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PREMESSA

Negli ultimi decenni l’uomo ha preso coscienza della dipendenza che lo lega

all’ambiente in cui vive e all’impatto che le proprie azioni hanno su di esso. La

necessità di tutelare l’ambiente è uno degli argomenti più frequenti nei dibattiti attuali;

pertanto, la conoscenza e lo studio degli elementi più sensibili alla pressione antropica

sono diventati obiettivi prioritari, affinché si possano adottare politiche volte alla

salvaguardia degli equilibri che da sempre regolano i rapporti tra l’uomo e l’ambiente in

cui vive. L’acqua è estremamente importante essendo il vettore di tutta la vita sulla

Terra; basti pensare che essa partecipa alla struttura delle piante e degli animali in una

percentuale dal 60 al 90 %. Ma l’acqua è un fattore indispensabile anche per lo

sviluppo dell’economia e della civiltà umana, perché serve all’uomo per l’alimentazione

e l’igiene, per l’irrigazione in agricoltura, come sorgente di energia e materia prima dei

processi produttivi, come via di trasporti e base delle attività ricreative. Perciò, nel corso

della storia della civilizzazione, si sono gradualmente moltiplicate le utilizzazioni delle

acque da parte dell’uomo ed i connessi interventi sui sistemi idrici naturali, con eccessi

e disordini che spesso hanno compromesso le risorse idriche sia qualitativamente che

quantitativamente. L’uomo, inoltre, ha compromesso anche indirettamente i sistemi

idrici nel corso di uno sfruttamento millenario del territorio, che non sempre si è svolto

in condizioni di equilibrio con l’ambiente naturale, di cui le acque costituiscono parte

integrante. I problemi idrogeologici, si sono posti recentemente all’attenzione

dell’opinione pubblica assumendo un rilievo eccezionale per i provvedimenti emanati

relativamente alla difesa del suolo e al reperimento, alla gestione, all’ adduzione e alla

distribuzione di risorse idriche. In particolare, si è assistito all’impoverimento delle

risorse idriche che in alcuni periodi ha raggiunto punte elevatissime a causa

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dell’imprevedibile fenomeno di abbassamento delle falde e delle portate sorgive,

soprattutto, dovuto all’andamento climatico degli ultimi anni.

Nell’area sannita e nel resto del territorio italiano, l’aumento dei consumi delle risorse

idriche a causa dell’espansione urbanistica, delle attività industriali ed agricole ha

comportato il crescente bisogno di risorse idriche di buona qualità. Pertanto, per un uso

sostenibile e durevole delle risorse idriche bisogna tenere conto della qualità delle acque

e dell’analisi della vulnerabilità intrinseca all’inquinamento di un territorio. In tale

contesto, si inserisce il presente lavoro di tesi finalizzato alla definizione dei caratteri

idrogeologici e delle caratteristiche idrochimiche delle acque nella bassa valle del fiume

Calore, una zona nota da tempo per la sua ricchezza in acque sotterranee, in modo da

poter evidenziare le modalità di contaminazione chimica e lo stato delle acque di falda

in una porzione circoscritta del territorio. L'obiettivo di tale lavoro è stato quello di dare

un contributo alle conoscenze idrogeochimiche della zona della bassa valle del fiume

Calore essendo stato questo, per molti anni, sede di importanti attività agricole con

conseguente inquinamento dei corpi idrici presenti. A tale scopo sono stati effettuati una

serie di campionamenti in corrispondenza dei corsi d'acqua, delle sorgenti, nonché delle

acque provenienti dalla falda.

Lo studio parte da un confronto di due analisi di monitoraggio effettuate, la prima nel

2007 e la seconda nel 2009. A queste è stata fatta seguire un’ultima campagna di analisi

effettuata nel febbraio 2010 su alcuni punti d’acqua significativi. Essa ha permesso di

consolidare solo alcuni degli aspetti riscontrati nelle precedenti campagne. Il presente

lavoro di tesi può essere suddiviso in due parti principali:

• una parte caratterizzata dallo studio preliminare prettamente teorico e

fondato su basi bibliografiche dell’area che include: l’inquadramento

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territoriale, con particolare riferimento agli aspetti geologici, le

caratteristiche idrogeologiche e le metodologie di elaborazione dei dati;

• una parte riguardante gli aspetti pratici del caso di studio che include: il

campionamento dei parametri chimico-fisici, la fase analitica di

laboratorio e le applicazioni gis al caso di studio.

Lo studio effettuato si colloca in ambito di ricerca prettamente riferito alla protezione

delle acque superficiali e sotterranee allo scopo di fornire, competenti agli Enti che

operano sul territorio ed alle amministrazioni locali, un valido strumento di supporto e

conoscenza delle problematiche legate alle acque sotterranee dell’area oggetto di studio,

e di pianificazione degli interventi a prevenzione e protezione del degrado qualitativo e

quantitativo della risorsa idrica. Per affrontare la problematica di cui si ci è occupati

durante lo svolgimento della tesi, ma, in generale, nell’analisi di tutti i problemi a

carattere ambientale è necessario che si abbia un approccio multidisciplinare in cui non

si prenda in considerazione soltanto uno o pochi aspetti del problema. In generale è

importante avere un approccio che:

• consideri il valore del territorio;

• abbia consapevolezza dei fenomeni in corso e delle loro interrelazioni;

• si basi su una visione integrata del territorio secondo un approccio

multidisciplinare, tramite anche l’utilizzo del Gis.

Per la realizzazione del presente lavoro, infatti, è risultato indispensabile l’utilizzo dei

Sistemi Informativi Territoriali sia per la tipologia di dati utilizzati che per la necessità

di fruire in modo dinamico delle informazioni.

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CAPITOLO 1: INQUADRAMENTO TERRITORIALE

Al fine di rendere agevole e comprensibile il presente lavoro di tesi e per la

realizzazione dell’analisi idrogeologica del territorio oggetto di studio, è risultato

necessario effettuare l’inquadramento territoriale dell’area dal punto di vista geografico,

geologico, idrogeologico, storico e socio-economico, dapprima, in un ambito regionale

e provinciale e, successivamente, esaminando i diversi aspetti nel dettaglio.

1.1 La Geografia regionale e provinciale

La Campania è una regione dell’Italia meridionale che ha un’estensione di circa 13.595

km², il cui territorio è per il 51% collinare, il 34% montuoso ed il 15% pianeggiante. La

dorsale appenninica centrale, da nord-ovest a sud-est,

comprende i massicci del Matese, del Taburno,

dell’Avella, del Terminio, del Cervialto, dell’Alburno,

del Cervati ed è accompagnata verso est da una zona

di altopiani e conche. La zona costiera è, invece,

caratterizzata da massicci vulcanici (Somma-Vesuvio,

Campi Flegrei) e di origine sedimentaria (monti

Lattari e Massico). La Pianura Campana, propriamente detta, fertile ed intensamente

popolata comprende la piana del fiume Garigliano e quella del fiume Volturno a nord e

a sud di quest’ultima la valle del fiume Sarno. Il restante territorio di pianura comprende

la pianura del fiume Sele a sud, formante la piana di Pesto e la pianura di Salerno. La

Campania è attraversata da fiumi a portata perenne caratterizzati da notevoli volumi per

tutto l’anno, che assicurano adeguato rifornimento di acqua per usi irrigui ed industriali.

I fiumi più importanti comprendono:

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− il Garigliano, al confine con il Lazio;

− il Volturno, molto ricco di acqua anche per i numerosi affluenti tra i quali

il Calore, sfocia nel Mar Tirreno;

− il Sele, con l’affluente Tanagro, provvede al rifornimento potabile della

Puglia;

− l’ Ofanto, al confine con la Basilicata, sfocia poi nell’Adriatico in Puglia.

Numerosissimi sono i corsi d’acqua minori che presentano un regime torrentizio. I

quattro fiumi citati, invece, hanno un regime pressoché costante.

La Regione Campania è suddivisa in 5 Province e 551 Comuni:

• Provincia di Avellino (119 comuni)

• Provincia di Benevento (78 comuni)

• Provincia di Caserta (104 comuni)

• Provincia di Napoli (92 comuni)

• Provincia di Salerno (158 comuni)

La provincia di Benevento è situata nell'area Nord-Orientale della Regione Campania, si

sviluppa su una superficie di 207.064 Ha ed è divisa in 78 Comuni. Confina a nord con

il Molise (Provincia di Campobasso), a est con la Puglia (Provincia di Foggia), con la

Provincia di Avellino e la Provincia di Napoli a sud e con la Provincia di Caserta a

ovest. Il capoluogo di provincia è Benevento con un’altitudine di 135 m. s.l.m. È un

piccolo centro agricolo con poche industrie a causa della sua sfavorevole posizione

geografica piuttosto isolata.

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Figura 1.1 – Inquadramento delle Provincie della Campania

I fiumi principali sono, innanzitutto, il Calore Irpino, che nasce sul Monte Accèllica

(1660 m.) in provincia di Avellino per riversarsi nel Volturno, il quale interessa

parzialmente i confini occidentali; abbiamo poi due affluenti del Calore provenienti

sempre dalla provincia di Avellino: il Sabato, che confluisce nel Calore nei pressi di

Benevento, e l'Ufita (il Miscano, nato in provincia di Foggia, si riversa nell'Ufita); un

altro affluente, il Tammaro, proviene dalla provincia di Campobasso.

Altri corsi d’acqua sono il Fortore, che, nasce in provincia di Foggia, attraversa la zona

nordorientale, per poi riversarsi nel lago di Occhito; l'Isclero, che nasce sul monte

Mauro nel massiccio del Taburno, attraversa la Valle Caudina e si riversa nel Volturno;

ed il Titerno, che interessa il settore NW e confluisce anch'esso nel Volturno.

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I laghi sono pochi e di scarsa importanza, il più esteso è il Lago di Telese.

Le più notevoli pianure della provincia sono:

• La Piana di Solopaca, (superficie di circa 36 km²), situata alla confluenza del

Calore con il Volturno, presenta una quota media di soli 50 m, e la pianura

precedente, tra Ponte Maria Cristina e la stazione di Casalduni, posta

pressappoco alla medesima altezza topografica, con un'estensione di circa 8 km².

Entrambe le piane sono attraversate dal basso corso del fiume Calore.

• La Piana di Benevento, all'altezza media di circa 130 m, con un'estensione di

oltre 10 km² attraversata dal medio corso del fiume Calore.

• Il Piano di Apice, a 165 m d'altezza media, a NW del paese, sulla sinistra del

Calore, di forma quasi triangolare, con una superficie di 225.000 m² .

• La Piana di Calice, a SW di San Giorgio La Molara, all'altezza di circa 270 m,

sulla sinistra del Tammaro, con una superficie di circa 625.000 m² .

• La Piana di Decorata, tra Castelpagano e Castelvetere in Val Fortore all'altezza

di 330 m circa.

• La Valle Caudina, che è la maggiore delle pianure beneventane, ed è la più

florida ed opulenta, ad un'altezza di circa 270 m ed una superficie di oltre 60

km², di forma quasi circolare, chiusa dai monti Avella a sud, Taburno a nord, dal

ramo che congiunge il Taburno al Partenio ad est, e dall'altro ramo ( monti

Tairano e Veccio) che congiunge i medesimi monti ad ovest.

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1.2 Inquadramento geografico, storico e socio-economico dell’area di studio

La zona esaminata della Provincia di Benevento è il settore Centro-Occidentale, situato

nella bassa valle del fiume Calore, tra gli abitati di Ponte e Solopaca.

Figura 1.2 – Inquadramento dell’area di studio.

L’area ha un’estensione di circa 36 Km2 allungata in direzione est-ovest ed è delimitata

dalle dorsali mesozoiche del Monte Matese a nord e del Monte Camposauro a sud. Dal

punto di vista altimetrico la zona presenta quote che variano dai 45 metri s.l.m. nei

pressi del comune di Solopaca ai 1390 metri in corrispondenza del Monte Camposauro.

Come attestano le testimonianze storico-archeologiche presenti sul territorio, l’area di

Solopaca ha un’origine molto antica. Il territorio dove sorge fu abitato, stando ad alcuni

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ritrovamenti, fin dall'epoca preistorica anche se le testimonianze più evidenti risalgono

al periodo medievale. A partire dall’epoca preistorica, poi sannita, romana e longobarda,

si ritrovano infatti numerosi reperti: tombe, ruderi di ville e fortificazioni ancora oggi

visibili. Di origine normanna è l’attuale centro storico. Non lontano dal centro abitato,

sulle sponde del fiume Calore, si vedono i resti del Ponte Maria Cristina, raro esemplare

di ponte pensile, fatto edificare da Ferdinando II di Borbone nel 1832 intitolato alla sua

consorte Maria Cristina.

Nel XVIII secolo Solopaca attraversa un periodo di prosperità economica dovuta

soprattutto al commercio del vino, dell'olio e delle ciliegie e si abbellisce dal punto di

vista urbanistico con numerosi Palazzi dai caratteristici portali in pietra. La zona ricade

quasi interamente nell’area del Taburno-Camposauro e, quindi, nel Parco di cui ne

esprime le tipiche caratteristiche ambientali, culturali ed economiche. Il suo territorio si

presenta fertile e rigoglioso: a valle con le grandi estensioni di vigneti ed uliveti, ubicati

in una fertile zona di pianura favorita da numerose strade che la collegano ad importanti

arterie viarie; a monte con i suoi boschi ricchi di flora, fauna e risorse idriche. Le

numerose conche carsiche e le profonde falde acquifere rendono la zona ricca di acqua.

Il territorio di Solopaca è stato sempre coltivato a vigneti e ad oliveti con una

competenza che si è andata affinando nel tempo. Qui la vite trova nella collina e nella

natura del terreno il suo ambiente ideale, producendo un vino rosso rubino di profumo

delicato, di sapore netto, di estrema gradevolezza e di morbida pastosità con gradazione

alcolica oscillante tra i 12 ed i 13 gradi. Il vino bianco presenta il profumo della

malvasia ed un sapore armonico e vellutato con una gradazione alcolica oscillante tra

11,50 e 12 gradi. Oggi Solopaca è fra i centri economici più attivi del Sannio, noto per

la produzione del vino Solopaca ed Aglianico.

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1.3 Idrografia superficiale e caratteri idrogeologici

Il Fiume Calore nasce dal Monte Accèllica (1660 metri) nel comune di Montella

(Avellino), ed è il principale affluente di sinistra del Volturno. Presenta una lunghezza

di 108 km, è caratterizzato da un bacino di raccolta assai ampio (3.058 km², oltre la

metà di quello totale del Volturno), da una discreta permeabilità ed è ricco di sorgenti. Il

Calore ha una notevole portata d'acqua alla foce (31,8 m3/s, il quarto del sud-Italia

dopo Volturno, Sele e Crati), pur risentendo in maniera pesante di una certa irregolarità

di regime e di un pesante sfruttamento delle sue acque. In autunno e inverno a causa

delle precipitazioni sono dunque frequenti e imponenti le piene (talvolta disastrose

come accaduto il 2 ottobre del 1949, alle ore 5:30 quando venne alluvionata per gran

parte la città di Benevento); al contrario in estate il fiume rimane a tratti impoverito

della sua portata a causa delle pesanti captazioni delle sue acque. Per i primi 43 km

scorre nella provincia di Avellino e per gli altri 65 km nella provincia di Benevento. Il

suo corso si può dividere in alto, medio e basso Calore. La bassa valle del fiume

interessa, appunto, l’area compresa tra Ponte e la confluenza dello stesso nel Volturno

presso Amorosi (Castel Campagnano). L’ampia vallata si presenta fortemente

asimmetrica con l’asse vallivo spostato verso Sud. Il corso del Fiume ricade al centro

dell’area di studio con andamento est-ovest e si sviluppa con un tracciato a meandri

irregolari fino all’altezza della stazione ferroviaria di Solopaca, dove è presente una

stretta morfologica in gran parte erosa attualmente e a valle della quale il corso d’acqua

assume un andamento quasi rettilineo fino alla confluenza nel Volturno. La presenza di

questa stretta ha creato condizioni di rallentamento della corrente fluviale con

sovralluvionamento e formazione di meandri ad ampio raggio a monte.

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Figura 2.5 – Andamento del fiume Calore nell’area di studio.

Il Calore presenta otto stazioni di monitoraggio ubicate lungo l’intera asta. La qualità

dell’acqua peggiora marcatamente man mano che ci si avvicina alla confluenza con il

Volturno. Presenta lungo il suo corso numerosi scarichi fognari e nel tratto a valle della

città di Benevento riceve gli apporti del fiume Sabato, del torrente Serretelle e del

torrente San Nicola. Questo determina un marcato peggioramento della qualità

dell’acqua. In questo tratto come facilmente prevedibile il suo stato ambientale si può

definire pessimo. Nel complesso, per quanto riguarda la qualità delle acque, il fiume

Calore presenta un andamento inverso rispetto agli schemi convenzionali. Si riscontra

cioè una situazione fortemente compromessa nel tratto superiore. Verso valle la

diluizione del carico organico produce un effetto di autodepurazione. Il tratto in

corrispondenza della città di Benevento presenta, come detto, una qualità dell’acqua

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fortemente compromessa. Nei tratti a valle, grazie alla maggiore diversità ambientale, si

assiste ad un miglioramento dello stato ambientale del corso d’acqua.

1.4 Inquadramento geologico regionale e provinciale

Per una attenta analisi idrogeologica dell’area oggetto di studio risulta utile effettuare

una panoramica generale della struttura geologica dell’Appennino campano, e più in

generale, dell’Appennino Meridionale.

Gli eventi che hanno generato l'assetto geologico-strutturale della Campania sono

strettamente connessi agli eventi che hanno generato il quadro strutturale della penisola

italiana. Le principali strutture geologiche della penisola italiana sono rappresentate da

quattro elementi strutturali di primo ordine:

1) area tirrenica, caratterizzata da crosta continentale assottigliata e, in alcune zone

(Tirreno meridionale), da crosta oceanica, formatasi a partire dal Tortoniano superiore -

Messiniano inferiore in seguito a processi di rifting avvenuti all'interno di una catena

preesistente;

2) catena appenninica, costituita da coltri di ricoprimento, a convergenza adriatica, e

dai depositi di riempimento di bacini che si impostavano sulle coltri di ricoprimento in

avanzamento;

3) l'avanfossa appenninica, costituita da sedimenti plio-quaternari in parte sepolti sotto

le falde appenniniche;

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4) l'avampaese, costituito da una potente successione carbonatica mesozoica, impostata

su crosta continentale, in graduale approfondimento verso SW al di sotto delle coltri

appenniniche.

In questo contesto strutturale la Campania comprende un piccolo settore della catena

appenninica. La Regione Campania presenta un assetto geologico-strutturale molto

complesso. In generale, tutto l’Appennino rappresenta una catena orogenica formatasi

dalla convergenza della placca Eurasiatica e della placca Africana durante il Cenozoico.

Figura 1.3 - Avanzamento delle placche Africana ed Ellenica verso quella Eurasiatica.

La tettonica di compressione si sviluppò dal Cretacico Medio all’Oligocene, con la

collisione continentale a cui fece seguito un processo di rift nell’area Tirrenica e,

contemporaneamente, una seconda fase di compressione che determinò l’attuale

struttura dell’Appennino. Successivamente, la tettonica di compressione ha migrato da

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ovest verso est, causando il sovrascorrimento dell’intero edificio sull’Avampaese

Apulo. La regione Campania presenta una complessa struttura a falde di ricoprimento

derivanti dallo scollamento e dall'accorciamento delle coperture sedimentarie di domini

paleogeografici appartenenti al margine settentrionale della placca africano-adriatica e

trasportati verso l'avampaese padano-adriatico-ionico a partire dall'Oligocene superiore.

L'evoluzione tettonica dell'Appennino, dall'Oligocene superiore fino al Miocene medio,

viene messa in relazione alla convergenza tra la placca europea e quella africano-

adriatica, mentre, a partire dal Tortoniano superiore fino al Quaternario la propagazione

dei thrusts nella catena e l'apertura del bacino tirrenico sono stati controllati dal roll-

back della litosfera dell'avampaese in subduzione. Pertanto, l’Appennino Meridionale è

da considerarsi una catena a “falde di ricoprimento”. Tuttavia esso è stato oggetto di

varie interpretazioni che, soprattutto, a partire dagli anni sessanta, hanno portato alla

formulazione di diversi modelli. Negli anni settanta, infatti, fu formulato un modello

geologico dell’Appennino Meridionale, che ha costituito la base dei nuovi modelli, la

cui sintesi è riportata in IPPOLITO et alii, (1973). Gli Autori sostenevano che

l’evoluzione tettono-sedimentaria dell’Appennino Meridionale avesse avuto inizio con

la fase epirogenetica Retico-Liassica, nella quale la diversificazione tra le piattaforme

carbonatiche ed i bacini diviene più’ netta; dopo tale fase, infatti, e’ possibile

riconoscere una serie di unita’ paleogeografiche che conserveranno, nelle linee

essenziali, le loro individualità fino al Miocene Inferiore e si possono distinguere in

(IPPOLITO et alii, 1973):

• Piattaforma Campano Lucana, costituita da sedimenti carbonatici i più’

antichi dei quali risalgono al Trias Medio.

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• Bacino Lagonegrese, caratterizzato da calcari con selce che fanno passaggio

ad una successione argillitico-radiolaritica.

• Scisti Silicei. I terreni più’ antichi affioranti di quest’unità appartengono al

Trias Medio.

• Piattaforma Abruzzese-Campana, che presenta caratteri simili alle altre

piattaforme ed i terreni più antichi affioranti risalgono al Trias Superiore.

• Bacino Molisano, costituito da sedimenti pelagici di cui i terreni più’ antichi

sono, presumibilmente, del Trias Superiore.

• Piattaforma Apula, con caratteristiche analoghe alle altre piattaforme, con

spessori più elevati e i cui termini più antichi sono ascrivibili al Trias

Superiore.

• Bacino est Garganico, i cui terreni affiorano sul versante orientale del Gargano

ed i più antichi di questi sono del Giurassico Superiore.

Le fasi tettoniche cretaciche portarono ad una totale emersione della piattaforma esterna

e ad un’emersione parziale della piattaforma Apula.

Il Miocene e’ caratterizzato da tre distinte fasi (IPPOLITO et alii, 1973 ):

1. la fase langhiana, in cui la Piattaforma Campano-Lucana si inabissa dando luogo a

depositi calcarenitici che verso l’alto evolvono a sedimenti arenacei per lo più’

torbiditici con fase di flysch. Mentre la deposizione di questi terreni e’ ancora in atto si

verifica un sovrascorrimento della Piattaforma Campano-Lucana sulla parte occidentale

del bacino Lagonegrese e questo, a sua volta, si sovrappone sui terreni della zona assiale

del bacino. In questa fase nasce il Bacino Irpino che s’imposta in parte sulle aree

deformate e in parte sulla zona più esterna del bacino Lagonegrese non ancora

deformato .

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2. la fase serravalliana, durante la quale sulla Piattaforma Abruzzese-Campana si

verifica un’estesa trasgressione e l’area del Bacino Irpino si allarga verso l’esterno fino

a fondersi, nel Tortoniano, con il bacino Molisano.

3. la fase tortoniana, in cui si verifica lo scollamento della Piattaforma Abruzzese-

Campana che si sovrappone sul Bacino Molisano. Nel Pliocene Medio si assiste ad una

traslazione della pila delle coltri verso la piattaforma Apula. Successivamente, a partire

dal Pliocene medio, si verifica un sostanziale sollevamento della catena ed un

ribassamento della Fossa Bradanica.

In seguito furono proposti altri modelli, in particolare, secondo

D’ARGENIO,PESCATORE e SCANDONE (1973), e D’ARGENIO-SGROSSO (1974)

nel Triassico Superiore esisteva una piattaforma Campano-Lucana ed una piattaforma

Abruzzese-Apula separate dal bacino Lagonegronese.

Un modello paleogeografico più’ articolato è stato proposto da SGROSSO I. (1988).

Tale modello prevede, prima della deformazione, l’esistenza di numerose piattaforme

carbonatiche. Procedendo da est verso ovest, sono:

- la Apulo-Garganica

- l’Abruzzese-Molisana

- l’Abruzzese

- la Laziale-Abruzzese-Campana

- la Laziale-Campano-Lucana

- la Campano-Lucana-Calabrese

Questi terreni a partire dal Miocene avrebbero subito diverse fasi tettoniche che hanno

fortemente deformato l’insieme dei vari domini, e unitamente ai movimenti rotazionali

antiorari legati all’apertura del Tirreno e ai movimenti neotettonici, avrebbero provocato

l’attuale assetto strutturale della catena.

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Nel 1986 Mostardini & Merlini pubblicarono un modello strutturale dell’Appennino

Centro Meridionale che raggruppa tutte le piattaforme carbonatiche in una sola

(Piattaforma Appenninica) e considera il Bacino Molisano come un’estensione

settentrionale di quello Lagonegrese.

Sempre secondo PATACCA e SCANDONE (1988) l’Appennino Meridionale, le cui

strutture si estendono da est-ovest all’estremità settentrionale fino a nord-sud

all’estremità meridionale, è strutturato in tre archi minori che, andando da nord a sud

sono:

• l’arco molisano-sannitico

• l’arco campano-lucano

• l’arco calabro.

