Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Gianluca GIGLIUCCI
28 dicembre 2001
Rapporto tecnico
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI
28 dicembre 2001
Verifica Approvazione
N° Data Elaborazione
PM Direzione
00 28/12/2001 G. Gigliucci F. Donatini G. De Michele
01
02
03
Classificazione Pag. di
Ricerca
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI 2 32
RIASSUNTO
INDICE
1 INTRODUZIONE ............................................................................................4
2 GASSIFICAZIONE .........................................................................................6
4 CONCLUSIONI ............................................................................................30
BIBLIOGRAFIA ......................................................................................................32
Classificazione Pag. di
Ricerca
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI 4 32
1 INTRODUZIONE
La gassificazione e l’utilizzo del syngas nei turbogas dei moderni cicli combinati
costituiscono il processo che permette la massima efficienza di conversione delle
biomasse in energia elettrica. I rendimenti di conversione ottenibili attraverso la co-
combustione di syngas e metano, infatti, raggiungono il 42 – 44 %, ben al di sopra dei
valori raggiungibili dalla combustione diretta delle biomasse in cicli a vapore
convenzionali, difficilmente superiori al 30%.
Nel nostro Paese gli impianti di gassificazione di biomasse non si sono ancora
affermati, a causa sia dell’alto costo di investimento che li caratterizza, sia dell’elevato
costo del combustibile primario in confronto a quello vigente altri Paesi europei, in
particolare quelli scandinavi.
Tuttavia il forte impulso dato dal processo di liberalizzazione del mercato
dell’energia alla costruzione di cicli combinati ad alta efficienza, può aprire nuove
opportunità per la gassificazione di biomasse. Infatti, l’accoppiamento tra la
gassificazione di biomasse e i cicli combinati darebbe origine ad un impianto che è da
solo in grado di generare, in modo remunerativo, fino al 10 – 15 % di energia
rinnovabile, coprendo così una parte del fabbisogno di certificati verdi dei produttori di
energia, senza il ricorso ad ulteriori metodi di generazione.
2 GASSIFICAZIONE
Composizione u.m.
Carbonio % d.b. 45,50
Idrogeno % d.b. 6,90
Azoto % d.b. 0,31
Ossigeno % d.b. 44,20
Zolfo % d.b. 0,046
Cloro % d.b. 0,04
Ceneri % d.b. 3,00
Umidità % w. d.b. 35,0
Nei gassificatori a letto fluido convenzionali, fluidizzati con aria o ossigeno, il calore
necessario per la conversione delle biomasse è ottenuto attraverso una parziale
combustione delle stesse nel reattore di gassificazione.
Il grado di fluidizzazione distingue gli impianti in due tipologie: quelli con letto fluido
ricircolante e quelli con letto fluido bollente.
Tab. 2.2: Caratteristiche tipiche del biogas ottenibile dalla gassificazione in letto fluido
circolante atmosferico, a partire dalle biomasse di Tab. 2.1 [2].
Parametri operativi tipici dei letti fluidi ricircolanti utilizzati per la gassificazione di
biomasse sono:
§ rapporto aria/combustibile: 1,7 – 2 :1;
§ velocità di fluidizzazione: 5-9 m/s
§ temperatura del syngas: 850 – 950 °C.
La pressione di esercizio può variare entro limiti molto ampi, dalla pressione
atmosferica a circa 30 bar, tuttavia, mentre nel caso di combustibili ad alto potere
calorifico, quali il carbone o i residui di raffineria, i gassificatori pressurizzati trovano
larghi impieghi, nel caso di utilizzo di biomasse essi non vengono sono stati adottati su
scala commerciale.
I gassificatori a letto fluido bollente (Fig. 2.2) si differenziano da quelli a letto fluido
ricircolante per il minor grado di fluidizzazione che caratterizza il letto stesso e, quindi ,
per la minor quantità di solidi trascinati assieme al syngas.
Per questo motivo, il ciclone posto a valle del reattore serve unicamente per la
filtrazione meccanica del gas prodotto e non vi è la necessità di reintrodurre nel letto i
solidi raccolti.
Classificazione Pag. di
Ricerca
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI 10 32
Tab. 2.3: Caratteristiche tipiche del biogas ottenibile attraverso gassificazione in letti
fluidi bollenti atmosferico e pressurizzato [2].
La gassificazione con vapore viene effettuata utilizzando due reattori a letto fluido
circolante separati (Fig. 2.3):
§ un reattore di gassificazione in cui, in assenza di ossigeno, la biomassa è
convertita in syngas e char;
§ un reattore di combustione in cui il char residuo è bruciato con aria per fornire
calore al processo di gassificazione.
