Il Parco è inserito nel comprensorio montano soprastante l’alta pianura friulana.
L’area protetta si estende dalla provincia di Pordenone a quella di Udine ed abbraccia la Valcellina. Il Parco Naturale delle Dolomiti Friulane è il più vasto dei due soli Parchi del Friuli-Venezia Giulia: con un’area di 36.950 ettari. Il territorio, considerato di grande interesse geologico, ambientale e naturalistico, è caratterizzato da un alto grado di wilderness, particolarmente percettibile grazie all’assenza di strade di comunicazione La ricchezza floristica dipende dall’occasione di rifugio e di sopravvivenza che è stata data da questi territori ad innumerevoli specie durante il periodo di espansione dei ghiacciai. Oltre, quindi, alla molteplicità di specie tipiche della fascia temperata, sopravvivono degli autentici endemismi, cioè organismi differenziatisi in loco in tempi lontani e rimasti oggi isolati in aree originarie e circoscritte. l’Arenaria huteri, la Gentiana froelichi, la splendida Pianella della Madonna (Cypripedium calceolus), la Daphne blagayana Stabilmente possiamo trovare: camosci, caprioli, marmotte, galli cedroni, galli forcelli, cervi e una consistente colonia di stambecchi in continua espansione. Segno dell’elevato grado di naturalità dell’ambiente del Parco è la consistenza dell’aquila reale; in ogni vallata si stima la presenza di una coppia nidificante. Il disastro del Vajont si verificò la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nell'omonima valle (al confine tra Friuli e Veneto), quando una frana precipitò dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l'omonima diga; la conseguente tracimazione dell'acqua contenuta nell'invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, mentre il superamento della diga da parte dell'onda generata provocò l'inondazione e distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1.917 persone, tra cui 487 bambini con meno di 15 anni.
Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura,
furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell'opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Dopo la costruzione della diga si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni l'ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità, anche se supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolosità i dati a loro disposizione, con beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici. PARCO NATURALE PREALPI GIULIE Il territorio del parco si estende tra le Prealpi e le alpi Giulie. Le cime principali sono il Monte Canin (2.587 m), il Monte Plauris (1.958 m), la catena dei Monti Musi (1.869 m). Nell’area del Parco convivono specie faunistiche di origine meridionale, circummediterranea ed orientale. Sono presenti tutti gli ungulati alpini (capriolo, cervo, camoscio, stambecco e cinghiale) oltre ad altri importanti mammiferi, fra i quali il gatto selvatico, diversi specie di mustelidi, roditori ed insettivori. Negli ultimi anni le presenze dell’orso bruno e della lince sono state ripetutamente confermate da numerose segnalazioni di tracce e avvistamenti in Val di Uccea, Val di Musi e Val Venzonassa. Fra l’avifauna sono state censite 100 specie di cui 89 sono risultate certamente nidificanti e 11 con nidificazione probabile; fra queste sono frequenti diversi rapaci (gufo reale, allocco, civetta capogrosso, aquila reale, astore, poiana, grifoni), tutti i tetraonidi dell’arco alpino (gallo cedrone, gallo forcello, pernice bianca, francolino di monte) e diverse specie di corvidi, picidi e passeriformi. La coturnice simbolo del Parco naturale delle Prealpi Giulie è ben distribuita, favorita dai numerosi ambienti adatti che si trovano sui versanti meridionali dei rilievi. Ben rappresentati sono anche anfibi, rettili ed insetti che trovano nell’estrema variabilità del paesaggio che caratterizza il Parco, condizioni ideali di vita e suscitano l’interesse di appassionati e ricercatori.
