 mq di coltura.

AVVERSITÀ: tra i parassiti animali sicuramente fastidiose possono


dimostrarsi lumache e limacce, a causa delle quali spesso si preferisce
coltivare questa tenera insalatina sotto tunnel.
È poi facile che la valeriana venga colpita da quelle infezioni tipiche dei
semenzai, che causano marciumi del colletto e delle radici.

SUL BALCONE
Scelta della varietà È un’ottima insalata a ciclo breve, rustica, poco esigente e
adatta a crescere anche ai piedi di altri ortaggi più alti. Fra le varietà più
gustose: Cirilla, con foglie rotonde verde scuro e molto resistente al freddo, e
Valgros a seme grosso, con foglie tenerissime e di un bel verde intenso.
Clima Predilige i climi temperato-freschi e le posizioni a mezz’ombra, è
resistente al freddo ma teme la siccità.
Impianto o semina I semi si interrano direttamente a dimora, in cassette anche
poco profonde, da febbraio ad aprile e da settembre a metà autunno. La
germinazione avviene dopo 2 o 3 settimane, e se la semina è stata troppo fitta le
piantine vanno diradate quando hanno 3 o 4 foglioline.
Coltivazione La valerianella non richiede cure particolari: cresce bene in un
terreno di medio impasto, fertile e ben drenato, che va annaffiato prima che si
asciughi completamente.
Raccolta e impiego Si estirpa la pianticella quando ha raggiunto l’altezza di 5 o
6 cm, e le foglie si mangiano crude in insalata.
Zucca
Cucurbita spp. (CUCURBITACEE)

VARIETÀ: con il termine zucca si indicano i frutti di specie diverse


appartenenti al genere Cucurbita. Se le specie non sono che 5 o 6, le varietà
sono invece centinaia e si differenziano per forma (tonda, cilindrico-
allungata, a turbante, a bottiglia, a collo di cigno ecc.), aspetto (liscia,
bitorzoluta, costoluta) e colore della scorza (verde, verde-giallo, arancione,
screziata ecc.).
C. maxima – Si tratta della zucca per eccellenza. Zuccherina e molto
produttiva, in genere dà frutti di grandi dimensioni, tondeggianti,
leggermente schiacciati. La buccia è tenera e di colore grigio-chiaro, giallo,
bruno e, talvolta, presenta caratteristiche verruche. Appartiene a questa
specie, per esempio, la varietà Marina di Chioggia.
C. moschata – ha dato l’avvio a un gran numero di varietà che, rispetto alla
specie precedente, sono meno conservabili e più sensibili ai terreni e ai climi
umidi. Comprende sia le zucche consumate ancora allo stadio acerbo che
quelle destinate al consumo invernale dopo la maturazione fisiologica e dà
frutti allungati, a forma di clava più o meno ricurva, con buccia dura e
compatta di colore variabile. La polpa è consistente e i semi sono grigio-
biancastri. Si riconosce dal particolare sapore aromatico.
C. ficifolia – produce frutti tondi od ovali del tutto simili all’anguria, con
buccia verde striata di bianco; la polpa è bianca con semi neri. Trova impiego
solo in marmellata e la sua coltivazione è diffusa soprattutto nei Paesi a clima
caldo, da noi essenzialmente in Sicilia dove viene impiegata per il consumo
invernale.
Lagenaria longissima – ha frutti cilindrici, lunghi anche oltre il metro, che si
consumano immaturi, quando la scorza è verde chiaro. La polpa è carnosa e
croccante.

CLIMA: teme il gelo, richiede clima temperato-caldo. La temperatura


ottimale per il suo sviluppo è intorno ai 18-24°C. Oltre i 30°C o al di sotto dei
10°C si registrano gravi disturbi.

TERRENO: si adatta a qualsiasi tipo di terreno, ma i migliori risultati si


registrano su quelli di medio impasto, soffici, ricchi di sostanza organica e
ben drenati. Il pH ottimale è tra 5,5 e 6,8.

CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: si tratta di un ortaggio molto


esigente in fatto di concimazione organica, richiede 3-4 q di letame o
compost ben maturo/100 mq di superficie. La sostanza organica può essere
interrata durante i lavori di preparazione del terreno, che devono essere molto
accurati poiché il fittone può superare il metro di lunghezza. Il concime
organico, mescolato a terriccio, può anche essere distribuito nelle buche della
messa a dimora o nelle postarelle di semina. Per stimolare la ripresa delle
giovani piantine, dopo il trapianto le si può trattare con macerato d’ortica
diluito al 20%.

Zucca rotonda.

Zucca cilindrica.
Quando le piante presentano 2-3 foglie si effettua un diradamento lasciando 1
o 2 piante per buca, a seconda della fertilità del terreno e della tecnica
colturale prescelta.
Tra le cure colturali la più utile è la cimatura del tralcio principale dopo la
seconda o quarta foglia (secondo il vigore della pianta e la fertilità del
terreno) per favorire lo sviluppo dei germogli ascellari, che poi verranno
cimati con lo stesso criterio. Per ottenere zucche di grandi dimensioni si
devono lasciare ingrossare solamente 2 o 3 frutticini per pianta. I tralci con i
frutti si cimano alla seconda foglia dopo il frutto.
Infine si può procedere alla rincalzatura dei tralci, interrandone la porzione
che striscia sul terreno, in modo da stimolare la formazione di radici che
contribuiscono a nutrire la pianta.
Gli interventi di sarchiatura sono utili solo durante i primi stadi di sviluppo
della coltura.
SEMINA: in aprile-maggio (la temperatura deve essere intorno ai 12°C) in
postarelle di 4-5 semi, collocati a 2-3 cm di profondità. La distanza tra le
postarelle è di 150-200 cm. Per 10 mq di coltura occorrono da 3 a 7 g di
semente.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: pianta da rinnovo, non deve


seguire mai anguria, cetriolo, fagiolo, melanzana, melone, peperone, pisello,
pomodoro, zucchina.
Inoltre bisogna evitare di ripetere la coltivazione nello stesso terreno prima
che siano trascorsi 3 anni. Si associa bene a fagiolo, patata, pomodoro e mais
dolce.

IL TRAPIANTO

Corretto trapianto di una piantina di zucca fatta germogliare all’interno di un


vasetto.

RACCOLTA: si effettua a scalare da settembre a novembre prima delle


gelate, quando le foglie seccano e i frutti sono ben maturi. La produzione
varia da 4 a 10 q/100 mq di coltura a seconda della cultivar adottata,
dell’andamento stagionale e delle tecniche colturali.

AVVERSITÀ: la zucca soffre le stesse malattie delle altre cucurbitacee,


pertanto vale quanto è stato detto nelle schede di anguria, cetriolo, melone e
zucchina.
Zucchina
Cucurbita pepo (CUCURBITACEE)

VARIETÀ: sono moltissime le varietà di zucchina attualmente in commercio,


che si differenziano per forma (cilindrica, clavata, tonda, costoluta) e colore
della buccia (verde scuro o chiaro, giallo, striata o uniforme). Inoltre, in base
all’attitudine a entrare in produzione più o meno velocemente, si distinguono
varietà precoci, semiprecoci e tardive.

CLIMA: la zucchina predilige clima temperato e poco ventoso. Già a 10-12°C


la pianta arresta il suo sviluppo. Temperature ancora più basse, specie durante
lo stadio giovanile, possono compromettere irrimediabilmente la produzione.
La temperatura ottimale è di 15-18°C di notte e 24-30°C di giorno. La
zucchina è esigente anche in fatto di umidità, poiché consuma 850 l di acqua
ogni chilogrammo di sostanza secca prodotta, circa 5-5,5 mc di acqua ogni 10
mq di coltura.

