Sei sulla pagina 1di 23

Quaderni di Studi Indo-Mediterranei

Direttore responsabile: Carlo Saccone

Comitato di redazione: Alessandro Grossato (vicedirettore), Daniela Boccassini


(responsabile per il Nord America), Carlo Saccone

Comitato dei consulenti scientifici: Alberto Ambrosio (Uni-Paris Sorbonne, mi-


stica comparata), Adone Brandalise (Uni-Padova, studi interculturali), France-
sco Benozzo (Uni-Bologna, studi celtici), Daniela Boccassini (UBC Vancouver,
filologia romanza), Johann Christoph Buergel (Uni-Berna, islamistica), Patrizia
Caraffi (Uni-Bologna, iberistica), Carlo Donà (Uni-Messina, letterature compa-
rate), Patrick Francke (Uni-Bamberg, arabistica), Alessandro Grossato (Facoltà
Teologica del Triveneto, indologia), Giancarlo Lacerenza (Uni-Napoli, giudai-
stica), Mario Mancini (Uni-Bologna, francesistica), Roberto Mulinacci (Uni-
Bologna, lusitanistica), Carla Corradi Musi (Uni-Bologna, studi sciamanistici),
Giangiacomo Pasqualotto (Uni-Padova, filosofie orientali),Tito Saronne (Uni-
Bologna, slavistica), Mauro Scorretti (Uni-Amsterdam, linguistica), Giulio So-
ravia (Uni-Bologna, maleo-indonesistica), Kamran Talattof (Uni-Arizona, irani-
stica), Carlo Saccone (storia del pensiero islamico), Ermanno Visintainer
(ASTREA, filologia delle lingue turco-mongole)

La rivista “Quaderni di Studi Indo-Mediterranei” (QSIM) ha sede presso il Dipartimen-


to di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bologna, Via Cartoleria 5, 40124
Bologna, ed è sostenuta da amici e studiosi riuniti in ASTREA (Associazione di Studi e
Ricerche Euro-Asiatiche). La posta cartacea può essere inviata a Carlo Saccone, all’in-
dirizzo qui sopra indicato. Sito web ufficiale della rivista:
http://www2.lingue.unibo.it/studi%20indo-mediterranei/
sito in inglese: http://qusim.arts.ubc.ca/
Ulteriori materiali e informazioni sul sito parallelo di “Archivi di Studi Indo-Mediterra-
nei” (ASIM)
http://www.archivindomed.altervista.org/
Per contatti, informazioni e proposte di contributi e recensioni, si prega di utilizzare uno
dei seguenti indirizzi:
<carlo.saccone@unibo.it>, <alessandrogrossato@tin.it>, <daniela.boccassini@ubc.ca>
Per l’abbonamento alla rivista, e per gli arretrati, si prega di contattare l’Editore:
www.ediorso.it
Quaderni di Studi
Indo-Mediterranei
VI
(2013)

Le Tre Anella
Al crocevia spirituale tra Ebraismo,
Cristianesimo e Islam

a cura di
Alessandro Grossato

Edizioni dell’Orso
Alessandria
© 2014
Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l.
via Rattazzi, 47 15121 Alessandria
tel. 0131.252349 fax 0131.257567
e-mail: edizionidellorso@libero.it
http://www.ediorso.it

Realizzazione editoriale a cura di ARUN MALTESE (bear.am@savonaonline.it)

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata,
compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente persegui-
bile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41

ISBN 978-88-6274-521-5
Indice

INTRODUZIONE 1

Al crocevia spirituale tra Ebraismo, Cristianesimo e Islam


di Alessandro Grossato 3

CONTRIBUTI 17

Abraham und die abrahamitischen Religionen Judentum,


Christentum und Islam
di Edmund Weber 19

Prospettive iranologiche su Ebraismo, Cristianesimo e Islam


di Andrea Piras 35

Il Testamento di Salomone: dall’ambiente giudaico (o giudeo-cristiano)


alla riscrittura araba
di Augusto Cosentino 53

Juifs et musulmans dans la littérature médiévale allemande.


Tolérance ou intolérance ? Quelques aspects
di Danielle Buschinger 71

La verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”: varianti medievali


della parabola dei tre anelli
di Alessandro La Monica 87

The Pearl, the Son and the Servants, in Abraham Abulafia’s Parable
di Moshe Idel 103

Mobilità ebraica nell’Adriatico meridionale tra Tre e Quattrocento:


il caso degli Ibn Šoham
di Fabrizio Lelli 137
Indice

Beatificatio, Baraka, Contractio, Tzimtzum. Nicola Cusano e Le Tre Anella


di Cesare Catà 161

Geografie dell’invisibile: Sulla dottrina del Paradiso nel pensiero


di Giovanni Pico della Mirandola
di Raphael Ebgi 181

Catholic Madonna in a Muslim village: Sharing the Sacra in a Bosnian Way


di Mario Katić 203

I pilastri del mondo: gerarchie occulte nelle religioni abramitiche


di Stefano Salzani 219

Elijah, al-Khidr, St George, and St Nicholas: On Some Jewish, Christian


and Muslim Traditions
di Ephraim Nissan 237

UNA LETTURA TRA ORIENTE E OCCIDENTE 277

La Stella e l’Arconte. Per un’iconologia dei Magi evangelici


di Ezio Albrile 279

L’INTERVISTA 301

Intervista del regista italiano Louis Nero a Carlo Saccone


(Padova, Cappella degli Scrovegni, 19 settembre 2012) in vista
della preparazione di un film-documentario su Dante l’Islam e l’Ebraismo
(“Il Mistero di Dante”, L’Altrofilm) 303

RECENSIONI 315

BIOGRAFIE E ABSTRACTS 345

VI
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

di Andrea Piras

Il rapporto tra cultura iranica e le tre religioni abramitiche deve essere valu-
tato sulla base di premesse e considerazioni di ordine politico-istituzionale, e
della forma-stato in cui la nozione geografica di Iran si è declinata nelle sue
peculiarità etniche, linguistiche, sociali e religiose. Parlando di Iran pre-islami-
co mi concentrerò sulla specificità di aggregazioni politico-imperiali come
quelle della dinastia achemenide, arsacide e sassanide: ove la prima e la terza si
identificano per un forte radicamento nella regione sud occidentale del Fars, la
Persia, il che aumenta il tono di quei valori identitari etno-geografici che rimar-
cano senso di appartenenza e tendenze egemoniche. Il punto di vista dirimente
è sempre quello del potere e delle sue dialettiche di accettazione o persecuzio-
ne, di tolleranza o intolleranza, nei confronti delle genti e delle regioni subalter-
ne al potere imperiale: e quindi obbligate a rispettarne i dettami di obbedienza e
sottomissione, in quanto dominate e soggette allo status quo della figura regale,
della sua corte di funzionari e della catena di comando che in sua vece ammini-
strano il regno, e sono responsabili e punibili di ogni violazione commessa con-
tro la sua maestà. Così come ogni suddito. Ogni cultura e religione è quindi
soggetta a questa dipendenza: non si pensi dunque a un rango di esclusività e
preferenza e questo vale anche per le religioni abramitiche, almeno per le prime
due, visto che l’Islam per la sua posizione di conquista e di preminenza sulle
restanti società, culture e religioni (ebraismo e cristianesimo inclusi), rappre-
senta un caso a parte e verrà trattato in questa prospettiva di dominazione sulle
altre.

