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NOTE DI MATEMATICA DI BASE

1. Logica elementare

1.1. Proposizioni. Una proposizione o enunciato è una affermazione vera op-


pure falsa. Ad esempio, le seguenti sono proposizioni:
• Cinque è un numero dispari.
• Tutti i triangoli sono equilateri.
• Ogni numero pari è somma di due numeri primi.
Non v’ è dubbio che ciascuna di esse sia vera oppure falsa. In particolare,
la prima è vera e la seconda falsa. Sulla terza non possiamo affermare nulla
di certo1, per quanto vi sia ampia evidenza della sua verità. Nel linguaggio
comune si utilizzano frasi che non sono proposizioni nel senso appena definito.
Ad esempio, le seguenti non sono proposizioni:
(1) T è un triangolo isoscele.
(2) All’esame prenderò un buon voto studiando poco.
(3) M’illumino d’immenso.
La prima non è una proposizione perché la sua verità o falsità dipende dal
triangolo T . Poiché esso non è specificato, l’affermazione considerata non è
vera e non è falsa, dunque non è una proposizione. La seconda non è una
proposizione per diverse ragioni. Innanzitutto perché non esprime un fatto,
ma una previsione. Inoltre, ‘prendere un buon voto’ e ‘studiare poco’ sono
espressioni vaghe e interpretabili soggettivamente. Anche questa affermazione,
dunque, non è vera e non è falsa. Infine, la terza frase, per quanto ricca di
significati poetici, non è una proposizione perché non è vera e non è falsa.
All’occorrenza useremo lettere minuscole come p, q, r, . . . per indicare propo-
sizioni.
1.2. Connettivi logici. E’ possibile combinare proposizioni per ottenerne di
nuove attraverso l’uso di “operazioni tra proposizioni” detti connettivi logici.
1.2.1. Negazione. Ogni proposizione p può essere negata, ottenendo la proposi-
zione che si denota con ¬p. La verità di ¬p è opposta a quella di p. In altre
parole, ¬p è falsa se p è vera, ed è vera se p è falsa.
p V F
¬p F V
Esempio 1. La negazione di “il mio gatto miagola” è l’affermazione “non è vero
che il mio gatto miagola”, o equivalentemente “il mio gatto non miagola”. D’altra
parte, la negazione di “tutti i gatti miagolano” è “non è vero che tutti i gatti
miagolano”, che equivale a “esiste almeno un gatto che non miagola”. Invece,
si noti che tale negazione non è “tutti i gatti non miagolano” o “nessun gatto
miagola”.
1Affermazioni come questa, talvolta, prendono il nome di congetture. In particolare, questa
è nota con il nome di congettura di Goldbach (matematico tedesco attivo nella prima metà del
XVIII secolo).
1
2

Esempio 2. Sia n un numero intero arbitrario. La negazione di n < 3 è n ≥ 3.


Inoltre, la negazione di “esiste n tale che n2 > 3” è “non esiste alcun n tale
che n2 > 3”, ossia “per ogni n si ha n2 ≤ 3”.
1.2.2. Congiunzione. Date due proposizioni p, q, è possibile considerare la con-
giunzione di p e q, che si denota con p∧q. Il connettivo ∧ ha lo stesso significato
della congiunzione “e” nella lingua italiana. La proposizione p ∧ q è vera quando
p e q sono entrambe vere, ed è falsa quando almeno una delle due lo è.

p V V F F
q V F V F
p∧q V F F F
Esempio 3. La congiunzione di “Remo ha i capelli neri” e “Remo porta gli
occhiali” è “Remo ha i capelli neri e porta gli occhiali”.
Esempio 4. Sia n un numero intero arbitrario. La congiunzione n > −3 ∧ n < 3
equivale a |n| < 3.
1.2.3. Disgiunzione. Date due proposizioni p, q, è possibile considerare la di-
sgiunzione di p e q, che si denota con p ∨ q. Il connettivo ∨ ha lo stesso signi-
ficato della congiunzione “o” nella frase “andrò al cinema stasera o domani”, la
quale non esclude che io vada al cinema entrambe le sere. La proposizione p ∨ q
è vera quando almeno una tra p e q è vera, ed è falsa quando entrambe lo sono.

p V V F F
q V F V F
p∨q V V V F
Esempio 5. La disgiunzione di “Ada indossa i guanti” e “Ada tiene le mani in
tasca” è “Ada indossa i guanti o tiene le mani in tasca”, che non esclude la
possibilità che Ada faccia entrambe le cose.
Esempio 6. Sia n un numero intero arbitrario. La disgiunzione n > 1 ∨ n < −1
è |n| > 1.
1.2.4. Implicazione. Date due proposizioni p, q, è possibile considerare la im-
plicazione di p e q (in quest’ordine!), che si denota con p =⇒ q. Essa ha il
significato di “se p, allora q”, o equivalentemente “p solo se q”. Ancora, p =⇒ q
si esprime con “p è condizione sufficiente per q”, o “q è condizione necessaria per
p”. La proposizione p =⇒ q è falsa quando p è vera e q è falsa, ed è vera in
tutti gli altri casi.

p V V F F
q V F V F
p =⇒ q V F V V
Esempio 7. L’implicazione di “Remo si alza dopo le sette” e “Remo perde il
treno” è “se Remo si alza dopo le sette, allora perde il treno”. Essa è falsa se
Remo prende il treno pur essendosi alzato dopo le sette. D’altra parte, l’impli-
cazione non è falsa, e dunque è vera, nel caso in cui Remo non prenda il treno,
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indipendentemente dall’orario in cui si è alzato. Infine, è vera quando Remo,


alzatosi dopo le sette, perde il treno.
Teorema 1. Siano p, q due proposizioni. L’implicazione p =⇒ q è equivalente
a ¬p ∨ q.
Dimostrazione. Sappiamo che p =⇒ q è falsa quando p è vera e q è falsa,
mentre è vera in tutti gli altri casi. D’altra parte, posto ¬p = r, sappiamo che
r ∨ q è falsa quando r e q sono false, mentre è vera in tutti gli altri casi. Ora,
r è falsa quando p è vera, e vera quando p è falsa. Pertanto, ¬p ∨ q è falsa
quando p è vera e q è falsa, mentre è vera in tutti gli altri casi. Dunque la tesi
è dimostrata. 
Osservazione 1. Un teorema è una proposizione vera dotata di una dimostra-
zione, ossia un insieme di implicazioni logiche che ne provano la verità . Spes-
so un teorema è formulato attraverso alcune premesse, dette ipotesi, la cui
verità implica una conseguenza, detta tesi.
Solitamente il termine teorema è riservato ai risultati più importanti e profon-
di. Spesso i termini proposizione e lemma sono usati con il significato di teorema
e sono riservati a risultati meno rilevanti o parziali, utili alla dimostrazione di
teoremi.
Osservazione 2. La dimostrazione del teorema precedente è riassunta schema-
ticamente dalla seguente tabella
p V V F F
q V F V F
¬p F F V V
¬p ∨ q V F V V
p =⇒ q V F V V
Infatti, si deduce che p =⇒ q e ¬p ∨ q sono equivalenti perché assumono gli
stessi valori di verità .
Teorema 2. Siano p, q due proposizioni. L’implicazione è p =⇒ q è equiva-
lente a ¬q =⇒ ¬p.
Dimostrazione. Osserviamo che
p V V F F
q V F V F
¬p F F V V
¬q F V F V
p =⇒ q V F V V
¬q =⇒ ¬p V F V V
Dunque p =⇒ q e ¬q =⇒ ¬p sono equivalenti perché assumono gli stessi
valori di verità . 
Osservazione 3. Dimostrare un teorema significa provare che dalla verità dalle
ipotesi discende la verità tesi. In altre parole, significa provare che è vera
l’implicazione
ipotesi =⇒ tesi.
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Grazie al teorema precedente sappiamo che cioè equivale a

negazione della tesi =⇒ negazione delle ipotesi.

Talvolta è vantaggioso provare questa implicazione anziché la precedente. Que-


sta strategia dimostrativa è nota con il nome di riduzione ad assurdo o dimo-
strazione per assurdo.

1.2.5. Coimplicazione. Date due proposizioni p, q, è possibile considerare la


coimplicazione di p e q, che si denota con p ⇐⇒ q. Essa ha il significato
di “p è equivalente a q” e molto spesso si esprime dicendo “p se e solo se q”, o
ancora “p è condizione necessaria e sufficiente per q”. La proposizione p ⇐⇒ q
è vera quando p e q sono entrambe vere o entrambe false, mentre è falsa quando
i valori di verità di p e q sono discordi.
p V V F F
q V F V F
p ⇐⇒ q V F F V
Esempio 8. La coimplicazione tra “Ada supera l’esame” e “Il voto di Ada è non
inferiore a 18” è “Ada supera l’esame se e solo se ottiene un voto non inferiore
a 18”.

Teorema 3. Siano p, q due proposizioni. L’implicazione è p ⇐⇒ q è equiva-


lente a (p =⇒ q) ∧ (q =⇒ p).

Dimostrazione. Osserviamo che


p V V F F
q V F V F
p =⇒ q V F V V
q =⇒ p V V F V
(p =⇒ q) ∧ (q =⇒ p) V F F V
p ⇐⇒ q V F F V

Dunque p ⇐⇒ q e (p =⇒ q) ∧ (q =⇒ p) sono equivalenti perché assumono


gli stessi valori di verità . 

Osservazione 4. Grazie a quanto appena dimostrato, per dimostrare un teorema


che afferma l’equivalenza tra due affermazioni è possibile provare che la prima
implica la seconda e che la seconda implica la prima.

Esercizio 1. Siano p, q, r proposizioni. Mostrare che:


(1) p ∧ ¬p è falsa, indipendentemente dal valore di verità di p;
(2) p ∨ ¬p è vera, indipendentemente dal valore di verità di p;
(3) ¬(p ∧ q) equivale a ¬p ∨ ¬q;
(4) ¬(p ∨ q) equivale a ¬p ∧ ¬q;
(5) (p ∧ q) ∨ r equivale a (p ∨ r) ∧ (q ∨ r);
(6) (p ∨ q) ∧ r equivale a (p ∧ r) ∨ (q ∧ r);
(7) p ⇐⇒ q equivale a ¬p ⇐⇒ ¬q.
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1.3. Predicati e quantificatori. Sappiamo che affermazioni quali


(1) T è un triangolo isoscele,
(2) x2 = 3,
non sono proposizioni perché il loro valore di verità dipende da alcune variabili:
T per la prima e x, y per la seconda. D’altra parte, quando si specificano tali
variabili, esse diventano proposizioni. Ad esempio:
• Il triangolo di vertici (1, 0), (0, 0), (0, 1) è isoscele. (vera)
• 32 = 2. (falsa)
Espressioni di questo tipo, in cui le variabili rappresentano elementi di una
classe esplicitamente o implicitamente specificata, prendono il nome di predicati.
Useremo lettere maiuscole P, Q, . . . per indicare predicati. Per indicare le
variabili useremo per lo più lettere minuscole x, y, . . . . Ad esempio:
P = “T è un triangolo isoscele”
dove T è un triangolo nel piano euclideo; oppure
Q = “x2 = 3”
dove x è un numero intero.
E’ possibile ottenere proposizioni a partire da un predicato P chiedendo se
per tutti i possibili valori delle variabili, o per alcuni di essi, P dà luogo ad una
proposizione vera.

