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«Vexilla regis prodeunt inferni Il mio maestro disse: «I vessilli del re dell'Inferno s

verso di noi; però dinanzi mira», avvicinano a noi; quindi guarda davanti a te,
disse ’l maestro mio «se tu ’l discerni». se riesci a vederlo».

Come quando una grossa nebbia spira, Come quando c'è una nebbia fitta,
o quando l’emisperio nostro annotta, o quando nel nostro emisfero cala la notte,
par di lungi un molin che ’l vento gira, e appare in lontananza un mulino che è mosso dal

veder mi parve un tal dificio allotta; così allora mi parve di vedere una simile costruzion
poi per lo vento mi ristrinsi retro quindi per il vento mi riparai dietro
al duca mio; ché non lì era altra grotta. la mia guida; visto che non c'era nessun altro rifug

Già era, e con paura il metto in metro, Ormai mi trovavo, e lo scrivo con paura nei miei ve
là dove l’ombre tutte eran coperte, dove le anime erano coperte,
e trasparien come festuca in vetro. e trasparivano come pagliuzze nel vetro.

Altre sono a giacere; altre stanno erte, Alcune sono distese; altre sono erette;
quella col capo e quella con le piante; a volte con la testa alta e a volte con i piedi; altre a
altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte. come un arco, portano il volto ai piedi.

Quando noi fummo fatti tanto avante, Quando fummo avanzati fino al punto,
ch’al mio maestro piacque di mostrarmi in cui al mio maestro parve opportuno mostrarmi
la creatura ch’ebbe il bel sembiante, la creatura che ebbe il bell’aspetto,

d’innanzi mi si tolse e fé restarmi, si tolse di fronte a me e mi fece fermare,


«Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco dicendo: «Ecco Dite ed ecco il luogo
ove convien che di fortezza t’armi». dove è necessario che tu ti armi di coraggio».

Com’io divenni allor gelato e fioco, Non domandare, lettore, come io in quel moment
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo, raggelai e ammutolii: non lo scrivo,
però ch’ogne parlar sarebbe poco. poiché ogni parola sarebbe inadeguata.

Io non mori’ e non rimasi vivo: Io non morii e non rimasi in vita:
pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno, pensa oramai da te, se hai un po' d'ingegno,
qual io divenni, d’uno e d’altro privo. come mi sentii, sospeso tra la vita e la morte.

Lo ’mperador del doloroso regno L'imperatore del regno del dolore


da mezzo ’l petto uscìa fuor de la ghiaccia; usciva fuori dal ghiaccio fino a metà petto;
e più con un gigante io mi convegno, e c'è maggior proporzione fra me e un gigante,

che i giganti non fan con le sue braccia: che non fra i giganti e le sue braccia:
vedi oggimai quant’esser dee quel tutto vedi ormai quali sono le dimensioni di quell'essere
ch’a così fatta parte si confaccia. rispetto a quella parte del corpo.

S’el fu sì bel com’elli è ora brutto, Se egli fu tanto bello quanto ora è brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia, e si schierò contro il suo creatore,
ben dee da lui proceder ogne lutto. è comprensibile come da lui si generi ogni male..
Oh quanto parve a me gran maraviglia Oh quanto mi meravigliai
quand’io vidi tre facce a la sua testa! quando vidi che la sua testa aveva tre facce!
L’una dinanzi, e quella era vermiglia; Una era al centro, ed era rossa;

l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa le altre erano due, che si congiungevano alla prima
sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla, a metà di ogni spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta: si univano nella parte posteriore del capo:

e la destra parea tra bianca e gialla; la destra sembrava bianca e gialla;


la sinistra a vedere era tal, quali la sinistra era del colore di quelli
vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla. che vengono dal paese dove il Nilo entra in una va

Sotto ciascuna uscivan due grand’ali, Sotto ciascun volto uscivano due grandi ali,
quanto si convenia a tanto uccello: proporzionate a un essere tanto grande:
vele di mar non vid’io mai cotali. non ho mai visto vele di navi così estese.

