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5 Le tecniche

di laboratorio

L
a conoscenza di alcune tecniche fondamenta- Poiché ogni tecnica prevede l’uso di un apposito
li di laboratorio è indispensabile per mettere strumento, avremo cura volta per volta di spiegar-
a punto esperimenti di qualunque natura. ne il funzionamento.

1 Riscaldamento
Come fonte di calore in laboratorio si può usare la fiamma diretta, il bagnoma-
ria o semplicemente la piastra elettrica.
La scelta dipende dalla temperatura desiderata, dalla velocità del riscaldamento
e dalle misure di sicurezza.

Becco Bunsen
È un bruciatore di laboratorio che produce una fiamma a forma conica come è
illustrato nella figura 1.
Esso è alimentato a gas di città o a gas metano ed è provvisto di regolazione per
1 Schema di becco Bunsen
semplice in ottone nichelato l’aria e per il gas. Il gas entra nel bruciatore da un ugello posto alla base dell’ap-
con regolatore d’aria parecchio e l’erogazione è regolata da un rubinetto. Il flusso di gas provoca l’aspi-
e stabilizzatore di fiamma.
A destra, le varie zone razione dell’aria attraverso una presa, a forma di manicotto forato, sistemata im-
della fiamma. mediatamente sopra l’ugello di alimentazione e coassiale al tubo di miscelamento.

°C zona

canna
del bruciatore 1500 ossidante

miscela
gas-aria 1550 riducente

ugello 1550 ossidante


500 riducente
anello girevole
accesso con apertura
dell'aria 300 ossidante
entrata
del gas

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La quantità di aria aspirata viene regolata ruotando il manicotto. Il becco Bun-


sen consente di ottenere temperature molto elevate ma il controllo del riscalda-
mento è solo approssimativo.
Per evitare pericolosi surriscaldamenti locali, il recipiente di vetro o di porcellana
va appoggiato su un diffusore (reticella metallica) sostenuto da un treppiede.
L’impiego a fiamma libera richiede attenzione e un certo addestramento ed è da
evitare in presenza di sostanze infiammabili.

Istruzioni per l’uso


a Chiudere completamente i fori di accesso dell’aria;
b collegare il tubo di gomma al rubinetto del gas sul banco di lavoro aprendo
la valvola completamente;
c accendere il bruciatore: la fiamma di colore giallo dovrà essere larga;
d aprire lentamente i fori di accesso dell’aria: quanto più si aprono, tanto più
la fiamma diventa incolore;
2 Becco Bunsen di sicurezza.
c quando il foro d’ingresso dell’aria è sufficientemente aperto, la fiamma pre-
senta due zone nettamente distinte (schema a destra nella figura 1); la zona
interna è di colore azzurro chiaro e a forma di cono.
Il punto a temperatura più elevata è appena al di sopra della parte superiore
di questa zona.

Può capitare che il gas bruci all’interno della canna alla base del becco Bunsen,
invece che alla sommità. Quando ciò accade la canna diventa molto calda e bi-
sogna interrompere l’accesso di gas per uno o due minuti e poi riaccendere se-
condo il procedimento già descritto.
Sono disponibili anche becchi Bunsen di sicurezza particolarmente indicati per
un laboratorio didattico. Essi sono muniti di valvola di sicurezza che interrompe
l’erogazione del gas nel caso di accidentale spegnimento della fiamma.

Stufa
È un armadio metallico, con pareti e porte accuratamente coibentate, che può
essere termostatato elettricamente fino a 250-300 °C e talvolta è munito di timer.
La stufa viene utilizzata per essiccare delle sostanze solide e per asciugare la ve-
treria, ma non per condurvi reazioni.

Bagnomaria
È una vasca in cui viene termostatata dell’acqua nella quale si immerge il reci-
piente da riscaldare.
Il riscaldamento è efficace e veloce, però si possono raggiungere solo temperatu-
re relativamente basse (ca. 80 °C); questo tipo di riscaldamento viene preferito a
quello a fiamma diretta per evitare nocivi surriscaldamenti per contatto della
fiamma che, oltre a provocare spruzzi, possono anche determinare indesiderati
fenomeni di decomposizione.