ACHEMENIDI Il sistema di conquista e dominazione dell’impero persiano


achemenide si basava su una accorta concessione di privilegi, di indipendenze
regionali, del mantenimento di consuetudini politiche, amministrative e cultura-
li, tali da perpetuare il funzionamento di istituzioni locali (e servendosi anzi di
queste, integrandole nell’organigramma della catena di comando imperiale):
unica condizione era l’obbedienza al volere del re e alla sua legge, rappresenta-
ta dal satrapo che ne era il delegato e il plenipotenziario nelle regioni da lui pre-
siedute. Stabilito questo vincolo di obblighi, di dipendenze fiscali (tributi) e
militari (leva di contingenti), anche per quanto riguarda le credenze religiose vi

«Quaderni di Studi Indo-Mediterranei», VI (2013), pp. 35-51.


Andrea Piras

era una sostanziale “tolleranza”1 e quindi un rispetto delle tradizioni cultuali


locali, che anzi erano sotto la diretta protezione del re: il caso dell’entrata di
Ciro in Babilonia e il suo nominarsi pupillo del dio Marduk ne è un esempio
eloquente; così come la lettera di Dario al suo satrapo Gadata, nell’Asia Minore
(Magnesia), dove si lamenta del fatto che i giardinieri sacri ad Apollo sono stati
impiegati in mansioni lavorative profane e non consone al loro ufficio: circo-
stanza riprovevole che spinge Dario al biasimo verso Gadata, paventandogli di
subire la sua collera, nel caso non vengano ripristinati gli onori dovuti ai servi-
tori di Apollo. Che il nome degli Achemenidi fosse quindi celebrato per questa
illuminata politica (anche se non mancarono le eccezioni, motivate da casi di
ribellioni, come forse quella di Babilonia, nel regno di Serse) è evidente dalle
testimonianze bibliche che magnificano Ciro2 in quanto “unto del signore” e
quindi “messia”, come si legge in Isaia (41; 45): unico caso di un non-ebreo
che venga onorato, in questa sola occasione, con tale epiteto di prestigio e di
sacralità del potere, esprimendo una benemerenza che i testi biblici rinnovarono
per i sovrani achemenidi futuri, come Dario, Serse e Artaserse, a causa delle
molte concessioni elargite (ritorno in Palestina; permesso di ricostruire il tem-
pio; offerte di beni e di ricchezze). Il mondo persiano è ben raffigurato nella
Bibbia, sia nelle descrizioni propriamente storiche dei libri di Esdra e Nehemia
che in quelle novellistiche, tipo il libro di Ester, storia della regina di origini
ebraiche (ricordata ancora oggi nella festa ebraica del Purim) che per salvare la
sua gente dalla persecuzione inscena varie situazioni di dolore, di richiesta di
grazie e di suppliche al re persiano.
Quando si considera la possibilità delle relazioni tra cultura religiosa zoroa-
striana e ebraica non è semplice identificare possibili situazioni di contatto: se
sì in che ambito? Qual è l’interfaccia dialogico che può aver favorito possibili
scambi di informazioni? Le domande sfociano spesso in questioni malposte,
quando si parla di influssi reciproci e quando si postula, erroneamente, un
“copia taglia e incolla” interculturale, tipo X che passa a Y e viceversa. E in
effetti è sempre difficile riconoscere la paternità di un prestito, a meno che non
venga fortunosamente dichiarato in un documento (un testo, una iscrizione);
oppure quando sia di palmare evidenza, come nel caso di forme architettoniche,
artistiche e iconografiche che presentano segni e indizi di una più chiara
impronta adottata. Nel caso del giudaismo post-esilico, già questa definizione,
esemplata su un evento storico (la “liberazione” degli ebrei da Babilonia e il

1
Cf. estesamente, Gnoli 1974 per una comprensione della “tolleranza” achemenide.
2
Piras 2013; Garbini 1986: 124-143.

36
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

ritorno in Palestina) sembra voler marcare, nella storia degli studi, una certa
dipendenza culturale nei riguardi del mondo persiano, e quindi una influenza
iranica e zoroastriana nel merito di concezioni religiose come il male e il duali-
smo, l’angelologia, la demonologia, l’escatologia — concetti che ritornano
sovente nella dottrina, riferiti a presunti apporti iranici verificatisi nella fase
post-esilica del giudaismo di epoca achemenide.
In alcuni casi vi sono elementi che suffragano tali eventualità di copiatura: e
addirittura certezze, come per il nome del diavolo biblico Asmodeo (in Tobia),
trascrizione del nome del demone zoroastriano della furia (avestico Aēšma
daēva), trasmesso in una forma medio-iranica rimodellata in ambiente ebraico,
secondo assonanze di forme aramaiche che potevano coincidere o reinterpretare
una parola esterna, assunta e fatta propria (aramaico šmd “distruggere”, nel
nome del demone Šemadan)3. Ma a parte questa eccezionalità, il problema deve
essere posto in maniera differente quando si voglia comprendere l’influsso
come stimolo alla elaborazione, come occasionalità di una serie di circostanze
che potrebbero aver dato luogo a indipendenti formulazioni, del tutto originali e
specifiche del quadro in esame, frutto di incidenze e contatti che appunto, in
quanto tali, non sono operazioni di mera copiatura. In questa prospettiva più
attenta a salvaguardare le unicità e originalità di ogni contesto, e a cogliere il
dinamismo vitale degli apporti e dei prestiti, la dialettica tra iranismo e ebrai-
smo può beneficiare degli esiti più maturi della disciplina orientalistica e delle
sue epistemologie che si interrogano, proficuamente e fecondamente, su tali
processi di interazione culturale4.

ARSACIDI Sotto il regno dei parti o arsacidi, dal nome del fondatore della
dinastia Arsace, le relazioni tra mondo iranico ed ebraico si incrementarono da
vari punti di vista, anche nell’ambito politico, a seguito delle frizioni tra parti e
Roma, e quindi della presenza dei romani in Giudea, una situazione che era vis-
suta con disagio dalla comunità israelita: e su ciò i parti fecero leva per inserirsi
a loro vantaggio espansionistico in questa triangolazione (irano-romana-giudai-
ca) di soggetti e di territori contesi. Significativamente il periodo partico è rite-
nuto favorevole a una armonica sintonia tra iranici e comunità ebraica mesopo-
tamica5: come è testimoniato dal ricordo positivo dei parti (e dei loro sovrani)

3
Cf. di recente Sundermann 2008.
4
Cf. le pertinenti osservazioni di Shaked 1984 e Panaino 2004 a proposito di questa più accorta episte-
mologia delle interazioni storico-culturali.
5
Neusner (1983: 909-913).

