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di laboratorio
L
a conoscenza di alcune tecniche fondamenta- Poiché ogni tecnica prevede l’uso di un apposito
li di laboratorio è indispensabile per mettere strumento, avremo cura volta per volta di spiegar-
a punto esperimenti di qualunque natura. ne il funzionamento.
1 Riscaldamento
Come fonte di calore in laboratorio si può usare la fiamma diretta, il bagnoma-
ria o semplicemente la piastra elettrica.
La scelta dipende dalla temperatura desiderata, dalla velocità del riscaldamento
e dalle misure di sicurezza.
Becco Bunsen
È un bruciatore di laboratorio che produce una fiamma a forma conica come è
illustrato nella figura 1.
Esso è alimentato a gas di città o a gas metano ed è provvisto di regolazione per
1 Schema di becco Bunsen
semplice in ottone nichelato l’aria e per il gas. Il gas entra nel bruciatore da un ugello posto alla base dell’ap-
con regolatore d’aria parecchio e l’erogazione è regolata da un rubinetto. Il flusso di gas provoca l’aspi-
e stabilizzatore di fiamma.
A destra, le varie zone razione dell’aria attraverso una presa, a forma di manicotto forato, sistemata im-
della fiamma. mediatamente sopra l’ugello di alimentazione e coassiale al tubo di miscelamento.
°C zona
canna
del bruciatore 1500 ossidante
miscela
gas-aria 1550 riducente
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5 Le tecniche di laboratorio 2
Può capitare che il gas bruci all’interno della canna alla base del becco Bunsen,
invece che alla sommità. Quando ciò accade la canna diventa molto calda e bi-
sogna interrompere l’accesso di gas per uno o due minuti e poi riaccendere se-
condo il procedimento già descritto.
Sono disponibili anche becchi Bunsen di sicurezza particolarmente indicati per
un laboratorio didattico. Essi sono muniti di valvola di sicurezza che interrompe
l’erogazione del gas nel caso di accidentale spegnimento della fiamma.
Stufa
È un armadio metallico, con pareti e porte accuratamente coibentate, che può
essere termostatato elettricamente fino a 250-300 °C e talvolta è munito di timer.
La stufa viene utilizzata per essiccare delle sostanze solide e per asciugare la ve-
treria, ma non per condurvi reazioni.
Bagnomaria
È una vasca in cui viene termostatata dell’acqua nella quale si immerge il reci-
piente da riscaldare.
Il riscaldamento è efficace e veloce, però si possono raggiungere solo temperatu-
re relativamente basse (ca. 80 °C); questo tipo di riscaldamento viene preferito a
quello a fiamma diretta per evitare nocivi surriscaldamenti per contatto della
fiamma che, oltre a provocare spruzzi, possono anche determinare indesiderati
fenomeni di decomposizione.
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5 Le tecniche di laboratorio 3
2 Raffreddamento
Per operare a temperature inferiori a quella dell’ambiente, si ricorre all’uso di un
bagno refrigerante in cui immergere il recipiente contenente la miscela che si
vuole raffreddare. La sorgente fredda più utilizzata in un laboratorio didattico è
senz’altro l’acqua corrente (15-20 °C) in quanto è più che sufficiente per la mag-
gior parte delle necessità. Quando invece sia necessario raggiungere temperature
più basse, il bagno refrigerante viene realizzato con la miscela frigorifera più
appropriata.
Nella tabella sono riportate, a titolo di esempio, le temperature corrispondenti ad
alcune tipiche composizioni. Il ghiaccio viene frantumato in piccoli pezzi. Al fine
di ottenere una migliore trasmissione del calore lo si mescola con poca acqua for-
mando una poltiglia. La miscela di ghiaccio e sale viene preparata mescolando
1 Bagni refrigeranti e relative temperature di raffreddamento ghiaccio finemente suddiviso con
circa 1/3 del suo peso di cloruro
Temperatura (in °C) Bagno refrigerante
sodico. Introducendo biossido di
0 ghiaccio carbonio solido (ghiaccio secco)
–20 ghiaccio e sale in metanolo, acetone oppure altri
–78 acetone e ghiaccio secco solventi adatti si possono raggiun-
–100 etere e ghiaccio secco gere temperature molto basse.
3 Essiccamento
È il procedimento che permette l’allontanamento del solvente residuo trattenuto
da un solido dopo filtrazione o da un liquido dopo estrazione.
Noi prenderemo in esame soltanto l’eliminazione dell’acqua perché questa è in-
dubbiamente la situazione più frequente, sebbene alcune delle tecniche proposte
siano applicabili ad altri solventi.
Essiccamento di solidi
Il procedimento più semplice consiste nel facilitare la vaporizzazione dell’acqua
operando a temperatura elevata oppure a pressione ridotta.
