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Lezione Neuroscienze - 14/11/2022 Alida Sau

Abbiamo fatto l’esempio mercoledì scorso della malattia di Parkinson che inizia un po’ a farci capire da un lato
cosa fanno i neurotrasmettitori sia da un punto di vista fisiologico, per esempio la malattia di Parkinson ci
insegna che una delle funzioni molto importanti della dopamina è la modulazione, la regolazione del
comportamento motorio volontario.
Il soggetto parkinsoniano, non so se si è capito abbastanza bene, in realtà è una persona che ha una mente che
fino a un certo punto della progressione della malattia è lucidissima, quindi un soggetto che ha anche alcuni
problemi cognitivi, può presentarsi anche un quadro di disturbo cognitivo lieve, poi addirittura di demenza ma
per tutta una parte importante della malattia è un soggetto assolutamente lucido da un punto di vista mentale.
Purtroppo è un soggetto che in realtà si trova, in un certo qual modo, congelato tra l’ideare un azione e agire
l’azione stessa.
Cioé, banalmente, prendete la più semplice delle azioni che vi potete immaginare, per esempio allacciarvi le
scarpe, riempire un bicchier d’acqua e berlo, e via dicendo.. ecco il soggetto parkinsoniano è in grado di pensare
questa azione ma purtroppo non è in grado di tradurre questo pensiero in azione reale, in azione concreta.
Quindi si trova proprio in un certo qual modo bloccato fra l’ideazione motoria e la cosiddetta azione motoria.
Capite bene quanto può essere impattante una malattia del genere.
Come dicevo prima questo ci fa anche capire dell’importanza della dopamina nel trasformare le ideazioni in
azioni, e questa è una cosa che vedremo ovviamente in modo molto importante anche più avanti quando
tratteremo tutta una serie di altre tematiche legate al ruolo della dopamina come neurotrasmettitore.
Quindi l’esempio della malattia di Parkinson ci fa capire che in generale i neurotrasmettitori sono legati a
specifiche azioni.
La dopamina fa anche tante altre cose, così come la serotonina e via dicendo.
Un altra cosa molto importante che ci dice il Parkinson stesso è che quando c’è un alterazione a carico di un
sistema neurotrasmettitoriale di solito non è mai una cosa bella, ma di solito quello che si crea è che insorge una
determinata patologia.
Un altra cosa che ci insegna il Parkinson come abbiamo visto è che bene o male, a volte per via diretta a volte
perché capiamo prima la patologia e poi cerchiamo di sviluppare un farmaco, ma vi dico la verità molto più
spesso succede il contrario.
Alcune volte perché abbiamo provato a sviluppare dei farmaci e delle cure, e abbiamo visto che alcuni di questi
farmaci e alcune di queste cure funzionano e altre non funzionano, arrivati a quel punto abbiamo anche capito in
un certo qual modo quali erano i presupposti di base, la fisiopatologia così viene definita di una determinata
malattia.
Il Parkinson non fa eccezione da questo punto di vista perché lo stesso sviluppo dei farmaci anti Parkinson, che
poi ci hanno portato a capire il coinvolgimento della dopamina, in un qualche modo è venuto prima della
conoscenza della fisiopatologia stessa della malattia.
Quindi come vedremo oggi e continueremo a vedere molto spesso lo studio neuroscientifico è un groviglio di
funzioni, di farmaci, a volte anche di veleni e tossine che però ci forniscono delle utili indicazioni anche per
trattare queste patologie.
Questo ci porta all’altra faccia della medaglia della neurofarmacologia è che “gli psicofarmaci rovinano le
persone, che fanno più male che bene, che non fanno niente e ecc,ecc..”
Allora che gli psicofarmaci siano farmaci imperfetti su questo non ci piove, sono il primo a dirlo e non ho nessun
tipo di problema a fare questo tipo di dichiarazione.
Ma sono imperfetti anche per la ragione che spero vi arrivi, ovvero qua abbiamo a che fare con una complessità
elevata rispetto a una complessità che possono avere altri organi del nostro corpo.
Non che un cuore non sia complesso, non che un polmone non sia complesso, non che un osso o un muscolo non
siano complessi, ma la complessità del cervello, sopratutto a livello neurochimico, è estrema da questo punto di
vista.
Quindi purtroppo che ci piaccia o no molto spesso i farmaci che noi diamo, riescono ad avere degli effetti
positivi, ma a volte sono anche portatori di effetti collaterali, quindi sono farmaci che sicuramente non sono
perfetti.
Ma secondo voi cos’è un farmaco perfetto?
Innanzitutto un farmaco che non da effetti collaterali per esempio, quindi un farmaco che da il suo effetto
terapeutico, cioè l’effetto ricercato, ma mostra contemporaneamente un assenza di effetti collaterali.
