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Dhū l-Fiqār

la Spada nella Tradizione Islamica


“Io non sono venuto a portare la pace, ma la spada”
(Mt. X, 34)
La spada è il simbolo tradizionale che più spesso viene associato alla Tradizione Islamica e meno viene compreso poiché lo si
accosta al concetto moderno di atto violento inteso come prevalere sull’altro creando disordine. Dal punto di vista tradizionale,
invece, ciò che conferisce alla guerra, e all’uso delle armi come la spada, il suo significato è il fatto che essa simboleggi a la lotta che
l’uomo deve condurre contro i nemici che sono dentro di lui, cioè contro tutti gli elementi in lui contrari all’ordine e all’unità. Ecco
perché, in netta antitesi con l’opinione moderna, la guerra è l’azione che permette di ristabilire l’ordine, inteso come armonia ed
equilibrio. In termini escatologici vediamo come la risoluzione della molteplicità degli elementi in contrasto tra loro si compia
simbolicamente come una battaglia finale, rispetto ad un ciclo più o meno grande della manifestazione, per ricomporre l’ordine
primordiale, quella condizione di pace edenica rotta all’Inizio dei Tempi. Quando invece ci si riferisce alla realizzazione dell’Essere a
partire dalla condizione individuale la guerra diventa la lotta interiore che ognuno deve compiere per purificare la propria anima
(nafs) al fine di pacificarla (nafs al-mutma’inna). La spada è lo strumento che serve a recidere alla radice le nostre illusioni, colei che
discrimina e ci permette di riempire il Cuore (qalb) della Luce Profetica (an-Nur al-Muhammaiyya). Nella Tradizione Islamica, il
nome della spada che ogni credente (mu’min) deve brandire è Dhū l-Fiqār (‫) ﺍﻟﻔﻘﺎﺭ ﺫﻭ‬.
Dhū l-Fiqār è l’arma per eccellenza del cugino del Profeta Muhammad (S), primo Imam, Sayyidina ʿAlī bin Abī Ṭālib Amir al-Mu’minin
(A). Una tradizione da considerare eterodossa riporta che l’Imam Ali (A) ricevette in dono la spada dal Profeta (S) dopo che l’aveva
sottratta al coreiscita miscredente al-Āṣ ibn Munabbih, ucciso nella battaglia di Badr (624). Sarebbe così una spada umana fatta da
mani umane e conservata per di più dagli idolatri meccani. Ma Dhū l-Fiqār non è una normale spada nel nome, colei che discrimina,
ovvero la biforcuta, tanto quanto non lo era il suo possessore, colui del quale, presso Ghadīr Khumm, Sayyidina Muhammad
Habibullah (S) disse: “Di colui di cui io sono mawlā, anche ‘Alī sarà mawlā”.
Durante la battaglia di Uhud (625 CE), combattuta dai Musulmani contro l’esercito dei meccani idolatri, il Profeta (S) divenne
oggetto di attacchi di varie unità dell’esercito dei Quraysh da tutti i lati. L’Imam Ali (A) combatté, in conformità agli ordini del
Profeta (S), disperdendo o uccidendo i nemici che provavano a caricare ed insediare il Profeta (S) stesso. Si narra che nella mischia,
l’Imam Ali (A), detto anche Haydar (Leone), colpì uno dei più feroci avversari facendo a pezzi sia il suo elmo che lo scudo. Questo
ardore e l’assoluta abnegazione alla lotta dell’Imam Ali (A) face sì che questi rompesse ben nove lame di nove differenti spade,
tanto che l’Arcangelo Jibril (A) scese sulla Terra e sul campo di battaglia di Uhud, rivolgendosi a Rasulullah (S) elogiò la devozione di
Ali Asad Allah (A) dicendo: “Egli sta mostrando la grandezza e la profondità del sacrificio”. Il Profeta (S) nel confermare le parole di
Jibril (A) disse: “Io sono da Ali e Ali è da me”. Poi si udì una voce nel campo di battaglia: “lā sayf illā Dhū l-fiqār wa-lā fatā illā ʿalī”
(Non c’è spada se non Dhū l-Fiqār e non c’è Cavaliere se non ʿAlī). Solo allora la spada che Allah Ta’ala comandò a Sayyidina Jibril (A)
di forgiare nei Cieli passò nelle mani del Santo Profeta Muhammad (S) e dalle Sue a quelle dell’Imam Ali (A). Questo perché ogni
cosa che era del Profeta è stata ereditata dagli A’imma (pl. di imam), la Ahl al-Bayt (A).
Ali Haydar (A) usò la spada nella battaglia del Fossato (627 CE) per tagliare in due, letteralmente dalla tesata ai piedi, un idolatra
della Mecca. L’avversario era Amr ibn Abdu Wud, la cui forza è stata spesso paragonata a quella di mille uomini. Aveva un volto
feroce, un aspetto che dava sicurezza a quelli che combattevano con lui ma creava sgomento nei suoi nemici; cavallo e cavaliere
rimasero immobili mentre lasciava vagare lo sguardo sprezzante sui ranghi dei musulmani. Così il gigante alzò la testa e disse: “Io
sono Amr bin Abdu Wud. Io sono il più grande guerriero d’Arabia. Io sono invincibile. C’è qualcuno tra voi che ha il coraggio di
sfidarmi in combattimento?” La sfida fu accolta dai musulmani in silenzio. Si guardarono l’un l’altro e poi guardarono il Santo