37
Andrea Piras

nei testi giudaici, dall’adozione di un’onomastica iranica per ufficiali ebrei del-
l’esercito partico e da un’iranizzazione di costumi nella società ebraica, stabili-
tasi da secoli nel territorio mesopotamico, prima dell’impero achemenide e poi
di quello arsacide.
Il cristianesimo non ebbe ugualmente problemi dalle relazioni con il mondo
partico. Emblematica è la vicenda dell’assunzione dei magi6 – i sacerdoti zoroa-
striani – nel racconto evangelico di Matteo, esempio davvero fulgido di una
acculturazione che era propiziata da rimarchevoli sintonie culturali, nel merito
di credenze che rendevano mondo iranico e ebraico-cristiano fortemente comu-
nicanti e interattivi: per ciò che concerneva la salvezza e quindi l’attesa di
Salvatori, una nozione forte dell’impianto religioso zoroastriano, con profonde
radici nel ritualismo mazdeo. L’ansia di salvezza prevedeva epifanie di media-
tori soterici che si situano, oltre che nella prospettiva mitologica, in quella più
concreta della storia, delle speculazioni sul tempo, delle attese apocalittiche con
i suoi scenari di palingenesi. Il dibattito sulle ragioni della ricezione del tema
dei magi nel cristianesimo si fonda su molteplici possibilità all’origine di questa
scelta: prima fra tutte, il prestigio di una casta sacerdotale che in tutto il Vicino
e Medio Oriente aveva fama secolare di élite intellettuale e culturale, custode
delle tradizioni, addetta all’insegnamento e esperta in pratiche e saperi della
sfera religiosa che coincidevano con quella scienza sacra delle cose divine, la
mageia, diremmo la “magia” nel senso elevato, come appunto secondo il giudi-
zio greco che la considerava “scienza delle cose divine”, opposta alla ciarlata-
neria fattucchiera della goeteia. Il portato greco-ellenistico della favorevole
ricezione della “saggezza straniera” iranica (per citare un noto libro di Momi-
gliano) si incontrò con le più antiche concezioni del mondo iranico e con le sue
istituzioni, come appunto la casta sapienziale dei magi nell’impero partico: il
tutto, coniugato negli ambienti ebraici che guardavano con attenzione e interes-
se al mondo iranico già da lungo tempo. Assumere i magi nel racconto di
Matteo equivaleva fare dei magi gli scopritori del Salvatore e piegare, in un
certo senso, la sapienza “pagana” a quel mistero della nascita miracolosa di
Gesù, evento universale di attesa e di messaggio rivolto a tutte le genti.
Un tema, quello del Salvatore, di primaria rilevanza nell’economia della sal-
vezza, per lo zoroastrismo e per la sua letteratura escatologica e apocalittica,
che sull’attesa del Rinnovatore futuro elaborò un nucleo di credenze, mitologie
e scenari escatologici che travalicarono gli stessi confini dell’iranismo: per

6
la letteratura scientifica sui magi, zoroastriani ed evangelici, è immensa: rimando a trattazioni recenti
come il libro di Panaino 2012 e altri suoi contributi settoriali citati nella bibliografia.

38
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

declinarsi in quella “speranza euroasiatica”, per citare Mario Bussagli, che ben
oltre l’Iran si irradiò nelle geografie del Mediterraneo, nelle attese messianiche
del giudaismo e poi del cristianesimo. Nell’ambito dell’apocalittica (giudizio
universale, fine dei tempi) è possibile inoltre registrare, con ampia verosimi-
glianza di congettura, un transito culturale dal cristianesimo allo zoroastrismo,
in particolari linguaggi dei testi zoroastriani – di complessa gestazione, con
innesti di concezioni avventizie su un fondo presistente e riplasmato a seconda
degli apporti – dove i toni della narrazione risentono di un immaginario cristia-
no, per l’uso di metafore e di parabole di indubbio stampo evangelico nel circo-
scrivere eventi messianici7.
In questa situazione di buon vicinato tra ebraismo e iranismo dobbiamo
quindi comprendere esiti interessanti del giudaismo palestinese e del nascente
cristianesimo. Fin dalle origini del cristianesimo, come possiamo leggere in una
pagina celebre degli Atti degli Apostoli8, i territori oltre l’Eufrate e quindi il
mondo iranico, rappresentarono geografie di elezione per il messaggio univer-
sale di speranza e di apostolato. Il racconto del miracolo della Pentecoste, e
della discesa dello Spirito Santo (Atti 2, 1-13) che conferisce il dono delle lin-
gue, cita infati una enumerazione di popoli significativa: “siamo parti, medi,
elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto
e dell’Asia”. Un elenco con una preponderanza iranica evidente (parti, medi), a
dimostrazione di un pubblico da evangelizzare esteso ad oriente, verso cui in
effetti si sarabbe diretta la predicazione cristiana, usufruendo di quegli stessi
canali di comunicazione sociale e culturale che univano da secoli la Palestina e
la Giudea alla Mesopotamia, fiorente provincia cosmopolita dove da tempo
prosperava la comunità ebraica con il suo Esiliarca (reš galuta, il “capo della
diaspora”). La storia del giudaismo in età partica e poi sassanide è contrasse-
gnata da interessanti fenomeni di dialogo interculturale, come è registrato nel
Talmud babilonese, prodotto erudito della comunità ebraica insediata da secoli
nei territori dell’iranismo. Il portato di tali fenomeni interattivi tra giudaismo e
iranismo è ampiamente studiato da più di 30 anni nella serie dei convegni
“Irano-Judaica” del Ben Zvi Institute di Gerusalemme, ad opera di studiosi
come S. Shaked e più giovani e promettenti ricercatori come G. Herman9 e altri.
Due importanti voci10 sul Talmud nella Encyclopaedia Iranica, a cura del

7
Piras (in stampa).
8
A partire da Labourt (1904: 16) fino ad Asmussen (1982: 11), Chaumont (1988: 3) e altri, questa cita-
zione degli Atti è ormai topica, consueta e suggestiva, per giustificare il rilievo dell’elemento iranico fin
dagli esordi del cristianesimo.
9
Si rimanda a importanti lavori di Herman: 2006, 2010, 2012.
10
Neusner 2005; Elman 2010.

39
Andrea Piras

celebre studioso delle comunità giudaiche nell’impero persiano, J. Neusner, e


poi di Y. Elman, forniscono uno stimolante affresco di passaggi talmudici, nei
quali è evidente la situazione dialogica tra iranismo e giudaismo, i diversi punti
di vista, le difformità, gli usi, costumi e festività dell’una e dell’altra società; la
comprensione linguistica tra rabbini e magi circa alcune questioni religiose di
comune interesse, come la purità rituale, il timore della contaminazione della
morte (ideologia funeraria) e l’escatologia (la resurrezione dei morti e il giudi-
zio finale), il messianismo; certe condivise tendenze anti-idolatriche e l’enfasi
morale su attitudini di mente, parola e azione rettamente disposte. Tutte conver-
genze o punti di interazioni che dimostrano non certo una passiva imitazione
ma un interfaccia erudito e dialogico tra due élite di sapienti, quella dei magi e
quella dei rabbini, che sottilinea inoltre indipendenti evoluzioni del giudaismo
babilonese e iranizzante, rispetto a quello palestinese di ambiente romano-elle-
nistico.

