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TOTH TIHAMER

Vescovo di Veszprém
del quale è stata introdotta
la causa di beatificazione

L'EUCARISTIA
Discorsi tenuti nella Chiesa dell' Università di Budapest
in preparazione al Congresso Eucaristico Internazionale

Edizione italiana a cura di Mons. Dott. UGO CAMOZZO

EDIVI 2005

(Ad usum privatum)


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PARTE PRIMA: LA NOSTRA FEDE NELLA SANTISSIMA
EUCARISTIA
I. “QUESTO È II MIO CORPO” - “QUESTO È IL MIO SANGUE”

“Io sono il pane della vita!


I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti.
Questo é il pane che discende dal cielo, perchè chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno e il pane che io darò è la
mia carne per la vita del mondo.”
Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro:” Come costui può darci
da mangiare la sua carne ?”
Gesù disse:” In verità, in verità vi dico: Se non mangiate la carne del
Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo
resusciterò nell'ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo ed il mio sangue è vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui.
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così
anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal
cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi
mangia questo pane vivrà in eterno”. S. GIOVANNI 6, 48-59

Fratelli in Cristo!
Dalla guerra mondiale l'umanità vive con febbrile inquietudine una lotta
di vita o morte nell'ansia di riconquistare la pace vera che riporti la
sicurezza tra i popoli.
La pace! Potremo ancora godere di questo bene che Gesù ha offerto agli
uomini di buona volontà venendo a salvarci ?
Quando tutto sembra perduto, allora batte l'ora del Signore, e quando
ogni sforzo umano infila una via senza uscita, allora è il momento della
preghiera più fervente e più piena di dedizione. E a chi innalzeremo la
prece ( preghiera), se non a Gesù nascosto sotto le specie Eucaristiche,
ripetendo a Lui l'invocazione degli apostoli: «0 Signore, salvaci altrimenti
periremo (moriremo)»?
Fratelli, confidiamo: Gesù è in mezzo a noi.
Che sia realmente presente nella SS.ma Eucaristia, non ci può essere in
noi il minimo dubbio.
E' vero che noi non comprendiamo come ciò sia possibile, ma questo
non e ragione sufficiente per farcelo dubitare. Forse comprendiamo come

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fu possibile che Cristo davanti la tomba di Lazzaro morto da quattro giorni
dicesse le brevi parole: «Lazzaro, vieni fuori!» (GIOV. 11, 43) e il morto da
quattro giorni risuscitasse? Ebbene, fu lo stesso Cristo a dire sul pane:
«Questo è il mio Corpo»; e a dire agli apostoli: «Fate questo in memoria di
me».
Non si può credere alla Santissima Eucaristia? Si, non può essere
creduta... dagli increduli! Chi non crede nella divinità di Cristo,
naturalmente non può credere nemmeno nella Santissima Eucaristia. Ma
chi tiene che Cristo è Dio, anche se non può comprendere il come di questo
mistero, con umile fede tiene per vero ciò che Nostro Signore dapprima
solennemente promise e poi diede nel momento più grande della sua vita.
Veramente un simile articolo di fede, così inaudito,
così trascendente la nostra intelligenza, non lo accetteremmo mai da nessun
uomo; lo possiamo accettare solo in un caso: se lo stesso Dio ce lo rivela.
Signore, se lo dici tu, è verità. Come ciò sia possibile, la mia piccola mente
umana non può comprendere, ma che sia così, lo credo e lo confesso perché
l'hai detto tu.
Ma è poi certo, completamente certo e chiaro che Gesù Cristo
veramente insegnò ciò che crediamo della Santissima Eucaristia? Questa la
grande domanda, la domanda decisiva a cui risponderemo ora.
Se esaminiamo le parole con le quali nostro Signore I) promise, poi II)
istituì la Santissima Eucaristia, necessariamente dobbiamo concludere: E’
proprio così! Nostro Signore in verità offri un sacrificio inconcepibilmente
grande, offri se stesso nel Santissimo Sacramento per restare con noi fino
alla consumazione(fine)dei secoli.
Voi conoscete bene, o fratelli, i due passi del Vangelo, la storia della
promessa e della istituzione, reputo però che non sarà superfluo, ma anzi
utile per approfondire e irrobustire la nostra fede, il ricordarli nuovamente.

1. Gesù promette la Santissima Eucaristia

A) Portiamoci col pensiero a Cafarnao, dove una turba(folla) circonda


Gesù.

a) Un giorno prima il Signore aveva operato alla loro presenza un


grande miracolo, con cinque pani aveva saziato cinquemila persone. «Sento
compassione di questa folla, che già da tre giorni mi stanno dietro e non
hanno da mangiare.» (MARCO 8, 2). E perché non offrissero, li
satollò(saziò) miracolosamente.
Quale fine preparazione psicologica fu questo miracolo al discorso che
Gesù avrebbe detto all'indomani! «Ho compassione degli uomini», ma non

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già perché non vengano meno nel deserto, sebbene perché la loro anima
morrà d'inedia nel gran deserto della vita, se non darò anche alle anime un
cibo miracoloso.

b) Il Signore comincia il discorso con una certa aria di rimprovero


perché vede che il popolo gli si avvicina con intenzione non del tutto pura:
aspetta una nuova moltiplicazione di pani. «In verità, in verità vi dico, voi
mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di
questi pani e vi sieti saziati.» (GIOV. 6, 26).
Da questo pensiero passa subito a preparare gli animi all'annunzio della
gran nuova: «Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per
la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà.» (GIOV. 6, 27).
Ciascuno si domanda: Qual mai cibo ci darà? E Gesù dice chiaramente:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.Se uno mangia di questo pane vivrà
in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.»
(GIOV. 6, 51, 52).
«Per la vita del mondo!»Vale a dire, sotto le specie del pane vi darò
quel corpo che patirà sulla croce per la redenzione del mondo.
A queste parole pensò certamente S. Agostino quando scrisse con
classica concisione: «Gli uomini col mangiare e bere vorrebbero non
sentire più nè fame nè sete. Ma ciò si ottiene solo con questo cibo e con
questa bevanda. Chi se ne serve, si rende immortale e incorruttibile ed entra
nella comunione dei santi. Lì ci sarà pace ed unità piena e perfetta».

B) Ma si deve comprendere(interpretare) proprio così? Letteralmente e non


in senso metaforico, cioè la dottrina, le verità di Cristo, come se dicesse: vi
do la mia dottrina, chi la segue avrà la vita eterna?

a) Che il Signore non parlò in senso metaforico, lo si vede da ciò che


seguì poi.
Gli uditori interpretarono le parole letteralmente proprio così - come
oggi le interpreta la Chiesa - e appunto perciò cominciarono a discutere:
«Come mai costui può darci da mangiare la sua carne?» (GIOV. 6, 53).
Ci pare di sentire i moderni increduli: «Come potete immaginare che
quella piccola ostia inanimata sia il Cristo vivente?».
Il Signore vede questa agitazione, sente la discussione... e che fa? Se le
sue parole non dovevano essere intese letteralmente, avrebbe dovuto
correggerli: Non disputate, non intesi(non era questa la mia intensione)
così.
Li corresse forse? Affatto, anzi ripetè con più energia quello che aveva
detto prima: «In verità, in verità vi dico: Se non mangerete la carne del

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Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi»
(GIOV. 6, 54). E per rinforzare ancor più, perché non rimanga dubbio
alcuno, aggiunse: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in
me e io in lui.» (GIOV. 6, 56).

b) «Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo... »


Omero disse che gli uomini tendono le loro anime verso Dio come i piccoli
uccelletti affamati aprono il loro becco verso la madre.
Tolstoi disse che l'anima chiama Dio come l'uccellino cadente dal nido
chiama la madre.
E Gesù Cristo dice: Non solo dovete desiderare di unirvi a Dio, perfino
dovete cibarvi di Dio. Presi un corpo appunto per poter essere vostro cibo.
Da quando l'uomo vive sulla terra, è arso dalla brama di unirsi a Dio;
ora si compie l'ardente desiderio di tante generazioni. «Io sono il pane vivo,
disceso dal cielo» (GIOV. 6, 51). Sì, veramente un pane buono, un pane
saporito che «in sè contiene ogni diletto». Ha in sè, in modo prodigioso,
tutti i sapori secondo il bisogno di ciascuno. Chi è preso dai fumi della
superbia, vi trova l'umiltà. Chi è agitato dall'impurità, vi trova l'amore della
purezza. L'afflitto vi trova consolazione. Chi sta per cadere nella lotta, vi
trova la forza per vincere le tentazioni. 0 Cristo, tu sei il pane vivo!

C) Le ultime parole di Gesù provocarono un'agitazione ancora più


grande. Ora non discuteva più soltanto il popolo ma ne furono scossi anche
alcuni dei discepoli. «Questo linguaggio è duro,chi può intenderlo?»
(GIOV. 6, 61). Così dissero e cominciarono ad andarsene.

a) Eppure il linguaggio non era duro! Come l'avrebbero potuto capire


facilmente! Sarebbe bastato analizzare la natura e le leggi dell'amore.
Ecco le tre leggi fondamentali dell'amore: esser uniti, diventar una cosa
sola, viver l'uno dell'altro.
Esser uniti. Vi è maggior dolore che prender congedo e separarsi dalle
persone che veramente si amano? Che cosa non farebbero per non doversi
mai separare uno dall'altro? Ma l'uomo non e capace di tanto. Lo potè
Gesù. «Ecco che io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli».
Ma l'amore non si contenta(accontenta) della sola presenza. Vuole di
più, il diventar una cosa sola. Lui in me ed io in lui. L'uomo non può fare
neanche questo. Lo può Cristo. Perciò sparisce nella Santissima Eucaristia
la sostanza del pane e in suo posto viene Cristo glorificato per realizzare
covi(in secreto) i nostri sogni più secreti(nascosti,intimi): Io in Lui e Lui in
me. Che cosa succede di colui che si comunica? Entra in rapporto così
tenero con Cristo come l'amico con l'amico? No, più profondamente

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ancora. Come lo sposo con la sposa? No, più profondamente ancora. Come
la madre col figlio? No, ancor più profondamente.
Compiuta questa unione, segue il terzo grado, il più benedetto: viver
l'uno dell'altro. «Vivo non più io, ma vive in me Cristo» (Gal. 2, 20), ossia
Cristo sarà il motore, il principio e la norma della mia vita. «Chi mangia
questo pane vivrà in eterno», dice il Signore (GIOV. 6, 58).

b) Ciò proclamò Gesù nel discorso di Cafarnao, e ciò i suoi uditori non
vollero ammettere e preferirono abbandonarlo.
Quale dolore per Gesù! Con quanta tristezza li vide allontanarsene!
Colui che era venuto al mondo per salvare tutti! Non sarebbe stato questo il
momento di gridar a loro: Tornate, non mi avete capito!
E' assolutamente inammissibile che in una questione così fondamentale
Gesù abbia lasciato in errore i suoi apostoli e con loro milioni e milioni di
fedeli fino alla fine del mondo. Gesù non ci ingannò mai; lo avrebbe fatto
solo in questa verità di fede che è la più importante? Se Cristo non è
presente nel Santissimo Sacramento, ciò che noi facciamo nella Messa e
nella santa Comunione sarebbe idolatria, la più mostruosa idolatria! E Gesù
lo sapeva già allora - l'avrebbe permesso, l'avrebbe tollerato senza dire una
parola sola?!
Ma osserviamo, che cosa fa Gesù. Non corregge niente! Non rettifica
niente! Al contrario si rivolge ai suoi amici più diletti, agli apostoli: «Forse
anche voi volete andarvene?» (GIOV. 6, 67).
Come se volesse dire: Sapete quanto vi amo, ma se non volete credere a
quello che dico, andatevene anche voi; non rettifico affatto le mie parole.
Ditemi, fratelli, si poteva dire con più precisione con più chiarezza che
cosa fosse la santissima Eucaristia? Era possibile preparare in modo più
efficace gli apostoli, perché nel momento della sua istituzione non se ne
meravigliassero, non fossero incomprensivi o increduli?

2. Nostro Signore istituisce la Santissima Eucaristia

L'ultima cena fu il momento dell'istituzione.


Ciò che Gesù aveva promesso nel discorso di Cafarnao, lo diede quando
nel momento commovente del distacco tramutò il pane e il vino nel suo
Corpo e nel suo Sangue per restare sotto quelle specie (spoglie)con noi fino
alla fine del mondo (Matt. 26, 17-29; Marco 9, 12-25; Lucca 22, 7-20; 1
Cor. 11, 23-25).

A) Tutta la fede e la dottrina cattolica sulla Santissima Eucaristia hanno


fondamento su tre piccole proposizioni di Gesù. Esse sono: «Questo è il

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mio Corpo »; «Questo è il mio Sangue»; «Fate questo in memoria di me».
Queste tre proposizioni formano una unità e sono il fondamento di tutto ciò
che la Chiesa cattolica insegna sulla Santissima Eucaristia.
Che cosa insegna:

a) Qualche cosa di incomparabile, di inconcepibile, di immensamente


sublime.
«Questo è il mio Corpo»; «Questo è il mio Sangue». Rimasero le
apparenze esteriori del pane e del vino: il gusto, l'odore, la forma, il peso,
però non vi rimase la sostanza del pane e del vino; questa si tramutò nel
Corpo e nel Sangue di Gesù. Poichè Cristo vive ora glorificato nel cielo e il
Corpo e il Sangue del Cristo glorificato non possono essere separati - ciò
supporrebbe la morte - ne segue che tanto sotto le specie del pane quanto
sotto le specie del vino è presente tutto il Cristo vivo col suo Corpo, la sua
Anima, la sua Divinità, la sua Umanità, è presente veramente, realmente,
sostanzialmente.
Perché ciò non abbia a succedere una sola volta, vi provvede il Signore
col suo comandamento dato nell'ultima cena: «Fate questo in memoria di
me».
Il mondo non sentì mai parole di importanza così decisiva.
Incomparabilmente sublimi furono anche le parole uscite dalla bocca del
Creatore all'atto della creazione: Sia fatta la luce! E la luce fu fatta (Gen. 1,
3); ma queste parole portarono al mondo solo la luce, mentre quelle
portarono a noi lo stesso Creatore della luce. Immensamente sublimi furono
le parole dette da Maria Vergine all'angelo: «Eccomi, sono la serva del
Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Luca 1, 38); sublimi perché
portano Cristo sulla terra, ma lo portarono solo una volta. Invece, dacché
furono pronunciate le parole: «Fate questo in memoria di me», possiamo
costringerlo di venire in mezzo a noi; possiamo, per così dire, tenere
perennemente Gesù Cristo prigioniero sulla terra.

b) Mi direte: Non si meravigliarono gli apostoli al sentire queste parole


che suonano incredibili? Certamente si sarebbero meravigliati, anzi non
avrebbero creduto, se già prima non avessero veduto tante altre cose.
«Questo e il mio Corpo», «questo è il mio Sangue»: certamente ciò avrebbe
destato la loro incredulità.
Ma alla miracolosa moltiplicazione dei pani già videro con quanta
docilità la materia si piega alla volontà di Nostro Signore.
E quando Gesù Cristo comandò al mare in burrasca, videro che la virtù
della sua parola non era soggetta alle leggi del mondo materiale.

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E quando sul Tabor si trasfigurò alla loro vista, compresero che poteva
sottrarsi alle leggi della natura. Così è chiaro, perché con l'umiltà dell'anima
credente piegarono il capo al sentire le sublimi parole: «Questo è il mio
Corpo»; «Questo è il mio Sangue». Così sembra naturale che quel Cristo
che cominciò la serie dei suoi miracoli alle nozze di Cana col cambiare
l'acqua in vino, abbia voluto finire la sua vita terrena col cambiare il pane
nel suo Corpo e il vino nel suo Sangue.

B) E' dunque certa questa dottrina del Cristianesimo.

a) Sicuro. Se non fosse eresia l'esprimersi così,


direi che questa è la più certa di tutti gli altri dogmi. Non uno, non due ma
ben cinque autori ispirati la menzionano. S. Giovanni descrive la scena
della promessa; S. Matteo, S. Marco, S. Luca e S. Paolo ne descrivono
l'istituzione. E se Gesù Cristo dice sopra qualche cosa: «Questo è il mio
Corpo»; «Questo è il mio Sangue», quella cosa nello stesso momento
diventa Corpo e Sangue di Nostro Signore.
Eccetto un caso solo!
Solo nel caso che Gesù avesse voluto intendere figuratamente e non
letteralmente.
Sì, ma allora avrebbe dovuto usare altre espressioni e altre parole.
Oppure, volendo usare proprio queste, avrebbe dovuto aggiungervi una
spiegazione.
Se non le voleva interpretate letteralmente, allora avrebbe dovuto
aggiungervi come spiegazione press'a poco così: attenti a non capire
malamente(a non fraintendermi). Ho voluto dirvi: questo è il «ricordo», «il
simbolo” del mio Corpo; «in questo pane c'è il mio Corpo»; «il cibarsi di
questo pane sarà come il cibarsi del mio vero Corpo».
Sì, così Gesù avrebbe dovuto dire se avesse parlato in modo metaforico.
Come altre volte, parlando in parabole, ne spiegava anche il significato. Ma
qui non dice parola per far capire che voleva intendere figuratamente.

b) Anche la Chiesa non l'intese mai in modo figurato. Non è ora il caso
di passare in rivista le testimonianze scritte e scolpite, conservate in pitture
o edifici che dimostrano l'antichità e la continuità della fede nella
Santissima Eucaristia. Volumi poderosi se ne occuparono. Però desidero
ricordarne qualcuna.
Il più antico scritto cristiano che abbiamo fuori della Sacra Scrittura,
dunque il più antico documento scritto dalla fede dei primi cristiani ci
attesta che i primi cristiani avevano la stessa fede nella Santissima
Eucaristia che abbiamo noi. Il libro fu scritto nel secolo primo, è intitolato:

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Didaché (Dottrina dei 12 Apostoli). Nel capitolo XIV si legge: «Nel giorno
domenicale del Signore, raccoltivi, spezzate il pane e fate l'Eucaristia,
prima avendo confessate le colpe vostre affinché puro sia il sacrificio
vostro... Questo infatti è il sacrificio predetto dal Signore: «In ogni luogo
offrite a me sacrificio puro» (Malac. 1, 10).
Abbiamo pure sulla Santissima Eucaristia varie e preziose
testimonianze, p. es. di uno dei più antichi scrittori ecclesiastici, di
Tertulliano che nacque nel 160, in un tempo dunque nel quale poteva
benissimo conoscere la più antica dottrina cristiana sulla santissima
Eucaristia.
Che ne dice?
In un suo libro (De oratione, c. 19) menziona una cosa interessante. Nel
cristianesimo primitivo il digiuno era così rigorosamente osservato che,
mentre durava, i fedeli non mangiavano nè bevevano assolutamente nulla.
Tanto che alcuni non osavano nemmeno comunicarsi per non infrangere il
digiuno. Tertulliano li esorta a comunicarsi perché non si rompe il digiuno
«col ricevere il corpo del Signore» (accepto corpore Domini). E' dunque
certo che nel secondo secolo i cristiani consideravano l'Eucaristia come
vero Corpo del Signore, nello stesso modo di noi.
Un'altra volta (Ad uxorem 2, c. 4) Tertulliano ammonisce i cristiani a
non contrarre matrimonio coi pagani. La parte pagana permetterà alla
cristiana di accostarsi «al banchetto del Signore»? (convivium Dominicum
illud).
Nel capitolo IX dello stesso libro descrive con parole entusiastiche le
bellezze del matrimonio cristiano puro: «Come è felice l'unione degli sposi
cristiani che hanno la medesima fede, le medesime aspirazioni, il medesimo
modo di vivere! ....Insieme pregano, insieme adorano, insieme digiunano...
Insieme vanno alla chiesa, insieme s'accostano al banchetto divino
(convivium Dei)».
Tertulliano scrive ancora in un altro libro (De corona militum, 3):
«Riceviamo la santissima Eucaristia nelle nostre riunioni mattiniere e
solamente dalle mani dei superiori... Con cura badiamo che nulla del pane e
dei calice cada a terra». Perché tanta ansietà? Perché quello è il Corpo di
Cristo!
Citiamo ancora Tertulliano (De resurrectione carnis, 8): «Il corpo riceve
il Corpo e il Sangue di Cristo perché anche l'anima si nutra di Dio».
Quante testimonianze in un solo autore! E tutte del secondo secolo!
Ne potremmo citare anche di più di un altro scrittore, di S. Cipriano
nato intorno al 200.
In un suo libro (De lapsis, cap. 15) rimprovera che si riammettono
facilmente alla Chiesa coloro che defezionarono(tradirono la fede) dalla

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fede e che questi, ancora con la macchia dell'idolatria, s'affrettano a
ricevere il Corpo del Signore. Ancora non hanno placato il Signore, - scrive
nel cap. 16 -, e così «fanno violenza al suo Corpo e al suo Sangue e
peccano con la mano e con la bocca peggio di quando lo rinnegarono». Nel
capitolo 25 dello stesso libro chiama la Comunione «la bevanda santificata
dal Sangue del Signore» (sanctificatus in Domini Sanguine potus).
In una lettera (6 Epist. 15, 1) di nuovo rimprovera che diversi sacerdoti
riaccolgono troppo presto nella comunità cristiana coloro che apostatarono
durante le persecuzioni. Egli scrive: «Non hanno paranco(ancora) finito la
penitenza e già sono ammessi alla Comunione e così profanano l'Eucaristia
ossia il Corpo del Signore».
Vicino a testimonianze così chiare e decise, non possiamo far altro che
esclamare quello che disse un altro grande dottore della Chiesa primitiva, S.
Cirillo Gerosolimitano: «Poichè Egli medesimo (Cristo N. S.) disse del
pane: questo è il mio Corpo, chi oserebbe ancora dubitarne? e poichè disse
del vino: questo è il mio Sangue, chi potrebbe mai dubitarne affermando
che quello non è il suo Sangue?».
Fratelli! Le ultime parole di Gesù nel congedarsi dagli Apostoli furono
queste: «Sarò sempre con voi fino alla consumazione dei secoli». Questa
promessa così confortante e così incoraggiante dove trova meglio il suo
compimento che non nell'Eucaristia? Qui è realmente Gesù con noi, dimora
in mezzo a noi; viviamo con Lui, andiamo a riposare innanzi a Lui, ci
risvegliamo con Lui, possiamo visitarLa, possiamo appoggiare il nostro
capo oppresso dai pensieri sul suo Cuore palpitante d'amore... e - ciò che e
più - possiamo riceverLo e unirci con Lui!
Se qualcuno ancora chiedesse angustiato: «Per carità! Ciò è tanto
incredibile, tanto inaudito! E' proprio vero che Cristo sia realmente presente
nell'Eucaristia?» ... dico: se qualcuno ancora avesse dei dubbi, gli
domanderei:
Dimmi, o fratello, credi che Cristo esistette?
Come non lo crederei?
Credi che Egli era Dio?
Certamente.
E che ci amava?
E come!
E che può tutto colla sua potenza divina?
Sì.
E che disse: Questo è il mio Corpo? questo è il mio Sangue?
Pure.

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E allora?... e allora che cosa pretendi di più? Non credi alle sue parole?
Alle parole del Figlio di Dio? Non vuoi ripetere con S. Giovanni: «Noi
altri abbiamo conosciuto e creduto alla verità» (1 Giov. 4, 16)?
Si, o Signore! Credo, o Signore! Mi prostro innanzi a Te, o Signore!
Con cuore riconoscente, pieno di gioia, Ti adoro, o Signore, Ti adoro, o
Signore, o nostro Redentore che vivi in mezzo a noi nel Santissimo
Sacramento!
Io ti adoro devotamente, o Dio nascosto, che sotto questi simboli
veramente ti adombri. A te il mio cuore tutto si abbandona, perché
contemplandoti egli viene meno.
La vista, il tatto, il gusto non ti intendono, ma per le sole tue parole noi
crediamo sicuri. Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio. Niente è più vero
di questa verità.
Sulla croce era nascosta la sola divinità; anche qui l'umanità è nascosta:
tuttavia l'una e l'altra credendo e confessando, chiedo ciò che chiese il
ladrone pentito.
Come Tommaso non vedo le piaghe, eppure ti confesso mio Dio. Fa che
s'accresca sempre più in me la fede a Te, la mia speranza e il mio amore per
te.
O ricordo della morte del Signore, pane vivo, che dai la vita all'uomo, fa
che la mia mente viva di Te, e gusti sempre del tuo dolce sapore.
O pio pellicano, Gesù Signore, me immondo purifica col tuo Sangue, di
cui anche una goccia sola può salvare tutto il mondo da ogni delitto.
O Gesù che ora ammiro nascosto sotto i veli eucaristici, avvenga, Ti
prego, ciò che tanto bramo, che contemplandoti faccia a faccia, sia beato
nella visione della Tua gloria. Così sia!

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II. IL PRODIGIO DELL'AMOR DIVINO

Gesù allora gridò a gran voce: «Chi crede in me, non crede in me, ma in
Colui che mi ha mandato;chi vede me, vede Colui che mi ha mandato.
Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non
rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno,
perché non sono venuto per condannare il mondo, ma a salvare il mondo.
Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la
parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno.
Perché io non ho parlato da me , ma il Padre mi ha mandato,egli stesso
mi ha ordinato quello che io devo dire e annunziare.
E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io
dico, le dico come il Padre le ha dette a me».
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora
di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel
mondo, li amò sino alla fine.
Giov. 12,44 -8,1
Fratelli in Cristo!

E' noto quello che successe a Leonardo da Vinci nel dipingere l'ultima
Cena. Si dice che ormai erano pronte le figure degli apostoli; mancava
ancora il volto di Gesù. L'artista tentò più volte a dipingerlo, ma in ultimo
depose il pennello con le parole: «Non va. Un'impresa questa impossibile.
L'uomo meschino e peccatore non è capace di ritrarre degnamente il Figlio
di Dio nel culmine della sua potenza e del suo amore».
Cosi avrebbe desto il grande maestro nel lavorare
intorno all'ultima Cena. Lo steso sentimento prova l'oratore che deve
parlare dell'immenso dono datoci nell'ultima Cena, ossia dell'Eucaristia.
Il grande compositore Riccardo Wagner scrisse: «Il sapere che vi fu un
Redentore, è il massimo bene degli uomini». Il sapere che dimorò fra noi è
già questo solo tesoro inapprezzabile! Che sarà poi il sapere che non
solamente un giorno fu fra noi, ma che vi si trova anche oggi? E' qui,
personalmente, col suo Corpo e con la sua Anima, quello stesso Cristo
vivente che un giorno abitò la terra! Perché proprio così è presente in
mezzo a noi Gesù nell'Eucaristia, in questo grande prodigio d'amore.
Il grande storico Leopoldo Ranke dice di Gesù Cristo: «Non vi fu sulla
terra niente di più innocente, di più potente, di più grande, di più santo della
vita, opere e morte di Gesù Cristo; dalla sua bocca spira la più pura aria
divina; le sue parole, come si esprime Pietro, sono parole di vita eterna».
Cosi scrive Ranke non cattolico. Che cosa avrebbe detto, se la sua fede

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gli avesse dettato quello che detta a noi: che cioè quel medesimo Cristo
innocente, potente, grande, santo vive davvero anche oggi tra di noi nella
santissima Eucaristia, in questo grande prodigio d'amore?
Giustamente chiamiamo la santissima Eucaristia «prodigio dell'amor
divino». S. Giovanni Apostolo non senza motivo comincia a narrare
l'ultima Cena con le parole: «Poichè egli aveva amato i suoi che erano nel
mondo, li amò sino alla fine» (Giov. XIII, 1). In verità dobbiamo
l'Eucaristia all'amor divino del Cuor di Gesù. Conoscendo l'amore infinito
di questo Cuore possiamo comprendere
I) che soltanto l'amore spinse Gesù a tanto sacrificio
e II) che soltanto questo amore risolve tutte le difficoltà che possono
presentarsi intorno al Santissimo Sacramento.

1. L'amore spinse Gesù a tanto sacrificio

A) Non è possibile misurare con misura umana, né esprimere con parole


umane l'amore di Cristo. Possiamo meravigliarcene, quando ci mancano le
parole per esprimere la profondità, la grandezza e lo spirito di sacrificio che
sta nel cuor di una madre che pur sempre è un cuor umano?

a) Quale enorme differenza tra l'amore umano e l'amore divino!


L'amore umano è mutevole, passeggero, breve. Più di tutto angustia i
genitori morenti il pensiero di dover separarsi dai figli che tanto amarono.
Se fosse in loro potere, resterebbero ancora certamente con loro. Ma non è
in loro potere. Perciò danno loro qualche ricordo -- un'immagine, un anello,
una ciocca di capelli - perché i figli non li dimentichino.
Ciò nonostante li dimenticano prima o poi. Perché purtroppo tutti
abbiamo il difetto di dimenticare con facilità.
Così avremmo dimenticato anche il Signore se non avessimo il Santissimo
Sacramento. Immaginiamoci per un momento di essere senza la Santissima
Eucaristia, che cosa ci resterebbe di Gesù Cristo? Un pallido ricordo... c'era
una volta, 2000 anni fa, epoca felice, quando Dio incarnato per 33 anni
vagò sulla terra, operò miracoli, insegnò, curò infermi, mori, risuscitò, e
ritornò in cielo.
Un freddo ricordo storico, una cara immagine sbiadita sarebbe il Cristo
dimenticato.

b) Ma Egli non volle essere il Cristo dimenticato. L'uomo lotta contro la


dimenticanza, ma senza successo, perché è incapace di vincerne la forza.
Però Gesù aveva a disposizione il suo potere divino, per la virtù del quale

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potè fare ciò che vorrebbe e non può chiunque lascia il mondo: Lasciò qui
se stesso per sempre.
Mirate(vedete) la stupenda invenzione del suo infinito amore! Arrivò
l'ora della separazione. Pensò che cosa avrebbe lasciato agli uomini in vece
di se stesso. Che cosa lasciare di corrispondente? Null'altro che se stesso.
Da allora «siede alla destra del Padre», ma resta anche coi noi, non in
figura, non come morto ricordo, ma nella sua piena, viva realtà. Ciò poteva
essere effettuato solo dalla infinita potenza divina unita all'infinito amor
divino.
Giustamente scrive Prohaszka: «L'’Eucaristia è un ricordo, non una
statua, non uno scritto; il ricordo dell'amore, o stesso amore... come se nella
statua di un uomo vivesse lui stesso e continuasse ad amare come una
volta...» (0. 0.XXIII, 10, 1).
Per conseguenza, la condizione di noi cristiani che viviamo ora è molto
migliore di quelli che vivevano al tempo di Gesù. Quelli che vivevano
allora potevano, se lo volevano, toccare, al più, l'orlo delle sue vesti. Noi
invece, senza eccezione, possiamo arrivare fino a lui non per toccargli l'orlo
della veste, ma per rinchiuderlo tutto in noi nel nostro petto in tutta la sua
realtà.
Come è profonda la nostra fede! A ciò avrà pensato quel professore
universitario americano quando disse: «Quello che più m'impone e mi piace
nella religione cattolica si é che essa soddisfa egualmente il cardinale
Newmann e il mio cuoco».
Invero possiamo affermare del Santissimo Sacramento che se anime
profonde ed alte menti, come Newmann, oppure uomini semplici fissano su
di Esso il loro sguardo di fede, tanto gli uni quanto gli altri vi trovano una
fonte inesauribile di pensieri e di grazie di cui hanno bisogno. Oh si, questo
è lo stile, diciamo, monumentale del pensiero divino!
Monumentale davvero! Monumentale diciamo una grande statua, un
maestoso edificio, un libro voluminoso... Però di monumentale in tutto il
mondo creato non c'è che una sola cosa: l'infinito amore di Nostro Signore
nascosto nella piccola Ostia. è qui che si compie esattamente la parola di S.
Paolo «Mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal. 2, 20).

B) Che cosa costò a Gesù questo amore. Non lo potremo ricordare mai
con bastante(sufficiente) affetto e riconoscenza. O Signore, non hai pensato
dunque a che cosa ti esponi nel darti così a noi?
O sì, ben lo sapeva, lo vedeva, lo sentiva - eppure lo fece!

a) Non diciamo le cose più spaventose... Non pensiamo agli sciagurati


scassinatori, che vanno a rubare nelle chiese, forzano la porticella del

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tabernacolo e spargono a terra, versano nei canali, gettano nelle immondizie
la santa Ostia... Inorridisce l'anima nostra all'udire simili infami
profanazioni - ma ora non ne parliamo.
Non pensiamo nemmeno all'altra mostruosità quando qualcuno s'accosta
alla Comunione in peccato mortale e costringe il purissimo Salvatore a
venire in un pantano spirituale che gli reca più dispiacere che non il cadere
nelle mani degli scassinatori. No, ora non parliamo nemmeno di questo.

b) Consideriamo solo quello che accade normalmente; quale sacrificio,


quale rinunzia, quale pazienza costi al Signore mentre si dà anche ai suoi
fedeli!
Per restare in mezzo a noi, Gesù Cristo dovette essere un Dio nascosto,
un Dio dimenticato, un Dio abbandonato, un Dio misconosciuto... e non
indietreggiò davanti a questo sacrificio.
Durante la sua vita terrena almeno fu uomo - qui non sembra nemmeno
uomo. Durante la sua vita terrena lo seguiva una moltitudine di popolo - qui
spesso non Gli si avvicina anima viva. Ogni notte, abbandonato a se stesso,
in silenzio veglia sui nostri altari. Signore, che fai tutto il giorno e durante
la notte silenziosa nella Santissima Eucaristia ?
Cosi chiede umilmente l'anima fedele e non c'è altra risposta che questa:
Il Signore veglia su te e prega per te. Prega il suo Padre celeste che abbia
pietà di te e di tutto il genere umano. L'umanità commette ogni giorno una
moltitudine di orrendi peccati e se il Signore nella sua collera non la
cancella dalla faccia della terra, lo si deve all'azione espiatrice del
Santissimo Sacramento. E' l'Eucaristia che trattiene il braccio del Dio
offeso.
Al meditare questo come non prorompere in inni di grazie!
Non possiamo trovare parole più adatte di quelle
dette con tanto trasporto da S. Giovanni: «Perché Egli aveva amato i suoi
che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (8, 1). Fino alla fine, fino
all'estremo.

2. L'amor di Gesù risolve le nostre difficoltà

Come non credere a chi ci ama in questo modo? Mi sforzo con


ragionamenti di comprendere meglio che posso il suo grande dono, però la
risposta che risolve ogni dubbio, la risposta definitiva la trovo nel suo
amore infinito.

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A) Qual'è l'obbiezione che si fa di solito contro la Santissima Eucaristia:
«La prova contraria dei nostri sensi». «Non vedo e non sento nulla di Gesù
nell'Eucaristia», dicono gli increduli.

a) Questo è vero: Non vedo nulla di Gesù nell'Eucaristia.


Ma che cosa prova ciò contro la sua realtà e verità? Nel mondo ci sono
tante cose, delle quali pure non vedo nulla, e se ne vedo qualcosa, la vedo
malamente perché la vedo altrimenti che non sia in realtà.
So, per esempio, che la terra con vertiginosa velocità ruota nello spazio,
e i miei sensi non mi dicono niente di questo. Anzi, ho l'impressione che la
terra sia ferma sotto i miei piedi.
Così i sensi mi dicono che il sole si leva ogni mattina; vedo anche dalla
cima del mondo, come lentamente, in bel modo si innalza sul cielo, - tutto
ciò non è vero perché il sole non sorge.
Se il cielo è coperto, non vedo il sole. Dunque non esiste il sole? Come
no, solo che non lo vedo perché coperto dalla nube. Le specie del pane e del
vino non sono forse la nube che copre il Cristo Eucaristico? Non vedo il
Cristo, ma Egli è lì!
Guardo d'inverno il campo, come sembra freddo, rigido, immobile,
senza vita, eppure sosto di esso ferve una vita di milioni di esseri. Guardo
d'inverno il bosco: alberi spogli, rigidi, morti, eppure ferve in essi una vita
meravigliosa. Guardo i fili del telefono che attraversano le strade; quanto
freddi e muti, - eppure in essi vibra la musica, la parola, il messaggio di
milioni d'uomini.

b) Ti lagni di non sentir nulla nella Eucaristia. Senti forse i 20.000


chilogrammi che in questo momento pesano sovra di te? Sovra di te e sopra
ogni uomo!
La terra è circondata da uno strato d'aria di circa 180 chilometri
d'altezza. Ciò significa che noi sulla terra viviamo come in un mare alla
profondità di 180 chilometri, solo che sopra il nostro capo non c'è acqua,
ma aria. Ma anche quest'aria ha il suo peso e non piccolo: un chilogrammo
per centimetro quadrato. Ogni uomo dunque porta su di sè il peso di 20.000
chilogrammi. Il peso di un autobus affollatissimo è eguale a quello che ci
grava continuamente, giorno e notte. Ne senti anche una minima parte?
Nulla. Ed è proprio così? Si, me lo assicura la scienza.
Nell'Eucaristia è presente Gesù Cristo. Lo senti? No. Ed e così? Si, me
lo assicura Gesù che sa tutto e può tutto.
Come bene scrive il nostro grande Pazmàny: Se al gusto non sentiamo
che il sapore del pane, se alla vista non vediamo che il colore del pane non
è giusto che ci fermiamo alla percezione dei sensi ma la parola di Dio ci

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porta più innanzi; dobbiamo attenerci a ciò che dice Dio, cioè che nella
Comunione ci cibiamo del suo Corpo, delle sue Carni. Quelli che videro il
nostro adorabile Salvatore durante la sua vita terrena specialmente alla sua
passione e morte, avrebbero potuto credere, secondo i loro sensi e secondo
il loro criterio umano, che Colui che stava crocifisso in mezzo ai ladroni
fosse Dio immortale, eterno, creatore e re del cielo e della terra?

B) Altri poi muovono altre difficoltà. Nell'Eucaristia è presente Cristo


tutto, tutto intero, e indiviso in ogni singolo anche più piccolo frammento.
E se si spezza l'Ostia - come la divide il sacerdote in tre parti nella S. Messa
prima della Comunione - Gesù non viene diviso. Egli resta indiviso in ogni
frammento.

a) Non lo comprendi? Ti sembra impossibile? Che non lo capisca,


concedo. Ma lo ritiene impossibile solo colui che non crede che Gesù è
Dio, il Signore e Creatore onnipotente del mondo.
Prendi in mano uno specchietto della grandezza dell'ostia della Messa.
Guardalo, che cosa ci vedi? Il tuo viso. Intero, indiviso. Fanne tre pezzi.
Guardali, che cosa ci vedi? S'e spezzato in tre parti anche il tuo viso? No. In
tutti e tre i pezzi dello specchietto si vede il tuo viso uno e indiviso.
Ma non è che un paragone. Come tutti i paragoni, zoppica anche questo.
Zoppica perché nello specchio non c'è che la tua immagine; nell'Eucaristia
invece non c'e l'immagine di Gesù, ma lo stesso Gesù vivo e vero. Ma
seppure zoppica il paragone, esso ci aiuta ad avvicinarci in qualche modo al
mistero della Santissima Eucaristia.
L'anima è intera in tutto il corpo e in ogni sua singola parte, così Nostro
Signore e intero in tutta l'Ostia come in ogni sua singola parte.
Potrei domandare: Come la piccola Ostia può contenere tutto Gesù?
Perché non domandi come il tuo piccolo occhio contiene tutta questa
grande chiesa? Dio Onnipotente che dotò la natura di magnifiche forze e
leggi, non sarebbe capace di operare un altro miracolo quando si tratta di
lasciarci un monumento grandioso del suo amore?

b) Naturalmente. E se Gesù te lo dice, lo crederai? Pensa quante cose


non comprendi.
Se mangi un pezzo di pane, esso si trasforma nel tuo proprio corpo.
Succede così ma nessuno sa come il pane si trasforma in sangue, muscoli e
ossa.
Il sole risplende sulla vite e la vite assorbe zucchero e aroma. Che sia
così, lo sai, ma come ciò avvenga, non lo sai. Lo stesso sole risplende
anche sul giglio che sta sulla medesima terra su cui sta la vite, eppure non

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assorbe nè zucchero nè aroma, ma quelle materie che danno al giglio lo
stelo, le foglie, i petali e la fragranza. Che così sia, lo sai, ma non sai come
ciò avvenga né tu né altri.
Pazmàny si serve ancora di un'altra similitudine: «Non ti entra in testa
come un corpo di tanta ampiezza possa trovarsi sotto le specie di un
pezzetto di pane? Potremmo risponderti che a levarti questa difficoltà basta
osservare ciò che accade tutti i giorni. La parola che esce dalla mia bocca,
per quanto sia una, entra nell'orecchio di migliaia di persone e nessuno ne
sente di meno anche se sono molte a sentirla. Perchè ti meravigli se la
parola di Dio, il Verbo di Dio fattosi uomo, benché sia uno solo, arrivi a
molti?».
Potremmo continuare la similitudine: Se una verità dapprima è
conosciuta da dieci uomini, poi da cento, poi da mille, la verità con questo
non soffre diminuzione. Se un corpo è diviso in dieci, cento, mille parti, la
forza di gravita non viene divisa ne diminuita.
Con proprietà dice S. Tommaso:
Quel che a cena fece ai suoi
Cristo impose pur a noi
Farsi in sua memoria.
Noi fedeli al suon divino
Conosciamo il pane, il vino
Ostia salutifera.
Da chi il toglie, non reciso,
Non infranto, non diviso:
Tutto intero prendesi:
Uno il prende, il prendono mille:
Quanto l'uno, tanto i mille; Nè, preso, consumasi.

C) Ora non c'è più nulla di incompreso nella Santissima Eucaristia?


Abbiamo risolto tutte le difficoltà? O no! Il nostro piccolo intelletto potrà
investigare, potrà argomentare... però la definitiva, la risposta che risolve
ogni difficoltà non è che una sola: l'amore infinito di Cristo.

a) Per quanto studiamo la SS. Eucaristia, per quanto cerchiamo di


sviscerarne la dottrina, essa resterà sempre un mistero, uno dei più grandi
misteri della nostra fede. Resterà ineffabile come Dio stesso. Resterà abisso
insondabile come lo stesso Dio.
Allora perché crediamo in essa?
La risposta è: Crediamo perché il Signore ci ha amato fino alla fine, fino
all'estremo. L'amore è capace di tutto, anche dell'impossibile. «Mi ha

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amato e ha dato se stesso per me» (Gal. 2, 20). Gesù fece per noi
l'impossibile. L'offende chi non gli crede.
Il grande eroe della libertà irlandese Daniele O' Connel così si espresse
una volta. Stava parlando in un corridoio del parlamento inglese con dei
deputati scozzesi non cattolici. Uno d'essi inveì contro la fede nella
Santissima Eucaristia: si può essere tanto sciocchi da credere che l'Ostia sia
il Corpo di Gesù? O' Connel con calma, da cui però traspariva la sua ferma
fede, disse solo questo: Sono questioni che lei dovrebbe sbrigare
direttamente con Gesù. Renda responsabile Lui, perché fu Lui a dire che
quello era il suo Corpo.
E se si presentasse il dubbio degli increduli: Come mai potè Gesù avere
il pensiero così strano di nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, la risposta
nuovamente la darebbe l'amore: Non fa lo stesso la madre? Non forma col
suo stesso corpo, non nutre col suo stesso sangue il figlio non ancora nato?
Come potrebbe permettere Gesù che in amore lo superi un solo cuore, sia
pure il cuore di una madre?

b) Oh! se Gesù mi desse questa fede forte, irremovibile, che non


ammette dubbi, verso la Santissima Eucaristia! Oh, se me la desse...
La dà a tutti, la da, la offre a tutti... ma stendiamo la mano per riceverla?
Perché se non stendiamo la mano, non la riceveremo nemmeno.
Dio ci dà l'aria ma bisogna respirare - se non respiri, soffochi.
Dio dà la luce, ma bisogna aprir gli occhi - se non li apri, resti al buio.
Dio dà il pane, ma bisogna mangiarlo - se non lo mangi, muori di fame.
Così Dio dà, offre la Santissima Eucaristia e la fede in essa; ma devi
riceverla; se non la ricevi, se non vivi di essa, la tua anima sarà pallida,
anemica, malata e morrai. Perché per tutti valgono le parole di Gesù: «Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo
risusciterò nell’ultimo giorno.» (Giov. 6, 54).
Fratelli. Nella piccola città di Orvieto vicino a Roma c'è una magnifica
cattedrale costruita dal Papa Urbano IV in memoria del miracolo di
Bolsena.
Ve lo ricordate? Nel celebrare la S. Messa il sacerdote è sorpreso dal
dubbio umano sopra la presenza reale di Gesù nella Eucaristia... ed ecco,
alla consacrazione, il vino si trasformò in sangue visibile, fervente, e,
uscendo dal calice, si sparse sull'altare. Quanti e come innumerevoli
miracoli si operano giornalmente mediante la Santissima Eucaristia! Al
ricevere il Santissimo Sacramento anime fin allora morte diventano
ferventi; attive, forti, vittoriose; si trasformano in templi viventi del grande
miracolo della Santissima Eucaristia.

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Certamente l'Eucaristia è la pietra di paragone della nostra fede. Mette
anche noi ad un bivio. Il Signore domanda anche a noi quello che domandò
in Cafarnao ai discepoli: «Forse anche voi volete andarvene?» (Giov. 6,
67). Che cosa potremo rispondere al Signore se non quello che disse S.
Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» (Giov.
6, 68). Non lo comprendiamo..., non lo comprendiamo... ma lo crediamo.
Crediamo, o Signore, crediamo con fede incrollabile, con fede che ci
innalza e ci obbliga a prostrarci in atto di adorazione, crediamo che Tu ci
hai amato. Ci hai amato non solo andando alla morte per noi ma anche
trovando il modo di restare con noi oltre la morte. Mossi da questa fede,
con amore diremo sempre: Sia lodato e ringraziato ogni momento il
Santissimo e divinissimo Sacramento!

III. CIBUS VIATORUM

Temette Elia e levatosi se ne andò dove volle e giunse in Bersabee di


Giuda, dove lasciò il suo servo.
Egli s'inoltrò poi nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi
sotto un ginepro e desiderò di morire, dicendo: «Basta, o Signore; prendi
l'anima mia; poiché io non sono migliore dei padri miei».
Poi si sdraiò e dormì all'ombra del ginepro. Ed ecco l'angelo del
Signore toccarlo e dirgli: Levati e mangia ». Guardò e vide presso il suo
capo un pane cotto sotto la cenere e un vaso d'acqua. Mangiò allora e
bevve e di nuovo si addormentò.
Per la seconda volta tornò l'Angelo del Signore a toccarlo e a dirgli:
«Levati e mangia, poiché ti resta una strada lunga da fare».
Essendosi allora levato, mangiò e bevve e fortificato da quel cibo,
camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio Oreb.
3 Re, 19, 3-8

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Fratelli,

La Sacra Scrittura ci narra un episodio molto istruttivo della vita del


profeta Elia.
La regina idolatra degli Ebrei Iezabel cercava a morte il grande profeta.
Costretto a fuggire, si sentì estenuato dalla fatica, e seduto all'ombra di un
ginepro nel deserto, si rivolse a Dio: «Basta, o Signore, prendi l'anima
mia» (3 Re, XIX, 3).
Allora l'angelo del Signore toccò il profeta addolorato e stanco a morte
e lo invita a prendere pane ed acqua. «Levati e mangia - gli disse l'angelo -
poichè ti resta una strada lunga da fare» (3 Re, XIX, 7). Quest'uomo,
mezzo morto, acquistò tanto vigore da quel cibo che potè andare per il
deserto per quaranta giorni...
Siamo noi quell'uomo stanco a morte. Ma noi abbiamo da camminare
non per quaranta giorni nel deserto della vita ma per tutta la durata della
vita. Però non riceviamo dall'angelo il pane che ci dà forza, ma da Cristo
stesso riceviamo il «pane degli Angeli»; riceviamo lo stesso Corpo di Gesù
Cristo. Quante volte ci sentiamo abbattuti dalle vicende avverse della vita!
Quante volte ci sentiamo colpiti dai dolori e dalle disgrazie! Quante volte
sentiamo urlare intorno a noi gli sciacalli della tentazione e del peccato!
Chi ci darà forza allora? Chi ci salverà? Il Corpo e il Sangue di Gesù
Cristo.
Giustamente l'inno di S. Tommaso d'Aquino chiama l'Eucaristia cibus
viatorum, cibo dei viandanti. Chi vive dell'Eucaristia, trova in essa una
fonte di energia atta a vincere ogni difficoltà della vita.
1) Ti lagni che non trovi pace? L'Eucaristia è pace nella lotta.
2) Ti lagni che non sei capace di vincere? L'Eucaristia è vittoria nelle
difficoltà.
3) Ti lagni che hai bisogno d'aiuto? L'Eucaristia è aiuto nelle necessità.
4) Ti lagni che la morte ti spaventa sempre più? L'Eucaristia è vita nella
morte.
Chi medita questo quadruplice effetto dell'Eucaristia, dà ragione a S.
Tommaso quando chiama l'Eucaristia cibus viatorum.