1.3.1. Quantificatore universale. Dato il predicato P , dipendente dalla variabile


x, l’affermazione “per ogni x, P ” è una proposizione. Talvolta, essa si denota
con ∀xP , dove ∀ è detto quantificatore universale.
Esempio 9. Consideriamo il predicato P = “T è un triangolo isoscele”, dove T
è un triangolo nel piano euclideo. La proposizione ∀T P equivale a “per ogni
triangolo T del piano euclideo, T è isoscele”, ossia “ogni triangolo del piano
euclideo è isoscele”.
Esempio 10. Consideriamo il predicato Q = “x2 = 3”, dove x è un numero
reale. La proposizione ∀xQ equivale a “x2 = 3 per ogni numero reale x”.
1.3.2. Quantificatore esistenziale. Dato il predicato P , dipendente dalla varia-
bile x, l’affermazione “esiste x tale che P ” è una proposizione. Talvolta, essa si
denota con ∃xP , dove ∃ è detto quantificatore esistenziale.
Esempio 11. Consideriamo ancora il predicato P = “T è un triangolo isoscele”,
dove T è un triangolo nel piano euclideo. La proposizione ∃T P equivale a “esiste
un triangolo T del piano euclideo, tale che T è isoscele”, ossia “esiste un triangolo
isoscele nel piano euclideo”.
Esempio 12. Consideriamo il predicato Q = “x2 = 3”, dove x è un numero reale.
La proposizione ∃xQ equivale a “esiste un numero reale x tale che x2 = 3”. Si
noti che tale proposizione è vera. D’altra parte, se avessimo stabilito che la
variabile x fosse un numero intero (o razionale), allora la proposizione ∃xQ
sarebbe falsa.
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I predicati possono essere combinati insieme a formare nuovi predicati attra-


verso i connettori logici, esattamente come le proposizioni. Inoltre, valgono per
essi risultati del tutto analoghi ai Teoremi dimostrati per le proposizioni e le
affermazioni dell’Esercizio ??.
Esempio 13. Consideriamo di nuovo il predicato P = “T è un triangolo isoscele”,
dove T è un triangolo nel piano euclideo. Il predicato ¬P è “T non è un triangolo
isoscele”, dove T è un triangolo nel piano euclideo.
Osservazione 5. E’ importante osservare che, dato un predicato P dipendente
dalla variabile x, si ha:
¬∀xP equivale a ∃x¬P.
Infatti, negare che P sia vera per ogni x equivale ad affermare l’esistenza di x
per cui P non sia vera. Questa equivalenza è molto utile. Infatti, per negare
che P sia vera per ogni x è sufficiente esibire un x per cui P non sia vera.
Analogamente si ha:
¬∃xP equivale a ∀x¬P.
Si noti che questa equivalenza può essere ricavata dalla precedente ragionando
come segue. Poichè la precedente vale per ogni predicato, vale in particolare per
¬P . Dunque, grazie al fatto che ¬¬P equivale a P , si ha2
¬∀x¬P equivale a ∃xP,
da cui si deduce l’equivalenza voluta, passando alle negazioni (Esercizio ??,
punto 7).

2. Insiemi

Lo scopo di queste note è fornire alcuni richiami della teoria elementare degli
insiemi, la teoria assiomatica degli insiemi, ben più formale, esula dagli scopi di
questi appunti.
Assumeremo come primitivo il concetto di insieme. Come possiamo caratte-
rizzare un insieme A? In qualunque modo possiamo stabilire se un dato elemento
a appartiene o non appartiene all’insieme A. Scriveremo:
a ∈ A, se a appartiene all’insieme A;
a 6∈ A, se a non appartiene all’insieme A.
Possiamo caratterizzare un insieme nei seguenti modi:
(1) fornendo l’elenco degli elementi dell’insieme;
(2) caratterizzando gli elementi dell’insieme attraverso una proprietà p.
Sono assegnati per elencazione i seguenti insiemi:
 
1
A = 1, 3, , −2.5, π B = {0, 1, 2, 3} C = {a, e, i, o, u} .
2
Osserviamo che 21 ∈ A, 1 ∈ A e 1 ∈ B, 30 6∈ A e 30 6∈ B, 0 ∈ B ma 0 6∈
A. Osserviamo infine che a ∈ C, ogni vocale dell’alfabeto italiano appartiene
all’insieme C, ma nessuna consonante dell’alfabeto italiano appartiene a C.
2En passant, si noti il quantificatore esistenziale si può sempre esprimere in termini del
quantificatore universale.
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Notiamo che l’ordine con il quale vengono elencati gli elementi di un insieme
non è significativo. In altre parole, {0, 1, 2, 3} e {3, 1, 0, 2} indicheranno lo stesso
insieme.
Sono assegnati per caratterizzazione i seguenti insiemi:
N = {x | x è un numero naturale } ,
l’insieme dei numeri naturali;
D = {x ∈ N| x ≥ 3 } ,
F = {x | x è una lettera dell’alfabeto italiano } .
Osserviamo che 0 ∈ N, 1 ∈ N, 2 ∈ N ma −1 6∈ N. Inoltre, 3 ∈ D, 4 ∈ D,
possiamo affermare che ogni numero naturale maggiore o uguale a 3 appartiene
all’insieme D. Se volessi elencare tutti gli elementi di D sarei in difficoltà, perché
non esiste un numero finito di elementi in tale insieme. Potrei invece facilmente
elencare gli elementi dell’ insieme F . Assegnare un insieme con il secondo modo
diventa essenziale nel momento in cui non esiste un numero finito di elementi,
per cui l’elenco sarebbe impossibile.
Osserviamo che possiamo rappresentare l’insieme B per caratterizzazione nel
seguente modo:
B = {x ∈ N| x ≤ 3} ;
infatti la proprietà p che caratterizza tutti e soli gli elementi di B è la seguente:
x è un numero naturale minore o uguale a 3 ( x ∈ N | x ≤ 3).
Analogamente possiamo rappresentare l’insieme C per caratterizzazione nel
seguente modo:
C = {x ∈ F | x è una vocale } .
Nota bene: Possiamo rappresentare graficamente un insieme con un dia-
gramma di Eulero-Venn: gli elementi dell’insieme si rappresentano con punti
tracciati all’interno di una linea chiusa.

Richiamiamo ora alcune definizioni fondamentali.


Definizione 1. L’insieme che non contiene nessun elemento viene detto insieme
vuoto e si indica con il simbolo ∅.
Definizione 2.
(1) Due insiemi A e B sono uguali se contengono gli stessi elementi, in
simboli: A = B.
(2) Un insieme B è sottoinsieme di A se ogni elemento di B è anche elemento
di A, in simboli: B ⊆ A.
(3) Se B è sottoinsieme di A ed esiste almeno un elemento di A che non
appartiene a B diremo che si ha un’inclusione propria, ossia che B è un
sottoinsieme proprio di A: in simboli B ⊂ A.
Facendo riferimento agli esempi precedenti si hanno le inclusioni proprie:
B⊂N C⊂F D ⊂ N.
Nota bene: dalle definizioni date segue che due insiemi A e B sono uguali
se e solo se si verificano entrambe le inclusioni: A ⊆ B e B ⊆ A.
8

Esempio 14. Lasciamo come esercizio agli studenti la verifica che i seguenti
insiemi sono uguali:
A = {x ∈ N| x è un multiplo di 10 } ,
B = {x ∈ N| x è divisibile per 2 e 5 } .
Occorre verificare che A ⊆ B e B ⊆ A.

Definizione 3. Dato un insieme A, l’insieme formato da tutti i sottoinsiemi di


A viene detto insieme delle parti di A ed è indicato con P(A):
P(A) = {B | B ⊆ A} .

Esempio 15. Consideriamo l’insieme A = {1, 2, 3}. L’insieme delle parti di A è


il seguente:
P(A) = {∅, A, {1}, {2}, {3}, {1, 2}, {2, 3}, {1, 3}} .
Nota bene: L’insieme delle parti di A non è mai vuoto!!! Infatti ∅ è un
elemento di P(A) anche quando A = ∅.

Vi sono due operazioni fondamentali che possiamo eseguire con gli insiemi:
Definizione 4. Siano A e B due insiemi.
(1) L’unione dei due insiemi, indicata con A ∪ B, è l’insieme che contiene
gli elementi di A e di B, in comune e non.
(2) L’intersezione dei due insiemi, indicata con A ∩ B, è l’insieme che
contiene gli elementi che A e B hanno in comune.
In simboli, avremo che l’unione è il seguente insieme:
A ∪ B = {x | x ∈ A ∨ x ∈ B}
dove il simbolo ∨ rappresenta la disgiunzione (“o, oppure”), definito nella sezione
1; e l’intersezione è il seguente insieme:
A ∩ B = {x | x ∈ A ∧ x ∈ B} ,
dove il simbolo ∧ rappresenta la congiunzione (“e”), definito nella sezione 1.
Esempio 16. Consideriamo l’insieme dei numeri naturali pari:
P = {x ∈ N| x = 2n, n ∈ N} ,
P = {0, 2, 4, 6, 8, 10, .....}, e l’insieme dei numeri naturali dispari:
D = {x ∈ N| x = 2n + 1, n ∈ N} ,
D = {1, 3, 5, 7, 9, 11, ....}, infine consideriamo l’insieme dei numeri naturali che
sono quadrati:
Q = x ∈ N| x = n2 , n ∈ N ,

9

Q = {0, 1, 4, 9, 16, 25, 36, 49, 64, 81, ....}. Abbiamo P ∩ D = ∅ ma si verifica
facilmente che risulta:
P ∩ Q = x ∈ N| x = 4n2 , n ∈ N ,


D ∩ Q = x ∈ N| x = (2n + 1)2 , n ∈ N .