TERRENO: richiede terreno molto più fertile di quello impiegato per la


coltivazione della zucca: di medio impasto, profondo, con una buona
dotazione di sostanza organica, ben esposto, privo di ristagni d’acqua ma
sempre fresco.
CONCIMAZIONE E CURE COLTURALI: è una coltura molto avida, richiede
30-40 kg di letame o di compost ben maturo ogni 10 mq di superficie. La
sostanza organica può essere interrata durante i lavori di preparazione del
terreno che devono essere molto accurati, poiché il fittone della zucchina può
superare il metro di lunghezza. Oppure il concime organico, mescolato a
terriccio, può essere distribuito nelle buche della messa a dimora o nelle
postarelle di semina. Tra le cure colturali, le principali sono: il diradamento,
per lasciare in ogni buchetta solo la piantina più forte; e la pacciamatura con
telo geotessile nero o paglia, per mantenere fresco più a lungo il terreno,
controllare lo sviluppo delle erbacce e impedire che i frutti vengano a diretto
contatto con il terreno.
Inoltre si possono cimare i tralci laterali quando sono lunghi 50 cm con lo
scopo di favorire la formazione di frutti.

SEMINA: in semenzaio si effettua da marzo ad aprile per avere un raccolto


anticipato. I semi sono collocati in vasetti di torba o blocchetti di terriccio
lasciando per ogni pianta uno spazio di circa 10 cm. La messa a dimora si
effettua quando non c’è pericolo di gelate e le piante presentano 4-5 foglie
vere. In genere si adotta la distanza di 100-120 cm tra e sulle file. In pieno
campo si semina da aprile a maggio su terreno ben preparato, in postarelle
profonde 10-15 cm e di 30-40 cm di diametro, in ognuna delle quali vengono
posti 3-4 semi distanziati di una decina di centimetri. Quando emettono la
seconda foglia si esegue il diradamento lasciando una sola piantina per
postarella. Per 10 mq di coltura occorrono 2-3 g di semi.

SEMINA DELLA ZUCCHINA

La zucchina si semina da marzo ad aprile in vasetti di torba o blocchetti di


terriccio.

La messa a dimora della zucchina si effettua quando è svanito ogni pericolo di


gelate e le piante presentano 4-5 foglie vere. La distanza tra e sulle file è di 100-
120 cm.

AVVICENDAMENTI E CONSOCIAZIONI: la zucchina è una pianta da


rinnovo, nella rotazione agraria ha diritto a essere coltivata per prima e non
va ricoltivata nello stesso appezzamento prima che siano trascorsi 3 anni. Si
consocia bene con fagioli rampicanti, lattuga e cipolle.

RACCOLTA: è scalare e si protrae per 40-60 giorni. Le zucchine dovrebbero


essere raccolte quando il fiore portato all’apice dei frutti sta per schiudersi,
ma l’epoca della raccolta varia notevolmente da regione a regione. Quando le
piante sono in piena produzione la raccolta deve essere effettuata ogni giorno
per evitare di avere frutti con semi troppo evidenti e buccia indurita. La
produzione varia da 2 a 7 kg di frutti per pianta.

AVVERSITÀ: oltre alle malattie e ai parassiti, in comune con le altre


cucurbitacee, le zucchine vanno soggette ad attacchi di afidi, che infestano le
foglie provocandone l’appassimento. Tra le crittogame particolarmente
pericoloso è l’oidio, il mosaico e la muffa grigia.

LA RACCOLTA

Come asportare in modo corretto le zucchine al momento della raccolta.