Di recente, I. SGROSSO (1998), ridefinisce il modello paleogeografico, già proposto in

precedenza, studiando in dettaglio i depositi Miocenici che affiorano in diverse località

dell’Appennino. L’Autore, in questo ultimo lavoro, ritiene ancora valide le sue

precedenti teorie che prevedevano l’esistenza durante il Mesozoico e l’inizio del

Terziario, di sei piattaforme carbonatiche.

In definitiva, l’Appennino Meridionale è caratterizzato da una struttura articolata e

complessa, derivata dall’impilamento di numerose unità stratigrafico-strutturali che

sono riconducibili alla deformazione di unità paleografiche preesistenti. Le unità

stratigrafico-strutturali che costituiscono l’Appennino Meridionale sono contraddistinte

da caratteristiche litologiche generalmente molto diverse, poiché formatesi in ambienti

sedimentari e contesti geodinamici molto dissimili.

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Le differenze litologiche influenzano macroscopicamente, anche a scala regionale, la

distribuzione, il reperimento e le problematiche della salvaguardia delle risorse idriche

sotterranee sul territorio.

L’area sannita, come peraltro l’intera dorsale appenninica (BRANCACCIO L.,

CINQUE A., 1988), è caratterizzata da una complessa struttura geologica indotta dalle

azioni compressive mioceniche e plioceniche, responsabili di una tettonica

prevalentemente di tipo duttile.

Infatti, l’Appennino sannita risulta costituito da una successione di falde embriciate a

vergenza adriatica, costituite prevalentemente da rocce calcareo-dolomitiche e da

depositi terrigeni in facies flyschoide (D’ARGENIO et alii, 1973). Le fasi tettoniche, sia

trascorrenti che distensive, hanno generato la formazione di sistemi di fagliazione che

hanno prodotto un ulteriore smembramento delle varie unità tettoniche. Tali unità,

organizzate in falde arcuate, inducono la presenza di fasce litologiche orientate in senso

appenninico con caratteri sostanzialmente simili tra loro.

Pertanto, il quadro geologico-strutturale è particolarmente articolato, in quanto oltre

all’affioramento di tipiche formazioni litologicamente complesse, appaiono evidenti,

sulle stesse, gli effetti delle diverse fasi di piegamento responsabili del particolare

assetto sia tra le unità che a scala mesostrutturale.

Studi geologici condotti su scala regionale hanno evidenziato la presenza, nell’area

sannita, di sequenze litologiche d’età compresa tra il Cretacico e l’attuale, appartenenti

a:

• successioni carbonatiche in facies di piattaforma, costituite da calcari

compatti e detritici, affioranti in corrispondenza del settore occidentale

(Monte Mutria, Monte Erbano, Monte Monaco, massicci mesozoici del

Taburno e del Camposauro);

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• successioni bacinali meso-cenozoiche appartenenti alle cosiddette Unità del

Sannio e del Fortore e caratterizzate da calcari stratificati alternati a marne e

marne argillose, argille e marne ad argille scagliose. Tali depositi affiorano

in modo esteso nel settore centro-settentrionale e, in misura inferiore, nella

zona più orientale del territorio beneventano (Monte Barbato). Mentre, nel

settore centrale, sia a Sud che a Nord del Fiume Calore, affiorano i depositi

del Flysch Numidico costituiti da sedimenti torbiditici con prevalenti

arenarie grigio-giallastre talvolta alternate da calcareniti e marne;

• successioni neogeniche sinorogeniche prevalentemente silico-clastiche, da

attribuire, con molta probabilità, al cosiddetto “Flysch di San Bartolomeo”

caratterizzato da arenarie, arenarie molassiche e marne;

• depositi piroclastici costituiti da piroclastiti da flusso di clore grigio, da

imputare alla formazione dell’Ignimbrite Campana, e da caduta affioranti nel

settore sud-occidentale dell’area;

• depositi detritici quaternari ed attuali, costituiti da accumuli detritici, depositi

fluviali e depositi travertinosi, nella zona a Nord di Telese.

1.5 Inquadramento geologico-geomorfologico-strutturale dell’area di studio

L’area oggetto di studio ricade nel settore a sud del IV quadrante del foglio 173-

Benevento della Carta Geologica d’Italia in scala 1:100.000 edita dal Servizio

Geologico Nazionale nel 1970.

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Figura 1.4 - Inquadramento dell’area di studio sul Foglio 173- Benevento

Nel foglio 173 BENEVENTO è possibile distinguere tre aree, a caratteristiche

geologiche diverse:

• facies abruzzese, i cui depositi costituiscono a Nord il versante sud-orientale

del Matese, al centro i massicci del Camposauro e del Taburno e a Sud il

versante settentrionale della catena del Partenio;

• facies di transizione, costituita da depositi detritico-selciosi posti al margine

centro-settentrionale del foglio;

• facies di flysch, nella parte centrale ed orientale del foglio, rappresentata da

depositi prevalentemente terrigeni della Depressione molisano-sannitica

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ricoperti, verso Sud, dai sedimenti del piccolo bacino pliocenico di

Benevento.

Ampie coltri di detrito, alluvioni fluviali e fluvio-lacustri, e prodotti piroclastici

ricoprono e colmano rispettivamente i versanti dei rilievi e le depressioni di origine

erosiva e tettonica.

Figura 1.5 - Distribuzione delle Facies

La piana del fiume Calore è costituita da un’estesa depressione tettonica delimitata dalle

dorsali carbonatiche mesozoiche del Matese, a Nord, e del Camposauro, a Sud. Sui

carbonati mesozoici poggiano i depositi in facies di flysch di natura argilloso-arenacea e

calcareo-marnosa, riferibili alle Arenarie di Caiazzo (Tortoniano-Messiniano Inferiore);

quest’ultima successione è troncata a tetto da una falda di ricoprimento costituita da

depositi calcareo-clastici e calcareo-marnoso-argillosi, riferibili alla formazione del

Flysch Rosso di età dell’Oligocene-Miocene (DI NOCERA et alii, 1975). Durante il

Quaternario la valle morfo-strutturale è stata parzialmente riempita da potenti accumuli

di depositi detritici ed alluvionali talvolta ricoperti da lembi di travertino e Ignimbrite

Campana (MALATESTA, 1958; D’ARGENIO, 1967; BERGONI et alii, 1975). Lo


21
spessore dei depositi detritici ed alluvionali, che costituiscono il principale acquifero

della piana, è piuttosto variabile (da pochi metri ad alcune decine di metri),

raggiungendo,in alcuni punti, anche 150 metri (CIVITA et alii, 1971). Tali depositi

nell’insieme raggiungono spessori molto elevati, affiorando per alcune centinaia di

metri soprattutto in destra orografica del Fiume Calore (depositi alluvionali antichi) e

sono stati carotati per spessori notevoli (oltre 150 m) al centro della piana e sul bordo

settentrionale del Monte Camposauro (depositi di conoide di Solopaca).

Figura 1.6 - Carta geologico schematica ridisegnata (da Bergomi et alii 1975, semplificata).

E’ possibile individuare nell’area in questione le seguenti unità strutturali:

• Terreni della Piattaforma Laziale-Abbruzzese-Campana

• Terreni della Coltre Sannitica

• Unità delle Arenarie di Caiazzo

22
• Terreni olocenici e pleistocenici

I Terreni della Piattaforma Laziale-Abbruzzese-Campana affiorano in sinistra orografica

del Fiume Calore ed interessano la dorsale settentrionale del monte Camposauro, dal

comune di Paupisi a quello di Solopaca. La struttura carbonatica del Monte Camposauro

è costituita per lo più da termini litologici di una successione carbonatica mesozoica,

costituita da dolomie, calcari dolomitici e calcari ( cretacico - tortoniano inferiore ) , con

uno spessore complessivo di circa 1300 metri e subordinatamente da conglomerati e

calcari organogeni trasgressivi (D’ARGENIO, 1963).

I Terreni della Coltre Sannitica rappresentano un falda di ricoprimento la cui

successione di terreni comprende argille pelagiche varicolori con intercalazioni di

biocalcareniti e calcilutiti risedimentate, marne rosse e calcari pelagici con

intercalazioni di calcari clastici grossolani. Nel dettaglio sono costituiti da :

• Unità Irpine, che affiorano a nord-est del comune di Ponte

costituite da conglomerati poligenici con clasti di rocce cristalline,

arenarie e calcareniti arenacee.

• Flysch Numidico affioranti a sud e a sud-est dell’abitato di

Torrecuso caratterizzato da quarzoareniti giallastre a cui si

alternano in alcuni punti livelli marnoso-argillosi di colore

verdastro e raramente rossastro .

• Flysch Rosso rinvenuti nel territorio comunale di Torrecuso e

Ponte e nei pressi della stazione ferroviaria di Solopaca,

caratterizzati da calcareniti, calcilutiti e calciruditi più o meno

intensamente ricristallizzate ed alternate a marne ad argilliti e ad

esili livelli carbonatici di colore bianco.

23
• Argille Varicolori affioranti a nord del territorio comunale di

Torrecuso e di Ponte e nei pressi del Vallone del Corpo,

caratterizzati da un complesso caotico di argille e marne scagliose

varicolori.

L’Unità delle Arenarie di Caiazzo interessano, soprattutto, i comuni di Paupisi e

Torrecuso, e la località Vallone del Corpo e rappresentano l’unità affiorante più bassa.

La successione in località Vallone del Corpo a sud-est dell’abitato di San Lorenzo

Maggiore è costituita da un membro calcareo-pelitico (calcari,marne ed argille) ed un

membro arenaceo.

I Terreni olocenici e pleistocenici interessano la maggior parte del Fiume Calore e dei

suoi affluenti ed affiorano sia in destra che in sinistra orografica. In sinistra orografica

del Fiume Calore sono rappresentati, per lo più, da Depositi di Falda e

Brecce Sintettoniche che provengono dalla serie calcareo-dolomitica mesozoica e sono

ricoperte da numerosi corpi di conoide. Alle brecce sintettoniche si sovrappongono

estese fasce di detrito di falda antico e recente caratterizzate da elementi carbonatici ed

arenacei. I depositi più antichi sono presenti in destra orografica e poggiano in parte sui

terreni argillosi e calcareo marnosi del Flysch Rosso ed in parte sui terreni arenacei. Tali

alluvioni sono riscontrabili anche in sinistra orografica nella zona compresa tra Ponte e

Torrecuso. Mentre le Alluvioni Recenti, che si snodano lungo l’attuale asta fluviale sia

in destra che in sinistra orografica tra i comuni di Ponte e Solopaca, presentano

generalmente una granulometria fine e sono caratterizzate da ghiaie poligeniche sciolte

di piccola e media dimensione con ciottoli ed intercalazioni di lenti sabbiose giallastre.

Infine i depositi piroclastici sono costituiti da materiali vulcanici sciolti a cui sono

intercalati piroclastiti tra cui “tufi grigi napoletani” “tufi gialli”, cineriti.

24
Figura 1.7 - Carta geologica dell’area di studio.

Dal punto di vista geomorfologico-strutturale, la valle si imposta su una importante

linea tettonica di carattere compressivo che vede la sovrapposizione dei calcari del

Monte Camposauro sui depositi terrigeni ed i calcari della zona di Telese (BOSCAINO,

2000).

Fasi tettoniche successive hanno poi disarticolato le unità tettoniche attraverso diversi

sistemi di faglia, sollevando in parte anche gli stessi depositi quaternari.

25
Il bordo meridionale della valle è marcato, infatti, da un limite molto netto,

corrispondente al versante nord del massiccio del Camposauro; il settore settentrionale

si presenta molto più articolato. Questo, è impostato su una faglia che borda il versante

meridionale del Monte Monaco di Gioia, e da una serie di faglie trasversali su cui si

impostano i rilievi di Monte Acero e di Montepugliano.

Le maggiori evidenze geomorfologiche di tettonica sono rappresentate dalle scarpate di

faglia presenti sia in destra che in sinistra del Fiume Calore, di altezza inferiore ai 4 m,

la cui continuità è lateralmente interrotta da tratti rettilinei di torrenti in corrispondenza

dei quali esse appaiono traslate verso monte o verso valle: è pertanto probabile che tali

corsi d’acqua siano impostati su faglie con componente trascorrente.

Le scarpate interessano depositi non conservativi (ghiaie alluvionali sciolte e sedimenti

di conoide): nonostante ciò, esse sono caratterizzate da notevole “freschezza”

morfologica. Questo dato appare spiegabile con un’età recente delle faglie generatrici,

confermata dal fatto che le faglie in oggetto dislocano terrazzi di età basso o medio-

olocenica (MAGLIULO, 2004) e sono dunque più recenti dei terrazzi stessi. Tra le

faglie evidenziate da tratti anomali dei corsi d’acqua, particolarmente evidente è

risultata quella su cui è impostato il tratto terminale del Vallone del Lago il quale,

intorno a quota 120 metri s.l.m., passa da una direzione di deflusso NNWSSE ad una

direzione NNE-SSW assumendo, nel contempo, un andamento rettilineo. La stessa

faglia intercetta anche un tratto del Fiume Calore, il quale passa da una direzione di

deflusso E-W ad una NNE-SSW. La faglia disloca di circa 2 metri i terrazzi alluvionali

alto-olocenici e ciò consente di ipotizzare che essa sia stata attiva anche in tempi

recenti.

26
Figura 1.8 - Carta geologica della bassa valle del Fiume Calore con le faglie principali e quelle
presunte.

1.6 Aspetti particolari del territorio: I sinkhole di Solopaca

Il termine sinkhole (che letteralmente significa “buco di scolo”) fu introdotto per la

prima volta da FAIRBRIDGE (1968) e MONROE (1970) per indicare una depressione

di forma sub circolare dovuta al collasso di cavità carsiche sotterranee. In seguito questo

termine si è diffuso sempre di più ad indicare qualsiasi cavità subcircolare che si apre

improvvisamente nel terreno con richiamo di materiali verso il basso a prescindere dal

meccanismo genetico. Questi improvvisi fenomeni di sprofondamento si possono creare

sia in rocce solubili che in terreni granulari. Diffusi in tutto il mondo ed in contesti

geologici anche molto differenti, possono avere sia origini “naturali” (ad esempio

27
collasso di cavità carsiche) che antropiche (collasso di cavità artificiali abbandonate)

rappresentando, spesso, un fattore di grande rischio a causa della loro imprevedibilità. A

tal proposito NISIO (2003) in un riesame della terminologia tecnica in materia propone

definizioni più precise e specifiche delle varie tipologie di sinkhole distinguendoli sulla

base del loro meccanismo genetico (collapse sinkhole, solution sinkhole, cover sinkhole,

anthropogenic sinkhole, etc.).

In Campania sono molti i fenomeni da sprofondamento indotti dalla diffusa presenza di

cavità antropiche nel sottosuolo (anthropogenic sinkhole) delle provincie napoletane e

casertana, ma altrettanto numerosi, anche se meno noti, sono quelli di origine naturale

diffusi nelle aree appenniniche interne (CORNIELLO e DE RISO, 1986; BUDETTA et

alii, 1996; SANTO e TUCCIMEI, 1997; DEL PRETE et alii, 2004). Tra le tipologie di

sinkhole di origine naturale presenti in Campania, si possono distinguere:

• grandi doline da crollo di origine carsica (collapse sinkhole) che si

aprono sui versanti carbonatici; in letteratura (DEARMAN, 1981;

FORD e WILLIAMS, 198 ) lo sviluppo di questi fenomeni viene

imputato a collassi per dissoluzione ed indebolimento della roccia

costituente la volta di preesistenti cavità;

• sinkhole che si sviluppano interamente nelle coperture detritiche

(brecce di versante e ghiaie di conoide) presenti alla base di

massici carbonatici (cover sinkhole di Solopaca e Raviscanina ) ,

in questo caso si generano delle ampie e profonde depressioni di

forma da circolare a ellittiche, con profondità di alcune decine di

metri e pareti sub verticali;

28
• sinkhole che si sviluppano in materiali limoso-sabbioso-ghiaiosi

delle aree della piana alluvionale (piping sinkhole) le quali hanno

coinvolto le sovrastanti unità piroclastiche. In questo caso si

individuano morfologie nettamente circolari e con dimensioni

generalmente molto inferiori rispetto ai casi precedenti. La falda è

generalmente sub affiorante e la depressione che si genera è spesso

occupata da un piccolo specchio d’acqua.

I sinkhole sono talora stati oggetto di controverse interpretazioni riguardo la loro genesi

(DEL PRETE et alii, 2004). Molti sinkhole si aprono sui versanti dei rilievi carbonatici

in corrispondenza di importanti faglie regionali ed in corrispondenza di risalite di gas

endogeni, in aree mineralizzate, dove si creano situazioni di ipercarsismo

(Montepugliano a Telese, sorgenti di Triflisco presso Caserta, sinkhole di Cancello, e

quelli di Castellammare-Vico Equense e di Contursi nella alta valle del Sele).

Altri fenomeni interessano le litologie carbonatiche ma non hanno nessuna interazione

con sorgenti basali in quanto ubicati ad alta quota sui versanti e dove, attualmente, non

si hanno dati sulla presenza di falde mineralizzate (sinkhole di Valle di Maddaloni, dei

M.ti di Avella e Sarno presenti a Monteforte, Casamarciano e Roccarainola, sinkhole di

Pertosa sugli Alburni). Queste fenomenologie sembrano ormai relitte e potrebbero

avere età anche molto antiche (alcune centinaia di migliaia di anni) di fatto sono ancora

ben conservate perché interessano rocce lapidee (calcari mesozoici).

Infine una terza tipologia di sinkhole interessa aree pianeggianti ed in alcuni casi si

aprono nelle zone di raccordo con il fondovalle di massicci carbonatici già interessati da

sprofondamenti più francamente di origine carsica (Telese, Contursi, Solopaca). In

molti altri casi, invece, essi si aprono in aree alluvionali sub-pianeggianti, lontano dai

versanti calcarei e dove il substrato carsificabile è ubicato anche ad oltre 100 m di

29
profondità. Le aree interessate da questi fenomeni corrispondono ad importanti

depressioni tettoniche per lo più colmate, nel corso del Quaternario, da depositi

ghiaioso-sabbioso-limosi alluvionali e da piroclastiti rimaneggiate e da caduta.

In tutti i casi le depressioni sono delimitate da importanti faglie regionali probabilmente

ancora attive, come testimoniato dall’elevato grado di sismicità delle aree. Le ricerche

hanno permesso di riconoscere per ogni settore la presenza di più fenomenologie, ma

non si esclude che molte altre si possano essere formate precedentemente ed ormai

risultano obliterate dalla azione antropica.

I sinkhole in aree alluvionali, infatti, molto spesso ricadono in zone agricole e per tale

motivo vengono ricolmati dall’uomo o rimodellati, anche se lentamente, dall’erosione.

Tra le aree di piana alluvionale nelle quali sono state riscontrate tali fenomenologie

rientra la bassa valle del Fiume Calore beneventano nella zona pianeggiante che

comprende i territori comunali di Telese e Solopaca.

Tali fenomeni il più delle volte sembrano essere molto recenti, di età storica, tant’è che

per alcuni di essi esistono fonti che li farebbero risalire all’epoca romana (come nel caso

di alcune Fosse Falerne). Spesso la loro genesi è associata ad importanti eventi sismici,

come è accaduto nell’area telesina.

Anche per gli sprofondamenti di Solopaca vale il discorso dei fenomeni carsici, ed in

particolare i sopralluoghi, unitamente ai dati geotecnici raccolti grazie alla Legge 464

del 1984, hanno permesso di constatare che si tratta per lo più di “doline alluvionali” (P.

CELICO, 1983) o “doline subdetritiche” (B. D’ARGENIO, 1959), che si aprono nelle

coperture clastiche sovrapposte ai calcari (detriti di versante, piroclastiti rimaneggiate,

ghiaie di conoidi alluvionali), molto recenti. Nei pressi di Solopaca, sull’altra sponda

del Fiume Calore, sono presenti almeno 11 cavità subcircolari lungo la fascia di

raccordo delle pendici carbonatiche del versante settentrionale del M. Camposauro ed il

30
fondovalle del Fiume Calore. Sono distribuite lungo una fascia allineata in direzione

NE-SW, cioè secondo la direzione della faglia che delimita il versante nord del M.

Camposauro, e si aprono a quote comprese tra 300 e 100 metri s.l.m.. Nel gergo locale

sono denominate “Laghi”, sebbene a memoria d’uomo non vi sia mai stata presenza di

ristagno di acqua sul fondo.

Figura 1.9 - Panoramica da foto aerea dei fenomeni di sprofondamento presenti presso l’abitato di

Solopaca (BN) lungo le falde settentrionali del massiccio del Camposauro.

Durante la formazione di queste cavità, il diaframma calcareo che ne costituiva la volta,

per il suo diminuito spessore, come pure a causa del detrito di falda che la gravità ed il

ruscellamento andavano accumulando, assieme a materiali piroclastici, non ha resistito

al peso sovraincombente ed è franato (D’ARGENIO, 1959). Gli episodi di Solopaca,

localizzati su coperture detritiche e collegati anch’essi ad episodi di carsismo, vanno

31
indicati come cover sinkhole. Alcune cavità si presentano ancora allo stato “naturale”,

mentre molte altre risultano più o meno alterate da attività antropiche. La maggior parte

di queste ultime, infatti, è stata riutilizzata a scopi agricoli, con la realizzazione di

vigneti, e purtroppo in alcuni casi sono state utilizzate anche come luogo di discarica.

Figura 1.10 - Cavità adibita a vigneto in località Petraia, nei pressi di Solopaca.

Dal punto di vista morfologico i sinkhole di Solopaca, generalmente, presentano una

morfologia da circolare ad ellittica, con pareti raramente verticali. Più frequentemente,

infatti, presentano pareti a “V”, talora rimodellate da piccoli fenomeni franosi sui cigli.

Il fondo è generalmente piatto o, in alcuni casi, in leggera contropendenza. Dal punto di

vista litostratigrafico, quasi tutti gli sprofondamenti interessano depositi quaternari di

conoide alluvionale, detrito di falda, depositi fluvio-lacustri ed anche piroclastici. Solo i

32
due più meridionali (che sono anche quelli altimetricamente più alti) si impostano in

calcari fortemente cataclasizzati.

Per quanto riguarda i rapporti con la falda, essa risulta localizzata a circa 60 metri s.l.m.

(ESPOSITO et alii, 2003), e cioè a pochi metri per le cavità più orientali, e più bassa di

circa 70-80 m per quelle più occidentali e più alte in quota. E’ possibile ipotizzare al

momento una sorta di migrazione dei sinkhole da ovest verso est da mettere in relazione

alla complesse interazioni tra tettonica, sorgenti minerali e falda di base.

Secondo MOZZARELLA lo sprofondamento più giovane, Fondo di Vitale, nei pressi di

Casino Perlinceri, risale al 1840; tutti gli altri dovrebbero essere molto più antichi.

In due casi le evidenze morfologiche indicano che in alcuni sinkhole si possano essere

verificati almeno due diversi momenti di sprofondamento come è avvalorato dalla

presenza nella depressione di diversi lembi di superfici sospese bordate da scarpate

emicicliche. L’assetto stratigrafico ed idrogeologico dei sinkhole di Solopaca (presenza

di potenti successioni di conoide alluvionale di natura calcarea a tetto del calcare

carsisificato) lascia ipotizzare fenomeni di intensa dissoluzione e formazione di

sprofondamenti o nel substrato o nelle ghiaie

di conoide ed induce ad ipotizzare un meccanismo genetico di tipo cover collapse

sinkhole.

La carsificazione potrebbe essere facilitata dalla risalita di fluidi mineralizzati ed

aggressivi lungo la faglia bordiera del M.te Camposauro (vedi presenza di alcune

sorgenti minerali); non sono ancora chiari invece, il ruolo svolto dalla falda basale, che

sembra essere più profonda rispetto al fondo delle depressioni e il rapporto tra sviluppo

dei sinkhole e terremoti. Di fatto, per gli sprofondamenti di Solopaca non si hanno dati

certi sulla loro età e probabilmente, in alcuni casi, potrebbero essere anche antichi e

slegati dall’attuale assetto geomorfologico ed idrogeologico.

33
Figura 1.11 - Panoramica da foto aerea di alcuni dei fenomeni di sprofondamento presenti presso

l’abitato di Solopaca (BN) lungo le falde settentrionali del massiccio del Camposauro.

I dati geologici raccolti riguardo la genesi di tali cavità possono essere così sintetizzati:

- presenza di travertini in alcuni settori della piana del fiume Calore (con spessore

variabile tra 7 e 14 metri);

- diffusi fenomeni carsici sui versanti che circondano l’area (in particolare sul rilievo di

Montepugliano);

- profondità del substrato carbonatico nella piana maggiore di 55 metri;

- presenza di depositi alluvionali, costituiti in prevalenza da alternanze limoso -

sabbiose;

- esistenza di un acquifero confinato in pressione che può operare un’escavazione nei

depositi, sia perché questi ultimi sono facilmente erodibili, sia per le caratteristiche

chimico-fisiche delle acque stesse;

34
- presenza di acque termali sulfuree di risalita profonda, la cui mineralizzazione ha

origine dai depositi evaporitici presenti nel bedrock triassico.

