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Nelle manifestazioni ciclistiche amatoriali del nostro paese, l’età dei partecipanti arriva

tranquillamente oltre i sessant’anni, e non si può che constatare l’efficienza del fisico impegnato in
competizioni a volte estremamente esigenti. L’età anagrafica risulta spesso distante da quella
biologica, e non è raro che nelle prime schermate degli ordini di arrivo si posizionino granfondisti
di età superiore ai 40 anni, dotati di capacità prestative sicuramente non comuni e grande tenacia,
pari almeno a quella dei più giovani.

Ci sono molte ragioni per continuare ad allenarsi e competere dopo i 40 anni, non solo l’esigenza
(che dovrebbe però essere comune ad ogni persona) di mantenere un livello di fitness ed efficienza
che ponga riparo al deterioramento fisico e alle malattie metaboliche. Dal nostro punto di vista,
essere competitivi significherà prestare ancor più attenzione alla preparazione fisica, ottimizzare la
qualità del training; in ogni caso, la scienza e la pratica sono pronti a dimostrare come il potenziale
incremento in alcuni settori della prestazione, in un atleta master, sia più ampio di quanto si possa
pensare.
E’ risaputo che le prestazioni di picco nello sport di endurance sia da ricercare nella fascia di età
tra i 25 e i 35 anni, i risultati da qualsiasi evento agonistico possono confermarlo de facto.

Le ricerche scientifiche dimostrano che, superata tale quota, il calo in termini di


prestazioni ammonti a circa il 10% del VO2 max ( da 35 a 55 anni), con una perdita dell’1% circa
per ogni anno (vedasi articolo sul Vo2Max su questo sito); questi studi però non possono tener
conto dei cambiamenti nello stile di vita, nel livelli di motivazione mantenuto o acquisito in tarda
età, delle lesioni muscolo-scheletriche occorse e molti altri fattori. Ad esempio, una popolazione
composta da sciatori tra i 50 e gli 82 anni di età, che ha continuato regolarmente a gareggiare per 10
anni, ha mostrato decrementi del VO2 max inferiori rispetto ad un campione di sedentari; allo stesso
tempo, alcuni studi mostrano anche che un calo nel VO2 max può essere combattuto con la capacità
di sostenere per lunghi periodi maggiori quantità di acido lattico, osa che potrebbe spiegare perché
molti atleti di resistenza tra i 40 e 50 anni siano ancora competitivi rispetto ai trentenni. Nelle
titolate competizioni di ultra-endurance ed Ironman, i primi 40-50enni classificati occupano sempre
una posizione tra il ventesimo e cinquantesimo posto assoluto, su migliaia di partecipanti.
Altre ricerche dimostrano come, allenandosi quattro-cinque volte a settimana con impegno
moderato, sia possibile preservare sia la massa muscolare che la forza non massimale, con grande
efficacia ed anche nel periodo successivo alla pratica sportiva; in aggiunta, la capacità di effettuare
lavori di forza resistente e produrre picchi di torque ad elevati N, (nei ciclisti ovviamente) non è
diminuita nel campione di 60-69 anni, con un declino leggermente più marcato nelle annate
successive (fino a 80 anni).
Con il passare dei 40 anni, si verifica un calo sia di alcune capacità cognitive che motorie; dal punto
di vista muscolo-scheletrico, la forza muscolare si mantiene stabile fino ai 45 anni, e quindi
diminuisce del 10 –15% circa ogni decennio a partire dall’età di circa 50 anni. La perdita di massa
muscolare è il principale motivo della perdita di forza massima: nei ciclisti di livello medio-basso,
passando da 20 ad 80 anni l’atrofia muscolare causata dall’invecchiamento genera un decremento
fino al 50% della forza e delle capacità di contrazione dei muscoli.
Gli stessi ricercatori dimostrano però come l’esercizio riduca lo scadimento di capacità anaerobica,
flessibilità, forza muscolare e concentrazione normalmente associato all’invecchiamento: la velocità
di conduzione degli impulsi nervosi diminuisce del 15% passando da 30 a 80 anni. Tuttavia, anche
se l’esercizio fisico può ridurre il tasso di declino correlato all’età capacità di esercizio, non si può
ridurre l’effetto assoluto dell’invecchiamento sulla riduzione delle capacità funzionali, come
dimostrano gli atleti che competono ad alti livelli. Forza muscolare, picco cardiovascolare e
trasporto di ossigeno,velocità e il tempo di reazione (meno determinanti nel ciclismo), e capacità
mentali (tra cui quella di affrontare le pressioni competitive), non posso comunque essere bilanciate
dalla voglia e dal desiderio di competere ed avere successo: ad 80 anni, la prestazione pura di
endurance presenta genericamente un calo del 50% circa, se paragonata alla migliore performance
realizzata in età compresa tra i 20 ed i 30 anni.
Nella pratica del ciclismo posso incorrere vantaggi superiori rispetto agli sport di forza “pura”, ma
anche rispetto ad altre discipline di resistenza, non veicolate al mezzo meccanico od aventi impegno
muscolo-articolare differente. Il decremento in termini di prestazioni risulta più precoce nei runners,
probabilmente a causa del danno muscolare da sforzo, che porta ad un invecchiamento precoce dei
muscoli in età più giovane rispetto al ciclismo. Inoltre, la maggiore sensibilità delle articolazioni e
della catena cinetica potrebbe aver determinato queste differenze; resta il fatto che migliori
maratoneti di elite hanno un periodo di attività lungo solo un decennio, durante il quale possono
gareggiare al meglio. In seguito, gli adattamenti specifici, dovuti all’accumulo di attività
eccentriche nei muscoli locomotori durante la corsa e dopo diversi anni di allenamenti e
competizioni, determina un “invecchiamento accelerato” dell’apparato muscolo-scheletrico. Un
preciso monitoraggio (biopsia etc) delle condizioni muscolari post.maratona e post-granfondo ha
evidenziato notevoli peggioramenti nella corsa rispetto al ciclismo, con più marcate alterazioni della
funzione muscolare e anatomica, insieme alla formazione acuta o cronica di infiammazioni che
potrebbero causare danni permanenti dei muscoli (di qui il processo di “accelerazione”

