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Thomas Niedermayr
IperBio, SuperBio, HyperBio. Sono molti i modi per riferirsi alla conduzione agronomica possibile
attraverso l’uso di vitigni resistenti.
Non fraintendiamo però…Resistente non significa immune, il sinonimo più calzante potrebbe
essere “tollerante”, ciò non toglie il fascino della possibilità di produrre vino di qualità rispettando
l’ambiente e perché no, snellendo il lavoro al viticoltore.
Un lungo percorso il cui approccio affonda le radici in Francia tra fine 800 e inizio 900 con
l’obiettivo di selezionare varietà resistenti al flagello della fillossera, oltre che a peronospora, oidio
e botrite.
La produzione di questi individui resistenti si ottiene tramite incrocio, cosa che avviene
naturalmente e che attraverso la selezione dell’uomo durata migliaia di anni ha portato alle varietà
che oggi conosciamo.
Nel caso dei PIWI gli incroci sono “pilotati”, si procede fisicamente alla fecondazione incrociata di
diverse piante che presentano specifiche resistenze alle malattie.
Il mondo dei vitigni resistenti ha lottato e tuttora lotta con la disinformazione…Tuttavia l’interesse
da parte del pubblico è sempre maggiore in quanto è una delle vie perseguibili per tutelare
ambiente, salute e la viticoltura in generale.
VINI IN DEGUSTAZIONE
PIWI è un acronimo nato nel 1999 quando viticultori di Svizzera, Germania, Austria e SudTirolo
crearono un nome commerciale per questa tipologia di vitigni.
Applicato alle piante è la capacità ereditaria di essere immuni alle malattie (quindi non contrarle)
oppure di non risentire gravemente degli effetti.
I vitigni PIWI sono caratterizzati dalla particolare resistenza alle malattie fungine.
I PIWI sono frutto di incroci pilotati (impollinazione di Vitigno A ‘produttore diretto’ con vitigno B
‘portatore di caratteristica desiderata’).
Si effettuano incroci multipli fino ad avere la prevalenza della caratteristica del Produttore diretto
pur in presenza della caratteristica desiderata.
I primi ibridi realizzati in questo modo (che è naturale) hanno circa 200 anni. In prevalenza gli
incroci vengono fatti con viti selvatiche ed è necessario ibridare più e più volte fino ad evitare di
avere caratteristiche indesiderate e sgradevoli, come il prevalere dell’aroma delle viti selvatiche.
I PIWI attuali hanno circa il 95-99% del patrimonio genetico del ‘produttore diretto’ con il restante
che è la parte genetica del vitigno ‘portatore della caratteristica desiderata’.
I PIWI si creano per via fecondativa fino al punto di ottenere una pianta dalle caratteristiche
desiderate, dopo per via vegetativa (clonatzione).
• OGM
• CISGENICI (Scambio di DNA tra individui compatibili; è come un incrocio sessuato, ma
fatto in laboratorio, potendo selezionare i geni risparmio tempo)
• GENOMA EDITING (Opero sul DNA inattivando i geni che possono dare problemi o
sensibilità a a parassiti o malattie
Falsi Miti dei PIWI
I PIWI si ottengono con un incrocio interspecifico pilotato, usualmente tra Vitis Vinifera e viti
selvatiche americane od asiatiche.
SEMENZALE AB VITIGNO A
SEMENZALE AAB
… e così via fino ad avere dopo 6/7 cicli di incroci il 95-99% di purezza, cioè di presenza dei
caratteri della Vitis Vinifera, pur con il gene che dà la resistenza desiderata.
• Sensibilità ai patogeni
• Fenologia (epoca germogliamento, allegagione, invaiatura)
• Morfologia (spessore della buccia, dimensione dei vinaccioli)
• Parametri analitici (Zuccheri, PH, terpeni, polifenoli, aromi)
Se il risultato della valutazione sarà soddisfacente, si passerà dalla riproduzione per seme del
vitigno alla clonazione.
Il processo di realizzazione di un vitigno resistente può anche essere molto lungo, comportando 10-
15 anni dall’inizio degli incroci alla autorizzazione all’impianto, considerando la burocrazia
autorizzativa. In proposito in realtà estere, soprattutto nei Paesi che hanno iniziato il movimento
PIWI, la procedura autorizzativa è più snella.
A questo momento esistono circa 250 vitigni PIWI, alcuni dei quali brevettati da aziende che li
hanno sviluppati.
I vitigni PIWI allevati in Italia sono iscritti nel Registro italiano e sono il Bronner, il Cabernet
Carbon, il Cabernet Cortis, il Gamaret, l’Helios, il Muscaris, lo Johanniter, il Prior, il Regent e il
Solaris. Queste varietà sono ammesse alla vinificazione come IGT ma non sono tuttora utilizzabili
per la produzione di vini a denominazione di origine, e diverse regioni, soprattutto al Sud non ne
ammettono neppure la coltivazione
L’uso di vitigni resistenti si inquadra però in una più ampia visione di gestione della resistenza delle
viti agli stress ed alle malattie.
Per esempio, per ovviare agli effetti della siccità si possono utilizzare le Mycorize, funghi simbiotici
che aiutano l’assorbimento di acqua da parte dell’apparato radicale grazie alle loro fittissime ife, in
cambio di zuccheri elaborati dalle radici.
Si possono utilizzare pratiche di Cover Crops per fertilizzare e mantenere l’umidità. (Per noi
ignoranti di collina è il buon vecchio Sovescio).
Un rischio che si può avere con l’uso dei vitigni resistenti è che il patogeno stesso muti per superare
la resistenza genetica.
In linea di massima l’uso di vitigni resistenti si dovrebbe accompagnare a pratiche etiche di vigna,
per aumentare la qualità e diminuire l’impatto ambientale della coltivazione; tuttavia, la loro
resistenza a malattie e patogeni può essere sfruttata per aumentare la produttività.
Terreno argilloso, calcareo, profondo, con alta percentuale di roccia dolomitica, grigio brillante
gneiss-scistosa.
http://thomas-niedermayr.com