Vogliamo ora trovare l’unione. Risulta P ∪ D = N, invece


P ∪ Q = x ∈ N| x = 2n ∨ x = n2 , n ∈ N ,


è l’insieme che contiene tutti i quadrati perfetti e tutti i naturali pari. un


sottoinsime proprio di N, infatti 3 6∈ P ∪ Q in quanto 3 6∈ P e 3 ∈ 6 Q.
Analogamente,
D ∪ Q = x ∈ N| x = 2n + 1 ∨ x = n2 , n ∈ N ,


è l’insieme che contiene tutti i quadrati perfetti e tutti i naturali dispari, ed un


sottoinsime proprio di N, infatti 2 6∈ D e 2 6∈ Q.
La definizione di unione e intersezione può essere estesa anche ad un numero
finito o infinito di insiemi. In generale, consideriamo una famiglia di insiemi
{Ai }, parametrizzati da un indice i che varia in un insieme I finito o infinito.
Possiamo definire l’ insieme ottenuto facendo l’unione di tutti gli insiemi Ai , al
variare di i in I: [
Ai = {x| ∃i ∈ I : x ∈ Ai };
i∈I
analogamente possiamo definire l’insieme ottenuto facendo l’ intersezione di tutti
gli insiemi Ai : \
Ai = {x| x ∈ Ai ∀i ∈ I}.
i∈I
Esempio 17. Consideriamo per ogni numero naturale k ≥ 1 il seguente sottoin-
sieme di N:
Ak = {x ∈ N |x ≤ k},
e consideriamo la famiglia dei sottoinsiemi di N: {Ak } al variare di k in N.
Proviamo che risulta:
[ \
Ak = N Ak = {0, 1}.
k∈N k∈N
S
Verifichiamo
S la prima uguaglianza. Osserviamo che k∈N Ak ⊆ N: infatti se
x ∈ k∈N Ak , allora esiste un numero n ≥ S 1 tale che x ∈ An , poiché An ⊆ N,
allora x ∈ N. Ora verifichiamo cheS N ⊆ k∈N Ak . Sia n ∈ N, è immediato
osservare che n ∈ An , pertanto n ∈ k∈N Ak .
Lasciamo la verifica della seconda uguaglianza per esercizio.
Enunciamo ora alcune proprietà di unione e intersezione di insiemi.
Proprietà 4.
Siano A, B e C insiemi, valgono le seguenti proprietà:
(1) proprietà dell’unione insiemistica:
(a) A ∪ ∅ = ∅ ∪ A = A;
(b) A ∪ A = A;
(c) A ∪ B = B ∪ A;
(d) (A ∪ B) ∪ C = A ∪ (B ∪ C).
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(2) proprietà dell’intersezione insiemistica:


(a) A ∩ ∅ = ∅ ∩ A = ∅;
(b) A ∩ A = A;
(c) A ∩ B = B ∩ A;
(d) (A ∩ B) ∩ C = A ∩ (B ∩ C).
(3) proprietà distributive:
(a) A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C);
(b) A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C).
Verifichiamo insieme la seconda proprietà distributiva (b). Come abbiamo
visto in precedenza, per provare che gli insiemi A ∪ (B ∩ C) e (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)
sono uguali occorre verificare la doppia inclusione. Iniziamo verificando che:
A ∪ (B ∩ C) ⊆ (A ∪ B) ∩ (A ∪ C).
Sia x ∈ A ∪ (B ∩ C): abbiamo che x ∈ A oppure x ∈ B ∩ C. Se x ∈ A, allora x
è un elemento anche degli insiemi A ∪ B e A ∪ C, pertanto appartiene alla loro
intersezione (A ∪ B) ∩ (A ∪ C).
Se x ∈ B ∩ C: x ∈ B e pertanto è un elemento anche di A ∪ B, inoltre x ∈ C e
pertanto è anche un elemento di A ∪ C. Segue che x ∈ (A ∪ B) ∩ (A ∪ C).
Verifichiamo ora l’inclusione
(A ∪ B) ∩ (A ∪ C) ⊆ A ∪ (B ∩ C).
Sia x ∈ (A ∪ B) ∩ (A ∪ C): allora x è un elemento di A ∪ B e di A ∪ C. poiché
x ∈ A ∪ B, abbiamo che x ∈ A oppure x ∈ B. poiché x ∈ A ∪ C, abbiamo che
x ∈ A oppure x ∈ C. Possiamo concludere che x ∈ A oppure x ∈ B ∩ C, da cui
segue che x ∈ A ∪ (B ∩ C).

Un’ ulteriore operazione tra insiemi è la seguente:


Definizione 5. Dati due insiemi A e B, l’insieme differenza A − B è formato
privando A degli (eventuali) elementi che sono anche in B (ossia, togliendo ad
A gli elementi di A ∩ B).
In particolare, se B ⊂ A, allora l’insieme A − B è anche detto complementare
di B rispetto ad A.

Ad esempio, se indichiamo con P l’insieme dei numeri naturali pari e con D


l’insieme dei numeri naturali dispari, si verifica facilmente che:
N − P = D, N − D = P.
Inoltre poiché P ∩ D = ∅, allora risulta:
P −D =P D − P = D.

Nota bene: Per ogni insieme A si ha: A − ∅ = A e A − A = ∅.


Infine, enunciamo le leggi di De Morgan:
Proprietà 5. Siano A e B due sottoinsiemi di un insieme X, valgono le seguenti
proprietà:
(1) X − (A ∩ B) = (X − A) ∪ (X − B);
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(2) X − (A ∪ B) = (X − A) ∩ (X − B).

Richiamiamo ora un concetto che sarà molto utile in seguito.


Definizione 6. Dato un insieme A, una famiglia di suoi sottoinsiemi {Ai }
costituisce una partizione di A, se sono non vuoti, a due a due disgiunti e la
loro unione è A, in simboli:
[
A= Ai , Ai 6= ∅, Ai ∩ Aj = ∅ i 6= j.

Ad esempio, i seguenti sottoinsiemi di N: il sottoinsieme P dei numeri pari


ed il sottoinsieme D dei numeri dispari costituiscono una partizione di N.
Proprietà 6. Data una partizione {Ai } di un insieme A: ogni elemento a ∈ A
appartiene ad uno ed uno solo degli insiemi Ai .
Per tale motivo i sottoinsiemi Ai sono dette classi della partizione.
Verifichiamo la proprietà enunciata. Sia a ∈ A, poiché per ipotesi laSfamiglia
dei sottoinsiemi {Ai } costituisce una partizione di A risulta che A = Ai . Al-
lora esiste almeno un sottoisieme Ai della famiglia contenente a. Verifichiamo
che a non può appartenere a due classi della partizione. Se per assurdo esistesse
un altro sottoinsime della famiglia contenente a avremmo a ∈ Ai ∩ Aj e per-
tanto Ai ∩ Aj 6= ∅, che contraddice l’ipotesi che i sottoinsiemi {Ai } siano una
partizione dell’insieme A.
Osserviamo che, in generale, si possono avere più partizioni di uno stesso
insieme. Dato un insieme A, possiamo sempre avere la partizione costituita da
tutti i suoi sottoinsiemi che contengono un solo elemento, detti singoletti: {a},
con a ∈ A. è facile vedere che essi sono non vuoti, a due a due disgiunti, e la
loro unione è A. Chiameremo tale partizione banale.

Vogliamo richiamare gli insiemi numerici che ogni studente nel proprio corso
di studi ha incontrato. Il primo di questi è l’insieme N dei numeri naturali:
N = {0, 1, 2, 3, . . . } .
Il secondo insieme è l’insieme Z dei numeri interi o relativi:
Z = {0, ±1, ±2, ±3, . . . } .
Ricordiamo che il sottoinsieme di Z degli interi positivi viene identificato con
l’insieme dei numeri naturali. Il terzo insieme è l’insieme Q dei numeri razionali:
 
1 1 2 4
Q = ± ,± ,± ,± ,... .
2 3 3 1
Ricordiamo che il sottoinsieme di Q dei numeri razionali che si rappresentano
con frazioni apparenti (ossia, quelle con denominatore unitario, o equivalenti a
queste ultime) viene identificato con Z. Infine l’ultimo insieme numerico cono-
sciuto è l’insieme R dei numeri reali, di cui fanno parte i numeri razionali ed i
12

numeri irrazionali, cioè i numeri decimali che non sono periodici. Sono numeri
irrazionali ad esempio: √
2, π, e.
Abbiamo quindi le inclusioni di insiemi: N ⊂ Z ⊂ Q ⊂ R.

Infine, vediamo un’ operazione sugli insiemi che sarà utile per descrivere
argomenti fondamentali come le relazioni e le funzioni.
Prima di tutto ci soffermiamo sul concetto primitivo di coppia ordinata (a, b),
dove a e b sono due elementi di due insiemi A e B. è importante ricordare che
la coppia (a, b) e la coppia (b, a) NON sono coincidenti (ossia, importa anche
l’ordine con cui diamo gli elementi a e b). Attenzione: gli insiemi {a, b} e {b, a}
coincidono, ma (a, b) 6= (b, a).
Definizione 7. Dati due insiemi A e B (non necessariamente distinti), chiame-
remo prodotto cartesiano A × B l’insieme delle coppie ordinate (a, b) ottenibili
prendendo come primo elemento della coppia un elemento di A e come secondo
elemento un elemento di B:
A × B = {(a, b)| a ∈ A, b ∈ B} .
Osserviamo che A × B = ∅, se e solo se almeno uno dei due insiemi è vuoto.
Esempio 18. Siano A = {0, 1, 2} e B = {4, 5}, risulta:
A × B = {(0, 4), (0, 5), (1, 4), (1, 5), (2, 4), (2, 5)}.
Analogamente, potremmo definire il prodotto cartesiano fra più insiemi, esten-
dendo il concetto di coppia ordinata a quello di terna ordinata, e, in generale di
n−upla ordinata.
Nella definizione data, gli insiemi NON devono essere necessariamente distin-
ti. Sia A un insieme, indichiamo con A2 il prodotto cartesiano di A con se stesso:
A2 = A × A ; in generale, sarà An = A × A × · · · × A, prendendo l’insieme A
per n volte.
Ad esempio, possiamo considerare il prodotto cartesiano R2 , cioè l’insieme
delle coppie ordinate di numeri reali, ed in generale Rn , l’insieme delle n-uple
ordinate di numeri reali. Gli studenti hanno già incontrato R2 nel loro corso di
studi: fissato un sistema di riferimento cartesiano nel piano possiamo associare
ad ogni punto P una coppia ordinata (x, y) di numeri reali, le coordinate car-
tesiane del punto P . L’insieme Rn , con n ≥ 3 sarà il protagonista del corso di
Algebra Lineare.

3. Relazioni

Dati due insiemi A e B, spesso occorre considerare quali elementi di A sono


correlati ad elementi di B attraverso una relazione R . Formalizzando, abbiamo
la seguente:
13

Definizione 8. Dati due insiemi A e B una relazione R fra gli insiemi A e


B è un sottoinsieme del prodotto cartesiano A × B; in altre parole, possiamo
indentificare R con un elemento delle parti di A × B:
R ∈ P(A × B).
Se la coppia ordinata (a, b) ∈ R, allora diremo che la relazione R è verificata
per la coppia (a, b), oppure che a è in relazione con b e scriveremo: aRb.
Esempio 19. Consideriamo gli insiemi
A = {0, 1, 2, 3} B = {2, 3, 4}
e sia R la relazione seguente:
aRb ⇐⇒ a + b = 4.
Abbiamo:
R = {(0, 4), (1, 3), (2, 2)}.

Di particolare interesse risulta il caso delle relazioni in cui A e B coincidono.