1. Pace nella guerra

A) Tutta la nostra vita terrena non è che una continua guerra o travaglio.

a) Beethoven per la «Missa soleninis», una delle sue opere più grandi,
scelse il motto: «Bitte um aüsseren und inneren Frieden». Preghiera per la
pace interna ed esterna. Osserviamo che nel 1822, quando compose l'opera

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non c'era guerra in tutta l'Europa. E' chiaro che non pensava alla guerra
mentre implorava pace al Signore. Usciva dal suo petto l'aspirazione
profonda dell'anima che invoca la liberazione degli infiniti dolori, pensieri,
tentazioni, tempeste della vita terrena.
Non fu solo Beethoven a sentire questa brama dolorosa, bruciante; la sente
anche chiunque abbia un'anima delicata. Vediamo dolorosamente l'abisso
profondo che esiste tra l'ideale e la realtà, tra il premio e il merito, tra il
bene e il male, tra la virtù e il peccato; in una parola tra Dio e il mondo.

b) L'uomo moderno conquistò quasi tutto il mondo: ha tutto, meno la


pace.
Possediamo scienza, macchine, fabbriche, una tecnica sviluppatissima;
ma che vale tutto ciò se non abbiamo pace, moralità, onestà, religione?
Che sorte ci attende? Quale ne sarà la fine? Non ha forse ragione quello
scrittore francese, per quanto non cristiano, di fare, alla fine del suo
romanzo, questo terribile quadro dell'umanità d'oggi? Il rapido corre con
velocità spaventosa... tutti i passeggeri sono ubriachi. Ubriachi pure il
macchinista e il fochista; lottano fra di loro e uno getta a terra l'altro. La
locomotiva rimasta senza conduttore corre avanti a precipizio. I passeggeri
non s'accorgono di nulla: ridono, bevono e schiamazzano... e il treno corre
pazzamente... attraverso ponti, viadotti, gallerie... senza fermarsi alle
stazioni... avanti nella notte oscura. Ma fino a quando? Come finirà?
Ditemi, vi pare esagerato questo quadro della vita umana d'oggi? Uno
dei più celebri neurologhi della nostra epoca (I. G. Jung), dopo una lunga
esperienza medica, pervenne a questa convinzione: «Di tutti i miei pazienti
che passarono l'età media, cioè i 35 anni, non ce n'è uno il cui problema
ultimo non sia la questione religiosa. Ciascuno è malato per aver perso
quello che la viva religiosità seppe dare in ogni tempo ai suoi seguaci e
nessuno risanò perfettamente se non riuscì a riconquistare la convinzione
religiosa» (Id. St. Konradsblate, 1937, P. 38).

B) Che cosa se ne deduce per la nostra tesi? Se ne deduce che chi crede
con fede viva nella Santissima Eucaristia, non solo ha convinzione
religiosa, ma ha trovato pure il fondamento più sicuro della convinzione
religiosa e con ciò ha trovato la pace nell'odierna inquietudine.

a) L'umanità dimostra di aver perduto qualche cosa di importante che


ora cerca disperatamente. D'allora rovina la vita familiare. Ha perduto
qualche cosa; d'allora i matrimoni sono infelici. Ha perduto qualche cosa:
d'allora se ne va l'educazione dei figli, seppure ce ne sono di figli. D'allora,
come nube oscura, gravano su di noi la spaventosa vacuità della vita e ogni

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problema insoluto,... da allora tutti sono infermi. Ha perduto qualche cosa...
Frequentiamo gli ambulatori dei medici psico-analitici, ma non ritroviamo
la pace. Spendiamo soldi per gli indovini, per i chiromanti, per gli
astrologhi... ma la pace non viene. Ci aggrappiamo qua e là, da Nietzsche a
Tagore, da Tagore a Laotse, evochiamo gli spiriti, facciamo grande
consumo di bromuro, veronal e luminal, ma non riacquistiamo la pace.
Abbiamo perso qualche cosa...
Che cosa andò perduta?
Andò perduto quello «che la viva religiosità seppe dare in ogni tempo»:
andò perduta la pace dell'anima.

b) Ora volgo lo sguardo al Santissimo Sacramento. Lì, silenzio,


tranquillità e pace. Pare che voglia con la sua forma esteriore, renderci
attenti che dobbiamo procedere nella nostra vita con l'anima in pace e con
gioia, anche se la vita dovrà essere amareggiata da sacrifici.
Gesù scelse il vino per materia della Santissima Eucaristia. Dai tempi
più remoti, l'umanità unì al vino due idee, quella del sacrificio e quella della
gioia. Così opera il vino tramutato nel Sangue di Gesù; chi lo prende, ne
riceve forza e rassegnazione non solo per sopportare i sacrifici e le lotte
della vita ma per accoglierli con animo gioioso in tutta la loro estensione.
Così potrà goder la pace anche nella lotta.
Poco prima della Comunione, il celebrante si inchina verso il Signore che
sta sull'altare, e, battendosi umilmente il petto, dice: «Agnello di Dio, che
togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi». Poi, ripete una seconda volta:
«Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi». La terza
volta dice invece: «Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dà a noi
la pace ».
La nostra anima e senza pace. L'Eucaristia le offre questo bene.

2. Vittoria nelle angustie

Inoltre la Santissima Eucaristia è vittoria nelle angustie.

A) La vita dell'uomo sopra la terra è una milizia (Giob. 7, 1), dice la S.


Scrittura e chi non ha esperimentato la verità di questo passo durante la sua
vita?
Quante lotte e quante difficoltà per difendere, sviluppare e perfezionare
l'anima! Quante lotte contro gli innumerevoli nemici interni ed esterni..!
Contro i nemici esterni: contro i cattivi, contro le incomprensioni, contro i
malintesi, contro le calunnie, contro il contagio del mal esempio... E lotta
contro i nemici interni: contro il proprio io, contro la nostra natura corrotta,

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contro la nostra debole volontà, centro i nostri desideri contrastantisi,
contro le inclinazioni ereditarie, contro la leggerezza...
C'è da meravigliarsi se l'amarezza ci fa esclamare, come il profeta Elia:
«Basta, o Signore, prendi l'anima mia». E' da meravigliarsi se anche noi
gemiamo con S. Paolo: «Disgraziato che io sono! chi mi libererà da questo
corpo di morte?» (Rom. 7, 24).

B) Chi mi libererà? Chi mi darà la vittoria? Lo stesso S. Paolo ce lo


dice: «La grazia di Dio per Gesù Cristo Signor nostro» (Rom. 7, 25).
Oh si! Ci libera N. S. Gesù Cristo quando lo prendiamo nella S.
Comunione; allora ci assicura la vittoria. Quante anime che si dibattevano,
che soffrivano senza speranza, anime che stavano per affogare nei gorghi
del peccato, sperimentarono in se stesse la grande verità che l'Eucaristia è
veramente pegno di vittoria nelle angustie della vita.
Ciò si può affermare anche allora quando il risultato della Comunione
frequente sembra scarso.
Un capitano marittimo si comunicava sperso, però, per natura, montava
in collera molto facilmente.
Un giorno, mentre parlava in confidenza cogli ufficiali di bordo, uno gli
fece l'osservazione:
- Comandante, non capisco; sei così religioso, ti comunichi di frequente
e così facilmente vai in collera. Il capitano rispose solo questo, e aveva
ragione:
- Se non mi comunicassi tanto spesso, già da tempo vi avrei gettato in
mare tutti.
Quante volte incontriamo nella vita simili persone che combattono una
lotta incessante contro le innate inclinazioni cattive! Spesso vediamo con
meraviglia uomini colpiti da un cumulo di disgrazie, senza trovare una via
d'uscita, eppure resistere, combattere e tollerare la vita! Conoscete il
segreto della resistenza di Verdun nella prima guerra mondiale? I tedeschi
assalirono la fortezza con incredibile veemenza(foga), ma non poterono
prenderla. La strinsero d'assedio, ne preclusero tutte le vie, e la fortezza
resistette ancora. Resistette e non s'arrese perché un segreto corridoio
sotterraneo la univa alla madrepatria, e quest'ultimo filo la salvò.
Per quanto la vita ci si mostri senza speranza, anche se le rovine ci
coprano e ci chiudano ogni via di salvezza, ci resti almeno l'ultimo scampo:
la nostra fede, l'ultimo filo che ci unisca alla madrepatria, a Gesù nel
Sacramento - allora resteremo a galla e sperimenteremo in noi stessi che la
Santissima Eucaristia è pegno di vittoria.

3. Aiuto nelle necessità

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Ma v'è di più: la Santissima Eucaristia è anche aiuto nelle necessità.

A) Se v'è qualcuno che conosca le amarezze delle sofferenze umane è


proprio Gesù. Quel Gesù che percorse tutta la via della croce, che sulla
croce soffrì una sete ardentissima eppure rifiutò la bevanda offertagli
perché narcotizzante. Egli volle assaporare fino in fondo tutti i dolori con la
piena coscienza di se stesso.

a) Questo Gesù come non avrebbe cuore e compassione per le nostre


necessità e afflizioni? Prostrati innanzi al Santissimo Sacramento, ci
sentiremo forti, sicuri, difesi, anche se si scatena sul nostro capo la bufera.
Un professore scozzese, di nome Smith, partì da Zermate con una buona
guida per intraprendere la scalata del Weisshorn. Vi arrivarono dopo fatiche
enormi. Il professore fu preso da tanto entusiasmo per la felice riuscita che,
non badando al vento violentissimo che infuriava sulla cima, si fermò in
piedi su di essa per meglio ammirare lo spettacolo. La guida s'accorse
subito del pericolo in cui andava incontro il professore e gli gridò: «Giù, in
ginocchio; qui si è sicuri soltanto in ginocchio!
Sì, o fratelli, solo in ginocchio avanti la Santissima Eucaristia! Cosi,
potrà scatenarsi intorno a noi qualunque tempesta senza pericolo di esserne
schiantati.

b) Spesso occorre più coraggio per vivere che per morire. Chi darà
questo coraggio e aiuto sovrumano? Chi altri se non Gesù Eucaristico?
A Carlsbad s'eleva a più metri d'altezza la celebre fonte e gli ammalati,
pieni di speranza e fiducia, bevono di quell'acqua calda per ottenere la
guarigione.
Nell'Eucaristia scaturisce la fonte di salvezza per milioni e milioni di
ammalati d'anima. Nella fonte di Carlsbad, l'acqua degli abissi si apre la
strada e risente del fuoco vulcanico dell'interno della terra. Qui, invece, la
fonte viva dell'Eucaristia viene aperta dalla forza dell'amore divino di Gesù
e in essa arde il mare infocato del Cuore divino. Da questo ardente amore
divino scaturisce per noi l'aiuto nelle necessità.

B) Nella S. Scrittura simbolo del dolore è il calice: «Potete bere il


calice che io sto per bere?» (Mat. 20, 22), domandò Gesù ai due fratelli
apostoli.

a) Il calice del dolore! Il calice delle sofferenze! Il calice delle tante


nostre sofferenze! Talvolta appena, appena possiamo tenere con le mani

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tremanti quel calice ripieno delle nostre lagrime, dei nostri guai, delle
nostre infermità... titubanti l'accostiamo alle labbra... ci lamentiamo che è
difficile, molto difficile il berlo.
Ma... ad un tratto sentiamo che una mano forte, la forte mano di Gesù,
afferra la nostra debole mano e alza il calice. II nostro sguardo cade sul
volto di Gesù che eleva il calice. Oh come è raggiante quel volto mentre
con slancio eleva il calice verso il Padre celeste! Quello non e più solo il
mio calice... Il calice ingrandì immensamente; contiene, è vero, tutte le
amarezze del mio piccolo calice, ma esso contiene anche i crucci, i dolori,
gli affanni, i sacrifici di tutto il mondo, contiene tutte le lagrime, i sudori, il
sangue, le preghiere, le gioie e il trionfo di Gesù. Non c'è lamento umano
che in esso non si contenga. Non vi è lagrima umana né dolore sulla terra
che non si trovino in esso. Vi si trova pure il mio dolore ma ora facilmente
lo posso reggere perché la mano divina di Gesù sostiene la mia mano
tremante.
Cosi appena si unisce il piccolo calice delle nostre amarezze al calice
eterno di Gesù nel Santissimo Sacramento, subito ci sentiamo capaci di
sopportare la lotta della vita.

b) Dunque non perdiamoci di coraggio se Gesù ci conduce per vie


seminate da triboli e ci domanda: «Puoi bere questo calice?». Non
temiamo. Prostriamoci innanzi a Lui nel Santissimo Sacramento e
diciamogli: «Tu lo sai, o Signore, che ho qualche riluttanza a berlo. Ma
insegnami a volerlo, a desiderarlo. Fortificami col tuo Corpo e col tuo
Sangue, offerti per me, perché, come hai fatto tu, possa bere con animo
docile il calice d'amarezza, quando e dove piacerà alla tua paterna
Provvidenza d'offrirmelo.

4. L'Eucaristia è vita nella morte

A) Dovunque si volga lo sguardo, ci si presenta distruzione e morte.

a) La terra che calpestiamo è formata dai resti di esseri che vissero


migliaia d'anni fa. Muoiono i nostri genitori, i nostri amici, i nostri
conoscenti... un giorno scomparirò anch'io e dovrò attraversare l'oscura
porta che si chiama morte.
Per quanto facciamo, per quanto ci dibattiamo, pur dovremo finire al
cimitero. Tutti, nessuno escluso. Forse avremo una lapide sulla tomba.
Forse vi sarà scolpito il nostro nome a lettere cubitali perché sia letto da
lontano. Nei primi giorni qualcuno si fermerà alla nostra tomba e, leggendo
il nostro nome, ricorderà ciò che abbiamo operato in vita. Passerà qualche

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anno e il tempo cancellerà anche il nome. Non importa! Allora a chi
interesserà più il nostro nome, la nostra vita? Non passeranno 30, 4o anni;
chi mai si curerà più della nostra opera? Nessuno, assolutamente nessuno!

b) Riflettendo a ciò, saremmo presi da lugubre malinconia e con


impotente disperazione ci abbandoneremmo all'inevitabile sorte... e.. se non
possedessimo Gesù, se non possedessimo l'Eucaristia! Da quando Gesù
dimorò in mezzo a noi e disse le meravigliose parole sulla virtù
dell'Eucaristia, il pensiero della morte non ci opprime più.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo
risusciterò nell'ultimo giorno (Giov. 7, 54).
Magnifiche parole, sante parole, vivificanti parole! Parole dette da quel
Cristo che attraverso le porte della morte passò vittorioso per risuscitare
alla vita eterna. D'allora la Chiesa vede nella Comunione il pegno della
risurrezione: non può perire per sempre quel corpo che ricevette Cristo in
Sacramento che è seme fecondo della vita eterna.
Adesso si comprende la cura sollecita della Chiesa che tanto urge la
Comunione in pericolo di morte. Come sapete, prima della Comunione si
deve esser digiuni dalla mezzanotte. Ma per eccezione, può prender cibo
anche avanti la Comunione, chi la riceve in forma di viatico. Perché?
Perché la Comunione gli è necessaria. E' necessario che l'infermo, prima di
morire, riceva ancora la Comunione che è fonte di immortalità, pegno di
vita eterna.
Quale inaudita crudeltà da parte dei vicini all'ammalato quando lo
privano di questa «medicina dell'immortalità», secondo un antico detto
della Chiesa! Invece quale incomparabile sollievo all'ammalato non più
costretto a combattere da solo l'ultima lotta se riceve il viatico, la santa
Comunione!
«Fratello, che ora morirai, vivrai in eterno», pare che dica la Chiesa ad
un suo figlio a cui si spegne la vita. E lo può dire. Nostro Signore istituì
questo Sacramento allo sparir del giorno quasi volesse significare che la
virtù del Sacramento è vittoriosa contrapposizione allo spirar della vita.
Fuori della Chiesa, l'orologio del campanile continuamente ci susurra
all'orecchio: «Attento, la vita passa». Ma nell'interno della chiesa,
l'Eucaristia continuamente ci dice: «Chi mangia la mia Carne e beve il mio
Sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Giov. 7,
54).

B) Il Santissimo Sacramento è memoriale della morte di Gesù. Tutte le


volte perciò che penso alla mia morte, ricordo la morte di Gesù e non temo
più la mia.

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a) Tante volte ho ricevuto il Corpo di Colui che vinse la morte: sono
sicuro che la vincerò anch'io.
Nel 1937 riuscì ad alcuni esploratori russi di passare dei mesi nelle
vicinanze immediate del Polo Nord, nel regno del «gelo eterno», oppure,
come si suole dire, della «morte eterna». Fino allora si credeva che nel
clima glaciale del Polo Nord realmente vi regnasse la morte eterna, che non
vi potesse vivere nemmeno la più piccola pianta. Grande fu la sorpresa
degli esploratori nel trovare allo stesso Polo un fiore... Quale fiore? Qua e
là alza il suo piccolo capo dall'eterna neve una specie di lichene azzurro,
grande come uno spillo. Vollero scoprire la radice di questo fiore e qui li
colpi una sorpresa ancor più grande: scavarono la neve intorno al gambo
alla profondità di nove metri e ancora non poterono raggiungere la fine
della radice.
Povero, misero piccolo lichene, quale esempio incoraggiante,
confortante ci dai! Tutto intorno a te è gelo e morte e tu non paventi, non
indietreggi! Ti fai strada in su dalla profondità, dal regno delle tenebre e
della morte, in su, all'aperto, verso il sole. Non rifuggi dal lavoro anche se
tutto intorno ti circonda la rigidezza della morte. E arriva il momento che
spunti dal carcere di gelo dello spessore di chi sa quanti metri, e trovi la
luce, il sole, la vita!

b) Non dobbiamo anche noi con la medesima confidenza elevarci al di


sopra del regno della distruzione e della morte che ci circonda, verso il sole
della vita eterna, verso Gesù nel Santissimo Sacramento ?
«O sacrum convivium» esclama la Chiesa. «O sacro convivio, nel quale
riceviamo Cristo, celebriamo la memoria della sua passione e riceviamo il
pegno della gloria futura».
Se dunque avanti la morte ricevo la Comunione, il letto di morte diventa
per me un minuscolo campo l'aviazione: entro nell'apparecchio, decollo e
via... in alto - verso la sponda eterna.
E così la Santissima Eucaristia è in verità pace nella lotta, vittoria nelle
difficoltà, aiuto nelle necessità, vita nella morte.

Dante, nella Divina Commedia, dopo aver attraversato l'inferno, il


purgatorio e il paradiso, arrivato stanco alla fine del viaggio, nell'ultimo
canto, con animo commosso, si prostra in ginocchio davanti la Vergine
Madre e la supplica di benedirlo nell'ultimo cammino.
Quando noi onoriamo il Santissimo Sacramento, l'adoriamo, o lo
riceviamo nella Comunione, otteniamo dallo stesso divino Figlio della

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Vergine Madre la forza per combattere, per perseverare e raggiungere
l'ultima vittoria.
Se il sole si spegnesse improvvisamente, in otto minuti scomparirebbe
sulla terra la luce, la vita agonizzerebbe e dopo ventiquattro ore ci
opprimerebbe una glaciale temperatura, di 273 gradi sotto zero. Cesserebbe
la vita perché cessa la luce.
«Io sono la luce del mondo» (Giov. 8, 12) dice Gesù Cristo. Salve luce
del mondo! Salve, cibo dei viatori su questa terra! Salve, o Gesù
Sacramentato, che dai la pace, che ci porti al trionfo, che ci aiuti nelle
necessità, che ci vivifichi nella morte! Salve, o Gesù Sacramentato, che
splendi su di noi nella bianca Ostia!

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IV. PANE DI VITA

Parlo come a persone Intelligenti: giudicate voi di quel che dico.


Il calice di benedizione che noi benediciamo, non è comunione del
Sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo non è comunione del Corpo
di Cristo?
Perché unico pane e unico Corpo formiamo noi pur essendo molti,
perché tutti partecipiamo dell'unico pane. Guardate l'Israele secondo la
carne; non è egli vero che quelli che mangiano le carni delle vittime hanno
comunione coll'altare?
1 Cor 10, I5-18

Fratelli in Cristo,

La moderna scienza medica ebbe grande incremento con la scoperta


delle vitamine e col metterle al servizio dell'alimentazione e della cura degli
ammalati.
S'intende che le vitamine esistevano lacchè esiste la vita sulla terra,
solamente erano sconosciute. Ci era sconosciuta la loro funzione per la
conservazione della vita. Esistevano malattie misteriose di cui si conosceva
l'esistenza ma non la causa. Questi ammalati sembravano non avere alcun
malore; mangiavano e bevevano a sufficienza, riposavano, curavano i fatti
propri, erano provvisti di tutto, eppure un male secreto li tormentava,
perché qualcosa mancava alla loro costituzione; benchè mangiassero bene,
erano deboli, pallidi, svogliati, abbattuti e nessuno sapeva dove fosse il
male.
Oggi lo sappiamo.
Sappiamo che la loro alimentazione mancava di certe cose. I loro cibi
mancavano di sufficienti vitamine. Se mancano queste, l'organismo
immancabilmente soffre disturbi. Ciò è ormai noto a tutti.
S. Tommaso, in un suo inno, chiama l'Eucaristia panis vivus et vitalis
«pane vivo che dà la vita». Se avesse scritto oggi l'inno, forse avrebbe
chiamato l'Eucaristia «vitamina della vita spirituale», perché essa, in realtà,
è fonte vivificante degli elementi costitutivi indispensabili di una degna vita
umana. Attenti! Per quanto vi siate nutriti della scienza, dell'arte e della
tecnica, la vostra anima rimarrà sempre pallida, anemica, debole ed inferma
se vi mancherà il pane di vita, se sarete privi della forza vivificante della
Santissima Eucaristia.
Quello che la vitamina è per la vita del corpo, l'Eucaristia é per la vita
dell'anima. Il pane vivificante dell'Eucaristia è necessario I) alla vita
dell'individuo e II) alla vita della società.

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1. Eucaristia è necessaria alla vita dell'individuo

A) Desta preoccupazione a tutti l'affermazione dei medici che oggi


cresce spaventosamente il numero degli ammalati di nervi. Ma non ci è
necessaria questa affermazione dei medici; non incontriamo forse a ogni
pie' sospinto(in ogni luogo) anime schiantate, disperate, nemiche di se
stesse?

a) Quale ne è la causa? Come arrivarono a tale stato? Ci fu certamente


qualche causa di ordine economico o igienico, materiale o morale. Ma
motivo più frequente di questa rovina spirituale è lo strappare
violentemente la vita dal terreno vivificatore della religione. E' innegabile
che fattori materiali possano turbare l'equilibrio spirituale, ma se incontrano
la resistenza di un'anima radicata in Dio, la loro forza mordente è vinta più
facilmente.
Se non sappiamo dare una giusta risposta alle più scottanti questioni
della vita - e l'uomo senza fede non può darla - già questo diventa fonte di
dubbi più angosciosi e di pensieri che distruggono l'equilibrio dell'anima.
Quale meraviglia se in questa crisi spirituale soccombe anche l'uomo sano?
Chi nell'anima è roso dal dubbio religioso come da verme roditore, sentirà
sintomi d'infermità anche negli altri campi della vita, perché, come dalla
convinzione religiosa scaturisce una forza dello spirito, così dalle insolute
questioni religiose nasce un senso di debolezza e di incertezza anche nelle
questioni della vita quotidiana.

b) Ciò spiega come negli ultimi tempi pensatori sempre più numerosi,
dei quali anche alcuni lontani dalla religione, apertamente riconoscono il
valore della convinzione religiosa nella cura dell'anima.
L'illustre filosofo Fechner, pur lontano dal cristianesimo, scrive: «Togliere
la preghiera dal mondo e come spezzare il legame che unisce l'uomo a Dio,
è come rendere muto il figlio di fronte al padre». Ne segue che chi insegna
a pregare all'umanità, le fa un maggior regalo che non donandole un monte
cambiato in oro.
Archimede chiedeva un punto d'appoggio per la sua leva; così -
affermava - avrebbe sollevato il mondo intero. L'uomo separatosi da Dio
inutilmente cercherà quel punto d'appoggio che gli dia il senso della
sicurezza totale. Ha trovato invece questo punto d'appoggio l'uomo che
prega innanzi al Santissimo Sacramento.
Poichè tra la fede in Dio e la salute dello spirito c'è una così stretta
connessione, non deve parer strano se le malattie psichiche crescono in

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modo spaventoso in un'epoca in cui si rallentano sempre più i vincoli che ci
legano a Dio. Come comincia a diminuire la convinzione religiosa, si
manifesta l'incertezza in tutti i campi della vita.

c) Non credo necessario dire molte parole per dimostrare quanta


incertezza regni nel campo sociale. La religione ci lega a Dio, ma nello
stesso tempo ci unisce l'un all'altro e mantiene la coesione dell'umanità.
Spezzato questo vincolo, la comunità va in frantumi, si discioglie la vita
comune. Si sfascia la società perché si sfascia la sua cellula, la famiglia; il
diritto segue strade false, l'arte si degrada, la vita umana diventa senza
scopo. Celebri psichiatri e psicologi constatano che la maggior parte delle
infermità psichiche d'oggi sono da ascriversi(ricercarsi in) a questa vacuità
spirituale. Perché il separarsi da Dio non può avere che un effetto
distruttivo tanto per la vita dell'individuo come per quello della società.

B) Veniamo alla stessa conseguenza partendo da un altro punto di vista.


Se l'uomo non vuol cadere in uno stato di abbattimento e prostrazione
ha bisogno della forza elevante di ideali. Necessitano ideali che stiano più
in alto di noi.

a) La fede ci propone l'ideale più degno, un obiettivo così sublime, a cui


merita aderire con tutte le fibre del nostro corpo e con ogni moto della
nostra anima.
Nietzsche cacciò dall'anima la fede cristiana. Bisogna riempire il vuoto
così causato. Presentò un nuovo ideale: l'«Uebermensch», il Superuomo.
Ma questo Superuomo fu solo un'ombra, un parto di fantasia, a cui nessuno
potrebbe appoggiarsi - anche Nietzsche finì pazzo.
Ma non vediamo la stessa cosa in tutti gli altri? Perdendo la fede, e,
persa questa, oscurandosi lo scopo della vita, l'uomo è assalito da una lotta
molto dolorosa che suscita compassione; cerca febbrilmente qualche cosa
che però non può trovare fuori di Dio.
Senza Dio la vita perde il suo scopo, e una vita senza uno scopo non
può essere vissuta con animo sereno e tranquillo. Perciò l'anima che ha
perso il suo Dio, diventa facilmente preda delle malattie psichiche. Cosi si
comprende l'affermazione di un celebre psichiatra (Jung): «Circa in una
terza parte dei miei Pazienti non si riscontra clinicamente alcuna nevrosi, la
loro malattia è la mancanza dello scopo e del pregio della vita. Non mi
opporrei se qualcuno volesse indicare ciò come causa della nevrosi
generale del nostro tempo» (v. Schönere Fukunft, 1937, pag. 675).

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b) Quale aiuto può offrirci in questo la Santissima Eucaristia? Essa
difende l'individuo dalla depressione e lo invita ad altezze vivificatrici,
perché il mistero della Santissima Eucaristia risplende stelle più alte e
illuminate cime della nostra fede.
Vi può essere una verità di fede più elevante, che più ci porta ad una
vita ideale, del dogma dell'Eucaristia? Si può dire cosa più sublime di
quella quando si afferma che nella Santissima Eucaristia è presente lo
stesso Nostro Signore Gesù Cristo? Quel Gesù, il cui solo nome ha il
profumo del balsamo effuso, alla cui sola menzione fuggono tutte le
potenze dell'inferno, di cui solo il lembo del vestito guarisce gli ammalati.
E qui non solo è scritto il suo nome, qui non è solo nominato, non e
custodito un pezzo della sua veste, qui c'è Chi portò quel vestito ed ebbe
quel nome.
L'Eucaristia non e un pezzo della santa Croce, ma è Colui che pendette
dalla croce. Non è la corona di spine, ma il Re coronato di spine. Non è la
lancia che trapassò il Cuore del Redentore, ma il Sacro Cuore trafitto dalla
lancia.

c) Dopo la Comunione il Cuore di Gesù batte col mio e il suo Sangue si


riversa nelle mie vene e il Salvatore caccia, purifica e abbraccia nel mio
miserabile cuore di peccatore ogni debolezza, ogni fragilità perché non vi
sia la più piccola macchia. Come allora ogni battito del mio cuore non
dovrebbe essere per Dio e la sua gloria!
Fratelli, ascoltate l'invito della Sacra Scrittura: « Venite, mangiate del mio
pane, bevete del vino che io vi mescei› (Prov. 9, 5). E ancora: « 0 voi tutti
assetati, venite alle acque... udite, udite me e cibatevi di quello che è buono,
e l'anima vostra sentirà le delizie del pingue alimento» (Is LV, 1-2).
Chi si comunica frequentemente potrà ripetere con diritto la bella
preghiera:
Ave, verum Corpus natum de Maria Virgine;
vere possum, immolatum
in truce pro homine;
cuius lotus perforatum
fluxit aqua et sanguine.
Esto nobis praegustatum mortis in examine
0 Jesu dulcis, o Jesu pie,
o Jesu Fili Mariiae,
(Tu nobis miserere. Amen).

Ave, o vero Corpo nato da Maria Vergine,


che ha veramente patito ed e stato immolato sulla Croce per l'uomo,

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dal cui lato trafitto sgorgò acqua e sangue. Sii da noi pregustato in punto di
morte. O Gesù dolce, o Gesù pietoso, o Gesù, Figlio di Maria.

2. L'Eucaristia è necessaria alla vita della società

Il Sacramento dell'Eucaristia è pane vivificante non solo per l'individuo,


ma anche per la società. E' sorgente viva di forza perché «pegno di gloria
eterna» e «vincolo di carità».

A) L'Eucaristia è pegno della gloria futura, «futurae gloriae pignus». La


fede nella vita eterna influisce in modo decisivo nella formazione della
società umana.

a) Alcuni obiettano: «Il pensiero dell'al di là ci rende inetti per questa


terra. Se il pensiero del mondo ultraterreno mi sta «sempre davanti, non ho
più voglia di combattere in questo mondo».
Basta riflettere un poco per vedere che non è così, ma tutto all'opposto.
Per il cristiano questa vita ha tanta importanza, che da essa appunto dipende
l'eternità. Secondo la nostra fede, allora solo arriviamo alla pienezza della
vita - chiamata vita eterna o visione beatifica di Dio - se trascorriamo
questa vita nel modo più irreprensibile. Si può dare più importanza alla vita
terrena che con questi insegnamenti: Renderai conto di ogni tuo minuto, di
ogni tua parola! Quello che fai, tutto ha riferimento alla vita eterna!
Sì, se qualcuno deve prendere seriamente la vita terrena, è proprio il
cristiano.

b) Dalla fede dell'oltremondo proviene la vera grandezza dell'uomo. Il


cristiano sa che il suo ultimo fine non c’è in questa nostra peregrinazione
terrena di qualche decennio. Quanto più ammirevole e consolante questa
vita che non quella di chi riduce la sua esistenza solo nel trascinare
miseramente la vita terrena piena di guai!
II cristianesimo non insegna che si salva solo chi si ritira nell'eremo per
fuggire dal mondo. Il cristianesimo non pretende che per l'amore della vita
eterna ci si aggiri stupidamente su questa terra. Si deve finirla con l'idea
erronea di quei padri che proibiscono ai figli la Confessione e la
Comunione frequente perché non diventino fiacchi e inetti. 0 di chi,
vedendo una giovane pallida, malaticcia, l'attribuisce subito alla sua
religiosità. « Non può essere che una baciapile(bigotta) ». Come se una
giovane, vestita elegantemente, sana, allegra, un giovane pieno di vita,
robusto, intelligente non potessero essere religiosi! L'Eucaristia, è vero,

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serve per l'altro mondo ed è il pane della vita eterna, ma la fede nell'altra
vita e l'attività sana nella vita presente non si escludono affatto.

c) Ancor più se vi aggiungiamo quella forza inestimabile che la fede


nell'altra vita dà per sopportare le sofferenze della vita terrena.
Uomo e sofferenza sono due concetti inseparabili. Soffre chi crede e chi
non crede nell'al di là. Però qual differenza fra loro, quasi cielo e terra! Se
credo in Dio e nel suo regno, se mi dà forza l'Eucaristia, pegno della gloria
eterna, allora mi conforta la sicurezza che nel regno dell'eterna gloria - nel
regno della giustizia e dell'amore - cessa ogni ingiustizia e ogni mancanza
d'amore e viene premiata ogni sopportazione accettata dalle mani di Dio.
Ma che sarà di me, dove trarrò forza nei giorni delle sofferenze, delle
persecuzioni e delle privazioni se per me la vita terrena è l'ultima parola, la
terra è l'ultima dimora?

B) L'Eucaristia ha ancora un'altra benedizione, di pregio immensurabile,


per la società. Eucharistia vinculum caritatis, l'Eucaristia è vincolo di carità.

a) Qual'è lo stimolo più comune e più frequente dell'attività umana?


L'egoismo, l'egoismo rude, che non conosce l'amore, che tutto calpesta.
Perciò un uomo opprime l'altro, una nazione l'altra, una razza l'altra. Sotto
l'influenza di questo egoismo la virtù del retto e lecito amor proprio
dell'individuo si muta in peccato di sordida avarizia; così pure la stessa
influenza trasforma nei popoli la virtù giusta e preziosa dell'amor della
patria in adorazione della propria razza divinizzata e li porta in brutali
guerre economiche e spogliatrici contro altri popoli.
Ora qual'è il nemico dell'egoismo? L'amore. E dove troviamo il più grande
amore? In Gesù Cristo. E quando in Lui principalmente? Nell'istituzione
della Santissima Eucaristia, S. Giovanni Apostolo con queste parole
comincia a narrarla: «Poichè Egli aveva amato i suoi che erano nel mondo,
li amò sino alla fine» (Giov. 8, 1).
Questo Sacramento e dunque l'antidoto dell'egoismo; esso è il vincolo
inestimabile dell'unità e della comunità. Durante la S. Messa e alla
Comunione sparisce ogni boria e iattanza(vanità), ogni disprezzo e
mancanza di carità; nello stesso umile atteggiamento sono inginocchiati
uno appresso all'altro il potente ricco e il debole, il ricco e il povero, il
giovane e il vecchio, l'uomo e la donna. Si realizza quanto dice il Beato
Eymard: «La Santissima Eucaristia rende uguali tutti e così crea la vera
eguaglianza. Fuori della chiesa ci sono le dignità, ma alla mensa del fratello
primogenito Gesù, tutti siamo fratelli».

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b) Così la Santissima Eucaristia diventa l'elemento d'unione dei popoli,
anzi di tutta l'umanità: bianchi e negri, settentrionali e meridionali adorano
lo stesso Cristo nella S. Messa e ricevono il medesimo Cristo nella
Comunione. Questa e la vera società delle nazioni, la fraternità di centinaia
di milioni prostrati dinanzi a Gesù nel Santissimo Sacramento. Mediante
Lui, Dio si unisce all'uomo, l'uomo si unisce a Dio, e le anime degli uomini
si uniscono fra di loro. Gli uomini così uniti mettono in effetto l'esortazione
di S. Paolo: «Io vi esorto, o fratelli, per il nome del Signor Nostro Gesù
Cristo... non vi stano tra voi degli scismi; ma siate uniti nello stesso
pensare e nello stesso sentimento» (l Cor. 1, 10).
Idea cara ai primi cristiani era quella del pane unico formato da molti
chicchi di grano. Tale idea per loro simbolizzava l'amore di Gesù nel
Sacramento che tutti unisce.
Il più antico scritto cristiano dopo la Sacra Scrittura è la Didaché. In
esso troviamo questa preghiera: «Come era questo (pane) che spezziamo,
sparso su poi monti, e raccolto divenne uno solo, così s'accolga la tua
Chiesa dagli estremi della terra nel tuo regno: perché tua è la gloria e la
possanza per Gesù Cristo nei secoli» (9, 4).

c) Così il Santissimo Sacramento diventa il nostro vero Pane di vita.


L'aria è composta di 80% di azoto e di 2o% di ossigeno circa. Se manca
l'ossigeno, manca la vita. Se l'ossigeno è scarso, s'impallidisce e viene il
capogiro. Nell’ atmosfera spirituale non deve mancare l'ossigeno della
convinzione religiosa. Oggi, questo ossigeno viene deteriorato e diminuito
ad arte; che meraviglia se l'umanità ne soffre? Si sente male come l'uomo
nutrito unilateralmente con cibi mancanti delle necessarie vitamine.
Che manca mai del suo all'uomo moderno? L'oro? Ne ha più che mai.
Comodità, divertimenti, mezzi di cura? Non ne aveva mai tanti. Scienza,
tecnica, arte? Supera ogni epoca precedente.
Eppure che cosa gli manca? Il pane di vita, l'Eucaristia. Per questo non
hanno pace i singoli, la società, i popoli. In quante cose abbiamo cercato la
pace!
Quante volte abbiamo creduto di aver trovato la felicità! Eppure oggi
essa è più lontana che mai.
Da secoli l'uomo cacciato dal paradiso terrestre va errando e
vagabondando su questa terra e non trova pace. Perché? Perché il mondo
non è capace di darci la pace che aneliamo, la pace duratura e senza
turbamenti.
Risuona però la parola del Cristo Eucaristico: «Io vi lascio la pace, vi
dono la mia pace. lo non ve la do, come la da il mondo» (Giov. 14, 27). Di
questo abbiamo bisogno. Coloro che sono ripieni di spirito eucaristico

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saranno uomini di buona volontà. Solo a questi l'angelo di Betlemme
promette la pace: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli
uomini di buona volontà» (Luca 2, 74).
Fratelli, un missionario insegnava gli elementi della fede cristiana a dei
piccoli arabi. Si era intorno a Natale e il missionario mostrava ai ragazzi il
quadro ben conosciuto che rappresenta Maria e S. Giuseppe in cerca di
alloggio. Maria monta un somarello, S. Giuseppe guida l'animale e così
procedono silenziosi nella notte oscura.
I ragazzi guardano il quadro e uno dice: - Padre, il quadro è sbagliato.
Maria cavalca e Giuseppe va a piedi. Dovrebbe essere l'opposto: l'uomo
deve cavalcare e la donna andare a piedi.
Il piccolo aveva ragione dal punto di vista arabo. Si, gli uomini si fanno
portare comodamente dall'animale, le donne invece, tenendo con fatica sul
capo la cesta carica, a piedi seguono il marito. Presso di loro la donna non
differisce molto dallo schiavo; la comprò il marito ed essa, con duro lavoro,
deve dimostrare che il marito non spese invano.
- Hai ragione, gli disse il missionario. Per voi è così. Però che cosa vi pare?
Perché Giuseppe fece così e fu così buono con Maria?
- Credo, rispose una bambina, perché Maria doveva essere la madre del
piccolo Gesù.
Se avesse saputo la piccola araba come era profonda e saggia la sua
risposta! Realmente con la venuta di Gesù cambiò la faccia del mondo; per
Lui non solo le donne uscirono dalla loro condizione umiliante, ma nel
regno di Dio fondato da Cristo tutta la vita umana si avviò su un altro
binario. Il regno di Dio è il regno dell'uguaglianza degli uomini. Il regno di
Dio e il regno della giustizia. II regno di Dio è il regno dell'amor del
prossimo. Il regno di Dio è il regno delle mani pure, della vita pura, della
morale pura. E di questo regno, sorgente di forza, cuore palpitante, pane
vivificante è la Santissima Eucaristia.
Chi non vede, chi non sente ad ogni passo i due più tormentosi
problemi: la questione sociale senza soluzione e l'orribile odio tra i popoli?
Sulle onde tempestose è versato l'olio che reca la calma dall'Eucaristia, in
cui è presente Gesú, quel Gesù la cui ultima preghiera fu: «Che tutti siano
una cosa sola; come Tu, Padre, sei in me ed io sono in Te, così anch'essi
siano in noi» (Giov. 17, 21).
Nelle anime che hanno il culto dell'Eucaristia, li è il regno di Dio, senza
il quale non esiste una vita degna da uomo, lì vi è l'umanità, lì v'è l'amore.
Così si compie in noi l'inno di S. Tommaso d'Aquino: l'Eucaristia è per
noi «panis vivus et vitalis», pane vivo e vivificante, e così la gratitudine di
milioni d'anime pacificate potrà con diritto proclamare: “l'Eucaristia è
vincolo di carità”: Eucharistia vinculum caritatis.

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PARTE SECONDA: CRISTO PER NOI
V. CHE COS'È LA SANTA MESSA

Un figlio onora il padre, un servo il suo padrone. Dunque, se sono io il


padre, dov'è l'onore mio? Se sono io il padrone, dov'è il rispetto a me
dovuto ? dice il Signore degli eserciti e voi, sacerdoti, che avete disprezzato
il mio nome e poi avete detto: In che cosa abbiamo disprezzato il tuo
nome?
Offrite sopra il mio altare un pane che fa schifo e poi dite: In che cosa
ti abbiamo fatto schifo? ...
Chi è tra voi che chiuda le porte e accenda il mio altare gratuitamente?
lo non sono contento di voi, dice il Dio degli eserciti, io non accoglierò
offerta dalle vostre mani.
Perché da dove sorge il sole fin dove tramonta, il mio nome è grande
tra le genti; e in ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome oblazione
pura; perché grande è il mio nome in tutte le genti, dice il Signore degli
eserciti.
Malachia, 1, 6-7; 10-11.

Fratelli.

Certamente parecchi di voi avranno visto all'estero bellissime cattedrali


di stile gotico, costruite nei secoli passati dalla profonda pietà dei fedeli con
arte insuperabile.
All'entrare nel tempio, già alla porta, ci si ferma estasiati senza parola,
aprendo l'anima alle sante impressioni. Qual volo dello spirito in queste
colonne che si elevano al cielo! Quanto lavoro! Quanta preghiera! Perché
tutto questo? A che serve?
Nel mezzo del tempio si ferma l'occhio scrutatore sul grande crocifisso
che pende dall'arco principale (triumphalis) al principio dell'abside. Adesso
comprendiamo. Tutto è per il Crocifisso. Ogni arco, ogni colonna, tutta
l'arte, tutto lo splendido tempio è solo per il Crocifisso. Per Gesù che sulla
croce si offrì per noi e anche oggi per noi si offre.
Fede profonda e arte eccelsa produssero questi fiori di pietra, queste
vetrate di sogno!... Ma tutto ciò converge in un'unica idea, nel Crocifisso
pendente nel mezzo e che trionfalmente annunzia al mondo il sacrificio di
Nostro Signore. Quel sacrificio, offerto per la prima volta sulla croce e che
si rinnova tutti i giorni nelle nostre chiese e che rimarrà sempre la più bella,
l'unica degna adorazione del Dio infinito.

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Questo è il fine principale dell'Eucaristia: Gesù che si sacrifica
continuamente in essa per noi. Gesù, offrendo agli apostoli nell'ultima cena
il suo Corpo e il suo Sangue e dando loro il mandato: «Fate questo in
memoria di me», offrì all'eterno suo Padre e pose al centro della sua
religione un sacrificio che toglieva ogni valore ai sacrifici antichi e ai nuovi
che si volessero fare. Da quel momento non v'è sulla terra che un unico
sacrificio degno di Dio e a Lui accetto: il sacrificio della Messa in cui Gesù
rinnova continuamente il Sacrificio della croce.
Vediamo dunque,
1) se la s. Messa è realmente la rinnovazione del sacrificio della croce.
Perché se è così, sapremo subito,
2) come dobbiamo assistervi.

1. La s. Messa è la rinnovazione del sacrificio della croce

A) Dacché l'uomo esiste, si sono sempre offerti a Dio sacrifici. Con


questi l'uomo riconobbe la sovranità di Dio e la sua condizione di
peccatore.

a) L'uomo col sacrificio riconobbe la sovranità di Dio. Il sacrificio è la


manifestazione più chiara del riconoscere il dominio supremo e assoluto di
Dio.
Conoscete il libro più antico della storia umana? La Sacra Scrittura.
Apriamola alle prime pagine. Che cosa ci troviamo? Qual'è il primo
monumento eretto dall'uomo? Due altari: quello di Caino e quello di Abele,
sui quali offrirono il loro sacrificio al Signore.
Poi segue il diluvio. Noè esce dall'arca. Che cosa fa? Quale la sua prima
operazione? Innalza un altare per offrire un sacrificio al Signore.
E così di seguito. Studiamo la storia dei popoli antichi. Tutte le volte che
stavano avanti a qualche passo decisivo o a qualche importante
deliberazione, loro prima cura era di offrire dei sacrifici. Per millenni
l'altare era la costruzione più importante e più sacra dell'umanità.
Così fu nell'antichità e così è anche oggi. Il popolo che possiede altari e
sacerdoti che offrono sacrifici sugli altari, si mantiene forte anche nelle più
dure prove della storia; mentre il popolo che distrugge gli altari, distrugge
se stesso e resta schiacciato sotto le macerie.

b) Col sacrificio l'uomo non pensava solo a riconoscere la sovranità di


Dio ma anche il proprio stato di peccato. Da quando l'uomo è sulla terra
sentì sempre lo strazio della coscienza del peccato e il bisogno di doverlo
riparare col sacrificio. Essenza del sacrificio era la distruzione della materia

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offerta. Perciò questa veniva consumata da un grande fuoco. Essa era o
qualche frutto della terra o qualche animale. Orribile a dirsi, i pagani,
deviati dai loro errori, talvolta sacrificavano persino i loro figlioli.
Povero uomo caduto nel peccato! Quanto credevi che potesse valere
agli occhi di Dio i tuoi sacrifici a Lui offerti, l'uccisione degli agnelli, la
combustione del grano e di frutta? Questa non poteva essere la forma
definitiva del sacrificio. Forma definitiva non era nemmeno quella
dell'Antico Testamento. Sono note le parole del Signore riferite dall'ultimo
profeta Malachia: « Da dove sorge il sole fin dove tramonta, il mio nome è
grande tra le genti; e in ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome
oblazione pura...» (Mal. 1, 11). Chi offrì questo sacrificio puro, perfetto, a
Dio accetto?

