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Le Tre Anella
Al crocevia spirituale tra Ebraismo,
Cristianesimo e Islam
a cura di
Alessandro Grossato
Edizioni dell’Orso
Alessandria
© 2014
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bile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41
ISBN 978-88-6274-521-5
Indice
INTRODUZIONE 1
CONTRIBUTI 17
The Pearl, the Son and the Servants, in Abraham Abulafia’s Parable
di Moshe Idel 103
L’INTERVISTA 301
RECENSIONI 315
VI
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam
di Andrea Piras
Il rapporto tra cultura iranica e le tre religioni abramitiche deve essere valu-
tato sulla base di premesse e considerazioni di ordine politico-istituzionale, e
della forma-stato in cui la nozione geografica di Iran si è declinata nelle sue
peculiarità etniche, linguistiche, sociali e religiose. Parlando di Iran pre-islami-
co mi concentrerò sulla specificità di aggregazioni politico-imperiali come
quelle della dinastia achemenide, arsacide e sassanide: ove la prima e la terza si
identificano per un forte radicamento nella regione sud occidentale del Fars, la
Persia, il che aumenta il tono di quei valori identitari etno-geografici che rimar-
cano senso di appartenenza e tendenze egemoniche. Il punto di vista dirimente
è sempre quello del potere e delle sue dialettiche di accettazione o persecuzio-
ne, di tolleranza o intolleranza, nei confronti delle genti e delle regioni subalter-
ne al potere imperiale: e quindi obbligate a rispettarne i dettami di obbedienza e
sottomissione, in quanto dominate e soggette allo status quo della figura regale,
della sua corte di funzionari e della catena di comando che in sua vece ammini-
strano il regno, e sono responsabili e punibili di ogni violazione commessa con-
tro la sua maestà. Così come ogni suddito. Ogni cultura e religione è quindi
soggetta a questa dipendenza: non si pensi dunque a un rango di esclusività e
preferenza e questo vale anche per le religioni abramitiche, almeno per le prime
due, visto che l’Islam per la sua posizione di conquista e di preminenza sulle
restanti società, culture e religioni (ebraismo e cristianesimo inclusi), rappre-
senta un caso a parte e verrà trattato in questa prospettiva di dominazione sulle
altre.
1
Cf. estesamente, Gnoli 1974 per una comprensione della “tolleranza” achemenide.
2
Piras 2013; Garbini 1986: 124-143.
36
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam
ritorno in Palestina) sembra voler marcare, nella storia degli studi, una certa
dipendenza culturale nei riguardi del mondo persiano, e quindi una influenza
iranica e zoroastriana nel merito di concezioni religiose come il male e il duali-
smo, l’angelologia, la demonologia, l’escatologia — concetti che ritornano
sovente nella dottrina, riferiti a presunti apporti iranici verificatisi nella fase
post-esilica del giudaismo di epoca achemenide.
In alcuni casi vi sono elementi che suffragano tali eventualità di copiatura: e
addirittura certezze, come per il nome del diavolo biblico Asmodeo (in Tobia),
trascrizione del nome del demone zoroastriano della furia (avestico Aēšma
daēva), trasmesso in una forma medio-iranica rimodellata in ambiente ebraico,
secondo assonanze di forme aramaiche che potevano coincidere o reinterpretare
una parola esterna, assunta e fatta propria (aramaico šmd “distruggere”, nel
nome del demone Šemadan)3. Ma a parte questa eccezionalità, il problema deve
essere posto in maniera differente quando si voglia comprendere l’influsso
come stimolo alla elaborazione, come occasionalità di una serie di circostanze
che potrebbero aver dato luogo a indipendenti formulazioni, del tutto originali e
specifiche del quadro in esame, frutto di incidenze e contatti che appunto, in
quanto tali, non sono operazioni di mera copiatura. In questa prospettiva più
attenta a salvaguardare le unicità e originalità di ogni contesto, e a cogliere il
dinamismo vitale degli apporti e dei prestiti, la dialettica tra iranismo e ebrai-
smo può beneficiare degli esiti più maturi della disciplina orientalistica e delle
sue epistemologie che si interrogano, proficuamente e fecondamente, su tali
processi di interazione culturale4.