Piastra riscaldante e agitante


È un agitatore magnetico il cui piatto di supporto è
dotato di una resistenza elettrica. I comandi e le
regolazioni delle due funzioni sono indipendenti.
Pertanto, l’apparecchio è idoneo a riscaldare solo
recipienti a fondo piatto (beute o bicchieri).
3 Piastra riscaldante e agitante.

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2 Raffreddamento
Per operare a temperature inferiori a quella dell’ambiente, si ricorre all’uso di un
bagno refrigerante in cui immergere il recipiente contenente la miscela che si
vuole raffreddare. La sorgente fredda più utilizzata in un laboratorio didattico è
senz’altro l’acqua corrente (15-20 °C) in quanto è più che sufficiente per la mag-
gior parte delle necessità. Quando invece sia necessario raggiungere temperature
più basse, il bagno refrigerante viene realizzato con la miscela frigorifera più
appropriata.
Nella tabella sono riportate, a titolo di esempio, le temperature corrispondenti ad
alcune tipiche composizioni. Il ghiaccio viene frantumato in piccoli pezzi. Al fine
di ottenere una migliore trasmissione del calore lo si mescola con poca acqua for-
mando una poltiglia. La miscela di ghiaccio e sale viene preparata mescolando
1 Bagni refrigeranti e relative temperature di raffreddamento ghiaccio finemente suddiviso con
circa 1/3 del suo peso di cloruro
Temperatura (in °C) Bagno refrigerante
sodico. Introducendo biossido di
0 ghiaccio carbonio solido (ghiaccio secco)
–20 ghiaccio e sale in metanolo, acetone oppure altri
–78 acetone e ghiaccio secco solventi adatti si possono raggiun-
–100 etere e ghiaccio secco gere temperature molto basse.

3 Essiccamento
È il procedimento che permette l’allontanamento del solvente residuo trattenuto
da un solido dopo filtrazione o da un liquido dopo estrazione.
Noi prenderemo in esame soltanto l’eliminazione dell’acqua perché questa è in-
dubbiamente la situazione più frequente, sebbene alcune delle tecniche proposte
siano applicabili ad altri solventi.

Essiccamento di solidi
Il procedimento più semplice consiste nel facilitare la vaporizzazione dell’acqua
operando a temperatura elevata oppure a pressione ridotta.
La scelta fra i due metodi è dettata dalla stabilità termica del composto, il quale
deve possedere una tensione di vapore molto bassa. In caso contrario si deve ri-
correre all’impiego di sostanze che abbiano per l’acqua un’affinità elevatissima:
gli essiccanti.
Queste sostanze, anch’esse dei solidi, possono essere:
1) forme anidrificate di sali il cui reticolo cristallino più stabile ha un numero
definito di molecole d’acqua (acqua di cristallizzazione).
Per esempio:
4 Un tipo di essiccatore. Na2SO4 –––––
> Na2SO4 · 10H2O
> CaCl2 · 6H2O
CaCl2 –––––
CaSO4 · 0,5H2O –––––
> CaSO4 · 2H2O
2) sostanze che reagiscono con l’acqua con formazione di un nuovo composto più
stabile. È il caso dell’anidride fosforica (P4O10), che dà luogo ad acido fosforico;
3) setacci molecolari, una famiglia di silicati caratterizzati da canali reticolari di
dimensioni e forme tali da poter trattenere selettivamente le molecole d’ac-
qua che vi penetrano.

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L’eliminazione residua dell’acqua dai solidi, impiegando agenti essiccanti, viene


condotta in un recipiente apposito, l’essiccatore, un vaso provvisto di coperchio a
tenuta.
Sul fondo si stende uno strato di essiccante, mentre il composto, distribuito su un
vetro da orologio, viene sistemato su un piano forato di porcellana.
Nel recipiente chiuso, l’essiccante assorbe dapprima il vapor d’acqua presente
nell’aria; a sua volta questa, diventata più secca, favorisce l’evaporazione dell’ac-
qua ancora presente nel solido.

