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Bucoliche, egloga 1, vv.

1-25

M. Tītўrĕ, tū pătŭlaē rĕcŭbāns sūb tēgmĭnĕ fāgī Bucoliche, egloga 1


sīlvēstrēm tĕnŭī mūsām mĕdĭtārĭs ăvēnā; M. Titiro, tu disteso sotto l’ampia chioma di un faggio
nōs pătrĭaē fīnīs ēt dūlcĭă līnquĭmŭs ārvă; Moduli un canto silvestre sul flauto sottile

nōs pătrĭām fŭgĭmūs; tū, Tītўrĕ, lēntŭs ĭn ūmbrā, Noi abbandoniamo i confini della patria e le dolci campagne

fōrmōsām rĕsŏnārĕ dŏcēs Ămărŷllĭdă sīlvās. 5 Noi siamo cacciati dalla patria; tu, Titiro, sereno nell’ombra
Insegni ai boschi a risuonare il nome della bella Amarilli.
T. Ō Mĕlĭboēĕ, dĕūs nobīs haēc ōtĭă fēcīt:
T. O Melibeo, il dio ci ha dato questa pace:
nāmque ĕrĭt īllĕ mĭhī sēmpēr dĕŭs; īllĭŭs ārām
infatti quello sarà per me sempre un dio; un tenero agnello
saēpĕ tĕnēr nōstrīs ăb ŏvīlĭbŭs īmbŭĕt āgnūs.
dei nostri ovili spesso bagnerà il suo altare.
Īllĕ mĕās ērrārĕ bŏvēs, ūt cērnĭs, ĕt īpsūm
Come vedi quello ha concesso alle mie vacche di pascolare, a me
lūdĕrĕ quaē vēllēm călămō pērmīsĭt ăgrēstī. 10
Di suonare quello che voglio sul calamo agreste.
M. Nōn ĕquĭdem īnvĭdĕō, mīrōr măgĭs: ūndĭquĕ tōtīs
M. La mia non è invidia, piuttosto stupore: intorno nei campi
ūsque ădĕō turbātŭr ăgrīs! | Ēn īpsĕ căpēllās C’è turbamento! Io stesso con dolore spingo a fatica il gregge; e
prōtĭnŭs aēgĕr ăg(o); hānc ĕtĭām vīx, Tītўrĕ, dūcō: Conduco anche questa a fatica, o Titiro:
hīc īntēr dēnsās cŏrўlōs mŏdŏ nāmquĕ gĕmēllōs, qui tra i folti noccioli ha lasciato dopo il duro sforzo
spēm grĕgĭs, ā, sĭlĭc(e) īn nūdā cōnīxă rĕlīquīt. 15 sulla pietra due gemelli, speranza del gregge.
Saēpĕ măl(um) hōc nōbīs, sī mēns nōn laēvă fŭīssēt, Se la mia mente non fosse stata leggera, spesso mi ricordo che
dē caelō tactās | mĕmĭnī praēdīcĕrĕ quērcūs. Le querce colpite dal fulmine ci predissero queste sventure.

Sēd tămĕn īstĕ dĕūs quī sīt, dā, Tītўrĕ, nōbīs. O Titiro, dicci però chi è questo dio.

T. Ūrbem quām dīcūnt Rōmām, Mĕlĭboēĕ, pŭtāvī T. O Melibeo, pensavo che la città che chiamano Roma
fosse simile alla nostra, che spesso noi pastori siamo soliti
stūltŭs ĕg(o) huīc nōstraē sĭmĭlēm, quō saēpĕ sŏlēmūs
portare via i teneri agnelli appena nati.
pāstōrēs ŏvĭūm tĕnĕrōs dēpēllĕrĕ fētūs.
Così sapevo che i cuccioli somigliano alle cagne,
Sīc cănĭbūs cătŭlōs sĭmĭlīs, sīc mātrĭbŭs haēdōs
i capretti alle madri e per abitudine confrontavo
nōrām, sīc pārvīs cōmpōnĕrĕ māgnă sŏlēbām.
cose piccole e grandi.
Vēr(um) haēc tānt(um) ălĭās īntēr căpŭt ēxtŭlĭt ūrbēs
In realtà, questa città si innalza tanto sopra le altre città
quāntūm lēntă sŏlēnt īntēr vībūrnă cŭprēssī. 25
Quanto i cipressi in confronto ai pieghevoli viburni.
FIGURE RETORICHE: CONTENUTO: L’opera si apre con la descrizione del locus amoenus che
GIALLO: chiasmo presenta Titiro all’ombra sotto un faggio: i personaggi hanno un rapporto
privilegiato con la natura, tanto che Titiro insegna a essa a riprodurre il suo
ROSA: iperbato canto d’amore per Amarilli. La descrizione del locus amoenus-Titiro si
contrappone al mondo delle guerre civili alle quali si riferisce invece Melibeo.
La figura di Melibeo infatti riproduce il destino degli uomini a cui sono state
confiscate le terre e costretti dunque all’esilio. Il sentimento di Melibeo nei
confronti di Titiro però non è invidia ma solo sorpresa di chi ha perso ogni
speranza. L’opposizione tra i due personaggi si può osservare ancheēxcĭdĕrānt ănĭmō; mănĕt āltā mēntĕ rĕpōstūm
dai termini
utilizzati dal Poeta (v.12 e iperbati nei versi successivi). Al contrario Titiro
esprime il suo stupore per la grandiosità di Roma (vv. 19-25)