ARSACIDI Sotto il regno dei parti o arsacidi, dal nome del fondatore della
dinastia Arsace, le relazioni tra mondo iranico ed ebraico si incrementarono da
vari punti di vista, anche nell’ambito politico, a seguito delle frizioni tra parti e
Roma, e quindi della presenza dei romani in Giudea, una situazione che era vis-
suta con disagio dalla comunità israelita: e su ciò i parti fecero leva per inserirsi
a loro vantaggio espansionistico in questa triangolazione (irano-romana-giudai-
ca) di soggetti e di territori contesi. Significativamente il periodo partico è rite-
nuto favorevole a una armonica sintonia tra iranici e comunità ebraica mesopo-
tamica5: come è testimoniato dal ricordo positivo dei parti (e dei loro sovrani)
3
Cf. di recente Sundermann 2008.
4
Cf. le pertinenti osservazioni di Shaked 1984 e Panaino 2004 a proposito di questa più accorta episte-
mologia delle interazioni storico-culturali.
5
Neusner (1983: 909-913).
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Andrea Piras
nei testi giudaici, dall’adozione di un’onomastica iranica per ufficiali ebrei del-
l’esercito partico e da un’iranizzazione di costumi nella società ebraica, stabili-
tasi da secoli nel territorio mesopotamico, prima dell’impero achemenide e poi
di quello arsacide.
Il cristianesimo non ebbe ugualmente problemi dalle relazioni con il mondo
partico. Emblematica è la vicenda dell’assunzione dei magi6 – i sacerdoti zoroa-
striani – nel racconto evangelico di Matteo, esempio davvero fulgido di una
acculturazione che era propiziata da rimarchevoli sintonie culturali, nel merito
di credenze che rendevano mondo iranico e ebraico-cristiano fortemente comu-
nicanti e interattivi: per ciò che concerneva la salvezza e quindi l’attesa di
Salvatori, una nozione forte dell’impianto religioso zoroastriano, con profonde
radici nel ritualismo mazdeo. L’ansia di salvezza prevedeva epifanie di media-
tori soterici che si situano, oltre che nella prospettiva mitologica, in quella più
concreta della storia, delle speculazioni sul tempo, delle attese apocalittiche con
i suoi scenari di palingenesi. Il dibattito sulle ragioni della ricezione del tema
dei magi nel cristianesimo si fonda su molteplici possibilità all’origine di questa
scelta: prima fra tutte, il prestigio di una casta sacerdotale che in tutto il Vicino
e Medio Oriente aveva fama secolare di élite intellettuale e culturale, custode
delle tradizioni, addetta all’insegnamento e esperta in pratiche e saperi della
sfera religiosa che coincidevano con quella scienza sacra delle cose divine, la
mageia, diremmo la “magia” nel senso elevato, come appunto secondo il giudi-
zio greco che la considerava “scienza delle cose divine”, opposta alla ciarlata-
neria fattucchiera della goeteia. Il portato greco-ellenistico della favorevole
ricezione della “saggezza straniera” iranica (per citare un noto libro di Momi-
gliano) si incontrò con le più antiche concezioni del mondo iranico e con le sue
istituzioni, come appunto la casta sapienziale dei magi nell’impero partico: il
tutto, coniugato negli ambienti ebraici che guardavano con attenzione e interes-
se al mondo iranico già da lungo tempo. Assumere i magi nel racconto di
Matteo equivaleva fare dei magi gli scopritori del Salvatore e piegare, in un
certo senso, la sapienza “pagana” a quel mistero della nascita miracolosa di
Gesù, evento universale di attesa e di messaggio rivolto a tutte le genti.