Istruzioni per l’uso


a L’essiccamento a pressione ridotta richiede l’impiego di una pompa mecca-
nica; l’uso della pompa ad acqua manterrebbe infatti il campione in un am-
biente saturo di umidità;
b l’efficienza dei vari essiccanti è diversa, quindi la scelta va fatta in funzio-
ne della quantità, assoluta e relativa, di acqua da allontanare;
c usare un eccesso di essiccante e scartare quello esaurito che avrebbe un ef-
fetto nullo o addirittura opposto a quello desiderato;
d una volta essiccata, la sostanza va usata subito oppure va conservata in es-
siccatore; lasciata all’aria riassumerebbe infatti umidità.

Essiccamento di liquidi
I liquidi vengono essiccati lasciandoli in contatto con essiccanti finemente suddi-
visi e agitando energicamente.
Gli essiccanti vengono poi separati per filtrazione.

4 Punto di fusione
Si definisce punto di fusione la temperatura alla quale una sostanza solida si trova
in equilibrio con il suo liquido. Esso è uno dei punti fissi di ogni sostanza pura e il
suo controllo costituisce un utile criterio per stabilire il suo grado di purezza.
La determinazione del punto di fusione è di semplice esecuzione pratica.
Il metodo più comunemente utilizzato consiste nello scaldare una piccolissima
5 Preparazione del capillare
per il punto di fusione. quantità di sostanza, ben asciutta, posta in un tubo capillare, utilizzando un
sistema che consente di leggere la temperatura alla
quale avviene la fusione.
Il riempimento del capillare avviene nel modo
apertura
del capillare seguente: una piccola quantità di sostanza ben secca
viene posta su un vetrino o su un pezzetto di carta da
sostanza
filtro e dopo essere stata polverizzata con l’aiuto di
il capillare
viene fatto una spatolina metallica viene raccolta in una sorta di
cadere lungo mucchietto.
il tubo
e lasciato
rimbalzare L’estremità aperta del capillare viene immersa nel
campione aiutandosi, se necessario, con la spatolina.
il composto
è forzato Il solido così introdotto nell’estremità viene fatto scen-
nel capillare
dere nel capillare battendo l’estremità chiusa di que-
st’ultimo sul bancone o facendolo scivolare lungo una
canna di vetro in maniera tale che, rimbalzando ripe-
tutamente, si agevoli la discesa della sostanza sul fondo.

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L’apparecchio più diffuso per la determinazione del punto di fusione prende il


nome di bagno di Thiele e consiste in un tubo di vetro riempito con olio di silicone,
scaldato con un becco Bunsen.

termometro

il tappo sezionato
tiene il termometro
senza creare
sovrapressione

anello di gomma
(sopra il livello
pinza dell'olio)
di sostegno
capillare con
il composto

l'olio caldo
ascende

l'olio freddo
discende

becco Bunsen
6 Bagno di Thiele.

Il capillare contenente la sostanza da esaminare viene posto, aderente al bulbo


di un termometro, dentro il bagno d’olio.
7 Apparecchio elettrico
per la determinazione Seguendo il progressivo riscaldamento della sostanza, si annota la temperatura
del punto di fusione. alla quale avviene la fusione del solido.
È necessario che il riscaldamento avvenga all’ini-
zio piuttosto rapidamente e poi, quando manca-
no ancora 15 °C circa alla fusione, a una velo-
cità di circa due gradi al minuto fino a fusione
termometro completa.
Si lascia raffreddare il bagno, si sostituisce il
capillare e si ripete la determinazione per alme-
no altre due volte, controllando la concordanza
capillare dei valori ottenuti.
finestra
di osservazione Se la sostanza è pura l’intervallo di fusione dovrà
essere di non oltre 1-2 °C. La presenza di piccole
quantità di impurezze infatti provoca di solito un
sorgente aumento notevole di tale intervallo, in quanto la
luminosa
manopola fusione inizia a un valore di temperatura più
di controllo basso rispetto a quello previsto per la sostanza
pura.
Oltre all’apparecchio già descritto, esistono in
commercio strumenti più comodi e precisi, dove
il riscaldamento viene effettuato elettricamente e
interruttore una lente di ingrandimento, o addirittura un
on-off microscopio, permettono di osservare meglio il
processo di fusione.