La vegetazione che si incontra percorrendo le vallate del Parco è il marcato risultato
dell’azione congiunta di due fondamentali fattori ecologici: il particolare regime climatico ed il substrato geologico. L’elevata piovosità, sui Monti Musi si registrano le più abbondanti precipitazioni a livello europeo, temperature relativamente miti ed escursioni termiche limitate concorrono a determinare un regime climatico di tipo oceanico che favorisce, assieme alla particolare natura dei terreni, lo sviluppo di una vegetazione ricca e diversificata. I dati delle numerose ricerche svolte evidenziano un patrimonio floristico costituito da più di 1250 entità (specie, sottospecie e varietà), pari ad oltre un terzo della flora dell’intera regione Friuli- Venezia Giulia, con 439 generi, 92 famiglie e oltre 60 endemismi (pari al 4,8% del totale) fra i quali la Campanula di Zoys, la Genziana di Froelich, il Raponzolo di roccia e il Papavero delle Alpi Giulie. Basso è il valore delle specie avventizie (1,85% del totale) fatto questo che testimonia l'elevata naturalità dell'area.
RISERVA NATURALE FOCE DELL’ISONZO
La Riserva si estende nell’estremo orientale della pianura padana e comprende l’ultima parte del settore fluviale di alta pianura, caratterizzato da alluvioni ghiaiose, e i settori di bassa pianura con suoli prevalentemente limosi, sede delle vaste bonifiche del ‘900. In questo tratto sono ancora presenti alcuni residui di bosco golenale e corsi d’acqua canalizzati di risorgiva. Nella parte più meridionale dell’area si trova l’intero ambito di foce, ancora in buona parte palustre, caratterizzato dalle alluvioni argillose salmastre e salse (di golena, barena e velma) e dai depositi sabbiosi della barra di foce che emergono con alcuni isolotti. Per quanto riguarda l’avifauna la Riserva ospita il Fischione, l’Alzavola, l’Oca lombardella; in periodo riproduttivo sono presenti il Cavaliere d’Italia, il Falco di Palude, il Gruccione, il Fraticello, l’Edredone e la Beccaccia di mare. Per l’erpetofauna si segnalano la Testuggine palustre e la Rana di Lataste e tra i pesci il Nono ed il raro Storione cobice. Dal punto di vista botanico, l’area della foce dell’Isonzo è rilevante soprattutto per la presenza di numerosi habitat palustri, d’acqua salata, salmastra e dolce. Tipiche alcune specie alofile (“amanti” del sale) come: Juncus maritimus, Limonium narbonense, Salicornia fruticosa, Salicornia veneta, Salsola tragus, Suaeda maritima, Spergularia media, Bolboschoenus maritimus, ecc. L’area dei ripristini è caratterizzata dalla presenza di specie anfibie ed acquatiche rare come Potamogeton polygonifolius, Nymphoides peltata. Più a nord, lungo l’Isonzo sono presenti altri habitat d’acqua dolce: lembi di prato umido e poi magredile dall’elevata biodiversità floristica, boscaglie di salici di greto e boschi golenali. Altri ambienti importanti sono i piccoli canali d’acqua dolce di risorgiva che presentano una elevata diversità nella flora sia acquatica che anfibia.
RISERVA NATURALE MONTE ORSARIO
La Riserva include un'area per lo più boscata, caratterizzata da evidenti fenomeni carsici epigei, in particolare numerose doline e campi solcati con vaschette di corrosione. Il paesaggio carsico si contraddistingue per la presenza di roccia affiorante o subaffiorante e per la scarsità o assenza di acque superficiali, in particolare di reticoli fluviali; le acque che scorrono in superficie vengono catturate in punti idrovori o in inghiottitoi e convogliate all'interno della massa rocciosa carsificata. La macroforma tipica di questo paesaggio è la dolina: termine internazionale derivato dalla lingua slovena che indica una depressione chiusa del terreno a corona subcircolare o subellittica. La dolina è solitamente più larga che profonda e di dimensioni estremamente variabili. Nelle doline è frequente il fenomeno dell'inversione