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Corso di Laurea in
Economia Aziendale
Insegnamento di
Storia Economica
CANDIDATO:
RELATORE:
Francesco Meringolo
Prof. Vincenzo Camuso
Anno Accademico
2020 – 2021
1
Indice
Introduzione p. 3
Bibliografia p. 38
Sitografia p. 41
Introduzione
Obiettivo di questa tesi è di fornire un’istantanea delle condizioni economiche e sociali del
tempi recenti. Il lavoro è stato fatto studiando fonti storiche e documentali di carattere
scientifico e/o riconosciuti dalla comunità scientifica e in cui non hanno trovato spazio
anche il clima politico e il sentire diffuso delle classi dirigenti negli Stati italiani preunitari. A
questo si è aggiunto uno sguardo, seppur breve, al contesto estero e al momento storico e
Nel primo capitolo si è tentato di indagare, suddividendo in quattro parti la Penisola, quelle
che erano le condizioni degli Stati pre-unitari, il loro progresso economico, la condizione
sociale, la visione politica dei rispettivi Regni e governi. Sembra emergere che la condizione
di tutta la penisola fosse abbastanza arretrata e non ancora coinvolta nella Rivoluzione
industriale che aveva interessato l’Europa del Nord e l’Inghilterra. In Italia, tra nord e sud le
classi dirigenti avevano visioni differenti sulle novità che avevano interessato il mondo sia da
emblematico di differenze all’unità, è il sistema bancario che passava da rete diffusa sul
territorio nel nord a un sistema bancario obsoleto al sud, dove non circolava la carta-moneta.
3
Il secondo capitolo è servito a mettere a fuoco la condizione infrastrutturale della penisola
italiana ed è emerso il contributo dato dal “clima politico” (che caratterizzava la visione delle
èlite locali e delle autorità di governo e che si differenziava soprattutto dall’apertura o dalla
chiusura alle novità) al divario esistente già il 1861. Nell’Italia prenuitaria si passava
dall’idea che le ferrovie fossero un volano di sviluppo industriale e commerciale del nord alla
paura del Papato e dei Borboni che queste potessero essere un mezzo di diffusione di idee
l’attenzione su quello che è stato il contesto e le difficoltà entro cui si muoveva il nuovo
Regno, sulla diversità dei problemi che vi erano tra il nord e il sud del Paese e si è indagata la
e l’istruzione, dove il divario sui tassi di alfabetizzazione che c’era tra nord e sud del Paese a
studio delle condizioni di partenza dei diversi territori, il ruolo e l’influenza che ha avuto la
mentalità riformista o conservatrice delle classi dirigenti e delle èlite locali, negli squilibri
territoriali. Al sud, per esempio, colpisce la tendenza dei ceti nobiliari e dei latifondisti, anche
dopo l’unità a preoccuparsi di come conservare i privilegi e gli agi a spese dei contadini e dei
braccianti che lavoravano nelle loro terre. Tendenza che precluse lo sviluppo di nuove
tecniche agricole che migliorassero la produttiva del lavoro (solo durante la parentesi
bonapartiana fu abolito il feudalesimo in tutto il sud Italia). Manca all’analisi e alla tesi, ma
meriterebbe una tesi a parte e non un semplice capitolo, il ruolo che hanno avuto,
considerato che si parla, nel periodo preunitario, di due stati differenti, il primo sotto la
La prima cosa che colpisce, nella ricerca delle informazioni, è la poca disponibilità di dati
affidabili antecedenti al 1861 nonostante vi siano numerosi lavori degli storici dell'economia e
Di certo, sappiamo che la rivoluzione industriale nel 1848 (un anno abbastanza
significativo per comprendere quello che avvenne in Europa e quindi anche in Italia) era in
una fase avanzata sia in Inghilterra che in Francia e totalmente assente o di scarsa rilevanza in
Italia, basti pensare, ad esempio, che bisognerà arrivare agli anni '30 del XX secolo affinchè il
Nel 1848 in Europa vi erano numerosi tumulti e moti, ma a seconda di dove ci si trovava,
Manifesto del Partito Comunista, negli stati italiani le richieste provenienti dalle insurrezioni
5
“popolari” (definite insurrezioni borghesi) riguardavano la Costituzione e quindi il desiderio
di una monarchia costituzionale con un parlamento eletto dal popolo, un governo che
Erano richieste che trovavano forza tra la borghesia più colta e illuminata, intellettuali,
studenti e, a differenza di quanto avveniva in Francia o Inghilterra, non vi era ancora traccia
In seguito ai moti del 1848 Carlo Alberto concesse lo Statuto e, complice l’avvento al
potere di Cavour, la situazione economica nel Regno di Sardegna ebbe una decisa svolta.
Seppur tra mille contraddizioni, battute d’arresto e crisi di governo, sostanzialmente gli anni
Nel nord Italia, sin dall’inizio dell’800 si diffusero le prime casse di risparmio e dalla metà del
XIX secolo, nel territorio dominato dai Savoia, grazie soprattutto alla visione strategica di
Cavour, sorsero le prime banche sotto forma di società per azioni 2. Nel solo Regno di
Da segnalare, nel biellese, sin dai primi dell’800 le prime industrie tessili che, però, a
differenza di quelle più moderne in uso in Inghilterra non utilizzavano il vapore, ma venivano
azionate dalla forza idraulica favorita, peraltro, dalla notevole presenza di acqua.