La scelta fra i due metodi è dettata dalla stabilità termica del composto, il quale
deve possedere una tensione di vapore molto bassa. In caso contrario si deve ri-
correre all’impiego di sostanze che abbiano per l’acqua un’affinità elevatissima:
gli essiccanti.
Queste sostanze, anch’esse dei solidi, possono essere:
1) forme anidrificate di sali il cui reticolo cristallino più stabile ha un numero
definito di molecole d’acqua (acqua di cristallizzazione).
Per esempio:
4 Un tipo di essiccatore. Na2SO4 –––––
> Na2SO4 · 10H2O
> CaCl2 · 6H2O
CaCl2 –––––
CaSO4 · 0,5H2O –––––
> CaSO4 · 2H2O
2) sostanze che reagiscono con l’acqua con formazione di un nuovo composto più
stabile. È il caso dell’anidride fosforica (P4O10), che dà luogo ad acido fosforico;
3) setacci molecolari, una famiglia di silicati caratterizzati da canali reticolari di
dimensioni e forme tali da poter trattenere selettivamente le molecole d’ac-
qua che vi penetrano.
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5 Le tecniche di laboratorio 4
Essiccamento di liquidi
I liquidi vengono essiccati lasciandoli in contatto con essiccanti finemente suddi-
visi e agitando energicamente.
Gli essiccanti vengono poi separati per filtrazione.
4 Punto di fusione
Si definisce punto di fusione la temperatura alla quale una sostanza solida si trova
in equilibrio con il suo liquido. Esso è uno dei punti fissi di ogni sostanza pura e il
suo controllo costituisce un utile criterio per stabilire il suo grado di purezza.
La determinazione del punto di fusione è di semplice esecuzione pratica.
Il metodo più comunemente utilizzato consiste nello scaldare una piccolissima
5 Preparazione del capillare
per il punto di fusione. quantità di sostanza, ben asciutta, posta in un tubo capillare, utilizzando un
sistema che consente di leggere la temperatura alla
quale avviene la fusione.
Il riempimento del capillare avviene nel modo
apertura
del capillare seguente: una piccola quantità di sostanza ben secca
viene posta su un vetrino o su un pezzetto di carta da
sostanza
filtro e dopo essere stata polverizzata con l’aiuto di
il capillare
viene fatto una spatolina metallica viene raccolta in una sorta di
cadere lungo mucchietto.
il tubo
e lasciato
rimbalzare L’estremità aperta del capillare viene immersa nel
campione aiutandosi, se necessario, con la spatolina.
il composto
è forzato Il solido così introdotto nell’estremità viene fatto scen-
nel capillare
dere nel capillare battendo l’estremità chiusa di que-
st’ultimo sul bancone o facendolo scivolare lungo una
canna di vetro in maniera tale che, rimbalzando ripe-
tutamente, si agevoli la discesa della sostanza sul fondo.
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5 Le tecniche di laboratorio 5
termometro
il tappo sezionato
tiene il termometro
senza creare
sovrapressione
anello di gomma
(sopra il livello
pinza dell'olio)
di sostegno
capillare con
il composto
l'olio caldo
ascende
l'olio freddo
discende
becco Bunsen
6 Bagno di Thiele.
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5 Le tecniche di laboratorio 6
5 Filtrazione
La filtrazione è l’operazione che consente di separare una fase solida (precipitato)
da una fase liquida (filtrato) in un sistema eterogeneo, mediante percolazione at-
traverso un diaframma poroso (filtro) permeabile soltanto al liquido.
Il materiale poroso è di solito la carta da filtro, disponibile in commercio in di-
versi tipi che differiscono per le dimensioni dei pori.
Nei casi in cui la carta può dar luogo a interazioni con le sostanze da trattare, si
ricorre a diaframmi di vetro poroso.
Vi sono due metodi di filtrazione: filtrazione per gravità e filtrazione per aspirazione.
8 Un semplice schema
di filtrazione per gravità.
Filtrazione per aspirazione
Questa tecnica viene utilizzata quando interessa raccogliere un precipitato cri-
stallino separandolo dalla sua soluzione.
Invece dell’imbuto di vetro si utilizza l’imbuto di Büchner, che è un imbuto di por-
cellana a fondo piatto forato sul quale viene posto un dischetto di carta da filtro.
Le dimensioni dell’imbuto devono essere rapportate alla quantità di precipitato
da raccogliere, il quale, in ogni caso, deve coprire interamente la superficie fil-
trante dello stesso.
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5 Le tecniche di laboratorio 7
sostegno
cristalli
carta da filtro
piatto forato
tappo forato
pinza
tubo
da vuoto
beuta da
vuoto pulita
10 Schema di filtrazione
per aspirazione.
direzione
dell'acqua
tubi
di gomma
aria
aspirata
alla pompa dal sistema
da vuoto
6 Centrifugazione
La centrifugazione permette di separare una fase solida immiscibile da una fase
liquida o due liquidi immiscibili di densità diversa sfruttando la forza centrifuga.