SUL BALCONE
Scelta della varietà Fra le molte varietà di zucchine, di taglia bassa oppure
striscianti, quella più adatta ai vasi è la Baby Round, un cespuglio che produce
una quantità incredibile di frutti piccoli e rotondi che vanno raccolti quando
sono un po’ più piccoli di una palla da tennis.
Se sul terrazzo c’è abbastanza spazio, in un vaso largo e profondo almeno 45 cm
si potrà coltivare anche la varietà Gold Rush, a frutti giallo oro con buccia
sottilissima, oppure la rampicante Tromboncino d’Albenga, che produce frutti
lunghissimi, ma che colti quando arrivano soltanto a 15 cm si possono mangiare
anche crudi.
Clima Vuole un clima mite e una posizione soleggiata ma ben aerata.
Impianto o semina I semi si interrano direttamente a dimora da aprile a giugno,
e comunque quando la temperatura, sia diurna che notturna, si mantiene sopra i
20°C. Se ne piantano 2 o 3 per ogni buchetta, in verticale nel terreno e con la
parte più stretta rivolta verso il basso: un vaso largo e profondo 35 cm può
ospitare una sola pianta. Si possono anche acquistare piantine già pronte.
Coltivazione Preferisce i terreni di medio impasto e ricchi di sostanza organica.
Le irrigazioni dovranno essere abbondanti, altrimenti si formeranno
prevalentemente fiori maschili sterili. Bisogna però evitare di bagnare le foglie
per non facilitare l’insorgere di malattie crittogamiche.
Nel corso della crescita è molto gradita una concimazione con macerato d’ortica
o con un altro fertilizzante a pronto effetto, mentre per le varietà striscianti serve
un graticcio alto almeno un metro e mezzo sul quale andranno legati i fusti man
mano che crescono.
Raccolta e impiego Le zucchine sono ortaggi piuttosto ingombranti, ma sanno
sdebitarsi per il tanto spazio che occupano con una produzione generosissima
che comincia all’incirca due mesi dopo la semina e continua per diverse
settimane. I frutti sono pronti per il consumo quando sono teneri e non
completamente sviluppati: più si colgono piccoli più la pianta ne produce.
Le parole dell’orto
• ACARI Piccoli ragnetti parassiti, invertebrati, appartenenti alla classe degli
Aracnidi.
• ACIDO, TERRENO Terreno che esprime valori di pH inferiori a 7 (in una scala
che va da 0 a 14). I terreni moderatamente acidi sono generalmente tollerati dalla
maggior parte delle piante coltivate.
• ACIDOFILA Pianta che predilige terricci a reazione acida, con pH inferiore a 7, o
che in natura si ritrova in terreni acidi.
• AFIDI Insetti, spesso privi di ali, dannosi parassiti delle piante.
• ALCALINO, TERRENO Terreno che esprime valori di pH compresi tra 7 e 14. È
alcalino un terreno ricco di calcare.
• AMMENDANTE Composto che serve a cor-reggere le proprietà del terreno.
• ANGUILLULE Piccoli organismi pluricellulari e anguilliformi che vivono
parassitizzando piante, animali, funghi, insetti. Mentre i primi sono particolarmente
dannosi per le coltivazioni orticole, quelli che vivono a spese degli insetti vengono
utilizzati dall’agricoltura biologica per mantenere sotto controllo popolazioni di
dorifora, nottua ecc.
• APICE VEGETATIVO Estremità in accrescimento di fusto o radice.
• ASCELLA È la zona compresa tra la base del peduncolo fogliare e il ramo (o fusto
erbaceo) su cui lo stesso è inserito. Si parla comunemente di fiori e di gemme ascellari
riferendosi a quelli che spuntano in tale zona.
• ASFISSIA RADICALE Fenomeno causato dall’eccessiva presenza di acqua in
terreni troppo compatti (argillosi), che non permette alle radici di respirare. In questa
condizione la pianta manifesta sofferenza e l’apparato radicale è soggetto a marciumi
più frequenti.
• BULBO Grossa gemma sotterranea con fusto breve circondato da foglie.
• CALCAREO, TERRENO Terreno ricco di calcare e ossidi di calcio. Di solito un
terreno calcareo è anche alcalino.
• CALCIFILA Si dice di pianta che predilige terreni calcarei.
• CIMATURA Intervento di taglio (potatura) sulla vegetazione tenera; si esegue
staccando la cima di un getto.
• COLLETTO Parte della pianta che segna il limite tra l’apparato radicale e il fusto.
È ben distinguibile solo nelle giovani piantine con un leggero restringimento che nella
fase adulta non è più individuabile. È una parte aerea.
• COMPOSIZIONE CHIMICA In un terriccio risulta dalla qualità e dalla quantità
di elementi (azoto, fosforo, potassio, magnesio, ferro, sodio ecc.) contenuti sia nella
frazione minerale, sia in quella organica.
• COTILEDONI Una o due foglie già presenti nel seme: lo avvolgono proteggendo
