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2° MEDITAZIONE - LUNEDÌ 5 GIUGNO

Prima di iniziare un incontro io dico sempre “Madre della sapienza”, non per vincere la
nostra ignoranza, ma per vincere la nostra insensibilità. Cioè si invoca la Madonna per poter gustare
le cose che, probabilmente già sappiamo, ma non riusciamo ad assaporarle. “Madre della sapienza”
è l’invito ad assaporare, a gustare.
La scena evangelica che anticipa quello che abbiamo spiegato questa mattina, che è
avvenuto alla sera del giorno della risurrezione, è il racconto del battesimo di Gesù al Giordano.
Per noi rappresenta la conferma, la garanzia, di quel “non abbiate paura, i vostri peccati sono
tutti perdonati. Al Signore è piaciuto darvi la sua comunione”.
Per illustrate questa verità vi ricordo la descrizione secondo il vangelo di Matteo. Vi leggo
brevemente i versetti in modo che nella spiegazione voi abbiate ben presente la successione delle
frasi.
“Gesù dalla Galilea venne al Giordano, da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni
però voleva impedirglielo dicendo sono io che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da
me?”. La prima risposta è quella da cogliere: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo
ogni giustizia”. Tenete presente questa frase: conviene che adempiamo ogni giustizia, che è una
frase un po’ misteriosa di per sé. Giovanni lascia fare. Appena battezzato - non viene descritto il
momento del battesimo - viene descritto ciò che avviene subito dopo: “Gesù uscì dall’acqua ed ecco
si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra
di lui”.
Due elementi: si aprono i cieli e viene lo Spirito. Quello Spirito che il giorno della
risurrezione soffia sugli apostoli. E’ lo stesso Spirito. Ed ecco (il terzo elemento) una voce dal cielo
che diceva: “questi è il figlio mio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento”. Per noi si tratta
di entrare nella descrizione di questo mistero perché ci riguarda intimamente. Non riguarda
semplicemente quello che è avvenuto a Gesù o per Gesù, ma riguarda la nostra umanità che in lui
ha vissuto questo mistero.
Comincio con l’espressione che Gesù usa per convincere Giovanni a battezzarlo: “Lascia,
perché conviene che adempiamo ogni giustizia”. Non dice che adempiamo “una” o “la” giustizia.
Dice: “ogni giustizia”. La prima cosa da percepire nettamente è che Gesù non si attiene
semplicemente alla legge. Il suo comportamento parla di una sovrabbondanza assolutamente
gratuita dal punto di vista della legge. Questa è la prima cosa da notare. Che poi resterà sempre
come sottofondo nell’agire di Gesù: quando discute con i farisei, quando racconta le parabole,
quando viene accusato di fare una certa cosa non secondo la legge. C’è sempre nel suo parlare, nel
suo agire, nel suo presentarsi, questa sovrabbondanza e questa sovrabbondanza fa riferimento alla
generosità di Dio nei nostri confronti che è una generosità di misericordia che va ben al di là della
legge. In che senso in questo momento Gesù dicendo a Giovanni “lascia fare” allude a questa
sovrabbondanza?
Gesù non è un peccatore: è innocente, ma si mette in fila con i peccatori e quando invita
Giovanni a battezzarlo e davanti a tutti, tutti vedono che è uno dei peccatori. L’unico a sapere che
non è peccatore è Giovanni (oltre allo stesso Gesù naturalmente!). E Giovanni facendo quella cosa
fa una cosa o inutile, quindi superflua, oppure fuori posto. Non corrisponde a nulla secondo la
legge. Ma Gesù continua: lascia! Questo accodarsi alla fila dei peccatori, questo farsi ritenere come

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un peccatore, questo confermare il ministero di Giovanni per la remissione dei peccati, fa proprio
parte della sovrabbondanza di Gesù. Questa sovrabbondanza è in ragione del mistero della sua
persona. Se Dio deve manifestarsi a noi, può manifestarsi nella sua gloria di Dio? Ci
distruggerebbe, no? Se Dio dovesse far valere il suo amore, come lo vogliamo far valere noi (= io ti
amo sì, ma tu devi rispondere!), può farlo come uno di noi?