Eneide, 1, vv.1-3
Eneide, 1, vv.1-3 Canto le armi e l’uomo che per primo fuggì per volere del fato
Ārmă vĭrūmquĕ cănō, Troīaē quī prīmŭs ăb ōrīs
in Italia e nelle coste di Lavinio dalle coste di Troia
Ītălĭām fātō prŏfŭgūs Lāvīniăquĕ vēnīt
dopo che fu a lungo sballottato per mare e per terra dal volere degli
lītŏră, mūltum īlle ēt tērrīs iāctātŭs ĕt āltō, dei, a causa dell’ira sempre viva della crudele Giunone,

vī sŭpĕrūm, saēvaē mĕmŏrēm Iūnōnĭs ŏb īrām, e dopo aver sofferto molto in guerra, pur di fondare una città

mūltă quŏque ēt bēllō pāssūs, dūm cōndĕrĕt ūrbēm e portare gli dei nel Lazio, da dove (sarebbero nati)

īnfērrētquĕ dĕōs Lătĭō, gĕnŭs ūndĕ Lătīnūm la stirpe latina, i padri Albani e le alte mura di Roma.

Ālbānīquĕ pătrēs ātque āltaē moēnĭă Rōmaē. O Musa, ricordami le cause, per l’offesa di quale volere divino

Mūsă, mĭhī caūsās mĕmŏrā, quō nūmĭnĕ laēsō O dolente di cosa la regina degli dei spinse

quīdvĕ dŏlēns rēgīnă dĕūm tōt vōlvĕrĕ cāsūs Un uomo noto per devozione ad affrontare le sventure

10 īnsīgnēm pĭĕtātĕ vĭrūm, tŏt ădīrĕ lăbōrēs Ad affrontare tanti affanni. Così profonda è l’ira degli dei?

īmpŭlĕrīt. Tāntaēne ănĭmīs caēlēstĭbŭs īraē?


Ci fu un’antica città (occupata dai coloni di Tiro),

Cartagine, di fronte all’Italia e lontana dalle foci del Tevere,


Ūrbs āntīquă fŭīt (Tўrĭī tĕnŭērĕ cŏlōnī)
ricca e temibilissima per attitudine alla guerra;
Kārthāgo, Ītălĭām cōntrā Tĭbĕrīnăquĕ lōngē
si dice che Giunone l’amò più di tutte le terre
ōstĭă, dīvĕs ŏpūm stŭdĭīsque āspērrĭmă bēllī;
anteponendola persino a Samo; qui ci furono le sue armi
15 quām Iūnō fērtūr tērrīs măgĭs ōmnĭbŭs ūnām
e il suo carro; la dea già da allora si sforza,
pōsthăbĭtā cŏlŭīssĕ Sămō: | hīc īllĭŭs ārmă,
e caldeggia il suo piano, perché questa città
hīc cūrrūs fŭĭt; hōc rēgnūm dĕă gēntĭbŭs ēssĕ,
domini sui popoli, se in qualche modo il fato lo permette.
sī quā fātă sĭnānt, iām tūm tēndītquĕ fŏvētquĕ.
Ma si sentiva dire che dal sangue Troiano discendeva una stirpe
Prōgĕnĭēm sĕd ĕnīm Trōiānō sānguĭnĕ dūcī
Che un giorno avrebbe abbattuto le rocche Tirie (=Cartagine)
20 aūdĭĕrāt, Tўrĭās ōlīm quaē vērtĕrĕt ārcēs;
Di qui sarebbe venuto un popolo di vasto dominio e arrogante
hīnc pŏpŭlūm lātē rēgēm bēllōquĕ sŭpērbūm
In guerra per distruggere la Libia; così le Parche filavano.
vēntūrum ēxcĭdĭō Lĭbўaē: sīc vōlvĕrĕ Pārcās.
Poiché la figlia di Saturno (=Giunone) temeva ciò ed era memore