In tale caso possiamo studiare tali relazioni in base alle proprietà che soddisfano.
Definizione 9. Siano A un insieme e R una relazione in A:
(1) R è detta riflessiva se per ogni elemento a ∈ A si ha: aRa;
(2) R è detta simmetrica se aRb implica bRa;
(3) R è detta transitiva se aRb e bRc implicano aRc;
(4) R è detta antisimmetrica se aRb e bRa implicano a = b.
Tra le relazioni in un insieme sono fondamentali quelle di equivalenza:
Definizione 10. Una relazione fra gli elementi di un insieme A viene detta di
equivalenza se valgono per essa le proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva.
L’uguaglianza fra numeri è un esempio banale di relazione di equivalenza.
In geometria euclidea, la relazione di equivalenza per antonomasia fra figure
piane è la relazione R “ha la stessa area di”: infatti, due figure che hanno la
stessa area si dicono equivalenti.
Nell’insieme delle rette di un piano consideriamo la relazione R di parallelismo
così definita: due rette sono parallele se coincidono oppure se la loro intersezione
è vuota. è facile verificare che R è una relazione di equivalenza.
Nell’ insieme delle rette del piano, la relazione R di perpendicolarità non è una
relazione di equivalenza.
Esempio 20. Consideriamo l’insieme dei numeri naturali N e la seguente rela-
zione R:
aRb ⇐⇒ a “ha lo stesso resto nella divisione per 5 di”b.
Osserviamo che dato a ∈ N eseguendo la divisione per 5 otteniamo quoziente q1
e resto r1 tali che:
a = 5q1 + r1 ,
14

dove r1 = 0 oppure r1 < 5. Analogamente per b abbiamo: b = 5q2 + r2 . La


relazione R è pertanto la seguente:
aRb ⇐⇒ r1 = r2 .
Verifichiamo che è una relazione di equivalenza. Occorre verificare che vale la
proprietà riflessiva, cioè per ogni numero a ∈ N risulta aRa. Questo è vero
perché r1 = r1 , per la proprietà riflessiva dell’uguaglianza in N.
Verifichiamo la proprietà simmetrica. Se aRb è vero che bRa? Per definizio-
ne aRb implica r1 = r2 , poiché l’uguaglianza di numeri gode della proprietà
simmetrica, allora r2 = r1 che implica bRa.
Infine verifichiamo la proprietà transitiva. Siano aRb e bRc, allora si ha:
a = 5q1 + r1 b = 5q2 + r2 c = 5q3 + r3 ,
se aRb allora r1 = r2 , se bRc allora si ha r2 = r3 , per la proprietà transitiva
dell’uguaglianza tra numeri si ha r1 = r3 e quindi possiamo concludere che
aRc.
La relazione data è una relazione di equivalenza detta congruenza modulo 5 e
scriveremo:
a ∼ b (mod 5).
Ad esempio, 5R0 perché dividendo sia 5 che 0 per 5 si ottiene come resto 0;
1R11, perché dividendo sia 1 che 11 per 5 si ottiene come resto 1.

Una volta che in un insieme viene introdotta una relazione di equivalenza R,


possiamo radunare in un sottoinsieme di A tutti gli elementi che sono equivalenti
ad uno scelto.
Definizione 11. Dato un insieme A ed una relazione di equivalenza R in esso,
scelto un elemento a ∈ A, l’insieme di tutti gli elementi di A che sono equivalenti
ad esso viene detto la sua classe di equivalenza modulo R:
[a]R := {x ∈ A| xRa } .
Lasciamo allo studente, come esercizio, la verifica delle seguenti proprietà:
Proprietà 7. Sia R una relazione di equivalenza in un insieme A:
(1) per ogni a ∈ A, la classe [a]R è non vuota;
(2) dati a, b ∈ A le due classi [a]R e [b]R hanno intersezione non vuota se e
solo se aRb e questo avviene se solo se [a]R = [b]R ;
(3) l’unione di tutte le possibili classi di equivalenza coincide con l’insieme
A: [
[a]R = A.
a∈A

In altre parole, tutto questo si esprime sinteticamente dicendo che le classi di


equivalenza formano una partizione di A.
Esempio 21. Consideriamo l’insieme dei numeri naturali N e la relazione di con-
gruenza modulo 5: a ∼ b ( modulo 5). Vogliamo trovare le classi di equivalenza.
Cominciamo a chiederci quali numeri sono nella classe di equivalenza di 0: essi
15

sono tutti i multipli di 5, che danno 0, appunto, come resto della divisione per
5:
[0]∼ = {0, 5, 10, 15, 20, 25, . . . } ;
continuando, ci rendiamo conto che nella classe di equivalenza di 1 stanno tutti
i primi successivi dei multipli di 5:
[1]∼ = {1, 6, 11, 16, 21, 26, . . . } ;
e così via con le classi di equivalenza di 2, 3, 4:
[2]∼ = {2, 7, 12, 17, 22, 27, . . . } ;
[3]∼ = {3, 8, 13, 18, 23, 28, . . . } ;
[4]∼ = {4, 9, 14, 19, 24, 29, . . . } ;
e abbiamo finito: poiché 0 ∼ 5 la classe [5]∼ coincide con [0]∼ , la classe [6]∼
coincide con [1]∼ , ecc. Abbiamo ottenuto una partizione di N in 5 classi di
equivalenza.
Definizione 12. Dato un insieme A ed una relazione di equivalenza in A,
l’insieme delle classi di equivalenza di A rispetto alla relazione R è detto insieme
quoziente e viene indicato con A/R.
Osserviamo che l’insieme quoziente A/R è un sottoinsieme dell’insieme delle
parti P(A).
Nell’ esempio precedente abbiamo che l’insieme quoziente contiene esatta-
mente 5 elementi.
Considerando nell’insieme delle rette del piano la relazione di parallelismo,
l’insieme quoziente è l’insieme delle direzioni delle rette.
Esempio 22. Costruzione dei numeri interi
Per costruire Z, si considera la seguente relazione di equivalenza R sull’insie-
me X = N × N:
(a, b)R(c, d) ⇔ a + d = b + c.
La definizione di R sembra artificiosa. In realtà dire a + d = b + c equivale a
dire a − b = c − d (per esempio, il numero −2 corrisponde alla classe di (0, 2)
che è anche la classe di (3, 5)).
Verifichiamo che R è una relazione di equivalenza nell’insieme X.
Le proprietà riflessiva e simmetrica seguono immediatamente dalla defini-
zione; per quanto riguarda la proprietà transitiva, si considerino tre coppie
(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ X e si supponga (a, b)R(c, d), (c, d)R(e, f ); ciò significa
a + d = b + c e c + f = e + d; segue allora (a + d) + (c + f ) = (b + c) + (e + d), e
quindi (a + f ) + (c + d) = (b + e) + (c + d). Per la legge di cancellazione in N,
segue (a + f ) = (b + e), cioè (a, b)R(e, f ).
Esempio 23. Numeri razionali Consideriamo l’insieme dei numeri relativi Z
ed il suo sottoinsieme Z∗ = Z\{0}. Nell’insieme Z×Z∗ consideriamo la seguente
relazione:
(a, b)R(c, d) ⇐⇒ ad = bc.
Verifichiamo che R è una relazione di equivalenza. Occorre verificare che è ri-
flessiva, cioè che (a, b)R(a, b). Questo segue dal fatto che ab = ba. Occorre
16

verificare che è simmetrica, cioè che se (a, b)R(c, d) allora (c, d)R(a, b). poiché
(a, b)R(c, d), si ha ad = bc, ma ad = da e bc = cb, per la proprietà transi-
tiva dell’uguaglianza di numeri relativi si ha allora cb = da, da cui segue che
(c, d)R(a, b).
Infine, verifichiamo che vale la proprietà transitiva. Siano (a, b)R(c, d) e (c, d)R(e, f ).
Si ha allora:
ad = bc cf = de.
Moltiplicando la prima uguaglianza per f 6= 0 e la seconda per b 6= 0 otteniamo:
adf = bcf bcf = bde,
per la proprietà transitiva dell’uguaglianza adf = bde. Essendo d 6= 0, l’ultima
uguaglianza diventa af = be, che implica (a, b)R(e, f ).
La relazione è pertanto di equivalenza. Data un elemento (a, b) ∈ Z × Z∗ ,
vogliamo determinare la sua classe di equivalenza:
[(a, b)]R = {(c, d) ∈ Z × Z∗ |ad = bc},
a
otteniamo l’insieme di tutte le frazioni equivalenti a b. L’insieme quoziente
Z × Z∗ /R è l’insieme dei numeri razionali Q.

Una seconda classe di relazioni che hanno un ruolo fondamentale sono le


seguenti:
Definizione 13.
(1) Una relazione R fra gli elementi di un insieme A viene detta d’ordine se
valgono per essa le proprietà riflessiva, antisimmetrica e transitiva;
(2) l’insieme A dotato di una relazione d’ordine R è detto ordinato secondo
R;
(3) due elementi a, b in un insieme ordinato A sono confrontabili se aRb
oppure bRa;
(4) A è detto parzialmente ordinato se esistono almeno due elementi in A
non confrontabili;
(5) A è detto totalmente ordinato se per ogni coppia a, b di elementi di A,
a e b sono confrontabili.
Ad esempio, consideriamo nell’insieme dei numeri naturali N la relazione:
aRb ⇐⇒ a ≤ b.
è immediato verificare che è una relazione d’ordine. In particolare è una rela-
zione d’ordine totale, infatti dati due numeri naturali a e b essi sono sempre
confrontabili: infatti o a ≤ b oppure b ≤ a.
Vediamo altri esempi di relazioni d’ordine.
Esempio 24. Consideriamo il sottoinsieme N∗ = N \ {0} di N e la relazione
seguente:
aRb ⇐⇒ a è un divisore di b.
Verifichiamo che R è una relazione d’ordine.
17

Occorre verificare che gode della proprietà riflessiva: è vero che aRa? Si, infatti
a = a.1, è un divisore di se stesso.
Verifichiamo che gode della proprietà antisimmetrica: se a è un divisore di b
e b è un divisore di a allora è vero che a = b? Si, infatti si ha: b = a.n e
a = b.m, moltiplicando otteniamo: ab = abnm, poiché ab 6= 0 risulta nm = 1
cioè n = m = 1.
Infine verifichiamo che gode della proprietà transitiva: se a è un divisore di b e b
è un divisore di c, allora è vero che a è un divisore di c? Si, infatti si ha: b = an
e c = bm, sostituendo nella seconda uguaglianza b = an abbiamo: c = anm,
cioè a è un divisore di c.
Osserviamo però che si tratta di una relazione d’ordine parziale. Infatti se
prendiamo 12 e 9 abbiamo che non sono confrontabili: 9 non è un divisore di 12
e 12 non è un divisore di 9.
Esempio 25. Consideriamo un insieme X e l’insieme P(X) delle parti di X.
Consideriamo la relazione R di inclusione nell’insieme P(X):
ARB ⇐⇒ A ⊆ B.
Verifichiamo che R è una relazione d’ordine.
Occorre verificare che gode della proprietà riflessiva: è vero che A ⊆ A? Si, ogni
insieme è sottoinsieme improprio di se stesso.
Verifichiamo che gode della proprietà antisimmetrica: se A ⊆ B e B ⊆ A allora
A = B? Certamente, la doppia inclusione ci garantisce che i due insiemi hanno
gli stessi elementi e quindi coincidono.
Infine, verifichiamo che gode della proprietà transitiva: se A ⊆ B e B ⊆ C è
vero che A ⊆ C ? Si, se ogni elemento di a appartiene a B, ed ogni elemento di
B appartiene a C, allora ogni elemento di A appartiene a C.
In generale, questa relazione non è d’ordine totale. Ad esempio, se X contiene
almeno due elementi a e b, allora gli insiemi A = {a} e B = {b} non sono
confrontabili: infatti A non è contenuto in B e B non è contenuto in A.