Questo purtroppo non esiste per nessun farmaco, basta che voi prendiate un qualsiasi bugiardino, anche
dell’aspirina per esempio, e vi renderete conto che in realtà non esiste un farmaco perfetto.
Non esiste in generale, e a maggior ragione non esiste quando parliamo di psicofarmaci o di neurofarmaci,
quindi di famarci che agiscono sul sistema nervoso.
Poi c’è un altra cosa, lei dice “e ma su di me non ha avuto effetto” e anche questo è vero, e questa cosa succede
non solo con i psicofarmaci.
Abbiamo purtroppo una casistica decisamente ampiamente di soggetti che ad esempio soffrono di depressione
clinica, gli si da un antidepressivo, il famoso inibitore selettivo della serotonina, e si vede che il soggetto non
mostra una risposta clinica.
In questo caso si dice che è refrattario a quel farmaco.
Ma questo succede anche per gli altri psicotici, succede con gli ansiolitici e può succedere se ci pensate bene
anche per gli antidolorifici o per gli antinfluenzali ecc ecc.
Perché?
Perché una cosa molto importante che abbiamo scoperto è che siccome tutti abbiamo una genetica diversa molto
spesso i farmaci hanno un impatto, un effetto su di noi che è diverso da persona a persona.
Quindi ci sono persone che rispondono molto bene agli antidepressivi, persone che vi rispondono male o che non
vi rispondono affatto.
Idem per gli stabilizzanti dell’umore.
Ma questo vale anche per il moment, per l’aspirina, per la Tachipirina e via dicendo e a a maggior ragione è vero
anche per gli psicofarmaci.
Capite bene però vuol dire che gli psicofarmaci, quindi i farmaci che agiscono a livello del sistema nervoso, non
sono importanti o sono brutte cose, son semplicemente dei farmaci molto imperfetti.
Il problema è che a volte il tipo di effetto collaterale che ti danno, andando purtroppo ad agire sul cervello, è un
effetto collaterale che rischia di essere molto impattante sulla qualità della vita delle persone.
Il moment magari ti può dare un pò di gastrite, scusate dovrei dire ibuprofene sto facendo pubblicità,
l’ibuprofene assunto per un pò di tempo a stomaco vuoto per esempio vi può dare un pò di gastrite, la gastrite ti
costringe a prendere un antiacido, ti evita di farti la pizza o le patatine fritte, quindi ha un impatto ma non è
l’impatto che si ha dal punto di vista soggettivo che può avere un psicofarmaco a lungo termine, e questo lo
riconosciamo per carità.
Perché ci sono pazienti che si rifiutano di prendere psicofarmaci perché dicono di stare peggio?
Dipende da che psicofarmaci stiamo parlando, le faccio un esempio molto banale.
Per esempio gli antidepressivi hanno un brutto effetto collaterale, impattano sulla sfera sessuale dell’individuo,
sia maschio che femmina, danno problemi di erezione nel maschio, di anorgasmia ecc.
Capisci che questo è un effetto collaterale che viene vissuto a volte come importante sulla vita delle persone che
ne fanno uso.
Quindi gli effetti collaterali sono molto invasivi.
Quando parleremo di antipsicotici, per dirla in altri termini farmaci che vengono utilizzati per il trattamento di
quella che un tempo si chiamava schizzofrenia, vedremo che anche questi farmaci hanno degli effetti collaterali
molto importanti.
Gli antipsicotici danno una sorta di parkinsonismo perché ti blocca la trasmissione dopaminergica, ma non solo
nelle aree celebrali dove la dopamina nello psicotico è alterata ma anche nelle aree celebrali dove la dopamina
svolge il suo effetto nel controllo del movimento.
In realtà quello che vediamo nel soggetto parkinsoniano è che c’è poca dopamina nella via rossa, e quindi gli
diamo dei farmaci che aumentano la trasmissione dopaminergica, e questo aiuta il soggetto a muoversi e a
interagire con l’ambiente.
Nei soggetti schizofrenici o psicotici succede che molto spesso gli diamo una iper attività della cosiddetta via
verde, dove c’è troppa dopamina.
Diamo un farmaco che blocca la trasmissione dopaminergica e questo farmaco blocca la via verde che blocca
deliri, allucinazioni ma purtroppo va a bloccare anche la via rossa, quindi con il passare del tempo induce nel
soggetto schizofrenico un blocco della via dopaminergica che è coinvolta nel ruolo del movimento, inducendo
una sorta di parkinsonismo.
Come vedremo con il passare del tempo abbiamo migliorato con lo sviluppo di farmaci che danno questo tipo di
effetto rispetto ai farmaci nuovi che abbiamo per la schizzofrenia, quindi quelli nuovi danno molti meno effetti
da questo punto di vista.
Questo è il gioco attraverso il quale si gioca la partita degli psicofarmaci, è un qualcosa di imperfetto ma è la
base per poterlo migliorare nel corso del tempo.