l’embrione. Alla germinazione sono le prime a fuoriuscire dal terreno e si riconoscono
per la forma e la dimensione diversa dalle “vere” foglie.
• CRITTOGAME Termine con cui si indicano genericamente gli organismi vegetali
parassiti delle piante.
• DECOMPOSITORE Organismo che trasforma sostanze complesse in più semplici.
• DIRADAMENTO Operazione con cui, dopo il germogliamento, si riduce per
selezione il numero delle piantine coltivate; si garantisce così un ambiente di crescita
più idoneo a quelle rimaste. Il diradamento oltre che sui germogli può essere eseguito
anche su gemme, fiori o frutti.
• EMBRIONE Germe di pianticella presente all’interno del seme.
• FEMMINELLA Germoglio erbaceo che si sviluppa all’ascella delle foglie nelle
piante erbacee e sulle branche di quelle arboree, normalmente in piante molto
vigorose o geneticamente predisposte. Nel corso della coltivazione sono da
considerarsi germogli inutili in quanto sottraggono nutrimento alle parti produttive
della pianta. L’operazione di rimozione di questi germogli prende il nome di
“sfemminellatura” o “scacchiatura”.
• FILE, SEMINA A Distribuzione del seme in solchi paralleli e poco profondi.
• FISSAZIONE È la capacità di captare da parte delle piante (e di alcuni
microrganismi) elementi o composti presenti sottoforma gassosa nell’atmosfera
(azoto, anidride carbonica).
• FITTONANTE, RADICE Tipica di moltissimi vegetali, si presenta con un asse
unico che si allunga nel terreno verticalmente. È rivestita da una serie di radici più
piccole, corte, sottili e da peli radicali.
• FOTOSINTESI Trasformazione dell’anidride carbonica in sostanza organica
(carbonio organico, come zuccheri, cellulosa grassi ecc.). Ha luogo nelle piante verdi
grazie alla presenza di clorofilla, la quale permette ai vegetali di elaborare sostanze
organiche complesse a spese di semplici sostanze organiche (anidride carbonica e
acqua) con l’intervento dell’energia luminosa.
• GERMINAZIONE Processo di sviluppo della pianta dal seme.
• GRUMI O GLOMERULI Aggregazione di particelle del suolo (specialmente di
argilla o limo) che si formano mediante l’intervento di sostanze cementatrici
organiche o minerali. Grazie ai grumi il suolo si presenta poroso, con presenza di
vuoti che si riempiono di aria e acqua. È questa la condizione indispensabile perché
nel terreno si sviluppi l’attività biologica.
• GUAINA Parte inferiore della foglia che abbraccia il fusto.
• IMBIANCHIMENTO Operazione con cui, tramite coperture (paglia, carta o terra),
si protegge la pianta dalla luce. Gambi o foglie diventano così di colore chiaro o
bianco e di consistenza tenera.
• INFESTANTE Pianta priva di interesse agrario che cresce nelle coltivazioni
assieme alle piante utili.
• LETTO CALDO (SEMENZAIO) Piccola superficie di terreno o cassetta (in
plastica o in legno) sul fondo della quale viene depositato uno strato di letame fresco
(20-30 cm). Si ricopre con un eguale spessore di terriccio o terra di campo ben
sminuzzata (preferibilmente sterilizzata) e si utilizza per la semina. Il calore
sviluppato dai processi fermentativi del letame consente una rapida germinazione dei
semi.
• LITOTAMNIO O FARINA DI ALGHE Prodotto ottenuto dalla macinazione di
alghe Lithothamnium, utilizzato in agricoltura biologica come ammendante,
fitostimolante, antiparassitario, oltre che per arricchire e migliorare il compost.
• MICROELEMENTI Elementi minerali semplici presenti nel suolo in
concentrazioni inferiori a un grammo per chilogrammo di terreno. La loro equilibrata
presenza permette lo sviluppo ottimale delle foglie e dell’apparato radicale oltre ad
agevolare il processo della sintesi clorofilliana.
• MOSAICO Aspetto a chiazze decolorate tipico delle foglie di piante colpite da
determinate virosi.
• PACCIAMATURA Copertura della superficie del terreno con materiali che
ostacolano la crescita delle erbe infestanti. Nell’orto il materiale migliore è
sicuramente la paglia (a volte viene utilizzata anche la carta). È possibile usare anche
telo o film plastico nero, praticando dei fori in corrispondenza delle piantine. In estate
questo materiale surriscalda molto il terreno (solarizzazione), svolgendo anche un
ruolo di disinfestazione dagli insetti terricoli. Ma attenzione: alcune piante sono
sensibili al terreno troppo caldo e appassiscono velocemente.
• PANE DI TERRA Porzione di terreno o terriccio localizzato intorno alle radici e