B) Questo sacrificio perfetto lo offrì Nostro Signore Gesù Cristo


nell'ultima cena. Nel momento in cui istituì questo sacrificio, fu abolito e
perdette ogni valore qualsiasi altro sacrificio rituale in qualunque parte del
mondo. Da allora non esiste che un solo sacrificio gradito a Dio: la s.
Messa. Così la Messa divenne il cuore del cristianesimo; senza la Messa il
nostro cuore cesserebbe di battere.

a) Che la s. Messa sia un vero sacrificio, non v'è dubbio alcuno dopo la
narrazione evangelica dell'ultima cena.
Allora Gesù non disse semplicemente che dava il suo Corpo e il suo
Sangue ai suoi fedeli. Disse molto di più. Attenti alle sue parole: «Questo è
il mio Corpo che è dato per voi» (Luca 22, 19) e «Questo è il mio Sangue
dell’ Alleanza versato, in remissione dei peccati» (Matt. 26, 28).
Ponderiamo bene la parola «per voi». Perché ciò significa: Questo è il
mio Corpo che si sacrifica per voi; Questo è il mio Sangue che si versa per
voi. Le parole poi che seguono: «Fate questo in memoria di me»
significano: In memoria perpetua della mia morte date ai miei fedeli fino
alla fine del mondo il mio Corpo e il mio Sangue sotto le specie del pane e
del vino.
«Fate questo» cioè quello che io feci adesso. In ciò è riposto il carattere
sacrificale dell'Eucaristia. «In memoria di me»: ciò significa che il
sacrificio eucaristico non è un atto che si possa separare dalla morte in
croce di Gesù Cristo, non è un sacrificio nuovo che sta a se, ma è la
perpetuazione del sacrificio offerto da Gesù Cristo una volta sulla croce, la
sua continua rappresentazione, la tua continuazione di giorno in giorno fino
alla consumazione dei secoli. «Fate questo in memoria di me», in altre
parole: Dovreste perire per i vostri peccati, ma io mi sacrifico al vostro
posto e muoio per voi. Per voi, perché non abbiate a perire.

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b) Il sacrificio della croce e il sacrificio della Messa sono dunque
essenzialmente la stessa cosa. La stessa cosa perché vi è lo stesso offerente
e la stessa vittima. Quel medesimo Cristo che si offri in sacrificio sulla
croce all'eterno Padre, si offre per le mani del sacerdote nella Santa Messa.
Che cosa fa della s. Messa un tesoro inestimabile? Forse il fatto che il
celebrante fa ciò che Gesù Cristo fece nell'ultima cena? No. Forse perché il
Figlio di Dio diede questo mandato ai sacerdoti? Nemmeno. Senonchè in
ciascuna Messa lo stesso Gesù Cristo offre il sacrificio, come nella sera del
giovedì santo, e precisamente offre lo stesso sacrificio che offrì quella sera.
Ora potete comprendere perché la Chiesa prescrive che su tutti gli altari
ci sia il crocifisso e non permette di celebrare la Messa senza il crocifisso.
II perché è chiaro. Perché la Messa deriva dal Cristo crocifisso; è la
continuazione del sacrificio della croce offerto per noi. Non è solo
l'offerente il medesimo, ma anche la vittima: N. S. Gesù Cristo. In tutte le
Messe è Gesù che sacrifica se stesso per me; lì batte il suo tenero cuore che
espia per me, sia l'altare delle vecchie cattedrali risplendenti di marmi
oppure il misero altare di legno delle povere chiese rurali. Quando il Papa
celebra la s. Messa rivestito di preziosi apparati, è presente lo stesso Cristo
come quando il sacerdote in un campo di concentramento celebra la s.
Messa in gran segreto adoperando il pane nero del pranzo e per calice, una
scatola di conserva e comunica i suoi compagni di prigionia.
Però quale differenza passa tra il sacrificio della croce e il sacrificio
della Messa? Quello della Messa non è cruento come fu quello della croce,
perché Cristo glorificato non può più patire. Ma anche se non può patire, la
s. Messa deve in qualche modo riprodurre la morte di Cristo. Gesù non può
più morire, eppure muore misticamente nella s. Messa. La consacrazione
separata del pane e del vino ci indica il Corpo di Gesù separato dal suo
Sangue e ci ricorda il momento quando alla sua morte avvenne questa
separazione.

C) Ormai sappiamo qual'è l'essenza della s. Messa. Sappiamo a che


serve e sappiamo perché deve essere perenne.

a) A che serve la s. Messa ?


Perché noi dobbiamo adorare Dio ma non siamo capaci di farlo
degnamente.
Noi dobbiamo rivolgerci a Dio e non lo sappiamo. Noi dovremmo
liberarci dal peso dei nostri peccati e non lo possiamo.
Noi dobbiamo placare Dio offeso dai nostri peccati e non ne siamo
capaci.

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Viene tra noi Cristo; prega ed è esaudito; si rivolge al Padre e la sua
parola arriva al cielo; rivolge lo sguardo su di noi e ci libera dal peccato;
parla a Dio e si intenerisce l'amore di Dio offeso.
La nostra religione ha un altare, all'altare uno che è sacerdote e vittima
insieme: l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.
In questo sacrificio è tutta la nostra religione. Ci sono le chiese, ma per
l'altare; i sacerdoti, ma per l'altare. Ci sono i veri riti, le vesti e i vasi sacri,
ma tutto per l'altare. Meglio, per Colui che sull'altare sacrifica se stesso al
Padre celeste. Lui adorano milioni di fedeli, si prostrano dinanzi a Lui e
cantano il cantico dell'Apocalisse: «A Colui che siede sul trono e
all'Agnello, lode, onore,gloria e potenza,nei secoli dei secoli» (Apoc. 5,
13).
Solo così Dio poteva essere adorato convenientemente come Cristo lo
adorò sul monte Calvario sacrificandosi completamente e senza riserva
alcuna, placando in tal modo con l'effusione del suo Sangue la maestà
offesa di Dio.

b) Poichè oggi non vi è che un unico sacrificio degno di Dio: la s.


Messa, ne segue che questa non deve cessare mai ma deve avere il carattere
di perpetuità.
Per legge del Vecchio Testamento non doveva trascorrere un solo giorno
senza che al mattino venisse offerto un sacrificio. Dio disse a Mosè: «Il
fuoco poi arderà sempre sull'altare; il sacerdote lo manterrà... E' questo un
fuoco perpetuo che mai deve venir meno sull'altare» (Lev. 6, 12-13).
La legge antica fu abrogata, ai suoi sacrifici subentrò la vittima perenne
dei nostri altari. Su di essi si adempie la profezia di Malachia. Dice il
Signore per bocca di questo profeta (Mal. 1, 10-11) che nella religione resa
perfetta, da dove sorge il sole fin dove tramonta, in ogni luogo, tra tutte le
genti, sempre e incessantemente, sarà offerto un sacrificio puro. Esiste
religione in cui si avveri ciò che disse Dio, parola per parola? Sì, la
cattolica. E' l'unica religione in cui non cessa, anche per un solo momento,
il sacrificio puro e santo offerto a Dio.
Non esagero punto. E' verità assoluta.
Quando da noi scocca il mezzogiorno e risuona l’Ite, Missa est
dell'ultima Messa, nel Nuovo Mondo sono le sei del mattino e il sacerdote
sale l'altare per la prima Messa. Quando da noi tramonta il sole, in altre
parti albeggia e cominciano le ss. Messe. Quando noi, nella notte
silenziosa, immersi in sonno profondo, ci riposiamo dalle fatiche del
giorno, nel lontano Oriente si seguono le Messe e i popoli dell'Asia si
prostrano ai piedi di Gesù che viene a loro sull'altare. Sempre risuona il

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Kyrie, sempre il Gloria, sempre il Sanctus! Non cessa mai la consacrazione,
mai la Comunione, mai la benedizione!
Nella Chiesa cattolica, col sacrificio perenne della Messa, tutto il globo
terrestre è diventato un unico ed immenso tempio. Bene si esprime l'inno
sacro: « Per noi si rivestì di corpo, e venne a noi come un bambino; sulla
croce sparse il suo sangue, prezzo del nostro riscatto. Oggi, sul Golgota
dell'altare, ecco di nuovo il suo Sangue prezioso; vittima e l'Agnello di Dio,
il suo Corpo nascosto sotto le specie del pane».

2. Come dobbiamo assistere alla s. Messa

Chi tiene tutto ciò presente, sa bene come deve comportarsi durante la s.
Messa.

A) Come dobbiamo lamentarci che moltissimi non hanno la minima


idea della grandiosità dell'azione che si svolge sull'altare, e non solo fra i
negri e gli zulù, ma tra europei, cristiani cattolici!

a) Nella Chiesa primitiva erano ben distinte le due parti della Messa. La
prima parte era la così detta «Messa dei catecumeni», cioè di coloro che si
preparavano a ricevere il battesimo. Non erano ancora iniziati al mistero
dell'Eucaristia, non erano ancora istruiti nell'essenza del Sacramento
dell'altare e perciò, dopo l'evangelo e l'omelia, prima che si arrivasse
all'offertorio, dovevano lasciare la chiesa. Alla Messa propriamente detta
potevano partecipare solo i battezzati. Questa parte veniva chiamata la
«Messa dei fedeli».
Oggi non si fa più distinzione. Oggi può parteciparvi chiunque,
battezzato o non battezzato; la Chiesa non nasconde a nessuno i suoi
sublimi misteri. Non è più doloroso ancora che proprio tra i cristiani ci
siano tanti per i quali la Messa sia una cosa del tutto sconosciuta? Se
ascoltano la Messa neppure immaginano quello che si svolge sull'altare?
Che cos'è per noi la s. Messa? Il centro della fede cristiana. L'immenso
sacrificio di Cristo. Il Calvario che si rinnova ogni giorno.
Che non sappiano gli acattolici, ce ne rincresce; ma pazienza! Però che
non lo sappiano molti cattolici, che cosa dovremmo dirne?
Che cosa diremo di quelli che settimane e settimane, mesi e mesi
trascurano la s. Messa, perché una volta bisogna andare in gita, un'altra a
sciare, ora fa troppo caldo, ora c'è troppo fango... e così via?...
Che cosa diremo di quelli che, cronometro alla mano, badano a non
arrivare prima del vangelo e a non restare, per disgrazia, dopo la
Comunione?

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Che cosa diremo del continuo confabulare alle porte della chiesa alla
Messa del mezzogiorno nelle domeniche e feste?
- Buon giorno, Rina. Che bel vestito, oggi! Sapesse, come ci siamo
divertiti stanotte! Anche oggi siamo arrivati a casa appena al mattino. Ma
pure voglio vedere chi è oggi a Messa. La mamma non c'è?
E Rina risponde: - Mamma voleva pure venire, ma sentì dolore di capo
e non venne. E sentì forte dispiacere di non poter venire e di non poter così
mostrare le nuove « creazioni » portatele ieri dalla modista. Posso
assicurare che sono veramente fantastiche, una cosa di sogno. Ma entriamo
subito, perché stanno quasi per spegnere le candele...
Entrano... E poco dopo escono...
Ditemi, tali persone hanno qualche idea della Messa? Sanno che cos'è?

b) Se lo sapessero, il loro cuore esulterebbe di gioia. Se sapessero che in


ciascuna Messa è presente in mezzo a noi, in persona, vivo, corpo e anima,
Gesù Cristo, Nostro Signore e Redentore! Ed è presente, per sacrificarsi
ancora e sempre, tutti i giorni!
E' vero; in apparenza un uomo, il sacerdote, offre il Sacrificio; ma ciò è
solo apparenza. Il vero offerente, il solo offerente è Gesù stesso, il
sacerdote non ne è che lo strumento. Poichè come la Messa è il medesimo
ed unico sacrificio della croce, e così non vi è che una sola vittima. Cristo;
così pure non vi è che un solo offerente, Cristo Nostro Signore. Il sacerdote
che vediamo sull'altare non è che lo strumento del Sacerdote invisibile,
Gesù Cristo.

B) Ciò che ora dico dell'attività del sacerdote sull'altare non è una
novità per i miei uditori, ma forse non tutti sanno la parte che hanno i fedeli
nella Santa, Messa. Il battezzato è membro del Corpo mistico di Gesù
Cristo. Capo di questo Corpo è il nostro Sommo Sacerdote, Gesù; ne segue
che anche le membra partecipano in qualche modo del «regale sacerdozio»
(1 Pietro 2, 9), e che quando il Capo offre un sacrificio, anche le membra
devono parteciparvi.

a) Che cosa segue da ciò per la nostra vita cristiana? Che tutte le volte
che dico: Vado alla Messa, dico pure: Vado ad offrire un sacrificio. Tutte le
volte che dico: Vado alla Messa, dico anche: Vado ad un atto di culto che è
il più degno, l'unico degno di Dio, e nel quale io, uomo miserabile, mi
elevo alla sommità della mia dignità cristiana, perché l'uomo non può
essere più grande di quando s'accosta all'altare per offrire un sacrificio a
Dio.

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Non che ogni battezzato sia anche sacerdote. E' questo un errore a cui si
oppone l'esplicita volontà di Cristo. Per altro i fedeli non devono
accontentarsi dell'assistere solo passivamente alla s. Messa, col solo stare
silenziosi o magari anche pregando da qualche libro di devozione. Ma
devono unirsi alla sublime azione che si compie all'altare.

b) Ci sono alcuni che non vogliono capire perché si debba ascoltare la s.


Messa, ossia unirsi personalmente al sacrificio di Nostro Signore. Non
basta che Cristo sia morto per noi, che si sia sacrificato per noi? Devo
anch'io cooperarvi?
Certamente. Il sacrificio di Cristo devo renderlo mio sacrificio
personale. Col battesimo ci siamo uniti intimamente con Cristo,
diventammo membri del suo mistico Corpo. Quindi se Cristo, il Capo, si
sacrifica al Padre, sacrifica con se stesso anche noi, membri del suo Corpo.
Dobbiamo perciò essere uniti a Cristo durante il suo sacrificio.

C) Così la retta e fruttuosa assistenza alla Messa richiede dai fedeli una
partecipazione diretta e attiva. Esige che ravvivino durante le singole parti
della s. Messa gli stessi sentimenti, la stessa prontezza al sacrificio che in
quel momento riempiono il Cuore di Gesù mentre offre il sacrificio.

a) Quando i fedeli assistevano nelle catacombe alla s. Messa, non


esistevano ancora i libri di preghiere. Che facevano allora i fedeli?
Circondavano l'altare e con gli occhi scintillanti miravano l'Agnello del
sacrificio nelle mani del celebrante, e con amore ardente seguivano i riti,
rispondevano alle preghiere del sacerdote, e poi, ricevuto il Corpo del
Signore, fortificati nell'anima e col viso sorridente uscivano da sotto alla
terra per sostenere le diuturne(continue) lotte della vita ed eventualmente
morire per la fede.
Non vedete l'enorme differenza che passa tra loro e noi? Anche noi
andiamo a Messa come loro. La Messa è la medesima come allora. Ma non
vi assistiamo con la stessa organica partecipazione. Noi, purtroppo, ci
siamo staccati dall'altare. Noi ora diciamo qualche preghiera per conto
nostro, o forse neanche quella. Perciò Pio X diede la memorabile parola
d'ordine: «Non pregate durante la Messa, ma pregate la Messa », il testo
della Messa e così ritornerete di nuovo in un più stretto contatto con l'altare.
Pregate in modo «cattolico», ossia come membri della Comunione dei
Santi, della grande unione dei fedeli, pregate in unione al sacerdote, alla
Chiesa, a Cristo.

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b) Chi mette in pratica questo suggerimento impara ad assistere alla
Messa con spirito corrispondente al Sacrificio divino.
Poniamo attenzione di non parlare semplicemente della «s. Messa», ma
del «sacrificio della s. Messa». L'Eucaristia non esiste senza sacrificio; il
sacrificio visibile offerto nella Messa deve significare il sacrificio invisibile
della nostra vita.
La Messa è un vero sacrificio: Gesù che offre se stesso. La nostra
partecipazione allora sarà ricca di grazie, se avrà lo stesso spirito di
sacrificio che ha Cristo offerente.
Spirito di sacrificio dunque subito, al principio della Messa! Mentre il
celebrante, profondamente inchinato, al Confiteor dice il mea culpa, mea
culpa, mea maxima culpa, dobbiamo sentire anche noi: Si, con l'anima
gravata da peccati, non posso sacrificare al Signore. Con animo sincero mi
pento dei miei peccati e li detesto e me ne libero sacrificandomi al Signore.
Sacrificio poi all'offertorio! Il celebrante innalza sulla patena dorata la
bianca ostia che sarà mutata in Corpo di Cristo. In questo mentre, metto
anch'io su quella patena qualche piccola mia mortificazione, qualche prova,
qualche rinunzia, qualche sofferenza. Sacrificio alla consacrazione! Gesù
ora sacrifica se stesso per amore di me. Getto per un momento uno sguardo
sull'Ostia elevata, poi sul Calice, e, ripetendo le parole di s. Tommaso
Apostolo: «Signore mio e Dio mio», offro a Lui in sacrificio il mio
intelletto, la mia volontà, i miei desideri, i miei sentimenti, tutto me stesso.
Sacrificio alla Comunione! Alla Comunione diventi una cosa sola con
Cristo. Però diventi una cosa sola anche col vicino che in ginocchio riceve
la Comunione, col quale non sei in buona armonia forse già da anni, ne sai
dirgli una buona parola. Ecco il momento di fare il sacrificio per
corrispondere al sacrificio della Messa.
Ecco, la partecipazione attiva, viva dei fedeli richiede che si partecipi al
sacrificio della Santa Messa con vero spirito di sacrificio.1
Fratelli, a Napoli si conserva in un'ampolla il sangue del vescovo di
Benevento, S. Gennaro, morto martire al principio del IV secolo. Ogni

1
Nota del Traduttore: Ci piace riprodurre qui le parole dell'Enciclica di Pio XII «Mediator
Dei» sulla S. Liturgia, dei 20 novembre 1947: «E' necessario che tutti i fedeli considerino loro
principale dovere e somma dignità partecipare al Sacrificio Eucaristico non con una assistenza
passiva, negligente e distratta, ma con tale impegno e fervore da porsi in intimo contatto col
'Sommo Sacerdote, come dice l'Apostolo: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in
Cristo Gesù" (Filip. II, 51). Riprodurre in sé, per quanto è in potere dell'uomo, lo stesso stato
d'animo che aveva il Divino Redentore quando faceva il sacrificio di sé: l'umile sottomissione
dello spirito, cioè l'adorazione, l'onore, la lode; ed il ringraziamento alla somma maestà di Dio;
inoltre riprodurre in se stessi le condizioni della vittima: l'abnegazione di sé secondo i precetti
del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l'espiazione dei
propri leccati. Esige in una parola la nostra mistica morte in Croce col Cristo in Croce».

48
anno, alla festa del Santo, quel sangue coagulato si liquefà. Migliaia e
migliaia di persone vi accorrono per vedere l'ebollizione del sangue.
Nella s. Messa continuamente scorre il preziosissimo Sangue immortale,
non per soddisfare gli occhi curiosi, ma per spargere a torrenti le grazie
vivificanti su di noi.
Sapete ora che cos'è la s. Messa? Un misterioso scorrere di Sangue dalle
ferite di Cristo; la rinnovazione incessante del sacrificio della croce.
Sapete che cos'è la s. Messa? Un diluvio di grazie che parte dalla croce;
il Golgota sempre presente; Gesù che di continuo si sacrifica per noi.
Il nostro cristianesimo sarà profondo e cosciente in quanto
comprenderemo, apprezzeremo, ameremo la s. Messa!
Fratello, non dimenticare:
Quale la tua Messa, tale la tua fede!
Quale la tua Messa, tale la tua morale!
Quale la tua Messa, tale la tua vita!
E qual'è la tua vita qui, tale sarà la tua vita nell'eternità.
Amen.

VI. I FRUTTI DELLA SANTA MESSA

Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la


benedizione, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: «Prendete e
mangiate, questo è il mio Corpo».
Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo:
«Bevetene tutti perché questo è il mio Sangue dell’alleanza, versato per
molti in remissione dei peccati.
Io vi dico che da ora non berrò di questo frutto della vite fino al giorno
in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio».
S. Matteo 26, 26-29

Fratelli in Cristo,

Nei paesi dove i cattolici sono in minoranza, per lungo tempo,


esistevano contro di essi leggi dure e spietate. Cosi p. e. nell'Inghilterra un
ricco cattolico, per aver assistito alla s. Messa fu condannato a pagare 500
lire sterline d'oro. II giovane condannato, tornato a casa, scelse i più bei
pezzi d'oro e pagò la multa. Il giudice, meravigliato, gli chiese perché andò
in cerca di quei pezzi d'oro per soddisfare alla punizione. Rispose: Mi
sembrerebbe un vero peccato il non privarmi anche dei più bei pezzi d'oro
per la grazia di poter ascoltare anche una sola Messa.

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Qualcuno dirà: Merita realmente che in terra di missione i cristiani, da
poco convertiti, facciano un lungo cammino di molte ore, alle volte anche
di qualche giornata, pur di poter assistere ad una Messa? Non abbiamo
forse tante altre funzioni sacre per onorare Dio ed elevare la nostra anima a
Lui?
Ce ne sono, ma per valore sono ben distanti dalla s. Messa. Litanie,
processioni, pellegrinaggi, canti, predicazioni, Via Crucis, speciali
devozioni a Maria e ai Santi; tutte pratiche queste belle, care ed utili, ma
tutte assieme sono ben lungi dal raggiungere il valore di una s. Mesa.
Nostro Signore in ogni Messa continua ad offrirsi in sacrificio per noi:
ecco l'essenza della Messa.
Per tale motivo la Chiesa impone a tutti i fedeli, dai 7 anni in poi, di
assistere alla s. Messa tutte le domeniche e feste sotto pena di peccato
mortale, purché non ne siano impediti da qualche grave incomodo.
Cosi è chiaro perché solo la s. Messa fu resa obbligatoria dalla Chiesa e non
altro. Non sono obbligatori i pellegrinaggi, non questa o quella devozione,
non il rosario, non le litanie. Bensì è obbligatoria sotto pena di peccato
mortale l'assistenza alla s. Messa tutte le domeniche e feste.
E' necessario quindi conoscerla a fondo. Se dobbiamo assistervi almeno una
volta alla settimana, è giusto che ne conosciamo il valore e le cerimonie.
Perché, se meditandole le avremo ben conosciute, non sentiremo più il
bisogno dell'imposizione della Chiesa. Allora andremo a Messa con gioia,
non perché c'è il comando, ma perché trascinati dalla nostra anima, anima
che odora e ringrazia, che implora e vuole espiare.
Qual'è dunque il valore della s. Messa? Quali i frutti? di questo tratterò
oggi. Se cercherete di comprenderli, sono certo che apprezzerete
convenientemente la s. Messa. Più tardi tratterò delle cerimonie della
Messa perché possiate ricavare sempre maggiori frutti dall'assistenza della
Messa.

1. Quale il valore della Messa dinanzi a Dio?

A) Fine precipuo(principale-maggiore) dell'uomo è di adorare e lodare


Dio Signore e Creatore.
Che significa adorare Dio? Significa riconoscere l'infinita maestà di Dio
e la nostra piccolezza; riconoscere la nostra dipendenza assoluta da Lui. «Io
sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine, dice il Signore Dio, colui che è e
che era e che viene. l'Onnipotente» (Apoc. 1, 8). «Io sono Colui che è»,
dice il Signore di sè (Es. 3, 14). Noi, povere creature, siamo niente al suo
confronto.

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Se così enorme è la distanza tra noi a Dio, come adorarlo; lodarlo
degnamente? Da noi non lo potremo mai.
Ecco venirci in aiuto la s. Messa come l'unica adorazione degna di Dio.
Una sola Messa rende a Dio omaggio e onore maggiore che non le
preghiere e le adorazioni di tutti gli angeli insieme, perché nella s. Messa
non sono gli angeli che danno gloria a Dio, ma lo stesso suo Figlio
unigenito gli rende un'adorazione di valore infinito. Perciò il celebrante,
dopo la consacrazione, tracciando una croce con la Santa Ostia sopra il
calice, dice: «Per Lui, con Lui e in Lui ti sia reso, o Dio Padre Onnipotente,
nell'unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria».

B) Quello che abbiamo detto dell'adorazione, dicasi anche del


rendimento di grazie. Per quante cose dobbiamo ringraziare il Signore! E
da soli siamo incapaci di esprimere debitamente il nostro ringraziamento.
Però mediante la Messa il nostro ringraziamento diventa degno e
accetto a Dio. «Ringraziamo il Signore Dio nostro», Gratias agamus
Domino Deo nostro, così canta il sacerdote al prefazio. E il ministro
risponde: «E' cosa degna e giusta» Dignum et iustum est. Allora il sacerdote
intona il prefazio: «E' veramente cosa degna e giusta, doverosa e salutare,
che noi sempre e dovunque. Ti ringraziamo, o Signore santo, Padre
onnipotente, Dio eterno, per Cristo nostro Signore...».

C) Ma con la s. Messa diamo al Dio offeso anche la debita riparazione.


Purtroppo sentiamo con dolore che abbiamo di che espiare, che
abbiamo che cosa riparare.
Di quanto è il nostro debito con Dio? Diecimila talenti! Ciascuno è
debitore di tale somma. Ce lo dice una parabola del Signore. «Il regno del
cieli è simile a un re, il quale volle regolare i conti coi suoi servitori.
Avendo pertanto cominciato a far ciò, gli menarono innanzi un tale che gli
doveva dieci mila talenti» (Matt. 18, 23-24). Somma favolosa! Eppure tale
è il nostro debito con Dio contratto col peccato.
Che dirà il debitore spaventato? «Il servo, gettandosi ai suoi piedi, lo
scongiurava dicendo: Abbi pazienza di Ine e ti pagherò tutto» (Matt 18,
26).
Mendicante miserabile! Lo pagherai tutto? Con che cosa? Come?
Come? con la s. Messa. Lì, alla s. Messa veramente ci gettiamo ai piedi
del Padre celeste e giustamente gli diciamo: Siamo si debitori, ma
pagheremo tutto il nostro debito. Col Figlio di Dio che si sacrifica per noi.
Con una pioggia di fuoco Dio irato fece scomparire dalla terra Sodoma e
Gomorra. Ma ciò che si commetteva in quelle città non era che un giuoco
da ragazzi in confronto agli orribili peccati che si commettono oggi nel

51
mondo. Però Nostro Signor Gesù Cristo continuamente, all'elevazione della
s. Messa, tende in alto al Padre celeste le sue mani espiatrici perché nella
sua giusta collera, non termini l'umanità peccatrice.

D) In fine la s. Messa è il sacrificio impetratorio(implorante) più


efficace.
All'uomo riesce difficile di rivolgere qualche preghiera ad un altro
uomo, e se lo fa, non è sicuro del risultato. Ma la preghiera sarà facile ed
anche efficace se sarà rivolta non ad un uomo, ma a Dio stesso, e non (la
per noi, ma per la mediazione di Nostro Signore Gestì Cristo.
Ora ciò lo facciamo nella s. Messa; tutte le preghiere che in essa
rivolgiamo a Dio, le concludiamo sempre con le parole ben note: « Per
Dominum Nostrum Iesum Christum, Filium tuum. Per Nostro Signore Gesù
Cristo, Figlio tuo».
Qualcuno potrebbe obbiettare: La morte di Gesù, avvenuta una volta
sola, non è sufficiente per tutte le espiazioni e per tutte le
impetrazioni(implorazioni)? E se è sufficiente, a che serve la Messa?
Sì, è sufficiente. Gesù sulla croce ci redense e diede soddisfazione per i
nostri peccati una volta per sempre. La s. Messa non è un sacrificio a sé, un
sacrificio nuovo, ma è la riproduzione, la rinnovazione misteriosa dell'unico
e solo sacrificio della croce. Chi dunque assiste alla Messa è come se fosse
stato presente sul Calvario il primo Venerdì Santo, quando si svolse la più
grande tragedia del mondo.
E allora a che serve la s. Messa? A questo scopo: Che chi vi assiste, si
unisce anche personalmente alla circolazione del sangue che parte dal
Cuore di Gesù e così partecipa della sua forza vitale e dei suoi frutti.

2. Quali i frutti della Messa?


Con la Messa riceviamo grazie immensurabili che purificano l'anima
nostra, la rendono bella e la santificano.

A) Consideriamo dapprima l'azione purificatrice della Messa.


Nella s. Messa il valore oggettivo della redenzione di Gesù Cristo
diventi, tesoro mio, personale e soggettivo. II sacrificio della croce fu il
sacrificio di redenzione; la s. Messa ne è l'applicazione. Sulla croce Gesù
offrì il sacrificio per la redenzione di tutti gli uomini, e diede soddisfazione
per i peccati di tutti, ma ogni singolo deve applicare a sè questa
soddisfazione. Dio non vuole riempire il cielo come fa il mietitore che
prende i covoni e li getta nel granaio, vogliano o non vogliano; noi
dobbiamo cooperare con la volontà divina affinchè la grazia della
redenzione cada anche su di noi. Il sacrificio della redenzione si rinnova

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innanzi a noi perché vi cogliamo la grazia purificatrice quanto ne siamo
capaci.
Chi assiste bene alla Messa, può ottenere il perdono dei suoi peccati
veniali e la diminuzione delle pene temporali. Essa, in vero, non cancella i
peccati mortali ma può ottenerci la grazia della contrizione, ci fa
comprendere la gravezza dei peccati e ci spinge a cercarne l'assoluzione
con una buona confessione.

B) Oltre alla grazia della contrizione, la s. Messa ci offre grazie attuali e


santificanti, perché con l'aiuto di queste possiamo più efficacemente
combattere contro le tentazioni, perdurare nelle dure lotte della vita, e
formare in noi sempre più bella e perfetta l'immagine di Dio ossia
raggiungere la santità. L'assistenza alla s. Messa è il mezzo migliore per
diventare Santi.
Non basta dunque l'assistere una volta sola alla Messa? Il sacrificio di
Gesù non è di valore infinito? perché assistervi tante volte?
Si, la Messa è di valore infinito, ma sono io finito, io povero uomo. Da quel
tesoro io che sono limitato non posso prendere che solo una parte limitata.
Anche il sole si leva giorno per giorno. In sole 24 ore irradia tanto calore
che la terra ne avrebbe abbastanza per millenni, se fosse capace di
assorbirlo tutto in una volta. Ma non ne è capace.
Un incredulo una volta così apostrofò un credente:
- Lei è cattolico?
- Sì.
- Va a Messa tutti i giorni?
- No, non ci arrivo. Ma neanche la Chiesa me lo obbliga. Vado solo le
domeniche e feste.
L'incredulo proseguì:
- Mi dica sinceramente, crede lei davvero che nella Messa è presente
Gesù Cristo, il suo Redentore, che è morto in croce per lei?
- Ma si che lo credo.
- Se io potessi crederlo, sarei tutti i giorni ad ascoltar la Messa.
Parlava giusto. Ora dunque, se proprio non ogni giorno, assistiamo
almeno le domeniche e feste e, potendo, anche qualche altro giorno.

C) Aggiungiamo un altro valore della Messa, la sua influenza sociale.


Basta badare ad una Messa parrocchiale della domenica. Quanta
fraternità, quanto amore se ne espande, come ogni avversione e
opposizione di classe scomparisce in quella santa armonia, quando i grandi
e i piccoli della parrocchia, i dotti e gli indotti, i poveri e i ricchi, come

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membri differenti di uno stesso corpo, assieme si prostrano avanti al trono
della maestà di Dio, ascoltando uniti la s. Messa!
Ormai mi è chiaro perché la Chiesa ci rese obbligatoria la Messa
almeno una volta alla settimana. Perché se vi fossero cristiani così leggeri e
non curanti della propria anima, da trascurare la fonte che le porta forza e
refrigerio, cioè i tesori della Messa, almeno una volta alla settimana, si
sentano obbligati ad esporre la loro anima ai raggi di questo sole vitale, per
non venir meno del tutto. Chi non si espone mai ai raggi del sole, soffrirà di
etisia. Chi trascura la Messa, soffrirà di etisia spirituale.
Ecco il valore straordinario della Messa e le sue benedizioni per l'uomo.

3. Come acquistare i frutti della Messa?

Qualcuno potrebbe osservare: Frequento regolarmente la Messa


domenicale, spesso anche nei giorni feriali, ma non ne sento alcun
vantaggio. Quale la causa?
Due possono essere i motivi: non ti prepari bene alla Messa, o non vi
assisti come si deve.

A) Innanzi tutto dobbiamo andare a Messa con la debita preparazione


come tutta la vita di Nostro Signore fu propriamente una grande
preparazione al sacrificio del Calvario.

a) Perciò non si meravigli affatto chi si parte dalla Messa senza vero
profitto, se vi assistette senza alcun raccoglimento, arrivandovi tanto da non
far tardi.
Dunque - e non solo per pura educazione - è cosa migliore il non
ritardare, ma piuttosto aspettare la Messa. Così avremo possibilità di
meditare avanti la Messa l'incomparabile fatto di cui saremo partecipi. Così
potremo ravvivare la fede nell'azione sublime che si compie sull'altare.
In gran parte il frutto della Messa dipende da questa fede viva. Con essa
la nostra devozione diverrà più interiore, l'attenzione non sarà turbata,
l'amore s'infiammerà di più. Senza di essa, invece, l'anima nostra resterà
fredda come la pietra dell'altare, in cui poggia il Corpo di N. Signore.

b) Ad una buona preparazione è necessaria anche la purezza dell'anima.


Quanto più pura abbiamo l'anima nell'assistere al sacrificio purissimo di N.
Signore. tanto più intimamente ci uniamo ad esso e tante più grazie ne
ricaviamo. Dieci persone assistono alla s. Messa e non tutte dieci
raccolgono il medesimo frutto.
Perché ?

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Dieci persone vanno alla fontana, ognuna con un recipiente di differente
capacità. A tutti la fontana offre la sua acqua abbondantemente, ma chi ha il
recipiente piccolo, ne prende meno, chi l'ha ripieno di fango, non ne prende
affatto. Eppure anche questi sta per mezz'ora alla ricca fontana.

B) Se ha tanta importanza la preparazione, quanta ne ha più il modo di


assistere alla Messa! Il frutto dipende dal saper partecipare alla Messa in
modo attivo.

a) Molti non ne hanno profitto perché solo « ascoltano» la Messa, cioè


vi assistono passivamente, e poi se ne vanno a casa persuasi di aver
compiuto bene il loro dovere.
Non vi abbiate a male, o Fratelli, se vi faccio un piccolo quadro della
Messa domenicale. Ma quante dolorose esperienze si farebbero se si
potesse passare invisibili fra le persone colte, educate e distinte che
«ascoltano» la Messa! Nei villaggi, i poveri contadini almeno
accompagnano attenti le cerimonie del sacerdote e spesso anche cantano la
Messa.
Ma che fanno i nostri intellettuali durante la Messa?
Quasi nessuno ha il libro di preghiere o il messalino; si vergognerebbe
di portarlo. Anche se lo porta, ne legge qualche cosa a caso, dove apre il
libro.
Ma, come dissi, quasi nessuno viene col libro di preghiere. E che fanno
allora? Siedono quieti, come si conviene a persone bene educate, e
guardano l'altare, guardano il celebrante - questo e ancora il caso migliore.
Poi guardano gli affreschi del soffitto e li esaminano. Osservano poi i vicini
e i loro vestiti. Guardano i ritardatari che si introducono tra i presenti.
Frattanto si alzano in piedi, e il perché non sanno; ma tutti si alzano. Poi
tutti guardano sotto il banco, come se avessero perso qualcosa: - siamo
all'elevazione. Alla fine si levano ancora e con un gran respiro escono dalla
Chiesa. Se ne vanno senza aver avuto un solo pensiero spirituale, senza
anche il minimo sospetto della sublime azione che commuove il mondo
tutto e di cui sono stati spettatori. Simili ai soldati romani che, destinati ad
assistere alla crocifissione, che si svolgeva dinanzi a loro, seduti stavano
giocando ai dadi.

b) Dove è qui l’errore, cari fratelli? Non nella cattiva volontà, perché
altrimenti non sarebbero venuti alla Messa, ma in un difetto doloroso. Non
conoscono i riti della Messa e non sanno quello che fa il Sacerdote
all'altare. Perché se lo sapessero e avessero in mano un messalino, essi
stessi resterebbero meravigliati del profitto spirituale, del fervore spirituale,

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del maggior acquisto di grazie, che ottengono dal partecipare alla Messa
attivamente, invece che dall'assistervi solo passivamente.
Nei discorsi che seguiranno esporrò in breve i riti della Messa e farò
risaltare i sentimenti che dovremmo avere nelle varie parti di questo divino
sacrificio.
Ripeto però che uno dei mezzi più efficaci per ascoltare con profitto la
s. Messa è l'accompagnarla con la lettura del messalino. Fortunatamente
questo uso si diffonde dappertutto.
E' desiderabile che se ne servano almeno le persone più istruite, e che
non vi sia chi entri nella libreria chiedendo un libro di preghiere bello, non
troppo grande, rilegato in pelle, taglio oro, con un astuccio grazioso... e
l'autore, importa poco.
Fratelli, l'apostolo S. Paolo scrisse ai fedeli di Efeso della larghezza,
della lunghezza, dell'altezza e della profondità dell'amor di Dio (3, 18).
In più maniere vediamo e sperimentiamo l'amore di Dio, ma la sua
larghezza, lunghezza, altezza e profondità mai meglio e più da vicino che
nella s. Messa. L'assistenza fruttuosa e retta alla s. Messa obbliga anche noi
ad una vita di sacrificio, cioè la Messa si ripercuote potentemente nella
nostra vita di ogni giorno. Non basta dunque solo l'ascoltare la Messa ossia
assistervi senza far niente. La Messa non è cosa solo del Sacerdote; non è
una rappresentazione teatrale che basta guardarla dal palco. La Messa non è
neanche soltanto una bella e cara devozione a cui si dà ogni domenica il
cristiano che poi si ritiene sciolto da ogni altro obbligo dopo esserne stato
presente. No. Messa e vita devono confondersi insieme. Col torrente delle
grazie scaturite dalla Messa dobbiamo inondare il terreno arido della nostra
vita cristiana.
Chi così si unisce alla Messa, rende davvero a Dio il culto più grande che
Gli si deve. Lo adora, lo ringrazia, lo placa e lo prega. Ma, nello stesso
tempo, acquista per la sua anima le grazie più grandi.
Non solo le sue labbra, ma anche l'anima sua intona le belle parole del
cantico:
«O Tu che stai sull'altare sotto le specie del pane, sotto il biancore
dell'Ostia immacolata, o Dio immenso, ammirabilmente occulto! Non Ti
vedo con gli occhi del corpo, eppure ti adoro realmente. Ti confesso mio
Creatore e mio Dio e ti riconosco mio Signore. Per codesto Corpo
benedetto che qui adoriamo, per codesto Sangue benedetto avanti al quale
ci prostriamo, Ti supplico, o Dio mio, di aver pietà dell'anima mia e di
perdonarmi i peccati». Amen.

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VII. LE CERIMONIE DELLA MESSA (I)

Quelli dunque che bene accolsero la sua parola, furono battezzati; e in


quel giorno il numero dei fedeli aumentò di circa tre mille anime.
Ed erano perseveranti nell'insegnamento degli Apostoli, nella
comunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere.
Ognuno era profondamente impressionato, perché molti prodigi e miracoli
si facevano dagli Apostoli in Gerusalemme e si stava in gran timore.
Ma tutti coloro che credevano erano insieme e avevano ogni lor cosa in
comune.
Essi vendevano la loro proprietà e i loro beni, e ne distribuivano il
ricavato fra tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
E tutti i giorni, di un sol volere, erano assidui al tempio; e nelle loro
case spezzavano il pane, e facevano i loro pasti insieme con allegria e
semplicità di cuore, lodando Dio per esser ben visti da tutto il popolo. Il
Signore poi, ogni giorno, aggiungeva al loro numero quelli che erano sulla
via della salvazione.
Atti degli Ap. 2, 41-47

Fratelli in Cristo,

Gesù Cristo nell'ultima Cena non solo diede in cibo agli Apostoli il suo
Corpo e il suo Sangue, ma diede loro ancora un ordine grandioso. Dopo di
averli comunicati, a compimento della cerimonia, disse loro: «Fate questo
in memoria di me» (Luca 22, 29).
Come se avesse detto: «Cari miei apostoli, ora avete ricevuto il grande
dono che vi promisi nella sinagoga di Cafarnao. Però allora non dissi solo a
voi, ma a tutta la moltitudine che mi ascoltava e, in essa, a tutti gli uomini:
Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo
sangue, non avrete la vita in voi» (Giov. 6, 54). Ora devo provvedere anche
che i miei seguaci trovino sempre questo cibo di vita eterna. Per tal motivo
do a voi e ai vostri successori il potere di fare quello che io feci ora e così si
realizzerà che «io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli» (Matt.
23, 20).
Con questo potere dato agli Apostoli, Gesù provvide alla continuazione
del mistero eucaristico ossia al sacrificio della Messa.
Tutti sappiamo il momento in cui si attua il Sacramento dell'altare. Alla
s. Messa, alla consacrazione. Questo momento è il centro, la perla
risplendente di tutta la nostra vita cristiana.

57
Ma il più bel diamante diventa più bello ancora se collocato in degna
incastonatura. Così tratta la Chiesa questo suo diamante di valore infinito.
La consacrazione avviene in un momento. Ma per far risaltare questo
momento la Chiesa lo collocò nel corso dei secoli in una preziosa cornice.
Preghiere e cerimonie lo precedono per circa un quarto d'ora e per circa lo
stesso tempo lo seguono.
Queste cerimonie sono il prodotto di azioni sacre formate dallo spirito
religioso per più secoli. Essenza, centro ne è la consacrazione cioè la
transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù
Cristo. Segue poi la Comunione dei fedeli. Ciò si eseguiva da quando esiste
il cristianesimo. Ma le cerimonie e preghiere che accompagnano la
consacrazione e la Comunione si evolsero a poco a poco fino a pervenire
alla forma d'oggi che, come sapete, da molti secoli perdura immutata.
Migliaia di sacerdoti in tutte le parti del mondo celebrano la Santa Messa.
Anche se di lingua differente tutti celebreranno allo stesso modo e con le
stesse parole.
La preziosa catena di orazioni e riti con la quale la Chiesa circonda la
parte centrale della Messa, ossia la consacrazione, è già da se stessa un
capolavoro, un'unità organica del culto scaturito dal profondo del cuore.
Ogni cristiano dovrebbe conoscere queste cerimonie. Solo così potrà unirsi
al sacrificio della Messa e riportarne frutti copiosi. Mi pare utile trattare in
questo e nei prossimi discorsi delle cerimonie della Messa e dei pensieri e
sentimenti religiosi che devono accompagnarla.

1. Simbolismo dell'arredamento dell'altare

Prima di parlare delle cerimonie della Messa, diamo uno sguardo


all'altare, al luogo cioè dove si compie l'azione sacra. Già l'altare stesso,
come si presenta ai nostri occhi, ci rivela lo spirito di sacrificio e ci sprona
alla vita di sacrificio.

A) La prima cosa che colpisce il nostro sguardo è il crocifisso in mezzo


all'altare. Non è lecito il dire Messa senza il crocifisso.
E' troppo naturale. Che cos'è la s. Messa? La rinnovazione del sacrificio
del Golgota, di quel solennissimo momento quando Gesù venne confitto
sulla croce. Sta lì il crocifisso come se da esso, durante la Messa, Gesù,
guardando il celebrante e i fedeli, dicesse: Ecco, così mi sono per te
sacrificato, e tu? Sei capace di sacrificarti per me?

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B) Per poter celebrare la Messa è poi assolutamente richiesto che l'altare
contenga le reliquie di qualche martire. «Vi ho amato fino alla effusione di
tutto il mio sangue; mi amate anche voi con tanta fedeltà?» chiede Gesù.
I martiri hanno saputo amar così: è giusto che le loro reliquie siano
conservate nell'altare del sacrificio augusto.

C) Che cosa vediamo ancora sull'altare? Candele; almeno due candele


di cera, che devono ardere anche se c'è altra luce.
Bello è il simbolismo della cera. La bianca candela arde ed il lucignolo
fiammeggiante scioglie e consuma la cera. Tutta la materia della cera viene
consumata, distrutta dalla propria fiamma. Potremmo dire: la candela
sacrificò se stessa per la gloria di Dio. Dove la candela potrebbe ardere in
luogo più degno dell'altare? Lì, dove tutti i giorni si sacrifica per noi il
Figlio di Dio fino alla consumazione di se stesso. Qual bianca candela
pende dalla croce il bianco corpo immacolato di Cristo. Il suo cuore arde di
fiamma viva, la fiamma dell'amore, la fiamma di Chi si sacrifica
completamente per noi. Come la fiamma della candela consuma la cera,
così l'amore del Cuore di Gesù consuma il suo Corpo, il suo Sangue, la sua
vita.

D) Che cosa troviamo ancora sull'altare? Talvolta anche: Fiori. Si


aprono così graziosamente per uno, due giorni... e poi declinano il loro
piccolo capo, appassiscono, muoiono... Pare che ci dicano: Ci siamo
consumati nel servizio di Dio, faresti anche tu lo stesso per Gesù che si
consumò per te? Eppure è necessario, in ogni Messa ben ascoltata deve
morire in te tutto ciò che è frivolo, superficiale, vano e peccaminoso.
Dal perenne sacrificio di Cristo, come da una miniera inesauribile di
diamanti, abbiamo da prendere l'amore alla vita di sacrificio, la
comprensione della necessità del sacrificio, la prontezza al sacrificio e la
forza per sopportare il sacrificio.
L'amore domanda amore, il sacrificio, sacrificio. A ciò pensò S. Paolo,
quando scrisse ai Colossensi: «Ora io mi rallegro nelle sofferenze che
patisco per voi, e completo nella mia carne quel che manca delle sofferenze
di Cristo» (1 24). Per tal motivo la Chiesa esige che siano persone votate al
sacrificio i suoi sacerdoti che ogni giorno rinnovano il sacrificio della
croce. Richiede da loro il sacrificio della rinunzia alla famiglia. Vuole da
loro il sacrificio della preghiera, del breviario. Pretende ancora il sacrificio
della rinunzia di tanti altri vaghi terreni, che non sono neanche peccati, ma
la cui rinunzia conviene a chi ogni giorno offre il sacrificio della Messa.
Quanti pensieri devoti ci procura la sola vista dell'altare prima ancora
che sia cominciata la Messa! Quanti non ne procureranno le cerimonie!

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2. La s. Messa nella Chiesa primitiva

Per comprendere meglio le cerimonie della Messa ricorderemo il rito


della stessa usato nei primi tempi del cristianesimo.

A) Secondo la s. Scrittura non solo il sacrificio della Messa, ma anche i


riti essenziali di questa erano già subito fissati.
Crediamo di non sbagliare se pensiamo che gli Apostoli ne siano stati
istruiti in proposito da Nostro Signore stesso. Negli Atti degli Apostoli
leggiamo che dopo la sua Risurrezione Gesù Cristo per 40 giorni comparve
più volte agli Apostoli parlando loro del regno di Dio (1, 3). Di che cosa
avrebbe parlato se non delle cose più importanti, del come edificare il regno
di Dio?
Solo così si spiega che subito dopo l'Ascensione già si celebrava la s.
Messa. «Erano perseveranti nell'insegnamento, nella comunione fraterna,
nello spezzare il pane e nelle preghiere» (Atti 20, 42). «Tutti i giorni, di un
sol volere, erano assidui al tempio, e nelle loro case spezzavano il pane»
(2, 46).
Così si faceva non solo a Gerusalemme ma anche nelle altre comunità
dei cristiani. Quando Paolo e Luca arrivarono a Troade, i fedeli si
radunavano il primo giorno della settimana, cioè la domenica, per la
frazione del pane (Atti 20, 7).
La ripetizione dell'ultima Cena non solo si mantenne costante tra i primi
cristiani, ma anzi fu il loro unico atto pubblico di culto. A questo scopo
dapprima si radunavano nelle case private, poi, al tempo delle persecuzioni,
nei cimiteri, nelle catacombe e più tardi nelle chiese.