Eccetto che in Pianura Padana, dove vi erano i primi insediamenti agricoli cosiddetti
delle proprietà fondiarie erano nelle mani dei ceti nobiliari che, però, vivevano nelle città e si
che, attraverso degli investimenti, avrebbe avuto interesse a far fruttare la terra.
ricordare il primato del Veneto con la prima filatura meccanica ad opera di Francesco Rossi a
Schio (VI) nel 1819 e Marzotto a Valdagno nel 1836 che poi diverrà un marchio abbastanza
famoso e, sempre nel Lombardo Veneto, grazie a imprenditori tedeschi e svizzeri, iniziava ad
modernizzazione del territorio dove, grazie a governi di natura tutto sommato riformatrice, si
Nel Lombardo Veneto vi era anche una modesta presenza di quella che era la più diffusa
industria Italiana: l’industria serica, avvantaggiata dalla notevole domanda di filati di seta in
Europa e Americhe e che, comunque, vedeva nel Regno di Sardegna il maggior produttore di
filati di seta nella penisola italiana4. Bisogna tenere in considerazione che l’industria tessile,
così come quella serica, rappresentava comunque un’attività marginale, visto che il 1861,
Complicato parlare del reddito o del Pil prima dell’Unità d’Italia per mancanza di dati.
Tuttavia si sono susseguiti diversi studi, alcuni che hanno fatto discutere il mondo accademico
per il metodo utilizzato, altri che sono stati ritenuti più affidabili. Tra questi c’è il lavoro fatto
da Emanuele Felice e Giovanni Vecchi attraverso la rielaborazione dei lavori riguardanti “le
serie regionali” di Ciccarelli e Fenoaltea riguardo al Pil pro-capite nel 1871 (dieci anni dopo
l’Unità d’Italia) dove si evince che, fatta 100 la media Italiana di Pil pro-capite, nel centro-
4 A. De Angeli, Il commercio della seta tra Italia e Cina, 1850-1915, Queen’s University Belfast, 2017
5 V. Giura, Lezioni di Storia Economica, Edizioni scientifiche italiane, 1987
7
nord la quota era pari a 106 con punte di 139 in Liguria. La quota pro-capite “rallentava” in
Chi sapeva leggere, scrivere e far di conto era il 50% della popolazione in Lombardia e
La scuola, in Lombardia, aveva conosciuto, già dalla presenza francese, una notevole
crescita tant’è che risale al 1797 l'istituzione di una commissione incaricata di formulare un
"Piano generale di pubblica istruzione per la Repubblica Cisalpina" il quale prevedeva, tra
l'altro, l'accentramento allo Stato di ogni attività di pubblica istruzione; mentre durante il
Diede importanza all’istruzione anche il Regno di Sardegna visto che, a partire dalla fine
della dominazione francese, il nuovo regno potenziò il sistema scolastico al punto che
diventerà l’ossatura principale di quella che sarà la scuola dopo l’Unità d’Italia9.
Da segnalare nel nord-ovest e la cui importanza la valuteremo in seguito, i dati del servizio
postale sul numero delle lettere ricevute per abitante nel 1862 (un anno dopo l’Unità d’Italia)
che era pari a 5,3 lettere per ogni abitante in Lombardia e 6,1 in Piemonte e Liguria10.
1.2 I Granducati
Quando Pietro Leopoldo il 1790 si apprestava a lasciare la Toscana vi era stato un notevole
impulso riformatore. “In Toscana erano stati eliminati i dazi interni e vi era piena libertà di
attività economiche e produttive. Furono abrogati gli appalti dell'esazione fiscale e avocato in
capo allo Stato il potere di riscossione dei tributi che ebbe la conseguenza di sostituire la
miriade di tassazioni eterogenee esistenti, quasi esclusivamente con la tassa sulla proprietà
sarà aspra. A fianco di queste iniziative, Pietro Leopoldo, promosse la piena disponibilità della
allivellazioni con la suddivisione dei beni della corona e degli enti pubblici o ecclesiastici”11.
A dare l’idea del piglio con cui Pietro Leopoldo governò il Granducato di Toscana,
possono essere utili le parole dello storico Riccardo Nencini nella prefazione de “Le scuole e
le comunità nella Toscana” scritto da Teresa Calogero: “La finalità più alta era il consapevole
Questo clima di concordia e la stagione delle riforme si arrestò in seguito ai tumulti politici
e alla dominazione napoleonica e riprese dopo la Restaurazione con Ferdinando III di Toscana
Nei granducati (Toscana, Modena, Parma) la condizione economica non era diversa da
quella del nord Italia e le modernizzazioni riguardavano tutti i settori d’attività, ma erano
ancora carenti le industrie eccetto una parentesi tessile nel territorio di Prato e, l’attività
particolarmente fervente anche nei “Granducati o Ducati” era l’attività politica con fermenti
“risorgimentali” tra gli studenti e la borghesia colta. A Modena, Francesco IV il 1831 aveva
11 L. Lotti, Introduzione in T. Calogero, Scuole e comunità nella Toscana di Pietro Leopoldo, Consiglio
Regionale della Toscana, 2010
9
fatto arrestare il patriota Ciro Menotti resosi colpevole di aver cospirato e dato il via ai moti
da molti anni coinvolgeva tutta l’Europa e che se da una parte aumentava il fabbisogno di
derrate alimentari, dall’altro era fattore chiave che aveva fatto aumentare la crescita
economica considerato anche l’aumento della forza lavoro e quindi di braccia per i lavori in
Diffuso e moderno il sistema bancario, basterebbe ricordare il Monte dei Paschi di Siena
arrivato sino ai giorni nostri o la Banca Toscana. Importanza non secondaria ebbero poi la
Banca di Parma e la Banca delle quattro Legazioni di Bologna, che, il 1867 confluiranno nella
Banca Nazionale degli stati Sardi; dalla quale, dalla fusione con la Banca di Toscana, con la
Banca Toscana di Credito e con la Banca Romana (nonostante fosse in liquidazione), nel 1893
Più basso, rispetto al dato che abbiamo già incontrato del nord Italia, il Pil per abitante,
infatti fatta 100 la media italiana, nel 1871 il Pil pro-capite in Toscana era pari a 105 e in
12 L. Conte, La banca nazionale formazione e attività di una banca di emissione 1843-1861, Edizioni
scientifiche italiane, 1990
13 E. Felice, Perché il sud è rimasto indietro, Il Mulino, 2013
14 E. Felice, G. Vecchi, Quaderni del Dipartimento di Economia Politica e Statistica, Università di Siena, 2012
Nella ricerca spassionata di ciò che è stato lo Stato Pontificio fino all’Unità d’Italia, ad un
osservatore, anche distratto, risalta la visione del Papa Gregorio XVI (Sovrano dello Stato
Pontificio) riguardo alla ferrovia, l’infrastruttura che più di ogni altra aveva stravolto o stava
per stravolgere lo sviluppo e le prospettive del mondo intero, definita “Satana su rotaia”15.