così mantenuto per proteggerle nelle fasi di estirpazione dal vivaio e di trapianto.
• PH In un substrato e terreno indica il rapporto reciproco tra sostanze acide e
alcaline. Con la sigla pH 7 si indica la reazione neutra; con pH compreso tra 6 e 1
valori crescenti di acidità; con pH da 7 a 14 valori crescenti di alcalinità.
• POLLONE Ramo o fusto erbaceo che si sviluppa dalle radici di molte piante,
soprattutto arboree e arbustive. È sempre molto vigoroso e robusto.
• PORCA Viene definita “a porche” la semina effettuata in una zona di terra rialzata
tra due solchi per evitare qualsiasi forma di ristagno idrico.
• PRUINA Patina cerosa di spessore molto limitato che riveste foglie e frutti di molte
specie vegetali. Ha la funzione di proteggere i frutti e le foglie dall’evaporazione,
dall’eccessiva concentrazione dei succhi, dalla penetrazione di acqua e dai colpi di
sole.
• RIPICCHETTATURA Tecnica vivaistica che consiste nel trapiantare giovani
pianticelle una o più volte in spazi sempre più grandi. Ciò consente un migliore
sviluppo radicale e quindi una miglior crescita della vegetazione.
• RIPRODUZIONE AGAMICA Avviene mediante porzioni di pianta o di tessuti
(gemme, bulbilli, zampe, tuberi ecc.) capaci di riprodurre l’individuo con tutte le sue
caratteristiche varietali.
• RIPRODUZIONE SESSUALE Moltiplicazione per seme, originato dalla
fecondazione; dà origine a individui con caratteri misti del padre e della madre.
• RIZOMA Fusto sotterraneo o strisciante in superficie considerato organo di riserva
e utilizzato per la riproduzione agamica perché porta gemme e radici.
• SARCHIATURA Si tratta di una lavorazione del terreno con la quale,
generalmente, si mira a eliminare le erbe infestanti, a smuovere la “crosta”
superficiale del suolo e ad aumentare la terra intorno alla base del fusto delle piante
coltivate.
• SCERBATURA Operazione manuale con la quale si eliminano le erbe infestanti da
una superficie coltivata.
• SCIOLTO, TERRENO Terreno caratterizzato dalla presenza di particelle di
dimensioni abbastanza grosse (sabbia, ghiaia, ciotoli). Questo comporta la presenza di
numerosi spazi vuoti (macropori) che determinano un rapido sgrondo delle acque.
• SEMENZAIO Piccola superficie di terreno protetta ed esposta in pieno sole in cui si
distribuisce il seme degli ortaggi destinati al trapianto. Può essere anche un
contenitore di piccole dimensioni, di legno, di metallo, di plastica o di altro materiale,
con all’interno terreno soffice e fertile (sabbia e torba).
• SOVESCIO Sotterramento di alcuni tipi di piante per arricchire il terreno.
• SPOLLONATURA Eliminazione dei polloni per evitare un eccessivo dispendio
energetico alla pianta.
• TERNARIO, CONCIME Prodotto nel quale sono presenti i tre elementi principali
della fertilità, cioè azoto (N), fosforo (P) e potassio (K). È sinonimo di concime
complesso.
• TERRENO VEGETALE Rappresenta lo strato più superficiale del suolo (da 10 a
20 cm di profondità), nel quale si concentra la sostanza organica e l’attività dei
microrganismi. In esso si sviluppa prevalentemente l’apparato radicale delle essenze
del tappeto erboso.
• TORBA Materiale ricco di detriti vegetali decomposti dall’acqua nel corso dei
secoli. Per l’alto contenuto di sostanze organiche e la capacità di trattenere notevoli
quantità d’acqua è uno dei substrati più usati nell’orto e giardino, in particolare per
stimolare il radicamento delle talee e delle giovani piantine.
• TUBERO Organo sotterraneo, formatosi in seguito a un processo di adattamento di
una parte della pianta, con funzione di riserva delle sostanze nutritive.
• TURIONE Germoglio giovane e carnoso che si sviluppa direttamente dal terreno. È
la parte commestibile dell’asparago.
• VIROSI Infezioni, in genere molto pericolose, provocate da entità
submicroscopiche che penetrano nelle piante attraverso punture d’insetto (afidi), di
nematodi o per ferite causate nel corso delle lavorazioni colturali. Si manifestano con
caratteristiche aree scolorite (mosaico) ma anche con altre sintomatologie come
avvizzimenti, apici ricurvi ecc. La lotta si basa soprattutto sulla soppressione dei
parassiti vettori e sulla prevenzione (uso di attrezzi da lavoro puliti, di piantine sane o
resistenti).
Disegni:
tutte le illustrazioni appatengono all’Archivio Giunti e all’Archivio Giunti/© Arcen-
ciel, Verona, ad eccezione delle seguenti, di Archivio Giunti/© Canaltype/Paola
Baldanzi e Valentina Pirgher, Firenze: 19, 30, 32, 38, 62, 114, 127, 134, 152, 155.