termica, ovvero la temperatura si abbassa a mano a mano che si scende verso il fondo della dolina, mediamente con una differenza di 1°C ogni 14 metri di profondità, ma con record di 1°C per ogni metro di profondità registrati in condizioni meteorologiche particolari. La Riserva è caratterizzata anche dalla presenza di numerosi campi solcati, ovvero rocce calcaree affioranti modellate in varie forme dallo scorrimento delle acque meteoriche nel corso di decine di migliaia di anni. Gli affioramenti rocciosi sono caratterizzati da numerose scannellature, fori e vaschette di corrosione (kamenitze o Napfkarren) e sono spesso ingentiliti dalla presenza di licheni epilitici, come ad esempio Verrucaria marmorea. Anche il carsismo ipogeo è ben rappresentato, con numerose grotte, tra le quali la più nota è la Grotta dell'Elmo, così denominata in quanto nel corso della prima esplorazione, nel 1929, ai piedi del cono detritico venne trovato un elmo di bronzo risalente al IV-V secolo. Dal punto di vista faunistico, la Riserva si distingue per la presenza di discrete popolazioni di Gatto selvatico, ma anche l'Orso e lo Sciacallo dorato sono stati segnalati più volte. Dal punto di vista avifaunistico, l'attuale fase di imboschimento spontaneo ha causato la regressione di specie tipiche degli ambienti aperti quali gli Alaudidi e favorito la presenza di alcuni rapaci quali l'Astore e lo Sparviere, nonché l'ingresso di specie legate di norma a boschi montani come il Picchio nero. E' regolare la presenza di Succiacapre, Gufo reale, Biancone, Falco pecchiaiolo, Averla piccola e Tottavilla. Tra i rettili va citata la presenza della Vipera dal corno e dell'Algiroide magnifico, che trova sul Carso il limite occidentale del suo areale. Le vasche di dissoluzione di maggiori dimensioni vengono utilizzate da Rospo comune e Tritone punteggiato come siti riproduttivi. La Riserva ospita anche specie entomologiche interessanti quali il Cervo volante ed il coleottero di importanza comunitaria Morimus funereus. Dal punto di vista vegetazionale, l'area è per lo più coperta da boscaglia carsica a carpino nero e roverella, ma sono presenti anche boschi a rovere e cerro. Nel sito vi sono alcune aree a landa carsica piuttosto arida (ambienti di transizione tra il Carici humilis-Centaureetum rupestris e il Chrysopogono-Centaureetum cristatae). Fra le specie caratteristiche della landa carsica sono da ricordare Centaurea rupestris, Onosma helveticum ssp. fallax, Cytisus pseudoprocumbens, Genista sericea, Genista sylvestris, Euphrasia illyrica, Centaurea cristata ed Euphorbia fragifera, Crocus reticulatus, Potentilla tommasiniana e Gentiana tergestina. L'intenso incespugliamento della landa, fenomeno certamente negativo per la conservazione della biodiversità e provocato dall'abbandono negli ultimi decenni delle attività agricole tradizionali, ha reso tuttavia possibile la presenza di alcune specie rare di orlo e di mantello quali Rosa gallica e Trifolium ochroleucon.
RISERVA NATURALE DI DORBERDO’ E PIETRAROSSA
Nell'area si trovano due depressioni che durante i periodi piovosi si riempiono dall'acqua di falda formando così i laghi carsici di Doberdò e Pietrarossa. Nei laghi carsici il livello dell'acqua è molto variabile, alternando periodi di allagamento (primavera e autunno) con periodi di prosciugamento (inverno ed estate). Il Lago di Doberdò, assieme al Lago di Cerknica in Slovenia, è uno dei pochi esempi in Europa di lago carsico. Il livello delle sue acque varia in relazione alle portate dei fiumi Vipacco ed Isonzo, le cui acque alimentano il lago attraverso il sistema ipogeo del Carso goriziano. L'acqua di falda fuoriesce attraverso le sorgenti carsiche localizzate lungo il limite occidentale del lago. Lungo quello orientale, invece, vi sono numerosi inghiottitoi, attraverso i quali l'acqua scompare e dopo un breve tratto sotterraneo