Alla luce degli studi realizzati, la formazione degli sprofondamenti appare riconducibile

a meccanismi genetici diversi. In generale è stato rilevato che la loro genesi interessa e

coinvolge diverse tipologie di terreni sia litoidi (calcari mesozoici) che sciolti ed a

granulometria variabile (dal detrito di falda alle ghiaie di conoide, a depositi alluvionali

limo sabbiosi, a depositi piroclastici incoerenti o poco coerenti).

Le prime analisi strutturali hanno permesso di constatare che essi si sviluppano,

generalmente, lungo linee di faglia localizzate alla base di massicci carbonatici ed

orientate per lo più in direzione N120° e N40°. In alcuni casi secondo faglie orientate in

direzione E-W. In quasi tutte le aree interessate da sinkholes sono presenti emergenze di

falde mineralizzate.

E’ chiaro quindi, come già proposto da diversi autori (CORNIELLO & DE RISO, 1986;

CORNIELLO et alii,1999; FORTI & PERNA, 1986; FORTI, 1991; FORTI, 2002), che

esiste una stretta relazione tra tettonica recente, falde mineralizzate, fenomeni di

ipercarsismo e collassi di sinkhole.

Per quanto riguarda le età dei terreni più recenti coinvolti dagli sprofondamenti, fatta

eccezione per i sinkhole in calcari, tutti gli altri hanno interessato depositi clastici e

piroclastici del Pleistocene superiore e spesso dell’Olocene. Solo in alcuni casi esistono

date certe su sprofondamenti storici come a Telese (1349; 2002). Alcuni

sprofondamenti hanno già coinvolto aree urbanizzate (Telese) altri, anche se antichi,

sono ubicati in aree con diffusa presenza di strutture ed infrastrutture e alcuni sono

prossimi a centri abitati in espansione (Solopaca).

Questi fenomeni, comunque, anche se molto di rado, continuano a verificarsi tutt’oggi e

a causa del notevole ampliamento delle aree urbanizzate, la loro interazione con

35
l’antropizzato rappresenta un fattore di grande rischio per l’incolumità pubblica e

privata. Le interpretazioni sulla loro genesi non sono ancora del tutto chiare; alcuni

sprofondamenti più antichi, sono stati interpretati da alcuni Autori come manifestazioni

vulcaniche di tipo freatico “gassoso” (maar) post Ignimbrite Campana. In altri casi,

invece, le fonti storiche tramandano informazioni certe in merito alla genesi di simili

fenomeni, come nel caso dell’area telesina alle estreme propaggini sud orientali dei

Monti del Matese; mentre le manifestazioni recenti (come quelle di Telese nel 2002)

stanno consentendo l’avvio di preziose indagini e ricerche per una miglior

comprensione della loro formazione. Di grande importanza si sta rivelando l’approccio

multidisciplinare al problema, con particolare riguardo alle informazioni che derivano

dallo studio stratigrafico ed idrogeologico.

36
CAPITOLO 2: CARATTERISTICHE IDROGEOLOGICHE

La provincia di Benevento è caratterizzata da un assetto geologico-strutturale piuttosto

complesso che condiziona l’assetto idrogeologico dell’area rendendolo altrettanto

complicato. Le formazioni geologiche affioranti sono caratterizzate da comportamenti

differenti tra loro nei riguardi della circolazione idrica sotterranea. Pertanto, risulta utile

raggruppare tali formazioni in funzione delle loro caratteristiche idrogeologiche

comuni. Con il termine complesso idrogeologico si intende “l’insieme di termini

litologici simili, aventi una comprovata unità spaziale e giaciturale, un tipo di

permeabilità prevalente comune ed un grado di permeabilità che si mantiene in un

campo di variazione piuttosto ristretto” (CIVITA, 1973). I terreni affioranti, quindi,

sono stati raggruppati in complessi idrogeologici facendo riferimento alla loro posizione

geometrica e stratigrafica, alle loro caratteristiche di permeabilità relativa e al ruolo che

ciascuno di essi ricopre in relazione alle diverse strutture idrogeologiche.

2.1 Peculiarità idrogeologiche dei litotipi affioranti

Nell’intera provincia beneventana è possibile definire, alla scala dello studio, tredici

complessi idrogeologici: complesso detritico, complesso alluvionale, complesso

piroclastitico, complesso dei travertini, complesso sabbioso-argilloso, complesso

arenaceo-molassico, complesso calcarenitico, complesso argilloso-marnoso, complesso

delle argille varicolori, complesso conglomeratico-marnoso, complesso calcareo-silico-

marnoso, complesso carbonatico, complesso dolomitico (ESPOSITO, CELICO,

GUADAGNO, AQUINO;2003).

37
Di questi tredici complessi sette si rinvengono nell’area oggetto di studio:

• Complesso detritico comprendente depositi detritici, da sciolti, cementati

e/o pseudo-coesivi che si rinvengono lungo i settori pedemontani al

raccordo con i versanti strutturali e/o litostrutturali delle unità geologiche

pre-quaternarie. Sono inseriti in tale complesso, anche i depositi eluvio-

colluviali e le coperture piroclastiche sommitali relitte e di versante. Esso

risulta costituito da un’alternanza di frammenti lapidei irregolarmente

stratificati di natura calcarea, marnosa e silicea. Ricopre maggiormente i

versanti dei principali acquiferi carbonatici costituendo la coltre detritica

pedemontana di raccordo con le aree di valle. Il grado di permeabilità

dell’intero complesso può essere considerato medio-alto, anche se risulta

molto variabile da zona a zona in funzione della granulometria dei depositi

e della presenza di matrice sottile. La capacità ricettiva dell’acquifero è,

perciò, piuttosto elevata sia nei confronti dell’alimentazione diretta che nei

confronti dell’alimentazione indiretta proveniente dagli acquiferi adiacenti.

• Complesso alluvionale costituito da depositi ghiaiosi, sabbiosi e limoso-

argillosi di fondovalle e sabbioso-conglomeratici” dei bacini

intrappenninici e “graben” costieri quaternari comprendenti litofacies

limo-argillose, sabbioso-ghiaiose e conglomeratiche, sia marine che

continentali, talora a prevalente componente piroclastica rimaneggiata,

nonché le alluvioni recenti ed attuali. Si presentano talora cementati e

terrazzati. Esso è permeabile per porosità. Il grado di permeabilità è

considerato medio-alto, ma varia da zona a zona in funzione della

granulometria dei depositi. La capacità ricettiva dell’acquifero alluvionale

è complessivamente buona sia nei confronti dell’alimentazione diretta che

38
nei confronti dell’alimentazione indiretta proveniente dagli acquiferi

adiacenti. A causa della sostanziale caoticità che lo caratterizza la

circolazione idrica sotterranea è soprattutto basale e si esplica secondo lo

schema delle “falde sovrapposte” intercomunicanti a grande scala.

• Complesso carbonatico comprende tutti i litotipi calcareo-dolomitici delle

successioni di piattaforma (piattaforme campano-lucana e abruzzese-

campana) e costituisce un’importante morfostruttura a carattere

idrogeologico. A luoghi risulta intensamente fratturato ed intersecato da

numerosi sistemi di faglie; da ciò deriva un’elevata permeabilità

secondaria per fratturazione e carsismo. Il grado di permeabiltà relativa

del complesso, pertanto, risulta elevato anche se variabile da zona a zona

in funzione del grado di fratturazione e carsificazione della roccia. E’

rappresentato in questo caso dal monte Camposauro ed è costituito

essenzialmente dalla porzione calcarea dell’unità di piattaforma (Unità

Matese - Monte Maggiore). Tale complesso si estende a sud dell’area

investigata tra i territori comunali di Paupisi e Solopaca. I calcari del

Monte Camposauro rivestono un ruolo importante, poiché su di essi si

estende quasi tutta la zona di alimentazione di questo complesso.

• Complesso calcarenitico caratterizzato da una successione di brecce

calcaree associate a calcareniti alla base della quale si rinvengono livelli

di marne e di argille policrome. La circolazione idrica è relativamente

limitata e concentrata particolarmente nei livelli superiori, più

intensamente fratturati. Il grado di permeabilità oscilla tra il medio e

l’alto proprio in funzione del diverso grado di fratturazione che

caratterizza l’intero complesso. Tale complesso è presente nei territori

39
comunali di San Lorenzo Maggiore e Guardia Sanframondi nel settore

settentrionale dell’area oggetto di studio.

• Complesso delle argille varicolori costituito da argille ed argille siltose,

generalmente con intercalazioni di calcari silicei e di arenarie sottilmente

stratificate affioranti in limitati settori centro-settentrionali dell’area

oggetto di studio, in particolare in sinistra idrografica del territorio

comunale di Torrecuso e a Nord di Ponte. La permeabilità è per porosità,

il grado di permeabilità relativo è complessivamente basso, e talora, per

lo più nullo. L’infiltrazione efficace è di modesta entità a causa della

scarsa ricettività complessiva dell’acquifero.

• Complesso argilloso-marnoso costituito da argille e marne siltose, grigie

e varicolori, con intercalazioni di calcari e calcari marnosi, di calcareniti

con liste di selce bruna e di arenarie talora grossolane. Generalmente, è

caratterizzato da corpi idrici a profondità modeste (la superficie

piezometrica non è profonda più di 5 metri dal piano campagna) ed il

grado di permeabilità è basso.

• Complesso arenaceo-molassico caratterizzato da molasse ed arenarie

grossolane, gradate, alternate a livelli di puddinghe. Elemento

caratterizzante di questo complesso è la circolazione idrica sub-

superficiale, che si sviluppa con una superficie piezometrica a profondità

di 5-6 metri dal piano campagna. Si rinviene nel territorio comunale di

Torrecuso a sud-est dell’area esaminata. Il grado di permeabilità varia da

basso a medio per porosità e fratturazione.

Tuttavia tra questi sette complessi sopra citati e dettagliati, quelli su cui si è focalizzata

maggiormente l’attenzione sono il complesso detritico e quello alluvionale considerati

40
sia per la loro estensione areale che per l’importanza del ruolo idrogeologico che

rivestono. Infatti, il complesso detritico assume una rilevante importanza idrogeologica

sia come roccia-serbatoio che come elemento di drenaggio delle acque che travasano dai

calcari verso la piana. Mentre il complesso alluvionale si estende in larga misura sulla

zona in questione in direzione est-ovest seguendo l’andamento del Fiume Calore e

coprendo una superficie di circa 25 Km2.

Figura 2.1 - Carta dei complessi idrogeologici della bassa valle del Fiume Calore.

41
2.2 Assetto idrogeologico dell’area oggetto di studio

Dal punto di vista idrogeologico, nella zona della bassa valle del Fiume Calore, sono

state individuate quattro principali unità idrogeologiche, in base al loro grado e tipo di

permeabilità, al loro spessore e dalla loro estensione:

• L’Unità Idrogeologica carbonatica del monte Camposauro, molto

permeabile per fratturazione e carsismo, che alimenta quello detritico-

alluvionale della piana lungo tutta la fascia pedemontana (CIVITA et alii,

1971).

• L’Unità Idrogeologica carbonatica del rilievo di Montepugliano, ultima

propaggine meridionale del massiccio del Matese, che alimenta le sorgenti

del Grassano e le sorgenti minerali di Telese con circuiti idrici sotterranei

relativamente più profondi del precedente.

• L’Unità Idrogeologica detritico-alluvionale, costituito dalle brecce e dai

depositi di conoidi ed alluvionali, caratterizzato da un’elevata permeabilità

per porosità. Esso assume una notevole importanza idrogeologica, sia per le

considerevoli quantità di ricarica diretta sia come dreno degli acquiferi

adiacenti. Quest’ultima caratteristica è particolarmente evidente a valle del

massiccio del Camposauro, la cui falda viene completamente drenata

dall’acquifero detritico-alluvionale; infatti, non sono presenti sorgenti

significative al passaggio tra le due unità idrogeologiche, nonostante l’area

coincida con quella in cui è altimetricamente più depressa la cintura

impermeabile che cinge il massiccio carbonatico. L’acquifero detritico-

alluvionale inoltre, a causa della eterogeneità dei depositi che lo

costituiscono, presenta talvolta falde sospese che alimentano sorgenti di

42
portata effimera. Ciò avviene lungo il versante settentrionale del monte

Camposauro , dove sono frequenti le variazioni granulometriche, nelle

potenti conoidi che lo raccordano alla piana.

• L’Unità Idrogeologica alluvionale, costituito dai depositi antichi terrazzati

e da quelli recenti presenta, nel complesso, una permeabilità per porosità

media, anche se le sue caratteristiche idrogeologiche sono molto variabili in

funzione della notevole eterogeneità dei sedimenti. Particolarmente

produttivo risulta l’acquifero alluvionale antico terrazzato, mentre sono

parzialmente tamponati i depositi alluvionali recenti, per la presenza di

frequenti intercalazioni limoso-argillose.

Figura 2.2 - Schema idrogeologico. 1) Acquifero alluvionale. 2) Acquifero detritico-


alluvionale. 3) Depositi flyschoidi. 4) Acquifero carbonatico: (a) calcari, (b) calcari e
dolomie. 5) Principali faglie. 6) Sorgenti di Grassano e Telese. 7) Sorgenti con portata
compresa tra 0,5 e 2 l/s. 8) Curve isopiezometriche e relativa quota in metri s.l.m.(febbario-
marzo 1996). 9)Principale asse di drenaggio sotterraneo della piana(a) e principali direttrici
di flusso della falda di base degli acquiferi carbonatici (b). 10 ) Pozzi utilizzati per le prove di
emungimento. 11) Sezione di misura della portata fluviale. 12) Area di riferimento del
bilancio idrologico. 13) Traccia di sezione. – da GUADAGNO et alii, (1998).

43
I depositi argilloso-arenacei e calcareo-marnosi sono da considerare, nell’insieme,

impermeabili a causa della natura prevalentemente argillosa dei litotipi che li

costituiscono. Essi rappresentano un elemento di tamponamento della falda idrica

presente nei calcari, nonché il substrato impermeabile degli acquiferi costituiti dalle

alluvioni antiche e dalle brecce.

Figura 2.3 - Sezioni idrogeologiche schematiche. 1) Acquifero alluvionale. 2) Acquifero


detritico-alluvionale. 3) Depositi flyschoidi. 4) Acquifero carbonatico: (a) calcari, (b)
calcari e dolomie. 5) Faglie presunte. 6)Pozzi. 7)Livello piezometrico. (GUADAGNO et alii,
1998).

44
2.2.1 - Inquadramento idrogeologico dell’area di studio

L’area esaminata è interessata principalmente dall’acquifero alluvionale che copre tutto

il corso del Fiume Calore e dall’acquifero detritico-alluvionale che si estende nella zona

a ridosso dell’acquifero alluvionale,ossia in sinistra orografica del Fiume Calore dal

comune di Solopaca a Paupisi alle falde della dorsale settentrionale del monte

Camposauro.

Figura 2.4 – Acquiferi della bassa valle del fiume Calore.

L’unità idrogeologica è costituita da depositi alluvionali e piroclastici ghiaioso

sabbioso-limosi ad elevata permeabilità e produttività, poggianti su sedimenti miocenici

di natura argilloso-marnoso-arenacea in facies di flysch che, nel settore nord orientale,

cingono con continuità, in affioramento, i rilievi carbonatici di questo settore del

Matese.

45
L’acquifero alluvionale è caratterizzato da una elevata trasmissività tanto da drenare

completamente la falda di base del Camposauro, a sud, e non consentire l’affioramento

di sorgenti lungo questo fronte. La falda di base del Camposauro, quindi, viene drenata

prima dalla spessa coltre detritica pedemontana e poi dalle alluvioni del Calore

(ESPOSITO et alii, 2003).

Lungo il bordo settentrionale della valle, invece, le ricerche idrogeologiche (CELICO,

1983; CORNIELLO & DE RISO, 1986) hanno permesso di ricostruire l’articolato

sistema di circolazione idrica sotterranea dell’agro Telesino, riconoscendo nel settore

del Matese sud-orientale l’area di alimentazione delle copiose sorgenti alla base di

Montepugliano e dell’acquifero alluvionale del Calore. Lungo tale fronte, da ovest verso

est ed in poco più di un chilometro, si passa da sorgenti fredde bicarbonato-calciche

(sorgenti Grassano) a sorgenti ipotermali sulfureo-bicarbonato-calciche (sorgenti delle

Terme di Telese). L’ipotesi che il fronte acquifero alle falde del Montepugliano

rappresenti lo sfioro della falda basale del Matese sud orientale deriva non solo dalle

risultanze dei bilanci idrogeologici, ma anche da dati geognostici e geochimici. Queste

indagini hanno permesso, tra l’altro, di escludere ogni legame tra queste sorgenti e il

massiccio del Camposauro. Viceversa, hanno confermato che la falda basale del

Matese, circolando con carattere di falda libera, viene a giorno dopo aver attraversato i

calcari sepolti sotto la potente coltre di depositi detritico alluvionali della valle del

Titerno (CORNIELLO & DE RISO, 1986). Il fronte sorgentizio emerge lungo il piede

meridionale del Montepugliano e si sviluppa lungo il contatto tettonico tra calcari di

piattaforma intensamente fratturati e carsificati e i depositi della piana costituiti dal

complesso marnoso-arenaceo-argilloso e dai depositi quaternari (travertini e alluvioni).

L’unità idrogeologica del monte Camposauro è delimitata a Sud dal massiccio del

monte Taburno, ad Est e Ovest dai sedimenti terrigeni poco permeabili rappresentati dai

46
complessi argilloso-marnoso e arenaceo-molassico, e a Nord da una spessa coltre

detritica caratterizzata da un grado di permeabilità piuttosto elevato. Le caratteristiche

strutturali e litologiche e l’andamento plano-altimetrico del colletto impermeabile

determinano, per la falda di base, uno schema di deflusso molto lineare. L’intera

potenzialità idrica dell’idrostruttura travasa, in modo diffuso, come già più volte

delineato, nella coltre detritica settentrionale e, da questa, nell’acquifero alluvionale del

Fiume Calore.

2.3 Sintesi delle conoscenze idrogeologiche e idrogeochimiche presistenti

Nel 1998 è stata realizzata un’indagine idrogeologica ed idrogeochimica della bassa

valle del fiume Calore che ha permesso di definire le modalità di flusso idrico

nell’acquifero detritico-alluvionale ed i suoi rapporti con le strutture carbonatiche

bordiere (GUADAGNO et Alii, 1998). Le ricostruzioni della morfologia piezometrica

dell’acquifero della piana hanno permesso di evidenziare la presenza di una falda

convergente verso il corso d’acqua; questa alimenta, a monte di S. Stefano, il fiume in

sinistra idrografica; sempre a monte di S. Stefano, in destra idrografica è il fiume ad

alimentare la falda. Il bilancio idrologico ha confermato una netta incidenza dei travasi

dal massiccio del Camposauro sulla circolazione idrica dell’acquifero detritico-

alluvionale.

2.3.1 Morfologia della superficie piezometrica

Una prima ricostruzione della superficie piezometrica della falda circolante negli

acquiferi detritico-alluvionale ed alluvionale della piana del Fiume Calore è stata

effettuata sulla base delle misure di 189 misurazioni dei livelli idrici, effettuate su 141

pozzi e su 47 punti quotati di superfici d’acqua libera (Fiume Calore, torrente Grassano
47
e lago di Telese) nel periodo febbraio-marzo 1996. Si è riconosciuta l’esistenza di un

livello di falda unico, come si verifica generalmente, nei depositi detritici ed alluvionali

caratterizzati da livelli idrici comunicanti tra di loro almeno a grande scala. In generale,

la morfologia della falda presenta una forma ellittica, convergente verso il principale

asse di drenaggio sotterraneo che corre parallelamente all’asta fluviale, a monte di S.

Stefano, individuando, quindi, un probabile paleoalveo del Fiume Calore. Lo stesso asse

di drenaggio preferenziale coincide con il corso d’acqua superficiale, a valle di S.

Stefano. Per quanto riguarda, poi, i rapporti falda-fiume si è riscontrato nel periodo di

osservazione, sia nella fase di piena (Febbario-Marzo 1996) sia in quella di magra

(Agosto1996) l’alimentazione della falda in destra idrografica dal Fiume Calore; in

sinistra idrografica, invece, è il Fiume Calore ad essere alimentato dalla falda. Inoltre

durante il periodo di magra è stato possibile riscontrare che esistono importanti travasi

idrici sotterranei dagli acquiferi carbonatici (acquiferi del monte Camposauro e di

Montepugliano) verso quello detritico-alluvionale.

Figura 2.5 - Escursioni piezometriche stagionali nel 1996. 1)Escursione minore di 1m.
2)Escursione compresa tra 1 e 3 m. 3)Escursione maggiore di 3m. 4)Principale asse di
drenaggio sotterraneo: a) in piena; b) in magra. – da GUADAGNO et alii, (1998).

48
Nell’acquifero alluvionale sono state rilevate considerevoli escursioni piezometriche,

soprattutto in destra del fiume, specie laddove l’acquifero alluvionale, essendo

tamponato lateralmente dai depositi terrigeni impermeabili, può contare solo sulla

ricarica da infiltrazione diretta e sull’alimentazione dal fiume. Per determinare la

trasmissività dell’acquifero della piana sono state interpretate 23 prove di emungimento

eseguite in sinistra del Fiume Calore, nei pressi di Solopaca.

Tabella 2.1 - PROVE DI EMUNGIMENTO da GUADAGNO et alii (1998).

Per tutti i pozzi è stata determinata la Portata Specifica (QS) ed in alcuni casi è stato

possibile calcolare anche la trasmissività, utilizzando gli abbassamenti piezometrici

durante l’emungimento. Nell’insieme i dati di portata specifica hanno confermato la

caratteristica eterogeneità dei depositi detritici ed alluvionali della piana, in quanto il

49
parametro idrodinamico è risultato variabile da 2,7×10-2 a 5×10-4 m2/s. I valori più

bassi della portata specifica sono riferibili alla porzione di piana in destra del Fiume

Calore, bordata dai depositi flyschoidi impermeabili, mentre, i valori più elevati sono

rilevati in corrispondenza del fiume. Anche i valori riscontrati nella zona ad oriente di

Solopaca si presentano piuttosto elevati, andando, in questo modo, a supportare l’ipotesi

di considerevoli travasi idrici dal massiccio del Monte Camposauro.

2.3.2 Bilancio idrologico

Considerando lo schema di circolazione idrica sotterranea è stato riscontrato che i

maggiori contributi alla ricarica dell’acquifero sono dovuti all’infiltrazione diretta, ai

travasi idrici dagli acquiferi carbonatici adiacenti, e all’alimentazione del fiume Calore

nel tratto compreso tra Ponte e S. Stefano. Pertanto, è stata calcolata l’infiltrazione

efficace totale annua dell’intera piana detritico-alluvionale che è risultata pari a 26×106

di m3/anno. Sulla base della morfologia della superficie piezometrica e dei valori di

trasmissività dell’acquifero sono stati valutati i travasi sotterranei dalle adiacenti unità

carbonatiche risultando pari a 1,39 m3/s dal monte Camposauro e 0,13 m3/s dal

Montepugliano, per un volume complessivo di 47,93×106 m3/anno. Quindi, il deflusso

sotterraneo degli acquiferi carbonatici adiacenti gioca un ruolo fondamentale nella

ricarica dell’acquifero della piana in quanto rappresenta il 59% della ricarica totale.

50
Tabella 2.2 - BILANCIO IDROLOGICO da GUADAGNO et alii (1998).

Per quanto riguarda l’alimentazione dal fiume verso l’acquifero, nel tratto compreso tra

Ponte e S. Stefano, risulta che, sia in piena che in magra, in sinistra il fiume è alimentato

dalla falda e, in destra, invece, è il fiume che alimenta la falda. Inoltre, è risultato che le

principali uscite dall’acquifero sono rappresentate dagli incrementi di portata nel fiume

Calore e dagli emungimenti dal sottosuolo. Dalle misure effettuate è stato dedotto che

l’alimentazione della falda dalla sponda sinistra è nettamente superiore alle perdite

verso la falda in destra. Ciò è coerente con i notevoli volumi idrici travasati

dall’acquifero carbonatico del Camposauro e con la relativamente bassa permeabilità

dell’acquifero in destra orografica.

51
Tabella 2.3 - INCREMENTI DI PORTATA NEL FIUME CALORE da GUADAGNO et alii (1998).

In definitiva considerando tutte le misure disponibili risulta che l’incremento di portata

medio nel periodo di magra è di 2,27 m3/s, equivalente ad un volume annuo di 71,59 ×

106 m3, chiaramente sottostimato. Sono state, inoltre, stimate anche le acque sotterranee

in uscita dal sistema associabili agli emungimenti per uso industriale e per uso

acquedottistico. Dai dati ufficiali disponibili è stato ottenuto un volume d’acqua

emunto, dall’acquifero detritico-alluvionale, pari a 1,40 × 106 m3/anno. Mentre, la stima

del consumo per uso potabile ammonta a circa 3,15 × 106 m3/anno. In totale le uscite

dall’acquifero detritico-alluvionale risultano pari a 77,63 × 106 m3/anno.