4. Funzioni
Il concetto di funzione o applicazione fra due insiemi è tra quelli chiave nella
matematica.
Definizione 14. Dati un insieme A, detto dominio ed un insieme B, detto
codominio, viene detta funzione (o applicazione) f fra i due insiemi una legge
che permette di associare ad ogni elemento a di A uno ed un solo elemento b di
B. In simboli, scriveremo
f: A → B
Fissato a ∈ A, l’elemento b che gli corrisponde verrà detto immagine di a secondo
la f , e per esprimere questo scriveremo b = f (a).

Nota bene: osserviamo che, dalla definizione data, segue che fissato x ∈ A,
l’immagine f (x) è unica: non possono corrispondere ad x due o più elementi
18

nel codominio B. Nulla vieta, però, che y ∈ B sia immagine di diversi elementi
in A.
Esempio 26. Vediamo alcuni esempi di funzione.
(1) Siano A = B = N. Consideriamo la funzione f che associa ad ogni
numero naturale n il suo quadrato: f (n) = n2 .
(2) Siano A = B = R. Consideriamo la funzione f che associa ad ogni
numero reale x il suo quadrato: f (x) = x2 .
Anche se la legge che permette di trovare l’immagine è la stessa di prima,
le due funzioni sono differenti, perché hanno domini differenti.
(3) Sia A = N l’insieme dei numeri naturali e sia B = Q l’insieme dei
numeri razionali. Consideriamo la funzione f che associa ad ogni numero
naturale n il numero razionale: f (n) = 12 n.
(4) Siano A = B = R. Consideriamo la funzione f che associa ad ogni
numero reale x il numero reale: f (x) = 21 x + 1.
(5) Siano A = Z × Z e B = Z. Consideriamo la funzione f : A → B che
associa ad ogni coppia ordinata di numeri interi relativi la loro somma:
f (a, b) = a + b.

Fissiamo le notazioni.
Definizione 15. Sia f : A → B una funzione.
(1) L’insieme di tutte le possibili immagini ottenibili tramite la f viene
chiamata immagine della funzione, in simboli:
Imf = {y ∈ B|∃x ∈ A|f (x) = y } = {f (x), x ∈ A} ;
(2) Fissato b ∈ B, l’insieme di tutti gli elementi di A che hanno per immagine
b viene chiamato controimmagine di b, in simboli:
f −1 (b) = {x ∈ A|f (x) = b} .

Osserviamo che l’immagine di f è l’insieme di tutti gli elementi del codominio


per i quali esiste almeno un elemento nel dominio che viene trasformato in essi.
Osserviamo che l’insieme f −1 (b) non è vuoto se e solo se b ∈ Imf .

Esempio 27. Lasciamo agli studenti la verifica dei seguenti fatti.


(1) Sia f : N → N, f (n) = n2 . L’insieme immagine Imf è un sottoinsieme
proprio di N, è l’insieme dei numeri naturali che sono quadrati perfetti.
Per ogni b ∈ Imf , esiste un unico numero n ∈ N tale che b = n2 , la
controimmagine di b contiene un solo elemento: f −1 (b) = {n}.
(2) Sia f : R → R, f (x) = x2 . L’insieme immagine Imf è il sottoinsieme
R+ ∪ {0} ⊂ R dei numeri reali y ≥ 0. Per ogni y ∈ R+ , si ha che la

controimmagine contiene due elementi: f −1 (y) = {± y}.
(3) Sia f : N → Q, f (n) = 12 n. L’insieme immagine Imf è il sottoinsieme
di Q dei numeri q ∈ Q tali che 2q ∈ N. è un sottoinsieme proprio di Q e
19

contiene N. Per ogni q ∈ Imf , si ha che la controimmagine contiene un


solo elemento: f −1 (q) = {2q}.
(4) Sia f : R → R, f (x) = 12 x + 1. L’insieme immagine Imf coincide con R.
Per ogni y ∈ R, si ha che la controimmagine contiene un solo elemento:
f −1 (y) = {2y − 2}.
(5) Sia f : Z × Z → Z, f (a, b) = a + b. L’insieme immagine Imf coincide
con Z. Per ogni z ∈ Z, si ha che la controimmagine contiene infiniti
elementi: f −1 (z) = {(a, b) ∈ Z × Z| a + b = z}.

Gli studenti che hanno studiato le funzioni reali di una variabile reale, hanno
visto che spesso vengono rappresentate graficamente nel piano cartesiano. Il
concetto di “grafico di una funzione” vale in generale:
Definizione 16. Sia f : A → B una funzione, il grafico Gf della funzione f è il
sottoinsieme del prodotto cartesiano A × B di tutte le coppie (a, f (a)) formate
al variare di a in A:
Gf = {(a, b) ∈ A × B| b = f (a), ∀ a ∈ A}

Nota bene: se vogliamo rappresentare una funzione f : A → B mediante un


diagramma di Eulero-Venn, come possiamo schematizzare il fatto che f manda
l’elemento a ∈ A in f (a) ∈ B? In simboli: a → f (a), possiamo pertanto traccia-
re una freccia curvilinea con punto iniziale il punto che rappresenta l’elemento
a e con punto finale il punto che rappresenta f (a).
Attenzione: per avere una funzione f ad ogni elemento del dominio corrisponde
uno ed un solo elemento nel codominio. In altre parole, nello schema del dia-
gramma di Eulero-Venn, da ogni elemento del dominio parte sempre una e una
sola freccia. Non è detto che ad ogni immagine corrisponda solo un elemento del
dominio. Quindi per un elemento del codominio possono esserci una, nessuna o
più frecce che vi arrivano.

Risulta utile classificare ulteriormente le funzioni in base al loro comporta-


mento; diamo quindi le seguenti definizioni.
Definizione 17. Sia f : A → B una funzione:
(1) f viene detta suriettiva se la sua immagine coincide con il codominio,
ossia: B = Imf . Ciò significa che preso un qualunque elemento y ∈ B,
questo è immagine di almeno un elemento x di A:
∀y ∈ B ∃ x ∈ A| y = f (x) .
(2) f viene detta iniettiva se porta elementi distinti in elementi distinti,
ossia
∀ x1 , x 2 ∈ A x 1 =
6 x2 =⇒ f (x1 ) 6= f (x2 ) .
(3) f viene detta biunivoca se è contemporaneamente suriettiva e iniettiva.

Nota bene: se rappresentiamo una funzione f : A → B con un diagramma


di Eulero-Venn abbiamo:
20

- f è suriettiva se e solo se tutti gli elementi del codominio B sono raggiunti da


almeno una freccia;
- f è iniettiva se e solo se tutti gli elementi del codominio B sono raggiunti al
più da una freccia;
- f è biunivoca se tutti gli elementi del codominio B sono raggiunti da una ed
una sola freccia.

Esempio 28. Riportiamo alcuni semplici esempi di funzioni f : R → R.


(1) Le funzioni f (x) = x, f (x) = 2x e f (x) = x3 sono iniettive.
Verifichiamo come esempio che f (x) = x3 è iniettiva. Siano x1 , x2 ∈ R
numeri reali, proviamo che:
f (x1 ) = f (x2 ) =⇒ x1 = x2 .
Infatti è ben noto che l’uguaglianza (x1 )3 = (x2 )3 implica che x1 = x2 ,
da cui ricaviamo l’iniettività di f .
(2) Le funzioni f (x) = x2 e f (x) = sin x non sono iniettive.
Verifichiamo che f (x) = x2 non è iniettiva. Basta provare l’esistenza di
due numeri reali x1 e x2 tali che:
x1 6= x2 e f (x1 ) = f (x2 ).
Osserviamo che se x1 e x2 sono due numeri reali non nulli opposti allora
si ha (x1 )2 = (x2 )2 , per cui possiamo concludere che f non è iniettiva.
(3) Le funzioni f (x) = 2x e f (x) = x3 sono suriettive.
Verifichiamo ad esempio che f (x) = x3 è suriettiva. Proviamo che:
∀y ∈ R ∃ x ∈ R |f (x) = y.
Osserviamo
√ che ∀y ∈ R l’equazione x3 = y ammette la soluzione
3
y = x, da cui ricaviamo che f è suriettiva.
(4) Le funzioni f (x) = x2 e f (x) = sin x non sono suriettive.
Verifichiamo che f (x) = x2 non è suriettiva. Basta provare l’esistenza
di un numero reale y ∈ R per cui l’equazione f (x) = y non ammetta
soluzioni reali. Osserviamo che se y < 0 l’equazione x2 = y non ammette
soluzioni reali, per cui possiamo concludere che f non è suriettiva.
(5) Le funzioni f (x) = 2x e f (x) = x3 sono pertanto biunivoche.

Vediamo ora una funzione che nasce in modo naturale ogni volta che in un
insieme abbiamo una relazione di equivalenza. Siano A un insieme e R una
relazione di equivalenza in A. Indichiamo con A/R l’insieme quoziente, cioè
l’insieme delle classi di equivalenza:
A/R = {[a]R |a ∈ A}.
Definizione 18. La funzione π : A → A/R che associa ad ogni elemento a ∈ A
la sua classe di equivalenza
π(a) = [a]R
è detta proiezione canonica di A sul quoziente.
21

Osserviamo che la proiezione canonica π : A → A/R sul quoziente è una


funzione suriettiva.

Nelle funzioni biunivoche ogni elemento del codominio ha la controimmagine


non vuota che contiene un solo elemento. In tal caso, possiamo “invertire” le
frecce e definire una funzione in cui dominio e codominio si scambiano i ruoli.
Definizione 19. Sia f : A → B una funzione biunivoca, la funzione inversa
f −1 : B → A è la funzione che associa all’elemento y ∈ B l’unico elemento
x ∈ A tale che f (x) = y. In simboli:
f −1 (y) = x ⇐⇒ f (x) = y.
Esempio 29. Consideriamo la funzione f : R → R data da f (x) = 2x. Abbiamo
verificato prima che è iniettiva e suriettiva, pertanto è biunivoca. Vogliamo
determinare la sua funzione inversa. Ricordiamo che f −1 : R → R è così definita:
f −1 (y) = x ⇐⇒ f (x) = y ⇐⇒ 2x = y.
Ricaviamo quindi che x = 21 y, la funzione inversa è la seguente:
1
f −1 (y) = y.
2

Per finire, ricordiamo come è possibile definire nuove funzioni per composi-
zione:
Definizione 20. Siano f : X → Y e g : Y → Z due funzioni, chiamiamo fun-
zione composta la funzione che ha come dominio X, come codominio Z, tale che
che l’immagine di ogni elemento x ∈ X sia l’immagine secondo g dell’immagine
di x secondo f , in simboli:
g ◦ f : X → Z, x 7→ g (f (x)) .