Un tema, quello del Salvatore, di primaria rilevanza nell’economia della sal-
vezza, per lo zoroastrismo e per la sua letteratura escatologica e apocalittica,
che sull’attesa del Rinnovatore futuro elaborò un nucleo di credenze, mitologie
e scenari escatologici che travalicarono gli stessi confini dell’iranismo: per
6
la letteratura scientifica sui magi, zoroastriani ed evangelici, è immensa: rimando a trattazioni recenti
come il libro di Panaino 2012 e altri suoi contributi settoriali citati nella bibliografia.
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Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam
declinarsi in quella “speranza euroasiatica”, per citare Mario Bussagli, che ben
oltre l’Iran si irradiò nelle geografie del Mediterraneo, nelle attese messianiche
del giudaismo e poi del cristianesimo. Nell’ambito dell’apocalittica (giudizio
universale, fine dei tempi) è possibile inoltre registrare, con ampia verosimi-
glianza di congettura, un transito culturale dal cristianesimo allo zoroastrismo,
in particolari linguaggi dei testi zoroastriani – di complessa gestazione, con
innesti di concezioni avventizie su un fondo presistente e riplasmato a seconda
degli apporti – dove i toni della narrazione risentono di un immaginario cristia-
no, per l’uso di metafore e di parabole di indubbio stampo evangelico nel circo-
scrivere eventi messianici7.
In questa situazione di buon vicinato tra ebraismo e iranismo dobbiamo
quindi comprendere esiti interessanti del giudaismo palestinese e del nascente
cristianesimo. Fin dalle origini del cristianesimo, come possiamo leggere in una
pagina celebre degli Atti degli Apostoli8, i territori oltre l’Eufrate e quindi il
mondo iranico, rappresentarono geografie di elezione per il messaggio univer-
sale di speranza e di apostolato. Il racconto del miracolo della Pentecoste, e
della discesa dello Spirito Santo (Atti 2, 1-13) che conferisce il dono delle lin-
gue, cita infati una enumerazione di popoli significativa: “siamo parti, medi,
elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto
e dell’Asia”. Un elenco con una preponderanza iranica evidente (parti, medi), a
dimostrazione di un pubblico da evangelizzare esteso ad oriente, verso cui in
effetti si sarabbe diretta la predicazione cristiana, usufruendo di quegli stessi
canali di comunicazione sociale e culturale che univano da secoli la Palestina e
la Giudea alla Mesopotamia, fiorente provincia cosmopolita dove da tempo
prosperava la comunità ebraica con il suo Esiliarca (reš galuta, il “capo della
diaspora”). La storia del giudaismo in età partica e poi sassanide è contrasse-
gnata da interessanti fenomeni di dialogo interculturale, come è registrato nel
Talmud babilonese, prodotto erudito della comunità ebraica insediata da secoli
nei territori dell’iranismo. Il portato di tali fenomeni interattivi tra giudaismo e
iranismo è ampiamente studiato da più di 30 anni nella serie dei convegni
“Irano-Judaica” del Ben Zvi Institute di Gerusalemme, ad opera di studiosi
come S. Shaked e più giovani e promettenti ricercatori come G. Herman9 e altri.
Due importanti voci10 sul Talmud nella Encyclopaedia Iranica, a cura del
7
Piras (in stampa).
8
A partire da Labourt (1904: 16) fino ad Asmussen (1982: 11), Chaumont (1988: 3) e altri, questa cita-
zione degli Atti è ormai topica, consueta e suggestiva, per giustificare il rilievo dell’elemento iranico fin
dagli esordi del cristianesimo.
9
Si rimanda a importanti lavori di Herman: 2006, 2010, 2012.
10
Neusner 2005; Elman 2010.