In definitiva da tali indagini è stato caratterizzato un acquifero detritico-alluvionale con

trasmissività compresa nell’ordine di 10-2 - 10-4 m2/s, di forma allungata ed a sezione

lenticolare. Esso è ben definito in destra orografica, dove è limitato lateralmente ed

inferiormente da depositi flyschoidi impermeabili, ad eccezione della zona di Telese,

dove è in diretto contatto con l’acquifero carbonatico del Montepugliano. Anche in

sinistra del fiume, l’acquifero detritico-alluvionale borda le rocce carbonatiche del

monte Camposauro. La favorevole posizione morfologica della valle, rispetto ai rilievi

52
carbonatici, e la quota piezometrica più elevata della falda basale di questi ultimi

favoriscono considerevoli travasi idrici sotterranei verso la falda dei depositi detritico-

alluvionali. Questi apporti di acque sotterranee sono nettamente più consistenti dal

monte Camposauro (1,39 m3/s), che dal Montepugliano (0,13 m3/s), dove il principale

recapito della struttura carbonatica è rappresentato dalle sorgenti di Grassano e Telese.

Per quanto riguarda la valle, la circolazione idrica sotterranea avviene in un acquifero

molto trasmissivo (da 10-2 a 10-4 m2/s), con modalità di flusso che si adattano ad una

falda convergente verso il fiume Calore. Proprio il corso d’acqua rappresenta il recapito

principale della falda (oltre 2 m3/s), anche se esso presenta rapporti differenti con la

stessa lungo il suo corso. La ricarica dell’acquifero è dovuta, oltre che dall’infiltrazione

diretta sulla piana, soprattutto ai travasi idrici dai massicci carbonatici bordieri ed in

particolar modo dal Monte Camposauro.

2.3.2 Analisi chimiche delle acque sotterranee

Al fine di caratterizzare le acque dal punto di vista chimico e chimico-fisico gli Autori

hanno effettuato anche analisi sui 17 punti d’acqua. Dalle analisi risulta che tutte le

acque sotterranee esaminate sono classificabili come acque bicarbonato-calciche, con

una temperatura compresa tra i 10 e i 17° C, e salinità (TDS) compresa tra 376 e 827

mg/l. Queste caratteristiche confermano che la circolazione idrica sotterranea avviene in

litotipi a prevalente componenete carbonatica, quali sono, appunto, i principali acquiferi

di margine e gli elementi che costituiscono i detriti e le alluvioni della piana, secondo

circuiti differenziati per lunghezza e velocità.

53
CAPITOLO 3: CAMPAGNA DI MONITORAGGIO DEI

PARAMETRI CHIMICO-FISICI

Nel presente capitolo vengono descritti l’attività di monitoraggio e quella di

campionamento di alcuni punti delle acque superficiali e sotterranee nella Piana del

fiume Calore, alle quali sono seguite le analisi chimiche di laboratorio. I dati

determinati sono stati raccolti, ordinati ed interpretati attraverso una serie di

elaborazioni grafiche.

Il campionamento può definirsi come l’operazione di prelevamento della parte di una

sostanza in quantità tale che la proprietà misurata nel campione prelevato rappresenti,

entro un limite accettabile noto, la stessa proprietà nella massa di origine. In altre

parole, il fine ultimo del campionamento ambientale è sempre quello di consentire la

raccolta di porzioni rappresentative della matrice che si vuole sottoporre ad analisi.

Il campionamento di un corpo idrico (lago, fiume) o di una falda costituisce la fase

iniziale di ogni procedimento di analisi avviato per scopi di ricerca, monitoraggio,

controllo ecc. e la sua corretta esecuzione è fondamentale per lo sviluppo dell’intero

processo. Infatti, si tratta di una fase piuttosto complessa e delicata in quanto

condizionante i risultati di tutte le operazioni successive. Pertanto, gli obiettivi del

campionamento debbono essere ben noti agli operatori di campagna. Le caratteristiche

del prelievo sono, infatti, la diretta conseguenza di questi obiettivi e devono essere

costantemente presenti in ogni fase delle operazioni, al fine della salvaguardia della

rappresentatività e della significatività delle operazioni di campionamento.

In modo analogo anche l'analista deve essere sufficientemente informato delle modalità

di prelievo, al punto che possa essere anche in grado di incidere in modo significativo

sulle procedure, modificando operazioni che possono influire sulla stabilità degli analiti,

54
al fine di produrre risultati in linea con gli obiettivi di qualità stabiliti nella fase di

pianificazione delle attività.

Nel caso più generale del campionamento di acque superficiali e di falda l’obiettivo

fondamentale riguarda la valutazione delle caratteristiche di qualità del corpo idrico per

scopi di monitoraggio, ricerca o in vista di una sua classificazione in accordo con la

recente normativa (D.L. 152/2006).

Anche se l’aliquota di campione viene spesso considerata “a priori” rappresentativa

dell'intero sistema ambientale oggetto d'indagine, non bisogna dimenticare che

qualunque campione nel momento stesso in cui viene separato e confinato in un

recipiente non rappresenta più, a stretto rigore, il sistema di origine, ed, inoltre, da quel

momento esso inizia a modificarsi:

1. fisicamente (evaporazione, sedimentazione, adsorbimento alle pareti sono fenomeni

tipici nel caso di soluzioni, ecc.)

2. chimicamente (reazioni di neutralizzazione,trasformazioni ossidative, ecc.)

3. biologicamente (attacco batterico, fotosintesi, ecc.).

E’ noto che i risultati analitici definiscono le caratteristiche di un certo campione al

momento in cui vengono effettuate le determinazioni. D’altra parte sussiste la generale

necessità di ottenere campioni il più possibile rappresentativi delle reali condizioni

quali-quantitative che si desiderano conoscere, rappresentatività necessaria qualunque

sia l’obiettivo che si intende perseguire. Pertanto, è importante che il campionamento

venga effettuato da personale qualificato ed opportunamente addestrato.

55
3.1. Pianificazione della Campagna

L’aspetto più importante da considerare, prima di eseguire un campionamento o una

campagna di campionamenti, è identificare lo scopo e aver ben chiari gli obiettivi. Essi,

infatti, vincolano sia la durata che la copertura e la densità di campionamento. Poiché

ogni fenomeno osservabile è caratterizzato da proprie scale, che sono i suoi intervalli di

esistenza e variabilità, per poter catturare e, quindi, osservare un fenomeno attraverso

rilevazioni di eventi bisogna avere risoluzione spaziale sufficiente per evidenziare senza

esagerare e bisogna avere intervalli temporali di acquisizione né troppo corti né troppo

lunghi. Inoltre, quasi sempre, un fenomeno sotto osservazione non si verifica mai

isolato. Esso interagisce con altri fenomeni, per cui è importante esplorare le sue scale

caratteristiche perché azioni causa – effetto, che si possono originare tra diversi

fenomeni, possono venire interpretate non correttamente.

La predisposizione del piano di campionamento comprende la scelta del numero e della

localizzazione dei punti di campionamento, la determinazione della frequenza, della

durata e delle procedure di prelievo, nonché il successivo trattamento dei campioni e la

scelta delle più adeguate metodiche analitiche da utilizzare.

Il campione dovrà inoltre essere:

- prelevato in maniera tale che mantenga inalterate le proprie caratteristiche fisiche,

chimiche e biologiche fino al momento dell’analisi;

- conservato in modo tale da evitare modificazioni dei suoi componenti e delle

caratteristiche da valutare.

Il campionamento, essendo parte integrante dell’intero procedimento analitico, deve

essere effettuato da personale qualificato e nel rispetto della normativa in materia di

sicurezza del lavoro.

56
Le basi sistematiche di un qualsiasi programma o piano di campionamento includono

quindi una serie di fasi tra loro interdipendenti, alcune delle quali sono :

• la definizione dell'obiettivo;

• la determinazione del tipo, scopo e richiesta di accuratezza dell'analisi che

deve essere condotta;

• l’identificazione del tipo di campione che deve essere raccolto;

• la descrizione del sito di campionamento;

• l’individuazione dei luoghi e dei punti di campionamento;

• la strategia di campionamento;

• l’indicazione delle matrici da campionare;

• le metodiche di campionamento;

• la preparazione di un piano ottimale di prelievo in termini di numero di

campioni, tempo richiesto e durata della raccolta anche in relazione alla

distanza ed alla accessibilità del luogo in cui si trova il corpo d'acqua o il

pozzo;

• la frequenza del campionamento;

• le modalità di trasporto e di conservazione dei campioni, con

l’individuazione delle procedure di manipolazione dei campioni, degli

appropriati sistemi per il trasporto e lo stoccaggio e le catene del freddo

richieste per un'adeguata conservazione;

• il controllo di qualità;

• l’individuazione delle precauzioni di sicurezza e di igiene che devono essere

adottate;

57
• la definizione dei parametri accessori che devono essere inseriti nel

programma di raccolta;

• la pianificazione della sicurezza sul lavoro;

• la definizione del numero di addetti e delle loro competenze necessarie per

la conduzione del campionamento;

• la pianificazione logistica del campionamento (mezzi di trasporto e di

campo, luoghi di accesso al corpo idrico, luoghi di pernottamento del

personale, ecc.)

• la selezione di un equipaggiamento per le raccolte dei campioni e per le

misure in campo che siano adatte al corpo idrico da campionare;

• la selezione degli accessori necessari in relazione all'accessibilità del sito di

prelievo e alle misure ed osservazioni sussidiarie stabilite;

• le valutazioni sui metodi di analisi in campo disponibili e sulla loro validità

rispetto ai metodi di laboratorio, sul loro potenziale utilizzo per valutare la

rappresentatività del campionamento e sulla necessità di effettuare eventuali

repliche dei campioni per aumentare l’accuratezza e la rappresentatività

delle analisi;

• la definizione delle procedure necessarie a garantire un immediato uso dei

risultati e la loro archiviazione come sorgente di informazioni per utilizzi

futuri a breve-medio termine ai fini del miglioramento delle operazioni e per

una migliore attività analitica;

• la definizione del tipo di documentazione che deve essere utilizzato durante

tutto il programma di campionamento.

La documentazione del campione prelevato dovrà altresì includere lo scopo del

campionamento, la descrizione del luogo del prelievo, l’ora ed il giorno del prelievo, le
58
caratteristiche del campione, le precauzioni necessarie alla conservazione,

l’identificazione del campione, l’identificazione degli operatori e delle analisi che

devono essere fatte.

In particolare strettamente legata alla fase di prelievo è la definizione esatta della

posizione geografica del punto di raccolta dei campioni. E’, infatti, indispensabile

registrare su carte geografiche di scala appropriata le coordinate del luogo di prelievo.

Questa operazione viene effettuata in modo semplice mediante strumenti di

posizionamento satellitare o GPS (Global Position System).

Oltre a quelle prima indicate, oggi sono ormai facilmente ottenibili anche misure dirette

in campo di variabili ambientali (conducibilità, pH, ossigeno, temperatura, clorofilla,

ecc.), che sono utili per orientare e migliorare le operazioni di prelievo. L’utilità

maggiore dei sistemi di misura in tempo reale è comunque costituita dalla possibilità di

acquisire un numero elevato di misure in tempi molto brevi rispetto ai sistemi

tradizionali.

Una volta decisa la durata, l’area e la risoluzione di massima di campionamento,

bisogna scendere a compromesso con le necessità logistiche, la capacità operativa, i

mezzi a disposizione, il numero di operatori, e, naturalmente, dai costi che è possibile

sostenere.

Per la realizzazione di tali attività si è proceduto ad effettuare un attento esame della

documentazione esistente, contenuta in vari studi riguardanti l’area investigata.

All’analisi preliminare della documentazione esistente, ha fatto seguito un confronto

critico ed incrociato delle informazioni ritenute utili ai fini dell’individuazione del

comportamento di eventuali inquinanti. Una successiva validazione sul terreno dei punti

di misura della falda sotterranea e di campionamento delle acque in essa circolanti, ha

permesso di scegliere i punti maggiormente significativi da campionare e

59
successivamente analizzare. Sulla scelta dei punti hanno influito molto la ristrettezza dei

tempi e la reperibilità dei punti stessi. Pertanto, sono stati selezionati i punti d’acqua con

miglior accesso e facilità di misura; tarando in seguito la metodologia di analisi su un

numero piuttosto ridotto di pozzi rispetto ai prelievi superficiali. Sono stati, quindi,

prelevati sei campioni: di cui quattro superficiali (due riferibili al Fiume Calore e due a

sorgenti) e due relativi alle acque di falda (attraverso due pozzi). Per ciascun punto di

misura (sia pozzo che prelievo superficiale) è stata predisposta una scheda riassuntiva

per la memorizzazione dei dati tecnici relativi al punto stesso, alle quali sono stati,

successivamente, aggiunti i risultati ottenuti dalle analisi in campo ed in laboratorio

chimico. Il lavoro di campionamento è stato preceduto da un’attenta analisi preparatoria

eseguita su carte tecniche regionali prodotte dall’IGM (Istituto Geografico Militare) in

scala 1:50000 in formato raster georeferenziate nel sistema di coordinate UTM-WGS84.

3.2 Il campionamento dei parametri chimico-fisici

Di seguito vengono illustrate le modalità seguite per il campionamento delle acque

superficiali e sotterranee dell’area investigata. L’equipaggiamento è stato selezionato in

funzione della tipologia del corso d’acqua e alle richieste del campionamento.

I principali strumenti e le attrezzature utilizzati per il campionamento secondo le

normali pratiche di campo, in condizioni di qualità e sicurezza hanno incluso:

• dispositivi di protezione individuale

• GPS di tipo portatile, per localizzare i punti, raccogliere ed archiviare dati di

posizione da utilizzare in cartografia

60
• fotocamera digitale

• contenitori termici per la conservazione al freddo ed al buio dei campioni

• bottiglie o flaconi in materia plastica da 1000 ml

• provette di plastica da 50 ml

• freatimetro

• sonda multiparametrica per la misurazione di pH, temperatura, ossigeno

disciolto e conducibilità elettrica tarato in laboratorio prima dell'utilizzo

• bottiglia di profondità per il prelievo dei campioni nei pozzi

• asta telescopica in alluminio con becker in plastica per il prelievo dei

campioni in acque poco profonde

• becker.

GPS di tipo portatile bottiglia da 1000 ml provetta da 50 ml

freatimetro sonda multiparametrica

61
Le bottiglie, i flaconi ed i contenitori (tappo compreso) muniti di chiusura ermetica per

ridurre il rischio di contaminazione sono stati perfettamente puliti e sterilizzati. Per

quanto riguarda i contenitori di materia plastica, la pulizia viene effettuata lavando

accuratamente i recipienti (sempre nuovi) con acqua e detergenti e risciacquando

ripetutamente con acqua pura.

I contenitori utilizzati per la raccolta e il trasporto dei campioni non devono alterare il

valore di quei parametri di cui deve essere effettuata la determinazione, in particolare:

- non devono cedere o adsorbire sostanze, alterando la composizione del campione;

- devono essere resistenti ai vari costituenti presenti nel campione;

- devono garantire la perfetta tenuta, anche per i gas disciolti e per i composti volatili,

ove questi siano oggetto di determinazioni analitiche.

In questi casi, il polietilene presenta il vantaggio di essere più resistente agli agenti

chimici ed alle variazioni termiche e presenta, inoltre, una buona resistenza all’urto.

In genere il volume del campione dipende dalle determinazioni da eseguire e dal

metodo di analisi impiegato. Si consiglia di prelevare in ogni caso quantità di campione

in eccesso e di distribuirlo in più contenitori, in modo da premunirsi dalla possibilità di

perdita del campione per eventuali incidenti ed avere la possibilità di compiere ulteriori

accertamenti, se ritenuti in seguito necessari. In genere, bisognerebbe prelevare

campioni d'acqua del volume minimo di 2 litri. E' utile disporre in ogni caso di una certa

quantità di campioni in eccesso, necessario sia ad eventuali ripetizioni di analisi sia per

ulteriori accertamenti che potrebbero essere richiesti.

Infatti, su ogni sito di campionamento è stata prelevata una quantità totale di acqua pari

a circa 2000 ml, divisa in due aliquote da 1000 ml ognuna conservate negli appositi

62
flaconi o bottiglie di plastica chiusi ermeticamente, al fine di evitare qualsiasi tipo di

contaminazione.

Prima del prelievo è indispensabile effettuare ispezioni preliminari al fine di accertare,

nelle zone circostanti ed adeguatamente estese, eventuali presenze di una qualsiasi fonte

di inquinamento.

Dopo aver verificato l'integrità e la corretta identificazione del punto di campionamento

tramite l’utilizzo del gps si è proceduto a misurare mediante freatimetro il livello statico

dell'acqua riferendolo al piano campagna, nel caso dei pozzi, e poi si è proceduto a

prelevare il campione in entrambi i casi.

In questi casi il prelievo é stato effettuato, generalmente, mediante bottiglia di

profondità, e in questo modo sono state raccolte le acque ad un paio di metri al di sotto

del livello del pelo libero.

Per quanto riguarda i pozzi è stata calata lentamente la bottiglia di profondità all’interno

del pozzo ed una volta giunti in prossimità del livello dell’acqua si è aspettato che la

bottiglia si riempisse per tirarla su. Per quanto riguarda, invece, i corpi idrici superficiali

si è proceduto al prelievo servendosi dell’asta telescopica ed in alcuni casi, laddove

risultava difficoltoso utilizzare quest’ultima, si è ricorso alla bottiglia di profondità.

Un’aliquota di 100 ml di ogni campione prelevato è stata trasferita nel becker per

realizzare le misure in campo dei parametri di temperatura, pH, conducibilità elettrica

ed ossigeno disciolto utilizzando un analizzatore multiparametrico della WTW dotato di

sonde che immerse nel campione di acqua appena prelevato forniscono le misure dei

suddetti parametri.

I campioni così prelevati, sono stati etichettati, confezionati e trasportati in laboratorio

in modo tale da preservarli da modificazioni dei loro componenti chimici,

63
microbiologici e delle caratteristiche da valutare, corredati con notizie riportanti tutte le

informazioni necessarie. Ogni prelievo è stato registrato in schede appositamente

elaborate dove sono stati riportati i seguenti parametri e note informative relativi alla

campagna e ai risultati delle procedure analitiche :

• dati tecnici del punto di misura comprendenti gli elementi identificati del pozzo

(Numerazione, Provincia, Comune, Località), le coordinate geografiche UTM-

WGS84 del sito di prelievo, la georeferenziazione su stralcio cartografico in

scala 1:50000, l’ortofoto satellitare con la localizzazione del punto e la

fotografia del punto di prelievo;

• tipo di campionamento;

• modalità e strumenti di prelievo;

• misure in campo del livello statico dell’acqua;

• parametri chimico-fisici (ossigeno disciolto, temperatura, pH, conducibilità

elettrica );

• principali nutrienti (NO-3 ,NH3, PO4 , NO2);

• elementi metallici in tracce (Cr, Cu, Zn, As, Cd, Pb, Mn, Ni, Tl, U);

• note aggiuntive relative all’utilizzo del pozzo, descrittive del sito e/o

informazioni storiche ricevute sul luogo;

Di seguito vengono riportate le singole schede.

64
Scheda di campionamento delle acque superficiali e sotterranee

SCHEDA N° 1 DATA 18/02/2010

PUNTO N° 279 PROVINCIA Benevento

LOCALITA’ via Bebiana COMUNE : Solopaca

Coordinate geografiche: Longitudine (Est) X Latitudine (Nord) Y


Coordinate UTM-WGS84 461207 4560465

GEOREFERENZIAZIONE CARTOGRAFICA ORTOFOTO SATELLITARE

FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI PRELIEVO FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI


DEL CAMPIONE PRELIEVO DEL CAMPIONE

TIPO DI CAMPIONAMENTO:
Acque superficiali Acque sotterranee

65
MODALITA’ E STRUMENTI DI PRELIEVO

Strumenti utilizzati: bottiglia di profondità, asta telescopica, becker, freatimetro,


fotocamera digitale, gps.
Per le misure in campo di temperatura, pH, conducibilità ed ossigeno disciolto è stato
utilizzato un analizzatore multiparametrico della WTW dotato di sonde che immerse
nel campione di acqua appena prelevato forniscono le misure dei suddetti parametri.

MISURE IN CAMPO :

Profondità (m) Soggiacenza (cm) Livello Piezometrico (m)

- 90 17

PARAMETRI CHIMICI E CHIMICO/FISICI IN SITU:

TEMPERATURA pH CONDUCIBILITA’ OSSIGENO DISCIOLTO


(°C) (μS/cm) mg/l (%)

13,9 6,61 498 μS 6,74 mg/l

PRINCIPALI NUTRIENTI:

NO-3 (ppm) NH3 (ppm) PO3-4 (ppm) NO-2 (ppm)

4,58 0,018 0,019 0,005

ELEMENTI IN TRACCE:

Cr Cu Zn As Cd Pb Mn Ni Tl U
(ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb)

2,16 1,00 4,32 24,63 <0,05 <0,05 0,15 0,64 <0,05 <0,05

NOTE AGGIUNTIVE

Uso agricolo (per l’irrigazione dei campi coltivati a vite) ed eventuale uso potabile.

66
Scheda di campionamento delle acque superficiali e sotterranee

SCHEDA N° 2 DATA 18/02/2010

PUNTO N° 18 o B4 PROVINCIA Benevento

LOCALITA’ Ponte Maria Cristina (Località Scalo Ferroviario) COMUNE : Solopaca

Coordinate geografiche: Longitudine (Est) X Latitudine (Nord) Y


Coordinate UTM-WGS84 464024 4561920

GEOREFERENZIAZIONE CARTOGRAFICA ORTOFOTO SATELLITARE

FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI PRELIEVO FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI


DEL CAMPIONE PRELIEVO DEL CAMPIONE

TIPO DI CAMPIONAMENTO:
Acque superficiali Acque sotterranee

67
MODALITA’ E STRUMENTI DI PRELIEVO

Strumenti utilizzati: bottiglia di profondità, asta telescopica, becker, freatimetro,


fotocamera digitale, gps.
Per le misure in campo di temperatura, pH, conducibilità ed ossigeno disciolto è stato
utilizzato un analizzatore multiparametrico della WTW dotato di sonde che immerse
nel campione di acqua appena prelevato forniscono le misure dei suddetti parametri.

MISURE IN CAMPO :

Profondità (m) Soggiacenza (cm) Livello Piezometrico (m)

- - -

PARAMETRI CHIMICI E CHIMICO/FISICI IN SITU:

TEMPERATURA pH CONDUCIBILITA’ OSSIGENO DISCIOLTO


(°C) (μS/cm) mg/l (%)

11 6,88 674 µS 6,80 mg/l

PRINCIPALI NUTRIENTI:

NO-3 (ppm) NH3 (ppm) PO3-4 (ppm) NO-2 (ppm)

3,55 0,098 0,041 0,036

ELEMENTI IN TRACCE:

Cr Cu Zn As Cd Pb Mn Ni Tl U
(ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb)

5,27 2,58 16,02 17,59 <0,05 <0,05 0,60 1,68 <0,05 1,23

NOTE AGGIUNTIVE

Presenza di una stazione idrometrica sul fiume.

68
Scheda di campionamento delle acque superficiali e sotterranee

SCHEDA N° 3 DATA 18/02/2010

PUNTO N° 13 PROVINCIA Benevento

LOCALITA’ Cantone COMUNE : Solopaca

Coordinate geografiche: Longitudine (Est) X Latitudine (Nord) Y


Coordinate UTM-WGS84 466003 4563692

GEOREFERENZIAZIONE CARTOGRAFICA ORTOFOTO SATELLITARE

FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI PRELIEVO FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI


DEL CAMPIONE PRELIEVO DEL CAMPIONE

TIPO DI CAMPIONAMENTO:
Acque superficiali Acque sotterranee

69
MODALITA’ E STRUMENTI DI PRELIEVO

Strumenti utilizzati: bottiglia di profondità, asta telescopica, becker, freatimetro,


fotocamera digitale, gps.
Per le misure in campo di temperatura, pH, conducibilità ed ossigeno disciolto è stato
utilizzato un analizzatore multiparametrico della WTW dotato di sonde che immerse
nel campione di acqua appena prelevato forniscono le misure dei suddetti parametri.

MISURE IN CAMPO :

Profondità (m) Soggiacenza (cm) Livello Piezometrico (m)

2m 30 cm 3m

PARAMETRI CHIMICI E CHIMICO/FISICI IN SITU:

TEMPERATURA pH CONDUCIBILITA’ OSSIGENO DISCIOLTO


(°C) (μS/cm) mg/l (%)

13,6 6,96 1212 µS 4,20 mg/l

PRINCIPALI NUTRIENTI:

NO-3 (ppm) NH3 (ppm) PO3-4 (ppm) NO-2 (ppm)

12,8695 0,01638 0,086015 0,02125

ELEMENTI IN TRACCE:

Cr Cu Zn As Cd Pb Mn Ni Tl U
(ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb)

6,98 0,94 5,33 21,69 <0,05 <0,05 0,15 2,43 <0,05 0,49

NOTE AGGIUNTIVE

Adibito ad uso agricolo e domestico.

70
Scheda di campionamento delle acque superficiali e sotterranee

SCHEDA N° 4 DATA 18/02/2010

PUNTO N° B3 PROVINCIA Benevento

LOCALITA’ Strada Statale Telesina COMUNE : Solopaca

Coordinate geografiche: Longitudine (Est) X Latitudine (Nord) Y


Coordinate UTM-WGS84 465682 4562072

GEOREFERENZIAZIONE CARTOGRAFICA ORTOFOTO SATELLITARE

FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI PRELIEVO FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI


DEL CAMPIONE PRELIEVO DEL CAMPIONE

TIPO DI CAMPIONAMENTO:
Acque superficiali Acque sotterranee

71
MODALITA’ E STRUMENTI DI PRELIEVO

Strumenti utilizzati: bottiglia di profondità, asta telescopica, becker, freatimetro,


fotocamera digitale, gps.
Per le misure in campo di temperatura, pH, conducibilità ed ossigeno disciolto è stato
utilizzato un analizzatore multiparametrico della WTW dotato di sonde che immerse
nel campione di acqua appena prelevato forniscono le misure dei suddetti parametri.