La dopamina ha un ruolo per quanto riguarda i tremori che invece da l’alzheimer?


No, perché i tremori che da l’alzheimer sono dei tremori che arrivano in quella che si chiama fase neurologica,
che è una fase molto avanzata nel soggetto che ha una demenza di alzheimer, a volte coincide anche con
l’ospedalizzazione del soggetto e lì siamo in una situazione degenerativa molto avanzata.
Quindi dire che è ascrivibile a quello specifico neurotrasmettitore è un pò scorretto, ci sono troppi sbilanciamenti
neurochimici al momento.
In questo caso vi sto facendo diversi esempi che vi fanno capire quanto è corta la coperta del trattamento
farmacologico delle malattie mentali e neurologiche.
A volte purtroppo per coprirti la testa devi scoprirti i piedi, e per coprire i piedi devi scoprire la testa.
Ma questo non vuol dire che dobbiamo essere critici all’estremo e buttare via tutto, anzi quello che si cerca di
fare è imparare dai propri errori.

Vi ricordate che cos’è L-DOPA?


L-DOPA è il precursore della dopamina, e per migliorare i sintomi del soggetto parkinsoniano viene trasformata
in dopamina dai neuroni dopaminergici.
L-DOPA funziona fino a quando ci sono neuroni dopaminergici che sono in grado di trasformarla in dopamina,
quando iniziano a essere pochini gli aiutano i neuroni serotoninergici.
Nel momento in cui noi iniziamo a vedere che stanno succedendo questi fenomeni di solito iniziamo a diminuire
e iniziamo a trattare i nostri pazienti parkinsoniani con altri tipi di farmaci.
Questi farmaci di solito sono dei cosiddetti agonisti recettoriali dopaminergici, come vedete qua abbiamo una
tabella dove ci sono in ordine i farmaci che vengono utilizzati per il trattamento del Parkinson.
Al primo posto troviamo la L-DOPA, che è il farmaco di prima scelta.
Altri farmaci di prima scelta sono dei farmaci che si chiamano dopaminagonisti, che hanno un meccanismo
d’azione che è un pò diverso rispetto alla L-DOPA perché vanno ad agire direttamente sui recettori per la
dopamina.
Quindi si sostituiscono in un certo qual modo alla dopamina nell’utilizzare l’azione della dopamina stessa.
Io vi faccio il nome di alcuni di questi farmaci ma mi interessa di più non tanto che ricordiate i nomi ma più cosa
fanno.
Ci sono alcuni farmaci che agendo come recettori della dopamina fanno quello che in teoria dovrebbe fare la
dopamina.
Quindi capite bene che quando nel soggetto parkinsoniano diminuisce l’apporto di dopamina e i suoi recettori
noi diamo dei farmaci che si sostituiscono alla dopamina stessa.