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5 Le tecniche di laboratorio 8
Per azione della forza centrifuga le particelle più pesanti vengono spinte verso il
fondo della provetta permettendo, in tal modo, la separazione della fase liquida
(surnatante) dal solido (precipitato).
surnatante
precipitato
Il surnatante può essere allontanato prelevandolo con una pipetta, mentre il preci-
pitato viene lavato per aggiunta di porzioni di solvente che verrà rimosso per ulte-
riore centrifugazione.
7 Cristallizzazione
La cristallizzazione è una tecnica utilizzata per la purificazione delle sostanze
solide. Essa consiste nello sciogliere a caldo il composto impuro, filtrare le impu-
rezze insolubili e lasciare raffreddare fino a quando dalla soluzione satura preci-
pita il composto sotto forma di cristalli.
Le impurezze non cristallizzano in quanto la loro concentrazione è talmente
bassa da non raggiungere la condizione di saturazione.
Per una corretta cristallizzazione è importante scegliere l’opportuno solvente che
deve avere la proprietà di sciogliere il composto a caldo e non a freddo e di solu-
bilizzare a freddo le impurezze.
imbuto
a gambo
lungo
sostegno
soluzione bollente
contenente
le impurezze
cono di carta insolubili
da filtro
soluzione priva
di impurezze
insolubili
capsula a
fondo piatto
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5 Le tecniche di laboratorio 9
La scelta del solvente da utilizzare viene effettuata di solito per via empirica
sfruttando il vecchio principio che “il simile scioglie il suo simile”, il che significa
che una sostanza si scioglie quando è chimicamente affine al solvente. In ogni
caso, il solvente non deve mai interagire chimicamente con il soluto.
Quando non si trova il solvente ottimale si può ricorrere anche a miscele di sol-
venti la cui composizione viene determinata per tentativi fino a trovare quella
che risulta più adatta alla cristallizzazione.
Il procedimento operativo di tale metodica è riportato nella scheda di labora-
torio Purificazione per cristallizzazione.
8 Estrazione
Il processo di estrazione permette di trasferire un composto da una fase liquida
nella quale si trova sospeso o disciolto a un’altra fase liquida. Mediante tale
metodica, pertanto, è possibile separare vari componenti di una miscela di
composti organici da una soluzione acquosa o da una sospensione con un
opportuno solvente organico che abbia la proprietà di essere immiscibile con
l’acqua.
I solventi più comunemente utilizzati sono: l’etere etilico, l’etere di petrolio,
l’esano, l’acetato di etile ecc. che hanno tutti una densità minore di quella
dell’acqua, oppure il cloroformio e il tetracloruro di carbonio che sono più densi
dell’acqua.
La scelta del solvente è dettata non solo da esigenze di solubilità, ma soprattutto
dalla facilità con cui può essere rimosso dal soluto e dall’inerzia chimica che
presenta nei confronti del composto da estrarre.
Il principio su cui si basa l’estrazione è la legge di ripartizione di Nerst, secondo cui:
in condizioni di equilibrio il rapporto tra le concentrazioni di un soluto
distribuito fra due fasi liquide immiscibili tra loro è costante quando
la temperatura è mantenuta costante.
etere etere
fase A
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5 Le tecniche di laboratorio 10
9 Distillazione
La distillazione è una delle principali tecniche di purificazione molto usata in
laboratorio per separare composti liquidi attraverso un processo di evaporazione
e condensazione.
La fase liquida viene portata all’ebollizione per riscaldamento e trasformata in
vapore, il quale a sua volta, passando attraverso un refrigerante, viene condensa-
to e raccolto come distillato.
Esistono diverse tecniche di distillazione le cui caratteristiche variano a seconda
dei composti da separare. Esse verranno descritte di seguito.
termometro
condensatore
uscita
acqua entrata
acqua
pallone pallone
di distillazione di raccolta
16 Apparato di distillazione
semplice. mezzo bagno
di riscaldamento a ghiaccio
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Distillazione frazionata
È utilizzata per separare miscele di due o più componenti liquidi con temperatu-
re di ebollizione che differiscono tra loro meno di 25 °C.
L’apparecchiatura utilizzata è rappresentata in figura 17 e differisce da quella
descritta per la distillazione semplice per la presenza di una colonna di rettifica.
Essa serve per ottenere che i due processi di evaporazione e di condensazione
avvengano ripetutamente al suo interno in maniera da consentire una migliore
separazione di liquidi i cui punti di ebollizione sono talmente vicini da non poter
essere separati attraverso un unico processo di evaporazione-condensazione.