SASSANIDI con l’avvento della dinastia sassanide (dal III al VII sec.) si verifi-
ca un consolidamento dell’egemonia politica e religiosa della casta dei magi
zoroastriani: una serie di iscrizioni del III secolo, ad opera del gran mago e
mago dei magi Kirdīr11, ci offrono uno sguardo della situazione di crescente
predominio, nella descrizione della carriera sacerdotale di questo personaggio,
sotto il regno di vari sovrani (Ardašīr, Šābuhr I, Ohrmizd, Wahrām I e II). La
sua politica nei confronti di altre religioni è chiaramente espressa (KNRm 11):

“e gli ebrei, i buddhisti, gli hindu, i nazareni, i cristiani, i battisti e i manichei furono
colpiti nell’impero, gli idoli vennero distrutti e le dimore dei demoni abbattute e
rifatte come troni e sedi degli dèi”.

Un programma non certo pacifico, anche se si è cercato di intendere tale


“colpire” in un senso più di disputa retorica che di effettiva violenza12: ma è
innegabile che in questa epoca di crescente nazionalismo sassanide, fortemente
identitario e sorretto dai valori atavici dello zoroastrismo, si siano create situa-
zioni di repressione e persecuzione sia all’interno (correnti osteggiate del maz-
deismo eterodosso) che all’esterno della società sassanide. E non a caso, contro

11
Cf. MacKenzie 1989 e Gignoux 1991, ad.loc., per l’edizione, traduzione e commento di questa e di
altre iscrizioni; e inoltre cf. lo studio di F. e Ch. Jullien 2002.
12
Così di recente ha proposto Skjærvø 2011, §5, a proposito del verbo zad (“eliminare il male”, “colpi-
re”, ma non necessariamente “uccidere”) usato in relazione alle dispute tra fedi diverse.

40
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

fedi che si distinguevano per il loro afflato universalistico, almeno il buddhi-


smo, il manicheismo e il cristianesimo. Emerge nel contrasto tra universalismo
e nazionalismo, analizzato dal compianto Gherardo Gnoli13, non solo una ten-
sione fra valori etnico-identitari ma anche la percezione della competizione
confessionale tra messaggi che non sono più soltanto espressione circoscritta di
una società ma di dinamiche transnazionali: di ricerche dell’assoluto e di senso
esistenziale che danno voce ad aspirazioni impellenti, che non sempre le istitu-
zioni consolidate, come quelle zoroastriane, possono rappresentare. L’indivi-
duo, la persona, la sua fede, si pongono così in autodeterminazioni di scelte che
non si arrestano davanti alla prigionia, alla morte e al martirio, nel rivendicare
l’adesione a un messaggio di salvezza non mediato da alcuna istituzione politi-
ca.
Il periodo sassanide fu quindi un’epoca di contrasti religiosi tra la chiesa
mazdea e altre confessioni antagoniste, o semplicemente competitive, tali quin-
di da sollecitare una risposta non meramente oppositiva e repressiva ma, altresì,
un affinamento delle strategie intellettuali di relazione, dialogo e confronto,
necessarie a una dottrina autorevole — tale lo zoroastrismo voleva porsi — e
non unicamente autoritaria e persecutoria. Oppure meramente sanzionatoria,
nelle procedure giuridiche che comunque testimoniano un elevato livello del
confronto nella sfera legislativa e istruttoria, non priva di implicazioni che
denotano una civiltà del diritto, nei suoi fondamenti e nelle sue metodologie di
regolamentazione tra una visione religiosa egemone, quella zoroastriana, e altre
concezioni religiose che una attenta politica di ordine e prevenzione dei conflit-
ti sociali non poteva disattendere: a discapito della coesione interna e sociale
che la crescente adesione a fedi di successo (cristianesimo) o la presenza di
comunità religiose radicate da secoli nell’impero (giudaismo), rendeva necessa-
ria per la Realpolitik dell’ecumene sassanide.
Uno degli esiti più interessanti di una dialettica formalizzata, nella regola-
mentazione giuridica del trattato, è quello che emerge, nel VI secolo e nelle
relazioni diplomatiche bizantino-persiane14 tra Giustiniano e Xusraw I, conse-
guenti ad eventi bellici come la guerra Lazica sul fronte caucasico-georgiano.
Nel trattato del 561/562 si prendeva atto della varietà confessionale dei due
imperi, con forme di tutela e salvaguardia delle diverse comunità di fedeli maz-
dei e cristiani, ratificando forme di convivenza che impegnavano la Persia a
rispettare i cristiani: esentandoli dalla partecipazione al culto dei magi, permet-

13
Gnoli 1984, 1985.
14
Panaino (2009: 277-278, 284).

41
Andrea Piras

tendo i loro usi (funerari, liturgici, rituali) e consentendo di edificare i loro tem-
pli; vietando tuttavia il loro proselitismo e esigendo, di converso, il loro rispet-
to. Cosa non sempre frequente, visti episodi di intolleranza cristiana verso altari
del fuoco, danneggiati nell’impeto di evangelizzazione neofita e di fervore anti-
idolatrico che causarono in determinate occasioni una comprensibile reazione
del clero mazdeo.
Questa attenzione a forme più civili di deterrenza e regolamentazione, nella
sfera del diritto, pur non scongiurando totalmente misure repressive, carcerarie
e punitive, che anzi potevano esserne l’esito ultimo e brutale — di cui ci è
rimasta vivida e truculenta traccia, nelle numerose descrizioni di supplizi regi-
strate negli atti dei martiri cristiani di Persia15 —, si tradusse più volte in una
interazione culturale che propiziava, al di là degli attriti socio-politici e dei con-
flitti di pensiero, forme di assimilazione e di reciprocità. Bisogna aggiungere
che, per quel che riguarda l’iranismo zoroastriano e la formazione del suo cano-
ne di sacre scritture, l’Avesta, è materia ampiamente trattata nella storia della
ricerca l’influsso fecondo che ebbe luogo, nella creazione di un sistema di scrit-
tura come quello avestico16 (che doveva fissare l’ortografia e l’ortofonia della
lingua sacra), nel dialogo con tradizioni scrittorie non zoroastriane come quella
cristiana (Salterio in medio-persiano); a cui si aggiunga, per determinati grafe-
mi, il ruolo non meno preponderante del repertorio alfabetico greco, ugualmen-
te diffuso da secoli nei territori dell’iranismo e dell’impero persiano, come lin-
gua internazionale dell’ellenismo asiatico e della diplomazia romano-persiana.
La permeabilità culturale tra fenomeni di assimilazione e acculturazione, in un
dinamismo multilinguistico, può aiutarci a cogliere situazioni di comunicazione
tra idiomi, mentalità, forme, motivi di una dialettica che caratterizzò l’età sassa-
nide e la sua ricettività eclettica nei confronti della scienza, della letteratura,
delle arti e dell’architettura, dal Mediterraneo alla Cina. Sono noti, del resto, i
riferimenti al mecenatismo di sovrani persiani che promossero la traduzione di
testi del pensiero greco, indiano e siriaco: e una tale apertura verso il patrimo-
nio intellettuale dell’ecumene eurasiatica non poteva escludere un dialogo
(anche se talvolta problematico) con religioni differenti.
In tale prospettiva di circolazione e apertura dobbiamo situare e comprende-
re, nelle sue valenze positive, il rapporto tra iranismo e le religioni abramitiche,
nei limiti marcati dal confliggere di queste con le esigenze politiche, e dei rap-
porti con le istituzioni imperiali: soprattutto con la figura del sovrano, custode