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5 Filtrazione
La filtrazione è l’operazione che consente di separare una fase solida (precipitato)
da una fase liquida (filtrato) in un sistema eterogeneo, mediante percolazione at-
traverso un diaframma poroso (filtro) permeabile soltanto al liquido.
Il materiale poroso è di solito la carta da filtro, disponibile in commercio in di-
versi tipi che differiscono per le dimensioni dei pori.
Nei casi in cui la carta può dar luogo a interazioni con le sostanze da trattare, si
ricorre a diaframmi di vetro poroso.
Vi sono due metodi di filtrazione: filtrazione per gravità e filtrazione per aspirazione.

Filtrazione per gravità


È il tipo più semplice di filtrazione, che richiede una comune attrezzatura di labo-
ratorio del tipo mostrato in figura. Se le particelle sono sufficientemente granulose
la filtrazione non presenta difficoltà. Se le particelle sono molto fini, può accadere
che non vengano trattenute per intero
dai pori della carta da filtro e la soluzio-
ne passa torbida.
imbuto In tal caso è opportuno filtrare la solu-
a gambo
corto zione attraverso lo stesso filtro, i cui pori
sono stati ulteriormente rimpiccioliti
dalle stesse particelle.
sostegno Se il filtrato continua a essere torbido
miscela nonostante la doppia filtrazione, si ricor-
da filtrare
anello cono di carta re all’uso di aggreganti che vanno intro-
di sostegno da filtro dotti nella miscela prima della filtrazio-
ne. Essi possono essere costituiti da pez-
beuta pulita zetti di carta da filtro o da carbone ani-
male in polvere.
soluzione priva In questo caso, ovviamente, non è possi-
di impurezze insolubili
bile recuperare il precipitato.

8 Un semplice schema
di filtrazione per gravità.
Filtrazione per aspirazione
Questa tecnica viene utilizzata quando interessa raccogliere un precipitato cri-
stallino separandolo dalla sua soluzione.
Invece dell’imbuto di vetro si utilizza l’imbuto di Büchner, che è un imbuto di por-
cellana a fondo piatto forato sul quale viene posto un dischetto di carta da filtro.
Le dimensioni dell’imbuto devono essere rapportate alla quantità di precipitato
da raccogliere, il quale, in ogni caso, deve coprire interamente la superficie fil-
trante dello stesso.

9 Foto e disegno dell’imbuto


di Büchner.

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sostegno

cristalli

carta da filtro
piatto forato
tappo forato

pinza

tubo
da vuoto
beuta da
vuoto pulita
10 Schema di filtrazione
per aspirazione.

Per piccole quantità da filtrare, in alternativa all’imbuto di Büchner si può usare


l’imbuto di Hirsch, che per le sue dimensioni verrà collegato a una provetta da
vuoto, come mostrato in figura 11a. L’apparecchiatura usata per produrre l’aspi-
razione richiesta per questo tipo di filtrazione può essere una semplice pompa ad
acqua come quella schematizzata in figura 11b.

direzione
dell'acqua

tubi
di gomma

aria
aspirata
alla pompa dal sistema
da vuoto

11 Imbuto di Hirsch con provetta


da vuoto (a) e pompa da vuoto
ad acqua (b). aria +
a) b) acqua

6 Centrifugazione
La centrifugazione permette di separare una fase solida immiscibile da una fase
liquida o due liquidi immiscibili di densità diversa sfruttando la forza centrifuga.

L’apparecchio utilizzato in questo caso è la centrifuga, dove i campioni da tratta-


re, posti in speciali provette, vengono sottoposti a velocità di rotazione di circa
4000-5000 giri al minuto.

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Per azione della forza centrifuga le particelle più pesanti vengono spinte verso il
fondo della provetta permettendo, in tal modo, la separazione della fase liquida
(surnatante) dal solido (precipitato).

surnatante

precipitato

12 Schema di una centrifuga.

Il surnatante può essere allontanato prelevandolo con una pipetta, mentre il preci-
pitato viene lavato per aggiunta di porzioni di solvente che verrà rimosso per ulte-
riore centrifugazione.