MISURE IN CAMPO :

Profondità (m) Soggiacenza (cm) Livello Piezometrico (m)

- - -

PARAMETRI CHIMICI E CHIMICO/FISICI IN SITU:

TEMPERATURA pH CONDUCIBILITA’ OSSIGENO DISCIOLTO


(°C) (μS/cm) mg/l (%)

13,6 7,75 7,35 µS 7,11 mg/l

PRINCIPALI NUTRIENTI:

NO-3 (ppm) NH3 (ppm) PO3-4 (ppm) NO-2 (ppm)

2,524 0,025115 0,017785 0,00755

ELEMENTI IN TRACCE:

Cr Cu Zn As Cd Pb Mn Ni Tl U
(ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb)

4,60 2,80 9,45 16,66 <0,05 <0,05 0,45 1,36 <0,05 0,61

NOTE AGGIUNTIVE

Si tratta di una sorgente nota come ” Sorgente Bolla”.

72
Scheda di campionamento delle acque superficiali e sotterranee

SCHEDA N° 5 DATA 18/02/2010

PUNTO N° B5 PROVINCIA Benevento

LOCALITA’ via Bosco Caldaia COMUNE : Solopaca-Castelvenere

Coordinate geografiche: Longitudine (Est) X Latitudine (Nord) Y


Coordinate UTM-WGS84 463714 4562548

GEOREFERENZIAZIONE CARTOGRAFICA ORTOFOTO SATELLITARE

FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI PRELIEVO FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI PRELIEVO


DEL CAMPIONE DEL CAMPIONE

TIPO DI CAMPIONAMENTO:
Acque superficiali Acque sotterranee

73
MODALITA’ E STRUMENTI DI PRELIEVO

Strumenti utilizzati: bottiglia di profondità, asta telescopica, becker, freatimetro,


fotocamera digitale, gps.
Per le misure in campo di temperatura, pH, conducibilità ed ossigeno disciolto è stato
utilizzato un analizzatore multiparametrico della WTW dotato di sonde che immerse
nel campione di acqua appena prelevato forniscono le misure dei suddetti parametri.

MISURE IN CAMPO :

Profondità (m) Soggiacenza (cm) Livello Piezometrico (m)

- - -

PARAMETRI CHIMICI E CHIMICO/FISICI IN SITU:

TEMPERATURA pH CONDUCIBILITA’ OSSIGENO DISCIOLTO


(°C) (μS/cm) mg/l (%)

14,1 6,85 732 µS 6,81 mg/l

PRINCIPALI NUTRIENTI:

NO-3 (ppm) NH3 (ppm) PO3-4 (ppm) NO-2 (ppm)

2,68 0,021425 0,02971 0,014795

ELEMENTI IN TRACCE:

Cr Cu Zn As Cd Pb Mn Ni Tl U
(ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb)

3,88 2,23 3,99 15,39 <0,05 <0,05 1,22 0,93 <0,05 0,62

NOTE AGGIUNTIVE

Si tratta di una sorgente chiamata “Sorgente S. Antuono”.

74
Scheda di campionamento delle acque superficiali e sotterranee

SCHEDA N° 6 DATA 18/02/2010

PUNTO N° 17 PROVINCIA Benevento

LOCALITA’ contrada Scafa COMUNE : Paupisi

Coordinate geografiche: Longitudine (Est) X Latitudine (Nord) Y


Coordinate UTM-WGS84 469591 4562985

GEOREFERENZIAZIONE CARTOGRAFICA ORTOFOTO SATELLITARE

FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI PRELIEVO FOTOGRAFIA DEL PUNTO DI PRELIEVO


DEL CAMPIONE DEL CAMPIONE

TIPO DI CAMPIONAMENTO:
Acque superficiali Acque sotterranee

75
MODALITA’ E STRUMENTI DI PRELIEVO

Strumenti utilizzati: bottiglia di profondità, asta telescopica, becker, freatimetro,


fotocamera digitale, gps.
Per le misure in campo di temperatura, pH, conducibilità ed ossigeno disciolto è stato
utilizzato un analizzatore multiparametrico della WTW dotato di sonde che immerse nel
campione di acqua appena prelevato forniscono le misure dei suddetti parametri.

MISURE IN CAMPO :

Profondità (m) Soggiacenza (cm) Livello Piezometrico (m)

- - -

PARAMETRI CHIMICI E CHIMICO/FISICI IN SITU:

TEMPERATURA pH CONDUCIBILITA’ OSSIGENO DISCIOLTO


(°C) (μS/cm) mg/l (%)

12 7,25 697 µS 7,28 mg/l

PRINCIPALI NUTRIENTI:

NO-3 (ppm) NH3 (ppm) PO3-4 (ppm) NO-2 (ppm)

4,347 0,0868 0,040735 0,035345

ELEMENTI IN TRACCE:

Cr Cu Zn As Cd Pb Mn Ni Tl U
(ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb)

4,32 2,10 2,12 6,61 <0,05 <0,05 0,10 9,67 <0,05 0,92

NOTE AGGIUNTIVE

Il prelievo è stato effettuato sull’ansa del fiume Calore in un evidente stato di degrado
dovuto all’abbandono di rifiuti sulle sponde del corso d’acqua.

76
3.3 I parametri chimico-fisici analizzati

L'analisi in continuo - o da processo - ha avuto sviluppi notevoli a seguito dell'utilizzo

dell'elettronica digitale dei microprocessori applicata a tecniche analitiche sempre più

sofisticate e precise. Questa tecnologia finalmente disponibile oggi, anche per

automatizzare le analisi chimiche tradizionali (normalmente ritenute più difficili da

automatizzare) permette di effettuare direttamente sul processo quasi tutti quelle

determinazioni analitiche o di controllo di qualità normalmente delegate al laboratorio.

I parametri fisici di temperatura e conducibilità ed i parametri chimici di pH ed ossigeno

disciolto sono stati determinati direttamente in campagna attraverso la sonda

multiparametrica. Ognuno di questi parametri risulta utile nell’individuare possibili

carichi inquinanti.

La temperatura influenza la solubilità dei gas (concentrazioni massime), determina la

velocità delle reazioni chimiche e biologiche e condiziona la vita delle specie biotiche.

Fattori come le basse fluenze, superfici pavimentate o presenza di scarichi civili e

industriali ne amplificano gli effetti. Ad esempio, uno scarico inquinante caldo riduce la

concentrazione di ossigeno disciolto ed accelera l’attività metabolica dei microrganismi

comportando ulteriore diminuzione dell’ossigeno e può portare a concentrazioni di

ossigeno non compatibili con condizioni di vita ottimali.

La conducibilità elettrica può fungere come parametro indice di inquinamento

derivante da acque provenienti da usi agricoli o inquinamento stradale da sale. Per

conducibilità elettrolitica si intende l’inverso della resistenza elettrica che una soluzione

elettrolitica presenta al passaggio della corrente, quando viene interposta tra due

elettrodi. Questo parametro dipende dalle componenti ioniche dell’acqua e costituisce,

77
quindi, una misura indiretta del suo contenuto salino. Viene espresso in μS/cm, ed è

legato alla quantità totale ed al tipo di sali disciolti nell'acqua. Un aumento significativo

può essere dovuto alla presenza di scarichi inquinanti che determinano l'innalzamento

della concentrazione dei sali.

Il pH è un indice che esprime il grado di acidità di una soluzione; dal punto di vista

chimico è un parametro legato alla concentrazione di ioni H+ . Più precisamente, il pH è

il logaritmo negativo della concentrazione dello ione H+ nelle soluzioni e nei liquidi:

pH = - Log [H+]

I valori che il pH può assumere sono compresi in una scala che va da 0 a 14 .

Determinare il pH di una soluzione significa, quindi, valutare se essa è acida (pH da 0 a

7), neutra (pH uguale a 7), basica o alcalina (pH da 8 a 14).

L’Ossigeno disciolto, presente in bolle microscopiche tra le molecole dell’acqua, è un

indicatore importantissimo per la qualità di un corpo idrico (soprattutto per le specie

ittiche) in quanto, senza di esso, la vita acquatica soffocherebbe, sviluppando a lungo

andare un ambiente anossico. Tutte le acque superficiali, in condizioni normali,

contengono una certa quantità di ossigeno disciolto. Esso viene introdotto

dall’atmosfera o attraverso la fotosintesi clorofilliana e viene rimosso dalla respirazione

e dalla decomposizione della materia organica. La solubilità dell'ossigeno in acqua

dipende dalla temperatura, dalla concentrazione salina dell'acqua e dalla pressione

atmosferica. E' importante anche la portata idraulica, la velocità della corrente e la

78
presenza di sostanze inquinanti come tensioattivi, oli e solidi sospesi che riducono gli

scambi con l'atmosfera. La quantità di ossigeno disciolto nelle acque superficiali è,

inoltre, legata alla qualità e alla concentrazione delle sostanze organiche presenti,

all'attività batterica e fotosintetica. La stagione più calda è quella che favorisce le

concentrazioni di ossigeno più basse. Nel caso di fitta vegetazione acquatica, l’ossigeno

ha un ciclo giornaliero con un picco nel pomeriggio (fotosintesi) e viene abbattuto dai

processi di eutrofizzazione. Quando un corpo idrico riceve scarichi di natura organica di

origine civile, zootecnica o industriale, l'ossigeno viene utilizzato nei processi di

ossidazione biologica delle sostanze organiche inquinanti, fino a scomparire. In

condizioni anossiche si hanno fenomeni fermentativi ad opera di batteri anaerobi, con

produzione di ammoniaca ed acido solfidrico. Nel periodo estivo, quando si ha un

notevole sviluppo algale (eutrofizzazione), si può avere un aumento dell'ossigeno

disciolto durante le ore diurne, in seguito all'attività fotosintetica delle alghe ed una sua

diminuzione durante le ore notturne, quando sono attivi solamente i meccanismi della

respirazione, con consumo di ossigeno e produzione di anidride carbonica.

Tra le varie sostanze presenti nelle acque che vengono normalmente monitorate nelle

acque industriali, nei reflui urbani e nel controllo delle acque superficiali (fiumi, laghi,

mari) hanno particolare importanza alcuni composti conosciuti anche come Nutrienti.

Essi comprendono le Sostanze Organiche, l' Azoto nelle sue varie forme (Ammoniaca,

Nitrati e Nitriti) ed il Fosforo. Sono chiamati nutrienti in quanto esse sono le sostanze

che favoriscono la crescita e lo sviluppo dei microorganismi presenti nelle acque. La

presenza di elementi nutritivi nelle acque superficiali è dannosa perché contribuisce alla

crescita di sostanze di origine vegetale ( alghe ) che consumano ossigeno sottraendolo

alle forme animali ed impoverendo il corso d'acqua. Il controllo delle sostanze nutrienti

79
sta assumendo sempre più un ruolo di fondamentale importanza per la gestione degli

impianti di depurazione e il controllo dell'inquinamento.

L'ammoniaca (NH3) deriva dalla degradazione di composti organici azotati e viene,

perciò, considerata indice di inquinamento recente di origine civile. In corsi d'acqua ben

ossigenati l'azoto ammoniacale risulta assente o presente in tracce poiché viene ossidato

velocemente ad azoto nitrico.

Le fonti principali sono rappresentate da scarichi fognari, allevamenti zootecnici e reflui

delle industrie alimentari e chimiche.

I nitrati (NO3) o azoto nitrico si formano dalla completa ossidazione dell'azoto

ammoniacale ad opera della flora batterica presente nelle acque, attraverso un prodotto

intermedio costituito dai nitriti (NO2). La presenza di nitrati nelle acque è dovuta agli

scarichi urbani, agli allevamenti zootecnici, alle acque provenienti dal dilavamento dei

terreni trattati con fertilizzanti ed agli scarichi industriali.

Una elevata concentrazione di nitrati, associata alla presenza abbondante di fosfati, e in

condizioni favorevoli di temperatura, determina, come già detto, il fenomeno della

eutrofizzazione. I nitrati sono presenti naturalmente nell’ambiente facendo parte del

ciclo di decomposizione delle sostanze proteiche. I nitrati delle acque di falda originano

soprattutto da quattro fonti : uso di fertilizzanti azotati, sia inorganici che come

componenti dello stallatico animale, nei terreni agricoli; deposizione atmosferica;

liquami di origine umana depositati nelle fosse settiche; coltivazione del terreno.

Inoltre, apporti di nitrati nelle acque di falda possono derivare principalmente

dall’utilizzo di fertilizzanti contenenti azoto inorganico o da scarichi contenenti azoto di

origine organica.

80
I nitriti, (NO2) molto instabili, sono prodotti intermedi della degradazione delle

proteine (valori tra 0,88 e 1,77 mg/l risultano tossici per i pesci). Per ossidare l’azoto

nitroso è sufficiente l’opera del solo ossigeno disciolto. Una quantità minima di nitriti in

un’acqua superficiale, può indicare un inquinamento proveniente da un liquame grezzo

o trattato in modo imperfetto, specialmente quando l’acqua presenta valori

complessivamente elevati di azoto e cloruri. In ogni caso sono i nitrati a rappresentare

generalmente la forma di azoto presente in un’acqua, poiché costituiscono il punto di

arrivo finale dell’opera ossidativa svolta dai batteri aerobici. Contenuti ottimali sono

compresi tra 0,01 e 0,03 mg/l.

La presenza di fosfati in tracce non è molto significativa, a causa della loro relativa

diffusione nella litosfera (il fosforo è un elemento più abbondante nel mondo vivente

che in quello inorganico). Anche nei laghi la sua concentrazione negli organismi e nelle

loro spoglie è molto più grande che nel mezzo acqueo. Il fosforo entra nei cicli biologici

sotto forma di composto altamente ossidato (PO43-), cioè come orto fosfato e suoi

derivati. Concentrazioni superiori sono, invece, indice di inquinamento domestico

(deiezioni o detersivi sintetici), industriale e agricolo (uso di fertilizzanti). Nelle acque

dei fiumi e dei laghi si trovano sempre più frequentemente quantità notevoli di fosfati e

questo determina il fenomeno dell’eutrofizzazione, cioè una crescita abnorme di alghe e

batteri che sottraggono ossigeno alle altre specie. L’eutrofizzazione conduce ad una

carenza di ossigeno, che a sua volta provoca la moria del pesce con successiva

putrefazione e produzione di sostanze tossiche e maleodoranti (metano e acido

solfidrico). E’ bene chiarire che il fosforo di per sé, non dà problemi di tossicità per i

pesci, che ne tollerano concentrazioni molto elevate, ma la sua presenza può causare

eutrofizzazione, rendendo l’acqua non adatta ai molteplici usi umani. La presenza di

fosfati nelle acque superficiali è dovuta principalmente agli scarichi urbani (come

81
prodotto del metabolismo umano e come costituente dei detersivi), al dilavamento dei

terreni agricoli trattati con fertilizzanti e agli effluenti zootecnici.

Per quanto concerne i nutrienti (Ammoniaca, fosfati, nitriti e nitrati) sono stati

determinati presso i laboratori dell’ENEA (sede di Portici) mediante µMAC1000 della

SYSTEA basato su metodo colorimetrico. I dati così ottenuti sono stati successivamente

elaborati.

3.4 Metodiche analitiche

L’analisi dei nutrienti va effettuata su campioni filtrati, pertanto, prima di procedere con

l’analisi è stata fatta un’opportuna filtrazione dei campioni utilizzando un filtro

Büchner collegato ad una pompa da vuoto. Il filtro Büchner è un comune attrezzo del

laboratorio chimico utilizzato per effettuare filtrazioni sottovuoto.

La parte superiore è di forma cilindrica e possiede una

superficie piatta contenente diversi forellini; su questa

superficie viene adagiata e fatta aderire fino a toccare i bordi

la carta da filtro. La parte inferiore ha, invece, forma ad

imbuto allungato: il filtro Büchner viene utilizzato inserendo

tale parte su una beuta da vuoto con una opportuna

guarnizione che assicuri la tenuta. Una pompa da vuoto viene collegata tramite un tubo

di gomma all'apposito attacco laterale sito sulla beuta. In queste condizioni è possibile

effettuare una filtrazione molto rapida sfruttando l'effetto di suzione, molto più energico

rispetto alla classica filtrazione per gravità: il liquido passa attraverso il filtro e gocciola

raccogliendosi all'interno della beuta, mentre, sul filtro si deposita la fase solida

82
contenuta. In tal modo, oltre all'evidente vantaggio relativo alla velocità, risulta

possibile filtrare liquidi altrimenti difficilmente o poco efficacemente separabili. Sono

stati utilizzati filtri in acetato di cellulosa con porosità dichiarata di 0,45 μm di diametro.

Dopo la filtrazione dei campioni è stata effettuata l’analisi dei nutrienti servendosi di un

analizzatore a flusso continuo (µMAC-1000 della SYSTEA) che mima le analisi

colorimetriche, ossia quelle basate sulla legge di Lambert-Biel. Il µMAC-1000 della

SYSTEA è un analizzatore chimico automatico basato su una nuova tecnologia analitica

definita come LFA (Loop Flow Analysis) che opera in condizioni di stato stazionario

facendo evolvere le reazioni chimiche fino all’equilibrio, e con diffusione totale dei

reagenti. Il campione ed i reagenti sono dosati in una cella di reazione rappresentata da

un cilindro in cui vengono immessi e da un anello denominato Loop Flow Reactor

(LFR) costituito da diversi componenti meccanici, idraulici ed ottici sequenzialmente

interconnessi. Le fasi del procedimento analitico, pertanto, si svolgono sia all’interno di

tubi lungo i quali il campione ed i reagenti si muovono che nei due cilindri. Inoltre, è

presente un’unica pompa peristaltica a singolo canale in grado di operare in entrambi i

sensi di marcia. Ciò consente, attraverso uno schema di apertura e chiusura di

elettrovalvole, di aspirare il campione e di dosare i reagenti. Questi ultimi vengono

aspirati per effetto della depressione generata dalla pompa peristaltica, che in alternativa

inietta il campione. Le reazioni chimiche coinvolte procedono sino all’equilibrio, il cui

raggiungimento è accelerato dalla riduzione del tempo di diffusione molecolare,

ottenuta facendo ricircolare nel reattore il campione e i reagenti. Ciò consente altresì di

operare con tecniche di tipo cinetico. Al termine di ogni ciclo analitico, infine, è

previsto un breve ciclo di lavaggio del reattore.

83
Il µMAC-1000 è in grado di rilevare da un ppb a decine

di ppm con il sistema di diluizione automatico. Permette

di analizzare sia in acqua di mare che in acque dolci 5

parametri (fosfati, nitriti, nitrati, silicati ed ammoniaca).

L’apparecchiatura è collegata ad un computer che elabora

i dati e permette di calcolare la retta di taratura.

µMAC-1000 della SYSTEA

Prima di effettuare le analisi dei campioni sono state eseguite diverse prove in

laboratorio per testare il funzionamento dello strumento e per tararlo. Sono stati

preparati gli standards ed i reagenti per l'analisi in continuo dei nutrienti secondo delle

metodiche adattate dalla ditta Systea (casa costruttrice del µMAC-1000) al

funzionamento dello strumento.

Per ogni parametro da analizzare (NO , NO , NH , PO ) sono state misurate le densità


3 2 3 4

ottiche (O.D.) relative al bianco (acqua distillata ultrapura - Milli Q, con l’aggiunta dei

reattivi specifici per ogni parametro esaminato) ed alla soluzione di calibrazione

(preparata secondo delle precise diluizioni dalle soluzioni madri in modo da ottenere

una concentrazione massima rispetto al range dei parametri analizzati nella zona di

indagine). Le O.D. misurate per ogni parametro sono state registrate e memorizzate

nello strumento; su questa retta di calibrazione sono state misurate le concentrazioni di

alcune soluzioni di lavoro (a concentrazione nota e relative ad ogni parametro

esaminato) per stimare l'accuratezza dello strumento (capacità di uno strumento di

misurare il valore vero all'interno di un margine di errore predefinito).

Questo procedimento è stato effettuato per stimare come lo strumento risponde a basse

ed alte concentrazioni e per valutare se le misure ottenute sono affidabili, accurate e

84
ripetibili. Infatti, ogni misura è stata ripetuta in continuo, sullo stesso campione

analizzato, almeno 2 volte, per valutare la ripetibilità delle analisi effettuate (grado di

concordanza tra i risultati ottenuti da prove effettuate da uno stesso operatore, usando lo

stesso materiale e metodologia di analisi, in un arco di tempo ristretto). I risultati finali

così ottenuti sono stati riassunti nella seguente tabella:

Tabella 3.1 - Analisi dei nutrienti

Nitrati (NO-3) Ammoniaca Fosfati (PO3-4) Nitriti (NO-2)


CAMPIONE (ppm) o mg/l (NH3) (ppm) o (ppm) (ppm)
mg/l o mg/l o mg/l

17 (fiume) 4,347 0,0868 0,040735 0,035345

B4-18 (fiume) 3,5525 0,09854 0,041355 0,03664

B5 (sorgente) 2,68 0,021425 0,02971 0,014795

B3 (sorgente) 2,524 0,025115 0,017785 0,00755

279 (pozzo) 4,5805 0,018335 0,019435 0,005855

13 (pozzo) 12,8695 0,01638 0,086015 0,02125

85
3.5 Metalli pesanti

L’espressione metalli pesanti si riferisce ad un gruppo di elementi chimici velenosi per

l’uomo. Essi differiscono dai composti organici tossici per il fatto di non essere

completamente degradabili in forme non tossiche, sebbene alla fine siano trasformati in

forme insolubili e quindi biologicamente non disponibili. Essi sono collocati nella parte

intermedia ed inferiore della Tavola Periodica e la loro densità risulta alquanto elevata

se paragonata a quella di altri materiali comuni. Metalli indicati come "pesanti" messi

tipicamente in correlazione alla loro tossicità e bioaccumulazione nella catena

alimentare sono: mercurio, cromo, cadmio, arsenico, piombo e recentemente uranio.

Figura 3.1 – Tavola periodica degli elementi.

86
I metalli pesanti hanno una densità superiore ai 5,0 g/cm3, si comportano in genere

come cationi, presentano una bassa solubilità dei loro idrati, hanno una spiccata

attitudine a formare complessi; inoltre, presentano una grande affinità per i solfuri, nei

quali tendono a concentrarsi ed hanno diversi stati di ossidazione a seconda delle

condizioni di pH. Essi, spesso, appartengono ai cosiddetti "elementi in traccia", presenti

nei più comuni suoli e rocce della crosta terrestre in concentrazioni inferiori allo 0,1%.

Le loro concentrazioni nei suoli, nei sedimenti e nelle rocce sono solitamente di parti

per milione o per miliardo (ppm, ppb).

I metalli pesanti non possono essere degradati o distrutti. In piccola misura entrano nel

nostro corpo via cibo, acqua ed aria. Come elementi in tracce, alcuni metalli pesanti (per

esempio rame, selenio, zinco) sono essenziali per mantenere il metabolismo del corpo

umano. Tuttavia, a concentrazioni più alte possono portare ad avvelenamento derivante

da contaminazione dell'acqua potabile (per esempio da tubature in piombo), da alte

concentrazioni nell'aria vicino alle fonti di emissione, o assunzione tramite il ciclo

alimentare. I metalli pesanti sono pericolosi perché tendono a bioaccumularsi, ossia si

accumulano nell’organismo in concentrazioni che risultano, come ordine di grandezza,

superiori a quelle presenti nel mezzo (suolo,aria,acqua) in cui esso vive. Pertanto, la

loro concentrazione in un organismo biologico aumenta con il tempo, rispetto alla

concentrazione nell’ambiente; i residui si accumulano negli esseri viventi ogni volta che

sono assimilati ed immagazzinanti più velocemente di quanto sono scomposti

(metabolizzati) o espulsi. In alcuni casi sostanze come il mercurio presentano il

fenomeno della biomagnificazione, per il quale la concentrazione di tali sostanze

aumenta progressivamente nel passaggio attraverso i diversi anelli di una catena

ecologica alimentare (le concentrazioni delle sostanze tossiche persistenti che si

accumulano all'interno di un organismo diventano crescenti man mano che si sale

87
di livello trofico nella catena alimentare). Questo accumulo può avvenire attraverso

qualsiasi via: respirazione, ingestione o semplice contatto, in relazione alle

caratteristiche delle sostanze.

I metalli sono introdotti nei sistemi acquatici come conseguenza dell'erosione di terreni

e rocce, dalle eruzioni vulcaniche, e da diverse attività umane che coinvolgono

estrazione mineraria, trattamento, o uso di metalli o sostanze che contengono metalli

inquinanti. Gli inquinanti più comuni formati da metalli pesanti sono arsenico, cadmio,

cromo, rame, nichel, piombo e mercurio.