39
Andrea Piras
SASSANIDI con l’avvento della dinastia sassanide (dal III al VII sec.) si verifi-
ca un consolidamento dell’egemonia politica e religiosa della casta dei magi
zoroastriani: una serie di iscrizioni del III secolo, ad opera del gran mago e
mago dei magi Kirdīr11, ci offrono uno sguardo della situazione di crescente
predominio, nella descrizione della carriera sacerdotale di questo personaggio,
sotto il regno di vari sovrani (Ardašīr, Šābuhr I, Ohrmizd, Wahrām I e II). La
sua politica nei confronti di altre religioni è chiaramente espressa (KNRm 11):
“e gli ebrei, i buddhisti, gli hindu, i nazareni, i cristiani, i battisti e i manichei furono
colpiti nell’impero, gli idoli vennero distrutti e le dimore dei demoni abbattute e
rifatte come troni e sedi degli dèi”.
11
Cf. MacKenzie 1989 e Gignoux 1991, ad.loc., per l’edizione, traduzione e commento di questa e di
altre iscrizioni; e inoltre cf. lo studio di F. e Ch. Jullien 2002.
12
Così di recente ha proposto Skjærvø 2011, §5, a proposito del verbo zad (“eliminare il male”, “colpi-
re”, ma non necessariamente “uccidere”) usato in relazione alle dispute tra fedi diverse.
40
Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam
13
Gnoli 1984, 1985.
14
Panaino (2009: 277-278, 284).
41
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tendo i loro usi (funerari, liturgici, rituali) e consentendo di edificare i loro tem-
pli; vietando tuttavia il loro proselitismo e esigendo, di converso, il loro rispet-
to. Cosa non sempre frequente, visti episodi di intolleranza cristiana verso altari
del fuoco, danneggiati nell’impeto di evangelizzazione neofita e di fervore anti-
idolatrico che causarono in determinate occasioni una comprensibile reazione
del clero mazdeo.
Questa attenzione a forme più civili di deterrenza e regolamentazione, nella
sfera del diritto, pur non scongiurando totalmente misure repressive, carcerarie
e punitive, che anzi potevano esserne l’esito ultimo e brutale — di cui ci è
rimasta vivida e truculenta traccia, nelle numerose descrizioni di supplizi regi-
strate negli atti dei martiri cristiani di Persia15 —, si tradusse più volte in una
interazione culturale che propiziava, al di là degli attriti socio-politici e dei con-
flitti di pensiero, forme di assimilazione e di reciprocità. Bisogna aggiungere
che, per quel che riguarda l’iranismo zoroastriano e la formazione del suo cano-
ne di sacre scritture, l’Avesta, è materia ampiamente trattata nella storia della
ricerca l’influsso fecondo che ebbe luogo, nella creazione di un sistema di scrit-
tura come quello avestico16 (che doveva fissare l’ortografia e l’ortofonia della
lingua sacra), nel dialogo con tradizioni scrittorie non zoroastriane come quella
cristiana (Salterio in medio-persiano); a cui si aggiunga, per determinati grafe-
mi, il ruolo non meno preponderante del repertorio alfabetico greco, ugualmen-
te diffuso da secoli nei territori dell’iranismo e dell’impero persiano, come lin-
gua internazionale dell’ellenismo asiatico e della diplomazia romano-persiana.
La permeabilità culturale tra fenomeni di assimilazione e acculturazione, in un
dinamismo multilinguistico, può aiutarci a cogliere situazioni di comunicazione
tra idiomi, mentalità, forme, motivi di una dialettica che caratterizzò l’età sassa-
nide e la sua ricettività eclettica nei confronti della scienza, della letteratura,
delle arti e dell’architettura, dal Mediterraneo alla Cina. Sono noti, del resto, i
riferimenti al mecenatismo di sovrani persiani che promossero la traduzione di
testi del pensiero greco, indiano e siriaco: e una tale apertura verso il patrimo-
nio intellettuale dell’ecumene eurasiatica non poteva escludere un dialogo
(anche se talvolta problematico) con religioni differenti.