15
Jullien 2004.
16
Sullo stimolo culturale nel confronto tra lo zoroastrismo e altre tradizioni scritturali religiose per la
formazione del canone avestico, cf. Kellens (1988: 36).

42
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

delle tradizioni avite dell’iranismo e cardine delle istanze finali di giudizio, nei
suoi possibili esiti di assoluzione o di condanna. Ogni tradizione culturale e
religiosa poteva trovare, come fu infatti, benevola accoglienza nella eterogenea
compagine della società sasanide e nella sottomissione all’istituto monarchi-
co17: e anzi rientrare in quei quadri istituzionali delle gerarchie burocratiche,
come avvenne nei confronti degli ecclesiastici cristiani18, spesso impiegati,
anche per le loro funzioni di interpreti, nelle delicate relazioni tra Persia e
Bisanzio che non potevano prescindere, nei mutati assetti politico-religiosi
della Nuova Roma, da forme e codici di comunicazione appropriati che stempe-
ravano, nelle trattative delle ambascerie, le controversie tra le due superpotenze
della tarda antichità, grazie alla scienza giuridica dei trattati e alle fastose ceri-
monialità diplomatiche19. Non meno importante fu la riconosciuta sapienza
medica e terapeutica dei cristiani della chiesa di Persia20, eredi e trasmettitori
delle tradizioni scientifiche siriache, nell’agevolare una integrazione tra cristia-
nesimo e impero, secondo le forme di una collaborazione attenta a una mutua
salvaguardia della “iranicità” e “persianicità” di una appartenenza sassanide che
poteva coesistere con la fede cristiana (e persiana) di una confessione fedele
non solo a Cristo ma al sovrano sassanide. E in ciò si realizzava una duplice
lealtà21 verso due forme di sovranità, celeste e terrena, confermando un legame
che dalle realtà spirituali si estendeva a quelle temporali: senza conflitti, dal
momento che la chiesa cristiana di Persia si era emancipata da quella costanti-
nopolitana e quindi dai rischi di accuse collaborazionistiche con la Roma bizan-
tina (e di sospetta lealtà al basileus) che non pregiudicavano più le sorti dei
fedeli cristiani riuniti nella ekklesìa persiana, leale a Dio in cielo e al Re dei re
in terra.

Uno degli ambiti documentari in cui è possibile registrare l’affinamento


degli strumenti critici dell’argomentazione dialettica e speculativa, nell’indagi-
ne interconfessionale, è testimoniato dal genere letterario della apologetica
zorostriana, sviluppatosi prevalentemente in testi che risalgono ai primi secoli
dell’avvento dell’Islam, a seguito della spinta di questa nuova fede che nell’VII

17
Bisogna ovviamente escludere forme religiose eversive, dal punto di vista politico-sociale ed econo-
mico, come nel caso del mazdakismo, una eresia o eterodossia dello zoroastrismo fortemente repressa sotto
il regno di Xusraw I, per cui rimando alla recente antologia curata da P. Ognibene, con la collaborazione di
A. Gariboldi (2004).
18
Su cui cf. estesamente il lavoro di Sako 1986.
19
Su questo aspetto delle ritualità diplomatiche tra Persia e Bisanzio, cf. Piras 2009.
20
Cf. Gignoux 2001.
21
Cf. il lavoro di Brock 1982 sulla duplice lealtà, confessionale e politica, dei cristiani di Persia.

43
Andrea Piras

secolo scompaginò le strutture politico-religioso-sociali dell’alto medioevo


mediterraneo e asiatico. Ora lo zoroastrismo si trovava nella cruciale situazione
di confessione subordinata all’Islam, insieme alle altre fedi che in quanto “reli-
gioni del libro” potevano godere di uno statuto particolare, riconosciuto dalla
legislazione musulmana invisa, al contrario, a forme di pensiero idolatrico ma
non a quelle culture dotate di un’autorevole tradizione di scritture sacre22. In
ogni modo, la necessità di misurarsi nel confronto obbligato (e non più egemo-
ne come prima dell’Islam), costrinse lo zoroastrismo a sviluppare e perfeziona-
re la sua dogmatica, nella piena fioritura di una esegesi scritturale che ebbe il
suo culmine nel IX secolo, quindi nella piena epoca abbàside, e nella prolifera-
zione di quella letteratura zoroastriana in medio-persiano23 (pahlavi) che ci ha
lasciato, tra i suoi vari generi (cosmologie, escatologie, apocalissi, letteratura
didattica, sapienziale, giuridica, cortese, lessicografica) anche un’opera di apo-
logetica come lo Škand Gumānīg Wizār (“La soluzione decisiva dei dubbi”)24:
dove la testimonianza appassionata, e razionalmente fondata, della religione
zoroastriana si accompagna a un critica delle tre religioni abramitiche e del
manicheismo — un pensiero, quest’ultimo, da secoli avverso ai princìpi del
mazdeismo e strenuamente combattuto, sia sul filo della argomentazione dottri-
nale che sul filo delle spade.
Questa opera di teologia e apologetica è di fondamentale importanza per
cogliere l’esito più compiuto di una secolare competizione e convivenza tra
zoroastrismo, giudaismo e cristianesimo (e poi Islam). Il livello della specula-
zione filosofica e teologica è strutturato su argomentazioni stringenti, non senza
una persistente vena polemica e di confutazione, spesso capziosa, con paralogi-
smi tendenziosi che mirano a scaricare sull’“altro” le accuse di una illogicità
del tutto intrinseca, al contrario, alla logica propria (e quindi contraddittoria)
del pensiero religioso: vagliato, per così dire, pregiudizialmente e alla luce di
uno schema preconcetto in cui far rientrare, procusteamente, gli argomenti dot-
trinali che vengono rifiutati o minimizzati. Nondimeno, come sempre accade in
opere di polemistica dotta, il livello delle conoscenze di prima mano, assimilate
per essere poi discusse e rigettate, è di elevato spessore documentario e testimo-
nia una lunga consuetudine intellettuale di dialogo, studio di testi e dottrine cir-
colanti nella società zoroastriana, prima e dopo l’avvento dell’Islam.