Sin dal 1815, anno in cui venne restaurata l’autorità papale, nello Stato Pontificio la vita
politica generale e la vita civile erano fortemente depressi. La gestione dello stato era
stato attraverso politiche protezionistiche aveva di fatto favorito il contrabbando delle merci,
A partire dal 1830, sotto il pontificato di Pio VIII furono stimolate nuove piantagioni di
olivi e gelsi, ma non si era compreso ancora il fatto che, attraverso la coltivazione dei gelsi e
la conseguente attività serica, si potesse letteralmente creare quella che ai nostri giorni
chiamiamo filiera, tant’è che nel 1840 la Delegazione di Spoleto inviava una supplica al Papa
in cui sosteneva che l’industria serica era “sorgente di dovizia” e che sarebbe stato opportuno
rimportarla lavorata17. Il settore entrò in crisi negli anni successivi (come nel resto d’Italia e
soprattutto in Piemonte) a causa della pebrina una malattia del baco da seta. Tuttavia, in
seguito a canali commerciali aperti con l’oriente per l’acquisto di bachi da seta, sul finire
degli anni 70 dell’800, la penisola italiana unita divenne il primo produttore in Europa di seta
greggia.18
Anche sotto il papato i terreni agricoli erano prevalentemente nelle mani dei latifondisti e
dei grandi possidenti cosa che rappresentò un forte problema per lo sviluppo dell’agricoltura
11
attività industriale in tutta Italia e non solo a Roma, era rallentata dalla mancanza di carbone
Abbastanza diversa tra il Lazio e l’Umbria e le Marche è la distribuzione del PIL pro-
capite nel 1871. Infatti, fatta 100 la media italiana, il PIL pro-capite nel Lazio era pari a 146,
pari a 99 in Umbria e ben sotto la media le Marche che dovevano accontentarsi di 82.20
Come abbiamo già avuto modo di notare c’è un anno simbolo (1848) che aiuta a decifrare
quanto avvenuto nella penisola e in tutta Europa. Dopo le insurrezioni e i moti del ‘48, in tutti
gli
stati italiani era stata concessa la Costituzione. Nel Regno Borbonico le cose andarono
diversamente, tant’è che l’anno successivo alla concessione della Costituzione, la monarchia
borbonica tornò ad essere una monarchia assoluta. Vi fu una pesante repressione e tanti
Sul piano economico il Regno Borbonico si presentava più o meno come gli altri stati, con
un’economia prevalentemente agricola e dazi doganali. Con l’intervento statale era stato
creato il Reale Opificio Borbonico dove, però, la manodopera non andava oltre il migliaio di
addetti (tra militari e non)21. L’agricoltura era compressa dal latifondo, nelle mani pressochè
del ceto nobiliare, e si coltivava soprattutto grano, mentre nelle aree interne l’attività
prevalente era la pastorizia22. Evento fondamentale, per comprendere come Garibaldi con un
contadini, dai quali ricevette aiuto sin dalla battaglia di Calatafimi e che coltivavano la
speranza di poter ricevere un pezzo di terra che era tutta nelle mani dei grandi possidenti,
sostegno che, all’Unità d’Italia con la delusione dei contadini e di Garibaldi, culminò con
l’abolizione della tassa sul macinato che pesava soprattutto sui contadini stessi. Presenti
Presente, come nel resto d’Italia, l’industria serica che, però, aveva già perso il primato a
favore dell’industria serica piemontese nel XVII secolo. Tra l’altro, l’industria serica era
molto arretrata visto che esistono tracce che, nel 1755, arrivarono a Napoli i disegni del
piemontese Carlo Fogliarino che rappresentavano un filatoio per la seta idraulico, tecnologia
che fu utilizzata nel Regno di Napoli almeno trent’anni dopo23. Qualche innovazione inizia
negli anni 30 dell’800 in Campania e nel resto del sud Italia, ma il settore venne affossato
anche qui dalla pebrina, una malattia del baco da seta che ne decimò gli allevamenti.
A differenza di quanto avvenuto nel resto d’Italia, nel sud l’opera riformatrice dello stato
era pressoché ferma ed è opinione comune tra gli storici che la ragione principale sia stata nel
abbastanza tumultuoso in tutta Europa. Qualora fosse stata varata la riforma fiscale, ci si
sarebbe potuto permettere di cantierizzare opere pubbliche e si sarebbe aperta una stagione di
sarebbero gettate le basi future. Al contrario, il Regno delle due Sicilie, divenne una
monarchia costituzionale il 1860 e accumulò, quindi, un ulteriore ritardo di dieci anni rispetto
al resto del Paese non solo da un punto di vista delle libertà civili, ma anche di sviluppo
economico e infrastrutturale.
23 R. Parisi, La seta nell’Italia del Sud. Architettura e tecniche per la produzione serica tra Sette e Ottocento,
in <<Meridiana 47/48>>, 2003, pp. 245-274
13
Pressoché inesistente il mondo bancario con due sole banche e a proprietà pubblica: Il
Banco di Napoli e il Banco di Sicilia con potere di emissione moneta metallica e fedi di
credito. Assente, quindi, in tutto il sud Italia la carta moneta antenata delle moderne
banconote. Presenti nel sud Italia, circa 1200 monti frumerari24, ma che non possono
minimamente essere paragonate a delle casse di risparmio visto che la loro attività consisteva
nel prestare sementi. Nel Regno Borbonico vi era una sola cassa di risparmio operante
all’Unità d’Italia25.