7 Cristallizzazione
La cristallizzazione è una tecnica utilizzata per la purificazione delle sostanze
solide. Essa consiste nello sciogliere a caldo il composto impuro, filtrare le impu-
rezze insolubili e lasciare raffreddare fino a quando dalla soluzione satura preci-
pita il composto sotto forma di cristalli.
Le impurezze non cristallizzano in quanto la loro concentrazione è talmente
bassa da non raggiungere la condizione di saturazione.
Per una corretta cristallizzazione è importante scegliere l’opportuno solvente che
deve avere la proprietà di sciogliere il composto a caldo e non a freddo e di solu-
bilizzare a freddo le impurezze.

13 Purificazione di una sostanza per mezzo della cristallizzazione.

imbuto
a gambo
lungo

sostegno
soluzione bollente
contenente
le impurezze
cono di carta insolubili
da filtro

soluzione priva
di impurezze
insolubili
capsula a
fondo piatto

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La scelta del solvente da utilizzare viene effettuata di solito per via empirica
sfruttando il vecchio principio che “il simile scioglie il suo simile”, il che significa
che una sostanza si scioglie quando è chimicamente affine al solvente. In ogni
caso, il solvente non deve mai interagire chimicamente con il soluto.
Quando non si trova il solvente ottimale si può ricorrere anche a miscele di sol-
venti la cui composizione viene determinata per tentativi fino a trovare quella
che risulta più adatta alla cristallizzazione.
Il procedimento operativo di tale metodica è riportato nella scheda di labora-
torio Purificazione per cristallizzazione.

8 Estrazione
Il processo di estrazione permette di trasferire un composto da una fase liquida
nella quale si trova sospeso o disciolto a un’altra fase liquida. Mediante tale
metodica, pertanto, è possibile separare vari componenti di una miscela di
composti organici da una soluzione acquosa o da una sospensione con un
opportuno solvente organico che abbia la proprietà di essere immiscibile con
l’acqua.
I solventi più comunemente utilizzati sono: l’etere etilico, l’etere di petrolio,
l’esano, l’acetato di etile ecc. che hanno tutti una densità minore di quella
dell’acqua, oppure il cloroformio e il tetracloruro di carbonio che sono più densi
dell’acqua.
La scelta del solvente è dettata non solo da esigenze di solubilità, ma soprattutto
dalla facilità con cui può essere rimosso dal soluto e dall’inerzia chimica che
presenta nei confronti del composto da estrarre.
Il principio su cui si basa l’estrazione è la legge di ripartizione di Nerst, secondo cui:
in condizioni di equilibrio il rapporto tra le concentrazioni di un soluto
distribuito fra due fasi liquide immiscibili tra loro è costante quando
la temperatura è mantenuta costante.

Tale rapporto rappresenta il coefficiente di ripartizione o di distribuzione, il cui


valore K è indipendente dai volumi di solvente usati, dipende dalla temperatura
ed è legato alla solubilità del soluto nella coppia di liquidi utilizzati.
Il coefficiente K è espresso dalla relazione:
CA
K=
CB
dove:
CA = concentrazione del soluto nel solvente meno denso (fase superiore);
CB = concentrazione del soluto nel solvente più denso (fase inferiore).

etere etere
fase A

14 Ripartizione di un soluto fase B


tra due fasi liquide immiscibili
tra loro. H2O + soluto H2O + soluto

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L’apparecchiatura utilizzata per l’estrazione è l’imbuto


separatore che, come si vede nella figura, è un semplice
contenitore di vetro che consente il contatto diretto tra le
fase acquosa due fasi non miscibili e quindi il passaggio della sostanza
con sostanza da una fase all’altra e la successiva stratificazione delle due
da estrarre
fasi nonché la finale separazione in due diversi contenitori.
Affinché si abbia un’estrazione completa è necessario
estraente trattare ripetutamente la soluzione acquosa con aliquote di
solvente puro che verranno riunite e sottoposte a
distillazione fino a ottenere la sostanza estratta.
Quest’ultima necessita di una ulteriore purificazione, che
può essere effettuata per cristallizzazione se si tratta di
sostanza solida o distillazione se si tratta di sostanza liquida.
15 Imbuto separatore.