Non avean penne, ma di vispistrello Non erano piumate, ma sembravano quelle


era lor modo; e quelle svolazzava, di un pipistrello; e Lucifero le agitava,
sì che tre venti si movean da ello: producendo da sé tre venti:

quindi Cocito tutto s’aggelava. quindi tutto il lago di Cocito si ghiacciava.


Con sei occhi piangea, e per tre menti Piangeva con sei occhi e sui tre menti gocciolavano
gocciava ’l pianto e sanguinosa bava. lacrime mischiate a una bava sanguinosa.

Da ogne bocca dirompea co’ denti In ognuna delle tre bocche dilaniava con i denti
un peccatore, a guisa di maciulla, un peccatore, come fosse una gramola,
sì che tre ne facea così dolenti. così che ne tormentava tre al tempo stesso.

A quel dinanzi il mordere era nulla Per il peccatore al centro l'essere morso non era n
verso ’l graffiar, che talvolta la schiena rispetto all'essere graffiato, al punto che talvolta la
rimanea de la pelle tutta brulla. schiena gli restava tutta scorticata.

«Quell’anima là sù c’ha maggior pena», «Quel dannato lassù che soffre una pena più grave
disse ’l maestro, «è Giuda Scariotto, disse il mio maestro, «è Giuda Iscariota,
che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena. che ha la testa dentro e fa pendere fuori le gambe

De li altri due c’hanno il capo di sotto, Degli altri due che hanno la testa rivolta in basso,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto: quello che pende dalla faccia nera è Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto!; vedi come si contorce senza dire nulla!

e l’altro è Cassio che par sì membruto. L'altro è Cassio, che sembra così robusto.
Ma la notte risurge, e oramai Ma è quasi notte, e ormai
è da partir, ché tutto avem veduto». dobbiamo partire, poiché abbiamo visto tutto».

Com’a lui piacque, il collo li avvinghiai;