Īd mĕtŭēns vĕtĕrīsquĕ mĕmōr Sātūrnĭă bēllī, dell’antica guerra che prima presso Troia aveva fatto per i cari Argivi

prīmă quŏd ād Troīām prō cārīs gēssĕrăt Ārgīs: E non aveva ancora dimenticato le cause dell’ira e

25 nēcdum ĕtĭām caūsae īrārūm saēvīquĕ dŏlōrēs gli atroci dolori sta fisso nel profondo della mente
iūdĭcĭūm Părĭdīs sprētaēque īniūrĭă fōrmaē l’offesa della bellezza disprezzata e il giudizio di Paride

ēt gĕnŭs īnvīs(um) ēt rāptī Gănўmēdĭs hŏnōrēs: E la stirpe odiata e gli onori di Ganimede rapito:

hīs āccēnsă sŭpēr iāctātōs aēquŏrĕ tōtō adirata per questi motivi, teneva lontano dal Lazio, sballottati i tutta

la distesa del mare, i Troiani, quelli sopravvissuti ai Danai e allo


30Trōās, rēlĭquĭās Dănă(um) ātque īmmītĭs Ăchīllī,

spietato Achillle, e per molti anni sospinti dal fato


ārcēbāt lōngē Lătĭō, mūltōsquĕ pĕr ānnōs
vagavano in giro per tutti i mari.
ērrābānt āctī fātīs mărĭa ōmnĭă cīrcūm.
Fondare la gente Romana era un compito così gravoso
Tāntaē mōlĭs ĕrāt Rōmānām cōndĕrĕ gēntēm.
CONTENUTO: L’incipit dell’opera descrive anche i suoi temi
FIGURE RETORICHE principali: le battaglie (che richiamano la parte iliadica) e l’eroe (che
richiama la parte odissiaca). Oltre questo l’incipit dell’Eneide si ispira
INDACO: enjambement all’incipit dell’Odissea ma con una differenza: nell’Odissea la Musa
risulta come ispiratrice del canto, nell’Eneide questo compito è stato
ROSA: iperbato affidato al poeta mentre l’invocazione alla Musa appare nei versi
successivi (vv. 8-11). Per spiegare l’ostilità che Giunone prova nei
ROSSO: ipallage (enallage riferita a un aggettivo) confronti di Enea è necessaria una digressione dedicata alla città di
Cartagine: in questa città incombe una minaccia della distruzione della
VERDE: epiteto (di Enea) città voluta dal fato che avviene a causa di una stirpe nata dal sangue
Troiano. La paura della minaccia e il ricordo della Guerra di Troia in
VERDE SCURO: enallage (inverte i rapporti tra gli elementi di un sintagma)
cui Giunone era dalla parte dei Greci, portano all’ira divina. La dea
però potrà soltanto ritardare il volere del fato, non impedirne l’azione.
Successivamente vengono elencati i motivi dell’ira di Giunone: il
GRIGIO: variatio
giudizio di Paride (che aveva affidato la vittoria a Venere) e la gelosia
nei confronti di Ganimede (bellissimo giovane troiano del quale si era
AZZURRO: litote
innamorato Giove facendolo diventare coppiere degli dei).
Alla fine viene presentato Enea tramite l’epiteto che lo identifica con
una nota del suo carattere, la pietas, per la quale è famoso nel mito per
aver salvato il padre Anchise dall’incendio di Troia. Viene anche
rappresentata la contrapposizione tra l’Italia e Cartagine durante le
Guerre Puniche.
Laocoonte (Eneide, 2, vv.40-56;199-233) Enea perde Creusa (Eneide,2, vv 721-
804)
Negli ultimi giorni prima della distruzione di Troia i Troiani hanno
scoperto il cavallo di legno lasciato dagli Achei e sono indecisi su come Enea racconta a Didone la fuga da Troia. Dopo aver caricato il padre Anchise
comportarsi. Laocoonte dice che il cavallo celi dietro di sé qualche sulle spalle, prende per mano il figlio Iulo e seguito dalla moglie Creusa cerca
insidia giungendo alla conclusione che non bisogna mai fidarsi di di trovare una via di fuga, quando pensano però che si stiano avvicinando dei
nemici infidi come gli Achei nemmeno quando portano doni. Laocoonte nemici: Enea comincia ad aumentare il passo e prendere vie traverse, ed è
scagli allora la lancia contro il ventre del cavallo e grazie al suono ci si allora che perde Creusa ma quando se ne accorge è già troppo lontano. Dopo
rende conto che è cavo, ma questo non suscita timore nei Troiani. aver messo al riparo il figlio e il padre Enea si arma e torna in città per cercare
L’episodio di Laocoonte si conclude per lasciare spazio alle vicende del la moglie. Decide così di recarsi verso casa ma questa è stata occupata dai
soldato Acheo Sinone che decide di consegnarsi ai Troiani, riferendo Greci e data alle fiamme. Enea così prosegue nella ricerca della moglie
loro un racconto ingannevole sulle motivazioni che avrebbero spinto i chiamandola ad alta voce fino a quando Creusa si manifesta: inizialmente è
Greci a tornare in patria: il loro scopo era quello di consultare l’oracolo solo un’apparizione, ma dopo qualche momento appare più definita, fino a
di Argo, non prima di aver placato l’ira di Minerva (offesa per il furto diventare un’immagine molto grande (secondo il topo letterario che le ombre
del palladio) tramite l’offerta del cavallo; questo venne costruito con dei morti sono più grandi rispetto a quando erano in vita). Creusa invita Enea
dimensioni colossali in modo che i Troiani potessero condurlo a sottomettersi alla volontà divina (dovrà raggiungere l’Italia e fondare una
all’interno della città e guadagnare la protezione di Minerva. Il discorso città nella quale incontrerà una nuova sposa): i due saranno uniti per sempre
di Sinone fa pensare ai Troiani di demolire parte delle mura per far dall’amore per il figlio Iulo. L’episodio della scomparsa di Creusa è
entrare il cavallo. L’attenzione però torna su Locoonte che, mentre era necessario perché voluto dal fato, dato che Enea dovrà prima incontrare
impegnato a fare un sacrificio in onore di Nettuno, viene ucciso. Didone e poi sposare Lavinia. Il mancato abbraccio tra Enea e Creusa viene
Durante la cerimonia dal mare si vedono uscire due serpenti che ripreso dall’Odissea quando lo stesso accade ad Achille con l’ombra di
attaccano prima i figli di Laocoonte e infine lui stesso. A causa dei Patroclo. Questo topo viene ripreso da Virgilio anche nelle Georgiche con
serpenti le bende sacre indossate da Laocoonte si riempiono di sangue e l’abbraccio tra Orfeo ed Euridice e ancora nell’Eneide con Enea e Anchise.
il sacerdote per la sofferenza urla come un toro ferito dall’ascia Ma ciò che lega Enea e Orfeo è anche un mancato controllo che porta alla
sacrificale. Con questa similitudine si raggiunge il livello più alto di perdita della sposa: la dimenticanza di Enea dipende dalla missione che gli è
pathos. La narrazione si chiude con i serpenti che vanno sotto lo scudo stata affidata perché se Orfeo infrange il volere divino e si volta, Enea non
id Minerva, che si scopre essere la mandante dei due mostri perché il può farlo perché deve prima mettere in salvo suo padre Anchise e il figlio
sacerdote aveva osato scagliare la lancia contro il cavallo a lei dedicato. Iulo.
Così i Troiani decidono di portare il cavallo nella rocca della dea per
riacquistare la sua benevolenza.
TRAMA ENEIDE