Osserviamo che in generale non è detto le due composizioni g ◦ f e f ◦ g


siano possibili. In ogni caso, anche se entrambe fossero possibili, l’ordine di
composizione è essenziale: in generale risulta f ◦ g 6= g ◦ f .

Esempio 30. Consideriamo le seguenti funzioni:


f : R → R, f (x) = x2 ,
y
g : R → R, g(y) = .
2
Calcoliamo la composizione g ◦ f :
x2
x → x2 → ,
2
x2
pertanto g ◦ f (x) = 2 .
22

Calcoliamo la composizione f ◦ g:
x  x 2 x2
x→ → = ,
2 2 4
2
pertanto f ◦ g(x) = x4 . Abbiamo pertanto che g ◦ f 6= f ◦ g.
Consideriamo ora le seguenti funzioni:
f : R → R, f (x) = −|x| ,
+ √
g : R → R, g(y) = y .
Osserviamo che possiamo eseguire la composizione f ◦ g:
√ √ √
x → x → −| x| = − x,
ma la composizione g ◦ f non si può eseguire (la g è definita sui numeri positivi,
mentre le immagini della f sono i numeri negativi o nulli).

Infine, abbiamo la seguente relazione tra una funzione biunivoca e la sua


inversa:
Proprietà 8. Sia f : A → B una funzione biunivoca e sia f −1 : B → A la sua
inversa. Allora valgono le seguenti relazioni:
f −1 ◦ f = idA f ◦ f −1 = idB ,
dove idX : X → X è la funzione identità sull’insieme X tale che idX (x) = x.

5. Insiemi numerici e operazioni interne.

In ciascuno degli insiemi numerici visti precedentemente sono definite alcune


operazioni interne.
Definizione 21. Sia A un insieme, chiamiamo operazione interna una funzione
f: A×A→A
che associa ad ogni coppia ordinata a, b di elementi di A un elemento di A
stesso; normalmente, l’operazione viene indicata da un simbolo interposto fra i
due termini a e b, ad esempio:
(a, b) 7→ a ? b .
In altre parole, un’operazione su un insieme A è detta interna se può essere
sempre eseguita per ogni coppia di elementi di A ed il risultato è un elemento
che appartiene allo stesso insieme.
Esempio 31. Vediamo come esempio le due operazioni interne “per eccellenza”.
L’operazione di addizione fra numeri naturali è un’operazione interna:
+ : N × N → N,
(n1 , n2 ) 7→ n1 + n2 n1 , n2 ∈ N .
23

L’operazione di moltiplicazione fra numeri naturali è un’operazione interna:


· : N × N → N,
(n1 , n2 ) 7→ n1 · n2 n1 , n2 ∈ N .
Il risultato delle operazioni di addizione e moltiplicazione fra n1 , n2 viene
detto, rispettivamente somma e prodotto dei numeri. Talvolta, per indicare le
proprietà delle operazioni, ci si riferisce ai risultati (es.: proprietà “della somma”
anzichè “dell’addizione”), con un piccolo abuso di terminologia.
L’idea di “ingrandire” un certo insieme numerico nasce proprio dall’esigenza
di poter introdurre nuove operazioni interne, altrimenti non eseguibili sempre:
Per poter definire come operazione interna la sottrazione, vengono creati i nu-
meri interi relativi), di cui i numeri naturali sono un sottoinsieme (quello dei
numeri positivi o nulli): N ⊂ Z.
Per poter sempre eseguire le divisioni (tranne che per 0), vengono creati i nu-
meri razionali, che sono le frazioni (con denominatore non nullo) fra numeri
interi (anzi, meglio, le classi di equivalenza delle frazioni). Anche qui abbiamo
l’inclusione Z ⊂ Q.
Per poter sempre estrarre la radice quadrata di numeri positivi nell’insieme
in cui si opera, si introducono i numeri reali un sottoinsieme dei quali è in
corrispondenza biunivoca con i numeri razionali, e, pertanto, si identifica con Q
stesso: Q ⊂ R.
Ogni volta che un insieme numerico viene “allargato”, si definiscono nel nuovo
insieme le operazioni interne di addizione e moltiplicazione, in modo che i ri-
sultati delle operazioni ristrette ad un sottoinsieme “precedente” coincidano con
quelli ottenuti con la definizione “precedente”.
Proprietà 9. Ricordiamo alcune proprietà di addizione e moltiplicazione.
(1) Proprietà commutativa dell’addizione:
∀a, b a + b = b + a,
è verificata in tutti gli insiemi N, Z, Q R.
(2) Proprietà associativa dell’addizione:
∀a, b, c (a + b) + c = a + (b + c),
è verificata in tutti gli insiemi N, Z, Q e R.
(3) Esistenza dell’elemento neutro per la somma:
∃ a0 | ∀a a + a0 = a0 + a = a,
tale elemento è il numero 0 e la proprietà è verificata in tutti gli insiemi
N, Z, Q e R.
(4) Esistenza dell’elemento opposto per la somma:
∀a, ∃ a0 | a + a0 = a0 + a = 0,
a0 = −a è l’opposto di a e tale proprietà è verificata in Z, Q e R (ma
non in N).
(5) Proprietà commutativa della moltiplicazione:
∀a, b a · b = b · a,
è verificata in tutti gli insiemi N, Z, Q e R.
24

(6) Proprietà associativa della moltiplicazione:


∀a, b, c (a · b) · c = a · (b · c),
è verificata in tutti gli insiemi N, Z, Q e R.
(7) Esistenza dell’elemento neutro per il prodotto:
∃ u | ∀a a · u = u · a = a,
tale elemento è il numero 1 e la proprietà è verificata in tutti gli insiemi
N, Z, Q e R.
(8) Esistenza dell’elemento inverso per il prodotto:
∀a 6= 0 ∃ a00 | a · a00 = a00 · a = 1,
a00 = a−1 è l’inverso di a e tale proprietà è verificata in Q e R, privati
dello 0 (ma non in N o Z).
(9) Proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
∀a, b, c (a + b) · c = a · c + b · c, c · (a + b) = c · a + c · b,
è verificata in tutti gli insiemi N, Z, Q e R.
Per risolvere il problema dell’estrazione di radici quadrate di numeri negativi,
vengono creati i numeri complessi C.

6. Strutture algebriche.
Quando in un insieme A è definita una operazioen interna diremo che l’insieme
possiede una struttura algebrica:
Definizione 22. Chiamiamo struttura algebrica un insieme A non vuoto dotato
di una o più operazioni interne.

Sono esempi di strutture algebriche: (N, +), (Z, +), (N, .), (N, +, .).

Uno dei compiti della matematica è quello di classificare le strutture algebri-


che in base alle proprietà di cui godono le operazioni interne. Limitiamoci per
ora al caso di un insieme dotato di una sola operazione interna. Un concetto di
notevole importante nell’algebra astratta è il seguente:
Definizione 23. Una struttura algebrica (G, ?) è detta gruppo se l’operazione
interna ? gode delle seguenti proprietà:
(1) Proprietà associativa:
(g1 ? g2 ) ? g3 = g1 ? (g2 ? g3 ) ∀ g1 , g2 , g3 ∈ G.
(2) Esistenza dell’elemento neutro:
∃ u ∈ G| g ? u = u ? g = g ∀ g ∈ G.
(3) Esistenza dell’elemento inverso (o opposto):
∀ g ∈ G, ∃ g −1 ∈ G| g ? g −1 = g −1 ? g = u.
25

Inoltre, il gruppo viene detto abeliano o commutativo se vale anche la seguente


proprietà:
(4) Proprietà commutativa:
g1 ? g2 = g2 ? g1 ∀ g1 , g2 ∈ G.
Esempio 32.
(1) La struttura algebrica (N, +) non è un gruppo: manca in generale l’op-
posto di un numero naturale. Invece la struttura algebrica (Z, +) è un
gruppo, in particolare un gruppo abeliano. Anche le strutture (Q, +) e
(R, +) sono gruppi abeliani.
(2) Sia P ⊂ Z l’insieme dei numeri interi pari, cioè
P = {h ∈ Z| h = 2k, k ∈ Z}.
Si verifica che (P, +) è un gruppo abeliano. Sia D ⊂ Z l’insieme dei
numeri dispari, (D, +) è una struttura algebrica?
(3) La struttura algebrica (N, ·) non è un gruppo, manca in generale l’inverso
di un numero naturale. poiché anche in Z manca l’inverso di un numero
intero, anche (Z, ·) non è un gruppo.
(4) Sia Q∗ = Q \ {0}. Si verifica facilmente che (Q∗ , ·) è un gruppo abeliano.
Anche (R∗ , ·) è un gruppo abeliano, dove R∗ = R \ {0}.
Cerchiamo ora di capire come “combinare” due operazioni interne in una
struttura algebrica.
Definizione 24. Chiamiamo anello una struttura algebrica (A, +, ·) dotata di
due operazioni interne di addizione e moltiplicazione, tale che (A, +) è un gruppo
abeliano e valgono le seguenti proprietà:
(1) Proprietà associativa della moltiplicazione:
(a · b) · c = a · (b · c) ∀ a, b, c ∈ A.
(2) Proprietà distributiva della somma rispetto al prodotto:
a · (b + c) = (a · b) + (a · c) ∀ a, b, c ∈ A.
L’anello è detto commutativo se vale la proprietà commutativa del prodotto:
a · b = b · a.
L’anello è detto unitario se esiste l’elemento neutro per il prodotto:
∃ u (6= 0)| u · a = a · u = a ∀ a ∈ A;
dove 0 è l’elemento neutro di +, che esiste, visto che (A, +) è un gruppo.
Infine, l’anello è detto integro se non esistono divisori dello 0, ossia se vale la
Legge di annullamento del prodotto:
a · b = 0 =⇒ a = 0 ∨ b = 0 .
Esempio 33. Le strutture (Z, +, ·), (Q, +, ·), (R, +, ·), con le ordinarie ope-
razioni di addizione e moltiplicazione sono esempi di anello integro unitario
commutativo (l’elemento neutro della moltiplicazione è il numero 1).
Consideriamo l’insieme P ⊂ Z dei numeri pari. Verificare che (P, +, ·) è un
anello commutativo, si tratta però di un anello non unitario.
26