Non so se voi avete notato che proprio nell’amore (si vede bene proprio nel rapporto uomo-
donna però vale in genere), noi abbiamo come nascosta una grande paura, la paura che l’amore
sarebbe goduto se noi fossimo innocenti, ma siccome innocenti non siamo, abbiamo paura che
l’altro, scoprendo quello che non siamo, ad un certo punto si ritira. Questo tipo di paura, misteriosa
finché volete, però è presente, in qualche modo fa da tarlo a tutti i rapporti, anche a quello con Dio,
tanto che l’uomo nella sua, da una parte generosità, ma dall’altra “stupidità”, immagina di
rispondere a questa paura cercando di essere il più innocente possibile.
Pensate per esempio al concetto di perfezione. Cioè: io, se cerco di non fare peccati sono
accolto da Dio. L’uomo non si rende conto che questo modo di ragionare non è evangelico perché
non tiene conto e della sua realtà, ma soprattutto della realtà di Dio. Non tiene conto che Dio, non
solo non ha bisogno del nostro amore, ma ce ne dà in sovrabbondanza. Ma noi, che abbiamo sempre
questa paura, non riusciamo ad accogliere questo amore. Allora, le descrizioni del battesimo, come
di quello che abbiamo spiegato questa mattina, come anche del modo di presentarsi di Gesù nel
vangelo, è proprio per convincerci che noi, per quanto vogliamo essere innocenti, davanti a Dio non
lo siamo mai! Mai! Se non lo siamo mai e noi attiviamo questa paura di essere accolti nell’amore
perché non siamo innocenti, noi ci stacchiamo da Dio.
Tutto l’invito del vangelo è: non avete bisogno di “pulirvi” avete solo bisogno di allargare il
cuore e ricevere l’amore. E’ quell’amore lì che vi pulisce. Non che noi dobbiamo prima pulirci per
ricevere l’amore. Questo è di nuovo la conseguenza di quello che dicevo questa mattina. La prima
cosa da accettare – non è per niente semplice, e per voi donne è ancora più difficile. Noi uomini
siamo più superficiali, ma per voi è più complesso – allora, proprio per questo noi continuamente
dobbiamo ritornare alle Scritture, a come viene presentato Gesù nel vangelo, a come viene
presentato Gesù per renderci conto che anche se non ci sembra, le cose stanno così: cioè che
l’amore di Dio ci sopravanza. Quel “ogni giustizia” è allusivo proprio al fatto che Dio, quando si
dice “Dio ama per primo Dio ama gratuitamente”, vuole dire questo. Per noi fare esperienza
dell’amore di Dio che è un amore di misericordia, vuol dire essere perdonati. Non “sono così bravo
che Dio mi premia!”. Non “sono così a posto che per forza Dio mi deve prendere!” . E’ tutto il
contrario!
La descrizione che viene fatta subito dopo il battesimo ci certifica questa cosa. I cieli si
aprono e scende lo Spirito. Nel passo parallelo di Marco si dice addirittura che i cieli si squarciano.
A sottolineare anche qui la radicalità di questo fatto. I cieli non sono più preclusi alla terra. Il fatto
che si squarcino vorrebbe dire che la terra ha diritto al cielo e il cielo alla terra. Sono di nuovo in
comunione e nel vangelo di Marco si nota bene questo perché quando poi Gesù morirà in croce si
dice: noi traduciamo “il velo del tempio”, ma è il velo dei Santo dei Santi, vale a dire della dimora
di Dio in mezzo a noi, vale a dire: non c’è più preclusione, la porta è aperta, cioè Dio è in
comunione con noi e quello che Gesù ha vissuto lo certifica.
Io a volte dico: ma perché non siamo convinti? Ma perché non ci convinciamo? Però questa
è la rivelazione del vangelo. Pensate: quando Gesù dirà – e lo vedremo in un secondo tempo –
“entrate per la porta stretta” sarà una porta stretta, ma è una porta aperta. E’ stretta non perché è
piccola. E’ stretta perché noi non la prendiamo sul serio. E’ stretta perché per il nostro sentire

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varrebbe: perché il Signore non ci fa perfetti? Perché il Signore ci lascia ancora i peccati nonostante
che noi vorremmo non farli? Lo “stretto” denota la contrapposizione tra la rivelazione dello Spirito
e l’esigenza della carne. Stavolta non prendetela nel senso negativo: carne come fonte di peccato.
No. E’ carne come tutta la dimensione istintiva che noi abbiamo, anche spirituale. Quella porta
stretta è proprio lui. Non è la difficoltà che noi dobbiamo superare. La nostra difficoltà è a dare
fiducia a lui che veramente certifica che l’amore di Dio per noi è radicale, cioè non ha bisogno che
noi gli facciamo qualcosa in anticipo, che noi diventiamo innocenti.