Non si possono dare direttamente questi farmaci?


Anche questi farmaci hanno degli effetti collaterali, ma se abbiamo ancora dei neuroni dopaminergici è meglio
farli lavorare un pò, senza esagerare ma cercando di fare in modo che sia poi la dopamina ad agire sui recettori
perché i farmaci che dai agiscono su quei recettori, ma non sono esattamente la dopamina, quindi lo faranno in
un modo un po’ diverso.
Un altra cosa molto importante è che la stimolazione data attraverso l’utilizzo del L-DOPA mima o riesce a
mimare molto meglio quella che è la stimolazione fisiologica dopaminergica.
Quando tu inizi a vedere che L-DOPA inizia ad avere poco effetto basta che aumenti poco poco la dose, stessa
cosa quando vedi che inizia a dare troppi effetti collaterali.
Questo è più difficile da fare con gli agonisti dei recettori perché lavorano direttamente sul recettore e sono
molto più difficili da regolare.
In generale anche questi farmaci danno dei brutti effetti collaterali.
Adesso vi racconto una storia che in qualche modo mi ha visto partecipe qualche anno fa e che si ricollega
proprio all’utilizzo di questi farmaci.
Essendo agonisti dopaminergici capite bene che vanno direttamente ad agire sui recettori e possono farlo in un
modo molto ma molto importante dal punto di vista dell’entità degli effetti, ma soprattutto capite bene che non
sono farmaci così intelligenti da agire solo nei recettori dove c’è poca dopamina ma agiscono su tutti i recettori
della dopamina.
Quindi sia su quelli del sistema rosso sia su quelli e del verde sia su tutti gli altri, andando a stimolare la
dopamina laddove in realtà non andrebbe stimolata perché in realtà là la dopamina sta svolgendo in modo
egregio la sua funzione.
Se io do degli agonisti dopaminergici ad alto dosaggio in modo cronico posso addirittura indurre delle psicosi,
ricordiamoci che un agonista dopaminergico è la cocaina.
La cocaina assunta in modo cronico induce la cosiddetta psicosi cocainica.
Tutto questo per dire che un alto dosaggio di questi farmaci può avere un effetto psicotico.
Ma anche se tu vai a regolarli in modo un pò più fine, quindi evitando questi alti dosaggi che inducono psicosi
purtroppo diventa molto ma molto difficile dare il dosaggio giusto, ovvero il dosaggio che ti permette di avere
l’effetto terapeutico ma non l’effetto collaterale.
Una cosa interessante che succede quando eviti l’effetto psicotico e riesci ad aggiustare la dose in modo da avere
bene o male il controllo del sintomo parkinsoniano è che c’è sempre comunque un effetto collaterale un po’
fastidioso e questa è una cosa che hanno iniziato a caratterizzare in America.
Sapete che in America esistono le class action, che sono dei soggetti che hanno subito un danno da qualcuno o
qualcosa si organizzano e denunciano chi ritengono essere responsabile del danno.
In America succede spesso questo, quello che è successo che praticamente in America prendevano dei farmaci o
in associazione o in seguito al L-DOPA prendevano dei farmaci e che iniziano ad frequentare i casino, che
iniziano ad avere una vita sessuale estremamente promiscua, sono persone che iniziano a mostrare un disturbo
nel controllo degli impulsi.
Sono delle persone che non sono più in grado di controllare i loro comportamenti che mettono in atto degli
impulsi perché prima non mettevano in atto perché erano in grado controllarli ma a causa di questi farmaci sono
diventati incontrollabili.
Quindi abbiamo il parkinsoniano che va a giocarsi i risparmi di famiglia alle slot ecc ecc.
Quello che successe che tutti questi effetti collaterali non erano stati riportati dalle cause farmaceutiche che li
producevano e queste ultime sono state denunciate dai parkinsoniani e dalle parkinsoniane che hanno vinto la
causa.
Questo non è psicosi ma è un altro brutto effetto collaterale che non è presente in tutti i soggetti, e non è presente
con la stessa intensità in tutti i soggetti ma limita l’utilizzo di questi farmaci o perlomeno non li rende dei
farmaci perfetti.
Questo ci introduce un po’ nel vivo degli aspetti della neurotrasmissionechimica che si ricollega all’azione dei
farmaci, all’azione dei farmaci stessi e molto di quello che vedremo a livello della trasmissione sinaptica
neurochimica avviene anche grazie agli psicofarmaci.