ed el prese di tempo e loco poste, Come egli volle, abbracciai il suo collo;
e quando l’ali fuoro aperte assai, ed egli colse il momento e il luogo opportuno,
e quando le ali furono aperte a sufficienza,
appigliò sé a le vellute coste;
di vello in vello giù discese poscia si aggrappò ai suoi fianchi pelosi;
tra ’l folto pelo e le gelate croste. poi scese aggrappandosi alle sue ciocche
tra il suo pelo folto e la crosta gelata di Cocito.
Quando noi fummo là dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l’anche, Quando noi arrivammo là dove la coscia
lo duca, con fatica e con angoscia, si articola, al punto di massima larghezza delle anc
la guida, con fatica e con affanno,
volse la testa ov’elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com’om che sale, rigirò la testa dove Lucifero aveva le gambe,
sì che ’n inferno i’ credea tornar anche. e si aggrappò al suo pelo come quando si sale,
a tal punto che io credevo stessimo tornando indie
«Attienti ben, ché per cotali scale»,
disse ’l maestro, ansando com’uom lasso, «Tieniti forte, poiché per queste scale»,
«conviensi dipartir da tanto male». disse il maestro, ansimando come un uomo stanco
«dobbiamo allontanarci dal male dell’Inferno».
Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso,
e puose me in su l’orlo a sedere; Poi sbucò fuori per l’apertura di una roccia
appresso porse a me l’accorto passo. e mi depose sull’orlo a sedere;
poi mi raggiunse con un salto ben calcolato.
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com’io l’avea lasciato, Io alzai gli occhi e credetti di vedere
e vidili le gambe in sù tenere; Lucifero come l'avevo lasciato,
invece vidi che teneva le gambe in alto;
e s’io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede e se io allora divenni confuso,
qual è quel punto ch’io avea passato. lo pensi la gente ignorante, che non ha capito
qual è il punto che io avevo oltrepassato.
«Lèvati sù», disse ’l maestro, «in piede:
la via è lunga e ’l cammino è malvagio, «Alzati», disse il maestro, «in piedi:
e già il sole a mezza terza riede». la via è lunga e il cammino è disagevole,
e il sole si trova già tra la prima e la terza ora cano
Non era camminata di palagio
là ’v’eravam, ma natural burella Il punto in cui eravamo non era un percorso agevo
ch’avea mal suolo e di lume disagio. come in un palazzo, ma una cavità sotterranea
che aveva il suolo impervio e ben poca luce.
«Prima ch’io de l’abisso mi divella,
maestro mio», diss’io quando fui dritto, «Prima che io mi allontani dall’abisso infernale,
«a trarmi d’erro un poco mi favella: maestro mio», dissi quando mi fui alzato,
«parla con me un poco per risolvermi un dubbio:
ov’è la ghiaccia? e questi com’è fitto
sì sottosopra? e come, in sì poc’ora, dov'è il ghiaccio? e Lucifero come è conficcato cos
da sera a mane ha fatto il sol tragitto?». sottosopra? e come è possibile che il sole abbia pe
così in fretta il tragitto dalla sera alla mattina?»
Ed elli a me: «Tu imagini ancora
d’esser di là dal centro, ov’io mi presi E lui a me: «Tu pensi ancora
al pel del vermo reo che ’l mondo fóra. di essere al di là del centro, dove io mi sono aggrap
al pelo dell'orrendo animale che guasta il mondo.
Di là fosti cotanto quant’io scesi;
quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto Tu sei stato di là finché io sono disceso;
al qual si traggon d’ogne parte i pesi. quando mi sono girato, tu hai oltrepassato il punto
verso il quale tendono tutti i pesi del mondo.
E se’ or sotto l’emisperio giunto
ch’è contraposto a quel che la gran secca E ora sei giunto sotto l'emisfero
coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto che è opposto a quello che copre le terre
emerse, e dove sotto il punto più alto dell'emisfero
fu l’uom che nacque e visse sanza pecca: celeste
tu hai i piedi in su picciola spera fu ucciso l'uomo che nacque e visse senza peccato
che l’altra faccia fa de la Giudecca. tu hai i piedi su una piccola sfera
che ha la faccia opposta nella Giudecca.
Qui è da man, quando di là è sera;
e questi, che ne fé scala col pelo, Qui è mattina, quando nell'altro è sera;
fitto è ancora sì come prim’era. e Lucifero, che ha fatto da scala con il pelo,
è conficcato ancora come lo era prima.
Da questa parte cadde giù dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse, Egli cadde dalla parte di questo emisfero;
per paura di lui fé del mar velo, e le terre, che prima affioravano di qua,
per paura di Lucifero si nascosero sotto il mare
e venne a l’emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lasciò qui loco vòto e vennero nel nostro emisfero; e forse
quella ch’appar di qua, e sù ricorse». per rifuggire da lui quella che appare di qua lasciò
spazio vuoto, e riemerse nell'emisfero australe».
Luogo è là giù da Belzebù remoto
tanto quanto la tomba si distende, Laggiù c'è un luogo tanto lontano da Satana
che non per vista, ma per suono è noto tanto quanto si estende la cavità sotterranea,
che non si può vedere ma da cui si sente il suono
d’un ruscelletto che quivi discende
per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso, di un fiumiciattolo che scende qui
col corso ch’elli avvolge, e poco pende. attraverso una cavità, che esso ha scavato,
lungo il suo corso, che ha poca pendenza.
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo; Il maestro ed io in quel cammino nascosto
e sanza cura aver d’alcun riposo, entrammo per tornare alla luce del sole;
e senza prenderci un attimo di riposo,
salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle ci dirigemmo verso l’alto, lui per primo e io dietro,
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. fino a quando vidi le cose belle
che adornano il cielo, attraverso un'apertura circo
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
E di lì uscimmo per rivedere le stelle.

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