Questo è la prima cosa. Poi consideriamo la voce. La voce certifica che il versetto che anche
i sinottici riportano: “questi è il figlio mio, l’amato”. Una volta si traduceva “il figlio mio
prediletto”. La differenza di traduzione credo sia data da questo: siccome fa riferimento al figlio
unigenito, calcolato come primogenito, non perché dopo ce n’è altri, ma nel senso dell’amore
esclusivo rispetto al primogenito. Prima si diceva “prediletto” ma l’aggettivo è assoluto. Non è
“prediletto” cioè “più amato di altro” non è così: è amato “assolutamente”, è amato “radicalmente”.
“Il figlio amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. Guardate che questa espressione nasconde
davvero dei misteri immensi che se la nostra anima, il nostro cuore, impara a riconoscerlo, poco a
poco entra proprio nella vita di Dio.
Questa frase è costruita da tre citazioni: una citazione dalla torah, dalla legge, dal
Pentateuco, un’altra dai profeti e la terza dai salmi. Questo, nella mentalità ebraica, rappresenta tutta
la Scrittura. Da notare che in quella espressione si raccoglie tutto ciò che è stato espresso nella
rivelazione. Non solo, ma quella frase esprime tutto ciò di cui noi abbiamo bisogno di comprendere,
di accogliere quando noi leggiamo le Scritture. E’ un po’ dal punto di vita di Dio e dal punto di
vista dell’uomo, è la pienezza, e allora dobbiamo cercare di entrare per cogliere la portata di questo.
I passi sono di questo tipo. Genesi 22 ricorda il figlio di Abramo, Isacco: “Dopo queste cose
Dio mise alla prova Abramo e gli disse: Abramo. Rispose. Eccomi. Riprese prendi tuo figlio, il tuo
unigenito che ami”. Nella versione dei 70 in greco, usa gli stessi termini che usa il vangelo. “Isacco
e va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto sul monte che io ti indicherò”.
Il tuo unigenito che ami. Forse una delle difficoltà che noi abbiamo quando leggiamo le frasi
della Scrittura è che in genere cerchiamo di comprendere solo con la testa. Voi pensate per esempio
all’emozione con cui sono pronunciate e ascoltate certe parole. Se voi percepite la vitalità, la
profondità, il coinvolgimento emotivo di certe frasi, non passerebbero tranquillamente nella testa.
Noi intuiremmo la profondità. In questo “il tuo unigenito che ami”, pensate alla vicenda di Abramo:
quanti anni ha aspettato questo figlio? Che cosa rappresentava questo figlio per lui? Qui c’è tutto il
destino di Abramo e di colpo sembra che debba rinunciare a tutto. C’è tutto il suo affetto di padre
per il figlio, ma c’è molto di più perché quel figlio è il figlio della promessa. Definisce la verità di
quello che Abramo ha sentito. Mi sono immaginato che Dio mi abbia chiamato o è vero? Quel figlio
rappresenta la riprova. Nel fior dell’età di questo figlio lo deve sacrificare. Notate che per un ebreo
sentire che deve sacrificare il figlio significa esser abbinato alle popolazioni pagane. Ma come? Dio
chiede questo? Dentro questa espressione c’è un mondo di emozione, di storia, di intimità, anche di
problematicità. E Abramo accetta.
Nell’episodio del battesimo viene raccolta nell’espressione che dice la voce, viene raccolta
tutta questa drammaticità passionale che riguarda Dio ma riguarda anche l’uomo. Poi la seconda
citazione del profeta riguarda Isaia. E’ il capitolo 42 di Isaia. Sarebbe il primo canto del servo di
Javhé dove non parla di figlio. Parla di servo. “Ecco il mio servo che io sostengo”. Il servo è
depositario di una elezione. Infatti si parla di “il mio eletto” , ma è sempre un figlio: “il mio eletto in
cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui”. E poi c’è “porterà il mio diritto alle nazioni” e

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poi vedete il capitolo 42. La particolarità di questa citazione di Isaia è legata al fatto che quel figlio
non è considerato come seconda persona della Santissima Trinità, ma è considerato nel suo essere
inviato a essere figlio dell’uomo. Quel figlio è considerato nella sua umanità. Quando di Gesù si
dice che è il servo, si allude alla sua obbedienza come uomo. Nella sua umanità. Ora quell’umanità
denota noi. Quando di Gesù si dice che lui è il servo perché ha assunto la nostra umanità vuol dire
che in quell’umanità ci troviamo noi perché è la nostra umanità che ha assunto. Non è una umanità
particolare, speciale. E’ la nostra! E poi, dopo, quella del salmo: “Mi ha detto: tu sei mio figlio. Io
oggi ti ho generato”. E’ la figliolanza. Ecco perché sotto le citazioni bibliche, sulla lavagna, ho
messo quei tre termini: figlio, servo, agnello.