B) Interessa sapere come si svolgeva nei primi tempi cristiani l'azione


sacra, oggi detta «Messa».
S. Giustino, martire del II secolo, ci da qualche ragguaglio prezioso sul
come si celebrava allora la s. Messa. Non si legge senza provarne
emozione. Ecco le sue parole: «E nel giorno chiamato del sole (domenica)
si fa l'adunanza di tutti nello stesso luogo, dimorino in città o in campagna,
e si leggono le memorie degli Apostoli e gli scritti dei Profeti... Quando il
lettore ha terminato, il preposto con un sermone ci ammonisce ed esorta
all'imitazione di quei begli esempi. Di poi tutti insieme ci leviamo e
innalziamo preghiere, e, avendo noi terminato le preghiere, si porta pane,
vino ed acqua e il capo della comunità fa similmente orazioni e azioni di
grazie e il popolo acclama dicendo l'Amen e si fa a ciascuno la

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distribuzione e la spartizione delle cose consacrate e se ne manda per
mezzo dei diaconi anche ai non presenti» (Apol. c. 67).
Questo il modo primitivo della celebrazione della s. Messa. Dovevano
passare secoli prima che essa raggiungesse la splendida forma attuale.
Anche considerandola esteticamente, essa ci appare come una splendida
opera d'arte, se la contempliamo con l'occhio dell'anima credente nelle sue
diverse parti e nel suo assieme.

3. La Messa dei catecumeni fino al Gloria

Oggi la Messa è composta da due differenti azioni sacre. Queste due parti
diverse portano anche un nome distinto; la prima è detta «Messa dei
catecumeni»; la seconda «Messa dei fedeli ».

A) La Messa dei catecumeni. La stessa parola ha il suono del


cristianesimo primitivo. A questa parte della Messa potevano assistere non
solo i fedeli battezzati, ma anche i pagani che si preparavano al battesimo.
Essa arrivava fino alla predica dopo il Vangelo. Allora il diacono invitava i
non battezzati ad uscire, e poi cominciava la Messa propriamente detta, la
Messa dei fedeli. La prima parte, cioè quella dei catecumeni, non è altro
che un'istruzione religiosa per i presenti, un'illustrazione delle verità
religiose per mezzo della S. Scrittura e della predicazione. Anche oggi la
Messa dei catecumeni è formata dalla lettura di due testi della S. Scrittura,
cioè dell'Epistola e del Vangelo, e, specialmente nelle Messe domenicali,
dall'omelia che segue il Vangelo.
Fin qui la Messa dei catecumeni. Ma di tutto questo i moderni fedeli non
sanno altro se nonché possono restarne assenti senza commettere peccato
mortale. E' vero. Questa parte non appartiene all’essenza della Messa, non
ne è che la preparazione. Ma chi comprende il profondo significato dei riti
anche di questa parte, si guarderà bene dal trascurarla.

B) E' interessante ed istruttiva la storia dell'evoluzione di questa parte


preparatoria.
L'anima nostra è presa da interna commozione quando si presenta al
Creatore per tributargli il suo omaggio. Anche i pagani capivano che avanti
Dio non ci si può presentare che con profonda umiltà.
Quanto più sacra è l'azione che l'uomo deve compiere, tanto più deve
umiliarsi e tanto più deve essere puro. Già nell'Antico Testamento si legge:
«I sacerdoti che s'accostano al Signore, si santifichino» (Es. 19, 22). «Chi
salirà mai al monte del Signore, chi si fermerà nel luogo suo santo?», si

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domanda con ansia il Salmista, e risponde: «L'innocente di mani e puro di
cuore» (Sal. 23, 3-4).
Conoscevano questo anche i primi cristiani, però ciò non portava loro
nessuna difficoltà. Allora ogni cristiano era fuoco ardente, era anima
anelante al martirio.

a) Nei tempi più antichi, le Messe cominciavano subito, senza altra


preparazione, con la lettura dell'Epistola e del Vangelo. Ne abbiamo oggi un
esempio nella Messa dei Presantificati nel Venerdì Santo. Questo sarebbe il
testo più antico.
Col tempo si dimostrò necessaria una preparazione più intensa al
sacrificio della Messa.

b) Di questa preparazione danno una prova interessante le così dette


stazioni.
Chi ha pratica del messalino, avrà osservato al principio del testo delle
Messe più antiche l'iscrizione: «stazione». Così p. e. alla Messa di
mezzanotte del Natale: «Stazione a S. Maria Maggiore». Alla seconda
Messa: «Stazione a S. Anastasia». Alla terza: «Stazione a S. Maria
Maggiore».
Che cosa erano queste «stazioni»?
In certi giorni i cristiani si radunavano prima della Messa in qualche
chiesa determinata. Non però nella chiesa dove si doveva celebrare la
Messa ma in un'altra e da qui, al canto delle litanie, si avviavano
processionalmente alla chiesa della Messa, ossia alla «stazione». Arrivati, si
finivano le litanie con l'invocazione «Kyrie eleison: Signore, abbi pietà di
noi». Dopo di che si dava principio alla Messa con preghiere e con le
lezioni dell'Epistola e del Vangelo. Ne abbiamo il ricordo oggi nella liturgia
alla Messa del Sabato Santo e nella vigilia di Pentecoste che comincia
appunto così.

C) Le prime preghiere della Messa si dicono ai gradini dell’altare.


Come venne tale usanza?

a) Già nel quinto secolo i fedeli, quando il vescovo celebrante entrava in


chiesa, usavano cantare qualche salmo che corrispondeva al pensiero della
Messa del giorno. Da qui si sviluppò la parte della Messa, detta «introito».
Questo è veramente l'introduzione alla Messa, che le da il tono; potremo
chiamarlo con termine tecnico d'arte, il preludio della Messa. Il celebrante
era già all'altare che il canto dell'introito durava ancora. Si fermava perciò
ai gradini dell'altare e, profondamente inclinato, pregava ciò che voleva.

62
Più tardi, invece della preghiera scelta dallo stesso celebrante, la Chiesa
stabilì il Salmo 42, anch'oggi prescritto.
Questo salmo fu scritto dal re David nel fuggir dai nemici, sentendo nel
profondo del cuore il desiderio di Gerusalemme. Bramava ritornarvi,
prender parte alle funzioni del tempio, dove aveva provato tanta gioia negli
anni della sua gioventù. Sospira: «O Dio mio, perché mi rigetti, perché
contristato me ne vo, mentre mi travaglia il nemico? Manda giù la tua luce
e la tua fedeltà: esse mi guidino e mi conducano al tuo santo monte e ai
tuoi tabernacoli. E mi avvicinerò all'altare di Dio. A Dio che è la gioia
della mia giovinezza» (XLII, 2-4)
Questi sono anche i nostri sentimenti quando ci avviciniamo all'altare di
Dio. Anche noi arriviamo all'altare fuggendo dall'immenso cumulo di
tentazioni ingannatrici e di nemici del corpo e dell'anima e imploriamo
forza e perseveranza.

b) Però la Chiesa non si accontenta della sola recita di questo salino.


Sente che non ci si può avvicinare alla sublime azione della s. Messa che
con l'anima pura. Perciò vuole che ci si riconosca peccatori contriti col dire
il «Confiteor».
«Confiteor Deo omnipotenti.. Confesso a Dio onnipotente». Un vero
atto giudiziario, diviso in due parti.
Nella prima parte il sacerdote - e con lui i fedeli che assistono alla
Messa - avanti al tribunale di Dio, attorniato dalla schiera dei Santi. Come
se tutti ci guardassero e ci accusassero di aver perduto la grazia ricevuta nel
battesimo. Non potendo sostenere il loro sguardo accusatore, ci inchiniamo
profondamente e con grande umiltà ci riconosciamo colpevoli: «Confesso a
Dio onnipotente, alla Beata Vergine Maria, a s. Michele Arcangelo, a s.
Giovanni Battista, ai santi Apostoli Pietro e Paolo, e tutti i Santi... che ho
troppo peccato in pensieri, parole ed opere, per mia colpa, mia colpa, mia
gravissima colpa».
Confessione questa sincera, contrita e purificatrice. Ed eccoci alla
seconda parte: dall'umile e dolorosa confessione alla fiducia e alla
purificazione. I santi non ci guardano più con aria di rimprovero. Anzi non
ci guardano nemmeno, ma rivolgono lo sguardo a Dio e lo supplicano di
essere misericordioso verso chi confessa le sue colpe con tanto dolore.
Il sacerdote può ora con fiducia salire l'altare per dar inizio alla s.
Messa.

c) Ma ancora indugia alquanto. Prima di dire le parole dell'introito,


arrivato alla metà dell'altare, lo bacia.

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L'altare è simbolo di Cristo, cosicché questo rispettoso bacio mattutino
è diretto a Cristo stesso.
Alla consacrazione del sacerdote, il vescovo chiamò il consacrando per
nome e questi con voce giubilante rispose: «Adsum: presente». Conobbe
la propria debolezza, ma, confidando nella grazia di Dio, rispose con tanta
sicurezza e gioia all'invito: «Adsum». D'allora di giorno in giorno, di anno
in anno sempre più si persuade che non può abbandonarsi a se stesso, ma
che deve appoggiarsi a Dio. Quindi il suo primo saluto a Gesù ogni mattina
quando bacia l'altare che lo simboleggia. Come se dicesse: Eccomi, o
Signore, pronto a servirti. Che vuoi da me, che cosa devo fare oggi per te?
Come posso oggi unirmi più strettamente al tuo sacratissimo Cuore?

D) Poi legge dal messale le parole dell'introito, dopo di che va nel


mezzo dell'altare e fa una breve invocazione di due sole parole in lingua
greca al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Sacerdote e ministrante per tre
volte dicono: Kyrie eleison, Christe eleison, Kyrie eleison.

a) Questo è il solo greco in tutta la Messa latina; dimostra la sua


antichità, poichè passò sin dall'inizio dalla liturgia orientale all'occidentale.
Non può mancare in nessuna Messa. Potranno mancare talvolta il Gloria
e il Credo, ma mai i nove Kyrie. Tre volte Kyrie eleison, rivolti al Padre; tre
volte Christe eleison, rivolti al Figlio e tre volte Kyrie eleison, rivolti allo
Spirito Santo. Signore, abbi pietà di noi; Cristo, abbi pietà di noi; Signore,
abbi pietà di noi.
Perché con tanta insistenza? Perché viviamo in tante tribolazioni e
abbiamo bisogno dell'aiuto di Dio. Siamo impotenti, decaduti, tribolati,
stretti tra la vita e la morte: o Signore, abbi pietà di noi.

b) A chi conosce la storia, queste brevi invocazioni dicono anche altro.


Ci parlano della fede eroica suggellata col sangue dei cristiani nei primi
tempi della Chiesa.
Quanti ricordi commoventi si nascondono in queste poche parole! Ci si
presenta alla mente il potente impero di Roma pagana dal Sahara alla
Scozia, dall'Oceano Atlantico al Mar Caspio. L'onnipotente imperatore di
questo smisurato impero era chiamato Kyrios. A tutti sembrava naturale di
dover tributare a questo Kyrios, a questo Signore onori divini: incenso,
sacrifici, adorazione.
Spaventosa aberrazione dello spirito umano! La mostruosità non è che
un pazzo come Caligola si sia ritenuto dio, ma che tutto l'impero lo abbia
adorato come tale. L'adorazione dell'imperatore era uno stretto dovere dei
cittadini. Chi disertava i suoi altari era considerato ateo e ribelle. E' da

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immaginarsi degradazione più dolorosa della dignità umana, il dover
adorare come dio chi era odiato come tiranno sanguinario?
E tutti lo adoravano, ma non i cristiani. Anche essi come sudditi non
negavano all'imperatore l'obbedienza civile, bensì gli rifiutavano il culto
diviso.
Ma che cosa costò loro questo atteggiamento coraggioso? Migliaia e
migliaia perdettero la vita, e migliaia e migliaia furono confinati, come
schiavi, nelle più lontane province dell'impero per i lavori forzati nelle
miniere. Importa poco. Uno solo era per i cristiani il loro Kyrios, il Signore
Dio e perciò trasportarono quest'invocazione nei loro uffici sacri, e la
trasportarono come chiara e sentita confessione di fede: Noi non abbiamo
che un salo Kyrios: Gesù. Tutte le volte che pronunciavano queste parole,
giocavano la testa, eppur le dicevano.
Fratelli, noi loro tardi nipoti, quando nella Messa ripetiamo la medesima
breve invocazione, abbiamo lo stesso coraggio, la stesa fede, lo steso
disprezzo della morte?
Sappiamo anche noi dire queste parole con quella grande fede con la
quale la donna Cananea supplicò Nostro Signore per la figlia inferma (Matt
15, 22), e il cieco di Gerico (Matt 20, 30), e gli sventurati lebbrosi? (Luca
17, 31). Siamo infermi anche noi? Signore, abbi pietà di noi! Siamo ciechi?
Cristo, abbi pietà di noi! Ci corrode la lebbra del peccato? 0 Signore, abbi
pietà di noi! Intorno a noi l'umanità smarrita si piega dinanzi a falsi idoli,
ma noi non conosciamo altro Signore, altro Dio, che Te, Dio eterno. Tu sei
l'unico Signore, l'unico Kyrios. Kyrie eleison...
Fratelli, abbiamo finito per oggi. Siamo arrivati appena al principio
della Messa dei catecumeni, ma già ora comprendiamo quale tesoro
spirituale è a nostra disposizione e come si migliorerà l'anima nostra, ,e
assisteremo alla Messa con spirito di fede. Accadrà anche a noi quello che
avvenne secondo la leggenda al monaco di Heisterbach. Dormì mille anni;
svegliatosi e unito in strada, notò con sorpresa che i passanti gli erano tutti
sconosciuti e che parlavano una lingua del tutto differente dalla sua.
Oh sì, all'uscire da una Messa assistita devotamente, pur non essendo
stati in chiesa più di mezza ora, noteremo con dolore che i passanti parlano
un ben differente linguaggio, hanno altri pensieri, altra moralità, non si
accorgono dei loro peccati, non implorano la misericordia divina, non
operano per la maggior gloria di Dio. E sentiamo che dobbiamo portare
nuovamente in questo mondo che vive nel peccato e nega il peccato, la
contrizione del Confiteor, la supplica impetratoria(implorante) del perdono
del Kyrie, e poi l'esaltazione di Dio del Gloria e la professione solenne di
fede del Credo.

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Fratelli, nella Messa ci attorniamo di Dio, ci riempiamo di Dio.
Portiamolo con noi e comunichiamolo a questo mondo dimentico di Lui.
Perché non vi sarà pace nel mondo finché dalle labbra di tutti non
proromperà l'umile preghiera: Kyrie eleison, Christe eleison! Signore, abbi
pietà di noi; Cristo, abbi pietà di noi!

VIII. LE CERIMONIE DELLA MESSA (II)

Gesù Cristo è il medesimo ieri e oggi e lo è per sempre. Per lui


offriamo continuamente a Dio un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra
confessanti il suo nome.
E il Dio della pace che in virtù del sangue dell'eterno patto ha
risuscitato dai morti il grande Pastore delle pecore, il Signor nostro Gesù,
vi renda atti a ogni opera buona sicché possiate fare la sua volontà,
operando egli in noi ciò che è gradito ai suoi occhi, per opera di Gesù
Cristo, a cui sia gloria nei secoli dei secoli, così sia.
Ebrei 13, 8, 15, 10, 21.

Fratelli,

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Nell'ultima predica siamo arrivati al Kyrie. Seguono altre cerimonie ancor
più belle nella stessa Messa dei catecumeni. Di queste parleremo nella
prima parte del discorso, per cominciare poi a trattare della «Messa dei
fedeli» nella seconda parte del discorso.

1. La Messa dei catecumeni (Continuazione)

A) Dopo il Kyrie risuona il canto degli Angeli, il Gloria.

a) Il Gloria è urto dei più bei cantici di glorificazione. La maggior parte


delle nostre preghiere sono solo di domanda. Chi si ricorda di Dio solo
nelle necessità, non può davvero dirsi uomo religioso.
Quando tutto ci va bene e niente ci affanna, quando splende il sole e
cantano gli uccelli, quando attorno a noi ondeggiano i campi di promettenti
messi o ci conforta il silenzio di una notte risplendente di stelle...
solleviamo anche allora la nostra mente a Dio? Sappiamo allora dirgli,
cantargli con esultanza la nostra gioia perché Egli è così grande, così
potente, così santo e perché ci tiene per figli?
Ogni frase del Gloria è appunto un inno di lode. «Ti lodiamo. Ti
benediciamo. Ti adoriamo e Ti glorifichiamo, o Signore. Ti ringraziamo per
la tua gloria immensa, o Signore... Perché Tu solo sei il Santo. Tu solo il
Signore. Tu solo l'Altissimo».
Il sacerdote deve sollevare le mani in alto al principio del Gloria, ma più
ancora l'anima. Si sente riempito della gioia che riempì gli angeli di
Betlemme, quando nella notte di Natale cantarono per la prima volta il
Gloria. Quando nella Messa solenne il coro canta il Gloria, esso si eleva
verso il cielo come se ogni parola avesse le ali per cantare gloria a Dio
Onnipotente. Che Gesù è Dio, che è il nostro Redentore, che cancellò i
nostri peccati si potrebbe esprimere con più chiarezza, con più calore, con
più solennità che non con le parole del Gloria? E dove il nostro cuore
potrebbe trovare più pace? O fratello, se sei inquieto, se ti opprime la
sfiducia, abbassa gli occhi alla Messa, piega il capo e di' col sacerdote:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona
volontà».

b) Un'altra particolarità del Gloria: la preghiera al plurale. «Ti lodiamo.


Ti benediciamo. Ti adoriamo» e così di seguito, sempre al plurale. Ciò che
si verifica in quasi tutta la Messa.
Che significa questo? Che la Messa non è una devozione privata, ma
atto di culto di tutta la comunità dei fedeli. Da qui la proibizione per il
sacerdote di celebrare la Messa senza che nessuno vi sia presente; deve

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esserci almeno il ministrante. Nella Messa celebrante e fedeli, uniti in
comunione fraterna, pregano insieme.
Una volta, quando i fedeli comprendevano il latino, essi stessi
rispondevano al sacerdote, ove risponde il ministrante, ma sempre in nome
dei fedeli. E il sacerdote dice sempre le orazioni al plurale: Oremus,
preghiamo; orate fratres, pregate o fratelli; gratias agamus Domino Deo
nostro, rendiamo grazie al Signore Dio nostro, e così via.
Sì, il sacerdote all'altare, il ministrante ai gradini dell'altare e i presenti, tutti
formano un'unità e come un'unica grande famiglia si prostrano avanti il
Padre comune che è nei cieli. Ditemi, esiste un'altra simile fraternità? Come
nella Messa si realizza il motto: «Eucharistia vinculum caritatis:
L'Eucaristia, vincolo di carità»!

B) E il Padre celeste, Dio Onnipotente non ha il suo trono ad una


distanza infinita, in un mondo ultraterreno. E' qui, vicinissimo a noi, è qui
con noi. Ce lo dice, ce lo assicura il sacerdote con le parole che seguono.
Dopo il Gloria, il sacerdote si rivolge verso i fedeli con un saluto
affettuoso, incoraggiante che poi durante la Messa ripete più volte:
«Dominus vobiscum: il Signore sia con voi».

a) Parole semplici e ben note ma che hanno un profondo significato.


Polo e centro, alfa e omega, di tutta l'umanità, per cui o contro cui deve
decidersi ogni uomo, è nostro Signore Gesù Cristo. «Senza di Lui niente è
stato fatto di tutto ciò che esiste» (Giov. 1, 3). «Egli è l'immagine
dell'invisibile Dio» (Col. 1, 15). «Egli è avanti tutto e il tutto in Lui
sussiste» (Col. 1, I7). Nostro più grande sforzo e nostra più grande
aspirazione dovrebbero essere che tutti, in cielo e sulla terra, si uniscano a
Gesù, loro Capo.
E qui si sente l'invito del sacerdote: II Signore sia con voi. Cristo sia
sempre con voi e voi sempre con Cristo. Voi e Cristo in una unità
indissolubile.
Ci si può rivolgere un più caro augurio, un più bel saluto? Eppure
questo non è un semplice augurio, e una realtà santa. Sappiamo che dietro
la figura visibile del sacerdote sta Cristo invisibile. Sia che celebri il
Sommo Pontefice o l'ultimo cappellano di una parrocchia sperduta... non
importa, dietro a loro è sempre Cristo, e quando il sacerdote si rivolge con
le mani stese verso il popolo per salutarlo, è propriamente Cristo che saluta
i fedeli presenti alla Messa. E' Lui che dice il Dominus vobiscum, Lui che
benedice, Lui che consola, Lui che fortifica e che risana.

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Dominus vobiscum. Il Signore sia con voi. Qualunque cosa vi posa
accadere, non vi angustiate, il Signore è con voi, non siete mai soli, mai
abbandonati.

b) E i fedeli rispondono a questo saluto. Lo richiede la cortesia, ma


anche l'amore. Oggi invece di loro risponde solo il ministro. Ma nella
Chiesa primitiva dalle labbra dei fedeli risuonava come forte eco: «Et cum
spiritu tuo: e col tuo spirito». Sì, il Signore sia anche con te, o fratello
sacerdote, anche tu hai tanto bisogno del suo aiuto, perché tu possa
adempiere bene la tua difficile missione.
Così la risposta Et cum spiritu tuo diventa preghiera dei fedeli per il
loro sacerdote.

C) Dopo il Dominus vobiscuni seguono le orazioni (gli Oremus) della


Messa del giorno, e poi le due parti, diremo, principali della Messa dei
catecumeni: l'Epistola e il Vangelo.

a) L'Epistola comincia con la parola lectio «lezione», cioè lezione di


qualche brano di un determinato libro della Sacra Scrittura, all'infuori dei
Vangeli.
Da principio i libri santi venivano letti di seguito; più tardi,
moltiplicatesi le feste, per ciascun giorno venne scelto un brano speciale.
Possiamo immaginare con quanto raccoglimento e con quanta
commozione i primi cristiani avranno ascoltato le parole, gli ammonimenti
e gli insegnamenti dei profeti e degli apostoli.

b) Il rispetto alla parola di Dio aumentava dopo l'Epistola, quando si


dava lettura del Vangelo, della buona novella, della parola stessa di Gesù
manifestata per mezzo degli Evangelisti. Nel Medio Evo i cavalieri, durante
la lettura dei Vangelo, tenevano sguainata la spada, e, anche oggi, i fedeli
stanno in piedi in atto di rispetto verso la parola di Gesù.
Voi stessi potete osservare con quanto onore e solennità la Chiesa
accompagna il canto del Vangelo nella Messa solenne.
Il diacono chiede la benedizione prima di cantarlo, alla destra e alla
sinistra dell'evangelario si portano le candele accese, e lo stesso libro viene
incensato.
Così deve essere. Quando il diacono comincia il canto della «buona
novella», dei Vangelo: «Sequentia Sancti Evangeli,...: ascoltate le seguenti
parole del santo Vangelo» , pare che una atmosfera di raccoglimento e
meditazione si diffonda tra i fedeli.

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Essi non solo sentono, ma vedono anche Cristo che parla loro. Per
questo anche gli rispondono: «Gloria Tibi, Domine: Gloria a Te, o
Signore». Anzi alla fine gli ripetono «Laus tibi, Christe: Sia lode a Te, o
Cristo».
Così finisce la Messa dei catecumeni e comincia la Messa dei fedeli.

2. La Messa dei fedeli fino al canone

La Messa dei fedeli comincia con l'offertorio ossia con l'offerta del pane
e del vino.

A) E' molto istruttiva la storia dello sviluppo dell'offertorio.

a) Nei primi secoli del cristianesimo, i fedeli andavano


processionalmente all'altare per portare dei doni, specialmente il pane e il
vino che servivano alla celebrazione della Messa. Offrivano pure olio, lino,
frumento, cera, frutta, oro e così via.
Ricevute le offerte, il sacerdote sceglieva quello che gli serviva per la
Messa e poiché, in questa faccenda, poteva sporcarsi le mani, se le lavava
prima di proseguir la Messa. Oggi è cessata questa offerta in natura da parte
dei fedeli, ma è rimasto il lavabo, cioè il lavarsi delle mani da parte del
sacerdote. Al lavabo diamo oggi un significato spirituale: come deve esser
puro chi offre il sacrificio!
La Chiesa procurò di elevare lo spirito dei fedeli da questa offerta
materiale all'offerta di se stessi in sacrificio a Dio. Il dono esteriore non
doveva essere che il simbolo e l'espressione dello spirito interiore di
sacrificio con cui partecipare al sacrificio di Cristo.

b) Come ho detto, i fedeli non offrivano soltanto quello che era


necessario per la Messa, ma anche altre cose. Queste servivano per il
sostentamento dei sacerdoti e per aiutare i poveri. Risuonavano sempre alle
loro orecchie le parole dette da Gesù agli Apostoli: «Chi accoglie voi,
accoglie me» (Matt. 10, 40), e quelle di S. Paolo: «Non sapete che chi serve
all'altare, ha parte dell'altare?» (1 Cor. 9, 13); così pure le parole di Gesù
dette a favore dei poveri: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo
di questi miei fratelli più piccoli,l’avete fatto a me» (Matt 25, 40).
Però a misura che cresceva il numero dei fedeli durava più tempo e
diventava più difficile la raccolta delle offerte in natura durante la Messa. Si
cominciò così a sostituirle con doni pecuniari; chi poi non poteva assistere
alla Messa mandava la sua offerta. In tal modo si sviluppò la duplice usanza
dei nostri tempi: la raccolta dell'elemosina durante la Messa e l'offerta di

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chi desidera l'applicazione della Messa secondo la sua intenzione, chiamata
stipendio.
Molti non comprendono la natura di questo stipendio. Voglio subito
osservare che con lo stipendio non «si paga» la Messa. Questa porta frutti
di cui beneficiano tutta la Chiesa militante e tutta la Chiesa purgante. Ma
porta anche altri frutti, come quelli p. es. di impetrazione e di propiziazione,
che il celebrante può applicare ai vivi o ai defunti secondo l'intenzione di
chi dà l'offerta ossia lo stipendio della Messa. Così si può far celebrare la
Messa per una persona viva o morta o inferma perché l'intenzione sia
onesta; e, come espressione di tale intenzione, si dà al sacerdote lo
stipendio per provvedere al suo -ostentamento. Questo non è dunque un
«pagar» la Messa, ma una forma nuova delle antiche offerte in natura.

B) Esaminiamo ora come si svolge l'offertorio al giorno d'oggi.

a) Dapprima l'offerta dell'ostia. Il sacerdote prende nelle mani il piattino


dorato, la patena, su cui sta l'ostia, lo leva in alto verso il Crocifisso e dice:
«Accetta, o Padre santo, Dio Onnipotente e eterno, questa ostia
immacolata che io indegno tuo servo offro a Te, Dio mio vivo e vero, per le
innumerevoli colpe, offese e negligenze mie e per tutti i circostanti, come
pure per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, affinché a me e ad essi giovi a
salvezza della vita eterna».
Come è consolante il sapere che in ogni Messa vengono particolarmente
ricordati tutti i presenti! Non lasciamo passare quel momento prezioso nel
quale anche noi possiamo essere posti sulla patena dorata e offrire al
Signore le lotte, le tristezze, le prove della vita quotidiana.

b) Poi l'offerta del vino. Il sacerdote versa nel calice del vino e poche
gocce d'acqua. Prima di versare l'acqua, la benedice con queste parole di
profondo significato: «O Dio, che in modo meraviglioso creasti la nobile
natura dell'uomo e più meravigliosamente ancora l'hai rigenerata, concedici
di diventare, mediante il mistero di quest'acqua e questo vino, consorti della
divinità di Colui che si degnò farsi partecipe della nostra umanità, Gesù
Cristo, tuo Figlio, nostro Signore, il quale vive e regna Dio con Te nell'unità
dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Cosi sia».
Veramente preghiera e rito di profondo significato! Il vino simbolizza
Cristo e perciò non lo si benedice prima di versarlo nel calice. L'acqua che
viene mescolata al vino invece simbolizza l'umanità: questa ha bisogno
della grazia divina, è quindi da benedirsi col segno della croce e con la
predetta orazione. Quando nella Messa al vino, simbolo di Cristo, viene
unita l'acqua, simbolo nostro, supplichiamo con umiltà il Signore che ci

71
unisca a Lui come un giorno si uni alla nostra umanità perché così anche
noi possiamo renderci partecipi della sua vita eterna.
Questa cerimonia dunque esprime la sublime verità della nostra fede:
l'unione dell'uomo con Dio. «La piccola goccia d'acqua, unita al vino della
Messa, sono io. E questo vino, alla consacrazione, si cambia nel Sangue
dell'Uomo Dio. Questi poi, nella sua essenza, è una Persona della
Santissima Trinità. La goccia d'acqua, cioè l'uomo, viene così presa nella
corrente di vita della Santissima Trinità» (MERCIER).
Pensiero veramente grande! Ma non meno edificante e vivificante! Lo
scopo della nostra vita è che Cristo viva in noi e noi in Lui. Cosi ogni
nostro travaglio, ogni preghiera, ogni sospiro, ogni lagrima si cambia nella
vita eterna in preziosa gemma fulgente.
Dopo di che il sacerdote prende nelle mani il calice, lo alza guardando
la croce e dice: «Ti offriamo, o Signore, questo calice di salute e
scongiuriamo la tua clemenza perché esso salga con odore soavissimo al
cospetto della tua maestà divina per la salvezza nostra
e del mondo intero. Così sia». Poi, inchinandosi, prosegue: «E noi con lo
spirito umile e con l'anima contrita, deh, siamo accolti da Te, o Signore, e il
nostro sacrificio si compia oggi alla tua presenza in modo che Ti piaccia, o
Signore Dio».
Come è facile comprendere il profondo significato delle cerimonie
dell'offertorio! Che cosa significa il pane, il pane quotidiano? Significa le
fatiche, i sudori, gli affanni, le sofferenze di ogni giorno. E che cosa
significa il vino? La gioia della vita. Nell'offrire a Dio nella Messa il pane e
il vino, mettiamo nelle sue mani i nostri dolori e le nostre gioie, la nostra
giornata, tutta la nostra vita e ci abbandoniamo completamente al Signore.

C) All'offertorio segue il lavabo. Oggi questo non è che una cerimonia


simbolica. Però quale eloquente simbolo e vibrante ammonimento!
Le mani! Quante ne possiamo contare qui nella chiesa! Una è poggiata
sul banco, altre sono giunte in preghiera, altre sfogliano il libro di
devozione... ma in ciascuna quanto di bene e di male si nasconde, quanto di
dolore o di gioia essa porta! Quanto dolore se le mani sono peccatrici e
quanta gioia se sante! Quale benefizio se almeno la domenica le mani
fossero purificate! Fossero purificate da ogni macchia, avidità, impurità,
indifferenza; potessero essere presentate al Signore da tutti senza rossore!
Come sarebbe altra la vita sulla terra! Ed ecco il salmo recitato dal
sacerdote: «Lavabo inter innocentes manus meas...: Laverò tra gli innocenti
le mie mani...».
Sì, o Signore, fa che le mie mani siano innocenti. E la mia anima. E
tutto me stesso...

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D) Dopo l'offertorio e il lavabo segue la grande preghiera di lode, il
Prefazio.
Quale stupenda preghiera! Quanta gioia e quanta elevazione, quanta
adorazione e quanta lode traspirano le sue parole!
«Sursum corda: In alto i cuori», così esorta il sacerdote ai fedeli. E
questi rispondono: «Habemus ad Dominum: Li abbiamo al Signore».
«Gratias agamus Domino Deo nostro: Rendiamo grazie al Signore Dio
nostro», prosegue il sacerdote. E i fedeli: «Dignum et iustum est: E' cosa
degna e giusta».
Ora il sacerdote comincia la preghiera di maestosa e incomparabile
bellezza, chiamata prefazio.
La sua stessa melodia, con la quale lo si canta nelle Messe solenni, è di
una insuperabile dignità ed invita a pregare. Mozart disse che avrebbe
rinunziato a ogni sua composizione pur di essere l'autore del Prefazio.
Che dire poi del testo? Oggi abbiamo 15 Prefazio differenti per le varie
solennità. Ascoltatene uno. Chi non vede nelle sue parole l'amoroso volo
dell'anima della Chiesa che adora, loda, prega il Signore e in Lui gioisce?
«Veramente degna, giusta e salutevole cosa è che noi sempre e
dappertutto rendiamo grazie a Te, o Signore santo, Padre onnipotente, Dio
eterno, per mezzo di Cristo nostro Signore, per il quale gli Angeli lodano la
tua maestà, le Dominazioni l'adorano, ne tremano le Potestà, i Cieli e le
Virtù dei Cieli e i beati Serafini la celebrano in comune esultanza. Con le
loro voci, te ne preghiamo, fa che siano ammesse anche le nostre; mentre
con umile professione diciamo:
Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti. Della tua gloria sono
pieni i cieli e la terra. Osanna nel più alto dei cieli. Benedetto Colui che
viene nel nome del Signore. Osanna nel più alto dei cieli».

Col triplice Sanctus il rito ci ha portato, per dir così, al cielo. E per ora
sospendiamo la spiegazione della Messa. Come se fossimo anche noi in
mezzo agli angeli, elevati sopra ogni miseria e caducità umana. Come se il
testo che segue volesse indicarci la stessa cosa. Il testo non cambia mai:
resta invariato; e si chiama canone. II testo che lo precede, le orazioni cioè,
la epistola e il vangelo, si cambia a seconda delle feste, ma non cambia il
canone. Dai primi tempi con lo stesso sacro testo la Chiesa ci prepara al
sublime momento della consacrazione, a Gesù che scende in mezzo a noi.
Questa parte il sacerdote la dice sottovoce. A voce così bassa da non
esser udito dai circostanti. Le parti precedenti spesso le dice alternandole
col popolo, ossia col ministro che rappresenta il popolo; ma qui si separa
quasi dal popolo, entra nel Santo dei Santi, dove sta solo col Signore. Solo,

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come Mosè sul monte Sinai quando gli parlava il Signore. Si avvicina il
momento emozionante della consacrazione, quando l'altare si cambia in
Betlemme e in Golgota, nel presepio e nella croce. Questo momento, nel
quale di nuovo scende il Signore in mezzo a noi, è accompagnato da così
profondo silenzio quale doveva essere nella notte di Natale, quando per la
prima volta venne in mezzo a noi il Verbo incarnato.
Vedete, o fratelli, quale sia la felicità di noi cristiani di poter avvicinarci
ogni giorno al Signore, perché è Lui che nella s. Messa scende in mezzo a
noi. Vedete come si adempie per noi la parola di Gesù: «Ecco, io sono con
voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Matt 28, 20).
Vedete quale insigne privilegio il nostro, quale speciale onore il potere,
purché lo vogliamo, prostrarci anche ogni giorno avanti N. S. Gesù Cristo,
nel momento sublime quando scende nuovamente in mezzo a noi e il
poterlo adorare profondamente!

IX. LE CERIMONIE DELLA MESSA (III)

Quando fu l’ora,prese posto a tavola e gli Apostoli con lui.


E disse loro: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua
con voi, prima della mia passione, poiché vi dico:non la mangerò più,
finchè essa non si compia nel regno di Dio".
E preso un calice, rese grazie e disse: "Prendetelo e distribuitelo fra
voi, perché vi dico:da questo momento non berrò più del frutto della vite,
finché non venga il regno di Dio".
Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo:
"Questo è il mio Corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me".
Allo stesso modo,dopo aver cenato,prese il calice dicendo: "Questo
calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi"».
S. Luca 22, 14-20.

Fratelli,
Una terribile burrasca sorprese una nave in viaggio. Le onde
spumeggianti, sferzate dall'uragano, sballottavano la nave che gemeva e
crepitava..., i passeggeri, in preda alla disperazione, vedevano già aperta la
tomba dell'immenso oceano per ingoiarli tutti... quando, proprio nell'ultimo
momento della disperazione, uno dei passeggeri ebbe un pensiero singolare.
Prese sulle braccia un figlioletto, di appena un anno. lo levò in alto, e
sorpassando con la voce l'urlo dell'uragano che strepitava, gridò verso il
cielo: «O Padre, ci punisci giustamente; lo abbiamo meritato tutti. Però
guarda questo piccolo innocente, per amor suo abbi pietà di noi...».

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Fratelli! Dove si erge una chiesa cattolica, dove si celebra sulla terra la
s. Messa, si ripete ogni giorno questa medesima scena in una maniera mille
volte sublime. Circondano l'altare gli uomini sbattuti dalla spietata tempesta
della vita; distrutti dalle disgrazie, combattuti dalle tentazioni, curvi ,sotto il
peso dei peccati. Ma viene il momento solennissimo della elevazione...
mentre il Figlio di Dio è elevato in alto dalle mani del sacerdote, eleviamo
anche noi il nostro pensiero al cielo, dicendo: O Padre, ci punisci
giustamente, noi non meritiamo alcuna misericordia; ma mira il tuo unico
Figlio, innocente, santo... per amor suo abbi pietà di noi.
Nelle due ultime prediche abbiamo spiegato le cerimonie della Messa.
Continuando la spiegazione trattiamo adesso del suo momento più solenne
della sua parte essenziale, cioè della consacrazione.
Propriamente, questo punto è per se tutta la Messa, quello che lo precede e
lo segue non ne forma che il contorno nel quale la Chiesa ha incastonato
questo celeste diamante. Tutto nella Messa prepara questo momento o lo
completa e finisce. Tutta la Messa e ogni suo rito convergono a questo
momento; alla consacrazione. Soltanto a questo scopo sono eretti gli altari.
I sacerdoti sono consacrati per questo. Per questo esiste la Chiesa cattolica.
Tutto per questo grandioso momento, al quale ci siamo preparati, nella
parte antecedente, con desiderio sempre maggiore, con preghiere sempre
più ferventi.

1. La consacrazione

Gettiamo dunque ora uno sguardo sull'altare.

A) La prima cosa che ci colpisce è il silenzio assoluto, profondo che


regna in tutta la chiesa.

a) Cessa ogni mormorio, ogni parola. Il sacerdote consacra il pane e il


vino a voce bassa e poi il suono argentino del campanello avverte che viene
elevato sopra di noi Gesù sceso sull'altare per noi. Nel grande silenzio par
di sentire il lieve fruscio delle ali degli angeli, il loro canto come se
l'eternità si fosse inchinata al tempo per portarlo all'eternità. Mai come in
questo momento noi sentiamo quanto siano vere le parole di S.
Bonaventura: «La Messa è così piena di misteri come il mare di gocce
d'acqua, come l'aria di granellini di polvere, il firmamento di stelle, il cielo
di angeli».
Sì, questo silenzio è la preghiera più corrispondente all'atto
soprannaturale, inesprimibile a parole, che in quel momento si compie.

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b) La preghiera del silenzio! Ma come? Si può pregare senza dir parole?
Eccome! Anzi nei momenti di maggior commozione non si può che
pregare così. Quando troviamo le parole per esprimere i nostri sentimenti
vuol dire che questi non hanno raggiunto il massimo grado di intensità, ma
sì allora quando la parola viene a mancarci. Così restiamo senza parole
avanti una cattedrale maestosa, oppure nell'ammirare una splendida aurora
o la cima di un monte coperta di candida neve. Più maestosa è la cosa a cui
assistiamo e più ci è confacente il silenzio. La Chiesa chiama il Santissimo
Sacramento: Sacramentum mirabile. Ammiriamolo senza mai cessare di
ammirarlo.
A qualcuno potrà sembrare strano questo grande silenzio nel momento più
solenne della Messa. Non sarebbe meglio che allora la Chiesa prorompesse
nei più bei cantici di esultanza? Eppure la liturgia ama tanto il canto. Perché
proprio allora silenzio completo? Si comprende facilmente. Perché per ciò
che allora succede non esiste alcuna espressione umana, non parola, non
suono, non canto d'uomo: non v'ha altro che muta ammirazione.
Si ode unicamente la timida voce del campanello. Parla con voce
misteriosa come se dicesse: Uomini, non dimenticate a che vi obbliga la
morte di Cristo che ora si ripete misticamente. Vi obbliga ad una
determinata specie di morte spirituale, alla morte dell'uomo vecchio di cui
fa parola così bellamente S. Paolo: «Ignorate che quanti siamo stati
battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella morte di Lui? Siamo
stati dunque sepolti con Lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché,
come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del Padre, così anche noi
camminiamo in novità di vita» (Rom. 6, 3-4).
Questo seppellimento in Cristo meglio non può realizzarsi che nella s.
Messa. Andare a Messa vuol dire salire il Calvario con Cristo, morire lì con
Cristo e seppellire l'uomo antico nel sepolcro di Cristo. Pertanto nel
momento silenzioso della consacrazione moriamo tutti, ma non per restare
morti, ma per risorgere a nuova vita. «Noi sappiamo che siamo stati
trasportati dalla morte alla vita» (1 Giov. 3, 14), ad una vita nuova,
soprannaturale, divina. Come non vi è Messa senza transustanziazione, così
non vi è vera vita cristiana senza la trasformazione dell'uomo antico,
puramente naturale. Nella Messa la piccola ostia si cangia nel Corpo di
Cristo; e l'uomo antico deve trasformarsi in viva immagine di Cristo.

B) Se meditiamo tutto ciò, comprendiamo come dobbiamo comportarci


durante l'elevazione.
Dobbiamo piegare le ginocchia e piegare l'anima.

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a) Piegare le ginocchia. Avanti il Santissimo Sacramento la Chiesa non
conosce che un unico gesto: l' inginocchiarsi. Non è possibile assistere ad
un mistero così tremendo in posizione eretta; esso ci obbliga a prostrarci, ed
inginocchiarci. Poche parole pronunciate sopra l'ostia; e in quel momento la
piccola ostia diventa un tesoro maggiore di tutti i tesori della terra, di tutti i
valori e pompe dell'universo intero. Se possedessimo occhi non costretti da
leggi fisiche, se avessimo una vista soprannaturale, con santa emozione nel
momento silenzioso della consacrazione vedremmo comparire intorno alla
s. Ostia una splendida legione d'angeli osannanti con santo timore e
ammirazione il Signore e Re che si abbassa in modo così sconfinato. Si
muove tutto il cielo e noi, poveri uomini, potremmo restare freddi, senza
movimento alcuno di adorazione? Se non si fosse costretti a vedere spesso
anche questo, non si potrebbe credere che nel momento così grandioso
della Messa ci siano persone che restino sedute, o in piedi, insensibili come
tronchi d'albero senza vita, per paura di perdere la riga dei calzoni ben
stirati.
Fratelli; inginocchiatevi alla consacrazione.

b) Ma piegate anche l'anima vostra.


E' commovente il momento quando il padre compare in mezzo ai figli,
il capo in mezzo ai membri di famiglia. Di quel corpo mistico che noi
chiamiamo Chiesa, capo è Cristo e noi le sue membra. Durante la settimana
le membra sono sparse qua e là, a seconda del loro ufficio. Ma la domenica
si raccolgono tutte alla Messa; ne restano fuori solo i rami secchi. Gli altri
sono tutti qui. Sono venuti ad ossequiare il Capo, che in questi santi
momenti è disceso in mezzo a loro in tutta la sua realtà.
Sei venuto, o Gesù, a noi, e noi a Te! Da quante parti siamo venuti!
Ecco una donna interruppe i suoi lavori domestici per riprenderli dopo la
Messa. Un'altra lasciò i suoi figli piccini alla custodia del più grandicello,
ma il suo pensiero veglia su di loro anche nella preghiera. Un terzo era
appunto in servizio di ispezione, ma pure gli riuscì a staccare mezz'ora per
venire alla Messa. Il quarto è per fare un'escursione, già gli amici sono
impazienti nell'aspettarlo. Aspettino pure. A Dio deve esser dato il suo
tempo. E gli altri, e tutti i presenti, siano pure centinaia o migliaia, tutti
siamo venuti lasciando le nostre differenti occupazioni, e qui tutti ci
sentiamo fratelli, membri di un unico corpo, di cui Gesù è capo, che ora è
presente in mezzo a noi. E mentre i popoli si odiano vicendevolmente,
mentre le nazioni e le classi sociali sono in lotta, avanti il Santissimo
Sacramento poveri e ricchi, dotti ed ignoranti, operai della penna e del
martello, uomini di ogni colore si trovano riuniti come fratelli e si adempie

77
la parola del Salmista: «Oh. com'è bello e giocondo che dei fratelli abitino
insieme!».
Quale meraviglia dunque se l'anima nostra non può più contenersi e con
giubilo sospiri: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, osanna
nel più alto dei cieli».

2. Dalla consacrazione alla Comunione

A) Poco dopo la consacrazione segue una preghiera tanto cara al nostro


cuore, il memento dei morti.
I nostri morti scomparvero al nostro sguardo, ma non a quello di Dio. Il
passar del tempo ce li rende più lontani, il loro ricordo impallidisce sempre
più. Eppure vivono. Vivono e aspettano da noi l'aiuto che da sè non si
possono dare.
Quale grandiosa manifestazione di fraternità il poter aiutare anche i
nostri trapassati! E quale edificante testimonianza del cuore materno della
Chiesa che in ogni Messa, mediante i suoi sacerdoti, prega per i suoi figli
defunti! «Ricordati anche, o Signore, dei tuoi servi e delle tue serve che ci
hanno preceduto col segno della fede e dormono il sonno di pace. Ad essi, o
Signore, e a tutti quelli che riposano in Cristo, noi ti supplichiamo di volere
concedere il luogo del refrigerio, della luce e della pace».
Ancora una volta ci persuadiamo che l'Eucaristia è vincolo di carità,
anche verso i defunti.

B) Segue il Padre Nostro. Giace sull'altare innanzi a noi Gesù offertosi


in sacrificio. In questa parte così importante la Chiesa pone l'orazione
domenicale. La introduce con parole molto significative: «Esortati da un
comando salutare e ammaestrati da un'istruzione divina, osiamo dire: Padre
nostro».
C'è in queste parole un grande senso di venerazione filiale. E così deve
essere. E' l'unica preghiera insegnataci da Gesù Cristo stesso. La Chiesa sin
dal principio la conservò gelosamente come tesoro preziosissimo e la
preservò da ogni contaminazione. La insegnò solo ai fedeli, la nascose ai
pagani, non la divulgò per iscritto e la insegnò ai catecumeni solo poco
prima del battesimo.
Così si comprende la sua introduzione: «Esortati da un comando
salutare...». Come se la Chiesa volesse scusarsi: Noi, poveri uomini, non
dovremmo nemmeno osare di proferire una preghiera così confidenziale.
Dio, Signore e Creatore del cielo e della terra, chiamarlo Padre?! E sì, per
comando esplicito di Gesù. Tra breve in comune riceveremo il Corpo del

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Nostro Signore Gesù; ora dunque, prima di ricevere questo Cibo divino,
recitiamo in comune la preghiera avanti questa mensa divina.