9 Distillazione
La distillazione è una delle principali tecniche di purificazione molto usata in
laboratorio per separare composti liquidi attraverso un processo di evaporazione
e condensazione.
La fase liquida viene portata all’ebollizione per riscaldamento e trasformata in
vapore, il quale a sua volta, passando attraverso un refrigerante, viene condensa-
to e raccolto come distillato.
Esistono diverse tecniche di distillazione le cui caratteristiche variano a seconda
dei composti da separare. Esse verranno descritte di seguito.

Distillazione a pressione ordinaria


È detta anche distillazione semplice e viene utilizzata per separare liquidi, con punti
di ebollizione al di sotto di 150 °C, da impurezze non volatili oppure da un altro
liquido che abbia un punto di ebollizione che differisce almeno di 25 °C dal primo.
L’apparecchiatura utilizzata è quella riportata in figura 16.

termometro

condensatore

uscita
acqua entrata
acqua

pallone pallone
di distillazione di raccolta

16 Apparato di distillazione
semplice. mezzo bagno
di riscaldamento a ghiaccio

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Come si vede, la caldaia di distillazione è costituita da un pallone che si riempie


per metà circa del suo volume: volumi eccessivamente maggiori, infatti, tratter-
rebbero una quantità di miscela di partenza eccessiva, mentre volumi minori
potrebbero provocare indesiderati riflussi del liquido in ebollizione.
L’ebollizione deve risultare regolare e non tumultuosa e tale da consentire una
distillazione lenta e costante; a tal fine risulta molto utile aggiungere alla miscela
in caldaia cocci di porcellana o di pomice che, grazie alla loro porosità, rendono
regolare e continua l’ebollizione.
Come fonte di calore bisogna evitare il becco Bunsen nel caso in cui sia in pre-
senza di sostanze infiammabili; esistono comunque mantelli elettrici riscaldanti
di forma e volume adeguati a quelli della caldaia.
Per quanto riguarda l’esecuzione della tecnica di distillazione semplice si riman-
da alla scheda di laboratorio Distillazione.

Distillazione frazionata
È utilizzata per separare miscele di due o più componenti liquidi con temperatu-
re di ebollizione che differiscono tra loro meno di 25 °C.
L’apparecchiatura utilizzata è rappresentata in figura 17 e differisce da quella
descritta per la distillazione semplice per la presenza di una colonna di rettifica.
Essa serve per ottenere che i due processi di evaporazione e di condensazione
avvengano ripetutamente al suo interno in maniera da consentire una migliore
separazione di liquidi i cui punti di ebollizione sono talmente vicini da non poter
essere separati attraverso un unico processo di evaporazione-condensazione.
Due sono i tipi di colonne di rettifica di solito adoperate in laboratorio: la colonna
di Vigreux e la colonna a riempimento.

17 Apparato per la distillazione frazionata.

termometro
raccordo
di Claisen
condensatore

colonna di
Vigreux

uscita
acqua entrata
acqua
colonna a
riempimento

porcellino

pallone
di distillazione

mezzo
di riscaldamento

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La colonna di Vigreux è un semplice tubo di vetro che presenta numerose rien-


tranze puntate verso il basso sulle quali avvengono gli scambi tra la fase liquida e
la fase di vapore.
La colonna a riempimento, invece, è un tubo di vetro riempito con palline o
anelli di vetro che hanno la funzione di aumentare enormemente la superficie di
contatto tra il vapore e il liquido con il vantaggio di accrescere l’efficacia del fra-
zionamento.
Oltre alle due tecniche già descritte esistono altre tecniche che, per gli scopi
didattici di questo testo, descriveremo soltanto in termini generali.

Distillazione a pressione ridotta


È utilizzata per separare liquidi con punti di ebollizione superiori ai 150 °C. La
pressione ridotta in questo caso abbassa la temperatura di ebollizione consenten-
do anche la separazione di sostanze altobollenti che, in quelle condizioni di tem-
peratura, potrebbero subire alterazioni.

Distillazione in corrente di vapore


Viene usata per la purificazione di composti liquidi immiscibili con l’acqua che
presentano temperature di ebollizione intorno ai 100 °C.
Generalmente, la distillazione in corrente di vapore viene usata per composti
termolabili o per liquidi che presentano temperature di ebollizione particolar-
mente elevate.

10 Cromatografia
La cromatografia è una particolare tecnica di separazione così chiamata in
quanto per la prima volta è stata utilizzata per separare i pigmenti colorati
estratti dalle foglie.
Tale tecnica è stata messa a punto dal botanico russo M. Tswett, il quale utilizzò
una colonna di vetro contenente gesso finemente suddiviso con un rubinetto sul
fondo. Egli versò in cima alla colonna l’estratto concentrato dei pigmenti da sepa-
rare lasciandoli adsorbire sulla polvere di gesso, che costituisce la fase stazionaria.

pigmenti solvente
da separare

gesso

18 Esperienza di Tswett.

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Ciascun componente in tal modo si sarebbe legato al gesso più o meno tenace-
mente a seconda della sua costituzione chimica.
Per riottenere i vari componenti Tswett fece passare attraverso la colonna etere
di petrolio, che costituisce la fase mobile.
Poiché, come si è detto, i vari componenti vengono adsorbiti in modo differente
sulla fase stazionaria, ognuno di essi, per effetto della eluizione, migrava con
velocità diversa verso l’uscita della colonna con conseguente separazione dagli
altri.
L’effetto che si poteva osservare era la formazione di bande separate di diversi
colori, da cui il nome cromatografia.
Tale termine è utilizzato anche per la separazione di sostanze non colorate e in
generale si riferisce a tutte le tecniche che permettono la separazione di miscele
di composti sfruttando la differente velocità di migrazione dei componenti lungo
una fase stazionaria, sotto l’azione di una fase mobile.
La fase stazionaria può trovarsi all’interno di una colonna o distesa su una
superficie e trattiene i vari componenti da separare per adsorbimento nel caso di
un solido o per solubilità se si tratta di un liquido.
La fase mobile può essere un liquido oppure un gas che passando attraverso la
fase stazionaria trascina, dopo averli sciolti, i componenti della miscela. Si verifica
cioè un trasferimento dei soluti dalla fase stazionaria a quella mobile e viceversa;
la velocità di spostamento dipenderà dalla differenza di affinità per le due fasi.
Esistono vari tipi di cromatografia che differiscono per la natura della fase stazio-
naria e della fase mobile: di solito vengono distinti in cromatografia di adsorbimento,
cromatografia di ripartizione, cromatografia a scambio ionico, cromatografia a filtrazione di gel.
Per gli scopi didattici di questo testo limiteremo la trattazione soltanto alla cro-
matografia di adsorbimento.

Cromatografia di adsorbimento
Per questo tipo di tecnica la fase stazionaria è costituita da un solido che, a causa
delle interazioni attrattive con la sostanza, presenta un’elevata capacità adsorbente.
L’adsorbimento deve essere reversibile e non deve provocare alterazioni sulle
sostanze da separare.
La forza dell’adsorbimento sulla fase stazionaria dipende, oltre che dall’affinità
di quest’ultima con le sostanze da separare, anche dalla granulometria del solido
adsorbente e dalla sua area superficiale.
Gli adsorbenti sono normalmente divisi in polari e
non polari; la polarità è, infatti, il parametro più
colonna
importante da cui dipende l’entità dell’adsorbi-
mento.
Tra gli adsorbenti polari solidi ricordiamo l’allumi-
adsorbente na e la silice; come adsorbente non polare normal-
mente si usa il carbone finemente suddiviso. Le
molecole polari saranno trattenute maggiormente
setto dai substrati polari e il tempo di eluizione sarà
poroso
tanto più lungo quanto maggiore è la polarità.

lana
di vetro
19 Colonna per cromatografia.

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Pertanto, si può empiricamente determinare un ordine approssimativo di


sequenza di uscita che dipende esclusivamente dalla polarità dei componenti
della miscela:
idrocarburi saturi < idrocarburi insaturi < eteri < esteri < aldeidi e chetoni <
ammine < alcoli < acidi.
Normalmente l’adsorbente viene posto in una colonna di vetro rastremata verso
il basso in modo tale da favorire la raccolta dell’eluato. Al fondo della colonna
viene posto un setto poroso o della lana di vetro che ha lo scopo di trattenere la
fase stazionaria. La colonna termina con un rubinetto che serve per interrompe-
re l’uscita dell’eluato tutte le volte che inizia a uscire una nuova frazione.
I solventi comunemente usati come fase mobile sono riportati in tabella.

2 Solventi in ordine di polarità crescente


Temperatura (in °C) Bagno refrigerante
1 esano, eteri di petrolio 9 acetato di etile
2 eptano 10 piridina
3 cicloesano 11 acetone
4 tetracloruro di carbonio 12 propanolo
5 benzene 13 etanolo
6 toluene 14 metanolo
7 cloroformio 15 acqua
8 etere dietilico 16 miscela di acidi o basi
con acqua, alcoli o piridina

L’andamento di una cromatografia su colonna di un’ipotetica miscela di compo-


nenti A, B e C può essere rappresentato dallo schema in figura 20, dove è ben
evidenziato lo stadio iniziale dell’analisi (a) in cui la miscela è posta all’inizio
della colonna, gli stadi intermedi (b) e (c) nei quali i componenti, migrando con
velocità diverse, si separano in bande ben distinte e la fase finale (d) in cui si
osserva la separazione completa e l’uscita del primo componente.

20 Esempio di separazione di una miscela A+B+C per cromatografia su colonna.

eluente
A+B+C C
B C
A
B

C
A
B

a) b) c) d)

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5 Le tecniche di laboratorio 15

Una particolare versione della cromatografia di adsorbimento è la cromatografia su


strato sottile, TLC (Thin Layer Chromatography), dove, al pari di quella su carta,
il processo di separazione avviene su una superficie piana su cui i componenti
separati vengono esaminati.
La fase stazionaria è costituita da un sottile strato di materiale finemente suddi-
viso su una lastra di supporto di vetro, plastica o metallo mentre la fase mobile si
muove attraverso la fase stazionaria per capillarità. Gli adsorbenti più usati sono
il gel di silice, l’allumina, i silicati e il carbone attivo.
La fase mobile viene scelta in funzione delle sostanze da separare. La miscela da
esaminare viene sciolta in un solvente e con l’ausilio di un capillare viene carica-
ta in un punto della piastra distante almeno un centimetro dal bordo inferiore.

1 sostanze campioni 2 sostanze caricate su una


sciolte in un solvente piastrina cromatografica
tramite un sottile capillare
di vetro

A B

A B

21 Caricamento
di sostanze su lastra
cromatografica. miscela miscela

Dopo l’evaporazione del solvente, la piastra viene sviluppata all’interno di una


vaschetta cromatografica costituita da un recipiente di vetro dotato di un coper-
chio a tenuta.

22 Vaschetta cromatografica.

A B

miscela

Il solvente che in colonna eluiva per gravità, dall’alto verso il basso, in questo
caso migrerà per capillarità dal basso verso l’alto, consentendo, con lo stesso
principio visto per la cromatografia su colonna, la migrazione differenziata dei
vari componenti della miscela.

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fronte del solvente

a
Rf = c
A
c
b b
Rf =
a B c
23 Lastra TLC su cui sono state
caricate le sostanze A, B e una
miscela di A+B, con relativo A B miscela
sviluppo cromatografico.

Nel caso della cromatografia su strato sottile il movimento di ciascuna sostanza


rispetto al fronte del solvente è una proprietà caratteristica della sostanza e viene
definito come:
distanza percorsa dalla sostanza
Rf =
distanza percorsa dal solvente

fronte del solvente

A B miscela A B miscela
24 Sistema per misurare l’Rf.

Per quanto riguarda l’esecuzione di questa tecnica sperimentale si rimanda alla


scheda di laboratorio Cromatografia su strato sottile.

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