Chi ha studiato l’aramaico ricorda che in aramaico figlio, servo e agnello sono indicati in
una parola sola. In greco figlio e servo c’è una parola sola. E’ caratteristico che anche la struttura
linguistica sottolinea l’unità di queste tre figure: figlio, servo, agnello. La cosa straordinaria è che
non può essere figlio senza essere servo, senza essere agnello. Non può essere servo, senza essere
figlio, senza essere agnello. Ricordate: figlio denota l’intimità con il Padre nel suo amore per noi.
Servo la disponibilità a vivere questo amore nella sua umanità. Agnello, fino alla morte!
Tutte e tre le cose stanno insieme. Quando la voce conclude l’espressione: in lui mi
compiaccio. Mi compiaccio per queste tre cose. Pensate questo. Quella compiacenza di Dio non
riguarda la figliolanza divina del figlio, riguarda la sua natura di servo. Quella compiacenza è
esattamente quella compiacenza che ci deriva dal fatto di accogliere l’amore di Dio che non ci
chiede nulla, chiede solo di essere accolto. Chiede solo di poter farlo entrare. Non butta giù la porta.
Ci sono alcune raffigurazioni: quando si rappresenta Gesù che bussa alla porta, secondo l’immagine
dell’Apocalisse, “Io sto alla porta e busso”. Per sottolineare che l’offerta del suo amore non è
violenta, ci vuole il nostro consenso, la porta alla quale Gesù bussa, non ha una maniglia esterna. La
maniglia è solo all’interno. Cioè la possiamo aprire solo noi.
C’è un antico detto rabbinico. La porta del nostro cuore spesso è come un muro, ma al
Signore basta che ci sia un foro grande come la capocchia di uno spillo. E’ sufficiente quel buchetto
perché il Signore possa entrare. Ma quel buchetto ci deve essere, cioè che denota l’accoglienza che
noi dobbiamo dare all’amore di Dio. Potrei riprendere le cose spiegandole in questo modo. “Amato”
o anche “in lui ho posto tutto il mio compiacimento”, non dice soltanto l’intimità goduta tra il Padre
e il Figlio, ma ha attinenza a quello che poi nel vangelo di Giovanni al capitolo 3 in quel colloquio
tra Gesù e Nicodemo Gesù dirà: “Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo figlio unigenito”.
Allude a quello. Ha attinenza al mistero dell’amore del Padre per l’umanità di cui il figlio è il
rivelatore. Quando diciamo che lui è il volto visibile del Dio invisibile intendiamo questo. E’
l’Amato perché il suo amore di Padre in lui è perfetto nel senso che in lui si compie perfettamente il
suo volere di benevolenza per l’umanità. E’ questa la cosa da cogliere e il figlio non ha altro volere,
se non quello di compiere perfettamente questa volontà del Padre nei nostri confronti. Noi, quando
ascoltiamo le parole di Gesù, le sentiamo provenire da questa intimità? Le sentiamo provenire da
questa sorgente?
Quando Gesù dice: “Mio cibo è fare la volontà del Padre” allude a questo. E poi, si può
anche spiegare così: è amato non solo perché il suo cuore si volge tutto verso di lui, ma anche si
riposa, sta soddisfatto, e ne ottiene la risposta più piena. L’amore è perfetto. Allude a questo. Però
come accennavo prima, il risvolto tutto speciale di questa rivelazione sta in un altro punto. E’ che lo
sguardo di predilezione del Padre sul Figlio concerne il Verbo nella sua umanità nel suo essere
servo.

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Il Messia è identificato nella sua natura di servo e questo è uno dei motivi per cui l’amore di
Gesù non è mai immediato, non è mai scontato. Tu vedi una grande dimostrazione. La si può
vedere, ma il cuore non si convince automaticamente. Dire che il Messia è definito nella sua natura
di servo significa dire che l’amore di Dio per noi non è mai scontato. Non è mai così coinvolgente,
così conquistante che il cuore dice: è evidente. Sì, perché è nella natura di servo. E se pensate che la
rivelazione più grande dell’amore di Dio per noi che in Gesù si manifesta (prendete le mie parole
con beneficio di inventario) non è avvenuto sulla croce ma è avvenuto con il lavare i piedi dei
discepoli. Perché? Quando Gesù è sulla croce ha già accettato questo sacrificio.