I campioni sono stati analizzati con la finalità di determinarne i tenori di concentrazione

per alcuni elementi chimici: Cadmio (Cd), Cromo (Cr), Rame (Cu), Zinco (Zn),

Arsenico (As), Piombo (Pb), Manganese (Mn), Nichel (Ni), Tallio (Tl), Uranio (U). Le

analisi sono state realizzate col metodo della spettrometria di massa a plasma

accoppiato induttivamente indicata con ICP-MS (dall’inglese Inductively Coupled

Plasma Mass Spectrometry) nei Laboratori Analitici dell’ENEA, Italian National

Agency for New Technologies,Energy and Sustainable Economic Development - C.R.

Portici.

Lo strumento utilizzato per la rilevazione dei metalli pesanti è l’ELAN 6000 ICP-MS

della Perkin-Elmer configurato in modo da poter effettuare in simultanea analisi degli

elementi su qualunque tipologia di campione pretrattato o non, e , avendo la possibilità

di operare in camera classe 1000, anche a sensibilità pari a qualche ppt (parti per

trilione) e in alcuni casi al di sotto delle ppt.

L'ELAN 6000 può valutare un campione, che copre l'intera gamma degli elementi della

tavola periodica, in meno di due minuti.

88
Figura 3.2 - ELAN 6000 ICP-MS della Perkin-Elmer

L’ ICP-MS è una tecnica analitica molto sensibile in cui il plasma è utilizzato per

atomizzare e ionizzare gli analiti nel campione ed in grado di determinare elementi in

tracce e ultra-tracce, sostanze inorganiche metalliche e non metalliche presenti

in concentrazioni inferiori a una parte per miliardo. Essa, infatti, sfrutta l'utilizzo di

una torcia al plasma ICP per produrre la ionizzazione e di uno spettrometro di massa per

la separazione e rivelazione degli ioni prodotti.

Gli ioni vengono fatti passare, attraverso un sistema di aperture (coni), nell’analizzatore

di massa che si trova sotto vuoto. Con la ICP-MS è anche possibile effettuare

l'analisi isotopica. Gli isotopi degli elementi vengono identificati in base al rapporto

massa/carica (m/z) e l’intensità di ogni picco è proporzionale alla quantità del

particolare isotopo dell’elemento nel campione.

È possibile effettuare anche l'analisi elementare, con un intervallo di elementi

chimici determinabili compresi tra la massa atomica del litio fino a quella dell'uranio (in

teoria tra 7 e 250 unità). Si possono rivelare concentrazioni dell'ordine dei ng/L.

Diversamente dall'assorbimento atomico, che può misurare un solo elemento per volta,
89
la ICP-MS consente invece la determinazione simultanea degli elementi con il

conseguente vantaggio di velocizzare tale tipo di analisi.

Figura 3.3 - Rappresentazione schematica dell’ ELAN 6000.

Il campione viene introdotto nel plasma per la distruzione del campione matrice e

ionizzazione. Quando il campione viene introdotto nello strumento passa attraverso

la torcia al plasma che è costituita da tre tubi concentrici, solitamente in quarzo,

Il plasma viene prodotto utilizzando un flusso di argon, in tal modo vengono

prodotti elettroni liberi e ioni Ar+. Gli elettroni interagiscono con il campo

magnetico indotto subendo delle accelerazioni in direzione variabile in funzione delle

variazioni di frequenza. Questi, collidendo con atomi di argon, sono in grado di

produrre ulteriori ioni Ar+ ed elettroni: si raggiungerà una situazione di equilibrio

dinamico quando la produzione di nuovi elettroni per collisione sarà bilanciata dalla

combinazione degli elettroni con gli ioni Ar+, processo che porta alla nuova formazione

di atomi di argon. Il plasma prodotto in tale modo è in grado di raggiungere temperature

dell'ordine dei 6.000-10.000 K. Gli ioni passano dalla regione torcia, a pressione

atmosferica, allo spettrometro di massa a quadrupolo, a pressioni di vuoto, attraverso la

90
regione di interfaccia. L'obiettivo di ioni focalizza gli ioni nello spettrofotometro, che

separa gli ioni con carica a rapporto di massa e li guida verso il rivelatore in cui sono

misurate. Lo spettrometro di massa sfrutta solitamente un analizzatore di massa a

quadrupolo. Gli ioni vengono separati in base al loro rapporto massa/carica e viene

prodotto un segnale proporzionale alla concentrazione. La concentrazione può essere

determinata tramite calibrazione con standard o anche tramite diluizione isotopica.

Lo spettrometro di massa effettua la separazione massa/carica degli ioni in condizioni

di vuoto. Tale vuoto viene creato e mantenuto da una serie di pompe. Il campione passa

infine verso l'analizzatore massa/carica e il rivelatore.

I risultati ottenuti sono stati riassunti nella seguente tabella:

Tabella 3.2 – Analisi dei metalli

Cr Cu Zn As Cd Pb Mn Ni Tl U

(ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb)
Campione

B3
(sorgente) 4,60 2,80 9,45 16,66 <0,05 <0,05 0,45 1,36 <0,05 0,61

B4-18
(fiume) 5,27 2,58 16,02 17,59 <0,05 <0,05 0,60 1,68 <0,05 1,23

B5
(sorgente) 3,88 2,23 3,99 15,39 <0,05 <0,05 1,22 0,93 <0,05 0,62

13
(pozzo) 6,98 0,94 5,3 21,69 <0,05 <0,05 0,15 2,43 <0,05 0,49

279
(pozzo) 2,16 1,00 4,32 24,63 <0,05 <0,05 0,15 0,64 <0,05 <0,05

17
(fiume) 4,32 2,10 2,12 6,61 <0,05 <0,05 0,10 9,67 <0,05 0,92

91
CAPITOLO 4: METODOLOGIE DI ELABORAZIONE DEI DATI

L’uso dell’informazione geografica e della sua rappresentazione sul territorio tramite

mappe si è rivelato nel tempo uno strumento insostituibile per conoscere, descrivere,

controllare, visualizzare vari aspetti del mondo circostante. Un approccio efficace per

affrontare problematiche in campo ambientale e per la gestione di processi decisionali

consiste nell’impiego di un sistema informativo territoriale come strumento di supporto.

I sistemi informativi territoriali, meglio definiti come GIS (Geographical Information

System), consentono di risolvere svariati problemi connessi ad attività di

programmazione, gestione e controllo di un territorio poiché sono in grado di gestire

informazioni geografiche, ovvero dati che fanno riferimento ad oggetti, eventi e

fenomeni inerenti la superfici terrestre. In termini generali il GIS si può definire come

un sistema che integra informazioni geometriche ed alfanumeriche diverse relative a un

territorio. Il progredire delle tecniche per la gestione di archivi (Data Base Management

Systems, DBMSs) e per il trattamento delle informazioni grafiche (Computer Aided

Design, CAD) ha, infatti, consentito di sviluppare e perfezionare pacchetti software in

grado di analizzare ed elaborare dati differenti, georeferenziati, ovvero riferiti ad un

comune sistema di coordinate geografiche che li colloca in una precisa posizione dello

spazio.

Il GIS è considerato da molti come uno degli strumenti più potenti tra tutte le tecnologie

dell’informazione, perché permette di correlare informazioni al territorio.

Più precisamente la gestione dei dati attraverso un GIS permette:

• di accedere ad una visione simultanea e riassuntiva di tutte i dati connessi

al luogo;

92
• di comparare speditamente, sotto forma di mappe tematiche, grafici e

tabelle, i dati presi in esame con quelli analoghi relativi ad altri luoghi o ambiti;

• di richiamare, comporre ed elaborare strati informativi diversi (layers), in

virtù della trasparenza del formato vettoriale che ne consente la sovrapponibilità;

• di produrre outputs diversificati (mappe tematiche, grafici e tabelle) in

versione video, files o stampa, secondo variazioni di scale, soglie percentuali e

scansioni cronologiche variabili e non solo standard o prestabilite.

In definitiva, i sistemi Gis rappresentano uno strumento fondamentale per valutare,

analizzare e rappresentare ogni tipo di fenomeno spaziale. L’acquisizione della

consapevolezza del significato di dato geografico ha permesso all’uomo, nel corso dei

secoli, di arrivare alla cognizione di informazione geografica e di concretizzarla

attraverso la formulazione dei costrutti mentali necessari alla sua rappresentazione. Il

dato geografico presenta caratteristiche specifiche rispetto agli altri tipi di dati perché

l’informazione che contiene è caratterizzata da una specifica posizione nello spazio e,

volendo, anche nel tempo. Il dato geografico è costituito da un insieme di coordinate

geografiche, dal valore numerico del dato stesso, dalla posizione che occupa nel tempo,

dagli attributi, ecc. Associando ad una semplice coppia di coordinate geografiche una

serie di altri valori numerici, alfanumerici, statistici, il dato geografico si trasforma in

un’informazione che rappresentata su una mappa per mezzo delle tecnologie offerte dai

GIS, risulta avere potenzialità di utilizzo davvero elevate.

Le attuali tecnologie GIS hanno offerto l’opportunità di poter manipolare quantità assai

vaste di informazioni geografiche, relazionandole al territorio e rivelando così

importanti aspetti legati a problemi chiave che sarebbero rimasti nascosti in una forma

di rappresentazione statica e non dinamico-geografica. Pertanto, i Gis, permettendo di

93
combinare informazioni geografiche con informazioni alfanumeriche, sono strumenti

per analizzare ed interpretare la realtà. L’acquisizione e l’organizzazione dei dati quale

strumento di conoscenza, e il Sistema Informativo Territoriale come mezzo per una più

articolata connessione del “bene” ambientale con il territorio, possono quindi rappresentare i

punti focali di un’efficace intervento sul patrimonio globale e nazionale.

4.1 Nascita del Gis

La seconda metà del 1900 è stata caratterizzata, com’è noto, da una grande evoluzione

tecnologica. Inoltre, gli anni 60 hanno segnato l'inizio del processo di trasformazione

anche per le scienze geografiche e cartografiche. Infatti, è proprio in questi anni che

nasce il GIS come un sistema computerizzato di misurazione di mappe che integra

informazione di tipo tabulare con quella grafica per la rappresentazione di mappe.

Le tecniche ormai raffinate di produzione di cartografia tradizionale, il rapido sviluppo

degli elaboratori elettronici e le nuove idee sull'analisi spaziale cominciarono in quegli

anni a promuovere un graduale processo di innovazione verso nuove metodologie di

studio e gestione del territorio. In quel periodo alcuni ricercatori ed esperti nei settori

applicativi dell’informatica e delle scienze di pianificazione del territorio, cominciarono

ad analizzare la possibilità di utilizzare gli elaboratori elettronici per le analisi

geografiche, valutandone costi e benefici. Le prime sperimentazioni ed applicazioni si

svilupparono nel Nord America, patria dei Sistemi Informativi Territoriali. Le due

principali iniziative alle quali si attribuisce la nascita della scienza dei SIT partirono

parallele, la prima indirizzata allo sviluppo di software commerciali (Harvard

94
Laboratory), la seconda per soddisfare un'esigenza pratica di un ente governativo

(C.G.I.S.).

Nella seconda metà degli anni 60, Howard Fisher fondò l’Harvard Laboratory for

Computer Graphics and Spatial Analysis, dove un nucleo di programmatori progettò e

realizzò un pacchetto software denominato SYMAP, che permetteva di elaborare dati

geografici e di realizzare semplici carte tematiche (CHRISMAN, 1988). Alcune

centinaia di copie furono vendute ad enti governativi, università e società private,

decretando il successo dell'operazione. Tuttavia, alcune iniziative di fusione

commerciale mal riuscite portarono alla disgregazione dello staff ed alla definitiva

chiusura del Laboratorio negli anni 80, ma le conoscenze accumulate non andarono

perse.

Altre università americane contribuirono notevolmente allo sviluppo di modelli e di

software GIS. Nello stesso periodo il Governo Canadese realizzò il primo vero e proprio

SIT denominato C.G.I.S. - Canada Geographic Information System (TOMLINSON,

1967).

Il progetto, che aveva come principale obiettivo di inventariare, in un sistema

informativo, il territorio Canadese, coinvolse un grande numero di persone, società ed

enti governativi: fu studiato un modello topologico che permettesse la codifica di

elementi poligonali.

Confortati dalle prime esperienze positive, molti altri enti governativi americani

impostarono sistemi informativi a base geografica. Il Census Bureau degli Stati Uniti

sviluppò un sistema di georeferenziazione dei dati statistici ed un software che

permetteva di collegare agli elementi geografici informazioni numeriche attraverso gli

indirizzi (USBC 1969 - 73). Il Geologycal Survey sviluppò un SIT per l'analisi delle

risorse naturali a partire dal 1973; integrando le informazioni provenienti dalle

95
immagini inviate dai nuovi satelliti per il telerilevamento, dalle carte preesistenti e da

rilievi in campo, produsse carte digitali di uso e copertura del suolo (MITCHELL,

1977).

Il telerilevamento da satellite ebbe in quegli anni un ruolo importante nello sviluppo dei

Sistemi Informativi Territoriali, poiché permise, a costi contenuti, di generare

cartografie tecniche e tematiche digitali a scala medio-piccola, e, soprattutto, di

mantenerle costantemente aggiornate. Al telerilevamento si deve anche lo sviluppo di

sistemi software per l'elaborazione di dati raster, oggi sempre più integrati con i

software GIS vettoriali.

Anche in Europa, spinti dai risultati delle prime esperienze d'oltre oceano, alcuni centri

di ricerca ed enti governativi si spinsero verso le nuove tecnologie.

Alla produzione sistematica ed alla disponibilità di cartografia digitale sia di tipo

topografico che di tipo catastale, seguirono le acquisizioni di sistemi informatici per la

gestione di dati geografici da parte di vari enti e amministrazioni. L'università, intanto,

proseguiva in studi e sperimentazioni applicative.

Il GIS commissionato nel 1968 dal Governo canadese, finalizzato alla descrizione

dell'uso del suolo del paese, e quello del Bureau of The Census degli Stati Uniti,

sviluppato per la riorganizzazione della base territoriale del censimento del 1970,

quindi, vanno ricordati tra le prime applicazioni di grande rilievo. I due progetti diedero

il via ad un programma unitario presso il laboratorio di Computer Graphics and Spatial

Analysis dell’università di Harvard, teso allo sviluppo di GIS general-purpose che

potesse essere utile ad entrambe le esigenze. Tale programma portò alla realizzazione di

ODISSEY GIS alla fine degli anni ’70. D’altra parte, già dagli anni ’60 i cartografi e le

agenzie che si occupavano di mappe avevano cominciato a chiedersi come i computer

potessero aiutare il loro lavoro, e alla fine degli anni ’70 la maggior parte delle

96
principali agenzie di cartografie erano in larga parte computerizzate. Da quel momento,

e soprattutto negli anni Ottanta, l'offerta di GIS sul mercato dell'informatica è cresciuta

velocemente tanto che oggi si possono contare alcune decine di prodotti software di

questo tipo con caratteristiche e funzioni diverse. Inoltre, un importante ruolo nello

sviluppo dei GIS l’hanno avuto gli strumenti di misura remoti, come i satelliti che si

sono cominciati a diffondere già dagli anni 50 (ad opera dei militari). Molte

applicazioni e innovazioni sui GIS sono avvenute durante la guerra fredda, per opera dei

militari (ad esempio il GPS).

4.2 Che cos’è il GIS

Possiamo definire un Sistema Informativo Territoriale come l'insieme delle

apparecchiature, del software, delle applicazioni e delle persone che hanno il compito di

acquisire, organizzare, elaborare, gestire e restituire dati georiferiti,ossia dati riferiti allo

spazio geografico, al fine di mettere a disposizione dei responsabili delle decisioni

operative tutte le informazioni necessarie per effettuare le migliori scelte possibili.

La maggior attrattiva dello strumento GIS è quella di poter contenere moltissime

informazioni e dati, anche assai diversi tra loro, come carte d’uso del suolo, mappe

catastali, ortofoto, carte topografiche, immagini da satellite, tabelle excel che una volta

integrate in un GIS, danno l’opportunità anche ai non addetti ai lavori, di poter

formulare giudizi e/o previsioni legati alla gestione del territorio. Oltre al

posizionamento geografico degli oggetti, il database contiene anche attributi ed

informazioni che, in relazione al tipo di utilizzazione, servono a distinguere tra loro gli

oggetti ed a metterne in evidenza le relazioni al fine di risolvere problemi di gestione e

97
pianificazione territoriale. Il GIS è, dunque, un sistema completo in grado di trattare e

gestire dati territoriali associati ad una base cartografica. A differenza dei programmi di

progettazione assistita da calcolatore o CAD (Computer Aided Design) e dai modelli di

cartografia numerica i software per i GIS si distinguono da questi per la capacità di

integrare i dati georiferiti attraverso specifici strumenti di analisi quali: la ricerca di

elementi distribuiti nel territorio e la loro selezione per attributi (ad esempio: la

selezione di tutte le strade di un ambito territoriale con flussi di traffico determinato o di

tutte le sezioni di censimento di un'area urbana con densità di popolazione superiore ad

un numero prefissato di abitanti per unità di superficie, etc.), la generazione di aree di

rispetto o di influenza (buffer), la generazione di modelli digitali del terreno (DTM-

Digital Terrain Model), la scomposizione delle immagini in livelli (layer o theme, come

le curve di livello, il reticolato idrografico, etc.) e la sovrapposizione automatica di

livelli geografici (map overlay). I GIS hanno, quindi, finalità ben più ampie, rivolte

essenzialmente all'analisi integrata di informazioni georiferite al territorio, al fine di

mostrare i dati acquisiti in vari modi e secondo vari punti di vista.

Un GIS è generalmente progettato per contenere dati ed applicazioni in funzione di

specifiche esigenze dell'utente. Infatti, possono essere usati in svariate applicazioni.

98
4.3 Applicazioni del GIS.

Considerando che la maggior parte dei dati complessivamente utilizzati nelle

diverse attività umane contiene una componente spaziale e per le caratteristiche, le

estensioni e le personalizzazioni che si possono ottenere, i GIS vengono utilizzati

in numerosi campi applicativi:

• in agricoltura per stimare le colture stagionali ed organizzare le risorse

agricole (con carte tematiche digitali della copertura agricola dalle

immagini da satellite), per pianificare gli interventi di risanamento, per

gestire i finanziamenti agli operatori del settore attraverso ricerche

geostatistiche;

• nella Protezione Civile per generare coperture di erosione potenziale,

studiare la vulnerabilità degli acquiferi sotterranei, per simulare eventi

catastrofici prevedendo come, dove e quando intervenire per arginare i

danni ed evacuare le zone colpite (analisi dei rischi ambientali, sismici

etc.);

• nelle aziende che gestiscono reti tecnologiche per inventariare e gestire le

reti sul territorio (gestione e progettazione delle reti tecnologiche),

supportare le attività di manutenzione, simulare guasti e programmare gli

interventi necessari, pianificare l'incremento della rete nelle zone di

espansione.

• nel settore delle analisi socio-demografiche e di mercato per analizzare la

distribuzione geografica dei dati statistici rilevati ed individuare le

99
interdipendenze (con opportuni modelli geografici); effettuare analisi di

geomarketing ;

• nel settore dei trasporti e della mobilità per controllare le flotte di mezzi

sul territorio, visualizzare in ogni istante la localizzazione geografica di un

mezzo, analizzare i percorsi ottimali in funzione di varie impedenze quali

la distanza, il traffico, la pendenza, la tortuosità, i limiti di velocità

imposti, ecc.,gestire gli interventi di ordinaria manutenzione e delle

concessioni stradali; (Analisi dei percorsi e delle infrastrutture, reti di

servizi, traffico);

• nelle amministrazioni comunali per realizzare e gestire il Piano

Regolatore, le varianti ed i piani attuativi, gestire i tributi in funzione della

localizzazione e della tipologia delle proprietà, per la gestione dei beni

demaniali e del catasto;

• nel settore della progettazione di opere ed infrastrutture per individuare la

localizzazione ottimale di grandi opere, valutare l'impatto ambientale

(attraverso tecniche di sovrapposizione automatica dei vari tematismi

ambientali con l'opera progettata e l'analisi geografica delle

incompatibilità); Progettazione del territorio (piani regolatori, di sviluppo,

zonizzazioni;)

• nella gestione tattica e strategica delle forze armate (simulazione e

controllo di azioni belliche);

• nello studio, catalogazione e gestione dei beni culturali;

100
In particolare in campo ambientale i sistemi informativi territoriali risultano

indispensabili per :

• rappresentare le varie componenti del territorio quali la morfologia, la geologia,

l’indice demografico,l’idrologia (analisi territoriale di sistema);

• pianificare e definire confini di aree di interesse naturalistico da porre sotto

protezione (attraverso l'analisi integrata delle varie componenti ambientali ed

antropiche);

• monitorare geograficamente, attraverso carte di isovalore, l'inquinamento

dell'aria, delle risorse idriche, del mare e della terra (analizzando le fonti

potenziali e pianificando gli interventi);

• controllare l'evoluzione della pressione antropica sui territori di particolare

valore ambientale.

• analizzare i flussi e i bacini (rappresentazione aree esposte a esondazioni o

diffusione di contagi epidemici);

• monitorare e controllare il territorio (confronto di foto aeree per l’analisi delle

modifiche del territorio, localizzazione della dislocazione di mezzi mobili);

Le applicazioni finora descritte, costituiscono un elenco tutt'altro che esaustivo con il

semplice scopo di mostrare in quanti campi i GIS sono oggi operativi e suggerire quanti

altri settori potrebbero essere in futuro coinvolti da questa nuova tecnologia. Infatti,

sempre più nuove applicazioni, ad esempio nel settore delle telecomunicazioni,stanno

prendendo piede per studiare la copertura territoriale delle antenne di trasmissione (in

funzione delle caratteristiche delle onde radio, della potenza di trasmissione, delle

impedenze dovute alla morfologia del terreno e alla vegetazione, alla concentrazione

della popolazione).

101
4.4 Componenti di un GIS

Il GIS integra 5 componenti essenziali:

• Hardware

• Software

• Procedure applicative o metodi

• Persone

• Dati o banche dati

Figura 4.1 - Componenti di un GIS.

L’ hardware è rappresentato dal computer su cui opera il GIS. Al giorno d’oggi un

software GIS gira su un’ampia gamma di piattaforme hardware. Le capacità hardware

determinano la velocità del processo, la facilità d’uso e il tipo di prodotto di output

disponibile. Può essere costituita da qualsiasi piattaforma di computer, includendo sia

Pc modesti che workstation ad alte prestazioni. La scelta di questa parte del GIS

dipende da vari fattori come l’entità e tipo di dati da gestire, la disponibilità di risorse

economiche e la compatibilità con i software da utilizzare.

102
Il Software fornisce le funzioni e gli strumenti per memorizzare, analizzare e

visualizzare informazioni geografiche. Le componenti chiave del software sono:

− strumenti per l’inserimento e la manipolazione di dati geografici

− sistema per la gestione del database (DBMS)

− strumenti per la ricerca, l’analisi e la visualizzazione

− interfaccia grafica di facile accesso agli strumenti

Esso deve, quindi, soddisfare una serie di requisiti:

− velocità

− affidabilità

− interfacciamento con altri programmi.

Le procedure applicative o metodi sono la serie di passaggi seguiti per risolvere i

problemi e vengono generalmente sviluppate all’interno del software GIS o all’esterno,

usufruendo di opportune librerie di funzioni, attraverso l’uso di linguaggi di

programmazione o attraverso strumenti software in grado di procedurizzare sequenze di

funzioni GIS. Esse possono essere procedure di acquisizione dati o per la loro

restituzione, per la gestione degli archivi, per l’aggiornamento o l’elaborazione dei dati,

modelli di simulazione, modelli di rappresentazione, interfacce utente.

La componente umana svolge un ruolo essenziale, in quanto la tecnologia GIS avrebbe

un valore limitato senza le persone che gestiscono il sistema e sviluppano progetti per la

risoluzione di problemi del mondo reale. Gli utenti GIS spaziano dagli specialisti tecnici

che progettano il sistema a coloro che lo utilizzano per adempiere il proprio lavoro.

103
Le persone devono essere preparate e formate alle attività che sono chiamate a

svolgere. Spesso nella progettazione di un sistema informativo la componente umana

viene dimenticata, con il risultato che a posteriori si improvvisano figure informatiche

ed applicative non preparate a svolgere le attività a loro affidate. Per la buona riuscita

del progetto è, invece, necessario un buon piano formativo personalizzato per tipologia

di utenza e di operatore: i componenti dell'organico tecnico per la gestione del sistema,

gli utilizzatori diretti, gli utenti indiretti ed i decisori vanno coinvolti direttamente non

solo nelle fasi di analisi e progetto, ma anche nelle fasi di test e di messa a punto delle

procedure di utilizzo.

La quinta componente di un GIS è la banca dati. Le informazioni sono organizzate in

strutture logiche appositamente studiate per le applicazioni previste. I dati possono

essere considerati l'elemento fondamentale, essi dipendono dal campo di applicazione e

sono inseriti nel computer in un modello dati che riproduce il più fedelmente possibile

la realtà. Il modello dei dati di un GIS presenta informazioni riguardanti la topologia e

permette di associare agli elementi geografici una serie di attributi descrittivi degli

elementi stessi. I dati che sono utilizzati per un GIS sono solitamente di due tipi:

• dati geografici, ossia dati relativi ad elementi od oggetti della superficie

terrestre la cui posizione è definita da un insieme di coordinate geografiche.