C) Dopo il Pater, un'altra cerimonia piena di significato, di tanto


significato che da essa in principio prendeva nome la Messa: la frazione del
pane. Anticamente il Pane consacrato veniva diviso in molte parti per
essere poi portato agli infermi e ai carcerati e distribuito nella Messa ai
fedeli.
Oggi, invece, il celebrante spezza dapprima la S. Ostia in due parti, da
una di essa spezza una piccola parte e la lascia cadere nel calice col vino
consacrato dicendo: «La pace del Signore sia sempre con voi».
Pace, pace! Non la cerca ancora oggi l'uomo con tanta ansietà? Come
Dante, fuggendo il nemico, quando batteva alle porte del chiostro
fiorentino. - Che cosa cerchi? - gli domanda il fratello portinaio. - La pace
-, gli risponde il poeta travagliato.
Sì, la pace.
Sta qui, con noi, Uno che disse di sè: «Io vi lascio la pace, vi do la
pace. Io non ve la do, come la dà il mondo» (Giov. 14, 27).
Con l'anima amareggiata, oppressa, affaticata dalla vita, siamo
sospiranti e gementi, ma ecco, sta innanzi a noi Colui che disse: «Venite a
me voi tutti, che siete affaticati e oppressi ed io vi ristorerà... e voi troverete
riposo alle anime vostre» (Matt 11, 28-29). Si, riposo e pace. «Dona nobis
pacem: Dà a noi la pace».

3. Dalla Comunione alla fine della Messa

A) Il sacerdote si inchina sopra il Corpo sacratissimo di Nostro Signore;


come ultima preparazione dice ancora tre orazioni e poi con grande
venerazione, prende, comunicandosi, il Corpo di Nostro Signore e quindi lo
distribuisce ai fedeli.

a) Nei tempi primitivi tutti i presenti alla Messa pure si comunicavano.


Nessuno avrebbe voluto restare senza il conforto del Corpo di Gesù nel
timore di dover in quello stesso giorno affrontare la persecuzione e morire
martire. Dopo la Comunione del sacerdote i fedeli si avviavano in
processione all'altare per la seconda volta per ricevere i doni, ora convertiti
nel Corpo e nel Sangue di Nostro Signore, che prima, all'offertorio, erano
stati portati processionalmente da loro. Il celebrante poneva la S. Ostia sulla
palma della mano dei fedeli dicendo: Corpus Christi, e questi inchinando
umilmente il capo, rispondevano: Amen. E si comunicavano.

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b) Grazie a Dio, ai giorni nostri ritorna in uso la Comunione frequente
come nei primi tempi del cristianesimo.
Finita la Comunione del sacerdote il silenzio della chiesa viene rotto da
un lieve movimento dei fedeli; come in processione si dirigono verso la
balaustra.
Commovente processione. Piccoli e grandi, uomini e donne, poveri e
ricchi, dotti ed ignoranti, tutti procedono, a capo chino, con passo misurato.
Ciascuno d'essi e un tabernacolo vivente. Tabernacoli puri, bianchi, senza
macchia, tabernacoli di lucentezza non offuscata, vanno ad accogliere il
Santissimo Sacramento. Si inginocchiano e alzano la testa verso il
sacerdote che distribuisce la Comunione. Ma che volti! che sguardi! Occhi
così raggianti, sguardi così trasfigurati, volti spiranti tanta felicità non si
vedono altrove: così risplendevano i visi degli apostoli sul monte Tabor.
Come il fiore che apre il suo calice al primo raggio del sole mattutino.
Come la cima del monte quando è accesa dalle fiamme del sole delle alpi.
Come la dolce luce della stella polare. Come..., ma perché far tanti
raffronti? Come l'uomo che ha trovato il suo Dio e il volto di Dio risplende
sul sito volto.

B) Poi il celebrante dice brevi preghiere di ringraziamento e, rivolto ai


fedeli, li congeda con le parole: Ite, Missa est: andate pure, la Messa è
finita.

a) E' singolare che la liturgia assegni un tempo così breve al sacerdote


per il ringraziamento orale dopo la Comunione. Si raccoglie per qualche
istante, poi purifica il calice e dice poche orazioni di ringraziamento Che
vuole indicare la Chiesa con ciò? Che Dio dopo la Comunione dai fedeli
non aspetta tanto il ringraziamento espresso in parole, quanto la gratitudine
dimostrata con le opere, la gratitudine tradotta in perfetta vita cristiana.
Usciamo di chiesa, ma tutto non è finito. Anzi ai propositi devono
seguire i fatti. A che servirebbe la domenica se non ti riuscisse con la virtù
che essa promana(diffonde) a trasformare i giorni della settimana in
altrettanti giorni del Signore? A che servirebbe il culto reso a Dio nelle
domeniche se non riuscisse a fare di ogni giorno e di tutta la tua vita un
servizio reso a Dio? A che servirebbe purificarti se non badassi a rimanere
puro?
L'Ite, Missa est non significa solo un congedo, non significa solo la fine
della Messa, ma significa pure: Andate, ora comincia la nostra missione. La
fine della Messa non significa la fine del nostro sacrificio, al contrario,
significa che adesso si deve cambiare in sacrificio tutta la nostra vita. Dalla
Messa deve germogliare una vita dacché dal nostro cristianesimo sia della

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domenica come di ogni altro giorno, sia dell'assistenza alla Messa come del
compimento dei nostri doveri si formi un'unità organica, come la formano il
corpo e l'anima.

b) Il nostro ringraziamento sarà dunque una vita vittoriosamente


cristiana.
Ite, Missa est! Andate! Dove? Fuori, a casa, alla famiglia, in mezzo alle
cure, alle lotte, ma non con quell'animo col quale siete venuti. Per mezz'ora
avete dimenticato questo brutto, opprimente, meschino mondo. Coi vostri
fratelli di fede avete ricordato la morte di Cristo, l'avete ricevuto. Dunque
siate più perseveranti nelle fatiche che vi attendono e amatevi sempre più.
Ite, Missa est! Andate, è finita la funzione sacra. Ma per voi comincia
un'altra funzione, quella della vita. Quello del trapiantare i frutti della
Messa nel suolo aspro, ingrato, duro della vita quotidiana.
Andate, rinnovate la vita con la virtù della Messa e con essa santificate i
giorni fra la settimana. Andate, qui, in chiesa, la Messa è finita, ma per voi
l'opera sua comincia fuori. In chiesa avete ricevuto abbondantemente le
benedizioni della Messa, ora spargetele nel mondo della vita triste e oscura.
Dal vostro viso risplenda un amabile sorriso, il vostro cuore arda di amore
compassionevole. E' finita la Messa? No, non è finita finché si vede un
doloroso viso umano, un occhio lacrimante, una fronte solcata dalle rughe
degli affanni, un'anima martoriata dai dolori. Nella Messa il sacerdote
consacrò l'Ostia tramutandola nel Corpo di Nostro Signore, voi invece dopo
la Messa dovete consacrare il mondo, dovete cambiare questa disperata
umanità, spasimante in sudore di sangue, in un’umanità fidente ed ardente
di amor di Dio.
Finita così la spiegazione delle cerimonie della Messa, ci sarà forse
qualcuno di quelli che hanno ascoltato i tre ultimi discorsi, simile a quel
tale che contemplò a lungo le vetrate istoriate della chiesa, ma sempre solo
dall'esterno. Entrato poi nella chiesa, non poté cessare dal meravigliarsi
delle non sospettate bellezze contenute in quelle vetrate da lui conosciute
da lungo tempo, ma solo dal di fuori.
Anche noi da molto tempo conosciamo la S. Messa. Dalla infanzia vi
assistiamo con devozione. Ma con quanta maggior comprensione e più
grande profitto vi assisteremo conoscendo il significato delle cerimonie
sante, di cui si compone la liturgia della Messa!
Per chi le conosce, esse diventeranno straordinario pascolo spirituale e
abbondantissima fonte di grazie, questi non starà avanti l'altare, senza
comprensione e senza anima come Parsifal nel castello del Graal; non
uscirà dalla chiesa con l'anima vuota, ma ripiena di tesori spirituali, perché

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per lui la Messa sarà quello che realmente deve essere: rigenerazione
dell'uomo mediante la morte del Cristo.
Si comprende ora come nelle terre di missione i pagani da poco
convertiti camminano anche giorni interi pur di poter assistere e partecipare
al sacrificio incruento del Signore; ma non si può comprendere che i
cristiani dei nostri paesi per pura pigrizia o amore alle comodità trascurino
anche la stessa Messa domenicale mentre la chiesa è a due passi dalla loro
casa.
Può dirsi cristiano quel paese dove la domenica sono affollati i cinema,
i teatri, gli stadi, i luoghi di escursione, mentre molte chiese sono quasi
vuote?
Può dirsi cristiano quel paese dove nelle stesse strade, persino molto
rumorose, si sentono le campane chiamar alla Messa e cantare
solennemente come gli angeli di Betlemme: «Vi annunzio una grande
gioia,che sarà di tutto il popolo» (Luca 2, 10), eppure molti non
riconoscono più quella voce?
Fratelli, l'altare è la roccia sulla quale poggia tutta la Chiesa. La Messa è
il centro, il cuore di tutto il cristianesimo. Sopprimi la Messa, e il volto
della Chiesa diventerà pallido per anemia. Sopprimi la Messa e i fedeli - la
Chiesa militante - perderanno la fonte di tutte le grazie; e le anime del
purgatorio - la Chiesa purgante - perderanno la sorgente che più
abbondantemente genera la misericordia divina; e gli abitatori del cielo - la
Chiesa trionfante - resteranno privi del più bello spettacolo che noi
possiamo offrire loro.
E se invece abbiamo la Messa? ... La vita terrena avrà ancora il suo
amaro tormento..., le onde rabbiose della sofferenza e della cattiveria
tenteranno di affogarci...; ma resteremo a galla sopra le onde vittoriosi
finchè ci sarà in mezzo alle nostre case la Casa di Dio, e nella Casa di Dio
l'altare, e intorno all'altare il popolo di Dio che con l'anima commossa
all'elevazione gridi al Signore: Padre, giustamente ci punisci, non
meritiamo perdono. Ma guarda il tuo unico Figlio, santo, innocente... Per
amor suo abbi pietà di noi.

82
PARTE TERZA

CRISTO IN NOI

X. GLI ELLETTI DELLA COMUNIONE FORZA E GIOIA

Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del
Figlio dell'uomo e non bevete il suo Sangue, non avrete la vita in voi.
Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna ed io lo
risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia Carne è vero cibo ed il mio
Sangue è vera bevanda.
Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue dimora in me ed io in
lui.
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre,
così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso
dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi
mangia questo pane vivrà in eterno».
Queste cose Gesù disse insegnando nella sinagoga a Cafarnao.
S. Giov 6, 53-59.

Tutto il mondo pare oggi un grande ospedale; tutta l'umanità giace


inferma. Tutti vedono che il mondo è ammalato; e ciascuno sperimenta su
se stesso che non troviamo rimedio.
Quando non troviamo nel mondo nulla che ci possa guarire,quando
siamo giunti al termine di ogni possibilità umana e quando per noi, poveri
agonizzanti, non c'è più il conforto di alcuna speranza, allora appunto
risuona alle nostre orecchie una parola che non è di questo mondo, la parola
di Gesù nel Santissimo Sacramento: «Venite a me, voi tutti, che siete
affaticati ed oppressi ed io vi ristorerò» (Matt. 11, 28).
Andiamo disperati in cerca di un medico mentre è qui, tra noi, il
Signore della vita e della morte, Gesù Cristo. Sperimentiamo tutte le forme
di governi, alleanze, patti, conferenze e quando tutto ciò non ci porta più
vicino alla pace e alla salvezza tanto desiderata, dobbiamo persuaderci del
vero nostro male. Non è fuori di noi, ma dentro di noi. Non portano rimedio
né il mutare della forma di governo nè il contrarre alleanze differenti. E'
come l'ammalato che cambia letto o posizione per star meglio; il male non è
nel letto, ma nel corpo ammalato. In noi sta il male, nell'anima che è

83
ammalata e che non può essere risanata che solo dal medico delle anime,
Nostro Signore Gesù.
Gesù vive in mezzo a noi nel Santissimo Sacramento sotto le specie del
pane e del vino. Perché pane e vino?
Perché il pane? Perché è il cibo più diffuso, più conosciuto e più
necessario. Come se Gesù avesse voluto dire: Per vivere come uomo devi
mangiare del pane; per vivere da cristiano devi cibarti di questo pane
soprannaturale. Il pane terreno dà forza per la vita terrena, il pane
soprannaturale dà forza per la vita spirituale.
E perché il vino? Perché il vino è simbolo della gioia e del piacere della
vita; l'Eucaristia infonde nell'anima gioia, piacere, entusiasmo. Quanto ne
sentiamo il bisogno! Si può morire di fame e di sete, e si può morire anche
di tristezza, di mancanza di gioia e di consolazione.
Figli miei, ci dice Gesù nel Santissimo Sacramento, so quello che vi
manca. Vi manca forza e gioia. Forza per le lotte dell'anima, gioia perché
possiate essere perseveranti. Ed io vi do appunto questo. Venite spesso da
me a prendermi nella Santa Comunione; datevi a me ed io vi restituirò più
uomini a voi.
Pane e vino. Il pane è forza, il vino è gioia. La Comunione è forza, la
Comunione è gioia. E' proprio così! Lo vedremo in questo discorso.

1. La Comunione è forza

A) Distinguiamo due forze: quella della materia e quella dello spirito.

a) Qual'è la più grande, quale vale di più? Potrà sembrare una domanda
oziosa. E' tanto semplice la risposta. Eppure la domanda non è superflua.
Disgraziatamente però l'uomo moderno con molta facilità si fa un idolo
della forza materiale, adora la forza bruta, la forza muscolare, i cavalli di
forza. Crede che ciò sia tutto, che sia la via della felicità, che ciò porti il
paradiso in terra: Non si preoccupa che di questo, a questo si dedica
totalmente.
Oggi possediamo forze o energie quante mai prima. Abbiamo cavalli di
forza quanti ne vogliamo. Abbiamo centrali elettriche quante mai avremmo
sognato. Ma la felicità manca. Perché deperì, si atrofizzò la forza dello
spirito. Dominiamo l'oro, il ferro, il rame, l'acqua, il fuoco, l'aria; solo non
siamo capaci di dominare noi stessi, i nostri istinti sfrenati, le nostre
passioni. La scienza innalzò palazzi enormi, ma gli inquilini vivono
malcontenti ed amareggiati. Sentiamo come fossero dirette a noi le parole
del Signore rivolte tanti secoli fa al suo popolo infedele: «Hanno
abbandonato me, fonte d'acqua viva, e si sono scavati delle cisterne,

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cisterne screpolate che non possono contenere l'acqua» (Ger. 2, 13).
T'accorgerai e proverai quanto triste e amara cosa è aver abbandonato il
Signore Dio tuo (Ger. 2, 19).

b) Ora è l'Eucaristia ad assicurarci forza sufficiente. Essa ci assicura una


tale sorgente di energie spirituali da poter resistere e lavorare nel mondo
con la forza, le ispirazioni e l'entusiasmo di Nostro Signore che viene e vive
in noi.
Come non ha da venire vita e forza dall'altare del sacrificio quando
appunto il sacrificio è fonte di ogni cosa nobile e grande? Senza sacrificio,
senza mortificazione e senza vittoria di se stesso non vi è nulla di grande,
nulla di santo. Perciò Gesù che si sacrifica nel Santissimo Sacramento è
prima fonte e scuola di vita di sacrificio. Perciò la Comunione è la sorgente
da cui l'uomo attinge una forza che sempre la ringiovanisce e gli procura
ogni grandezza e virtù.
Ogni essere vivente ha bisogno di nutrimento confacente alla sua
natura. Poiché l'uomo è composto di anima e di corpo, ha bisogno di
nutrimento materiale e spirituale. Al nutrimento materiale ci pensiamo tutti,
ma ci pensano poi tutti al nutrimento spirituale? Dice bene S.Bonaventura:
«Se la terra è abitata dai cittadini del cielo, dal cielo hanno da ricevere il
pane». Come il corpo deperisce se non si nutre, così pure l'anima. Lo
dichiarò apertamente Gesù Cristo: «Se non mangerete la Carne del Figlio
dell'Uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete la vita in voi» (Giov. 6,
54). Perciò la Chiesa impone ai fedeli di comunicarsi almeno una volta
all'anno nel tempo di Pasqua, e prendere così questo cibo divino che dà
forza e vita spirituale.

c) Ma la Comunione pasquale è il minimo che si possa pretendere, tanto


per non perdere completamente le nostre forze. Chi prende sul serio la vita
spirituale, chi sa cosa vuol dire esser uomo - vuol dire lottare senza
quartiere contro la nostra natura incline al male, vuol dire combattere senza
tregua contro le legioni di tentazioni che ci spingono al peccato - chi sa
tutto questo e lo esperimenta in se, aprirà con frequenza il suo cuore a
ricevere il sacramento di vita, la Santissima Eucaristia e non sottoporrà
l'anima sua a cure dimagranti.
Ai giorni nostri sono di moda simili cure. Ci sono alcune persone che
vogliono esser magre a tutti i costi e per tale motivo fanno patire al loro
corpo la fame per anni interi. Facciano pure, se così loro piace. Ma che poi
debbano sottomettere anche l'anima ad una simile cura dimagrante? Che
solo una volta all'anno si accostino alla Comunione, sorgente di vita e
forza? O peggio ancora, neanche una volta? E poi verranno a lagnarsi di

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non poter sopportare la vita come lo vuole la religione! Che i
Comandamenti di Dio superano le nostre forze! Che sono tante le tentazioni
da non poterle vincere! Si, è vero; però di ciò sono esse responsabili.
Che senti troppo lo stimolo dei sensi? Che sei nato così, che non puoi
farne a meno? Che sei di natura fatto così; precipiti, scatti subito? Sono
nato così, non posso cambiarmi! Queste le solite scuse. Purtroppo è vero,
ma, per fortuna, non è del tutto vero. Il corpo non dipende completamente
da noi; è così come lo abbiamo ereditato, forse gravato da molte tare e
cattive inclinazioni. Ma l'anima è in nostra potestà. E' l'anima può influire
anche sul corpo. Che sono nato così, non dipende da me, ma dipende da me
il superare la mia stessa natura con la Comunione frequente.
Sentite le belle parole di S. Francesco di Sales nella sua Filotea: «Se i
mondani vogliono sapere il perché di tante tue Comunioni, rispondi loro
che le fai per imparare ad amare Dio, per purificarti dalle tue imperfezioni,
per liberarti dalle tue miserie, per trovare un conforto nelle pene, un
appoggio nelle debolezze. Di' loro che due tipi di persone debbono
comunicarsi spesso: i perfetti, perché, essendo ben disposti, scapiterebbero
molto a non accostarsi alla sorgente d'ogni perfezione, e gli imperfetti per
poter conseguire la perfezione; i forti per non diventare deboli, e i deboli
per diventare forti; i malati per guarire, i sani per non cadere malati; e che
quanto a te, così imperfetta, debole e inferma, senti il bisogno di
comunicare spesso con Chi è la tua perfezione, la tua forza, la tua medicina.
Di' loro che chi non ha molti affari mondani, deve comunicarsi spesso
perché ne ha la comodità, e chi ne ha molti, deve farlo perché ne ha la
necessità» (Cap. 21).

B) Lo dimostra anche la storia della Chiesa. La storia della Chiesa non è


altro che una grande testimonianza della forza che scaturisce dalla
Santissima Eucaristia.

a) Lo prova già il cristianesimo primitivo. Una delle più grandi eroine


martiri dei primi tempi del cristianesimo è S. Felicita. Fu messa in carcere
per la fede e non fu subito giustiziata perché era prossima al parto.
Sentendo nel carcere acute le doglie del parto, il carceriere con ironia le
disse: «Già ora stai gemendo? Che farai quando sarai gettata alle fiere?».
L'eroica donna, confortata dalla Comunione, rispose: «Ora soffro da sola,
ma allora sarà un Altro che soffre per me, perché io soffro per Lui».
Ditemi, o fratelli, non è il Santissimo Sacramento sorgente di forza?
Un altro grande eroe è S. Ignazio vescovo di Antiochia. Nel 107, imperando
Traiano, dalla Siria fu condotto a Roma per esser sbranato dalle fiere. Il
santo vegliardo sapeva bene la sorte che lo attendeva. Eppure durante il

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viaggio, scrisse sette lettere di conforto a varie comunità cristiane, dicendo
tra l'altro: «Unitevi in una sola fede, un solo pane spezzando, che è rimedio
dell'immortalità, antidoto per non morire, anzi per vivere sempre in Gesù
Cristo». «Sono frumento di Dio e sarò macinato con i denti delle fiere, per
essere trovato pane mondo di Cristo... Possa io godere delle belve a me
preparate... Fuoco e croce e combattimento di belve... crudeli tormenti...
vengano sopra di me, solamente perché consegua Gesù Cristo».
Ditemi; non e dunque la Comunione sorgente di forza ?
Potrà essere qualcosa troppo difficile se nelle nostre vene scorre il
Sangue di Cristo? Se possiamo ripetere quello che disse un'altra martire, S.
Agnese, in mezzo ai tormenti: «il suo Sangue colorò le mie guance»?

b) Ma anche i tempi posteriori rendono testimonianza che l'Eucaristia è


forza.
Fu forza a Hunyadi, a Skanderberg, a Sobieski quando ascoltarono la
Messa prima della battaglia.
Fu forza a Luigi XVI quando, prima della decapitazione, ascoltò la
Messa alle due di notte.
Fu forza a una suora infermiera francese al principio di questo secolo.
Quando nel 1901 in Francia chiusero tutti i conventi ed espulsero i religiosi,
nell'ospedale di Reims permisero alle suore di rimanervi. Anche li si
presentò la Commissione ispettrice del Consiglio municipale e invitò la
superiora ad aprire tutti i locali. La superiora ubbidì. Apri la prima sala:
miseri malati di cancro col viso sfigurato... I signori del Consiglio
passarono in fretta. Visitarono la seconda, la terza, la quarta sala, l'una più
piena di ammalati gravi dell'altra. Questi signori non potendo sopportare il
tanfo delle sale, si turarono il naso col fazzoletto e senza dir parola in fretta
finirono la visita.
Nel partire uno di loro domandò alla superiora:
- Da quando si trova qui?
- Da quaranta anni.
- Ma che cosa le diede la forza per resistere?
- Mi comunico tutti i giorni. Se non ci fosse qui il Santissimo, nessuna
di noi potrebbe resistere.
E furono lasciate a resistere ancora.
Non è vero dunque che la Comunione è sorgente di forza?
Tanto per ricordare un fatto più recente, la Comunione fu sorgente di
forza al comandante del grande dirigibile francese «Pourquoi pas», finito
tragicamente. Alcuni anni addietro il dirigibile precipitò e arse del tutto.
Prima del suo ultimo viaggio l'eroico capitano incontrò il parroco avanti la
chiesa.

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Questo gli domanda: «Signor comandante, è tutto pronto per la
partenza?». «No, signor parroco, sarò pronto del tutto quando lei mi avrà
confessato e dato la Comunione».
Ecco la forza che viene dal Pane dei forti, che, come è sorgente di
perenne giovinezza alle anime che si comunicano, e sorgente pure
dell'attività perenne e della indefettibile fiducia della Chiesa che offre il
sacrificio eucaristico. Dopo ogni Comunione possiamo dire anche noi la
preghiera del grande poeta del secolo XI, Ildeberto de Lavardin,
arcivescovo di Tours: «Liberami da ogni male, riempi l'anima mia di vero
pentimento, dammi vita mite e santa, fede, speranza e carità, disprezzo
delle cose terrene, ricerca delle celesti. Dio mio, spero solo in Te, e tutto
chiedo solo a Te. Tu sei il mio bene, la mia gloria; quello che ho, l'ho da Te.
Tu sei mio conforto nei dolori, mia medicina nelle infermità; mia arpa nella
melanconia, arco di pace nelle agitazioni. Tu mi liberi dal carcere, mi
sorreggi se cado».
Sì, o fratelli, chi si comunica spesso ha l'anima sempre giovane ed é
forte, perché riceve forza da Dio eternamente giovine e forte.

2. La Comunione è gioia

Ma chi si comunica spesso avrà anche l'anima sempre piena di gioie,


perché l'Eucaristia non è soltanto fonte di forza ma anche di gioia.

A) L'Eucaristia esteriormente sembra solo una piccola Ostia e poche


gocce di vino. Pane e vino! In apparenza solo specie insignificanti: una
piccola ostia e poche gocce di vino: queste sarebbero il Cristo?

a) Eppure quale profondo significato sta appunto nell'aver scelto Gesù


propriamente queste specie, il pane e il vino, per l'esteriore apparenza del
suo Corpo e del suo Sangue! Il pane senza cui non c'è vita e il vino a cui
l'uomo accompagna ogni manifestazione di gioia. Il pane significa la forza
senza la quale non si può vivere. Il vino poi significa la gioia della vita
senza la quale non si può nemmeno vivere. Ma soltanto quella gioia di vita
che prima venne purificata dal pensiero di Dio, come il mosto deve essere
purificato per diventare vino.
Come è bene per noi che il Salvatore abbia voluto rimanere con noi
appunto sotto queste specie! Non scelse il fulmine che è grande forza della
natura. Non il diamante che splende più di ogni gemma. Non la rugiada
così graziosa. Non l'oro tanto seducente, non la rosa tanto bella. Non scelse
nulla di tutto questo. Sebbene la piccola ostia e poche gocce di vino che con

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le loro specie proclamassero: l'Eucaristia è la nostra forza, l'Eucaristia è la
nostra gioia.
Come non ne deriverebbe gioia quando in essa riposa l'anima nostra e
ne riceve grazie e serenità soprannaturali! Dice la S. Scrittura: «Un animo
sereno è come un banchetto perpetuo» (Prov, 15, 15). Il Santissimo
Sacramento è davvero un banchetto perpetuo. Gesù istituì questo
Sacramento in una cena. E si compiace di paragonare il suo regno al re che
chiama a convito i suoi sudditi.
E poiché in un banchetto devono regnare letizia e gioia, è naturale che
nel banchetto dell'Agnello di Dio, cioè nella Comunione, ci inondino la
pace e la gioia spirituale. Da qui la preghiera della Chiesa: «O sacrunt
convivium: O sacra mensa in cui riceviamo Cristo».

b) Godendo dunque nella Comunione simile gioia spirituale, veniamo


ad acquistare un immenso tesoro la cui mancanza l'umanità oggi sente
dolorosamente. Chi non vede che il più grande nemico e la peggior malattia
dell'umanità, oggi agonizzante, non vengono dall'esterno, né dai temporali,
né dalle inondazioni, né dai terremoti, ma da noi stessi, dalla nostra vita
amara, senza gioie e serenità. Quando si scatenano i mali istinti dell'uomo,
quando straripano il peccato e l'atrocità, quando vacilla sotto i nastri piedi il
terreno della moralità, ecco il vero pericolo!
Chi farà cessare questi mali? Chi calmerà queste onde? Chi ristabilirà il
perduto equilibrio spirituale? «L'amore di Cristo che sorpassa ogni
scienza», come dice S. Paolo (Ef. 3, 19), ma solo se lo lasceremo
divampare nel nostro cuore. E come giungeremo a far divampare questo
amore vivo e vivificante? Coll'unirci a Gesù Cristo nella S. Comunione;
quasi innestandoci a Lui; con l'essere, mediante la Comunione, una stessa
cosa con Gesù che vive in mezzo a noi, che ci fortifica, ci riempie di gioia e
abbellisce le anime nostre.

c) «Comniunio»: Comunione, unione. Con la Comunione mi unisco a


Gesù Cristo. Ma questo é forse temerario, esagerato, incredibile! Potrà
sembrarlo forse alla nostra ragione, ma non al nostro cuore. Quanto più
temerario e strano potrà essere al nostro intelletto, tanto più caro esso riesce
al nostro cuore.
Ma questa diversità di sentimento dimostra che l'Eucaristia non è
invenzione umana, perchè mai una simile cosa poteva uscire da una mente
umana, non poteva essere che opera dell'amore di Dio. Da una parte è una
cosa temeraria, straordinariamente sublime, direi quasi spaventosa,
dall'altra parte è tanto cara, tanto attraente e che tanto eleva.

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Non è qui tutta l'essenza del cristianesimo? Qual'è questa essenza? E'
l'accostarsi di Dio all'uomo. Il Figlio di Dio si fece uomo e abitò in mezzo a
noi. Poi, vivendo sulla terra, ci parlò sempre di Dio, del nostro Padre
celeste. In ultimo, nel dipartirsi da questo mondo, pose la corona a tutta la
sua opera: lo stesso Dio restò per sempre in mezzo a noi nella Santissima
Eucaristia.
Nessuna meraviglia se a questo pensiero tanto sublime la Chiesa si
senta inondata da grande gioia e in ogni Messa col suo sacerdote esclami:
«Introibo ad altare Dei; ad Deum, qui laetificat iuventutem meam: Mi
accosterò all'altare di Dio, al Dio che è mia gloria e mia esultanza» (Salm.
XLII, 4).

B) Prendiamo nuovamente a testimonianza la storia della Chiesa.


Questa non fa che parlarci della grande gioia che emana della Eucaristia.

a) Non è interessante, o fratelli, che la Chiesa mai non soffrì tanto


quanto nei secoli delle catacombe e mai non provò tanta gioia guanto
allora. Le figure che più si ripetono sui muri delle catacombe sono
l'agnello, la lira, la palma, tutti simboli della gioia. Come si spiega ciò? E'
che la Chiesa non visse mai in comunione così intima col Corpo e col
Sangue di Gesù Cristo come in quel tempo.
Ecco la grande lezione per noi, nei nostri giorni tanto burrascosi. La
nostra anima sarà tanto più ripiena di gioia, in quanto saprà meglio
apprezzare la Santissima Eucaristia. Apprezzarla come il cardinale
Newman. Prima di farsi cattolico, fu pastore cospicuo della chiesa
anglicana. Per molti anni studiò la vita del cristianesimo primitivo. Quando
già aveva conosciuto la verità della dottrina cattolica, lasciò passare ancora
parecchi anni tra lotte interne e indecisioni. Ma in ultimo non potè resistere
più a lungo alle attrattive della Santissima Eucaristia e si convertì.
Pochi giorni prima della sua conversione, un amico cercò di
dissuaderlo: «Pensa ciò che fai. Se ti fai cattolico, perderai tutte le tue
quattromila sterline». Newman non disse che questo: «E che cosa sono
quattromila sterline in confronto a una sola Comunione?».

b) Ecco il grande segreto per cui il cattolicesimo non muore mai. Esiste
già da quasi duemila anni senza perder nulla della sua freschezza. Nessun
sintomo di indebolimento, di senilità nella sua dottrina, nella sua morale,
nelle sue leggi, nella sua vita. Da dove viene la sua forza, la sua gloria, la
sua freschezza? Dal Corpo e dal Sangue di N. S. Gesù Cristo.
II Sangue di Gesù Cristo! Questa è la sorgente della forza e della gioia della
Chiesa. La Chiesa dice quello che disse Maria Stuarda prima della sua

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decapitazione: «Mi avete spogliato di tutto, ma non mi potete spogliare di
due tesori: della mia fede e del sangue reale che scorre nelle mie vene».
Anche la Chiesa dice lo stesso: «Potete perseguitarmi, avvilirmi,
calunniarmi, ma non potete prendermi due tesori: la Fede e il Sangue di
Gesù Cristo che scorre nelle mie vene».
Oggi il mondo risuona di ditirambi(lodi) in esaltazione del sangue. Ahi!
Il sangue dell'uomo è sangue guasto. Il sangue dell'uomo è sangue impuro.
Il sangue dell'uomo è sangue contaminato. Il sangue dell'uomo è sangue di
peccatore. Abbiamo bisogno del Sangue del Figlio di Dio. Esso dà
refrigerio, rinnova, rinforza, dà vita e infonde gioia.
Il Sangue di Gesti Cristo! Con quanta ragione scrive con grazioso
umorismo nel suo diario il grande vescovo Prohaszka: «Se vuoi il paradiso
in terra, fatti cappuccino. Non c'è bisogno nemmeno di tanto. Ti basta dire o
sentire la Messa ed essere cristiano che si comunica spesso, e avrai il
paradiso... O Signore, come è stolto il mondo che non va in cerca della
sorgente di acqua viva, ma va altrove! Stile di giovinezza eterna, segreto e
forza di rinnovamento, primavera di gaiezza, bella di fiori e di
compiacenza. Portiamo in noi questo mondo ed esclamiamo: Io triumphe!»
(O. O. 23, 276). Esultiamo di santa gioia.

c) Fratelli, comprendiamolo finalmente. Gesù istituì la Santissima


Eucaristia per esser la nostra forza e la nostra gioia; per essere medicina
alle ferite dell'anima nostra, forza alle nostre debolezze, conforto alle nostre
tristezze, vittoria alle tentazioni. Ma perché sia così, viviamo la Santissima
Eucaristia, comunichiamoci spesso. Non solo una volta all'anno.
Un fuoco immenso arde sull'altare e noi moriamo di freddo. Una
inesauribile fonte di vita scaturisce dall'altare e noi veniamo meno dalla
sete. Un'intensissima luce brilla sull'altare e noi viviamo in una notte senza
stelle. Una forza straordinaria emana dall'altare, e noi languiamo nella
debolezza. Una vivissima gioia si espande dall'altare, e noi intisichiamo di
amarezza.
Si usa dire: Ti voglio bene da mangiarti. Cosi dobbiamo amare Cristo!
Mangiarlo veramente, nel vero significato della parola. Non vi ripugni
questo parlare umano. Non fu Nostro Signore a dire: «Prendete e
mangiate»?
Prendiamo Gesù e mangiamolo! Comunichiamoci, comunichiamoci
spesso!
Così sperimenteremo in noi che la Comunione è forza, è gioia.

Fratelli! Non si loda mai abbastanza l'opera del grande pittore


fiammingo Jean van Eyck, la pala d'altare di Gand. In essa si può vedere

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tutto quello che avrei desiderato rendere chiaro con le mie povere parole.
Nel quadro è raffigurato l'Agnello di Dio sacrificato, e dalla Vittima
scorrono in tutte le direzioni fiumi di benedizioni. Tutto all'intorno freschi
verdeggiano i campi e da tutte le parti accorrono i popoli della terra per
adorare l'Agnello ed estinguere la sete alla fonte di vita. Tutto il quadro non
è altro che un inno dipinto, che un Tantum ergo espresso in colori.
Questo è per noi il Santissimo Sacramento, inesauribile fonte di acque
vive e vivificanti, di forza e di gioia. Come sono fortunato di poter attingere
da questa fonte!
Come sono felice di potermi comunicare! Comunicarmi, ricevere Gesù
e dirgli alla Comunione: Vieni, Gesù Sacramentato,
Vieni, o fuoco ardente, e purifica ogni mia macchia, Vieni, fiamma viva,
e togli ogni mia ruggine, Vieni, o vento di Pentecoste, e porta via dalla mia
anima ogni pagliuzza.
Venite, o Piaghe di Gesù; vieni, o Cuor del mio Gesù, e resta con me in
eterno.
Resta con noi, o Signore, illuminaci della tua luce, caccia ogni nube
dall'anima nostra, tu che sei miele del mondo (S. Bernardo).

XI. GLI EFFETTI DELLA COMUNIONE CORAGGIO, PACE, BELLEZZA

Qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù stanco dal viaggio, si sedette


sopra il pozzo. Era quasi l'ora sesta. Venne una donna Samaritana a
attinger acqua.
Gesù le disse: «Dammi da bere»
(i suoi discepoli infatti erano andati in città per comprarsi da
mangiare).
La donna Samaritana rispose: «Come mai tu, Giudeo, domandi da bere
a me che sono Samaritana? ». I Giudei infatti non s'affiatano coi
Samaritani.
Gesù rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi é Colui che ti dice:
Dammi da bere tu stessa gli avresti fatto questa domanda, ed Egli ti
avrebbe data dell'acqua viva».
«Signore, gli disse la donna, tu non hai con che attinger l'acqua e il
pozzo è profondo; donde dunque hai tu dell'acqua viva?
Sei forse di più del padre nostro Giacobbe, il quale ci ha dato questo
pozzo e ne bevve egli stesso e i suoi figli e i suoi armenti?»,

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Gesù le rispose: «Chi beve di quest'acqua avrà sete ancora; chi invece
beve dell'acqua che io gli darò non avrà più sete; anzi l'acqua data da me
diventerà in lui una sorgente d'acqua zampillante nella vita eterna».
S. Giov. 4, 6-14

Fratelli,

Quando Gesù nella Comunione si accosta anche ad un uomo solo,


certamente ci viene con la stessa intenzione con la quale venne in terra a
tutti gli uomini.
Egli stesso ci manifesta questa sua intenzione: «Io sono venuto perché
abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Giov. 10, 10).
Gesù venne al mondo perché abbiamo vita, vita soprannaturale. Per tale
motivo viene anche nell'anima di ciascuno. Lo scopo della Comunione è
dunque l'aumento della vita soprannaturale in noi.
Come ci porta a ciò la Comunione? Con l'elargirci il Signore e, con
esso, l'abbondanza dei suoi doni. Nell'ultimo discorso parlai di due doni
della Comunione: della forza e della gioia spirituale. Quando la forza e la
gioia si impossessano dell'anima, essa acquista inoltre coraggio, pace e
bellezza. Coraggio per spiegare la forza nell'esercizio della vita cristiana.
Pace, la pace dell'anima unita a Dio. Bellezza, la quale dà all'anima
meravigliosa finezza e grazia.
Parliamo oggi di questi tre doni di una Comunione ben fatta, del
coraggio, della pace e delle bellezze spirituali.

1. La Comunione infonde coraggio

Intendo parlare di due specie di coraggio che ci viene dalla Comunione:


il coraggio per sopportare le sofferenze, e il coraggio per combattere le lotte
spirituali.

A) Coraggio per sopportare le sofferenze.

a) La vita terrena è un viaggio pieno di sofferenze, per reggere alle quali


abbiamo bisogno di un coraggio incrollabile.
Pensiamo solo a quali enormi tribolazioni si espongono gli esploratori
per arricchire la scienza umana con la scoperta di terre sconosciute. Uno di
questi, Sven Hedin, scrive: «Senza una fede viva e ferma in Dio e nella sua
Provvidenza onnipotente non si sarebbe potuto perseverare per dodici anni
nelle regioni inaccessibili dell'Asia. In tutti i miei viaggi mi fu costante
compagna e lettura quotidiana la Bibbia».

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Se avere con sé la Santa Scrittura e leggerla infondono tanto coraggio,
quanto maggiore ne infonderà la Comunione che ci colloca nell'intimità di
Colui, e ci unisce a Colui che ispirò tutta la S. Scrittura e del quale essa
parla! Quando nella Comunione Gesù è in noi, non ci conforterà nelle
sofferenze, non ci aiuterà nei nostri guai?
Guardate la povera madre, da settimane siede trepidante al letto del
figlio gravemente ammalato. Non farebbe di tutto, non sopporterebbe
qualsiasi sacrificio pur di aiutarlo?
Se lo potesse!... ma non può. Non lo può perché anch'essa è una povera
creatura impotente.
Invece Gesù Sacramentato è Dio! Egli può aiutare. E lo vuole. Egli ci
ama più di un padre, più di una madre. Non è un'esagerazione, è
l'insegnamento della S. Scrittura. Essa dice: «Potrà forse una donna
dimenticare il suo bambino, da non sentire più compassione per il figlio
delle sue viscere? e se pur questa lo potrà dimenticare, io non mi
dimenticherò mai di te» (Is. XLIX, 15).
Quale incoraggiamento! Dove si compie meglio la promessa del
Signore che non si dimenticherà di noi, che ci assisterà con la sua forza, col
suo aiuto? Nella Comunione. Sentite quello che dice in merito un
convertito olandese (Lampring) nel descrivere la tristezza di un giorno
prima della sua conversione: «Disperato corsi alla chiesa del convento: era
di buon mattino e vidi comunicarsi i fedeli. Ne emanava una forza che
guariva tutti. Anche me, anche il mio povero cuore infermo. Vedevo gli
uomini accostarsi alla balaustra e sentii una vera fame di quella cosa
bianca, di cui non conoscevo ancora né il nome né l'essenza, che però mi si
rivelava anche senza parole e mi attraeva con forza irresistibile. Ne volevo
anch'io di quella cosa bianca. E la mia fame diventava sempre più grande».

b) Mi dirai: Quante volte anch'io dopo la Comunione implorai forza e


coraggio, eppure non ricevetti niente. Quante cose domandò la mia anima
tribolata e non ottenne nulla!
L'ottenesti, fratello. L'ottenesti, ma non così come lo volevi tu, come te
lo immaginavi con la tua piccola testa, ma così come lo giudicò meglio
l'infinita sapienza di Dio.
Dobbiamo persuaderci che nella vita terrena a molte domande non
possiamo rispondere perché la nostra limitata ragione umana non è capace
di penetrare i disegni di Dio. E se nelle sofferenze con le nostre domande
irragionevoli importuniamo il Signore, rassegniamoci a ricevere da Lui la
risposta che un giorno ebbero gli Apostoli. Gli domandarono: «Signore, è
questo il tempo che ristabilirai il regno di Israele?». Gesù rispose

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evasivamente: «Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti... ma voi
riceverete forza di Spirito Santo, quando verrà su di voi» (Atti 1, 6-8).
Come se avesse detto: Non rispondo alle vostre domande, tanto non le
comprendereste; ma riceverete forza e coraggio per perseverare anche
senza risposta. E questo è quello che più importa.
Quanto più forti sentiremo i colpi della sventura, non domandiamo al
Signore: Perché, Perché? Perché proprio a me? No, non gli domandiamo
questo. Non cerchiamo risposta, ma chiediamo forza e coraggio.
Ecco perché è raccomandabile la bella consuetudine di molte famiglie
cristiane che si accostano alla s. Comunione alla Messa «da Requiem» del
loro caro defunto. Fanno bene. Si comunicano per suffragare l'anima
dell'estinto, ma per ricevere anche forza, consolazione e coraggio per la
loro anima.

B) Ma l'Eucaristia non dà coraggio solo per sopportare le privazioni e le


tribolazioni, ma per vincere anche nelle lotte dell'anima, per reggere a
quell'incruento martirio e cui va soggetto oggi colui che vive da vero
cristiano.

a) Il sacrificio che da noi il Signore richiede si cambia secondo i tempi,


però l'Eucaristia dà il coraggio sufficiente per tutti i sacrifici di tutti i tempi.
Cambia la specie del sacrificio. Dai primi cristiani il Signore
domandava il martirio per la fede. Dai cristiani d'oggi il martirio incruento
sostenuto per conservare i buoni costumi. Nei primi tempi era in pericolo la
fede. Questa veniva assalita dal paganesimo che divinizzava gli imperatori.
Oggi è in pericolo la morale che un nuovo paganesimo, corrotto fino alle
midolla, vorrebbe strappare.
Io non saprei dire qual sia il martirio più difficile, questo o quello. Non
saprei dire se sia stato più difficile perseverare nella fede avanti un pubblico
avido di sangue nel circo romano, oppure oggi mantenersi fedeli avanti a un
mondo così cinico e frivolo, agli ideali di una vita pura, p. es. alla
concezione e alle leggi divine dei matrimonio cristiano. Se chiamiamo
martiri quelli che morivano anticamente per la fede cristiana, con non meno
diritto possiamo chiamare martiri di un martirio incruento quelli che vivono
secondo la morale cristiana.
Ma da dove giunge la forza per questo martirio incruento?
Dall'Eucaristia, dal «Pane dei forti». Tutti ne hanno bisogno, giovani e
vecchi, uomini e donne, piccoli e grandi. L'anima non solo nelle lotte
tempestose dei giovani anni può imbattersi negli uragani tremendi delle
tentazioni morali. Il concetto cristiano della vita, anche in un'età più
avanzata, richiede molta autodisciplina e spesso serie rinunzie. Anche nella

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cerchia della vita coniugale si danno situazioni e circostanze, problemi e
difficoltà che si possono sciogliere soltanto con l'abnegazione di ambedue
le parti per non cadere in gravi peccati contro la santità del matrimonio.
Dove si troverà la forza e il coraggio per domare e vincere se stessi?
Nella Eucaristia, nella Comunione frequente.
Lo stesso S. Paolo, sembrandogli un giorno troppo ardua la lotta
spirituale a cui Dio lo sottometteva, si rivolse al Signore gemendo:
«Disgraziato che io sono! chi mi libererà da questo corpo di morte?»
(Rom. 7, 24). E tre volte pregò il Signore perché lo liberasse da questa lotta
(2 Cor. 12, 8). Che cosa gli rispose il Signore? «Ti basta la mia grazia» (2
Cor. 12, 9).
In verità, chi si comunica frequentemente, per quanto arduo sia il
sentiero che lo porta ad osservare i comandamenti di Dio, non lo riterrà mai
troppo difficile, troppo scabro, impraticabile. Al contrario, con meraviglia
proverà quello che provò S. Paolo: «Ogni cosa io posso in Colui chle mi dà
forza» (Filip. 4, 13).

b) La forza che viene dall'Eucaristia è sempre quella. Qualsiasi


tentazione o pericolo assedi la rocca dell'anima nostra, nulla abbiamo da
temere. Non sarà preda del peccato chi cerca aiuto nell'Eucaristia.
Quando i Saraceni assalirono la città di Assisi e già stavano
arrampicandosi sulle mura e tutto sembrava perduto, S. Chiara prese
l'ostensorio e sulle mura sollevò in alto il Santissimo Sacramento. Al vedere
l'Ostia santa le schiere infedeli, prese da panico, si diedero a precipitosa
fuga disordinata e la città fu salva.
Con la forza che emana dall'Eucaristia anche oggi possiamo combattere
vittoriosamente le nostre lotte spirituali. La lotta forse sarà molto dura. E'
possibile. E' possibile anche che ci sia bisogno di un lungo, estenuante
travaglio spirituale pur di sradicare un solo difetto, pur di avvicinarci a Dio
di un solo gradino. Ma non mancherà il successo, se perseveriamo, se non
fuggiamo via come il famoso eremita della leggenda.
Dice la leggenda che un eremita aveva un temperamento molto
veemente(iroso), montava subito in collera e non dava pace agli altri. Egli
stesso ne sentiva vergogna e in fine deliberò: Abbandonò la comunità. Vado
nel deserto per essere solo. Lì non avrò con chi litigare... E se ne andò e si
ridusse a vivere in una grotta. Un giorno, presa l'acqua dalla fonte,
appoggiò la brocca a terra e la brocca si rovesciò. Una seconda volta la
riempi d'acqua e nuovamente si rovesciò. Per la terza volta attinse l'acqua e
per la terza volta la brocca si rovesciò. L'eremita montò in collera, prese la
brocca, la gettò a terra con tanta furia da ridurla in più pezzi. Subito dopo se
ne vergognò, ma si arricchì di una nuova esperienza: non dobbiamo fuggire

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il difetto, ma vincerlo. Non scappare da esso, ma combatterlo con pazienza
e con la grazia di Dio. Non in un momento, non con decisioni precipitate;
ciò non dà alcun risultato, ma con una lotta tenace di anni e di decenni.
Ma, da dove ci viene la forza e il coraggio per questo? Dalla
Comunione frequente.

2. La Comunione dà tranquillità

Se la Comunione dà coraggio, dà pure all'anima tranquillità benefica,


soave, curativa. Chi non ha sentito quella benedetta pace e gioia che ci
riempiono dopo una Comunione ben fatta?
Perché la Comunione dà pace all'anima?