Profeta (S). Nessuno si mosse perché del gigante, famoso per la sua forza e abilità, si diceva che anche se ferito diverse volte, non
avesse mai perso un duello, né tanto meno risparmiato un avversario. Si diceva che era pari a cinquecento cavalieri, che avrebbe
potuto sollevare un cavallo e scagliarlo a terra, che avrebbe potuto prendere un vitello con la sua mano sinistra e usarlo come
scudo in combattimento: la fervida immaginazione degli arabi aveva creato intorno a questo formidabile guerriero una leggenda di
invincibilità. Così i musulmani rimasero in silenzio, e il gigante rise con disprezzo, una risata che tutti udirono anche al di là del
fossato. “Quindi non vi è nessuno tra voi che ha il coraggio di un uomo? E che dire del vostro Islam? E del vostro Profeta?” A questo
insulto, Ali Haydar (A) lasciò la sua posizione in testa alle fila musulmane, si avvicinò al Profeta Muhammad (S) e domandò il
permesso di combattere lo sfidante e ridurre al silenzio la sua lingua insolente. Il Profeta (S) rispose: “Siediti. Costui è Amr!” Ali
tornò al suo posto. Ci fu un altro scoppio di risa sprezzanti, insulti e un’altra sfida. Ancora una volta l’Imam Ali (A) andò da
Rasulullah (S). Ancora una volta il Profeta (S) negò il permesso (destur). E così Amr Ibn Abdu Wud continuò: “Dov’è il vostro
Paradiso, di cui si dice che coloro che perdono in battaglia vi entrano? Non puoi, quindi, mandare un uomo a combattere contro di
me?”. Quando per la terza volta l’Imam Ali (S) uscì dai ranghi, il Profeta (S) sapeva che non poteva più trattenerlo. E poiché gli era
più caro di qualsiasi altro uomo disse: “Ya Rabbi! Aiutalo!” Ali Haydar (A) raccolto un piccolo gruppo di musulmani si diresse verso i
miscredenti e dopo il primo fendente, prima che il gigante potesse alzare la spada di nuovo, Dhū l-Fiqār balenò alla luce del sole, e
con un singolo colpo il gigante nemico venne tagliato letteralmente a metà dalla testa ai piedi.
Ancora, l’Imam Ali (A) un giorno disse: “Io non cesserò di combattere contro gli ipocriti (munafiqun) fino a che l’ultimo di loro non
verrà cacciato dai ranghi dei veri credenti”. Egli si riferiva a coloro che non avevano riconosciuto gli eredi del Profeta (S) e contro i
quali riprese in mano la spada, certo non per rendere schiave le altre comunità e genti ma per salvare l’Islam dal male dell’ipocrisia.
A Kerbala Imam Husayn bin Ali (A) usò Dhū l-Fiqār per l’ultima volta nel tentativo estremo di distinguere tra verità e mezogna, bene
e male. Dopo che il sacrificio fu compiuto la spada che Allah Ta’ala aveva inviato venne conservata dagli A’imma, e così sarà fino alla
Fine dei Tempi.
L’evento di Kerbala ha chiaramente separato e identificato due campi: quello di Allah Ta’ala e il campo dello Shaytan. L’Imam
Husayn (A) è visto, di conseguenza, come un simbolo di onore e di martirio, e la sua spada, che fu prima di suo padre, è ora con il
Mahdi (A) e con Lui si manifesterà nuovamente prima del Qiyam.
Alcuni dicono che, oggi, questa spada particolare di Hadrat Ali (A) si possa vedere al Museo Topkapi di Istanbul. L’Imam Ali (A)
aveva molte spade e quella esposta è solo una delle tante ma non Dhū l-Fiqār, se non altro perché quella non è una spada a doppio
taglio. Invece per i Turchi Ottomani la spada di Osman (Taklide-Seif), capostipide della dinastia, è in tutto e per tutto “l’erede” di
Dhū l-Fiqār. Veniva infatti utilizzata durante la cerimonia di incoronazione dei sultani dell’Impero Ottomano. La pratica di tale rito è
iniziata quando Osman ricevette l’investitura regale da parte del suo maestro e suocero Shaykh Edebali. La celebrazione del rito era
così importante che doveva aver luogo entro due settimane dalla morte del Sultano. Dopo la conquista di Costantinopoli, tale rito
veniva officiato presso Sultan Eyüp, una moschea fatta costruire da Sultan Mehmet II, il Conquistatore, che ospita la tomba (türbe)
di Hazret Abu Ayyub al-Ansari (QS), uno dei più nobili compagni del Profeta (S), che ebbe l’onore di ospitare nella sua casa a Medina
e morì durante l’assedio di Costantinopoli nel VII secolo, primo musulmano ad essere lì sepolto. Il nuovo sultano che veniva così
cinto dalla spada sacra era ricollegato sia a Osman che alla persona stessa del Profeta (S).
Dhū l-Fiqār è una spada celeste e come tale funge da archetipo per tutte le altre spade. Forgiata da Sayyidina Jibril (A) nei sette cieli
per ordine di Allah Ta’ala diventa nell’Islam il simbolo dell’arma perfetta. Come tale e per analogia il processo di costruzione della
spada è simbolicamente quello che ogni essere deve seguire per realizzare l’Essere Vero.

HU!
[da: Jabal al Qaf]

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