Possono provenire da svariate fonti e la loro produzione è legata all’utilizzo di

strumenti tecnici di vario genere (scannerizzazione, digitalizzazione, input da

tastiera e mouse, telerilevamento,fotografia aerea)

• dati attributo o semplicemente attributi comprendono per lo più dati

numerici ed alfanumerici memorizzati sotto forma di tabelle, ma possono essere

anche documenti complessi che prevedono l’integrazione di immagini e suoni.

104
Possono provenire da diverse fonti come censimenti, anagrafe, campagne di

rilevamento, indagini di settore, ricerche, archivi di vario genere, ecc.

4.5 I dati geografici

I dati spaziali sono, generalmente, rappresentati su carte geografiche e, quindi, la

sorgente più comune di dati acquisibili in un GIS sono carte topografiche e tematiche.

Esistono due formati di dati geografici:

• dati vettoriali, in cui le informazioni geografiche vengono memorizzate

come punti, linee e poligoni

• dati raster, in cui l’informazione è acquisita secondo celle elementari

regolari che corrispondono a porzioni quadrate di territorio.

La struttura vettoriale riproduce la forma degli elementi del territorio

rappresentandoli fisicamente come punti, linee e poligoni. Pertanto, i punti (x,y)

vengono utilizzati per rappresentare elementi puntiformi, come ad esempio punti

quotati, pozzi, pali, alberi, località, città, (ciò dipende anche dalla scala di

riferimento considerata), le linee (insieme di coordinate) definiscono elementi a

sviluppo lineare come ad esempio curve di livello, corsi d’acqua, strade, linee

elettriche, ecc..; mentre, i poligoni (insieme di coordinate in cui la prima e l’ultima

hanno lo stesso valore) possono rappresentare superfici o aree chiuse come ad

esempio edifici, confini amministrativi, laghi, affioramenti geologici, ecc…

105
Tutti i punti delle entità sono georiferiti, cioè sono localizzabili mediante coordinate

geografiche, le strutture topologiche permettono di associare alle entità

(punti,linee,poligoni) attributi descrittivi e di relazionare banche dati informative di

diversa natura.

Punti, linee e poligoni vengono creati:

• dalla digitalizzazione manuale

• da vettorializzazioni di dati raster

• da rilievi topografici con appositi strumenti

• dai CAD

• dai GPS (Global Position Systems).

Il dato vettoriale non ha risoluzione, ma ha una scala nominale di acquisizione. I

vantaggi che derivano dal loro utilizzo sono:

− adatto per rappresentare le realtà organizzate secondo questi elementi;

− accurate informazioni posizionali;

− occupa poca memoria;

− può associare un numero illimitato di attributi;

− si modifica facilmente;

− È limitato nella rappresentazione dei dati di tipo continuo.

Nel modello raster, invece, i dati geografici sono memorizzati tramite la creazione di

una griglia regolare in cui ad ogni cella (assimilabile al pixel) viene associato un valore

alfanumerico che ne rappresenta un attributo. I dati raster hanno una “grana”

(risoluzione) dovuta alla grandezza di una cella (pixel).

106
Elementi chiave della struttura raster sono:

• Cella

• Riga

• Colonna

Figura 4.2 - Immagine raster.

Le celle sono numerate come gli elementi di una matrice e ad ogni cella viene associato

il valore del tema che si vuole rappresentare. La posizione della cella è data dal numero

di riga e dal numero di colonna della matrice a cui appartiene; come in tutte le matrici,

la posizione di ogni cella è riferita ad un’origine, rappresentata solitamente dalla cella in

basso a sinistra, ma talvolta anche da quella in alto a sinistra.

Sono creati da:

• Programmi per interpretazione di immagini;

• Macchina fotografica digitale;

• Scanner;

• Satellite;

• Rasterizzazione di dati Vector.

107
Una carta di tipo raster oltre a non consentire valutazioni metriche ed analisi spaziali

non può essere utilizzata per rappresentare informazioni alfanumeriche. Ciò è dovuto

principalmente al fatto che la georeferenziazione di un dato raster avviene deformando

il numero dei pixel che formano l’immagine e spostandoli di asse, anche se il

documento originale era corretto e l’acquisizione raster è avvenuta in piano il risultato

non sarà utilizzabile metricamente. Essi hanno le seguenti caratteristiche:

− Adatti per gestire dati tematici;

− Rappresentano meglio i dati di tipo “continuo”;

− Si incorporano facilmente informazioni aggiuntive;

− Permettono di realizzare più facilmente operazioni matematiche e di

overlay;

− Richiedono spazi di memoria elevati in alta risoluzione;

− Gli oggetti si modificano con difficoltà;

− Solamente un attributo può essere specificato per ciascuna cella.

Il modello vettoriale è molto utile per descrivere fenomeni discreti. Mentre, la struttura

raster è considerata la più semplice ed

intuitiva struttura di organizzazione di dati

geometrici. La struttura vettoriale e la

struttura raster sono da considerarsi delle

alternative complementari, nessuna delle

due può, infatti, sostituire completamente

le funzioni applicative dell’altra. La scelta

deve essere quindi effettuata caso per caso,

in funzione delle necessità elaborative.

108
I moderni strumenti GIS sono in grado di gestire sia il modello dati vettoriali che il

modello dati raster; dunque i dati vettoriali e i dati raster possono coesistere

integrandosi a vicenda e generalmente i primi sono usati per dati discreti e i secondi per

dati continui.

In realtà i due modelli vengono integrati in quanto una mappa viene costituita da più

strati informativi omogenei a formare una cosiddetta mappa tematica che descrive un

determinato fenomeno.

L’unità di base con la quale i dati spaziali vengono inseriti in un GIS è il “layer” o

strato informativo che è la versione digitale di uno strato di una singola carta e

generalmente contiene un solo tipo di primitiva cartografica come o strade o idrografia

o vegetazione. Il layer contiene contemporaneamente i dati locazionali e descrittivi

delle primitive in una precisa area geografica. In particolare, ogni oggetto grafico dei

dati spaziali è associato ad un unico identificatore numerico (identifier o Id), ed è

caratterizzato da un’unica locazione (dati spaziali) e da un set di attributi (dati

descrittivi).

4.6 Gli attributi e database geografici

Gli attributi rappresentano i dati descrittivi dei singoli oggetti reali con la funzione di

esprimere le caratteristiche degli elementi grafici. Sono i dati alfanumerici, ma anche le

descrizioni, le foto, i disegni,ecc, associati all’elemento geografico. Una peculiarità che

distingue i GIS dai sistemi di cartografia numerica è la possibilità di associare ad

elementi geometrici rappresentativi di oggetti o aree sul territorio, attributi ed

109
informazioni di vario tipo (dati alfanumerici, testi ,foto,disegni, ecc.). Ad elemento o

insieme di elementi è possibile associare un numero infinito di attributi e definire le

relazioni che sussistono fra essi.

Figura 4.3 – Esempio di attributi alfanumerici associati ad un elemento poligonale.

Si possono associare un numero infinito di attributi ad ogni elemento geografico. Per i

dati geografici tipo raster gli attributi sono associati alla singola cella. Per i dati

geografici tipo vector gli attributi sono associati agli elementi punto, linea, poligono.

Generalmente, gli attributi sono inseriti in un database costituito da tabelle e relazioni,

cosa che offre potenzialità molto vaste nella struttura degli archivi e nelle applicazioni.

Un GIS solitamente prevede l’utilizzo di dati sotto forma di file in un certo tipo di

formato riconosciuto dal software. Tuttavia quando i dati devono essere accessibili a più

utenti anche contemporaneamente, oppure quando la dimensione territoriale dell’area da

analizzare e la densità delle informazioni comportano grandi dimensioni e prestazioni, è

necessario strutturare i dati in un database e farli gestire da appositi software che ne

garantiscono l’efficienza in termini di sicurezza, di accessi e di prestazioni. Il database

geografico può essere definito come un archivio di entità territoriali e delle loro

relazioni, strutturato in file organizzati da un sistema che ne garantisca la gestione

efficiente e l’accesso da molte applicazioni ed utenti.

110
Un database geografico è strutturato e gestito da un Database Management System

(DBMS) che è un sistema computerizzato che comprende le metodologie e tecniche

utilizzate per memorizzare, organizzare e rappresentare i dati e le informazioni

alfanumeriche circa la posizione, la topologia e gli attributi degli elementi geografici.

Le strutture di DBMS si differenziano tra di loro in funzione del modello di

organizzazione dei record all’interno della banca dati. Il modello generalmente

applicato per il database geografico è il modello relazionale la cui caratteristica è quella

di poter utilizzare qualsiasi campo come chiave di ricerca o relazione. Infatti, i dati sono

archiviati in tabelle bidimensionali (dette “relation”) ciascuna delle quali è rappresentata

fisicamente da un file; ogni riga della tabella identifica un record e ciascuna colonna

rappresenta un attributo o un campo di ciascun record. Ad ogni riga (record) della

tabella è associato un diverso elemento geografico. Ogni colonna o campo (field) della

tabella rappresenta una diversa classe di attributi. Le ricerche possono essere eseguite su

ogni singola tabella usando uno o più campi contemporaneamente come chiave. La

struttura permette una flessibilità estrema, con una notevole riduzione delle ridondanze

e la possibilità di definire nuove relazioni in funzione di specifiche richieste; inoltre,

campi comuni in differenti tabelle ne consentono il collegamento. I database relazionali

si prestano all’uso con i dati geografici anche perché il legame dei dati geografici con i

dati alfanumerici è enormemente facilitato. I dati sono estratti dal database attraverso

una procedura in cui l’utente definisce una relazione che è appropriata per la query

(interrogazione) dell’utente. L’identifier, un numero univoco per ogni primitiva del

layer, è inserito sia nel file del layer che in quelli degli attributi. Ciò assicura una

corrispondenza univoca tra dati spaziali e attributi. Tutto ciò permette di interrogare sia

la mappa, per conoscere gli attributi dell’elemento selezionato, sia il database associato

alla mappa, per visualizzare la localizzazione degli elementi con le caratteristiche

111
individuate. Ad esempio, è possibile interrogare la mappa per conoscere la popolazione

di una determinata area, oppure interrogare il database per visualizzare tutte le aree che

hanno popolazione maggiore di un certo valore.

4.7 Funzionalità di un GIS

Per svolgere il ruolo ad esso assegnato un GIS deve possedere specifiche funzionalità

operative. La descrizione di queste funzionalità permette di comprendere i concetti di

base dell'elaborazione di dati geografici. Secondo una classificazione considerata ormai

uno standard (KNAPP, 1978) possiamo considerare cinque gruppi di funzionalità:

− acquisizione dei dati

− pre-elaborazione

− gestione di banche dati

− analisi spaziale

− generazione di prodotti.

Le funzionalità di acquisizione dei dati comprendono tutte quelle attività che

riguardano la raccolta, la predisposizione e l’acquisizione vera e propria di informazioni

geografiche. Le informazioni geografiche e descrittive possono essere acquisite con

diverse modalità ed in differenti strutture di dati.

Dopo aver individuato la fonte e la struttura informatica dei dati, si procede alla loro

acquisizione. Per poter effettuare tali attività il sistema deve possedere una serie di

112
funzionalità specializzate nell'acquisizione di dati. Le funzionalità del sistema devono

permettere di:

− acquisire dati da banche dati già esistenti;

− importare dati acquisiti con rilievi di campagna;

− acquisire informazioni e tematismi da cartografia già esistente;

− generare elementi geografici da rilievi aerei;

− acquisire immagini telerilevate da satellite e prodotti derivati.

Ogni attività di acquisizione dati ha il suo costo, che è direttamente proporzionato alla

qualità.

Le funzionalità di pre-elaborazione permettono di manipolare i dati e predisporli

definitivamente per il loro inserimento in banca dati; le attività di predisposizione

comprendono anche i controlli di congruenza fra strati informativi differenti, in modo

da evitare errori grossolani. Le principali funzionalità di pre-elaborazione sono:

− conversione fra strutture di dati differenti (per esempio: da raster a

vector e viceversa);

− generalizzazioni e riduzioni;

− controllo degli errori;

− controlli di adiacenza per la generazione della continuità territoriale

(mosaicatura);

− georeferenziazioni e correzioni geometriche;

− conversioni fra proiezioni e sistemi di coordinate differenti;

− rotazioni e traslazioni;

113
− interpolazioni;

− fotointerpretazioni.

Le funzionalità per la gestione delle banche dati territoriali permettono di generare,

gestire e controllare gli accessi degli archivi. Le principali funzionalità per la gestione

delle banche dati territoriali sono:

− connessioni con DBMS relazionali;

− strutturazione di banche dati geografiche;

− controllo e priorità degli accessi;

− estrazione ed inserimento dei dati;

− controllo degli aggiornamenti;

− memorizzazione della storia dei dati e degli accessi.

Le funzionalità di analisi spaziale sono assolutamente caratteristiche di un sistema per

l'elaborazione di dati geografici. Tali funzionalità includono gli operatori (geometrici e

non) che permettono di generare e derivare nuove informazioni dai dati contenuti nel

sistema; attraverso l'uso di queste funzionalità è possibile generare modelli di analisi e

simulazione. Le principali funzioni di manipolazione ed analisi spaziale sono:

− riclassificazioni ed aggregazioni;

− sovrapposizioni ed integrazioni (overlay mapping);

− generazione di aree di rispetto (buffer);

− analisi di rete (percorsi ottimali, prossimità, ecc.);

− analisi DEM (pendenza, esposizione, campo visuale, ecc.);

114
− analisi raster (sovrapposizione, percorsi minimi, classificazione, analisi

d'intorno, ecc.).

Le funzionalità per la generazione di prodotti comprendono sia le interfacce utente che

la produzione di report statistici e di cartografie di vario tipo. Lo sviluppo e le

potenzialità di queste funzioni (che facilitano l’accesso e la lettura delle informazioni)

costituiscono per l'utente finale il principale metro di misura nella scelta del software

GIS. Le principali funzionalità per la generazione di prodotti sono:

− generazione di interfacce interattive a menù ed icone, multifinestre;

− generazione di carte topografiche e tematiche complete di tutti gli

elementi accessori;

− generazione di cartogrammi, diagrammi, grafici, ecc…;.

− generazione di report statistici e descrittivi.

Così come per le funzionalità di acquisizione, anche per queste funzioni di restituzione

dei dati è molto importante l'hardware; le diverse tipologie di prodotti generabili

richiedono periferiche di restituzione che sono molto differenti per tipo e soprattutto per

costo.

115
CAPITOLO 5: APPLICAZIONE DEL GIS AL CASO DI STUDIO
DELLA BASSA VALLE DEL FIUME CALORE

Per quanto riguarda il presente elaborato sono state create delle mappe tematiche che

permettono la visualizzazione sul territorio di tutto quello che è stato descritto

precedentemente e dei risultati ottenuti riguardo allo stato delle acque superficiali e

sotterranee dell’area esaminata. Per la creazione di queste mappe tematiche è stato

utilizzato il Software ArcGIS versione 9.1 della ESRI.

ArcGIS è il nome identificativo della famiglia di prodotti GIS della ESRI, ed è basato

su una libreria comune di componenti software condivisi chiamata ArcObject.

ArcGIS Desktop è una serie di applicazioni GIS avanzate, ed è disponibile in tre livelli

funzionali :

• ArcView, offre la possibilità di rilevare dati e fare analisi con semplici

strumenti per l’editing e il Geoprocessing.

• ArcEditor, include tutte le funzioni di ArcView, più altre per effettuare

operazioni avanzate di editing su Coverages e Geodatabase

• ArcInfo, estende le funzioni dei due prodotti precedenti includendo un

Geoprocessing più avanzato.

ArcGis Desktop include una serie di applicazioni integrate: ArcMap, ArcCatalog e

ArcToolbox, accessibili da tutti e tre i prodotti ArcGIS (ArcView, ArcEditor e ArcInfo).

ArcMap è l’applicazione centrale di ArcGIS Desktop e comprende tutte le funzioni per

vedere, consultare, analizzare e, infine, stampare i dati. Ci sono anche funzioni per il

Geoprocessing, per la creazione di diagrammi e per creare rapporti. Inoltre, in ArcMap

116
sono disponibili una serie di comandi per creare ed editare dati geografici spaziali e

tabellari.

ArcCatalog è uno strumento per l’accesso e l’organizzazione dei dati. Consente di

creare nuovi dati come Shapefile, Coverage, Geodatabase, tabelle, database,ecc.

ArcToolbox contiene le funzioni per la conversione dei dati, traslazione di sistemi di

coordinate, proiezioni geografiche, e altro.

I dati riferiti al 2010 sono stati acquisiti con il metodo più tradizionale del rilievo in

campagna, mentre, i dati delle campagne del 2007 e del 2009 sono stati acquisiti

attraverso digitalizzazione da cartografia; sulle carte alcuni elementi geografici rilevanti

erano già sintetizzati e chiaramente rappresentati, pertanto, il lavoro di trasferimento in

forma numerica è stato più semplice ed intuitivo. Dal punto di vista strettamente

metodologico, per la realizzazione del GIS relativo all’area oggetto di studio sono stati

utilizzati come supporti cartografici i seguenti quadranti della Carta d’Italia, prodotti

dall’Istituto Geografico Militare (IGM) in scala 1:50.000 in formato raster:

• Foglio n° 418 “Piedimonte Matese”

• Foglio n°419 “San Giorgio La Molara”

• Foglio n°432 “Benevento”

• Foglio n°431 “Caserta est”

La delimitazione dell’unità strutturali del paesaggio è stata realizzata a partire dalla

interpretazione e digitalizzazione a video del Foglio 173 BENEVENTO della Carta

Geologica d’Italia in scala 1:100.000, redatta dal Servizio Geologico d’Italia.

In particolare, per le panoramiche da foto aeree sono state utilizzate delle ortofoto,

ottenute da immagini telerilevate da satellite che sono già di per se una

rappresentazione digitale del territorio, da cui si possono derivare ulteriori descrizioni

tematiche e topografiche. Una ortofoto è una fotografia aerea che è stata

117
geometricamente corretta (cioè che ha subito procedimento di ortorettifica)

e georeferenziata in modo tale che la scala di rappresentazione della fotografia sia

uniforme, ossia la foto può essere considerata equivalente ad una mappa. A differenza

di una semplice foto aerea, una ortofoto può essere usata per misurare distanze reali, in

quanto essa raffigura un’accurata rappresentazione della superficie della Terra. Le

ortofoto sono state scaricate dalla rete internet attraverso l’utilizzo del server “virtual

earth image satellite” e di una una toolbar di “manifold system”. La peculiarità della

toolbar e del server virtual earth è che permettono di scaricare delle piastrelle in formato

jpg di un’area della mappa, scelta dall’utente, facendole scorrere sullo schermo del

computer. Ogni piastrella è identificata da un file jpg con un nome univoco riportante il

livello di risoluzione e le coordinate non geografiche. Successivamente, si è provveduto

ad assegnare le coordinate geografiche attraverso il programma “Siberio” e ad effettuare

la mosaicatura con il programma “Globalmapper”. Grazie al programma “Siberio” è

possibile trasformare i file jpg in file “jgw” contenenti una serie di coordinate

geografiche leggibili dal software di mosaicatura “Globalmapper” , che ci permette di

assemblare le singole piastrelle affiancandole l’una all’altra in modo corretto. In questo

modo otteniamo la mappa completa delle ortofoto.

La costruzione delle carte prevede, oltre l’uso di una proiezione geografica, anche

l’utilizzo di un appropriato sistema di coordinate di riferimento; quest'ultimo permette

di individuare una corrispondenza tra le coordinate geografiche e le coordinate piane

(x,y), in modo tale che ad ogni punto dell'ellissoide corrispondano due coordinate

metriche, il che consente successivamente di calcolare distanze, angoli ed aree.

Un sistema di coordinate di riferimento è definito dal cosiddetto datum, che individua il

modello matematico usato per calcolare le coordinate geografiche dei singoli punti. Il

118
datum è costituito da un set di otto parametri (due relativi alla forma dell’ellissoide e sei

relativi alla posizione ed all’orientamento) e da una rete di punti di compensazione.

I suddetti supporti cartografici sono stati utilizzati come base topografica e

georeferenziati nel sistema di coordinate UTM -WGS84.

Un sistema di riferimento (SR) è un insieme di regole e misure (coordinate) utilizzate

per individuare la posizione di un qualsiasi punto sulla Terra.

Il WGS84 (World Geodetic System 1984) è un sistema di riferimento internazionale

introdotto dalle tecnologie satellitari e costituisce un modello matematico

della Terra da un punto di vista geometrico, geodetico e gravitazionale, costruito

sulla base delle misure e delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili al

1984. Dal punto di vista geometrico, il WGS84 è un sistema di riferimento

cartesiano usato per descrivere la terra in cui:

• il centro dell’ellissoide coincide con il centro di massa della terra,

• l’asse Z è diretto verso il polo Nord

• l’asse X è diretto verso il meridiano di Greenwich (meridiano zero)

• l’asse Y completa una terna cartesiana destrorsa, ovvero è scelto in modo

tale che un osservatore posto lungo l'asse Z veda l'asse X sovrapporsi a Y con

moto antiorario, il che pone Y in Asia.

A questo sistema non è ufficialmente associato alcun sistema cartografico anche se

generalmente in Italia si associa alla rappresentazione cartografica Mercatore Traversa

Universale (UTM) che comprende il territorio nazionale in due fusi di 6°, denominati

fuso 32 e fuso 33 del sistema internazionale. Per questo motivo questo sistema di

coordinate è generalmente denominato UTM- WGS84.

119
La procedura di Georeferenziazione in ambiente GIS è stata effettuata assegnando a 4

punti noti le loro rispettive coordinate geografiche in riferimento al sistema di

coordinate utilizzato.

In alcuni casi qualora il sistema di riferimento era già assegnato è stata effettuata una

conversione fra proiezioni e sistemi di coordinate in modo da lavorare con dati riferiti

allo stesso sistema di coordinate.

Tutti gli shapefiles sono stati realizzati attraverso digitalizzazione e i rispettivi attributi

sono stati inseriti tramite funzioni di editing.

120
5.1 Visualizzazione dei dati

Sono state create delle mappe tematiche che mostrano, dapprima, la

localizzazione dei sei punti campionati e, successivamente, le caratteristiche e gli

andamenti dei principali parametri analizzati per le acque superficiali e

sotterranee. I punti campionati, di cui quattro superficiali, riferibili al Fiume

Calore e a due sorgenti, e due relativi alle acque di falda (attraverso due pozzi)

sono rappresentati nelle seguenti tavole:

• Tavola 1 : Inquadramento dei punti di campionamento.

Individua la posizione dei 6 punti campionati mostrando una visione d’ insieme.

E’ stata adottata una specifica simbologia per distinguere i punti campionati nel

fiume, nelle sorgenti e nella falda (pozzi).

• Tavola 2 e tavola 3 : Visualizzazione dei punti di campionamento

delle acque superficiali e delle acque sotterranee.

In questo caso la prima mappa visualizza su ortofoto la posizione dei

punti campionati nelle acque superficiali. Mentre, la seconda mappa

localizza la posizione su ortofoto dei due pozzi campionati. Anche le

suddette mappe sono corredate con apposita legenda.

121
SOSTITUIRE CON TAVOLA 1

122
SOSTITUIRE CON TAVOLA 2

123
SOSTITUIRE CON TAVOLA 3

124
5.2 Visualizzazione dei parametri chimico-fisici

Per ognuno dei parametri di temperatura, pH, conducibilità elettrica ed ossigeno

disciolto è stata creata una mappa tematica rappresentante la situazione reale di

ogni punto campionato al momento del prelievo.

Tavola 4 : Visualizzazione dei valori di temperatura delle acque

La temperatura è un parametro fisico di notevole interesse in quanto fattore

condizionante di tutte le cinetiche delle reazioni che avvengono nel corpo idrico. Una

sua variazione può infatti alterare, talvolta in modo irreversibile, gli equilibri chimici e

biochimici dell’acqua. Per le acque sorgive la misura della temperatura fornisce

preziose indicazioni sulle caratteristiche della falda in quanto, un valore costante della

sorgente, testimonia un’origine profonda, che non risente cioè delle variazioni né diurne

né stagionali della temperatura esterna. Ciò al contrario delle acque di falda freatica, e

ancor più di quelle superficiali, che sono soggette a escursioni termiche più o meno

ampie. Valori normali di temperatura sono compresi tra i 9 ed i 12 °C, ma sono

comunque tollerate temperature sino a 25 °C. Valori superiori sono indizio di

inquinamento termico, di cui le cause più frequenti risiedono negli scarichi caldi delle

acque di raffreddamento, o di altra natura, prodotti dalle industria (valido soprattutto per

le acque superficiali). Questo fatto si ripercuote sfavorevolmente sul bilancio

dell’ossigeno, con tutte le conseguenze negative che il fatto può comportare, sia

direttamente, a causa della sua diminuita solubilità, sia indirettamente, attraverso il

maggior consumo di ossigeno che l’aumentato metabolismo della flora acquatica

comporta.

Si osserva dalla disamina della mappa e della tabella correlata che la temperatura

oscilla tra valori di 11 °C e 14,1 °C.