Quindi gli psicofarmaci possono essere divisi in due categorie di effetti generali:

-effetto facilitatorio, in questo caso vengono definiti agonisti di un neurotrasmettitore, agonisti nel senso che
favoriscono gli effetti funzionali del neurotrasmettitore.
L-DOPA è un agonista della dopamina perché potenzia la trasmissione dopaminergica.
Altri tipi di farmaci agonisti però sono farmaci che si legano direttamente a un determinato recettore, in quel
caso non sono semplicemente agonisti del neurotrasmettitore ma sono agonisti dei recettori di quel
neurotrasmettitore.
Quindi un farmaco può essere o agonista di un neurotrasmettitore potenziandone la funzione se potenzia la sua
funzione agendo sul recettore, o un agonista dei recettori di quel trasmettitore.
Quindi in questo caso il farmaco si sostituisce o imita il neurotrasmettitore nell’indurre i suoi effetti a livello
recettoriale.
A volte un farmaco può essere agonista di un neurotrasmettitore e antagonista di un altro neurotrasmettitore.
Ovviamente le definizioni sono riferite sempre al determinato neurotrasmettitore con il quale stai interagendo.
Così come un farmaco può avere anche un effetto inibitorio sulla neurotrasmissione di un determinato
neurotrasmettitore.
-effetto inibitorio, in questo caso si chiama antagonista.
Gli antagonisti esercitano la loro azione in un modo più complesso, torniamo all’esempio della chiave e della
toppa.
Immaginate come se l’antagonista è la chiave entra nella toppa che è il recettore, però in questo caso la chiave
non apre la porta ma addirittura la blocca, quindi va ad impedire che la chiave giusta entri nella toppa e possa
aprire la porta.

L’agonista si lega ai recettori e attivare il neurone prepsinatico come farebbe il neurotrasmettiore o addirittura
anche in modo potenziato.
Per esempio il THC quando viene assunto da un effetto sui recettori cannabinoidi che è molto più forte dei
cannabinoidi endogeni, quindi a volte l’attività è potenziata.
Con un antagonista invece le cose cambiano perché esso funge da tappo, blocca il recettore ma non lo attiva,
anzi impedisce che il neurotrasmettitore vada ad interagire con il recettore.
Quindi blocca la trasmissione di un determinato neurotrasmettitore a livello dei recettori.
L’azione diretta sui recettori è un altro modo attraverso cui un farmaco può agire su un determinato
neurotrasmettitore.
Ma per capire come funzionano tutte le tappe e come su queste tappe funzionino i vari farmaci bisogna un pò
riprendere prima di tutto le tappe della neurotrasmissione, in secondo luogo andare a vedere come i vari farmaci
agiscono su tutte queste tappe.

Qual’è la prima tappa?