22
Sulla formazione di comunità scritturali e di religioni del libro, fra tarda antichità e medioevo, riman-
do al secondo capitolo di Stroumsa (2006: 33-59).
23
Cereti 2001: 79-86.
24
de Menasce 1945.

44
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

La esposizione requisitoria di Mardānfarrox, l’autore dell’opera, individua


nel giudaismo la radice prima delle altre due religioni e spesso conduce l’inda-
gine su una delle tre riconducendo alle altre due quei tratti dottrinali ritenuti
condivisi. Le diverse citazioni bibliche presuppongono una utilizzazione di
modelli siriaci (per Isaia) o di targum aramaici (per il Genesi), forse per inter-
mediazione dei cristiani che erano maggiormente interessati degli ebrei a divul-
gare e testimoniare la loro militanza confessionale; e del resto la diffusione dei
Salmi nelle letterature iraniche dell’Asia Centrale25, nel salterio medio-persiano
ritrovato a Turfan, oppure i frammenti siro-persiani, sogdiani e poi turchi di
Bulayïq, confermano il ruolo missionario e diffusore del cristianesimo orienta-
le, nella utilizzazione di opere vetero-testamentarie.
I capitoli dedicati al giudaismo (XIII e XIV) sono anche un prezioso stru-
mento per valutare interlinguisticamente l’adattabilità iranica alla traduzione
dal semitico (ebraico e aramaico) e quindi una interpretazione zoroastriana del
lessico biblico: esempio primo, la parola usata per tradurre, nell’ambientazione
del Genesi, il “giardino dell’Eden”, per il quale è stata utilizzata la parola Vahišt
appartenente al lessico escatologico zoroastriano che designa la “Migliore (esi-
stenza)” paradisiaca per i virtuosi osservanti della fede. La discussione sul cri-
stianesimo occupa il capitolo XVI, e anche qui si può cogliere lo sforzo erme-
neutico di una traduzione di concetti secondo il lessico e la mentalità mazdea:
come nel caso della definizione della Trinità e in specie dello Spirito Santo,
reso con la diade “Vento Puro” (Vāt ī Pāk), espressione che nella nozione di
“soffio” come “spirito” coglie la dimensione pneumatico-ispirativa che caratte-
rizza rūaḥ in ebraico e aramaico (tradotto infatti πνεῦμα nella Settanta). Mentre
la “purezza”, concetto che nello zoroastrismo denota la perfetta condizione
rituale, esente da contaminazione, e prerequisito per ogni azione cultuale, serve
per definire l’ambito semantico della “santità” del vocabolo ebraico-aramaico
qadoš: parola che circoscrive una nozione di purezza/santità che ebraismo e ira-
nismo condividevano, nella loro ideologia del rituale e nelle condizioni appro-
priate di interiore disposizione d’animo, e di esteriore e consacrato decoro.
Lo Spirito Santo/“Vento Puro” è menzionato più volte, anche in relazione al
concepimento di Maria — ridicolizzato come episodio di una donna di cattive
frequentazioni che rimane misteriosamente incinta — e al “Messia figlio di
Dio” (*Mašīhā pus i Yazat) che proviene dallo Spirito Santo di Dio — il cui
nome, Yazat, riprende la più diffusa e celebre parola per denotare nello zoroa-
strismo un dio (e più dèi) in quanto “venerabile”, degno di devozione sacrifica-

25
Asmussen (1982: 16).

45
Andrea Piras

le e di culto, insieme di atteggiamenti e di pratiche a cui rinvia la radice avesti-


ca yaz (“venerare”). Le questioni teologiche legate alla figliolanza del Messia
con Dio e, ancora di più, al suo essere non solo figlio ma Dio stesso, vengono
affrontate nell’ottica dell’incomprensibile mistero della discesa di un dio nelle
strette e impure visceri di una donna per prendere le fattezze umane, e quel che
è peggio di un dio che abbandona il suo ufficio regale nei cieli26. In questa con-
futazione è l’immaginario iranico della sovranità che trapela nella concezione
del dio supremo, anch’egli sovrano in cielo come il re dell’impero è sovrano in
terra27. È quindi cosa del tutto bizzarra e sacrilega che un dio abdichi il suo
magistero, abbandoni il trono regale (xvāday gāh), il cielo e la terra, il firma-
mento e il suo incarico di signorìa e di protezione, per discendere in una matri-
ce corporea: che Mardānfarrox descrive con parole insolitamente pruriginose, a
parte inevitabili accenti di antifemminismo, visto il rispetto che lo zoroastrismo
dimostra solitamente verso la generazione e la nascita (e quindi verso l’anato-
mia, la fisiologia e l’embriologia), sia umana che animale, in quanto principio
di creazione e moltiplicazione della vita sulla terra, per contrastare la morte e la
sterilità che nella antropologia zoroastriana sono la più evidente manifestazione
del male nel mondo. Fra i vari argomenti che potevano essere in accordo con la
sensibilità escatologica zoroastriana bisogna citare la resurrezione e infine, una
esegesi della preghiera del Padre Nostro, a proposito della quale rimando a una
trattazione che aggiorna il lavoro di de Menasce e inquadra, per ciò che concer-
ne la versione medio-persiana (pazand) del testo, una filiera testuale risalente a
più di una tradizione siriaca28.
Il capitolo sull’Islam (XI e XII) testimonia un dibattito che nei primi secoli
islamici caratterizzò, oltre allo zoroastrismo, il sorgere di scuole teologico-filo-
sofiche e giuridiche che dovevano affinare la nuova e trionfante religione
musulmana, con strumenti critici e speculativi adatti a contrastare civiltà di
antica e raffinata tradizione di pensiero. L’Islam si evolvette nel confronto tra
scolastiche confessionali differenti e tra queste lo zoroastrismo, dal pari suo, fu
ugualmente sollecitato a rinnovare il proprio armamentario filosofico, produ-
cendosi in trattatti di disputazione e di apologetica come quello che abbiamo
succintamente esaminato. Altri libri come il Gizistag Abāliš, genere di tenzone
religiosa tra un apostata zoroastriano e il pio zoroastriano Ādurfarrbay, svoltasi

26
De Menasce (1945: 213, vv. 31-35).
27
In ciò consiste l’accusa formulata dalle autorità mazdee contro i cristiani, colpevoli di fedeltà a un re
che non è di questo mondo, cf. Piras 2006: 37.
28
Panaino 2000.