125
SOSTITUIRE CON TAVOLA 4

126
Tavola 5: Visualizzazione dei valori di pH delle acque

Il pH è un parametro fisico molto importante in quanto è un fattore limitante per la

crescita degli organismi; inoltre, influenza, ed è influenzato, da numerosi fattori

chimico- fisici e biologici (es.: piogge acide, fertilizzanti, effetto tampone, fotosintesi,

respirazione cellulare ecc…). L’acqua di un fiume, per essere di buona qualità e favorire

la vita, dovrebbe avere un pH che si aggiri sul valore neutro 7, con un massimo di 8. Se

questo è maggiore o minore, le caratteristiche dell’ecosistema fluviale subiranno

sensibili cambiamenti sia nella componente abiotica che nella componente biotica.

La mappa riporta i valori di pH dei punti campionati che variano tra un minimo di 6,61

ed un massimo di 7,7, attraverso una colorazione differente in funzione della scala del

ph. In particolare, si osserva che, mentre, per i corpi idrici superficiali si assiste ad un

aumento di circa una unità tra il valore di pH di un punto di prelievo e quello

successivo, nei pozzi,invece, il valore si mantiene per lo più stabile intorno a 6. Restano,

comunque, valori nella norma.

127
SOSTITUIRE CON TAVOLA 5

128
Tavola 6: Visualizzazione della conducibilità elettrica delle acque

Rappresenta la conducibilità delle acque campionate attraverso l’uso di simboli

proporzionali al valore misurato per ciascun punto in relazione ad un range prestabilito

legata al grado di mineralizzazione. In generale, nella maggior parte delle acque

naturali questo parametro è compreso tra 100 e 1000, ma non sono rare le acque che

presentano valori esterni a questo intervallo (l’acqua distillata per esempio ha un valore

inferiore a 2). Il suo valore, essendo proporzionale alla quantità di sali disciolti, è

importante per stabilire il grado di mineralizzazione delle acque, parametro strettamente

legato alla velocità di circolazione, alla lunghezza dei percorsi ed alla porosità delle

rocce attraversate. E’ possibile classificare le acque in funzione della conducibilità

elettrica secondo la seguente tabella estratta da CELICO P. (1998):

Tabella 5.1 - Relazioni esistenti tra mineralizzazione, conducibilità e resistività delle acque in
base alla regolamentazione francese (CELICO P.,1988).

Mineralizzazione delle Conducibilità Resistività


acque (μS/cm) (ohm ∙ cm )

molto bassa < 100 > 10000


bassa 100 – 200 5001 – 10000
poco accentuata 201 – 333 3001 – 5000
media 334 – 666 1501 – 3000
importante 667 – 1000 1000 – 1500
eccessiva >1000 < 1000

Nel caso in esame, fatta eccezione per il valore di 7,35 µS/cm del punto di

campionamento B3, la conducibilità elettrica risulta compresa in un range variabile da

498 µS/cm a 1212 µS/cm. Pertanto, le acque campionate sono associate ad un grado di

mineralizzazione da “media” ad “eccessiva”.

129
SOSTITUIRE CON TAVOLA 6

130
Tavola 7 : Visualizzazione dell’ossigeno disciolto delle acque.

Individua le concentrazioni di ossigeno disciolto delle acque campionate attraverso

l’uso di simboli proporzionali.

I corpi idrici naturali, in assenza di fenomeni di inquinamento significativi, sono in

genere ben ossigenati, con valori di ossigeno disciolto prossimo alla saturazione.

La solubilità dell’ossigeno nell’acqua in genere è piuttosto scarsa, risultando inferiore

alle 10 ppm. È molto importante esprimere la quantità di ossigeno disciolto come valore

percentuale rispetto al limite di saturazione in determinate condizioni: in tal caso si

trova che una buona acqua deve contenere oltre il 90 % di ossigeno, mentre valori al di

sotto del 75 % sono indizio di inquinamento.

Alla temperatura di 20 °C e a pressione atmosferica, una concentrazione di ossigeno

nell'acqua dolce pari a 9,1 mg/L corrisponde al 100% di saturazione; valori inferiori al

75% sono indizio di inquinamento. A temperature più alte, la massima concentrazione

possibile diminuisce. La presenza di sali e la temperatura sono parametri da tenere in

considerazione quando si abbia a che fare con corpi idrici naturali.

La presenza di sufficienti concentrazioni di ossigeno disciolto nelle acque è condizione

essenziale per la sopravvivenza dei pesci e di molte altre specie acquatiche.

Si ritengono necessarie le seguenti concentrazioni minime:

• 5 [mg/l] per le specie ittiche più pregiate quali ad es. i salmonidi;

• 4 [mg/l] per gran parte delle specie ittiche;

• 2[mg/l] per la sopravvivenza delle specie ittiche meno pregiate e

maggiormente resistenti alla carenza di ossigeno.

131
Nelle acque superficiali valori elevati maggiori ai 10 mg/l (in sovrasaturazione)

indicano un eccessivo sviluppo di microalghe. Il valore medio è in genere compreso tra

6-8 mg/l, ed è comunque soggetto a variazioni. Nel caso preso in esame i valori di

ossigeno disciolto variano tra i 4,20 mg/l e 7,28 mg/l. Tenendo conto che la

mineralizzazione delle acque in questione va da media ad eccessiva fatta eccezione per

il valore di 4,20 mg/l del pozzo 13 i restanti valori di ossigeno misurati sono da potersi

considerare nella media anche se non prossimi alla saturazione.

132
SOSTITUIRE CON TAVOLA 7

133
5.3 Rappresentazioni cartografiche dei nutrienti

Analogamente ai parametri chimico-fisici, anche per i nutrienti sono state create mappe

tematiche. Per tutte le mappe le concentrazioni massime ammissibili per legge di ogni

composto sono state ricavate dal D.Lgs n.152 del 3 Aprile 2006 che recepisce a livello

europeo la Direttiva 2000/60/C in materia di acque.

Tavola 8 : Concentrazioni dei nutrienti

La mappa rappresenta i valori di concentrazione significativamente rilevati tra i quattro

parametri analizzati (Nitrati, Nitriti, Ammoniaca e Fosfati) attraverso dei diagrammi a

barre in cui ad ogni parametro è associata una colorazione differente. Dall’osservazione

della tavola si evince che l’unico parametro di cui sono state rilevate concentrazioni

significative in tutti i punti campionati è rappresentato dai Nitrati.

Tavola 9 : Andamento dei Nitrati

La mappa mostra la concentrazione dei nitrati attraverso l’utilizzo di due fasce

cromatiche:

− verde per i valori inferiori al limite previsto dalla legge

− rosso per i valori superiori al limite previsto dalla legge

La normativa corrente prevede un valore massimo di 50 mg/l di nitrati per i corpi idrici

superficiali e le acque sotterranee che non siano destinati ad uso funzionale (D.Lgs.

152/2006). Nel caso in questione le concentrazioni di nitrati riscontrate sia nelle acque

134
superficiali che in quelle sotterranee campionate risultano inferiori a tale valore,

pertanto, è stato effettuato solo un confronto con i dati di una delle campagne

precedenti.

Tavola 10 : Confronto dei nitrati attuali con le concentrazioni rilevate nella

campagna del 2007

La mappa mostra il confronto dei valori di nitrati rilevati attualmente rispetto a quelli

rilevati negli stessi punti nel 2007 attraverso dei diagrammi a barre la cui altezza indica

la concentrazione del parametro analizzato. Le barre sono differenziate per colore a

seconda dell’anno considerato. Da tale confronto si evince che in alcuni casi si è

verificata una diminuzione nel tempo di tale parametro.

135
SOSTITUIRE CON TAVOLA 8

136
SOSTIUIRE CON TAVOLA 9

137
SOSTITUIRE CON TAVOLA 10

138
5.4 Rappresentazioni cartografiche dei metalli

Dall’esame dei risultati delle analisi effettuate sui metalli si osserva che, in linea

generale, per alcuni metalli analizzati non sono stati rilevati valori di concentrazione

significativi. Pertanto, vengono riportate solo le mappe dei valori più rilevanti

riscontrati ed in alcuni casi quelli che superano il limite di concentrazione ammissibile

per legge dal D.Lgs n. 152/2006.

Tavola 11 : Concentrazioni dei metalli maggiormente significative

La mappa mostra attraverso diagrammi a barre le concentrazioni dei metalli rilevati in

quantità significativa. Ad ogni metallo è associato un colore. Si osserva che il metallo

con concentrazioni più elevate, rilevato in tutti i punti campionati, è l’Arsenico, seguito

da Zinco, Cromo, Rame e Nichel. Mentre, i valori di Arsenico superano i limiti di legge

in tutti i punti campionati, fatta eccezione per il campione 17 in cui il valore resta nei

limiti, gli altri metalli rilevati (Zinco, Cromo, Rame, Nichel) non superano i valori di

concentrazioni ammissibili per legge. In alcuni punti sono stati rilevati anche Uranio e

Manganese, tuttavia, restano dei valori isolati e le concentrazioni riscontrate sono

talmente basse che anche in questo caso non superano i limiti di concentrazione previsti

dalla legge. Non sono stati rilevati in quantità significative Cadmio, Piombo e Tallio. A

tal proposito viene riproposta la tabella con i risultati delle analisi dei metalli

evidenziando i valori significativamente rilevati (in giallo) e quelli che superano il

limite di legge (in rosso).

139
Cr Cu Zn As Cd Pb Mn Ni Tl U
Campione
(ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb) (ppb)

B3
(sorgente) 4,60 2,80 9,45 16,66 <0,05 <0,05 0,45 1,36 <0,05 0,61

B4-18
(fiume) 5,27 2,58 16,02 17,59 <0,05 <0,05 0,60 1,68 <0,05 1,23

B5
(sorgente) 3,88 2,23 3,99 15,39 <0,05 <0,05 1,22 0,93 <0,05 0,62

13
(pozzo) 6,98 0,94 5,3 21,69 <0,05 <0,05 0,15 2,43 <0,05 0,49

279
(pozzo) 2,16 1,00 4,32 24,63 <0,05 <0,05 0,15 0,64 <0,05 <0,05

17
(fiume) 4,32 2,10 2,12 6,61 <0,05 <0,05 0,10 9,67 <0,05 0,92

Tavola 12 : Concentrazioni di Arsenico

La mappa mostra attraverso due differenti fasce cromatiche i valori di concentrazione di

Arsenico che superano il limite ammissibile per legge di 10 µg/l (D.Lgs. n.152/2006 e

OMS, 2006). Dall’osservazione della mappa si nota che solo nel punto 17 il valore di

Arsenico non supera il limite di legge, mentre, negli altri punti campionati il valore è

superiore a tale. E’ constatato che piccole quantità, nell’alimentazione umana, stimolano

la crescita, tuttavia, un’eccessiva e continua inalazione, però, fa dell’arsenico un

elemento cancerogeno per l’uomo (dato dimostrato), poiché provoca cancro ai polmoni;

140
inoltre, l’ingestione provoca cancro della cute e del fegato (dato dimostrato) e cancro

della vescica e dei reni (da dimostrare).

Tavola 13 : Confronto dell’Arsenico con i valori rilevati nella campagna del 2007

La mappa confronta i valori di Arsenico della campagna 2010 con quelli della

campagna 2007 attraverso dei diagrammi a barre la cui altezza indica la concentrazione

del parametro analizzato. Le barre sono differenziate per colore a seconda dell’anno

considerato. Si osserva che nel 2007 non sono stati riscontrati valori al di sopra dello

zero. Pertanto, è da supporre un inquinamento recente da parte di tale elemento.

Tavola 14 : Confronto dell’Arsenico con i valori rilevati nella campagna del 2009

Anche in questo caso è stato effettuato un confronto dei valori attuali con quelli rilevati

nel 2009 attraverso dei diagrammi a barre. Dalla mappa si deduce che, come nel caso

precedente, nell’anno 2009 tale parametro non è stato riscontrato in concentrazioni tali

da essere rilevabili. Pertanto, si rafforza l’ipotesi di inquinamento recente da Arsenico.

141
SOSTITUIRE CON TAVOLA 11

142
SOSTITUIRE CON TAVOLA 12

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SOSTITUIRE CON TAVOLA 13

144
SOSTITUIRE CON TAVOLA 14

145
5.5 Confronto dei metalli con le campagne precedenti

Infine, vengono presentate le mappe tematiche di confronto delle concentrazioni dei

metalli rilevati nell’attuale campagna, che non superano i limiti di legge, con le

concentrazioni degli stessi metalli rilevate nella campagna del 2007 e nella campagna

del 2009. Il Rame e lo Zinco sono da ritenersi dei parametri aggiuntivi da monitorare

nelle acque superficiali, pertanto, la normativa non impone uno specifico limite di

concentrazione. Il Rame, anche se presente in tracce, è un metallo essenziale per la

crescita e lo sviluppo del corpo umano. Anche se gli esseri umani possono gestire

concentrazioni proporzionalmente elevate di rame, troppo rame può causare problemi di

salute. I composti solubili di rame costituiscono la più grande minaccia alla salute

umana ed, in genere, si presentano nell'ambiente a seguito del rilascio attraverso

l'utilizzo agricolo. Per l'acqua potabile, il valore soglia perché si verifichino effetti acuti

è di 4,0 mg/l, mentre il livello cui il grande pubblico è in generale esposto risulta di 0,7

mg/l. Ciò è coerente con il livello guida del rame di 2,0 mg/l, stabilito

dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Per gli adulti, l'assunzione minima

giornaliera di rame attraverso la dieta è di 1 mg, con una soglia massima di 11 mg. Il

rame non è un materiale CMR (cancerogeno, mutageno, dannoso per la riproduzione)

o PBT (persistente, bio-accumulante, tossico). Il rame è una sostanza molto comune che

si presenta naturalmente in ambiente e si diffonde in esso attraverso fenomeni naturali o

antropici come produzione di legno e produzione di fertilizzanti a base di fosfati.

Analogamente, anche lo Zinco è un elemento presente in tracce nel nostro organismo

essenziale per la salute umana. Quando le persone assorbono troppo poco zinco possono

andare incontro a problemi di salute. Tuttavia, anche se gli esseri umani possono

sopportare concentrazioni in proporzione elevate di zinco, troppo zinco può ancora

causare gravi problemi di salute allo stomaco ed al pancreas, disturbare il metabolismo

146
delle proteine e causare arteriosclerosi. Lo zinco metallico non è tossico, ma esiste una

sindrome detta brividi da zinco, che può verificarsi per inalazione di ossido di

zinco appena formato. La maggior parte dello zinco è aggiunto durante attività

industriali, come estrazione, combustione di carbone e rifiuti e lavorazione dell'acciaio

oppure dove il fango di scarico di zone industriali e' stato usato come fertilizzante. Nel

caso specifico preso in esame i valori riscontrati sia di Rame che di Zinco sono da

ritenersi non nocivi e, quindi, non vengono riportate mappe tematiche di confronto con

le campagne precedenti degli stessi. Vengono, invece, riportate le mappe di confronto

del Cromo e del Nichel con le passate campagne di monitoraggio le cui concentrazioni

seppur rilevate rientrano nei limiti ammissibili per legge. Inoltre, poiché nelle campagne

del 2007 e del 2009 sono stati registrati valori anomali di Tallio ed Uranio, nonostante

nella campagna del 2010 non siano state rilevate concentrazioni significative di tali

metalli, vengono, tuttavia, visualizzate le mappe di confronto dei suddetti nelle

campagne precedenti. Anche in questo caso si utilizzano delle barre di confronto o

diagrammi a barre che mostrano in funzione delle altezze assunte dalle barre il valore di

concentrazione del metallo in quel punto. Le barre sono differenziate per colore a

seconda dell’anno considerato. Inoltre, vengono descritte anche le mappe tematiche che

confrontano i valori dell’attuale campagna con quelli del 2007 e del 2009 considerando

soltanto i parametri in cui si registrano eccessive differenze tra le campagne. Anche per

queste mappe si utilizzano diagrammi a barre.

Tavola 15 : Confronto del Cromo con le campagne del 2009 e del 2007

Dalla lettura della mappa si osserva che le concentrazioni di Cromo più elevate sono

state registrate nel 2009 con valori che nel punto B5 superano anche il limite di legge

fissato a 50 µg/l. Nel 2007, invece, non sono state rilevate concentrazioni di Cromo.

147
Attualmente i valori di concentrazione nei punti in cui sono stati rilevati nel 2009

risultano diminuiti.

Tavola 16: Confronto del Nichel con le campagne del 2009 e del 2007

Dall’osservazione della mappa si deduce che rispetto al 2007 e al 2009 attualmente i

valori di Nichel risultano aumentati pur restando nei limiti di legge, fatta eccezione per

il punto B5 in cui nel 2009 è stata rilevata una concentrazione di 27,70 ppb valore che

supera la concentrazione ammissibile per legge di 20 ug/l.

Tavola 17 : Confronto dell’Uranio con le campagne del 2009 e del 2007

Nel 2007 tale parametro non è stato oggetto di indagine, pertanto, la mappa confronta

solo le concentrazioni di Uranio nel 2010 con quelle del 2009. Si osserva che nel 2009

in alcuni punti le concentrazioni sono superiori ripsetto a quelle attuali.

Tavola 18 : Confronto del Tallio con le campagne del 2009 e del 2007

Dalla mappa appare chiaro che sia nella campagna di indagine del 2010 che in quella

del 2009 tale elemento non è stato rilevato. Si osserva che nel 2007 è stata registrata la

presenza di tale elemento nel pozzo 13.

148
SOSTITUIRE CON TAVOLA 15

149
SOSTITUIRE CON TAVOLA 16

150
SOSTITUIRE CON TAVOLA 17

151
SOSTITUIRE CON TAVOLA 18

152
CONCLUSIONI

Da quanto sopra decritto emerge che l’area della bassa valle del fiume Calore è una

zona a valenza:

• Storica : la presenza di antiche civiltà i cui resti sono ancora presenti tuttora

rappresenta un tassello importante della storia di questa area;

• Naturalistica ed ecologica: il territorio fertile e rigoglioso in cui la presenza di

zone ricche di fauna e flora e dello stesso Parco del Taburno-Camposauro, che ne

esprimono la bellezza e la varietà del luogo, rappresenta un’area non solo di

interesse ambientale ma anche turistico;

• Idrogeologica : la presenza di acquiferi importanti in termini di potenzialità

rappresenta un patrimonio da utilizzare e salvaguardare;

• Geologica : la presenza di sinkhole nell’area dovuti alle particolari caratteristiche

litologiche del territorio individuano una zona da tenere sotto controllo e da

porre in protezione;

• Paesaggistica: la presenza diffusa di vigneti ed uliveti, ubicati in una fertile zona

di pianura favorita da numerose strade che la collegano ad importanti arterie

viarie, perfettamente integrati con il contesto ambientale e che sono parte

indissolubile del paesaggio;

• Economica : è uno dei centri più attivi del Sannio per la produzione del vino,

infatti, l’area è intensamente sfruttata dal punto di vista agricolo.

Pertanto, per tutti questi aspetti e, soprattutto, per gli effetti che la produzione agricola

potrebbe avere sulla qualità delle acque sia superficiali che sotterranee è stata realizzata

la campagna di indagine su alcuni parametri analizzati in due campagne precedenti.

153
La creazione di un progetto GIS capace di contenere tutte le informazioni riguardanti

pozzi, sorgenti e punti superficiali dell’area esaminata ha consentito di evidenziare

alcuni aspetti della campagna d’indagine idrochimica effettuata sui sei punti campionati,

e dell’evoluzioni nel tempo dei parametri investigati in relazione alle due campagne

d’indagine effettuate rispettivamente nel 2007 e nel 2009. Attraverso gli strumenti di

elaborazione e grafici di ArcGIS opportunamente utilizzati è stato, infatti, relativamente

semplice avere una visione panoramica del chimismo delle acque sotterranee e

superficiali a partire da un insieme di dati tabellari.

La campagna di indagine idrochimica effettuata si è incentrata sull’analisi di alcuni

parametri chimico-fisici, dei nutrienti e di alcuni metalli. Le acque sotterranee

analizzate sono classificabili come bicarbonato-calciche.

Dai risultati delle determinazioni chimiche è emerso che, fatta eccezione per l’arsenico,

non sono stati rilevati valori di concentrazione anomali o comunque superiori ai limiti

imposti dalla legge. La presenza di arsenico potrebbe essere imputabile ad un fondo

naturale presente nel terreno oppure all’utilizzo di determinati fitofarmaci o topicidi

utilizzati in agricoltura. Tuttavia, la presenza di arsenico nel terreno dovuto a cause

naturali interessa, soprattutto, suoli costituiti da prodotti vulcanici di tipo

ignimbritico che non sono rinvenuti nell’area in questione; pertanto, appare più

attendibile l’ipotesi dell’utilizzo di composti utilizzati in agricoltura in un territorio

vocato essenzialmente alla produzione vitivinicola. I composti contenenti arsenico sono

dotati di spiccata attività biologica e trovano applicazione in agricoltura come

insetticidi, fungicidi, erbicidi, zoocidi. Il loro impiego è andato però sempre più

riducendosi a causa dell’elevata tossicità per l’uomo e gli animali domestici e per l’alto

rischio di contaminazione ambientale (in molti Paesi, compresa l’Italia, il loro uso è

proibito). La presenza di zinco, seppur attestata su valori da ritenere nella norma, come

154
pure quella dei nitrati, è un potenziale indicatore dell’utilizzo di prodotti fitosanitari

nella produzione agricola. Generalmente i livelli naturali di nitrati riscontarti nelle acque

sotterranee sono di pochi mg/l, un aumento spesso viene associato all’intensificazione

delle attività agricole. I composti organici ed inorganici dell’azoto vengono ampiamente

utilizzati in agricoltura come fertilizzanti. Nel sottosuolo i nitrati vengono rimossi solo

attraverso processi di riduzione, in condizioni anaerobiche. Poiché i nitrati sono

facilmente presi incarico dalle precipitazioni percolanti il suolo agrario, la loro

concentrazione nelle acque sotterranee è un buon indice dell’entità degli apporti

superficiali rispetto all’alimentazione da parte dei corsi d’acqua, che ne contengono solo

piccolissime quantità. Ovviamente, essendo una zona prettamente agricola appare

chiaro che è più che normale che vengano utilizzati tali prodotti. Resta, comunque, una

situazione nella norma da tenere sotto controllo .

Per quanto concerne le campagne precedenti nei punti attualmente campionati sono

state registrate in alcuni casi diminuzioni rispetto ai dati raccolti in passato in altri casi

si è verificato un aumento del parametro investigato. In particolare, attualmente non

sono stati rilevati valori di cromo e di tallio al di sopra dei limiti previsti dalla legge.

Mentre, nella campagna del 2007 in alcuni punti della stessa area di studio ed in altri

differenti da quelli campionati è stata riscontrata la massiccia presenza del tallio con

valori che superano i limiti di concentrazione ammissibili per legge di 2 μg/l (D.Lgs.

n.152/2006). Anche in questo caso la presenza di tallio nella campagna del 2007,

avvalora l’utilizzo di fitosanitari nella zona. Il dato relativo al tallio è stato,

successivamente, smentito dalla campagna effettuata nel 2009 in quanto non sono stati

rilevate concentrazioni di tale metallo. Pertanto, è possibile ipotizzare un uso

momentaneo di particolari composti del tallio, come il solfato talloso, impiegati in

agricoltura nella lotta contro i roditori o altri composti contenenti tallio ed utilizzati in

155
agricoltura. Dallo studio effettuato emerge che l’area presenta una situazione di

normalità e non appare interessata da un degrado ambientale per cause naturali o per

cause antropiche. Nonostante la situazione di abbandono e degrado verificate in alcuni

punti campionati come il punto 17 sul corso del fiume Calore (confronta capitolo 3

schede di campionamento) , dovuta alla presenta di rifiuti sulle sponde del corso

d’acqua, l’area, appare ben conservata e protetta anche per le caratteristiche naturali

molto interessanti che connotano la zona. In tale senso, il presente lavoro rappresenta

uno studio preliminare ed esplicativo della metodica di analisi e monitoraggio dell’area

per la pianificazione di attività di protezione e recupero delle risorse idriche sotterranee

e superficiali e per la riqualificazione ambientale del territorio, da effettuare attraverso il

costante monitoraggio della qualità dei corpi idrici.

A tal riguardo si propone che tutti gli interventi futuri devono essere avvalorati da seri

studi scientifici pluridisciplinari (geologico, idrogeologico, ingegneristico, botanico,

chimico, zoologico, ecologico, ecc.) che prevedano l’utilizzo di un GIS in modo da

poter effettuare un analisi completa e multidisciplinare.

In conclusione possiamo dire che gli aspetti fondamentali e trattati con maggior

attenzione che caratterizzano questo lavoro sono stati:

• la creazione di un progetto GIS basato su un database di facile utilizzo che

fosse il più completo possibile e in linea con le vigenti normative in

materia ambientale, in modo tale da prestarsi ad elaborazioni di vario tipo;

• lo studio attraverso gli strumenti di ArcGIS, dell’autocorrelazione spaziale

dei dati riguardanti i punti campionati, che ha permesso la realizzazione di

mappe tematiche che si possono considerare le più attendibili tra quelle

ottenibili con questo software, e che in ultima istanza hanno permesso di

156
individuare dal punto di vista chimico la presenza di alcuni parametri

analizzati della bassa valle del fiume Calore.

157

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