Il calore è trasferito alla biomassa indirettamente (ossia, in ambiente separato da
quello dove avviene la combustione) da un vettore, che generalmente è sabbia silicea.
Il combustore riscalda la sabbia ad una temperatura compresa fra 950 e 1000 °C.
La sabbia è poi alimentata al reattore di gassificazione, fluidizzato con vapore, dove si
Classificazione Pag. di
Ricerca
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI 12 32
Nel processo descritto le biomsse sono convertite in maniera molto simile alla
pirolisi, il ché rende il syngas molto più ricco di tar pesanti dei processi a gassificazione
diretta prima descritti, come si può notare dalla Tab. 2.4.
Classificazione Pag. di
Ricerca
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI 13 32
D’altra parte, i letti circolanti hanno i vantaggi di una più elevata potenza specifica
(cioè potenza termica per unità di superficie in pianta del letto) e di un migliore
mescolamento tra sabbia e combustibile, che consente al processo di generare biogas
con un contenuto di tar pesanti inferiore.
§ È bene che l’aria di alimentazione del gassificatore venga estratta tramite uno
spillamento a valle del compressore, in modo da diminuire l’aumento di portata fumi
all’ingresso della turbina.
Il contenuto di metalli alcalini nelle biomasse è un fattore rilevante dal punto di vista
del funzionamento del letto, a causa dell’abbassamento della temperatura di fusione
delle ceneri che sono in grado di provocare. Pertanto, quanto più è alto il tenore di
alcali del combustibile, tanto più l’esercizio del gassificatore richiederà cautele per
evitare l’agglomerazione nel letto, quali un adeguato tasso di ricambio del materiale
che lo compone e l’eventuale utilizzo di additivi, quali calce o dolomite.
Un altro motivo per introdurre dolomite o calce nei letti fluidi, in particolare in quelli
bollenti, è quello di ridurre il contenuto di zolfo nel syngas.
Nel caso di utilizzo del syngas in sistemi di combustione avanzati, quali i gruppi
turbogas, è necessario interporre, tra il gassificatore il turbogas stesso, degli opportuni
sistemi di trattamento del syngas che consentano di rendere le sue caratteristiche
rispondenti alle esigenze di pulizia che caratterizzano le turbine a gas.
I trattamenti possono avvenire a freddo, con consolidate tecnologie commerciali
quali scrubber ad acqua, filtri a maniche, precipitatori elettrostatici, o a caldo, con
tecnologie commercialmente disponibili, ma che, in campo elettrico, trovano ancora
applicazioni non molto diffuse. Queste ultime, proprio per la scarsa diffusione che
ancora le caratterizza, vengono descritte nella parte iniziale del presente capitolo.
La seconda parte, poi, è riservata alla descrizione delle sostanze che è necessario
controllare per garantire il funzionamento dei sistemi di combustione alimentati a
syngas e dei metodi più adatti per la loro rimozione.
potere filtrante richiesto, mentre l’utilizzo di materiali opportuni può far sì che il filtro
abbia, oltre all’effetto di rimozione meccanica del particolato trasportato, un’azione
chimica verso sostanze indesiderate, la cui concentrazione può essere dunque
abbattuta. Ad esempio, nel caso il letto sia composto di dolomite, l’anidride solforosa
presente nel gas si combina ad essa a dare gesso, con conseguente riduzione del
contenuto di zolfo nel gas.
Esistono tre tipologie di letti granulari: il letto fisso, il letto mobile e il letto fluido (Fig.
3.1).
Nei letti fissi il materiale filtrante può essere rigenerato solamente interrompendo il
flusso dei gas, mentre nei letti mobili e nei letti fluidi la sostituzione del materiale
stesso, e la conseguente possibilità di rigenerazione, sono di tipo continuo e non è
necessario sospendere l’esercizio dei filtri in fase di rigenerazione. I letti fluidi si
differenziano da quelli mobili per il fatto che nei primi i grani vengono mantenuti in
sospensione dal gas da filtrare.
utilizzate nei letti mobili sono piuttosto basse, inferiori a 0,5 m/s. Tuttavia, a parità di
portata dei gas filtrati, i letti mobili occupano una superficie in pianta inferiore ai letti
fissi, grazie alla possibilità di costruire filtri alti anche alcuni metri.
Per ciò che riguarda l’efficienza nella rimozione del particolato, nel caso si utilizzino
filtri a letto fisso con granulometria di circa mezzo millimetro e velocità di filtrazione
inferiore a 0,25 m/s, è possibile raggiungere un valore superiore al 99 % anche
considerando le particelle submicroniche.
Tali prestazioni vanno attribuite alle condizioni operative che consentono la
formazione di un rivestimento (cake) attorno ai grani del letto: tale rivestimento riduce
sensibilmente lo spazio intergranulare e, quindi la dimensione minima delle particelle
catturabili. Grani con dimensioni superiori al millimetro non consentono, di solito, la
formazione del cake.