Arretrato anche il mondo dell’istruzione, nel 1861 gli analfabeti nel Regno delle due Sicilie
erano l’86% e nessuna donna sapeva leggere e scrivere. I dati del servizio postale, inoltre, ci
dicono che la media delle lettere ricevute per abitante era solo di 1,6.26
Ben sotto la media, eccetto che per la Campania, la quota pro-capite di PIL che nel 1871 al
Sud e nelle isole, fatta 100 la media italiana, si fermava a 90. La distribuzione regione per
Di fatto, all’Unità d’Italia, il Regno delle due Sicilie si trovava già in ritardo
nella mancanza di volontà dei Borboni di rimuovere le antiche strutture feudali (che spesso
A dare l’idea della condizione economica e infrastrutturale della penisola italiana nel
periodo risorgimentale può essere utile quanto sosteneva Saverio Nitti nel 1902:
«Prima del 1860 non era quasi traccia di grande industria in tutta la penisola. La
Lombardia, ora così fiera delle sue industrie, non avea quasi che l'agricoltura; il Piemonte era
un paese agricolo e parsimonioso, almeno nelle abitudini dei suoi cittadini. L'Italia centrale,
Bisogna tenere presente che le condizioni di partenza dell’Italia unita, che apparivano
abbastanza arretrate rispetto a Francia o Inghilterra, avevano risentito degli effetti delle
condizioni per le disuguaglianze territoriali degli anni successivi che, al momento dell’unità,
seppur in maniera meno marcata di oggi, apparivano in tutte le loro evidenze. Nei decenni
modernizzazioni (almeno al confronto con altre aree dell’Italia le quali, comunque, non erano
risorgimentale, l’attenzione sulla ferrovia aveva assunto centralità, soprattutto in alcuni ceti
15
sociali, in considerazione dell’impulso che aveva dato in Inghilterra alla Rivoluzione
Industriale28 e, accanto ai vantaggi economici, quelle che Denis Mack Smith definiva “élite
liberali”, aggiunsero la convinzione che potesse essere un sistema attraverso cui unire i vari
stati italiani tra di loro, prima ancora che da un punto di vista politico, da un punto di vista
La prima vera sfida tecnica in tema di ferrovie, in quella che poi divenne l’Italia unitaria, si
ebbe nel 1846, con i lavori della Torino-Genova che fu progettata da Ignazio Porro, il quale si
avvalse dell’aiuto di uno degli ingegneri ferroviari più importanti dell’epoca, Isambard
Tra il 1850 e il 1859 la rete ferroviaria italiana era passata da circa 700 chilometri di strade
ferrate a 2238 chilometri, due terzi dei quali nell’Italia del centro-nord.29
Il 1859 il nord Italia poteva contare su 1372 km di strada ferrata divisi tra Piemonte
Se si paragona questo dato all’estensione territoriale degli stati emerge che in Piemonte e
Liguria per ogni chilometro quadrato di territorio vi erano 25 metri di linee ferroviarie, mentre
Nella sola Lombardia vi erano circa 21000 chilometri di strade e, in Piemonte e Liguria,
16500 chilometri32. Per ogni chilometro quadrato nel nord ovest della penisola vi erano 645
metri di strade33.
della Sardegna (facente parte del Regno dei Savoia) nella quale “mancava una viabilità di
avvenne del resto, nel resto d’Europa, sull’economia dal 1846 al 1873 e portò nel Paese una
grande quantità di capitali stranieri. Inoltre causò un forte indebitamento statale, prima negli
Poco sviluppata in tutta Italia, la rete ferroviaria intesa come sistema di collegamento tra le
varie tratte, il 1860 vi erano i seguenti collegamenti: nei pressi di Magenta all’altezza del
ponte sul Ticino le ferrovie lombarde erano allacciate con quelle piemontesi e non vi era alcun
Firenze, e Firenze non era collegata a Roma, mentre Roma non aveva raccordo con Napoli. I
binari raggiungevano Vietri sul Mare fra Napoli e Salerno, ma al di sotto non vi era traccia di
treni e di ferrovie.36
Lo sviluppo della ferrovia portò al miglioramento del servizio postale e allo sviluppo delle
i governi dei vari stati, a seconda se di spirito riformista o conservatore, avevano sviluppato le
linee telegrafiche in maniera differente. Da un lato avevamo “la Savoia” e la Toscana che
avevano costruito delle reti a ragnatela, dall’altra gli altri stati che, al contrario, temendo la
diffusione di idee liberali lo intendevano più come uno strumento di controllo politico e
quindi aveva una diffusione meno capillare. Fino a metà Ottocento, le attività postali erano
limitate alla raccolta e al trasporto della corrispondenza con carrozze trainate da cavalli, e il
servizio era concentrato verso le città, i porti, i monasteri e non rappresentava un sistema
17
partire dal 1850 nel Lombardo-Veneto che poi si estese in tutti gli stati preunitari e fu
Da un punto di vista “marittimo”, la marina mercantile eredita dal Regno d’Italia, vedeva
una prevalenza delle navi provenienti dal Regno delle Due Sicilie, ma a livello tecnico
spiccava la marina piemontese che, oltre a godere di tecnologie più moderne, aveva una
Genova.39
misurare la capacità di modernizzazione dei propri stati da parte dei regnanti. In Toscana i
risultati furono importanti anche grazie alla capacità di Leopoldo II di coinvolgere due
finanzieri, Ubaldino Peruzzi e Pietro Bastogi capaci di attrarre capitali esteri, soprattutto
La prima ferrovia nei territori che oggi conosciamo come Toscana ed Emilia Romagna fu
inaugurata nel 1844 fra Pisa e Livorno41 a cui fece seguito un “tronco” da Pisa a Pontedera
seguito, poi, da altri tronchi che raggiunsero Empoli, Firenze e Siena. La ferrovia ebbe
importanti ripercussioni sullo sviluppo delle città ed a Siena, per esempio, contribuì a spostare
Nel 1849 nel Granducato di Toscana veniva costruito quello che all’epoca era il tunnel più
lungo d’Italia con 1516 metri di estensione che collegò Siena ed Empoli. 44 Importante fu il
contributo scientifico e tecnico allo sviluppo delle ferrovie da parte della Toscana e del
Piemonte che, attraverso l’impegno sulla ferrovia in epoca preunitaria, avevano di fatto
formato gran parte degli ingegneri che poi si sarebbero occupati di ingegneria ferroviaria nel
periodo unitario.45
Il 1850 il Granducato di Toscana era lo stato con la più alta densità di ferrovie con 119
chilometri di strada ferrata, 115 chilometri erano presenti nel Lombardo-Veneto e 91 nel
Regno di Sardegna.46
Poco sotto la media del nord Italia i chilometri di strade in Toscana con una media di 538
Già alla Restaurazione, grazie all’azione della dominazione napoleonica, nei Ducati vi era
una discreta presenza di strade e infrastrutture come ponti o viadotti. Napoleone, infatti, era
convinto che una serie di infrastrutture quali porti, gallerie, mezzi di collegamento erano
fondamentali per la sua “guerra di movimento” 48 e questo condizionò, negli anni a venire, di
molto la vivibilità e le prospettive dei territori che aveva attraversato. Tuttavia, è necessario
notare che seppur lo stato delle infrastrutture aveva avuto una crescita considerevole, negli
anni successivi alla Restaurazione tutti gli stati avevano adottato politiche economiche
19
protezionistiche e nel paragone con altri paesi europei, comunque le vie e i mezzi di
comunicazione oltre ad apparire carenti49 apparivano anche scarsamente collegate tra loro.