La prima tappa è la sintesi del neurotrasmettitore.
Quindi il neurotrasmettitore prima di essere liberato deve essere addirittura sintetizzato.
Un altra passaggio fondamentale è l’imagazzinamento del neurotrasmettitore all’interno delle vescicole.
Collegato a questo tutto ciò in termini di neurotrasmettitore che si trova al di fuori delle vescicole viene attaccato
e distrutto dagli enzimi.
Quindi è molto importante l’aspetto di proteggere il neurotrasmettitore all’interno delle vescicole.
Un quarto passo riguarda la liberazione del neurotrasmettitore per esocitosi.
Una volta liberato il neurotrasmettitore va ad agire sui recettori post-sinaptici e va anche ad agire sugli auto-
recettori, dando un segnale alla sinapsi che l’ha liberato.
Un altro aspetto molto importante di regolazione della trasmissione sinaptica neurochimica è che abbiamo anche
dei cosiddetti trasportatori che una volta che il neurotrasmettitore ha agito sui suoi recettori lo prendono e lo
riportano all’interno dei neuroni.
Capite bene che dei potenziali farmaci possano eventualmente agire su tutti questi aspetti.
Per esempio vi sono dei farmaci che aumentano la neurotrasmissione di un determinato neurotrasmettitore,
quindi farmaci agonisti di quel neurotrasmettitore.
Un farmaco potrebbe aumentare la sintesi delle molecole del neurotrasmettitore.
Un altro modo che ho per aumentare la neurotrasmissione è per esempio dare dei farmaci che bloccano gli
enzimi che degradano il neurotrasmettitore.
Immaginate una situazione in cui io do un farmaco che praticamente quando gli enzimi stanno andando a
degradare il neurotrasmettitore acchiappa gli enzimi e gli inattivano.
Cosa succede in questo caso?
Aumenta la quantità del neurotrasmettitore perché non ci sono più gli enzimi che lo distruggono.
Per esempio una categoria di questi farmaci si chiamano I-MAO, ovvero inibitori delle monoamino ossidasi.
Le monoamino ossidasi sono gli enzimi che di solito degradano le monoamine, quindi la dopamina, la serotonina
e la noradrenalina.
Quindi se io do un inibitore delle monoamino ossidasi a livello funzionale succede che le monoamine saranno di
più.
Tutto questo per dirvi che le I-AMO sono state utilizzate anche come antidepressivi perché aumento i livelli dei
neurotrasmettitori riducendo l’effetto antidepressivo.
Il problema delle I-MAO che hanno importanti effetti collaterali che ci hanno portato ad usarle sempre meno
come antidepressivi perché possono essere anche letali, proprio perchèé aumentano troppo il contenuto di
monoammine.
Un altro modo che ho per aumentare la neurotrasmissione di un determinato neurotrasmettitore è aumentarne il
rilascio.
Se parliamo di sinapsi dopaminergica un farmaco che agisce in questo modo è l’anfetamina o in generale le
anfetamine che promuovono un rilascio passivo di dopamina nella sinapsi.
E questo rilascio di dopamina nella sinapsi è responsabile anche degli effetti psicotropi delle anfetamine.
Ricordiamoci che anche le anfetamine a dosi elevate possono scatenare una situazione simil psicotica.
Ma se ci pensate bene le anfetamine sono anche in grado di stimolare la nostra attività motoria, è un po’ il
contrario del Parkinson.
Un altro modo che abbiamo per aumentare il rilascio del neurotrasmettitore per esempio è dare un antagonista
degli auto recettori.
Perché se io do un antagonista a degli autorecettori questi son bloccati, non possono trasmettere il segnale,
quindi gli autorecettori non possono dire al neurone “guarda che hai già rilasciato abbastanza
neurotrasmettitori”, quindi il neurone non avendo il suo feedback negativo continua a rilasciare
neurotrasmettitore.
Un altro modo è agire sui recettori post sinaptici, in questo caso dai degli agonisti a dei recettori, in questo caso
quindi stiamo bypassando completamente quella che è l’attività del terminale presinaptico.
Stiamo dando una sostanza che agisce direttamente a livello dei terminali posti.
Anche per questo è difficile regolare l’attività post-sinaptica, perché sta mimando la neurotrasmessione ma
escludendo completamente l’attività del neurotasmettitore e di tutto quello che è il sistema che ne regola la
liberazione e l’attività.
Un altro farmaco che potremo dare sempre per aumentare la neurotrasmessione di un determinato
neurotrasmettitore a livello funzionale è un farmaco che blocca la ricattura del neurotrasmettitore.
Di questo ne abbiamo già parlato, la cocaina lo fa con la dopamina, gli antidepressivi lo fanno con la serotonina
e via dicendo.