Ad un anello “manca poco” per essere una struttura algebrica molto impor-
tante, perché sarà quella che servirà in molti contesti del nostro corso:
Definizione 25. Un anello commutativo unitario (K, +, ·) viene detto campo se
ogni elemento di K, escluso lo 0 (elemento neutro dell’addizione) ha l’elemento
inverso per l’operazione di moltiplicazione.
Proposizione 10. Sia K un insieme non vuoto dotato di due operazioni interne
di addizione (+) e moltiplicazione (·), (K, +, ·) è un campo se valgono le seguenti
proprietà:
(1) proprietà Commutativa dell’addizione:
a+b=b+a ∀ a, b ∈ K.
(2) proprietà Associativa dell’addizione:
(a + b) + c = a + (b + c) ∀ a, b, c ∈ K.
(3) Esistenza dell’elemento neutro per l’addizione:
∃ 0 ∈ K| a + 0 = 0 + a = a ∀ a ∈ K.
(4) Esistenza dell’opposto per l’addizione:
∀ a ∈ K, ∃ b ∈ K| a + b = 0.
(5) proprietà Commutativa della moltiplicazione:
a·b=b·a ∀ a, b ∈ K.
(6) proprietà Associativa della moltiplicazione:
(a · b) · c = a · (b · c) ∀ a, b, c ∈ K.
(7) Esistenza dell’elemento neutro per la moltiplicazione:
∃ 1 6= 0 ∈ K| a · 1 = 1 · a = a ∀ a ∈ K.
(8) Esistenza dell’inverso per la moltiplicazione:
∀ a 6= 0 ∈ K, ∃ b ∈ K| a · b = 1.
(9) Proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
a · (b + c) = (a · b) + (a · c) ∀a, b, c ∈ K.
Esempio 34. Sono campi: (Q, +, ·) e (R, +, ·). Invece, (Z, +, ·) non è un campo:
non sempre c’è l’inverso di un numero intero all’interno dell’insieme dei numeri
interi (anzi, in Z esiste solo per i numeri ±1).

7. Anello dei polinomi.

Un capitolo fondamentale dell’Algebra è lo studio dei polinomi e delle equazio-


ni algebriche. Ricordiamo innanzittutto la definizione di polinomio a coefficienti
reali in una indeterminata x:
27

Definizione 26. Un polinomio p(x) a coefficienti reali in x è un’espressione


algebrica costituita da una somma finita di monomi che contengono solo potenze
(con esponenente ≥ 0) di x, cioè
p(x) = a0 + a1 x + a2 x2 + · · · + an xn , ai ∈ R, i = 0, . . . , n .
Il grado di p(x) viene indicato con deg p(x) ed è il massimo esponente con cui
compare l’indeterminata x, equivalentemente:
deg p(x) := max{i| ai 6= 0 }.
Esempio 35. Sono esempi di polinomi in x:
p1 (x) = 3 − 4x3 + 2x4 , p2 (x) = 6x − 2, p3 (x) = 6;
per i quali abbiamo:
deg p1 (x) = 4 deg p2 (x) = 1 deg p3 (x) = 0.
Nota bene: Il polinomio di grado 0 con il coefficiente a0 = 0:
p(x) = 0
viene detto polinomio identicamente nullo.
Introduciamo una forma compatta per scrivere un polinomio generico.
Definizione 27. Chiamiamo sommatoria una somma di termini che dipendono
da un numero naturale i (detto indice di sommatoria) che può assumere tutti i
valori a partire da un numero iniziale i0 fino ad un numero finale in (detti estremi
di sommatoria). Usiamo per questo un simbolo formato da una lettera greca Σ,
con indicazione in calce dell’indice e dell’estremo inferiore di sommatoria, ed in
testa dell’estremo superiore di sommatoria.
Ad esempio:
7
X
ci = c1 + c2 + c3 + c4 + c5 + c6 + c7 .
i=i
Usando il simbolo di sommatoria, un polinomio generico di grado n nella
variabile x si potrà scrivere come
n
X
p(x) = ai xi ,
i=0
dove per convenzione poniano x0
= 1.
Al variare dei coefficienti in R i polinomi formano un insieme che possiamo
dotare di una struttura algebrica.
Definizione 28. Indichiamo con R[x] l’insieme di tutti i polinomi a coefficienti
reali in x. Nell’insieme R[x] sono definite due operazioni interne.
(1) La prima operazione è la somma di polinomi: la somma di due polinomi
p(x) e q(x) è il polinomio p(x) + q(x) che si ottiene sommando i monomi
simili tra loro;
(2) la seconda operazione è il prodotto di polinomi: il prodotto di due po-
linomi p(x) e q(x) è il polinomio p(x).q(x) che si ottiene moltiplicando
ciascun monomio di p(x) per ciascun monomio di q(x) e sommando poi
tutti i prodotti ottenuti.
28

Esempio 36. Siano p(x) = 1 − 2x + 4x3 e q(x) = 2 + x − x2 + x3 − 6x4 , abbiamo:


p(x) + q(x) = (1 + 2) + (−2 + 1)x + (0 − 1)x2 + (4 + 1)x3 + (0 − 6)x4 =
= 3 − x − x2 + 5x3 − 6x4 .
Osserviamo che deg p(x) = 3 e deg q(x) = 4, otteniamo che deg(p(x)+q(x)) = 4.
In generale, se p(x), q(x) ∈ R[x] con deg p(x) 6= deg q(x), allora si ha:
deg(p(x) + q(x)) = max(deg p(x), deg q(x));
se invece deg p(x) = deg q(x) = d, può succedere che risulti deg(p(x)+q(x)) < d.
Ad esempio, se p(x) = 1 − x + x3 e q(x) = 8 − x3 , abbiamo
p(x) + q(x) = 9 − x, quindi deg(p(x) + q(x)) = 1 < 3.
Esempio 37. Se p(x) = 2 − x + x2 e q(x) = 1 + 2x, abbiamo:
p(x).q(x) = (2 − x + x2 ) · (1 + 2x) =
= 2.1 + 2.2x + (−x) · (1) + (−x).2x + x2 .1 + x2 .2x =
= 2 + 4x − x − 2x2 + x2 + 2x3 = 2 + 3x − x2 + 2x3 .
Osserviamo che deg p(x) = 2 e deg q(x) = 1, e risulta deg(p(x).q(x)) = 3. In
generale, se p(x) e q(x) sono due polinomi non identicamente nulli, il grado del
polinomio prodotto soddisfa la relazione
deg(p(x).q(x)) = deg p(x) + deg q(x) ,
è cioè la somma dei gradi dei fattori.
Proprietà 11. Le operazioni introdotte in R[x] soddisfano le seguenti proprietà:
(1) Proprietà commutativa dell’addizione:
∀p(x), q(x) ∈ R[x] p(x) + q(x) = q(x) + p(x).
(2) Proprietà associativa dell’addizione:
∀p(x), q(x), r(x) ∈ R[x] (p(x) + q(x)) + r(x) = p(x) + (q(x) + r(x)).
(3) Esistenza dell’elemento neutro per la somma:
∀p(x) ∈ R[x] p(x) + 0 = 0 + p(x) = p(x) ,
dove 0 è il polinomio identicamente nullo.
(4) Esistenza dell’elemento opposto per la somma:
∀p(x) ∈ R[x] p(x) + (−p(x)) = (−p(x)) + p(x) = 0,
−p(x) è il polinomio opposto di p(x) che si ottiene semplicemente cam-
biando segno a tutti i coefficienti di p(x).
(5) Proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto alla somma:
∀p(x), q(x), r(x) ∈ R[x]
(p(x) + q(x)) · r(x) = p(x) · r(x) + q(x).r(x),
r(x) · (p(x) + q(x)) = r(x) · p(x) + r(x) · q(x).
(6) Proprietà commutativa della moltiplicazione:
∀p(x), q(x) ∈ R[x] p(x) · q(x) = q(x) · p(x).
29

(7) Proprietà associativa della moltiplicazione:


∀p(x), q(x), r(x) ∈ R[x] (p(x) · q(x)) · r(x) = p(x) · (q(x) · r(x)).
(8) Esistenza dell’elemento neutro per il prodotto:
∀p(x) ∈ R[x] p(x) · 1 = 1 · p(x) = p(x),
tale elemento è il polinomio di grado 0 che coincide col numero 1.
Le proprietà precedenti ci permettono di concludere che (R[x], +, ·) è un anello
commutativo unitario, che chiameremo anello dei polinomi a coefficienti reali
nell’indeterminata x.
Osserviamo anche che R[x] non è un campo, infatti un polinomio p(x) di
grado d > 0, non ammette inverso in R[x]. Gli unici polinomi che ammettono
inverso sono i polinomi di grado 0, diversi da 0: p(x) = a0 , con a0 6= 0.
Definizione 29. Sia n ≥ 1, indichiamo con Rn [x] il sottoinsieme di R[x]
costituito dai polinomi a coefficienti reali di grado minore o uguale a n.
Osserviamo che se n ≥ 1, l’operazione di addizione fra polinomi è interna in
Rn [x], mentre l’operazione di moltiplicazione tra polinomi non è interna. Ad
esempio, sia p(x) = xn ∈ Rn [x], q(x) = x ∈ Rn [x]: allora p(x).q(x) = xn+1 ∈ /
Rn [x].
La proprietà seguente dell’anello dei polinomi R[x] è la generalizzazione di
un’analoga ben nota proprietà dei numeri interi.
Proprietà 12. Dati due polinomi a(x) ( dividendo) e b(x) ( divisore) in R[x],
con b(x) non identicamente nullo, esistono e sono univocamente determinati due
polinomi (q(x), r(x)) appartenenti a R[x] tali che
a(x) = b(x) · q(x) + r(x),
inoltre deg r(x) < deg b(x) oppure r(x) è il polinomio nullo.
Il polinomio q(x) è detto quoziente e il polinomio r(x) è detto resto; se r(x) è il
polinomio nullo, allora a(x) = b(x).q(x), diciamo che b(x) è un fattore di a(x),
o, equivalentemente, che a(x) è divisibile per b(x).
La divisione si esegue ordinando secondo le potenze decrescenti i polinomi
dividendo e divisore, e procedendo con il classico algoritmo di divisione studiato
nelle scuole superiori, che richiamiamo di seguito con un esempio.
Esempio 38. Siano
a(x) = 1 − 2x + 9x4 − 3x3 , b(x) = −1 + 3x2 .
Per eseguire la divisione occorre seguire i seguenti passi.
(1) I due polinomi vengono ordinati secondo le potenze decrescenti della va-
riabile, e vengono scritti sulla stessa riga, separati da una barra verticale,
con a(x) a sinistra; i monomi di a(x) vengono leggermente spaziati, e
se manca un termine nell’ordine, scriviamo esplicitamente uno 0 al suo
posto:
9x4 −3x3 0 −2x 1 3x2 −1
30