Referenze fotografiche:
tutte le immagini appartengono all’Archivio Giunti e all’Archivio Giunti/© Arcen-
ciel, Verona ad eccezione delle seguenti:
Archivio Giunti/© Capture Dreams Studio, Scandicci pp. 128, 129, 131, 135, 140;
© Matteo Carassale pp. 147, 151, 159;
© Mike Comb/Science Photo Library/Contrasto p. 163;
Corbis: © Helen King p. 12, © Kevin Fleming p. 48, © Steve Terrill p. 57, © Michael
Boys p. 73, © Joseph Sohm/Visions of America p. 74, © John Wilkinson; Ecoscene p.
76, © Lester V. Bergman p. 115, © Chuck Savage p. 156, © Erich
Kuchling/Westend61 p. 216, © Michael & Patricia Fogden p. 221, © B. Borrell
Casals; Frank Lane Picture Agency p. 232, © Herbert Spichtinger p. 234, © Visuals
Unlimited p. 250, © Darque/photocuisine p. 345;
© Granataimages.com pp. 139, 142, 165;
© Patrick Lévêque/Ami Des Jardins p. 161;
© Mimma Pallavicini pp. 20, 31, 37, 98, 434;
SIS Images: © Frederic Didillon/GPL p. 25, © Jonathan Buckley/The Garden
Collection pp. 55, 148, © Nicola Stocken Tomkins/The Garden Collection p. 122, ©
Liz Eddison/The Garden Collection p. 355;
© Bios/Tips Image p. 166.

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