Anche in questo caso bloccare la ricattura del neurotrasmettitore vuol dire permettere che il neurotrasmettitore
sia per molto più tempo e ce ne sia molto di più nella sinapsi rispetto a quando ce ne dovrebbe stare.
Per esempio l’assunzione cronica di cocaina soprattutto in alti dosaggi può indurre delle psicosi, la cosiddetta
psicosi cocainica.
Ovviamente capite bene che come possiamo andare a modulare l’azione agonistica di un determinato
neurotrasmettitore possiamo al contrario anche bloccarla.
Un altro esempio: quando abbiamo parlato di L-DOPA che aumenta l’azione della dopamina, ma è un farmaco e
i precursori a volte li assumiamo tramite la dieta e anche la dieta a volte può modificare la neurotrasmessione di
determinati neurotrasmettitori, di solito lo fa quando siamo carenti di questi neurotrasmettitori.
Se di neurotrasmettitori ne abbiamo già abbastanza non è che assumendoli di più nella dieta potenziamo chissà
quanto, l’effetto si vede molto meno.
Ma se ne abbiamo poco di precursore assumendolo nella dieta possiamo potenziare la neurotrasmissione, è il
caso per esempio del triptofano, nel caso avessimo poca serotonina, che assunto nella dieta può aumentare i
livelli di serotonina.
Oppure quando abbiamo poca acetilcolina assumendo alimenti che presentano colina possiamo aumentare la
quantità del precursore colina e quindi la quantità dell’acetilcolina nella sinapsi.
Nel nostro corpo c’è un sistema che si autoregola quindi se ce n’è troppo blocca l’ulteriore sintesi.
Ci possono per esempio essere dei farmaci che bloccano la sintesi dei precursori, per esempio il primo enzima
coinvolto nella creazione della dopamina è la tirosina idrossilasi.
Io posso avere un farmaco che blocca la tirosina idrossilasi e quindi tutta la tirosina che io ho a livello dei
neuroni dopaminergici non verrà trasformata in L-DOPA, e di conseguenza non verrà trasformata in dopamina.
Oppure posso dare un inibitore, inibendo gli enzimi questi non degradano ma partecipano alla sintesi del
neurotrasmettitore.
Capite che ovviamente in questo caso ottengo l’effetto opposto: se bloccare gli enzimi che degradano aumenta il
livello del neurotrasmettitore, quindi la trasmissione di quel trasmettitore, bloccare gli enzimi che sintetizzano
diminuisce i livelli di quel neurotrasmettitore e quindi ne inibisce la neurotrasmissione.
C’è una tossina o può essere una tossina che ha contribuito notevolmente allo sviluppo della moderna
neurofarmacologica; questo farmaco si chiama reserpina.
Quando, nei manicomi di una volta, si dava la reserpina ai pazienti loro erano soddisfatti perché i soggetti si
calmavano immediatamente.
Quello che fa la reserpina è distruggere le vescicole simpatiche delle monoammine, quindi le monoammine
senza più vescicole vengono distrutte, attaccate dagli enzimi e si ha un deupaperamento, a seconda della dose,
pressoché totale di questi neurotrasmettitori a livello della sinapsi perché vengono distrutti non essendo più
protetti dalle vescicole.
Questi soggetti non riuscivano più a fare nulla e questa è una delle prime scoperte che ci ha permesso di
collegare tutti questi aspetti alle monoammine e alla dopamina in generale.
Quindi rappresenta una tappa storica nello sviluppo delle Neuroscienze moderne e nella neurofarmacologia.
Ci sono altri farmaci che possono bloccare il rilascio di neurotrasmettitori nella sinapsi perché impediscono che
la vescicola si attacchi e si fonda con la membrana e che quindi liberi il neurotrasmettitore.
Altri modi sono per esempio dare un farmaco che attivi in modo specifico l’auorecettore, quindi in questo caso il
farmaco non agisce a livello post, ma agisce a livello pre facendo pensare al neurone che ha rilasciato il
neurotrasmettitore ma in realtà non è per vero, sta stimolando gli autorecettori fornendo un feedback negativo
che in realtà non esiste.
Il terminale neurosinaptico viene fregato perché è convinto di aver rilasciato abbastanza neurotrasmettitore e
invece non è vero.
Un altro modo è quello che riguarda l’uso degli antagonisti recettoriali, quei famosi farmaci che si piazzano a
tappo e impediscono che il neurotrasmettitore vada a interagire con i suoi recettori, bloccando la
neurotrasmissione.
Uno di questi farmaci è serenase, che è un antipsicotico, il cui principio attivo è l’aloperidolo, è un antipsicotico
di prima generazione che blocca la trasmissione dopaminergica con una azione clinica di tipo antipsicotico.

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