46
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

all’epoca del califfo abbaside al-Mamūn (813-833) e risoltasi con la sconfitta


del rinnegato Abāliš, dimostra la coabitazione pacifica tra zoroastriani e musul-
mani, dove nel caso presente il califfo in quanto “principe dei credenti” riveste
una funzione arbitrale nelle controversie interne allo stesso zoroastrismo. La
dialettica tra zoroastrismo e le altre confessioni abramitiche fu condotta quindi
entro i limiti di una attenta, e sovente capziosa, argomentazione che mirava a
legittimare il punto di vista zoroastriano contro quello degli “altri”. Possiamo
quindi parlare di un fenomeno di necessaria demarcazione dottrinale, con fina-
lità protettive di autosalvaguardia confessionale, risultato da una coesistenza
che mirava a definire confini ideologici, peculiarità e legittimazioni di cono-
scenze e di ortoprassi di una comunità di antico prestigio. La sfumatura di auto-
coscienza identitaria e nazionalistica dell’iranismo zoroastriano, costretta a
misurarsi prima nell’ambito della propria egemonia, durante l’impero sassani-
de, e poi in quello più incerto di una sostanziale equivalenza di fedi, sotto l’egi-
da protettiva dell’Islam, sviluppava comunque le forme di una separazione
distintiva che perpetuava la sostanziale esclusività nazional-religiosa, sorretta
da una riflessione teologica e filosofica di lunga durata che trovava il suo com-
pimento nella apologetica di epoca islamica.

Differente è il caso di una religione — il manicheismo — che nacque e pro-


sperò, nell’impero arsacide e poi sassanide, quindi nell’ambiente iranico, ma
con finalità e progettualità del tutto diversi, più universali ed eclettici che nazio-
nali e anzi dotata, per il suo impeto missionario, di quegli atteggiamenti inclusi-
vi e assimilatori differenti da quelli della religione zoroastriana, più connotata
in senso nazionalistico e perciò esclusivista. Se, come abbiamo visto, la dialetti-
ca tra zoroastrismo e religioni abramitiche è caratterizzata (almeno per giudai-
smo e cristianesimo) da dinamiche di regolamentazione giuridica, nell’alveo
delle istituzioni politico-monarchiche degli imperi dell’Iran pre-islamico, per il
manicheismo si verifica una diversa situazione. Religione fondata da Mani nel
III secolo, considerata deviante per lo zoroastrismo, a causa del suo pessimismo
verso la sessualità e il matrimonio, il manicheismo fu inviso a diverse confes-
sioni per la sua mentalità eclettica che lo portava ad attingere al buddhismo,
allo zoroastrismo e al cristianesimo, considerandosi Mani il compimento di una
sequela profetica che abbracciava tutta l’Asia, con una speciale predilezione per
Gesù. Questo in virtù della stessa esperienza di Mani, cresciuto in una comunità
battista degli elchasaiti, improntata a concezioni giudeo-cristiane, poi perfezio-
nate a seguito di rivelazioni angeliche che gli comunicano progressivamente dei
misteri celesti che lo spingono a propagarli, inaugurando una sequela missiona-
ria che si espanderà con profitto (anche se tra persecuzioni e martirii) verso
l’occidente e l’oriente, dall’Africa alla Cina.

47
Andrea Piras

In questo movimento di espansionismo, culturale e religioso, Mani operò


come un “traduttore” della religione — con questo epiteto di “traduttore”
(tarkumānān) viene infatti salutato nel testo medio-persiano M3829 — che si
appropriò di idiomi diversi per renderli in una sua particolare sintesi (e non,
banalmente, in un sincretismo incongruo) da propalare a tutte le genti. Oltre
alle parvenze cristiane (per estendersi nel Vicino Oriente e nella Mesopotamia)
ciò si realizzò: in una veste zoroastriana, per il sovrano persiano Šābuhr I e per
l’ampio pubblico aristocratico dell’impero sassanide; con accenti buddhisti per
diffondere l’insegnamento oltre i territori dell’Iran orientale, della Battriana e
della Sogdiana, trasformandosi poi al contatto con il pensiero cinese taoista e
buddhista. In questa irradiazione multilinguistica e multiculturale fu sempre
centrale l’apporto di una variegata cristologia, eredità della sua prima esperien-
za tra i battisti, e di influssi veterotestamentari del giudaismo eterodosso: non
quello biblico e mosaico da lui ricusato, in una prospettiva gnostica e marcioni-
ta (per il rifiuto della figura del Dio creatore), ma quello dell’apocalittica e delle
rivelazioni angeliche, dell’ascetismo comunitario riconducibile anche a forme
dell’esperienza di Qumran. E inoltre, il giudaismo della sequela di profeti come
Adamo, Seth, Shem, Noé, Enosh ed Enoch, che insieme a Zarathustra, Buddha
e Gesù formavano il composito lascito profetico che culminava in lui, Mani,
l’Apostolo di Gesù Cristo e il “sigillo dei profeti” (khatīm al-nabiyyīn), sintesi e
nucleo di una irradiazione missionaria che andava da oriente a occidente30.
In questa prolifica opera di sintesi, il rapporto del manicheismo con l’Islam
fu ovviamente problematico, per ragioni analoghe a quelle che lo rendevano
ostile agli altri due monoteismi: per la sua impostazione dualistica, che urtava
contro l’implacabile monoteismo dell’Islam e la sua irriducibile unità assoluta
di Allah, che nega recisamente ogni idea di moltepicità o di dualità di un divino
che rifugga dal suo esclusivo dominio incontrastato, sul bene come sul male. La
sorte del manicheismo nell’Islam fu quindi, nuovamente, segnata da condanne
e persecuzioni, specialmente nel periodo del califfato abbàside dei primi secoli
dell’ègira e poi dopo, nel biasimo musulmano verso ogni forma ereticale di
dualismo, anche se una certa rinomanza per Mani in quanto pittore sopravvisse
nei secoli, e ancora fino ad oggi nella contemporaneità della cultura islamica31.
Tutto ciò non riuscì però ad eliminare una certa fascinazione intellettuale
che il manicheismo produsse sulle classi colte dell’Islam: prova ne è l’influsso
di tracce e persistenze che le sue mitologie e cosmologie, la sua sacralità della

29
Boyce 1975: 196, testo dz.
30
Tardieu 1981: 18-25.
31
Piras 2012: 17-19.

48
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

luce in quanto principio luminoso dell’essere, potevano esercitare su eruditi e


notabili (come la famiglia dei Barmecidi, sovente menzionati nelle Mille e una
notte), accusati spesso di inclinazioni manichee. Come si legge in opere di con-
futazione che denunciavano improprie parodie del Corano, rivisitato in base ai
precetti manichei32: prima fra tutte quella della bismillah, la frase che apre le
Sure del Corano, “Nel nome di Allah clemente e misericordioso”, riformulata in
“Nel nome della Luce clemente e misericordiosa”, con un’enfasi, ritenuta sacri-
lega, sul principio luminoso sostituito al nome di Allah (predilezione blasfema
del creato invece che del Creatore). Queste sparse testimonianze non bastarono
a conciliare l’avversità dell’Islam verso la zandaqa, il movimento degli eretici
dualisti (zindīq) nel cui novero si inserivano anche i manichei. E sia da parte
islamica che ebraica e cristiana le aperture dialogiche e interattive che la reli-
gione di Mani proponeva verso le tradizioni abramitiche sortirono comunque
ogni volta un effetto di ripulsa e di condanna, a dispetto — e anzi proprio a
causa — delle sue eclettiche assimilazioni, interpretate come una strategia
camaleonitica di dissimulazione e trasformismo a scopo di proselitismo.