Il vantaggio principale dei letti fluidi rispetto ai letti non fluidizzati sta nella maggiore
capacità di filtrazione, in termini di portata di gas, a parità di superficie in pianta del
filtro.
La rimozione del particolato dal gas fluidizzante avviene in due zone distinte: la
regione di ingresso del gas e la regione bollente del letto. La capacità di filtrazione
nella prima zona aumenta all’aumentare della velocità del gas, in quanto il
meccanismo di filtrazione è legato agli urti tra le particelle ed i grani del letto e
coinvolge, pertanto, le particelle di dimensioni maggiori. Al contrario, la parte bollente
del letto è destinata alla filtrazione del particolato fine, che viene trattenuto soprattutto
grazie alla loro tendenza ad aderire ai grani e allo strato di cake che su di essi è
depositato. Perciò, nella zona bollente del letto è opportuno che le velocità di
fluidizzazione siano sufficientemente basse, al fine di limitare la tendenza del
particolato fine a distaccarsi dai grani e ad essere trascinate del gas.
Per questi motivi, al fine di ottimizzare il funzionamento dei filtri a letto fluido
vengono utilizzate delle piastre distributrici forate con area totale di passaggio piuttosto
ridotta, in modo da determinare una forte differenza della velocità di fluidizzazione tra
la zona di ammissione del gas e la zona bollente.
Classificazione Pag. di
Ricerca
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI 21 32
Fig. 3.2: Efficienza di filtrazione di un letto fluidizzato in funzione della dimensione del
particolato e della concentrazione di solfato di sodio nel gas. [8]
Classificazione Pag. di
Ricerca
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI 22 32
I filtri meccanici a barriera hanno questo nome perché il particolato trascinato dai
gas da filtrare viene captato sulla superficie del mezzo filtrante o all’interno dello
stesso.
La filtrazione avviene grazie a due azioni combinate: quella del filtro meccanico vero
e proprio e quella del deposito di particolato (cake) che si forma sulla superficie e negli
spazi intergranulari del filtro. Infatti, considerando la filtrazione di un gas a partire dal
filtro pulito, la quantità del deposito superficiale cresce fino a che esso stesso diventa
un’ulteriore superficie filtrante che aderisce a quella sottostante in virtù della perdita di
pressione indotta nel flusso di gas che lo attraversa. Questo effetto cresce fino al
momento di pulizia del filtro meccanico, che consente la rimozione del particolato
catturato. Lo strato di deposito sul filtro consente allo stesso di trattenere particelle più
piccole del suo diametro medio, pertanto la capacità ottimale di filtrazione si raggiunge
dopo una prima fase di formazione del cake.
Da quanto sopra, è evidente che la perdita di carico totale è data dalla somma di
quella dovuta al filtro pulito e di quella dei depositi che si formano: per questo motivo,
solitamente la pulizia dei filtri a barriera avviene quando la perdita totale di pressione
dei gas supera un valore predeterminato.
I filtri a barriera possono raggiungere valori di efficienza di rimozione superiori a
quelli caratteristici dei filtri a letto granulare, pertanto il loro utilizzo è subordinato
solamente alla loro affidabilità, che, specie per ciò che riguarda i filtri ceramici, è tuttora
insufficiente per una loro adozione in impianti industriali.
Anche i filtri a barriera, così come quelli a letto granulare, possono essere utilizzati
in modo da ottenere un’azione combinata di rimozione meccanica del particolato e di
abbattimento di sostanze indesiderate. Per fare ciò, gli agenti catalizzatori necessari
per le azioni chimiche possono essere distribuiti sulla superficie filtrante come strato di
cake, oppure possono essere inseriti all’interno della matrice di filtri sinterizzati [4].
Una via alternativa è quella di inserire, prima del filtro a barriera, un reattore a letto
trascinato nel quale avvenga il mescolamento tra il catalizzatore ed il flusso del gas:
così facendo le reazioni di abbattimento possono avvenire nel reattore e sulla
Classificazione Pag. di
Ricerca
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI 23 32
superficie filtrante. Questa metodologia è stata adottata, nel caso di gas a temperatura
di circa 200 °C, per la rimozione di acido fluoridrico e anche per l’abbattimento di
diossine, furani e metalli pesanti da gas di inceneritori [10].
I filtri a manica sono da tempo utilizzati per la rimozione di particolato solido in gas
di combustione preventivamente raffreddati. Al fine di utilizzare lo stesso tipo di
tecnologia anche nel caso di gas ad elevata temperatura, è necessario adottare
maniche composte da tessuti ceramici, basati su elementi quali silicio, boro e allumina.