A) Prima di tutto perché nella Comunione ci sostiene la mano di nostro


Signore. Allora possiamo dire con diritto quello che un soldato della marina
da guerra scrisse a sua madre: «Non piangere se senti che affondò il nostro
incrociatore e che nessuno si salvò. Il mare che inghiotte il mio corpo è la
mano aperta del mio Salvatore, da cui nessuno può strapparmi».
Pensiero grazioso. Nella Comunione mi riposo sulla mano di Dio, da
cui nessuno può strapparmi.
Ma non è forse temerarietà il pretendere una unione così intensa, così
intima con Gesù Cristo?
Non è questo un atto di arroganza da parte di noi miseri uomini?
Niente affatto. Anzi Nostro Signore, Lui stesso lo esige. «Restate in me ed
io resterò in voi... Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta
abbondanti frutti» (Giov. 15, 4-5). Così Egli un'altra volta disse alla
Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice:
Dammi da bere, tu stessa gli avresti fatto questa domanda, ed Egli ti
avrebbe data dell'acqua viva» (Giov. 4, io). Quest'acqua viva che inonda
l'anima di gioia e le infonde pace celestiale, viene dalla Comunione. Dio
apre questa sorgente a coloro che lo amano.
Nella Comunione chiniamo la nostra fronte agitata dalle burrasche della
vita e la appoggiamo sulla mano di Gesù. Dalla sua mano emanerà una
forza che calma tutte le tempeste.

B) La Comunione dà tranquillità all'anima anche perché allora siamo


veramente in pace con Dio. Allora si compie in noi la promessa di Gesù:
«Io vi lascio la pace, vi do la mia pace. Io non ve la do come la dà il
mondo» (Giov. XIV, 27). Essere in pace con Dio vuol dire acquistare
l'equilibrio, la pace e la gioia dell'anima; acquistare quella felicità, di cui

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pure parla Nostro Signore: «Beati i puri di cuore, perché essi vedranno
Dio» (Matt. 5, 8).
Così si comprende che nella Comunione, anche in una sola Comunione,
si racchiude un mare così vasto di grazie da bastare per renderci santi.
Quando dopo la Comunione resto solo con Gesù, mi pare di sentire la
sua parola nel profondo silenzio: Sei debole? Io sarò la tua forza. Sei
affaticato? Io sarò il tuo ristoro. Sei povero? Io sarò il tuo tesoro. Sei solo?
lo sarò il tuo compagno. Sei triste, Io sarò la tua consolazione.
Ma tutto questo non sarà forse una bella immaginazione poetica? un
cielo con nubi rosee? La Comunione ci darà davvero tanto entusiasmo,
tanta gioia, tanta prontezza al combattimento spirituale?
Chi non l'ha ancora sperimentato e ha qualche difficoltà a crederlo stia a
sentire ciò che mi scrive uno che si comunica frequentemente. Dice d'esser
tornato a Dio «da molto lontano e da molto profondo». Ma sentite un po'
ciò che dice della Comunione frequente:
«Ancor sempre mi attrae fortemente e mi dà le vertigini l'abisso, e non
potrei mantenere il mio equilibrio. Devo unicamente alla Comunione se,
pur inciampando, posso progredire adagio, molto adagio.
Perché il Santissimo Sacramento è un educatore molto amabile, ma
energico. Non ammette le letture frivole, e però fui costretto a smetterle, e
poiché pur bisogna leggere qualcosa, adagio adagio mi affezionai alle
letture religiose e morali.
Non tollera neppure i discorsi leggeri, e così lentamente si
allontanarono da me coloro che si dilettano solo in questo ed io a poco a
poco mi abituai ad occupare il tempo rimastomi libero in tal modo ad
accrescermi di cognizioni utili. Frequentai per due semestri il Corso sulla
concezione cattolica del mondo, presi parte a tridui, esercizi spirituali,
missioni e prediche quaresimali. La mia anima bevette tutto questo come la
terra arsa la pioggia torrenziale.
L'autodisciplina si fa sempre più forte in me al pensar alla santa Ostia, e
a Colui che già mi aspetta nel sacro Tabernacolo e che domani sarà, mio.
Così posso rinunziare a tante cose, anche a quelle che prima mi sembrava
di non poter abbandonare mai, per nessuna cosa al mondo.
Veramente dapprincipio temetti che tutto quello che succedeva
nell'anima mia non fosse altro che una vampata passeggera, che poi si
sarebbe spenta lasciandomi in una freddezza ed oscurità maggiori di prima.
Ora però ho ferma fiducia che ciò non è un semplice fuoco di paglia ma la
fiamma dolce e costante del lume eterno avanti il Santissima Sacramento».
Fin qui la lettera. Devo ancora raccomandare la Comunione? Devo
ancora parlare a lungo, dei suoi effetti che danno vigore, forza, felicità,
coraggio e pace all'anima?

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3. La Comunione dà bellezza

La Comunione non dà solo forza e gioia, coraggio e pace, ma anche dà


all'anima incanto e bellezza.

A) La Comunione serve più che ogni altra cosa a formare l'immagine di


Dio nell'anima nostra.
E' questo lo scopo della vita terrena.

a) Fine veramente sublime, facile a dire, difficilissimo a conseguire.


Questo lavoro assomiglia a quello dello scultore. L'artista contempla il
grezzo blocco di marmo e già immagina la figura di Cristo che saprà
ritrarre. Non gli resta altro che lavorarlo, e la statua sarà pronta. Non gli
resta altro. Una parola! Ma quanto lavoro ci vuole! Quanta fatica! Quanti
abilità, quanta perseveranza, quanta padronanza di se Messo!
Dio vuole vedere nell'anima nostra la sua immagine, sta ora in noi
servirsi dello scalpello della grazia di Dio per renderla veramente conforme
all'immagine del Figlio di Dio. Perché questo è il compito della nostra vita
come ci insegna S. Paolo: «Essere conformi all'immagine di suo Figlio»
(Rom. 8, 29).
Ora ecco che in questo difficile compito ci viene in aiuto la Comunione.
Dopo la Comunione possiamo pregar così:
«Signore, io sono il marmo, sii Tu il mio scultore. Leva da questo
marmo tutto quello che non mi si addice, che non è degno di me. Se è
possibile, con le buone; se possibile, con promesse. Se non è possibile
altrimenti, col dolore e con le sofferenze».
Vi immaginate la stupenda opera d'arte che diverrebbe l'anima nostra se
lasciassimo mano libera a Gesù Sacramentato nella benedetta sua opera di
formazione? Con quanta gioia riscontreremmo che adagio adagio siamo
divenuti cristiani non solo di nome ma anche di vita!

b) Non vi è dubbio alcuno che al nome cristiano deve corrispondere una


vita cristiana.
Il principe Giorgio Castriota ossia Scanderbeg, terrore dei Turchi, aveva
il braccio così forte che con un solo colpo di spada tagliava la cesta al
nemico.
Il sultano Maometto, avendone sentito parlare, espresse il desiderio di
vedere quelle famosa spada. Scanderbeg gliela mandò. Ma nè il sultano né
nessun altro poteva brandirla. Il sultano incollerito gli rimandò la spada
ammonendolo di non prendersi gioco di lui perché era impossibile che

99
Scanderbeg usasse quella spada. Questi rispose solo questo al sultano:
«Mandai la mia spada, ma non il mio braccio».
In vero, a che serve lo strumento a chi non sa adoperarlo? A che serve la
migliore spada se non possiamo maneggiarla? Quante spade, quante armi
hanno i cristiani - preghiere, sacramenti, sacramentali - ma a che valgono se
non se ne servono? Hanno la spada, ma non il braccio; cristiano è il loro
nome, ma non la loro vita.
Orbene che cosa dà al nome cristiano anche la vita cristiana, la forza, lo
slancio, la bellezza? Innanzi tutto la Comunione.

B) Dalle anime abbellite dalla Comunione sorge una società umana più
bella, migliore e più felice.

a) Scrive il poeta del Mare del Nord Gorch Fock: «Non puoi né
allungare né allargare la vita, la puoi solamente approfondire».
Sì, questo è il nostro compito; approfondire sempre più la nostra anima
mettendola continuamente in più intimo contatto con la profondità
dell'Amore eterno, col Cuore divino di Nostro Signore.
Anche H. St. Chamberlain, pur non essendo cattolico, scrive: «Quello che
lo spirito greco era per l'intelletto, questo è Cristo per la vita morale.
Solamente per Lui l'umanità divenne morale. La personalità di Cristo sarà
sempre la base di ogni moralità».
A chi si incontra spesso con Cristo nella Comunione, a chi si espone con
frequenza ai raggi misteriosi di questo grande Sacramento, succederà
quello che capitò a un giovane che si fece la radioscopia della mano. La si
fece fare non perché sentisse qualche disturbo, ma per puro capriccio. Qual
non fu la sua meraviglia nel vedere nella fotografia una scheggia di vetro
tra le ossa della mano. Ancor da bambino una scheggia di vetro gli penetrò
nella mano e la portò sempre senza avvedersene... Ora però non ebbe pace
fino a che non se la fece levare con una operazione.
Quante schegge, quante lische, anzi quante travi portiamo nell'anima
senza sentirne le trafitte, senza aver nemmeno il minimo sospetto delle
ferite e deformazioni dell'anima nostra! Ma viene il momento della
Comunione, la nostra anima viene illuminata dalla volontà divina e subito
ci accorgiamo dei nostri difetti. E non solo ce ne accorgiamo, ma non ci
diamo pace fin che non ce ne liberiamo mediante un'operazione. Da questa
operazione l'anima nostra esce abbellita, rinnovata e rinforzata. Cosi
rinnovata crea una società nuova.

100
b) Non c'è rinnovazione del mondo se non per mezzo dell'anima; come
non c'è rinnovazione dell'anima se non per mezzo della Santissima
Eucaristia.
Siamo storditi dal gridare che si fa per riformare il mondo. Ciascuno
vorrebbe salvare il mondo e riformarlo. Però non sta in noi il riformarlo.
Ma è compito nostro il riformare noi stessi. E' nostro compito di occupare
nel modo più perfetto il posto assegnatoci dalla divina Provvidenza sia
quello di sacerdote, di scienziato, di giornalista, di impiegato, di operaio, di
padre di famiglia e così via.
Giudicate da voi, o fratelli, come altro sarebbe il mondo, come più
pacifica, più felice e più umana sarebbe la vita se tutti i sacerdoti fossero
come il Curato d'Ars o S. Giovanni Bosco, se tutti i filosofi fossero come S.
Agostino e S. Tommaso d'Aquino, se tutti gli
uomini politici fossero come S. Tommaso Moro o Donoso Cortes, se tutti i
giornalisti fossero come Gorres, De Maistre o Veuillot, se tutti i religiosi
fossero come S. Francesco, S. Ignazio, S. Bernardo o S. Benedetto, se tutte
le madri di famiglia fossero come S. Elisabetta, tutti gli operai come S.
Giuseppe, tutti i giovani come S. Luigi, tutte le fanciulle come S. Agnese...
Possiamo immaginarci come sarebbe allora questa terra arida, piena di
fango e polvere!
Dov'è la fonte di tanta energia? Dove si apre la rosa di tanta bellezza
spirituale? Chi educò i Luigi, i Domenico Savio, le Agnesi, le Agate, le
Lucie? Il Santissimo Sacramento, la Comunione. Non c'e rinnovazione
dell'anima che per mezzo della Comunione. Perché la Comunione è gioia, è
forza, è coraggio, è pace, è bellezza dell'anima.

Fratelli! Prima di ritirare dalla fonderia le nuove campane di una chiesa,


si volle provare se il suono corrispondeva all'ordinazione.
Per accertarsi del tono voluto il maestro fonditore faceva risuonare entro la
campana il tono che questa doveva avere. Dapprima faceva risuonare un
altro tono ma la campana restava muta. Ma appena vi faceva risuonare il
vero tono, la campana ripeteva lo stesso tono. Si può dire che quel vero
suono era come nascosto nella campana che aspettava di emetterlo. Per
quanto forti fossero gli altri suoni fatti entro la campana, essa rimaneva
muta, ma, appena sentiva il suo suono, rispondeva subito.
Ogni anima, sin dal principio, è intonata alla voce di Dio. Alla
Comunione, lo stesso Creatore dell'anima nostra fa risuonare in essa la sua
voce; come l'anima in gioia non ne ripeterà l'eco festosa e vibrante? Come
non potrà seguirne forza e coraggio, gioia, tranquillità e bellezza?
Se il sole si nasconde per troppo tempo dietro le spesse nubi, gli uomini
cominciano a sentir inquietudine. Se non splende per intere settimane la

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vita diventa pesante, i fiori si piegano a terra, gli uomini diventano
malinconici. Se poi dovesse succedere la catastrofe che il sole cessasse di
splendere, morirebbero tutti i viventi, si spegnerebbe la vita.
Quello che è il sole per la vita fisica, è l'Eucaristia per la vita spirituale.
Quanto sono da compiangersi quegli uomini sui quali non risplende
questo Sole, quegli uomini che se ne sono sottratti!
Come sono felice che per me risplende questo Sole, che posso
comunicarmi, comunicarmi spesso, comunicarmi tutte le volte che voglio.
Nella Comunione Gesù fa risuonare nell'anima mia la voce di Dio, ed io
riproduco questa voce, ripieno di forza, gioia e bellezza. Nella Comunione
mi investe il raggio vivificatore di Gesù ed io apro a Lui la mia anima
debole, anemica, impotente, come il fiore languente dischiude la sua pallida
corolla al caldo raggio del sole, apro a Lui l'anima e con trasporto Lo
supplico: Quanto mi è caro, o Signore, il trovarmi nelle tue mani, non
permettere che mi rifugi altrove. Vedi, o Signore, adesso non ho altri che
Te. Vieni a
dunque e riscalda questo tuo pallido piccolo fiore.

102
XII. LA COMUNIONE BEN FATTA

Gesù entrato in Gerico, attraversava la città.


Ed ecco che un uomo, per nome Zaccheo, che era capo dei pubblicani e
ricco cercava di vedere chi fosse Gesù, ma non ci riusciva, perché era
piccolo di statura.
Allora corse avanti e montò sopra un sicomoro per vederlo, perché egli
doveva passare di là.
Questi arrivato in quel luogo, alzò gli occhi, lo vide, e gli disse:
«Zaccheo, scendi presto, perché oggi devo fermarmi in casa tua».
Egli si affrettò a scendere e lo accolse con gran gioia. E tutti, visto ciò,
cominciarono a mormorare, dicendo: E' andato in casa di un peccatore.
Zaccheo si presentò al Signore e gli disse: ecco, o Signore, la metà dei
miei beni la porto ai poveri; e se ho predato qualcuno, gli rendo il
quadruplo.
Gesù gli replicò: Per questa casa oggi è venuta la salvezza, perché egli
pure è figlio di Abramo.
S. Luca 19. 1-9

Fratelli,

Chi è stato in Finlandia si sarà accorto del grazioso modo come vi si


fanno i brindisi, con una squisita cordialità. Non come da noi col toccare i
bicchieri e coll'augurarsi vicendevolmente salute. Lì invece dapprima
accostano la coppa al cuore, poi per qualche istante si guardano fissi negli
occhi, poi bevono e in ultimo si fissano nuovamente.
Quanta amabilità e grazia in questo mirarsi, quanto rispetto e affabilità!
Non vi pare sorprendente che la Chiesa prescriva qualche cosa di
somigliante nella Comunione? Prima di ricevere il Corpo e il Sangue di
Gesù Cristo, dobbiamo fissare bene in Lui, ciò che chiamiamo
preparazione, e anche dopo la Comunione dobbiamo guardarlo fisso, ciò
che chiamiamo ringraziamento.
Gesù Cristo non dà il suo Corpo e il suo Sangue solo per noi, ma anche
a noi. Si dà per noi tutte le volte che nella Messa rinnova il sacrificio già
offerto al Padre; si dà a noi tutte le volte che lo riceviamo nella Comunione.
Una sola Comunione ben fatta ci dà tante grazie che bastano a santificarci.
Una sola Comunione ben fatta...
Non ci comunichiamo dunque sempre bene? No, purtroppo. Almeno
così ci insegna S. Agostino. Parlando di S. Lorenzo, così dice: Gesù viveva
in Lorenzo e restò in lui, «restò nella prova, nel crudele interrogatorio del

103
tiranno, nelle spaventose minacce, durante il martirio». Perché Gesù restò
in lui? «Quia bene manducaverat et berne biberat». Perché aveva ricevuto il
Corpo e il Sangue di N. Signore bene, cioè con la dovuta disposizione. La
Comunione fu per lui forza e vita. Perché la Comunione sia lecita, basta
essere senza peccato. Ma non basta perché sia fruttuosa. E' necessaria
ancora una buona preparazione e un buon ringraziamento. Tra i primi
cristiani c'era il bel costume di comunicarsi con le mani incrociate sul petto
in segno di completa dedizione. Quale profondo significato! Nella
Comunione anche noi dobbiamo dare e non solo ricevere. Che cosa dare?
Dare noi stessi, la nostra buona disposizione, la prontezza al
combattimento, la nostra croce.

Tutti abbiamo desiderio di comunicarci bene. A tale scopo vediamo:


1) Che cosa dobbiamo fare avanti la Comunione, 2) che cosa dopo.
Come dobbiamo mirare Gesù prima di riceverlo e dopo averlo ricevuto.

1. Che cosa dobbiamo fare prima della Comunione

Ci assicuriamo più facilmente i frutti della Comunione se vi ci


prepariamo ravvivando in noi la fede, la speranza e la carità.

A) Il primo passo sarà il fare un atto di viva fede. Credo, o Signore, con
fede irremovibile, umile e grata che tu sei presente nel Santissimo
Sacramento.

a) Vi è nota dal Vangelo la magnifica professione di fede fatta da S.


Pietro a Cesarea di Filippi. Gesù domanda agli apostoli: «La gente chi dice
che sia il Figlio dell'uomo?» (Matt. 16, 13).
Ed essi riferiscono le varie opinioni del popolo intorno al Cristo. Chi lo
ritiene per S. Giovanni Battista, chi per Elia, chi per qualche altro profeta.
«E voi che dite che io sia?» (Matt. 16, 15), domanda loro Gesù. Pietro si fa
avanti e in nome di tutti risponde con amore umile e grande fede: «Tu sei il
Cristo, il Figlio di Dio vivente» (Matt. 16, 16).
Mentre ci prepariamo alla Comunione, se il Signore dall'Ostia santa
chiedesse anche a noi: «La gente per chi mi ritiene?», purtroppo anche oggi
dovremmo rispondere: Alcuni ti ritengono per un semplice pezzo di pane,
altri per un tuo ricordo o per simbolo della tua passione.
E voi per chi mi ritenete? ci domanda ora il Signore.
Quale sarà la nostra risposta?
Non potrebbe essere altra che mirare la S. Ostia e ripetere con la viva
fede di S. Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». Questo credo, o

104
Signore, e Tu accresci la mia fede. Accrescila affinché non ti riconosca
soltanto qui, ora che mi comunico, ma in tutta la mia vita, nell'ufficio, nella
fabbrica, nella scuola, a casa, nella società.

b) La Comunione non potrà essere buona senza questo ravvivamento


della fede.
Osserviamo la vita dell'uomo moderno. Dalla mattina alla sera, dalla
domenica al sabato, dal capodanno a S. Silvestro vive continuamente in
un'atmosfera estranea a Cristo. E va alla Comunione. Dovrebbe sollevarsi
all'atmosfera soprannaturale della Comunione, ma non ne è capace. Lì si
trova soltanto col suo corpo, con la sua lingua, ma senza l'anima, senza il
cuore, senza il sentimento, il desiderio, il pensiero. Come potrei dire?
Introduce Gesù nell'atrio, ma non nell'interno della casa.
Quando dunque sarà buona la Comunione? Ravvivando la fede: Viene
Gesù, il Figlio di Dio vivo, il mio Re. Gli parlo. Lo ringrazio. Lo prego. Gli
espongo le mie miserie. Dopo una simile Comunione, mia madre, mia
moglie, i miei familiari, i miei compagni di lavoro o di ufficio si
meravigliano di vedermi più mite, più paziente, più affabile, più
comprensivo, più pacifico. Quale ne è la ragione? Essi non lo sanno. Lo so
ben io. Cristo è con me.
Questo è il primo passo per ben prepararmi alla Comunione, ravvivare
la fede.

B) Il secondo è ravvivare la fiducia e la speranza.

a) A Cafarnao il popolo cominciò a mormorare quando Gesù promise


l'Eucaristia. Adagio adagio se ne allontanarono l'uno dopo l'altro. «Volete
andarvene anche voi?» (Giov. 6, 68) domandò Gesù agli Apostoli. Di
nuovo S. Pietro si fa avanti e, traboccante d'amore, risponde: «Signore,da
chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» (Giov. 6, 69).
Anche noi dobbiamo possedere tale fiducia prima della Comunione.
Signore, da chi potrei andare, a chi potrei rivolgermi? Seppur ci sia il più
savio, il migliore, il più forte uomo del mondo, che cosa ci potrà offrire,
con che cosa ci potrà far superare il peccato, le sofferenze, la morte?
Questa illimitata, filiale fiducia nel Signore è nello stesso tempo un segno
della grande venerazione che abbiamo per Gesù.

b) Altrimenti onoriamo l'uomo e altrimenti Dio.


Più in alto sta l'uomo e più siamo imbarazzati nel parlare con lui.
Nell'Eucaristia ci sta innanzi Gesù, infinitamente più alto di noi, eppure non
siamo imbarazzati alla sua presenza.

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Più alta è la posizione della persona con cui trattiamo e più la onoriamo
con titoli e con espressioni di rispetto. Ma se parliamo col Signore
dell'Universo, col Re dei re, lo trattiamo semplicemente e con confidenza;
gli diamo del tu.
I Giapponesi hanno tanta venerazione per il loro imperatore che senza
un cenno non osano guardarlo in faccia. Il ritratto dell'imperatore è appeso
in tutti gli uffici, ma è coperto da una tendina. Non è permesso guardare
l'imperatore neanche in immagine. E quando passa per le strade, il popolo
fa ala al suo passaggio in grande silenzio e tutti con grande rispetto
abbassano gli occhi avanti a lui.
Noi invece possiamo liberamente, con fiducia, con amore alzare lo
sguardo verso Gesù Sacramentato. Quando alla Comunione il sacerdote
tiene in alto verso di noi la Santa Ostia, guardiamola e diciamo: «Signore,
da chi dovrei andare? Tu solo hai parole di vita eterna». Questo è il secondo
atto di preparazione alla Comunione: il ravvivare la fiducia e la speranza.

C) Il terzo è l'eccitare la carità.


Anche questo impariamo da S. Pietro.
Gesù dopo la sua resurrezione stava in mezzo agli Apostoli alle rive dei
lago di Genezaret. Ad un tratto si rivolge a S. Pietro con la domanda:
«Simone, figlio di Giona, mi ami tu?» (Giov. 21, 15). Pietro risponde: «Si,
Signore, tu sai che io ti amo».
Alla terza domanda di Gesù se gli voleva bene, Pietro non può più
trattenere il suo sentimento interno e, col cuore in bocca, gli dice: «Signore,
tu sai ogni cosa, tu sai che io ti amo» (Giov. 21, 17).
Anche noi dobbiamo possedere questo amore avanti la Comunione. Ma
un amore non di puro sentimento ma che diventa operoso in una vita
profondamente religiosa.
Dunque diciamo anche noi: Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo, e
che voglio amarti sopra ogni cosa, ma non col solo sentimento ma con una
vita santa che dimostri questo amore. Sento risuonare alle orecchie le tue
parole: «Chi ha i miei comandamenti e li osserva, mi ama» (Giov. 14, 21).
O Signore, voglio amarti proprio così.

2. Che cosa dobbiamo fare dopo la Comunione

Ecco il momento tanto atteso; è venuto il Signore! L'anima è inondata


di gioia e confusa per umiltà. Che devo fare? Come accoglierlo?
Quando i pellegrini ritornano dalla Mecca, i rimasti a casa vanno loro
incontro e si prostrano a terra perché almeno i cavalli e i cammelli dei
pellegrini passino oltre i loro corpi; e si sentono tanto felici. Che cosa non

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devo sentire io quando lo stesso Nostro Signore non passa sopra di me per
un momento solo, ma entra in me e vi fissa la sua dimora!

A) Nei primi istanti non dico niente, non prego nemmeno: affascinato
ascolto in silenzio.
L'anima è immersa in profondo silenzio e questo è il mio puro
ringraziamento e omaggio al Signore. Silenzio che dà vita.
C'è diversa specie di silenzi. Il silenzio sulle vette dei monti; il silenzio
puro, dove l'anima si ricrea e respira aria pura; il silenzio mistico
nell'interno della foresta ma tanto eloquente; il mesto silenzio nel
camposanto; il silenzio opprimente nel deserto prima della tempesta.,.; il
mistico silenzio vicino a grandi distese d'acqua al calar del sole...; il
silenzio vigilante in una notte di stelle.
Alla Comunione sono tutti questi silenzi, ma, sopra di essi, ancora, il
silenzio che dà vita.
Sono questi i momenti silenziosi nei quali sentiamo specialmente quello
che sentì tripudiante S. Bernardo quando scrisse:
«Gesù! Nome di dolce memoria, che dà al cuor le vere gioie; ma più
soave del miele e d'ogni dolcezza è la presenza di Colui che tal nome
porta».

B) Poi il grande silenzio adagio, adagio viene a cessare per dar posto al
sentimento dell'onore ricevuto e del compito che ci aspetta.

a) L'onore ricevuto nella Comunione.


In questo momento dobbiamo sentire quell'onore di cui partecipò il
pubblicano Zaccheo.
Gesù era circondato da molta folla. Zaccheo, perché di bassa statura,
non avrebbe potuto vedere il Signore. Perciò si arrampicò su di un albero.
II Signore lo scorse e volle premiare l'amore dell'uomo penitente.
«Zaccheo, scendi presto, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Luca 19,
5).
Chi potrebbe descrivere la sua gioia: come frettolosamente discese
dall'albero, come precipitò a casa, come mise a posto tutto? Mise a posto
tutto, anche l'anima. Ecco, disse a Gesù: «La metà dei miei beni la dono ai
poveri; e se ho predato qualcuno, gli rendo il quadruplo» (Luca 19, 8).
E Gesù gli replica: «Per questa casa oggi e venuta la salvezza» (Luca
19, 9).
Così devo sentire anch'io nell'anima: Oggi é venuta la salvezza in casa
mia. Ma ancor maggiore in casa mia. Entrò soltanto nella casa del
pubblicano, e da me, invece, entra nell'anima e diventa una cosa sola con

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me. Dovessi abbracciare e baciare un povero lebbroso, lo potrei fare? E
Gesù, tutto puro e senza il minimo peccato abbraccia e bacia l'anima mia.
Quale onore per me!

b) Ma anche come grande il compito che mi aspetta!


Chi si comunica, non soltanto riceve un grandissimo dono, ma si
assume anche dei gravi obblighi. Questi sono: con un cosciente lavoro
rendere la propria vita quanto più simile a quella di Cristo, riempirla tutta
dei pensieri di Cristo, approfondire le radici della vita in Cristo.
Quando nella sinagoga di Cafarnao per la prima volta il Signore parlò del
suo Corpo e del suo Sangue come cibo nostro e il popolo senza ragione se
ne scandalizzò e mormorò, Gesù così li riprese: «Questo vi scandalizza? E
quando vedrete il Figlio dell'uomo ritornarsene colà dov'era prima? E' lo
spirito che vigila; la carne non serve a nulla. Le parole che vi rivolgo sono
spirito e vita» (Giov. 6, 62, 63).
Queste parole del Signore chiaramente dimostrano gli obblighi e il
compito di chi si comunica. Se il Corpo di Gesù è divenuto una cosa sola
col tuo corpo, cerca che anche la tua anima sia una cosa sola con Lui. A ciò
principalmente si riferiscono le parole di S. Giovanni: «Chi dice di stare in
Lui, deve esso pure camminare come Egli camminò» (1 2, 6).
La stessa parola comunione vuol dire unione. Due sono veramente, ma
diventano una.
Purtroppo può darsi anche qualche Comunione dove il principale sono
io e Cristo il secondario. Così si comunicano i tiepidi e poi si lagnano di
non riportar alcun frutto dalla Comunione.
Ma può darsi - e così dovrebbe essere - che Cristo sia il principale ed io
il secondario. Così si comunicano i fervorosi e si acquistano le benedizioni
del Santissimo Sacramento.
E' vero, anche i tiepidi ricevono Gesù ma non diventano una cosa con
Lui. Gesù soltanto li sfiora. Basta forse prendere un buon cibo? No.
Bisogna anche elaborarlo, altrimenti è tutto invano.

C) Da ciò segue un importantissimo ammaestramento. Il miglior


ringraziamento dopo la Comunione è il passar tutta la giornata secondo la
volontà di Dio.

a) Chi si comunica deve diventare un vero Cristoforo, cioè portatore di


Cristo.
Viveva nei tempi passati un uomo gigante di statura, il quale voleva
esser utile al prossimo col prenderli sulle spalle e portarli all'altra riva di un
fiume in mancanza di ponti.

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Un giorno prese sulle spalle un grazioso bambinello, ma, nel traversare
il fiume non sentì mai un peso così grande.
- Come sei pesante, caro bambino! - disse il gigante in mezzo al fiume.
- Non meravigliartene, porti sulle spalle Colui che sostiene tutto il
mondo- disse il fanciullo e sparì. Il bambino era Gesù che in questo modo
volle premiare l'eroe della carità che poi venne chiamato Cristoforo,
portatore di Cristo, e divenne santo.
Chi si comunica diventa un vero portatore di Cristo. «Chi mangia la
mia Carne e beve il mio Sangue, rimane in me ed io in lui» (Giov. 6, 57).
Cristo in noi!
Dunque veri Cristofori! Non peso per noi, ma ala. Portiamo Cristo
senza esserne affaticati, ma anzi ringiovaniti.
Se prendo un altro cibo, questo si assimila in me perché io sono
superiore al cibo. Ma nella Comunione è l'opposto, qui è superiore a me
Colui che prendo in forma di cibo, e quindi è Lui che assimila me. Col
Battesimo siamo stati accolti fra i redenti; con la Comunione riceviamo la
forza per corrispondere ai doveri dei redenti. Superando la resistenza della
natura corrotta, sempre più diventiamo somiglianti al Figlio di Dio,
diventiamo un «altro Cristo».
Se è vero che dopo la Comunione Gesù vive in noi e noi in Lui, si
devono anche render vere le parole di S. Giovanni: «Chi dice di stare in
Lui, deve esso pure camminare come Egli camminò» (1, 2, 6). La storia
della Liturgia ci ricorda un modo interessante con cui i primi cristiani
usavano comunicarsi. Essi tenevano la palma della mano destra sotto la
sinistra e su di essa ricevevano la S. Ostia. Però prima di comunicarsi,
l'avvicinavano alla fronte, agli occhi e agli altri sensi, come se con ciò
volessero supplicare il Signore di prendere possesso e di santificare tutti i
loro sensi, tutto il loro essere. Oggi non è più tale il rito della Comunione,
ma tale dovrebbe essere la nostra dedizione. Dopo la Comunione Gesù
deve regnare su tutti i nostri sensi, su tutto il nostro essere.

b) Fatta la Comunione passiamo un quarto d'ora in intimo colloquio col


Signore ma questo non deve essere che una parte del ringraziamento.
Ritorniamo alla vita di ogni giorno, a casa, all'ufficio, all'officina e ora
comincia l'altra parte del ringraziamento, la più difficile: l'esser migliori nel
giorno della Comunione. Vere sono le espressioni forti del Card. Pâzmâny:
«Se ci ripugna di portare all'osteria e di contaminare con altre bibite il
calice che ha contenuto il Sangue di Nostro Signore, non permettiamo
nemmeno che la prima porta e il vaso per cui entra in noi nella Comunione
il sacro Corpo di Gesù, cioè la nostra bocca e la nostra lingua, siano rivolte
al servizio del demonio e dei peccati».

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Non sarà tanto difficile passare i pochi minuti dopo la Comunione in
devoto ringraziamento, ma sarà molto più difficile combattere
vittoriosamente tutto il giorno le lotte spirituali per amore di Cristo che si
degnò di venire in noi quel giorno.
Eppure deve essere così.
Questa mattina mi sono comunicato, dunque devo essere più mite, più
paziente, più indulgente per amore di Cristo.
Questa mattina mi sono comunicato, dunque nelle tentazioni devo
essere più resistente, più deciso per amore di Cristo.
Questa mattina mi sono comunicato, dunque devo sopportare più in
pace e rassegnazione le sofferenze e le contrarietà.
Nella Comunione prendiamo Cristo ma badiamo: il segno esterno, la
manducazione ci costringe ad unirci, a diventare una cosa sola con Lui.
L'anima di Cristo e l'anima mia devono diventare una cosa sola. Quando
due anime diventano un'anima sola? Quando pensano in un modo, vogliono
la stessa cosa, amano la medesima cosa, si rattristano per lo stesso motivo.
Quando sarà dunque buona la mia Comunione? Pensando allo stesso modo
di Gesù, operando secondo i piani di Gesù, avendo i medesimi sentimenti
di Gesù, in una parola, rendendo la mia vita quanto più simile a quella di
Gesù.

3. La Comunione frequente

A) Chi riflette a tutto questo capirà facilmente la grande importanza


della Comunione frequente.

a) Sappiamo che nel primo decennio di questo secolo il Papa Pio X si


adoperò con grandissimo zelo perché i fedeli si accostassero alla
Comunione non solo a Pasqua ma quanto più spesso.
D'allora, grazie al Signore, questa pratica si diffuse più maggiormente e
non vi è parte del mondo in cui oltre a quelli che si comunicano solo per
Pasqua non vi siano altri numerosi che si comunicano ogni mese, ogni
settimana e anche ogni giorno.
Questo domandiamo anche nel Padre nostro: «Dà a noi il nostro pane
quotidiano» (Luca 11, 3; Matt. 6, 11). Secondo i S. Padri questo pane nel
Padre nostro non significa solo il pane, ossia il cibo materiale, ma anche il
cibo spirituale, il Pane eucaristico, il Corpo di Nostro Signore.

b) Ci sono tra i fedeli persone anziane che difficilmente vogliono


intendere queste cose.

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A che tante Comunioni? Quando ero ragazzo, cinquanta anni fa, ci si
comunicava solo a Pasqua. E la Chiesa non comanda neanche oggi di più.
Non basta questa sola Comunione?
Nessuno vuol negare che non si possa anche con la sola Comunione
pasquale assicurare in qualche modo la vita spirituale. Perché se ciò non
fosse possibile, la Chiesa certamente ne aumenterebbe il numero.
Ma se poi ci sono - e grazie a Dio ce ne sono sempre di più - delle
anime che non si accontentano solo di arrivare al Signore in qualche modo
ma di volare a Lui come una freccia con volo audace?!
Osservate gli uccelli, quando prendono il volo. Non si innalzano
verticalmente ma solo obliquamente dalla terra, perché questa li attrae a se.
Basta osservare il passero. Sono pochi gli uccelli capaci di elevarsi al cielo
diritti, diritti, come l'allodola. Chi non vuole essere un grigio passero della
vita, ma allodola canora di Dio, ha assoluto bisogno della forza speciale che
dà la Comunione frequente.

B) Guardiamo un po' la differenza che passa tra chi si comunica una


volta all'anno e chi si comunica spesso.

a) Esteriormente forse nessuna; tutti e due soddisfano al precetto della


Chiesa. Ma molto se ne vede la differenza nelle prove, nelle contrarietà,
nelle burrasche della vita. Da una bufera scatenatasi sulla capitale furono
trascinati in uno stretto piccolo cortile a lanterna di una grande casa un
passero e una allodola. Oltre allo spavento non ebbero altro a soffrire. Le
loro ali restarono intatte. Eppure, cessata la bufera, l'allodola si mise a
cantare e spiccò il volo in alto, il povero passero invece perì miseramente
nel basso del cortile, perché non fu capace di volare diritto in alto, ma solo
in modo obliquo.
Chi si comunica spesso sarà la canora allodola del Signore che vola
diritto sino a Lui.

b) Oltre a ciò la Comunione frequente sviluppa nell'anima una tal quale


fine, previdente disposizione, un istintivo senso di ripulsa, una reazione
sensibile di fronte ai pericoli e ai peccati.
Chi non intende il valore di tutto questo per il progresso dell'anima? Chi
non vede come cadono, come si rovinano anime anche belle e grandi per
non aver conosciuto subito i pericoli e non aver evitato in tempo le
occasioni peccaminose?
Il più pericoloso uccello rapace delle Ande nell'America del Sud è il
condor. Si dice che anche il più piccolo d'essi affronta un vitello. Eppure
l'abilità dell'uomo riesce con astuzia ad imprigionarlo. In fondo ad un pozzo

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stretto ed asciutto viene lasciata della carne. Il condor affamato da grande
altezza scorge il bel boccone e precipita in fondo al pozzo. La carne è sua,
ma non riesce più a uscire. Il cibo l'adescò e lo fece prigioniero.
Chi si comunica speso, più facilmente si accorge dell'esca traditrice del
peccato e resiste di fronte alle tentazioni.

C) Che dovremo poi dire di quelli che non si comunicano nemmeno una
volta all'anno.
La Chiesa un tempo negava la sepoltura ecclesiastica a chi trascurava la
Comunione pasquale.
Ma cos'è questa punizione al confronto di quella che si danno essi da
soli col loro sciopero della fame, con l'affamare, con l'indebolire l'anima e
col rubarle la più potente sorgente della grazia di Dio?
Vorrei che questi scioperanti volontari sentissero quello che disse un
disgraziato che, vivendo in matrimonio illecito per anni non poteva
comunicarsi: «Andavo regolarmente alla Messa tutte le domeniche e feste,
ma provavo un terribile dolore nel vedere accostarsi gli altri alla
Comunione, ed io esserne escluso».
Da ultimo non ne poté più, lasciò la relazione peccaminosa pur di poter
comunicarsi.

Fratelli! Nessuno con tanto ardente amore e nel medesimo tempo con
tanta profondità scrisse sull'Eucaristia come S. Tommaso d'Aquino. Forse è
a vostra conoscenza questo episodio della sua vita. Mentre, assorto in
preghiera, nella sua celletta, stava inginocchiato avanti il Crocifisso, sentì la
voce di Cristo che gli disse: «Hai scritto bene di me, o Tommaso. Che vuoi
in ricompensa?».
Che domanderà il conte d'Aquino? La corona di Sicilia? Gli sarebbe
dovuta. La soluzione di qualche difficile problema? Gli sarebbe venuta a
proposito. Qualche nuova concezione filosofica, qualche illuminazione
divina? No. Tutto ciò non gli bastava. Con inaudita fiducia, Tommaso
rispose: «Non chiedo altro, o Signore, che Te stesso».
Fratelli, prima e dopo la Comunione fissiamo il nostro sguardo su Gesù.
E se in questi benedetti e fortunati momenti sentiamo anche noi la domanda
di Gesù - anche se immeritatamente, non avendo noi nulla di bello di Lui, e
non essendo forse neanche vissuti bene -: «Che vuoi da me? », la nostra più
grande e più intensa preghiera sia: «Niente, o Signore, che Te Stesso».
Diciamo anche noi con S. Tommaso:
Buon Pastore, vero pane,
Gesù, abbi pietà di noi;
Tu ci nutristi, Tu ci difendi,

112
Tu ci fai vedere i beni
Nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutristi qui mortali,
fa che poi ci uniamo,
eredi tuoi e commensali,
coi santi cittadini in cielo.
Amen.

113
PARTE QUARTA

GESÙ FRA NOI

XIII. L'ADORAZIONE DI GESÙ SACRAMENTATO (1)

Il servo mio David sarà re sopra essi e unico sarà di tutti loro il
pastore. Cammineranno nelle mie leggi e osserveranno i miei precetti e li
metteranno in pratica.
E dimoreranno nella terra che ho dato al mio servo Giacobbe, nella
quale avevano fatto dimora i padri vostri in quella abiteranno essi e i figli
loro e i figli dei figli per sempre, e David mio servo sarà il loro principe ire
perpetuo.
E stringerò con essi un'alleanza di prue, un patto che sarà con essi per
sempre duraturo e li stabilirò e li moltiplicherò e collocherò il mio
santuario in mezzo ad essi per sempre.
E il mio tabernacolo sarà in mezzo ad essi, e io sarò il loro Dio ed essi
saranno il mio popolo.
E le genti conosceranno che io sono il Signore, il santificatore
d'Israele, quando il mio santuario sarà in mezzo ad essi in perpetuo.
Ezechiele 37, 24-25

Fratelli,

Bello è l'uso di non passare indifferenti avanti le chiese ma di fare,


come in più luoghi, che i maschi si levano il cappello e le donne si fanno il
segno della croce. Certamente questo segno di riverenza non è diretto
all'edilizio, ma a Colui che è sempre presente sull'altare, a Gesù
Sacramentato.
Per tale motivo le chiese sono aperte non solo di domenica, ma anche
negli altri giorni; non solo nelle ore mattutine mentre si celebrano le s.
Messe, ma tutto il giorno. Sono aperte, perché senza interruzione, giorno e
notte, è presente sull'altare Gesù.
Da questo fatto segue un'altra bella consuetudine; quella di non
accontentarsi soltanto di farsi la croce o levare il cappello, ma anche di
entrare in chiesa. Anche quando non c'è nessuna funzione. Anche quando

114
siamo per andare all'ufficio, alla scuola, all'officina, al mercato... Entriamo
per qualche minuto per salutare Gesù che vive in mezzo a noi.
Quelli che non sono della nostra religione se ne meravigliano e non
capiscono: Perché vanno in chiesa quando non vi è nessuna funzione? Che
vanno a fare nella chiesa vuota?
E veramente, che cosa facciamo in quei benedetti momenti staccati
generosamente dalle faccende della vita materiale? Che cosa facciamo?
Adoriamo Nostro Signore che è presente in mezzo a noi nel Tabernacolo.
Questi brevi momenti di adorazione, se fatta bene, diventano poi ricca
sorgente di profitto spirituale.
Chi ne è persuaso, non solo continuerà a visitare il Santissimo
Sacramento con più vantaggio dell'anima, ma se non ha ancora questa
abitudine, così cristiana, così bella, così benefica, ne resterà avvinto.
Questo è appunto il terzo fine del Santissimo Sacramento. Il primo: per
la rinnovazione continua del sacrificio di Cristo: Gesù per noi; il secondo:
per ricevere Cristo nella nostra anima: Gesù in noi; il terzo: per poter
visitare Cristo in ogni momento e parlargli di noi: Gesù in mezzo a noi.
In questo e nel seguente discorso vedremo come usare con più profitto i
devoti minuti della visita al Santissimo Sacramento.

1. Preparazione alla visita

Prima di tutto bisogna prepararsi in qualche modo.

A) Però vorrei render attenti i miei uditori sull'importanza centrale


dell'Eucaristia nella vita spirituale.

a) Da quanto abbiamo visto sinora, anche senza altro, è apparso chiaro


che l'Eucaristia è il centro e la sorgente viva di tutta la vita spirituale. La
chiesa, i vasi sacri, le vesti preziose, le pompe e gli ornamenti esistono solo
per l'onore dovuto al SS. Sacramento. Centro delle chiese non sono le
immagini della Madonna e dei Santi, neanche dei più venerati, ma il
Santissimo Sacramento, avanti di cui arde il lume eterno.
La liturgia usa tanti simboli, uno più bello dell'altro, ma forse nessuno
superiore al lume eterno. Chi non sarà preso da commozione nel pregare da
solo avanti al Santissimo al tenue chiarore della piccola lampada? Come se
quel lume avesse parola. Come se da esso sentissi la voce di Dio: «D'un
amore eterno ti ho amato» (Ger. 31, 3).
Dio mi ama. Mi ama d'un amore eterno. Sulla stalla di Betlemme compare
una stella. Quasi dicesse: Uomini, anime buone, pastori che cercate Gesù,
venite qui. Il lume eterno dice pure: Venite qui. Qui è il Signore. Qui si

115
avvera esattamente la promessa di Dio fatta al popolo per mezzo di
Ezechiele: « Collocherò il mio santuario in mezzo ad essi per sempre. E il
mio tabernacolo sarà in mezzo ad essi, ed io sarò il loro Dio ed essi
saranno il mio popolo» (Ez.37, 26-27).

b) Dunque entrando in chiesa, è naturale che il mio primo saluto sia


rivolto a Gesù nel Santissimo Sacramento e a Lui sia dedicata la maggior
parte del mio tempo.
Entrando in chiesa, segnatomi con l'acqua benedetta, mi reco al mio
posto, dopo di aver fatto la genuflessione. Mi inginocchio cioè verso il
Santissimo e lo saluto con qualche pensiero venuto dal cuore, possibilmente
con qualche calda parola. Potrei dire p. e. le belle parole del Te Deum: «Tu
Rex gloriae, Christe; Tu Patris sempiternus es Filius: Tu, Cristo sei il Re
della gloria, Tu il Figlio eterno del Padre».
Ricordiamo dunque che la prima cosa da farsi in chiesa é il saluto a
Gesù nel Sacramento. Si possono venerare anche Maria SS.ma e i Santi
avanti le loro immagini, ma solo dopo. Dopo cioè di esserci intrattenuti con
Gesù.
Vi meraviglierete forse perché vi abbia detto cose che voi già ben
conoscete. Si, voi le sapete, ma ci sono quelli che non le sanno, oppure che
se ne dimenticano in pratica. Non sarà stato dunque del tutto inutile il farne
un cenno.

B) Ora eccomi inginocchiato davanti il Santissimo. Mi circonda un


profondo silenzio. Silenzio benefico, riposante, che fa bene all'anima.
Adesso scuoterò la mia fede.
Si fa sera. Una semioscurità avvolge il tempio. La fiamma del lume
eterno, allungandosi, col suo riflesso, par che danzi sulle vetrate; appena si
sente il chiasso della vita tumultuosa della strada. Io, in silenzio, senza
parole, mi prostro innanzi al Maestro divino...

a) Prima di ogni cosa, rinnovo un atto di ferma fede. Credo, o Signore,


che qui sei presente sotto le specie sacramentali. Sei lo stesso Cristo nato
per me a Betlemme. Il medesimo Cristo che sedò la tempesta e perdonò alla
Maddalena pentita. Lo stesso Cristo che sacrificò per me la vita sulla croce.
Ave, o Gesù, nel Santissimo Sacramento.
San Francesco d'Assisi amava dire al Signore: «Deus meus, Deus meus,
nihil sum, sed tuus sum». Faccio mio questo sentimento: «0 Signore, Dio
mio, sono una povera tua creatura, sono un niente, ma sono tuo».
Dobbiamo dunque cominciare col credere fermamente che siamo in
immediata presenza di Nostro Signore.

116
b) In presenza di Dio, Nostro Signore. E' impossibile dire quali
cambiamenti porti all'anima la consapevolezza d'essere avanti al Signore.
Tutt'al più potremo servirci di qualche paragone umano.
Se un rotolo di filo metallico ricinge un pezzo di ferro e passa sul rotolo
una corrente elettrica, quel pezzo di ferro, finora indifferente, all'istante
acquista forza magnetica e attira a sè i metalli. Cosi fredda, indifferente è
l'anima dell'uomo fino a che non viene presa dalla corrente dell'amor di
Dio. Da questo momento è investita da forza viva; pensieri, desideri,
propositi sorgono in essa non più terreni, non più opera dell'uomo, ma cloni
della rigenerazione in Dio. Questi moti, questi impulsi, queste deliberazioni
sono opera della grazia divina. II tempo della visita è il tempo delle forti
correnti di grazia.

C) E' ravvivata la fede in me, però ancora non comincio la preghiera...