Quando Enea fugge da troia insieme al padre Anchise, suo


figlio Iulo, e sua moglie Creusa, riesce ad arrivare a
Cartagine, dopo numerose tempeste mandate da parte della
sua nemica Giunone, dove verrà accolto da Didone che si
innamorerà perdutamente di lui e lo inviterà a raccontare la
fine della guerra di Troia. Enea però dopo qualche tempo è
costretto, per volere del fato, ad abbandonare Didone che si
uccide con la spada dell’eroe e maledice lui e la sua stirpe.
Giunto in Campania Enea si confronta con la Sibilla e va nel
regno dei morti dove incontra anche il padre Anchise,
precedentemente morto, che prevede che dovrà fondare una
città in Italia. Arrivato nelle foci del Tevere Enea si rende
conto che il luogo che ha raggiunto è il luogo in cui deve
fondare la nuova città, e per questo decide di fare un patto
con il re Latino. Giunone, per ostacolare Enea decide di
inviare un nemico per l’eroe, Turno, che dovrà cercare di
sposare la figlia del re Latino, voluta anche da Enea. Così
comincia una guerra tra Enea e Turno; inizialmente Enea
appare come perdente e per questo decide di rifugiarsi nelle
coste del Tevere, dove però troverà l’appoggio del re
Evandro e di suo figlio Pallante, alleato di Enea. Così la
guerra tra Enea, che viene aiutato da Pallante, e Turno,
aiutato invece da Mezenio. Nella guerra Turno uccide
Pallante e lo spoglia del suo balteo, che viene indossato poi
da Turno stesso. Enea piange Pallante ma è ikncerto se
uccidere Turno o meno; quando però si rende conto che
Turno sta indossando il balteo di Pallante decide di
ucciderlo, colpito da un impeto d’ira.

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