Così facendo sono stati costruiti filtri che si sono dimostrati validi, almeno in sede
sperimentale, per trattare gas con temperature fino a 815 °C [1].
Rottura catalitica
La rottura catalitica dei tar, realizzata utilizzando dolomite o nichel a temperature
dell’ordine di 800 – 900 °C, può raggiungere efficienze di rimozione superiori al 99 %.
Di solito il processo avviene in un reattore separato dal gassificatore, ma l’iniezione
delle predette sostanze nel free-board del reattore di gassificazione può essere
efficace, purché la temperatura in detta zona resti superiore ai limiti indicati.
Rottura termica
La rottura termica dei tar può avvenire, nel caso di syngas da carbone o torba,
mediante la permanenza del gas a temperature comprese tra 800 e 1000 °C per
periodi di tempo sufficientemente lunghi. I tar derivanti da biomasse sono meno
sensibili a questo effetto, tuttavia effetti benefici sulla loro concentrazione possono
essere ottenuti aumentando i tempi di residenza nel free-board del gassificatore,
portando il syngas a contatto con superfici scaldate da una sorgente esterna o
creando zone di post-combustione, nelle quale far avvenire un’ossidazione parziale del
syngas attraverso l’iniezione di aria o ossigeno. Quest’ultima strada causa l’incremento
del contenuto di CO2 nel syngas e riduce l’efficienza del processo, ma può essere
molto efficace se si raggiungono temperature dell’ordine dei 1300 °C.
Classificazione Pag. di
Ricerca
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI 27 32
I processi di scrubbing (lavaggio dei gas con acqua) sono considerati tra i più
efficienti per la rimozione di particolato e altri contaminanti, tuttavia, per quanto attiene
alla rimozione dei tar da biomasse, essi possono presentare problemi e possono
essere non sufficientemente efficaci.
Infatti, i tar da biomasse sono caratterizzati da scarsa tendenza a coalescere e ad
essere catturati fisicamente dalle gocce di acqua utilizzata per la loro rimozione,
pertanto, nel caso sia necessario raggiungere valori dell’efficienza di rimozione
superiori al 90 %, è opportuno ricorrere ad un processo diviso in più fasi.
Nella prima fase il gas viene raffreddato e saturato, dopodiché esso viene introdotto
in uno scrubber ad elevata efficienza in cui l’acqua viene fatta condensare sul
particolato e sulle molecole di tar, in modo da favorirne la tendenza
all’agglomerazione. Segue, infine, una fase finale in cui il gas attraversa, con tempi di
residenza elevati, una torre in cui il processo trova il suo equilibrio.
In questo modo è possibile raggiungere concentrazioni di tar di 20 – 40 mg/Nm 3 e
concentrazioni di particolato di 10 – 20 mg/Nm 3; il processo, inoltre, presenta anche
un’elevata efficienza di rimozione dell’ammoniaca e dei solidi solubili, quali il carbonato
di sodio.
Il sistema descritto è piuttosto costoso e può richiedere un successivo trattamento
delle acque di lavaggio.
Un alternativa per la rimozione di tar e particolato può essere rappresentata dai
precipitatori elettrostatici, tuttavia non vi sono esperienze di loro utilizzi su syngas da
biomasse.
La presenza di zolfo nelle biomasse legnose è alquanto ridotta, variabile tra lo 0.01
e lo 0.05 %, pertanto esso, generalmente, non dà origine a problemi particolari.
Tuttavia, nel caso si voglia utilizzare syngas da biomasse in gruppi turbogas, i limiti
imposti dalle caratteristiche della turbina, dell’ordine delle parti per milione, possono
richiedere la rimozione di zolfo dal syngas.
Possibili sistemi che permettono di ottenere tale rimozione sono i tar cracker
catalitici che utilizzano dolomite o l’iniezione di dolomite o calce nei letti di
gassificazione, nel caso di impianti a letto bollente.
In alternativa, è possibile utilizzare letti fissi costituiti da ossido di zinco, che
presentano una buona efficienza di rimozione e sono relativamente economici.
Tuttavia, essi danno origine a solfuro di zinco, che va depositato in discarica.
Per quanto riguarda il cloro, il suo contenuto nelle biomasse è di solito stremamente
modesto e non causa problemi impiantistici né di emissioni. Comunque, la sua
concentrazione viene ridotta nel caso vengano utilizzati sistemi di trattamento del
syngas quali l’iniezione di dolomite nel gassificatore o in reattori secondari o il lavaggio
con acqua.
Classificazione Pag. di
Ricerca
ENELP/RIC/RT-2001/197/0-IT+RT.RIC.PI 30 32
4 CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA