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Dove compreremo del pane?

Giovanni 6, 1-15
Commento di Françoise Bihin

Nel Vangelo della tentazione nel deserto – che precede il tempo della Pas-
sione –era presente anche il motivo del pane. Gesù rifiuta di trasformare le
pietre in pane. Eppure, su un piano sociale, si potrebbe dire che sarebbe una
buona cosa per dar da mangiare alle folle affamate?
La risposta di Gesù alla mancanza di pane apre un’altra dimensione. Egli
ribatte al diavolo: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce
dalla bocca di Dio” (Matteo 4). In effetti, la sua vera risposta arriverà a poco a
poco, con i fatti, e fino alla sua morte e alla sua resurrezione.
In primo luogo, risponde con il “segno dei pani”. Se guardiamo alla compo-
sizione di ciascuno dei quattro Vangeli, questa storia occupa un posto centra-
le. In Giovanni, è al centro della prima parte, che arriva fino al capitolo 11. In
Marco e Matteo, è anche raccontata due volte, una volta con una folla di cin-
quemila uomini, la seconda di quattromila.
Ciò significa che questo evento, questo segno è centrale nei Vangeli. I nu-
meri mostrano che è un evento sia terrestre sia cosmico: quando la folla è di
cinquemila uomini, ci sono sette pani e due pesci e sono rimaste dodici ceste
piene (pienezza, zodiaco). Sette e cinque sono ugualmente dodici; possiamo
vedere un legame con i segni zodiacali dell’estate (sette) e quelli dell’inverno
(cinque). Il cinque può anche essere correlato al nostro tempo (quinta epoca
di civiltà dopo la catastrofe di Atlantide), il quattromila, alla quarta epoca.
Quando si tratta di quattromila uomini, rimangono sette ceste piene… Senza
entrare nei dettagli, possiamo intuire che il “segno del pane” ha un significato
che supera di gran lunga un miracolo, in senso magico o materiale. È un se-
gno che si collega alla realtà profonda dell’uomo.
Nel deserto, i nostri padri mangiarono la manna. Quando gli Ebrei vivevano
nel deserto, guidati da Mosè fuori dall’Egitto, continuavano a lamentarsi, a
volte persino rimpiangendo la prigionia. La loro traversata del deserto è
l’immagine della libertà di apprendimento, dell’autonomia. Ma la libertà non
è una cosa facile da gestire: a volte la cattività è più rilassante, più confortevo-
le… Un giorno che il popolo si lamentava particolarmente della fame e della
sete, rimpiangendo le pentole d’Egitto con le loro carne abbondante accom-
pagnata da pane a sazietà, il Signore disse a Mosè: “Dall’alto del Cielo, farò
piovere pane per voi. La gente uscirà per raccogliere il razione giornaliera”
(Esodo, 16). La sera, invia uno stormo di quaglie, in modo che la gente possa
mangiare carne e al mattino il suolo è coperto da una specie di farina.
Gli scienziati fanno le congetture sulla realtà materiale della manna, forse
era linfa dall’arbusto chiamato tamerice? La Bibbia dice che era “come il seme
di I coriandolo, era bianco, con un sapore di frittelle di miele” (Esodo 16,31),
delizioso allora! È interessante notare che la parola stessa deriva da “Man-
hou?” = “Cos’è?”. Ogni giorno, ognuno poteva raccogliere la sua parte quoti-
diana, né più, né meno. Alla vigilia del sabato, tutti potevano raccogliere una
doppia razione, perché quel giorno è vietato lavorare. Coloro che volevano
raccogliere più del necessario, cercando di fare delle riserve, videro la loro ra-
zione marcire immediatamente. Si dice che i Figli d’Israele mangiarono man-
na per quaranta anni, fino a quando arrivarono nella terra di Canaan.
Il fatto che ognuno possa raccogliere solo ciò di cui ha bisogno è un segno
di saggezza universale, una lezione per il nostro modo di vivere. Come vivreb-
be l’umanità se ognuno si contentasse dello stretto necessario per vivere?
In questo racconto evangelico, questa legge è espressa nel suo aspetto posi-
tivo: “Diede loro quanto ne volevano” (Gv 6), oppure: “Mangiarono e tutti fu-
rono saziati” (Mt 14,20 e 15,37).
Ne diede loro quanto ne volevano.
Cosa “nutre” veramente, cosa dà un senso di sazietà, di profonda soddisfa-
zione? Quando mangiamo con gli amici, siamo nutriti tanto dalla qualità
dell’incontro quanto dalla qualità del cibo.
In alcuni momenti della nostra vita, possiamo dimenticare di mangiare,
perché siamo profondamente nutriti da un’attività, da un incontro.
Giovanni prosegue spiegando cosa attira le folle a Gesù: “… altre barche si
avvicinarono al luogo dove avevano mangiato”.
“Si avvicinarono al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signo-
re aveva reso grazie” (Gv 6,23). Ciò che attira la folla è legato al modo in cui
Gesù “rese grazie”…
La pienezza che si irradia dalla relazione di Cristo Gesù con il Padre diventa
cibo per tutto il popolo.
“In verità, in verità vi dico che non è stato Mosè a darvi il pane dal cielo”
Gesù si riferisce all’evento della manna, specificando che questo pane non
impediva la morte, mentre il pane dato dal Padre dà “vita eterna”.
L’intero capitolo sesto di Giovanni è una meditazione su questa realtà. Ini-
zia con questo racconto e poi sale per gradi attraverso le parole che illumina-
no il tema del “pane di vita” con sfumature sempre nuove.
Il capitolo culmina con parole appena udibili – e che comprensibilmente
provocano scandalo nei suoi ascoltatori: “Chi mangia la mia carne e beve il
mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).
Quando Cristo entrerà nella morte il Giovedì Santo, sarà legato al pane e al
vino, che diventeranno la sua carne e il suo sangue.
Egli istituisce il sacramento che permetterà a coloro che lo cercano di essere
legati a lui in modo sia fisico sia spirituale. In questo mistero si può trovare la
risposta definitiva alla tentazione di “trasformare le pietre in pane”.

Francoise Bihin, sociologa, ordinata sacerdote nel 2003, ha lavorato in Francia, a Colmar,
è stata insegnante al seminario per sacerdoti di Stoccarda e ora è attiva in Svizzera nelle
comunità di Ginevra e Losanna. Gestisce un blog e invia una mail settimanale di commen-
to ai Vangeli.

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