Dopo aver scosso la fede succede uno stato speciale: un gran silenzio.

a) «E' bene attendere in silenzio l'opera salvatrice di Dio» (Lament. 3,


26) dice la S. Scrittura. Proprio così. Dio è così incomparabilmente grande,
e altrettanto grande è l'amore di Gesù nell'Eucaristia, al cui pensiero altro
non possiamo fare che rimanere in muta ammirazione. Non vedo, non
sento, non parlo nulla, ma mi avvolgo in un silenzio estatico, come il
silenzio che avvolge la terra nella notte quieta. E' così enorme la differenza
tra la grandezza, la bontà e la santità del Signore e la mia piccolezza, la mia
fragilità e la mia vita di peccato che il meglio che posso fare è di conservare
un profondo silenzio. Questo silenzio estatico e questa umiliazione sono già
per sè una magnifica adorazione.
Oh, i benedetti momenti dell'adorazione del Santissimo Sacramento! In
profondo silenzio sto inginocchiato avanti il tabernacolo, e lì dinanzi a me è
Gesù vivo e vero.
Nella mezza oscurità guizza la fiammella rossa del lume eterno, come
se avesse un'anima, come se proiettasse esternamente l'irrequieto battito del
mio cuore.

b) Sto inginocchiato in silenzio, non dico una parola, solo apro l'anima e
sciolgo ogni sua piega avanti il mistico irradiamento del Sacramento
d'amore. Momenti fecondi di benedizione!
La medicina moderna cerca di curare coi raggi una delle più spaventose
malattie, il cancro. Pongono una particella di radio vicino al tumore e coi
suoi raggi impercettibili all'occhio umano tentano di fermare o di
distruggere i tumori del cancro.

117
Credo ai medici quando affermano che i raggi invisibili di quel piccolo
metallo sanano l'anormale sviluppo dei tessuti, ma credo anche, o fratelli, e
lo credo mille volte di più, che quando nei silenziosi momenti della visita al
Santissimo dispiego la mia anima ammalata avanti Gesù nascosto nelle
umili specie, si riversano su di me tali e tanti raggi di divina forza senatrice,
che sono capaci di guarire tutti i mali, tutte le ferite della mia anima.
Ed ora possiamo ben fare le nostre preghiere e le nostre suppliche.

2. L'adorazione

Però non alteriamo l'ordine delle preghiere. Non cominciamo con ciò
che ci suggerisce la nostra natura egoistica, coi nostri guai. Potremo parlare
con Gesù anche di questo, ma da ultimo, alla fine.

A) Quale dunque il vero ordine?

a) Cominciamo con un atto di adorazione. Anche gli Angeli tremano al


cospetto di Dio e sanno dire solo: “Santo, Santo, Santo è il Signore, Dio
degli eserciti “. E che posso dir altro io, miserabile uomo, innanzi a Gesù
chiuso e fattosi per me prigioniero volontario nel Tabernacolo? Dirò con S.
Tommaso d'Aquino:
«Io ti adoro devotamente, o Dio nascosto, che sotto questi veli
veramente ti adombri. A te il mio cuore si abbandona, perché
contemplandoti egli viene meno.
Come Tommaso non vedo le piaghe, eppure ti confesso mio Dio. Fa che
s'accresca sempre più in me la fede a Te, la mia speranza e il mio amore per
Te.
O ricordo della morte del Signore, pane vivo che dai la vita all'uomo, fa
che la mia mente viva di Te e gusti sempre il tuo dolce sapore...
O Gesù che ora ammiro nascosto sotto i veli eucaristici, avvenga, ti
prego, ciò che tanto bramo, che contemplandoti faccia a faccia, sia beato
nella visione della tua gloria ».

b) Dopo l'adorazione il ringraziamento. II render grazie non è purtroppo


il forte degli uomini. Volentieri si ricevono doni, aiuti e favori, ma si è poco
riconoscenti e agli uomini e a Dio.
- Ma di che cosa devo ringraziare il Signore?- domanderà qualcuno.
Di tante e tante cose. Ringraziarlo perché ci conserva in vita: ogni anno, ora
e minuto lo dobbiamo a Lui. Ringraziarlo di tutti i beni corporali e spirituali
dei quali nemmeno siamo consapevoli ma che ci vengono elargiti ogni
momento. Ringraziarlo per esser nati cristiani cattolici.

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Ringraziarlo ancora per tutto quello che ci ha fatto in particolare. Si è fatto
uomo, anche per te solo. Patì, per te pure. Mori, anche per te. Istituì i
sacramenti, per te. Si offre nell'Eucaristia, per te e a te.

c) Non dobbiamo solo ringraziare, ma anche espiare. Completiamo


dunque il ringraziamento con un atto di espiazione.
Per il perdono dei peccati Gesù istituì uno speciale sacramento, quello
della Penitenza. Ma con esso, pur ottenendo il perdono dei peccati, non si
ottiene ancora la remissione di tutte le pene. Quanto più dolorosamente ci
tormenta e c'inquieta il ricordo dei peccati della vita passata, tanto più
fervorosamente preghiamo Gesù nel Sacramento, che si offerse al Padre per
i nostri peccati; preghiamolo che continui ad esser il nostro Mediatore
presso il Padre celeste.

d) Così veniamo all'ultimo atto dell'adorazione, all'atto di domanda.


Perché possiamo rivolgere qualche domanda o supplica, ma sempre
conservando il dovuto ordine. Non siano le prime cose i nostri affari, ma
quelle che spettano al regno di Dio.
Possiamo chiedere tutto. Pregare per la diffusione del regno di Dio, per
le vocazioni e santi sacerdoti, per i cristiani perseguitati, per gli agonizzanti,
per la conversione dei peccatori e degli erranti, per le missioni e così via.
E in ultimo vengano pure i nostri guai, le nostre miserie, i nostri
bisogni. Non abbiate paura. Non ce la passeremo male se saremo così
modesti e disinteressati avanti a Dio mettendo noi all'ultimo posto.

B) Così finisco la visita al Santissimo. Do ancora uno sguardo al


tabernacolo, faccio il segno della croce, la genuflessione ed esco dalla
chiesa.
Intanto si è fatta sera. Le strade sono affollate. Chi va a casa per la cena,
chi va a divertirsi. Scorgo nei visi inquietudine, preoccupazione, dolore,
sofferenza, lagrime... passo tra loro con l'anima in pace, come se venisse da
un altro mondo.
Come se in realtà fossi stato in un altro mondo durante la visita al
Santissimo. In un altro mondo donde riportai forza, conforto, slancio per le
lotte della vita terrena.

a) Chi più visita il Santissimo, più si rinforza nell'anima; chi poi lo


visita giornalmente, trova il segreto della santità e della felicità.
Anni fa morì il grande cardinale belga Mercier, arcivescovo di Malines.
Tutta la nazione rese grandi onori a questo santo successore degli Apostoli
non solo per la vita edificante, ma anche per il suo ardente patriottismo

119
dimostrato particolarmente al tempo dell'invasione tedesca del suo paese
nella prima guerra mondiale.
Così si espresse una volta: «Ora vi rivelo il segreto della santità e della
felicita. Se ogni giorno per cinque minuti frenerete la vostra fantasia,
chiuderete gli occhi nelle cose sensibili e le orecchie ai rumori del mondo
per rientrare in voi stessi e lì, nel santuario della vostra anima cristiana,
tempio dello Spirito Santo, direte allo Spirito divino: Spirito del mio spirito,
o Spirito Santo, Ti adoro; illuminami, guidami, fortificami, confortami,
dimmi quello che debbo fare, comandami. Ti prometto di sottostare a tutto
quello che vuoi da me e accetto tutto quello che mi mandi; solo fammi
sapere la tua volontà; se, dico, farete così, la vostra vita passerà felice,
serena e consolata anche in mezzo alle sofferenze perché la grazia che
riceverete allora, sarà proporzionata alle prove e vi darà forza per
sopportarle e, carichi di meriti, arriverete alle porte del cielo. Questa è la
nostra sottomissione allo Spirito Santo, questo e il segreto di santità.

b) Segreto di santità è dunque l'intrattenersi ogni giorno con lo Spirito


Santo. Lo stesso possiamo dire anche di Gesù. Gesù promise che ci avrebbe
mandato lo Spirito Santo. L'intrattenerci quindi con Gesù, che ci manda il
suo Santo Spirito, è segreto di santità.
Quello che succede avanti il Santissimo, non può essere dimostrato con
relazioni e tabelle statistiche; lo sapremo solo nel giorno del giudizio
universale. Sapremo quante vite infrante ottennero nuove forze, quante
anime schiave del peccato risorsero, quante anime ormai stanche dalle
molte croci riacquistarono nuovo vigore, quante anime brancolanti nelle
tenebre riebbero luce.

C) Se ti manca il tempo, se hai a disposizione anche un solo minuto,


entra nondimeno in chiesa. Ti basterà dire: «Gesù, m'hai chiamato, eccomi
qui. Non ho molto tempo, ho tanto da fare. Benedicimi!

a) Se breve è il tempo, riempilo con l'amore. Questo è appunto quello


che aspetta Gesù da te.
Quando siamo inginocchiati avanti di Lui, chiede anche a noi quello che
domandò a S. Pietro sulle rive del lago di Genezaret: «Mi ami tu?» (Giov.
21, 16).
Se Gesù uscisse dal tabernacolo e ti facesse la stessa domanda, che cosa
potresti rispondere? Eppure Gesù interrogò Pietro per la seconda volta e per
la terza volta.
Chi avrebbe il coraggio di rispondergli? Non lo ebbe neanche S. Pietro.
Al sì avrebbe contrastato la sua negazione. Al no si sarebbe opposto il suo

120
cuore ardente. E però così rispose: «Signore, tu sai ogni cosa, tu sai che io
ti amo» (Giov. 21, 17). Gesù fu contento della sua risposta.
Sarà contento anche della mia se gli dirò: Signore, tu sai ogni cosa, sai
anche che io ti amo, o almeno che ti voglio amare. Ma quante tentazioni,
quante lusinghe, quanti pericoli! 0 Signore, fa che io ti ami sempre più!

b) Ecco quanta forza spirituale, quanta pace, quanta fiducia viene da


simili visite al Santissimo Sacramento. Purtroppo ci sono cristiani che di
tutto ciò non hanno la benché minima idea, ai quali tutto ciò parrà una
novità. Forse adesso rimpiangeremo di non averlo saputo prima e di aver
lasciato scorrere senza avvantaggiarsene questo ricco fiume di tesoro
spirituale.
Vi fu un tale nel cui terreno c'era una grande cascata che non era
adoperata industrialmente. Da vecchio si decise di usarla per l'energia
elettrica. Quando furono pronte le turbine e la corrente prodotta dava luce,
calore, muoveva locomotive e macchine, si rimproverò amaramente:
«Stolto che fui per anni e anni rumoreggiava innanzi a me questa cascata e
questa sorgente inestimabile di energia, ed io non ho mosso nemmeno un
dito».
Non dovrebbero pensare la stessa cosa molti al considerare la corrente
di grazie che si diffonde dal Santissimo Sacramento? Quante volte ho avuto
bisogno di aiuto, di lume, di conforto! Qui mi aspetta Gesù ed io non ci
pensava. Eppure non ero tanto malvagio. Curavo l'anima, combattevo
contro il peccato, lottavo contro le tentazioni, ma come sarebbe stato
diverso il risultato se avessi captato l'energia del Santissimo Sacramento
nella turbina della vita!
In verità che altro aspetto avrebbe la vita non solo del singolo, ma di
tutta l'umanità se le forze nascoste dell'Eucaristia ci ravvivassero,
dirigessero, fortificassero in tutti momenti!

Fratelli! Nella capitale della Danimarca c'è una statua maestosa, opera
del valente scultore Sinding, che rappresenta la «Madreterra». Raffigura
una donna, più grande del naturale. Ai suoi piedi stanno nascosti un piccolo
e una piccola, dai cui visi traspare orrore e impotente ansietà. La donna non
guarda neppure questi piccoli che si stringono a lei per soccorso, non ha per
loro un gesto che li incuori, uno sguardo che li sollevi, non la mano che li
carezzi; il suo vuoto sguardo si perde nell'infinita lontananza... Ecco,
l'immagine della Madreterra che non ha una parola confortante per i suoi
figli in continuo travaglio.
Ed ora mi si presenta al pensiero un'altra immagine; non immagine, ma
realtà: Gesù che vive in mezzo a noi nella insignificante piccolezza della

121
bianca Ostia. Davanti a Lui si inginocchiano bimbi e bimbe, uomini e
donne, sani e infermi, poveri e ricchi, peccatori ed innocenti. Egli non li
guarda con sguardo superficiale, ma aprendo le braccia con gesto affettuoso
dice loro: «Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi ed io vi darò
riposo» (Matt. 11, 28).
Come risponderemo a questo invito? Al suo gesto affettuoso con quale
gesto risponderemo? In ginocchio, con amore ardente, diremo:
Tantum ergo Sacramentum
Veneremur cernui,
Et antiquum documentnm
Novo cedat rítui
Praestet fides supplementum
Sensuum defectui.
Genitori Genitoque
Laus et jubilatio,
Salus, honor, virtus quoque
Sit et benedictio
Procedenti ab trtroque
Compar sit laudatio.
Amen.
Dunque da, noi si veneri
Un tanto Sacramento,
Al nuovo i riti cedano
Del vecchio Testamento
E d'ogni senso al vacuo
Supplisca in noi la Fede.
Al Genitore, al Figlio
E al procedente Amore
Eguale sia la gloria,
Eguale sia l'onore,
Gloria ed onor cui simile
Non ebbe alcun tra i Re.

122
XIV. L'ADORAZIONE DI GESÙ SACRAMENTATO (II)

In quel tempo Gesù disse ancora: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore
del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti
e l'hai rivelate ai piccoli. Si, o Padre, perché così t'è piaciuto.
Ogni cosa m'è stata data dal Padre mio; e nessuno conosce
perfettamente il Figlio tranne il Padre, e nessuno conosce perfettamente il
Padre tranne il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo.
Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi ed io vi consolerò.
Prendete su voi il mio giogo e imparate da me che sono mansueto ed
umile di cuore, e voi troverete riposo alle anime nostre;
Poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero».
S. Matteo 11, 25-30

Fratelli,
In un giornale inglese che esce in milioni di copie, un giorno si potè
leggere, scritta a lettere cubitali, questa notizia:
«Gesù di nuovo sulla terra. Ci perviene da Betlemme: Alla quiete
millenaria della piccola città da pochi giorni é seguita una grande
agitazione. In una misera capanna si presentò Gesù Cristo, quello stesso che
nacque 2.000 anni fa. Vive in quella casa. Ogni errore è escluso; lo

123
conferma anche il patriarca di Gerusalemme. Una grande folla avanti la
casa.....».
Questa la notizia. Gli altri giornali se ne impossessarono e dappertutto
destò grande rumore ed interesse.
Molte agenzie e uffici di viaggi organizzarono numerose gite per
Betlemme. La gente si procurava denaro in tutti i modi pur di andare li.
Mancavano, è vero, gli alberghi e le altre comodità ma non se ne curavano.
Sulla strada nazionale dovevano mettersi in fila e aspettare per giorni prima
di arrivare a Gesù. Ma che importava? Pur di vederlo e di esporgli le loro
domande, i loro dolori, i loro guai. Pur di poterglisi gettare una volta sola ai
piedi. Pur di potergli baciare una sola volta la mano benedetta...
Non c'è bisogno che vi dica che questa notizia non apparve in nessun
giornale e che non ci furono assedi delle agenzie di viaggi.
Ma per noi, convinti della nostra fede, questa notizia è vera, anzi più
che vera. Perché Gesù è realmente in mezzo a noi; ma non in un luogo solo,
non solamente a Betlemme, ma in tutte le chiese cattoliche del mondo. E se
la nostra fede fosse forte e viva, come Gesù attende da noi, le chiese non
sarebbero mai vuote, perché sempre ci sarebbe qualcuno che separandosi
dalla folla della strada, andrebbe ad inginocchiarsi avanti Gesù per fargli
una visita di devozione.
Per questo è Gesù in mezzo a noi. Che fa Gesù nella Santissima Eucaristia?
Attende. Così come disse una volta di se stesso: «Quando sarò innalzato
da terra, trarrò tutto a me» (Giov. 12, 32). Prima gli uomini attendevano
Dio, ora Dio attende gli uomini. Prima gli uomini desideravano che Dio si
mostrasse loro, ora è Dio che desidera che gli uomini gli si facciano vedere.
Già nell'ultima predica vi ho parlato dei sentimenti che dobbiamo avere
nelle visite al Santissimo Sacramento. Ma questa devozione è così
importante, così benedetta, che anche oggi voglio trattare la stessa cosa
perché mediante le visite ben fatte siano migliori e più fruttuose 1) la nostra
adorazione. 2) la nostra espiazione, 3) il nostro ringraziamento e 4) più
forza riceviamo nelle sofferenze.

1. Adorazione

A) Il primo dovere dell'uomo limitato è di riconoscere umilmente la


maestà di Dio infinito, ossia di adorare Dio.
Quello che è la respirazione per i polmoni, é l'adorazione per l'anima.
Preghiera e vita spirituale, preghiera e fede in Dio si completano; con la
preghiera vive o muore la fede, con la fede vive o muore la preghiera.
Non possiamo adorare Dio meglio e più degnamente che in presenza e
con l'aiuto di Gesù velato sotto le specie eucaristiche. «Per ipsum, et cum

124
ipso et in ipso est tibi, Deo Patri onnipotenti, in unitate Spiritus Sancti
ontnis lionor et gloria», dice il sacerdote in ogni Messa. «Per lui e con lui e
in lui viene a te Dio Padre Onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni
onore e gloria».
Ha ragione il vescovo Prohâszka quando scrive: «Molti mi dicono:
Vado nel bosco, lì prego meglio; vado sulla riva del mare, là resto
sommerso dall'infinità di Dio; io invece vi dico: io vado avanti il
Santissimo; perché quando prego voglio più da vicino sentire la presenza di
Dio, e non posso meglio sentirla che qui nell'Eucaristia. Quando poi mi
comunico, la mia anima si riposa sulle parole di Gesù: O Padre, nelle tue
mani raccomando il mio spirito. In nessun altro luogo posso sospirare così
devotamente come qui: ho bisogno di un Dio vicino» (0. 0. 18, 184, p. 1).
Ed anche in nessun altro luogo possiamo dire a Dio come qui quanto lo
amiamo.
Disse un santo: «E' quasi inconcepibile che Dio ci ami, ancor più
inconcepibile, che ci sia permesso di riamarlo, ma quello che è ancor più
incomprensibile si è che pure non lo amiamo».
Ma chi, visitandolo, l'adora, può dire d'amarlo.

B) Tutti sentiamo come ci sovrasta il pericolo, come da ogni parte ci


consuma l'inquieta opprimente vita terrena.
Dopo tante notizie dei giornali, dopo tante sensazioni, dopo tanto
ascoltare la radio, dopo tante inquietudini e disturbi, dopo tanto strepito,
dopo tante lotte, finalmente qualche minuto di adorazione silenziosa. In
questi momenti sentiamo come si calmano i nostri nervi scossi, come riposa
la nostra anima eccitata, come cominciamo ad essere nuovamente uomini.
Non più schiavi della materia, ma creature spirituali destinate a vivere
eternamente.
Quale funzione può avere una simile visita nella nostra vita? Se la
faccio al mattino prima del mio lavoro sarà simile al caricare un
accumulatore, tutto il giorno devo distribuire e spandere intorno a me
carità, perdono, amore al lavoro, capacità di mortificazione e di sacrificio...
quindi al mattino mi fornisco di questa energia avanti il Santissimo.
Se invece faccio la visita di sera, dopo un giorno di dure fatiche, panato
in mezzo a tanta cattiveria, e tanti dispiaceri, a tante amarezze, allora ha la
funzione della valvola di sicurezza per le caldaie a vapore: bisogna aprirla
perché altrimenti la forza di dilatazione fa scoppiare la caldaia.

2. Espiazione

125
Questa adorazione silenziosa, riverente e piena d'affetto, senza che ce ne
accorgiamo, si cambia in espiazione e preghiera.
Non si possono enumerare le umiliazioni e le offese che Gesù deve
patire nel Santissimo Sacramento. Quante irriverenze, quante trascuratezze,
quante indifferenze anche da parte di buoni cristiani! E quante ingiurie e
sacrilegi da parte dei cattivi cristiani e degli infedeli!
Nostro Signore previde tutto questo quando istituì il Sacramento, lo
previde e ciò non di meno il suo Cuore amante non volle privarci di questo
dono preziosissimo. Ma anche se lo previde, non abbiamo il dovere noi,
suoi figli devoti, di ricordare queste immense offese quando siamo qui
prostrati innanzi a Lui e di confortarlo per tante malignità ed espiarle con la
nostra fedeltà e col nostro amore?
Dovere questo nobile e filiale! Se in una famiglia un figlio devia dalla
retta strada, se si deprava e arreca afflizione ai suoi genitori, gli altri figli
con tanto più amore si stringono a loro e li consolano: «Non affliggerti,
mamma cara, siamo qui invece dell'altro, ti vogliamo ancora più bene».
E non dobbiamo anche noi così amare e consolare Gesù nel Sacramento
e offrirgli la nostra riparazione per i torti altrui? «Molti ti offendono, o
Signore, o non pensano affatto a Te. Ma siamo qui noi, o buon Gesù, noi
tuoi figli fedeli, e tanto più vogliamo amarti».
A questa espiazione e preghiera serve appunto la tanto cara pratica
religiosa dei nostri giorni: la devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù nei
primi venerdì del mese.

3. Ringraziamento

Oltre che alla preghiera e alla riparazione dedichiamo un po' di tempo


anche al ringraziamento.
Di quante cose non dobbiamo ringraziare il Signore!
Che manchi di tutto? Che la tua vita sia una privazione continua? Che
tanto hai da soffrire? Di che cosa devo ringraziare Dio?
Bada di non bestemmiare Dio. Non hai nulla da ringraziare? Senti un
po' quello che successe in India ad un viaggiatore europeo.
Venne invitato da un maharadja. Vi fu portato da una carrozza
mandatagli tirata da due cavalli nero-ebano con dei valletti.
L'immenso palazzo bianco dominava dall'alto la città che si estendeva
nel piano. Arrivato al palazzo, all'entrata fu accolto dai dignitari della corte.
Tutto all'intorno scuderie e rimesse con cavalli sceltissimi e preziose
carrozze. Più di cento cavalli, quasi cento cocchi di corte. Proprio allora nel
cortile venivano puliti 25 giganteschi elefanti... Qui davvero non si
risparmiava.

126
L'ospite viene introdotto. Immense sale e lunghissimi corridoi.
Dovunque giri lo sguardo ti si presenta una bellezza fantastica, un sogno
delle mille e una notte: incredibili la magnificenza e il lusso... pellicce,
tappeti, ori, pietre preziose...
II corteo si ferma. Comparisce l'aiutante di campo e, dopo i saluti, prega
l'ospite di pazientare qualche minuto.
Il nostro uomo resta solo. Vede dalla finestra un lago che si stende ai
piedi del monte. Sul lago vede due isolette. In tutte e due il maharadja vi
teneva un magnifico palazzo d'estate di candido marmo. Ora l'ospite
ansiosamente aspetta il momento di poter vedere il padrone di queste
immense ricchezze.
Ecco che ritorna l'aiutante e, con profondo inchino, gli dice che Sua
Maestà l'attende.
Adesso sentiamo come racconta questo momento lo stesso viaggiatore:
«Vado. L'enorme porta laterale pare che si apra da sè. La passo. I servi la
chiudono dietro di me senza far rumore... Sono alla presenza di Sua
Maestà. Su una poltrona d'oro siede un uomo, tutto rannicchiato, di bassa
statura, vestito del tutto semplicemente. Comprendo subito: quest'infelice
era paralitico e storpio. Appena poteva muovere le mani e i piedi; aveva il
collo corto e rigido, e appena appena poteva muovere il capo. Sconcertato
sto innanzi a lui e non so che cosa dirgli: indovino con quale animo egli
guardi me, sano e di bella presenza; capisco che rinunzierebbe a tutte le
pompe, a tutto il denaro, ai suoi palazzi pur di star in piedi avanti di me e di
poter stendere il braccio...».
Fin qui il racconto del viaggiatore... Adesso permettimi soltanto una
domanda: Non hai nulla da ringraziare il Signore? Proprio nulla?

4. L'adorazione dei sofferenti

Vedo però che al già detto devo aggiungere e sviluppare un altro


pensiero, e questo è l'adorazione di Gesù da parte dei sofferenti.

A) Ci sono tanti che soffrono e si lamentano a questo mondo che pare


non ci sia altra occupazione in terra che la sofferenza.

a) Ma attenzione, la stessa sofferenza non è ancora una situazione finita,


non uno stato compiuto: la lotta può terminare a destra o a sinistra e
dipende da noi da che parte si risolverà. Dalla sofferenza possono derivare
amarezza, rabbiosa ostinazione, ribellione, disperazione, ma possono
derivare ancora umile soggezione, vittoria di se stesso, carità ed elevazione
a Dio.

127
I momenti decisivi di queste possibilità e della loro scelta sono anche i
momenti più preziosi per le grazie di Dio. Da ciò si comprende perché
Gesù dava tanta importanza alle croci e perché disse che chi vuol venir
dietro a Lui, prenda la sua croce e lo segua (Matt. 16, 24).
Nel medio evo e anche oggi in qualche luogo, p. e. in Spagna, c'era
un'usanza singolare. Chi aveva ammalato il figlio o qualche parente, oppure
desiderava dal Signore qualche grande grazia, per qualche tempo indossava
l'abito di un ordine religioso. Si usavano più volte vestire così anche i
cadaveri dei defunti. Anche parecchi re spagnoli vollero essere sepolti
all'Escoriale in questa maniera.

b) Bel voto... ma non ne faccio gran conto. Non m'importa di esser


sepolto in abito da religioso, ma m'interessa piuttosto di portare da vivo la
veste di Cristo. La veste di Cristo sono le sofferenze! Il bacio di Cristo è la
sua croce!
Se qualcuno di noi fosse vissuto al tempo di Gesù e avesse incontrato
per istrada il piccolo Gesù, e questi gli fosse saltato al collo e l'avesse
abbracciato, si sarebbe opposto o non avrebbe piuttosto l'anima ripiena di
gioia e di gratitudine?
Oppure se si fosse trovato in mezzo alla folla vicino a Gesù e questi,
avvicinatogli, l'avesse baciato, l'avrebbe forse respinto, se ne sarebbe avuto
a male e avrebbe rifiutato il bacio di Gesù?
E allora, o Fratelli, perché abbiamo oggi ad essere desolati, perché
dobbiamo sfuggire al bacio di Gesù? Perché la sofferenza è il bacio di Gesù
crocifisso, è il saluto di Gesù, è la mano che Gesù tende a voi. Come
guarderei con altro occhio, e con quanta più rassegnazione sopporterei le
tribolazioni se pensassi sempre: La sofferenza è il bacio di Gesù crocifisso!

c) E' chiaro dunque che può sopportare con forte anima le sofferenze
solo chi si appoggia su Dio e dietro il velo del dolore vede il volto di Gesù.
Il dolore rende l'uomo troppo solo; se poi dobbiamo soffocarlo tutto in
noi, esso ci schianta. Devo pur sfogarmi con qualcuno.
Con chi? Con uomini?
Non merita, non possono dare un vero aiuto. Sfoghiamoci allora con
Gesù nel Santissimo Sacramento. L'Eucaristia è il centro pulsante, il cuore
del cristianesimo. Volendo usare un paragone moderno, essa è la centrale
elettrica del cristianesimo. Dappertutto si erigono centrali sempre più
potenti per l'illuminazione, per l'energia termica e motrice. Ma l'Eucaristia è
una centrale che non serve solo qualche città o qualche paese, ma tutta la
cristianità. Se l'adora un'anima immersa nelle tenebre, ne viene illuminata;

128
se un'anima fredda sospira ad Essa, ne riceve calore; se un'anima oppressa
dal peso della vita si rivolge a Lei, ritorna al lavoro con forze rinnovate.
Peccato che tanti non lo sappiano. Cercano dappertutto un rifugio; con
le loro lamentele rintronano le orecchie di tutti i conoscenti, solo
dimenticano l'unica cosa che assicura loro conforto e vigore; l'Eucaristia.

B) Ma è lecito poi e conviene di andare al SS. Sacramento con le nostre


lamentele?
E' lecito, è conveniente, anzi è necessario.

a) E' lecito. Perché secondo l'insegnamento e le preghiere liturgiche


della Chiesa, l'Eucaristia è il memoriale della passione di Cristo. Deus qui
nobis sub Sacrarnento mirabili passionis tuae memoriam reliquisti... O Dio,
che sotto il velo del grande Sacramento ci lasciasti il ricordo della tua
passione... Così comincia l'Oremus della Messa del Santissimo Sacramento.
O sacrum convivium, in quo Christus sumitur, recolitur memoria passionis
eius... 0 sacro convivio, in cui si riceve il Cristo, si ridesta la memoria della
sua passione. Parole che il sacerdote dice alla Comunione dei fedeli. Dove
potremo andare col nostro cuore addolorato se non al Santissimo
Sacramento, memoria della passione di Gesù?
Del resto ce lo dimostra anche la pratica della Chiesa primitiva.
Nessuno voleva affrontare i leoni senza la Comunione nel timore di perdere
il coraggio. Non deve essere anche oggi questo il mezzo per perseverare?
Quando sto lì avanti il Santissimo, Gesù mi esorta a partecipare ai suoi
dolori e nel medesimo tempo, vuole per se la partecipazione ai miei dolori.
Comincio a sentire che la spina che mi punge fa parte della sua corona e
che non punge più tanto perchè già spuntata sulla sua fronte divina.

b) Non solo è lecito ma anche conviene esporre a Gesù i nostri dolori.


Quanto più conviene venir qui avanti all'altare che riempire delle nostre
lamentele tutto il mondo che non può darci un vero conforto!
Invece è un vero gesto cristiano l'inginocchiarsi avanti Gesù e porre nelle
mani di Gesù i fiori della nostra sofferenza.
Molti tormentano tutti coi loro lagni e poi vanno da Gesù e non vi
trovano consolazione. Non la trovano, perché i fiori che Gesù aspettava,
sono ormai appassiti. Passarono per troppe mani. Invece se li avessimo
portati subito a Gesù, se ci fossimo fermati con lui in calma fiducia, ci
saremmo accorti con meraviglia che ogni nostra spina si è cambiata in
fiore.

c) Ma è anche necessario presentarci coi nostri dolori avanti Gesù.

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Nostro Signore non si mostrò indifferente al dolori altrui e non volle
risolvere la grande questione del dolore col dire che ciò non lo interessava.
Non scioglie la questione del dolore con l'accantonarla semplicemente. O
no! E Lui e noi piangiamo oppressi dal dolore. Nell'ora del dolore Lui e noi
«tremiamo e siamo in preda ad angoscia» (Marc. 14, 33). Non sappiamo
che fare con chi pretende da noi nell'ora del dolore indifferenza ed
insensibilità.
Non sappiamo che fare di Budda, di Budda col suo perenne misterioso
sorriso. Un viaggiatore che vide nell'India una statua di Budda, così la
descrisse:
Nelle pagode dell'India Budda siede colle ginocchia incrociate e sorride,
sorride incessantemente.
Di fuori truppe inglesi marciano cantando... Il Budda d'oro solo sorride.
La peste fa strage sulle vie e a migliaia strozza gli uomini... II Budda
d'oro solo sorride.
La fame devasta il paese... il Budda d'oro sorride. Insorge l'Islam e
spiega la verde bandiera del profeto... il Budda d'oro sorride.
- Che cosa può aspettare da lui l'uomo che soffre? si domanda lo
scrittore.
In verità: che cosa può sperare da lui?
Ma Gesù non sorride. Egli passò attraverso sofferenze e dolori, più che
qualunque altro.
Quando dunque con santa rassegnazione apriamo la nostra anima
piagata avanti Gesù nel Santissimo Sacramento, Egli ci comprende e ci
comunica i suoi santi disegni ed ecco da ogni nostra pungente spina
germogliare un fiore.
E succede a noi quello che accadde ai santi Magi dell'Oriente.
Andarono per adorare Gesù attraversando difficili e faticose strade e
dopo aver vuotato le loro anime davanti al Bambino di Betlemme, come
dice la S. Scrittura, «tornarono ai loro paesi seguendo un'altra via» (Matt.
2, 12).
Anche noi torneremo per un'altra via dopo l'adorazione. Andandovi,
eravamo tristi; nel ritornare siamo più leggeri. Nell'andare ci sentivamo
stanchi, ora siamo riposati. Prima deboli, ora forti. Prima combattenti, ora
vincitori.
Nel dipartirci dall'adorazione sentiamo come anche per noi sia vera la
preghiera del Salmista: «Quand'anche camminassi tra mezzo all'ombra di
morte, non temerei sciagure, perché tu sei con me» (Salmo 22, 4). In tal
modo l'uomo riesce a dominare tutte le sue pene.

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L'unico modo di risolvere la questione del dolore è di non lasciarsi
abbattere dai dolori, nè di svalutarli coll'indifferenza, ma di affrontarli con
animo di chi non conosce sconfitta.

Fratelli. C'è qui a Budapest, nella Via Ullö, la bianca chiesa con due
torri, la chiesa dell'Adorazione perpetua.
Nel convento annesso alla chiesa abitano delle suore che hanno l'unico
compito di montar giorno e notte la guardia d'onore al Santissimo
Sacramento e di adorarlo tacitamente. L'uomo inquieto, tutto affaccendato
nelle cose terrene mi dirà: Sacrificare a questo tutta una vita? Non ha la
religione cose più urgenti?
Veramente ciò non comprende nessuno che non abbia viva fede nella
Santissima Eucaristia. Si, solo la Chiesa Cattolica poteva produrre simili
ordini religiosi. Solo quella Chiesa che sa non potersi adorare degnamente
Dio, riparare le offese fatte a Lui, ringraziarLo convenientemente meglio
che avanti il Santissimo Sacramento.
La terapia moderna si serve molto della radiazione del sole. La circolazione
del sangue diventa più viva, il ricambio diventa più regolare, i pallidi
acquistano una ciera sana. Dove non entra il sole prospera la muffa,
brulicano gli insetti...
Se il corpo ha bisogno dei raggi solari, anche l'anima ha bisogno dei
raggi invisibili della Eucaristia.
Che cos'è dunque la visita al Santissimo Sacramento? A esprimermi
modernamente direi che essa è un bagno di sole. Espongo ai raggi invisibili
del Santissimo la mia anima pallida, anemica, inferma perché mi aumenti la
circolazione del sangue, mi faccia rifiorire l'anima languida, distrugga in
essa l'enorme esercito di bacilli.
Sapete che diverrebbe l'umanità se spuntasse una simile generazione
che adora Dio, ripara le proprie colpe, è riconoscente a Dio, da Dio trae la
forza per la vita, una generazione dall'anima delicata, temprata e pronta al
lavoro; in una parola una generazione eucaristica? Una simile generazione
conquisterebbe e renderebbe felice il mondo intero. Perché è santa verità
che solo quella civiltà sarà capace di conquistare il mondo, di portar la
pace, di originare una civiltà assicuratrice di felicità che trarrà la forza
vitale dalle profondità mistiche del Santissimo Sacramento.

XV. AVE, O SANTISSIMO SACRAMENTO

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Poiché quello che io ho trasmesso, anche a voi, l'ho ricevuto dal
Signore; e ciò è che il Signore Gesù la notte in cui fu tradito, prese del
pane.
e dopo rese grazie a Dio, lo spezzò e disse: «Prendetene e mangiatene
tutti; questo è il mio corpo che sarà immolato per voi; fate questo in
memoria di me».
E parimente, dopo aver cenato, prese il bicchiere dicendo: «Questo
calice è il nuovo patto nel mio sangue, e quante volte ne beviate, fate
questo in memoria di me».
Poiché quante volte voi mangiate questo pane e bevete questo calice,
voi rammenterete l'annunzio della morte del Signore, fino a che egli
venga».
Cosicché chi mangi il pane o beva il calice del Signore indegnamente,
sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore. Esamini ognuno se stesso, e
così mangi di quel pane e beva di quel calice; Poiché chi mangia e beve
indegnamente, se non riconosce il corpo del Signore, mangia e beve la
propria condanna.
Per questo vi sono tra voi molti deboli e privi d'ogni forza, e tanti
giacciono.
Se ci esaminassimo bene da per noi stessi, non saremmo condannati;
Ma giudicati dal Signore siamo castigati per non essere col mondo
condannati.
1. Corinti 11, 22-32

Fratelli,
In una città nel Medio Evo fu costruita una bellissima chiesa in onore
del Santissimo Sacramento. Tutti vi contribuirono secondo le proprie
possibilità. Anche una povera vedova volle offrire qualche cosa, ma non
aveva che qualche centesimo e si privò anche di questo. Il podestà respinse
l'offerta; che fare con simile inezia?
Finita la fabbrica, su una tavola di marmo a caratteri d'oro scolpirono i
nomi dei maggiori offerenti. Al primo posto misero il nome del podestà.
Ma avvenne un fatto singolare, il giorno dopo scomparve il nome del
podestà e al suo luogo si vide scritto il nome della povera vedova. Rifecero
la tavola marmorea, ma il fatto si ripete una seconda volta. Ne fecero una
terza, anche questa volta successe la medesima cosa.
Il podestà fa chiamare la povera donna e le domanda:
- Che cosa hai dato per la costruzione del tempio?

132
- Non ho dato niente, signore, solo volevo dare. Volevo dare un soldo.
Non fu accettato. Con quello mi procurai del fieno e lo diedi ai cavalli che
tiravano il carro delle pietre per la chiesa.
Fratelli! coi miei discorsi procurai di costruire nelle vostre anime
sensibili un tempio vivo in onore del Sanissimo Sacramento. Ma questo si
poté edificare solo col vostro e mio concorso, se ognuno di voi vi contribuì,
per quanto gli fu possibile, con la buona volontà, con prontezza di
sacrificio, con rinunzie, con umile preghiera.
Oggi poniamo termine ai discorsi; è finita la costruzione del tempio.
Spalanchiamone le porte, perché da esso venga irradiato in tutto il mondo
l'omaggio a Gesù Sacramentato.
Viviamo gli ultimi giorni prima delle grandi solennità. Tutto il nostro
paese è in movimento, è in attesa. Ora tutti hanno una sola aspirazione:
Sursum corda, In alto i cuori! E tutti gioiosi possono aggiungere:
- Habemus ad Dominum ! Si, il nostro cuore è con Dio. Oggi
consacriamo il tempio così costruito e prendendo congedo da voi,
riassumiamo i temi dei nostri discorsi. Ripensiamo dunque ai tre fini
dell'Eucaristia, perché, come i raggi del sole s'incendiano nella lente
ustoria, così l'anima nostra prenda fuoco e nella fiamma di un amore
sempre crescente saluti i giorni del Congresso per noi così grandi e che
forse non ritorneranno più.
Che cosa festeggerà allora tutto il mondo in casa nostra?
L'Eucaristia.
Che cos'è l'Eucaristia? 1) Il sacrificio di Cristo per noi, 2) Cristo in noi,
3) Cristo fra noi.

1. Cristo per noi

La nascita dell'Eucaristia è il sacrificio della Messa. Questa poi è la


somma e la rinnovazione di tutto ciò che Gesù fece per noi.
Cristo per noi! Il giorno consta di 24 ore, le 24 ore di 1440 minuti, i 1440
minuti di 86.400 minuti secondi. 300.000 sono i sacerdoti cattolici nel
mondo, quindi ogni minuto secondo s'iniziano tre Messe. Ogni minuto
secondo, di giorno o di notte, d'inverno e d'estate in tre luoghi differenti si
ripetono, nella Messa, le parole dell'ultima cena che fanno venire Gesù
Cristo in mezzo a noi.
Cristo per noi! E' proprio così: tenendo la sua mano benedetta sopra di
noi, miseri suoi figli sempre in lotta, incessantemente continua la sua
marcia trionfale sulla terra fino a che vi sarà un unico sacerdote, fino a che
vi sarà al mondo una sola vita umana.

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Cristo per noi! D'una maestà suggestiva ci si presenta ora avanti i nostri
occhi un quadro... Appena albeggia. Il sole che sta per sorgere non ha
ancora mandato i suoi raggi sul mondo che si desta, che già ardono modeste
candele sugli altari delle vecchie cattedrali e colla loro debole luce
illuminano gli antichi vetri istoriati delle finestre. Agli altari già celebrano
la Messa i sacerdoti vestiti dei loro bei paramenti e con animo commosso
sopra una piccola ostia bianca e un po' di vino dicono le parole che per la
prima volta disse Nostro Signore nell'ultima Cena. Dopo queste parole
piegano in atto di adorazione il sacerdote il ginocchio e i fedeli la fronte,
perché in quell'istante, di nuovo, Gesù si sacrifica per noi.
Intanto il sole s'innalza sull'orizzonte. E come i suoi caldi raggi
penetrano nelle varie parti della terra, si accendono le candele in mille e
mille altari, mille e mille sacerdoti salgono l'altare, il canto di mille e mille
piccole e grandi campane accompagna il Cristo che passa in mezzo ai suoi
fedeli. Al suono delle grandi campane delle secolari cattedrali si unisce
quello delle piccole chiese dei più riposti villaggi, e come si spande sulla
vasta terra questa vittoriosa corrente sonora, qui e li risuona dal salone di
qualche transatlantico, della tenda del missionario delle foreste vergini
dell'Africa, dalla cappella delle missioni confitta nella neve esquimese il
tintinnio del piccolo campanello d'argento che avvisa l'elevazione.
Cristo per noi...
In verità, con le mani in atto di benedire continuamente passa fra noi
Gesù nel Sacramento.
Alla consacrazione del re dell'Inghilterra, nel momento più solenne
della lunga e antica cerimonia, gli viene presentata una Bibbia, come il più
grande tesoro del mondo. Fratelli, qual'è la nostra ricchezza! Anche nelle
nostre più piccole e povere chiese ci si presenta non una Bibbia, ma Colui
di cui parla la Bibbia, e Colui per cui fu scritta la Bibbia. Si presenta Cristo
per sacrificarsi per noi.
Ave, o Santissimo Sacramento, santo e mirabile Dio!

2. Cristo in noi

L'Eucaristia non è solo il Cristo che si sacrifica per noi, ma anche il


Cristo che si offre a noi in cibo; non solo il Cristo per noi ma anche il
Cristo in noi.

A) Nella Comunione si avvera il nostro sogno più temerario: veniamo


in relazione personale col Dio infinito.

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a) Negli scavi fatti a Roma non molti anni fa s'imbatterono nel
sottosuolo di una via più frequentata in un tempio pagano, probabilmente
nel tempio di Pitagora del secolo quinto.
Sui muri apparvero degli affreschi che rappresentavano in figure
simboliche la dottrina di Pitagora. Questa dottrina insegna la liberazione
dell'anima dalla schiavitù delle cose esteriori e la sua immersione in Dio.
L'anima così disposta scopre se stessa, e, partendo da questo suo io come da
un punto centrale, sa ordinare e perfezionare la sua vita individuale.
E' veramente da meditare. Una dottrina così sublime fra le macerie,
sotto terra, e, sopra, la vita di oggi impetuosa, molesta, rumorosa che non
vuol sapere niente di tutto questo, che crede di poggiare solidamente sulla
strada asfaltata e non s'immagina che il peso di questa strada è sostenuto
dalle mura del tempio di sotto.

b) Quello che indicano gli affreschi millenari di quel tempio è


veramente l'aspirazione santa, incessante dell'anima umana; liberarsi dalla
schiavitù delle passioni e degli istinti cattivi e così avvicinarsi sempre più a
Dio, fonte di ogni essere.
Guai a quella generazione che soffoca questa aspirazione! Guai a quella
civiltà, omicida dell'anima, che irragionevolmente non concede un solo
momento al raccoglimento, all'elevazione, all'esame di se stesso.
Nell'abside del tempio accanto c'e un affresco molto istruttivo. Saffo, la
più grande e più celebrata poetessa dell'antichità, annoiata della vita, si
getta in mare dalla roccia di Lèuca. Cerca nella profondità del mare quella
pace e quella tranquillità che la vita nega a lei conosciutissima e
celebratissima.
Come somiglia all'uomo d'oggi! All'uomo arricchito dai miracoli del
sapere e della tecnica, eppure irrequieto, infelice e senza pace. Giù nel
mare, dunque o fratelli! Dentro nel quieto silenzio del tempio dimenticato,
coperto da rovine! Nelle braccia aperte di Dio! Nelle braccia aperte di Gesù
che si abbassa fino a noi nella Comunione!

B) L'Eucaristia non è inutilmente chiamata il Pane dei forti. Ci dà forza


anche per non venir meno nella vita e per poter affrontare i pericoli che ci
sovrastano.

a) La Comunione ci dà forza per non venir meno nella vita.


Una comitiva d'amici fa una bella gita in autobus. Tutti mirano l'incantevole
paesaggio ma ad un tratto si spegne il motore e la macchina si ferma.
L'autista cerca di mettere a posto, ma non riesce. I passeggeri lo aiutano,
cercano di spingere la macchina, ma questa non va avanti. Finalmente,

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dopo tante fatiche, scoprono il difetto, una piccolezza. Si era ostruito il tubo
della benzina e venne a mancare la comunicazione col serbatoio. Bastò
pulire il tubo dalla polvere e la macchina proseguì allegramente.
Quante volte non si ferma il cavo della nostra vita e non si muove più!
Vani sono tutti i nostri sforzi, non ne possiamo più. Ci manca la forza, la
volontà, la speranza. Dove sta il difetto? Venne interrotta la comunicazione
con Dio. E allora è inutile ogni sforzo, ogni spinta esterna. Bisogna
rinnovare la comunicazione con Dio, bisogna che Gesù viva nuovamente in
noi.
Il grande vescovo e martire della Chiesa primitiva, S. Cipriano,
all'approssimarsi di una sanguinosa persecuzione contro la promettente
messe della nascente Chiesa di Gesù Cristo, diresse ai suoi fedeli queste
parole: “Siamo davanti ad una dura e crudele lotta e da soldati di Cristo
dobbiamo prepararci con fede incrollabile e con grande coraggio e pensare
che giornalmente beviamo il Sangue di Cristo per esser anche noi capaci di
spargere il nostro sangue per Gesù Cristo “ (10 Epist. 58, 159).
Ma furono solo i primi cristiani a combattere lotte sanguinose? Essi,
davvero, sacrificarono la loro vita per Gesù Cristo; però, e oggi forse più
facile il difendere la nostra fede contro i mille e mille assalti e in mezzo il
disprezzo e lo scherno dei miscredenti? Non abbiamo anche noi bisogno
della difesa che ci da il Corpo e il Sangue di N. S. Gesù Cristo?
Lungo la costa brasiliana, in una zona arsa dal caldo tropicale, un
vapore mercantile faceva la sua rotta sotto i raggi infuocati dal sole. Ad un
tratto viene avvistata una piccola nave a vela, i cui passeggeri, in preda alla
disperazione, facevano segni per implorare soccorso. Il piroscafo diresse
subito la sua corsa verso la navicella. Avvicinatasi, sentirono il grido
angosciato dei naviganti: «Acqua, acqua, dateci un po' d'acqua che
moriamo di sete ». Dalla nave mercantile si gridò a quei poveri disperati:
«Bevetene quanta volete. Tutto intorno a voi c'è dell'acqua buona».
E avevano ragione. Quei poveri infelici quasi morivano di sete mentre il
mare, su cui viaggiavano, era potabile: stavano alle foci del fiume
Amazzoni, che con la sua corrente per molte miglia rende il mare potabile.
A tante anime assetate, a tante anime in preda alla disperazione non
dovremmo gridare anche noi: Perché non attingete forza dalla corrente di
grazie che tutto in torno vi circonda? Perché non vi irrobustite col Pane dei
forti?
E' questo che vi dà la forza perché non abbiate a venir meno durante la
via.

b) E vi do anche la forza per affrontare i pericoli che vi sovrastano.