Riferimenti bibliografici

Asmussen J.P. 1982: Sogdian and Uighur-Turkish Christian Literature in Central Asia
before the real rise of Islam, in L.A. Hercus et alii (eds.), Indological and
Buddhist Studies, Canberra, pp. 11-29.
Brock S. 1982: Christians in the Sasanian Empire: a Case of Divided Loyalties, in S.
Mews (ed.), Religion and National Identity, Oxford, pp. 1-19.
Cereti C.G. 2001: La letteratura pahlavi, Milano.
Chaumont M.-L. 1988: La christianisation de l’empire iranien, Louvain.
Boyce M. 1975: A Reader in Manichaean Middle Persian and Parthian, Téhéran-
Liège.
Elman Y. 2010: Talmud ii. Rabbinic Literature and Middle Persian Texts, in Ency-
clopædia Iranica (http://iranica.com/articles/talmud-ii).
Garbini G. 1986: Storia e ideologia nell’Israele antico, Brescia.
Gignoux Ph. 1991: Les quatre inscriptions du mage Kirdīr. Textes et concordances,
Paris.

32
Guidi 1927: xv-xviii

49
Andrea Piras

Gignoux Ph. 2001: L’apport scientifique des chrétiens syriaques à l’Iran sassanide, in
Journal Asiatique 289/2, pp. 217-236.
Gnoli G. 1974: Politica religiosa e concezione della regalità sotto gli Achemenidi, in
Gururājamañjarikā: studi in onore di Giuseppe Tucci I, Napoli, pp. 23-88.
Gnoli G. 1984: Universalismo e nazionalismo nell’Iran del III secolo, in L. Lanciotti (a
c. di), Incontro di religioni in Asia tra il III e il X secolo, Firenze, pp. 31-54.
Gnoli G. 1985: Verso una cultura nazionale iranica, in M. Mazza-C. Giuffrida (a c. di),
Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità, Roma, pp. 587-596.
Guidi M. 1927: La lotta tra l’Islam e il manicheismo, Roma.
Herman G. 2006: Iranian Epic Motifs in Josephus’Antiquities (XVIII, 314-370), in
Journal of Jewish Studies 57/2, pp. 245-268.
Herman G. 2010: Persia in Light of the Babylonian Talmud, in C. Bakhos-R. Shayegan
(eds.), Talmud in its Iranian Context, Los Angeles, pp. 61-84.
Herman G. 2012: The Jews of Parthian Babylon, in P. Wieck-M. Zehnder (eds.), The
Parthian Empire and its Religions. Studies in the Dynamics of Religious
Diversity, Gutenberg, pp. 141-150.
Jullien C. e F. 2002: Aux frontières de l’iranité: «nāṣrāyē» et «krīstyonē» des inscrip-
tions du mobad Kirdīr: enquête littéraire et historique, in Numen 49, pp. 282-
335.
Jullien C. 2004: Peines et supplices dans les Actes des Martyrs Persans et droit sassani-
de: nouvelles prospections, in Studia Iranica 33, pp. 243-269.
Kellens J. 1988: Avesta, in Encyclopædia Iranica III, pp. 35-44.
Labourt J. 1904: Le Christianisme dans l’empire perse sous la dinastie sassanide (224-
632), Paris.
MacKenzie D.N. 1989: Kerdir’s Inscription, in G. Herrmann (ed.), The Sasanian Rock
Reliefs at Naqsh-i Rustam, Berlin, pp. 35-72.
De Menasce J. 1945: Une apologétique mazdéenne du IXe siècle: Škand-Gumānīk
Vičār, La solution décisive des doutes, Fribourg en Suisse.
Neusner J. 1983: Jews in Iran, in The Cambridge History of Iran III/2, Cambridge, pp.
909-923.
Neusner J. 2005: Talmud, Persian Elements in, in Encyclopædia Iranica (http://irani-
ca.com/articles/talmud-persian-elements-in-2).
Ognibene P. 2004 (a c. di, con la collaborazione di A. Gariboldi): Conflitti sociali e
movimenti politico-religiosi nell’Iran tardo-antico, Milano.

50
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

Panaino A. 2000: Il testo del “Padre Nostro” nell’apologetica mazdaica, in S. Graziani


(a c. di), Studi sul Vicino Oriente antico dedicati alla memoria di Luigi
Cagni, Napoli, pp. 1937-1962.
Panaino A. 2004: Trends and Problems concerning the Mutual Relations between
Iranian Pre-Islamic and Jewish Cultures, in A. Panaino-A. Piras (eds.),
Melammu Symposia IV: Schools of Oriental Studies and the Development of
Modern Historiography, Milano, pp. 209-236.
Panaino A. 2009: Il duplice volto del protocollo aggiuntivo sulle minoranze religiose
nella “Pace dei 50 anni”, in Bizantinistica. Rivista di studi bizantini e slavi
11, pp. 273-299.
Panaino A. 2012: I Magi e la loro stella. Storia, scienza e teologia di un racconto
evangelico, Cinisello Balsamo.
Piras A. 2006: Santi e martiri del cristianesimo in Persia, in Avallon: l’uomo e il sacro
55, pp. 33-45.
Piras A. 2009: Ritualità della comunicazione: scambi di lettere tra Bisanzio e la Persia,
in Bizantinistica. Rivista di studi bizantini e slavi 11, pp. 301-316.
Piras A. 2012: Verba Lucis. Scrittura, immagine e libro nel manicheismo, Milano-
Udine.
Piras A. 2013: Politica e ideologia religiosa nell’impero achemenide, in Ricerche stori-
co-bibliche 1, pp. 24-35.
Piras A. (in stampa): I magi zoroastriani e i segni dei tempi, in F. Cardini (a c. di),
Storie, leggende e miti dei magi, Lucca.
Sako L. 1986: Le rôle de la hiérarchie syriaque orientale dans les rapports dipliomati-
ques entre la Perse et Byzance aux Ve-VIIe siècles, Paris.
Shaked S. 1984: Iranian Influence on Judaism: First Century B.C.E. to Second Century
C.E., in The Cambridge History of Judaism I, Cambridge-London, pp. 308-
325.
Skjærvø P.O. 2011: Kartīr, in Encyclopædia Iranica 15/6, pp. 608-628.
Stroumsa G.G. 2006: La fine del sacrificio. Le mutazioni religiose della tarda anti-
chità, Torino.
Sundermann W. 2008: Zoroastrian Motifs in non-Zoroastrian Traditions, in Journal of
the Royal Asiatic Society 18, pp. 155-165.
Tardieu M. 1981: Le manichéisme, Paris.

51

Potrebbero piacerti anche