In tale prospettiva di circolazione e apertura dobbiamo situare e comprende-
re, nelle sue valenze positive, il rapporto tra iranismo e le religioni abramitiche,
nei limiti marcati dal confliggere di queste con le esigenze politiche, e dei rap-
porti con le istituzioni imperiali: soprattutto con la figura del sovrano, custode
15
Jullien 2004.
16
Sullo stimolo culturale nel confronto tra lo zoroastrismo e altre tradizioni scritturali religiose per la
formazione del canone avestico, cf. Kellens (1988: 36).
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Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam
delle tradizioni avite dell’iranismo e cardine delle istanze finali di giudizio, nei
suoi possibili esiti di assoluzione o di condanna. Ogni tradizione culturale e
religiosa poteva trovare, come fu infatti, benevola accoglienza nella eterogenea
compagine della società sasanide e nella sottomissione all’istituto monarchi-
co17: e anzi rientrare in quei quadri istituzionali delle gerarchie burocratiche,
come avvenne nei confronti degli ecclesiastici cristiani18, spesso impiegati,
anche per le loro funzioni di interpreti, nelle delicate relazioni tra Persia e
Bisanzio che non potevano prescindere, nei mutati assetti politico-religiosi
della Nuova Roma, da forme e codici di comunicazione appropriati che stempe-
ravano, nelle trattative delle ambascerie, le controversie tra le due superpotenze
della tarda antichità, grazie alla scienza giuridica dei trattati e alle fastose ceri-
monialità diplomatiche19. Non meno importante fu la riconosciuta sapienza
medica e terapeutica dei cristiani della chiesa di Persia20, eredi e trasmettitori
delle tradizioni scientifiche siriache, nell’agevolare una integrazione tra cristia-
nesimo e impero, secondo le forme di una collaborazione attenta a una mutua
salvaguardia della “iranicità” e “persianicità” di una appartenenza sassanide che
poteva coesistere con la fede cristiana (e persiana) di una confessione fedele
non solo a Cristo ma al sovrano sassanide. E in ciò si realizzava una duplice
lealtà21 verso due forme di sovranità, celeste e terrena, confermando un legame
che dalle realtà spirituali si estendeva a quelle temporali: senza conflitti, dal
momento che la chiesa cristiana di Persia si era emancipata da quella costanti-
nopolitana e quindi dai rischi di accuse collaborazionistiche con la Roma bizan-
tina (e di sospetta lealtà al basileus) che non pregiudicavano più le sorti dei
fedeli cristiani riuniti nella ekklesìa persiana, leale a Dio in cielo e al Re dei re
in terra.
17
Bisogna ovviamente escludere forme religiose eversive, dal punto di vista politico-sociale ed econo-
mico, come nel caso del mazdakismo, una eresia o eterodossia dello zoroastrismo fortemente repressa sotto
il regno di Xusraw I, per cui rimando alla recente antologia curata da P. Ognibene, con la collaborazione di
A. Gariboldi (2004).
18
Su cui cf. estesamente il lavoro di Sako 1986.
19
Su questo aspetto delle ritualità diplomatiche tra Persia e Bisanzio, cf. Piras 2009.
20
Cf. Gignoux 2001.
21
Cf. il lavoro di Brock 1982 sulla duplice lealtà, confessionale e politica, dei cristiani di Persia.
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22
Sulla formazione di comunità scritturali e di religioni del libro, fra tarda antichità e medioevo, riman-
do al secondo capitolo di Stroumsa (2006: 33-59).
23
Cereti 2001: 79-86.
24
de Menasce 1945.
44
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25
Asmussen (1982: 16).
45
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26
De Menasce (1945: 213, vv. 31-35).
27
In ciò consiste l’accusa formulata dalle autorità mazdee contro i cristiani, colpevoli di fedeltà a un re
che non è di questo mondo, cf. Piras 2006: 37.
28
Panaino 2000.
46
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47
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29
Boyce 1975: 196, testo dz.
30
Tardieu 1981: 18-25.
31
Piras 2012: 17-19.
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