136
Chi poi affronta l'uragano delle tentazioni, già comincia a sollevarsi in alto
fino a Dio. Osservate gli uccelli: essi contrastano sempre al vento; se
volassero in direzione del vento, verrebbero sbattuti a terra. Osservate gli
aeroplani: possono sollevarsi andando contro vento. Osservate le navi:
cercano di entrare nel porto contro corrente, perché altrimenti la corrente
potrebbe scagliarle sulle banchine del porto. Così la Comunione ci fortifica
spiritualmente. Contro la corrente. Contro il vento, contro le tentazioni,
contro le lusinghe.
L'imperatore Aureliano stimava molto un suo valente ufficiale, di nome
Mario, e pensava di promuoverlo a un grado superiore, quando gli fu
riferito per invidia che Mario era cristiano.
L'imperatore fece venire avanti di sè questo suo prediletto ufficiale e
bruscamente volle da lui la decisione: «O rinunzi al cristianesimo e sei
promosso o preparati a morire».
Mario chiese al vescovo che cosa doveva fare. II vescovo lo portò in
chiesa. Inginocchiatisi avanti l'altare, il vescovo gli additò la spada che
aveva al fianco e gli presentò il libro dei Vangeli, su cui aveva giurato
fedeltà nel giorno del battesimo. «Scegli», gli dice il vescovo. L'ufficiale,
senza esitare minimamente, prese il libro. Questo uscì dalla chiesa per
recarsi dall'imperatore, da li alla prigione e da li poi alla morte.
La vita spesso pone anche noi avanti a dalle decisioni supreme. Oh!
almeno allora non dimenticassimo le parole di Nostro Signore: «Le opere
che faccio in nome del Padre mio rendono testimonianza di me» (Giov. 10,
25). Ossia: Non volete credere alle mie parole quando mi dichiaro
cristiano? ebbene guardate la mia vita, le mie parole, le mie opere; esse
testificano che sono veramente cristiano.
Guai a me se le opere dovessero testimoniare il contrario. Guai a me se
vi fosse una dolorosa contraddizione tra il mio nome e la mia vita di
cristiano. Guai a me se coloro che sono lontani dal Cristo dovessero
scandalizzarsi delle mie opere, delle mie parole, della mia vita e dovessero
dire: Ecco come sono i cristiani.
Secondo il mito, i figli di Wotan erano riconosciuti dal luccicore
metallico dei loro occhi. Non è un mito, non e una leggenda, ma santa
verità che da chi si comunica con fede e amore, pura luce si espande e
ammirevole grazia. La sua anima è inondata da sorprendente bellezza.
Ditemi, fratelli, facciamo noi un buon richiamo alla Comunione? Chi vede
il nostro comportamento, il nostro modo di vita, le cose da noi preferite,
tutti i nostri atti può dire: Ecco quale nobile vita emana dalla Comunione,
ecco quale inapprezzabile valore ha per noi il Cristo in noi?

3. Cristo in mezzo a noi

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A) Nell'Eucaristia Gesù non solo è per noi, in noi, ma anche in mezzo a
noi. Quale grande bene l'esser Gesù in mezzo a noi!

a) Da quando esiste Gesù nel Santissimo Sacramento, non camminiamo


più in mezzo alle tenebre.
Ai funerali di Edison, scopritore delle lampadine elettriche, in un
discorso egli venne così celebrato: Se alla nascita di Edison qualcuno
avesse guardato la nostra terra da un altro mondo, avrebbe potuto vedere
che oggi, alla sua morte, la terra é aumentata di qualche grado nella classe
delle stelle, di qualche grado è diventata più risplendente per il grande
numero delle lampadine.
Bello l'encomio.
Ma che cosa non dovremo sentire per Gesù Cristo, che non riempi il
mondo di lampadine elettriche, perché nella notte illuminino la via al
pellegrino errante, ma lo riempi dell'eterna luce del Santissimo Sacramento,
luce che non si spegne fino a che un solo uomo adori e che allontana le
tenebre e fa risplendere lo splendore delle grazie divine? Davvero, da
quando c'è Gesù in mezzo a noi nel Santissimo Sacramento, non siamo più
nelle tenebre.

b) E da quando Gesù è in mezzo a noi nel Santissimo Sacramento, non


siamo più neanche soli. Quando nel secolo XII mori il duca di Brabante e
gli successe il figlio Goffredo, di appena un anno, i nemici videro giunto il
momento di occupare il paese. Ma i fedeli sudditi di Brabante non si
intimorirono. Giurarono fedeltà al loro principe per la vita e per la morte,
poi presero la culla, la portarono sul campo di battaglia e la posero su di un
alto albero perché la vedessero tutti i combattenti. II bambino ancora non
parlava, non poteva dar ordini; ma bastava ai suoi sudditi di guardarlo per
sentirsi infondere coraggio: sentivano di non essere soli. Vinsero e
liberarono il paese dai nemici.
Anche noi non siamo soli nella lotta della vita. Il nostro principe è Gesù
nel Santissimo Sacramento. Non ci parla in modo da sentirlo, ma troneggia
fra noi dall'alto dell'altare mentre stiamo combattendo l'aspra lotta della
vita. Oh gettassimo spesso lo sguardo a Lui, quanta forza e animo di
combattere si desterebbe in noi! Oh ci inginocchiassimo spesso innanzi a
Lui che sta in mezzo a noi!

B) Che dunque faremo durante l'adorazione? Una sola cosa, chiudere e


aprire l'anima. Questo è tutto.

138
a) Chiudere l'anima.
Un signore va per la strada. Ad un tratto gli sovviene che deve
comunicare d'urgenza qualcosa ad un amico. Va alla prossima cabina
pubblica del telefono e parla con lui. Ma per un bel pezzo appena si
capiscono. Finalmente l'amico s'accorge del motivo del disturbo e gli dice
in modo da farsi capire: «Chiudi dietro a te la porta. Per questo non
possiamo capirci». E così fece. Chiusa la porta, si intendevano benissimo.
Ci sono persone che si lagnano di non sapere che cosa pregare avanti il
Santissimo, di distrarsi facilmente, di non sentire la parola di Cristo. Non è
forse perché suoni, brame, piani terreni disturbano il nostro discorso con
Gesù? 0 forse perché prima della preghiera non abbiamo chiuso le porte?
Fratelli, chiudiamo le porte al mondo, teniamo lontana l'anima da tutti i
disturbi e rumori mondani,

b) e apriamo l'anima.
Che cosa devo fare avanti il Santissimo? che cosa gli dirò? come lo
pregherò? Come invidio quelli che così bene sanno esporre i loro desideri,
che sanno pregare così bene! Ma, purtroppo, io non lo so. Questo il lagno di
molti.
Eppure, o fratello, non dimenticare che Gesù non aspetta da te le belle
parole, ma la tua anima. Anche se non sapessi dire una sola parola, sapresti
pur fare ciò che fece il povero contadino di Ars. Stava per lungo tempo
avanti il Santissimo, senza dire o far nulla. Il santo curato di Ars alla fine
gli chiese:
- Che fai durante tutto questo tempo?
- Io lo guardo, Egli mi guarda -, rispose ingenua mente.
Che fai dunque in quel quarto d'ora avanti il Santissimo? Guardi, tutto il
tempo guardi?
Sì, guardo e copio Gesù nella mia anima. Dipingendo il ritratto di
qualcuno o facendone la statua, l'artista continuamente osserva il modello, e
quanto più l'osserva, tanto più perfetta riesce l'opera. Anch'io cerco così di
modellare la figura di Nostro Signore nell'anima mia, quando in silenzio,
tutto raccolto, lo sto guardando nel Santissimo Sacramento.
Così comprendiamo perché la Chiesa abbia dappertutto tanto curato il
culto dell'Eucaristia. Se la forza misteriosa della Chiesa viene
dall'Eucaristia, vuol dire che non se ne può fare a meno in nessun luogo.
Appena arriva in qualche luogo un missionario, la prima cosa che cercherà
di fare sarà di erigere una chiesa, una chiesa qualunque, sia pure di legno,
sia pure una tenda; e tanto basta.
Ma la chiesa gli occorre per chiamare Gesù sui nostri altari nella messa
e per trattenerlo in mezzo a noi nel tabernacolo.

139
Che cosa sarebbe la chiesa senza l'Eucaristia? Che cosa diventerebbero
senza il Santissimo Sacramento i duomi più splendenti, le più belle
cattedrali cariche delle più preziose opere artistiche? Niente altro che vuote
case, che insulse foreste di sassi. Perché tante candele, perché tanto affluire
di gente se li, nel Santissimo Sacramento, non ci fosse, in mezzo a noi,
Gesù in persona?
Come, all'incontro, la tenue fiamma del piccolo lume eterno rende le
nostre chiese così accoglienti, così gioiose! Quasi a ciascuno che vi entra
rivolgesse l'invito: Inginocchiati e gioisci perché qui è il Signore.
Inginocchiati e gioisci perché qui è il Signore!
Oh sì, noi crediamo nella Santissima Eucaristia. Crediamo che Gesù nel
Santissimo Sacramento e per noi, e in noi, è in mezzo a noi.
Cristo per noi! Credo, che in ogni Messa, nel momento della
consacrazione, Gesù sia presente a noi, veramente e realmente, per
rinnovare il suo sacrificio offerto per noi sulla croce.
Cristo in noi. Credo che nella Comunione sotto le specie della piccola
ostia Gesù viene nell'anima nostra per nutrirla e fortificarla.
Cristo in mezzo a noi. Credo che sui nostri altari è presente lo stesso N.
S. Gesù Cristo per accoglierci ed ascoltarci in ogni momento.

140
APPENDICE
Il Congresso Eucaristico di Budapest nel 1938

I. OMAGGIO MONDIALE - RIGENERAZIONE MONDIALE -


ESPIAZIONE MONDIALE

Abbiate in voi quel sentire che era anche in Gesù Cristo, il quale,
sussistendo in natura di Dio, non consideri questa sua uguaglianza con
Dio come una rapina,
ma vuotò se stesso, assumendo la forma di schiavo, e facendosi simile
all'uomo;
e in tutto il suo esteriore atteggiamento riconosciuto come un uomo,
umiliò se stesso, fattosi obbediente sino al punto di morire su una croce.
Perciò Dio lo esaltò, e gli diede il nome che è sopra ogni nome,
affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, e degli esseri celesti e
dei terrestri, e di qui sotto terra,
e ogni lingua confessi che Signore è Gesù Cristo, nella gloria di Dio
Padre.
Filippesi 2, 5-11

Fratelli in Cristo,

In una sala del Vaticano, nella Camera della Segnatura, si trova il


magnifico affresco di Raffaello: La Disputa, raffigurante la glorificazione
della Santissima Eucaristia. L'autore aveva appena 25 anni quando dipinse
l'affresco di fama mondiale. Saranno pochi che non conoscano questa opera
insigne almeno in qualche riproduzione.
Il titolo dell'affresco però non corrisponde al soggetto. In esso non c'è
disputa, discussione di sorta. Invece cielo e terra presentano il loro omaggio
all'Ostia santa raffigurata nel mezzo: S. Ambrogio, S. Agostino, S.
Tommaso d'Aquino, S. Bonaventura, Papa Sisto IV, Dante ed altri..., tutti
cantano la gloria di Cristo troneggiante in mezzo a loro nell'ostensorio.
L'affresco ha più di 400 anni e risente l'influenza del tempo; alcune
figure di angeli e santi sono sbiadite... ma la fede viva, vigorosa che esso
rappresenta, non impallidì mai. Questa fede vive ancor oggi in mezzo a noi
in tutto il suo splendore originale; non impallidirono e non impallidiranno
mai nella nostra Chiesa l'umile adorazione, la lode e l'esaltazione, alla
Santissima Eucaristia.
Questa adorazione di solito si attua in silenzio, tra i muri delle nostre
chiese, da quelli che assistono alla S. Messa, s'accostano alla Comunione o
pregano avanti il sacro Tabernacolo. La fiamma tremolante della piccola

141
lampada del SS.mo Sacramento, arde perennemente, quasi ritmo di un
cuore che pulsa incessantemente. Essa ci richiama la presenza di Cristo
nascosto che abita in mezzo a noi.
Talvolta però il nostro amore, fervente non si soddisfa di questa
silenziosa adorazione. La Chiesa più volte sente la necessità di prender in
mano l'inestimabile Tesoro dell'altare e di uscir con Esso dal silenzio del
sacro recinto, fuori nel movimento della vita quotidiana, nel frastuono della
strada. Perché i colori dell'affresco non sbiadiscano, bisogna di tanto in
tanto rinnovarli; e perché non impallidisca, ma si conservi sempre fresca e
viva la nostra fede nel Santissimo Sacramento, bisogna rinnovarla ogni
tanto col vigore di una pubblica confessione e coi colori di gioia festiva. A
tale scopo le diverse chiese e parrocchie celebrano tutti gli anni la
processione del Corpus Domini ed altre processioni eucaristiche.
Da qualche decennio, la Chiesa organizza quasi ogni secondo anno una
giornata eucaristica di proporzioni mondiali, un omaggio universale a Gesù
Sacramentato.
Onorare degnamente l'Eucaristia non si può altrimenti che con una vita
eucaristica. Prima bisogna conoscerla, poi amarla, poi viver d'essa, e poi
finalmente dedicarle solennità.
Appunto perciò l'episcopato ungherese promulgò l'«anno santo» che
precede il Congresso, perché durante questo tempo i fedeli si rinnovino e si
elevino spiritualmente, cosicché, alla fine di maggio, quando spunteranno i
grandi giorni, possiamo tutti unirci, con fede rinvigorita e con nobiltà
d'animo, ai fratelli cattolici che affluiranno qui da tutte le parti del mondo
per onorare solennemente la Santissima Eucaristia.
Oggi desidero mostrarvi a grandi tratti la solennità senza eguali a cui ci
prepariamo e il suo oggetto: 1) Avremo una grande solennità, 2) In onore di
chi?

1. Avremo una grande solennità

A) Sarà circa un anno che per la prima volta si sparse una notizia in
tutte le città e le borgate d'Ungheria, sui monti e nelle valli, una notizia che
suscitò grande commozione in tutto il paese e ci portò immensa gioia. Le
prime parole che uscirono dalle nostre labbra furono parole di riconoscenza
all'Onnipotente: Grazie, o Signore, per averci concesso questo grande
privilegio, a noi ungheresi, mutilati, oppressi, immiseriti, che in mezzo alla
tempesta da noi patita nella lotta per la vita e per la morte potemmo
conoscere la viva fede dei nostri avi e che ora, per l'onore che ci si fa, con
tutte le nostre forze e con fervente amore metteremo ogni impegno perché il
Congresso internazionale diventi un vero omaggio e una vera espiazione di

142
tutto il mondo. Con tali sentimenti vogliamo aspettare la venuta del Tuo
divino Figlio, di Gesù in Sacramento.
Da ora in poi penseremo a questo grande avvenimento, a questo onore
che fra pochi mesi ci toccherà e che forse, per noi, non si ripeterà più;
penseremo al XXXIV Congresso Eucaristico internazionale che nel maggio
prossimo verrà celebrato a Budapest, quando Gesù Sacramentato, nel suo
percorso trionfale, porrà il piede nella piccola nostra Ungheria.
Nella prima Pentecoste contornarono gli Apostoli Parti e Medi, uomini
della Mesopotamia, dell'Egitto e di Roma: quali saranno i sentimenti
dell'ungherese del Kiskunsag, dell'impiegato del transdanubiano, del
contadino del Nyirség; quali i sentimenti della donnetta della provincia e
della signorina della città, dell'uomo maturo di una provincia e
dell'adolescente di un'altra quando vedranno inginocchiati vicino a loro,
dinanzi all'Ostia Santa americani e australiani, cinesi ed indiani, negri e
pellirossa... E tutti, uniti a noi, nella stessa fede, in un comune amore,
prostrati avanti il Re eucaristico. Quante stirpi, quanti colori, quante lingue,
quante foglie diverse! uno però l'omaggio, una la fede, uno l'amore.

B) Dunque che cosa sarà questo Congresso? Manifestazione imponente


della perfetta unità della nostra fede e delle vertiginose dimensioni del
cattolicesimo. Come, al suo confronto, impiccoliscono anche i più grandi
cortei trionfali della storia! Come, al suo paragone, impallidiscono le
entrate trionfali in Roma di un Cesare o di un Costantino al loro ritorno
dalle guerre vittoriose!
Vale la pena assistere a questa assemblea! Vedere venire da tutte le parti
del mondo vescovi, arcivescovi, i successori di S. Pietro, di S. Andrea, di S,
Giacomo, di S, Giovanni... alcuni incurvati dal peso di più decenni di
ministero pastorale, altri più giovani, forse appena consacrati. Vedere i
tesori accumulati della scienza e della santità, della teoria e della pratica,
della cultura e della saggezza, che solamente la fine spiritualità del
cattolicesimo quasi bi-millenario poté produrre.
E al centro di questa rara assemblea: il divino Maestro nella bianca Ostia.
Non l'interesse, non il sentimento, non la politica e nessun altro simile
motivo raduna tutta questa gente venuta da lontano, attraverso mari, deserti,
monti, ma la fede incrollabile nella presenza misteriosa del Cristo.
Che festa mai sarà questa per ogni credente, e in special modo per il
popolo ungherese! Lo può prevedere soltanto chi assistette a qualche simile
riunione, nella quale tutta la Chiesa rende omaggio con tutta la sua fede,
con tutto il suo amore, con tutta la sua umiltà e il suo santo orgoglio al suo
divino Fondatore, a Gesù nascosto sotto i veli sacramentali. La divina
Provvidenza mi concesse di poter assistere nel 1912 al Congresso

143
eucaristico internazionale di Vienna, nel 1924 a quello di Amsterdam, nel
1926 a quello di Chicago e nel 1932 a quello di Dublino. Non vi sorprenda
se già in avanti il cuore ci si infiammi di entusiasmo e gioia al pensare gli
effetti spirituali del congresso, l'omaggio, la rigenerazione, l'espiazione che
ne seguiranno.

C) Certo non è necessario che vi dica che lo scopo precipuo del


Congresso si è di evolvere l'omaggio mondiale in rigenerazione ed
espiazione del mondo, di ricondurre l'umanità al Padre mediante il Figlio.
Questo è il fine principale; tutto il resto è solo mezzo, contributo, aiuto
per conseguirlo. In quei giorni la Chiesa dispiegherà tale pompa che è
possibile solo ad essa che ha un passato bi-millenario, ma non è questo lo
scopo del Congresso. Compariranno i fedeli da tutte le parti del mondo, i
loro vescovi in vesti pompose; dagli scrigni trarremo fuori le nostre vesti
più preziose e i nostri più preziosi oggetti sacri, raccolti da secoli; vedremo
processioni e riunioni fantasmagoriche; ma tutto questo non è il fine del
Congresso, ma solo mezzo per conseguire il fine.
Qual'è dunque il fine? Il vero, unico e solo fine si è: accendere negli
animi la fede e l'amore a Gesù nel Sacramento dell'altare perché con una
conoscenza più profonda e con un amore di perfetta dedizione della
Santissima Eucaristia, si rafforzi la fede in Dio e irrobustita da questa fede,
l'umanità, già spossata, possa godere una vita più dolce, più pacifica e più
felice.
Che sarà ancora questo Congresso? Una grande, muta protesta. Una
risposta dignitosa, imponente nel suo silenzio, a tutti coloro che non hanno
altro scopo nella loro vita che estirpare dai cuori umani la fede in Dio.
La federazione dei senza-Dio tenne un congresso con 16.000 delegati, e
in esso si ebbero discorsi così blasfemi e incitanti al disprezzo di ogni
religione che farebbero vergogna anche all'ultimo selvaggio dell'Africa
tenebrosa. E mentre questi 16.000 delegati proclamano che Dio è morto,
perché così decretarono gli attuali signori del Cremlino, le centinaia e
migliaia dei partecipanti al nostro Congresso, e i milioni e i milioni, da tutte
le parti più lontane ad essi uniti in spirito, daranno la risposta: Dio non è
morto, Egli vive e vivrà in eterno!
Omaggio mondiale, rigenerazione mondiale, espiazione mondiale: ecco
il fine del Congresso a cui ci prepariamo.

2. In onore di chi il Congresso?

Dunque, di chi parleremo? chi festeggeremo con tanto entusiasmo, con


un'adorazione che non compete a nessun uomo?

144
La Santissima Eucaristia; il Santissimo Sacramento dell'altare.
Chi sa che cos'è la Santissima Eucaristia non stimerà esagerate anche le
massime solennità.

A) Che cos'è la Santissima Eucaristia?


a) Il Cristo vivente in mezzo a noi!
Nostro Signore visse 33 anni qui in terra in modo visibile. Alla fine
della sua missione terrestre, ritornò trionfalmente al suo Padre cedeste, ma
il suo Cuore amantissimo di noi, non volle separarsi per sempre da noi:
«Non vi lascerò orfani» (Giov. 14, 18), disse agli apostoli nell'ultima cena.
«Ecco, io sono con voi fino alla fine dei secoli» (Matt. 28, 28), disse
negli ultimi momenti del suo congedo.
Compie questa promessa esattamente nella Santissima Eucaristia, nel
Santissimo Sacramento dell'altare. Anche se nel mondo ci fosse un solo
tabernacolo, con questa riposta una sola Ostia consacrata, li è presente
Cristo. Vive tra noi Cristo, - non solo il suo ricordo, non solo il suo
simbolo, non solo la sua potenza, ma tutto Gesù vivo e vivificante, il nostro
divino Redentore. Quello stesso Gesù che percorreva una volta le vie della
Palestina, quello stesso oggi passa in mezzo a noi per le nostre città, per i
nostri villaggi, per i nostri paesi e continua la sua vita di amore, di
benedizioni e grazie.

b) In quella piccola santa Ostia che sta innanzi a noi, è presente, come
lo dichiara il concilio Tridentino (Sess. 8, cap. I), Gesù Cristo «vere, realiter
et substantialiter».
«Vere: veramente». Non dunque in segno o figura. Non come la madre
in fotografia, che guardi con tanta tenerezza, perché la fotografia è solo
l'immagine della madre e non la madre stessa. Gesù invece tutto è
veramente presente nella santissima Eucaristia col suo Corpo, col suo
Sangue, con la sua Anima e con la sua Divinità.
«Realiter: realmente». Non dunque come in un sogno, in fantasia, come
la madre che veda in sogno il figlio morto da poco e parla con lui. No. Alla
fantasia della madre solo parve di vedere il figlio. La nostra non è fantasia.
Gesù non è una nostra immaginazione; è realmente presente.
«Substantialiter: sostanzialmente», non solo la sua potenza o la sua
grazia, come negli altri sacramenti; ma quel medesimo Gesù che giacque
nel presepio di Betlemme, che pendette dalla croce e che siede alla destra
del Padre.
In quell'Ostia, piccola, senza movimento, umile? Sì, appunto in quella!
Ti sta innanzi, ad es., un pezzetto di carbone, nero, senza movimento,
freddo, muto, insensibile. Ciò nonostante sai benissimo che l'apparenza

145
inganna perché in quel pezzetto nero sono accumulati i cocenti raggi
irradiati dal sole in migliaia di anni. Così in quella piccola bianca Ostia non
vi è solo raccolto l'amore ardente del Cuore di Gesù, ma vi è nascosto il
Corpo e il Sangue di Gesù, tutto nostro Signore.

B) Poiché è così, ci sarà qualcuno che reputerà esagerato anche il più


grande omaggio che renderemo a Gesù Sacramentato?

a) Nei Congressi eucaristici internazionali la Chiesa spiega tale sfarzo e


pompa che forse desta scandalo in qualcuno, che però stima del tutto
naturale chi sa quale è la nostra credenza intorno alla Santissima Eucaristia.
Lo sfarzo e la pompa, le vesti preziose e le solennissime processioni, i
grandi ricevimenti e le entusiastiche acclamazioni non sono forse le naturali
manifestazioni esteriori del rispetto e dell'amore interiore che sentiamo
verso chi solennizziamo e verso gli ospiti che ci vengono a visitare?
Chi festeggia il compleanno della madre, si veste del più bel vestito,
prende in mano un bel mazzo di fiori, e così fa gli auguri alla madre; tutto
ciò sembra naturale e nessuno se ne scandalizza.
Se arriva a Budapest un re d'altra nazione, le case sono imbandierate,
alla stazione è in attesa la banda militare e una compagnia d'onore, migliaia
di piccole bandiere si agitano nelle mani degli scolari allineati lunga la
strada, si odono le salve... anche ciò si ritiene naturale e nessuno se ne
scandalizza.
Dunque, fratelli, se tutto ciò è naturale e nessuno se ne scandalizza, non
dovrebbe scandalizzarsi nemmeno dell'entusiasmo e dell'amore, del fasto e
della pompa, dell'omaggio e dell'adorazione che noi credenti prestiamo alla
Santissima Eucaristia. Perché nella nostra fede irremovibile non onoriamo
la nostra madre, ma Colui da cui abbiamo padre e madre, anima e
redenzione, N. S. Gesù Cristo. Nell'Eucaristia non festeggiamo l'arrivo di
un re terreno, sebbene del «Re dei re e del Signore dei signori» (Ap. 19,
16), « per cui regnano i re e i legislatori decretano il giusto» (Prov. 8, 15), e
senza di cui «non è stato fatto nulla di ciò che esiste» (Giov. 1, 3).

b) Ma Gesù fu povero e andava scalzo. Gradisce tanta solennità? Si


confà al modo di vivere da lui usato? Così cavilla qualcuno.
Quanto si sbagliano! Dall'aver scelto il Figlio di Dio per noi nella sua
vita terrena l'umiliazione e la povertà, non se segue che eternamente debba
rimanere umiliato ed abbandonato. Gesù per 33 anni visse umiliato e
povero, ma poi non più. Nella Santissima Eucaristia non è presente solo il
Cristo povero e umiliatosi fino all'incredibile, ma anche quel Cristo che
trionfò della morte, quel Cristo che salì glorioso al cielo, quel Cristo che

146
siede alla destra del Padre, quel Cristo che verrà a giudicare i vivi e i morti.
E noi nella Santissima Eucaristia dobbiamo onorare anche questo Cristo, e
non solo il Cristo che per noi «vuotò se stesso» (Filipp. 2, 7), umiliò se
stesso (Filipp. 2, 8) e si fece povero. Forse non leggiamo nella Sacra
Scrittura che «Dio lo esaltò e gli diede il nome che è sopra ogni nome,
affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi... e ogni lingua confessi
che il Signore è Gesù Cristo nella gloria di Dio Padre»? (Filipp. 2, 9-11).
Non vi può esser dubbio dunque che se Gesù è realmente presente nella
Santissima Eucaristia, Egli è degno di esser il centro del nostro culto, del
nostro amore, delle nostre feste.
Tutto bene, se veramente è così.
Ma come sappiamo che è così? Che cosa ce lo fa credere?
E' innegabile che la dottrina della Santissima Eucaristia, come quella
della Santissima Trinità, è il più grande mistero della nostra fede. Quanto
teniamo della SS. Eucaristia e tanto contrario alla esperienza dei nostri
sensi, che non lo si può credere alla parola di un semplice uomo ma solo
alla parola di Dio fattosi uomo! E di ciò parlerò la prossima domenica:
perché dobbiamo credere alla Santissima Eucaristia?

Ora sappiamo a qual solennità si prepara la nazione ungherese e con


essa la Chiesa cattolica coi suoi 400 milioni di fedeli. Omaggio mondiale,
rigenerazione mondiale, espiazione mondiale!
Quale sarà la gioia per l'immenso numero di stranieri, se ad ogni passo
potranno osservare la vita religiosa viva, palpitante del popolo ungherese
visto da loro la prima volta!
Quale stima desteremo in essi, quale simpatia quando con meraviglia
vedranno qui, in questa contrada tra il Danubio e il Tibisco, una piccola
nazione, da loro forse appena sentita nominare o malamente conosciuta per
le errate descrizioni dei suoi nemici, ma che invece, nella sua esistenza
millenaria, è non solo terra feconda del cattolicesimo da essi professato e
onorato, ma pure una nazione che nelle sue istituzioni e nei suoi
ordinamenti scolastici e culturali, nella sua vita pubblica e privata, tiene in
tanto pregio le forze religiose da poter essere difficilmente eguagliata da
qualche altra nazione!
Né si può calcolare il prestigio che ne avrà la nostra patria avanti i
cattolici di tutto il mondo. Il grande prestigio quando i migliaia di ospiti
ritorneranno nei loro paesi con la persuasione che il popolo di questa
piccola nazione ungherese, da loro appena conosciuta, nell'immenso
concerto del cattolicesimo sa esprimere una tale voce che non può essere
soppressa senza che ne sia turbata tutta l'armonia.

147
II. L' EUCARISTIA, VINCOLO DI CARITÀ

(Discorso inaugurale tenuto il 26 maggio 1938 nella prima adunata


pubblica del 34mo. Congresso Eucaristico Internazionale).

Non fra qualche anno e nemmeno fra decenni si presenterà una


occasione così propizia per dimostrare al mondo intero che tiene fissi gli
occhi su di noi, che per la nostra profonda religiosità e per la nostra elevata
vita morale che ne consegue, giustamente possiamo pretendere un posto nel
grande concerto delle nazioni e che è interesse del cattolicesimo e di tutta
l'umanità il provvedere al rifiorimento della nostra nazione.
Vieni dunque, o Cristo Eucaristico! Ha immensa sete di Te il tuo popolo
ungherese! Umilmente Ti benediciamo, osannanti Ti invochiamo, anelanti
Ti aspettiamo.
Giubilanti acclamate Dio,
cantate, esultate e inneggiate.
Inneggiate al Signore con la cetra,
con la cetra e con voce di cantico.
Con le duttili trombe e il suono del corno
giubilate al cospetto del Re Signore!
Salmo XCVII

Così il reale Salmista al cospetto di Dio. Ma ditemi, o fratelli, possiamo


ripetere il giubilo del Re Profeta più giustamente che in questo santo
momento? Mentre ora rivolgo lo sguardo su questo immenso oceano di
uomini, mi sembra avverarsi la sublime visione dell'Apocalisse:
«Dopo questo - dice S. Giovanni - vidi una gran folla, che nessuno
poteva contare, di tutte le genti e tribù e popoli e lingue, che stavano di
faccia al trono e di faccia all'Agnello... e gridavano a gran voce dicendo:
La salvezza è dovuta al nostro Dio, che è seduto sul trono, e all'Agnello»
(7, 9-10).
Salve al nostro Dio e all'Agnello! canta pure questa immensa folla che
nessuno potrebbe radunare all'infuori della nostra fede cattolica. Una simile
adunata vedremo ancora un'altra volta, nel giorno del giudizio universale;
anche allora l'Agnello divino radunerà intorno a se, come ora, le
innumerevoli turbe, allora per giudicare i vivi e i morti, oggi per ricevere i
nostri omaggi.
Quante persone mi vedo adesso davanti. Di quante razze! di quante
nazioni! Chi di uno, chi di un altro colore, chi dai capelli biondi, chi neri;
persone di costumi e lingue differenti, separate da monti, valli e mari
diversi; uno straniero all'altro, eppure tutti, a differenza del taglio degli

148
occhi, dei tratti del volto, delle lingue differenti, a differenza dei costumi
diversi, dei confini e degli oceani che separano le nazioni, tutti ci sentiamo
un'anima sola nell'adorazione dell'Agnello di Dio nascosto sotto le bianche
specie dell'Ostia santa.
Eucharistia vinculum caritatis; l'Eucaristia, vincolo di carità. Vincolo
infrangibile che ci incatena a Dio Uno e Trino, 1) al Padre, 2) al Figlio, I3)
allo Spirito Santo, e così 4) ci porta, nel senso più nobile della parola, alla
vera pace ed armonia universale.

1. L'Eucaristia, vincolo di carità col Padre

A) Avanti la Comunione dei fedeli, il sacerdote prende nella mano la


santa Ostia, e volgendosi al popolo dice: Ecco l'Agnello di Dio. Potrebbe
dire benissimo: Ecco tutto il paradiso.
Perché, che cos'è il paradiso? Il possesso di Dio. Sentite le parole con le
quali Gesù promise l'Eucaristia: Io in voi... voi in me... io nel Padre. Che
vuol significare tutto ciò? Significa l'incredibile gioia, l'inaudita
glorificazione dall'uomo sempre desiderate, ma irraggiungibili senza Gesù:
Voi nel Padre, il Padre in voi. Fino allora solo il tentatore aveva detto:
«Sarete come Dio» (Gen. 3, 5); e non era vero. Ora Gesù dice: Sarete una
cosa sola col Padre, ed è verità sacrosanta. Sarete una cosa sola col Padre,
perché mangiate il Pane del Padre. Che cos'è l'Eucaristia? Panem de coelo
praestitisti eis, omise delectamentum in se habentem. Hai dato loro il Pane
del cielo, che ha in se ogni diletto. Pane! Pane fatto in casa! Pane bianco!
Dovunque si trovi all'estero il fanciullo, se riceve il pane da casa sua, si
sente a casa. Questo pane è una parte della sua casa lontana. L'Eucaristia è
una parte della patria eterna, una parte del paradiso. Chi la prende e se ne
ciba, si riempie della forza e del profumo dell'immortalità, si sente vicino al
Padre, entra in comunione col Padre celeste.

B) Come non vedere le necessità di questa intima comunione?Di questo


stretto vincolo che lega a Dio nuovamente l'uomo staccatosi violentemente
da Lui?
Possediamo un'arte tecnica che opera come la forza magica delle fate;
possediamo una scienza vasta come l'immensa arena del mare, solo... solo
non possediamo la felicità. Le nostre forze diminuiscono, l'anima
illanguidisce, i costumi diventano anemici, i polmoni si disfanno. Tutto ciò
perché? Perché l'uomo tolse lo sguardo dal Padre celeste datore di vita.
Perché l'uomo si scordò di onorare Dio.

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Chi ci farà tornare al Padre? Gesù Cristo che prega nella Santissima
Eucaristia in nome nostro per noi e con noi. Egli ci avvia all'ossequio che
sia veramente degno del Padre.
Che cosa deve l'uomo a Dio?
Gli deve la lode. E chi potrebbe lodare Dio meglio dello stesso Figlio di
Dio?
Gli deve la gratitudine. E chi potrebbe ringraziare Dio meglio del suo
stesso Figlio?
Gli deve la soddisfazione per i peccati. E chi potrebbe impetrare la
misericordia e meritare il perdono più del Figlio di Dio?
La via che ci porta al Padre è l'Eucaristia. Adoro il Padre, mediante
questo Sacramento. Ringrazio il Padre, mediante questo Sacramento. «Per
Lui e con Lui e in Lui viene a te, Dio Padre Onnipotente, nell'unità dello
Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli» (Dal canone
della Messa).
Davvero l'Eucaristia è il vincolo d'amore col Padre.

2. L'Eucaristia, vincolo di carità col Figlio

E anche col Figlio, al quale siamo legati dall'amore e dall'interesse.

A) Al Figlio ci lega l'amore. Quando il sole non può più contenere in sé


il suo fuoco rovente, le sue fiamme divampano per tutta la terra. Quando
Gesù non poté più contenere nel cuore le fiamme ardenti del suo amore,
queste si diffusero nel mistero dell'Eucaristia.
Mettendo il ferro nel fuoco, esso acquista un colore rosso; se accresce
l'intensità del fuoco, il rosso colore si trasforma in un bianco accecante.
Così rosseggia avanti di noi il Cuore di Gesù ardente d'amore. Poi dal rosso
passa al bianco abbagliante, al mistero infuocato della bianca Ostia
rifulgente innanzi a noi.
La lava ci procura uno dei migliori vini; direi quasi: il cuore infuocato
della terra del Vesuvio fa maturare quel vino squisito. Questo porta anche
un nome significativo: Lacrima Christi.
Se il cuore ardente della terra fa maturare il Lacrima Christi, che cosa
farà maturare il Cuore ardente di Gesù? che cosa? Il Sangue di Cristo!
O Figlio unigenito del Padre, potevi amarci più di quello che ci ami in
questo Sacramento? Li, dove si offre, per noi uomini deformati dal peccato,
il tuo Corpo immacolato! Lì, dove si versa per noi, uomini impuri, il tuo
purissimo Sangue!
Quale immensa cascata di amore si versa su di noi nell'Eucaristia!

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Con l'incanto della mia anima abbagliata guardo questa piccola Ostia
santa, questo Sangue arrossato di fuoco e sento innalzarmi, attirarmi,
rapirmi, sento come l'amore mi avvince al Figlio di Dio.

B) Ma sono stretto a Lui anche dall'interesse. Sia l'albero trascurato


quanto si vuole; praticatogli un buon innesto, porterà frutti saporosi. Sia
l'anima trascurata quanto si voglia, innestato in essa il nobile innesto
dell'Eucaristia, porterà frutti di vita eterna.
La passione di Cristo ci libera dal dominio del peccato, il Corpo di
Cristo ci libera dal desiderio del peccato. La passione di Cristo apre la via
del cielo, il suo Corpo rende più facile questa via. La passione di Cristo è il
prezzo del nostro riscatto, la Comunione è la distribuzione di questo prezzo.
Chi troppo si espone al sole, diventa nero nel corpo. Chi si espone
all'Eucaristia, avrà l'anima bianca. E' oscuro il cielo sopra di te? Ecco la
luce del Corpo di Cristo.
Ti pesa la vita di abbandono? Ecco il Corpo amante di Cristo.
Ti tormenta l'indifferenza altrui? Ecco il Corpo di Gesù vittima per te.
S'aggira intorno a te il peccato seduttore? Ecco il Corpo di Cristo senza
peccato.
Hai l'anima torbida, macchiata? Ecco il Corpo immacolato di Cristo.
Ma vivi di esso. Ma accostati ad esso. Ripeti quello che nella Messa dice il
sacerdote dopo essersi comunicato: «0 Signore, il tuo Corpo che ho preso e
il tuo Sangue che ho bevuto aderiscano all'intimo dell'anima mia, e fa che
non rimanga macchia alcuna di peccato in me».
Cosi l'Eucaristia è vincolo di carità col Figlio.

3. L'Eucaristia, vincolo di carità con lo Spirito Santo


E anche con lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è lo Spirito di bellezza e
lo Spirito di forza. L'Eucaristia poi è la diffusione della bellezza e la
sorgente della fortezza.

A) L'Eucaristia è la diffusione della bellezza. O Gesù, come sei bello


qui, sotto il velo delle sante specie. E come rendi bella l'anima che si pasce
di Te. Accendi in essa un fuoco vivificatore, una gran fiamma d'amore che
incenerisca ogni tritume del male. Sulla terra così bruciata, resa friabile,
spargi i migliori semi, i semi dei gigli e delle rose, delle palme e degli olivi
profumati.
Acini immaturi, acerbi, duri pendono dal ceppo della vite, ma, se li
investe il sole, diventano grappoli saporosi, fragranti, aromatici. Immatura,
acerba, dura è anche l'anima dell'uomo, ma se la investono i raggi
vivificatori dell'Eucaristia, diventa cara, amabile, fervorosa, bella.

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Lo Spirito Santo è fuoco, e fuoco è il Sangue di Cristo.
Lo Spirito Santo è forza, e forza è il Sangue di Cristo.
Lo Spirito Santo è amore, e amore è il Sangue di Cristo, amore fervente,
amore che si dona completamente. L'unico vero tesoro del mondo, il
diamante che non si offusca, il sole che non si spegne e il Sangue che
purifica, Sangue che vivifica, Sangue che ci porta alla vita eterna.

B) Ma l'Eucaristia non è solamente la diffusione della bellezza ma


anche la sorgente della fortezza. Quanto bisogno abbiamo di questa forza!
Come sentiamo opprimente il peso della vita! Come ci mordono la
carne le fauci spalancate dei nostri istinti perversi! Quante volte grondiamo
di sudore in mezzo alle turbinose lotte della vita! Ma allora risplende su di
noi la luce della bianca Ostia. E sentiamo l'invito confortante di Gesù: «Io
sono il Pane di vita. Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me
non avrà più sete» (Giov. 7, 35)
Quante volte attraversa l'anima nostra la tetra malinconia della fine!
Quante volte tremiamo quando la falce della morte recide tutto intorno a
noi! Proprio allora si fa sentire dall'Ostia santa la promessa di Gesù: «Io
sono il Pane vivo... Se qualcuno mangerà di questo pane, vivrà
eternamente» (Giov. 6 51).
Sei stanco, svogliato, eccitato? Comunicati e la pace ti inonderà l'anima
appena risplenderà su te il mistero della bianca Ostia.
Ti opprimono pensieri tristi, nubi nere? Inginocchiati avanti il
Santissimo Sacramento e vedrai spuntare il sole del conforto appena
risplenderà su te il mistero della bianca Ostia.
Nel mondo non vi sono che anime disilluse, ingannate, affrante. Non
disperiamo fino a che risplende su di noi il mistero della bianca Ostia.
Viviamo un'epoca veramente tragica. Dappertutto lotte e febbrili
competizioni. Non temiamo il futuro fino a che ci manda i suoi raggi il
mistero della bianca Ostia.
O mistero adorabile che leghi a Dio le anime nostre che da Dio vengono
e a Dio appartengono. Com'è insulsa la lotta senza di te! Com'è infelice
l'uomo senza di Te! Come, al contrario, felice, ricco, bello e fraterno
diventa mediante Te che leghi i tuoi fedeli al Padre, al Figlio e allo Spirito
Santo, e li leghi anche tra di loro col vincolo della carità!

4. L'Eucaristia, vincolo di carità fra gli uomini

A) E' commovente l'intimità con la quale Gesù, nel congedarsi dai suoi
diletti apostoli immediatamente prima dell'istituzione del Santissimo
Sacramento, pregò per la loro unione.

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«Padre Santo, conserva nel tuo nome coloro che Tu mi hai dato,
affinché siano una sola cosa come siamo noi» (Giov. 17, 11). Arriveremo
dunque anche noi a una simile unità? Padre e Figlio differiscono solo nella
persona, e non nell'essenza e nella vita divina. Saranno così anche i loro
seguaci una cosa sola?
Ma il Signore prega ancora: «E prego affinché tutti siano una cosa sola,
come Tu, Padre, sei in me ed io in Te... affinché l'unità loro sia perfetta »
(Giov. 17, 21. 23). Nella Santissima Trinità le persone divine formano una
sola unità. Il Padre nel Figlio, il Figlio nel Padre. Anche i seguaci di Gesù
formeranno una simile unita? Si, tale è la volontà di Gesù. Diversi nella
persona, ma una stessa cosa nel sentimento e nell'amore.
Può essere uno nemico dell'altro, uno indifferente all'altro, se tutti
mangiamo dello stesso pane? « Che cos'è questo pane? II Corpo di Cristo.
Che cosa diventano quelli che prendono a se il Corpo di Cristo? Diventano
Corpo di Cristo ma non tanto Corpo, quanto una stessa cosa con Cristo» (S.
GIOVANNI CRISOSTOMO, in 1. Ep. ad Cor. 24).
Dai piccoli grani del frumento è formato il Corpo di Gesù, dagli acini
dell'uva il Sangue. Dalle persone che si cibano di Gesù Sacramentato è
formato il misterioso Corpo di Cristo.
Cresca il frumento in qualsiasi paese, i granelli sono riuniti in santa
armonia e formano l'Ostia. Spunti l'acino in qualsiasi paese, ogni grano
vive vicino all'altro in santa pace e, riuniti, danno il vino dell'Eucaristia.
Anche di noi, abitatori di qualsiasi paese, appartenenti a qualsiasi popolo o
razza, l'Eucaristia, questo vincolo di carità, forma il popolo fraterno di
Gesù, di cui tutti si comprendono, tutti si aiutano, tutti si amano.

B) Cosi si adempie perfettamente quanto dice il motto del Congresso:


Eucharistia vincalum caritatis. L'Eucaristia vincolo di carità. Vincolo che
unisce ciascuno di noi a Dio, e vincolo che rende fratelli in Cristo e una
stessa cosa con Lui tutti i singoli e tutti i popoli. Stanno innanzi a me folle
mai prima conosciutesi. Vennero da paesi lontani e diversi, perché chiamate
dall'unico e comune Signore di tutti: Gesù Cristo. Forse le separano
interessi terreni, le dividono la razza, il sangue, la lingua, i costumi, la
storia, le tradizioni; ma le unisce Gesù nel Santissimo Sacramento. Siamo
uniti tutti nell'adorarLo. Oggi siamo tutti in Lui una cosa sola, e una cosa
sola vogliamo rimanere per sempre.
Vi fu un giovane indiano che i casi della vita avevano allontanato dalla
sua casa e dalla sua fidanzata. Nel congedarsi da lei, la fissò negli occhi e le
diede questo caro ricordo: Non piangere. Tutte le notti di luna piena,
quando la sua pallida ed argentea luce illuminerà il bosco, va ai margini di
questo e fissa la luna risplendente. E anch'io, dovunque mi troverò, farò lo

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stesso e fisserò la stessa luna, e i raggi dei nostri occhi si fonderanno
insieme nel disco rifulgente della pallida luna.
Fratelli, fratelli in Cristo. Da qualunque parte siate venuti in questo
piccolo paese e dovunque andrete dopo questi giorni, tutte le volte che vi
inginocchierete avanti l'altare e i vostri occhi si poseranno sull'Ostia santa
che risplende su di voi come il bianco disco della luna, pensate che l'occhio
di milioni e milioni di fratelli s'incontra e si fonde col vostro nella Santa
Ostia raggiante.
O Gesù, che dicesti che tutti trarrai a Te quando sarai innalzato dalla
terra (Giov. 12, 32), o Gesù, di cui fu predetto che saresti morto per la
nazione e non soltanto per la nazione, ma anche per raccogliere in un sol
corpo i figli di Dio che sono dispersi (Giov. 11, 52), vedi come ci siamo
smarriti nelle tenebre su noi incombenti, Ti supplichiamo, fa risplendere su
noi la luce della santa Ostia, perchè, attratti dal Padre, dallo e dallo Spirito
Santo, possano tutti, figli ora dispersi nel grande mondo, formare il tuo
unico Corpo misterioso in Dio.

Fratelli: Nel momento che in questa notte passerà sul Danubio la


solenne processione a onore dell'Eucaristia, suoneranno tutte le campane
del mondo cattolico.
Concerto grandioso. Concerto di grande valore per tutti i popoli.
Quando società e nazioni nemiche di Dio con immani sforzi aizzano uno
contro l'altro i popoli e cercano di strappare da loro l'amore di Dio e l'amore
del prossimo, sulle onde del Danubio, l'Ostia Santa, col calore del suo
amore divino, fonderà in un'unica cosa i fedeli accalcati devotamente lungo
le rive del Danubio, ma anche i milioni di fedeli di tutti i continenti che al
suono delle campane adoreranno Gesù Sacramentato.
In quel solenne momento quando l'Oriente e l'Occidente canteranno il
cantico di vittoria e milioni di cuori ad una voce magnificheranno il
Signore, anche da noi s'innalzi la preghiera: O Gesù, sotto le specie del
Pane e del Vino, Signore e Re di tutte le terre, riunisci in pace tutti i popoli
e tutte le nazioni.
O Gesù Sacramentato, vedi come traballano gli altari qui e li nel
mondo; rendili sicuri.
Vedi come nei cuori si raffredda l'amor di Dio; riscaldali ancora.
Vedi come l'empietà organizzata assale i più santi tesori della nostra
fede; dà a noi la forza per difenderla. 0 Sacramento, di delizia pieno, buia e
la via; fa luce su di noi.
O Sacramento, fonte di celestiale delizia, molte, troppe sono le nostre
sofferenze; conforta, risana i tuoi fedeli.

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O Sacramento, delizia di tutti i Santi, con cuore amante ci prostriamo
innanzi a Te; con anima infiammata d'amore supplichiamo Te, con fede
riconoscente adoriamo Te, Nostro Signore e Nostro Redentore.

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