ricompare per formare il Lago di Pietrarossa. Durante i periodi di magra dei fiumi Vipacco e Isonzo il livello dell'acqua cala e del lago rimangono dei canali e poche pozze, la più grande delle quale ha un diametro di 40 m e viene chiama Bezen. Il secondo lago, il Lago di Pietrarossa, si trova su una fascia di terreno alluvionale di forma allungata. Le sorgenti dalle quali nascono i ruscelli che alimentano tutta la zona si trovano nella parte nord-occidentale, mentre nella parte sud-orientale si estende il lago e il ruscello emissario. Il paesaggio vegetale è caratterizzato dalla landa carsica pascoliva a Chrysopogon gryllus e Centaurea cristata, e formazioni arbustive termofile con la marruca (Paliurus spina-christi), nonché da associazioni acquatiche e delle zone umide. Superfici estese sono occupate dalla boscaglia carsica a carpino nero e roverella, ma sono presenti anche boschi a rovere e cerro. Alcune aree sono state oggetto di impianti artificiali a pino nero (Pinus nigra), mentre le zone più soggette alle inondazioni periodiche sono occupate dalla vegetazione arborea ripariale a salici e pioppi. Per quanto riguarda il Lago di Doberdò, e soprattutto il tratto sudoccidentale, si rileva una sottile striscia di bosco ripario formato in prevalenza da Salix alba e Populus nigra (Salicetum albae), ove, in base all'umidità edafica decrescente, possiamo distinguere una fascia a Carex elata, una a Cornus sanguinea e una a Ulmus minor. Al Lago di Pietrarossa risultano molto sviluppati i saliceti a Salix cinerea e Frangula alnus (Salicetum cinereae). Nel Lago di Doberdò risultano essere molto sviluppati i magnocariceti con vistose fioriture di Leucojum aestivum (Caricetum elatae) e la vegetazione acquatica (Potamogetonetum lucentis, Hottonietum palustris, Myriophyllo-Nupharetum); sono presenti, inoltre, ampie distese di canneti d'acqua dolce (Phragmitetum australis). Nell'ambito della vegetazione idrofila sono da ricordare inoltre l'associazione Cladietum marisci, dominata appunto dal falasco, grande erba dalle foglie taglienti, che è una tipica associazione di fase d'interramento di stagni e paludi e che spesso predilige i punti di risorgenza delle acque, ed il Serratulo-Plantaginetum, una prateria igrofila che si sviluppa su suoli argilloso-sabbiosi sottoposti a periodiche esondazioni e a disseccamento estivo e di cui proprio al Lago di Pietrarossa troviamo il limite più settentrionale dell'associazione. La particolare idrologia consente la vita a comunità ittiche in grado di sopportare ampie variazioni termiche dell'acqua e forti diminuzioni dell'ossigeno disciolto. Pertanto, nel Lago di Doberdò è presente una comunità ittica quasi esclusivamente a pesci ciprinidi tipici di acque a corso lento o lacustri. Nelle zone prossime alle sorgenti si possono rinvenire specie come lo scazzone (Cottus gobio) e la sanguinerola (Phoxinus phoxinus) che pur essendo largamente euriterme e tollerando bassi tassi di ossigeno disciolto esigono una certa abbondanza di acqua e una leggera corrente. Sono inoltre presenti il triotto (Rutilus erythrophthalmus), la tinca (Tinca tinca), la scardola (Scardinius erythrophthalmus), il cobite comune (Cobitis taenia), il ghiozzo padano (Padogobius martensii) e l'anguilla (Anguilla anguilla). Nella zona del Lago di Doberdò è presente il proteo (Proteus anguinus), anfibio cavernicolo endemico del Carso, che è stato più volte osservato in occasione dell'emergenza di acque di falda sotterranea. Tra gli altri anfibi sono presenti Salamandra salamandra, Triturus carnifex, Triturus vulgaris, Bufo bufo, Bombina variegata, Rana dalmatina, Rana esculenta. Tra i serpenti troviamo Natrix natrix, Natrix tessellata, Coluber viridiflavus, Elaphe longissima e la vipera dal corno. Tra le lucertole si cita Algyroides nigropunctatus, Podarcis melisellensis fiumana, Podarcis muralis e Lacerta bilineata.