Centrale, per il Ducato di Parma, fu la strada che la congiungeva con Spezia, la quale ebbe
Riguardo ai porti, nonostante l’antica tradizione “marinara” della Toscana (basti ricordare
Pisa e Livorno) di fatto il Granducato aveva scontato il blocco marittimo degli inglesi quindi
la maggior parte degli investimenti erano stati concentrati nella manutenzione di strade e della
costruzione di nuove vie di comunicazione51 che rappresentarono per gli anni successivi un
Papa Gregorio XVI, pontefice dal 1831 al 1846, fu contrario ad introdurre nei territori del
che richiedeva a gran voce di raccogliere le grandi novità che avanzavano nel continente.
L’atteggiamento cambiò in minima parte con Pio IX che, sopratutto con le pressioni dalle
Legazioni, aprì alla ferrovia. Tuttavia, è da sottolineare che sotto il governo della chiesa, la
erano due società ferroviarie, la Pio Latina e la Pio Centrale 53. Al 30 aprile 1859, vi erano 101
Papa Pio IX in accordo con le autorità dei “Ducati”, a partire dal 1859 e fino al 1864 fece
idea dello stato delle infrastrutture in tutta la penisola, a qualche anno di distanza dal
Risorgimento e dell’importanza che esse rivestivano per lo sviluppo dei commerci e di nuove
attività, può essere utile il Giornale del Genio Civile che, il 1869, scriveva: <<In parecchie
province del Regno il bisogno delle strade rotabili sta forse al di sopra d’ogni altro. In tali
province non si potrà mai raggiungere quello stato di floridezza che è il fattore principale di
benessere per le popolazioni e di ricchezza per la nazione, finché non si abbia una rete di
commerciali.>>
d’Italia, nei territori sotto l’egida della chiesa, era abbastanza precario.
In generale, l’idea che aveva attraversato il Rinascimento erano sistemi stradali a “sistema
radiale” intorno alla capitale e lasciavano isolati interi territori e, comunque, nella migliore
delle ipotesi si trattava di mulattiere che, nell’800, erano strade trasformate in discrete
“carrozzabili”57.
53 P. Negri, Le ferrovie nello stato Pontificio (1849-1870), Archivio storico dell’unificazione italiana, 1967
54 S. Maggi, Trasporti e comunicazioni, in www.Treccani.it
55 E. Felice, Perché il sud è rimasto indietro, Il Mulino, 2013
56 A. Bucchi, La storia delle strade, Università di Bologna, 2014
21
A ulteriore riprova, del ritardo con cui i governi degli stati preunitari avevano compreso
utile l’esempio della storica strada consolare romana Aurelia che fu ricostruita solo a metà del
XIX secolo e collegava Roma con Livorno, unica strada che costeggiava tutta la costa
Per parlare compiutamente del Regno delle due Sicilie, della sua economia e del suo
sviluppo infrastrutturale sarebbe necessario dividere l’argomento in Napoli e nel resto del
Regno.
Napoli era una delle città importanti dell’epoca e sarebbe abbastanza azzardato pensare che
fosse ciò che ha rappresentato e che continua a rappresentare per merito dei Borboni. Lo
storico Giuseppe Galasso a proposito dei Borboni, a conferma del fatto, qualora vi siano
ancora dei dubbi, che la dominazione degli spagnoli di fatto ha creato le condizioni delle
disuguaglianze territoriali del Paese non essendo capace di immaginare, durante il suo
governo, lo sviluppo delle aree a sud di Napoli, nella sua opera “Napoli capitale. Identità
politica e identità cittadina” così si esprime a proposito dei reali delle Due Sicilie: <<non
furono i sovrani borbonici a rendere grande la Napoli del settecento, bensì, al contrario, fu
questa Napoli a dare ad essi la possibilità di giocare un ruolo anche superiore alle loro
Regno d’Italia, fu la tratta ferroviaria Napoli-Portici, lunga 9 chilometri e fatta costruire dai
Borboni il 1839. Al 30 aprile 1859 nel Regno delle due Sicilie di contavano 99 chilometri di
ferrovia58 pari a 0,9 metri di ferrovia per ogni chilometro quadrato di territorio 59. Ben dopo
l’Unità d’Italia fu inaugurata la prima ferrovia in Sicilia che collegava Palermo con Bagheria
I chilometri di strade che incidevano sul territorio del regno borbonico erano 13787 e, la
media dei metri di strade per ogni chilometro quadrato di territorio, in Italia, nel 1863 (data a
partire dalla quale abbiamo dati affidabili), erano pari a 645 metri di strade nel nord-ovest,
130 metri nel sud Italia e 538 metri in Toscana. È necessario sottolineare che, trattandosi di un
territorio collinare e montagnoso e con vaste aree interne, i tratti stradali che dovevano
aggirare i rilievi, per collegare una località con l’altra, erano più lunghi rispetto ai tratti
stradali della pianura padana e lungo le coste esisteva la piccola navigazione di cabotaggio.