Se voi leggete con attenzione il racconto della passione di Gesù, dalla preghiera del
Getsemani fino alla cattura, al processo, voi vedete che il dramma di Gesù avviene al Getsemani.
Poi quando dice: “alzatevi e andiamo!” lui è pronto ad affrontare quella che sarà la prova. Il
dramma viene. Questo dramma, questa prova, nel suo significato di rivelazione è tradotto da Gesù
con il lavare i piedi ai discepoli perché nell’antichità il gesto del lavare i piedi era un’azione che
veniva richiesta agli schiavi, ma gli schiavi ebrei erano esentati da questo compito. Nessun padrone
romano poteva domandare al suo schiavo ebreo di lavargli i piedi cioè la legislazione del tempo
aveva già accettato questo. Gesù va oltre la legge. Lui da ebreo lava i piedi a ebrei. Lui da maestro
lava i piedi ai suoi discepoli.
Gesù si presenta come lo schiavo degli schiavi, cioè il punto più basso della scala sociale lo
raggiunge, non sulla croce, ma quando lava i piedi ai discepoli. Noi non cogliamo più questo. Il suo
mettersi il grembiule indica questo servizio, ma non come intendiamo noi: vado a fare un servizio di
carità. E’ la manifestazione della profondità dell’amore di Dio che si pone e a nostro servizio come
l’ultimo. Non c’è uno spazio più basso da immaginare. Non esiste. Cioè lo spazio più basso che si
può immaginare lui lo ha vissuto. E’ in ragione di questo servizio che i discepoli possono
incominciare – poi ci vorrà tutta la passione, la crocifissione - possono cominciare a percepire la
rivelazione della grandezza dell’amore di Dio.
Noi è come se facciamo fatica a cogliere questo perché fino in fondo non ci crediamo. Noi
pensiamo che sia un gesto per insegnare cioè Gesù ha fatto questo e poi dice: mi raccomando fatelo.
Cioè è evidente questa esortazione, ma se non se ne comprende la portata, non si farà quella cosa e
la portata è come i padri spiegano: l’umiltà è il vestito della divinità. Non una disposizione che noi
dobbiamo imparare ad assumere perché se no non godiamo dell’amore di Dio. No. E’ il vestito della
divinità. Cioè Dio si può rivelare a noi solo così. Di tutto quello che noi diciamo di Dio, pensiamo
per esempio ai filosofi, noi non sappiamo esattamente se le cose corrispondono a verità, ma di
questa cosa: che Dio ama l’uomo e lo ama facendosi servo, è l’unica cosa sicura che noi possiamo
dire di Dio. E di nuovo ripeto: questa unica cosa sicura è proprio quella che noi mettiamo sempre in
dubbio nella nostra vita. Basta una malattia, una prova della vita, e noi subito mettiamo in
discussione questo. E allora ritorno a dire: se Dio manifesta il suo amore a noi, lo manifesta nella
forma di servo ed è per questo che non è mai automatico riferirsi all’amore di Dio come una cosa
scontata.
Tirate voi le conseguenze perché ci sono molte conseguenze da come noi viviamo l’amore
fraterno. Mi fermo qua. Di per sé le cose sono molto dense però di nuovo tutto si può pescare in
questo episodio del battesimo di Gesù. Potete tornarci su tante volte proprio come preghiera, perché
lì c’è in anticipo quello che Gesù mostrerà nell’ultima cene e che vivrà nella sua passione e che ci
ridonerà il giorno della risurrezione con l’invio dello Spirito Santo.
Tutto questo è il contenuto: in te ho posto il mio compiacimento. Questo compiacimento lo
abbiamo già su di noi. Ma perché non lo sentiamo mai? Perché siamo sempre nel dubbio, sia per noi

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stessi e sia per gli altri. Cioè quel “madre della sapienza” dobbiamo imparare ad essere molto più
sensibili, molto più permeabili all’amore di Dio. Non pensate alla vostra perfezione tanto non
interessa a nessuno. Ma l’amore vostro sì interessa! L’invito è: quando noi ascoltiamo il vangelo
cercare di cogliere tutto il coinvolgimento emotivo che c’è dentro, tutto il dramma passionale che
c’è dietro e così anche per noi diventerà molto più espressiva questa rivelazione dell’amore di Dio
per noi che in Gesù si manifesta.
E domani continueremo nel nostro tragitto.

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