(2) Sotto b(x) viene tracciata una linea di separazione, per scrivere il polimo-
nio q(x) quoziente risultante. Il termine che scriviamo è quello ottenuto
dividendo il primo termine a sinistra per il primo termine a destra in
alto:
9x4 −3x3 0 −2x 1 3x2 −1
3x2
(3) Moltiplichiamo il termine appena scritto nel quoziente per il divisore, e
riportiamo i risultati cambiati di segno sotto il dividendo, incolonnando
i termini di ugual grado.
9x4 −3x3 +0 −2x +1 3x2 −1
−9x4 +3x2 3x2
(4) Tracciando sotto questi termini una riga, sommiamo le due righe ed
incolonniamo corrispondentemente i risultati sotto la riga: otteniamo il
resto parziale. Omettiamo tutti gli 0 a sinistra del primo monomio non
identicamente nullo:
9x4 −3x3 +0 −2x +1 3x2 −1
−9x4 +3x2 3x2
−3x3 +3x2 −2x +1
(5) A questo punto, se il resto parziale sotto la riga a sinistra è di grado
inferiore al dividendo, il procedimento è terminato, ed il resto parziale
è il resto della divisione; altrimenti, trattiamo questo polinomio come il
nuovo dividendo, e ritorniamo al passo 2, seguendo gli altri passaggi in
sequenza. Nel nostro caso:
9x4 −3x3 +0 −2x +1 3x2 −1
−9x4 +3x2 3x2 −x
−3x3 +3x2 −2x +1
e poi, eseguendo il passo 3:
9x4 −3x3 +0 −2x +1 3x2 −1
−9x4 +3x2 3x2 −x
−3x3 +3x2 −2x +1
+3x2 −x
infine, il passo 4:
9x4 −3x3 +0 −2x +1 3x2 −1
−9x4 +3x2 3x2 −x
−3x3 +3x2 −2x +1
+3x2 −x
+3x2 −3x +1
e così via.
Terminato il procedimento abbiamo:
31

• sotto il dividendo, a destra, separato da una riga, il quoziente q(x);


• in fondo ai calcoli di sinistra, il resto r(x) (eventualmente nullo):
9x4 −3x3 +0 −2x +1 3x2 −1
−9x4 +3x2 3x2 −x +1 ← q(x)
−3x3 +3x2 −2x +1
+3x2 −x
+3x2 −3x +1
−3x2 +1
r(x) → −3x +2

Introduciamo un po’ di terminologia che sarà utile per molti argomenti che
affronteremo nel nostro corso.
Definizione 30. Sia p(x) ∈ R[x] un polinomio di grado n > 0:
p(x) = a0 + a1 x + a2 x2 + ... + an xn .
L’equazione che si ottiene uguagliando a zero il polinomio
a0 + a1 x + a2 x2 + ... + an xn = 0;
viene chiamata equazione algebrica nell’incognita x di grado n.
Definizione 31. Sia p(x) ∈ R[x] un polinomio di grado n > 0: diremo che
α ∈ R è una radice di p(x) se sostituendo α al posto di x nel polinomio p(x) si
ottiene 0. Se p(x) = a0 + a1 x + a2 x2 + ... + an xn , α ∈ R è una radice di p(x) se
p(α) = a0 + a1 α + a2 (α)2 + · · · + an (α)n = 0.
Equivalentemente, α è una radice del polinomo p(x) se e solo se è una soluzio-
ne dell’equazione algebrica p(x) = 0. Trovare le radici di un polinomio equivale,
quindi, a risolvere un’equazione algebrica in x di grado n.
Ricordiamo la proprietà fondamentale che lega le radici di un polinomio con
la sua divisibilità per binomi di primo grado:
Proprietà 13. (Teorema di Ruffini) Sia p(x) ∈ R[x], un polinomio di grado
n > 0: α ∈ R è una radice di p(x) se e solo se p(x) è divisibile per il polinomio
(x − α).
Dimostrazione. Infatti, applicando l’algoritmo della divisione ai polinomi p(x)
e (x − α), otteniamo due polinomi q(x) e r(x) tali che:
p(x) = (x − α)q(x) + r(x),
con deg(r(x)) = 0 (dovendo essere il grado del resto inferiore al grado del
dividendo), cioè r(x) = r ∈ R.
Sostituendo α al posto di x in entrambi i membri dell’uguaglianza scritta
otteniamo:
p(α) = 0.q(α) + r = r .
Ora, se il p(x) è divisibile per x − α, il resto della divisione deve essere r = 0,
e quindi p(α) = 0, ossia α è radice di p(x). Viceversa, se α è radice di p(x),
p(α) = 0, quindi r = 0, cioè p(x) è divisibile per il polinomio (x − α). 
32

Ricordiamo inoltre la nozione di molteplicità algebrica.


Definizione 32. Sia p(x) ∈ R[x] un polinomio di grado n > 0 e sia α ∈ R una
radice di p(x): α è una radice di molteplicità algebrica µ ≥ 1 se e solo se p(x)
è divisibile per il polinomio (x − α)µ e p(x) non è divisibile per il polinomio
(x − α)µ+1 , ossia, se
p(x) = (x − α)µ q(x) , con q(α) 6= 0 .
Se µ = 1 allora diremo che α è una radice semplice.
Le radici reali di un polinomio p(x) ∈ R[x] di grado n > 0 si ottengono quindi
determinando tutti i i fattori di primo grado in x, ossia i cosiddetti fattori lineari
reali di p(x).
Sia n = 1, allora p(x) = a0 + a1 x, con a1 6= 0. Il polinomio ha un’unica radice
che si ottiene risolvendo l’equazione di primo grado
a0 + a1 x = 0 ⇔ x = −a0 · a1 −1 .

Sia n = 2, allora p(x) = a0 + a1 x + a2 x2 , con a2 6= 0. Ricordiamo che


l’equazione di secondo grado
a0 + a1 x + a2 x2 = 0,
ammette soluzioni reali se e solo il suo discriminante risulta positivo:
∆ = a21 − 4a0 a2 ≥ 0.
In tal caso, le due soluzioni reali dell’equazione α1 e α2 sono le radici del
polinomio e p(x) può essere scritto nel seguente modo:
p(x) = a2 (x − α1 )(x − α2 ).
Nel caso in cui ∆ = 0, le radici coincidono, α1 = α2 , e la scrittura precedente
diventa:
p(x) = a2 (x − α1 )2 .
Se invece risulta ∆ = a21 − 4a0 a2 < 0 l’equazione non ammette soluzioni reali,
di conseguenza il polinomio p(x) non ha radici reali, p(x) non ammette fattori
lineari reali: p(x) è detto un polinomio irriducibile in R di grado 2.
Sia ora n ≥ 2, allora proviamo che p(x) ha al massimo n fattori lineari reali.
Infatti, sia α1 ∈ R una radice di p(x) allora
p(x) = (x − α1 )q1 (x),
dove q1 (x) è un polinomio di grado n − 1. Osserviamo ora che se α2 ∈ R è una
radice di q1 (x), allora (x − α2 ) è un fattore di q1 (x), quindi otteniamo:
p(x) = (x − α1 )(x − α2 ) · q2 (x),
dove q2 (x) è un polinomio di grado n−2. Il procedimento ha termine se troviamo
un quoziente qi (x) che non ha radici reali, i ≤ n − 1, oppure dopo n passi e
l’ultimo quoziente qn (x) = an ha grado zero.
Le considerazioni appena fatte ci portano a caratterizzare quei polinomi per
i quali la fattorizzazione è “totale”.
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Definizione 33. Un polinomio p(x) ∈ R[x] di grado n ≥ 2 è detto totalmente


decomponibile in R se è prodotto di n fattori lineari reali, non necessariamente
distinti,
p(x) = an (x − α1 )(x − α2 ) . . . (x − αn ), αi ∈ R, i = 1, . . . , n .
Esempio 39.
(1) Il polinomio p(x) = x2 + 1 non ammette radici reali, quindi è un
polinomio di grado 2 irriducibile in R.
(2) Il polinomio p(x) = −4x2 + 8x − 4 ammette la radice x = 1 con
molteplicità algebrica µ = 2 e può essere scritto nel seguente modo:
p(x) = −4(x − 1)2 ,
risulta quindi totalmente decomponibile in R.
(3) Il polinomio p(x) = x3 + x − x2 − 1 può essere scritto come prodotto di
due fattori:
p(x) = (x2 + 1) · (x − 1),
le radici di tale polinomio si ottengono quindi determinando le radici di
ciascun fattore. Osserviamo che il polinomio x2 + 1 è irriducibile in R,
quindi non ha radici reali. Il polinomo x − 1 è lineare ed ha un’unica
radice reale:
x − 1 = 0 ⇐⇒ x = 1.
Il polinomio p(x) ha quindi un’unica radice semplice x = 1.

Analogamente a quanto avviene nell’anello dei numeri interi per la scompo-


sizione di un numero in fattori primi, esiste un teorema che garantisce l’unicità
della scomposizione di un polinomio in fattori. Tale risultato è un teorema fon-
damentale per l’Algebra, e vale più in generale per polinomi a cofficienti nel
campo complesso:
Teorema 14. (Teorema Fondamentale dell’Algebra) Sia p(x) ∈ C[x] un poli-
nomio di grado n ≥ 1; p(x) è totalmente decomponibile in fattori lineari (non
necessariamente distinti) in C:
p(x) = an (x − α1 )(x − α2 ) . . . (x − αn ), αi ∈ C, i = 1, . . . , n;
tale decomposizione è unica a meno dell’ordine dei fattori.
Come conseguenza del Teorema Fondamentale dell’Algebra, ogni equazione
algebrica a coefficienti complessi in x di grado n ammette n soluzioni (non ne-
cessariamente distinte) in C; questa proprietà si esprime sinteticamente dicendo
che il campo C è algebricamente chiuso.
Nel caso di polinomi a coefficienti reali vale un risultato molto più debole:
Teorema 15. Sia p(x) ∈ R[x] un polinomio di grado n ≥ 1, p(x) si decompone
in R nel prodotto di fattori di grado ≤ 2:
p(x) = an p1 (x) · p2 (x) · · · · · pk (x), k ≤ n, deg pi (x) ≤ 2, ∀i = 1, . . . , k,
con fattori pi (x) tali che, se deg(pi (x)) = 2, allora pi (x) è irriducible. Tale
decomposizione è unica a meno dell’ordine dei fattori.
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Esempio 40. Se consideriamo il polinomio


p(x) = x3 − 1
si può scomporre come
p(x) = (x − 1)(x2 + x + 1) = p1 (x) p2 (x)
ed il polinomio p2 (x) = (x2 + x + 1) è irriducibile (non ha radici reali: il
discriminante dell’equazione per le radici è ∆ = 1 − 4 = −3 < 0).
Esiste però un corollario molto utile del Teorema Fondamentale: per un po-
linomio reale di grado dispari possiamo garantire l’esistenza di una radice reale
di un polinomio.
Corollario 16. Sia p(x) ∈ R[x] un polinomio di grado n ≥ 1, con n dispari.
Allora p(x) ammette almeno una radice reale.

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