Tuttavia, sono le differenze sull’incidenza della ferrovia sul territorio (visto che le strade si
Nel Regno dei Borboni vi erano 1848 comuni e solo 227 erano collegati da strade, gli altri
162162 (come in zone di montagna del nord Italia) 63 erano raggiungibili attraverso sentieri
usati per gli spostamenti del bestiame64. La situazione peggiore si viveva in Calabria e
Basilicata, dove la maggior parte dei paesi era raggiungibile esclusivamente dai percorsi del
23
bestiame e situazione non migliore si viveva in Sicilia dove, tra le altre cose, vi era un gran
numero di strade di cui erano iniziati i lavori e non erano mai stati completati.65
1.3 Il nord-Italia
Parlare dell’economia italiana e delle sue infrastrutture a partire dal 1861 significa fare i
conti con uno Stato che non aveva ancora completato la sua unità nazionale. Mancavano,
L’Italia unita ebbe a che fare con problemi nuovi e di fatto con un Paese diverso, diviso e
da integrare.
Indicativa riguardo alle differenze tra Nord e Sud Italia, al momento dell’unità, è la qualità
della vita. Nel 1871 l’aspettativa di vita nazionale era pari a 33 anni, mentre nel nord Italia era
pari a 34 e nel sud e nelle isole a 32. Diverso anche l’indice della mortalità infantile italiana
che negli anni 1874-75 era al 204,7 per mille, mentre nel centro-nord era pari al 203,4 per
L’obiettivo degli anni immediatamente seguenti l’unità, dunque, fu quello di dover mettere
insieme diversi i sistemi amministrativi e fiscali, i debiti pubblici, le tariffe, i codici e gli
eserciti.
66 V. Tanzi Le condizioni economiche e sociali in Italia intorno al 1861, in <<Il Politico Vol. 76 N° 3,
settembre-dicembre, 2011, pp 327-334
25
Le monete locali furono a mano a mano sostituite, venendo ritirate dalla circolazione, dalla
“nuova” Lira italiana. Il sistema monetario che si consolidò nel Paese fu un sistema
bimetallico con 1 parte di oro contro 15,5 d’argento e a partire dal 1865, il Regno d’Italia,
entrò a far parte dell’Unione monetaria latina 67 – che nacque da una convenzione tenuta a
Parigi l’anno stesso – dove gli stati membri si impegnavano a tenere il rapporto da tra oro ed
argento 1 a 15,5. L’esperienza terminò il 1878 a causa della svalutazione dell’argento sui
mercati mondiali.68
Allo scopo di evitare polemiche e nuovi malcontenti, inoltre, il Regno d’Italia evitò di
concentrare il potere di emissione nelle mani di una sola banca e di conseguenza, ebbero il
potere di emettere moneta, la Banca Nazionale Sarda, la Banca Nazionale Toscana e la Banca
Toscana di Credito (che il 1893, in seguito ad una fusione, dettero vita al Banca d’Italia) e il
Banco di Napoli e il Banco di Sicilia che conservarono il potere di emissione fino al 192669.
Debole, all’unità, nel nord-Italia l’industria meccanica e siderurgica che eccetto l’Ansaldo
E’ a partire dal 1901 che inizia a svilupparsi il “Triangolo Industriale” in cui, attraverso
tratta la meccanica più avanzata, la chimica, la gomma e l’elettricità71 e che passerà alla
storia come il “decollo” giolittiano, cioè una spinta alla crescita economica e allo sviluppo
industriale che si protrarrà fino alla prima guerra mondiale. E’ questo, anche, il momento in
cui l’Italia del nord inizia a “staccare” l’Italia del sud riguardo allo sviluppo, divario che
presenza di acqua e dal minor costo dei trasporti del carbone di cui l’Italia era carente.
Lombardia e Piemonte furono anche le due regioni dove si ebbe la più consistente nascita di
cotonifici agevolati durante la crisi del 1873-96 dai dazi doganali visto che diventarono di
fatto “monopolisti” nel mercato nazionale. Il Piemonte aveva il 28% dei fusi e il 25% dei telai
di tutta Italia e la Lombardia possedeva ben il 44% dei primi e il 55% dei secondi.71
dell’industria meccanica come quello dei cuscinetti a sfera, settore in cui si affermò
immediatamente la RIV di Villar Perosa. Seguirono la nascita della Olivetti, della Fiat,
Fino al 1951 è da constatare che la Liguria, grazie al primato creatosi al finire dell’età
liberale, fu la regione più ricca d’Italia a livello del PIL pro-capite, seguita dalla Lombardia e
dal Piemonte.75
Descrittivo della direzione intrapresa dal Paese è il dato sulle importazioni e sulle
esportazioni che fino al 1890 erano cresciute rispettivamente del 61% e del 92%.76
27
Particolarmente colpito, dal fenomeno delle migrazioni, il Veneto (unica regione in tutto il
nord-Italia) che gli anni che vanno dal 1876 al 1900, ha rappresentato il 17,9% delle
migrazioni italiane.77
A partire dai dati del PIL pro-capite già trattati nel primo capitolo, nell’Italia centrale (che
secondo l’ISTAT comprende Lazio, Marche, Toscana e Umbria), a partire dal 1871, anno di
cui come abbiamo visto, abbiamo il primo dato affidabile, la condizione reale vedeva il
“vantaggio” nella ricchezza pro-capite del Lazio, trainata dalla città di Roma, a cui faceva
seguito la Toscana che, però, fino al 1911 ebbe un calo dell’indice del PIL pro-capite. È
necessario sottolineare che, al di là del calo della ricchezza pro-capite, la Toscana è sempre
stata al di sopra della media della ricchezza italiana. Ultime, riguardo al PIL pro-capite, le
Marche e l’Umbria che, insieme, fino al 1981 sono state le regioni dell’Italia centrale più
povere.78
Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, in Toscana era particolarmente attivo il
sistema bancario le cui banche (due) avevano partecipato alla nascita della Banca d’Italia e sin
dai tempi di Leopoldo II vi era un’ampia rete di casse di risparmio. In tutta Italia, inoltre,
Nel Lazio (nella Valle del Liri)79 iniziano a formarsi le prime industrie sopratutto quella
ruolo ampiamente marginale in quella che era l’economia italiana, seppur al nord, come
i dati disponibili, una vera e propria crescita della produzione industriale inizia ad aversi a
In realtà, sarebbe necessario dividere il periodo dello sviluppo industriale in tre periodi
storici differenti.