Due sono i tipi di colonne di rettifica di solito adoperate in laboratorio: la colonna
di Vigreux e la colonna a riempimento.
termometro
raccordo
di Claisen
condensatore
colonna di
Vigreux
uscita
acqua entrata
acqua
colonna a
riempimento
porcellino
pallone
di distillazione
mezzo
di riscaldamento
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10 Cromatografia
La cromatografia è una particolare tecnica di separazione così chiamata in
quanto per la prima volta è stata utilizzata per separare i pigmenti colorati
estratti dalle foglie.
Tale tecnica è stata messa a punto dal botanico russo M. Tswett, il quale utilizzò
una colonna di vetro contenente gesso finemente suddiviso con un rubinetto sul
fondo. Egli versò in cima alla colonna l’estratto concentrato dei pigmenti da sepa-
rare lasciandoli adsorbire sulla polvere di gesso, che costituisce la fase stazionaria.
pigmenti solvente
da separare
gesso
18 Esperienza di Tswett.
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5 Le tecniche di laboratorio 13
Ciascun componente in tal modo si sarebbe legato al gesso più o meno tenace-
mente a seconda della sua costituzione chimica.
Per riottenere i vari componenti Tswett fece passare attraverso la colonna etere
di petrolio, che costituisce la fase mobile.
Poiché, come si è detto, i vari componenti vengono adsorbiti in modo differente
sulla fase stazionaria, ognuno di essi, per effetto della eluizione, migrava con
velocità diversa verso l’uscita della colonna con conseguente separazione dagli
altri.
L’effetto che si poteva osservare era la formazione di bande separate di diversi
colori, da cui il nome cromatografia.
Tale termine è utilizzato anche per la separazione di sostanze non colorate e in
generale si riferisce a tutte le tecniche che permettono la separazione di miscele
di composti sfruttando la differente velocità di migrazione dei componenti lungo
una fase stazionaria, sotto l’azione di una fase mobile.
La fase stazionaria può trovarsi all’interno di una colonna o distesa su una
superficie e trattiene i vari componenti da separare per adsorbimento nel caso di
un solido o per solubilità se si tratta di un liquido.
La fase mobile può essere un liquido oppure un gas che passando attraverso la
fase stazionaria trascina, dopo averli sciolti, i componenti della miscela. Si verifica
cioè un trasferimento dei soluti dalla fase stazionaria a quella mobile e viceversa;
la velocità di spostamento dipenderà dalla differenza di affinità per le due fasi.
Esistono vari tipi di cromatografia che differiscono per la natura della fase stazio-
naria e della fase mobile: di solito vengono distinti in cromatografia di adsorbimento,
cromatografia di ripartizione, cromatografia a scambio ionico, cromatografia a filtrazione di gel.
Per gli scopi didattici di questo testo limiteremo la trattazione soltanto alla cro-
matografia di adsorbimento.
Cromatografia di adsorbimento
Per questo tipo di tecnica la fase stazionaria è costituita da un solido che, a causa
delle interazioni attrattive con la sostanza, presenta un’elevata capacità adsorbente.
L’adsorbimento deve essere reversibile e non deve provocare alterazioni sulle
sostanze da separare.
La forza dell’adsorbimento sulla fase stazionaria dipende, oltre che dall’affinità
di quest’ultima con le sostanze da separare, anche dalla granulometria del solido
adsorbente e dalla sua area superficiale.
Gli adsorbenti sono normalmente divisi in polari e
non polari; la polarità è, infatti, il parametro più
colonna
importante da cui dipende l’entità dell’adsorbi-
mento.
Tra gli adsorbenti polari solidi ricordiamo l’allumi-
adsorbente na e la silice; come adsorbente non polare normal-
mente si usa il carbone finemente suddiviso. Le
molecole polari saranno trattenute maggiormente
setto dai substrati polari e il tempo di eluizione sarà
poroso
tanto più lungo quanto maggiore è la polarità.
lana
di vetro
19 Colonna per cromatografia.
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5 Le tecniche di laboratorio 14
eluente
A+B+C C
B C
A
B
C
A
B
a) b) c) d)
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5 Le tecniche di laboratorio 15
A B
A B
21 Caricamento
di sostanze su lastra
cromatografica. miscela miscela
22 Vaschetta cromatografica.
A B
miscela
Il solvente che in colonna eluiva per gravità, dall’alto verso il basso, in questo
caso migrerà per capillarità dal basso verso l’alto, consentendo, con lo stesso
principio visto per la cromatografia su colonna, la migrazione differenziata dei
vari componenti della miscela.
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5 Le tecniche di laboratorio 16
a
Rf = c
A
c
b b
Rf =
a B c
23 Lastra TLC su cui sono state
caricate le sostanze A, B e una
miscela di A+B, con relativo A B miscela
sviluppo cromatografico.
A B miscela A B miscela
24 Sistema per misurare l’Rf.
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