dell’invecchiamento).

Sul fabbisogno proteico per atleti di endurance, non si dimostrano particolari esigenze su individui
non sedentari, mentre il vero cambiamento si ha nei tempi di recupero. L’invecchiamento pone
l’esigenza di recupero frequente ed esteso al termine di stress importanti, semplicemente in quantità
maggiore rispetto ai colleghi più giovani. Maggiore sarà il carico di lavoro, più giorni consecutivi di
scarico dovranno essere programmati per compensare e raggiungere lo step successivo nel livello di
forma. Se negli atleti elite-under23 e amatori under30 possono intercorrere da tre a cinque settimane
prima di interrompere il macrociclo di carico e concedersi il meritato riposo (ove avvengono i veri
miglioramenti!), per gli over50 raramente si eccedono le due settimane prima di stoppare la crescita
del Ctl (ed evitare un eccessivo affaticamento acuto). Prolungare i blocchi di carico o peggio saltare
i periodi di riposo (come spesso accade in chi pensa di sapersi gestire alla perfezione) provoca
stanchezza e inesorabile declino delle prestazioni.
Uno studio australiano ha preso due gruppi di atleti e fatto svolgere una cronometro di 30′ per tre
giorni consecutivi; non vi era alcuna differenza nel rendimento del gruppo di giovani rispetto agli
over 45, entrambi hanno subito decrementi costanti nei tre giorni. Gli atleti più anziani hanno però
segnalato livelli percepiti di fatica più elevati, e più bassi indici di recupero dello sforzo rispetto ai
giovani (misurati con vari marker bio-fisici).
In conclusione, il calo in termini di prestazioni e capacità di recupero è inevitabile e fa parte del
nostro patrimonio genetico, ma il tasso di declino della performance (comunque secondaria rispetto
al benessere e alla salute del nostro corpo!) può essere di molto attenuato. La crescente mole di
studi al riguardo, unita ai risultati degli amatori che ho seguito in questi anni, mi fa pensare che
ognuno di noi possa trarre concreti benefici e soddisfazioni nel pedalare a qualsiasi età, anche
quando si decide di mettersi in gioco oltre i 40 anni. Non bisogna porsi dei limiti e lavorare
duramente, sostenuti dalla propria passione, i risultati arriveranno di certo.

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