Nel primo periodo, quello immediatamente successivo all’Unità d’Italia, il problema che
l’unità e integrare tutto il Paese che, come abbiamo esaminato, si presentava differente
territorialmente, dal punto di vista di organizzazione dello Stato, dalle condizioni economico-
sociali e infrastrutturali. Inoltre, si dove’ fare i conti con il nuovo problema del brigantaggio al
sud che, insieme alla mancanza di vie di comunicazione e alle questioni sopra esposte, furono
L’industrializzazione del Regno come obiettivo principale del governo, arriva a partire dal
1876 con la sinistra storica che, grazie ad un corposo investimento in infrastrutture, fece da
Il centro-Italia, che nel periodo preunitario era passato dal governo del Granducato di
Toscana e del papato all’autorità di “casa Savoia”, al momento dell’unità vedeva una
differenza di infrastrutture tra i territori che erano stati degli Asburgo-Lorena e i territori della
Chiesa con questi ultimi che, dal punto di vista delle infrastrutture ferroviarie, scontavano le
opinioni di chiusura delle gerarchie cattoliche e del Papa riguardo alla modernizzazioni i
29
A partire dal 1863 (tab. 1) fu inaugurata la linea ferroviaria che collegava Roma con
Napoli; il 1865 nacque la linea Bologna Ancona, Bari, Brindisi; l’anno successivo la linea che
Abbiamo visto, nel corso dei capitoli precedenti, che lo sviluppo passa da alcune direttrici
e che per misurarlo, oltre alla ricchezza, sono da prendere in considerazione altri fattori tra i
quali le infrastrutture o i livelli di istruzione che, oltre ad essere indicativi del progresso
sociale ed economico, nel caso italiano, spiegano (forse ancora oggi) anche le differenze di
I Borboni erano sempre stati refrattari di fronte alle innovazioni e, come riporta Pietro
frangente in cui il Regno di Napoli non era nelle mani borboniche ad “abolire la feudalità del
del lavoro e della ricerca degli economisti e degli storici dell’economia, abbiamo visto che di
fatto, esisteva un divario Nord-Sud. Eccetto la città di Napoli, che come si è detto era una
delle grandi città d’Europa, il sud Italia si presentava abbastanza arretrato da tutti i punti di
vista. In tutto il sud, per esempio, l’unità è coincisa con l’introduzione delle prime carta-
febbraio 1863 fu inaugurata la ferrovia che collegava Napoli con Roma; la Bologna Ancona
del 1880 fu aperta definitivamente la prima ferrovia nelle isole: la Sassari-Cagliari e, il 1885,
sorse la prima ferrovia in Sicilia, la Catania-Palermo (via Caltanissetta) alla quale, dieci anni
Il momento unitario mise in luce anche le cattive condizioni dei lavoratori agricoli del
mezzogiorno che facilmente sfogavano le loro difficoltà e i loro malumori, nei tumulti e nei
disordini fomentati dai briganti che rappresentavano il problema nuovo dell’Italia unita e
dietro cui si nascondeva la resistenza borbonica con a capo il barone Achille Cosenza79.
Con l’Unità venne estesa a tutto il Regno la Legge Casati che prevedeva due anni di
istruzione obbligatoria e nei fatti ci si scontrò con le classi dirigenti meridionali degli enti
locali dell’epoca che investivano molto poco nell’istruzione. Curioso è il fatto che, tra il 1871
e il 1911, le regioni che migliorarono meno il sistema scolastico, furono proprio le due regioni
31
Molti non sapevano leggere e scrivere e al sud, ancora il 1911, gli analfabeti erano il 59%
della popolazione, mentre nel nord ovest il 13%. Il divario sarà colmato parzialmente solo nei
40 anni successivi, e nel 1971 gli analfabeti, che in Italia erano il 5% della popolazione, al sud
Molise, Basilicata e Campania le quali condividevano, come abbiamo visto, il triste primato
con il Veneto.82
Al momento dell’unità l’industria era pressoché artigianale e nel sud Italia faceva
nel 1904.
navale Pattison83. Da segnalare, nei primi anni unitari, l’avvio di nuove industrie del cotone
nella provincia di Salerno. Prevalentemente artigianale la seta; nei primi anni di vita del
nuovo Regno vi erano in tutta Italia 250 telai meccanici (e 12 mila telai artigianali) che
diventarono 3.000 il 1898 salvo scendere a 2.600 nel 1908 (quando i telai a mano
Da segnalare la grave crisi edilizia partita con la crisi economica iniziata nel 1887 e che
causò l’implosione del sistema bancario in seguito ai grandi investimenti edilizi fatti da alcune
banche (tra cui si ricorda la Banca Romana) nella “nuova” Roma capitale e a Napoli per le
constatare definitivamente come, nonostante il Regno d’Italia avesse compiuto dei progressi
notevoli, vi era sullo sfondo un grave squilibrio territoriale tra le condizioni economico-sociali
I dati sul PIL pro-capite dimostrano, inoltre, la particolare tendenza di tutto il sud Italia a
staccarsi “insieme” dallo sviluppo del resto del Paese (complice anche la fine del
protezionismo degli Stati preunitari che mandò in crisi quelle poche attività che in maniera
scarsamente produttiva riuscivano a stare sul mercato). A riguardo fanno riflettere i dati della
Campania (che il 1871 aveva una media di PIL pro-capite pari a 107,2) e della Sicilia, che
Ma quali sono i momenti in cui il divario nord sud cresce e si consolida? Per rispondere a
questa domanda ci vengono in soccorso gli studiosi Emanuele Felice e Giovanni Vecchi che
in “Italy’s Modern Economic Growt”, nel grafico dei divari regionali per macro-aree, mettono
in evidenza che, a partire dal 1871 e fino al 1951, la quota di PIL pro-capite in tutto il sud
Nel 1865/66 in Sicilia e nel napoletano entrò in crisi l’industria cotoniera che fu
definitivamente affossata dalla fine della guerra di secessione americana che riportò il cotone
33
3.4 La rivoluzione industriale nel Regno d’Italia
all’Inghilterra, arriva in ritardo tanto da inserire il nostro paese tra i cosiddetti second comers,
Partita in Inghilterra a cavallo tra il XVIII e il XIX la Rivoluzione industriale aveva già
si affaccia nel nostro Paese, lo fa con estremo ritardo e avviene nel periodo della cosiddetta
seconda rivoluzione industriale e tuttavia non portò immediatamente il Paese al centro del
sistema economico. L’Italia per lungo tempo fu un paese periferico riguardo ai grandi processi
Lombardia e il sostegno statale per lo sviluppo della siderurgia a Napoli, l’Italia passò -
utilizzando le parole di Vera Zamagni - “dalla periferia al centro del sistema economico” solo
per il 58% al prodotto privato lordo, con il 20% dell’industria e il 22% del terziario.88 Solo
nel “decennio giolittiano” (tra il 1901 e il 1913) l’Italia compie un primo balzo in avanti tra i
Paesi più industrializzati che di fatto coincide con il termine delle opere infrastrutturali
I primi atti di politica economica del Regno riguardarono l’unione di tutti i debiti degli stati
milioni di lire, che aumentò (anche a causa della debolezza della finanza statale) a dismisura
fino al 1865 quando il deficit raggiunse i 2.178 milioni di lire e il debito pubblico aumentò di
l’Austria, le quotazioni dei titoli pubblici nazionali crollarono e l’Italia fu costretta a decretare
il corso forzoso della Lira e quindi la sua inconvertibilità in oro. Inoltre si dovette procedere al
necessità che comportò l’introduzione di nuovi tributi tra i quali la più discussa: la tassa sul
macinato. Ricorrendo a un prestito estero di 644 milioni di lire in oro e argento, nel 1883 fu
reintrodotta la convertibilità delle banconote e l’evento ebbe effetti benefici che portarono a
Il nuovo Regno investì molto sulle ferrovie e sulla marina e nonostante le difficoltà
vendere le ferrovie, queste furono riacquistate il 1905. A partire dal 1861, l’investimento in
infrastrutture ferroviarie era stato pari a 12.600 milioni, una cifra pari al reddito nazionale
italiano del 1900. Gli investimenti importanti non si fermarono solo alle strade ferrate e
avevano coinvolto anche la marina mercantile che riuscì a quasi raddoppiare il tonnellaggio
dal 1862 al 1870 e nello stesso periodo triplicò il tonnellaggio delle navi a vapore. Un
problema nuovo sorse sul principio degli anni ‘70, quando i velieri (che in maggior parte
componevano le flotte italiane) furono sostituiti con le navi a vapore, momento in cui
emersero con forza le debolezze del sistema industriale italiano e l’assenza di tecniche
innovative che si unirono alla debolezza storica dell’assenza di materie prime e che portarono
gli armatori ad acquistare le navi a vapore soprattutto all’estero visto che quelle prodotte in
Il cotone ben presto diventò il ramo principale dell’industria tessile. Indicativi i dati delle
importazioni di cotone greggio che passarono dalle 12.500 tonnellate del 1861 alle 200 mila
tonnellate del 1910, mentre le esportazioni passarono da 300 a 49 mila tonnellate dal 1861 al
89 V. Giura, Lezioni di Storia Economica, Edizioni scientifiche italiane, 1987
90 V. Giura, Lezioni di Storia Economica, Edizioni scientifiche italiane, 1987
35
1913. Nel 1914, in Italia c’erano 4 milioni e 600 mila fusi e 120 mila telai 91. Molto meno
non deve ingannare quanto abbiamo visto, in realtà nel 1901 in Italia i settori metallurgico e
meccanico contribuivano per il 12% alla manifattura del paese, mentre in Germania per
esempio, alla stessa data, il settore metallurgico e meccanico contribuiva del 26%92.
Il 1861, anno simbolo dell’unità, il Regno d’Italia produceva 26.551 tonnellate di ghisa
d’altoforno e 30.000 tonnellate di ferro laminato, mentre solo l’Inghilterra, il 1860, aveva
prodotto 3.890.000 tonnellate di ghisa d’altoforno. Alla base di queste differenze tra l’Italia e
altri paesi europei, vi era l’arretratezza della tecnica e, soprattutto, la mancanza di materie
prime come ferro e carbone. Indicativa è la produzione di minerali di ferro il 1914 che in
Italia era pari a 700 mila tonnellate, quando la Germania ne produceva 220 milioni e
Ulteriore contributo all’industria venne dal settore edilizio dovute al “nuovo” urbanesimo
che portò città come Roma, Torino e Milano a raddoppiare la loro popolazione.
Importanza non secondaria, nel processo di industrializzazione del Paese, ebbe la forza
idraulica che servì a produrre energia elettrica che passò dai 3 milioni di kilovattore del 1881-
1900 a 752 milioni di kilovattore del 1901-1094 dove, accanto alle industrie di produzione di
Magneti Marelli.
Nel primo decennio unitario aumentarono, come già evidenziato, le importazioni del 61% e
le esportazioni del 92%. I primi vedevano protagonisti il carbone, il ferro, l’acciaio, il cotone,
cedettero il passo ai prodotti industriali intorno ai primi anni dieci del ‘900.94
37
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